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BERTRAND RUSSELL (1872-1970)

Cenni biografici. Matematico e logico. Di famiglia aristocratica inglese, studia filosofia a Cambridge, dove si
avvicina all’intellettualismo hegeliano. Nella pubblicazione del 1900 “A critical exposition of the
Phylosophy of Leibniz”, appare più legato a Kant che a Hegel + qui c’è la scoperta che Leibniz dà una
fondazione logica alle dottrina metafisiche e che l’intera Monadologia è tratta da alcune tesi circa la natura
delle proposizioni. L’idealismo di R scompare in favore di un realismo platonico circa la natura dei numeri.
Dal 1916 è ricercatore presso Cambridge, ma prima, fra il 1910-13 pubblica Principia Mathematica, che sono
una pietra miliare della logica matematica. Viene espulso da Cambridge in quanto anti-interventista nella
guerra > a quel punto svolge un’intermittente attività accademica fra l’Inghilterra e gli usa finché nel 44
torna in UK e continua la propria attività accademica, occupandosi anche di argomenti politico-sociali e di
morale. A Cambridge viene rieletto docente, diventa la guida della Campagna per il Disarmo Nucleare e si
dedica a scongiurare il pericolo di una terza guerra mondiale. Insomma, i suoi interessi andavano dalla
filosofia alla matematica, gnoseologia, etica, educazione, religione, politica, morale > molti lo ricordano
come esente da pregiudizi e per il suo fervore umano, la sua fiducia in una società libera nonostante gli orrori
delle guerre e dei totalitarismi appena passati.
La logica matematica. una volta arrivato a Cambridge, uno dei suoi scopi principali era quello di trovare un
motivo per ritenere vera la matematica > dunque orienta la sua ricerca sia in campo matematico che
filosofico. Nel 1900 incontra Peano e per lui fu una rivelazione > Russell si impadronisce di quella nuova
tecnica matematica che gli permise di conquistare con rigore alcuni regioni della filosofia che fino ad allora
erano state abbandonate all’imprecisione. In questi anni getta le basi anche pe scrivere Principia
Mathematica. Egli concorda con la teoria logicista di Frege, secondo cui i concetti matematici sono definibili
in termini logici, quindi l’intera matematica pura si può dedurre da un certo numero di concetti logici.
Tuttavia, Russell prima ancora della pubblicazione dei Principia, si accorge di un paradosso originato dalla
domanda se la classe di tutte le classi che non sono membri di se stesse, sia o no membro di se stessa > è un
paradosso perché la qualunque sia la risposta, essa implica il proprio contrario > il paradosso è molto simile
a quello classico secondo cui il cretese Epimenide afferma che tutti i cretesi sono bugiardi. La scoperta di
tale paradosso/contraddizione scuote dalle basi l’edificio logico intero, nonché il lavoro appena pubblicato da
Frege > il tentativo di rispondere a questo paradosso accese vari dibattiti, fra cui quello fra Russell e
Poincaré.
Nel tentativo di una soluzione, Russell decide di tener ferma l’identificazione fra matematica e logica ed
elabora la “teoria dei tipi logici” nei Principia M. > tale teoria definisce come “tipo” un certo campo di
significanza delle espressioni, classificabili in tipi diversi a seconda che si tratti di:
- Tipo 0: nomi di oggetti
- Tipo 1: proprietà di tali oggetti
- Tipo 2: proprietà di tali proprietà
- Ecc..
E costruisce così una sorta di piramide il cui apice è il tipo 0. Poi, Russell stabilisce che un predicato che
appartiene ad un certo tipo, può essere applicato in modo significativo (cioè da creare una frase vera o falsa)
solo al tipo immediatamente inferiore, cosicché chiedersi se una proprietà appartiene o no a se stessa è
illegittimo, in quanto in tal modo il predicato non è riferito al tipo inferiore. Analogamente va risolto il
paradosso del bugiardo, in quanto in esso la descrizione “ciò che io dico” va collocata in un ordine superiore
a quella “i cretesi sono bugiardi”, in modo tale che la proprietà espressa nella seconda non può essere riferita
ala prima nello stesso ordine.
