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L’Inno nazionale italiano

(Osvaldo Calò)

L’Inno nazionale d’Italia è conosciuto anche come Canto nazionale, che era il titolo del
poema, Canto degli Italiani, il titolo dato dal compositore, Fratelli d'Italia, che sono le prime
parole del canto, e Inno di Mameli, il cognome dell’autore del poema.

Il Canto degli Italiani nasce a novembre del 1847. Entrambi gli autori sono genovesi.
Siamo nel Regno di Sardegna che comprendeva principalmente, oltre la Sardegna, il ducato di
Savoia, il principato di Piemonte, la contea di Nizza e il ducato di Genova. La capitale era
Torino e al potere dal 1831 era il ré Carlo Alberto di Savoia, Re di Sardegna.

Carlo Alberto

Carlo Alberto, che aveva vissuto ed era stato educato in Francia, era un conservatore ma che
aveva comunque fatto molte riforme. Nello stesso 47 aderisce all'idea di un'Italia federata
guidata dal papa e liberata degli Asburgo. Bisogna dire che l’entusiasmo popolare per papa
Pio IX (riformatore anche lui) soprattutto dopo le sue parole in febbraio 1848: «Gran Dio,
benedite l’Italia!», trovò espressione poetica in diverse composizioni, anche musicali. Ne
vedremo dopo l’influenza nella composizione dell’inno.

In febbraio del 48 Carlo Alberto concede sulla pressione del suo popolo una costituzione
conosciuta come Statuto Albertino. Aveva dovuto cedere poiché Napoli e Firenze avevano già
il loro rispettivo “Statuto rappresentativo”. Diventa dunque sempre più popolare. In marzo,
entra in guerra con Austria per liberare la Lombardia. È la prima guerra d’independenza che
finisce con la sconfitta di marzo 1849. Allora abdica e parte in esilio a Porto, in Portogallo,
dove morirà cinque mesi dopo. Gli succede suo figlio Vittorio Emanuele II che sarà più tardi
il primo re d’Italia.

Gli autori dell’inno: il poeta Goffredo Mameli e il musicista Michele Novaro

Goffredo Mameli è nato a Genova nel 1827. La madre apparteneva a una delle più illustri
famiglie aristocratiche genovesi; il padre, di Cagliari, era comandante di una squadra della
flotta del Regno.
Poeta molto precoce, liberale e repubblicano, aderisce al pensiero Mazziniano nel 1847 e
partecipa attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme. La sua vita di poeta e
soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel 48 combatte contro gli austricaci in
Lombardia, nel 49 collabora con Garibaldi a Genova, poi combatte contro i francesi a Roma
per la diffesa della seconda Repubblica Romana. È ferito e muore di una infezione alla gamba
a soli ventidue anni.
Il musicista Michele Novaro è nato nel 1818, anche lui a Genova. Nel 1847 è a Torino con un
contratto di secondo tenore e maestro dei cori di due teatri (Teatri Regio e Carignano).
Convinto liberale, metterà in musica decine di canti patriottici e organizzerà spettacoli per la
raccolta di fondi destinati alle imprese garibaldine.
Non chiederà mai un compenso per la stampa della musica, neanche dopo l'Unità. Tornato a
Genova, fonda una Scuola Corale Popolare, alla quale dedicherà tutto il suo impegno. Muore
povero, nel 1885.

La nascita dell’inno

Ritorniamo nel 1847. Il 29 ottobre Carlo Alberto promulga il Codice di procedura penale,
riforma la legge sulla censura, consentendo la pubblicazione di giornali politici, limita i poteri
della polizia e abolisce i tribunali speciali. Il 30 ottobre la Gazzetta Piemontese annuncia le
riforme e il 31 ottobre, alla sera, una folla immensa si riversa per le strade di Torino
illuminate, acclamando le riforme e cantando l’inno Con l’azzurra coccarda sul petto.

A novembre, il poeta Mameli è a Genova. Nell’eccitazione del momento scrive un poema con
il titolo “Canto nazionale” e poi l’invia a Novaro, il suo amico musicista, che sta lavorando da
poco tempo a Torino. Qualche giorno dopo, il compositore riceve il testo in casa del patriota e
scrittore Lorenzo Valerio dove si riuniscono dei giovani patrioti e dove si fa musica e politica.

Molto commosso per la forza della poesia, Novaro rientra a casa sua e scrive la musica la
stessa sera. Fa qualche piccole modifiche al testo per addattarlo alla muisca, aggiunge un
sonoro “Sì” per dare più forza alla fine del ritornello (le refrain) e gli da il titolo di “Il Canto
degli Italiani”, Inno nazionale. Bisogna notare che il titolo di Mameli, Canto Nazionale, è da
intendersi più come un’indicazione del genere di appartenenza che come titolo specifico della
poesia. Va anche notato che la definizione di inno nazionale aveva un significato molto
diverso: mentre oggi qualifica un singolo brano eletto come simbolo di uno stato nazionale,
all’epoca indicava l’appartenenza ad un genere musicale e la produzione di inni nazionali
contava una miriade di titoli.

