1.1 Definizione
1
Nella storia dell’umanità, diversi alcaloidi da estratti di piante sono stati
utilizzati sia come ingredienti per medicamenti che come veleni. Oggi, in
tutto il mondo, alcaloidi isolati da piante e loro derivati sintetici sono
utilizzati come sostanze medicinali per il loro effetto analgesico,
antispastico e antimicrobico.3
Recenti studi sulle attività biologiche degli alcaloidi e sul loro potenziale
terapeutico hanno portato a definirne nuove proprietà, tra cui spiccano
quelle antineoplastiche4 e immunomodulanti5.
2
1.2 Classificazione
Varie classificazioni sono state proposte per gli alcaloidi. Una delle più
popolari prevede la loro suddivisione in tre sottogruppi: alcaloidi veri,
proto-alcaloidi, pseudo alcaloidi.
Gli alcaloidi veri sono composti chimici contenenti uno o più atomi di
azoto all’interno di un anello eterociclico e derivati da amminoacidi,
soprattutto ciclici (fenilalanina, tirosina, triptofano, istidina). Ne è un
esempio la stricnina (fig.1), un alcaloide molto tossico derivato dal
triptofano ed estratto dai semi essiccati di Strycnos vux vomica (noce
vomica). I semi contengono l’1.2% di stricnina e 60 mg possono
uccidere un adulto. La stricnina agisce come potente eccitante del
sistema nervoso bloccando i recettori post-sinaptici per la glicina
(neurotrasmettitore inibitorio) e determinando convulsioni.
3
I proto-alcaloidi sono composti chimici sempre derivati da amminoacidi
ma che non contengono atomi di azoto all’interno di anelli eterociclici.
Ne sono un esempio l’efedrina (fig.2, immagine a sinistra) e la
colchicina (fig2, immagine a destra). L’efedrina è un’amina
simpaticomimetica estratta da alcune piante appartenenti al genere
Ephedra, naturale precursore delle amfetamine; derivata
dall’amminoacido fenilalanina, è utilizzata come farmaco antiasmatico e
in oftalmologia come farmaco midriatico. La colchicina, estratta dal
Colchicum autumnale (detto anche falso zafferano), per la sua capacità
di inibire la formazione del fuso mitotico è utilizzata come farmaco
antinfiammatorio nel trattamento della gotta, della febbre mediterranea
familiare e delle pericarditi.
4
(Camellia Sinensis e Theaceae), yerba mate (Ilex paraguariensis e
Aquifoliaceae), guaranà (Paullinia cupana) e cola (Cola nitida).
5
Gli alcaloidi tropanici sono alcaloidi, derivati dall’ornitina, che
presentano un doppio anello azotato. Atropina, iosciamina, scopolamina
e cocaina sono i membri più noti di questo gruppo e possiedono
numerosi effetti farmacologici. L’atropina (fig.4), forma racemica della
iosciamina, si trova in diverse piante della famiglia delle Solenaceae:
Atropa belladonna, Datura stramonius, Hyoscyamus niger. Si tratta di
un’antagonista dell’acetilcolina per i recettori muscarinici (effetto
parasimpaticolitico) ed è utilizzata come farmaco midriatico in
oftalmologia, come spasmolitico in diverse patologie quali coliche,
asma, tosse canina e come antidoto in vari avvelenamenti, tra cui quello
da gas nervino. La scopolamina, sempre ottenuta da piante della famiglia
delle Solenaceae, trova particolare utilizzo nel trattamento delle cinetosi
(mal d’auto, mal di mare). La cocaina, stimolante del SNC e sostanza
d’abuso, si ottiene dalle foglie della coca (Erythroxylum coca).
6
lisina. Igrina, cuscoigrina e putrescina sono alcuni dei membri di questo
gruppo. L’igrina(fig.5), estratta dalle foglie della coca (Erythroxylum
coca), si presenta come un olio giallognolo e denso, dal sapore e odore
pungenti; rappresenta un importante precursore di iosciamina e
scopolamina.