Però, la teoria dei tipi provoca una drastica limitazione della legittimità del discorso e complica anche il
discorso sui numeri e la descrizione della logica. Russel allora tenta di ovviare a questi inconvenienti
introducendo l’assioma di riducibilità, l’assioma di scelta e l’assioma dell’infinito + propone di sostituire la

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distinzione fra tipi di entità con una distinzione tra tipi di simboli, riferendosi cioè non più alle cose, ma alle
parole. Dopo i Principia, Russell non si occupò più di matematica ma il suo contributo in questo campo fu
significativo.
L’analisi del linguaggio. Russell è convinto che i problemi filosofici si risolvono per mezzo dell’analisi > e
tale metodo analitico ha portato ad importanti risultati per quanto concerne l’analisi del linguaggio. Nella
rivista “Mind” (1905), Russell espone la teoria delle descrizioni: con questa, egli distingue fra un nome
propriamente logico (che introduce un’entità come soggetto, es. Walter Scott) e una descrizione definita (es.
l’autore di Waverley), stabilendone la non-intercambiabilità logica, anche se entrambe le espressioni
indicano lo stesso oggetto. infatti, mentre alle descrizioni può essere attribuito un predicato d’esistenza, ciò
non può essere fatto per i nomi; e mentre una descrizione, isolata, non ha alcun significato (non denota
nulla), ma attribuisce significato al periodo in cui entra, il nome isolato ha significato, cioè denota qualcosa.
Le descrizioni sono cioè simboli incompleti o affermazioni esistenziali che dichiarano che una certa cosa ha
la proprietà contenuta nella descrizione. I nomi restano dunque come forme dimostrative di espressione. In
questo modo, Russell ha messo in luce la differenza logica fra le due espressioni (cioè “Scott” e “l’autore di
Waverley”) che sono considerate grammaticalmente equivalente nel linguaggio ordinario + ha aperto la via
alla costruzione di quelle lingue perfette in cui forma logica e forma grammaticale coincidono
infallibilmente. Russell mise in guardia i filosofi dall’inadeguatezza del linguaggio ordinario e la sua
fuorviante ontologia ed egli stesso si servì, dove era possibile, del linguaggio simbolico che eliminava i
“pezzi di gratuita metafisica” del linguaggio ordinario.
Ci fu poi un vasto numero di commentatori e di critici della teoria delle descrizioni ed ebbe molto successo.
Russell è visto come uno dei padri del movimento filosofico analitico che domina la filosofia contemporanea
anglosassone. Il dibattito più noto provocato dalla teoria delle descrizioni, è quello fra Russell e Strawson >
quest’ultimo non condivideva l’assunto russelliano secondo cui il significato di un nome è l’oggetto cui esso
fa riferimento + non condivide la tesi secondo cui le frasi legittime soggetto-oggetto, cioè formate dai nomi
propri logici, sono necessariamente vere o false. Strawson, non accettando la teoria, afferma che le frasi in se
stesse non sono necessariamente vere o false, e pur senza avere riferimento, possono essere significative: la
notazione di verità o falsità deriva loro infatti dall’uso che ne viene fatto. La controversia, tutt’ora viva,
generà vari partiti e si può dire che non c’è filosofo analitico che non abbia espresso un parere in merito.
Senso comune, scienze e filosofia. per quanto riguarda la filosofia, per Russell il filosofo non può giungere
ad una qualità raffinata di conoscenza, in quanto la conoscenza scientifica, filosofica e quella propria del
senso comune hanno la medesima fonte e le stesse regole: compito della filosofia è di sostituire qualcosa di
più preciso ai convincimenti ordinari infondati o erronei. Per riuscire in questo intento, il metodo migliore è
quello analitico e logico (che aveva espresso nel Principia) e dell’analisi del linguaggio.
