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Giovanni Garbini

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Paideia Editrice
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d1 Femc1, Aramei, Ebrei, NQrdarabL, ·---··-··----, - -- -,. .

dalla metà del II millennio a.C. alla metà del I d.C.


Le pagine di Giovanni Garbini sono un quanto mai interessante
saggio storico, che per mezzo di un ricco materiale
epigrafico - più di 150 sono le iscrizioni riprodotte nel Lesto,
accompagnale da traslitterazione e traduzione - contribuisce
a chiarire:situaz,ioni stqriche.e culturali fino a oggi non percepite
nel giusto valo�e. Senza queste iscrizioni nulla si saprebbe
della civilt� sudarabica o della più antica civiltà etiopica
'

o dei carovanieri e dei npmadi che pe}'.correvano le piste del deserto


arabo-siriano, e certo molto meno si conoscerebbe dei Fenici
e delle vicende più remote di Siria e Palestina.

Giovanni Garbini,):i,qii nario di Filologia Semitica all'Università


di Roma «La Sapienza» e socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei,
ha svolto ricerche epigrafiche in Israele, Malta, Yemen ed Etiopia.
Al lettore Paideia noto per i suoi saggi di ricerca biblica, è autore
di numerosi studi di linguistica semitica, spesso riedili
e pubblicati anche all'estero.

svo 04 € 49,70

ISBN 88.394.0716.2
Dello stesso autore nelle edizioni Paideia:
Cantico dei cantici
Introduzione alle lingue semitiche (con O. Durand)

Note di lessicografia ebraica


Mito e storia nella Bibbia

Il ritorno dall'esilio babilonese


Storia e ideologia nell'Israele antico
Giovanni Garbini

Introduzione
ali' epigrafia semitica

Paideia
Tutti i diritti sono riservati
© Paideia Editrice, Brescia 2006 ISBN 88.3 94.07 1 6 . 2
a Paolo
mio caro sostegno
Figure, tavole e carte geografiche nel testo sono opera di Maria Teresa Francisi,
alla quale autore ed editore manifestano la più viva gratitudine per l'impegno e
la perizia profusi in un lavoro spesso non semplice.
Indice del volume

11 Elenco delle sigle


15 1 . L'epigrafia semitica
22 2. Le scoperte e gli studi
22 Le origini
25 I l periodo aureo ( 1 8 5 0- 1 9 1 5)
30 Il Novecento
43 3. Origine dell'alfabeto
61 4 . L e iscrizioni del Tardo Bronzo
61 Introduzione storica
63 Iscrizioni «pseudo-geroglifiche» di Biblo
66 Iscrizioni protosinaitiche
71 Iscrizioni fenicie (1)
Iscrizioni fenicie in alfabeto cuneiforme, 77
79 Iscrizioni in scritture sconosciute
81 5 . Le iscrizioni nordoccidentali degli stati indipendenti
( 1 1 50- 5 86 a.C.)
81 Introduzione storica
84 Iscrizioni fenicie (n)
Il fenicio in Palestina, 96 Iscrizioni filistee, 99
·

Iscrizioni della Samaria, 101 ·Iscrizioni ammonitiche, 105


1 07 Iscrizioni moabitiche
108 Iscrizioni aramaiche (1)
Iscrizione su intonaco da Deir Alla, 119
1 20 Iscrizioni ebraiche
1 29 6. Le iscrizioni nordoccidentali
nel periodo neobabilonese e persiano (5 8 5-330 a.C.)
1 29 Introduzione storica
1 30 Iscrizioni fenicie (m)
147 Iscrizioni aramaiche (n)
171 7. Le iscrizioni nordoccidentali
nel periodo ellenistico e romano (330 a.C. - v sec. d.C.)
171 Introduzione storica

9
Indice del volume

174 Iscrizioni fenicie (Iv)


Iscrizioni puniche, 1 78 · Iscrizioni neopuniche, 1 89
Iscrizioni latino-puniche, 1 9 5
202 Iscrizioni aramaiche (111)
Iscrizioni nabatee, 209 · Iscrizioni palmirene, 2 1 9
Iscrizioni nordmesopotamiche, 2 2 6 Iscrizioni elimaiche, 2 3 1
·

