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Ario e il concilio di Nicea

PT 220
Prof. Simonetti, M.
11.X.99

La situazione all'inizio del IV secolo.


I problemi della controversia ariana sono problemi che già si agitavano
grosso modo da un secolo, ma in parte anche prima. Quella che si pone non
è una problematica nuova.
Abbiamo a che fare con testi la cui autenticità è stata a volte
contestata (cfr. Abramowski con critica di Simonetti in Studi sulla cristologia
del II e III secolo, pp. 274-283) tra gli altri con questo argomento: troviamo
termini che sono caratteristici della controversia ariana in documenti anteriori.
Dunque questi documenti non sarebbero autentici ma sarebbero stati
falsificati per servire a determinate finalità, dipendenti dalla controversia
ariana. E' un argomento che non convince affatto Simonetti, perché in
definitiva trovare un termine caratteristico della controversia ariana del IV sec.
in un personaggio del III sec. non meraviglia, appunto perché tali problemi
erano già all'ordine del giorno. Questi problemi, al tempo di Ario, prendono
solo un aspetto particolare, per motivi che saranno chiariti, ma di per sé la
problematica era fin troppo antica, rimontante a 100 se non 150 anni prima.

Già negli anni 40 - 50 del II secolo gli gnostici avevano cominciato a


concentrare la loro attenzione sui problemi posti da Cristo nell'ambito del
messaggio cristiano, così come si conosceva in quel tempo. I due problemi
fondamentali (che un tempo venivano considerati i misteri fondamentali della
fede, così diceva il catechismo) erano:

1. Unità e Trinità di Dio


2. Incarnazione passione e morte di nostro Signore Gesù
Cristo

ovvero:

1. Come Cristo può essere considerato Dio senza ledere il dogma


fondamentale del monoteismo?
2. Come in Cristo possa coesistere una dimensione divina e una
umana (in un unico soggetto)?

Questi sono i due problemi che hanno alimentato polemiche, perché


sono problemi di non facile soluzione.

Il quadro della situazione dottrinale alla vigilia della controversia ariana


(inizi del IV secolo)

Ci troviamo con un quadro che è anche geograficamente


differenziato. Simonetti batte molto su questo punto. Non si deve pensare
all'evoluzione dottrinale di questo periodo (II-III) come a qualcosa di
omogeneo. Come se ci fosse una determinata dottrina che trova una
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opposizione, ora di un certo genere e ora di un altro genere. Siamo in
un'epoca in cui le comunità cristiane hanno una larghissima autonomia una
dall'altra. Vi si assiste a quello che oggi sarebbe definito pluralismo teologico.
Pluralismo teologico determinato anche geograficamente. La situazione è
geograficamente differenziata. Non si può parlare in modo generico. E' meglio
una presentazione dettagliata geograficamente.

L'Egitto e Alessandria

E' qui che comincia la controversia ariana. Alessandria, dal II sec in poi,
è il centro dottrinalmente più importante di tutta la cristianità. Alessandria
significa l'Egitto, perché il patriarca di A. ha controllo su tutte le chiese di
l'Egitto.
Ad Alessandria è prevalente la dottrina del Logos.
Cosa si intende per dottrina del logos? Non solo la generica definizione
di Cristo come logos (dal prologo di Gv che fonda questa dottrina). Non basta
che Cristo sia definito Logos = pensiero e parola di Dio. Tale logos è una
entità divina personalmente sussistente accanto al Padre. Il logos è il
pensiero e la parola personalizzata del Padre. Personalizzata in funzione di
creazione e governo del mondo e quindi anche della redenzione del mondo
peccatore. La concezione base comune a tutti i rappresentanti di questa
impostazione teologica, a partire nell'ambito dello gnosticismo da Giustino,
Ireneo, Clemente, Origene e, in area latina, Tertulliano e Novaziano, è
articolata su due elementi.
- Un Dio sommo,
- La sua parola personalizzata
che sta rispetto a lui in posizione subordinata che in definitiva è il
personaggio che agisce nel mondo, lo crea, lo governa, lo redime e lo
giudicherà alla fine del mondo.
Tenendo presente lo iato che divide il Dio sommo dal mondo della
creazione, lo iato è colmato dal Logos che esaurisce in sé tutto il rapporto
divino tra Dio e il mondo. La funzione del Logos è totalizzante. Al tempo che ci
interessa questa dottrina si era formalizzata nella dottrina delle tre ipostasi
formulata per la prima volta da Origene e poi gradualmente impostasi in
Egitto. In questo periodo tale dottrina è la dottrina ufficiale del patriarca di
Alessandria.

Cosa significa ipostasi?


Termine di ascendenza filosofica greca indica una entità personale
individuale sussistente. E' termine molto forte. Parlare della dottrina delle tre
ipostasi significa distinguere nella divinità tre entità personalmente sussistenti
che sono P F e SpS. Questa dottrina li contempla in un ordinamento verticale.
Alla fine della polemica ariana invece saranno distinti su un ordinamento
orizzontale, con un cambiamento radicale.
Il P con sotto il F con sotto lo SpS.
E' chiaro che se il Logos ha funzione totalizzante nel rapporto tra Dio
e mondo quale sarà la funzione dello SPS? La dottrina del Logos non è mai
riuscita a trovare una soluzione soddisfacente di questa questione. Lo SpS è
un elemento che deriva dalla lex orandi: si battezza nel nome del P F e SpS
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ma a livello di dottrina, proprio perché il Logos risolve tutto il rapporto tra Dio e
mondo, si trova difficoltà a inserire lo SpS. L'Oriente sempre troverà questa
difficoltà. Infatti tutte le azioni attribuibili allo Spirito santo (santificazione e
ispirazione della Scrittura), possono essere a pieno titolo attribuite anche a
Cristo Logos perché lo Spirito santo è lo Spirito di Cristo.

La polemica ariana nella prima fase si concentrerà esclusivamente sul


rapporto tra il P e Cristo.
Quale è il grande problema posto da questa dottrina delle tre ipostasi?
Come le tre ipostasi possano costituire un solo Dio?
All'inizio del II secolo quando la questione era ristretta al Logos e al P il
rappresentanti della teologia del Logos furono tacciati di essere diteisti.
Quando poi l'interesse si sposta sullo SpS, attorno agli anni 60 del III secolo, i
rappresentanti delle tre ipostasi furono tacciati di essere triteisti.
La soluzione era stata data non sul piano statico della natura o della
sostanza (come avverrà per la controversia ariana) ma sul piano dinamico
dell'azione: Origene aveva detto che P e F sono due quanto all'ipostasi
(Contra Celsum 8,12) ma (hen) una cosa sola o symphonia, riguardo
all'accordo. C'è insomma unità. L'autore del Contra Noetum aveva parlato di
una dynamis, di una potenza unica del P e F. L'unità è concepita
dinamicamente. Sono tre entità distinte ma il loro accordo e la loro
compenetrazione è tale che l'agire è assolutamente unitario e questo agire
assicura l'unicità di Dio. E' chiaro che gli avversari non si accontentavano di
una soluzione di questo genere.
Questa impostazione dottrinale era stata portata avanti soprattutto ad
Alessandria d'Egitto, ma aveva trovato difficoltà anche lì. Poi erano state
gradualmente rimosse nella seconda metà del III secolo ad opera di Dionigi
d'Alessandria. Nel periodo che ci riguarda, la dottrina delle tre ipostasi è
dottrina ufficiale della chiesa di Alessandria ed è dominante in tutto l'Egitto. Ci
sono comunque, soprattutto nella zona marginale della Libia e della
Cirenaica, che dipendono dal patriarca di Alessandria, delle opposizioni
monarchiane.

Questa dottrina è diffusa notevolmente al di là dell'Egitto. E' molto


rappresentata in Palestina. E' diffusa in Arabia, in Siria, in Asia minore, ove
però trova ancora forti ostilità. Vi è dunque un clima teologicamente
conflittuale ancora all'inizio del IV sec.
L'occidente è un po' torpido in questo periodo. Roma, attiva nella
prima metà del III secolo, ha abbandonato questi problemi. E' caratterizzata in
senso ostile alla dottrina del Logos. E' a Roma che la dottrina del Logos era
stata considerata prima diteista e poi triteista. Prevale quella dottrina che io
definisco monarchianismo moderato (rimproverato da Urìbarri Bilbao,
Monarchia y trinidad… con replica di Simonetti in "Storia e letteratura
religiosa").

Quale è l'opposizione incontrata dalla dottrina del Logos?

Si presentava come una dottrina politeista: diteismo o triteismo. Questo


è il punto debole della dottrina del Logos. Questa ostilità si era formalizzata
verso la fine del II secolo in Asia minore (l'Asia romana, le regioni della
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attuale Turchia, prospiciente al bacino dell'Egeo: Smirne, Efeso, Sardi;
regione all'avanguardia del mondo cristiano, ove vi era una comunità
fortemente giudaizzante di tradizione giovannea). La dottrina del Logos
suscita una reazione monarchiana. Il termine monarchia, era termine politico,
ma nel mondo greco e giudeo-ellenista aveva già assunto un significato
religioso = monoteismo.
E' il termine che viene opposto alla dottrina del Logos. Un'affermazione
più decisa dell'unità di Dio. Questa affermazione, reazione alla dottrina del
Logos prende forma in due modi che sono antitetici uno rispetto all'altro.
Con termine moderno sono definiti

1. adozionismo
2. modalismo

1. adozionismo E' una dottrina che è l'elaborazione in zona greca


di una dottrina antica di origine giudaizzante. I cristiani più giudaizzanti non
avevano mai accettato la qualifica di theos che la tradizione paolino-
giovannea attribuisce a Cristo già dalla fine del I secolo (linea: Paolo, Eb, Ap;
Gv 1,). Contro la linea giudeocristiana radicale, che alla fine del secondo
secolo sarà estromessa dalla chiesa sotto il nome di ebionismo, vedeva in
Cristo solo il messia. Un uomo dotato di carismi straordinari, ma un uomo,
come Mosè e i profeti. Più di loro dotato di prerogative e doni divini, ma
sempre a livello di umanità.
Questa dottrina viene rispolverata e risistemata da Teodoto, cristiano
di Bisanzio, detto il cuoiaio.
Viene chiamato adozionismo dai moderni perché Cristo, a seguito dei
prodigi operati dopo la risurrezione, viene adottato a FdD, ma in realtà egli è
un uomo. Questa dottrina salvaguarda l'unicità di Dio alla maniera giudaica,
declassando Cristo dalla dignità divina che gli assegnava la dottrina del Logos
a quella di un uomo divinamente ispirato, ma un uomo.

2. modalismo Nasce anch'esso in Asia minore ad opera di Noeto,


di Smirne.
Esiste solo un Dio, il P, che ai fini della redenzione si fa conoscere
come F, come il Gesù storico. Il F è soltanto un modo di essere, un nome del
P. L'affermazione di Noeto è che sulla croce aveva patito il Padre in veste di
figlio. In zona occidentale allora tale dottrina fu qualificata come
patripassianismo. Tale dottrina salvaguardava l'unicità di Dio e la divinità di
Cristo, ma eliminando Cristo qua deus. Egli è solo un modo di manifestarsi del
Padre, non ha una sua personalità in quanto Dio. Questa dottrina si sposta a
Roma verso la fine del II secolo inizi del III secolo. Qui trova terreno fertile.
Grande successo perché la chiesa di Roma era di origini fortemente
giudaizzanti. In autori del II secolo (Pastore di Erma, 1 Clem), Cristo non è
mai definito theos. In ambiente romano, anche se la dottrina del Logos è
rappresentata (Giustino, Ps. Ippolito) è sempre in posizione minoritaria.
Perché in posizione minoritaria?
Nuoceva alla dottrina del Logos il fatto che fosse portata avanti non
solo in ambito cattolico, ma soprattutto gnostico. Noi oggi siamo in grado di
separare nettamente Valentino da Giustino, ma allora era difficile percepire la

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differenza. Buona parte dell'ostilità alla dottrina del Logos deriva dal fatto che
si consideravano gnostici i sostenitori della dottrina del Logos.
Possiamo seguire bene i contrasti a Roma nel II-III secolo ad opera
dell'autore dell'Elenchos. Papa Callisto fa prevalere la soluzione di
mediazione. E' un monarchianismo moderato. E' una posizione molto più
monarchiana che non aperta alla dottrina del Logos.
Roma nella seconda metà del II secolo (questione cosiddetta dei due
Dionigi) resta arroccata su una posizione monarchiana moderata. Alla fine
del terzo secolo, per monarchianismo moderato intendo un concetto
esclusivamente negativo: di rifiuto della dottrina delle tre ipostasi, che Dionigi
di Roma definisce dottrina triteista ma che è la dottrina di Dionigi di
Alessandria. Roma significa tutto l'Occidente che dottrinalmente è sempre
allineato con Roma.
Nel quarto secolo abbiamo un Egitto allineato con Alessandria sulla
dottrina del Logos, ma in Libia ci sono permanenze monarchiane di tipo
patripassiano che adesso si chiama sabellianismo. A Roma negli anni 30
questa dottrina patripassiana che considera il F come un nome del P, una sua
apparenza, a Roma fu rappresentata da Sabellio. Ha una certa diffusione in
oriente e in Libia e prende il nome da Sabellio. In oriente viene definita come
sabelliana; in occidente è chiamata patripassiana. Gli antichi identificano
completamente il sabellianismo orientale con il patripassianismo occidentale.
Il sabellianismo è diffuso soprattutto in questa area ristretta (la
Pentapoli libica, attorno a Cirene, odierna Bengasi… che allora era molto
più popolata ed evoluta di adesso).
In Oriente (cioè la diocesi di oriente, ovvero la Siria, la Palestina, l'
Arabia, parte dell'Asia minore) la dottrina del Logos trova forte contrasto
nell'altra forma di monarchianismo, il monarchianismo adozionista. Questo
adozionismo si sviluppa molto in Oriente. Assimila anche qualcosa della
dottrina del Logos: accetta di parlare di Cristo come il Logos, ma al Logos non
assegna una personalità sussistente (punto controverso). Le zone
fondamentali nel cristianesimo di allora (Siria e Asia minore) vedono il
contrasto tra una dottrina del Logos in espansione e forti aderenze
monarchiane che polemizzano in modo aperto. In Siria c'è Antiochia, la
seconda metropoli di Oriente dopo Alessandria, dove il cristianesimo era
fortissimo già nel terzo secolo. Mentre Alessandria è ben controllata dal
vescovo che rappresenta la dottrina del Logos, Antiochia è ancora un campo
di battaglia. La Siria è zona di passaggio e le tendenze si scontrano e si
incontrano, a differenza di Alessandria.
Questo è il quadro della situazione agli inizi del quarto secolo. Non
come si legge normalmente sui manuali: una dottrina del Logos dominante
dappertutto con contrasti locali, ma una dottrina del Logos che solo in Egitto è
dominante in Oriente, altrove è molto ben rappresentata, soprattutto in
Palestina e Siria, ma trova resistenze forti da parte di monarchiani, soprattutto
adozionisti. Questi erano stati rappresentati da Paolo di Samosata, vescovo
di Antiochia nella II metà del III secolo, e dai sabelliani. Sabellio è diventato
l'emblema del monarchianismo: quando gli avversari, i rappresentanti del
logos polemizzano si riferiscono ai sabelliani.

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Le fonti
La vicenda di Ario nasce in tono minore. Sembra a tutti un contrasto
interno alla chiesa di Alessandria. Sul momento nessuno in Egitto, tanto meno
Alessandro di Alessandria, poteva pensare che questo incidente locale
diventasse un incendio tale intorno agli anni '60, come dice Girolamo: tutta la
terra gemette accorgendosi di essere diventata ariana.
Questo ha fatto sì che degli inizi della controversia nessuno si è
preoccupato di prenderne nota. Solo a poco a poco, quando questo incidente
diventa sempre più forte fino a coinvolgere tutta la cristianità orientale e -
dopo la morte di Costantino - anche la cristianità occidentale, allora si
comincia a riflettere anche sugli inizi della controversia e ci si danno notizie,
che però sono molto tarde.
Al tempo della controversia abbiamo Eusebio! Autore di una storia
ecclesiastica che arriva proprio fino lì, ma egli tace completamente della
controversia ariana. Egli infatti è stato uno dei protagonisti e ha preferito per
prudenza e senso storico tenerlo fuori dalla sua presentazione storica. Nella
sua Vita di Costantino parla genericamente del concilio di Nicea, senza
entrare nei particolari. Egli partecipa alla controversia come uomo politico,
come teologo, ma l'ha tenuta fuori dalla sua esposizione storica.
Ce ne parlano i continuatori di Eusebio: Socrate, Sozomeno e
Teodoreto, ma stiamo alla metà del V secolo e le notizie che essi hanno sugli
inizi della controversia sono notizie vaghe e generiche.
Epifanio, verso la fine del IV secolo, ha scritto un Panarion, opera
antieretica, che si occupa molto dell'arianesimo. Lui è meno lontano dagli inizi,
ma la documentazione che dà non sembra essere completamente affidabile.
Questa documentazione che abbiamo sugli inizi della controversia è
una documentazione tutt'altro che esauriente.
La controversia ariana è la controversia più importante del IV secolo,
coinvolge per 60 anni tutta la cristianità, tutti i grandi rappresentanti. Il fior fiore
della teologia cristiana del IV secolo è tutto legato alla controversia ariana. I
più grandi teologi, Eunomio (ariano), Basilio, Gregorio Nisseno, Ilario, sono
tutti coinvolti e scrivono su di essa. Abbiamo anche molte notizie storiche, ma
solo a partire dagli anni '40. Da qui siamo ben ragguagliati anche sull'aspetto
dottrinale e politico della controversia. Ma non abbiamo nessuna notizia
attendibile sullo svolgimento del concilio di Nicea. Invece lo abbiamo sul
concilio di Serdica del 343 e per concili successivi. Il motivo è questo: solo col
passare del tempo si arriva a concepire l'importanza di questa questione.
Quando i primi cominciano a scrivere, storicamente sono passati troppi
decenni. Dato sconcertante: la carenza di notizie sullo svolgimento del
concilio di Nicea. Di esso possediamo il simbolo niceno; una serie di canoni
di carattere disciplinare e liste di vescovi che hanno sottoscritto. Poiché il
concilio di Nicea ben presto diventa importante, ci si chiede come mai
nessuno degli storici successivi abbia pensato di utilizzare gli atti del concilio
di Nicea (CN). Il CN è un concilio indetto personalmente da Costantino, che vi
è stato presente, perciò gli atti sicuramente ci sono stati: è stato un fatto di
carattere sia religioso che politico e anche nei fatti di carattere solo religioso si
era perciò soliti stenografare e mettere per iscritto. E' assurdo pensare che
presente Costantino, non vi siano stati i notarii a trascrivere le discussioni. Per
i concili di Efeso e Calcedonia, per esempio, possediamo centinaia di pagine.
Le discussioni sono tutte stenografate, possiamo seguirle quasi ora per ora
nel loro svolgimento, non meno del Vat II. Ma per Nicea non è accaduto.
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Perché? Forse anche perché a Nicea, nella seconda metà del IV sec, ci fu un
terremoto devastante e la città fu completamente distrutta. Forse anche gli
archivi saranno andati distrutti.
E' un fatto che dobbiamo solo constatare: non sappiamo come CN si
sia svolto. Anche il resoconto di Atanasio è di 30 anni dopo, e non è un
resoconto storico, egli espone al sua idea. Prima di Atanasio si prendeva tutto
quello che diceva come oro colato. Atanasio, essendo diacono e successore
di Alessandro in pectore, è certo andato a Nicea con il suo vescovo, ma non
ha partecipato al concilio. Scrive 30 anni dopo, e per motivi polemici. Perciò
non è lui colui che impugna la controversia contro Ario. Su tali scritti dobbiamo
perciò fare la debita tara quando li utilizziamo come storici.
Dunque: lacuna di dati.
Fortunatamente ci sono una serie di documenti epistolari. In
preparazione del concilio le due parti contrastanti si dedicarono a raccogliere
dei dossier di documenti e li fecero circolare. Gran parte di questi documenti è
andata perduta, ma alcuni sono stati utilizzati dagli storici successivi, e
introdotti nei loro racconti storici. Socrate ci dà un resoconto mediocre della
controversia ariana. Ma quando riporta la lettera di Ario a Eusebio di
Nicomedia riporta un documento di primo ordine.
Abbiamo una serie di documenti
- due lettere di Ario (più una terza successiva meno importante)
- Eusebio di Nicomedia a Paolino di Tiro
- Eusebio a Eufrazione
- La lettera sinodale del concilio di Alessandria
- Alessandro di Alessandria ad Alessandro di Tessalonìca
- L'autodifesa di Eusebio di Cesarea dopo la fine del concilio (e il suo
voltafaccia). Documento preziosissimo, scritto pochi giorni dopo la fine del
concilio.

Non sappiamo esattamente quando la controversia sia cominciata:


per alcuni nel 317; per altri nel 323. Genericamente si dice attorno al 320.
La documentazione è poca ma è esatta, precisa. Se non ci permette di
dire molto sullo svolgimento materia dei fatti, tuttavia non poco sugli
atteggiamenti dottrinali delle varie parti in contrasto. Quelli li conosciamo, non
benissimo, ma almeno bene. Le lettere hanno circolato, sono state raccolte e
utilizzate dagli storici.
Opitz, ha fatto una raccolta di tutti i documenti della prima fase della
controversia ariana, dagli inizi della controversia alla morte di Costantino. In
buona parte sono anche in Orbe-Simonetti, Il Cristo.
Possiamo seguire meglio l'aspetto dottrinale della controversia che non
la vicenda storica della controversia. Questa possiamo cominciarla a seguire
bene dalla seconda fase, dopo la morte di Costantino (337-340?).
Lettera di Ario a Eusebio di Nicomedia
Eusebio di Nicomedia a Paolino di Tiro

18.X.99

Considerazione generale
La controversia ariana segna l'inizio di un nuovo modo di fare politica
ecclesiastica in dipendenza dalle mutate condizioni politiche. Per tutto il III
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secolo i cristiani avevano litigato tra loro, nell'ambito dello stesso ambiente,
ma in perfetta libertà e autonomia. Lo stato era teoricamente ostile, ma di
fatto se ne disinteressava e ogni tanto c'erano fenomeni persecutori. In
definitiva l'ostilità dello stato si ripercuoteva solo in senso negativo. Non aveva
nessun interesse ad intromettersi nelle questioni interne della chiesa. I dibattiti
teologici si erano svolti in assoluta libertà e autonomia. Quando si era arrivati
a delle condanne, erano meramente condanne ecclesiastiche, di concili locali
o di vescovi. La conseguenza era solo a livello religioso senza nessuna
particolare ripercussione nella struttura politica dell'impero.
La controversia ariana si svolge nell'ambito di un impero nel quale Costantino
non solo ha dato ai cristiani la libertà di culto, ma da subito ha preso a
favorirli: questa è la novità. Costatino di fatto (e di diritto) diventa il capo
della chiesa. Il che ha una conseguenza assolutamente enorme e decisiva (e
irreversibile fino a tempi moderni). Nello stato antico la religione era un
elemento integrante della struttura dello stato. L'imperatore romano era
pontifex maximus, somma autorità non solo politica ma anche religiosa. C'è
una compenetrazione completa nello stato antico tra componente religiosa e
politica. Ogni atto religioso in quanto tale ha una valenza politica, soprattutto
quando non è strettamente individuale. L'impero romano ha perseguitato i
cristiani, che erano cittadini osservanti della leggi, perché essi, rifiutando la
valenza religiosa dell'imperatore, automaticamente si ponevano fuori anche
dalla struttura politica. Il loro rifiuto degli dèi tradizionali era considerato un
delitto di lesa maestà, contro l'autorità dello stato. Poi di fatto l'impero era
stato largamente tollerante, tranne che in certe occasioni. Di diritto però la
posizione era questa. Nel mondo antico (Egitto per es.) non è concepibile una
distinzione tra la componente politica e quella religiosa. La religione è parte
integrante della struttura statale. Libera chiesa in libero stato in antichità è
assolutamente inconcepibile.
Ciò vuol dire che quando Costantino ribalta di 180 gradi l'atteggiamento
dello stato rispetto alla chiesa, e non solo l'autorizza, ma la favorisce, era
naturale che egli, in quanto imperatore e capo della religione in generale,
diventasse anche capo della chiesa. Le conseguenze sono di proporzioni
decisive. D'ora in poi tutte le controversie assumono immediatamente valenza
politica. Una condanna religiosa automaticamente diventa una condanna
civile.
Con Costantino i vescovi diventano funzionari statali: il fatto stesso che
quando viaggiano usano il cursus publicus, cioè l'organizzazione dello stato,
significa che sono diventati funzionari di stato. Questa è la novità. E' chiaro
che c'è una sovrapposizione massiccia di esigenze di carattere politico che
complicano enormemente lo svolgimento di controversie che fino ad allora
erano state esclusivamente di carattere dottrinale.
Abbiamo due aspetti dello stesso fenomeno:
- L'unificazione della controversia.
- Il frazionamento dottrinale che abbiamo visto fino al IV secolo (data la
costituzione federativa delle chiese) non avviene più. Poiché l'autorità politica
si intromette subito nella questione religiosa e poiché è unica in tutto l'impero,
quando la controversia è di una certa importanza, ineluttabilmente si estende.
Non ci possono essere più questioni isolate. L'ingerenza del potere politico
comporta la generalizzazione e unificazione della controversia.
-Laddove il potere politico è molto forte, la completa subordinazione di
esigenze di carattere religioso a superiori esigenze di carattere politico.

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Come vedremo la controversia ariana ha assunto i caratteri che ha
assunto, perché dopo gli inizi locali, subentra il potere politico e la
controversia diventa un fatto anche politico. CN non è solo un assise di
carattere religioso, ma anche di carattere politico, tanto che Costantino è stato
presente. La sentenza di condanna che il CN porta ai danni di Ario non sarà
solo religiosa ma anche politica (esilio). L'esilio era una grave condanna di
carattere politico.
Questo è il nuovo contesto politico. La chiesa è ormai già integrata
nell'impero (329). Costantino la considera una struttura importante del suo
impero e quindi interviene attivamente. La cosa che interessa di più
l'imperatore non è tanto la prevalenza di una idea ma il ristabilimento della
pace religiosa. L'imperatore perciò tenderà sempre a buttarsi dalla parte che
riterrà quantitativamente più consistente, dalla parte della maggioranza.
Quando si troverà davanti ad un frazionamento forte (seconda fase) la scelta
non sarà più facile e il peso del potere politico diventerà ancora più forte
perché laddove esso concentra il suo favore permette la vittoria della parte.

La controversia
Per la prima fase, come già detto, conosciamo poco per carenza di
fonti. All'inizio la controversia non sembrava così importante e gli inizi ci
sfuggono.
Eusebio non ne parla della storia ecclesiastica. Nella vita di Costantino
si ferma solo sui particolari in riferimento a Costantino, ma si guarda bene
dall'entrare nei termini della controversia. Eusebio è in netta inferiorità a CN e
la sua condotta è ispirata ad una politica personale (e per questo, per il suo
grande senso storico, egli evita di parlare della storia da parte sua, di lui che è
così direttamente coinvolto nei fatti). Mancando Eusebio, la carenza è grande.
I continuatori di Eusebio, Rufino (latino) scrive ai primi del V secolo;
Teodoreto Socrate e Sozomeno (greco) ancora dopo. Sono tutti molto
lontani dagli inizi della controversia. Sfruttano determinati materiali che noi
stessi non conosciamo e di cui non possiamo determinare il peso.
Notizie meno lontane le ricaviamo da Epifanio di Salamina, Panarion.
Epifanio scrive circa 50 anni dopo i fatti. Consulta direttamente i protagonisti.
Ci dà alcuni dati però non era molto interessato ai fatti storici, ma ai problemi
dottrinali.
Atanasio ha trattato soprattutto i fatti successivi alla morte di
Costantino per difendersi. La sua descrizione del CN, l'unica, è scritta 30 anni
dopo lo svolgimento del concilio, la sua attendibilità storica però è un po'
ambigua. A. non scrive da storico.
In definitiva i dati più importanti ci vengono dai documenti relativi agli
inizi della controversia. Le due parti in contrasto per farsi propaganda fanno
dei dossier di lettere scritte da vari personaggi e le diffondono. Alcuni di questi
testi sono stati recepiti dagli storici Socrate, Sozomeno e Teodoreto e sono
stati trascritti. L'abitudine di Eusebio di riportare la documentazione così
com'è, l'hanno seguita anche i suoi successori. Non era affatto ovvio in
antichità che uno storico riproducesse sic et simpliciter un documento storico.
Procedimento eccezionale per noi, quindi, quello di Eusebio. La storia per
Cicerone è opera di alta letteratura, il che implicava che la documentazione
utilizzata fosse rielaborata. Sallustio, Livio e Tacito non presentano documenti
riportati, ma rielaborati. Eusebio si tiene su un genere letterario più modesto,
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di letteratura memorialista, riporta i documenti come li leggeva (che gli
risparmiava anche la fatica di rielaborare, affidando allo scriba la copiatura).

Gli inizi della controversia

Non riusciamo nemmeno a determinare l'inizio esatto della


controversia. Genericamente fissiamo attorno al 320. Alcuni pensano che i
fatti che precedono il CN sono così tanti da esigere una preparazione
consistente (propongono il 317). Altri pensano che tutto si sia svolto con
grande rapidità (323-324).
Una circostanza che ha contribuito a intorbidare la questione (non
essenziale) è la situazione politica. Quando Ario comincia a predicare la sua
dottrina quale è la situazione politica dell'impero romano? Costantino ha
Licinio accanto. L'impero è ancora diviso. I rapporti sono pessimi e
sfoceranno nella guerra che porterà alla sconfitta e la morte di Licinio. Poiché
Costantino si era appoggiato immediatamente ai cristiani, Licinio in oriente si
appoggia sull'elemento pagano e arriva attorno al 320 a misure anticristiane
tra cui la proibizione ai cristiani di tenere concili. Poiché il CN non è isolato,
ma preceduto da concili locali, tali concili devono essersi tenuti prima o dopo
l'emanazione di questo provvedimento.
Però non sappiamo esattamente l'anno preciso in cui Licinio dà questa
disposizione. E non sappiamo neanche l'effettiva portata del decreto. Infatti
non basta una disposizione legale per dire che la legge era applicata: va visto
come e quando e in che limiti le leggi erano applicate (pallino di Di
Beradino!!). Alcune leggi restavano lettera morta o venivano applicate con
enorme ritardo o non venivano affatto applicate.
Il centro è inizialmente Alessandria. Ario un presbitero di Alessandria di
circa 60 anni, ben visto e preposto alla chiesa di Baucalis, comincia a
diffondere per via orale determinate dottrine cristologiche che provocano
subito contrasti i quali aumentano tanto che ad un certo punto il vescovo
Alessandro deve intervenire. Chi era e cosa sappiamo di Ario?
Ario è legato a Luciano di Antiochia. Dato sicuro che si ricava dalla
lettera di Ario. In molti testi tedeschi si parla di origine antiochena di Ario.
Luciano è uno dei personaggi più oscuri della cristianità del III secolo. Morì
martire nel 311 nell'ultima fase della grande persecuzione, ad Antiochia. Era
stato escluso dalla comunità di Antiochia per tre episcopati. Riammesso poco
prima della persecuzione.
La dottrina di Ario si spiega però perfettamente all'interno della chiesa
di Alessandria. Alessandria è abbastanza omogenea nella dottrina del Logos.
Vi è un atteggiamento estremista e uno più moderato. Le fonti sono
generiche. Ma l'insegnamento di Ario provoca difficoltà. Interviene
Alessandro. Secondo Epifanio, Ario sarebbe stato coinvolto nello scisma
meliziano.
Lo scisma meliziano interferisce in modo notevole nel nostro
argomento. Anche se l'argomento è completamente separato da quello
dottrinale. Melizio (non Melezio!) di Licopoli è il vescovo di Licopoli di Egitto.
Al tempo dell'ultima persecuzione quando Pietro di Alessandria era
imprigionato, ordinò dei vescovi per le sedi dei vescovi arrestati. E' una grossa
irregolarità perché - unico caso in tutta la cristianità - in Egitto i vescovi
venivano nominati tutti dal vescovo di Alessandria (detto il faraone cristiano).
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Era una tradizione che rimontava al III sec. Il vescovo di Alessandria doveva
essere scelto all'interno dei presbiteri di Alessandria, nominava tutti i vescovi
di Egitto. L'ingerenza di Melizio di Licopoli provocò uno scisma. La chiesa
egiziana al sorgere della controversia ariana è in crisi. Probabilmente la cosa
bagnava sul contrasto tra rigoristi e lassisti: Melizio avrebbe appoggiato la
parte rigorista. Ma probabilmente c'erano dietro anche fermenti di carattere
politico, e su questi fa presa Melizio. I meliziani non riconoscono l'autorità dei
vescovi di Alessandria e si danno una loro gerarchia interna meliziana (ma lo
scisma è solo disciplinare non dottrinale).
Ora da Epifanio pare che Ario inizialmente avesse aderito allo scisma
di Melizio al tempo di Pietro, poi avrebbe abbandonato lo scisma, rientrando
nella chiesa cattolica per cui il successore di Pietro, Achilla, lo avrebbe fatto
presbitero. Sarebbero stati i meliziani che lo avrebbero accusato presso
Alessandro di Alessandria [?Ma Patricio giustamente si domanda: "come
giustificare il fatto che dei meliziani si appellino al vescovo di cui rifiutano
l'autorità?] per le sue dottrine pericolose ed erronee.

