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DISPENSA INFERMIERISTICA OSTETRICO-GINECOLOGICA aa 2020/2021 (CORRADO)

L’OSTETRICA: Secondo l’art.1 del profilo professionale l’ostetrica è la professionista abilitata a tale lavoro in seguito a
conseguimento della laurea triennale di primo livello e iscrizione all’albo che le permettono di assistere e consigliare la
donna durante gestazione, durante il parto e nel puerperio. Conduce e porta a termine parti eutocici e presta
assistenza al neonato. Tale figura professionale ha ruolo educativo anche a livello collettivo. E’ responsabile della
preparazione psicoprofilattica al parto, alla prevenzione e accertamento di tumori della sfera genitale femminile.
L’ostetrica si occupa inoltre della preparazione del personale di supporto. Deve inoltre essere in grado di rilevare
situazioni rischiose che richiedono intervento medico. E’ responsabile dell’esecuzione di manovre d’emergenza.
Si è soliti utilizzare i termini gestazione e gravidanza come sinonimi, ma in realtà si riferiscono a due concetti differenti:
con gestazione si intende il periodo che va dal concepimento (momento in cui l’embrione inizia a svilupparsi) alla
nascita del bambino, mentre con il termine gravidanza si definisce quel lasso di tempo che va dal primo giorno in cui
sono comparse le ultime mestruazioni al parto (cioè tutto il periodo in cui le mestruazioni sono assenti).
Una gravidanza si definisce a termine tra la 37a e la 42a settimana: una gravidanza che termina prima della 37a
settimana si definisce pretermine, quella che si protrae oltre la 42a settimana viene definita post-termine. La datazione
comincia dal primo giorno dell’ultima mestruazione e viene divisa in 3 trimestri.
Gestazione: E’ il periodo scaturito dal momento del concepimento (inteso come primo giorno dell’ultimo ciclo) durate
il quale l’embrione si accresce e si sviluppa nell’utero materno. Embrione: E’ il prodotto del concepimento umano fino
alla 10 settimana di gestazione (8 settimana dopo il concepimento). Solo con ecografa possiamo definire le settimane
di gestazione, poiché si analizzano le dimensioni del feto.
Feto: E’ il prodotto del concepimento dalla 10 settimana di gestazione fino al parto. Vitalità: E’ la capacità del feto di
vivere. Viene valutata a partire dalla 24esima settimana di gestazione.

Al giorno d’oggi la diagnosi di gravidanza è possibile già qualche giorno dopo l’impianto (10-14 giorni dopo
l’ovulazione) attraverso il rilievo della gonadotropina corionica umana (hCG), prodotta dal trofoblasto, nelle urine o nel
sangue della madre: si tratta di un test molto sensibile e affidabile radioimmunologico e colorimetrico, che utilizza
anticorpi monoclonali contro la hCG.
Esame obiettivo in seguito a diagnosi di gravidanza
E’ importante raccogliere l’anamnesi ostetrica ed eseguire esame fisico con ispezione, palpazione, auscultazione ed
esplorazione vaginale.
1.3 Educazione ed interventi della salute
• Educazione alla gestione del dolore:
I principali disturbi algidi che possono interessare la donna in gravidanza sono dolori alla schiena, crampi alle gambe, e
dolore al seno che variano in base al progredire della gravidanza. Interventi assistenziali atti alla gestione di tale dolore
prevedono l’educazione alla donna al fine di usare correttamente ausili e tecniche di postura, scegliere un
abbigliamento confortevole, scarpe basse. Insegnare alla donna esercizi di dondolamento pelvico, evidenziare
l’importanza di ritagliare intervalli di riposo in cui la donna è distesa con le gambe sollevate, sottolineare l’importanza
dell’assunzione del calcio per eliminare i crampi alle gambe. In caso di crampi è necessario esplicare alla donna come
risolvere il dolore flettendo dorsalmente la gamba ed esercitando pressione sopra il ginocchio per raddrizzare la
gamba. Evidenziare l’importanza dell’uso di un reggiseno adeguato e confortevole. Educare infine la donna all’igiene e
cura delle mammelle che devono essere lavate con acqua calda e applicando creme o olii idratanti.
• Educazione all’alimentazione in gravidanza
Durante la gravidanza spesso le donne possono andare incontro ad un’alimentazione sbilanciata, inferiore al
fabbisogno nutrizionale necessario a causa della nausea, pirosi e scarse conoscenze dei bisogni nutritivi in gravidanza.
Evidenziare l’importanza di mangiare poco ma frequentemente, evitando di assumere cibo rapidamente. Esplicare
l’importanza di passare lentamente dalla posizione supina a quella ortostatica. Evidenziare la possibilità di usare
antiacidi evitando il bicarbonato di sodio che può causare ipertensione. Insegnare a gestire tali sgradevoli sintomi
evitando odori forti.
La qualità dell’alimentazione durante la gravidanza influenza la salute della gestante e del nascituro. La dieta deve
essere ricca di proteine contenute in latte e latticini ce contengono inoltre calcio, fosforo e vit A. E’ importante
assumere acidi grassi e amminoacidi, ferro mediante pesce, uova e carne. Le vitamine sono invece contenute negli oli
vegetali. Devono essere assunti anche frutta e verdura ricche di fibre e vitamine. Da moderare l’assunzione di zuccheri.
Assumere almeno 2 l di acqua al giorno. Evitare alcol, sostanze eccitanti e alimenti contenenti ingredienti che possano
provocare reazioni allergiche come crostacei, fragole, ciliegie, albicocche. EVITARE alcol e fumo-> molto importanti da
evitare poiché portano ad avere un bambino più piccolo del normale (2-2,2 Kg) poiché il fumo e l’alcol passano nella
placenta e il bambino assorbendoli non riesce a crescere in maniera adeguata. EVITARE se si hanno allergie crostacei,
latto e derivati, molluschi e le fragole-> farle mangiare al bambino dopo i 2-3 poiché portano facilmente allergia.
• Educazione ai disturbi intestinali
Durante la gravidanza può manifestarsi stipsi a seguito della pressione esercitata dall’utero e per i cambiamenti
fisiologici in atto. Per questo motivo è necessario educare la gravida ad assumere almeno 2 l di acqua al giorno e
assumere alimenti ricchi di fibre come orzo, lenticchie, carciofi, fagioli, pane integrale, piselli.
• Educazione alla stanchezza (esercizio fisico, lavoro, …)
Al fine di garantire il corretto riposo della donna durante la gravidanza è importante stabilire orari dediti al riposo. Nel
primo trimestre di gravidanza l’eccessiva stanchezza è causata dall’aumento del progesterone mentre nel secondo
trimestre è associata all’aumento di peso. E’ necessario che la donna riposi almeno 8h al giorno. Evidenziare la
possibilità di ottimizzare il riposo mediante il posizionamento di un cuscino sotto la pancia. Evidenziare la necessità di
riposare almeno 15-30 min durante il giorno. Favorire la posizione di decubito laterale sinistro per favorire la
perfusione placentare.
Esercizio fisico-> le donne già allenate a una attività aerobica possono continuare a praticarla; donne abituate ad una
vita sedentaria possono praticare una attività fisica moderata (come camminare o nuotare). Sono sconsigliabili attività
che comportino il rischio di traumi in generale (sciare) o con ripercussione diretta sul bacino (andare in motorino). In
caso di complicazioni della gravidanza (ipertensione, gravidanza multipla, minaccia di aborto o di parto pretermine) è
consigliabile stare a riposo
Lavoro-> l’astensione al lavoro è obbligatoria 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo il parto. In casi
selezionati 1 mese prima e 4 mesi dopo il parto.
• Igiene e comfort
Igiene→ In gravidanza è necessario seguire particolari norme igieniche per mantenere un adeguato stato psicofisico. E’
importante eseguire un bagno caldo quotidianamente con temperatura dell’acqua di 30-35°.I capelli possono essere
lavati ogni qualvolta lo si desideri. E’ importante evitare tinture con ammoniaca che possono essere tossiche per il feto
o scatenare dermatiti. E’ possibile fare la permanente. La gravidanza non è una controindicazione alle cure
odontoiatriche o all’esecuzione di un’anestesia locale. E’ importante assumere fluoro attraverso gli alimenti per
proteggere i denti del feto. Per l’igiene della mammella è sufficiente un’accurata igiene con acqua. Si sconsiglia
l’utilizzo di saponi, unguenti, pomate e soluzioni antisettiche e detergenti: queste sostanze, infatti, potrebbero irritare
la pelle e conferire al capezzolo un odore ed un sapore sgradevole durante l’allattamento
Vestiario→ L’intimo deve essere di materiale organico e l’abbigliamento confortevole, evitando ostruzioni. Il reggiseno
non seve comprimere la mammella ma sostenerla; indossare intimo bianco e di cotone per evitare allergie. Le scarpe
devono essere comode, non alte e che garantiscano la traspirazione. Sono controindicati i vaccini contro poliomielite e
febbre gialla. Possono essere eseguiti vaccini contro epatite b e tetano.
• Educazione all’assunzione di farmaci
alcuni farmaci riescono a superare la placenta e possono portare a delle alterazioni soprattutto gli antidepressivi.
L’unico farmaco che la donna può prendere anche 3 al giorno è la Tachipirina, infatti è definito come il salvavita delle
donne in gravidanza; l’OKI e l’Aulin molto raramente; anche i vaccini e preferibile evitarli durante la gravidanza.

Esami diagnostici ed ematici in gravidanza


La diagnostica neonatale è una branca della medicina che si occupa di diagnosticare precocemente patologie fetali con
l’obiettivo di fornire informazioni dettagliate in merito ai rischi di patologie genetiche cui va incontro il feto di una
coppia di neogenitori a rischio. Occorre quindi informare i neogenitori dell’esistenza di test specifici e mirati alla
diagnosi precoce di anomalie congenite. Qualora possibile, occorre trattare una patologia fetale e offrire supporto post
natale in caso di neonato con anomalie congenite.
La diagnostica neonatale può essere invasiva o non invasiva.
➢ Diagnostica neonatale non invasiva: l’ecografia rappresenta il test cardine della diagnostica neonatale non
invasiva. Permette di rilevare un elevato numero di anomalie e malformazioni su diversi distretti corporei del feto.
La gestante nelle prime settimane di gravidanza verrà sottoposta ad un’ecografia transvaginale: è molto utile come
esame perché ci permette di avere la data esatta di partenza della gravidanza. Di norma si prende come punti di
riferimento l’ultima volta che la gestante ha avuta il ciclo, però potrebbe succedere che la fecondazione non sia
avvenuta proprio in quel giorno ma nei giorni successivi. Grazie quindi a questa ecografia noi riusciamo a stabile il
momento esatto del concepimento andando a misurare la grandezza del feto, dove il genere possiamo riscontrare
massimo 2-3 settimane di differenza rispetto all’ultima mestruazione. In questo modo avremo due date-> una
ecografica (a cui faremo riferimento durante le prossime ecografie) e una mestruale. Le altre ecografie a cui la
gestante dovrà essere sottoposta saranno tutte sovrapubiche.
Bisogna ricordarci che tra queste due ecografie abbiamo un’altra ecografia da fare che è molto importante, ovvero
l’ecografia morfologica-> è un’ecografia sovrapubica non invasiva, che viene effettuata alla 23° settimana, dove
andiamo a studiare tutti gli apparati del feto, sia dal punto di vista morfologico che anatomico. Viene effettuata in
questo periodo poiché tutti gli organi si sono formati e possono essere studiati in maniera adeguata. È un’ecografia
molto temuta perché possono essere diagnosticate delle malformazioni al feto
che possono essere compatibili o incompatibili con la vita e quindi bisognerà valutare la necessità o meno di effettuare
un parto abortivo.
Durante le prime ecografie, tra l’11a e 14a settimana, bisogna andare a valutare la presenza della cosiddetta plica
nucale, attraverso la Translucenza nucale, è un test di screening che valuta il rischio di anomalie cromosomiche
durante i primi stadi di vita fetale. Statisticamente parlando, l'interpretazione dei risultati della translucenza nucale
permette di identificare il 75-80% dei feti colpiti da sindrome di Down. Oltre ad indicare un rischio di malattie
cromosomiche, consente di quantificare la probabilità che il feto sia portatore di alcune
malformazioni scheletriche. Quando si parla di translucenza nucale, è importante ricordare che stiamo sempre e
comunque parlando di un test di screening, e non di un esame diagnostico vero e proprio. Il risultato dell'esame,
quindi, non ci dice se il feto è sano o malato, ma solamente le probabilità che lo sia. Non implica necessariamente che
il feto sia affetto da malattia; piuttosto, impone ulteriori accertamenti diagnostici, che si
realizzeranno tramite l'esame cromosomico su cellule fetali come villocentesi o amniocentesi. In corrispondenza
dell’80% di probabilità di rischio è necessario effettuare il DUO TEST, ovvero, un prelievo ematico per il dosaggio di F
BETA-HCG, e una proteina PAPP-A. Un aumento della β-hCG ed una diminuzione della PAPP-A nel sangue venoso
materno, sono considerati indice di un aumentato rischio di Sindrome di Down o altre malattie più rare come la
trisomia 18 o sindrome di Edwards.

