Sei sulla pagina 1di 8

DESIGN

LED Dimming: Implementazioni a confronto


13/01/2022

Di Redazione Fare Elettronica

I diodi LED sono ormai sempre più affermati come dispositivi di riferimento per l’illuminazione.
Che si tratti di illuminotecnica per ambienti, settore automotive, display di smartphone o
applicazioni fotochimiche, in ogni ambito l’esigenza di base è quella pilotarli opportunamente al
fine di regolarne la corrente media e quindi l’intensità luminosa.

Questa regolazione può avvenire con una moltitudine di implementazioni circuitali, caratterizzate
da diverse complessità ed efficienza, nelle quali possono essere individuate due tecniche
fondamentali: il dimming PWM e il dimming analogico (o dimming DC).

Il dimming analogico consiste nella regolazione della corrente continua che scorre in un LED. Il
dimming PWM applica invece una corrente pulsata tale da avere come valore medio quello
desiderato.

Una corrente media di 100mA, ad esempio, si può infatti ottenere applicando una corrente
pulsata con valore di picco 200mA e un duty cycle del 50% , tenendo quindi accesi i LED per
metà del tempo (Figura 1). Se la frequenza è sufficientemente alta l’occhio umano percepisce
soltanto l’intensità luminosa relativa alla corrente media ottenuta dal PWM. L’alternativa è far
scorrere una corrente continua di valore 100mA. Le due situazioni non sono però equivalenti,
per diversi motivi di seguito affrontati.
Figura 1 Confronto tra dimming PWM (traccia rossa) e dimming DC (traccia blu) con corrente media di 100mA.

L’effetto della corrente sulla cromaticità


È fatto noto che lo spettro di emissione dei LED dipenda dal valore di corrente istantaneo
applicato [1].

In figura 2 è riportato l’effetto del dimming al 5% sul picco di emissione nel blu di un LED bianco
variando la corrente continua o applicando una corrente pulsata in PWM. Si osserva come nel
caso del dimming “analogico” la luce emessa si sposta verso lunghezze d’onda maggiori,
l’effetto visibile è che col diminuire dell’intensità luminosa la temperatura di colore si abbasssa:
la luce diventa “più calda”. Lo spettro dello stesso LED alimentato con corrente pulsata in PWM
si mantiene invece pressoché inalterato.

È chiaro quindi che se si vogliono rendere stabili le caratteristiche cromatiche di una sorgente
luminosa a LED al variare dell’intensità luminosa bisogna ricorrere al dimming PWM, scegliendo
opportunamente il valore di corrente di picco.
Figura 2 Confronto sullo spettro luminoso tra dimming DC e PWM (fonte: [1])

Considerazioni sull’efficienza
Sebbene per quanto detto prima il PWM risulta migliore nel preservare la temperatura di colore,
spesso questa non è una priorità assoluta e le variazioni cromatiche con un dimming DC
risultano accettabili.

L’utilizzo del dimming DC, che regola direttamente la corrente media dei LED senza
commutazioni ON-OFF degli stessi, comporta alcuni vantaggi che ne hanno fatto guadagnare
popolarità in particolare per i display degli smartphone [2].
Nel dimming PWM, quando i LED sono accesi, questi conducono sempre la corrente di picco,
dissipando quindi la massima potenza I2R negli elementi resistivi. Ad esempio, ipotizzando una
componente resistiva di 0.3Ω, un driver PWM con corrente di picco di 400mA e con duty cycle
del 50% dissiperà una potenza P = (400mA)² · 0.3Ω · 0.5 = 24mW.

Un LED Driver che invece regola direttamente la corrente media a 200mA, a parità di elementi
resistivi dissiperebbe una potenza P=(200mA)²·0.3Ω = 14mW, praticamente la metà!

Condurre una corrente istantanea più alta anche se per meno tempo è quindi svantaggioso in
termini di perdite, senza contare le perdite di commutazione del dispositivo (di solito un
MOSFET) che provvede ad accendere e spegnere la stringa di LED.

Nel funzionamento a bassi valore di corrente però il dimming DC presenta alcune limitazioni. Il
regolatore DC/DC che ne regola la corrente lavora con una tensione di riferimento nel loop di
controllo bassa, rendendo il funzionamento sensibile ad errori di offset dell’amplificatore di
errore: il controllo della corrente è meno preciso. Un altro problema è nelle caratteristiche dei
LED: quando la corrente che scorre è nell’ordine di pochi punti percentuali di quella nominale,
l’intensità luminosa corrispondente è fortemente variabile a seconda del dispositivo: in una
matrice di LED a parità di corrente potrebbero esserci variazioni di luminosità tra un LED e l’altro
ben visibili. Con il dimming PWM questo problema non c’è: anche con un duty cycle dell’1% il
LED lavora sempre alla corrente di picco, in una condizione operativa dove l’intensità luminosa è
un parametro robusto e più uniforme tra i diversi dispositivi.

Alcuni circuiti integrati applicano un dimming DC ad alti valori di corrente ed un dimming PWM a
bassi valori di corrente (modalità ibrida) proprio per risolvere le limitazioni appena esposte.

