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GIACOMO LEOPARDI

LA TEORIA DEL PIACERE: dallo Zibaldone. Leopardi afferma che l’anima umana desidera e mira
unicamente al piacere (dunque alla felicità). Questo desiderio non ha limiti perché è intrinseco
all’esistenza, e proprio per questo non può essere trovato e realizzato mediante un piacere finito
(quelli del mondo materiale). Quando infatti si cerca di colmare questo desiderio astratto e illimitato di
piacere attingendo al mondo finito, ci si accorge che il piacere che quest’ultimo ci provoca è
circoscritto e debole, non può in alcun modo soddisfare l’uomo che a questo punto si ritroverà con un
vuoto nell’anima, perché quel desiderio resta inappagato. D’altronde l’anima desidera non un piacere,
ma il piacere che comprenda tutta l’estensione del piacere. Di conseguenza Leopardi spiega che ogni
piacere deve essere misto di dispiacere perché l’anima nel tentativo di ottenerli cerca avidamente ciò
che non può trovare. Il desiderio di infinito porta l’anima ad immaginare ciò che non vede e che mai
potrebbe vedere. Questa vastità e molteplicità di sensazioni confonde l’anima, impedendole di vedere
i limiti del reale e facendole credere di attingere ad un piacere infinito.

IL VAGO, L’INDEFINITO E LE RIMEMBRANZE DELLA FANCIULLEZZA: dallo Zibaldone. Il poeta


afferma che l’uomo durante la sua gioventù è in grado di trarre piacere dal mondo materiale soltanto
perché, essendo un fanciullo, ogni piacere tende all’infinito grazie alla sua immaginazione. Tuttavia da
adulto questo, rifacendosi al mondo materiale, non riesce mai a trovare quel piacere infinito di cui
necessita e rimane sconsolato con un vuoto nell’animo che diviene poi tedio. Le uniche sembianze di
piacere che sembra afferrare sono quelle che scaturiscono dalle rimembranze della fanciullezza: ciò
che ha procurato al fanciullo gioia nell’infanzia riporta all’adulto un ricordo piacevole di una felicità che
non otterrà mai se non con l’immaginazione.

IL VERO È BRUTTO: dallo Zibaldone. Secondo il poeta il passato è più bello del presente, perché il
presente corrisponde al vero, in cui si riflette la triste condizione umana e di conseguenza è brutto.

LA DOPPIA VISIONE: dallo Zibaldone. Descrive come all’uomo provvisto di feconda immaginazione
il mondo appare in modo doppio, perché ciò che percepisce attraverso i sensi lo riporta attraverso
l’immaginazione nella propria mente. L’uomo ha così due visioni: quella sensibile e quella
immaginosa.

L’INFINITO: dai Canti. Leopardi si trova nel giardino di un convento adiacente a casa sua a cui i
bambini avevano accesso, lì da sotto un albero osserva la siepe che funge da ringhiera tra lui e una
vallata davanti al poeta. Contempla l’ostacolo ed immagina di vedere spazi illimitati e di sentire
sovrumani silenzi e profondissima quiete, ciò gli provoca sgomento e, a poco, paura. Infatti al poeta
vengono a mancare le certezze di cui aveva vissuto fino a quel momento e si scatena in lui la paura
dell’ignoto. Sembra illudere il lettore che sia una vista piacevole e confortante, in realtà il poeta sente
il cuor spararsi. Paragona il silenzio infinito al vento, l’io lirico annega nell’immensità dell’infinto
immaginato e scatta in lui la meditazione sull’eterno. Ha inizio un’esperienza mistica in cui Leopardi
sembra trovarsi fuori da qualsiasi dimensione spaziale o temporale. Nonostante tutto, questa illusione
letale e la perdita della coscienza sono per lui dolci (nonostante il naufragio porti morte, allieta il
poeta).

A SILVIA: dai Canti. Silvia diviene simbolo della rimembranza di una ragazza che è venuta a
mancare nel fiore dei suoi anni. Leopardi vede, osserva ed ascolta i rumori che gli giungono,
compresi la voce di Silvia che canta e il rumore di un telaio. Il componimento si apre con
un’invocazione diretta ed una domanda, “ricordi la gioventù e il momento in cui stavi per superarla?”,
che fa riferimento ad un momento felice in cui “beltà splendea”. Leopardi usa numerosi filtri: un filtro
letterario, ovvero il perpetuo canto di Silvia che si poteva sentire mentre lei si dedicava alla tessitura e
che sovrappone al mondo reale il ricordo di passi poetici particolarmente cari; un filtro fisico, la
finestra del paterno ostello da cui Leopardi percepisce il mondo esterno e che limita il contatto con il
reale stimolando l’immaginazione; il filtro dell’immaginazione, ovvero la doppia visione suscitata dal
canto di Silvia; il filtro filosofico, la presa filosofica del vero che rende il poeta consapevole dell’infinita
vanità del tutto. Dopodiché Leopardi parla della sua gioventù, passata totalmente sui libri e dedita allo
studio leggiadro e felice che però gli procuravano fatica e consumarono una parte di sé. Al ricordo
della speranza che si provava in gioventù, Leopardi prova dolore perché le sue certezze sono crollate
improvvisamente. A metà del componimento viene delineato il pensiero pessimistico di Leopardi, in
particolare la fase del pessimismo cosmico secondo cui la natura illude ed inganna i suoi figli, non
garantisce la felicità, non mantiene le promesse e non lascia realizzare le speranze. La morte di Silvia
coincide quindi con la morte delle speranze del poeta vinto dalla natura e rassegnato alla necessità di
infelicità.

IL SABATO DEL VILLAGGIO: dai Canti. Attraverso il filtro della memoria (l’immaginazione) Leopardi
conferisce una descrizione vaga di paesaggio in cui sono contrapposte due figure femminili: la
donzelletta, una contadina che svolge l’attività principale del borgo, che torna dalla campagna con un
mazzolino di fiori per adornarsi in un giorno di festa, ed una vecchietta intenta a filare mentre racconta
della sua giovinezza, quando anche lei si trovava in quella che viene definita l’età più bella e la
stagione della vita. Prosegue una descrizione della natura al tramonto, vi è un gioco di luce e ombra
creato dalla luna nascente che risulta poetica per la sua indefinitezza. Il poeta presenta un’immagine
di immensa felicità che annulla la fatica in ognuno, indipendentemente dall’età. La chiusura della
poesia rappresenta un augurio e paragona la fanciullezza al sabato, in cui si attende la gioventù (che
è il momento più lieto della vita, proprio come la domenica è il momento più atteso della settimana). Al
termine del componimento Leopardi si mostra consapevole del termine della gioia, ma invita a
godersela proprio se ne ha coscienza.

CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA: dai Canti. il Canto notturno è un


componimento libero, diviso in sei strofe. Nella prima il pastore (filosofo-portavoce del pensiero del
poeta) si rivolge alla luna silenziosa, mettendo a confronto sé stesso proprio con la luna: da un lato
c'è lui che si definisce "vecchierel bianco", e dall'altro la grandezza dell'astro lunare. Il pastore si
interroga poi sulla sua esistenza, mettendo a confronto la propria vita con quella del suo gregge: la
noia della vita non pesa alle sue pecore, mentre per lui esistere è negativo, porta dolore e tedio.
L'uomo, invece, non solo vive nel dolore fin dalla nascita (tanto che l'atto migliore che un genitore può
fare nei confronti dei propri figli è consolarlo), ma è subito vinto dalla noia. Perché Leopardi decide di
esprimere queste tematiche a lui care tramite un dialogo di un pastore con la luna? Per il
componimento il poeta trae ispirazione dalla lettura di un viaggio presso i Kirghisi, una popolazione
dell'Asia centrale, dove pastori declamavano storie e canti alla luna.

A SE STESSO: dai Canti. Leopardi compone questa poesia in occasione della fine della passione,
non corrisposta, nei confronti di Fanny Targioni Tozzetti, che egli identifica con lo pseudonimo
Aspasia. Proprio questo evento, unitamente a tutto il trascorso del poeta, è determinante nella stesura
del componimento "A se stesso in cui egli invita il suo cuore a lasciarsi andare e ad abbandonare la
vita. Non un caso infatti che i toni e lo stile ricordino quelli di un'iscrizione funebre. Nella lirica "A se
stesso", Leopardi desidera che il suo cuore stanco possa finalmente in eterno in seguito all'ennesima
illusione. I temi centrali infatti sono proprio la disillusione che il poeta nutre nei confronti dell’intera
esperienza di vita e l'insensatezza della stessa. Alla luce di queste riflessioni, Leopardi giunge alla
conclusione che sia inutile che il suo cuore soffra e si disperi per un destino che all'uomo ha riservato
un solo dono: la morte.

LA GINESTRA: dallo Zibaldone. Lo spunto per scrivere questo poemetto arriva quando Leopardi
viene ospitato da un suo amico a Napoli, a Torre del Greco, un paesino alle pendici del Vesuvio, in cui
il panorama che emerge è una natura vulcanica, ricoperta di lava e detriti. Il componimento si apre
con un’epigrafe tratta dal vangelo di Giovanni che fa riferimento al peccato e alla retta via da seguire.
Il testo descrive come la ginestra, fiore fragile e delicato, coraggiosamente riesca a ricresce in territori
desolati, come avviene per esempio sulle pendici del Vesuvio, anche se destinato a soccombere
continuamente ad ogni eruzione. La fragilità della ginestra diviene simbolo della fragilità della
condizione umana sottoposta alla legge crudele della natura che interessata solo a se stessa non
bada al destino del genere umano. Per il poeta di fronte alla smisurata potenza della natura l’uomo
dovrebbe orgogliosamente prendere atto della sua fragilità e rassegnarsi alla sua condizione, così
come fa l’umile pianticella della ginestra, e non credersi invece superbamente padrone del proprio
destino e della natura. Si apre con il versetto evangelico per alludere al fatto che gli uomini
preferiscono affidarsi a cose false ma consolatorie (le tenebre) piuttosto che a cose vere ma dolorose
(la luce). La luce che per l’evangelista Giovanni è la parola divina, per Leopardi è il lume della ragione
che porta alla consapevolezza dell’infelicità dell’uomo sulla terra e della sua solitudine; le tenebre
rappresentano il buio in cui l’uomo preferisce vivere per non prendere coscienza della realtà delle
cose, troppo dolorosa. La prima strofa (1-51) si apre con la descrizione di un paesaggio desolato,
quello del Vesuvio. In questo contesto cresce la ginestra con i suoi fiori profumati. Leopardi ricorda
che anche tra le rovine dell’antica Roma è possibile sentire l’odore di questa pianta. Con grande
sarcasmo, il poeta invita gli ottimisti (coloro che di solito esaltano la condizione degli uomini) a visitare
questo paesaggio desolato per capire come la natura non si cura degli uomini. Nella seconda strofa
(52-86) il poeta accusa il XIX secolo di aver abbandonato il razionalismo dell’Illuminismo. Per essere
invece tornato a credenze religiose ed irrazionali che portano l’uomo verso un gravissimo regresso
culturale. Continua inoltre la polemica verso coloro che si illudono che questa sia la migliore epoca
che gli uomini abbiano mai vissuto. Nella terza strofa (87-157), il poeta invita gli uomini a prendere
atto della triste condizione di infelicità in cui si trovano e soprattutto esalta la solidarietà tra loro.
Bisogna infatti stringersi insieme in una social catena (v. 149). Serve lottare contro la natura perché
essa è la principale responsabile dei desideri non soddisfatti dell’uomo e della condizione di infelicità
nella quale essi si trovano. La quarta strofa(158-201) si apre con la contemplazione della volta
celeste. Guardando questi spazi immensi, secondo Leopardi, l’uomo sbaglia a credersi al centro
dell’universo e quindi pecca di superbia. Egli polemizza quindi anche con la religione (vv. 190-195)
che ha creato delle illusioni perché ha spinto l’uomo a pensare che esso sia al centro dell’universo. La
quinta strofa (202-236) comincia con una similitudine. Il poeta paragona la distruzione del vulcano con
la mela caduta dall’albero che uccide un intero popolo di formiche in un solo istante. In tal modo
simboleggia l’assoluto disinteresse della natura nei confronti dello stato umano. Nella sesta strofa
(237-296) viene descritta l’eruzione del Vesuvio di notte con particolari cupi proprio per dimostrare
che la vita dell’uomo è molto breve mentre la natura è eterna e minacciosa. Settima strofa (297-317),
la poesia termina con una strofa finale dedicata alla ginestra. La struttura quindi è perfettamente
circolare. Il fiore viene esaltato perché è capace di sottostare al proprio destino senza alzare il capo.
E quindi è capace di diventare superbo, senza supplicare il vulcano di risparmiarla. Gli uomini
dovrebbero quindi evitare l’orgoglio e diventare umili ma tenaci come la ginestra per continuare a
vivere la loro esistenza in maniera degna.

DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE: dalle Operette morali. Nel Dialogo della natura e
di un islandese si descrive un islandese mentre va errando per le regioni interne dell'Africa, incontra
la natura. Segue un dialogo, durante il quale l'uomo spiega alla natura come la sua vita sia stata
sempre infelice. Spiega come lei sia nemica dell'uomo e degli animali. Di fronte a queste accuse la
natura rimane impassibilmente fredda, precisando all'ingenuo islandese che il mondo non è stato fatto
per la specie umana e che se essa ha mirato sempre" a tutt'altro che alla felicità degli uomini o
all'infelicità" se anche le capitasse di estinguere tutta la specie umana, lei non se ne accorgerebbe
neppure, essendo unicamente occupata a mantenere inalterato la vita stessa dell'universo. Mentre
così ragionano, giungono due leoni magri ed affamati, che hanno appena la forza di mangiarsi
l'islandese: cosi possono tenersi in vita per quel giorno. Vi compare per la prima volta, il "pessimismo
cosmico" di Leopardi. La Natura non è più considerata la "madre benigna" degli esseri viventi; i
colpevoli non sono più gli uomini che hanno deviato volontariamente dalle leggi naturali, ma la Natura
è indifferente se non nemico dei suoi figli, incapace di procurar loro quella felicità che è in ognuno di
noi.
ALLA LUNA: dai Canti. Nella poesia “Alla luna” troviamo il tema del ricordo. Il presente dà il via al
ricordo del tempo passato. Tra i due momenti non c’è frattura: è passato un anno ma non è cambiato
niente, il dolore è sempre lo stesso, con la differenza che un anno prima il carico di dolori era inferiore
e la sofferenza era quindi minore.

IL GIARDINO SOFFERENTE: dallo Zibaldone. Leopardi mostra come l’uomo sia necessariamente
infelice, così come ogni elemento della natura (è infelice di necessità). C’è sofferenza ovunque si
posa lo sguardo anche se apparentemente non è evidente. La cultura di Leopardi prevede una realtà
contingente che ha un ciclo, è una cultura sensistica ed empiristica secondo cui la natura percorre per
necessità questo ciclo vitale composto da vita e morte, in cui il circuito continuo garantisce la vita a
scapito di altre. Non esiste uno stato di sanità perfetta afferma Leopardi, non volendo illudere il
lettore. Entrando in un giardino si potrebbe avere l’illusione che tutto sia perfetto ma poi si scopre
l’inganno della natura. A questo punto secondo il poeta è meglio non essere che essere, perché non
essendo non si proverebbe alcun dolore.

SCAPIGLIATURA
Arrigo Boito

DUALISMO: La poesia del 1863 Dualismo di Arrigo Boito è considerata il manifesto della
Scapigliatura. Inserita in apertura nella raccolta Il libro dei versi, dà voce alla condizione spirituale
lacerata degli Scapigliati ed è espressione sia della crisi dell’uomo contemporaneo, sia del dualismo
insito nella natura umana. Coerentemente con il titolo, il testo di Dualismo è costruito sull’antitesi e
sull’ossimoro, entrambi funzionali al tema veicolato poiché le due figure retoriche accostano, in frasi
separate e non, termini concettualmente opposti.

Igino Tarchetti
FOSCA: Il romanzo ha come protagonista Fosca, una donna tanto brutta da essere l’immagine della
morte. È malata ed ossessionata da Giorgio, un ufficiale, che conosce a casa del cugino, il quale è un
comandante. La loro diventa un’amicizia e poi un amore ossessivo e fatale. Nel ritratto fisico di Fosca
è evidente il proposito di evocare l’immagine della morte, bisogna però notare anche il fatto che le sue
caratteristiche fisiche sono attributi costanti della donna fatale nella letteratura del secondo Ottocento.
Dal testo emerge anche il legame morboso che unisce ormai l’eroe alla donna, che egli maschera
sotto l’alibi della pietà per l’inferma e del timore di provocare in lei una crisi mortale. Il narratore
definisce questo rapporto come una tortura quindi ciò che spinge Giorgio è il piacere di essere
torturato, la voluttà della sofferenza. D’altro canto Fosca gode nell’imporre il suo dominio su di un
essere totalmente soggiogato: con la sua potenza fascinatrice la donna riesce a scacciare dalla
mente dell’eroe l’immagine della vita e della donna salvatrice, Clara. L’effetto di questo legame è che
l’eroe viene minato nella sua salute fisica e psichica, il legame morboso diventa per l’eroe un’idea
ossessiva, quella della morte che lo avvinghia a sé.

GIOVANNI VERGA

L’AMANTE DI GRAMIGNA: La prefazione all’amante di Gramigna è uno dei documenti teorici che
aiutarono a far nascere la definizione di verismo. Viene definito un documento umano in quanto
testimonianza reale della condizione dell’uomo. Vi è un riferimento polemico alla cultura come
scienza, infatti Verga non dà alcun giudizio personale, egli afferma che il semplice fatto umano farà
sempre riflettere. Non apprezza l’analisi scientifica della letteratura, l’unica cosa che prende dal
naturalismo è l'impersonalità dell’autore che si eclissa. L’intento di Verga è nascondere il processo di
creazione dell’opera stessa per avere la massima oggettività: la mano dell’artista sarà invisibile,
l’opera sembrerà essersi fatta da sé.
ROSSO MALPELO: Novella pubblicata nella raccolta Vita dei campi, nel 1880. Malpelo è un
adolescente che lavora in una cava di rena rossa. Il suo vero nome non lo conosce nessuno e tutti lo
chiamano Malpelo perché ha i capelli rossi, che secondo la credenza popolare sono segno di
malvagità d’animo. Nessuno gli vuole bene e viene continuamente maltrattato, persino da sua madre
e dalla sorella maggiore, quest’ultima infatti pensa che Malpelo non porti mai tutto il salario a casa e
per questo lo picchia. L’unico che gli vuole bene è il padre che purtroppo muore durante gli scavi in
miniera e da quel momento Malpelo diventa sempre più furioso e sfoga tutta la sua rabbia lavorando
e picchiando a il povero asinello che usano per trasportare i sacchi. Quando in miniera arriva un
ragazzino gracile e malato, chiamato Ranocchio per la sua andatura claudicante, Malpelo in qualche
modo si affeziona, ma gli vuole bene a modo suo, picchiandolo quando non ce la fa o si lamenta per
la troppa fatica. Ranocchio si ammala di tisi e Malpelo va spesso a trovarlo nella speranza che
guarisca, ma purtroppo il ragazzino muore. Malpelo rimane completamente solo: l’unico amico che
aveva è morto, sua madre si è risposata, sua sorella è andata a vivere da un’altra parte, perciò un
giorno accetta di offrirsi volontario per andare ad esplorare alcuni cunicoli pericolosi, ma non ne farà
mai più ritorno. Nella novella Verga fa presente al mondo tematiche quali la povertà nera e lo
sfruttamento delle classi disagiate della Sicilia alla fine del XIX secolo. Tra gli altri temi in Rosso
Malpelo emerge anche l’emarginazione del diverso, che è tale solo per il colore rosso dei suoi capelli,
che nell’ignoranza del tempo veniva associato al male. Il narratore della novella è popolare, si tratta
della voce di tutto il popolo, come se fosse il punto di vista della comunità che circonda il protagonista.
La novella è narrata con un linguaggio nudo e scabro che si propone a dipingere il vero (realtà
popolare).

FANTASTICHERIA: Novella pubblicata nella raccolta Vita dei campi, nel 1880. Questo testo si
presenta come una lettera indirizzata ad una dama dell'alta società, che dopo solo 48 ore passate ad
Aci Trezza, fugge annoiata, proclamando il suo disappunto sullo stile di vita del villaggio.
Infatti in due giorni ha visto tutto quello che c’è da vedere e la donna dice di non capire come si faccia
a passare tutta la vita in un luogo del genere. Il narratore cerca di spiegare alla donna le difficoltà
della vita di Aci Trezza. È un popolo di umili pescatori, la loro vita è fatta di stenti, miseria e molte
sventure, così lontana dagli ambienti che la donna è abituata a frequentare, che sembra vivere in un
eterno carnevale, fatto di feste, fiori, viaggi, lusso. Eppure, nonostante tutto, il desiderio più grande di
quei pescatori è proprio quello di morire laddove sono nati. Ricorda il vecchietto che stava al timone
della barca (Padron ‘Ntoni), che adesso è morto in città in un letto d’ospedale. L’avevano portato in
una corsia tutta bianca, fra lenzuola bianche, dove mangiava pane bianco, ma l’unico suo desiderio
era quello di morire nel suo cantuccio, vicino al focolare, sotto le sue tegole, e quando l’hanno portato
via piangeva perché non voleva allontanarsi da casa. È un atteggiamento che l’autore definisce
“l’ideale dell’ostrica”, la quale rimane saldamente attaccata al proprio scoglio per non soccombere ai
pericoli del mare. Proprio come le ostriche, i pescatori del paesino vivono protetti dall’ambiente dove
sono nati: finché rispettano i valori in cui credono, anche se poveri, sono al sicuro, difesi dai loro
compaesani e dalla famiglia. Chi invece prova il desiderio del cambiamento, di migliorare la propria
esistenza, di partire in cerca di fortuna, verrà ingoiato dalla fiume del progresso.