➢ Diagnostica neonatale invasiva


Amniocentesi → è un esame consigliato alle donne ed è gratuito per quelle che hanno un’età superiore a 35 anni. È un
esame effettuato tra la 16a e la 18a settimana. Consiste in un prelievo di liquido amniotico (20-40 ml) attraverso
l’introduzione di un ago, sotto guida ecografica, nella parete addominale. Ci permette di valutare la
presenza di malattie genetiche e cromosomiche, soprattutto la presenza della trisomia 21. Può provocare aborto
spontaneo, infezione del feto, errore nei risultati o nell'interpretazione degli stessi. Il risultato si ha entro 2-3
settimane. Ad oggi però non viene molto usato.
ASSISTENZA INFERMIERISTICA DURANTE AMNIOCENTESI: Al fine di tranquillizzare la gravida, è necessario esplicare
l’importanza del prelievo e le modalità con cui esso verrà eseguito. Accertarsi che sia stato firmato il consenso
informato. Aiutare la pz a distendersi ponendo un cuscino sotto la testa. E’ utile insegnarle tecniche di respirazione
profonda per garantire maggiore rilassamento. Far rispettare il tempo necessario affinché l’anestetico locale faccia
effetto prima di procedere al prelievo. In accordo con i protocolli vigenti, occuparti di reperire un accesso venoso per
garantire l’introduzione dei liquidi persi. Sotto prescrizione medica somministrare farmaci (ritrodina)per evitare parti
prematuri in caso di 22-37 settimana gestazionale. Per garantire la sicurezza del feto esplicare l’importanza di svuotare
la vescica prima dell’esecuzione del test se viene eseguito dopo la 20 settimana. Prima di tale periodo gravidico invece
la vescica deve essere piena. Rilevare i PV della gravida prima e dopo l’esecuzione del test. Eseguire per 20 min un
tracciato della frequenza cardiaca fetale per scongiurare complicanze. Accertarsi che la donna non presenti segni tipici
del travaglio prima e dopo l’esecuzione del test. Educare la donna a comunicare eventuali sintomi come
sanguinamenti, febbre, forti crampi.

Villocentesi → è un esame consigliato alle donne ed è gratuito per quelle che hanno un’età superiore a 35 anni. È un
esame effettuato tra la 10a e 11a settimana. Per la sua corretta esecuzione la donna deve essere una posizione
litotomica; consiste nell’introduzione di un catetere nella vagina fino a raggiungere utero, dove poi si va ad aspirare o
tagliere una porzione di coriale. Ci permette di valutare la presenza di malattie genetiche e cromosomiche, soprattutto
la presenza della trisomia 21. Può provocare la lesione della membrana e quindi indurre ad un aborto spontaneo. Il
risultato si ha entro 45 giorni. Ad oggi non è molto usata. Complicanze associate a tale test sono la rottura della
placenta, infezioni intrauterine, aborto spontaneo, ematoma. L’incidenza di aborti è pari al 2-5%.
ASSISTENZA INF/OSTETRICA DURANTE VILLOCENTESI: E’ necessario rilevare i PV prima e dopo l’esame. Esplicare
l’esecuzione del test e la sua importanza per tranquillizzare la donna. Accertarsi che abbia firmato il consenso
informato. Invitarla a svuotare la vescica. Spiegare alla donna come sia normale che dopo l’esecuzione dell’esame vi
sia una piccola perdita ematica. In caso di emissione di coaguli o di eleate quantità di sangue è fondamentale
contattare subito l’ostetrica. Evidenziare la necessità di rispettare il riposo dopo l’esecuzione dell’esame.
Siccome queste due procedure possono in alcuni casi portare a delle conseguenze, si preferisce effettuare un altro
esame definito Prenatal Safe-> è un esame a pagamento (700-800 euro) e si esegue tra la 12a e 13a settimana e
consiste in un prelievo di sangue dove viene fatta una sorta di mappatura genetica. Con questo esame quindi andiamo
ad evitare la rottura della membrana oppure il rischio di infezioni.
Ricorda-> questi esami ci permettono di valutare solo la possibile presenza di malattie genetiche non la morfologia
degli organi del feto, quindi e fondamentale eseguire insieme a questi test anche l’ecografia morfologica; poiché può
capitare che dal punto di vista genetico non ci siano problematiche, ma dal punto di vista morfologico invece ci siano
delle alterazioni.

IL TRAVAGLIO
Il travaglio consiste in una serie di contrazioni dolorose, ritmiche e progressive (regolari ogni 5 min per almeno 30 min
consecutivi) che determinano lo spianamento e la dilatazione del collo dell’utero. Il travaglio si distingue in due fasi:
una fase attiva, caratterizzata da contrazioni regolari, preceduta da una fase latente in cui le contrazioni uterine sono
irregolari e di intensità variabile e determinano l’ammorbidimento della cervice. Con il progredire del travaglio e quindi
della dilatazione cervicale, le contrazioni acquisiscono frequenza e intensità sempre maggiori.
I periodi del parto si verificano con tempi diversi tra nullipara e pluripara:
• nelle nullipare, il travaglio di norma dura 6-8h ma può protrarsi fino a 12h;
• nelle pluripare il travaglio in media dura 2-3h e può prolungarsi per massimo 6h.

INIZIO DEL TRAVAGLIO (PERIODO PRODROMICO)


L’infermiere è responsabile della valutazione delle condizioni della gestante, che ha inizio in concomitanza con l’inizio
del travaglio. Un adeguata valutazione richiede la presentazione dell’infermiera alla gestante. E’ necessario guardarla
negli occhi e tranquillizzarla. Chiederle il nome del medico che la segue. Chiedere e rispondere a qualsiasi dubbio o
preoccupazione. Cominciare con la raccolta di informazioni chirurgiche, cliniche e ostetriche. Interrogare la pz per
controllare la veridicità delle informazioni contenute nel foglio di accettazione. Riassumere la sua anamnesi remota, in
merito al numero di precedenti gravidanze, se vi sono già state delle gravidanze la donna è più
tranquilla, mentre se è la prima bisogna rassicurarla di più. Chiedere il peso dei bambini avuti precedentemente, è
importante saperlo perché il peso incide sulla dilatazione, ma soprattutto per farsi un’idea se il bambino riuscirà o
meno a passare (se il primo figlio pesava 3,5 kg e quello attuale circa 3,2kg, sicuramente passa, ma se dovesse pesare
superiore ai 4 kg, allora ci potrebbero essere dei problemi). Valutare se la donna è stata sottoposta, nei
parti precedenti, a un cesareo. Chiedere se le gravidanze precedenti siano state fisiologiche o patologiche (presenza di
ipertensione o diabete). Interrogare la gravida circa il decorso dell’attuale gravidanza. Raccogliere dati in merito alle
contrazioni, quindi a che rora sono iniziate, con che frequenza si presentano, la loro intensità e durata, possibili
sanguinamenti, rottura delle acque, colore del liquido perso. Confermare mediante palpazione la presenza di
contrazioni. Valutare il livello di sopportazione al dolore della pz e chiederle se ha partecipato a corsi per la
preparazione al parto. Chiederle quando ha mangiato e bevuto l’ultima volta, e se ha assunto farmaci. Durante il
travaglio viene compilato il partogramma, un grafico relativo all’andamento del travaglio che valuta la dilatazione
cervicale, lo stato delle membrane, la p.a. della donna, la posizione della testa del feto rispetto al canale del parto,
battito cardiaco di madre e feto, colore del liquido amniotico, descrizione delle contrazioni. La compilazione del grafico
associata a visita vaginale deve essere eseguita ogni 2h per poter individuare precocemente segni di complicanze
associate al parto.
A questo punto risulta necessario rilevare i parametri di base della madre e del feto. Qualora la tc>37,5 si prospetta un
infezione o la disidratazione. La fc aumenta durante le contrazioni per poi stabilizzarsi. Una lieve tachicardia
(fc>60/100) indica emorragie in atto, assunzione di farmaci i o stupefacenti. Anche la fr aumenta durante il travaglio,
senza superare però i 22-26 atti/min. La pressione aumenta per lo stress del travaglio. Valori >160 mmHg richiedono
un trattamento medico immediato per evitare convulsioni. Utilizzare monitor di base per rilevare i parametri vitali per
almeno 30 min. Eseguire esame completo analizzando anche i rifletti della pz. Eseguire esame delle urine. Andiamo a
valutare
anche tutti gli esami che sono stati effettuati-> amniocentesi; esami del sangue, non più vecchi di 30 giorni, soprattutto
l’esame del gruppo sanguigno; valutiamo ECG, per capire se il cuore funziona in maniera adeguata, se la cardiopatia è
importante si evita di fare l’anestesia generale e si preferisce l’epidurale; valutiamo i farmaci che assume la paziente;
valutiamo la curva glicemica, effettuata intorno la 16a settimana.

PRIMO STADIO DEL TRAVAGLIO, FASE DI TRANSIZIONE (PERIODO DILATANTE)


La durata del travaglio intercorre dalla comparsa di contrazioni regolari fino all’espulsione del feto.
Durante la prima fase del travaglio, definita attiva e di transizione, è necessario monitorare i PV della donna,
supportare e coinvolgere la donna, incoraggiarla a cambiare posizione per ottenere sollievo, aiutarla a controllare il
dolore con tecniche di rilassamento e di respirazione profonda, eseguire un massaggio a schiena, gambe e spalle se
necessario. Qualora le condizioni prevedano la necessità di analgesia o anestesia, l’infermiera si occupa di valutare
mediante i dati i cartella se vi sono allergie note, monitorare i PV materni e fetali, confrontare le condizioni cliniche
rilevate anche con anestesista e ostetrica, reperire accesso venoso per la somministrazione della terapia prescritta dal
medico, cateterizzare la pz, aiutare la donna ad assumere la posizione di decubito laterale, controllando che non vi
siano cali
pressori in clinostatismo e supportare la donna durante l’esecuzione dell’anestesia. Dopo di che monitorare ancora i
PV in caso di possibili complicanze, valutare possibili reazioni allergiche con prurito disseminato, valutare la presenza
di nausea, cefalea e vomito.
Per alleviare il dolore tipico di tale fase è importante rassicurare la pz, renderla partecipe delle procedure,
incoraggiarla a respirare profondamente, muoversi a letto, rilassarsi. Coinvolgere anche il familiare che la assiste
durante il travaglio, esplicare l’importanza dei massaggi e l’uso di panni freschi, esplicare la regolarità del ritmo
contrattile e la necessità delle contrazioni e suggerire alla donna di riposare tra una contrazione e l’altra. E’ inoltre
necessario esplicare alla donna l’importanza di spingere durante la fase di transizione per permettere l’emissione del
feto, necessità associata alla rapida discesa del feto nel canale vaginale. E’ importante esplicare la necessità di non
sforzarsi prematuramente. Per aiutarla durante i respiri profondi è importante garantire il contatto visivo e respirare
insieme alla donna.

SECONDO STADIO DEL TRAVAGLIO (PERIODO ESPULSIVO)


Il periodo espulsivo è ulteriormente diviso in due fasi:
➢ la prima fase che determina la totale dilatazione della cervice, con posizionamento della parte presentata sul
pavimento pelvico. In questa fase l’occipite è in posizione trasversa, la vagina non è distesa e non si presenta tenesmo
ovvero spasmo doloroso dell’ano che indica la necessità di defecare
➢ la seconda fase è caratterizzata dalla distensione vaginale per rotazione della parte presentata. Da ciò scaturisce
tenesmo. In questa fase è importante suggerire alla donna di mantenere la posizione eretta per facilitare la discesa del
feto. Incoraggiare il cambio posizione, con l’acquisizione della posizione inginocchiata, accovacciata o appoggiata ad
una parete. La posizione accovacciata, che le donne credono possa provocare sofferenza al feto in realtà permettono
di ridurre il dolore oltre a garantire un punteggio di apgar =7. Per favorire la rotazione del feto, invece si incoraggia la
gestante ed acquisire la posizione laterale, portando le ginocchia al petto. Evitare la posizione supina che provoca la
compressione della vena cava con ridotta perfusione fetale. In questa fase è importante monitorare i PV materno-
fetali, spiegare le modalità di respirazione, le procedure e i materiali necessari al parto. Fornire costantemente
informazioni alla donna e a chi la assiste circa l’evoluzione del travaglio. Far cambiare spesso posizione. Se la vescica è
piena va svuotata. Preparare la sala per il parto in modo asettico, preparare strumenti di rianimazione pediatrica,
avvisare il personale pediatrico.