Per Russell, il senso comune è il punto di partenza sia della scienza che della filosofia + in esso si
sedimentano una metafisica ed una fisica primitive che saranno poi sostituire man mano dalle acquisizioni
più avanzate. Infatti è probabile che fra alcuni secoli il senso comune parli in termini di fisica relativistica
einsteiniana, però oggi si pensa ancora in termini newtoniani. La conoscenza del senso comune soffre di 3
difetti e 3 conseguenze:
1) È troppo sicura di sé > conseguenza: la credenza in oggetti più o meno permanenti
2) È vaga > conseguenza: la acritica accettazione dell’attendibilità della memoria e della testimonianza
3) È contraddittoria > conseguenza: la fede nell’esistenza delle menti altrui
Tuttavia, Russell ammette che il modo di vedere del senso comune ha successo nella vita quotidiana, quindi
non lo possiamo rifiutare del tutto > esso è come se fosse una materia grezza, un caos, da cui lo scienziati
trae il suo ordinato universo (quindi non è solo utile nella vita quotidiana, ma ha proprio una sua positività).
Il passaggio dal senso comune alla scienza non viene con una svolta radicale, ma per gradi > tuttavia, nella
scienza rimangono comunque dei residui di quel realismo ingenuo tipico del senso comune.

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Quanto alla scienza, per Russell è talmente importante che dedica molti libri in cui commenta la scienza
contemporanea > in questi scritti, Russell è come se un po’ adottasse il dubbio cartesiano, infatti afferma di
non voler accettare nulla se non dopo averlo sottoposto al vaglio di una rigorosa analisi. Da questi scritti
emerge la sua fede indiscussa (e indimostrata) per la scienza, la quale secondo lui, specialmente la fisica, è
sempre vera. Anzi, dice una cosa più precisa: egli non dubita della verità della scienza, ma della nostra
capacità di dimostrarla tale. In tale tentativo infatti ci sono 2 scogli che il filosofo deve affrontare:
1) La causalità
2) L’induzione
Noi crediamo ad ambedue, però Hume ha mostrato che la nostra credenza è una fede cieca che non poggia su
alcuna prova razionale – infatti, secondo Russell, lo scetticismo humiano è un solipsismo (atteggiamento
filosofico secondo il quale il soggetto pensante non può affermare che la propria individuale esistenza, in
quanto ogni altra realtà si risolve nel suo pensiero). secondo Russell il solo risultato certo che la filosofia ha
raggiunto nel suo cammino solare è proprio il solipsismo, ovvero la teoria che io solo esisto > e secondo lui
questo fatto è logicamente inattaccabile: non c’è alcun modo per sfuggire alla posizione solipsistica +
bisogna riconoscere che è logicamente possibile confinarci entro l’ipotesi solipsistica e negare ogni cosa che
non siano le nostre proprie esperienze. Tuttavia, tale scetticismo universale, anche se è inconfutabile, è
praticamente arido > allora, per motivi extra-teoretici e soprattutto per il suo successo pragmatico, la scienza
e i suoi due pilastri (causalità e induzione) vanno accettati come veri, se la filosofia vuole che la sua presenza
nel mondo abbia un senso. Sembra allora che all’uomo basti il senso comune per conoscere solo ciò che è
ordinario, mentre la scienza punta a comprendere lo straordinario.
Qual è il compito che resta alla filosofia nell’ambito della conoscenza umana? Russell risponde: gettare un
ponte fra il mondo dei sensi e il mondo della scienza. Il filosofo deve impadronirsi dei risultati più aggiornati
delle varie scienze, dalla fisica alla biologia, astronomia, psicologia, linguistica, matematica, ecc.. e
spogliando tali risultati dalle loro sovrastrutture tecniche, deve costruire con essi un modo nuovo di guardare
il mondo che possa sostituire il senso comune, di cui si conserveranno la chiarezza e la semplicità, ma non
gli errori e le confusioni. Una tale filosofia non cercherà risposte immutabili e verità eterne, ma sarà sempre
pronta all’aggiornamento e alla revisione. Dunque, l’ambito di interesse della filosofia sarà il mondo e
l’uomo > secondo Russell, l’uomo richiedere considerazione soltanto uno strumento per mezzo del quale noi
acquistiamo conoscenza dell’universo > non bisogna però aspettarsi dalla filosofia la soluzione del problema
umano o del destino del mondo, ma solo la comprensione degli aspetti generali del mondo e l’analisi logica
di cose familiari ma complesse, completamente avulsa dai problemi pratici della vita.
