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Il presente contributo prende spunto da una ricerca degli architetti Francesco Galletta e Francesco Sondrio (2006)

relativa al rilievo con mezzi informatici della tavola dell’Annunciazione di Palazzolo Acreide (Galleria Regionale Palazzo
Bellomo, Siracusa), che ha dimostrato l’esistenza di una precisa costruzione modulare e prospettica del dipinto. Parte
delle conclusioni di questo studio (ampiamente dibattute in diversi convegni e mostre e variamente pubblicate) sono
successivamente confluite in un’articolata trattazione svolta dall’arch. Galletta presso il Corso di Dottorato di Ricerca
in Ingegneria Edile: il Progetto del Recupero (XXI ciclo), dell’Università di Messina Facoltà di Ingegneria, nel triennio
2006-2009, tutor prof. arch. Mario Manganaro (s.d. ICAR 17). La Tesi di Dottorato aveva come titolo: L’immaginario
pittorico di Antonello: la rappresentazione dello spazio architettonico e l’interpretazione della città di Messina.

ANTONELLO PROSPETTICO
di Francesco Galletta

Matteo Colazio, noto letterato neocastri civis residente in Veneto, nell’introduzione alla Laus Perspectivae del 1475
indirizzata al “Doctissimo viro Antonio Siculo artibus studentium Patavii rectori”, elencava alcuni artisti del suo tempo
definendoli peritissimos nella rappresentazione prospettica. Tra essi spiccavano Antonello da Messina, per la pala di
San Cassiano, i Bellini per excellentissimis operibus e Mantegna patavum multo opere clarum. Non sappiamo se la lista
di Colazio ponesse il siciliano volutamente o casualmente prima degli altri, ma ciò che l’autore esprime per certo è lo
stretto rapporto tra la fama di prospettico del pittore e la sua opera veneziana più famosa, i cui frammenti superstiti,
visibili oggi a Vienna, rendono solo in parte l’idea di come fosse in origine.
Antonello iniziò a dipingere la pala per Pietro Bon ad agosto del 1475, nove mesi dopo la consegna dell’Annunciazione
(che per contratto andava finita a novembre del 1474); sempre all’anno 1475, gli studiosi riconducono il San
Gerolamo, per l’esito compositivo e la presenza documentata a Venezia (Michiel 1529). Il San Sebastiano, posizionato
di recente al 1478 e il Polittico di San Gregorio, finito secondo cartellino nel 1473, completano questa serie di opere
che, poste in ordine cronologico (Polittico, Annunciazione, San Gerolamo, San Cassiano, San Sebastiano), hanno
spesso indotto ragionamenti di tipo evolutivo sull’uso della prospettiva da parte di Antonello, a partire da una
presunta approssimazione iniziale fino alla compiutezza espressiva raggiunta solo in punto di morte.
In verità, mantenendoci nell’ambito della rappresentazione, bisogna ricordare che la rivelazione di un’accurata
costruzione prospettica (associata a una precisa struttura modulare) è per l’Annunciazione una acquisizione recente,
fatta per via informatica (Galletta, Sondrio 2006) e confermata dalle analisi sul quadro effettuate durante il restauro
dell’ISCR del 2008 (Basile, Greco 2008), ma in opposizione a quanto ritenuto fino a quella data dagli storici dell’arte.
Ulteriormente, và sottolineato che la ricostruzione al tratto della pala di San Cassiano effettuata da Johannes Wilde
nel 1929 (fig. 1), pur affascinante nel complesso e verosimile nell’accostamento proporzionale delle figure dei santi
(poiché desunta dalle copie seicentesche di David Teniers), è in verità un’opera di pura invenzione nel ridisegno dello
sfondo architettonico, direttamente mutuato dalla pala di Cima da Conegliano per il duomo della sua città.
È innegabile invece che proprio tale porzione dell’opera, di certo realizzata da Antonello secondo regole prospettiche
ma non testimoniata da alcuna fonte documentaria diretta, difficilmente potrà essere ridisegnata, dato che persino gli
elementi fondamentali della prospettiva quali, ad esempio, il punto principale o la linea di orizzonte, sono a mala pena
ricostruibili dai frammenti superstiti. La metodologia di Wilde, opinabile nell’ambito della rappresentazione, ha
assunto però, per le particolari vicende del dipinto, valori iconici definitivi suscitando in seguito solo critiche limitate
(Robertson 1977, come ricorda M. Lucco ne L’opera completa del 2006).
Ancora, non dobbiamo dimenticare che il Polittico messinese - spesso collocato al gradino più basso di una presunta
scala di valori tra le opere citate - per via di ripetuti eventi avversi si presenta oggi non solo amputato del pannello
centrale superiore e del fondamentale apparato ligneo della cornice (che modulava il primo livello percettivo) ma,
almeno dalla fine del XVI secolo, rimosso dalla sua primitiva collocazione. È evidente come la combinazione di queste
circostanze abbia decurtato l’originario impatto visivo della costruzione prospettica del dipinto, oggi affidata solo alla
collana sporgente dalla pedana semi circolare in eminentia (fig. 2) e alla mimica teatrale dei personaggi.