Il racconto più diffuso di quello che succede quando Alessandro di A.


decide di intervenire lo leggiamo in Sozomeno, Storia ecclesiastica I,15.
Sozomeno è sempre citato insieme con Socrate che sono gli storici
ecclesiastici, di Costantinopoli del IV secolo. Sozomeno ha Socrate sotto
mano. Tante parti di Sozomeno è Socrate scritto un po' meglio. Sozomeno ha
anche delle fonti che Socrate non ha. Il suo racconto degli inizi della
controversia è più circostanziato. Su quale fonte? Non abbiamo la possibilità
di ricostruirlo. Sappiamo che aveva una fonte in più di Socrate: la raccolta dei
concili fatta da Sabino di Eraclea (nel Bosforo 380 ca.) - che non ci è rimasta
- vescovo macedoniano (né ariano, né cattolico). Il racconto di Sozomeno è
interessante: dice che alcuni che hanno ascoltato la predicazione di Ario
riferiscono ad Alessandro che predicava una novità contro la dottrina della
fede cristiana. Alessandro ricorre ad un costume tradizionale nella chiesa per
determinare i contrasti dottrinali: convoca le due parti alla sua presenza e dei
presbiteri e forse anche del popolo, i due contendenti: Ario e i suoi accusatori.
Ognuno sostiene la sua parte, poi il vescovo decide quale considerare valida.
Ma Alessandro ha una lunga esitazione.
Riunito di nuovo il concilio [dei presbiteri di Alessandria] in questa
riunione non si misero d'accordo le parti in contrasto e la questione sembrava
una questione incerta, dubbia. Alessandro all'inizio per un po' fu incerto,
lodando ora uno ora l'altro. Infine si decise per quelli che sostenevano le parti
contro Ario (qui la dottrina è nicena quindi è rifatta post-eventu). Ario viene
invitato a ritrattare. Ario non ritratta e viene condannato e scomunicato dalla
chiesa di Alessandria.
E' interessante la lunga esitazione di Alessandro. Perché Alessandro
ha esitato? (se Sozomeno non ha inventato e se cioè prende le fonti da
Sabino).
Chi erano gli avversari di Ario? Ario rappresenta un origenismo
radicale: il subordinazionismo tradizionale accettato da tutti veniva
radicalizzato fino a livelli inaccettabili. La dottrina di Ario è eccessiva: riprende
certe affermazioni di Dionigi alessandrino. Non erano posizioni nuovissime
nell'ambito della dottrina del Logos che è strutturalmente subordinante. Il
logos è concepito in posizione subordinata rispetto a Dio Padre. Non era

11
difficile che in determinate situazioni polemiche il subordinazionismo fosse
radicalizzato fino a termini difficili di accettare.
Chi sono gli accusatori di Ario? Solo rappresentanti della dottrina del
logos su posizioni moderate o dei monarchiani? L'Egitto in questo periodo è
unificato nella dottrina del Logos, ma frange monarchiane non possono non
esserci state visto che al tempo di Dionigi di Alessandria erano fortissime. Ciò
che è interessante è l'oscillazione di Alessandro. Perché Alessandro esita
tanto? Possiamo dare due spiegazioni
- soluzione politica: Ario è prete molto popolare, ha un seguito
notevole. Ha già il problema dello scisma meliziano e può aver pensato di
evitare di mettere altra zizzania oltre quella che già c'è. Spiegazione di
comodo.
- soluzione dottrinale: se l'ipotesi che gli accusatori di Ario
fossero monarchiani moderati, che non accettano la dottrina delle tre ipostasi,
patrimonio della chiesa di Alessandria, allora l'oscillazione di Alessandro è
molto più significativa. Alessandro non si riconosce né in Ario né nei suoi
accusatori. Alessandro è di origenismo moderato. Non accetta la posizione
estremista di Ario ma nemmeno la posizione moderata ma monarchiana degli
avversari di Ario.
La sua decisione non sarà stata personale ma collegiale.
Ario non solo non cede, ma comincia a diffondere la sua dottrina
addirittura in musica per il popolino. Adattando la melodia di certe canzonette
in uso tra i marinai di Alessandria. Notizia malevola, ma è vero che Ario tende
a popolarizzare la sua dottrina.
I cristiani anche del popolino si interessavano delle questioni
teologiche. I teologi di professione sono tutt'altro che entusiasti della
popolarità delle loro polemiche. Gregorio di Nissa dice: vado al mercato e
quello mi interroga sul consustanziale ecc…
Alessandro convoca un concilio di ca. 100 vescovi d'Egitto e Ario
non ritratta. C'è la scomunica ancora più solenne, comunicata per lettera
enciclica (che possediamo) a tutte le zone circumvicine (Siria e Palestina),
con Ario sono condannati altri preti e due vescovi della Libia: Secondino e
Teona.
Pare che anche Ario fosse originario della Libia. La collocazione non è
senza significato. La Libia è la zona in cui era forte il sabellianismo. Là dove
c'è clima polemico le tendenze tendono a radicalizzarsi sempre. Non ci
meraviglia dunque che questi due vescovi fossero aderenti alla dottrina di Ario
perché la dottrina di Sabellio li sposta su posizioni radicalmente opposte. C'è
qui la ripetizione della vicenda di Dionigi che si era spostato su posizioni
radicali in opposizione ai sabelliani.
Da molti è stata messa in evidenza la simmetria tra la vicenda di
Dionigi e quella di Ario. Perché le cose sono andate in modo radicalmente
diverso ?
La questione dei due Dionigi resta lì, quella di Ario fa divampare un
incendio.
Anche Dionigi fu accusato di dire che il F fosse un poiema. Stessa
accusa rivolta ad Ario. Subentrano fatti esterni.
Il contrasto tra i due Dionigi: sono lontani e hanno tutto l'interesse ad
andare d'accordo.
Il fattore umano: Dionigi vuole evitare problemi. Fa concessioni
importanti (riconosce che nella foga della polemica aveva ecceduto, ritratta

12
sul poiema, mantiene però le posizioni centrali della teologia Alessandria). Ma
fa marcia indietro e il vescovo di Roma poteva ritenersi soddisfatto.
Ario invece è intransigente: la polemica si svolge ad Alessandria. In fatti
di questo genere c'è sempre un elemento di carattere personale che gioca
molto. Al fattore ideologico c'è sempre un fattore di carattere personale. E'
inevitabile (antipatie ecc…).
Il contrasto tra i due Dionigi è asettico, accademico. Ma qui è in un
ambiente ristretto. Certo Alessandria è grande, ma le persone si conoscono e
il contrasto assume una dimensione personale.
L'atteggiamento di Ario poi non è quello di Dionigi, che è più
possibilista. Ario si rifiuta di ritrattare per due volte. Continua anche dopo al
condanna ufficiale.
La controversia invece di placarsi con la condanna solenne si
diffonde fuori dell'Egitto. Possiamo ipotizzare che Alessandro abbia riunito
l'episcopato perché già aveva notizia che la dottrina di Ario fuori dell'Egitto
trovava sostenitori molto forti, che non accettano la condanna e la
considerano iniqua come una prevaricazione ai danni del più debole e
prendono le parti di Ario. Da questo momento la polemica sfugge
completamente al controllo di Alessandria. Questo è il fatto nuovo: la dottrina
di Ario trova dei sostenitori.
Ario si rifugia a Cesarea da Eusebio che lo accoglie pensando alla
vicenda di Origene 50 anni prima. Subentra un aspetto politico di politica
religiosa. Il vescovo di Alessandria era sommamente impopolare in oriente
soprattutto in Palestina regione limitrofa che sentiva il peso del vescovo di
Alessandria. Questi strutturalmente è investito della politica di preminenza
dell'episcopato di Alessandria. Alessandria tende ad acquisire in Oriente la
posizione che a Roma in Occidente aveva già acquisito il vescovo di Roma.
Per questo vanno sempre d'accordo Roma e Alessandria. Mentre però a
Roma, a causa della minore diffusione del cristianesimo, questa politica non
viene contestata (solo Cipriano all'inizio), in oriente il cristianesimo era molto
più diffuso. Molte sedi erano importanti (Cesarea ecc..) questa politica
suscitava preoccupazioni. Al di là del problema dottrinale quindi c'è tutta una
componente di politica religiosa. Dare un buon colpo al vescovo di
Alessandria rallegrava molti vescovi che sentivano l'incombere di questo
personaggio, che comincia ad essere davvero potentissimo. In questo
contesto si colloca il primo fondamentale documento: la lettera che - non
sappiamo se già da Cesarea o ancora da Alessandria - Ario rivolge ad
Eusebio di Nicomedìa. Un altro Eusebio, personaggio molto potente. Infatti
in oriente non è stata ancora fondata Costantinopoli e Nicomedia è sede
imperiale, perché l'imperatore non ha sede fissa ma ne ha sparse a seconda
di dove sta: in Italia è Milano, in Pannonia è Sirmio, in Germania è Treviri, in
Siria è Antiochia e in Asia minore è Nicomedia. Questo Eusebio è un vescovo
che fin dal primo momento prese le parti di Ario insieme a Eusebio di
Cesarea.

25.X.99

13
Lettera di Ario ad Eusebio di Nicomedia

La lettera scritta da Ario dopo la condanna ufficiale del sinodo egiziano


che lo ha scomunicato. O forse è stato scritto quando era ancora in Egitto
oppure poco dopo che si è spostato, andato via da Alessandria e trovò asilo
presso Eusebio di Cesarea. Indirizzata ad Eusebio di Nicomedia, leader degli
orientali fino alla sua morte (341 ca.). personaggio notevolissimo. Nicomedia
allora, prima della fondazione di Costantinopoli era sede imperiale.
Testo rimarchevole sotto molti punti di vista. Le notizie storiche che ci
dà sono molto generiche. L'unico dettaglio importante è il collucianista con cui
egli definisce Eusebio.
Il testo è fondamentale dal punti di vista dottrinale. Costruito bene.
Prima parte: Ario respinge ciò che definisce l'insegnamento pubblico di
Alessandro
Parte di raccordo: avversari e partigiani
Seconda parte: esposizione della sua dottrina in opposizione alla
dottrina di Alessandro.

Testo sicuro: lo possediamo per due tramiti in greco e due traduzioni


latine e tutte concordano. Il tentativo di trovare interpolazioni (Noten) è fallito.

Poiché il padre Ammonio: non è il padre di Ario, perché Ario aveva 60


anni a quel tempo. E' il monaco Ammonio.
Alessandro afferma (demos…v)=pubblicamente
Significato di pubblicamente
1. Generale = la predicazione ordinaria di Alessandro.
2. Specifica = il dibattito svolto alla presenza di
Alessandro tra Ario e i suoi avversari. Per spiegare la condanna
di Ario Alessandro deve aver chiarito la dottrina che per lui era
quella esatta in base alla quale egli considerava erronea la
dottrina di Ario.

Come determina Ario l'insegnamento di Alessandro:


aei theos, aei huios
ama pater ama huios
synuparchei…
agennetogenes: termine coniato da lui.
Eliminando l'ultima frase, tutto il concetto espresso verte sul fatto che
Alessandro affermava che il Figlio coesisteva da sempre con il Padre. Sempre
il P sempre il F; insieme il P, insieme il F. Perfetta equiparazione sul piano
cronologico. Riguardo a questo ingenerato Ario da una parte dice che il F
coesiste con Dio senza essere stato generato, ma subito dopo dice generato
da sempre. Poi c'è il termine che è una contraddizione in termini, termine
coniato da lui: generato-ingenerato.
Alessandro dice che il P non precede di alcun istante il F. Il F è perfettamente
coeterno al P. Questa dottrina Ario non la può accettare.
Questo è un punto sul quale gli ariani sistematicamente attaccheranno i loro
avversari (ariani della I, della II e della III generazione). I testi ariani degli inizi
del V secolo dicono lo stesso: voi ritenete che il F sia ingenerato.
14
Da che deriva questa accusa? Dobbiamo rifarci un poco indietro.
Il problema del rapporto cronologico tra il P e il F inizialmente non era
stato posto. Quasi automaticamente il rapporto viene visto nei termini
materiali: come ogni padre precede naturalmente il F così Dio P precede Dio
F. In particolare la dottrina dei teologi del Logos del II secolo: il Logos coesiste
col P ab aeterno come pensiero-parola impersonale dentro di lui, viene
proferito, generato ad extra in funzione della creazione del mondo . Gli ariani
distinguono due momenti nel rapporto tra P e F:
1. ab aeterno
2. ante tempus
Questo problema è stato affrontato per la prima volta da Origene in più di un
punto del De Principiis. Nella ricapitolazione finale (IV,4): Dio è fuori dal
tempo. Si parla di tempo solo con la creazione del mondo. Il rapporto P e F,
poiché il F è fuori dal tempo, non è un rapporto di carattere temporale.
Origene aveva detto che il F coesiste eternamente col P. Origene non aveva
mai negato la sua generazione, che il F fosse stato generato. E' una
generazione ab aeterno. In Jer VIII,12 (?): il P genera il F eternamente. La
generazione è concepita come un atto continuo. E' un passare, fluire di
materia, di sostanza divina da P a F eternamente.
In sostanza O distingue due significati nel termine archè
1. Principio ontologico
2. Principio cronologico
Il P è ontologicamente l'archè del F perché il F deriva da lui e ha nel P la sua
archè. Ma questa è una archè ontologica e non cronologica.
Cronologicamente il F non ha archè perché la sua generazione è ab aeterno.
Il concetto è ristretto: il P è archè del F solo ontologicamente e non
cronologicamente.
Concetto che ha stentato ad affermarsi anche nella tradizione origeniana.
Anche nella replica di Dionigi alessandrino a Dionigi di Roma il F è
coeterno, partecipa della stessa eternità del P. Il P non potrebbe essere P se
non avesse un F. Non possiamo immaginare un momento in cui il P sia stato
privo della sua parla, del suo pensiero, della sua volontà della sua potenza.
Questi sono gli argomenti con i quali i due Dionigi sostengono l'argomento.
Argomento che però è stato assimilato solo parzialmente nella linea
origeniana. In questi primi secoli della riflessione dottrinale Origene è stato
colui che è risuscito a liberarsi meglio di ogni altro dell'analogia animale. Dio P
e Logos F veniva proposto coi termini naturali: il P in natura in quanto tale
precede il F. Origene si libera completamente di questo schema. L'immagine
che egli predilige non è l'analogia con la generazione animale. Il F procede
dal P per Origene sicut e mente voluntas. Predilige l'immagine mentale, nous
e Logos. L'immagine intellettuale. In un passo del Comm in Joh definisce il
Logos un systema theorematon (complesso di idee) personalizzato. Origene
ha chiaro che questa parola del P non può [non?] essere coeterna al P.
Anche nella sua tradizione il concetto stenta a affermarsi. Non solo Ario non
l'ha capito, ma perfino Eusebio di Cesarea, persona teologicamente più
approfondita, su questo punto ha stentato e poi si è allineato sulla posizione di
Ario: se il P è P e il F è F, non può esserci una perfetta sincronia.
Per questo il concetto viene presentato in modo poco chiaro. Il F coesiste col
P senza essere ingenerato (agennetos). In quanto per Ario il F è generato,
non è coeterno. Se è coeterno, allora è ingenerato come il P. Gli ariani della
III generazione diranno ai loro avversari di affermare tre ingenerati (quando

15
entra anche lo SpS nella discussione). Tre uguali allora tre ingenerati non
assimilando il concetto di una generazione ab aeterno. Se c'è generazione, il
generante precede il generato. Non si staccano dall'analogia della
generazione animale. Poiché nella generazione animale sempre il P precede
il F deve essere così anche a livello spirituale.

Questa è la grande frattura che si verifica nella tradizione origeniana. Questo


è il punto di partenza. Giustamente Ario l'ha messo all'inizio. Anch'egli parte di
qui. Non riesce ad assimilare questo concetto e poi ragiona coerentemente
sulla base di questo concetto. Queste inconseguenze (agennetos;
agennetosgenes; aeigennes) = Alessandro dice che il F è generato, ma in
quanto è generato da sempre allora risulta ingenerato. Così per Ario
Alessandro ammette due ingenerati, pur ammettendo formalmente due
ingenerati, la generazioen ab aeterno sembra una ingenerazione.

ex autou tou theou o huios espressione che deve essere intesa.


Sembra che Ario neghi che il F deriva dal P. Dire che il F deriva da Dio è una
affermazione molto generica. Paolo dice ta panta ek tou theou. Perché Ario
rifiuta una affermazione che sembra banale e lapalissiana, indiscutibile visto
che tutto deriva da Dio (a maggior ragione anche il F)? Se il concetto sembra
talmente banale e indiscutibile perché Ario lo rimprovera ad Alessandro?
Il fatto è che questa che sembra una aporia deriva dalla proposizione
ek. In Paolo ek è utilizzata con il massimo della genericità. Ma ek può anche
assumere un carattere specifico. Le quattro cause aristoteliche1: materiale,
formale, finale, efficiente. La cause efficiente (upo; apo) la cause strumentale
(dia); causa formale (kata) causa materiale (ek). Ario dà qui ad ek non un
significato generico come nella citazione paolina, ma il significato specifico di
causa materiale. Dire che il F deriva ek thou theou significa dire che deriva
dalla sostanza, dalla natura del Padre, dalla sua materia. Così si spiega
perché Ario non accetta questa affermazione. Alessandro direbbe che il F
derivava dalla materia del P.

La parte di raccordo:
Eusebio di Cesarea, Teodoto di Laodicea, Paolino di Tiro, Atanasio di
Anassarco, Gregorio, Aezio di Lidda. Tutti condannati: non che Alessandro
abbia condannato tutti, ma Ario afferma che pensandola come lui, avendo
condannato lui, hanno condannato anche questi. In realtà vedremo che tutti
questi, al momento buono, o non la pensavano come lui o faranno marcia
indietro. Eusebio però, origeniano convinto, mentre nella demonstratio
1
materiale (ex hou) formale (éidos, morphé) finale (hou héneka) efficiente (to
poióun, hyph’ hoú). La classificazione si trova sia nella Fisica che nella Metafisica. Il
giochetto delle preposizioni mi pare ricostruito un po’ artificialmente. Se proprio
dovessi assegnarle, direi che la finale è dià e la formale è katà, ma Aristotele non parla
in questi termini. Se si parla di tre cause in Platone, evidentemente ci si riferisce alla
classificazione all’inizio del Timeo, dove Platone afferma che c’è necessità di una
materia, di un modello e di un produttore (rispetto ad Aristotele quindi «manca» la
causa finale: metto le virgolette perché in realtà per Aristotele causa formale e causa
finale tendono a coincidere, soprattutto nelle realtà naturali). Andando per esclusione,
direi che quindi pros dovrebbe essere la formale(-esemplare): ma anche qui i termini
mi paiono un po’ artificiali. Se vuoi dati più completi te li posso trovare: ma
sostanzialmente ti rimanderei ai testi.
16
evangelica su questo punto è oscillante poi prenderà posizione nel senso di
Ario. E. affermerà che Il P in quanto tale preesiste al F (lettera a Eufrazione
di Balanea).
Fa tre eccezioni:
Filogonio di Antiochia
Ellanico di Tripoli di Siria
Macario di Gerusalemme sono definiti eretici ignoranti. Non sappiamo
se le tre affermazioni siano da attribuire uno a ciascuno. Sui personaggi non
sappiamo nulla. Non sappiamo se ai tre nomi corrispondano nell'ordine le tre
definizioni.
Erygè: ci riporta al Sal 44,2 (exereuxen ek kardia empo rema
agathon…) effonde il mio cuore liete parole. Il Sal 44, salmo messianico, già
dal tempo di Tertulliano è uno dei testi favorevoli alla dottrina del Logos per
indicare che il P ha emesso la sua Parola, l'ha generata. Infatti anche nel
corso della controversia ariana Atanasio lo adopererà correntemente. Altri
no. Ilario non lo adopera. Origene infatti ci dice che anche i monarchiani si
facevano forti di questa definizione per ricavarne che il F è una parola
insussistente del P non è parola personalizzata. Testo ambiguo. Poteva
essere utilizzato sia dai teologi del Logos, dando a parola il senso di parola
sussistente, oppure dai monarchiani, dando ad essa senso di parola
insussistente.
Qui Ario respinge la definizione del F come erygè e come probolè
perché ci riporta agli gnostici. E' termine tecnico degli gnostici. Il F si distacca
dal P materialmente.
Ario vedeva in questi termini il pericolo di una concezione materiale
della derivazione del F dal P. Il F si distacca dal P materialmente.
Origene in più di un punto rifiuta la probolè valentiniana perché la
considera indicativa di una generazione di tipo animale. Ario su questo punto
continua l'atteggiamento di Origene. Anche qui abbiamo un'ambiguità. Il
termine probolè può essere inteso sia in senso materiale che in senso
spirituale. Orbe esamina in due volumi il concetto di probolè. Egli vede come
in ambito ortodosso alcuni lo usano altri no. Tertulliano non ha paura di
utilizzarlo, Origene no perché gli ricordava un rapporto di generazione
materiale.
Sunagenneton: è la posizione di Alessandro. Il F è ingenerato come il
P.
Macario di Gerusalemme: Gerusalemme era zona di forte influsso
origeniano. Macario affermava, come Alessandro, la coeternità. Per Ario
coeterno voleva dire ingenerato.
Espressioni di raccordo
La sua posizione è espressa con alcuni termini chiave:
il F non è ingenerato: affermazione che ha valore in senso contrario ad
Alessandro. Secondo Ario solo il P è veramente ingenerato e quindi il F no. Il
F non è parte dell'ingenerato né deriva da un sostrato, ma ha avuto
sussistenza per volontà del P prima dei tempi. Qui c'è la distinzione tra essere
generato ab aeterno, come diceva Alessandro, oppure prima dei tempi
(perché di tempo si può parlare solo dopo la creazione e il figlio è anteriore
alla creazione. Qui c'è una contraddizione, Origene l'aveva messo in chiaro.
Aveva negato che si potesse dire prima il P e poi il F cronologicamente
perché si può parlare di tempi solo a partire dalla creazione del mondo quindi
il rapporto di generazione deve essere un rapporto acronico, fuori del tempo.

17
Questo concetto non ha avuto troppa fortuna. Il F è stato generato prima dei
tempi; ante tempora. Questo è un concetto che è stato poi accettato da tutti,
ma non è sufficiente perché dire che il F è stato generato prima dei tempi non
vuol dire che è stato generato ab aeterno.
Per volontà: difficile la distinzione tra telema e boulè (intenzione e
realizzazione). La generazione del F è stata libera (concetto generalizzato).
Il F non è né parte dell'ingenerato né deriva da un sostrato. Che
significa la stessa cosa. Ario esclude che il F e il P facciano parte di un
sostrato che con la generazione si divide in 2 parti per cui il F è peros, una
parte dell'ingenerato, una parte di questo sostrato divino. Una parte il P e una
parte il F. Il F "non deriva da un sostrato" per Ario è importante: si collega
con quello che dicevamo. Ario rifiuta le distinzione di eriughè e probolè perché
configuranti la generazione in senso materiale. Anche nella seconda lettera di
Ario egli insiste su questo punto: esclude ogni possibilità di derivazione di
carattere materiale del F da P. Esclude il concetto di un sostrato comune al P
e al F che per effetto della generazione si fraziona. Questo punto di Ario è
stato trascurato da tutti gli studiosi moderni. In realtà non è una cosa
puramente teorica. Al tempo in cui si parla, concezioni materialiste di Dio
erano ancora largamente diffuse. Tutta la teologia asiatica aveva una base
materialista. Tertulliano dice che Dio in quanto spirito è corpo. Per gli stoici il
concetto di spirito è un concetto materiale, tutto ciò che esiste è corporeo,
esistono solo sostanze materiali. Lo spirito se lo raffiguravano come una sorta
di fuoco invisibile. Tertulliano (Adv Prax) dice che Dio in quanto spirito è un
corpus sui generis. Definisce, proprio come Ario esclude, portio e summa.
L'affermazione che Ario qui condanna, trova riscontro in Tertulliano. Certo
Ario neanche conosceva Tertulliano, ma Tertulliano è la testimonianza di
concezioni largamente diffuse. Tutta l'impostazione asiatica ha un fondo
materiale. Eustazio di Antiochia parla di ousia, essenza del Logos come
purinè, di fuoco, e siamo al tempo di Ario, ed è una concezione stoica e siamo
a livelli molto colti e elevati. Figuriamoci a livelli più bassi. Alla fine del IV
secolo i monaci d'Egitto erano tutti antropomorfiti. Si immaginavano Dio in
forma umana, e cioè materiale. Lo spiritualismo platonico comincia a fare
breccia solo in ambienti colti di estrazione alessandrina ed origeniana. In
Egitto stesso e poi in Siria le tendenza materialiste sono tuttora in vigore.
Quando Ario dice che il F non deriva da un sostrato, vuole negare una
derivazione del F dalla sostanza del P materialmente intesa. Origene aveva
negato che il F deriva ek tes ousias tou patros del P (come invece dirà il
simbolo niceno), perché ha l'idea che una derivazione dalla sostanza si
prospetti in senso materiale. Essendo un platonico per lui Dio è
assolutamente spirituale. Alla base di tutto questo c'è il concetto stoico di
spirito: lo Spirito è concepito come substantia dei (Dio è spirito Gv 4), viene
stralciato dal contesto e viene interpretato in questo senso: Dio è spirito, lo
spirito è un concetto stoico, per gli stoici lo spirito è materiale, e perciò la
concezione di Dio è materiale. Concezione stoica e largamente popolare.
Ario invece qui è fedele interprete del pensiero origeniano escludendo
questa possibilità.
Upeste: genericità. E' venuto all'essere, è sussistito
Pleres theos: affermazione che in Ario sorprende. Che il F sia Theos
Ario non lo esclude, ma che sia pleres theos, pare strano. Tanto che Opitz
pensa che qui si tratti di una lacuna (egli integra pieno di grazia e di verità).
Ma il procedimento non è accettabile perché il testo è certo. Per Ario il F è

18
Dio, ma un Dio minore. Meglio pensare ad una incongruenza di Ario. Deve
difendersi dalle accuse e fa una affermazione non molto conseguente con il
suo subordinazionismo.
analloiotos: inalterabile che va insieme ad atreptos. L'accusa che viene
mossa ad Ario è che il F è treptos kai alloiotos, soggetto a mutamento e
alterazione. In realtà le fonti ariane dicono sempre che il F è inalterabile.
Perché questa sfasatura? Forse perché gli avversari calcano al mano e
presentano con termini riduttivi la divinità del F. Così dicono sempre le fonti.
Ora, la lettera è stata preceduta da discussioni orali. In queste discussioni
orali forse qualche partigiano di Ario avrebbe fatto delle affermazioni, in
polemica, dicendo che il F è treptos kai alloiotos. Poi Ario in questo testo
capisce la pericolosità di tale affermazione e si corregge. Gli avversari però si
potevano rifare alle discussioni orali che c'erano state.
Il F prima di essere stato generato non esisteva perché non era
ingenerato.
E' evidente il riecheggiamento di un famoso passo scritturistico,
costitutivo dello sviluppo della dottrina trinitaria Pr 8, 2-25: in cui la sapienza
quasi ipostatizzata nel mondo giudaico e che poi sulla traccia di Paolo i
cristiani hanno subito identificato con Cristo (l'identificazione con lo SpS fatta
dagli gnostici non ci interessa qui). Dio mi ha creato come inizio delle sue vie,
e mi ha fondato prima del mondo …mi genera prima di tutti i colli.
Questo passo era stato dapprima utilizzato da Giustino in senso
cristologico nel Dial.Trif. La sapienza è Cristo. Giustino cita tutto il cap 8
all'ingrosso senza entrare nei dettagli, come profezia cristologica. Dopo si
comincia ad entrare nei dettagli con Tertulliano, Origene, Dionigi di
Alessandria ecc…
Questo passo agli inizi del IV sec aveva una lunga storia teologica. E'
da notare il contrasto tra il v. 22 kurios ektise me e il v. 25 prima di tutti i
colli gennamen mi genera: su questo genera si era fondato Origene per la
sua concezione della generazione eterna e continua. Dice in quel passo delle
omelie di Geremia: al presente mi genera, non mi ha generato, continua a
generarmi sempre. (Cfr. Studi sull'arianesimo 1965). Abbiamo due
affermazioni apparentemente contraddittorie: una al v. 22 creare e l'altra al v.
25 generare. Eusebio filologicamente scaltrito, si trarrà d'impaccio perché
nella versione non dei LXX non c'è il verbo ktizei ma ktaomai (posseduto) e
non c'era contraddizione. In genere si interpretava più ponendo l'accento sul
v. 25 che sul v. 22. Avevano considerato il creare come un generico sinonimo
di generare. Il peso di questi versetti era stato collocato sul generare del v.
25. e v. 22 è espressione generica per generare.
Ario capovolge il tutto interpretando il generare alla luce del creare. E' il
passo chiave su cui Ario costruisce la sua dottrina della creaturalità del F=
ktisma. Qui li cita genericamente per ricavarne che prima della generazione
ci fu un momento in cui il F non esisteva. Prima di essere stato creato il F non
esisteva. Ario non ammette il doppio valore di archè: mette insieme archè
cronologica e ontologica. Origene invece aveva distinto dicendo che il F ha
una archè solo ontologica non cronologica . Alessandro qui segue Origene e
Ario se ne distacca.
La seconda espressione radicale di Ario è il F è creato dal nulla: certo,
perchè se non deriva dalla sostanza del P - e per lui la derivazione è esclusa
perché concepita in senso corporeo, materiale - c'era solo un'altra possibilità,
cioè è stato creato e quindi è completamente eterogeneo.

19
Non è parte … né deriva da sostrato: ripete ciò che ha detto prima.
Il F o deriva dal P, ma allora è parte del P. Oppure la derivazione è
considerata corporea. Ma dato che ciò non può essere, allora l'unica
possibilità è considerare il F creato.
Dal nulla: perché altrimenti è dalla sostanza di Dio.
syllukianistes: Eusebio è definito collucianista. Termine storicamente
importantissimo. C'è una sola possibile accezione. Colleghi in un discepolato
presso Luciano di Antiochia. Di questi collucianisti gli antichi ne conoscevano
parecchi. Maride di Calcedonia, Teognide di Nicea, Asterio il sofista… Perché
è importante questa dizione? Perché ci fa capire che Ario condannato
ufficialmente dal sinodo egiziano trova appoggio fuori dell'Egitto. Ecco perché
Eusebio, Maride e Teognide e altri lo hanno appoggiato fin dal primo
momento. Erano tutti discepoli di Luciano di Antiochia, il personaggio più
enigmatico della storia dei primi secoli cristiani. Quello che ormai si accetta è
che la dottrina di Ario ha trovato difensori forti fuori dell'Egitto, tutti vescovi,
perché la sua dottrina doveva essere stata anticipata molto da Luciano di
Antiochia.

La lettera di Eusebio di Nicomedia a Paolino di Tiro (collucianista)


esprime i concetti di Ario. E' impensabile che Eusebio sia stato influenzato
direttamente da Ario, ora che siamo agli inizi della controversia. Tutti e due
invece derivano da una fonte comune che è Luciano.
Uno solo è ingenerato, uno solo quello che è (gegonos: gignomai,
diventare, essere fatto- viene escluso il concetto di generazione) da lui non
dalla sua sostanza (ci saremmo aspettati gennetheis). E' diventato
completamente eteron - altro - per natura, per potenza avendo la somiglianza
perfetta di potenza e disposizione rispetto a colui che lo ha creato. Il F è
ktiston - stato creato - fondato, generato nella sostanza e nella natura
inalterabile sulla base di Pr 8,22. Se fosse stato derivato da lui allora sarebbe
derivato da lui come meros - una sua parte - come emanazione della sua
ousia - della sua essenza. Invece non sarebbe stato detto ktiston - creato e
fondato.
Questo testo è pressoché contemporaneo al testo che abbiamo letto.
Un vescovo importantissimo, che sarà subito il leader del gruppo degli ariani
contro Alessandro di Alessandria. E' perfettamente allineato sulla dottrina di
Ario.
Nella sua tumultuosa vita, Luciano fu espulso dalla chiesa di Antiochia
per la durata di tre episcopati e probabilmente perché aveva anticipato di
molto la dottrina di Ario. Antiochia era città dottrinalmente molto varia, non
omogenea. Era forte la tradizione di Paolo di Samosata, monarchiano.
Anche Alessandria ora si spacca, ma sempre all'interno della tradizione
origeniana. In zone molto conflittuali le posizioni tendono sempre a
radicalizzarsi. Questi origeniani facilmente arrivavano ad una subordinazione
talmente radicale. I monarchiani confondevano il F col P. Gli avversari per
contrastarli accentuano la subordinazione fino al punto da definire F una
creatura. Ario vi arriva in polemica con i sabelliani della Libia e Luciano in
polemica coi monarchiani di Antiochia. Ecco perché Ario trova sostegni fuori,
in questi amici di posizione superiore alla sua, tutti vescovi (tranne Asterio il
sofista).
Accanto alla dimensione esclusivamente ideologica c'era anche la
dimensione di carattere politico. Tutti i vescovi orientali temono il potere del

20
vescovo di Alessandria e tutto quello che può nuocere al vescovo di
Alessandria a questi altri vescovi sta molto bene. Motivazioni di vario genere
sposano l'appoggio che Ario trova fuori dall'Egitto.