Cosa esiste. In Russell l’esame di cosa consiste deve precedere quello di come conosciamo. La sua
problematica ontologica si sviluppa come un tentativo di definire gli oggetti del senso comune e della fisica,
e di collegarli tra loro > infatti, apparentemente, tra il sole descritto dal senso comune e lo stesso solo
descritto da un astronomo non c’è neppure il più vago rapporto di somiglianza > il sole dell’astronomo è
cosa inferita, non è né caldo né brillante. E poi, si può dire “il sole esiste”, o bisogna completamente
respingere questo realismo ingenuo che induce il senso comune ad affermare che gli oggetti della percezione
esistono ed esistono proprio nel modo in cui li percepiamo? Una prima risposta Russell cerca di darla in La
filosofia dell’atomismo logico, in cui enuncia la teoria dell’atomismo logico: esso afferma che il mondo è
composto di particolari semplici, a cui appartengono qualità semplici che stanno in relazioni semplici una
con l’altra. Gli oggetti semplici sono quelli denotati da un simbolo semplice (è evidente la derivazione di
questa teoria da quella delle descrizioni) e non possono essere ulteriormente ridotto con attribuzioni di
qualità. Per formulare questa tesi, ci fu l’influsso di Wittgenstein e a sua concezione del rapporto speculare
fra mondo dei fatti e mondo del linguaggio. Gli oggetti semplici sono fatti atomici, dove per fatto intendiamo
quel tipo di cosa che rende un enunciato vero o falso.
Successivamente, Russell discute la teoria del monismo neutrale formulata la William James nel 1912, che
risponde al quesito metafisico circa la natura di ciò che esiste > il monismo neutrale afferma che le cose

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considerate spirituali e le cose considerate fisiche non differiscono per qualche proprietà intrinseca posseduta
dalle une o dalle altre, ma differiscono soltanto per il modo in ci sono disposte e per il contesto nel quale si
trovano. Russell non è d’accordo con questa teoria e sfuma anche la sua iniziale posizione dualistica + il suo
realismo cede il passo ad un momentaneo fenomenalismo, per il quale il mondo è identificato con le
immagini delle sue varie prospettive che ne ha un osservatore. Coerentemente, noi non ci riferiamo tanto agli
oggetti fisici, quanto ai nostri dati sensoriali > e tali dati non sono di natura mentale e la nostra mente è una
costruzione di essi, di natura non fisica > qui si accoglie implicitamente il monismo neutrale.
In Analisi della mente (1921) Russell afferma che la sostanza che compone il mondo non è né lo spirito né la
materia, ma qualcosa di più primitivo di entrambi, diciamo una neutral stuff, che è alla base sia della fisica
che della psicologia, e di cui sono composti i fatti atomici che costituiscono il mondo. La fisica, sotto cui si
raccolgono i fatti materiali, si differenzia dalla psicologia, luogo dei fatti spirituali, solo per un diverso
criterio classificatorio: la prima interpreta le relazioni fra gli aspetti dei particolari come relazioni causali,
mentre la seconda come relazioni determinate dalle leggi della prospettiva.
Tuttavia, ci può obiettare: ma di che natura sono tali relazioni? Siccome non sono reperibili nel mondo fisico,
si deve ammettere che sono state trovate con un atto di introspezione, e che sono puramente soggettive.