I VINTI E LA FIUMANA DEL PROGRESSO: Verga nella Prefazione Malavoglia teorizza la sua
visione del Progresso e lo fa ricorrendo a una metafora: la fiumana. Paragona il progresso a una
fiumana (la fiumana del progresso), cioè all’ampia corrente di un fiume in piena, che, se da un lato,
determina lo sviluppo, dall’altro lato, cioè dal punto di vista individuale, come il fiume in piena, travolge
molte vittime umane nel suo cammino, sconfitte per motivi diversi a seconda della classe sociale di
appartenenza. Molti individui, infatti, e prima degli altri i più deboli, saranno sopraffatti dalle proprie
debolezze, ambizioni, avidità; ma anche chi resiste, quindi il più forte, e avanzerà, finirà prima o poi
per essere a sua volta travolto. Il progresso infatti nuoce a tutti. Tutti costoro, dichiara l’autore,
indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, sono dei vinti, ossia degli sconfitti. Verga
stesso, in quanto artista, si ritiene uno di loro, e non un distaccato «scrittore analista». Nel periodo
che conclude la Prefazione («Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto
se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la
scena nettamente, coi colori adatti, tali da dare la rappresentazione della realtà com’è stata, o come
avrebbe dovuto essere») Verga sintetizza il principio di impersonalità dello scrittore: il narratore deve
descrivere ciò che osserva senza giudicarlo e senza esserne coinvolto emotivamente.

LA LUPA: Novella pubblicata nella raccolta Vita dei campi, nel 1880. La novella di Verga racconta di
una donna di nome Pina che viene soprannominata “Lupa”, perché ella non è mai sazia delle relazioni
che ha con gli uomini e le altre donne hanno paura di lei perché attira con la sua bellezza i loro mariti
e i loro figli anche se solo li guardava. Nella sua figura si fondono la sensualità, il paragone diabolico
e l'aggressività ossia tutto ciò che è estraneo alla mentalità popolare. Di ciò soffre sua figlia,
Maricchia, che è triste per il comportamento della madre e sa che nessuno l’avrebbe mai presa in
sposa, anche se è bella e con buona dote. Una volta la Lupa si innamora di un giovane, Nanni, un
ragazzo che è tornato da poco dal servizio militare e che lavora nei campi. Una sera la donna
confessa a Nanni quello che prova per lui, ma lui la respinge dicendo che non vuole lei ma sua figlia
Maricchia. Successivamente la donna obbliga sua figlia a sposare Nanni. La lupa offre loro la sua
casa lasciando per sé solo un angolino per dormire e approfitta della convivenza con Nanni per
sedurre il genero. Il rapporto che la Lupa lega con suo genero,Nanni, è interpretato come un
sortilegio, che può essere rotto solo in modo brutale. Maricchia scopre la relazione e denuncia sua
madre al brigadiere, che indica alla Lupa di lasciare la casa ma lei rifiuta perché la casa è la sua. Un
giorno Nanni riceve una pedata da un asino nel petto e rischia la vita e quando il giovane guarisce la
lupa continua a perseguitarlo fino a che Nanni non minaccia di ucciderla. Il ragazzo, infine, uccide la
Lupa, che muore senza opporre resistenza. La finalità della novella è mostrare che la lupa è
consapevole che non c’è possibilità di redenzione e che il giudizio su di lei rimarrà per sempre lo
stesso (come in Rosso Malpelo).

I MALAVOGLIA: Novella pubblicata nella raccolta del Ciclo dei vinti, nel 1881. Già nella novella
Fantasticheria, Verga aveva anticipato i luoghi e i temi di questo romanzo, ma anche alcuni
personaggi come Padron ‘Ntoni. La vicenda è ambientata ad Aci Trezza, borgo di pescatori vicino
Catania dal 1863 al 1878, cioè negli anni successivi alla nascita del Regno d'Italia. Si narra la storia
dei Toscano, famiglia di pescatori, soprannominati "i Malavoglia" (il soprannome indica il contrario
della loro reale qualità), i quali possiedono una casa ("la casa del nespolo") e una barca ("la
Provvidenza"). La loro vita tranquilla viene scossa da alcuni fatti:
- la partenza di 'Ntoni per il servizio militare
- una cattiva annata per la pesca
- la necessità di preparare la dote per Mena.
Per affrontare queste difficoltà, padron 'Ntoni compra a credito un carico di lupini, nella speranza di
poterli rivendere in un paese vicino, ma una tempesta fa naufragare la barca che li stava trasportando
e Bastianazzo (che guidava la barca) muore. Quindi alla famiglia rimane il debito da pagare; di
conseguenza la loro casa viene pignorata. In più il secondogenito Luca muore, la madre muore di
colera, il figlio ’Ntoni si dà al contrabbando, la sorella Lia scappa in città e si prostituisce arrecando un
grande disonore alla famiglia così da annullare il matrimonio tra Mena e Alfio. Padron ‘Ntoni finisce la
sua vita in ospedale mentre Alessi riesce a riscattare la casa continuando il mestiere di suo nonno.
Nel romanzo si nota la visione pessimistica di Verga, condizionato dal determinismo e
dall'evoluzionismo, crede che la vita sia una perenne lotta per la sopravvivenza.
Sopravvivenza che spetta solo ai più forti a discapito dei più deboli. Questo lo porta a vedere la
rassegnazione come unica scelta. Inoltre I Malavoglia possono essere definiti come: Il romanzo della
fedeltà alle proprie radici, perché Verga dimostra che chi cerca di cambiare abitudini e ambiente è
destinato a perdersi e ad avere una vita infelice, mentre chi rimane fedele alle tradizioni e alla
famiglia, riesce a risollevare quest'ultima anche dalla peggiore delle catastrofi.
MASTRO DON GESUALDO: Novella pubblicata nella raccolta del Ciclo dei vinti, nel 1889.
Ambientata in Sicilia, a Vizzini. Il protagonista è un muratore, che grazie alla sua intraprendenza
diventa un ricco borghese, proprietario di terre, ma dal punto di vista esistenziale si dimostra un fallito.
Per questo motivo fa aggiungere al titolo di mastro (=muratore) quello nobiliare di "Don". L'unico
scopo della sua vita è di accumulare ricchezze e di acquistare nuovi terreni (= la roba) per poter alla
fine occupare un posto di rilievo nella società: le sue scelte sono sempre fatte in funzione di un criterio
economico. Tuttavia non riesce ad integrarsi pienamente nell'ambiente aristocratico a cui tanto aspira.
Il romanzo descrive le quattro fasi della vita di mastro don Gesualdo: ascesa, trionfo, declino e
sconfitta. La sconfitta: Alla fine Gesualdo si ammala di tumore e viene portato a Palermo nel palazzo
del duca di Leyra con cui è sposata la figlia Isabella, lì muore in totale solitudine, disprezzato perfino
dalla servitù. La chiusura della novella verghiana non ammette né salvezza né riscatto: mastro don
Gesualdo finisce nel nulla come la sua “roba”.

LA ROBA: Novella pubblicata nella raccolta delle Novelle rusticane, nel 1883. Il racconto si apre con
la scena di un viandante che attraversa la pianura di Catania, e contempla stupito la vastità delle
proprietà di Mazzarò. Mazzarò è un uomo che ha sacrificato tutto nella sua vita, con fatica,
perseveranza e ostinazione per accumulare più beni materiali possibili, ma è incapace di godere dei
benefici che possono scaturire da tanta ricchezza. Non ha famiglia, vive in condizioni di povertà per
non sprecare le sue ricchezze, lavora come un mulo nei campi. Non ha vizi, non ha amici. Ha
allontanato tutti nella sua vita, per paura che potessero sottrargli la sua roba. Mazzarò è un
analfabeta, nato povero, ma che nella sua vita riesce a fare una vera e propria ascesa sociale. Da
bracciante sfruttato, grazie alla sua intelligenza e ai suoi sacrifici, riesce a sottrarre al suo primo
padrone tutti i possedimenti. Lentamente così Mazzarò si impossessa delle tenute del suo padrone,
ma una volta raggiunto un certo tipo di potere e di posizione sociale, non cerca di migliorare le
condizioni lavorative di chi, come lui, era un bracciante, anzi. Mazzarò sfrutta l'ingenuità dei suoi
"ex-colleghi" solo per migliorare la propria condizione di vita e avere più vantaggi possibili. Non teme
niente e nessuno e le lamentele e le rimostranze fatte dai braccianti sono per lui solo un'inutile
scocciatura. L'unica cosa che turba Mazzarò è la morte perché, nell'aldilà, non potrà portare con sé la
sua roba, la sua ricchezza terrena. Negli ultimi giorni di vita diverse persone si avvicinano a Mazzarò
cercando di fargli capire che è giunto il momento di pensare alla sua anima e non alla sua ricchezza,
ma è tutto vano, al punto tale che l'uomo poco prima di morire esce nelle sue campagne e inizia a
uccidere gli animali a colpi di bastone urlando: "Roba mia, vientene con me!". Mazzarò però è un
vinto, un uomo senza speranza perché non si rende conto delle cose veramente importanti della vita
le quali, ovviamente, non sono le ricchezze materiali che lui brama per tutta la sua esistenza.

DECADENTISMO
Charles Baudelaire

PERDITA D’AUREOLA: Poesia pubblicata nello Spleen di Parigi. Il poemetto in forma ironica
descrive il ruolo ormai mutato dell’artista nel mondo moderno. All’interno del testo sono presenti due
interlocutori: il poeta e un suo amico, il quale apre un dialogo meravigliandosi di incontrarlo in un
posto malfamato. Infatti il poeta nella tradizione è l’uomo di nobile aspirazione, capace di parlare con
gli dei e quindi avvolto da una veste sacrale. Nel testo, infatti, è chiamato “bevitore di quintessenze”;
“divoratore di ambrosia”. Si può notare l’ironia nell’accostamento di parole sublimi come
“quintessenze” e “ambrosia” a verbi carnali come “degustare” e “divorare”. L’ironia ritorna anche nella
risposta del poeta, il quale racconta di aver perso, nell’atto di attraversare la strada, la sua aureola
ovvero quella dignità sacrale che gli garantiva un prestigio sociale. Il mondo borghese ha infatti
sottratto al poeta il ruolo di guida morale degradandolo al rango di uomo qualunque. Il poeta che
avvertito questo mutamento epocale deride i suoi colleghi romantici che non rinunciano all’aureola e li
definisce poetastri. Il poeta finge ironicamente di accettare questa condizione ma in realtà si getta nel
vizio proprio per accentuare la sua diversità dalla gente normale. Così al posto del privilegio di un
tempo si colloca in un privilegio negativo rovesciato quello del vizio del male per questo è definito
poeta del maledettismo.