23 5 8 . Origine e diffusione della scrittura meridionale


24 5 9. Le iscrizioni teimanite e nordarabiche
246 Iscrizioni teimanite (IX-VI sec. a.C.)
2 52 Iscrizioni nordarabiche
Teima, 2 5 2 · Dedan, 2 5 7 · Iscrizioni tamudene, 261 · Iscrizioni safaitiche, 271
Iscrizioni nordarabiche dell'Arabia centrale e meridionale, 274
Iscrizioni hasee, 2 76
280 10. Le iscrizioni sudarabiche fino alla fine di Main
(IX-II sec. a.C.)
280 Introduzione storica
285 Iscrizioni minee
29 5 Iscrizioni sabee (I)
Iscrizioni sabee d'Etiopia, 306
3 12 Iscrizioni qatabaniche (I)
317 Iscrizioni hadramutiche (1)
32 5 1 1 . Le iscrizioni sudarabiche dalla comparsa dei Himyariti
alla conquista persiana (11 sec. a.C. - VI d.C.)
32 5 Introduzione storica
3 29 Iscrizioni qatabaniche (11)
33 1 Iscrizioni hadramutiche (11)
335 Iscrizioni sabee (11)
355 12. Le iscrizioni etiopiche (vm sec. a.C. - VI d.C.)
3 69 1 3 . Guida bibliografica

38 5 Indice analitico
406 Indice degli autori moderni
41 1 Indice delle figure nel testo
416 Indice delle tavole
417 Indice delle carte geografiche
Elenco delle sigle

AAASH Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae


AAE Arabian Archaeology and Epigraphy
ADAJ Annua! of the Department of Antiquities of Jordan
AEPHE Annuaire École Pratique des Hautes Études
AfO Archiv fiir Orientforschung
AION Annali dell'Istituto Orientale di Napoli
AM Asia Maior
AO Aula Orientalis
AP A. Cowley, Aramaic Papyri of the Fifth Century B. C., Oxford 1 9 2 3
AS Anatolian Studies
BAALIM Bulletin d'antiquités archéologiques du Levant inédites ou mécon­
nùes (pubblicato in Syria)
BASOR Bulletin of the American Schools of Orientai Research
BCH Bulletin de Correspondance Hellénique
BIA Bulletin of the Institute of Archaeology. University of London
BMB Bulletin du Musée de Beyrouth
BO Bibliotheca Orientalis
BSOAS Bulletin of the School of Orientai and African Studies
CB Cahiers de Byrsa
CEC Centre d'Études Chypriotes
CIAS J. Pirenne, Corpus des inscriptions et antiquités sud-arabes
CIH CIS. Pars quarta, inscriptiones �imyariticas et sabaeas continens
CIS Corpus inscriptionum Semiticarum
CRAI Comptes rendus de l'Académie des lnscriptions et Belles-Lettres
CSAI A. Avanzini, Corpus of South Arabian Inscriptions I-III, Pisa 2004
DBS Dictionnaire de la Bible. Supplément
El Eretz-Israel
EpAn Epigraphica Anatolica
ETL Ephemerides Theologicae Lovanienses
EV Epigrafika Vostoka
EVO Egitto e Vicino Oriente
Fa iscrizioni trovate da A. Fakhry, pubblicate da G. Ryckmans
c;l.ECS Groupe Linguistique d'Études Chamito-Sémitiques (comptes ren­
dus)
11do Handbuch der Orientalistik
I t\ Iranica Antiqua