L’intervento più significativo di Novaro sul testo di Mameli: aver duplicato i versi della prima
strofa per assegnarli a due personaggi diversi, creando un dialogo, una scena teatrale, dove si
alternano la voce singola nella prima parte e la risposta corale nella seconda. Novaro descrive
questa struttura bipartita come esito dell’«idea che mi fece nascere il motivo e l'andamento di
questo canto. Dico idea; dovrei dire sogno, fantasticheria, visione. La troverete bizzarra, e par
tale anche a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato...». Certamente il clima di grande
entusiasmo intorno a Pio IX influenzò Novaro nell’immaginare il Sommo Pontefice nel ruolo
dell’atteso profeta che annuncia la rinascita italiana di fronte alla grande adunata delle «genti
italiche: Pio IX si alza, tende le braccia verso quella moltitudine, e con voce grave, solenne,
lenta, annunzia ai popoli la buona novella: « Italia essersi desta, riprendere la gloriosa sua
strada, doversi fare a lei schiava la vittoria! » L’altro personaggio sulla scena è il popolo: «una
immensa moltitudine, le popolazioni di tutta la penisola», interpretato dal coro, che assume un
ruolo centrale nell’estetica della musica risorgimentale. «Un susurro si leva da quella folla: si
guardano attoniti, s'interrogano, si ripetono a mezza voce, agitati, frementi, le parole del
Pontefice. Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere; si combatta: «
stringiamci in coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò ». Se lo ripetono esaltandosi.»

Come s’impose l’Inno di Mameli

Il Canto degli Italiani ebbe la sua consacrazione ufficiale nella grande manifestazione
genovese del 10 dicembre 1847 durante le celebrazioni della ricorrenza della cacciata degli
Austriaci da Genova nel 1746, intonato davanti a un pubblico di trentamila patrioti
provenienti da tutta Italia. Nel clima di generale entusiasmo per le riforme di Carlo Alberto,
pubblico e critica giudicarono molto positivamente il nuovo inno di Mameli-Novaro.

L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fanno il più amato canto
dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni
successivi. E vero che la musica è molto orecchiabile. Io dopo averlo ascoltato due o tre volte
non ho più potuto togliermelo della testa. E non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle
Nazioni del 1862 che scrisse per l’esposizione universale di Londra, affidò proprio al Canto
degli Italiani - e non alla Marcia Reale che era l’inno ufficiale - il compito di simboleggiare
l’Italia, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Eppure lo stesso Verdi, alla richiesta di Mazzini che ne trovava la musica toppo poco marziale
e contestava anche il testo, aveva composto un inno che chiamò “Suona la tromba”. Ma
questo qui non piacque a Mazzini e neanche a Verdi tra l’altro. Quindi fu il Canto degli
Italiani a diventare l'inno simbolo del Risorgimento.

Dopo l'unità d'Italia (1861) come inno del Regno d'Italia è stata scelta infatti la Marcia Reale,
che era il brano ufficiale di Casa Savoia dal 1831. Il Canto degli Italiani era considerato
troppo poco conservatore rispetto alla situazione politica dell'epoca: di chiara connotazione
repubblicana e giacobina, mal si conciliava con l'esito del Risorgimento, che fu di stampo
monarchico. Di contro, il Canto degli Italiani era malvisto anche dagli ambienti socialisti e
anarchici, che lo consideravano invece all'opposto, cioè troppo poco rivoluzionario

Il Canto degli Italiani fu uno dei brani più popolari anche durante la seconda guerra
d'indipendenza (1859), durante la spedizione dei Mille (1860), nella terza guerra
d’independenza (1866) e la presa di Roma (1870). Anche dopo la fine del Risorgimento il
Canto degli Italiani, che era insegnato nelle scuole, restò molto popolare tra gli italiani. Poi, a
poco a poco gli inni risorgimentali sono un po’ passati di moda. Si affiancarono altri brani
musicali che eranocollegati alla situazione politica e sociale dell'epoca.
Fratelli d'Italia, grazie ai riferimenti al patriottismo e alla lotta armata, tornò ad avere
successo durante la guerra italo-turca (1911-1912), dove si affiancò ad A Tripoli[69], e nelle
trincee della prima guerra mondiale (1915-1918).