CORRISPONDENZE: Poesia pubblicata nella raccolta i fiori del male. È una poesia-manifesto del
simbolismo e ha la struttura di un sonetto. Secondo il pensiero del poeta la realtà che vediamo ne
nasconde una più profonda in cui ogni elemento è legato reciprocamente. Nella prima quartina
vengono utilizzate due metafore: quella del tempo, luogo sacro e quella della foresta, luogo in cui ci si
può smarrire. Il poeta quindi presenta la natura come un tempio vivente che presenta aspetti
misteriosi che soltanto il poeta inteso come veggente può cogliere. Inoltre i colori, i suoni, i profumi
sono legati tra di loro in una sorta di dialogo e nella seconda quartina queste manifestazioni sono
paragonati ad echi prolungati che partono da lontano e convergono verso lo stesso centro. Il poeta
infatti può percepire, grazie la propria intuizione, i legami tra gli elementi della natura ma non può
conoscerli nel profondo. Nelle due terzine il poeta si concentra sulle sensazioni olfattive: da una parte
profumi che trasmettono purezza e innocenza, dall’altra profumi intensi e invasivi.centrale in questo
procedimento il ricorso alla figura retorica della sinestesia, la quale associa due sfere sensoriali
differenti.

L’ALBATRO: poesia pubblicata nella raccolta i fiori del male. In questa poesia l’autore fa un paragone
tra la condizione di vita dell’albatro, un uccello marino, e quella del poeta. I temi sono due: l’albatro è
come il poeta, libero e capace di sollevarsi da terra e volare; i marinai che stuzzicano l’albatro sono
come la gente comune che deride il poeta. La poesia è formata da quartine con versi alternati ed è
composta in due parti: la prima parte ha un carattere narrativo-descrittivo, presenta l’albatro catturato
dai marinai, il quale è incapace di ribellarsi. Nella seconda parte è presente il messaggio che il poeta
vuole comunicare al lettore ovvero quello che c’è tra poeta e albatro: il poeta come l’ uccello è capace
di volare con la fantasia, ma è indifeso quando sta nel suo ambiente. Infatti nella società borghese il
poeta viene deriso per la sua grandezza, perciò la condizione del poeta è come quella di un esule
sulla terra nonostante le sue grandi ali. Il poeta non si adeguato le leggi del mercato quindi non è più
apprezzato dei suoi lettori.

SPLEEN: poesia pubblicata nella raccolta i fiori del male. Nella poesia sono posti in parallelo lo
spazio esterno è interiore del poeta, entrambi rappresentati come prigioni dalle quali ogni tentativo di
fuga è vano. Nella prima quartina il cielo è paragonato ad un “coperchio” che schiaccia l’animo del
poeta, il quale è già oppresso da dolore che porta sulla terra oscurità. Nella seconda quartina la terra
diventa una prigione nella quale non c’è spazio per la speranza che è paragonata ad un pipistrello
che sbatte da ogni parte poiché non trova il modo per uscire. Nella terza quartina ritorna l’immagine
della prigione: le sbarre sono quelle formate idealmente dalle strisce d’acqua della pioggia che cade.
Forte e anche l’immagine dei ragni che tessono le loro tela nel cervello degli uomini per rappresentare
una mente oppresso dall’angoscia. Nella quarta strofa le campane non emettono un suono che
trasmette l’idea dell’Anto scorrere del tempo, ma un urlo orrendo; immagine dello smarrimento.
La quinta quartina presenta l’immagine dell’animo come il luogo nel quale ogni speranza è vinta
dall’angoscia (tedio), che caratterizza l’esistenza del poeta.

Paul Verlaine
ARTE POETICA: poesia pubblicata nella raccolta un tempo e poco fa. È il manifesto poetico in cui il
poeta descrive mostra cosa voglia dire per lui fare poesia.il concetto chiave espresso subito nel primo
verso: la musicalità e l’elemento più importante della poesia per quest’autore, infatti il suono E il ritmo
differenziano la poesia dalla prosa. Secondo il poeta è da prediligere il verso dispari a quello pari,
inoltre la scelta delle parole deve puntare all’imprecisione e alla vaghezza in modo che il linguaggio
sia più leggero e suggestivo, la poesia deve anche evitare l’arguzia e la retorica che sono esperienze
di basso livello, anche le rime sono da evitare perché non aggiungono nulla alla poesia. Il poeta vuole
sottolineare il distacco tra poesia e letteratura, infatti la poesia è altro ed è superiore al resto.
LANGUORE: sonetto pubblicato nella raccolta un tempo poco fa. Il poeta paragona se stesso
all’impero romano nel periodo di decadenza, incapace di reagire di fronte alle invasioni dei barbari,
che sono simbolo della borghesia del tempo che domina la società con la sua mentalità. Anche i
piaceri del bere del mangiare non danno più alcuno stimolo e rimane solo un voto che spinge ad
abbandonarsi alla noia. Infatti non c’è la forza e la volontà di partecipare all’esistenza e in questo
atteggiamento c’è un certo fascino che i poeti maledetti provano verso la morte.

Arthur Rimbaud
VOCALI: sonetto pubblicato nella raccolta poesie. Il poeta introduce la novità del suo linguaggio:
rappresenta le sensazioni che ciascuna vocale, a seconda del suono del modo in cui si scrive, può
suscitare. Il poeta associa a ciascuna di queste vocali delle immagini o sensazioni.questa poesia è
quindi una grande sinestesia che mescola sfere sensoriali diverse. Tra tutte le vocali “o” viene messa
per ultima perché identificata con l’omega, ovvero l’ultima lettera dell’alfabeto greco.

GABRIELE D’ANNUNZIO

UN RITRATTO ALLO SPECCHIO: dal romanzo il piacere. I primi paragrafi sono dedicati al discorso
interiore del protagonista Andrea, ma dal rigo 18 interviene il narratore che pronuncia giudizi sul
personaggio. Il narratore non lascia del tutto la parola ad Andrea ma introduce la sua prospettiva per
prendere le distanze da lui. Andrea ama Elena ma improvvisamente tronca la relazione e scompare,
al suo ritorno Andrea scopre che per evitare una crisi economica Elena ha sposato un ricco inglese.
Andrea è disgustato nello scoprire che la loro passione era stata impedita dal denaro. In questo brano
Andrea analizza Elena e si accorge della falsità di alcuni suoi atteggiamenti, ma è un ritratto allo
specchio proprio perché trova nella falsità della donna la sua falsità. Infatti egli la comprendeva
perché lui era così; questo momento di massima consapevolezza dell’eroe nel quale l’immagine
dell’esteta entra in crisi e alla durezza della critica si mescola un ambiguo vagheggiamento dell’eroe.
D’Annunzio non si può porre alla società borghese e quindi si riduce allo stare da solo come Andrea
Sperelli.

IL PROGRAMMA POLITICO DEL SUPERUOMO: da Le vergini rocce. D’Annunzio non propone più
un personaggio debole e tormentato, ma un eroe forte e sicuro, che va senza esitazioni verso la
meta. Questo romanzo è stato definito il manifesto politico del superuomo, in quanto contiene le
nuove teorie di D’Annunzio, il linguaggio è quindi aulico, con molte metafore e paragoni e
interrogazioni retoriche. Dopo aver sperimentato la figura dell’esteta, ed essersi reso conto di quanto
sia sterile ed impotente, D’Annunzio non si rassegna alla sconfitta e si sforza di creare una nuova
immagine. L’artista non deve più isolarsi dal mondo, ma gettarsi nella mischia, per cambiare la realtà,
modellandola sul suo ideale di bellezza e forza. Prima dell’affermazione del programma vi è un parte
negativa, una polemica contro la società borghese, caratterizzata da avarizie, spirito speculativo e
ossessione per il denaro. Inoltre critica la democrazia e l’egualitarismo, che costringono anche i più
forti a sottostare alle leggi della plebe. Il protagonista Cantelmo, propone una società gerarchica e
autoritaria, che sappia calmare l’arroganza della massa. Questa politica deve riportare Roma potenza
imperiale che domini il mondo. In questo gli intellettuali devono contribuire attivamente, non devono
rimpiangere il passato, ma usare la parola per distruggere la società borghese.

LA SERA FIESOLANA: poesia pubblicata nella raccolta Alcyone. All’interno della poesia sono
presenti il poeta e la donna amata, entrambi sono avvolti dai rumori ed elementi della natura. La
prima strofa è seguita da una lauda alla Sera personificata e ai suoi «grandi umidi occhi», attraverso
la metafora il poeta si riferisce all’umidità serale o alle pozze d’acqua piovana che la luce lunare
illumina. Successivamente descrive i due amanti che sono attraversati, come gli alberi circostanti, da
una leggera brezza e circondati dalle colline «sorridenti». Nella terza strofa torna l’immagine delle
colline e il poeta promette di rivelare all’amata il segreto (l’amore) per cui esse s’incurvino e sembrino
«labbra che un divieto chiuda» (vv. 41-42).
La sera fiesolana si chiude con la “lauda” alla “morte” della Sera, che lascia spazio alla notte e alle
stelle. Si ha un potente intreccio tra presenza umana e natura; gli elementi della natura vengono qui
umanizzati: non solo la Sera che nelle tre “laudi” viene personificata, ma la campagna che sembra
sentire il gelo notturno e sperare nella pace serale, la primavera che rivolge il suo commiato, i
germogli degli alberi che sono paragonati a «rosei diti» (v. 23) che giocano con la brezza, il fieno che
ha patito il passaggio della falce,

LA PIOGGIA NEL PINETO: poesia pubblicata nella raccolta alcyone. Il poeta invita la donna che con
lui a tacere per ascoltare i suoni che il bosco produce durante il temporale, infatti non contano più le
parole pronunciate dalla donna, ma si ascoltano le parole nuove ovvero quelle delle gocce delle foglie
che creano un linguaggio misterioso. La poesia offre una struttura musicale per riuscire ad entrare in
empatia con la natura, il poeta quindi trasforma le sue parole in musica utilizzando un lessico più
ricercato musicale. All’interno della poesia viene proposto il tema dell’Ismo con cui l’uomo si identifica
con la natura (55-65). Le due persone della poesia sono un elemento al pari con la natura, il volto
della donna infatti bagnato dalla pioggia come una foglia, i capelli profumano di ginestra, Ermione è
una creatura nata dalla terra come la vegetazione. Il poeta è in grado di distinguere il suono diverso
delle gocce a seconda delle foglie su cui cadono come un’orchestra di piante e animali.

MERIGGIO: poesia pubblicata nella raccolta alcione. Il poeta si trova sulla foce dell’Arno e osserva il
paesaggio che lo circonda, il quale avvolto nella calura estiva del meriggio. In questo momento di
pienezza dell’estate il poeta può diventare una cosa sola con la natura grazie all’estasi Panica ossia
l’esperienza di fusione completa nel tutto. Le prime due strofe sono descrittive, si soffermano
sull’aspetto geografico dell’Arno. Le ultime due strofe prevedono una metamorfosi del poeta con la
natura che è composta da fasi: la prima comprende un’iniziale ricerca di solitudine infatti nella
descrizione dei dintorni si nota l’assenza umana; successivamente si passa ad una cancellazione
della propria identità; infine avviene la propria e mi disse immedesimazione con la natura. Il poeta non
si sente più se stesso, ma parte di un tutto (105-106).