8.XI.99

Leggiamo oggi la seconda delle tre lettere di Ario, quella ad


Alessandro di Alessandria. I fatti che sono intervenuti tra la prima e la
seconda lettera li conosciamo solo per sommi capi. Ario è fuori dall'Egitto, è a
Cesarea, presso Eusebio, poi forse è andato altrove. Le due parti fanno un
certa propaganda inviando dossier di testi epistolari di cui noi fortunatamente
possediamo qualcosa perché è stato riportato dai vari storici ecclesiastici
(Socrate, Sozomeno, Teodoreto). In questo contesto di propaganda le due
parti si contrastano perché i sostenitori di Ario non intendono condividere la
condanna che Alessandro aveva dato ad Ario e fanno conoscere la loro
posizione come Alessandro fa conoscere la sua. In questi vari documenti c'è
questa lettera di Ario indirizzata ad Alessandro. Mossa politica consigliata da
Eusebio. Lettera che resterà testo-base dell'arianesimo. Rappresenterà la
forma definitiva della dottrina di Ario. Testo in cui Ario conferma
sostanzialmente la dottrina della prima lettera ma in qualche punto chiarisce
in altri punti tralascia. L'affermazione più forte della prima lettera non ricorre
nella stessa forma nell'altra lettera. Forse su consiglio di Eusebio a partire da
questo momento l'avversario di Alessandro non è tanto lui quanto Eusebio,
leader che raccoglie tutta l'ostilità di oriente contro il vescovo di Alessandria e
la convoglia per la difesa di Ario. Simonetti pensa che la lettera sia stata
consigliata ad Ario da Eusebio in forma di professione di fede. La lettera è
scritta insieme da vari presbiteri e diaconi.
Lettura.
- ek ton progonon: Ario presenta la sua professione di fede come
professione di fede tradizionale. Tutto ciò che è tradizionale nella chiesa ha
forte significato. Dire che la loro professione di fede è tradizionale è dire da
parte di Ario: io ripeto quello che è stato già detto. Formula che troviamo quasi
sistematicamente ripetuta in tutti i documenti conciliari della controversia
ariana. Tutte le parti in contrasto (adesso sono due, ma col passare del tempo
diventeranno almeno 4), tutte sono convinte di professare una fede
tradizionale. Come si giustifica questa affermazione? Dottrine che sembrano
diametralmente opposte tra loro si presentano come una fede tradizionale.
Qui si gioca non necessariamente in malafede tutto sull'equivoco. La dottrina
progredisce a mano a mano. L'argomento era già stato trattato fin dalla fine
del II secolo. Al tempo di Ario aveva 150 anni di discussione alle spalle. E
ancora prima i problemi erano stati sollevati con gli gnostici. Quando c'è
polemica si discute, si sollevano e si chiariscono problemi e ci sono nuove
acquisizioni. Che significa questa espressione?
La dottrina che Ario professa in buona parte è opera sua, così come
quella degli avversari di Ario in buona parte è opera loro o comunque sono
concetti sviluppati attraverso una discussione. L'equivoco dipende dalla
convinzione radicata nella chiesa che la dottrina esatta fosse stata predicata
dagli apostoli una volta per sempre: la tradizione apostolica. Questa
tradizione apostolica si era cristallizzata nel canone del NT integrato da quello
VT. Ogni affermazione dogmatica nella chiesa doveva essere sorretta da una
documentazione scritturistica. Se non aveva un sostegno scritturistico non

21
aveva senso. Ario appoggiava la sua dottrina su determinati passi scritturistici
(Pr 8,22-25; At 2,36: Signore e Cristo ha fatto (epoiesen) Dio questo Gesù
che voi avete crocifisso. Da tutte e due le parti col tempo si raduneranno
dossier scritturistici da una parte e dall'alta parte.
Come è possibile questo? Perché i problemi trattati da Ario non erano
quelli trattati dal vangelo, dalle lettere ecc… Per questo si parla di equivoco:
si utilizzano testi stralciati dal loro contesto che originariamente venivano
incontro a problemi del tutto diversi. La dottrina si precisa col passare del
tempo, gradualmente. Allora le due parti in contrasto spigolando possono
tutt'e due trovare passi scritturistici di appoggio. La concezione che gli antichi
avevano dell'ortodossia è stata una concezione perfettamente coerente con
ciò che diciamo.
L'opera del Commonitorium di Vincenzo di Lerino parla proprio di
questo problema: la tradizione di fede. Nella chiesa è concetto chiaro, che
ha avuto un seguito plurimillenario. Solo da pochi decenni si può parlare in
modo libero. La concezione di Vincenzo, partecipata da tutti, è la fissità
ideologica: la dottrina sta tutta nella Sacra Scrittura. Quello che hanno
aggiunto gli altri è solo una esplicitazione di quello che implicitamente era già
contenuto nel testo scritto. Gli antichi non avevano l'idea dello sviluppo del
dogma (solo sporadicamente Facundo di Ermiane, Rufino nella polemica con
Girolamo…). La concezione prevalente è quella della fissità: ogni novità in
quanto tale è sentita come una prevaricazione.
Ma i problemi col passare del tempo si approfondiscono e si
diversificano: i problemi di Ario e di Alessandro non sono gli stessi di Gv. E
così anche Gv che è il pilastro della dottrina del Logos può avere testi che
possono servire per entrambe le parti. In genere Gv è la miniera per gli
avversari di Ario (io e il P siamo un cosa sola; chi ha visto me ha visto il P;
perché io sono nel P e il P è in me;) ma c'è anche Gv 20 (vado al mio Dio e al
vostro Dio) affermazione fortemente subordinante. Quindi tutte e due le parti
sempre si richiamano alla tradizione. Tutte e due trovano passi di appoggio
nella tradizione. La tradizione non poteva servire compiutamente a problemi di
questo genere. Era molto più generica.
- e anche da te beato papa: captatio benevolentiae. Ma Ario vuole dire
che la sua dottrina si richiama a quella di Alessandro. Infatti la base è
origeniana, ma in questa base comune i due si differenziano.
- giusto e buono: affermazioni ormai scontate (vs gnostici).
- Dio dell'antico e del NT: anche queste erano ormai scontate (vs
Marcione). Relitto tradizionale.
- sembra tutto molto tradizionale ma c'è già una presa di posizione
- solo eterno, vero, …: insistenza sul monos. Per staccare il F dal P.
La caratteristica fondamentale di Ario è la radicalizzazione del
subordinazionismo. La dottrina del Logos è una dottrina intrinsecamente
subordinante. Siccome il Logos è mediatore tra Dio e mondo è chiaro che è in
posizione intermedia, di inferiorità rispetto a Dio. La dottrina del Logos è
dottrina intrinsecamente subordinante. Tutta la dottrina cristologica prenicena
è subordinante (da Ireneo, Tertulliano, Giustino, Novaziano a Origene). Tutti
rilevano la subordinazione, anche se contenuta in certi limiti. Ario la sposta
fino a provocare il contrasto.
Abbiamo due sfere: quella di Dio e quella del mondo. Il Logos sta in
mezzo. Ma cosa significa in mezzo? Tende più verso il mondo divino o verso
quello della creazione? Anche con varie sfumature la teologia prenicena

22
aveva accostato il Logos al mondo della divinità. Egli partecipa anche se a
livello inferiore alla divinità del P. Ario lo sposta verso il mondo della
creazione (creato dal nulla). Rileva al massimo l'unicità (monos) del P in
modo da staccare il F accostandolo in basso.
Ecco la posizione anche in una formulazione che apparentemente è
tutta tradizionale c'è una accentuazione che è caratteristica di Ario.
- gennema/ktisma: Ario gioca sull'equivoco di questi due termini sulla
base di Pr 8,22 (creato) 25 (generato). Tutta la tradizione precedente ad Ario
ha posto l'accento molto più sul generare che non sul creare. Ha considerato
creare una espressione dello stesso significato di generare. Ario invece
capovolge il rapporto. In questo testo scompare l'affermazione della creazione
dal nulla. Quella che era stata l'affermazione più scandalosa di Ario è stata
soppressa probabilmente su consiglio di Eusebio. Gli ariani non negheranno
mai apertamente la generazione, ma il processo di generazione viene
assimilato ad un vero e proprio processo di creazione. E' chiaro anche da
Talia che il Logos è stato generato dal P perché il Logos è l'unico essere che
proviene direttamente dall'azione del P ecco cosa significa monoghenes, è
l'unico che il P ha generato creato direttamente. Tutto quello che è venuto
dopo a cominciare dallo SpS (ma se ne discuterà solo nella III fase) è stato
tutto opera diretta del F per volontà del P ma per opera diretta del F. Ecco la
differenza tra generare e creare:
-generare: produrre in modo diretto
-creare: prodotto per il tramite del F.
Il concetto non è affatto nuovo. Origene lo aveva chiarito perfettamente. In
vari passi del commento a Gv. Il F è F perché deriva direttamente dal P, il
resto è stato fatto da Lui. Solo che Ario da questo concetto assimilato
completamente nella dottrina del Logos tira fuori conclusioni che gli altri non
avevano tirato in modo così radicale.
In Ario è presente un concetto che sarà sviluppato poi da Eunomio
(leader della III generazione ariana e indubbiamente la testa più forte che
abbia avuto l'arianesimo). Eunomio darà fondamento logico più solido alla
dottrina di Ario, basata proprio su questo concetto, che poi provocherà la
polemica di Basilio prima e poi di Gregorio di Nissa. Il P è il solo ingenerato:
Eunomio dirà che la agennesia è la qualità distintiva di Dio sommo . Il P si
qualifica con la agennesia. Il P è tale perché agennes. Gli avversari
polemizzeranno dicendo che gli ariani preferiscono parlare di ingenerato
/generato piuttosto che di P e F. E' chiaro che se l'agennesia è il carattere
distintivo della somma divinità, il F in quanto generato non può partecipare a
questa somma divinità. Basilio controbatterà nel Contro Eunomio dicendo
che l'agennesia è solo uno dei tanti caratteri di Dio e non il solo.
Già in Ario il concetto è ben presente: il solo ingenerato. Il F in quanto
generato viene staccato dal P. La realtà del P è una realtà unica, assoluta, in
sé completa. Il F è eterogenes: altro rispetto al P in quanto al genere. Il F è
stato generato, prodotto direttamente dal P, senza nessun intermediario:
monogenes
- prima dei tempi eterni: è una affermazione che sembra corrispondere
a quella di Alessandro che il F è coeterno al P ma non è così. Dopo infatti
viene detto: ha creato i tempi. Allora il Logos è stato creato prima dei tempi.
Non si deve confondere
Ab aeterno: non accettato dagli ariani
Ante tempus : anche per gli ariani

23
Per gli ariani dire che il F è coeterno al P è dire che è ingenerato.
Ricordiamo la distinzione tra archè cronologica e ontologica. Ario non riesce a
distinguere: il F ha nel P l'archè ontologica e quindi anche cronologica. Invece
Origene aveva distinto bene.
- non generato in apparenza: affermazione ormai scontata (polemica
antignostica)
- creatura perfetta di Dio: ktisma
- inalterabile: probabilmente in un primo tempo Ario affermava
l'alterabilità del F, ma già nella prima lettera l'affermazione scompare. Gli
avversari continueranno ad accusargli questa affermazione perché
proveniente dal dibattito orale
- non come le altre creature…: perché tutte le altre creature sono state
create per tramite del F, mentre il F è stato creato direttamente da Dio;
- non come una delle geniture: il gennema eredita dal genitore la
stessa natura, ma il Logos non ha ereditato la stessa natura dal P.
- non come: Ario chiarifica la sua dottrina in contrapposizione ad altre
dottrine già condannate dalla chiesa. Come Ario intende questo processo per
cui dal è venuto fuori il F in modo diretto
- non come Valentino: probolè. Mantiene lo stesso
concetto di Origene che condanna la probolè nel Perì archon.
L'atteggiamento dei teologi del Logos rispetto alla probolè non è
stato perfettamente coerente. Alcuni lo hanno accettato e altri lo
hanno rifiutato. Cfr. Orbe; Hacia la primera teologia de la procesion
del Verbo. Probolè significa solo venir fuori. Origene non l'accetta
perché vede nella probolè un procedimento animale. Strano:
Valentino ha un fondo platonico. Per noi è spiritualista. Non è che
Origene non ha capito Valentino, che invece conosceva meglio di
noi. Evidentemente qualche valentiniano la presentava come un
processo di tipo materiale. Rispetto ad Origene, Ario ha un motivo
in più. Probolè indica che l'essere che viene emanato deriva
dall'intimo di colui che lo ha emanato. Questo Ario non lo può
ammettere. La probolè implica che la natura dell'uno e dell'altro sia
la stessa. Inaccettabile!
- non come Sabellio: in realtà Sabellio non divide
affatto la monade, essendo monarchiano. Ma per Ario la monade è
solo il P e il fatto che Sabellio dividesse anche solo di nome la
monade, implicava che il F fosse divino!! Ad Ario basta solo il
cambio del nome per rifiutare l'idea. I monarchiani del resto erano
quelli che più affermavano l'unione del F col P al punto che il F
scompare nel P.
- non come Ieraca: non sappiamo molto. Era
monaco egiziano, sarà condannato. Fortemente origeniano. L'idea
di luce da luce sembra molto tradizionale (Ippolito, Tertulliano,
Dionigi A). Ario ci vede un lume che si divide in due parti. Questo ci
riporta a Mani
- Mani ha insegnato che il gennema F è meros
homoousios tou patros. Anche per gli gnostici così come
per i manichei, la sostanza luminosa è sempre la stessa. I
vari personaggi gnostici (Padre, Logos, Sofia, gli spirituali)
partecipano di una stessa sostanza divina.

24
- lume che si divide in due: Ario vi vede qui la derivazione
materiale, naturale e sostanziale del F dal P come un sostrato
unitario che si divide in due parti (P e F). Molti studiosi hanno
considerato questa presa di posizione di Ario come puramente
fittizia. Egli non avrebbe di mira dei particolari avversari all'interno
della chiesa. Qualcuno che concepisse Dio come sostrato
materiale che con la generazione si spezzerebbe in due parti. Ma
per me c'è una concretezza forte. Una dottrina di questo genere è
ben attestata in Tertulliano (portio e summa). Il F è una porzione
del P. Qui Ario ha presente una larga corrente di tipo asiatico che
fondamentalmente è materialista, e condivide il concetto stoico di
pneuma. Lo spirito, il pneuma per gli stoici è fuoco sottile,
materiale. Tertulliano nell'Adv Praxean dice che Dio è spirito e lo
spirito è corpus sui generis, particolare, ma è un corpo. Tanto che
la generazione implica che dalla sostanza del P si è staccata una
parte che è il F. Per Ario il F non è una parte di un sostrato unitario
che si spezza in due parti.
Tale concetto discende recta via da Origene che è stato
come ipnotizzato da questo concetto, ci ritorna molto, almeno tre
volte lungamente: all'inizio del Perì archon, nell' In Joh e nel Contra
Celsum. Origene parte da questo concetto, cioè dal modo normale
di definire Dio come spirito (Gv 4: Dio è spirito). Ma spirito era un
concetto stoico, e gli stoici lo considerano a livello materiale.
Origene polemizza contro questa interpretazione materialista del
concetto che Dio è spirito. Il fatto che Dio sia spirito non significa
che sia corporeo. Sapeva che molti interpretavano in questo senso.
Allora Origene ha avuto il timore di affermare la derivazione del F
dall'essenza del P (In Joh: nega che il F sia derivato dalla ousia del
P). Per lui il concetto gli si profilava in modo immediatamente
materiale. Dire che il F deriva dalla sostanza del P significa che la
sostanza del P è materiale. Poiché sapeva che molti la
consideravano materialmente preferisce non farne uso. Lo
spiritualismo al suo tempo è ben poco diffuso. Noi ormai siamo
abituati a lavorare su concetti che abbiamo ereditato da una lunga
tradizione filosofica per cui opponiamo automaticamente
spirtuale/materiale. Ma ciò è il risultato di una evoluzione filosofica
di tipo platonizzante. Ora, al tempo di Origene il platonismo era
solo ad Alessandria. L'impostazione di Tertulliano è stoica.
Melitone ha scritto un trattato su Dio corporeo. Gen 1,26 veniva
interpretato che il corpo dell'uomo è immagine di Dio (Ireneo).
All'inizio del V secolo, quasi un secolo dopo questi fatti, i monaci
d'Egitto erano tutti antropomorfiti. Teofilo li costringe a ritrattarsi
(Cassiano, Conl). Quindi questa posizione non è affatto astratta,
come tanti studiosi moderni affermano, ma ben concreta.

- meros homoousion: è la prima volta che questo termine compare


nella controversia ariana ed è adoperato da Ario (!). Ario la adopera in senso
origeniano. Egli rilutta ad affermare che il F deriva dall' ousia del P. Una ousia
come sostrato materiale (che in termine stoico è upokeimenon) si divide in
due parti. Il F è una parte della stessa ousia del P. In questo periodo è
prevalente il concetto di ousia come ousia individuale.

25
Ousia si collega al verbo essere: essenza, ciò che esiste. Aristotele
(cfr. Stead, Divin substance) dà al termine una dignità filosofica. In Platone se
ne parla in senso molto generico. Aristotele distingue la I ousia dalla II.
Per Aristotele sono reali solo le entità individuali; l'ousia che
caratterizza l'entità è individuale. La prima ousia e quella individuale. La
seconda è l'essenza generale, comune a tutti gli esseri di una stessa specie.
La seconda è essenza ricavata, astratta.
Per Platone invece è il contrario: ciò che è reale è l'Idea, e perciò
l'ousia seconda, e i singoli partecipano dell'idea. Per Aristo invece è reale
l'individuo da cui si deduce la seconda ousia.
Il gioco di prima e seconda ousia è stato fondamentale per la
risoluzione del dogma trinitario. Basilio quando fa la soluzione di
compromesso, che poi si imporrà (tre ipostasi una ousia) non intende l'ousia
singola ma quella seconda, cioè generale). Infatti la generale per Platone è
una ousia concreta, reale.
In questo periodo però nel mondo cristiano ousia ha quasi
esclusivamente il valore di essenza individuale.
Quindi homoousios è un termine intrinsecamente ambiguo (quale
ousia?). Il termine era già apparso in Paolo di Samosata e nel contesto della
polemica dei due Dionigi. DA viene accusato di ritenere il F non homoousios
con il P. DA intende ousia in senso stretto e perciò dire homoousia
significherebbe una affermazione monarchiana. Ma in posizione difensiva
rispetto al DR riconosce che il F è homoousios e si ritratta. Ma lo afferma nel
senso dell'omogenes, omofyes e perciò dandogli significato generico. Lo nega
in senso stretto e lo accetta in senso generale. Ario lo intende in senso
stretto. Non ammette che il F sia una parte consustanziale del P, ousia del P
intesa materialmente che si spezza in due. Ario si rifà ad Origene.
Il termine homoousios, che sarà distintivo di CN, è adoperato da Ario in
senso negativo. Intende l'ousia come materiale che si scinde in due parti.

- il F è immanente nel P ab aeterno come parola, sapienza, ragione,


impersonale e viene poi emesso successivamente: per Origene l'idea non è
ammissibile, perché in Dio non può esserci un prima e un poi. Alessandro,
origeniano fedele, l'ha condannata. Anche Ario su questo punto non ha
difficoltà ad ammetterla. Tutta la formula vuole essere condiscendente.
- prima dei tempi: è scomparso il dal nulla, ma resta questo concetto.
- ha ricevuto tutto dal P: in Ario il concetto che è tradizionale, serve a
rilevare l'inferiorità del F. Si rileva lo iato.
- hypostasis: termine tecnico di Origene per caratterizzare il P, F SpS,
dottrina ormai ufficiale ma solo ad Alessandria. Su questo punto gli
alessandrini erano intransigenti, tanto che DA non si ritratta su questo punto
(se sopprimiamo le ipostasi sopprimiamo la Trinità).
- senza principio assolutamente solo: di nuovo…
- non esisteva prima di essere stato generato: affermazione che
scandalizza tutti gli origeniani perché il F esiste ab aeterno.
- egli solo: ha derivato l'essere direttamente dal P senza alcun tramite.
- né coeterno, né ingenerato: solita confusione tipica degli ariani tra
archè ontologica e archè cronologica secondo la quale dire che egli è
coeterno è dire che è ingenerato.
Principio di relazione (ta pros tì): sia Origene che DA lo avevano
ripreso per dimostrare la coeternità. Il P è sempre P di un F. P è termine

26
relativo e si predica in funzione del F. Se c'è stato un momento in cui il P era
senza il F allora non era neanche P. Il che è assurdo ergo il P ha avuto
sempre il F. Pe Ario il principio di relazione è un sofisma perché introduce due
principi ingenerati (coeternità per lui significa ingenerazione).
- monade: è solo Dio P. Ario mette in evidenza quella che per lui è la
contraddizione di Alessandro: afferma una generazione ab aeterno che è
impossibile perché se è generato è dopo il P (condizionato dal concetto
materiale di generazione per cui in natura il P precede sempre il F)

Conclusioni
Questa lettera è abile perché non prende di petto Alessandro, anche se
mette in risalto le contraddizioni di Alessandro. Evita l'affermazione dal nulla
che aveva sconcertato, ma la dottrina resta sostanzialmente la stessa. Il testo
è più ampio ed e la dottrina è quindi chiarita meglio, ma resta la stessa.
Esiste il P che è essere assolutamente singolo in quanto ingenerato. Il
P ha prodotto all'essere il F, per mezzo di lui ha creato tutte le cose. Il F è
generato-creato prodotto direttamente, non partecipa della ousia del P. E' di
altro genere. Riceve tutte le prerogative del P ma in quanto generato dal P e
quindi in modo nettamente inferiore. Nessuno negava che il F avesse ricevuto
tutte le perfezioni dal P, ma nella corrente prevalente ciò significava accostare
il F al P e non staccarlo. Ario invece mette l'accento sul fatto che le ha
ricevuto mentre il P le ha di per se e avendole ricevute le ha in condizione
subordinata al P. Il F viene accostato al mondo della creazione anche se si
diversifica dalle altre creature. E' una formulazione a modo di professione di
fede e da questo momento diventerà il testo base degli ariani.
Testo che evita formulazioni assolutamente radicali ma presenta la
dottrina di Ario in quello che ha di caratteristico: subordinazionismo radicale
che stacca il F da Dio e lo avvicina al mondo della creazione, radicalizzando il
subordinazionismo insito nella dottrina del Logos delle tre ipostasi e che
partecipava anche Alessandro (infatti egli lungamente ha esitato prima di
condannare Ario perché notava che c'era molto in comune. Ma in ultimo ha
capito che la accentuazione subordinante di Ario era inaccettabile e ha
preferito condannarlo).

15.XI.99

Alessandro di Alessandria.
Conosciamo Alessandro teologicamente per la parte dottrinale nella
enciclica henos somatos lettera enciclica che egli fece circolare quando il
concilio dei vescovi egiziani condannò Ario. La condanna fu accompagnata da
una lettera ufficiale del concilio con tutte le sottoscrizioni di tutti i vescovi
presbiteri e diaconi che fu mandata in giro nel contesto di pubblicizzazione
che entrambe le parti curano in attesa di quello che fu il CN. Possediamo
anche una lettera ad Alessandro di Tessalonica: vero e proprio trattatello
teologico.
Questo concede di farci un'idea molto precisa della posizione di
Alessandro: è un origeniano ma un origeniano moderato. Non c'è dubbio
che Alessandro è più fedele allo spirito dell'autentico Origene.

27
La lettera sinodale si intitola henos somatos, perché le lettere
encicliche si definiscono dalle prime parole con cui cominciano.
Recentemente Stead ha proposto una sua ipotesi secondo cui questa
lettera sarebbe stata scritta da Atanasio e non da Alessandro. Per noi la
questione è ininfluente perché questa lettera è stata fatta propria da
Alessandro. Anche se materialmente l'ha stilata Atanasio, Alessandro l'ha
approvata. Atanasio era il diacono di Alessandro e in pectore suo successore.
Certo che una persona di 28 anni fosse in grado di scrivere una tale lettera fa
problema.
Problema aperto.
C'è una storia, si parla male di Ario, come secondo il genere letterario,
sintetizza brevemente la dottrina di Ario. Riassunti in questi due punti:
- ci fu un tempo in cui il F non esisteva
- Il F è stato creato dal nulla

Il resto se ne deduce.

Oltre alle due lettere di Ario abbiamo anche una serie di frammenti:
(Talia= banchetto) opera in versi in cui propagandava le sue idee. Tali non
possediamo, ne possediamo solo alcuni versi citati da Atanasio e citazioni
libere ricavate da Atanasio e da qualcun altro. Pongono problemi di
autenticità, ma alcuni versi sono sicuramente autentici. Essi confermano
quello che si dice qui e che non abbiamo trovato nelle sue lettere. Ario stesso
si ritrattò.
Ario distingueva due Logoi e due sapienze. Rifacendoci alla dottrina
degli apologisti vi erano due momenti del rapporto tra Logos e Dio:
- un momento immanente, impersonale in Dio
- un momento in cui Dio esteriorizza, personalizza il suo pensiero e
viene fuori l'ipostasi distinta dal P, il Logos (tertulliano anche).
Gli apologisti distinguevano i due momenti. Origene impugnò questa
dottrina dicendo che in Dio non ci può essere né prima né dopo. Concezione
del F ab aeterno (Alessandro). Ario invece radicalizza e distingue due
Logoi.
(cfr. Grillmeier 470ss)
- un Logos immanente che resta sempre tale nel P , in senso proprio
- uno che è stato creato/generato e che discende in Maria, Cristo-
Logos in vista della creazione. Esterno a Dio, Logos solo in senso improprio,
per partecipazione, per grazia.
Prima dei tempi il P ha generato/creato il Logos

Questa affermazione non solo viene confermata da un passo di una


lettera ma trova un antecedente ad Alessandria, in Clemente alessandrino
(Hyotupotei che non possediamo). Fozio che conosceva l'opera, dice che
Clemente tra le varie cose inesatte distingueva due Logos: immanente e uno
personalizzato che non sono lo stesso.
Ancora una volta Ario riprende una tradizione alessandrina ma non
origeniana, precedente ad Origene.
E domanda sempre intelligentemente (!) Patricio: ma Luciano di
Antiochia poteva aver detto questo? Ehhhh… e noi che ne sappiamo? Non lo
possiamo escludere né affermare. … anzi forse sì, ma è pura ipotesi.

28
"Uno li interrogò…": già nella prima lettera Ario afferma che il logos è
non soggetto a mutamento. Ma tutte le fonti antiariane dicono che Ario
affermava che il Logos era mutabile e alterabile. Probabilmente ci si rifaceva
alle discussioni orali anteriori alla condanna. (uno li interrogò= quando? nella
famosa discussione che ebbero alla presenza di Alessandro). Ma poi Ario si è
subito ritrattato perché capisce che l'affermazione è troppo forte.
Seguono alcune notizie storiche e la confutazione di quello che è stato
detto precedentemente.
Pag 87 chi mai infatti ha udito tali affermazioni? Tono retorico
abbastanza moderato (non si arriva ad insulti!).
Chi ad udire Giovanni …notiamo l'appoggio su Gv. Il prologo Gv è
testo fondamentale per gli antiariani. Come precedentemente era stato il testo
fondamentale su cui i teologi del Logos avevano combattuto i monarchiani
(Contra Noeto, Adv Praxean) l'insistenza è forte. Ora viene adoperato in
senso antiariano.
Contro i monarchiani si sottolineava che il Logos era pros theon:
presso, vicino e cioè distinto. Contro Ario si batte sul in principio, tutto è stato
fatto per suo mezzo mai si parla della creazione del Logos, si parla di
generazione e si parla di in principio cioè ab aeterno.
Per questo il testo fu fondamentale per la definizione prima trinitaria e
poi cristologica.
Come può derivare dal nulla dal momento che … argomenti che
diventeranno canonici nella polemica contro Ario.
Le citazioni del Sal 44,2 e 109,3: la fortuna di queste due citazioni è
stata diversa.
Sal 109,3: uno dei passi chiave citati molte volte contro gli ariani prima
del mattino come rugiada io ti ho generato
Sal 44,2: ha avuto esito diverso. Il mio cuore ha emesso una buona
parola. Questo passo era stato citato da Tertulliano in appoggio della dottrina
del Logos. Ma in un passo Origene dice che anche i monarchiani si
servivano di questo passo, considerando il Logos come impersonale. Anche
dopo, questo testo resta ambiguo. Atanasio lo adopera sistematicamente
contro Ario, ma Ilario no. Infatti Ilario capisce che si tratta di un testo
pericoloso, che poteva facilmente essere ritorto contro di loro. L'accusa che
gli ariani muoveranno ai loro avversari sarà infatti quella di essere sabelliani,
monarchiani: se identificate il F con P, perché lo fate ingenerato come il P (la
generazione ab aeterno per loro diventa ingenerazione), allora siete
sabelliani. Questo passo poteva essere interpretato in senso sabelliano.
Immagine perfetta: aparallaktos (priva di ogni differenza). Il concetto di
immagine fu molto sviluppato da tutti i grandi controversisti. Ma in definitiva è
un concetto (Gregorio di Elvira) non molto forte contro Ario perché immagine
è di per sé un concetto ambiguo. Può esserci immagine di diversi livelli. Il
concetto di immagine non è così forte in senso antiariano. Che Cristo fosse
immagine di Dio è ovvio per tutti (Col 1,15). Di eikon si era parlato ben prima
del IV secolo. Vi era una divaricazione netta tra asiatici e alessandrini. Gli
asiatici intendono il Cristo incarnato e non quello preesistente. Lo interpretano
nel senso che il Cristo incarnato attraverso sé riflette la potenza di Dio.
Novaziano Ireneo, Tertulliano… buona attestazione.
La grande novità arriva con Origene che in definitiva è facilitato perché
si rifà a Filone. Che il Logos fosse eikon di Dio già l'aveva detto Filone. Il
Logos filoniano è preesistente e non ha nulla a che fare con l'incarnazione.

29
Origene si diffonde sul concetto di immagine nel I libro del De princ.: Cristo è
immagine invisibile del Dio invisibile. Già il Logos in quanto tale è immagine di
Dio, non in quanto incarnato. Tutto il P si riflette nel F. Interpretazione
alessandrina del concetto di eikon. Inteso in questo senso questo concetto
non è facile usarlo contro Ario perché è intrinsecamente subordinante. Infatti
significa che il P ha riflesso tutte le sue perfezioni nel Logos perché il Logos
potesse operare come ha operato. Ricadiamo nel concetto del Logos
mediatore. Il logos media il rapporto tra Dio e mondo. Lo può mediare perché
il P gli ha trasferito tutta la sua potenza tranne l'ingenerazione. Ha tutto però
in quanto trasferito dal P perché egli possa operare. In questo senso il
concetto lo poteva condividere anche Ario. In questo senso infatti il concetto è
subordinante.
Per adoperarlo contro Ario si avrà bisogno di precisazioni: aparallaktos
e teleia =senza differenza e perfetta.
Se il Logos è immagine perfetta Ario non può più accettare il concetto.
Di per sé però il concetto di eikon non è un concetto forte in senso antiariano.

Ario non condivide il concetto di relazione: ta pros ti. Il termine P è


termine relativo e non assoluto. Nella polemica della terza generazione, sui
nomi, tra Basilio ed Eunomio, che è il culmine di tutta la controversia, Basilio
dice che ci sono nomi relativi e assoluti. Bue è nome assoluto, mentre P e F
rappresentano una relazione, una schesis. Dio è P in quanto ha un F.

Ousia: appare il termine che diventerà dominante in tutta la


controversia. Hypostasis non compare qui, ma nell'altra lettera. Qui compare il
termine prediletto di Atanasio. In questo momento substantia ed essentia
significano lo stesso.
Qui è adoperato nel senso di prima ousia aristotelica. Siamo in un
periodo in cui si distingue ancora la ousia del P dall'ousia del F. Nella grande
lettera ad Alessandro il termine ousia scompare e c'è più volte hypostasis.
Scompare perché il termine è ambiguo avendo la doppia possibilità di prima e
seconda ousia, Alessandro ne fa a meno e preferisce hypostasis che significa
sempre essenza individuale.
Questa lettera ci è giunta corredata dalle sottoscrizioni di tutti i
presbiteri e diaconi di Alessandria, e presbiteri e diaconi della Mereotide, ma
di nessun vescovo.
Sappiamo però che Ario è stato condannato da un concilio di vescovi.
Perché non c'è nessuna sottoscrizione di vescovi? Perché questa lettera è
stata spedita in un secondo tempo. Dai pochi elementi storici sulla polemica
sappiamo che Ario nel dibattito alla presenza di Alessandro non si ritratta e
viene espulso da Alessandria. Ario non si sottomette e continua a
propagandare la sua dottrina. Allora si riunisce il concilio dei vescovi
dipendenti da Alessandro e condannano solennemente Ario. Ma Ario continua
ed è appoggiato da vescovi di peso. La polemica si allarga. Alessandro non
avendo avuto cura di diffondere la lettera con le firme dei vescovi perché
pensava fosse superfluo, quando vede che invece non solo Ario non si
sottomette ma che gli appoggi fuori di Palestina diventano più forti e la
questione si complica, pubblicizza documenti e convoca tutto il clero (perché i
vescovi non li può convocare di nuovo) che dipende direttamente da lui e fa
sottoscrivere a loro la lettera. Probabilmente la lettera è stata scritta in questa
occasione anche se viene presentata come documento ufficiale della

30
condanna del sinodo dei vescovi. Questa lettera si colloca tra la prima e la
seconda lettera di Ario.
Nella Lettera ad Alessandro di Tessalonica (Opitz 19) si legge:
§15-6, pag. 22 Duo pragmata achorista: il P e il F. Due cose
inseparabili. Pragma è strano, ma si ritroverà in un documento importante,
ekthesis achrosticos di una ventina di anni posteriore a questa lettera: il P e il
F vengono definiti così duo pragmata, dizione molto generica ma a cui dà
forza quell'achorista, sono inseparabili.
Gv ha rivelato la sua ipostasi idiotropon =singolare, specifica,
particolare (+citazione di Gv).
Ario in definitiva propone una radicalizzazione del subordinazionismo
caratteristico della dottrina del Logos e di Origene. Il logos è intermedio tra
Dio e la creazione. La posizione intermedia è condivisa da Ario e Alessandro,
ma Ario lo sposta verso il basso. Alessandro lo accosta a Dio anche se
sempre in posizione subordinata (concetto generalizzato nella dottrina del
Logos). Solo con Atanasio e dopo si arriverà alla perfetta identità delle tre
ipostasi (orizzontale). Per ora è questione di capire l'entità della
subordinazione.

C'è un passo di Gv proposto dagli ariani contro i cattolici:


Il padre è maggiore di me.
A partire dagli ariani della II generazione questo passo sarà sempre
citato contro i cattolici i quali invece citeranno
Io e il P siamo una cosa sola
Il P è in me io sono nel P
Chi ha visto me ha visto il P

Ma c'è una cosa strana: il primo passo non è citato dagli ariani della
prima generazione e paradossalmente è citato dai polemisti antiariani.
Perché? Perché la comparazione di maggioranza tra due cose può avvenire
solo tra cose uguali. Si mettono a confronto un cavallo e un cavallo, un albero
e un albero ma non si dice un albero è più grande di un cavallo. Il rapporto di
grandezza ha senso solo tra entità tra loro perfettamente omogenee. Ecco
perché Ario non utilizza questo passo. Per lui tra P e F c'è eterogeneità. Le
loro sostanze sono diverse.
Invece gli avversari lo adoperano perché in questa prima fase della
controversia, non si parla di uguaglianza del Logos col P. E' sbagliato dire che
CN afferma che il F è uguale al P. La problematica è diversa. Agli avversari di
Ario interessa dire che il P e il F sono omogenee, non eterogenee. Una
leggera inferiorità era pacificamente ammessa, lo stesso concetto di Logos
mediatore implicava tale inferiorità. Se il P è maggiore del F vuol dire che
sono dello stesso genere.
La controversia ariana ha provocato un cataclisma teologico perché la
condanna di Ario comporta l'eliminazione di due secoli di speculazione della
dottrina del Logos. In ultimo infatti sarà soppresso il concetto di mediazione. I
Logos non è più mediatore. Agostino interpreta infatti Cristo mediatore come
Cristo incarnato.
Il concetto di P F SpS uguali in posizione orizzontale, modifica tutta
l'impostazione precedente.