II
Elenco delle sigle

IEJ Israel Exploration Journal


IF Indogermanische Forschungen
IOS Israel Orientai Studies
Ja iscrizioni pubblicate da A. Jamme
JAOS Journal of the American Orientai Society
JEA The Journal of Egyptian Archaeology
JEOL Jaarbericht 'Ex Oriente Lux'
JFAH Journal of the Faculty of Arts and Humanities. King Abdul
Aziz University. Jeddah
JNES Journal of Near Eastern Studies
JOS Journal of Oman Studies
]RAS Journal of the Royal Asiatic Society
JSOT Journal for the Study of the Old Testament
JSS Journal of Semitic Studies
KAI H. Donner - W. Rollig, Kanaandische und aramdische Inschriften,
Wiesbaden
LA Studii Biblici Franciscani Liber Annuus
ME Mare Erythraeum
MUSJ Mélanges de l'Université Saint-Joseph
NC Numismatic Chronicle
NESE Neue Ephemeris fiir semitische Epigraphik
OA Oriens Antiquus
PAT D.R. Hillers - E. Cussini, Palmyrene A ramaie Texts, Baltimore 1 996
PdP La Parola del Passato
PEQ Palestine Exploration Quarterly
PSAS Proceedings of the Seminar for Arabian Studies
RA Revue d 'Assyriologie
RANL Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei
RB Revue Biblique
RDAC Report of the Department of Antiquities, Cyprus
RE E. Bernand - A.]. Drewes - R. Schneider, Recueil des inscriptions
de l'Éthiopie des périodes pré-axoumite et axoumite, Paris 1 99 1
REPPAL Revue des Études Phéniciennes e t Puniques e t des Antiquités Li­
byques
RES Répertoire d'épigraphie sémitique
RSE Rassegna di Studi Etiopici
RSF Rivista di Studi Fenici
RSO Rivista degli Studi Orientali
RSP Rivista di Studi Punici
Ry iscrizioni pubblicate da G. Ryckmans
SEL Studi Epigrafici e Linguistici sul Vicino Oriente Antico
SM Studi Magrebini
SOAW Sitzungsberichte der O sterreichischen Akademie der Wissenschaf­
ten. Philosophisch-historische Klasse

12
Elenco delle sigle

TA Tel Aviv
UF Ugarit-Forschungen
VT Vetus Testamentum
WZKM Wiener Zeitschrift fiir die Kunde des Morgenlandes
ZAh Zeitschrift fiir Althebraistik
ZAL Zeitschrift fiir arabische Linguistik
Z ÀS Zeitschrift fiir agyptische Sprache und Altertumskunde
ZDPV Zeitschrift des Deutschen Palastina-Vereins
1. L'epigrafia semitica

Quando si affronta lo studio di una disciplina è naturale chiedersi in pri­


mo luogo di che cosa essa si occupi e in via subordinata quali siano i
suoi scopi e i suoi metodi. Nel caso della epigrafia semitica una doman­
da di questo genere assume un'importanza essenziale perché di fatto ci
troviamo di fronte a un'epigrafia che non si interessa soltanto di epigra­
fi e a un uso del termine semitico molto più ristretto rispetto a quello
generalmente fatto nell'ambito linguistico: molte lingue semitiche non
rientrano infatti nel campo di indagine dell'epigrafia semitica. L'anoma­
lia di questa situazione è il risultato di una prassi che si è progressiva­
mente consolidata negli ultimi centocinquanta anni senza essere accom­
pagnata da un'adeguata riflessione metodologica.
Il problema della delimitazione del campo dell'epigrafia semitica si po­
se per la prima volta ad Ernest Renan quando si accinse a realizzare il
Corpus inscriptionum Semiticarum: nel progetto approvato dalla Acadé­
mie des Inscriptions et Belles-Lettres il 1 7 aprile 1 867 il famoso studio­
so affermava che la raccolta che egli proponeva avrebbe dovuto conte­
nere tutti «les textes anciens en langues sémitiques écrits en caractères sé­
mitiques», ad esclusione pertanto dei testi cuneiformi babilonesi e assi­
ri, che per il Renan non erano redatti in una «scrittura semitica» e che
del resto già allora costituivano «une spécialité scientifique tout à fait à
part». Il Corpus doveva comprendere, secondo questo progetto iniziale,
le iscrizioni fenicio-puniche, ebraiche, aramaiche (in senso stretto, cioè
quelle del I millennio a.C.), palmirene, nabatee, siriache, mandaiche,
nordarabiche, sudarabiche ed etiopiche.' La storia successiva del Cor­
pus stesso e dell'epigrafia semitica ha messo in luce la difficoltà di indi­
viduare esattamente quali fossero i «textes anciens». Quello che può
considerarsi il padre dell'epigrafia semitica moderna, Mark Lidzbarski,
iniziava il suo classico Handbuch der nordsemitischen Epigraphik, pub­
blicato a Weimar nel 1 898, con queste parole: «L'epigrafia è la scienza
delle iscrizioni, cioè delle legende applicate con uno strumento appunti­
to, in scrittura a rilievo o a incisione, su materiale durevole, come la pie-
' Cf. A. Dupont-Sommer, Ernest Renan et le Corpus des inscriptions sémitiques, Paris
1968, pp. 9-10.
L'epigrafia semitica