GIOVANNI PASCOLI

UNA POETICA DECADENTE: testo pubblicato nell’opera il fanciullino. Il poeta dichiara che un
fanciullino è entro di noi e prova gioie e dolori. Quando si è piccoli si confonde la sua voce con la
nostra, si stupisce di ogni cosa ed è curioso e spontaneo, ma anche quando noi cresciamo lui resta
piccolo. In alcuni uomini sembra che non ci sia ma i segni della sua presenza sono semplici: il
fanciullino sta nelle paure legate a traumi infantili oppure nei sogni, nel parlare con gli animali, alberi e
stelle. Il fanciullino consente di cogliere la realtà nella sua essenza profonda senza seguire il
ragionamento logico e solo il poeta può cogliere la voce del fanciullino. In queste pagine risalta un
altro tema caro a Pascoli ovvero quello della poesia pura, la quale non deve avere fini pratici,
secondo la concezione dell'estetismo, ma deve assumere un’utilità morale sociale, indicando una
società senza conflitti. Come il poeta infatti vuole abolire la lotta tra classi sociali così vuole abolire
anche la lotta tra le classi di oggetti parole, quindi l’accosta termini preziosi con quelli più umili e
semplici. Pascoli elimina le gerarchie di parole e si allontana dalla poesia sontuosa di D’Annunzio.

X AGOSTO: poesia pubblicata nella raccolta Myricae. Il poeta parla della morte del padre,
assassinato brutalmente il dieci di agosto, e lo paragona ad una rondine che viene uccisa mentre
porta il cibo ai figli. L'immagine della rondine morta raffigura la croce di Cristo e questo ci fa capire
l'assoluta innocenza del padre. Il X Agosto narra la morte del padre del poeta, morto il giorno di San
Lorenzo in circostanze misteriose. Le stelle che cadono durante la notte di San Lorenzo non sono
altro che per il poeta le lacrime del cielo sulla malvagità degli uomini. Per Pascoli il X agosto è una
data emblematica dato che è l’anniversario della morte del padre. Egli dice di sapere perché un così
gran numero di stelle sembra incendiarsi e cadere nel cielo: è perché tante stelle che cadono così fitte
sembrano le lacrime di un pianto dirotto che splendono nella volta celeste. Poi immagina una rondine
che, mentre tornava al suo nido, fu uccisa e cadde tra i rovi: ella aveva un insetto nella bocca cioè i
cibo dei suoi piccoli. Qui Pascoli, con una metafora, intende dirci che la rondine era l’unica fonte di
sostentamento per i suoi piccoli così come suo padre lo era per lui.

L'ASSIUOLO: poesia pubblicata nella raccolta Myricae. La poesia si apre con una domanda che fa
intuire la presenza dell’oscurità. Nonostante ciò vengono descritte immagini quiete e serene: la luna
sta per sorgere e la natura aspetta la sua comparsa che ha una funzione rasserenante. Il temporale
rappresenta la minaccia di dolore che turba la pace lunare e il verso dell’assiuolo diviene un verso
lugubre che presagisce dolore imminente (è sia un’onomatopea che un simbolo). Nella seconda
strofa sono presenti immagini inquietanti: le stelle lucenti e il mare dal suono consolante vengono
sostituiti dal singulto dell’assiuolo. Nella terza strofa le immagini descritte suscitano angoscia: il vento
trema, segno che la natura è scossa da qualcosa di misterioso, è un suono vago che rappresenta la
mancanza di certezze e sicurezza; si nominano i sistri d’argento, degli strumenti musicali usati nel
culto di Iside, dea della morte, e viene introdotto il tema del luogo familiare. Questa volta il chiù è
l’ultimo respiro che l’assiuolo emette. Il componimento è percorso da numerose analogie (l’alba di
perla, la nebbia di latte e sospiro di vento) e dal climax ascendente del chiù dell’assiuolo.

TEMPORALE: poesia pubblicata nella raccolta Myricae. la poesia si apre con un boato suggestivo
che allude ad una minaccia che incombe. L’immagine presentata è ricca di colori che fungono da
notazioni visive che impongono un’evocazione cupa d’angoscia; l’unica traccia di bianco, ovvero il
casolare, è simbolo di protezione da parte del nido familiare, cioè la salvezza dai pericoli del mondo
che distruggono la famiglia. L’ala di gabbiano diviene quindi analogia della liberazione dagli affanni
della vita e di un riscatto dal dolore.

NOVEMBRE: poesia pubblicata nella raccolta Myricae. La poesia si intitola come il mese autunnale in
cui la natura muore, si addormenta, e si apre con l’immagine di un paesaggio illusorio, primaverile che
non si adatta ai giorni di San Martino; la natura si mostra dunque ingannevole, poiché sembra piena
di vita come l’estate ma in realtà è morente. Ciò viene esplicitato nella seconda strofa in cui il
paesaggio evoca la morte, disilludendo l’uomo da quella vita apparente: le piante sono secche, il cielo
vuoto, il terreno sterile. Tutto intorno c’è silenzio: è il suono di una realtà mortuaria.

LAMPO: poesia pubblicata nella raccolta Myricae. La poesia traccia con rapide notazioni lo scenario
inquietante di un paesaggio colto nell'improvvisa e livida luce di un lampo. Una visione istantanea,
che rivela l'aspetto cupo del cielo e della terra turbati da un temporale notturno e lascia intravedere
una casa bianca, che nella sua repentina apparizione e sparizione è paragonata al movimento
altrettanto breve di un occhio che si spalanca sbigottito e subito si richiude nell'oscurità. I dati del
reale perdono completamente la loro fisionomia naturale e diventano personificazioni di una realtà
sconvolta da un dolore tragico. Da una prefazione inedita alla terza edizione di Myricae apprendiamo
che fu concepito come metafora degli ultimi momenti del padre morente. A questa tematica si lega
l’immagine finale dell’occhio aperto e subito richiuso, che richiama l’ultimo sguardo di un moribondo.

IL GELSOMINO NOTTURNO: poesia pubblicata nella raccolta dei Canti di Castelvecchio. Il tema
principale del componimento è l'unione dei due sposi ed il germogliare di una nuova vita. Attraverso
questo componimento Pascoli descrive la prima notte di nozze, un rito di fecondazione che il poeta
sente come una violazione inferta alla carne. Nella prima strofa Pascoli fa riferimento ai fiori notturni, i
gelsomini, che hanno la precisa peculiarità di aprirsi al calare della notte (quando lui pensa ai suoi
cari) per poi richiudersi con l’arrivo del sole, e alle farfalle crepuscolari. La seconda strofa esprime la
tranquillità del momento in cui la giornata volge al termine e la sera sta arrivando, spezzata però
dall’arrivo di qualcosa di misterioso che si sente nell’aria, come l’odore di fragole rosse. Questa è la
sinestesia che Pascoli utilizza per alludere all’atto sessuale. Nella terza strofa Pascoli si sente come
l’ape tardiva che, quando arriva, trova tutto l’alveare occupato. Nell'ape, si può cogliere un riferimento
autobiografico di esclusione dall'aspetto più sensuale, fecondo dell'esistenza. Inoltre, la costellazione
delle Pleiadi, la Chioccetta, attraversa il cielo con il suo scintillio di stelle. Nella quinta strofa lo
sguardo del poeta descrive le luci della casa che si accendono e si spengono nelle varie stanze, fino
ad arrivare in camera da letto, che dopo si spegne come segnale che è avvenuto il concepimento del
figlio. La notte è passata. Gli ultimi versi, legati a qualcosa da covare in un “urna molle e segreta”
fanno riferimento anche a una futura gravidanza, immagine accostata a quella del fiore notturno
sgualcito.

NEBBIA: poesia pubblicata nella raccolta dei Canti di Castelvecchio. Il tema trattato dal poeta e la
voglia di chiudersi nel suo nido, di allontanarsi da tutto ciò che potrebbe farlo soffrire è per questo
motivo invoca la nebbia, un elemento della natura che può aiutarlo nascondendo tutte le cose morte,
lontane e dolorose. Nella prima strofa descrive la nebbia che appare come un fumo che si manifesta
alle prime luci dell’alba lasciandosi dietro i lampi. Nella seconda strofa, iniziata con l’invocazione alla
nebbia affinché nasconda tutto ciò che è morto, il poeta chiede di poter continuare a vedere la siepe
dell’orto (il simbolo della siepe non solo indica il confine del suo orto, ma anche il distacco dal mondo
esterno). Nella terza strofa la nebbia deve nascondere le cose imbevute di pianto, tristezza e dolore.
L’autore si accontenta di vedere gli alberi, due peschi e due meli che danno un po’ di pace al posto
del grigiore cupo della sua vita. Nella quarta strofa la nebbia ha il compito di nascondere tutto ciò che
potrebbe allontanare il poeta dal suo nido con il pretesto dell’amore. Vuole vedere quella la strada
bianca che conduce al cimitero in cui dovrà andare un giorno per raggiungere i suoi cari mentre le
campane suonano stanche, perché hanno suonato molte volte. Nella quinta strofa il poeta conclude
esortando la nebbia non solo a nascondere le cose morte, ma anche a dileguarle dal suo cuore. Lui
rimarrà solo a guardare il cipresso dove sonnecchia il suo cane.

FUTURISMO
Tommaso Marinetti

MANIFESTO DEL FUTURISMO: Il manifesto apparve sul quotidiano francese “figaro” nel 1909
proponendo l’esaltazione del movimento e della modernità e criticando la mentalità del passato. Sul
piano delle idee si proclamò la rottura completa col passato, la distruzione delle biblioteche e dei
musei, contrapponendo la moderna civiltà della macchina, la bellezza della velocità.
Quest'esaltazione comportò un'etica nuova, che rifiutava l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno e
metteva in risalto l'aggressività, lo schiaffo ed il pugno ed infine la guerra, con il suo patriottismo e
disprezzo della donna.

MANIFESTO TECNICO DELLA LETTERATURA FUTURISTA: Il manifesto contiene un programma


tecnico sulle linee guida per quanto riguardava: la sintassi, l’uso delle parole (distruzione della
sintassi, verbi all’infinito, abolizione della punteggiatura).

BOMBARDAMENTO: Il passo descrive il bombardamento ad opera dei Bulgari della città turca di
Adrianopoli. Il testo ha un forte carattere visivo, vengono utilizzati simboli matematici e si compone
delle parole in libertà, una tecnica di scrittura futurista in cui non ci sono periodi dotati di senso
compiuto. Inoltre si può notare l'abolizione della punteggiatura, dei nessi sintattici tradizionali e infine
l'uso di termini onomatopeici per riprodurre i suoni della guerra.