Dopo la marcia su Roma (1922) assunsero grande importanza i canti prettamente fascisti
come Giovinezza (o Inno Trionfale del Partito Nazionale Fascista)[72], i quali vennero diffusi
e pubblicizzati molto capillarmente, oltreché insegnati nelle scuole, pur non essendo inni
ufficiali. In questo contesto le melodie non fasciste furono scoraggiate, e il Canto degli
Italiani non fu un'eccezione. Nel 1932 il segretario del Partito Nazionale Fascista Achille
Starace decise di proibire i brani musicali che non inneggiassero a Benito Mussolini e, più in
generale, quelli non legati direttamente al fascismo. Furono così vietati i brani giudicati
sovversivi, cioè quelli di stampo anarchico o socialista, come l'Inno dei lavoratori o
L'Internazionale, e gli inni ufficiali delle nazioni straniere non simpatizzanti col fascismo,
come La Marsigliese. Dopo la firma dei Patti Lateranensi tra il Regno d'Italia e la Santa Sede
(1929), furono vietati anche i brani anticlericali. I canti risorgimentali furono comunque
tollerati: al Canto degli Italiani, che era vietato nelle cerimonie ufficiali, fu concessa una certa
accondiscendenza solo in occasioni particolari.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il governo italiano adottò provvisoriamente come
inno nazionale, in sostituzione della Marcia Reale, La canzone del Piave, scritta nel 1918: la
monarchia italiana era infatti stata messa in discussione per aver consentito l'instaurarsi della
dittatura fascista.

In questo contesto, Fratelli d'Italia, insieme agli altri canti risorgimentali e alle canzoni
partigiane, tornò a riecheggiare nell'Italia meridionale liberata dagli Alleati e nelle zone
controllate dai partigiani a nord del fronte di guerra. Il Canto degli Italiani, in particolare,
ebbe un buon successo negli ambienti antifascisti, dove si affiancò alle canzoni partigiane
Fischia il vento e Bella ciao. Si pensa che il successo del brano negli ambienti antifascisti sia
stato poi determinante per la sua scelta a inno provvisorio della Repubblica Italiana.

Nel 1945, a guerra terminata, Arturo Toscanini diresse a Londra l'esecuzione dell'Inno delle
Nazioni composto da Verdi nel 1862 e comprendente anche il Canto degli Italiani. Come inno
nazionale provvisorio, anche dopo la Nascita della Repubblica Italiana, fu però
temporaneamente confermata La canzone del Piave.

Per la scelta dell'inno nazionale si aprì un dibattito che individuò, tra le opzioni possibili: il
Va, pensiero dal Nabucco di Verdi, la stesura di un brano musicale completamente nuovo, il
Canto degli Italiani, l'Inno di Garibaldi e la conferma della Canzone del Piave. Nel 1946 la
classe politica la proposta del ministro della Guerra, che prevedeva l'adozione del Canto degli
Italiani come inno provvisorio dello Stato.

l Canto degli Italiani è stato ufficialmente riconosciuto come inno nazionale solo nel 2017
(legge 4 dicembre 2017 n. 181) anche se in più legislature erano state presentate diverse
proposte di legge in tal senso senza mai giungere alla loro approvazione. Solo una legge
approvata nel 2012 prescriveva l’insegnamento nelle scuole dell’inno di Mameli. Nel 1946
era stato scelto in via provvisoria da un provvedimento del primo Governo repubblicano
datato 12 ottobre 1946, ma, si sa, in Italia nulla è più definitivo delle cose provvisorie.
Commenti sul testo

Fratelli d’Italia
L’Italia s’é desta
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa
s’è desta (destarsi: svegliarsi)
s’è cinta (cingersi la testa: ceindre sa tête, qui: du heaume di Scipione)
L’elmo è la parte dell’armatura che protegge la testa.
Scipione l’Africano fu l’eroe della Roma repubblicana che liberò l’Italia dall’invasione di
Annibale nel 202 a.C.

Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
le porga (porgere: tendere, offrire)
Qui la vittoria, personificata nella schiava che offre la capigliatura in segno di
sottomissione a Roma, simbolo dell’unità nazionale, giungerà perché predestinata dalla
stessa volontà divina.

Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte,
L’Italia chiamò.
Nel ritornello, il serrare le fila nella schiera dei soldati, la coorte, ci riporta sul campo di
battaglia, dove si deve essere pronti ad accettare l’estremo sacrificio.
La coorte richiama l’antica organizzazione militare della legione, struttura base
dell’esercito della Roma repubblicana composta da circa 600 uomini.
Ugualmente in coorti era suddivisa la Legione lombarda, costituita durante il periodo delle
repubbliche giacobine, e che per prima innalzò, il 16 novembre 1796 in piazza Duomo a
Milano, il tricolore italiano.