Quindi il monismo neutrale ha delle debolezze che Russell cerca di eliminare in Sintesi filosofica (1927) >
qui è evidente l’influenza del behaviourismo sull’adesione al monismo neutrale > behaviourismo= teoria
psicologica per la quale, secondo il suo principale esponente (J. Watson), tutto quello che può essere
conosciuto sull’uomo è scopribile col metodo dell’osservazione esterna, cosicché in nessun punto c’è
bisogno di ricorrere ai dati dell’introspezione. Russell accetta tale teoria, anche perché la possibilità di
ridurre ad eventi osservabili esternamene quei fatti psicologici che sembravano oggetto esclusivo
dell’introspezione, avalla (con la veste di psicologia scientifica) l’interpretazione metafisica del mondo in
senso monistico. In tale concezione si ribadisce che materia e mente diventano una comoda stenografia per
certe leggi causali approssimative ed esse sparirebbero da una scienza competa.
Tale prospettiva è mantenuta anche in L’analisi della materia, ma qui l’introduzione della teoria causale della
percezione appare difficilmente compatibile con il monismo neutrale. Secondo tale teoria, la percezione è
causata da una catena di eventi, di cui si deve ammettere che possono esistere anche se non sono percepiti da
nessuno, e la percezione stessa è un evento fisico e può essere studiata come tale. Ciò implica la
reintroduzione di una distinzione fra fisico e mentale che va al di là di una conveniente stenografia, con uno
slittamento in senso materialistico, in quanto le percezioni vengono include nel mondo fisico, fra gli eventi di
cui esso è ultimamente composto. Ma sembra che Russell abbandoni poi il problema metafisico circa la
natura di ciò che costituisce il mondo > infatti in La conoscenza umana, dove c’è il riassunto delle sue
posizioni filosofiche, egli lascia cadere il monismo neutrale. In quest’opera, l’evento fisico viene distinto da
quello mentale, poiché il primo è inferito mentre il secondo (quello mentale) no > e ciò conduce ad una
diversa qualità della conoscenza:
- La conoscenza dell’evento mentale è immediata e certa
- La conoscenza dell’evento fisico è approssimata e modificabile da successive inferenze
A seconda che si accentui la diversità dei due tipi di conoscenza, o che la si minimizzi, si avrà ragione di
affermare un ritorno di Russell al dualismo o un suo persistere nel monismo neutrale > quest’ultima è la più
probabile, poiché dice “la distinzione fra ciò che è spirituale e ciò che è fisico non consiste in un carattere
intrinseco, ma nel modo in cui ne acquistiamo conoscenza”.
Come conosciamo. Russell rifiuta il tentativo di umanizzare il cosmo e in genere prova scarsa soddisfazione
nel contemplare la razza umana e le sue follie, nonostante tutto ciò sia dedicato poi alla conoscenza umana –
come nasca, che mezzi operi e che attendibilità abbia > solo dall’esito di tale analisi sapremo se la nostra
visione dell’universo ha qualche possibilità di esser vera > da ciò nascono una serie di problematiche, come
la credibilità della memoria, l’esistenza delle menti altrui, la validità della percezione, la verità, lo spazio e il

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tempo, ecc.. La tematica è per molti aspetti humiana, perché l’approccio è empiristico > Russell nelle sue
opere afferma che la nostra conoscenza deriva dall’esperienza, anche se poi rimane comunque un motivo di
trascendenza > per questo, allo stesso tempo, afferma che l’empirismo è una teoria della conoscenza
inadeguata, ma comunque una delle migliori che abbiamo fino adesso. Insomma, il limite dell’empirismo è il
non riconoscere il carattere della trascendentalità che viene implicato nella questione sulla conoscenza, però
Russell dice che è comunque la teoria migliore. Ora vediamo meglio come affronta la questione.
In “I problemi della filosofia”, egli distingue fra:
- Conoscenza by acquaintance > è la conoscenza per esperienza diretta (in cui non interviene nessun
processo deduttivo o inferenziale) ed è quella dei dati sensoriali, della memoria, dell’introspezione e
degli universali/concetti.
- Conoscenza by description > è la conoscenza per descrizione e ce l’abbiamo quando, data una certa
descrizione, sappiamo che c’è un oggetto che possiede una data proproetà > è la conoscenza dei
nomi comuni o dei nomi propri.