Aldo Palazzeschi
E LASCIATEMI DIVERTIRE: Il poeta realizza una poesia ricca di suoni privi di significato. La gente lo
critica, ma il poeta rivendica il proprio diritto a divertirsi, a giocare con i suoni e con le parole. E'
questo il contenuto della lirica con la quale Palazzeschi intende esprimere non solo il proprio rifiuto
della tradizione letteraria, ma anche la consapevolezza della marginalità sociale assunta dal poeta
nella moderna società industriale.
Guido Gozzano
LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ: Poesia più celebre di Gozzano e forse dell'intero
Crepuscolarismo, dal momento che sono qui presenti tutti i temi principali di questo movimento
letterario, dall’antidannunzianesimo alla malattia, dal rifiuto del ruolo di "poeta" ufficiale al fascino per
il mediocre quotidiano, passando naturalmente per la costante tendenza gozzaniana all’ironia e alla
parodia di se stesso. Nel giorno di Santa Felicita, 10 agosto, Gozzano ripensa con nostalgia al
semplice e delicato idillio amoroso da lui intrecciato in un paesino del Canavese con una cara e
buona ragazza, non bella e non colta, ma ricca di sensibilità e di gentilezza, la signorina Felicita.
Momenti fatti di niente, eppure carichi di tenerezza e di incanto. Tuttavia l’idillio sentimentale nato tra il
poeta e la signorina Felicita viene bruscamente interrotto, in parte per opportunità sociale, in parte
perché al poeta è in realtà negato l’abbandono ai facili sentimenti romantici.

ITALO SVEVO

SENILITÀ: Romanzo psicologico di Italo Svevo. Protagonista del romanzo è Emilio Brentani, un
impiegato di 35 anni che conduce un'esistenza grigia, piatta, senile, per l'appunto. L'incontro con
Angelina però sembra essere l'occasione giusta per dare nuova linfa alla propria vita ed Emilio si
lancia subito in una frequentazione con la giovane, ispirato anche dal modo di essere dell'amico
antagonista Stefano Balli, al contrario di lui molto spigliato e fortunato con le donne. Il protagonista
però realizza molto presto di aver idealizzato Angelina che comincia ad apparirgli un po' rozza,
grossolana, quasi volgare. Eppure il distacco dalla donna diventa per lui più difficile del previsto in
quanto la giovane riesce a trasmettergli quella giovinezza che in lui è già sparita da tempo. La
situazione si complica però ulteriormente quando sia Angelina sia la sorella di Emilio, Amalia, si
innamorano di Stefano Balli lasciando infine che il protagonista finisca nuovamente in solitudine la
propria irriducibile senilità.
IL RITRATTO DELL’INETTO: Il brano appartiene al romanzo Senilità. Questo testo sono le prime
pagine del romanzo in cui si può cogliere come il protagonista mente in due casi: nasconde ad
Angiolina il fatto che per lui la ragazza non potrà essere più di un ”giocattolo”, e mente anche a se
stesso, dicendo di non voler instaurare un legame serio a causa della famiglia e della carriera. Ma egli
non ha famiglia, non ha moglie né figli, bensì una sorella, e egli non ha una vera e propria carriera ma
solo un ”impieguccio”. Quindi Emilio ha paura di affrontare la vita, rinuncia a vivere e si chiude nel
nido familiare, è questo il concetto di Senilità. Ma d'altro canto egli sente il bisogno di vivere e di
provare piaceri, uscire dal nido, conoscendo Angiolina. Angiolina è l'emblema della vita della
giovinezza e della salute, lui è l’emblema della senilità quindi vi è questa contrapposizione
malattia-salute.

LA COSCIENZA DI ZENO:Romanzo psicologico di Italo Svevo. Il protagonista è Zeno Cosini il quale


si è sottoposto a una cura psicologica e il suo medico, il dottor S., lo ha invitato a scrivere una sorta di
autobiografia, dove raccontare se stesso e la sua storia. Il dottore, infatti, attribuisce alla scrittura un
importante valore terapeutico: è convinto che Zeno riuscirà a vedersi "intero", raggiungendo equilibrio
e armonia interiori. Su suggerimento dello stesso psicologo, Zeno inizia a narrare le sue vicende
prendendo in analisi un vizio di cui non riesce a liberarsi, ancora oggi che è ormai vecchio: il fumo.
IL FUMO: Il brano appartiene al romanzo La coscienza di Zeno. In questo passo Zeno ricorda in
particolare due episodi. Nel primo, quando era ragazzino, fece a gara con altri due ragazzi a chi
riusciva a fumare più sigarette l'una dopo l'altra; Zeno vinse e fu ben attento a nascondere il forte
malessere provato. Nel secondo, Zeno, ventenne, nonostante una lunga malattia e il divieto del
medico di fumare, non faceva altro che accendere sigarette cercando di non farsi scoprire dal padre.
Da quell'esperienza ha sempre cercato di smettere di fumare, puntualmente con il "rito" dell'ultima
sigaretta.
LA MORTE DEL PADRE: È il quarto capitolo del romanzo La coscienza di Zeno. Il passo proposto
rappresenta uno dei grandi traumi della vita di Zeno, ossia la morte del padre. Già la morte della
madre lo aveva segnato, ma la morte del padre fu una “vera grande catastrofe” come la definisce
Zeno nel passo stesso. Sin dall'inizio emerge in modo chiaro ed evidente come la sua disperazione
sia determinata dal costante senso di colpa per non aver accudito il padre e dalla consapevolezza
che da questo senso di colpa derivi la sua malattia (rigo 28-29). Svevo inserisce nel corso del passo
la descrizione del padre che viene rappresentato come un uomo che non si adatta, ma che resta
sempre fermo nelle sue convinzioni, ad esempio viene presentata la sua diffidenza verso la teoria per
la quale la Terra era in movimento. Zeno nel corso degli anni non aveva mai cercato di avvicinarsi al
padre, come dice Zeno stesso "non aveva mai vissuto per lui, anzi lo aveva evitato". Quello con il
padre era un rapporto basato sull'indifferenza e sul distacco, sia dal punto di vista affettivo che dal
punto di vista culturale. Zeno rappresenta la forza della società moderna, volta al cambiamento,
mentre il padre si rispecchia nella "debolezza" del passato, legato alla morale e alla religione. Il suo
essere tradizionalista, la sua insofferenza e la sua ostinazione lo portano a non tollerare alcuni
atteggiamenti di Zeno, quali la sua distrazione e la sua tendenza a ridere delle cose più serie, come
quando aveva fatto fare un certificato medico falso per attestare il suo non essere pazzo. Nel corso
del passo viene narrata la morte del padre, il quale una sera durante la cena aveva iniziato a sentirsi
male rendendo necessaria la visita di un dottore. Emerge il senso di colpa di Zeno, quando si rende
conto che alle domande sullo stato di salute del padre dei giorni precedenti non sapeva dare risposta.
Il medico comunica che la fine era vicina, ma che comunque avrebbero provato a farlo riprendere
tramite l'uso delle sanguisughe, che andavano a far diminuire la pressione sanguigna, tuttavia anche
se si fosse ripreso le probabilità di una lunga sopravvivenza erano quasi nulle. Altro senso di colpa
che accompagna Zeno è dovuto alle risposte che egli dà al medico che danno l'impressione di volere
morto il padre, in quanto considerava inutile provare a risvegliarlo se lo avrebbero condannato a delle
sofferenze. In effetti dietro al dolore di Zeno compare spesso il desiderio della morte del padre, ma si
tratta di impulsi che il protagonista non ammette a se stesso, anzi anche a distanza di anni tende a
costruirsi alibi e inganni, che rendono il racconto inattendibile. Ma la causa massima che ha suscitato
il senso di colpa in Zeno e che lo ha portato alla malattia è lo schiaffo che il padre gli dà l'istante prima
di morire. Questi, infatti, dopo giorni di agonia, riprese conoscenza solo per pochi attimi durante i quali
scaglia uno schiaffo sul volto del figlio. Il senso di colpa di Zeno è grande, ma per sfuggirvi egli arriva
alla conclusione che si fosse trattato di un gesto inconsulto dovuto ad un momento di perdita di
lucidità. Effettivamente durante l'intera opera ci si ritrova dinanzi ad un narratore, Zeno, che cerca
costantemente di giustificarsi. Zeno, infatti, si autoinganna al fine di autoassolversi e di liberarsi dal
senso di colpa, e ciò rende evidente la sua inattendibilità. Si tratta di meccanismi psicologici inconsci
di cui egli stesso non si rende conto. *Si può notare l'influenza di Freud nell'ambivalente rapporto di
amore e odio stabilito dai bambini nei confronti del padre: il bambino vuole essere come il padre che
ammira ma allo stesso tempo prova rancore e ostilità nei suoi confronti e questa ostilità provoca
senso di colpa. Questo è definito complesso edipico. L'individuo nevrotico, e quindi Zeno, non avendo
superato tale complesso non riesce a liberarsi del senso di colpa che continua ad angosciarlo e
opprimerlo.*
LA PROFEZIA DI UN’APOCALISSE COSMICA: Ultima pagina del romanzo La coscienza di Zeno.
Nel testo viene spiegato che è la vita di ciascuno di noi ad essere la malattia, la vita attuale è
inquinata alle radici perché l'uomo s'è messo al posto della natura, impedendogli lo spazio. La vita è
una malattia mortale, che non sopporta cure e qualunque sforzo di darci la salute è vano. Secondo la
teoria di Darwin nell'animale il corpo si adatta alle situazioni ambientali nelle quali è costretto a
sopravvivere. Gli uomini invece non seguono la legge del più forte, ma compensa la mancanza con
ordigni che fuoriescono dal suo corpo, in questo modo l'uomo diventa sempre più debole, la
sopravvivenza non è più solo riservata al più forte ma domina colui che ha più ordigni, portando così
ad un indebolimento generale, moltiplicando malattie e ammalati. L'unica soluzione per purificare il
mondo dalle malattie, Zeno la trova in un'apocalisse distruttiva tramite un esplosivo incomparabile,
che per follia di qualche uomo più ammalato di altri provocherà una catastrofe, solo così la terra,
tornata allo stato originario di nebulosa, vagherà nello spazio finalmente libera da malattie.
LUIGI PIRANDELLO

UN’ARTE CHE SCOMPONE IL REALE: Opera pubblicata nel saggio L'Umorismo, nel 1908.
Pirandello espone la sua poetica e divide l’umorismo dalla comicità; la comicità è la percezione del
contrario, l’umorismo è la riflessione del contrario. Se percepiamo due cose lontane tra di loro, come
ad esempio una vecchietta che si è agghindata, truccata e vestita come una ragazza in un primo
momento ridiamo (la comicità è infatti più istintiva), ma se poi cerchiamo di capire perché la vecchietta
si sia vestita in quel modo, nasce una riflessione più amara, più ironica. Questa riflessione non più
istintiva, ma razionale, è l’umorismo. L’umorista è chi non si illude più, chi ha capito come va la vita
dell’uomo moderno e ride. L’umorismo è un’arte che permette di scomporre il reale: ciò che sembra
apparentemente divertente in verità è una realtà amare. Pirandello afferma che ciascun individuo ha
una verità diversa per cui vede la realtà: relativismo conoscitivo, quindi non esiste una verità assoluta
ma relativa (tante verità quanti siamo).