Il feto esegue due rotazioni:


• Interna → alcune volte questa rotazione non avviene e quindi non ruotando, si posiziona in modo anomalo e la
fuoriuscita diventa complicata, poiché anche se la madre sente il bisogno di spingere non riesce. La situazione
favorevole è quando abbiamo il dorso a sinistra; quando è a destra rallenta la fuoriuscita, perché cambiano i diametri
del bacino e si ha più difficolta. Se notiamo delle piccole sofferenze del feto, bisogna valutare se aspettare oppure
andiamo ad utilizzare la kiwi. A volte il feto non scende per un problema di asinclitismo, dove la testa del feto non è
posizionata nel modo giusto, ovvero non abbassa la testa, ma rimane leggermente di lato e anche in questo caso
cambiano i diametri del bacino e l’uscita è più difficoltosa

• Esterna → viene aiutato da noi operatori a uscire, andando a cambiare la posizione


Assistenza infermieristica ed ostetrica
In caso di anomalie, ogni 2-4h viene eseguita l’ispezione e l’esplorazione dei genitali della donna. In caso di precoce
rottura del sacco amniotico è necessario monitorare i PV della donna e del feto senza eseguire esplorazioni vaginali o
antibiotico-terapia per 48h. Se dopo le 48h non inizia spontaneamente il travaglio, viene considerata la possibilità di
indurlo farmacologicamente. L’infermiera è responsabile di riferire immediatamente al medico qualsiasi tipo di
anomalia che possa riscontrarsi, come alterato colore del liquido amniotico, anomalie relative alla dilatazione della
cervice o anomalie della posizione della parte presentata. E’ importante monitorare le contrazioni uterine in termini di
durata, frequenza ed intensità mediante il valore numerico che la donna conferisce al dolore provato ad ogni episodio
e valutando attraverso palpazione addominale l’aumento e il decremento del tono muscolare dell’utero.
Elementi per innescare il parto
In caso di complicanze o eccessivo prolungamento del travaglio, può avvenire l’induzione del parto. Tale induzione può
essere farmacologica, mediante somministrazione di sostanze che inducono le contrazioni uterine, come ossitocina,
prostaglandine, olio di ricino, corticosteroidi. L’induzione non farmacologica ha l’obiettivo di stimolare la produzione
endogena di prostaglandine. Le tecniche maggiormente utilizzate sono scollamento delle membrane, amnioressi
(rottura manuale delle acque), stimolazione manuale di mammelle e capezzoli, stimolare la paziente ad avere un
rapporto sessuale completo con il proprio partner. L’uso di gel permette di avviare il travaglio in circa 30 min, il Proves,
ovvero una fettuccia imbevuta di prostaglandine ha azione lenta. L’ossitocina ha azione rapida, inducendo il parto in
circa 30min.

• Assistenza durante la fase attiva


In caso di accertamento di donna in gravidanza, in fase attiva di travaglio è importante registrare le contrazioni
palpatoriamente per determinare frequenza, intensità e durata. L’attività uterina si considera normale se si verificano
contrazioni ogni 3-4min che durano 30-60 sec ciascuna. Parliamo di travaglio ipercinetico quando sono presenti 5 o più
contrazioni in 10 min. Il travaglio ipertonico si verifica quando si manifestano contrazioni con durata superiore a 2 min.
Il controllo della normale progressione del travaglio viene seguito dall’ostetrica mediante l’ausilio di strumenti, come il
partogramma. Il monitoraggio delle condizioni di salute del feto in fase di travaglio attivo permette di identificare
precocemente ipossia e danni al feto. Il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale può essere eseguito mediante
stetoscopio di Pinard o apparecchio doppler con rilevazioni ogni 15min in fase attiva e ogni 5 min in fase espulsiva.
Viene eseguita cardiotocografia intermittente.
Il monitoraggio elettrico della frequenza cardiaca fetale viene eseguito in caso di parto fisiologico se si verificano
irregolarità del battito cardiaco fetale, liquido amniotico con meconio, emorragia ante o intra-partum, pregresso parto
cesareo, travaglio attivo da più di 6h. Tale monitoraggio permette di registrare contemporaneamente la FC fetale e i
parametri relativi all’attività contrattile dell’utero per definire condizioni patologiche definite per gradi come:
grado 0 condizioni adeguate, grado 1 non rassicurante, grado 2 preallarme, grado 3 allarme.

• Posizioni in fase espulsiva


Normalmente si utilizza la posizione litotomica, che però non aiuta la donna a spingere. L’ostetrica può aiutare la
donna ad assumere la posizione semi-ortopnoica, dandole piccoli sordi d’acqua o inumidendole le labbra per
migliorare il comfort. In questa fase evitare ispezioni vaginali. Per quanto riguarda la protezione dell’area perineale
durante la fase espulsiva o l’esecuzione dell’episiotomia che riducono la percezione dolorifica, non vi sono dati
scientifici che dimostrino come ciò possa ridurre il rischio di lacerazioni o rischio di incontinenza vescicale a distanza di
tempo.

Trasferimento in sala parto


Il trasferimento avviene al termine della fase espulsiva, quando l’ostetrica determina che la partoriente comincia ad
avvertire il premito. Anche in sala parto viene monitorata la frequenza cardiaca fetale. L’ostetrica vigila la partoriente
finché in sala non giunga l’equipe necessaria.
In sala parto può accedere un’altra persona di supporto, oltre la mamma. In genere entra il papà, ma è anche possibile
che la donna preferisca un’altra figura. La persona prescelta dovrà aiutare, anche solo con la sua presenza, la futura
mamma a rilassarsi e a sentirsi a suo agio. Le altre persone che possono avere accesso alla sala parto sono i membri
del personale sanitario. In genere le ostetriche ed eventuali infermiere, per sostenere la gestante e aiutarla a
completare il suo percorso. Il ginecologo, che non è indispensabile in caso di parto naturale, sarà comunque nelle aree
circostanti per poter essere facilmente rintracciabile, se si presenta la necessità. Altre figure che possono accedere alla
sala parto sono l’anestesista, se la donna vuole avvalersi dell’epidurale, e il neonatologo.
La sala parto è una stanza che all’interno è caratterizzata da una serie di presidi. Il principale è il lettino da parto, che
non è altro che il classico lettino ginecologico, sul quale viene posato un telino usa e getta non più lavabile. Sui lati
sono presenti delle maniglie, così la mamma potrà aggrapparsi e aiutarsi sia a sopportare meglio il dolore delle
contrazioni, sia e soprattutto per aiutarsi a spingere. Il letto è anche dotato di staffe, su cui poggiare i piedi.
Un altro elemento utile è la corda, che le gestanti “tirano”, come se volessero appendersi, per gestire meglio il dolore
delle contrazioni. In genere c’è anche una vasca per poter effettuare il lavaggio del bambino e il conseguente e veloce
controllo da parte del neonatologo, senza però interferire nell’importante contatto skin to skin, subito dopo il parto.
Una volta che il bambino è nato, esso viene appoggiato sulla pancia della mamma per il suo primo incontro, il bimbo
viene prima avvolto in un asciugamano calda per evitare l’ipotermia, perché nella pancia della madre la temperatura
era molto più alta rispetto a quella esterna.
Dopo la completa emissione del neonato, all’ostetrica spetta il compito della valutazione delle condizioni generali del
neonato e il clampaggio del funicolo. Successivamente il neonato passa al pediatra per una visita e in seguito
all’infermiere del nido, che lo pone sull’isola neonatale per eseguire la liberazione delle vie aeree e attribuire il
secondo indice di apgar.

IL PRIMO BAGNETTO: Ha lo scopo di garantire l’eliminazione della vernice caseosa in eccesso e di altro materiale
biologico presente sulla cute del neonato alla nascita. Il materiale occorrente a tale scopo è sapone neutro, oli di
mandorla, pettini sterilizzabili, termometro x valutare la temperatura dell’acqua, teli riscaldati, pannolini, primo
cambio. Per eseguire il primo bagnetto è necessario accendere il fasciatoio riscaldabile e posizionare su di esso il telo
che servirà ad asciugare il neonato. Inserire l’acqua nella vaschetta e controllare che sia 37°.Lavare le mani e inserire
dpi. Eliminare la vernice con sapone o olio. Sostituire i guanti. Sorreggere il neonato afferrandolo sotto l’ascella sinistra
con la mano sinistra facendo poggiare il suo corpo sull’avambraccio. Immergere il corpo in acqua. Lavare il neonato
con i pettini. Il lavaggio dura pochi minuti. Estrarre il neonato dall’acqua e avvolgerlo nel telo riscaldato. Asciugarlo e
rilevare i parametri antropometrici. Medicare il cordone. Praticare la profilassi antiemorragica e oftalmica, rivestire il
neonato.
Assistenza infermieristica dopo il parto naturale: Per prevenire le emorragie è necessario verificare la quantità dei
liquidi in entrata e uscita dalla donna. Al termine del parto somministrare l’ossitocina secondo prescrizione medica.
Valutare il volume delle perdite ematiche e monitorare i pv. E’ necessario garantir l’adeguata contrazione dell’utero e
controllare segni di sanguinamento. E’ necessario a tale scopo controllare il volume delle perdite ematiche, monitorare
i pv, mantenere la somministrazione ev di liquidi sotto prescrizione medica. Per alleviare il disagio e la fatica della
partoriente è importante porre per 24h un impacco di ghiaccio a livello perineale in caso di lacerazioni o episiotomia
eseguita, somministrare analgesici secondo prescrizione medica, aiutare la donna a trovare una posizione
confortevole, aiutarla ad eseguire un bagno parziale, garantire privacy e riposo, procurare coperte calde rassicurando
la donna che i tremori sono comuni in questa fase.

IL CORDONE OMBELICALE
E’ una struttura che garantisce il collegamento tra feto e placenta. La sua funzione è quella di garantire la nutrizione
del feto al fine di permetterne lo sviluppo e la crescita. Il cordone presenta al proprio interno 3 vasi sanguigni,2 arterie
e 1 vena. La vena porta sangue ossigenato e ricco di nutrienti dalla placenta al feto mentre le arterie trasportano il
sangue non ossigenato dal feto alla placenta. Il cordone è lungo 50-60 cm e spesso 2 cm. Il su aspetto aggrovigliato
deriva dal fatto che al suo interno le arterie ruotano intorno alla vena.
Il primo respiro e il taglio del cordone, garantiscono la modificazione della circolazione sanguigna del neonato. Inizia
così una doppia circolazione. Il neonato può iniziare a respirare autonomamente. Dopo la recisione de cordone, i vasi
si trombizzano e il cordone si essicca staccandosi autonomamente tra 5-10gg di vita. Uno dei grandi rischi durante la
gravidanza è che il cordone possa essere schiacciata provocando l’asfissia del feto. Ciò può verificarsi soprattutto in
caso di rottura prematura delle acque con procidenza del cordone, ovvero posizionamento dello stesso verso
l’apertura cervicale. Il cordone si taglia subito dopo la nascita a circa 8-10 cm dal punto di giunzione all’addome del
feto. Viene poi chiuso in porzione distale da una pinza in plastica, chiamata cord-clamp, e medicato sterilmente. La
restante parte del cordono viene lasciata tra le gambe della madre e si aspetta che avvenga il secondamento, in cui il
cordone viene espulso insieme alla placenta. Dopo la recisione del cordone, i vasi si trombizzano e il cordone si essicca
staccandosi autonomamente tra 5-10gg di vita.