Topologie e soluzioni circuitali


Il mercato dei chip LED Driver è sufficientemente vasto da poter confondere il progettista nel
momento che si cimenta con l’alimentazione di una stringa o un pannello LED. Poiché si
desidera che i LED siano pilotati tutti alla stessa corrente, la configurazione delle stringhe LED
più utilizzate è quella di LED in serie, facendo salire la tensione di stringa: per questo molte
soluzioni condividono la presenza di un convertitore boost per innalzare la tensione di
alimentazione e portarla al valore necessario all’accensione dei LED alla corrente desiderata. In
altri casi invece la tensione di alimentazione può essere maggiore di quella di stringa, ed infatti
altre famiglie di LED driver utilizzano una configurazione buck. Il convertitore DC/DC può essere
utilizzato esso stesso per regolare la corrente di stringa (operando come constant current
source), o può essere associato a dei current sink (pozzi di corrente) che realizzano la
regolazione di corrente tramite circuito di dimming PWM , analogico o entrambi. In altri casi
invece si utilizza la tensione di alimentazione già disponibile e la regolazione è tutta a carico dei
current sink.
Figura 3: Schema elettrico di un current sink a MOSFET

Un semplice schema circuitale di un current sink è mostrato in figura 3: in serie al carico è


connesso un MOSFET alimentato da un opamp retroazionato negativamente. L’analisi del
circuito è semplice: ipotizzando l’operazionale come ideale la sua uscita sarà tale da rendere la
tensione differenziale di ingresso nulla. Di conseguenza la tensione di gate del MOSFET sarà
quella tale da ottenere la tensione Vset, presente al terminale non invertente, sulla resistenza di
sensing. Il valore di corrente sarà quindi imposto a I=Vset/Rsns. Se il segnale Vset viene
modulato in PWM, o un segnale logico PWM viene utilizzato come segnale di enable
dell’opamp, alla regolazione DC si aggiungerà quella PWM ottenendo una corrente pulsata di
valore di picco pari a Vset/rsns.

In questa configurazione le perdite sono tanto più alte quanto maggiore dovrà essere la caduta
di tensione sul MOSFET per limitare la corrente al valore desiderato: la condizione per
massimizzare l’efficienza è quella in cui la tensione di alimentazione dei LED sia la più bassa
possibile per accendere la stringa alla corrente desiderata
Figura 4 Led Driver con convertitore boost e PWM (Fonte: [3])

In figura 4 è mostrato un esempio di LED Driver step-down che lavora in modalità constant
current source [3]. La stringa di LED è connessa in uscita ad un convertitore buck, il cui controllo
in retroazione lavora in modo tale da imporre una tensione di 200mV ai capi della resistenza di
sensing e, di conseguenza, nella stringa di LED. Il pin SHDN funziona come enable del
convertitore: inviando un segnale PWM in ingresso è possibile realizzare un dimming PWM a
corrente pulsata. La frequenza massima per queste configurazioni è però limitata dalla banda
del controllore del convertitore. Nel caso specifico, è indicata una frequenza di 150Hz.

Quando i LED da pilotare sono suddivisi in più stringhe, una soluzione molto pratica consiste nei
chip che integrano, oltre al controller del convertitore boost,un numero multiplo di uscite che
implementa il dimming. Un esempio è l’LP8864-Q1 (figura 5) , nel quale la tensione anodica di
uscita del boost viene variata in maniera adattiva in maniera da assestarla al valore minimo
necessario per accendere le stringhe alla corrente desiderata, aumentando così l’efficienza. Le
quattro uscite permettono di regolare la corrente di stringa con un dimming PWM, analogico o
con una modalità ibrida che combina le due modalità. Nella modalità PWM si può scegliere di
pilotare le 4 stringhe in modalità “phase-shift”. In questa modalità le quattro stringhe non
vengono commutate contemporaneamente, ma viene aggiunto un delay costante a ciascuna in
modo da distribuire in maniera più uniforme l’assorbimento di corrente complessivo riducendo il
transitorio di carico del convertitore boost. I current sink interni permettono di regolare la
corrente di picco al valore desiderato, programmabile tramite un resistore esterno.
Figura 5 Schema semplificato dell’ LP8864-Q1 (Fonte: [3])

Un altro chip con un approccio simile è l’LT3671A della Linear Technology, che però utilizza un
MOSFET esterno per il current sink/PWM.

Conclusioni
Il panorama dei LED driver è vasto e la scelta della tecnica di dimming e di conseguenza dell’IC
da utilizzare va ponderata in base alle esigenze della specifica applicazione. Le configurazioni
circuitali per il pilotaggio dei LED mostrate in questo articolo sono solo alcuni esempi di quelle
possibili, ma avendo chiare le differenze tra dimming PWM e dimming DC la scelta risulta
sicuramente più semplice.

Riferimenti
[1] Pousset N, Rougié B, Razet A. Impact of current supply on LED colour. Lighting Research &
Technology. 2010;42(4):371-383. doi:10.1177/1477153510373315

[2] Texas Instruments, Analog PWM Dimming in White-LED Driver, Application Report SNVA768

[3] Analog Devices, LT8042 Boost Led Driver Datasheet

[4] Texas Instruments, LP8864-Q1 Automotive display LED-backlight driver Datasheet

Potrebbero piacerti anche