CIÀULA SCOPRE LA LUNA: Novella pubblicata nella raccolta Novelle per un anno. In Ciàula scopre
la Luna lo sguardo del narratore si concentra su una Sicilia rurale nei primi anni del ‘900, affronta il
tema delle dure condizioni del post-guerra e prende come ambientazione quella di una cava di zolfo.
Ciaula è un povero ragazzo che lavora tutto il giorno sotto terra e ritenuto dagli altri incapace di capire
e provare sentimenti umani. La vicenda è ambientata in Sicilia e Cacciagallina, colui che sorveglia il
lavoro dei minatori, quando doveva prendersi uno sfogo, se la prendeva con Zi' Scarda. Quest'ultimo
se la prendeva con Ciaula. Un giorno Zi' Scarda dice a Ciàula che avrebbero dovuto lavorare tutta la
notte, ma lui ha paura del buio. Ha paura del buio da quella volta che il figlio di Zi' Scarda ebbe un
grave incidente in seguito allo scoppio di una mina. A quello scoppio tutti avevano smesso di lavorare
ed erano andati sul luogo dell'incidente, tutti tranne Ciaula, che era scappato a ripararsi. Nella fretta di
ripararsi gli si era spenta la lumiera che faceva luce e aveva cercato di trovare l'uscita dalla galleria. In
quel momento ebbe paura. Il lavoro con Zi' Scarda cominciò e quella notte, all'uscita dalla galleria
vide la luna (elemento salvifico), o meglio la scopre perché non l'ha mai vista prima: la sua emozione
è così grande e intensa che scoppia a piangere. Ciaula rappresenta tutti gli uomini che, oppressi
dall'oscurità dell' angoscia aspirano al chiarore delle certezze e che nella bellezza del mondo cercano
il riscatto della loro miseria. Ciàula in siciliano significa cornacchia ed era chiamato così perché ad
ogni passo ne imitava il verso.

IL TRENO HA FISCHIATO: Novella pubblicata nella raccolta Novelle per un anno. La novella narra la
storia di Belluca, un impiegato modello, sempre puntuale a lavoro e ligio al dovere. Improvvisamente
la vita di questo impiegato modello cambia: il motivo era il fischio di un treno che partiva (epifania).
Quel fischio gli ricordava i viaggi che da giovane aveva fatto nelle città più belle d'Italia; ma il fischio
del treno rappresentava anche un altro significato, la voglia di evadere dalla solita routine (trappole). Il
fischio che lui sentiva, gli provoca una certa ribellione interiore che quando esplode si manifesta
contro il capo ufficio. Belluca infatti farneticando e riproducendo il fischio del treno. Tutti i colleghi
sconvolti, non riescono a capire l'esatto motivo di ribellione del Belluca verso il suo superiore, soltanto
il suo vicino di casa cerca di scoprire in profondità la vita del Belluca per capire i motivi di questo suo
comportamento. Egli scopre che Belluca viveva in una casa con tre persone non vedenti, altre due
figlie rimaste vedove ed i loro 7 figli. Pertanto il suo modo di reagire verso il suo capo era una
reazione più che giustificata. Il capo ufficio gli concede di imitare qualche volta il fischio del treno per
sfuggire alle maschere sociali, permettendogli di vivere meglio. Diventa quindi forestiere della vita.
Pirandello porta deliberatamente all’assurdo, attraverso un processo di esagerazione, quella che
potrebbe essere una rappresentazione patetica della miseria piccolo borghese:una moglie cieca
susciterebbe commozione, ma tre cieche, più due figlie vedove con complessivi sette figli, non
possono che suscitare il riso (avvertimento del contrario). Il motivo del pover‘uomo che si sacrifica per
dar da mangiare alla famiglia, diviene ridicolo. Scatta il sentimento del contrario, scomposizione
umoristica della realtà.
IL FU MATTIA PASCAL: Romanzo pubblicato nel 1904. Il fu Mattia Pascal narra la storia di un
bibliotecario che scappa di casa per sottrarsi ad una vita grigia e triste. Giunto a Nizza, gioca al
casinò e vince una grossa cifra. Mentre sta per tornare a casa, legge per caso sul giornale che uno
sconosciuto si è suicidato nelle sue terre e la moglie riconosce nello sconosciuto proprio lui, Mattia
Pascal. Visto che tutti lo credono morto, decide di cambiare vita, anche grazie al denaro vinto al
casinò: va a Roma e si fa chiamare Adriano Meis, pensando finalmente di vivere libero. A Roma
conosce la figlia del proprietario della locanda dove alloggia, Adriana, e si innamora di lei. Vorrebbe
sposarla, ma senza documenti non può farlo. Vorrebbe denunciare un ladro, ma senza documenti non
può fare nemmeno questo. A questo punto capisce che la sua “libertà” è una prigione. Finge il suicidio
e torna in paese, ma sua moglie si era risposata e aveva avuto una bambina. Non gli rimane altro da
fare che non-vivere e scrivere la sua esistenza. Una sorta di rinuncia alla vita – una storia di un
fallimento – che è poi la condizione dell’uomo moderno. L’uomo moderno cerca di liberarsi dai lacci
della società, ma non ci riesce. Nonostante ci tenti in tutti i modi, Mattia Pascal non può fuggire dalla
sua identità e ne diventa suo prigioniero.

QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE: Romanzo inizialmente pubblicato con il titolo "Si
gira" e solo in seguito venne ristampato con il titolo attuale. Tramite questo romanzo, Pirandello si
propone di mettere in evidenza il senso di alienazione che avvolge l'uomo moderno a servizio della
macchina. Serafino Gubbio è un cineoperatore che ha il compito di girare la cinepresa per registrare
le scene. Un giorno Serafino viene incaricato di
riprendere con la sua cinepresa la scena dell'uccisione di una tigre da parte di un cacciatore.
All'interno della gabbia si trova l'attore che veste i panni del cacciatore, la tigre e un'attrice. L'attore
che dovrebbe uccidere l'animale rivolge l'arma contro l'attrice, togliendole la vita e la tigre,
terrorizzata, si avventa sull'uomo e lo sbrana. Serafino, che sta filmando la scena, rinuncia a ogni
forma di sentimento e di comunicazione: egli continua meccanicamente a girare la manovella della
cinepresa, indifferente al dramma. Serafino diviene muto per lo choc e si rifugia nell'alienazione.
L‘AUTOMOBILE E LA CARROZZELLA: LA MODERNITÀ E IL PASSATO: Da Quaderni di Serafino
Gubbio operatore. La contrapposizione fra l’automobile, simbolo della modernità, e la carrozzella,
simbolo del passato, propone la polemica contro le macchine. Il protagonista si sta recando su una
carrozzella alla casa cinematografica dove deve essere assunto come operatore. Il suo veicolo viene
superato da un’automobile lanciata a grande velocità, che però cancella il paesaggio, la lentezza
invece dà modo di ammirare il paesaggio. La macchina, quindi, è condannata perché annulla la realtà
e impedisce un rapporto umano con le cose.

UNO, NESSUNO, CENTOMILA: Romanzo pubblicato nel 1926. Il protagonista del romanzo è
Vitangelo Moscarda. Un giorno sua moglie gli fa notare allo specchio una serie di difetti fisici, dei quali
Vitangelo non si è mai accorto: il naso pende leggermente a destra. Questo banale episodio gli
provoca una crisi esistenziale, poiché si rende conto che l’immagine che ha di se stesso non
corrisponde a come viene visto dagli altri: I paesani lo considerano un usuraio; gli amministratori della
sua banca lo ritengono un incapace; sua moglie lo vede come un povero ingenuo. Ogni persona lo
vede in modo diverso e il protagonista non riesce a sopportare l’immagine che gli altri hanno di lui. Da
quel momento intraprende una serie di iniziative per distruggere le immagini che gli hanno attribuito.
Per prima cosa decide di occuparsi direttamente della gestione della banca e dei beni di famiglia. Per
liberarsi della pessima reputazione di usuraio, regala un appartamento a un poveraccio che vive in
una catapecchia. Poi decide di ritirare il suo capitale dalla banca, cosa che provoca una forte reazione
da parte dei familiari e degli amministratori, i quali, cercano di ricoverarlo per infermità mentale. Alla
fine, Vitangelo utilizza tutti i suoi beni per la costruzione di un ospizio per poveri, nel quale egli stesso
si ritira. Qui finalmente non si sente più ossessionato dal desiderio di una sola identità a tutti i costi
contro le centomila che gli altri gli attribuiscono, e si rasserena all’idea di non avere nessuna identità.
Vitangelo arriva alla conclusione di essere: uno (cioè l'immagine che lui ha di sé stesso), centomila
(come le forme che gli vengono attribuite dagli altri) e, in conclusione, nessuno (perché l'idea che lui
ha di sé non coincide con nessuno di quelle che gli altri hanno di lui, e non si sa quale sia giusta).
NESSUN NOME: Dal romanzo Uno, nessuno, centomila. Il personaggio di Uno, nessuno e centomila
non si limita a confessare di non sapere chi sia, ma afferma di non voler più essere nessuno, di
rifiutare totalmente ogni identità individuale. Rifiuta cioè di chiudersi in qualsiasi forma parziale e
convenzionale e accetta di sprofondare nel fluire mutevole della «vita», morendo e rinascendo in ogni
attimo, identificandosi con le presenze esterne, senza poter più dire «io». Soluzione: ritrovarsi negli
elementi della natura. Per questo arriva a negare anche il proprio nome.

IL GIUOCO DELLE PARTI: Opera teatrale dalle Maschere nude. Il protagonista Leone Gala (filosofo
della vita) è tradito dalla moglie Silia, con il suo migliore amico, Guido Venanzi ma, accetta di
andarsene da casa e di lasciare il suo posto a Guido; facendo visita ogni giorno a Silia. Questo tanto
civile perbenismo indispettisce Silia, che appena le si presenta una fortuita occasione (un’ offesa
fattale da un giovane ubriaco) non esita a mettere a repentaglio la vita del marito, trascinandolo in un
duello. Leone accetta: dovrà essere lui, secondo le regole, a sfidare il gentiluomo, ottimo tiratore. Ma
al momento fissato per lo scontro, Leone rivela di non aver alcuna intenzione di scendere sul terreno,
quindi ci andrà Guido e morirà. Nell’opera viene riportata la filosofia dell’uovo: Leone è stato capace
di afferrare un uovo fresco, lanciatogli al volo, che rappresenta il caso. Una volta afferrato lo fora e lo
beve, svuotandolo del suo interno; successivamente inizia a giocarci fino a romperlo. (Lui gestisce il
caso).