Per quanto riguarda il trattamento del cordone ombelicale la pulizia del moncone ombelicale viene effettuata sia
dall’infermiere ma può essere effettuata anche dalla madre (soprattutto se la struttura ospedaliera promuove il
roaming-in, cioè un concetto secondo cui il neonato deve stare con la madre 24h/24, per cui è la mamma che gestisce
il neonato e noi infermieri diventiamo educatori sanitari, quindi è bene conoscere la tecnica per poter istruire la madre
al meglio). La pulizia è molto semplice, viene eseguita dall’infermiere al momento delle prime cure al bambino dopo la
nascita e deve essere ripetuta a tutti i cambi (in ogni caso quando bagnata o sporca) e comunque fino a cicatrizzazione
avvenuta. Il materiale occorrente comprende garza di cotone, antisettico iodopovidone, guanti puliti, rete elasticizzata,
alcool denaturato a 90° e pannolino per neonati. La tecnica consiste in:
- Lavare accuratamente le mani con lavaggio sociale ed indossare i guanti.
- Sollevare il moncone dalla cute delicatamente ed effettuare la pulizia con antisettico iodopovidone o con l’alcool
denaturato stesso (imbevendo una garzina o la punta di un cotton fioc con la soluzione utilizzata), è importante
circoscrivere e pulire bene la base del moncone in quanto potrebbero esservi residui di sangue che vanno rimossi per
evitare accumulo di residui e conseguenti infezioni (non bisogna andare oltre la base in quanto l’alcool denaturato può
seccare eccessivamente la cute).
- Ripiegare la garza a forma di triangolo in modo che sia più facile da arrotolare, asciutta o imbevuta di alcool ed
arrotolarla attorno al moncone partendo dalla base (è importante che la base sia ben coperta in quanto il moncone
deve staccarsi dalla base e non dalla punta). NB: in alcuni casi si preferisce non utilizzare alcool denaturato ma una
garzina asciutta, cosa non sbagliata in quanto anche in questo modo il moncone cadrà lo stesso, ma ovviamente
impiegherà più tempo in quanto l’alcool denaturato ha un’azione mummificante e quindi permette al moncone di
asciugarsi e seccarsi più rapidamente, per cui cadrà prima; in altri casi ancora si utilizzano degli spray che vanno a
seccare il cordone ma non sono a base di alcool denaturato; quindi ci sono diverse modalità di trattare il moncone ma
la più utilizzata è quella con alcool.
- Coprire con una garza anche il morsetto.
- Posizionare la rete elasticizzata intorno all’addome del neonato per bloccare la garzina ed evitare che si possa
srotolare, mantenendo il moncone ombelicale rivolto verso l’alto (non è obbligatorio utilizzarla infatti non sempre si
usa).
- Posizionare il pannolino al neonato in maniere tale da non coprire la medicazione in modo da facilitare la
mummificazione del moncone (se il pannolino copre la medicazione non succede niente in quanto la funzione
dell’alcool continua ma si ritarda di un po' la mummificazione).
Il moncone ombelicale non deve essere bagnato con acqua, a volte però succede che il neonato facendo la pipì
(soprattutto i maschietti) vada a bagnare il moncone, in questi casi bisogna lavarlo accuratamente con acqua e
riasciugarlo per bene (è importante che non sia umido altrimenti tende a macerare e va incontro ad infezione). È una
zona molto delicata che deve rimanere sempre pulita ed asciutta, quindi se si bagna di pipì bisogna lavare, asciugare
accuratamente e riposizionare la garzina. Quando il moncone cade (dopo circa 10 max 15gg, se impiega più tempo
vuol dire che la medicazione non è stata
effettuata correttamente quindi il pediatra prescriverà dei farmaci che ne favoriscono la caduta) si va ad effettuare una
pulizia accurata con qualche goccia di acqua ossigenata per rimuovere i residui organici (es. sangue) e si asciuga con
una garzina. Solo a questo punto si può effettuare il bagnetto al neonato, prima della caduta il moncone non va
bagnato ma deve essere sempre asciutto.
IL PARTO
Il parto è il fenomeno che garantisce l’espulsione spontanea o l’estrazione strumentale del feto e dei sui annessi
dall’ambiente intrauterino. Durante il parto, il corpo del neonato passa attraverso il canale vaginale (piccolo bacino e
parti molli) mediante l’azione pressoria delle contrazioni uterine e delle contrazioni volontarie del torchio addominale
(3 stretti: inferiore-medio-superiore) esercitate dalla donna. Tre fattori sono determinanti durante il parto: il canale, il
corpo mobile e la forza.
4.1 Il canale del parto-> è costituito dal cingolo osseo del piccolo bacino rivestito da parti molle. Il canale presenta una
forma irregolare. Il suo asse è curvilineo a concavità anteriore. Nel piccolo bacino distinguiamo, dall’alto al basso: lo
stretto superiore (ingresso al canale del parto), scavo pelvico, stretto inferiore (porta d’uscita del canale del parto)
4.2 Il corpo mobile-> è il feto che procede mediante la spinta delle contrazioni addominali e uterine, attraverso un
condotto obbligato. La parte meno comprimibile del feto è la testa che di solito rappresenta la porzione di
presentazione del feto (parto cefalico-> di testa). Al termine della gravidanza la testa del feto è composta da squame
non calcificate ma tenute insieme da una lamina cartilaginea detta condrocranio, che consente la mobilità di una
squama sopra l’altra e deve avere una circonferenza di 9-10 cm
4.3 La forza-> la progressione del feto lungo il canale del parto è resa possibile dall’azione della forza derivante dalle
contrazioni della muscolatura uterina e le contrazioni ausiliarie del torchio addominale; queste contrazioni sono
dolorose, ritmiche e progressive (regolari ogni 5 min. per almeno 30 min. consecutivi) che determinano lo
spianamento e la dilatazione del collo dell’utero. Il travaglio si distingue in due fasi-> una fase attiva, caratterizzata da
contrazioni regolari, preceduta da una fase latente in cui le contrazioni uterine sono irregolari e di intensità variabile e
determinano l’ammorbidimento della cervice. Con il progredire del travaglio e quindi della dilatazione cervicale, le
contrazioni acquisiscono frequenza e intensità sempre maggiori. Se le contrazioni non sono regolari bisogna ancora
aspettare per partorire

TIPOLOGIE DI PARTO
Il parto può essere fisiologico (eutocico),non fisiologico (distocico),cesareo, abortivo.
-Parto eutocico (fisiologico) -> tale parto inizia spontaneamente e si mantiene tale durante tutto il travaglio fino al
passaggio del feto attraverso il canale vaginale. Gli operatori non intervengono durante questa tipologia di parto. Tale
parto si verifica tra la 37a-41°settimana di gravidanza. Alla 41a settima più 3 giorni la paziente viene ricoverata per
poter essere monitorata. Se le pareti della vagina sono poco elastiche si effettua un taglio con le forbici da episiotomia
che permettono l’esecuzione dell’incisione sui genitali esterni della donna, eseguita durante la fase espulsiva.
Esistono 2 tipi di incisione, mediana e para-mediana. L’incisione mediana viene eseguita verso l’ano, verticalmente, la
para-mediana trasversalmente verso il gluteo.

-Parto distocico-> l’insorgenza di anomalie o complicanze durante il parto possono rappresentare un pericolo per la
madre, il feto o entrambi. Le difficoltà che possono insorgere al momento del travaglio sono: difficoltà di contrazione
uterina (distocia dinamica) o alterazioni della dilatazione cervicale (distocia meccanica). Ulteriori anomalie possono
essere associate a conformazioni anatomiche del bacino, o anomalo posizionamento del feto, macrosomia. Tali
anomalie prendono il nome di distocie. L’insorgenza di distocie richiede la partecipazione dell’ostetrica al parto che
utilizza forcipe e ventose o prevede la necessità d’esecuzione di taglio cesareo. Il kiwi è una ventosa che aiuta
l’espulsione del neonato. È costituito da una coppetta, di materiale morbido, di dimensioni diverse che aderisce alla
testa del neonato se è visibile durante le contrazioni. La coppetta deve essere posizionata a circa 3 cm dalla fossetta.
Provoca l’allungamento della testa o la formazione di un bozzo chignon che però scompare nel giro di qualche ora.
Viene utilizzata quando la mamma non riesce a far scendere il feto durante le spinte e il feto rimane bloccato nello
stretto medio, dove essendo molto stretto il canale può rimanerci solo per poco tempo. Se dopo 2-3 spinte non riesce
a far fuoriuscire il feto dobbiamo intervenire con la kiwi.
5.2 Parto cesareo-> tale parto avviene mediante intervento chirurgico, per mezzo del quale il ginecologo estrae il feto.
Può essere programmato, se deciso prima dell’inizio del travaglio, come ad esempio in un parto gemellare (se sono
entrambi in posizione cefalica, può essere effettuato il parto fisiologico), posizioni anomale o podalica o di spalla,
quando il bimbo deve essere sottoposto subito a intervento chirurgico, se la donna è già stata sottoposta a precedenti
cesarei, quando il bambino ha un peso superiore ai 4 kg o quando vi è una sproporzione feto-pelvica-> è la condizione
che si verifica quando il diametro della testa del feto è maggiore rispetto al diametro del bacino della madre. Ciò indica
la necessità di parto cesareo. Ciò permette di ridurre lo stress e il dolore associato all’espulsione del feto oltre che il
rischio di frattura clavicolare e distocia della spalla del feto; o d’urgenza se le condizioni della madre o del feto si
complicano durante il travaglio, quando la donna non si accorge di aver rotto le acque da tanto tempo, quando non
sente più muovere il feto nella pancia.

Ruolo dell’infermiere durante il cesareo → bisogna mettere a proprio agio la paziente, rilevare i parametri vitali, far
firmare il foglio di privacy, una parte compilata da noi una dalla paziente; facciamo firmare il consenso al parto
cesareo, dove dobbiamo spiegare i rischi e le complicanze che si potrebbero verificare, bisogna poi andare a preparare
la paziente per condurla in sala parto: effettuare la preparazione intestinale, svestire la paziente e togliere tutti i
monili, far effettuare la tricotomia se necessario, andiamo a far indossare camice-calzaricuffia, posizioniamo il catetere
di vescicale (la misura varia in base alla paziente, in situazioni di urgenza 14-16 CH); valutare se effettuare una
idratazione (Ringer-Lattato-Reidratante-Fisiologica prima dell’anestesia epidurale. L’anestesia epidurale è quella
maggiormente utilizzata, l’anestesia generale viene effettuata solo in particolari condizioni (incidente a livello della
colonna vertebrale).
Ruolo dell’infermiere dopo il cesareo → bisogna rilevare i parametri vitali, bisogna andare a pulire la paziente, poiché
tutta la pancia e una parte delle gambe sono ricoperte di Betadine; durante la pulizia la paziente non riesce a
collaborare, poiché è ancora sotto l’effetto dell’anestesia. L’anestesia impiega tempo a svanire (almeno un paio d’ore),
per aiutare la paziente e smaltire l’anestesia, andremo ad introdurre dei liquidi per via endovenosa (Fisiologica-
Reidratante); bisogna ricordarci di evitare di far bere autonomamente la donna, in quanto i movimenti del capo,
soprattutto improvvisi, portano a forti mal di testa, che richiedono a volte anche la somministrazione di cortisonici per
poterlo alleviare. Per poterla lavare e cambiare bisogna agire in due e con calma, perché la donna prova dolore in
quanto è stata da poco sottoposta all’intervento, inoltre siccome la paziente è cosciente e vigile, bisogna sempre dirle
cosa stiamo facendo e la aiutiamo a girarsi lentamente sui fianchi per pulirla e andare a posizionare il pannolone (il più
grande), si posiziona perché dopo il parto si hanno delle perdite ematiche e con il pannolone possiamo monitorare la
perdita di sangue che deve essere sempre contenuta, perché altrimenti vuol dire che l’utero non si sta contraendo
bene. Andiamo poi a posizionare il vestiario sempre in maniera delicata e possiamo anche andare a spazzolare i capelli
per prepararla al suo primo e più importante incontro con il suo bambino.

FASI PROGRESSIVE DEL PARTO:


1. Il periodo prodromico indica l’inizio di contrazioni dolorose che si susseguono irregolarmente, con intensità
variabile. Questa è una fase di preparazione in cui i tessuti della mamma si preparano al passaggio e all’uscita del
neonato. E’ caratterizzata da contrazioni irregolari (di Braxton) e poco intense fino all’espulsione del tappo mucoso
che innesca il travaglio. Tale tappo chiude il collo dell’utero isolando la cavità uterina dall’ambiente esterno.
Dall’eliminazione del tappo il collo dell’utero subisce modificazioni tali appiattimento e accorciamento.
2. Il periodo dilatante determina l’inizio del travaglio. E’ caratterizzato dal susseguirsi regolare di contrazioni dolorose
ogni 5 min per almeno 30 min consecutivi. Tale periodo termina con il raggiungimento della completa dilatazione della
cervice.
3. Il periodo espulsivo è dato dal passaggio del feto lungo il canale vaginale e termina con la sua espulsione in
ambiente extrauterino.
4. Il periodo del secondamento è caratterizzato dall’espulsione degli annessi fetali, e si verifica subito dopo la nascita.