31
Ario e Alessandro sono entrambe origeniani e partecipano entrambi
alla concezione subordinante del Logos: si trattava solo di capire i limiti di
questa subordinazione.
Non è solo il rapporto intradivino che viene modificato ma quello tra
Dio e il mondo. Le teofanie non sono più del Logos ma di tutta la Trinità, la
mediazione è solo soteriologica e non ontologica, la mediazione cioè spetta
solo al Logos incarnato ecc... Gli iniziatori della polemica non si sognano gli
esiti della controversia. All'inizio questa polemica non era molto rilevante. Non
dobbiamo giudicare sulla base del senno di poi. In definitiva la polemica sul
monarchianesimo era molto più grave. La polemica di Ippolito del Contro
Noeto, Novaziano, l'autore dell'Elenchos vs Callisto, Origene vs sabelliani
avevano motivazioni più profonde, qui si trattava di due concezioni
completamente diverse della relazione P e F. Gli uni lo distinguevano come
una parola, un nome, e gli altri ne facevano una entità sussistente.
Qui il punto di partenza era relativamente modesto: come concepire
l'inferiorità del Logos rispetto al P. Cammina, cammina [arrivarono al castello!]
…. tutto si è complicato e si è modificato. Le conseguenze sono lontane sia
da Ario che dai suoi avversari. La polemica coinvolse tre generazioni di
teologi, durò circa 60 anni.
Alessandro dice a pag 26, 44-45: il monogenes è un natura intermedia
= fusis mesiteusa. In Alessandro però la distinzione tra creare e generare è
chiarissima.
Ignorando come è gramde il mataxu tra P e creature delle quali il
monogenes è una natura intermedia.
Cita "chi ama il P ama anche il F che è generato da lui"
Il vangelo di Gv è fonte comune agli ariani e cattolici. Gli antiariani vi
trovavano più di quanto vi trovassero gli ariani, ma per esempio questo
vangelo era aborrito dai monarchiani.

22.XI.99

Eusebio di Cesarea quando scoppia la controversia attorno agli anni


20 era già famoso, era il letterato più importante di tutta la cristianità, aveva
già scritto la storia ecclesiastica, i 20 libri della Preparazione evangelica e
comunque tutto o quasi tutti i 15 libri della Dimostrazione evangelica oltre altre
opere (Cronaca ecc…). Era un personaggio che aveva una sua impostazione
dottrinale ben precisa indipendentemente dalla controversia ariana.
Conosciamo il pensiero di Eusebio di Cesarea anche indipendentemente dalla
controversia ariana. Eusebio non ha mai gradito la discussione teologica e lo
dice chiaramente. Per lui bisogna tenersi il più possibile al dato scritturistico:
per lui la discussione teologica è solo fonte di liti e di discordie. L'impostazione
ideologica di Eusebio è una impostazione apologetica: vuole fare fronte alle
critiche del mondo pagano che al tempo di Eusebio si assommavano nel Kata
christianorum di Porfirio. Eusebio scrisse una confutazione di quest'opera che
noi non possediamo. Non gradisce le divisioni all'interno dei cristiani. Del resto
ci si è trovato e ha dovuto prendere discussione.
Non meraviglia che in questa massa enorme di scritti (10 libri della
storia ecclesiastica; 20 della preparazione evangelica; i 15 della
dimostrazione evangelica 4 libri di etrope profetice) i passi teologicamente
impegnati sono pochissimi, sono quasi tutti nel 4° e 5° libro della

32
dimostrazione evangelica in cui egli espone con chiarezza il suo pensiero sul
problema trinitario.
Poi lui prenderà posizione al CN e successivamente scriverà i due libri
contro Marcello e i tre della teologia ecclesiastica sempre contro Marcello, per
motivi polemici. Di per sé Eusebio non gradisce la discussione dottrinale.
Eusebio si collega strettamente ad Origene, un Origene vagliato,
criticato, filtrato in vario modo. Ma il 6° libro della storia ecclesiastica è
interamente dedicato ad Origene. E' un rappresentante, per quello che ci
interessa della dottrina del Logos. Un rappresentante che al tempo della
controversia ha già chiarito il suo pensiero. E' una interpretazione della
dottrina del Logos che non si identifica né con quella di Ario né con quella di
Alessandro. Valutando all'ingrosso E. è in posizione intermedia tra Ario ed
Alessandro.
E' più subordinazionista di Alessandro, ma il suo
subordinazionismo non arriva agli estremi radicali di Ario.
Dimostrazione evangelica (Eikel, GCS)
V libro, I cap, pag. 211: parla di Prv 8 ci dice che è la definizione del
Logos come en to proton…
"questa essenza divina e perfettissima dal punto di vista della virtù,
prima di tutte le cose create, intelligibile (noerà) e primogenito, immagine della
natura ingenerata, il figlio reale (gnesios) unigenito del Dio di tutte le cose"
Parla dei suoi vari appellativi, lo definisce poluonomos (dai molti nomi),
i vari appellativi di Cristo, tra cui quello di Sapienza (che qui gli interessa
perché cita Prov. 8) e in particolare Prov 8,22-25. A questo proposito dice che
"il F parlando in persona della sapienza insegna che egli è stato geneton"
In questo periodo la differenza tra genetos (creato) e gennetos
(generato) non è ancora ben stabilita. E. considera i due termini in relazione
al F come intercambiabili. "Definisce se stesso genetos perché non è
agenetos, venuto all'essenza prima di tutto il tempo come fondamento di tutte
le cose che sono state create". Quindi considera questo passo Pr 8,22-25
come uguale nel significato a Col 1,15. In quanto primogenito di tutta la
creazione secondo quanto è detto … collega strettamente i due passi.
"Si deve dunque considerare Cristo immagine di Dio in quanto
gennema (generazione) della natura divina. Poi c'è un chiarimento
fondamentale: come noi affermiamo che la sapienza è generazione di Dio, ha
bisogno di una spiegazione specifica, poiché dobbiamo considerare questa
generazione avvenuta non secondo l'emanazione (probolè) né secondo un
intervallo (diastasis) o secondo una divisione (diairesin) o diminuzione
(meiousin) o un taglio (tomen) né secondo tutto ciò che è caratteristico di una
generazione mortale. Si preoccupa (preoccupazione già di Origene) di chiarire
che cosa si debba intendere per generazione. Una generazione che non ha
nessuno dei caratteri della generazione animale. Che non comporta nessuna
divisione. Esclude la generazione animale.
Ario non poteva accettare l'immagine di un sostrato che si divide in due
parti: E ha la stessa preoccupazione. La generazione divina è
assolutamente immateriale, non ha nessuno dei caratteri della generazione
corporea.
Pag 212, riga 22ss: cita un passo molto citato Is 53,8 chi potrà spiegare
la sua generazione? Dove geneà viene inteso non nel senso di stirpe, ma di
generazione. Questo passo è molto citato, ma con intendimenti vari. Alcuni lo
citeranno per mascherare la concezione ariana. Eusebio lo cita in senso più

33
generale: la generazione divina si sottrae all'indagine umana. Come da un
essere spirituale abbia tratto origine un altro essere spirituale è per noi
inconcepibile. "Non è senza pericolo venire all'ipotesi opposta a quella di
una generazione divina intesa sul metro della generazione animale e
affermare semplicemente che il F è stato creato, ha tratto origine dal nulla alla
pari delle altre creature." Qui Eusebio scarta l'affermazione ariana della prima
lettera di Ario, ad Eusebio di Nicomedia (il F deriva dal nulla come tutte le
altre creature).
Qui si pone un problema. Non abbiamo notizie sulla cronologia della
dimostrazione evangelica. Questi libri sono stati scritti dopo i 20 della
preparatio. Ma quest'opera è stata terminata prima della controversia ariana o
quando era già finita? In genere si pensa che questi libri siano stati terminati
prima dell'inizio della controversia ariana. Simonetti propende verso questa
ipotesi anche se non è sicuro. Se la dimostrazione evangelica è stata
terminata prima della controversia ariana E. rifiuterebbe in anticipo quella che
è la proposizione più contestata di Ario.
D'alta parte Teognosto, all'inizio del 4°secolo, in un frammento
contesta l'ipotesi della creazione dal nulla.
I due passi si sorreggono a vicenda se dobbiamo prendere per buono il
passo di Teognosto e dobbiamo considerare il teso anteriore all'inizio della
controversia ariana? La dottrina di Ario nella sua parte più radicale era stata
anticipata da qualcuno e questo non può essere altro che Luciano di
Antiochia. Questo in un momento del suo insegnamento sarebbe arrivato ad
una affermazione di questo genere.
Questa è una possibile e probabile interpretazioni dei fatti.
Potremmo pensare che il frammento di Teognosto non sia autentico e
che la demonstratio è scritta alla fine della controversia ariana. Allora
saremmo in pieno contesto della controversia ariana. Ma Simonetti pensa ad
un contesto precedente.
Eusebio non condivide le affermazioni di Ario perché considera il Logos
F reale. L'appoggio politico non significa la sua adesione dottrinale.
IV libro, IV capitolo, pag 154: è l'unico passo in cui Eusebio si spinge
più verso Origene sull'altro punto qualificante. A questo punto infatti due sono
i concetti fondamentali
- la creazione o la generazione del F
- coeternità: c'era un tempo in cui il F non esisteva.
Sul secondo punto Eusebio dice che non è che "mentre prima non
esisteva poi è venuto all'essere, si dice del F che era prima dei tempi, che
preesisteva prima dei tempi, che era insieme col padre sempre,
completamente in quanto F. Senza intervallo senza …
Distingue bene la generazione del Logos dalla generazione animale.
Questo passo è unico. Qui Eusebio sembra condividere l'affermazione
origeniana della preesistenza ab aeterno del Logos: coesiste sempre col
padre, generato dall'ingenerato.
In un passo di una lettera che conosciamo parzialmente a Eufrazione di
Balanea, dice nettamente che il F in quanto F è posteriore al P. E' una lettera
che risale a prima di Nicea, al tempo della controversia. In questo tempo
Eusebio si allinea con Ario contro Alessandro (il F è posteriore). Eusebio su
questo punto non ha avuto mai le idee chiare. Una affermazione così precisa
come quella che leggiamo nel de principiis, in Eusebio non c'è con la stessa

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chiarezza. Forse ha avuto difficoltà ad assimilare il concetto completamente.
Nella controversia ariana su questo punto si allinea con Ario.
Libro V, cap. IV, pag 225: il F unigenito per natura Dio nostro non come
il primo Dio, ma primo e unigenito figlio di Dio e per questo Dio. Egli è il solo
che per natura sia figlio di Dio. Il solo che conservi l'immagine intellettuale,
vivente, animata dell'unico Dio, in tutto simile a Dio.
La divinità del F è chiaramente affermata ma in una posizione
nettamente subordinata. Il primo Dio è solo il padre. Il F è la sua immagine
perfettissima. Il tema di Cristo immagine e Cristo come aroma sono molto
sviluppati da Eusebio [correggere Simonetti la crisi ariana la citazione è da Ct
1,3 e non 1,2].
Rileva fortemente la subordinazione, in senso apologetico. Uno degli
argomenti fondamentali di Eusebio contro i pagani è il concetto di monoteismo
che oppone al politeismo. Eusebio non ha una concezione semplicistica del
politeismo, conosce bene tutta la tradizione filosofica, la Preparatio è una
antologia di passi di filosofi greci. Conosce l'interpretazione filosofica del
politeismo tradizionale. Rifiuta anche quella in nome di un monoteismo. Per lui
il monoteismo si può preservare solo subordinando nettamente il Figlio.
Riprende l'immagine politica: l'imperatore è uno solo anche se si serve di altri
per il esercitare materialmente il potere. Il F è l'unico strumento per mezzo del
quale Dio esercita il suo governo. Questa è la concezione base della teologia
del Logos.
Eusebio quindi va collocato tra questi due estremi, ma ancora
all'interno della tradizione alessandrina, del fronte origeniano. Sono tutti e tre
rappresentanti della teologia del Logos, in Eusebio la dottrina delle ipostasi è
affermata. Varie interpretazioni dell'eredità origeniana: moderata, radicale in
senso subordinante e Eusebio non radicale come Ario, ma la subordinazione
del Logos è più rilevata che Alessandro.
Questo fa comprendere la posizione politica di Eusebio, preferisce
appoggiare Ario per motivi di carattere politico, per contrastare il predominio
del vescovo di Alessandria, ma non si riconosceva in nessuno dei due.

Abbiamo esaminato quattro posizioni dottrinali:


Ario
Eusebio di Nicomedia
Alessandro
Eusebio di Cesarea.

Andiamo ora fuori di Alessandria. La condanna dei vescovi egiziani a


danno di Ario era stata disattesa da alcuni vescovi orientali che avevano
preso le parti di Ario. A questo punto la polemica era sfuggita dalle mani di
Alessandro e aveva coinvolto un contesto più ampio. Dato che si continua a
polemizzare, dato che i partiti appoggiavano una tesi o l'altra, a poco a poco
sono coinvolti vescovi che appartengono ad altre posizioni.
La dottrina del Logos in oriente è dominante solo in Egitto. Ben
affermata in Palestina, ma in Siria le persistenze monarchiane sono forti
anche ad Antiochia. In Asia minore sono testimoniate posizioni di vario
genere. Cominciano ad interessarsi alla polemica vescovi che definiamo
genericamente di tendenza monarchiana. Esponenti di una teologia che
contrasta perché la considera troppo divisiva, diteista.

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Il persistere di questa polemica provoca un intervento nuovo che è il
segno dei tempi mutati: l'intervento di Costantino.
Dato che il cristianesimo è diventato una componente importante, dato
il favore dell'imperatore, anche i pagani si interessavano di queste liti ma solo
per prenderle in giro. Infatti nel mondo pagano una situazione di questo
genere era impensabile. Il referente pagano di queste discussioni tanto
animate tra i cristiani sono le polemiche filosofiche: queste interessavano
poche persone, si svolgevano in modo civile e per secoli senza arrivare a
soluzioni.
La violenza con cui invece i cristiani discutevano, polemizzavano ecc…
era qualcosa di nuovo. Socrate ci dice che perfino nel teatro le discussioni di
cristiani vengono prese in giro.
Costantino fino al 324 è stato occupato con Licinio. Sconfitto Licinio,
Costantino è unico imperatore. Costantino risiede a Nicomedia dopo la guerra
(città imperiale dell'asia minore). Costantino è costernato: la sua politica di
favore mira proprio ad inserire la struttura ecclesiale come struttura portante
dell'impero. Ma ora i cristiani litigano tra loro. Costantino scrive una stessa
lettera ad Ario e Alessandro dicendo di smettere di discutere su minuzie (un
passo scritturistico che è Pr 8,22). La lettera non ebbe effetti. Costantino
incarica perciò Ossio di Cordova, il consulente di Costantino per le questioni
cristiane. Ossio viene incaricato di mettersi in contatto con i contendenti e
cercare una soluzione del contrasto. Non abbiamo molte notizie su questa
missione, andò ad Alessandria e prese contatto con Alessandro. Non
abbiamo notizia che abbia cercato un contatto personale con Ario.
Ossio non conclude niente. Non sappiamo se la sua sia stata una
missione nello spirito di Constantino: mediare tra le due parti. Sembra che
abbia preso subito le parti di Alessandro.
L'intervento di Ossio è molto importante.
Quando dopo 60 anni la controversia finisce, si arriva a conclusioni che
nessuno all'inizio avrebbe potuto condividere: subito la polemica si complica
per intervento di altri fattori che la modificano fortemente, fondamentalmente
rispetto all'aspetto primitivo della polemica.
Adesso intervengono altri fattori.
Non sappiamo quale fosse l'impostazione di Ossio: l'occidente è in
enorme ritardo nella discussione di tali problemi. Le posizioni finali della
polemica del 3° secolo hanno portato alla prevalenza del monarchianismo
moderato che significa soprattutto rifiuto della dottrina delle tre ipostasi. La
posizione di Dionigi di Roma: siete triteisti trova conferma nel concilio di
Serdica del 343. Gli occidentali nel concilio di Serdica affermano una sola
ousia e una sola ipostasi del P e del F . Nel concilio di Serdica il presidente è
Ossio di Cordova. Ipotizziamo che se Ossio di Cordova aveva una certa idea
della polemica, la sua posizione non quadrava né con Ario né con
Alessandro. Questa è la novità. Cominciano a subentrare in veste di
protagonisti gli esponenti di dottrine che non quadrano con la dottrina del
Logos. Il primo è Ossio di Cordova. Ossio non conclude nulla. Si decide la
convocazione di un concilio. Sappiamo di piccoli concili locali. Il questo
periodo i sostenitori di Ario sono molto attivi. Abbiamo notizia di piccoli concili
(Palestina e Bitinia, con Teognide, un partigiano di Ario) sono riunioni di
vescovi che assolvono Ario e pregano Alessandro di riprenderlo nella
comunione della chiesa di Alessandria. Sono procedimenti che sembrano
piuttosto irregolari, ma siamo in un periodo in cui la disciplina ecclesiastica è

36
in una fase quanto mai fluida. Ci sono vescovi che presiedono alla loro
chiesa, ormai in varie regioni c'è l'abitudine di concili locali (prima di Pasqua)
in cui si discutevano problemi interni tra vescovi e presbiteri. In Egitto, l'unica
grande circoscrizione ecclesiastica, tutti i vescovi erano nominati dal vescovo
di Alessandria. Altrove non era così, ciò che mancava era il rapporto tra
regione e regione ecclesiastica. Possono i vescovi di una circoscrizione
estranea interferire nella questione interna di un'altra circoscrizione
ecclesiastica? Perché era stato condannato Origene da Demetrio? Perché era
stato ordinato prete fuori della circoscrizione di Demetrio, del vescovo di
Alessandria. Ma canoni precisi non ci sono. Il concilio di Nicea, oltre a provare
una formula di fede antiariana emanerà una serie di canoni che in gran parte
vertono proprio su questo punto, per cercare di chiarire i rapporti del clero
all'interno delle diocesi e tra diocesi e diocesi, per evitare interferenze di
questo genere. Prima norme precise non ce n'erano. Si spiega come i
partigiani di Ario si sono riuniti in concili e abbiano cercato di forzare la mano
ad Alessandro invitandolo a riprendersi Ario perché ritenevano che la dottrina
di Ario non dicesse niente di particolarmente scandaloso.
In questo contesto tutto frammentato, caratterizzato da notevole
disordine e che doveva coinvolgere non solo le alte gerarchie della chiesa ma
che aveva ripercussioni nell'ambito della comunità, matura l'idea di un concilio
di carattere generale che possa risolvere la questione. Matura l'idea di un
concilio. Chi per primo ha avuto l'idea di questo concilio? Non lo sappiamo.
Sarà indetto da Costantino è difficile che l'idea sia venuta a lui. Alcuni fanno
partire l'idea da Alessandro di Alessandria. Nel 324 si decide: Costantino
decide questo concilio e fa inviare le lettere di convocazione per il 325
primavera. Lo convoca dapprima ad Ancira (oggi Ankara) nel centro dell'asia
minore. Poi viene spostato a Nicea, città meno interna, più vicina a
Nicomedia, città imperiale e possiamo ipotizzare che lo spostamento sia stato
dovuto non solo a motivi logistici (più facilmente raggiungibile) ma forse anche
perché il vescovo di Ancira è Marcello, giovane vescovo che diventerà uno dei
grandi protagonisti della controversia. Egli si colloca perfettamente agli
antipodi di Ario. Un rappresentante del monarchianismo più radicale.
Qualcuno che conosceva queste idee può aver consigliato a Costantino di far
svolgere in una diversa sede. Il concilio fu spostato.
Ci troviamo di fronte ad una grossa novità.
Il CN è considerato il primo concilio ecumenico. La chiesa cattolica
riconosce come ecumenici una serie di concili
Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia.
Questa sanzione è sanzione ex eventu, di carattere ideologico, non di
carattere politico. Sono concili che sono stati ritenuti validi nel periodo dal 340
al 360 vengono celebrati almeno altri due concili ecumenici: Serdica e Rimini-
Seleucia, che però non sono riconosciuti come concili ecumenici. Non è
questione quantitativa. Non è che il numero dei partecipanti o la provenienza
di essi determini l'ecumenicità. Al CN ci saranno circa 250 vescovi, a
Costantinopoli non più di 150 vescovi. Al concilio di Rimini invece quasi 600
vescovi eppure questo non è ecumenico. Non è la rappresentatività che ha
determinato la ecumenicità del concilio. La chiesa cattolica ha riconosciuto
ecumenici i concili che andavano in linea con la sua linea dottrinale . Tra
Efeso e Calcedonia c'è il concilio (latrocinium) di Efeso del 448. Ma questo del
448 si è svolto non meno irregolarmente del C di Efeso del 431 che è un
ammasso di irregolarità. Eppure quest'ultimo è diventato ecumenico e quello

37
del 348 no perché le conclusioni del concilio del 431 hanno quadrato con la
linea dottrinale della chiesa cattolica e quello del 348 no. Quando parliamo di
concilio ecumenico non ne parliamo dal punto di vista ideologico ma fattuale.
Quale è la novità del CN rispetto ai concili precedenti? In Africa ne facevano
quasi due all'anno, una sicuramente (sulla quaresima) per risolvere tutti i
contenzionsi. Fino ad allora i concili più vasti erano stati concili di carattere
regionale, anche cospicui. Quando Cipriano questiona con Stefano di Roma
sul battesimo degli eretici si riuniscano a Cartagine 80 vescovi. Ma sempre
regionali. Mai è stato riunito un concilio interregionale, non ci è trasmessa
notizia. Questo per noi è il concilio ecumenico, si riuniscono vescovi di
varie circoscrizioni . Questo è storicamente il concilio ecumenico:
convengono vescovi di varie circoscrizioni e il concilio è indetto
dall'imperatore.
Quest'ultima è l'enorme novità, quella che determina una svolta
completa nell'andamento delle discussioni, di carattere religioso. Un
intervento pieno del concilio. Nel mondo antico il concilio ecumenico può
essere indetto solo dall'imperatore. Diventa valido solo se viene approvato
dall'imperatore. Altrimenti non ha validità. Questo è molto chiaro. Nel 359
quando Costanzo indice il concilio di Rimini e Seleucia si riserva il potere di
approvarne le decisioni.
E' qualcosa di completamente nuovo che è la conseguenza diretta
della politica di Costantino. Costantino ha inserito la chiesa cristiana nella
struttura dell'impero. La chiesa è diventata una struttura statale, i vescovi che
confluiscono da tutto l'oriente a Nicea (l'occidente è poco rappresentato)
viaggiano con il cursus publicus. Lo stato aveva una sua struttura di viaggio
che servita ai funzionari. I vescovi viaggiano perché sono diventati funzionari.
Non è un atto di riguardo di Costantino nei confronti dei vescovi.
Costantino non ha mai avuto l'idea di dare alla chiesa la libertà di culto
così… ma la chiesa si doveva integrare nello stato e ipso facto il capo dello
stato diventa capo della chiesa. I testi su questo argomento sono molto
equivoci. Infatti il problema è che quando il vescovi di Roma diventa capo
della chiesa il concilio verrà approvato se il vescovo di Roma lo approva. Non
abbiamo la minima prova che in CN sia mai stata chiesta al vescovo di Roma.
Quello che conta è l'approvazione dell'imperatore che è capo di fatto e di
diritto. Solo lui può convocare il concilio che è l'organo massimo della chiesa.
Raduna vescovi di tutte le parti della chiesa. L'unico che ha l'autorizzazione di
convocare un concilio ecumenico è l'imperatore. Un concilio è valido solo se
ha l'approvazione dell'imperatore. Nel mondo antico l'osmosi tra il potere o la
componente politica e religiosa è totale. L'imperatore è capo e pontefice
massimo sempre. L'imperatore assomma tutti i poteri, anche quello religioso.
Una volta che finisce lo stato di ostilità, con la massima naturalezza
l'imperatore diventa capo della chiesa. Non è una teorizzazione fatta da
Eusebio, ma è accettata da tutti. Quando viene emanato il concilio di Nicea,
già precedentemente Costantino si è dovuto occupare di questioni interne
della chiesa (donatismo). Il concilio non è più un atto solo religioso, ma un atto
pubblico dell'amministrazione imperiale ha automaticamente valore di legge.
Comincia quest'usanza che quando uno non accetta le decisioni del
concilio non solo viene deposto, ma viene esiliato. L'esilio era una condanna
(la peggiore prima della condanna a morte) statale. L'esilio comportava anche
la confisca di tutti i beni.

38
La controversia ariana in questo è paradigmatico. Le grandi svolte della
controversia sono legate a svolte politiche: I periodo fino alla morte di
Costantino; II periodo da Costanzo (oriente) Costante (occ.); III periodo dal
350 costante viene ucciso fino alla morte di Costanzo. Sempre l'avvento di un
nuovo imperatore significa una svolta forte nell'andamento della discussione.
L'imperatore deve prendere per forza posizione in un modo o nell'altro
nei confronti delle questioni ecclesiali, non è una scelta libera.

29.XI.99

Dunque il fatto nuovo è l'ingerenza dell'imperatore. La chiesa ormai è


considerata da Costantino un parte della struttura dello stato e quindi deve
funzionare e soprattutto non deve dare preoccupazioni.
Ma ora le noie in oriente sono talmente diventate consistenti che
Costantino interviene tramite Ossio. La missione di Ossio non ha nessun
esito. Si arriva all'indizione del CN da parte di Costantino= segno dei tempi
cambiati. Quello che è il supremo organo, il concilio, può convocarlo solo
l'imperatore e le sue decisioni sono approvate solo se sono approvate
dall'imperatore. Le sue leggi diventano leggi dello stato e così alla sanzione
ecclesiastica si uniscono le sanzioni civili (esilio).
Il CN inizialmente fu indetto per Ancira, nel centro dell'asia minore e fu
poi spostato a Nicea, più vicina a Nicomedia, residenza imperiale.

Il concilio di Antiochia
Circa un secolo fa ci fu una scoperta in un ms siriaco: Schwartz scopre
un documento di una riunione di vescovi tenuta ad Antiochia nell'immediata
vigilia del CN.
Questo testo presenta dati storici, una professione di fede e anche
delle sanzioni ecclesiastiche. Schwartz fa anche una retroversione in greco.
Harnack mette in dubbio l'autenticità.
La quasi totalità degli studiosi la considera autentica. Non si capirebbe
neanche la ragione di un falso. Anticamente i falsi non si facevano per
divertimento come nel 1700. Se si facevano vi erano motivi ben precisi.
Opitz lo considera autentico: doc 18, pag 36, testo siriaco e
retroversione greca.
C'è una serie di vescovi: è una lettera enciclica che figura inviata ad
Alessandro vescovo di Tessalonica (lo stesso da cui Alessandro di
Alessandria ha inviato la sua lettera). All'inizio c'è una serie di vescovi. Il primo
è Ossio (cfr. la questione in la crisi ariana), poi Alessandro di Alessandria,
Ellanico di Tripoli di Siria, Aezio di Lidda. I vescovi si sono riuniti a causa di
tumulti ad Antiochia . La ricostruzione di questi tumulti, anche se non è detto
qui chiaramente, furono causati dalla morte del vescovo Filogonio di Antiochia
e dalla elezione di Eustazio, precedentemente vescovi di Berea (odierna
Aleppo). Ario nomina Filogonio come suo nemico. Capiamo le contestazioni
ad Antiochia sulla elezione di Eustazio. E. si rivelerà infatti uno dei più accaniti
nemici di Ario.
I vescovi si riuniscono, parlano del contrasto tra Alessandro e Ario, si
mettono dalla parte di Alessandro, condannano Ario e propongono una
professione di fede.
Solita formula
39
- affermazioni sul P
- affermazioni sul F: generato non dal nulla ma dal P
(=antiariano); non come poieton (cosa creata) allos gennema kurios (ma
come una genitura, generato in senso proprio); non una fattura ma una
genitura in senso proprio (il valore di questa precisazione kurios si capisce
perché Ario giocava sul generato/creato: diceva gennema una genitura ma
non come le altre geniture, poiema ma non come gli altri poiemata; Ario e gli
ariani giocheranno sempre sull'ambiguità di Prv 8,22 e 25. La differenza tra
generare e creare per Ario era che Cristo era stato creato direttamente dal P
mentre tutti gli altri poiemata sono stati fatti per opera diretta del Logos).
Generazione in senso proprio viene detto qui per evitare qualsiasi ambiguità.
Quello che esiste da sempre e non prima non esisteva (contro la seconda
fondamentale affermazione ariana) il F è coeterno, e non prima non
esistenza (Ario: prima che fosse stato fondato non esisteva). Abbiamo
appreso dalle Scritture che egli solo è l'immagine, non ingenerato (l'accusa di
Ario ad Alessandro era di confondere generazione e ingenerazione). Qui
chiarificano che non è ingenerato anche se coeterno. Non F per adozione,
convenzione, ma le Scritture lo definiscono F kurios, cioè in senso proprio,
reale e quindi atrepton non soggetto né a mutamento né a trasformazione.
Ribadisce che non è dal nulla. Immagine non della volontà né di qualche altra
cosa ma della stessa ipostasi paterna. Lo schema fondamentale è quello
della dottrina delle tre ipostasi. Poi c'è un passo sull'incarnazione che non ci
interessa.
- Formule di condanna: condanniamo coloro che credono che il
F di Dio è ktisma, creazione, non un vero gennema. Vengono
condannate le due fondamentali proposizioni ariane.
Alla fine c'è un codicillo che è importante dal punto di vista storico perché
chiarifica alcuni particolari del CN. Solo tre vescovi dei presenti si erano
rifiutati di sottoscrivere. Questi sono: Teodoto di Laodicea, Narcisso di
Neronia e Eusebio di Cesarea. Li condannano ma danno loro la possibilità di
ravvedersi al prossimo concilio di Ancira. Teodoto e Narcisso resteranno
ariani. Ma questo spiega l'atteggiamento di Eusebio al CN. Eusebio infatti pur
non identificando la sua posizione con quella di Ario, prende le parti di Ario
tanto che lo condannano. Da ora in poi cercherà di scagionare se stesso.
Tutta una prima parte del concilio si spiega alla luce di questo documento.
Il senso di questa professione è dunque nettamente antiariana.
Comincia a verificarsi quello che succederà a Nicea. Ario era convinto che
tutti credevano come lui, ma ciò era una illusione. Quando si arriva alle strette
il partito dei filoariani si dissolve.
Ma l'elemento decisivo del CN è che il contrasto è sfuggito dalle mani
dei protagonisti e si è allargato al di là di quelli che erano i limiti originari. Il
contrasto nasce all'interno della teologia del Logos. E' contrasto
interalessandrino. Già l'intervento di Ossio di Cordova dottrinalmente significa
l'intervento dell'occidente che condanna la dottrina delle tre ipostasi come
triteista. L'atteggiamento di Ossio per noi è significativo. Ossio non sappiamo
fino a che punto capisse i termini della questione. Questo è un momento in cui
l'occidente sta in regresso forte in occidente. Solo alla metà del secolo gli
occidentali cominceranno ad orientarsi sui termini della controversia. A Ossio
in quanto occidentale non poteva essere d'accordo né con Ario né con
Alessandro. Tra i due, certo meno lontano da Ossio è Alessandro. Una cosa è
affermare tre ipostasi, altra è affermare che il F è stato creato dal nulla e cioè

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stato un tempo in cui non esisteva. Il fatto che Ario nella seconda lettera ha
fatto scomparire il creato dal nulla non significa nulla. Ormai i suoi avversari
condannano questo punto e sempre si batterà costantemente.
I due punti ariani sono:
- il F è creato dal nulla
- ci fu un tempo in cui il F non esisteva
Questo comportamento di Ossio è esemplare perché adesso
intervengono nella polemica rappresentanti di teologie diverse. In Siria i
monarchiani avevano un certo seguito e anche altrove. Ora intervengono tali
monarchiani.