Che il Polittico fosse invece un’opera molto conosciuta, perlomeno in ambito locale, ce lo dimostrano i prestiti
iconografici a cui attinsero altri pittori (Sricchia Santoro 1986) i quali, però, non seppero ricreare, nei loro schemi
perfettamente centrici, il bilanciato disequilibrio rilevabile nel dipinto di Antonello e dovuto, in buona parte, alla
voluta asimmetria del punto di convergenza delle ortogonali prospettiche. Il San Sebastiano invece, nell’ambito degli
studi sulla rappresentazione, è l’opera più indagata del siciliano a partire dalle tre magistrali relazioni del convegno di
Messina del 1981 (D. Arasse; M. L. Cristiani Testi; P. Trutty Coohill) e, successivamente (con esiti confermati dagli
strumenti informatici), anche in ambito universitario e in molti corsi di disegno svolti in diverse scuole superiori
(ritrovabili sulla rete internet). Tuttavia, che la costruzione prospettica (e modulare) del San Sebastiano (fig. 3) fosse
fondata su regole ben precise è di una evidenza quasi imbarazzante, mentre è sorprendente il ritardo temporale con
cui la critica è giunta a trattare questo tema in Antonello.
In verità l’unico dipinto del messinese ad essere stato sempre incluso in un dibattito teorico generale sulla prospettiva
(ma non sulle regole prospettiche), già nella basilare La prospettiva come forma simbolica di E. Panofsky (1926), è il
San Gerolamo nello studio che però - come dedotto da G. Sgrilli (in Battisti 1985, con esiti non sempre condivisibili)
ma evidente oggi con un’analisi al computer - segue percorsi visivi molto più trasgressivi di quanto dimostri a prima
vista. In questo caso però la carica iconica del dipinto e la magica attrazione del grande spazio architettonico racchiuso
in un formato molto piccolo, hanno contribuito a rendere quest’opera unica nell’immaginario collettivo.
Di contro l’Annunciazione - un tempo relegata in secondo piano nel corpus pittorico di Antonello per via dell’informe
discontinuità figurativa - veniva travisata, fino al 2006, anche nella sua rappresentazione prospettica, benché alcune
caratteristiche intrinseche evidenti, come l’uso peculiare della cornice architettonica (fig. 4), la spiccata asimmetria del
punto principale (rispetto al formato simmetrico del quadro) e il rapporto cronologico con gli altri dipinti (la successiva
pala di San Cassiano), avrebbero potuto raccontarci, già da tempo, una “storia prospettica” ben diversa del suo autore.
Ciò che emergerebbe da una veloce analisi comparata delle opere citate non è, quindi, la necessità per il messinese di
aver acquisito a Venezia una capacità prospettica finalmente compiuta (in verità già salda in lui sin dalla stesura del
Polittico e certamente precedente), ma la sua incredibile duttilità nel creare dipinti sempre diversi, quasi dei singoli
pezzi unici apparentemente slegati tra loro, rimodulando continuamente gli elementi della visione e della percezione
tramite l’uso della prospettiva. Tuttavia la maestria prospettica del pittore non si limita alla resa delle figure umane o
degli elementi architettonici (la pedana semicircolare del Polittico, l’architrave dell’Annunciazione, l’arco e le crociere
del San Gerolamo, i caseggiati del San Sebastiano), qualità comune a quasi tutti gli artisti del periodo, piuttosto si
amplifica nell’abilità a determinare consciamente e in modo originale, attraverso la prospettiva, l’inquadratura più
adatta a fondere la narrazione emotivo devozionale con il contesto. È proprio nella capacità di “inquadrare la scena”
(come farebbe oggi un bravo fotografo) che emerge la specificità di Antonello: egli depura fino all’essenziale gli spazi
prospettici e le quinte architettoniche, riduce il numero dei personaggi del racconto e li colloca - con accorto
allestimento - in posizioni ben definite, connettendoli allo spettatore attraverso uno scambio dialogico di sguardi.