IL SECONDAMENTO (TERZO ED ULTIMO STADIO DEL TRAVAGLIO)


Dopo il parto l’ostetrica si prepara per l’espulsione della placenta, dove l’utero essendosi svuotato, risale verso l’alto e
ciò permette all’ostetrica di valutare se vi è stata l’espulsione completa o meno della placenta e dei suoi annessi. Se ciò
non dovesse succedere, ovvero rimangano alcune membrane adese o non si staccano completamente, si va ad
eseguire
una rimozione manuale oppure chirurgica. Il secondamente quindi deve essere o fisiologico, o manuale o chirurgico.
Quindi il secondamento è l’ultima fase del parto e garantisce l’espulsione della placenta e degli annessi fetali ovvero le
membrane amnio-coriali e il funicolo. Ha inizio qualche minuto dopo il parto, quando l’utero comincia a contrarsi per
avviare il suo riposizionamento, liberandosi delle strutture ormai prive di funzionalità, che vengono spinte nel canale
vaginale. Tale processo è di solito spontaneo e indolore. La donna prova solo il fastidio delle contrazioni dell’utero, di
intensità molto blanda rispetto alle precedenti. Tale fase dura in media 20min e non provoca eccessiva perdita
ematica. Infatti sono proprio le contrazioni ad evitare le emorragie garantendo la chiusura dei vasi che irroravano la
placenta. Qualora la placenta non venga interamente espulsa è necessaria l’azione dell’ostetrica che per facilitare il
processo di espulsione esercita una lieve pressione sul ventre, o somministra ossitocina attraverso un ‘iniezione nel
cordone ombelicale. E’ necessario controllare l’integrità della placenta espulsa poiché residui all’interno dell’utero
potrebbero causare emorragie, setticemie. Il processo di svuotamento uterino termina è completato dalle lochiazioni,
ovvero perdite di sangue rosso vivo e muco dalla vagina che si manifestano dopo il parto e nelle settimane seguenti.

La placenta-> è un organo deciduo, quindi temporaneo, che si forma nell'utero durante la gravidanza. È un organo
altamente differenziato che svolge funzioni fondamentali per la sopravvivenza, sviluppo e crescita fetale. Tali funzioni
sono ossigenazione, eliminazione di anidride carbonica e sostanze di scarto metaboliche, apporto di sostanze nutritive.
Ha forma discoide e presenta due facce. Quella materna che aderisce alla parete uterina e quella fetale, rivolta verso il
feto e rivestita dall’amnios. Il sangue materno arriva al feto attraverso le arterie spinali da cui si arricchiscono i villi
fetali. I villi costituiscono la porzione embrionale della placenta. Presentano molteplici capillari che garantiscono lo
scambio tra sangue materno e fetale di sostanze nutritive, ossigeno, ormoni, anticorpi, co2, residui catabolici.

Il Sacco amniotico è una sorta di bolla, piena di liquido, in cui fluttua l’embrione; esso è costituito da due membrane:
Corion (esterna) e Amnios (interna)
Tra le due membrane vi è il liquido amniotico, che fa distanziare le due membrane e dove è presente il feto.
Il sacco è ricoperto da una pellicola protettiva, detta corion, il cui strato esterno diventerà la placenta. La temperatura
nel sacco e nel liquido amniotico è leggermente superiore alla temperatura corporea materna, in genere 37 gradi.
Il liquido amniotico non contiene sostanze nutritive, ma svolge funzioni protettive, garantendo al feto la possibilità di
muoversi liberamente – favorendo così lo sviluppo del tono muscolare del bambino – e di essere protetto dagli urti. Il
volume di liquido contenuto nel sacco amniotico aumenta con l’avanzare della gravidanza: a 12 settimane di
gestazione ne contiene circa 30 ml, 200 ml circa intorno alla 17 a, mentre dalla 34a alla 36 a settimana raggiunge quasi
il litro.
Nel primo trimestre il liquido amniotico viene assorbito dalla pelle del bambino; nel secondo invece, grazie al
funzionamento dei reni, il bambino inghiotte liquido amniotico ed espelle urina, mantenendo stabile la quantità di
liquido. Un’adeguata quantità di liquido amniotico è molto importante ed è uno dei parametri che si controlla nel
corso delle ecografie.
La rottura del sacco amniotico (rottura delle membrane, comunemente detta rottura delle acque) avviene in genere
prima dell’inizio del travaglio, con perdite di liquido vaginale, in questi casi è bene rivolgersi in pronto soccorso. In altri
casi, la rottura avviene nel corso del travaglio stesso.

ASSISTENZA AL PUERPERIO (Questo argomento non è stato spiegato dalla prof.)


Il puerperio è il periodo che intercorre tra la fine del parto e il ritorno dell’organismo della donna e in particolare dei
genitali, alle condizioni preesistenti all’inizio della gestazione. Dura 6-8 settimane. Durante tale periodo avviene
l’involuzione degli organi genitali e l’involuzione delle modificazioni a cui vanno incontro gli organi durante la
gravidanza. A ciò segue l’evoluzione della mammella e la produzione lattea. Tale periodo termina con la ricomparsa
delle normali mestruazioni. Durante l’allattamento può verificarsi amenorrea.
Assistenza infermieristica
La camera di degenza dopo il parto, deve essere ampia ben areata e ben riscaldata. L’ambiente deve essere tranquillo.
E’ importante evitare eccessivi stress che possono verificarsi a causa delle opprimenti visite dei familiari.
La puerpera non deve avere alcun contatto con i propri genitali. Nel post partum, dopo 3 h dal parto, la puerpera deve
svuotare la vescica, è necessario eseguire l’igiene dei genitali e controllare le contrazioni uterine. Nelle prime 24h
successive al parto è importante tenere la posizione di decubito dorsale, poi decubito laterale. Nei primi 5 gg successivi
al parto è importante effettuare un assiduo controllo dell’involuzione uterina, della temperatura, del polso, delle
condizioni delle mammelle. Al mattino e alla sera l’ostetrica esegue l’igiene dei genitali esterni. Monitorare inoltre
l’alvo, la diuresi e le condizioni degli arti inferiori dato l’elevato rischio di TVP. Nei due giorni successivi al parto,
l’alimentazione deve essere liquida o semiliquida. La ripresa muscolare deve essere lenta e progressiva ma deve essere
attuata subito per favorire l’involuzione dell’utero e ridurre il rischio di TVP.

IL POST PARTUM
E’ il periodo caratterizzato dalle 3 ore successive al parto e ha inizio al termine del secondamento; è la fase più
pericolosa della vita di una donna in quanto vi è un elevato rischio di emorragie; va dalla fine del secondamento fino a
2h dopo il parto. In questa fase la donna va monitorata continuamente In tale fase è importante monitorare i pv e
andremo a valutare se è presente il globo di sicurezza (massa palpabile sull’addome che indica che l’utero è
fortemente contratto, quindi non vi è rischio di emorragie), se ci sono sanguinamenti o se c’è gonfiore. I tipi di
emorragia che si possono verificare sono l’emorragia atonica (dovuta a perdita della contrattilità dell’utero e assenza
del globo di
sicurezza), emorragia esterna del canale del parto, emorragia interna del canale del parto (è più pericolosa perché
porta alla formazione di un ematoma detto trombogenitoureterale che può arrivare ai reni). Se non vi sono emorragie,
la pressione è normale e la vescica si è riempita, il parto è considerato concluso. Le emorragie sono prevenute dalla
contrazione dell’utero e dalla formazione di fibrina. Le complicanze che possono insorgere in tale fase sono lacerazioni
cervicali o vaginali, lesioni dell’apparato urinario o del retto, lesioni del canale osseo, infezioni dell’episistomia.

COMPLICANZE POST PARTUM


Complicanze della placenta
La placenta accreta è una complicanza associata a placenta adesa (per adesione dei villi coriali al miometrio) che
difficilmente viene espulsa. Si manifesta con sanguinamento vaginale durante secondamento manuale della stessa
placenta. Tale condizione si verifica con eco transvaginale dalla 20-24esima settimana di gestazione.
La placenta precreta si manifesta con invasione dei villi coriali a livello miometriale. Tale condizione richiede
obbligatoriamente un secondamento chirurgico o manuale.

La placenta increta è una condizione caratterizzata da invasione dei villi coriali a livello del perimetrio.
L’emorragia post partum può verificarsi durante la fase di secondamento. La perdita ematica causa tachicardia,
vertigini, astenia, pallore, sudorazione algida, ipotensione, oliguria. Si definisce emorragia post partum la perdita
ematica > 500 ml dopo parto vaginale o >1000 ml in caso di parto cesareo. L’emorragia può essere precoce se si
verifica entro 24h dall’espulsione del feto, o tardiva se si presenta entro 12 settimane dopo il parto. Tale complicanza
può essere causata da lacerazioni cervicali o vaginali, atonia uterina, rottura dell’utero, ritenzione di materiale
placentare, episiotomia riaperta. Per fermare le contrazioni uterine dopo l’espulsione della placenta può essere
somministrata ossitocina o altri urotonici. E’ possibile arrestare l’emorragia anche mediante palloncino di Bakri o
cateterismo.

Leggi sull’aborto
Prima del 78’ la disciplina penale considerava l’aborto intenzionale un reato grave, per il quale erano previste sanzioni.
La corte costituzionale però evidenziò come l’interruzione volontaria della gravidanza fosse giustificata da motivi molto
gravi, clinicamente accertati. Il 22-5-78 viene approvata la legge sull’aborto, n’194 che garantiva l’interruzione di
gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, nei casi in cui la sua prosecuzione possa minare la salute psico-fisica
della donna.
Aspetti principali della legge 194/78
Lo stato riconosce il diritto di procreazione responsabile e cosciente, riconoscendo il valore sociale della maternità e
tutelando la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, non deve essere intesa come un
mezzo di controllo delle nascite.
Qualora si intenda interrompere la gravidanza, entro i 90gg, è possibile rivolgersi ad un consultorio, ad una struttura
socio-sanitaria o al proprio medico di fiducia. I consultori propongono soluzioni ai problemi alla base di tale scelta
siano essi di tipo sanitario, sociale o economico. Il medico deve valutare le condizioni della donna e attestare su carta
la sua volontà, attraverso un certificato, si deve attestare la presenza della gravidanza, quindi dovrà essere sottoposta
a una ecografia, dove il ginecologo valuterà la presenza della camera gestazionale e dovrà anche datare la gravidanza,
perché deve essere non superiore ai 90 giorni. La gravidanza può essere interrotta se mette a rischio il benessere
psico-fisico della donna, in relazione alle sue condizioni di salute di base o in vista di possibili malformazioni o
patologie genetiche.

L’aborto viene eseguito da un medico del servizio ostetrico-ginecologico che presta servizio presso un ospedale
generale o pubblico specializzato. Nei primi 90 gg l’interruzione può essere eseguita anche in case di cura autorizzate
dalle regioni. L’obiezione di coscienza da parte dei medici può essere rilasciata prima della procedura. La richiesta per
l’interruzione di gravidanza deve essere esposta dalla donna. In caso di età < 18 aa, la richiesta deve essere esposta
dalla gravida accompagnata da un tutore (può essere anche non un genitore, se la ragazza non vuole mettere a
conoscenza i propri genitori, quindi interviene un giudice assegnato dal tribunale). Solo in condizioni gravi che
impediscano o sconsiglino la presenza di chi ha la tutela della gravida, il giudice tutelare può autorizzare l’esecuzione
con atto non soggetto a reclamo. Se le condizioni psichiche della donna non ne garantiscono la volontà di intendere e
volere, la richiesta può essere presentata solo da un genitore, tutore o marito legale (non separato). Tale richiesta
deve essere accettata dalla donna. Sono previste sanzioni per chi non rispetti la legge o per chi cagioni per colpa
l’interruzione di gravidanza.

ART.9 LEGGE 194/78 (OBIETTORE DI COSCIENZA)


Il personale sanitario e ausiliario non prende parte a processi di interruzione gravidica qualora sollevi obiezione di
coscienza che deve essere dichiarata preventivamente. Tale dichiarazione deve essere comunicata al medico
provinciale o al direttore sanitario entro un mese dall’entrata in vigore della legge o dall’assunzione presso strutture
che si occupino dell’esecuzione di tale procedura. L’obiezione può essere revocata o presentata in seguito ai termini
definiti, ma in tal caso entra in vigore dopo 1 mese dalla presentazione della dichiarazione. Tale dichiarazione rende il
personale sanitario o ausiliario esente dalla partecipazione all’esecuzione ma non all’erogazione di assistenza nella
fase che precede e segue l’intervento. L’obiezione non può essere invocata se la propria attività professionale è
indispensabile a salvare la vita della donna in condizioni d’emergenza. L’obiezione viene revocata in caso di
partecipazione a procedure di interruzione della gravidanza. Vi è quindi l’obbligo giuridico di intervenire qualora le
condizioni della donna siano in imminente pericolo. La dichiarazione di obiezione di coscienza deve essere presentata
dal diretto interessato e non richiede motivazioni.