7
chinino(fig.6), estratto dalla corteccia dell’albero della china (Chincona
succirubra) e isolato per la prima volta nel 1817, è un alcaloide dalle
proprietà analgesiche, antipiretiche e antimalariche; efficace contro le
quattro specie del plsmodium, è stato il farmaco principalmente usato per
la cura della malaria fino alla scoperta della clorochina. La chinidina,
stereoisomero del chinino, è utilizzata come farmaco antiaritmico di
classe IA della classificazione di Vaughan Williams. La camptotecina,
estratta dalla corteccia di Camptotheca acuminata, è un importante
farmaco antineoplastico, attivo nella inibizione della topoisomerasi I ed
efficace nel carcinoma polmonare a piccole cellule, nel carcinoma
ovarico e nel carcinoma della cervice uterina.
8
abbondante dei cinquanta alcaloidi ivi presenti. La codeina è utilizzata,
invece, come farmaco antitussivo.
9
Un esempio di alcaloide fenetilisochinolinico (al cui interno è presente
un anello tropanico) è dato dalla colchicina (fig.2).
10
e dalla prolungata immersione in acqua. Sono caratterizzati da una
spiccata azione antimicrobica.
11
antipsicotica, la seconda è inscritta tra i farmaci antiaritmici di classe IA.
Vinblastina e vincristina, alcaloidi estratti dalle foglie della Vinca rosea
(Catharanthus roseus), appartenente alla famiglia delle Apocynaceae,
sono utilizzati come farmaci antineoplastici; chiamati veleni del fuso per
la loro capacità di causare la depolimerizzazione dei microtubuli del fuso
mitotico, sono molto efficaci nel trattamento di leucemia e linfoma di
Hodgkin.
12
sinaptici a livello della giunzione neuromuscolare e determinando
paralisi muscolare e morte per asfissia. Celebre vittima ne è stato
Socrate. La lobelina, estratta dal Tabacco indiano (Lobelia inflata), è
utilizzata nel trattamento delle dipendenze da sostanze d’abuso per la sua
capacità di inibire il reuptake di dopamina e serotonina.
13
parasimpaticomimetica, agendo principalmente sui recettori muscarinici
per l’acetilcolina.
14
2. Alcaloidi e funzione tiroidea
Tra gli alcaloidi vi sono delle sostanze che possono interferire con la
funzione della tiroide, in particolare con la sintesi degli ormoni tiroidei,
il che comporta il rischio di sviluppare il gozzo o alterazioni della
funzionalità come l’ipotiroidismo; questo si evince da vari studi in vivo e
in vitro.
15
T3). Il processo idrolitico provoca anche il rilascio di moniodo- e
diiodotirosina (MIT e DIT) che sono ulteriormente metabolizzate dalle
iodotirosina dealogenasi (DHEAL) per consentire il riciclo dello ioduro.
Tutti questi passaggi sono sotto il controllo del TSH attraverso il
recettore del TSH (TSHR). 7
16
Fig. 14 Illustrazione schematica della sintesi degli ormoni tiroidei
la funzione tiroidea
17
determinarne una successiva inibizione, probabilmente per l'effetto
citotossico di questo composto, come dimostrato dai cambiamenti
ultrastrutturali osservati nei tireociti (cellule follicolari disorganizzate
con nuclei ipercromici rimpiccioliti, dilatazione estesa delle cisterne del
reticolo endoplasmatico ruvido, riduzione in numero e dimensioni di
granuli secretori, vescicole secretorie e materiali colloidi; Fig.15)8 e dai
segni di degenerazione mostrati dalle cellule C parafollicolari.