Una proposizione contenente descrizioni deve poter essere ridotta interamente a termini di cui abbiamo
conoscenza diretta e l’importanza della conoscenza per descrizione risiede nel fatto che essa ci offre la
possibilità di andare oltre i limiti dell’esperienza personale. Se la verità della conoscenza derivata può essere
provata dal confronto con la conoscenza intuitiva, come ci si regolerà per quest’ultima? Distinguendo vari
gradi di evidenza immediata, per cui avremo certezza assoluta in certi casi e certezza relativa in altri casi. Al
primo tipo di evidenza appartengono i dati sensoriali e certe verità della logica e della matematica.
Tale distinzione è precisata in La conoscenza del mondo esterno, dove Russell distingue i dati, che sono i
vaghi e complessi oggetti della conoscenza comune, in duri e teneri; fra i primi contiamo i fatti particolari del
senso e le verità generali di logica, oltre ad alcuni fatti della memoria e dell’introspezione. In relazione a
questi il dubbio sarebbe patologico, insincero e il loro rifiuto implicherebbe la caduta in uno scetticismo
universale e arido. Di tali dati sensoriali si ha immediata consapevolezza: essi sono in qualche modo
conoscenza. La tesi viene abbandonata in Analisi della mente, dove di afferma che c’è identità fra la macchia
di colore e la nostra sensazione visiva di quella macchia > e la sensazione così intesa non è conoscenza. L
sensazioni rappresentano qui il punto d’incontro fra spirito e materia e sono comuni al mondo fisico e a
quello mentale, in quanto sono insieme componenti reali del mondo fisico e cause di cognizioni. In effetti,
aggiungendo alle sensazioni un fenomeno mnemonico o un’immagine ed associandole ad una credenza
dell’esistenza presenta in un oggetto al quale si riferiscono la sensazione e le immagini, otteniamo le
percezioni. Gli errori dei sensi dono errori della credenza, che sarà vera o falsa a seconda che ci sia o meno
un fatto ad essa corrispondente > qui i dati assumono un significato più ampio perché ora per essi si intende
anche sensazioni che implicano alcuni rapporti temporali e spaziali.
In L’analisi della materia, tutta la seconda parte del libro è dedicata alla percezione e al suo rapporto della
scienza > qui Russell formula la teoria causale della percezione (che poi non abbandonerà più): la fisica fa
parte delle percezioni e il suo scopo è quello di formulare le leggi sul comportamento del mondo esterno >
ma se scopriamo che le percezioni non hanno causa esterne, viene meno il fondamento stesso della fisica e
saremo confinanti in un disperato solipsismo > l’unica alternativa è dunque l’accettazione della teoria
causale della percezione. Quindi Russell qui appoggia il razionalismo > e per tale razionalismo, dobbiamo
credere all’esistenza di cose che non percepiamo né ricordiamo, non nel modo ingenuo del senso comune,
ma in quello più raffinato che la fisica ha elaborato. Compito della filosofia è di trovare un criterio che ci
permetta di distinguere tra sogno e percezione reale. Purtroppo sembra fallito il tentativo di reperire un
criterio che funzioni a priori, e la validità di una percezione appare misurabile solo dalla correttezza delle
deduzioni che ne traggono circa altri eventi.
Il mondo russelliano sembra essere costituito da soggetti percipienti ed oggetti percepiti > qual è il loro
rapporto? Russell cerca di rispondere distinguendo:

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- Spazio-tempo fisico
- Spazio-tempo percettivo
Il primo è nato dal secondo; il divario fra i due è aumentato con la teoria della relatività + ad un certo punto
lo spazio e tempo percettivi non si adattavano più alla teoria di einstein. Secondo Russell lo spazio e tempo
percettivi sono come una piccola regione dello spazio e tempo fisici. Boh.
Tornando al problema della percezione, in Sintesi filosofica, l’evento esterno al percipiente viene visto come
un centro d’irradiazione di percezioni a più soggetti, cosicché se ci saranno anche certi caratteri invariati
comuni a tutte le percezioni, che ci permetteranno di scoprire che viviamo tutti in un mondo comune.