tra o il metallo. Dovrebbero perciò appartenere all'ambito dell'epigrafia


semitica tutte le iscrizioni che i semiti hanno redatto nelle loro lingue»
(p. 1 ) . L'uso del condizionale, in questa definizione onnicomprensiva,
anticipa le parole successive: «Per ragioni pratiche, tuttavia, il concetto
viene limitato, in quanto sono escluse le iscrizioni dei Babilonesi e degli
Assiri», e ciò perché la loro scrittura si differenzia nettamente da quella
usata dagli altri popoli di lingua semitica; perciò «l'epigrafia semitica si
occupa soltanto di quelle iscrizioni che sono state redatte in una lingua
semitica e in una delle varietà di scrittura alfabetica create dai semiti» (ib i­
dem). Dopo queste premesse, chiaramente ispirate alle idee del Renan,
il Lidzbarski passa a giustificare il contenuto del suo manuale che non
corrisponde in pieno ai principi enunciati in queste sue «Vorbemerkun­
gen»: abbandonato il criterio linguistico e quello paleografico Io studio­
so fa tutt'altre considerazioni. Limitando subito il discorso all'epigrafia
nordsemitica (senza tuttavia spiegare adeguatamente perché egli in que­
sta non includa le iscrizioni arabe, delle quali si dice soltanto che esse
«sono fortemente influenzate dall'islam e pertanto si differenziano, an­
che per il contenuto, dalle iscrizioni sudsemitiche con il loro carattere
cristiano o pagano», p. 2 ), il Lidzbarski enumera le iscrizioni nordsemi­
tiche: fenicie (comprese le puniche e le neopuniche), moabitiche, ebrai­
che e samaritane per il gruppo cananaico; aramaiche, nabatee (e sinaiti­
che), palmirene, siriache e mandaiche per quello aramaico. Di queste,
tuttavia, le iscrizioni ebraiche, samaritane, siriache e mandaiche dovran­
no essere studiate solo marginalmente, poiché delle rispettive popola­
zioni «ci è giunta una letteratura talvolta ricca, e noi, dal punto di vista
linguistico, dalle iscrizioni non veniamo a sapere quasi nulla che non co­
nosciamo già dalla letteratura» (p. 3). Coerentemente con questo assun­
to, il Lidzbarski offre un'antologia di iscrizioni nordsemitiche estrema­
mente povera di materiale ebraico, samaritano e siriaco e senza iscrizio­
ni mandaiche. Il criterio paleografico (scrittura consonantica) che aveva
guidato il Renan viene dal Lidzbarski ulteriormente circoscritto da con­
siderazioni di carattere culturale (mancanza di un corpus letterario) che
peraltro non sono applicate nel caso dell'aramaico, data l'esistenza del­
l'aramaico biblico. In pratica, Io studioso tedesco condivise la posizione
del Renan, precisando tuttavia il senso dei «testi antichi» da privilegiare:
si trattava di quella documentazione linguistica che non veniva illumi­
nata e arricchita da una parallela produzione letteraria giunta fino a noi.
Il problema di una definizione della «epigrafia semitica» fu affrontato
di nuovo solo nel 1 960. Nel xxv Congresso internazionale degli orien­
talisti tenutosi in quell'anno a Mosca, David Diringer presentava una
L'epigrafia semitica