Eustazio di Antiochia
Viene nominato vescovo di Antiochia. Tutti coloro che erano favorevoli
ad Ario avranno fatto di tutto per impedire l'elezione di Eustazio. Notoriamente
Eustazio era contro Ario, sarà uno dei protagonisti in senso antiariano.
Conosciamo bene, ha scritto molto ma il grosso non ci è rimasto per le
vicissitudini successivi a Nicea. Ci sono rimasti frammenti. C'è un'opera
importante su Eustazio di Spanneut.
Una sola opera è completa: Sulla pitonessa di Endor. 1 Sam Saul
prima della battaglia manda a consultare la negromante che evoca dagli inferi
Samuele che predice la morte a Saul. L'episodio ha impressionato molto gli
antichi. Abbiamo altri autori che si occupano di questo: Origene, Gregorio di
Nissa
Eustazio coglie questa occasione per fare un attacco a fondo contro
tutta l'esegesi origeniana. Origene aveva interpretato letteralmente l'episodio.
Eustazio lo attacca proprio su questo punto che gli dà occasione di attaccare
tutti i fondamenti dell'esegesi origeniana.
Questo episodio non ha nulla a che vedere con la controversia ariana.
I monarchiani sono antiariani ma più in generale sono antialessandrini.
Essi non rifiutano solo Ario ma tutta l'impostazione che Origene aveva dato
alla cultura alessandrina. Lo scritto sulla pitonessa è anteriore alla crisi ariana.
E' la vecchia cultura asiatica che si fa sentire contro la cultura alessandrina.
Quindi i termini della questione cominciano a complicarsi.
Quella che era una questione interna ad Alessandria ora con
l'intervento di questi monarchiani comincia ad allargarsi. Coinvolge tutto il
contrasto secolare tra la cultura alessanadrina e la cultura asiatica. Eustazio è
tutt'altro che un ignorante. Il contrasto culturale non è tra una cultura colta e
una incolta. Eustazio è un raffinato. E' molto più curato che non Origene, è un
personaggio di grande cultura. In questa fase della controversia Origene e
Eustazio sono i due personaggi letterariamente su due versanti opposti.
Tutta la dottrina alessandrina fondata sull'interpretazione platonica del
cristianesimo che gli altri rifiutano. Allora ecco che la polemica si allarga.
Quindi Nicea non è solo un contrasto dottrinale, ma Almeno per alcuni
rappresentanti della cultura asiatica che avranno voce forte nel concilio
questa è l'ultima possibilità di far sentire il loro peso nella controversia. E'
chiaro che si mettono dalla parte di Alessandro che è il meno lontano ma non
si identificano minimamente con Alessandro. Possono condividere la
condanna di Ario che dava Alessandro. Ma la teologia positiva di Alessandro
non la condividono.
Frammento 19

41
Il corpo di Cristo è definito naos= tempio (cfr. Paolo di Samosata). Il
Logos la cui carne è definita anche skenè, è definito Figlio di Dio per natura.
Qui siamo lontani da Paolo di Samosata. Per Paolo il Logos diventa
figlio al momento dell'incarnazione, nell'uomo Gesù. Invece per Eustazio il
Logos è figlio di Dio per natura, in senso proprio, reale. Quindi il
monarchianismo di Eustazio è un monarchianismo moderato.
Frammento 30, righe 15ss
Il Logos è definito come forza divina indicibile che pervade tutte le cose
(concetto di anima mundi di estrazione stoica e platonica).
Frammento 87
Eustazio commenta Gen 1,26: una sola è la divinità di ambedue i
prosopa, per cui il P ha detto poiesomen e il F ha fatto. Spiega l'unità della
divinità.
Infatti l'immagine di Dio (Logos) è semplice e priva di composizione,
essendo fuoco per natura (concetto stoico).
Il pneuma come fuoco sottilissimo ma sempre corporeo . Siamo
nell'ambito di quella che ho definito cultura asiatica, fondo stoico materialistico
di tutta la cultura asiatica. Ancora agli inizi del IV secolo quando ormai il
platonismo dilaga abbiamo la definizione della divinità come fuoco, stoico.
Prosopon è legato alla maschera; è la persona nel senso di immagine
esterna. Il primo a parlare per la prima volta nell'ambito della dottrina del
Logos di prosopa distinti del P e F era stato Ippolito nel Contra Noeto. Calisto
invece a Roma parlerà di un solo prosopon e considera divisiva la distinzione
dei due prosopon. In Origene mai il termine è utilizzato in senso dottrinale,
egli sostituisce ipostasi. Non spiega mai perché rifiuta prosopon ma lo
capiamo che lo sentiva poco personalizzante, avvertiva il concetto di
apparenza. Questo prosopon che cade ad Alessandria lo ritroviamo in senso
dottrinale in Eustazio per la prima volta dopo Ippolito.
Eustazio adopera questo termine per caratterizzare la distinzione tra P
e F. Per approfondire questo concetto.
Frammento 28, in siriaco con traduzione latina. Autentico: ut dualitate
et singularitate introducat…
Si parla del rapporto tra P e F, dualità e unità (=singularitas) perché
una sola è l'ipostasi. Ecco la formula che Eustazio oppone alla formula
alessandrina. La formula alessandrina distingue tre ipostasi P e F SpS non ha
un modo altrettanto preciso di definire l'unione. Origene aveva detto che sono
una sola cosa per l'accordo della volontà. I teologi del Logos in questo
momento possono parlare di unità di Dio solo su base dinamica e non statica.
Non hanno un termine preciso per indicare l'unità. Il termine ousia in questo
periodo ha lo stesso significato di ipostasi, indica entità individuale. L'unità di
Dio viene salvaguardata già da Ippolito poi da Origene e anche dagli ariani e
da Alessandro, su base dinamica: il P e F sono qualcosa che si
compenetrano totalmente e questa compenetrazione porta ad una assoluta
unità operativa, di volontà e di operazione. Questa è l'unità su base dinamica.
Qui Eustazio oppone una sua formula: ipostasi è una sola (corrisponde alla
divinità); l'unica divinità è l'ipostasi divina.
In questa ipostasi si distinguono due prosopa.
Cosa intendesse con prosopon Eustazio non lo sappiamo.
Ci sono frammenti di allievi di Eustazio: il prosopon viene definito con
una strana immagine, come il latrato in un cane. Cioè il significato è molto

42
poco forte: si tratta di un atteggiamento. La distinzione in prosopa è
distinzione debole.
Basilio rifiuterà il concetto di prosopon: accetta prosopon solo se
coincide con ipostasi. Da solo infatti lo sentiva troppo debole.
Il frammento 38 è autentico per la presenza di dualitas. Una
caratteristica di Eustazio che ha in comune con Eusebio di Cesarea, suo
grande avversario, è una concezione completamente binitaria. Lo SpS
scompare completamente dall'economia divina. Esiste come ispiratore delle
Scritture, ma non ha nulla a che vedere con l'economia intradivina. Eustazio
non parla di trias, ma di duas. Garanzia che questo frammento è di Eustazio
perché è concezione tutta sua.
Eustazio si caratterizza con un monarchianismo moderato. Rispetto a
Paolo di Samosata si differenzia perché considera il Logos F reale già prima
dell'incarnazione e caratterizza lui e il P come due prosopa. Il
monarchianismo sta nel rifiuto della dottrina delle tre ipostasi. E' una sola
ipostasi che si articola in due prosopa. Concezione che non poteva essere
attaccata nemmeno dagli origeniani perché si afferma che il Logos è F reale
già prima dell'incarnazione (affermazione sufficiente a staccarlo da Paolo di
Samosata). Invece l'eredità di Paolo di Samosata in questo frangente del
concilio di Nicea è continuata da un altro personaggio. Personaggio chiave di
tutta la controversia ariana: Marcello di Ancira.

Marcello di Ancira

Lo conosciamo per una serie di frammenti che Eusebio ci ha


tramandato. Siamo dopo il CN. Scrisse un trattato per confutare Asterio, il
teorico dell'arianesimo della prima ora. Eusebio scrisse due opere contro
Marcello e il de Ecclesiastica teològia (due e tre libri). Eusebio con il suo
sistema di confutare sistematicamente ci ha tramandato tutta una serie di
frammenti di Marcello. Non è opera completa ma di Marcello ci facciamo così
una certa idea
Marcello si colloca veramente nel solco di Paolo di Samosata.
Secondo lui il Logos è diventato F solo nel momento dell'incarnazione. La
distinzione tra il Logos e il P è distinzione non puramente nominale ma che
non implica una distinzione personale.
Marcello distingue due momenti. Il Logos è potenzialmente nel P da
sempre. Al momento della creazione del mondo il Logos passa dalla potenza
all'atto. Abbiamo una dilatazione della monade divina.
Spirito significa la sostanza divina, adoperato in contrapposizione a
carne (kata pneuma-kata sarka = secondo la divinità-secondo al umanità). Se
la dilatazione della monade fosse limitata alla dilatazione dello spirito, cioè
della mera sostanza divina, il Logos sembrerebbe una sola e medesima cosa
rispetto a Dio. Ma ci si è assunta anche la carne. La divinità appare dilatarsi
per la sola attività. La monade però resta indivisa.
La monade insomma si è divisa apparentemente solo al momento della
incarnazione. Perché allora compare un secondo soggetto che è l'uomo Gesù
nel quale inabita il Logos. Se non fosse avvenuta la incarnazione la
dilatazione del Logos che ha comportato la creazione del mondo non avrebbe
comportato la divisione della monade. La monade si divide solo al momento
dell'incarnazione. Resta indivisa perché nella sua divinità resta indivisa. Il
43
Logos anche quando si incarna in Gesù non ha una sua personalità, una sua
autonomia, una sua sussistenza.
Nel frammento 121 si dice: il Logos è una energheia drastikè (energia
attiva): l'attività operativa del P che è ab aeterno in potenza e passa in atto al
momento della creazione del mondo, ma resta una forza operativa, non
assume personalità. Il Logos diventa persona soltanto nel momento
dell'incarnazione perché il soggetto è l'uomo Gesù. La monade resta sempre
indivisa, sia che il Logos è in potenza sia che il Logos sia in atto.
La monade si è dilatata (platunesthai) al momento della creazione del
mondo. Quando tutta l'economia del mondo si completa fino al giudizio
universale allora il Logos si ritira nel P passando dall'atto alla potenza.
Movimento sistole-diastole.
La formula sul regno di Cristo è stata introdotta contro Marcello.
L'uomo Cristo che fine fa? Non si capisce perché il Logos lo
abbandona alla fine del mondo.
Su questo punto si concentreranno gli attacchi, tanto che egli si
ritratterà.
In altri frammento parla di un solo prosopon del P del F e del SpS:
non accetta neanche la distinzione in prosopa di Eustazio. Per lui il prosopon
è uno solo (cfr. Callisto). Siamo davanti ad un monarchianismo radicale. La
distinzione tra P e F è solo al momento dell'incarnazione. Una potenza del P
che prima è in potenza poi passa in atto con la creazione del mondo si
incarna nell'uomo Gesù, alla fine dei tempi rientra nella monade paterna con
un movimento di riassorbimento. E' la concezione monarchiana e più organica
che consociamo insieme con Fotino suo allievo.

Rispetto a quella di Nicea la professione di Antiochia è molto più


sbilanciata in senso alessandrino. Nulla Origene non avrebbe potuto
sottoscrivere di questa professione.

06.XII.1999

Ha meravigliato molti studiosi che nessuno mai ha nominato gli atti del
concilio di Nicea. Tanto che c'è stato qualche studioso che ha pensato che
del concilio di Nicea non fossero stati scritti gli atti del concilio di Nicea. Che
non ci siano stati gli atti è impossibile perché il CN ha avuto il massimo
dell'ufficialità, è stato aperto da Costantino e Costantino ha seguito tutti i lavori
anche se non è stato materialmente presente a tutte le sezioni ha seguito tutti
i lavori, ha deciso i provvedimenti a danno di Ario e dei suoi soci ed è chiaro
che una manifestazione di questo genere non è soltanto un atto ufficiale della
comunità cristiana ma è un atto pubblico a carattere ufficiale nello stato. D'ora
in poi quello che viene fatto a livello ufficiale e concilio nella chiesa
automaticamente ha valore anche di legge nello stato. E' ovvio che stando
così le cose, è assurdo pensare che non ci siano stati gli atti. Ci sono stati ma
nessuno ha pensato di andarli a consultare . La cosa può sembrare
sorprendente tenendo presente che ci sono stati storici ecclesiasitici (Socrate
Sozomeno, Rufino). Socrate e Sozomeno hanno cercato documentazione e
lavorano con Eusebio di Cesarea. A metà del V secolo non era facile trovare
gli atti del concilio di Nicea. Abbiamo notizia di una scrittore Sabino di Eraclea,
un vescovo macedoniano attorno al 380. I macedoniani sono antiariani ma

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non filoniceni. Sabino di Eraclea scrisse un'opera sui concili del IV secolo che
noi non possediamo. L'hanno consultata sia Socrate che Sozomeno.
Nemmeno Sabino di Eraclea si sia preoccupato di cercare gli atti. Perché?
Entriamo già nel merito. Questo concilio che già nel IV secolo diventa una
specie di segnacolo di ortodossia: Lucifero di Cagliari dice che il CN ha
combattuto non solo l'eresia di Ario ma tutte le eresie. Questa mitizzazione del
CN, primo concilio ecumenico, è avvenuta con un certo ritardo per motivi che
cominceremo ad esplorare più avanti. Il CN non fece comodo a nessuno.
Lasciò tutti scontenti, anche i vincitori. Il fatto è che del CN praticamente non
si parla per 30 anni dal punto di vista dottrinale, del suo simbolo, che diventa
poi segnacolo di ortodossia. Che lo tacciano quelli che erano più interessati in
senso contrario lo comprendiamo, ma anche i vincitori non ne parlano e vi
stendono un velo pietoso. E' impressionante che il concilio di Serdica del 343
da parte degli occidentali è una interpretazione occidentale del concilio di
Nicea. Il concilio non viene mai ricordato, ma il termine distintivo homoousios
non viene mai citato. Se ne dà l'interpretazione tacendo però il termine.
Tenendo presente questo immediato Fortleben del concilio di Nicea possiamo
capire come si sia persa la memoria di quello che sia effettivamente accaduto.
L'homoousios viene rilanciata da Atanasio 30 anni dopo, nel 355 e non a
caso una sua opera sui decreti del concilio di N è quello che ci dà più
informazioni su una certa parte del concilio. Atanasio ovviamente non fa la
storia del concilio. Quello che dice Atanasio deve essere interpretato cum
grano salis. E' un testimone abbastanza inattendibile perché è troppo dentro
le questioni per essere obiettivo. Ma le cose che dice lui sono le uniche
concrete che si sanno di questo concilio. Atanasio al concilio ci dovrebbe
essere stato. Non era ancora morto Atanasio che già la sua figura era
mitizzata. Così il clichè, che è durato per secoli, di Atanasio che contrasta Ario
durante le discussioni del concilio non è attendibile. Atanasio era diacono
figuriamoci se poteva prendere la parola alle discussioni conciliari. Ma da qui
a sostenere che non è neanche stato presente è un po' troppo. Atanasio era
giovane (29). Ciò che farà incancrenire la controversia ariana sarà proprio
l'elezione di Atanasio. Elezione irregolare. Non aveva neanche l'età minima
richiesta. Atanasio comunque era in pectore il successore di Alessandro e
chiaramente Alessandro se lo è portato. Atanasio, anche se non ha
partecipato direttamente alle discussioni, è stato presente e ha potuto avere
notizie di prima mano da Alessandro e da altri vescovi alessandrini ed egiziani
presenti. E' quindi una delle fonti che abbiamo.
Abbiamo anche altri due documenti che sono praticamente
contemporanei al concilio di Nicea, opera di uno dei protagonisti: Eusebio di
Cesarea. Il quale ha fatto una monografia vita di Costantino, la cui autenticità
ora è indubbia. E' una specie di panegirico di Costantino. In quanto panegirico
è chiaro che i fatti sono presentati sotto una veste particolare. Eusebio parla
parecchio del CN ma solo in riferimento a Costantino. Ci dice molte cose che
a noi non interessano affatto: l'impressione che fa Costantino vestito di
porpora…lui che saluta i vescovi, il testo dell'orazione di apertura che
pronunciò in latino, che fu poi tradotta immediatamente in greco (il greco era
un punto d'onore, il latino era considerata lingua di una popolazione
semibarbarica). Abbiamo quindi tante notizie ma su quello che è avvenuto
effettivamente non sappiamo niente. Di fatto l'ultimo che voleva che si
sapesse come si fossero svolti i fatti era proprio Eusebio che si presenta al
CN con una condanna sulle spalle insieme con altri due vescovi. Si deve

45
liberare di questa condanna. Eusebio scrive anche una lettera scritta alla sua
comunità all'indomani del CN: perché al CN Eusebio lascia Ario e provvede a
salvare se stesso e quindi approva il simbolo di Nicea che teologicamente è
molto lontano dalle sue idee, idee che i suoi diocesani avevano sentito
predicare in chiesa, quindi Eusebio sente l'esigenza di giustificare il suo
atteggiamento al concilio di Nicea. Anche questa ci dà dati interessanti. Ma
non vuole essere un racconto dei fatti. Ciò che è decisivo per noi e che
impedisce la conoscenza del concilio è che non fa mai nomi di persona.
Addirittura quando parla del vescovi che siede alla destra di Costantino e che
forse era il presidente, non ci dice il nome. Eustazio? Perché vescovo di
Antiochia. Certo non Alessandro che era troppo implicato. Ci pensa a Ossio di
Cordova. Nella lettera quando parla di alcuni che hanno modificato, hanno
detto ecc. non dice i nomi, che sarebbero fondamentali. Possiamo in generale
fare qualche nome ma a caso, sulla base di quello che sappiamo dei loro
indirizzi dottrinali.
C'è un frammento di Eustazio, poche righe. I racconti degli storici si
ripetono uno con l'altro e non ci dicono grandi cose. Documentazione
fondamentalmente insufficiente.
Il CN possiamo seguirlo solo nelle linee molto generali. Il concilio di
Seleucia del 343 è pieno di dettagli, altri concili possiamo seguirli, anche
senza atti, dalle documentazioni. Del 431 concilio di Efeso possediamo gli atti
e l'informazione pecca per eccesso, abbiamo le trascrizioni stenografate di
tutte le discussioni. Gli atti di questi concili prendono infatti volumi interi. Ma
per i concili del IV secolo è diverso.
Gli atti nessuno li nomina, nessuno li ha visti. Gli atti non possono non
esserci stati, ma non li possediamo: è una constatazione.
Il senso di malessere e di imbarazzo che ha suscitato il CN per
almeno trenta anni successivi spiega tale buco.
Prendendo tutti questi frammenti sembra che il concilio abbia avuto
due momenti. E' iniziato a maggio del 325. Non sappiamo in quante sezioni.
Grosso modo due momenti. Il primo momento è quello in cui si è messa in
chiaro l'inaccettabilità della dottrina di Ario. La maggioranza del CN non si
riconosce nella dottrina di Ario e la considera inaccettabile. Sulla base del
frammento 32 di Eustazio pare che questa convinzione sia stata raggiunta
non tanto sulla lettura di testi di Ario quanto sulla lettura di una lettera di
Eusebio di Nicomedia. Eusebio di Nicomedia in questo periodo è allineato
perfettamente sulla dottrina di Ario anche nei suoi aspetti più radicali (poi se
ne distaccherà).
Probabilmente un frammento di questa lettera è da identificare con un
passo che ci ha riportato Ambrogio, più di 50 anni dopo, nel de fide. Parla di
come il loro autore Eusebio di Nicomedia abbia manifestato scrivendo in una
sua lettera una frase: "si verum inquit dei filium et increatum dicimus
homoousuio cum patre incipimus confitere (se veramente lo diciamo figlio di
Dio e increato, allora dobbiamo affermarlo homoousion col padre). Questa
frase va interpretata sulla base della seconda lettera di Ario dove Ario nega
che si possa considerare il Cristo in quanto Fd D come mero homoousiuon
tou patri, parte consustanziale con il P. Cosa intende Ario? Scarta una
dottrina, per lui manichea, per la quale il F sarebbe una parte consustanziale
del P. Il P è un tutto, una ousia materialmente intesa che con la generazione
del F si scinde in due parti. Una concezione di questo genere rimonta
addirittura ad Origene in senso negativo, come non accettazione di essa.

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Origene stesso aveva rifiutato di parlare di una stessa ousia del P e del F , di
considerare il F nato dall'ousia del P perché data l'impostazione stoica di
questo modo di ragionare ci vedeva il pericolo di un sostrato, hupokeimenon,
che si divideva in due parti. Tertulliano dice che il F è portio e che lo spirito
come sostanza divina è un corpo sui generis.
Il ragionamento di Eusebio è lo stesso di Ario. Se noi diciamo che il F
non è stato creato ma è stato effettivamente F in senso reale, non in senso
kata kristikos (accomodato), ma kurios (reale), ciò significa che l'ousia paterna
si è divisa in due parti. Allora il F deve essere stato creato e non generato,
perché se è stato generato realmente è homoousios e questo significa che
è una parte del P.
Abbiamo qui solo una frase. Non siamo neanche sicuri che questa
lettera fosse quella che è stata letta al concilio. Questa frase però già da sola
è significativa. Eusebio è perfettamente allineato sulla dottrina di Ario. Eusebio
è un pezzo grosso. Il capo ormai diventa lui. Ario a questo punto diventa un
personaggio in secondo ordine rispetto ad Eusebio di Nicomedia. La
maggioranza del CN dimostra una sensibilità antiariana. Quel vanto che
aveva espresso Ario nella prima lettera (tutto l'oriente è con noi tranne
Ellanico, Filogonio e Macario) si rivela un grande bluff! La maggioranza del
CN è antiariana.
I vescovi del concilio saranno considerati 318 come i 318 servi di
Abramo che sconfiggono i nemici. Eustazio parla di 200 a 300, forse 240-260.
Abbiamo liste di sottoscrizioni. Molti nomi però sono caduti. I vescovi erano
tutti orientali, occidentali erano 5 o sei. Silvestro di Roma si fece
rappresentare da un presbitero Vito e un diacono. L'apporto dell'occidente è
praticamente nullo. Si tratta in realtà di un concilio orientale. Si è discusso
sicuramente in greco.

Una formulazione positiva


A questo punto subentra l'esigenza di trovare una formulazione di fede
tale da affermare la dottrina trinitaria in senso antiariano. Non ci si contenta di
contraddire Ario. Le sue proposizioni sono inaccettabili, erronee, vanno contro
la tradizione, contro la Scrittura. Il CN sente l'esigenza di dare una
formulazione POSITIVA di dottrina. E' chiaro che tale formulazione positiva
doveva essere tale da escludere l'errore di Ario.
Non c'è nulla di nuovo nel modo di discutere. Le discussioni che si
facevano nella chiesa: Tertulliano e Prassea, Origene e Eraclide, Origene e
Candido, Origene e Berillo di Bostra, si concludevano con una dichiarazione
che dovevano firmare i due contendenti. Tale dichiarazione doveva essere
combinata in modo da escludere le affermazioni della parte perdente. Prassea
sostiene la dottrina di Noeto, monarchiana. Tertulliano sostiene la dottrina del
Logos. Prevale Tertulliano. Il consesso dei vescovi e presbiteri, (come nelle
scuole di retorica: discussione in utramque partem, con tempi rigorosamente
stabiliti - la clessidra-) decidono la conclusione: uno vince l'altro perde. Si stila
un documento fatto in modo da affermare la dottrina che aveva vinto e
condannare la dottrina che aveva perso.
Qui non è successo lo stesso. Non consta che ci sia stata una
discussione come c'era stata ad Antiochia a proposito Paolo di Samosata e lì
tirarono fuori un professore di filosofia, Malchione, per incastrare Paolo.

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Qui c'è stata un discussione collegiale. Sappiamo solo che questa
lettera è stata letta e la maggioranza dei partecipanti al CN l'ha condannata e
condannando questa lettera ha condannato Ario e tutti quelli che la
pensavano come lui.
Come ci si è arrivato, le forme, chi ha preso la parola questo per noi è
buio assoluto. Diamo per scontata questa prima parte.
La maggioranza antiariana vuole arrivare al documento finale, che
deve essere sottoscritto da tutti per ordine di Costantino. Qui subentra il
racconto di Atanasio nel de decretis nicenii. Egli ci dice che il racconto è
verisimile, non ci possiamo mettere la mano sul fuoco ma non è inattendibile.
Quello che dice quadra con ll contesto della vicenda. I padri conciliari
trovarono grossa difficoltà nell'escogitare una formula tale che Ario
sottoscrivendola ritrattasse le sue convinzioni. Inizialmente si disse che Cristo
esti ek tou patros (deriva dal padre). I filo ariani furono disponibili a
sottoscrivere tale formula perché Paolo in Cor dice che ta panta esti ek tou
theou.
Ma allora escogitarono una seconda formula: il F dunamis aletinè
(potenza reale), come eikon aparallaktos (cfr. Alessandro) priva di ogni
differenza dal Padre. Come apaugasma tou photos (riflesso della luce del
padre), ma anche questa formula gli ariani erano disposti a sottoscriverla. Il
termine dynamis è generico. Astero, ariano, aveva detto che in un profeta si
parla del bruco e delle cavallette come potenze di Dio. Ci figuriamo quindi
quale valore generico potesse avere questo concetto. Anche il concetto di
immagine tutto sommato è troppo generico. Non forzava la situazione a
danno di Ario. Solo a questo punto, quando questi non riuscivano a trovare
una formulazione scritturistica, il fondamento di tutta la discussione è
considerata la Sacra Scrittura. Questo documento deve essere il più possibile
un collage di espressioni scritturistiche. Ecco perché si parla di apagausma
(Eb) o di eikon (Paolo) dunamis (molto attestato nella scrittura).
A questo punto si tra fuori il termine homoousios.
Termine non scritturistico. Che Ario non poteva accettare. Lo aveva già
rifiutato in anticipo.
Perché? Chi lo ha proposto? Non sappiamo nulla. Neanche Atanasio lo
dice.
Questa preoccupazione di Atanasio di spiegare perché si arrivi ad una
formulazione non scritturistica (ci si arriva solo quando si costata che una
formulazione scritturistica non poteva mettere Ario con le spalle al muro,
perché tutte le ipotesi Ario era disponibile a firmarle) è di giustificare il termine
non scritturistico. Questo fa fronte all'accusa che fu subito mossa
all'homoousios: termine non scritturistico. Allora Atanasio cerca di
dimostrare e di trovare gli ascendenti di questo termine per giustificarlo
scritturisticamente.
Questa accusa contro l'homoousios non è nuova. Già Dionigi di A lo
disse anche se poi lo sottoscrive. Era una vecchia accusa.
Se si deve condannare Ario bisogna trovare un termine non
scritturistico. L'esposizione di Atanasio è verisimile ma è condizionata da
questa esigenza: giustificare la non scritturisticità del termine homoousios.
Ma a noi questo interessa fino ad un certo punto. Ci interesserebbe
riuscire a capire chi ha proposto il termine.

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Chi ha proposto il termine?
Possiamo solo fare ipotesi.
Molti hanno sostenuto l'origine occidentale (Binet) del termine.
GROSSA PANZANA!!!!!! Si basa su una serie di illazioni non dimostrabili. Si
fonda su Dionigi di Alessandria che dice di essere stato accusato di non
accettare homoousios. Non lo accetta perché non è scritturistico e poi lo
accetta nel senso largo. Così si deduce che Dionigi di Roma gli avesse
rimproverato questo. Ma nella lettera di Dionigi non c'è. La lettera che
abbiamo non riporta il termine. Non c'è nessuna prova (cfr. Stead, Divin
substance) che il termine sia occidentale.
Il termine è orientale, è sempre stato trattato in oriente.
La difficoltà è capire chi siano stati i proponenti. Solo sul simbolo e sulla
base del simbolo e delle sue risultanze cercheremo di capire quello che è
realmente successo a Nicea. Sempre sulla base di determinati dati: infatti
notizie concrete noi non le sappiamo.
Ossio? Non ne sapeva molto
Marcello? Eustazio? Il termine è fondamentalmente monarchiano.
Termine ambiguo perché può essere inteso sia nel senso di prima che di
seconda ousia generica (su cui giocò Dionigi di Alessandria). E' di un
monarchianismo moderato, ma comunque di ascendenza monarchiana. Tutti i
tentativi di dimostrare che il termine deriva da Alessandria sono falliti.
La difficoltà deriva dal fatto che il termine dopo CN cade per 30 anni!
Noi abbiamo frammenti di Eustazio, di Marcello , che in quanto monarchiani
(moderato e radicale) sono i più favorevoli ad homoousios, opere successive
a CN: eppure il termine non compare.
A Serdica nel 343 gli occidentali che danno una interpretazione
fortemente monarchiana del simbolo niceno, non usano il termine
homoousios.
Era un termine che nella sua ambiguità non faceva comodo a nessuno.
Una volta che è servito a condannare Ario è stato poi accantonato da tutti. E
noi non abbiamo neanche un nome.
Si è detto Alessandro. Ma il termine non è alessandrino perché i
teologi del Logos non lo accettano (vedi Dionigi di Alessandria).
I monarchiani? Ma la sicurezza non l'abbiamo perché ciò che abbiamo
di Marcello e di Eustazio non testimonia a favore di homoosuios. Eusebio ce
lo poteva dire, perché discute a lungo sul termine, dice che sono stati altri ma
non ci dice chi. Lui certo non è stato. Parla di fatti notori.
Quello che possiamo dire è che l'imput per l'adoperazione del termine
viene da Ario stesso. Poiché Ario ed Eusebio lo scartavano qualcuno avrà
pensato che era l'unico modo per non fargli sottoscrivere la dichiarazione.
Poiché Ario lo rifiutava lo hanno proposto per escludere Ario.
L'ambiguità stessa del termine diventa un fatto positivo perché, dato
che non viene data una interpretazione di homoousios (non viene detto: alla
maniera di Platone o di Aristotele, prima o seconda ousia) ciascuno che
volesse sottoscrivere se lo poteva interpretare come voleva. Qui abbiamo
l'esempio di Dionigi alessandrino che non è d'accordo, essendo un teologo
del Logos, ma gli dà il massimo di genericità (come homogenes e
homophyes). Come lui potevano interpretarlo tutti i rappresentanti della
dottrina del Logos.
Eusebio dice che il termine è proposto dall'imperatore. Ma chi lo ha
proposto a Costantino? Ossio? E a sua volta chi ha convinto Ossio?
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Costantino non sapeva neanche il greco. Ossio ne sapeva poco di teologia
orientale.
Schwarz ha immaginato che il termine sia stato scelto in funzione della
sua ambiguità: poteva essere approvato da tutti tranne che da Ario che lo
aveva rifiutato categoricamente. Ma gli altri con qualche accomodamento
potevano accettarlo.
Così risolse la situazione. Ario si rifiuta di sottoscrivere l'homoousios ed
è condannato.
Quando fu stilato il simbolo niceno, Costantino volle che tutti lo
sottoscrivessero nella parte positiva e nella parte negativa con gli
anatematismi. Dette incarico a Filoumenos, un pezzo grosso della corte, di
controllare la firma di ognuno.
Ario, Secondino e Teona non sottoscrissero e furono deposti e
condannati e mandati in esilio. L'esilio è condanna sociale grossa, precede la
condanna a morte, implica la confisca di tutti i beni.
Furono anche approvati una serie di canoni che non avevano
attinenza col concilio. Approfittarono della riunione per risolvere cause
pendenti.
In un momento che non riusciamo a definire, itinerario molto poco
particolareggiato, in un momento x si inserisce la vicenda personale di
Eusebio di Cesarea che egli ci racconta in una lettera e che per noi è
importante. Si pensa che debba essere stato nella parte iniziale della
discussione, forse anche preliminarmente. Nella lettera Eusebio tacendo la
sua condanna, propone come formula di fede quella della chiesa di
Cesarea, la formula battesimale che dà come tradizionale. Non l'ha stilata lui
ma l'ha ricevuta. E' l'unica professione di fede orientale con sicurezza
anteriore al concilio di Nicea. Le altre di Antiochia e di Mopsuestia sono tutte
successive. Solo quella di Gerusalemme del 340-50 è immune da influssi del
simbolo niceno.
Costantino l'approva e disse a tutti di approvarla inserendoci solo il
termine homoousios. Allora altri, secondo Eusebio, colsero l'occasione di
questa inserzione per metterci anche altre inserzioni.
Questo racconto di Eusebio aveva intrigato gli studiosi del secolo
scorso! Infatti mettendo a confronto il SC e il SN vedono diversità non dovute
solo alle inserzioni. Vi sono altre piccole differenze che non incidono sul
significato. C'è chi pensava che Eusebio raccontasse il falso. Ma una buona
luce è venuta quando è stato pubblicato da Schwarz il resoconto del concilio
di Antiochia di 4 mesi anteriore al CN. Allora venne fuori che Eusebio si è
presentato al CN con una condanna.
Allora si capisce almeno una parte dello svolgimento dei fatti. Eusebio
presenta la formula della fede di Cesarea non per dare un documento che
servisse come base, ma per presentare la sua fede personale. L'imperatore
l'avrebbe approvata. E' una fede anteriore alla dottrina ariana e le sue
affermazioni non dicono nulla né pro né contro Ario. Comunque Eusebio ne
esce completamente scagionato, anche perché firmò.

Ma il simbolo niceno è stato stilato sul SC con un cospicuo numero di


interpolazioni antiariane e corredandolo poi di anatematismi? Oppure il
racconto di Eusebio va scartato? Cioè Eusebio lo ha presentato per essere
scagionato e lo è stato.

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Che attendibilità ha la notizia che il testo del SC è servito da base
per il SN? I pareri degli studiosi sono divisi. Simonetti pensa che qualcosa di
vero deve esserci. Gli antichi prendono come falsariga il SC, che poi
corrispondeva anche ad altri perché questi simboli dovevano essere tutti un
po' largamente simili uno all'altro. Quelli che hanno provveduto a stilare
l'attuale SN, che non sappiamo chi siano, si sono comportati con la massima
libertà su questo testo base.
Eusebio era stato condannato con altri due: Teognide di Nicea e …???
Di questi due non sappiamo. Anche questi sottoscrissero il simbolo
niceno e quindi sono usciti scagionati.
Nel concilio di Antiochia del 341 abbiamo 4 formulazioni di fede, una è
di Teofronio di Tiana che era stato accusato e che presenta la professione di
fede per essere scagionato. Anche qui sembra che sia stata presentata nella
parte iniziale dei lavori. Sembra che la cosa sia avvenuta nei preliminari.
Questo è tutto quello che sappiamo sullo svolgimento del CN.
Sappiamo certo chiaramente la grande cerimonia di chiusura, le lettera
di Costantino, l'annuncio della pace (cosa che non era vero per niente)…La
chiusura avvenne con la stessa pompa con cui era avvenuta l'apertura.
Ario si trovò alla fine davvero solo. Anche Eusebio che lo aveva
sostenuto fino all'ultimo lo lasciò e sottoscrisse (e anche Teognide di Nicea).
Ci fu poi un codicillo a distanza di pochi mesi. Costantino fece deporre
ed esiliare anche Eusebio e Teognide. Improvvisamente e li fece sostituire.
Uno storico ariano, Filostorgio, di cui abbiamo molti frammenti, dice che
Costantino li fece esiliare perché questi ritrattarono. Allora Costantino ha
applicato anche se con ritardo le solite norme. Gli studiosi moderni non ci
credono. Eusebio era raffinato, diplomatico e non può aver fatto una tale
gaffe. Pare piuttosto che Eusebio avrebbe accolto molto amichevolmente dei
presbiteri ariani che si avviavano verso l'esilio che avrebbe provocato l'ira di
Costantino (forse Ario stesso?). Costantino pare avere un risentimento nei
confronti di Eusebio, anche se questi era ammanicato nella famiglia imperiale.
Infatti Eusebio firmò in extremis. Costantino era già un po' indisposto, quando
seppe di questa accoglienza ebbe una reazione violenta e li fece condannare
e sostituire.
Il CN si chiude dunque con al completa sconfitta dell'arianesimo. Ario è
solo, solo con 4 supporter su un concilio con più di 250 persone. Esiliato
nell'Illirico. La questione sembrava completamente chiusa. Ma dopo pochi
mesi tutto venne rimesso in discussione.