SCREENING NEONATALE
effettuare il lavaggio delle mani, indossare i guanti puliti in quanto non è una manovra sterile, e preparare il materiale
occorrente (guanti puliti, lancetta pungidito, garza sterile, cartoncino precompilato con i dati riguardanti il neonato e la
madre, tampone con antisettico e cerotto). Bisogna disinfettare con movimenti circolari dall’interno verso l’esterno la
sede dove verrà effettuata la puntura con alcool isopropilico al 70% (clorexidina) o altri disinfettanti comunemente
utilizzati per la disinfezione della cute, ed occorre lasciare asciugare completamente la cute prima di pungere il tallone.
Dopodiché si procede alla raccolta del campione (goccia di sangue), viene effettuata quindi una puntura sul tallone, in
particolare sulla porzione laterale del tallone stesso, utilizzando una lancetta “pungidito” come quella usata per
valutare la glicemia nell’adulto (si preferisce pungere il tallone in quanto è una zona di facile reperimento da cui è
possibile effettuare un prelievo capillare in maniera veloce e poco traumatica in quanto dal polpastrello del neonato
non riesce ad uscire una goccia tale da riempiere il cartoncino su cui verrà poggiata, inoltre si predilige la porzione
laterale del tallone in quanto è la zona più vascolarizzata e meno innervata mentre se si effettua la puntura sulla
porzione centrale vi è il rischio di beccare un piccolo nervo). La prima goccia di sangue va eliminata con garza sterile, al
fine di evitare commistioni di sangue e disinfettante, che possono interferire con le determinazioni analitiche. Le
successive gocce di sangue vanno raccolte e posizionata su un cartoncino assorbente (viene fornito dal centro unico di
riferimento) il quale contiene 5 cerchietti, tutti e 5 devono essere colorati di rosso quindi tutti devono essere riempiti
da una goccia di sangue. In alcuni casi bisogna andare ad effettuare una pressione in quanto la goccia di sangue può
non essere sufficiente a riempire un intero cerchietto. Infine viene posizionato il cerotto sulla zona di puntura. Il
cartoncino viene poi registrato telematicamente in modo che il centro di riferimento abbia già i dati necessari ad
elaborare i risultati e viene poi inoltrato al centro di riferimento attraverso un corriere. A distanza di 24-48h i risultati
vengono forniti dal centro di riferimento alla struttura ospedaliera che li ha inviati e possono essere visualizzati sullo
stesso portale dove è stato registrato il cartoncino immediatamente dopo la raccolta del campione. Se vi è qualche
anomalia il centro di riferimento lo evidenzia quindi bisognerà contattare i genitori per effettuare un secondo prelievo.
NB: ricorda che sia in caso di screening, sia in caso di valutazione di glicemia che di bilirubinemia viene effettuato un
prelievo capillare ma ciò che è differente è la raccolta del campione.
RACCOLTA DI UN CAPIONE DI SANGUE CAPILAARE PER ITTERO
procedura:
- Identificare il neonato, informare i genitori e spiegare in modo semplice la procedura (devono dare il loro consenso
scritto, esplicato verbalmente dal medico con la compresenza dell’infermiere) e assicurare la privacy
- Posizionare il neonato supino su un fasciatoio o un lettino e scoprire un tallone
- Eseguire il lavaggio sociale delle mani ed indossare i guanti non sterili
- Predisporre il materiale occorrente su un carrello
- Offrire succhiotto con soluzione glucosata 33% di saccarosio
- Favorire l’iperemia locale mediante leggera frizione del tallone
- Posizionare il tallone nel palmo della mano tenendo scoperta l’area laterale
- Disinfettare la zona con movimenti circolari dall’interno all’esterno
- Pungere l’area laterale del tallone con lancetta sterile pungidito
- Eliminare la prima goccia di sangue con garza sterile in quanto può essere contaminata e comunque risulta essere la
più scarsa a livello di quantitativo ematico
- Far defluire la successiva goccia di sangue nel capillare tenendolo leggermente inclinato rispetto alla superficie
cutanea avendo cura di riempirlo.
- Una volta riempito il capillare va chiuso almeno da un lato con della plastilina e posizionato all’interno della
microcentrifuga. La microcentrifuga è un macchinario costituito da un piatto di acciaio che presenta delle rientranze a
forma di raggi, all’interno di uno dei raggi viene posizionato il capillare. Poi il piatto di acciaio viene posizionato nella
centrifuga e viene coperto dall’apposito coperchio che impedisce al capillare di sobbalzare a causa dei giri veloci
effettuati dal macchinario. Il macchinario poi si chiudi e si aziona, il processo dura circa 6-7 min. Dopodiché si apre la
centrifuga e si recupera il capillare il cui sangue adesso è centrifugato (ce ne accorgiamo dal colore diverso, infatti
prima di essere centrifugato il sangue era monocolore rosso scuro, mentre dopo essere stato centrifugato il sangue è
separato in due parti, quella corpuscolata e quella liquida, quindi sarà bicolore, da una parte il rosso scuro che
rappresenta la parte corpuscolata e dall’altra il giallo che rappresenta la parte liquida, questa divisione di colori
costituisce l’ematocrito, ovvero il rapporto tra la parte corpuscolata e la parte liquida del sangue, più la parte
corpuscolata è inferiore più distruzione di globuli rossi c’è stata). Dopo aver recuperato il capillare con sangue
centrifugato questo viene posizionato all’interno del bilirubinometro, il macchinario che serve a leggere il valore della
bilirubina. Anteriormente al bilirubinometro vi è una specie di tappo che va rimosso, al suo interno vi è una guida
lunga tanto quanto il capillare, in questa guida va inserito il capillare centrifugato e poi il tappo si rimette a posto. A
questo punto si preme play e si legge il valore della bilirubina (lo può leggere anche l’infermiere ma in genere la lettura
viene eseguita dal medico in quanto fa diagnosi)
- Rimuovere i guanti, eseguire il lavaggio delle mani con gel alcolico
-Registrare la motivazione del prelievo e la data in cui la procedura è stata eseguita

NB: la modalità con cui viene effettuato il prelievo per lo screening neonatale e per valutare la bilirubinemia è uguale,
infatti in entrambi i casi si effettua la disinfezione, si punge l’area laterale del tallone, si elimina la prima goccia e si
raccoglie la seconda (l’unica differenza sta nel fatto che nel primo caso si effettua la “spremitura” del tallone per
favorire la fuoriuscita delle gocce di sangue, mentre nel secondo caso è meglio non farla e non strizzare
eccessivamente il tallone in quanto si andrebbero a distruggere altri globuli rossi e il valore della bilirubina risulterebbe
più alto rispetto a quello che in realtà il neonato ha, quindi è meglio pungere in maniera diretta e decisa piuttosto che
effettuare pressione successivamente). Ciò che cambia è la modalità di raccolta del campione in quanto nel caso dello
screening neonatale le gocce di sangue vengono raccolte su un cartoncino con 5 cerchietti da inviare al centro unico di
riferimento che poi fornirà i risultati; mentre nel caso della bilirubinemia la goccia di sangue va raccolta all’interno di
un capillare (un tubicino in vetro con un diametro molto sottile), il quale va posizionato in una microcentrifuga e poi
nel bilirubinometro per leggere il risultato direttamente.
NEFROPATIA
Le principali manifestazioni cliniche della glomerulonefrite sono: ematuria, proteinuria, alterata funzione renale,
ipertensione arteriosa, edema. Ma come insorgono i sintomi della glomerulonefrite?
-Infiammazione e danno glomerulare
-Gravi alterazioni di permeabilità
-Proteinuria = significativa perdita di proteine con le urine → si può notare la presenza di schiuma nelle urine
-Ipoproteinemia (o ipoprotidemia o ipoalbuminemia) = riduzione delle proteine nel sangue (in particolare di albumina,
la proteina plasmatica più abbondante)
-Riduzione della pressione oncotica (o colloidosmotica) del plasma + lipiduria da iperlipidemia causata dallo stimolo
sulla sintesi di lipoproteine a livello epatico e dalla perdita urinaria di alcuni fattori che regolano il metabolismo lipidico
-Spostamento di liquidi negli spazi extracellulari → Comparsa di edemi (inizialmente al mattino a livello periorbitale,
poi estesi ai piedi, alle caviglie e all'addome) + Ipovolemia + Riduzione della pressione sanguigna
-Riduzione dell'afflusso ematico al rene
-Aumentata secrezione di renina → Attivazione del sistema renina-angiotensina + Aumentato rilascio
di aldosterone → ritenzione idrosalina ed aggravamento degli edemi + Ipertensione lieve → Aumento della pressione
idrostatica nel glomerulo, aumento del processo di filtrazione → usura dei nefroni per sovraccarico funzionale
-Danno glomerulare con rottura dello strato endoteliale dei capillari glomerulari
-Gravi alterazioni di permeabilità
-Ematuria = presenza di sangue nelle urine → in caso di macroematuria le urine assumono una colorazione scura,
simile al té o alla coca-cola; in caso di microematuria la presenza di sangue nelle urine è evidenziabile soltanto
all'esame chimico-enzimatico delle urine
-Anemia = riduzione della concentrazione di globuli rossi ed emoglobina nel sangue, può conseguire anche alla perdita
urinaria di ferritina per aumento della permeabilità glomerulare (è quindi riscontrabile anche in caso di
glomerulonefrite associata a sindrome nefrosica)
-Debolezza, affaticamento
Il danno infiammatorio ai glomeruli renali, con infiltrazione di globuli bianchi ed ostruzione dei capillari, porta ad una
riduzione della velocità di filtrazione glomerulare
-Aumentato rilascio di renina dall'apparato iuxtraglomerulare con attivazione del sistema renina-angiotensina-
aldosterone
-Aumentata Ritenzione di acqua e sodio, anche a causa della minore capacità escretiva del rene (in particolare di
sodio)
-Ipertensione (Nota bene: L'ipertensione può anche essere causa predisponente della glomerulonefrite, poiché
spingendo con maggiore forza il sangue contro le pareti capillari del glomerulo favorisce la fuoriuscita di proteine ed
eritrociti nelle urine)
-Aumento della pressione idrostatica del sangue, che insieme alla riduzione della pressione oncotica favorisce la
comparsa di edemi
-Il danno renale conseguente alla glumerolonefrite (rilascio di enzimi proteolitici e citochine infiammatorie, formazione
di depositi di fibrina) può anche aumentare la presenza in circolo di prodotti di rifiuto, per perdita della capacità
filtrante del nefrone → sul piano clinico può associarsi ad iperazotemia e ipercreatininemia → tendenza all'evoluzione
verso l'insufficienza renale

DIARREA ACUTA E CRONICA


La diarrea è una condizione clinica caratterizzata dall’emissione quotidiana, con frequenza più elevata della norma, di
feci con consistenza molle o semiliquida. Parliamo di diarrea quando il volume delle feci è >10 ml o kg/die e quando si
verificano più di 3 evacuazioni con consistenza alterata durante l’arco delle 24h. Tale condizione può essere acuta, se
presente da meno di una settimana, persistente se si verifica per più di 7gg, cronica quando permane oltre 2
settimane.
DIARREA ACUTA
Nel neonato parliamo di diarrea acuta quando si verificano più di 8 evacuazioni al giorno con consistenza alterata per
almeno 48h consecutive, associata a presenza di sangue o muco nelle feci, decremento ponderale, aumento della
necessità di liquidi.
Epidemiologia
Dati epidemiologici evidenziano come in un anno si verifichino circa 40mila ospedalizzazioni per diarrea in bambini di
età compresa tra 1-4 aa, con una media di 4-7gg di degenza e spese di gestione sanitaria pari a 50mln. Si verificano
inoltre circa 900.000 episodi di diarrea acuta all’anno in bambini con età <3aa.
Meccanismi
Possiamo distinguere due diversi meccanismi diarroici:
- la diarrea secretoria: è caratterizzata dall’eliminazione di elevati volumi di feci ricche di acqua. La sua eziologia è
associata all’eccessiva secrezione di acqua ed elettroliti per cause infettive (salmonella), infiammatorie (lassativi,
rettocolite), o per azione diarrogena di alcuni antibiotici. Tali sostanze si legano a recettori tipici delle cellule
dell’epitelio intestinale stimolandole ad aumentare la permeabilità a K e Cl e richiamando a sè acqua e Na. Lo squilibrio
di tali ioni determina disidratazione e acidosi.
- la diarrea osmotica: è invece caratterizzata da ridotta perdita di liquidi e minore contenuto elettrolitico delle feci
rispetto alla norma. Tale tipo di diarrea è associata all’assunzione eccessiva di lassativi o antiacidi, intolleranza a
glutine, soia o lattosio. Tali sostanze non riassorbibili stimolano le cellule intestinali a richiamare acqua secondo un
processo opposto a quello fisiolgico. Da ciò scaturisce un importante squilibrio idroelettrolitico.