comunicazione intitolata Some problems of «Semitic epigraphy»,' dove


l'uso delle virgolette ben rifletteva la consapevolezza di usare un termi­
ne ormai puramente convenzionale; nel suo discorso lo studioso osser­
vava che una epigrafia semitica dovrebbe abbracciare «l'epigrafia di
tutte le lingue considerate semitiche», e dunque anche quella accadica,
neoebraica e neoaramaica; ma che di fatto l'espressione veniva circo­
scritta al materiale semitico nordoccidentale antico, «sebbene l'epigrafia
semitica meridionale, quando non specificato, dovesse intendersi an­
ch'essa inclusa» (p. p9). Il Diringer delinea chiaramente la situazione
quando rileva che «in pratica, la parola 'epigrafia' deve essere intesa in
un senso più ampio della sua normale accezione» perché in essa vengo­
no inclusi anche «gli scritti su materiale meno durevole, come la perga­
mena e il papiro», visto che non esistono né una paleografia semitica
antica né una paleografia semitica nordoccidentale. Dopo queste giuste
considerazioni preliminari è tuttavia mancato un approfondimento
metodologico: lo studioso elude il problema, che non si era posto né al
Renan né al Lidzbarski, della scrittura in «cuneiforme alfabetico» in­
ventata e usata ad Ugarit: per essa deve prevalere il criterio del «cunei­
forme» non semitico o del principio consonantico seguito dai semiti oc­
cidentali ? Restando sulle generali, il Diringer faceva comunque un'altra
osservazione assai pertinente, e cioè che l'epigrafia semitica era stata fi­
no allora «generalmente considerata come un'appendice allo studio del­
le lingue semitiche o dell'Antico Testamento o dell'archeologia del Vi­
cino Oriente», augurandosi perciò «che un giorno essa sarà riconosciu­
ta come una branca di studio autonoma» (p. 3 3 2).
L'auspicio espresso dal Diringer ha incominciato a realizzarsi pochi
anni più tardi, quando Maurice Sznycer diede inizio ai suoi corsi di «An­
tichità ed epigrafia» presso l' École Pratique des Hautes Études di Parigi
con un ciclo di conferenze intitolato «Iniziazione all'epigrafia nordse­
mitica».2 Illustrando l'ambito, gli scopi e i metodi della disciplina, lo stu­
dioso affermava: «l'epigrafia nordsemitica deve essere considerata come
un dominio scientifico indipendente e autonomo, che include la deci­
frazione, la lettura, la spiegazione e l'utilizzazione storica di tutte le iscri­
zioni fenicie, ebraiche, puniche, neopuniche, aramaiche ed altre, sole fon­
ti dirette, di un'importanza spesso capitale, per la conoscenza dell'uno
o l'altro aspetto della storia e della civiltà dei Fenici, degli antichi Ebrei,
1 In Trudy 25° meidunarodnogo kongressa vostokovedov. Moskva 1960, Moskva 1962,
PP· 3 29-3 36.
2 Initiation à l'épigraphie nord-sémitique, in AEPHE 197 1 - 1972, pp. 143- 1 5 3 (il corso si
era svolto nell'anno 1 970- 1 97 1 ).
L'epigrafia semitica

degli Aramei, dei Punici, ecc.» (p. 1 44). La chiara definizione dello Szny­
cer è il risultato di più di un secolo di studi praticati nell'ambito del­
l'epigrafia semitica e precisa il campo già delineato dal Lidzbarski per il
versante settentrionale della disciplina (è significativa la ripresa del ter­
mine «nordsemitico» ); al materiale epigrafico ricordato espressamente,
che si colloca in gran parte nel I millennio a.C., viene poi affiancato quel­
lo del II millennio a.C. (iscrizioni «protocananaiche», protosinaitiche,
ecc.), indispensabile specialmente per lo studio delle origini della scrittu­
ra consonantica, che ha sempre rappresentato uno degli argomenti più
cari all'epigrafia semitica. L'esclusione del materiale ugaritico data per
scontata e la mancanza di qualsiasi accenno ad una «epigrafia sudsemi­
tica» fanno supporre che il criterio che ha guidato l'epigrafista di Parigi
nella sua riflessione metodologica sia stato quello paleografico: l'epigra­
fia nordsemitica è quella che si occupa delle iscrizioni redatte nella scrit­
tura fenicia e in quelle da essa direttamente derivate; le iscrizioni che
presentano scritture come la nordarabica, la sudarabica e quella etiopica
antica (consonantica) saranno perciò l'oggetto dell'epigrafia sudsemitica.
In questo dibattito metodologico è intervenuto nel 1 977 lo scrivente
che, sottolineando il carattere di scienza storica dell'epigrafia semitica,
questa trova in tale sua natura il senso del suo progressivo definirsi. 1 «Ad
onta del suo nome, l'epigrafia semitica è una scienza che non ha nulla (o
ha ben poco) a che vedere con le vere discipline epigrafiche, come l'epi­
grafia greca, l'epigrafia latina o l'epigrafia islamica. Di fatto, lo studioso
di epigrafia semitica è sempre uno specialista che si occupa del Vicino
Oriente antico, di volta in volta nella veste di linguista, di storico, di
storico delle religioni. È solo la natura della documentazione ... che co­
stringe lo studioso della civiltà dei Fenici, degli Aramei, degli antichi
Arabi e delle popolazioni sudarabiche a occuparsi prevalentemente o
esclusivamente di iscrizioni . È questa sua intima natura di scienza sto­
..