13.XII.99

Il simbolo fu destinato ad una fortuna eccezionale. Nella forma


leggermente ampliata del concilio di Costantinopoli del 381 diventa la formula
di fede ufficiale della chiesa cattolica, ortodossa e anche dei protestanti.
Fortuna eccezionale assolutamente immeritata. E' un testo formulato in una
particolare contingenza e che è un testo che per vari rispetti lascia molto a
desiderare e se la controversia ariana invece di finire adesso si è poi
prolungata per altri 60 anni al responsabilità è proprio di questo testo che ha
lasciato tutti scontenti, anche se poi per altri motivi sarà ripreso e attraverso
vicende complicatissime e una interpretazione, quella di Basilio - che forza
fortemente la lettera di questo testo (con una interpretazione radicalmente
opposta a quello che è il senso di questo testo- sarà finalmente recepita.

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Ora ci interessa sapere che cosa il testo in sé ha voluto dire. Poi in
definitiva proprio l'esame di questo testo ci farà capire cosa è successo a
Nicea (di cui invece poco sappiamo dalle notizie storiche). Il senso teologico
di ciò che è avvenuto lo possiamo ricavare solo dall'esame di questo testo.

Il simbolo niceno (SN)


Si divide in due parti
- affermazione positiva di dottrina
- condanna (parte negativa)
Il testo è stato escogitato in funzione antiariana e formulato in modo
tale che se Ario avesse sottoscritto avrebbe ritrattato la sua dottrina e infatti
Ario non la sottoscrisse.
Eusebio di Cesarea presentò il simbolo in uso nella sua chiesa (e
sappiamo anche i motivi per i quali lo presentò). Questo testo lo possediamo
perché è l'unico testo che ci è arrivato quale interpretazione del SN, quella
lettera che Eusebio mandò ai suoi diocesani, contiene il testo di Cesarea, il
testo niceno e l'interpretazione eusebiana del testo niceno. Cfr. Antologia
Simonetti (pag 104 testo di Cesarea). Eusebio dice che è servito come base a
quello di Nicea. Ci sono molte discussioni su questo fatto.
Cioè dalla ousia del P.: rispetto al SC : il Logos di Dio. Se veramente il
SN si è basato sul SC qui abbiamo un punto molto importante. Scompare nel
SN il termine Logos. Dei vari simboli che conosciamo questo di Cesarea è
l'unico simbolo orientale anteriore a Nicea.
Cosa è un simbolo? E la raccolta delle verità credute e professate da
una chiesa. Quando andavano da una chiesa all'altra si portava una lettera di
presentazione di una chiesa. Cfr. Kelly. E' la formula battesimale: compendio
(sumballo) di verità della fede . L'uso è soprattutto uso battesimale. Non è
detto che fosse un simbolo generalizzato. Per esempio non abbiamo nessuna
prova che la chiesa di Alessandria abbia avuto un simbolo battesimale. Con
sicurezza sappiamo solo quello che accadeva nella chiesa di Roma.
Le tre formule: credo nel P, credo nel F credo nello SpS. Questo
avveniva a Roma nel III secolo. Il battesimo avveniva per immersione e non
per aspersione. Corrispondeva a tre immersioni complete nella vasca. La
dimostrazione di fede trinitaria avveniva già all'interno della prassi
battesimale.
Il simbolo battesimale della chiesa di Roma è diverso dal simbolo che si
recita durante la messa. Perché ci sono queste differenze? Il simbolo
battesimale è quello in uso nella chiesa di Roma già a partire dal III secolo,
probabilmente è il simbolo più antico di qualsiasi chiesa. Lo possediamo sia in
greco che in latino. La formula attuale è leggermente alterata rispetto a quella
originale. Era simbolo battesimale ed è rimasto simbolo battesimale perché a
Roma, come ci informa Rufino, il catecumeno prima di essere immerso nella
vasca recitava pubblicamente questa formula. C'erano due professioni
trinitarie durante il battesimo. Prima il catecumeno alla presenza di tutta la
chiesa, nella notte di pasqua (sabato-Domenica) recitava questa formula che
concludeva tutta la preparazione al battesimo. Durante il battesimo, con la
triplice immersione, riaffermava le tre formulazioni, la confessione trinitaria.
Questo simbolo si recita tutt'ora nella prassi battesimale. C'è quindi sia il
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credo (simbolo apostolico, che non ha niente a che vedere con gli apostoli ma
che fosse di origine apostolica è una leggenda già ben attestata nel IV
secolo), sia durante il battesimo la triplice confessione.
Il SN è un simbolo particolare, venuto fuori a seguito di controversie.
Ora studiamo la formula del 325. Altra è quella del 381 che è la stessa,
ampliata, ed è quella che è diventata canonica con al sola aggiunta per gli
occidentali che lo SpS procede dal P e dal F.
Perché questa formula ha avuto questa enorme fortuna? Il simbolo di
Costantinopoli è espressione di un concilio che non avrebbe dovuto avere
grande importanza ma che poi ne ebbe moltissima. Oltre ad approvare la
formula ampliata secondo il testo che conosciamo (della messa attuale)
approvò anche alcuni canoni. Il secondo di questi canoni mette come chiesa
di maggiore dignità dopo l'antica Roma, la chiesa della nuova Roma, cioè
quella di Costantinopoli. Tanto che il vescovo di Roma non voleva
sottoscrivere.
Questa formula ampliata sul momento non ebbe grande fortuna. Nel
concilio di Efeso del 431 (quello cristologico, contro Nestorio) preliminarmente
fu approvato come unica formulazione di fede il Simbolo del 325, non quello
del 381. Tutto questo ha fatto pensare che il simbolo del 381…
Nel concilio di Calcedonia del 451, e di questo abbiamo gli atti, fu letta
prima la formula del 325 e approvata con grande acclamazioni, poi fu letta la
formula del 381 e la massima parte dei padri conciliari restarono perplessi
perché neanche la conoscevano. I preposti ai lavori dovettero spiegare che si
trattava della formula approvata dai 150 padri a Costantinopoli nel 381.
Perché il concilio di Calcedonia ha innovato rispetto al concilio di Efeso?
Perché ha aggiunto al formula del 381 che in fondo è solo la formula ampliata
della 325? L'ha aggiunta in funzione di quel secondo canone. A Calcedonia il
canone 21 riafferma il primato in oriente così come la chiesa di Roma lo ha in
occidente. Leone magno, allora papa di Roma, si rifiutò di sottoscrivere
questo canone. Per questo motivo, perché legato al secondo canone, la
formula del 381 è diventata la formula di fede della chiesa orientale. Poiché
dopo al riconquista bizantina, per alcuni secoli Roma fu di nuovo sotto
l'impero di Costantinopoli, in questo periodo Costantinopoli fece pressione su
Roma perché anche Roma accettasse la formula di fede del 381. Sappiamo
che Roma inizialmente rifiutò di accettare. Il papa dice che non vede motivo
per cambiare la formula tradizionale battesimale con questa imposta
dall'oriente. Ad un certo punto vediamo che questa formula è introdotta. Non
sappiamo in quale occasione, ma ad un certo punto Costantinopoli riuscì ad
imporre a Roma questa formula, che è stata inserita nella messa e che è
diventata formula di fede ufficiale. Questa è tutta la vicenda.
Eusebio dice che il testo di Cesarea è servito come base. La cosa non
è accettata da tutti. Simonetti è portato a crederci ma non ci metterebbe la
mano sul fuoco. Altri lo negano.
Se è vero quello che dice Eusebio qui ci troviamo di fronte ad una
omissione molto forte. Di tutte le formule di fede che conosciamo, che
potevano essere leggermente diverse di chiesa in chiesa, tenendo presente
che le chiese erano indipendenti l'una dall'altra, lo schema è lo stesso. Di tutte
le formule che conosciamo questa è l'unica in cui c'è il termine Logos. E'
ovvio perché sia stata inserita: tenendo presente lo scontro tra i teologi del
Logos e i monarchiani, quando a Cesarea si è definitivamente affermata sulla
traccia di Origene la dottrina del logos, questi hanno voluto sanzionare nella

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formula di fede la loro vittoria e lo hanno inserito qui. Se questo è servito
come base però l'omissione è importantissima. Se è vero quello che dice
Eusebio che "alcuni" (ignoti a noi) che per incarico del concilio hanno stilato al
formula, se veramente avevano sotto gli occhi la formula di Cesarea perché
hanno levato Logos? Non è un termine da poco. Omissione che ha un forte
carattere ideologico. Non si può neanche accusare dell'accusa fatta ad
homoousios, che sarebbe termine non scritturistico . Se è vero, tutto dipende
da questo se, ma se è vero quello che dice Eusebio cominciamo a capire
cosa sia successo a CN.
Generato da P unigenito: cioè dalla ousia del P. Ci troviamo di fronte
ad una aggiunta tipicamente antiariana. Ario non può accettare questa
affermazione. Basta ricordare il secondo testo di Ario indirizzato ad
Alessandro di Alessandria quando lui se la prende con chi divide la monade
ecc…Sulla tradizione di Origene ammettere la generazione del F dalla ousia,
cioè dalla essenza individuale del p, significa agli occhi platonici di un
alessandrino che la monade divina si divide in due parti. Origene lo dice
chiaramente in un passo del In Joh. Del resto però abbiamo un frammento di
Teognosto (fine del III inizi IV secolo, un caposcuola) in cui si parla di
generazione del F dalla ousia del P: quindi questo concetto comincia ad
acclimatarsi anche ad alessandria. Nella lettera di Alessandro di Alessandria
ad A. di Tessalonica, questa formula non c'è. Quando leggeremo la lettera di
Eusebio su questo punto già cominceranno a sorgere contrasti. Si vedeva il
pericolo di presentare la generazione divina nei termini della generazione
materiale.
Dio da Dio: formula che anche Ario poteva accettare. Ario non negava
la divinità del Logos. La considerava una divinità di secondo ordine.
Luce da luce: formula già tradizionale, si trova per la prima volta nel
Contro Noeto di Ippolito. Formula anodina che non dice nulla dal punto di
vista della problematica in discussione.
Dio vero da Dio vero: sostituisce vita da vita. Qui la cosa per Ario
comincia a cambiare. Perché per Ario il Dio vero era soltanto il P. Nella prima
lettera dice pleres theos (che Opitz addirittura ha corretto perché Ario non
poteva definire il F pienamente Dio e a maggior ragione non poteva definirlo
Dio vero). Insomma l'aggiunta è antiariana.
Generato non creato: poi abbiamo tutte le precisazioni: genententa ouk
poietenta. Ario diceva che il F era poiema anche se non come tutti i poiemata.
Voluta ambiguità per cui il F è generato/fatto: identificano i due termini. Per
Ario che il Logos è stato generato dal P vuol dire che è stato creato dal P
direttamente mentre tutti gli altri esseri sono stati creati dal P attraverso
l'opera del Logos. I due termini vengono contrapposti nettamente contro la
tendenza di Ario ad unificare i due termini in modo ambiguo.
Consustanziale col P: abbiamo già discusso. Non sappiamo chi lo ha
imposto, e che Ario non può accettare questo termine. Simonetti ritiene che il
termine sia nato in Egitto negli ambienti che rifiutavano la dottrina delle tre
ipostasi sulla base dell'episodio di Dionigi di Alessandria. Termine non di
ascendenza della dottrina del Logos. Simonetta nega recisamente che sia di
origine romana, come recentemente sostengono Binet e altri.
Il resto della parte positiva non dice nulla di particolare.
E il suo regno non avrà fine manca qui. Sarà introdotta contro Marcello
di Ancira per il quale il regno del Logos avrebbe avuto fine al termine della
vicenda della creazione. Entrerà dal 341 in poi (concilio di Antiochia).

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Crediamo nello SpS: per ora lo SpS è totalmente fuori l'interesse della
discussione che è tipicamente binaria. Anche se sia la dottrina del Logos sia
quella dei sabelliani si è allargata in senso trinitario, Ario aveva parlato
soprattutto del F e l'interesse era sul rapporto tra Cristo e Dio. Dello SpS non
si parla ancora. Se ne parlerà a partire dal 359-60 e allora diventerà
importantissimo, ma prima di allora la terza ipostasi trinitaria non incide sulla
discussione.

Le formule negative

C'è stato un tempo in cui non esisteva… non esisteva prima di essere
generato: frasi che compendiavano la dottrina ariana.
Ex ouk onton egeneto: creato dal nulla
Ovvero deriva da altra ipostasi o ousia:
Poi condanna quelli che dicono che il F è stato creato, soggetto a
mutamento e a mutazione.
Ma qui abbiamo un punto assolutamente fondamentale. Nuovo rispetto
a ciò che abbiamo visto finora ed è quello che determina meglio il significato
di tutto. L'espressione una ipostasi ovvero ousia. Si condanna colui che
afferma che il F deriva da altra ipostasi o ousia che non sia quella del padre.
Di per sé il concetto apparentemente non dice nulla di nuovo rispetto a cioè
dalla ousia del padre. Di per sé c'è solo la negazione di un concetto
positivamente espresso nella prima parte. Prima c'è la presentazione positiva,
poi la stessa dottrina viene presentata negativamente. Viene condannato colui
che la nega. Così non sembra esserci nulla di nuovo.
Ma invece questa espressione è molto importante. Introduce per la
prima volta il termine hypostasis. C'è una differenza sottile tra ousia e
hypostasis: ipostasi ha solo un significato (essenza individuale) mentre ousia
ha una doppia possibilità (essenza individuale e qui coincide con ipostasi,
oppure seconda ousia = generale, l'essenza comune a tutti gli esseri di uno
stesso genere e di una stessa specie). Di per sé l'espressione non
scandalizza perché si dice che è condannato chi afferma che il F è stato
generato da un'altra ousia, diversa da quella del P. Il termine ousia è
adoperato in senso primo (ousia del P). La formulazione è ancora ambigua.
Atanasio la interpreterà in senso molto diverso. Nel senso una essenza prima,
individuale, corrisponde ad ipostasi. La formula non offre nulla che potesse
scandalizzare.
Ma Basilio ci mette circa 10 anni per superare questa formula. Questa
formula infatti sconcerta una serie di vescovi che non sono ariani. La formula
di per sé non è monarchiana ma lo diventa se si mette in rapporto con
homoousios. Prima si è detto che il F è homoousios col P. Il termine è
intrinsecamente equivoco, perché ousia può essere inteso in senso generico
e individuale. Di per sé anche se il termine è di origine monarchiana, un
teologo del Logos lo poteva accettare. Per esempio Dionigi aveva detto che
rifiuta il termine perché non scritturistico. Del resto pro bon pacis lo accetta
ma lo interpreta come homofues e homogenes, cioè con la massima
genericità possibile. Dionigi che era un retore molto raffinato, gioca sul doppio
significato di homoousios. I monarchiani lo volevano in senso di ousia
individuale, ma Dionigi lo accetta come homogenes, che significa dello stesso

55
genere. Ha un significato molto ampio. Dionigi si trae d'impaccio spostando
l'ousia di homoousios da individuale a generica.
Una volta che Costantino ha imposto l'homoousios i teologi del logos,
che inoltre erano in maggioranza, di fronte al diktat di Costantino hanno
dovuto accettare, facendo lo stesso ragionamento di Dionigi.
La difficoltà nasce dal collegamento. Dalla seconda frase: da altra
ousia o ipostasi, si ricava che ousia ha lo stesso significato di ipostasi,
cioè ousia individuale e allora se qui si parla di ousia individuale si è
autorizzati a pensare che anche homoousios ha il significato di ousia
individuale. Tutto è ambiguo. Un teologo del Logos sottoscrive il SN, per non
essere condannato. Forzando la sua coscienza poteva firmarlo. Ma è chiaro
che l'interpretazione immediata di questo simbolo è diversa: si deve
interpretare l'ousia dell'homoousios sulla base della uguaglianza della ousia
con ipostasi dell'anatematismo. Ma allora l' ousia diventa una ousia
individuale. E allora se si dice che il F partecipa della stessa ousia individuale
del P affermo una sola ousia individuale dell'uno e dell'altro . Questo vuol dire
affermare una sola ipostasi dell'uno e dell'altro . Se ne deduce una
affermazione monarchiana [splendido!!]. (come disse DionigiA a DR: se
tolgo le ipostasi tolgo la Trinità). Ma sulle tre ipostasi non si può recedere!!!
Se ne trae la conclusione che il SN è di impostazione monarchiana.

Perché Basilio, che risolverà tutta la controversia con la formula di


compromesso del 481 (una ousia tre ipostasi) si è trovato in difficoltà? Era
questo il punto. Basilio parte dalla dottrina delle tre ipostasi e poi si trova con
l'affermazione di homoousios: una formula di fede che ormai è generalizzata,
che è diventata la formula di fede antiariana e allora si chiede come poter
conciliare la dottrina delle tre ipostasi con questo punto?
Lo supera solo dopo anni di riflessione nella lettera 125 in un modo del
tutto surrettizio: poiché i padri hanno parlato di due termini, vuol dire che
hanno considerato l'ousia diversa dall'ipostasi (che è esattamente il contrario
dell'intenzione dl SN). E' chiaro che non sfuggiva minimamente a Basilio il
sofisma di questo ragionamento, ma gli era indispensabile, perché altrimenti
le cose non quadravano. Arrivato a questo punto tira fuori la formula una
ousia generica e tre ipostasi individuali e ha risolto la questione.
La difficoltà non è finta ma reale. Un partigiano della dottrina delle tre
ipostasi, e a CN erano la maggioranza, si trovava in reale difficoltà. Tutto era
formulato in modo che con una serie di forzature alla propria coscienza si
poteva firmare. Schwarz dice che la formula era volutamente ambigua così
che tutti la potessero sottoscrivere. Simonetti non pensa che si sia arrivati fino
a queste sottigliezze, ma indubbiamente dai contrasti e patteggiamenti è
venuta fuori questa formula così scombinata che non rifletteva assolutamente
la dottrina della maggioranza. La formula di N condanna Ario (che coerente
infatti non la sottoscrive) ma non rispecchia l'impostazione teologica della
maggioranza del concilio. E' una formula che non solo non la potevano
accettare gli origeniani radicali, ma neanche quelli moderati, che erano nella
maggioranza, soprattutto se considerati insieme con gli origeniani radicali. Per
questo la formula stessa è quella che ha innescato tutta la controversia
successiva. Tutto quello che succede dopo non sarebbe successo se gli
avversari del SN non si fossero potuti fondare su questo punto. Questo testo
forza sicuramente le convinzioni dottrinali della maggioranza dei 250 padri
conciliari. Si pongono le basi per la successiva reazione che non è una

56
reazione (già nel 326 la reazione è in pieno sviluppo) filoariana ma
antinicena che non è lo stesso! Atanasio riuscirà in occidente a far coincidere
le due cose, ma in oriente non è così: c'è un grosso concentramento
episcopale di centro che non si riconosce né in Ario né nel simbolo niceno.
Ecco perché gli orientali cercheranno una formula più soddisfacente, per
cercare di tenersi in un binario equidistante. E qui verrà fuori Eusebio di
Cesarea, che è il teologo più sperimentato di allora.

Possiamo cercare ora di capire quello che è successo a Nicea. Capire


il senso dottrinale di quello che è successo a Nicea.
Ci sono varie posizioni dottrinali: Ario, Eusebio, Alessandro, Eustazio e
Marcello. Ma forse ve ne erano molti altri (Filogonio Ellanico che diceva che il
F era erygè, probolè…) di cui non sappiamo nulla. Possiamo identificare 5
correnti per la documentazione che ci è rimasta. In oriente si polemizzava da
un secolo e mezzo, in tempi in cui la discussione era completamente libera e
quindi chissà quante posizioni e opinioni vi erano.
In realtà si tratta di due grandi filoni: teologi del Logos e monarchiani.
Gli studiosi tedeschi della fine dell1800 hanno tirato fuori la
collocazione di Ario alla sinistra (essendo loro antisocialisti!).
Lo schieramento dei cinque ha due tendenze teologiche:
Ario-Euseio-Alessandro: teologi del logos
Eustazio-Marcello: monarchianismo

Ma al CN ci troviamo con una formula fondamentalmente monarchiana.


Allora cosa è successo al CN? Alessandro si è accorto che Ario era più forte
di quanto pensasse. Così è avvenuta la collusione tra Alessandro e i
monarchiani

Ario- Eusebio Alessandro-Eustazio-Marcello

Alessandro ha dovuto sicuramente forzare la sua fides nella dottrina


del Logos. Lo ha fatto perché l'obiettivo primario per lui era la condanna di
Ario (come Parigi val bene una messa così Ario val bene un homoousios!!!!). I
monarchiani colgono l'occasione e si inseriscono nella discordia del partito
contrario e in sede di formulazione vanno molto al di là della semplice
condanna di Ario. Eustazio e Marcello sono agli antipodi di Ario ma in
generale rifiutano tutta l'impostazione della dottrina del logos e tutta la
tradizione culturale della tradizione alessandrina. Eustazio nell' opera sulla
pitonessa fa una critica a tutta l'esegesi origeniana. Non accetta
l'interpretazione di Origene sulla pitonessa ma in generale i principi
dell'esegesi origeniana che è l'esegesi alessandrina. In un frammento
superstite di Marcello di Ancira, attacca Origene per il suo platonismo. Quindi
Alessandro è molto meno lontano da Ario che non da Marcello ed Eustazio.
Con Ario c'è un fondamento comune, c'è una discrepanza su particolari anche
importanti ma c'è una impostazione culturale comune, mentre dall'altra parte
non solo c'è una impostazione diversa ma una impostazione che rifiuta tutta la
cultura origeniana alessandrina, a cominciare dal platonismo che è il
fondamento di questa impostazione. Alla luce di questi principi i monarchiani
colgono l'occasione non solo per andare contro Ario ma contro tutta la dottrina
delle tre ipostasi. Cercano di recuperare terreno sfruttando le divisioni degli
avversari che sono più forti ma divisi. Allora il loro numero minoritario diventa

57
essenziale per formare una maggioranza sicura contro Ario. Alessandro non
poteva non capire la situazione, ma deve accettare pur di arrivare alla
condanna di Ario. La lotta politica scende nel contrasto forte non si guarda più
alla teoria ma al fatto pratico che era la condanna di Ario. Il partito dei
monarchiani dà forza ad Alessandro ma gli chiede poi mano libera per la
stesura del simbolo niceno.
Non ci sono affermazioni monarchiane radicali (già c'era molta maretta)
ma in questa formula ambigua abbiamo una formula di fede che è
fondamentalmente monarchiana perché homoousios è sicuramente di origine
monarchiana se poi perché il collegamento tra l'homoousios della prima parte
e l'equivalenza di ousia hypostasis della seconda dà l'interpretazione di
homoousios in senso monarchiano.
L'interpretazione monarchiana stretta deriva dal collegamento delle due
formule. Ma se uno le interpretava nel proprio contesto non collegate, di per
sé ci si poteva aggiustare. Un monarchiano invece collegava e interpretava in
modo monarchiano. Il testo lascia la scappatoia perché tutti lo possano
sottoscrivere (perché lo debbono sottoscrivere!!). In concili successivi si potrà
sottoscrivere juxta modum mentre qui no.
Così capiamo come è stato possibile che Costantino cambi tutto. E' lui
che determina tutto ormai (grande cambiamento di prospettiva). Se Eustazio è
stato condannato nel 326 è perché Costantino ha autorizzato tale condanna.
Gli antichi hanno interpretato dando la colpa alle donne che stanno attorno a
Costantino [eh, 'ste donne!!]
Elena, la madre, sembra avesse grande venerazione per Luciano di
Antiochia, martire e grande ispiratore della dottrina di Ario.
Costanza, la sorella che poveretta Costantino fa prima sposare con
Licinio, poi gli ammazza il marito e così le doveva dei compensi. Costanza
pare tendesse verso Eusebio di Nicomedia o un prete ariano che questa,
morente, avrebbe raccomandato al fratello …insomma un sacco di intrugli …
che magari avranno pure avuto un minimo di fondamento e un certo ruolo.
Certo sicuramente pesava l'eredità di Luciano di Antiochia. Martire
molto importante e venerato ad Antiochia e gli ariani si sono fatti forti anche di
questi.
Ovviamente tutto questo non spiega la situazione [Insomma vabbè che
"chi dice donna dice dànno" peròòòò……..!!!].
Costantino ha capito di essersi troppo sbilanciato a CN. Lo ha fatto
per risolvere il problema di Ario, ma quando vede che i vescovi ricominciano a
litigare (mentre lui voleva ristabilire la pace religiosa) Eustazio ed Eusebio (di
questa polemica non ci è rimasto nulla) allora ne toglie di mezzo uno. Ad
Antiochia Eustazio ha da fare perché c'è la tradizione di Luciano. Lì gli ariani
avevano un minimo di base. Ad un certo punto Costantino capisce che la
formula in oriente scontentava tanti e pur mantenendola, permette questa
reazione che colpisce determinati personaggi chiave e favorisce un
concentramento al centro: favoriscono un concentramento di centro
escludendo le frange radicali da una parte e dall'altra. Questo è il senso di
questa reazione che per secoli è stata presentata come una reazione
filorariana antiatanasiana. Si metteranno sempre in evidenza i 5 esillii di
Atanasio. Non si ricorda che Eunomio, il capo degli ariani radicali della terza
generazione, in esilio ci andò 7 volte!! Si colpivano gli estremismi da tutte e
due le parti.

58
La formula di Nicea è troppo sbilanciata verso destra e lascia scontenti
la maggior parte degli orientali.
Se non ci fosse stato questo consenso antiniceno difficilmente i
provvedimenti disciplinari contro Eustazio e Asclepa di Gaza, Atanasio
Marcello Lucio di Adrianopoli ecc. che saranno travolti dalla reazione
antinicena, si sarebbero potuti svolgere. Ma affondavano su un terreno
favorevole. Determinati personaggi che a CN erano emersi a favore del SN,
sono considerati pericolosi in oriente e quindi non è male liberarsene. Questo
in soldoni il senso della reazione successiva al CN. La formula per altri motivi
verrà ripresa, ma in modo solo politico tanto che poi ci vorrà tutta la perizia di
un Basilio magno che con Ilario è una delle teste più forti del partito
antiariano, per superare il significato monarchiano e farla quadrare con la
dottrina delle tre ipostasi. Perché questa formula resta la stessa, ma fu
approvato un chiarimento dogmatico in cui si imponeva l'interpretazione
basiliana una ousia tre ipostasi, formula che diventa caratteristica
dell'ortodossia orientale in senso trinitario. Si arriva ad una interpretazione
che qui è totalmente esclusa nel 325. La formula del 325 verrà approvata nel
381 secondo una interpretazione che con quella del 325 non ha nulla a che
vedere. Interpretazione diversa.
Per questo la formula per 30 anni scompare: non faceva comodo a
nessuno, neanche a chi l'ha imposto. Homoousios non fa comodo a nessuno
serviva solo per condannare Ario.

10.I.2000

Con la condanna di Ario e l'approvazione del SN imposta da Costantino,


sembrava si fosse arrivati ad una soluzione della questione. Il concilio oltre ad
approvare la formula di fede approvò anche un complesso di canoni
straordinari che non avevano nulla a che fare con la controversia ariana. Ma
dato che era la prima volta che si trovavano riuniti una quantità di vescovi
provenienti da tutta la cristianità (prima si erano avuti solo concili locali, di
varie regioni), si colse l'occasione per dirimere una serie di questioni come la
data della pasqua (sempre controversa), lo scisma meliziano (disciplinare). Le
misure furono a favore di Alessandro, della chiesa ufficiale, ma molto
equilibrate: fu data larga possibilità a questi meliziani di rientrare nella
comunità cattolica (anche perché lo scisma era molto ampio e diffuso). Alcuni
canoni si occupano della litigiosità delle singole sedi episcopali. In occasione
della controversia ariana si erano avuti dei piccoli concili fuori d'Egitto che
avevano invitato Alessandro a riammettere Ario nella comunità. Erano cioè
ingerenze di vescovi di altre sedi in questioni che riguardavano la chiesa di
Alessandria e la chiesa di Egitto. Questo viene ora proibito come anche il
trasferimento di un vescovo da una sede all'altra. Non ci fu norma della chiesa
antica prevaricata tante volte come questa, come se non esistesse.
La norma della non trasferibilità di un vescovo ci interessa anche per il
prosieguo della controversia. In oriente infatti ci saranno in continuazione
trasferimenti di vescovi da una sede all'altra.
La controversia sembrava esaurita e in realtà nel giro di soli pochi mesi dopo
la chiusura del concilio comincia una reazione che sarebbe eccessivo
definire ariana o filo ariana, ma potremmo definire antinicena.

59
Il senso di ciò che è avvenuto realmente a Nicea fu l'alleanza degli origeniani
moderati (Alessandro) con i monarchiani (Marcello, Eustazio). Il
concentramento di questi due gruppi che avevano ben poco in comune ha
portato all'isolamento del gruppo che si riconosceva in Ario e Eusebio di
Nicomedia. Lo scotto da pagare da parte di Alessandro fu piuttosto forte come
si vede dal Simbolo che ha un fondamento monarchiano: homoousios e
l'identificazione di ousia e hypostasis parlano chiaro. Tanto che i vescovi in
gran parte erano riluttanti. L'affermazione che Costantino impose e mandò
Filoumenos a controllare le segnature ha appunto il senso che sapevano che
molti vescovi firmavano perché non essendo degli eroi non volevano fare
sacrifici personali, ma erano tutt'altro che soddisfatti.
Questa atmosfera favorisce la reazione. La reazione come vedremo prenderà
delle linee tutte particolari a causa di problemi di carattere personale ecc…,
ma possiamo ragionevolmente ipotizzare che questa reazione ha avuto
successo perché si radicava in una scontentezza di larga parte
dell'episcopato orientale per i risultati di CN. In parole povere: è vero che
molta parte dell'episcopato orientale non si riconosceva in Ario ma non si
riconosceva nemmeno nel SN. Ci troviamo di fronte a due estremismi: da una
parte il subordinazionismo di Ario, dall'altra l'impostazione monarchiana del
simbolo di Nicea. Il grosso dell'episcopato orientale si collocava in posizione
intermedia. Chi aveva rappresentato meglio gli umori dell'episcopato orientale
è Eusebio di Cesarea, tanto che quando si arriverà ad una linea alternativa
dottrinale sarà proposta in oriente la linea eusebiana.

Lettera di Eusebio di Cesarea ai suoi diocesani


Lettera largamente insoddisfacente perché non fornisce notizie
storiche, ma è l'unico documento dottrinale scritto a ridosso del CN e che dà
una interpretazione del CN. La lettera non vuole avere nessun significato di
carattere storico. Eusebio si presenta a CN con una condanna che gli era
stata inflitta dal concilio di Antiochia di pochi mesi prima. E. cerca
esclusivamente a salvaguardare se stesso e per farlo butta a mare Ario. A
Cesarea Eusebio però doveva aver parlato in termini ben lontani da quelli del
SN, quindi sente l'esigenza di giustificarsi del suo cambiamento di
atteggiamento (condanna di Ario e sottoscrizione del SN che contrasta con le
sue opinioni).
Lettera che presenta i fatti in un certo senso, ne presenta alcuni e non
altri. Non fa nomi.

Incipit
E. mette le mani avanti. Ricorda l'episodio che non sappiamo dove
collocare (forse all'inizio). La presentazione del Simbolo della chiesa di
Cesarea di Palestina. Fino al § 5 è il S, poi formule aggiunte.
§ 7, pag. 107: … aggiungendo soltanto il termine consustanziale, con
interpretazione di Costantino: si dica che il F è consustanziale non secondo
quanto accade ai corpi…né per divisione né per scissione…
Secondo Simonetti questo dovrebbe essere avvenuto nella fase
iniziale: preliminarmente E. dice di avere una questione particolare e di
essersi trovato in difficoltà, voglio chiarire la mia posizione e presenta la sua
formula. Costantino approva e avrebbe detto di inserire homousios e di farla
valere come formula per tutti.
60
Ario non poteva accettare homoousios perché dava l'idea di una
sostanza divina che si divideva in due parti. Homoousios non vuol dire che il F
è nato per scissione, divisione, separazione della sostanza. Si tratta di entità
immateriali e incorporee e la derivazione dell'una dall'altra non implica
modificazione o diminuzione nell'entità che ha generato. Questa
interpretazione sarebbe stata fornita da Costantino (ma chi lo ha
addottorato?). Costantino non parlava il greco [allora non bisogna credere ad
Eusebio in Vit Const 3,13 = Grillmeier 501 " parlò in greco, perché lo
conosceva…"?]
essi invece: ma chi sono????? Perché non ce lo dice?????? Tutt'ora si
discute su chi sia stato a far imporre l'homoousios. Eusebio non lo dice
perché non vuole suscitare polemiche. Si trincera dietro questo generico oi dè
senza spiegare. Non ne ha mai parlato prima. Ma oi dè rimanda a qualcuno
nominato prima, mentre E. non ha nominato nessuno. Questa piccola
sgrammaticatura è indice del fatto che E. vuole volutamente tacere i nomi.
Riporta il SN.
E. riferisce di un dibattito solo qui. Ma dobbiamo pensare che E. ha
fatto una prolessi (ha messo sopra ciò che era l'esito di questi discorsi).
Il SC non è prettamente uguale al SN anche senza tener conto delle
inserzioni.
Ma E. non può essersi inventato tutto, anche se è difficile capire cosa
sia effettivamente successo. Probabilmente è stata una ripresa libera. Se
venisse da un altro simbolo, allora da quale? Non si può sostituire con nulla.
Meglio dunque credere ad Eusebio, al suo dato preciso piuttosto che
sostituirvi l'ipotesi di un simbolo di una generica città.
Comunque ciò che ci interessa è che quando è stata proposta, questa
formula pare sia stata discussa. Le inserzioni infatti non erano gradite a buona
parte dei presenti. Gli estensori della formula avevano già avuto il consenso di
Costantino o le formule non sarebbero passate. Chi ha convinto Costantino
(Ossio, Eustazio? certamente uno dei vescovi filomonarchiani).
Il chiarimento: quanto a dalla sostanza del P…indicava il derivare dal P
ma non esistere come parte del P (preoccupazione materialista).
Il testo è evidente: E. dice che è stato costretto ad accettare per
esigenza di pace.
Spiega l'espressione generato non fatto e qui la spiegazione non è
forzata. Egli ha sempre parlato anche nella Demonstratio della generazione
per indicare la derivazione del F dal P. Non usa l'espressione generato dalla
sostanza del P, ma l'altra sì, anzi è la sua. Il fatto che questa generazione sia
inconcepibile e inesprimibile in E. è un concetto fondamentale
[approfondire=arrheton!] che ha sempre detto che bisogna cercare di non
allontanarsi dalle espressioni di tipo scritturistico preferendo non concludere
piuttosto che aggiungere troppo rispetto a quello che si legge nella Scrittura.
Costantino dunque ha imposto il consustanziale, ma la formula è stata
discussa pezzo per pezzo. La spiegazione che deve essere data viene dagli
oi dè. Il F è consustanziale non come parte del P. Consustanziale al P
significa che il F di Dio non ha alcuna somiglianza con le creature create
invece è simile in tutto al P. Il F è simile in tutto: formula che E. aveva già
adoperato prima.
Quando la polemica riprenderà si accentrerà proprio sul concetto di
simile e dissimile. Qui è la prima volta che in un testo legato alla controversia

61
compare questo concetto di somiglianza. Questa somiglianza è data in forma
molto radicale.
Kata panta: in ogni modo, in tutto.