Cause
I principali patogeni intestinali che causano diarrea in bambini di età compresa tra 0-5 aa sono: rotavirus, norovirus,
salmonella, adenovirus, shigella.
Sintomi
- la diarrea di origine batterica, di solito, è accompagnata da febbre alta, sangue nelle feci, dolori addominali, sintomi
neurologici
- la diarrea di natura virale invece è caratterizzata da vomito e sintomi respiratori.
La severità della gastroenterite è associata all’eziologia più che all’età del bambino colpito. La condizione più severa da
un punto di vista clinico è caratterizzata da diarrea provocata da Rotavirus; di fatti tale virosi provoca sintomi per circa
4 gg in cui si verificano all’incirca 6 scariche diarroiche al giorno, 3 di vomito e febbre alta (39°). A ciò si associa quindi
maggiore disidratazione e aumento del numero di giorni di ospedalizzazione.

Diagnosi
La disidratazione è uno dei principali problemi cui far fronte in ambito ospedaliero. Per valutare il tasso di
disidratazione è possibile calcolare la percentuale di peso corporeo che il bambino perde dall’inizio deli sintomi virali al
momento della valutazione. A ciò si associa la valutazione del tempo di riempimento capillare, anomalie del turgore
cutaneo e anomalie respiratorie. In caso di gastroenterite, la visita medica risulta necessaria in bambini con età <2
mesi o che abbiano meno di 3aa in associazione ad eccessivo volume fecale emesso in più di 8 evacuazioni al giorno,
patologie di base come IRC o diabete, vomito persistente. Il ricovero ospedaliero viene indicato in caso di impossibilità
di idratazione per os, impossibilità di cure domestiche, eccessiva distanza da ospedale, sospette patologie chirurgiche,
sintomi neurologici, vomito incoercibile, shock, severa disidratazione.

Trattamento
Il trattamento per la gastroenterite prevede la rapida reidratazione e il mantenimento di un’adeguata alimentazione.
Non devono essere assunti antibiotici (necessari solo in caso di infezione da shigella; in quanto possono rendere il
bambino portatore in caso di salmonella), antiemetici o altri farmaci. Il vomito è infatti un meccanismo normale in
bambini con gastroenterite. Inoltre il trattamento con antiemetici, e in particolare con zofran, è risultato da alcuni
studi come controverso. Di fatti è stato dimostrato come, durante il trattamento con zofran, aumenti l’incidenza della
diarrea come risultato della ritenzione di liquidi e tossine. Inoltre tale antiemetico aumenta il rischio di prolungamento
dell’intervallo QT con possibilità di torsione della punta o aritmie fatali. In italia l’antiemetico d’elezione è il
domperidone. Bisogna considerare la possibilità di somministrare probiotici (saccaromices boulardii, lactobacilli),
antidiarroici (racecatrodil), smectite. I probiotici in aggiunta alla reidratazione, rappresentano un importante
supplemento nella gestione della gastroeneterite. Il trattamento cardine che deve essere avviato il prima possibile
prevede la reidratazione con reidratante orale a ridotta osmolarità. Durante la sindrome gastroenterica, il ricovero e la
ripresa, la dieta del bambino non deve variare, quindi è possibile continuare ad assumere lattosio, e il lattante deve
riprendere l’allattamento al seno entro 4-6h dall’inizio della reidratazione.
DIARREA CRONICA
La diarrea cronica si ha quando si verificano almeno 3 evacuazioni molli di feci al giorno, per più di 14 gg.
Cause
La cronicizzazione di una gastroenterite acuta può essere associata a:
- infezione persistenze che non si tratta in tempo debito
- reinfezione per danno persistenze alla mucosa intestinale come nel caso di intolleranze alimentari
- sensibilizzazione immunologica a proteine alimentari
- colonizzazione batterica massiva
- persistente alterazione della motilità gastrointestinale.
La maggior parte dei casi di diarrea cronica nei bambini è causata da celiachia. I principali fattori causa di diarrea
persistente nel bambino sono: fattori personali (età <12aa, malnutrizione, deficit vit A, alterazioni immunitarie),
precedenti infezioni con gastroenterite, recente assunzione di latte vaccino, recente uso di antibiotici.
- Le principali cause di diarrea cronica in neonati da 0-30 gg sono: enteropatia autoimmune, patologie intestinali
congenite, allergie alimentari, ostruzioni intestinali.
- Le principali cause tra 1-24 mesi sono: assunzione di succo di mela o pera, enteropatia autoimmune, infezioni
intestinali, allergie alimentari, celiachia, fibrosi cistica.
- Tra i 2-18 anni le maggiori cause sono: assunzione di antibiotici, infezioni intestinali, intolleranza al lattosio, sindrome
dell’intestino irritabile.

Diagnosi
In caso di diarrea continua è importante raccogliere informazioni in merito a durata e l’intensità dei sintomi diarroici,
modalità d’esordio, sintomi associati, calo ponderale, arresto della crescita. Per diagnosticare la diarrea cronica è
importante effettuare test di laboratorio come emocromo, pcr, ves, transaminasi, proteinemia e albuminemia,
coporcultura, esame urine. Si passa poi ad esami specifici come la calprotectina, test per allergie alimentari, test al
doppio zucchero, assunzione di sostanze riducenti fecali, test di funzione pancreatica, endoscopia. I principali esami
strumentali utilizzati in caso di diarrea persistente sono:
- diretta addome
- rx apparato digerente per valutale motilità e struttura intestinale
- clisma opaco per valutare struttura e possibili infiammazioni a carico del grosso intestino
- ecografia dell’ultima ansa per valutare la motilità intestinale
- TAC per analizzare la struttura
- scintigrafia ed endoscopia per valutare la sede di infiammazione o di sanguinamento.

I principali test per la valutazione della funzionalità intestinale sono: steatocrito (per valutare la presenza di grasso
nelle feci), xilosemia (per valutare la funzionalità della superficie di assorbimento così come il test di carico con doppio
zucchero), calproctectina per valutare possibili infiammazioni così come la ricerca dei leucociti. In caso di diarrea
cronica è importante evitare restrizioni dietetiche, evitare la somministrazione di farmaci, non mascherare i sintomi.
Le indagini di primo livello (esami di laboratorio) vengono effettuate nel caso in cui la crescita del bambino si arresti, la
condizione persista e i genitori siano in ansia. Nel caso in cui il bambino continui a crescere normalmente non si
effettua alcuna indagine, si rassicurano i genitori esplicando l’importanza di controlli futuri ed evidenziando la
necessità di apportare modifiche alla dieta quotidiana. In questo caso parliamo di diarrea funzionale, una condizione
che si risolve spontaneamente o comunque apportando semplici modifiche alle proprie abitudini alimentari, senza
richiedere alcuna terapia. Dai 6-36 mesi la diarrea funzionale è caratterizzata da diarrea diurna, assenza di dolore e ha
una durata di 4 settimane circa. Tra 2-10 anni e negli adulti parliamo di intestino irritabile, è caratterizzato da dolore e
dura 1-2 settimane circa. Il trattamento della diarrea funzionale prevede restrizioni alimentari come la riduzione
dell’assunzione di succhi di frutta, normalizzare l’introito quotidiano di liquidi, ridurre il fruttosio assunto, eliminare il
lattosio, aumentare l’introito di grassi, aumentare il consumo di fibre.

Trattamento
Qualora i test diagnostici non siano indicativi per bambini con età < 3 aa si procede alla realizzazione di una dieta priva
di latte vaccino e derivati. Per bambini con età >3aa è importante avviare un’adeguata terapia antibiotica o antivirale a
seconda dell’eziologia riscontrata. I principali antibiotici utilizzati sono cotrimossazolo, metronidazolo, rifaximina. In
caso di virosi si somministrano immunoglobuline per os e probiotici. Da diversi trial non è stato però possibile
comprendere in che misura l’assunzione di antimicrobici possa aiutare nel trattamento contro la diarrea persistente. Il
bambino con diarrea viene indirizzato dal gastroenterologo nel caso in cui il calo ponderale non si arresti nonostante la
dieta controllata, la diarrea sia massiva e insorga in età neonatale, quando si sospetta celiachia, quando la diarrea
persiste oltre 2 settimane nonostante l’eliminazione di latte vaccino e derivati dalla dieta, e infine in caso di rettorragia
con esame microbiologico negativo.
Gli indici nutrizionali di cui tener conto per poter valutare lo stato di malnutrizione del bambino sono:
- albumina i quali valori normali sono 30-45 g/l
- prealbumina che normalmente è 0.2-0.4 gr/l
- retinolo che normalmente è 2.6-7.6 gr/l
- transferrina che dovrebbe essere 218-411 ug
- ferro sierico che è 16-124 ug
- si considerano inoltre calcio, zinco, magnesio, vit A-C-B.

MALATTIA REUMATICA
La malattia reumatica è una patologia infiammatoria multisistemica a patogenesi immunomediata che insorge in
soggetti predisposti come sequela di un’infezione della faringe da parte dello Streptococco beta-emolitico di gruppo A
(Streptococcus Pyogenes) non trattata o trattata in modo non adeguato. Essendo una patologia autoimmune (mimicry:
mimetismo antigenico) porta alla produzione di anticorpi che attaccano non solo gli antigeni dello streptococco, ma
anche quelli simili che si trovano nei distretti connettivali, come le articolazioni o le valvole cardiache (gli antichi
dicevano “la malattia reumatica lambisce le articolazioni, morde il cuore”). Quindi la malattia reumatica può coinvolgere
diversi sistemi:
• coinvolgimento articolare: porta a artrite (80%) autolimitantesi
• coinvolgimento cardiaco: porta a cardite (40-75%) con possibile evoluzione in cardiopatia cronica
• coinvolgimento neurologico: corea (10%) autolimitantesi (malattia neurodegenerativa che colpisce la coordinazione
muscolare e porta a declino cognitivo)
• coinvolgimento cutaneo: eritema marginato e noduli sottocutanei (5-10%) autolimitantesi

Epidemiologia
Insorge maggiormente in autunno, inverno ed inizio primavera, cioè in rapporto al calendario scolastico. L’età tipica di
insorgenza è tra i 5 e i 15 anni. Il primo episodio si ha prima dell’adolescenza (picco intorno agli 8 anni), mentre le
ricadute si hanno anche in età adolescenziale e giovane adulta. La prevalenza si cardite reumatica aumenta con l’età
(picco 25-35 anni). Nei paesi industrializzati (Europa e USA) è oggi una malattia rara, l’incidenza è di 0.2-0.5
casi/100.000/anno, in quanto vi sono migliori condizioni di vita, miglioramento dell’accesso alle cure mediche e uso
degli antibiotici. Mentre nei paesi in via di sviluppo (India) la malattia reumatica è endemica e tuttora è una delle cause
principali di patologia cardiovascolare acquisita, l’incidenza è di 0.2-0.75/1000/anno, la prevalenza di cardite reumatica
è di 0.4-21/1000/anno.