rico-culturale applicata ad antiche culture prive di documentazione let­


teraria che spiega e giustifica lo sviluppo, apparentemente assurdo, del­
l'epigrafia semitica... Come disciplina di indagine storica, l'epigrafia se­
mitica ha automaticamente allontanato dal suo seno non soltanto la do­
cumentazione meno antica, ma anche quella più antica quando questa
non costituiva la fonte principale di informazione: così veramente si
spiega l'esclusione del materiale accadico e quella, tanto più significativa
in quanto mai giustificata,' del materiale ugaritico, mentre le iscrizioni
1 G. Garbini, Riflessioni sull'epigrafia semitica, in AION 37 ( 1 977), pp. 229-236.
2 Un esplicito riferimento all'esclusione del materiale ugaritico dall'epigrafia semitica è
stato fatto solo da A. Caquot, L 'épigraphie sémitique, in CRAI 1988, pp. 6 1 2- 6 1 7; in
L'epigrafia semitica

ebraiche 'quadrate' e quelle aramaiche palestinesi, nonché le siriache, le


mandee e le etiopiche antiche si trovano, sì, trattate più o meno saltua­
riamente, ma vengono di regola escluse dall'insieme dell'epigrafia semi­
tica. Tale è dunque la vera natura dell'epigrafia semitica: studiare le te­
stimonianze scritte (epigrafi, ma anche ostraca e papiri) delle culture se­
mitiche antiche di cui non possediamo un corpo letterario» (pp. 2 3 2-233).
La sola eccezione a questa definizione dell'epigrafia semitica è costituita
dalle iscrizioni ebraiche antiche, le quali anzi godono attualmente di
grande favore, nonostante l'esistenza di una tradizione letteraria costi­
tuita dall'Antico Testamento. Il fenomeno merita perciò un esame parti­
colare.
Il grande interesse per le iscrizioni ebraiche è motivato dal desiderio
di arricchire ed eventualmente confermare i dati offerti dall'Antico Te­
stamento, al quale ancora oggi quasi tutti gli studiosi assegnano una po­
sizione centrale nella ricerca storica sul Vicino Oriente antico. Alla base
di ciò vi è la sensazione, in tutti presente, dell'insufficienza della Bibbia
ebraica per una soddisfacente ricostruzione storica dell'ebraismo preesi­
lico: una sensazione che in non pochi studiosi è ormai diventata una cer­
tezza critica dopo la constatazione che, nonostante la presenza di scritti
antichi, la Bibbia come tale è un prodotto del giudaismo postesilico che
ha ripensato e riscritto anche i testi più antichi. In altre parole, lo studio
delle iscrizioni ebraiche antiche nell'ambito dell'epigrafia semitica costi­
tuisce un'eccezione soltanto in apparenza, perché di fatto tali iscrizioni
sono anteriori al corpus letterario che ci è pervenuto.
Definita così l'epigrafia semitica come la scienza che studia le antiche
culture semitiche prive di tradizione letteraria (come la fenicia, la nord­
arabica e la sudarabica) e la fase preletteraria delle culture aramaica, ebrai­
ca, araba ed etiopica, possiamo indicare in linea generale i diversi ambiti
dcl suo dominio.
In primo luogo si tratterà di tutte le iscrizioni provenienti dall'area fe­
nicio-palestinese datate al n millennio a.C., tra le quali presentano una
particolare importanza le protosinaitiche e le cosiddette protocananai­
chc; in tale contesto si colloca inoltre il problema dell'origine della scrit­
tura consonantica, diventato ormai particolarmente arduo. Viene poi la
documentazione grafica fenicia in tutte le sue manifestazioni, sia nella
una rapida presentazione della storia degli studi e delle scoperte più notevoli relativi a
tutta l'arca coperta dalla disciplina, lo studioso afferma: «la discipline a pour champ d'ap-
11lil'ation tout qui est écrit en une langue sémitique ancienne, au moyen de l'alphabet
i1u'.·airc invcnté, dit-on, par Ics Phéniciens. Cette définition exclut l 'ougaritologie qui
cc