E. ribadisce l'intervento diretto dell'imperatore per far capire anche che


egli è stato costretto ad accettare. L'imperatore autò in persona interpreta. Qui
sembra un po' troppo pensare che sia tutto inventato. Forse Costantino ha
letto o fatto leggere come sua una spiegazione scritta preparata in anticipo
dagli oi che lo avevano convinto.
La cosa più importante è la documentazione proposta. Qualcuno ha
detto che il termine homoousios era stato già adoperato. Qui ci troviamo nel
buio: l'unico passo che possiamo addurre a nostra conoscenza è Dionigi.
Persino ad Alessandria c'è un vescovo che ha accettato homoousios, anche
se obtorto collo. L'altro esempio però tira in senso opposto: Paolo di
Samosata sarebbe stato condannato perché affermava che il Logos è
homoousios col P. Altri esempi? La nostra conoscenza della letteratura è
scarsa. Ma c'è un dato che inclina Simonetti a dire che difficilmente anche loro
sono andati oltre quanto possiamo andare noi. Infatti quando Atanasio nel 355
ca. rilancia l'homoousios con l'opera De decretis nicaenae sinodi, si
preoccupa di fornire una documentazione e dice che homoousios era già
stato adoperato, ma porta un solo esempio, quello di Dionigi. Altri due passi
secondo lui sono importanti a favore di questo termine, ma in realtà il termine
non compare, secondo lui ci sarebbe il concetto. Ma a noi interesserebbe il
termine.
Se Atanasio, che avrà sguinzagliato chissà quanti monaci e quelli del
suo apparato (più o meno poliziesco) di enorme capacità, non è riuscito a
trovare un altro esempio di homoousios oltre quello di Dionigi, è difficile che
un altro esempio ci sia stato. Probabilmente è stato portato l'esempio di
Dionigi anche al CN.
Tutto quello che è stato approvato è stato dunque tutto esaminato. E.
batte sempre di nuovo sulla presenza dell'imperatore per far capire che tutti
sono stati costretti ad accettare.
Nell'anatematismo Eusebio trova una frase che non può assolutamente
condividere ed è l'equiparazione tra ousia e hypostasis.
Esiste prima di nascere secondo la carne: su questo punto E. aveva
affermato invece la posteriorità del F rispetto al P.
E' completamente omessa la condanna per chi dice che il F è generato
da altra ipostasi o ousia che non sia quella del P. Questa che E. non poteva
accettare, l'ha taciuta completamente. Parla solo delle formule che non aveva
difficoltà ad accettare (creato dal nulla e c'è stato un tempo in cui il F non
esisteva, che è più forte della sua concezione di posteriorità del F).
Quello che risulta sconcertante è la spiegazione successiva: lo stesso
imperatore avrebbe chiarito che il figlio prima di essere stato generato in atto
esisteva in potenza. Idea di relazione che Ario rifiutava. Chi aveva parlato di
questi due termini: in atto e in potenza?
Riporta alla distinzione tra Logos endiathetos e Logos prophorikos,
distinzione che ci riporta indietro di due secoli. Origene l'aveva confutata,
quando aveva parlato della generazione eterna e continua (cfr. De princ
I,4,3). Era stato Marcello di Ancira ad aver distinto in terminologia aristotelica
(en dunamei - en energeia). Cfr. framm. 52: esisteva in potenza … in atto. E'

62
l'unico elemento che abbiamo per concludere che la spiegazione in definitiva
sarebbe venuta da Marcello di Ancira.
Sulla base delle nostre conoscenze (parziali) [mira la prudencia!!!] e
della nostra documentazione, l'unico in cui è attestata una distinzione tra atto
e potenza e che potrebbe [mira el condicional!] forse [mira los averbios!!] aver
ispirato questa spiegazione è Marcello di Ancira. Se avessimo altri dati forse il
panorama sarebbe molto diverso. Marcello rappresenta per noi l'ala
monarchiana radicale, ancora più radicale di Eustazio. Infatti in seguito
diventerà lo spauracchio di tutti gli orientali. Sarà sempre in contrapposizione
ad Ario. Gli occidentali avranno come spauracchio Ario e gli orientali Marcello
(i due poli opposti all'interno dei quali si deve trovare una formula
soddisfacente).

Conclusione
E. si è dunque espresso in modo abbastanza chiaro per dire che in
questa formula vi erano varie cose che a lui non piacevano ma l'ha dovuta
sottoscrivere, sia per comodo suo (la condanna che aveva alle spalle), sia per
la presenza dell'imperatore. Testo in definitiva abile perché mentre giustifica
se stesso mette bene in evidenza una serie di fatti. Sembra che il suo
cambiamento di posizione è stato anche sofferto da lui.
Si tratta di una lettera pubblica, che probabilmente sarebbe arrivata a
Costantino, il quale aveva molto intuito politico e capiva che E. stava dicendo
che aveva firmato perché costretto. L'importanza di questa lettera sta proprio
nel fatto che è un documento pubblico ed E. non ha una posizione personale:
c'è un cospicuo gruppo di vescovi che si riconosceva in E. Perfino Alessandro
non poteva non riconoscersi in questa lettera che ha come sottofondo
dottrinale la comune tradizione origeniana (maggioritaria a livello episcopale).
Per comprendere tutta la controversia ariana bisogna capire che la condanna
di Ario ha implicato uno spostamento radicale dall'altra parte (SN). Per evitare
un estremismo è stato accettato un altro estremismo. Ecco perché questa
reazione non va chiamata filoariana ma antinicena. Questa maggioranza
non si riconosce né in Ario né nel SN.
Perché Costantino ha accettato tutto questo? Questo sarebbe
importantissimo da capire. La nostra vera lacuna è sapere chi siano gli oi dè.
I lettori della lettera erano in grado di capire perfettamente chi fossero, perché
le notizie correvano anzitutto oralmente. Anzi Eusebio decide di scrivere la
lettera proprio perché circolasse. Fortunatamente proprio perché essa ha
circolato è arrivata fino a noi. La posizione di Eusebio è importante perché E.
fa capire a chi vuole capire che l'imperatore è stato ingannato, persuaso
malamente. Chi ignorava in oriente che Costantino non ne capiva nulla di
teologia? Gli orientali in generale pensavano che tutti gli occidentali non
capissero nulla, figuriamoci Costantino che era un militare. Una persona di
una certa levatura si faceva l'idea che Costantino fosse stato convinto dagli oi
dè e che la responsabilità ricade su questi: coloro che hanno imposto una
formula non condivisibile. Noi possiamo pensare a Eustazio, Marcello, Ossio,
ma i vescovi erano tanti e noi più di questo non possiamo dire.

Questo documento non rappresenta solo E. ma una folta schiera di


partecipanti al CN. E. sa perfettamente di interpretare una corrente di
opinione notevole. Colui che deve scartare di più non è E. ma Alessandro.

63
E' stato Alessandro ad aver dovuto fare un passo grosso contro la
tradizione alessandrina che ne esce divisa.
Dopo la morte di Costantino si avrà una reazione di tipo
esclusivamente politico, non una messa in questione del testo tanto
combattuto. Nessuno ne parla perché Costantino lo aveva imposto e nessuno
poteva azzardarsi a metterlo in discussione. La cosa che stupisce di questa
reazione è il cambiamento di opinioni di Costantino: ha prima imposto una
formula di tipo monarchiano per condannare Ario ma poi subito dopo approva
tanti episodi che portano alla messa fuori gioco dei principali esponenti i quali
vengono tutti condannati, deposti ed esiliati e sostituiti da vescovi che
rappresentano l'opinio communis. Perché Costantino appoggia questa
reazione il cui significato non poteva sfuggirgli? L'ipotesi più corretta è che
Costantino aveva percepito (per il suo enorme fiuto politico) che pur di
ottenere la condanna di Ario ha dovuto forzare e capito questo cerca di
riequilibrare la situazione senza toccare formalmente la formula ma mettendo
fuori gioco alcuni personaggi cioè coloro che a Nicea avevano trionfato.
Ci sarà poi una seconda fase che riporta la questione dottrinale in
primo piano. Questa inizierà solo dopo la morte di Costantino. La controversia
ariana è sempre scandita da fatti politici, dalla morte di un imperatore e il
venire su di un altro che ha opinione diversa. Questo ormai è il nuovo
scenario. Le discussioni che prima di Costantino si erano svolte in piena
libertà, anche in modo caotico, in modo che una soluzione non si imponeva a
tutti ecc… (pluralismo dottrinale prima di Nicea) perché non c'era una autorità
che potesse imporsi, complicava le cose, ma lasciava davvero la libertà di
discussione. Ora invece si deve sempre arrivare ad un consenso. Infatti in
definitiva quello che interessava a Costantino era la pace religiosa.

17.I.2000

La reazione postnicena

Fino alla morte di Costantino. La reazione si distingue nettamente in


due momenti che sono scanditi dagli avvenimenti politici. Finché è vivo
Costantino la reazione assume una determinata forma, quando muore
Costantino e subentrano i figli Costante e Costanzo la reazione assume una
forma diversa, cioè mentre con Costantino la reazione è soltanto personale
(perché Costantino non avrebbe mai permesso di toccare il SN (pietra dello
scandalo) è logico che quando Costantino muore, i figli che non hanno la
stessa autorità di Costantino e che non sono così legati al CN come
Costantino, al reazione si può spostare anche sul campo dottrinale.
Chiuderemo con la morte di Costantino. Nella lezione precedente abbiamo
chiarito i presupporti di questa reazione: il SN aveva forzato la sensibilità
dottrinale della maggioranza dei presenti. Pur di ottenere la condanna di Ario
si erano fatte eccessive concessioni ai monarchiani presenti e alcune
espressioni del SN erano espressioni che agli orientali suonavano pericolose,
ambigue o comunque inaccettabili. La formula sostanzialmente era una
formula monarchiana. Gli orientali in massima parte, almeno a livello
episcopale (a livello comunitario non sappiamo) dominava l'impostazione
origeniana moderata delle tre ipostasi. Quindi posto che questa forma fosse
largamente impopolare in oriente, una reazione tendente ad eliminare sotto
64
pretesti vari quelli che erano considerati principali sostenitori di questa
formula, trovava una buona accoglienza. Questo il senso di questa reazione
che conosciamo poco, come al solito, perché abbiamo poche notizie. Alcune
di queste poche notizie sono già leggendarie. Soprattutto ci manca il quadro
d'insieme. Abbiamo una serie di notizie, dalle solite fonti - soprattutto gli storici
ecclesiastici e poi quando comincia Atanasio a scrivere le sue opere difensive
- abbiamo notizia che tra ca. 326-336 una serie di vescovi vengono messi
sotto accusa, condannati, deposti e esiliati (sistema costantiniano) in
occidente. Atanasio cita anche un elenco: abbiamo 12 nomi, ma i più
importanti sono 4 (Asclepa di Gaza, Eustazio di Antiochia, Atanasio di
Alessandria, Marcello di Ancira). La reazione cominciò quasi
immediatamente. Gli antichi spiegavano questa reazione con motivazioni di
carattere personale, portando in questione soprattutto alcune donne della
corte: la madre di Costantino, Elena, la sorella Costanza (che proteggeva un
certo prete ariano). Ma le motivazioni profonde sono altre. Insomma il
problema è che Costantino capisce di essersi spinto troppo da una parte e
spostandosi favorisce ora quelli che precedentemente aveva ostacolato.
Le vicende, molto mal conosciute, si intrecciano con un fatto molto
oscuro e cioè il richiamo di Ario (definita la ripetizione del CN). Ma i documenti
non quadrano. Già nel 328 Eusebio di N viene richiamato con Teognide di …
ed è ristabilito. Già prima - cronologia insicura. Già le posizioni di Eustazio ed
Asclepa (stesso affare) sono del 326, appena un anno dopo il CN.

[e qui c'è stato un pasticcio con il registratore, per cui non sono state
registrate parole, respiri e starnuti di Simonetti per circa 5 minuti!]

Tra Eustazio ed Eusebio c'è una tale opposizione tra i due che Eusebio
riesce a cogliere l'atmosfera cambiata e a mettere sotto accusa Eustazio.
Le notizie che abbiamo sono in parte leggendarie. Si parla di una prostituta
che avrebbe portato un ragazzino dicendo che era figlio di Eustazio. Questo è
un topos che ritorna tre o quattro volte. C'è chi dice che avrebbe sparlato di
Elena i cui natali non erano tra i più nobili. Altri l'accusano di prepotenza:
avrebbe infierito contro una serie di presbiteri antiocheni che erano di simpatia
ariane. Il fatto è che Eustazio fu messo sotto accusa non per motivi di
carattere dottrinale. Eust. è monarchiano moderato: accetta il termine Logos,
che il Logos fosse figlio reale di Dio. Eust. rifiutava la dottrina delle ipostasi. Si
parlava di una ipostasi e di due prosopa. Ma non era un motivo di
condanna questo per cui i motivi per condannarlo furono cercati altrove. Gli
orientali insistono sull' infamia della vita, cioè sull'accusa di immoralità. E
può anche darsi che qualcosa c'era. Quando si vuole condannare una
persona scavando scavando qualcosa si trova sempre. Certo sì è che Eust. fu
condannato, deposto e mandato in esilio a Traianopoli (nell'odierna Bulgaria).
Forse muore prima della morte di Costantino, quando gli esuli rientrano tutti.
Di lui non si ha più notizia. C'è qualcosa che fa pensare che sia sopravvissuto,
ma comunque sono notizie difficili. Eust. scompare. Lascia uno strascico: una
parte della comunità cristiana di Antiochia resta fedele alla memoria di
Eustazio e si stacca dalla comunità. E' il primo segno di quello che diventerà
dopo il 360 lo scisma di Antiochia che sarà ancora in vigore attorno al 410-
415 e che avvelenerà verso gli ultimi decenni del IV secolo tutto lo
schieramento antiariano della cristianità orientale. Parte della comunità resta
legata ad Eustazio. Non ci meraviglia perché la comunità antiochena era stata

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sempre divisa fin dai tempi di Paolo di Samosata. C'erano partigiani del nuovo
corso origeniano e c'era chi si atteneva alla vecchia tradizione (asiatica). Non
è solo un contrasto dottrinale ma culturale che ha forti riflessi di carattere
dottrinale. Non meraviglia che ad Antiochia si arrivi subito ad una scissione
della comunità cristiana. L'episcopato di Antiochia fu offerto ad Eusebio di
Cesarea. Ricordiamo le norme che impedivano il passaggio di un vescovo da
una sede all'altra: norma tra le più prevaricate. E' come se non fosse mai
esistita. Si continua a spostare un vescovo da una parte all'altra. Eusebio,
uomo molto accorto, rinunciò a questo ambito onore perché capì che era una
sede che dava grane di tutti i generi e preferì restare a Cesarea. Fu nominato
un certo Eufronio che morì poco dopo, poi Palino di Tiro, morì pure lui … c'è
proprio una morìa di vescovi … finché si arriva ad un certo Stefano che
attorno al 340 è vescovo. In questa vicenda probabilmente fu coinvolto
Asclepio/Asclepa di Gaza perché anche lui risulterebbe condannato nel 326
dal concilio di Antiochia quindi probabilmente è lo stesso.
Qualcuno di quei tanti vescovi nominati (Ciro di Berea) fu condannato
per sabellianismo. Ma colui che fu condannato proprio per monarchianismo
radicale fu Marcello di Ancira. Siamo a circa 10 anni dopo, 336. La
datazione è ricavabile da combinazioni di dati che possediamo. Alcuni storici
la spostavano molto prima perché sembrava impensabile che quello che era il
monarchiano radicale l'avessero lasciato in pace per ben 10 anni. Ma i fatti
della vita possono essere i più vari. Nel 336 si riunì un concilio a
Costantinopoli e Marcello di Ancira fu condannato e deposto per motivi
dottrinali. La cosa non meraviglia perché è da chiedersi se Marcello avesse
scritto prima del concilio di Nicea. Marcello aveva scritto prima del CN?
Sappiamo infatti che scrisse un'opera di cui non sappiamo il titolo che sembra
sia stata indirizzata personalmente a Costantino in cui confutava il
Sintagmation di Asterio il sofista, maggior teorico dell'arianesimo della prima
ora, uno dei collucianisti. Marcello scrisse questa lunga opera che fu confutata
da Eusebio di Cesarea in due libri: il contro Marcello e la teologia
ecclesiastica. Tutto quello che possediamo di Marcello di autentico lo
ricaviamo dalla confutazione di Eusebio. Confutazione che alla maniera
origeniana è fatta riportando con vasti passi dell'opera seguiti dalla
confutazione. A volte ci sono frammenti anche di una pagina intera. Certo è
sempre poco, però permettono una conoscenza abbastanza precisa della
dottrina di Marcello. Questo è il problema: solo allora Marcello è uscito allo
scoperto. Una cosa è attaccare uno sulle parole e altra è attaccarlo sullo
scritto: verba volant scripta manent. L'attacco di Eusebio fu portato in
concomitanza con l'accusa e Marcello fu esiliato anche lui in occidente. Gli fu
dato come successore ad Ancira Basilio che fu uno dei personaggi più
importanti della seconda fase della controversia ariana (358-360) in senso
antiariano.
Essere antiniceno non significa necessariamente essere filoariano. La
deposizione di Marcello di Ancira è un momento fondamentale in tutta la
vicenda della controversia ariana. E' uno dei fatti che ha pesato di più su tutto
lo svolgimento perché Marcello sarà riabilitato in occidente, quando
l'occidente prende posizione contro l'oriente considerato filoariano e si creerà
un grosso punto di attrito. L'altro punto di attrito sarà costituito da Atanasio,
ma contro Atanasio non saranno mai portate accuse di carattere dottrinale,
non sarà possibile da parte degli orientali. Contro Marcello sì. Marcello
diventa agli occhi degli orientali il contraltare di Ario. Abbiamo due estremi,

66
entrambe negativi: Ario (estrema sinistra), Marcello (estrema destra). Lo
sforzo degli orientali sarà cercare la via di mezzo che possa evitare gli errori
sia dell'uno sia dell'altro. Ecco l'importanza fondamentale di Marcello.
Atanasio stesso, che deve molto a Marcello, capirà che la sua posizione non
riusciva a prendere quota perché appunto appesantita dalla presenza di
Marcello e dovrà anche lui buttare a mare Marcello. Momento importante
tenendo presente che Marcello è sopravvissuto lunghissimamente. E' attivo
già nel 325, ora siamo nel 336. Morirà attorno al 370, probabilmente vecchio
decrepito, ma ha scritto parecchio dopo. I moderni gli rivendicano molti scritti
(sui quali Simonetti assolutamente non concorda).
Comunque Marcello è personaggio capitale in tutta la controversia
ariana. Gli occidentali diranno gli orientali antiniceni: voi siete ariani! Gli
orientali diranno agli occidentali: e voi siete siete sabelliani!. Sabellio infatti
ormai diventa l'etichetta del monarchianismo radicale. Sappiamo che il
monarchianismo di Marcello non aveva niente in comune con quello di
Sabellio. Marcello si collega piuttosto, come tradizione dottrinale a Paolo di
Samosata. Il monarchianismo di Paolo di Samosata è ben diverso da quello
di Sabellio. Per questo il P F SpS sono tre modi di essere di una unica
monade divina, pure apparenze. Per Paolo di Samosata invece il Cristo è
l'uomo Gesù. Il F è l'uomo Gesù: è ispirato dal Logos ma è uomo semplice
(forma evoluta di adozionismo).
Una delle accuse che saranno portate all'uno e all'altro dice: il F d D è
nato 400 anni fa. Perché effettivamente il FdD era l'h Gesù.
Questa è stata la fondamentale importanza di Marcello.

Tra Eustazio e Marcello (326-336) si colloca la vicenda che


conosciamo abbastanza bene, quella di Atanasio

Atanasio

La sua vicenda culmina nel 335 nel concilio di Tiro in cui Atanasio
viene condannato, deposto e mandato in esilio a Treviri. Atanasio non lo
abbiamo ancora affrontato, ma viene alla ribalta nel 327 quando muore
Alessandro di Alessandria e lui viene eletto. Era diacono, probabilmente
aveva seguito Alessandro a Nicea. In pectore [ma di chi?? di Alessandro o
…"in cuor suo"???] successore di Alessandro. Solo che Alessandro morì
troppo presto, perché Atanasio non aveva ancora raggiunto l'età di 30 anni
(età minima per essere fatto vescovo). Qualcuno non è convinto ma ci sono
fondati motivi per questa affermazione.
La questione di Atanasio la conosciamo bene perché Atanasio nella
sua vita tormentata (5 volte esiliato, messo sotto accusa tantissime volte,
nemico personale dell'imperatore Costanzo, che non lo poteva assolutamente
soffrire… ) ha scritto molto per difendersi.
Apologia a Costanzo, apologia per la fuga, apologia contro gli ariani
ecc… opere che scrive per suo interesse quindi tutt'altro che obiettive, ma che
hanno sempre un grosso corredo di documentazione. La vicenda di Atanasio
perciò la conosciamo bene.
Vicenda molto più complessa di quella di Eustazio e di Marcello perché
il Egitto non c'era solo il problema ariano che turbava la comunità, ma c'era
67
anche il problema dello scisma meliziano. I meliziani sono forti, in molte sedi
c'è un vescovo meliziano e un vescovo cattolico. Il concilio di Nicea era stato
molto benevolo verso i meliziani. Convinti di aver già accontentato Alessandro
con la condanna di Ario, ebbero la mano molto leggera con i meliziani. Si
arrivò a dire che quando in una sede c'erano due vescovi, quando moriva il
vescovo ortodosso il vescovo meliziano subentrava automaticamente come
unico vescovo. Si arrivò ad una parziale riconciliazione proprio perché il
concilio autorizzò una serie di misure molto blande per arrivare alla
riconciliazione.
La morte prematura non perché sia morto giovane (cioè non lo
sappiamo) ma perché Atanasio non aveva l'età minima per essere fatto
vescovo e Alessandro non aveva ancora potuto portare molto avanti l'opera di
riconciliazione tra meliziani e cattolici. Pare (anche Haik Martin: tanto brava e
tanto studiosa … però ancora un po' romanzata su Atanasio) che ci sia stato
una specie di accordo tra meliziani e cattolici alla morte di Alessandro di
soprassedere sul momento all'elezione del vescovo (unico in tutta la cristianità
che ordinava i vescovi di tutto l'Egitto, con potere enorme come nessun altro)
per cercare di sanare lo scisma. Un partito più antimeliziano però nominò
vescovo Atanasio. La nomina di Atanasio a vescovo scatenò di nuovo lo
scisma. I meliziani ovviamente non accettarono l'elezione.
Atanasio giovane e aitante cominciò ad applicare contro i meliziani una
mano non pesante ma pesantissima con violenze di tutti i generi. Si pensava
fino ad alcuni decenni fa che queste violenze a carico di Atanasio fossero
enfatizzate dai suoi avversari, ma poi si sono scoperti dei papiri con lettere
che i meliziani si scambiavano tra loro. Di lì scopriamo che in uno stesso
giorno furono picchiati ben 6 vescovi meliziani. Tutto quello che si dice sulle
sue violenze pare fosse tutto vero. Finchè ad un certo punto i meliziani
protestano presso Costantino accusando Atanasio di violenze e
prevaricazioni varie.
Le accuse erano due
- un certo presbitero (Ischyras) sarebbe stato interrotto
da un messo di Atanasio mentre celebrava la messa e questo avrebbe
addirittura infranto il calice con il quale Ischyras celebrava.
- romanzo: Atanasio avrebbe fatto ammazzare un
vescovo meliziano di nome Arsenio. Invece Arsenio era stato picchiato ben
bene ma non era morto. I meliziani per aggravare l'accusa avevano detto che
era morto e questo Arsenio se l'erano infrattato in un convento. Soltanto non
tenevano conto del fatto che ormai il vescovo di Alessandria aveva a
disposizione una organizzazione spionistica di fronte alla quale la CIA e il
KGB erano cose da ragazzini!!! Quando nel 360 un vescovo ariano di
Alessandria, Lucio, entra surrettiziamente in Alessandria, la Historia Cefala,
una specie di registro preziosissimo, ci dice che all'ora tale il tizio è entrato da
questa parte, allora tale è uscito da quest'altra parte … insomma questo
entrava di nascosto, … e loro lo hanno seguito momento per momento, finchè
quando hanno voluto lo hanno preso e gli hanno fatto il trattamento che
sappiamo.
Arsenio fu scovato, perché l'organizzazione atanasiana lo tira fuori! I
meliziani poi riescono a farlo scappare e lo mandano a Tiro in Siria, ma
Atanasio riesce a trovarlo pure lì, pure in Siria!!! Sicchè quando ci fu il
processo, ad un certo punto quelli dicevano che Arsenio era morto e invece il
prestigiatore Atanasio tira fuori Arsenio come il coniglio dal cappello. E questi

68
poveretti di meliziani ne uscirono completamente sconfitti da questa vicenda.
Vicenda che cercarono di ripetere per ben due volte sempre con risultati
negativi.
A questo punto si inserisce la controversia ariana. Era in corso la
reazione violentemente antinicena e Atanasio non consta che abbia fatto il
minimo gesto di solidarietà. Il grosso partito era guidato da Eusebio di
Nicomedia. Nonostante la sua prudenza però fu coinvolto. Anche Ario ad un
certo punto infatti viene richiamato, anche molto presto (grosso problema). Si
pensa che sia stato solo pochi mesi in esilio e che poi sia stato tenuto "a
bagnomaria" a Costantinopoli, presso una sede.
Il gruppo antiniceno ad un certo punto ritiene di essere in
condizioni tali da poter imporre la riabilitazione di Ario. Sembra che già
prima che morisse Alessandro fossero state indirizzate richieste perché, dato
che ormai l'arianesimo era morto ed era stato approvato il CN, di fronte ad
una richiesta di Ario di ritrattazione e pentimento, Ario fosse riaccettato … pro
bono pacis. Ma Alessandro muore prima di dare una risposta. Inizialmente
Ario viene lasciato abbastanza in pace. Si chiede ad Atanasio di ammettere in
Alessandria Ario. Atanasio risponde di no. A questo punto abbiamo la
collusione tra gli antiniceni e i meliziani. Tutti i nemici di Atanasio si
mettono insieme e i meliziani si possono giovare di tutta l'organizzazione di
questo grosso partito che ormai domina in oriente. Adesso si agisce solo a
livello personale. La dottrina viene tirata fuori solo in determinati momenti
quando non c'è dubbio, come con Marcello, altrimenti si preferisce per motivi
di carattere disciplinare anche Eustazio, anche Atanasio. Quando dopo il 340 i
giochi si fanno più scoperti, gli orientali li vediamo attestati sulla solita linea di
origenismo moderato. Linea prevalente: lontani dagli estremismi di Ario ma
anche dalle posizioni monarchiane.
Atanasio era anche per convinzione sua personale, lontano da questa
linea perché più portato verso una tendenza molto moderatamene
monarchiana (molto, molto, moderatamente, molto, molto).
Nelle lettere festali, lettere con cui il patriarca di Alessandria dava la
data della Pasqua. La scriveva prima della quaresima ed era occasione per
considerazioni di vario genere. Le lettere festali sono fondamentalissime per
la ricostruzione della politica del vescovo di Alessandria sempre. Aveva
iniziato Dionigi, per quello che sappiamo. Nelle festali di Atanasio fino alla
vigilia del concilio di Tiro non c'è cenno dottrinale contro gli ariani proprio
perché Atanasio sa che la sa posizione è delicata e preferisce restare
coperto. Quando però gli arriva l'ingiunzione di accettare Ario, si rifiuta
categoricamente. Non può non uscire allo scoperto e così viene riproposto lo
stesso castello di accuse già proposto in precedenza. I soliti nomi: Ischyras,
Arsenio ecc.. ma questa volta i meliziani si giovano di questo grosso partito
dominante che assume ora la direzione delle operazioni. Atanasio viene
invitato a Cesarea di Palestina, dove c'era Eusebio che morirà di lì a qualche
anno. Atanasio rifiuta di presentarsi a Cesarea e non si presenta. Ma questo
partito ormai aveva i patrocinio di Costantino. Il concilio è rinviato e viene
convocato a Tiro per il 335. Atanasio è costretto a presentarsi.

Il concilio di Tiro 335

69
Conosciamo abbastanza bene il corso di questo concilio. Anche qui
viene fuori la solita donnina allegra, tutta una scenetta comica, sicuramente
inventata: solite accuse di Ischyras e l'altro. Tra l'altro a seguito delle sue
disavventure Ischyras aveva pure fatto carriera: l'avevano fatto vescovo, si
era riappacificato con Atanasio. Diventa personaggio importante. Atanasio
aveva anche interesse a tenerselo buono, ma poi si ributta di nuovo dalla
parte antiatanasiana e diventa testimonio a carico di Atanasio. Atanasio arriva
a Tiro ben scortato, con un bel gruppo di vescovi egiziani a suo favore. Non
era in maggioranza ma neanche un isolato.
La soluzione si trascina. Laddove con Marcello le cose sembravano
fossero molto sbrigative, perché la controversia è sui testi, e i testi parlano.
Anche con Paolo di Samosata finchè si va avanti con accuse di immoralità e
così via tutto rimane nel vago. Ma quando l'accusa si concentra sulla dottrina
lì ottiene il risultato. Atanasio non può essere attaccato dal punto di vista
dottrinale. Non sappiamo nemmeno se avesse cominciato a scrivere perché
le sue prime opere: contra gentes e de incarnatione sono di cronologia molto
oscillante. C'è chi li pone subito dopo Nicea, ma ora la tendenza è a
procrastinarli parecchio. Comunque erano due opere sulle quali non
permettevano nessun appiglio di accusa. L'accusa contro Atanasio è sempre
di violenza e di abuso di autorità. Sono accuse che non è facile trovare.
Tanto era difficile trovare che ad un certo punto si decide di mandare
una commissione di inchiesta nella Mareotide regione dell'Egitto (ove
erano avvenuti i fatti più rilevanti imputabili ad Atanasio). I membri di questa
commissione erano tutti antiatanasiani convintissimi. Troviamo i soliti nomi:
Maride di Calcedonia, Teognide di Nicea e anche altri due nomi che poi
avranno un seguito in tutta la seconda fase della controversia ariana, due
vescovi occidentali dell'Illirico: Valente di Mursa e Ursacio di Singidunum
(odierna Belgrado). Erano molto giovani allora e saranno ancora attivi fino al
370 e passa.
Si pensa - ragionevolmente, perché altrimenti non si riesce a capire
questa propaggine filoariana in Pannonia - ad una presenza di Ario in esilio
nell'Illirico. Di recente è stata proposta una ipotesi molto intelligente. Pare
(Ives Marie Duval) che in questa zona ci fosse vivo il pericolo monarchiano:
arianesimo che trova appoggi anche in occidente. Nella Pannonia e nell'Illirico
saranno le uniche due zone ove la presenza ariana sarà più che episodica, di
una certa consistenza. Infatti come sappiamo, poiché la situazione si
estremizza laddove c'è polemica, si può pensare che questa presenza ariana
o filoariana sia la conseguenza della reazione antimonarchiana. Questa
presenza monarchiane avrebbero favorito una reazione in senso opposto che
ovviamente la presenza di Ario avrebbe favorito, in senso opposto,
organizzato, potenziato.
Questi due vescovi dal CT in poi saranno rappresentanti fondamentali
del fronte orientale (pur essendo occidentali di lingua latina). In questo fronte
rappresentano proprio l'estremismo filoariano. Possiamo parlare qui di un
vero e proprio arianesimo. Non dobbiamo confondere un atteggiamento
antiniceno con un atteggiamento tout court filoariano. D'altra parte però è
anche vero anche che in questo fronte antiniceno c'erano sfumature diverse.
Sorte di quando un raggruppamento qualsiasi (dottrinale, politico o altro) si
forma in senso negativo: anti-. Vi confluiscono tendenze diverse tutte anti-
nicene, ma il comune denominatore assomma insieme una serie di posizioni
dottrinali che non sono affatto uguali, tutt'altro che sovrapponibili. Quindi in

70
questo fronte antiniceno ci sono anche elementi che possiamo definire
filoariani. (cfr. nel dopoguerra in Italia: gli antifascisti). Il fronte è tenuto
insieme dall'antinicenismo, ma quando poi attorno al 357-8 il fronte in oriente
domina completamente, allora vengono fuori le differenze e questo fronte
salterà per aria e si divideranno in due tre o quattro tendenze diverse.