Fig.15 (A) Fotografia al microscopio elettronico della ghiandola tiroidea dei ratti di
controllo che mostra numerosi follicoli sani di grandi dimensioni (HF), ognuno dei
quali è rivestito da un singolo strato di grandi cellule epiteliali cuboidali (CE) con
orientamento regolare del nucleo, rotondo, prominente e situato verso la membrana
18
basale e contiene abbondanti materiali colloidali(CM); (B) Trattamento con
arecolina che mostra un aumento del numero di follicoli disorganizzati (DF), di
forma irregolare con dimensioni cellulari ridotte (CS) e nuclei picnotici distribuiti in
maniera random;
19
La doppia azione dell'arecolina sull'attività tiroidea dipende
dall’ampiezza dell’effetto tossico di questo composto, perché l'arecolina
in trattamento acuto (20-40 min) è meno tossica rispetto al trattamento
cronico (15 giorni). L’effetto tossico dell’arecolina nel primo trattamento
(cioè in singola dose di 10 mg / Kg e in brevissimo tempo: 40 min)
probabilmente non è forte abbastanza da causare degenerazione della
tiroide, osservata invece nel trattamento cronico (cioè in dosi elevate a
10 mg / Kg per 15 giorni).
20
sono meno intense. Ciò è dovuto al fatto che un'importante risposta
adattativa alla denutrizione è rappresentata dalla soppressione della
funzione tiroidea, che si estrinseca con l’abbassamento dei livelli di TSH
e che ha la finalità di ridurre il rate metabolico e offrire maggiori chances
di sopravvivenza. Così lo stress nutrizionale sembra agire sull'asse
ipofisi-tiroide attraverso meccanismi diversi da quelli dello stress
osmotico (stress nutrizionale = abbassamento dei livelli di TSH, stress
osmotico = aumento dei livelli di TSH; entrambi gli stress determinano
riduzione di T3 e T4, il primo però per soppressione dell’attività tiroidea,
il secondo per degenerazione strutturale; su entrambi gli stress
l’arecolina agisce aggravando l’ipotiroidismo). Ne consegue che in un
soggetto affetto da ipotiroidismo il consumo di noci di betel sia
assolutamente sconsigliato.
21
L'armina, alcaloide presente in diverse piante medicinali, si è
dimostrata11 un efficace inibitore dell'attività della perossidasi di rafano
con una IC50 (concentrazione inibente il 50% del bersaglio enzimatico)
di 141,4 μM. Ciò probabilmente è dovuto alla sua struttura chimica,
caratterizzata da un anello ciclico benzenico. La modellizzazione
molecolare, tramite programma AutoDock Vina, ha permesso di
analizzare le diverse interazioni e i meccanismi di inibizione della
perossidasi di rafano e la possibile applicazione sulla tireoperossidasi
umana.
22
Fig.16 Modellizzazione dell’interazione tra armina e TPO
Studi più recenti13 hanno però destato dubbi sulla possibilità dell’utilizzo
della piperina quale sostanza antitiroidea. La somministrazione di una
bevanda a base di pepe nero (con la scopo di valutare le possibili
variazioni sui valori di glicemia post-prandiale, ormoni tiroidei, sostanze
attive intestinali, senso di appetito), nella ricerca sulla prevenzione e sui
potenziali trattamenti di sovrappeso e obesità, ha portato alla conclusione
che sebbene vi sia un effetto di diminuzione del senso di appetito,
tuttavia, non vi sono altre significative modifiche dei parametri in
osservazione. Che questo effetto (o non effetto) sia imputabile, tra i vari
23
composti presenti nel pepe nero, anche alla piperina è altamente
probabile; però, a seguito delle metodiche utilizzate (tempi e temperatura
di estrazione), non è stato possibile estrarre e identificare tale sostanza
dalla bevanda, motivo per cui i risultati non possono considerarsi in tal
senso esaustivi.