s0t1l'l'llPl' dc tcxtcs sémitiqucs et alphabétiques, mais gravés sur l ' argile en signes cunéi­
lorllll'S• (p. 612).
L'epigrafia semitica

madrepatria sia nelle colonie, comprese le iscrizioni in caratteri greci e


quelle in caratteri latini; nell'ambito fenicio rientrano anche molte iscri­
zioni trovate in Palestina e redatte in lingua fenicia, come quelle filistee
e quelle ammonitiche, nonché il materiale israelitico in scrittura e lingua
fenicia. Vi sono poi le iscrizioni ebraiche, tutte anteriori all'esilio babi­
lonese (fino al 5 86 a.C.); sono invece escluse le iscrizioni in grafia detta
paleoebraica di età tardo-ellenistica e romana e quelle samaritane. Sono
inoltre prese in considerazione le iscrizioni palestinesi in altri dialetti o
lingue, come quelle in moabitico, edomitico e quella su intonaco trovata
a Deir Alla. Passando all'area linguistica aramaica, la cui documentazio­
ne non è finora anteriore al x secolo a.C., l'epigrafia semitica si occupe­
rà della fase più antica, compreso il dialetto di Samal, e dell'aramaico det­
to d'impero o «ufficiale», di qualsiasi provenienza. Per la Palestina si ar­
riverà al 200 a.C. (data ovviamente approssimativa), quando incomincia
la produzione letteraria in aramaico giudaico, mentre si scenderà di di­
versi secoli con il materiale nabateo, palmireno e hatreo. Verrà poi pre­
sa in considerazione tutta la produzione epigrafica nordarabica (quella
araba preislamica è quantitativamente inconsistente; forme «arabe» so­
no comunque presenti in testi redatti in altre lingue) in tutte le sue for­
me grafiche, l'insieme del materiale sudarabico e quello etiopico in scrit­
tura consonantica. L'origine della scrittura sudsemitica è stata rimessa
in discussione da scoperte recenti e costituisce un importante capitolo
dell'epigrafia semitica, insieme con lo studio delle fasi più antiche della
scrittura sudarabica, sottoposte anch'esse a una radicale revisione.
Tutto questo materiale viene trattato, di fatto, nell'ambito di tre di­
verse specializzazioni: la maggior parte degli epigrafisti attuali si occupa
di epigrafia nordsemitica e non di rado di un unico settore di essa; un
piccolo gruppo si dedica all'epigrafia sudarabica, con sporadiche incur­
sioni in quella etiopica, mentre le iscrizioni nordarabiche vengono sal­
tuariamente trattate dagli specialisti dei due gruppi precedenti. Sul pia­
no metodologico la distinzione fondamentale tra un'epigrafia semitica
settentrionale e una meridionale trova una giustificazione non soltanto
nel duplice sistema di scrittura ma anche e specialmente nella sostanzia­
le diversità culturale che divide il mondo siro-palestinese da quello
arabico, nonostante le lontane origini comuni e i molti contatti di epoca
storica. La nostra totale ignoranza dei processi e delle vicende che por­
tarono certe genti semitiche indubbiamente legate all'area siro-palesti­
nese e alla Mesopotamia a stabilirsi nello Yemen e sull'altopiano etiopi­
co ed altre a trasformarsi in carovanieri lungo le piste di un triangolo
che aveva i suoi vertici nel Hegiaz, all'imbocco del Golfo Persico e nel-