La controversia ariana diventerà insanabile quando l'occidente nel 340


prende posizione a favore di Atanasio e Marcello contro gli orientali. Al
concilio di Roma gli occidentali, Giulio di Roma, riabilitano Atanasio e
Marcello. Questo è il momento fondamentale perché Giulio di Roma accusa
gli orientali di essere ariani. L'occidente sposa completamente la posizione di
Marcello e di Atanasio che sono antiariani. Gli orientali in quanto contrari ad
Atanasio e Marcello debbono essere ariani. Ovviamente sono stati gli stessi
Atanasio e Marcello che a Roma hanno lavorato in questo senso.
Questo è il grosso equivoco che avvelena i rapporti tra oriente e
occidente e che fa sì che una controversia, che poteva risolversi senza grosse
difficoltà, si trascini ancora per 50 anni, con danni di tutti i generi. In occidente
si farà l'equazione: antiniceno = ariano. Mentre la situazione è ben diversa.
Antiniceno per esempio è Cirillo di Gerusalemme le cui catechesi sono
quanto di più ortodosso abbiamo. Ma Cirillo non ama il termine homoousios.
Gli occidentali lo considereranno un filoariano, anche se poi sarà discolpato

Il fronte antiniceno coagula tendenze diverse che vanno da una
posizione francamente antiariana fino ad una posizione filoariana. In
questo momento sono tutti riuniti insieme perché si devono levare dai piedi
alcuni personaggi e poi faranno fronte comune contro gli occidentali.
In questo fronte antiniceno senza dubbio Valente e Ursacio assieme a
Patrofio di Scitopoli e altri, rappresentano l'ala più spinta verso l'arianesimo
vero e proprio.
In un momento in cui anche Eusebio di Nicomedia, che abbiamo
considerato ariano radicale (cfr. lettera a Paolino di Tiro) si è spostato
saggiamente in posizioni molto più moderate.
Dunque: fino al concilio di Rimini e dopo, Valente e Ursacio saranno
destinati ad avere una parte di primissimo piano in tutto lo svolgimento della
controversia ariana fino al concilio di Rimini e dopo. Compaiono per la prima
volta al concilio di Tiro e sono in posizione nettamente ostile ad Atanasio.
Dicevamo: fu fatta una commissione, e fu completamente
antiatanasiana . Gli esponenti erano tutti nemici di Atanasio, a titoli diversi.
Certo Atanasio in Egitto aveva ancora grande forza, ma la vicenda era
condotta anche con l'appoggio dell'autorità politica. Filagrio, nemico personale
di Atanasio.
Uno dei punti che ha complicato tutta la vicenda è stato che Atanasio
è partito col piede sbagliato con quella sua elezione. Il resto è stato una
catena che poi lo ha travolto. I meliziani che non lo accettano, allora lui fa il
duro, lo scisma che era quasi sanato torna a galla… chiaro che il suo
atteggiamento non suscita simpatie fuori dall'Egitto. E se Ario trova tante
simpatie in Palestina e Arabia c'è anche un motivo di carattere politico. Il
vescovo di Alessandria era potentissimo e spaventava i vescovi vicini. C'era
una pressione che implicitamente o esplicitamente il vescovo di Alessandria
aveva. Dal tempo di Demetrio e Origene la politica sistematica di Alessandria
era quella di fare del vescovo di Alessandria quello che in occidente era i

71
vescovo di Roma. Tanto che vanno sempre d'accordo. Roma tende sempre
ad appoggiarsi ad Alessandria. Tutto questo spaventava gli orientali. Atanasio
esordisce col bastone, ed è logico che l'atteggiamento di antipatia dei vescovi
orientali aumenta. Atanasio era visto male da vescovi che non avevano nulla
di ariano, ma erano tendenzialmente ostili al patriarca di Alessandria per
motivi politici e che vedevano in Atanasio una politica di potenza sviluppata
addirittura con modi briganteschi, con la violenza più plateale. Non c'è ombra
di dubbio che il concilio di Tiro è stato un concilio fatto apposta per
condannare Atanasio. Tutti gli atti furono fatti in modo da radunare tutte le
prove a danno di Atanasio, vanificando tutte le testimonianze a favore. Su
questo non c'è dubbio, come è chiaro che Atanasio aveva compiuto una serie
di atti (magari anche forzato ecc…) per cui dava ai suoi avversari elementi su
cui questi potevano fondarsi. Insisto su questi elementi perché peseranno
moltissimo: la condanna inflitta a Tiro ad Atanasio è condanna che peserà per
decenni su Atanasio, anche quando A. torna ad Alessandria e riprenderà il
potere, ma questa condanna non sarà mai tolta: una specie di spada di
Damocle che penderà sempre sulla testa di Atanasio: Era una condanna
formalmente esatta e legittima. Possiamo certo dire che era un processo
preparato contro Atanasio, ma giuridicamente quella che conta è la forma. La
sostanza conta poco. E' sempre questione di procedura e la procedura è
esatta, impeccabile, tanto che Atanasio ad un certo punto scappa da Tiro con
una nave (fatto un po' romanzesco)…
… scappa per cercare di affrontare direttamente Costantino, l'unico
che poteva fermare quelli del concilio di Tiro. La fuga di Atanasio diventa un
ulteriore elemento di accusa. Il concilio che era già orientato per la condanna,
è agevolato dal gesto disperato di Atanasio. Atanasio ferma l'imperatore che
era in viaggio sperando che C., che già lo aveva appoggiato in precedenza
coi meliziani, lo facesse anche ora. Ma C. ormai è preso dagli avversari e
sbatte Atanasio a Treviri anche se non gli dà un successore (unico caso tra i
deposti) per non invelenire la situazione che era già quanto mai pesante e
pericolosa.
Dobbiamo tenere presente l'elemento politico: all'imperatore era
comodo avere ad Alessandria un vescovo di personalità non molto forte e che
fosse legato al partito orientale e che si appoggiasse completamente
all'imperatore. Inoltre fu fatta valere la notizia che Atanasio era in grado di
impedire l'approvvigionamento di grano a Costantinopoli. Non sappiamo se
sia vero, ma certo il patriarca aveva un grosso potere.
Non possiamo più prescindere dalla componente politica delle
relazioni. Ad Antiochia e Alessandria il vescovo è ormai molto potente. Dove
le città sono molto organizzate i vescovi cominciano ad avere grande potere.
Godono di fortune economiche: il patriarca prendeva tasse, comincia ad avere
monopoli. Cirillo era in grado di corrompere tutti: si dirà fiumi d'oro passavano
ad Alessandria…
D'ora in poi in Oriente la controversia dottrinale non sarà più come nel
II e III secolo, quando si combatteva solo sulle idee. Ormai la componente
politica è sempre più determinante. Ma una cosa è importante: la componente
politica ha un suo peso ma non fino al punto di sacrificare la componente
ideologica.
C'è una tendenza nella storiografia odierna a ridurre tutto ed
esclusivamente a contrasti politici, come se l'elemento dottrinale sarebbe solo
un pretesto. Si fa l'esempio del contrasto tra Cirillo e Nestorio che è

72
interpretabile in termini di contrasto politico: contrasto tra i patriarcati di
Antiochia, Costantinopoli e Alessandria. Ma non bisogna valutare con i metodi
nostri la mentalità di allora. Cirillo vuole sbarazzarsi di Nestorio come Teofilo
di Crisostomo. Il resto, sarebbe puro pretesto. No. Questo non possiamo
accettarlo. In Cirillo l'elemento politico e dogmatico non si separano mai del
tutto. Cirillo ha una sincerità nella sua posizione dottrinale.
Quel tipo di critica ha anche essa un carattere ideologico.
Ricordiamoci invece che l'elemento religioso nell'uomo antico è
qualcosa di fondamentale non solo nel popolino, ma anche tra i grandi
personaggi. Bisogna sempre tenere presente queste due componenti senza
mai favorire l'uno sull'altro.

24.I.2000

Abbiamo visto la reazione antinicena e come questa travolga i


personaggi più importanti che hanno operato a danno di Ario.

La riabilitazione di Ario
Questione molto intricata. Ci sono varie ricostruzioni.

La documentazione principale

Documento A:
lettera tramandata da Socrate in cui Eusebio di
Nicomedia e Teognide di Nicea si rivolgono ad un concilio non identificato
né identificabile. Il senso di questa lettera è questo: Eusebio e Teognide
erano stati esiliati perché avevano preso le parti di Ario subito dopo il CN.
Dato che Ario è stato perdonato, perché noi dobbiamo rimanere in esilio?
Siccome sappiamo che nel 328 i due erano tornati in esilio, questa lettera
indirizzata a questo fantomatico concilio deve essere anteriore e deve essere
anteriore e va collocata più o meno nel 327. La lettera si trova in Opitz n. 31,
p. 65.

Documento B:
lettera indirizzata da Costantino ad Alessandro di
Alessandria. Costantino dice che ha avuto occasione di parlare di questioni
di fede con Ario e il suo fedele collega Euzoio e prega Alessandro di mettersi
in contatto con Ario e se constata che Ario ha abbandonato i suoi errori, di
ammetterlo ad Alessandria di Egitto. Siccome sappiamo che Alessandro di
Alessandria è morto nel 327, questa lettera deve essere anteriore anche se di
poco, alla morte di Alessandro. Si trova in Opitz n. 32, p. 66

Documento C:
passo dell'apologia contro gli ariani di Atanasio, al
capitolo 44. Atanasio dice che, dopo essere diventato vescovo di Alessandria,
Eusebio di Nicomedia gli aveva scritto pregando di riammettere Ario ad
Alessandria. Dello stesso tono era una lettera che gli aveva indirizzato
Costantino. Dai dati che Atanasio dà su questa lettera di Costantino si ricava

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con sicurezza che la lettera è stata inviata nel 333, quindi alcuni anni dopo i
documenti A e B!

Documento D:
una lettera di Ario che non possediamo ma il cui
contenuto si ricava dalla risposta di Costantino. E' una lettera che Ario scrive
a Costantino. Sostiene che il suo partito è molto forte in Libia. Chiede che
almeno venga permesso a lui e ai suoi di utilizzare alcune chiese
(evidentemente era impedito dal vescovo di Alessandria.). Ci sono delle
affermazioni di carattere dottrinale: definisce la sostanza del F semen, cioè
estranea rispetto a quella del P.

Documento E:
la risposta di Costantino da cui conosciamo la lettera di
Ario. Sta in Opitz n. 34, p. 69. E' una strana lettera. Molto lunga. Costantino
attacca in vario modo, da vari punti di vista Ario che considera un facinoroso,
e verso la fine lo invita a venire da lui. Gli dà possibilità di una
rappacificazione. Questa lettera è sicuramente del 333.

Documento F:
editto in cui vengono condannati gli scritti di Ario
considerati deleteri come quelli di Porfirio (kata christianorum). Anche questo
editto è del 333. Sta in Opitz n. 33, p. 66.

Documento G:
breve lettera di Costantino ancora rivolta ad Ario in cui
Costantino si meraviglia che Ario non sia venuto a trovarlo dopo che lui lo
aveva invitato e rinnova l'invito.

Documento H:
una lettera che Ario e l'amico Euzoio indirizzano a
Costantino. Sta in Opitz n. 30, p. 64. Lettera piuttosto generica ma il punto
centrale è fondamentale: breve dichiarazione di fede in cui Ario si esprime
così:
Crediamo in un solo Dio P onnipotente e nel SGC suo F unigenito, che
è stato generato da lui prima di tutti i tempi. Dio Logos, per mezzo del quale
tutte le cose sono state fatte in cielo e in terra. E' disceso dal cielo, ha assunto
la carne, ha patito è risorto, è salito al cielo e di nuovo verrà a giudicare i vivi e
i morti. Crediamo nello spirito santo, nella risurrezione della carne, nella vita
del secolo venturo e nel regno dei cieli e in una sola cattolica chiesa di Dio da
un confine all'altro della terra.
Non deve sfuggire il significato di una simile dichiarazione di fede.
Dichiarazione formalmente ortodossa, in tutto. Tutto formalmente perfetto. Ma
manca una presa di posizione su tutti i punti che erano stati contestati e
trattati nel CN. Rispetto alle due lettere che conosciamo di Ario (ad Eusebio e
ad Alessandro, anteriori a CN e molto esplicite in senso ariano) qui abbiamo
una dichiarazione di fede formalmente ortodossa ma completamente anodina.
Questa professione di fede la potevano sottoscrivere tutti: Ario e gli
avversari di Ario. L'unica espressione che può sembrare specifica è
gegennemenos. Ma Ario considerata sinonimi creato e generato e perciò
poteva tranquillamente parlare di generato e monogenes infatti interpretava il

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generato come creato direttamente dal P senza il tramite della mediazione del
Logos. La definizione di Dio Logos non aveva mai fatto difficoltà agli ariani.
Siamo di fronte ad un testo che aggira tutto il contenzioso. Perciò Ario era
stato condannato prima ad Alessandria e poi al CN. Testo completamente
generico.

Questa la documentazione. Essa presenta, anche rispetto alle antiche


ricostruzioni di questi fatti, degli aspetti abbastanza sconcertanti. Per
ricostruire i fatti bisogna tenere conto di tutti questi dati. I due documenti più
sconcertanti dell'elenco sono i primi due:
- A dal primo emerge che nel 327 Ario era già stato abbonato
da un concilio.
- B dalla seconda, 327, Costantino invita Alessandro a
riprendere Ario ad Alessandria dopo averne saggiato il
ravvedimento. Quindi già nel 327 Ario è tornato.
Del resto però nel 333 c'è ancora la condanna contro gli
scritti di Ario.

Non è facile mettere d'accordo tutta questa documentazione.


Abbiamo due ricostruzioni completamente diverse: E. Schwartz, al
quale dobbiamo la conoscenza di tutta la prima fase della controversia
ariana. Anche dove le sue conclusioni non possono essere accettate,
la sua opera resta assolutamente fondamentale.

Bisogna distinguere nettamente due cose a proposito di Ario:


Da una parte, la condanna della dottrina. La dottrina che era
stata condannata a Nicea resta condannata. L'editto del 333 conferma
la condanna delle opere di Ario.
Invece è diverso l'atteggiamento circa il personaggio Ario. Si
continua e si mantiene la condanna della dottrina: Costantino non
poteva sbarazzarsi di punto in bianco del CN, ma tende ad una
riabilitazione personale di un Ario che formalmente si ritratta.

La ricostruzione di Schwartz

Fa leva sui primi due documenti, soprattutto sul primo. Da questo


documento ricava che già nel 327 si era riunito un concilio che aveva
riabilitato, perdonato, Ario. Nulla si poteva sapere delle decisioni dottrinali di
questo concilio, però Ario è stato richiamato dall'esilio e la lettera di
Costantino ad Alessandro lo conferma: Ario è venuto da lui e avevano
discusso di tali questioni.

Schwarz ha collegato questi dati con uno tratto da la vita di Costantino


che legge in Eusebio. Nel libro III, 23 dopo aver parlato del CN si dice che il
CN aveva messo pace nella cristianità tranne che in Egitto dove si continuava
a litigare e allora l'imperatore aveva di nuovo convocato i vescovi, senza dire
dove, e questi avevano provveduto alla pacificazione anche dell'Egitto. S.
collega questa notizia con un'altra ricavata dal documento C di Atanasio (apol.
contra arianos 44): Atanasio qui afferma che la pace con i meliziani conclusa
da Alessandro era avvenuta 5 mesi prima di morire. Dato che Alessandro è
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morto nel 327 e il CN è del 325, secondo S. vi sarebbe stata una seconda
convocazione del CN. Prende alla lettera il testo di Eusebio e ritiene che
Costantino, due anni dopo la chiusura del primo CN avrebbe riconvocato
questo secondo CN che avrebbe riabilitato Ario, pur senza giustificare la sua
dottrina. I 5 mesi riguardo alla pace coi meliziani correrebbero da questo II
Concilio che si sarebbe occupato in particolare della situazione dell'Egitto e di
conseguenza in questo IIC, Alessandro avrebbe fatto pace coi meliziani e poi,
5 mesi dopo sarebbe morto.
S. ricostruisce la vicenda in questo modo:
Considera il primo documento il documento G, lettera in cui
Costantino si meraviglia che Ario non sia venuto da lui che lo aveva
convocato e lo riconvoca. Poi ci mette il documento H: generica professione
di fede di Ario ed Euzoio. A seguito di questa professione di fede, Costantino
avrebbe riconvocato il CN che sulla base di questa professione di fede
avrebbe riabilitato Ario, lo avrebbe perdonato. A questo punto Ario è libero e
non è più esiliato con domicilio coatto nell'Illirico, come succedeva a chi era
esiliato.
Segue la lettera di Costantino ad Alessandro (B) perché , resosi conto
della buona fede di Ario, lo riammetta. Intanto scrivono Teognide ed Eusebio
(A) in protesta perché vogliono rientrare dall'esilio. Così vengono riammessi
entrambi.
A questo punto c'è un fatto che inceppa la politica di Costantino: muore
Alessandro. Subentra Atanasio. La lotta coi meliziani riprende violenta e
Costantino per il momento lascia stare Ario. Solo più tardi agisce prima
tramite Eusebio di Nicomedia e poi direttamente mandando quella lettera ad
Atanasio (documento C).
A questo punto c'è una reazione di Ario: Ario era stato riabilitato, ma in
definitiva era rimasto in sospeso. Il vescovo infatti gli proibiva di rientrare in
Egitto. Atanasio non aveva accettato la riabilitazione di Ario. Così scrive quella
lettera che è il documento D: qui egli si lamenta presso Costantino di questa
situazione abnorme nella quale si trova e cioè riabilitato dal concilio ma
impossibilitato a tornare a casa perché Atanasio rifiuta di accettare le
decisioni di tale concilio. Questa lettera irrita Costantino che risponde col
documento E: lettera piena di male parole ma che alla fine conclude a
tarallucci e vino!!! e lascia aperta una bella porta perché Ario possa ottenere
quello che vuole.
Il documento F conferma la presa di posizione. Nel momento stesso in
cui Costantino si dà da fare per la riabilitazione personale di Ario, egli vuole
che sia ben chiaro che la dottrina di Ario precedente è da condannare e da
tenere ben distinta dal personaggio Ario e fa ratificare la condanna (333). A
questo punto tutto è pronto per la riabilitazione di Ario, che si avrà subito dopo
a Gerusalemme, immediatamente dopo la conclusione di CT che aveva
condannato e deposto Atanasio.

Questa ricostruzione è stata contestata da G. Bardy

La ricostruzione di Bardy

B. attacca la ricostruzione di S. e l'attacca sull'evidente punto debole


di S.: l'ipotesi di un secondo CN. Un concilio di cui nessuno parla, nessuna
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fonte. Eusebio non parla di una riconvocazione di un CN, ma genericamente
del fatto che Costantino riconvoca i vescovi presso di sé. S. aveva pensato
alla riconvocazione del CN perché fa questo ragionamento: Ario è stato
condannato dall'assise massima della chiesa cristiana (un concilio
ecumenico). Per cassare quella condanna deve esserci stato per lui qualcosa
di analogo e cioè un altro C ecumenico, che crede essere stato convocato a
Nicea.

La mancanza di notizie precise su questa riconvocazione di un grosso


C ecumenico spinge Bardy a misconoscere completamente la ricostruzione di
S.
Bardy invece presenta una ricostruzione molto lineare.
333: conferma della condanna (F). Ario si lamenta (D) e Costantino
risponde con la lettera piena di parolacce (E). Solo dopo la conferma della
condanna di Ario e delle sue opere, dato che la situazione ormai evolveva a
favore degli antiniceni, Atanasio era in difficoltà (C). Costantino avrebbe
inviato la lettera del documento G, alla quale Ario risponde con il documento
H in preparazione della riabilitazione finale che si avrà al CT.

I punti deboli di questa ricostruzione di Bardy sono i documenti A e B. Il


documento A fa pensare che Ario è stato richiamato già prima del 328 e
abbiamo la conferma dal documento B, che è del 327, ove Costantino dice
che Ario è venuto da lui. Bardy ha presente naturalmente questi due
documenti, ma se ne libera con troppa disinvoltura.
Il documento B è indirizzato da Costantino ad Alessandro (non è
specificato a quale= riportata da Gelasio di Cizico nella sua storia eccl.).
Bardy ipotizza che questo Alessandro non sia A. di Alessandria ma di
Costantinopoli. Infatti proprio nel 335 per breve tempo fu vescovo a
Costantinopoli un Alessandro. Così Bardy pensa che il testo sia molto più
tardo e che questa lettera sia stata indirizzata a questo A. di Costantinopoli.
Lo stesso Gelasio che riporta la lettera però la interpreta come interpretata ad
Alessandro di Alessandria (anche se il testo della lettera non riporta la
specificazione). B. pensa ad una illazione di Gelasio, ma noi non possiamo
non pensare che Gelasio dalla fonte da cui attingeva la lettera poteva anche
ricavare che la lettera era indirizzata ad Alessandro di Alessandria. Non
possiamo essere sicuri.
Ma altro punto più dolente è il documento A: B. qui non fa altro che
considerare falsificato il documento. Ma per questa scappatoia cfr. quanto
detto supra supra [all'inizio].
Il testo è strano e sconcertante, ma proprio per questo non ce ne si può
sbarazzare: scatta anzi il criterio della lectio difficilior. Il falso ha un motivo
grosso in antichità (cfr. epistole paoline; cfr. il periodo del VI-VII secolo -
fucina di falsi-: scrivono falsi non per una loro personale consolazione, ma
perché volevano puntellare la loro posizione traballante o compromessa; gli
apollinaristi fanno passare sotto il nome di Poalo di Samosata alcuni testi per
indebolire la posizione degli avversari; Crusel che trova in Gregorio il
Taumaturgo la frase uno quanto all'ipostasi e due quanto all'epinoia - frase di
contenuto monarchiano - dice che è un falso. Ma quando il testo era stato
fatto vedere a Basilio, questo rimase sconcertato. Basilio che aveva tutto
l'interesse a dire che era un falso non mette in dubbio l'autenticità di
quell'espressione).

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Dobbiamo tenerci più vicini a S che a B. L'unico punto debole di S. è
aver ipotizzato che per cassare le decisioni di CN ci volesse un concilio delle
stesse dimensioni e ufficialità del CN. Non tiene conto del potere dispotico
di Costantino che invece manovra ormai a suo piacere. Subito dopo il CN,
Costantino capisce di essersi spinto troppo in un senso, che non è gradito alla
maggioranza dell'episcopato orientale e cerca di aggiustare al situazione e
riportarla in equilibrio. In questo equilibrio è contemplata la riabilitazione di
Ario, purchè Ario dia qualche cenno di resipiscenza. Costantino convoca
presso di sé, forse a Nicomedia dove risiede, un po' di vescovi che aveva
sottomano. Ormai era già cominciata l'abitudine di questi vescovi di andare a
corte per avere favori di vario genere: andazzo sempre ripreso e biasimato
dai moralisti ma che andrà sempre avanti. Presso l'imperatore c'era sempre
un gruppo di vescovi, tanto che questo costume ad un certo punto a
Costantinopoli verrà normalizzato con il cosiddetto sinodos endemousa.
Quando era necessario si chiamavano tutti i vescovi di passaggio a
Costantinopoli e si faceva una riunione, una specie di sinodo perpetuo. In ogni
momento si potevano riunire perché ce n'era sempre un gruppetto. Così ha
fatto Costantino: ha riunito un po' di vescovi e ha riabilitato Ario.

Rispetto a S., Simonetti tende a mettere all'origine non G e H come S.,


ma un po' più tardi.

Ricostruzione di Simonetti

All'origine c'è il conciliabolo, il piccolo concilio che Eusebio ricorda in


V.Cost. 3,23. Per motivi che non conosciamo, ma che ipotizziamo, Costantino
considera una mossa politically correct riabilitare Ario. Scrive B ad
Alessandro provocando il documento A di Teognide ecc… Ipotizzando una
piccola riunione episcopale, si spiega meglio tutto l'andamento dei fatti e
soprattutto la situazione ambigua in cui si viene a trovare Ario. Se Ario fosse
stato riabilitato da un grande IICN, non si spiega la resistenza di Atanasio,
non si spiega il documento B (Costantino dice di aver parlato con Ario, falli
venire preso di te, se vedi che la loro fede è corretta allora accoglili ad
Alessandria) ma se questi sono stati riabilitati davvero da un IICN Costantino
non avrebbe potuto parlare in questi termini. Egli parla in questi termini perché
la riabilitazione è avvenuto non alla chitichella ma quasi: un piccolo gruppetto
di vescovi. Così Costantino deve dire ad Alessandro di vagliare il problema. Si
spiega così il documento D, la reazione di Ario, il quale si attendeva da
questo piccolo concilio il rientro e invece non riesce e si lamenta. Provoca la
reazione di Costantino E ed F.
A questo punto si collocherebbero G e H. Quando si prepara una
riabilitazione in grande di Ario. Siamo agli antefatti del CT. Gli avversari di
Atanasio sono decisi a silurarlo e Costantino oramai è d’accordo. Infatti al CT
il potere politico (il magistrato sorvegliante dell'andamento) fu totalmente dalla
parte degli accusatori di Atanasio. Anche la famosa inchiesta in Mareotide si
svolse così perché la commissione d'inchiesta aveva dalla sua l'appoggio del
potere politico (polizia e organi che potevano esercitare forza e violenza sui
possibili testimoni).

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In una atmosfera così cambiata, i vecchi amici di Ario (Eusebio e co.)
che lo hanno abbandonato a CN e che adesso lo rifiutano dal punto di vista
dottrinale, ma che però lo vogliono riabilitare personalmente, morto
Alessandro, trovandosi in difficoltà Atanasio, sbarazzatisi degli avversari come
Eustazio e co., pensano di essere in grado di ottenere una riabilitazione di
Ario non alla chetichella ma ben più consistente, che abbia tutti i connotati
dell'ufficialità.
Qui si collocano G e H. Il rinnovato invito di Costantino e il documento
che deve servire per la riabilitazione.
Così arriviamo a CT e al successivo CGerusalemme.
Anche Simonetti, come gli altri [anche lui è un uomo?], per portare
avanti questa ricostruzione devono distinguere la dottrina di Ario dal
personaggio. Infatti c'è un concilio del 333 che conferma la condanna di Ario
in quanto eretico che è documento forte. In questo modo si rende conto di tutti
i documenti che abbiamo a disposizione. Con la ricostruzione data non c'è
bisogno di postulare un II CN. Ci contentiamo di qualcosa di più alla mano e
rendiamo conto di tutta la documentazione (vs Bardy).
Il documento B lo consideriamo inviato ad Alessandro di Alessandria
(come voleva Gelasio di Cizico), senza ritardarlo.

La mossa disperata di Atanasio di abbandonare il CT e di sanzionare la


sua condanna, sperando che un appello diretto a Costantino potesse risolvere
ancora a suo favore la situazione come era stata precedentemente. Il
tentativo fallisce. Costantino lo fa deporre e lo manda in esilio a Treviri, in
Germania cioè il più lontano possibile, per toglierselo da i piedi.

Non era ancora finito il CT che tutti i vescovi si precipitano a


Gerusalemme per la riunione di un nuovo concilio. La rapidità è dovuta al
fatto che Costantino inaugurava solennemente a Gerusalemme la basilica del
Santo Sepolcro - primo dei grandi edifici che lui e la madre fecero costruire a
Gerusalemme. Tale inaugurazione doveva essere fatta con grande sfarzo e
convenivano una schiera di vescovi per presenziare questa cerimonia. Ottima
occasione per riunire questi vescovi e dato che ormai si erano liberati di
Atanasio potevano ottenere la riabilitazione completa di Ario.
Ario manda la lettera su consiglio di Eusebio evidentemente, con la
professione genericissima, inoppugnabile, che quindi poteva valere per quello
che serviva: affermare che Ario aveva rinnegato i suoi errori. Ario invece
poteva sottoscrivere la lettera mantenendo tutte le sue convinzioni. Ormai la
ruota girava dalla sua e quello che si voleva era solo una ritrattazione di
carattere formale. La documentazione del CG è quasi inesistente. Solo
qualche breve notizia degli storici eccl. e di Atanasio. Pare sia stato
brevissimo, e del resto faceva comodo a tutti che lo fosse. Doveva certo
essere qualcosa di ufficiale, come il convegno del 327 non era stato. Ora
sono a Gerusalemme, la grande occasione, grande pubblicizzazione ecc…
A nessuno fa comodo entrare nel merito dei fatti e della dottrina. Infatti
Costantino ha rinnovato la condanna di Ario in quanto eresiarca. Ci si
accontenta della lettura della lettera di Ario ed Euzoio, i due vengono riabilitati
e Ario viene autorizzato a rientrare ad Alessandria. Ma Ario muore proprio
allora, prima di rientrare. Ovviamente gli storici antiariani ci ricamano
parecchio sopra questo fatto…

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Mentre i vescovi deposti ed esiliati fino ad allora (Eustazio, Marcello &
co.) vengono tutti sostituiti, Costantino preferisce non dare successione ad
Atanasio.
Costantino muore nel 337 e la controversia ariana assume un aspetto
tutto diverso in conseguenza della diversa conformazione politica che assume
l'impero dopo la morte di Costantino, a significare ormai la prevalente
componente politica di questi contrasti.
Anche questo gesto politico di Costantino molto avveduto, è
significativo. Costantino ha capito che dare con la forza un successore ad
Atanasio in una sede come Alessandria d'Egitto poteva provocare grossi guai.
Infatti negli anni successivi sarà proprio così: succedono pasticci ogni volta
che si darà un successore ad Atanasio.

L'elemento etnico
Tutto questo è come una prima avvisaglia di una nuova componente
che gradualmente diventerà sempre più importante nelle controversie
religiose: la componente etnica. In genere viene sottovalutata e soprattutto
viene molto distanziata nel tempo. Nel VII secolo, quando gli arabi
invaderanno l'Egitto, dove c'è contrasto tra monofisiti (appoggiati dai locali) e
difisiti (appoggiati da Costantinopoli), molti monofisiti appoggeranno gli arabi
in odio al potere politico centrale.
Questo è un fatto ben documentato. La tendenza degli studiosi moderni
(Frend) tende a sottovalutare questa componente etnica (cioè la reazione
delle popolazioni indigene contro l'ellenismo culturale e il dominio politico
romano). Questa componente etnica si sarebbe fatta sentire molto tardi, ma
Simonetti non è d’accordo.
Nel VI sec. i difisiti dai loro avversari sono chiamati melchiti (=parola
siriaca che vuol dire imperiali … nomignolo quanto mai trasparente) i
monofisiti sono chiamati giacobiti (da Giacomo che è il riorganizzatore di tutto
il partito monofisita). Gli avversari dei monofisiti sono quelli che stanno col
potere centrale di Costantinopoli.
Ma già nello scisma meliziano Simonetti vede dei contraccolpi di
carattere etnico: la reazione delle popolazioni subalterne contro il potere
centrale. Quando negli anni 40-50 Atanasio viene scacciato, vi sono sempre
violenze, stragi e morti. E' difficile non vedervi dietro una componente politica.
Lo stesso accade in Africa contemporaneamente: il donatismo che si
alimenta ad uno spirito antiromano.
Il cristianesimo coagula, dà consistenza al senso di frustrazione delle
popolazioni. Questo è fondamentale per capire la storia del cristianesimo in
oriente a partire dal IV secolo.
L'oriente si presenta come greco, ma cosa vuol dire? In Egitto, in Siria i
greci erano i ceti elitari, il gruppo egemone che aveva represso le plebi e la
cultura locali. E' chiaro che questa gente, gli strati inferiori più tartassati dal
fisco, mordevano il freno. Per questa gente il cristianesimo - tenendo presente
che nel mondo antico la componente religiosa è determinante, ha valore
strutturante nella compagine sociale - si presenta come una forma di
contestazione verso il potere centrale. E' qualcosa che dà consistenza e
coscienza a questa gente.
La letteratura copta, siriaca ecc.. sono letterature esclusivamente
cristiane: non esiste una letteratura copta profana. Questo la dice lunga sul
significato di queste resipiscenze delle culture locali. Per loro il cristianesimo
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era l'elemento che favoriva il loro recupero, il loro risorgere alla ribalta della
storia. Per secoli il cristianesimo è stata una religione vietata. Perché allora il
donatismo assume tanta forza in Africa? Perché tanti africani erano diventati
cristiani in odio al potere centrale: dal momento che la religione era illecita,
l'avevano abbracciata in odio al potere politico. Quando poi vedono che la
religione si schiera dalla parte di Costantino, questi si sentono ingannati: ma
come? io mi sono fatto cristiano per andare contro il potere centrale e adesso
il mio vescovo mi dice che devo essere leale, leale cittadino ecc..??
Secondo Simonetti nello scisma meliziano c'è qualcosa del genere. La
reazione contro il patriarca di Alessandro è anche legata a questo fatto. Il
patriarca di Alessandria è ormai quasi un funzionario, ha una serie di poteri
che esulano completamente dal campo religioso (ambito amministrativo,
economico ecc…). Ormai questa componente in oriente diventa sempre più
determinante ed è quella che fa sì che questi contrasti ad un certo punto non
hanno più possibile soluzione perché radicati troppo profondamente nel
tessuto sociale. L'elemento religioso non è mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai,
un pretesto (anche se c'è una tendenza storiografica recente paleomarxista
che ancora tenta di trasferire categorie moderne nel mondo antico). Ma nel
mondo antico l'elemento religioso è troppo importante e non è mai, mai, mai,
mai, mai, mai, mai, un pretesto.
Ora però si congloba con altre motivazioni di altro genere e sono
queste che rendono irrisolvibile la questione dal punto di vista strettamente
religioso. Assistiamo agli inizi di questo fenomeno. Costantino, che era una
mente politica di eccezionale capacità e lucidità, ha intuito che dare un
sostituto ad Atanasio avrebbe potuto innescare - come avverrà - un
processo di reazione antiromana e antiimperiale. Lo capisce e lascia le
cose come sono.
Atanasio va allontanato perché turba la pace dell'Egitto e fuori
dell'Egitto, ma è pericolosa la successione. Qui ci sono le prime avvisaglie di
una connessione della religione con il fattore sociale ed etnico qualcosa che
determinerà e complicherà tutta la storia del cristianesimo da punto di vista
ideologico.

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