L’esistenza di tale mondo comune non può essere dimostrata razionalmente, ma la si può giustificare come
ipotesi di lavoro > il realismo di Russell anche qui continua ad esserci, come lo dimostra la soluzione qui
proposta al problema della verità di una frase > essa p vera quando c’è un fatto, detto verificatore, cui essa
corrisponde. In tal modo, la verità sarà un concetto più ampio di conoscenza, in quanto un enunciato può
essere vero anche se non esiste alcun metodo per scoprire se lo è > con tale asserzione, come Russell stesso
riconosce, si abbandona l’empirismo puro in favore di un’accettazione del senso comune più ampia
possibile. Secondo lo stesso orientamento, si deve accettare l’ipotesi che accadano eventi non osservati da
me, o addirittura non osservabili, quale ad esempio l’esistenza di altre menti.
Tutta la tematica gnoseologica viene sistematizzata in La conoscenza umana, che è il punto d’arrivo e la
sintesi della sua riflessione epistemologica. Anche qui, le premesse indiscusse sono la verità della scienza e il
rifiuto dello scetticismo, compiute in nome del senso comune. Nella percezione è distinta la sensazione,
come materiale grezzo, di cui non si distingue fra conoscere e conosciuto e quegli accrescimenti posteriori
che trasformeranno la sensazione in percezione. Quest’ultima corrisponde solo in modo approssimativo
all’oggetto fisico, in quanto l’inferenza dalle percezioni agli oggetti fisici non può essere precisa. Ciò che
induce il passaggio dalla sensazione alla percezione sono gli abiti associativi, il più comune dei quali è
l’inferenza animale, per cui esperienza ripetute danno luogo alle generalizzazioni di cui quotidianamente ci
serviamo, ad esempio la credenza nel permanere degli oggetti, la fede nella testimonianza o nella memoria.
L’errore può annidarsi nel processo inferenziale, ma mai nella sensazione in se stessa > siccome però le
inferenze animali risultano spesso valide (non a caso la fisica è partita da esse), il compito del filosofo sarà
quello di scoprire quei principi che rendono antecedentemente plausibili certe specie di generalizzazioni,
cercando di darne una fondazione razionale. tali principi sono i postulati, che rappresentano il punto di arrivo
della gnoseologia di Russell. Essi sono preceduti da un’analisi del concetto di conoscenza, che viene distinta
secondo 2 significati:
1) Conoscenza del fatti > rispecchia > l’estremo logico sono le monadi di Leibniz
2) Conoscenza delle connessioni generali trai fatti > manipola > pragmatismo di Marx
La sensazione e la memoria sono le fonti della conoscenza dei fatti ed entrambi sono pre-verbali. Quanto alla
conoscenza dei rapporti sui fatti, si tratta soprattutto di quelle generalizzazioni che, pur potendo acquisire la
veste logica, se si risalisse abbastanza lontano, ci riporterebbero indietro agli abiti degli animali > è il
percorso a ritrovo che vuole percorrere Russell per reperire quelle leggi che hanno dato certezza, o ala
probabilità, a tali generalizzazioni dell’esperienza > si tratta, appunto, dei postulati. Ecco i postulati:
1) Il postulato della quasi-permanenza > con esso viene eliminato il concetto di sostanza implicito nelle
affermazioni su cose/persone fatte dal senso comune, e la cosa è definita come una serie di eventi
simili e contigui nello spazio e nel tempo.
2) Il postulato delle linee causali separabili, che sostituisce all’ingenua affermazione dell’immediato
rapporto causa-effetto la più cauta proposta che un evento fa spesso parte di una serie di eventi,
regolata da una legge approssimativa di persistenza o cambiamento.
3) Il postulato della continuità spazio-temporale, che nega l’azione a distanza e afferma l’esistenza di
linee causali ininterrotte.

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4) Il postulato strutturale, che afferma che se molti eventi sono raggruppati intorno ad un centro, esso è
la causa probabili di tali eventi.