UMBERTO SABA

A MIA MOGLIE: Poesia scritta dal poeta Umberto Saba nel 1910 e pubblicata nella raccolta del
Canzoniere. I temi trattati sono la celebrazione delle virtù femminili, l'intimità domestica e familiare, la
bellezza e la bontà della natura. La poesia è dedicata alla moglie Lina, qui paragonata alle femmine di
alcuni animali domestici (che per lui sono i migliori), delle quali privilegia alcune caratteristiche che
rintraccia anche nella donna. La moglie è paragonata alle femmine di tanti animali perché questi sono
i più vicini a Dio. Inoltre si può trovare un atteggiamento fanciullesco nei confronti della realtà
(Pascoli): come un bambino, l’autore trova un confronto tra animali e realtà.

TRIESTE:Una camminata in salita, che rende possibile la visione dall’alto della città, è anche
occasione per celebrarla, per Saba, infatti, Trieste corrisponde al proprio angolo (angulus Orazio),
capace di far riaffiorare nella mente del poeta la sua infanzia tormentata. De André fu ispirato dalla
sua poesia e compose “città vecchia”.

GIUSEPPE UNGARETTI

IL PORTO SEPOLTO:Rientra nella raccolta L’Allegria. Ungaretti descrive l'opera del poeta come una
discesa in quel porto sepolto (allude ad un porto nella città di Alessandria), che sta dentro il poeta, per
fare emergere la poesia, ma è possibile solo riportare dei frammenti. Il porto sepolto diventa quindi il
simbolo (corrispondenze, Baudelaire) di ciò che è nascosto nell'animo del poeta. Il titolo del
componimento è fondamentale per comprendere il senso della poetica ungarettiana: il porto è infatti
simbolo del viaggio introspettivo del poeta alla ricerca del mistero della poesia che sta dentro il poeta.

FRATELLI: Rientra nella raccolta L’Allegria. Fa parte delle poesie composte da Ungaretti durante la
prima guerra mondiale, mentre il poeta si trovava volontario al fronte. Il tema principale è quindi quello
della fratellanza tra gli uomini, che hanno condiviso l’esperienza della guerra. Alla luce di questa
fragilità e precarietà, della vita del soldato, ciò che salva è la fratellanza.

VEGLIA: Rientra nella raccolta L’Allegria. Ungaretti avverte nella maniera più intensa possibile la
presenza della morte nella vita; la sua reazione è quella di scrivere “lettere piene d'amore” e dare alla
vita un valore ancora maggiore. Quindi in un momento così doloroso (passare la notte vicino ad un
compagno di guerra massacrato) la poesia lo salva e lo tiene attaccato alla vita.

I FIUMI: Rientra nella raccolta L’Allegria. In questa poesia Ungaretti rievoca i propri ricordi personali, i
fiumi che hanno fatto parte della sua vita e che l'hanno attraversata: l'Isonzo, il Serchio, il Nilo e la
Senna rappresentano quelle che sono le più importanti tappe della vita del poeta. Nella vita del poeta,
ciascun fiume rappresenta uno dei suoi momenti ritenuti da lui più rilevanti, ovvero la terra natia dei
genitori, il suo luogo di nascita e quello di maturazione. L’intento è quello di ricercare il tempo (Proust)
della sua vita passata per frenare il dolore provocato dalla guerra (presente).

SAN MARTINO DEL CARSO: Dalla raccolta L’Allegria.


Questa poesia presenta al lettore l'immagine di un paese distrutto dalla guerra; viene descritto un
paesaggio di macerie e di rovine, che viene quasi umanizzato con l'uso di sostantivi come ‘brandello'
in relazione a 'muro', quando normalmente questo termine si riferisce alla carne o alla stoffa. Si
avverte la desolazione che il poeta prova nel suo cuore, a causa della dolorosa perdita di persone a
lui care.

MATTINA: Rientra nella raccolta L’Allegria. In questa poesia Ungaretti si mette nei panni di un soldato
che esce dalla trincea e si fonde con l'universo, quindi c'è un sentimento di libertà. I temi affrontati
sono la tensione verso la luce, l'aspirazione all'armonia e la fusione con l'infinito. Il tema dell'
“immenso” non è nuovo nella letteratura italiana. Pensiamo soprattutto a Giacomo Leopardi, che nella
poesia Infinito, allo stesso modo, ci parla di immensità («Così tra questa / immensità s'annega il
pensier mio»). Dunque la creatura umana, pur con tutta la sua insufficienza e fragilità, è in grado di
cogliere tutta l'immensità del creato, di cui si sente parte.

SOLDATI: Rientra nella raccolta L’Allegria. Ungaretti descrive la condizione precaria della vita dei
soldati riportando un paragone che unisce la natura con la condizione umana: la vita dei soldati è
fragile e precaria come le foglie che stanno sull’albero in autunno.

NON GRIDATE PIÙ: Rientra nella raccolta Il Dolore.


Composta nel 1945, è stata scritta ispirandosi a un fatto di cronaca, ossia la notizia del
bombardamento del cimitero monumentale del Verano a Roma in data 19 luglio 1943. La tematica
centrale è quella della violenza di una guerra che non si ferma nemmeno davanti ai morti. Il poeta si
rivolge ai superstiti della seconda guerra mondiale invitandoli, in rispetto di coloro che sono morti
durante il conflitto, a non lasciarsi andare ancora all’odio perché in tal modo renderebbero inutile il
loro sacrificio e li ucciderebbero una seconda volta. Le grida di odio e di violenza dei vivi impediscono
inoltre di udire la flebile voce dei morti che è come il crescere dell’erba felice là dove non viene
calpestata dall’uomo.

SALVATORE QUASIMODO

ED È SUBITO SERA: Poesia inserita nella raccolta Acque e terre, in cui la Sicilia fa da sfondo. Il
tema affrontato è quello della solitudine dell'uomo, solo nonostante l'illusione di essere “ sul cuor della
terra” di dominare il mondo e l'universo, ma provoca solo pressione e sofferenza. Nella vita, secondo
il poeta, ogni tanto arriva un raggio di sole a illuminare i nostri giorni, ma è un sollievo effimero e per
nulla duraturo. Nessuno può sottrarsi alla solitudine e all'inevitabile destino di morte che ci attende.
L’avverbio “subito” richiama il tema della precarietà della vita umana.

UOMO DEL MIO TEMPO: Il tema centrale è l'eterno ritorno della guerra nell’ esistenza dell'uomo; egli
modifica solamente il modo in cui le combatte, ma rimane primitivo poiché continua a farle. La guerra
per l’uomo è, quindi, un regresso e colui che l‘accetta si trasforma in bestia. Il poeta riporta l’esempio
del primo delitto biblico: Caino e Abele. Quasimodo lancia un appello, che si riapre a una flebile
speranza: i giovani, i figli di oggi, dovrebbero discostarsi da ciò che hanno fatto i padri, quindi
dimenticare. Il poeta esprime un rifiuto del proprio tempo fatto di guerre.

ALLE FRONDE DEI SALICI: Quasimodo parla di come si viva da poeta durante la seconda guerra
mondiale, nel periodo della resistenza ai tedeschi. La poesia si apre con il racconto di un passo
biblico: gli israeliti, che deportati a Babilonia si rifiutano di cantare lontani da casa loro. A
Successivamente parla di come la poesia rimanga impotente davanti alle brutture del conflitto
mondiale. Descrive l’urlo straziato della madre che trova il figlio impiccato al palo del telegrafo (inteso
come progresso).

EUGENIO MONTALE

I LIMONI: Poesia pubblicata nella raccolta Ossi di seppia. Montale si rivolge al lettore, all’uomo
comune, invitandolo a notare la differenza di poetica tra quella dei poeti illustri
(D’annunzio) che usano un linguaggio ampolloso, menzionando piante dai nomi poco conosciuti e la
sua, che utilizza termini semplici e comuni. Montale ama descrivere il paesaggio povero e familiare
della Liguria, sua terra d’origine. Il profumo ei limoni riporta il poeta nel suo semplice paesaggio
familiare che gli fa dimenticare l’angoscia della solitudine (momento di epifania) e lo mette in contatto
con la realtà facendogli intuire il mistero che avvolge la vita, ma questa illusione, di poter capire il
senso della vita, al calare della sera si dissolve e il tempo ci riporta nelle città e l’anima si fa più triste.
Quando un giorno da un portone che è chiuso male tra gli alberi di un cortile appaiono dei limoni di
colore giallo, e il gelo del cuore si disfa.
SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO: Poesia pubblicata nella raccolta Ossi di seppia. Il
tema è il male del vivere, il dolore, che il poeta ha incontrato ad ogni passo, in ogni aspetto della
natura: nelle cose inanimate (rivo strozzato che gorgoglia), nelle piante (incartocciarsi della foglia
secca), negli animali (il cavallo stramazzato) (corrispettivo oggettivo). Montale cerca di allontanare da
sé la sofferenza e cerca un rimedio al male di vivere che accomuna tutti gli uomini senza alcuna
distinzione: la Divina Indifferenza. Nella cultura classica gli Dei sono indifferenti alla natura umana e
Montale, per contrastare il male di vivere, dichiara che l’uomo debba assumere lo stesso
atteggiamento (Pirandello; Leone Gala, Il giuoco delle parti).
NON CHIEDERCI LA PAROLA: Poesia pubblicata nella raccolta Ossi di seppia. Il poeta dichiara
come la poesia non può più trasmettere delle certezze. I poeti non hanno formule che permettano di
capire la visione del mondo se non stridenti sillabe che riprendono il rumore della vita. Questa poesia
si colloca in un periodo del Novecento durante il quale crollarono tutti gli ideali; periodo caratterizzato
da due guerre mondiali, genocidi e l‘olocausto, una guerra fredda, la minaccia della bomba atomica.
MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO: Poesia pubblicata nella raccolta Ossi di seppia. In questa
poesia compare il motivo predominante della raccolta, quello del paesaggio arido e disarmonico. Il
poeta presenta l’aridità del paesaggio come simbolo di una condizione esistenziale e l’impossibile
ricerca della verità: scoprire il senso dell’esistenza, che viene intesa come un cammino lungo una
"muraglia" con in cima "cocci aguzzi di bottiglia" che impediscono di oltrepassarla per comprenderne
con certezza il vero significato.
LA CASA DEI DOGANIERI: Poesia pubblicata nella raccolta Le occasioni. Montale riporta il tema
della memoria (reminiscenza per Leopardi): i ricordi sono impossibili da recuperare perché il tempo si
muove in maniera monotona e il trascorrere del tempo che va in avanti non permette di ritornare
indietro. Il poeta ricorda un momento passato con una donna in una casa sul mare, che ancora
l’attende ma invano perché è morta. Il poeta di questo ricordo ne mantiene solo un frammento, ma più
scorre il tempo più il ricordo si allontana. *La poesia ripropone il tema alla memoria come A Silvia, di
Leopardi ma in modo rovesciato*.
LA STORIA: Poesia pubblicata nella raccolta Satura. In questa poesia si percepisce la negazione
totale del senso della storia, del progresso e si mostra indifferente proprio perché la storia lo è nei
confronti dell’uomo.

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