Noi fummo da secoli


Calpesti, derisi
Perché non siam popolo
Perché siam divisi.
Raccòlgaci un’unica
Bandiera, una speme
Di fónderci insieme
Già l’ora suonò.
calpesti (calpestare: pestare, schiacciare, camminare su)
derisi (deridere: prendere in giocco, ridicolizzare)
raccolgaci: ci metta insieme (raccogliere: riunire, radunare)
fónderci (fondersi: unirsi, raggrupparsi)
Uniamoci, amiamoci
L’unione e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
L’Italia ha subìto l’efficace strategia di dominatori stranieri ben sintetizzata dal motto
(detto) latino divide et impera e favorita dalla mancanza in passato di una coscienza
nazionale unificatrice.
uniti per Dio: sarebbe un francesismo al posto di da Dio/per mezzo di/per volontà di Dio.
In sintonia con il credo mazziniano, a cui Mameli aveva aderito fin da giovanissimo,
l’unione e l’amore conducono alla comprensione del ruolo che Dio stesso ha tracciato per
ogni popolo nel suo grande disegno, destinato ad avverarsi vincendo su tutto.

Dall’Alpe a Sicilia
Ovunque è Legnano
Ogni uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano.
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
«Avete notato? In una sola strofa c'è tutto quello che un Italiano non dovrebbe ignorare
della sua storia; Legnano, Gavinana, Portoria, i Vespri di Sicilia». È il commento di
Giuseppe Garibaldi a questa strofa, un rapido excursus storico tra quattro episodi che
Mameli riteneva paradigmatici, simbolo e anticipazione dell’inevitabile destino di vittoria
della nuova Italia-nazione.
1176 battaglia di Legnano: i Comuni della Lega lombarda sconfiggono l’imperatore di casa
sveva Federico Barbarossa, salvano ed estendono quel certo livello di autonomia che i
tempi avevano fin allora consentito.
1530: Francesco Ferrucci muore eroicamente a Gavinana, combattendo un’impossibile
battaglia contro Medici, Papato e Impero, coalizzati contro la Repubblica di Firenze. «Vile!
Tu uccidi un uomo morto!» sono le sue ultime parole, rivolte al crudele mercenario
Fabrizio Maramaldo.
1746: un ragazzino di Genova soprannominato Balilla, tirando inopinatamente un sasso
contro un gruppo di soldati austriaci impantanati con un cannone in una strada del quartiere
Portoria, dà il via a una sanguinosa, e vittoriosa, rivolta popolare.
1282: i Francesi dell’usurpatore Carlo d’Angiò vengono aggrediti a Palermo da un gruppo
di popolani inferociti, a causa, pare, di un complimento un po’ pesante rivolto da un
soldato a una siciliana all’uscita di chiesa, una domenica pomeriggio dopo il rito dei vespri.
Dai tafferugli alla rivolta, guidata da Giovanni da Procida, il passo è breve: i Francesi sono
letteralmente e rapidamente cacciati dall’isola.

Legare i quattro episodi a una sorta di filo rosso della coscienza patriottica italiana lungo il
corso di sette secoli può sembrare una forzatura, ma va detto che tali legami non sono
un’esclusiva di Mameli.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l’aquila d’Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d’Italia
Il sangue polacco
Bevè col Cosacco
Ma il sen le bruciò.
giunchi (giunco: jonc, roseau)
le spade vendute: le truppe mercenarie, largamente utilizzate nell’esercito austriaco.
l’aquila d’Austria: aquila a due teste raffigurata nello stemma imperiale austriaco.
bevè col Cosacco: le brucia in corpo il sangue dei popoli oppressi di Italia e Polonia, che
beve insieme ai Cosacchi, soldati al servizio dello Zar reclutati tra le popolazioni nomadi
della steppe della Russia meridionale. I forti accenti antiaustriaci determinarono la censura
a parte del governo piemontese di questa strofa fino all’inizio della prima guerra di
indipendenza nel marzo 1848. In effetti la strofa non compare nella prima pubblicazione
nel volume Dono Nazionale e nemmeno nei fogli volanti diffusi nella grande
manifestazione del 10 dicembre 1847 a Genova. L’inno si concludeva con la ripresa della
prima strofa variata nei primi due versi, che richiamano l’incipit della prima stesura nel
manoscritto genovese.
Questa strofa fu inizialmente censurata dal governo sabaudo perché giudicata troppo
antiaustriaca. La censura finì con l’innizio della guerra.

Evviva l’Italia
Dal sonno s’è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci ecc.

© Osvaldo Calò

Fonti
Per fare questo piccolo lavoro, ho consultato diverse pagine di Wikipedia, il sito del Quirinale
e un libro molto interessante pubblicato nel 2019 dal Conservatorio di Torino, “Il Canto degli
Italiani, edizione critica” a cura di Maurizzio Benedetti, musicista che nel 2000 aveva ricevuto
dal Quirinale l’incarico di curare una ricerca musicologica sul repertorio risorgimentale
italiano. Ho anche guardato un piccolo video su RaiPlay che potete anche vedere su YouTube
https://youtu.be/oHdSqZKuX0k

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