24
Nei ratti adulti, invece, l'iniezione acuta di caffeina determina a 6 ore una
diminuzione dei livelli di TSH e degli ormoni tiroidei (tale risultato
viene meno se preceduto da somministrazione di siero anti-
somatostatina, il che suggerisce che l'effetto della caffeina sul rilascio di
TSH sia mediato dalla somatostatina derivata dall'ipotalamo); a 7 giorni
non vi è più alcuna correlazione tra caffeina e livelli di TSH, per un
probabile meccanismo di tolleranza. L’evidenza di ciò nell’uomo appare
più complessa ma sembra comunque puntare sul medesimo risultato: la
somministrazione di dosi in acuto di caffeina in un soggetto che beve da
1 a 3 tazzine di caffè al giorno non determina nessun cambiamento nei
livelli di TSH e degli ormoni tiroidei.
25
adiposo bruno (BAT), nel cuore e nei testicoli, con livelli di TRH e TSH
più bassi.
Infine, nei ratti adulti16, nessun effetto della nicotina è stato osservato
sulla sintesi e sul metabolismo degli ormoni tiroidei; con un’infusione di
2 mg/Kg di nicotina per 7 giorni, non si è avuto alcun effetto sulle
concentrazioni sieriche di T4, T3, TSH e sull’attività della deiodinasi
epatica sia nei ratti eutiroidei che in quelli subclinicamente ipotiroidei o
tiroidectomizzati).
Anche in vitro, nei follicoli tiroidei suini coltivati17, alle dosi di 0-200
μmol/L di nicotina, non vi è stato alcun cambiamento nel trasporto dello
ioduro e nella sintesi degli ormoni tiroidei.
26
3. Alcaloidi e autoimmunità tiroidea
27
Sono causate da una disregolazione del sistema immunitario, perdita
della tolleranza immunologica e conseguente risposta immunitaria
(cellulare e umorale contro gli antigeni della ghiandola tiroidea) con
infiltrazione reattiva di cellule T e cellule B, produzione di autoanticorpi
e, successivamente, sviluppo di manifestazioni cliniche. L'infiltrazione
linfocitica provoca danni ai tessuti e altera la funzione della ghiandola
tiroidea. La lesione si provoca quando gli autoanticorpi e/o le cellule T
sensibilizzate reagiscono con le cellule tiroidee provocando la reazione
infiammatoria e, in alcuni casi, la lisi cellulare.
28
attivatori della cascata pro-infiammatoria, oltre a stimolare la formazione
di centri germinali all’interno della tiroide.18
29
Altre manifestazioni autoimmuni tiroidee sono rappresentate dalla
Tiroidite Linfocitica sub-acuta (tiroidite autoimmune associata a
eccessiva assunzione di iodio), dalla Tiroidite Post-partum (a esordio
entro un anno dal parto) e dalla Tiroidite sub-acuta di De Quervain
(tiroidite autoimmune secondaria a infezioni virali); tutte e tre, nella
maggior parte dei casi presentano un caratteristico decorso trifasico, con
una fase ipertiroidea cui ne segue una ipotiroidea e, infine, un recupero
della funzionalità con eutiroidismo.
30
trattamento delle malattie autoimmuni tiroidee, il che potrebbe presto
portare al loro utilizzo nella pratica clinica.
31
IC50 approssimativo di 0,08 mM. I test in vivo, iniettando cefarantina
nei ratti per via intraperitoneale e analizzando poi gli splenociti per
valutare la mancata riposta di attivazione delle cellule T a Tg.2098
umana, hanno confermato i risultati.
32
neuromuscolari, nelle cellule del sistema immunitario compresi i
linfociti T CD4, le cellule dendritiche e i macrofagi. La nicotina è stata
utilizzata con successo in ratti con encefalomielite autoimmune
sperimentale; tuttavia, non può essere utilizzata negli esseri umani,
perché crea dipendenza, è tossica e ha un’emivita plasmatica di sole tre
ore.
33
colinergico dell'infiammazione. L'attivazione del recettore nei linfociti,
nelle cellule dendritiche e nei macrofagi ha dimostrato di sopprimere la
traslocazione nucleare di NF-β, indotta dal TNFα, bloccando la cascata
pro-infiammatoria. La riduzione di IL-18 (membro della famiglia IL-1,
prodotto da macrofagi attivati e stimolante la produzione di interferone)
si traduce in una diminuzione della generazione di risposte patogene di
tipo Th1. La stimolazione in vitro, poi, di una linea cellulare di
macrofagi con interferone e anatabina ha portato ad osservare una ridotta
quantità di ossido nitrico-sintasi inducibile e della ciclo-ossigenasi tipo
2.