Ma insieme alla regia della scena Antonello percorre, con uguale maestria, la “meravigliosa regia dell’ombra”, una
definizione pensata per l’Annunciazione (Lucco 2006) ma estendibile, con significati più ampi e sfaccettati, all’intero
ambito del pittore: ombre proprie e portate, infatti, danno volume ai corpi, caratterizzano le architetture e
definiscono le atmosfere emozionali del racconto visivo messo in scena. Come quelle raccontate nell’avvolgente e
oscura profondità della stanza dell’Annunciazione (riscontrata nella ricostruzione planimetrica) che contrasta il
luminoso primo piano ed esalta la colonna, la cui ombra propria è scandita in pianta da una successione di angoli a
30°. E sono ancora l’ombra e la luce, nel San Gerolamo, a dare sostanza corporea al minuzioso disegno prospettico,
centrico nell’ideazione ma dissonante nello svolgimento; quella luce che investe la scena entrando da sinistra (come in
San Sebastiano, Annunciazione e Polittico ma non in San Cassiano dove proviene da destra), tanto abbacinante da
creare, per reazione, un’ombra ugualmente intensa, stemperata solo dal digradare del pavimento, il cui disegno
all’apparenza incoerente (riconducibile solo in pianta, fig. 5, al suo modulo geometrico) diventa - in profondità - un
puro oggetto luminoso. E sempre l’ombra e la luce distinguono la piazza del San Sebastiano, dove l’artista dipinge,
sulla quinta architettonica di sinistra, un controluce prodigioso dentro una prospettiva spietata, perfetta nel disegno di
dettaglio di due archi e di una lunetta in forte scorcio.
Antonello, quindi, varia costantemente e in modo sempre diverso, come pedine su una scacchiera, gli elementi della
costruzione prospettica. Di quadro in quadro, muove secondo moduli ben determinati, la posizione della linea di
orizzonte e del punto principale, quest’ultimo dalla asimmetria destra del Polittico a quella sinistra dell’Annunciazione.
Nel San Gerolamo invece, pur mantenendo la costruzione in perfetto centro, divaga lo sguardo dello spettatore grazie
ai calibrati spostamenti asimmetrici delle bifore, del montante mediano della libreria e dell’arco dello studiolo (che
inquadra sullo sfondo, in modo esatto, la finestra di sinistra).
Anche la pala di San Cassiano aveva una costruzione centrica (come denota la simmetria delle facce interne del trono)
con una linea d’orizzonte molto bassa (coerentemente riproposta dal Wilde) ma, probabilmente, Antonello vi avrà
applicato, pure questa volta, i suoi tipici disallineamenti dall’asse (già riscontrabili nel gruppo centrale), coinvolgendo
visivamente lo spettatore grazie all’incrocio di sguardi con i tre santi di sinistra: il superstite Nicola e i perduti Cecilia e,
soprattutto, Giorgio che con i luccichii dell’armatura direttamente investiti dalla luce, l’aspetto giovanile e la posa
invitante e quasi familiare, contrastava la severità del suo vicino più anziano.
Rimane sempre legittima, ovviamente, la necessità critica di capire se l’ambiente architettonico sullo sfondo della Pala
fosse, in origine, un transetto con cupola (ripreso poi da Cima, ma presente anche nella perduta pala di Vivarini già a
Berlino) come ha ricostruito Wilde con un copia-incolla decisamente poco scientifico, un vano quadrato con crociera
(come la precedente pala belliniana di Santa Caterina, bruciata nel 1867), una volta a botte con abside semicircolare
(come nella successiva pala di San Giobbe sempre di Bellini) o se, come ipotizzano molti, tutto sia partito dal modello
della pala Montefeltro di Piero della Francesca (in verità distinta dalla collocazione dei personaggi per file parallele
prima del transetto e molto diversa nell’illuminazione). Tuttavia, a prescindere dalle varie ipotesi, tutte poco
comprovabili nel campo della rappresentazione per la mancanza delle parti perdute, non è improprio azzardare che la
potenza dell’inquadratura e la “meravigliosa regia dell’ombra” possano esser stati elementi peculiari dell’opera del
messinese, il giusto collante tra una stesura pittorica di gran pregio e uno scheletro prospettico di salda costruzione;
un insieme di condizioni che impressionò a tal punto i contemporanei da divenire il paradigma stesso della perizia
prospettica antonelliana.
In conclusione, alla luce di queste brevi considerazioni è ipotizzabile che, sempre nell’ambito della rappresentazione, i
legami tra le opere di Antonello siano più finemente intrecciati di quanto sia stato finora decifrato e che, malgrado la
promozione in vita fatta da Colazio, la storia prospettica del pittore abbia ancora ulteriori margini d’interpretazione
critica. Le valutazioni letterarie di Panofsky, l’ibrido ridisegno del Wilde, le variegate esplorazioni del San Sebastiano, le
conclusioni della Sgrilli e il rilievo con mezzi informatici e manuali dell’Annunciazione sono infatti percorsi di studio
che, pur conservando singolarmente una propria validità, restano ben distinti nella loro impostazione metodologica.
Vista anche l’assoluta disattenzione posta nel tempo sul Polittico, forse sarebbe il caso di ripercorrere nuovamente
questo tema - scritto finora per somma di episodi - riprendendolo in un unico filone comparato d’indagine che filtri
ovviamente i termini già esaminati e sfrutti al meglio gli ausili informatici nel rilievo delle opere.

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