5) Il postulato dell’analogia: dato un rapporto costante fra due eventi A e B, se in un certo caso si
osserva A ma non c’è la possibilità di osservare B, è probabile che anche in quel B si verifichi.
I postulati sostituiscono l’induzione, che pur essendo indispensabile alle realizzazioni sia della scienza che
del senso comune, non può essere accolta come principio, in quanto pota tanto spesso all’errore quanto alla
verità. Dunque, tali principi sono necessari per giustificare la scienza, ma, pur essendo sempre confermati
dall’esperienza nel casi particolari, da una parte offrono solo un alto grado di probabilità e mai certezza che
un evento si verifichi in un certo modo – e dall’altro la loro validità come principi non può essere dimostrata
dall’esperienza, sempre particolare e limitata. In tal senso essi sono il limite dell’empirismo, di cui Russell,
in linea di massima, aderisce, ma di cui riconosce che come teoria della conoscenza è inadeguato > invece da
la sua incondizionata adesione all’affermazione secondo cui tutta la conoscenza umana è incerta, inesatta e
parziale.
La filosofia russelliana, partita dalla volontà di superare scetticismo e solipsismo mediante il reperimento di
principi che dimostrassero la validità della scienza e di certe affermazioni del senso comune (che la memoria
è attendibile, che lo è al pari della testimonianza, che gli oggetti esterni esistono anche se nessuno li
percepisce, come le menti altrui), si conclude con l’individuazione di quei postulati impliciti nella scienza e
nel senso comune, e che conferiscono probabilità (non certezza) ai ragionamenti cui siam applicati. Il
cammino filosofico di Russell non è quindi servito a trovare verità immutabili, ma, come lui si era augurato,
a rendere meno confusi i termini esaminati. Secondo lui il processo filosofico consiste nel passare da cose
ovvie, ma vaghe e ambigue dalle quali ci sentiamo tanto sicuri, a qualcosa di più preciso e chiaro, definito,
che per mezzo della riflessione e dell’analisi scopriamo essere implicito nel dato vago dal quale siamo partiti
e che, per così dire, è la verità reale della quale il dato vago è una specie di ombra.
Cenni di etica. Secondo Russell, l’etica va legata al comportamento e al costume sociale (quindi non tanto
alla filosofia) > infatti egli punta soprattutto a dare suggerimenti e regole pratiche ispirate alla libertà di
pensiero, ma mai fondate filosoficamente. Insomma, per lui l’etica consiste di principi generali che aiutano a
determinare le regole di condotta e la deduzione di quest’ultime da quei principi è compito della morale;
mentre la morale è provvisoria e si adatta alle diverse esigenze delle società ed epoche più dissimili, si
dovrebbero poter reperire dei principi etici costanti come base comune di quelle.
Russell abbandona il punto di vista (preso da Moore) secondo cui il bene è un concetto indefinibile, e
propone di fondare sul desiderio la distinzione buono-cattivo. I desideri sono visti come il prodotto di 3
fattori: 1) disposizione naturale, 2) educazione e 3) circostanze presenti. Tra questi si deve agire
sull’educazione, facendo sì che il desiderio sia rivolto al bene e all’avversione del male. È questa la base
teoria della pedagogia di Russell, che fondò e diresse con la sua seconda moglie una scuola > la legge morale
era: agite in modo da produrre desiderio armoniosi piuttosto che discordanti > va incoraggiato l’amore, il
desiderio di conoscenza, il rispetto verso la libertà altrui e la volontà di affermazioni personali > tutto ciò va
poi orientato verso creazioni artistiche o scientifiche, cosicché si può concludere che la vita buona sarà
ispirata dall’amore e guidata dalla conoscenza. La base di tale etica è utilitaristica, poiché si orientano i
desideri in senso armoniose e si distingue il bene dal male in base all’armonia + lo scopo è quello di ottenere
la maggiore felicità possibile per il maggior numero possibile di uomini contemporaneamente. Tutto ciò è in
linea con la tradizione etica anglosassone il cui esponente è Jeremy Bentham,

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