Patogenesi
Tale malattia è determinata da un’esagerata risposta immunitaria a specifici epitopi batterici in un soggetto predisposto
(alcuni antigeni di superficie dello streptococco hanno la stessa organizzazione molecolare di strutture antigeniche che si
trovano a livello dei tessuti connettivali, quindi gli anticorpi che sono sviluppati dall’organismo stesso contro il batterio
per limitare la malattia, in realtà colpiscono anche i tessuti connettivali scatenando la risposta infiammatoria). A
determinare la malattia concorrono:
• le caratteristiche dell’agente patogeno (ceppi reumatogeni dello streptococco che albergano nel faringe, e non ceppi
nefritogeni)
• la predisposizione dell’ospite
• la risposta immunitaria
Sintomatologia
La malattia reumatica è caratterizzata da esordio acuto a distanza di 2-4 settimane da una faringite streptococcica (che
rappresenta l’infezione primaria). Le manifestazioni cliniche della febbre reumatica sono variabili da individuo a
individuo

Diagnosi
Per fare diagnosi di malattia reumatica bisogna valutare i criteri di Jones che comprendono criteri maggiori (cardite,
artrite, eritema marginato, noduli sottocutanei, corea) e criteri minori (febbre, artralgie, aumento degli indici
infiammatori, allungamento dell’intervallo PR all’ECG, precedente attacco reumatico). Quindi per fare diagnosi di
malattia reumatica devono essere presenti 2 o più criteri maggiori, oppure 1 criterio maggiore e 2 o più criteri minori +
segni di una pregressa infezione da streptococco di gruppo A. In 3 circostanze la diagnosi può essere posta senza aderire
ai criteri di Jones:
1. se si manifesta unicamente come corea (la corea da sola fa diagnosi di malattia reumatica)
2. in caso di riscontro tardivo di una cardite rimasta sintomatologicamente silente (ad esempio ci sono danni da cardite,
ma questa non è stata riconosciuta, questo ci fa fare diagnosi a posteriori di una pregressa malattia reumatica)
3. in caso di recidiva
Per avvalorare la diagnosi sono importanti:
• anamnesi positiva per faringite o faringotonsillite 1-3 settimane prima dell’esordio dell’artrite
• elevato titolo antistreptolisinico (TAS), va ripetuto a distanza di 2-3 settimane dalla prima titolazione (aumenta dopo
10gg)
• isolamento dello streptococco dal faringe: è meno importante ai fini diagnostici in quanto raramente risulta positivo
(20% nei bambini più piccoli) al momento dell’attacco di reumatismo articolare acuto; NB un tampone positivo non
permette di distinguere tra infezione in atto e stato di portatore sano (10% dei soggetti trattati in modo adeguato).
• esami di laboratorio: evidenziano aumento di VES e PCR, leucocitosi neutrofila (solo tampone positivo non fa diagnosi)
• esami strumentali: evidenziano un allungamento del tratto PR dell’ECG, la presenza di un coinvolgimento valvolare
anche in assenza di soffio all’auscultazione (ecocardio)
Dato che vi può essere coinvolgimento articolare, cardiaco, neurologico e cutaneo, bisogna valutare la presenza di:
• artrite: si manifesta con i segni di infiammazione (tumor, rubor, calor, dolor e function lesa), interessa tutte le
articolazioni (soprattutto caviglie e ginocchia, gomiti e polsi), è una poliartrite, migrante, sostitutiva, autolimitantesi,
risponde a ASA
• cardite: in genere la lesione interessa l’endocardio e il miocardio, raramente il pericardio. Si accompagna a valvulite,
soprattutto della valvola mitrale e aortica, raramente tricuspide e polmonare. Si manifesta con tachicardia eccessiva
rispetto all’entità della febbre, soffio sistolico apicale (se insufficienza mitralica), soffio proto/meso-diastolico al 3 spazio
intercostale destro (se vi è il coinvolgimento della valvola aortica), sfregamenti e toni cardiaci ovattati, dolore toracico
(se pericardite), segni di scompenso (tosse, dispnea, epatomegalia)
• corea di Sydenham: si manifesta con smorfie facciali, fascicolazioni della lingua, perdita di controllo della motilità fine,
disartria e eloquio improvviso. Determina anche alterazioni della scrittura, difficoltà nel vestirsi e nel prendersi cura di sé
o addirittura nel camminare e nel mangiare, a causa di movimenti involontari e incoordinati, improvvisi, aritmici, clonici
e afinalistici. Queste manifestazioni possono scomparire durante il sonno e aggravarsi a causa di stress o affaticamento.
• eritema marginato e noduli sottocutanei: queste alterazioni sono presenti nel 5-10% dei pazienti, sono segno
patognomonici ma rari (è più frequente l’interessamento cardiaco). L’eritema marginato è un rush cutaneo serpiginoso,
piano, indolore e che non lascia cicatrici, è transitorio e a volte dura meno di un giorno. I noduli sottocutanei sono
tardivi, si manifestano soprattutto sulle superfici estensorie delle grandi articolazioni, sono indolori e transitori.

Diagnosi differenziali
• diagnosi differenziali di poliartrite e febbre: artrite settica (infezione delle articolazioni che determina infiammazione),
connettivopatia (malattia autoimmune), altre malattie autoimmuni (artrite reumatoide, artrite cronica giovanile,
malattie intestinali croniche, LES, vasculiti sistemiche, sarcoidosi), artropatia virale (micoplasma, CMV, EBV, parvovirus,
epatiti, vaccinazioni rosolia, yersinia e altri patogeni intestinali), artropatia reattiva, malattia di Lyme, anemia
drepanocitica (con attacchi articolari), endocardite infettiva, leucemia o linfoma (bisogna sempre considerarlo in un
bambino che non riesce a camminare e ha un interessamento articolare), gotta o pseudogotta.
• diagnosi differenziali cardite: soffio innocente, prolasso valvola mitrale, cardiopatia congenita, endocardite infettiva,
cardiomiopatia ipertrofica, miocardite virale o idiopatica, pericardite virale o idiopatica
• diagnosi differenziale corea: LES, intossicazione da farmaci, malattia di Wilson (deficit di alfa1 celluloplasmina,
proteina che trasporta il rame, il quale si accumula a livello del fegato e del cervello), tic (PANDAS), paralisi cerebrale
coreoatetosica, encefalite, corea familiare (malattia di Huntington), tumore cerebrale, malattia di Lyme, ormoni
(contraccettivi orali, gravidanza, ipertiroidismo, ipoparatiroidismo)

Terapia
• Acido acetilsalicilico (ASA) per artrite: 80-100mg/kg/die in 4 somministrazioni per almeno 2-6 settimane fino a
regressione dei sintomi e normalizzazione degli esami di laboratorio. Vi è difficolta di trattamento a lungo termine con
ASA ad alte dosi a causa del suo effetto gastrolesivo (a tal proposito è utile l’ASA microcapsulato in etilcellulosa, come le
compresse di cemirit da 200 e 800mg; e proteggere lo stomaco), a causa della tossicità da salicilati (provoca cefalea,
vomito, nausea, tachipnea, tinniti), e a causa dell’epatotossicità (aumento di LDH, AST, ALT, quindi monitorare prima e
durante la terapia). La terapia con ASA è molto efficace a dosaggio antiinfiammatorio (a dosaggi molto alti) ed è stata la
terapia di prima scelta per molti anni, ma in rapporto a potenziali effetti tossici, negli ultimi anni si sta portando avanti
un approccio terapeutico con altri farmaci antiinfiammatori (l’aspirina andrebbe dosata dopo la fase di attacco per
capire qual è la concentrazione media a livello ematico, in quanto già a bassi dosaggi ha un effetto gastrolesivo, ma se
supera un certo livello ematico è tossica); l’antiinfiammatorio di seconda scelta è l’ibuprofene (a dosaggi alti
antiinfiammatori di 30-40mg/kg, in 3 o 4 dosi, associato a protezione gastrica; è meno tossico rispetto all’aspirina ma
anche meno efficace)
• Prednisone per os (deltacortene in compresse da 5 e 25 mg) per cardite: 1-2mg/kg/die (o 60mg/m2 sup.corporea/die)
in 2-3 dosi per almeno 2 settimane, con successiva graduale riduzione fino alla sospensione (1/4 o 1/5 della dose ogni
settimana). Durante la riduzione dello steroide bisogna introdurre ASA per evitare il rebound, se vi è insufficienza
cardiaca bisogna introdurre vasodilatatori periferici (ace-inibitori) o diuretici per ridurre il postcarico, e riposo per
almeno 4 settimane. In caso di cardite bisogna intervenire subito e bene (il cortisone è il più potente antiinfiammatorio)
• Aloperidolo (inibitore dei recettori della dopamina) o antiepilettici (etosuccinile) per corea: la corea nella maggior
parte dei casi non necessita di trattamento, il quale viene iniziato solo per pazienti che presentano forme moderate o
gravi e con sintomatologia disturbante. È causata da una disfunzione biochimica del corpo striato in risposta ad
un’infezione streptococcica, che determina uno squilibro tra sistema dopaminergico e colinergico con conseguente
iperattività dopaminergica

Profilassi primaria
La profilassi primaria va effettuata ai soggetti con faringite streptococcica. La profilassi primaria consiste nel
diagnosticare e trattare i casi di faringite streptococcica con terapia antibiotica specifica (anche se la metà quasi degli
attacchi di malattia reumatica è la conseguenza di infezioni faringee subcliniche o asintomatiche):
• Diagnosi: per fare diagnosi di faringite streptococcica si effettua un tampone faringeo (coltura + test rapidi), e poi si
vanno a valutare i sintomi aspecifici (mal di gola urente con la gola che brucia e impedisce al bambino di ingoiare ad
esordio improvviso, dolore alla deglutizione, febbre con brividi, adenopatia laterocervicale dolente) e specifici (eritema
tonsillo-faringeo anche con essudato purulento raccolto in corrispondenza delle cripte o angina lacunare, petecchie sul
palato, escoriazioni a livello delle narici). Se il tampone faringeo è negativo nel bambino lo si fa ai familiari i quali
potrebbero averlo e trasmetterlo al bambino che è sensibile.
• Trattamento: per quanto riguarda il trattamento da 50 anni la penicillina è il trattamento di scelta della faringite
streptococcica anche perché non sono stati ancora isolati ceppi penicillino-resistenti in nessuna parte del mondo; in
particolare si usa:
 benzatin penicillina G (diaminocillina, wycillina AP) in unica somministrazione alla dose di 600.000 UI se il bambino ha
meno di 6 anni e alla dose di 1.200.000 UI se il bambino ha più di 6 anni (sono penicilline a rilascio lento che rimangono
nell’organismo per 40 giorni)
 penicillina V (fenospen in compresse da 1.000.000 U) ma è poco usata per la scarsa compliace
 amoxicillina (50mg/kg/die in 3 somministrazioni per os per 10 giorni)
 amoxicillina + acido clavulanico (50mg/kg/die in 2 somministrazioni per os per 10 giorni)
 cefpodoxima (8mg/kg/die in 1 somministrazione per 5 giorni)
 mentre nei soggetti allergici a penicillina si somministra eritromicina (40-50mg/kg/die in 3 somministrazioni per os per
10 giorni), oppure azitromicina (10mg/kg/die in 1 somministrazione per 3-5 giorni)
Prognosi
Un episodio acuto di malattia reumatica si risolve in genere entro un periodo di 3 mesi nell’80% dei pazienti, entro 4
mesi nel rimanente 20%. La prognosi è condizionata dalle alterazioni tardive della cardiopatia reumatica cronica e dalle
recidive. Le ricadute sono più frequenti nei primi 3-5 anni che seguono il primo attacco. Il rischio di cardite cronica va da
0-12% nei pazienti che non hanno avuto cardite al primo episodio, mentre è del 18% nei pazienti con cardite iniziale
lieve e del 70% nei pazienti con cardite grave (scompenso, pericardite). Se vi è iniziale grave cardiomegalia e
insufficienza cardiaca è facile l’evoluzione verso insufficienza o stenosi permanenti (trattamento chirurgico).

Profilassi secondaria
La profilassi secondaria va effettuata a tutti i soggetti che hanno avuto un attacco di malattia reumatica
(indipendentemente dal coinvolgimento cardiaco o meno) per evitare le recidive. La profilassi secondaria consiste nel
somministrare:
• benzatin penicillina G (diaminocillina, wycillina AP) ogni 3-4 settimane alla dose di 600.000 UI se il bambino ha meno di
6 anni e alla dose di 1.200.000 UI se il bambino ha più di 6 anni
• eritromicina 250mg per os per 2 somministrazioni giornaliere
La durata della profilassi dipende dalla presenza o meno di cardite:
• nei soggetti senza cardite: per 5 anni dall’attacco e fino ai 18 anni (qualunque sia l’età)
• nei soggetti con cardite lieve o guarita: per 10 anni dall’attacco e fino ai 25 anni (qualunque sia l’età)
• nei soggetti con cardite grave: per tutta la vita
Profilassi per l’endocardite batterica
Si effettua ai soggetti con cardiopatia
• Se si devono effettuare manovre al cavo orale e alte vie respiratorie: il regime standard prevede somministrazione di
amoxicillina per os (50mg/kg 1 ora prima della manovra e 25mg/kg 6 ore dopo la prima dose); se il pz non è in grado di
assumere terapia per os allora si somministra ampicillina (50mg/kg IM o EV 30min prima della manovra e 25m/kg IM o
EV 6 ore dopo la dose iniziale); se il paziente è ad elevato rischio 30 minuti prima della manovra si somministra
ampicillina (50mg/kg IM o EV) e gentamicina (2mg/kg max 80mg IM o EV)
• Se si devono effettuare manovre all’apparato gastroenterico e genitourinario: la profilassi standard prevede che 30
minuti prima della manovra si somministra ampicillina (50mg/kg IM o EV) e gentamicina (2mg/kg max 80mg IM o EV), e
ampicillina (50mg/kg IM o EV) ogni 8 ore dopo la dose iniziale e per le prime 24 ore;per paziente a basso rischio si
somministra amoxicillina per os (50mg/kg 1 ora prima della manovra e 25mg/kg 6 ore dopo la prima dose); se il pz non è
in grado di assumere terapia per os allora si somministra ampicillina IM o EV allo stesso dosaggio e per la stessa durata
dell’amoxicillina.

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