34
apparentemente non tossico capace di migliorare i quadri di tiroidite
autoimmune sperimentale riducendo la risposta Th1 e il rilascio di TNF-
α.18
35
Fig.17 . Alcuni dei risultati dello studio 18 su MYMD-1 . (A e B) Gravità e incidenza
della tiroidite valutate all'istopatologia, in trattamento con acqua non iodata. (C)
Una tiroide di ratto nel gruppo non trattato con NYMD-1, con punteggio di gravità
2. (D) Una tiroide di ratto nel gruppo trattato con MYMD-1, con conservazione dei
follicoli tiroidei e dimensione complessiva normale, punteggio di gravità 0. (E e F)
Incidenza e gravità della tiroidite valutate all'istopatologia, in trattamento con
acqua iodata. (G) Una tiroide di ratto nel gruppo non trattato con MYMD-1, con
severa infiltrazione linfocitica, ingrossamento follicolare e sovvertimento
dell'architettura, punteggio di gravità 4. (H) Una tiroide di ratto nel gruppo trattato
con MYMD-1, punteggio di gravità 2.
36
A modelli murini di GD (generati immunizzando ratti con adenovirus
che esprimono la subunità A del TSHR) e modelli murini di HT (NOD
H-2h4) è stato iniettato per via intraperitoneale alofuginone e ioduro di
sodio; attraverso, poi, citometria a flusso, sono state misurate le cellule
Th17, Treg e Breg e, attraverso real time-PCR, sono stati misurati i
livelli di mRNA di IL-17, forkhead box P3-Foxp3( fattore di
trascrizione espresso dai linfociti Treg per il controllo della risposta
immunitaria e la tolleranza immunologica), RORγt (uno dei regolatori
principali dello sviluppo delle cellule Th17) e IL-10. 22
Infine, gli alcaloidi contenuti nel cumino nero (Nigella Sativa), pianta
originaria del Medio Oriente e appartenente alla famiglia delle
Ranunculaceae, sono stati indagati come possibili sostanze coadiuvanti
nel trattamento delle AITD, in particolare nel controllo dell’omeostasi
glucidica, lipidica e dei parametri antropometrici dei soggetti affetti da
TH.
37
La tiroidite di Hashimoto è, difatti, associata a ipercolesterolemia e a
marcato aumento delle lipoproteine a bassa densità (LDL), a causa della
ridotta clearance frazionaria delle LDL da parte di un numero ridotto di
recettori LDL nel fegato; questa dislipidemia rappresenta un potente
fattore di rischio di eventi cardiovascolari e infarto miocardico, oltre di
diabete mellito non insulino-dipendente ( ciò probabilmente per gli
effetti diretti delle citochine pro-infiammatorie nello sviluppo di
insulino-resistenza e nel deterioramento della funzione β-cellulare del
pancreas).
Tali effetti sono giustificati dal fatto che Nigella sativa è nota per la sua
capacità di rendere le cellule epatiche più efficienti nel rimuovere LDL
dal sangue, aumentando le densità dei recettori LDL nel fegato. Tuttavia,
nonostante non se ne siano registrate variazioni nella concentrazione
sierica (probabilmente per le ridotte dimensioni dello studio), si pensa
che ci sia una potenziale connessione tra Nigella sativa e Nesfatina-1,
ormone anoressigeno espresso da diverse regioni dell'ipotalamo e tessuti
periferici e correlato negativamente all'obesità e all'insulino-resistenza.
38
Ulteriori studi potranno essere utili per confermare tale associazione,
rendendo Nigella sativa un potenziale strumento terapeutico nelle AITD.
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