20
L 'epigrafia semitica

lo Yemen non facilita certo la comprensione della storia e della cultura


parzialmente rivelate dalla documentazione epigrafica sudsemitica.
Un aspetto tutt'altro che trascurabile dell'epigrafia semitica è che essa
si sostituisce spesso alla linguistica e alla filologia, rappresentando le
iscrizioni i soli documenti scritti esistenti relativi a importanti lingue
semitiche quali il fenicio, le fasi più antiche dell'aramaico e il sudarabico
antico, tanto per citare le principali delle lingue dette appunto «epigra­
fiche»; è per questo che nella fase pionieristica della nostra disciplina
quasi la metà del manuale del Lidzbarski era dedicata alla descrizione
linguistica del fenicio e dell'aramaico antico. Molte sono le benemeren­
ze dell'ormai più che secolare «epigrafia semitica»; la quale meriterebbe
un nome più adeguato al suo oggetto. 1
1 L'epigrafia semitica svolge di fatto le funzioni di quella che, sull'esempio della «filolo­

gia romanza», potremmo chiamare «filologia semitica occidentale»; in tal caso la disci­
plina dovrebbe però estendersi a comprendere anche il materiale ugaritico.
2. Le scoperte e gli studi

LE ORIGINI

L'epigrafia semitica è una disciplina che è nata e si � sviluppata in­


sieme con il materiale oggetto del suo studio, cioè con la scoperta delle
antiche iscrizioni in lingua semitica. Non è perciò un caso che le sue ori­
gini siano legate ai primi viaggi compiuti nel Vicino Oriente da europei
curiosi di conoscere quei paesi e al clima di grande erudizione che ca­
ratterizzava l'Europa del XVIII secolo. Come anno di nascita dell'epigra­
fia semitica può essere assunto il 1 6 1 6, che vide la scoperta della prima
iscrizione palmirena e la pubblicazione di una bilingue greco-palmire­
na. In quell'anno infatti il romano Pietro Della Valle,' in viaggio da Alep­
po verso l'Eufrate, nella località di Taiba (el-Tayyibeh) notava «dentro
alla meschita, in un muro, murata da' Mori, e tenuta con riverenza (per
non saper essi che cosa sia) una pietra quadra antica, con una iscrizione
greca e da' piedi due versi di certe altre lettere strane, al mio parere un po­
co simili alle ebraiche ed alle samaritane, delle quali tutte presi e tengo
copia» (Viaggi di Pietro Della Valle il pellegrino, Roma 1 650; lettera da
Baghdad del 10 e 23 dicembre 1 6 1 6); contemporaneamente, una bilingue
greco-palmirena (come quella efficacemente descritta dal Della Valle), tro­
vata a Roma nel XVI secolo, veniva pubblicata a Heidelberg nell'Inscrip­
tionum Romanarum corpus absolutissimum del fiammingo Jan Gruter (o
Gruytère), un filologo classico editore di testi latini e di iscrizioni. Mentre
quest'ultima iscrizione riceveva le interpretazioni più fantasiose, nei de­
cenni successivi e per tutto il XVII secolo incominciò ad accumularsi ma­
teriale epigrafico, specialmente ad opera di viaggiatori. Le più numerose
erano le iscrizioni palmirene, ma nel 1 636 veniva pubblicata, nel Prodro­
mus Coptus sive Aegyptiacus (Roma) dell'enciclopedico gesuita tedesco
Athanasius Kircher, un'iscrizione copiata nel Sinai da fra' Tommaso da
Novara: si trattava della prima di quelle iscrizioni, redatte in una scrittura
variante della nabatea, che furono poi chiamate, dal luogo del ritrovamen-

1 Su questo personaggio si può vedere P. Costa, Pietro Della Valle, in Levante 1 8 ( 1 97 1 ),

PP· 3o-46.
Le scoperte e gli studi

to, «sinaitiche» e il cui numero aumentò grandemente specie nella prima


metà del XIX secolo.
Verso la fine del secolo si ebbe la prima notizia di due cippi, recanti il
testo quasi identico di una bilingue greco-fenicia, scoperti a Malta e resi
noti da una lettera del canonico Ignazio Di Costanzo scritta nel 1694 ad
Antonio Bulifon e da questo pubblicata poco dopo in una sua opera eru­
dita: Lettere memorabili, istoriche, politiche ed erudite (Napoli 1 697); le
iscrizioni furono poi pubblicate nel 173 5 da Giuseppe Claudio Guyot
de Marne nei Saggi di dissertazioni accademiche pubblicamente lette nella
nobile Accademia Etrusca dell'antichissima città di Cortona. Nel quarto
volume delle sue Lettere il Bulifon pubblicava anche il disegno di una
laminetta d'oro, scoperta nel 1 693 in una tomba anch'essa maltese, con
una lunga serie di figure demoniache di ispirazione egiziana, sopra le
prime delle quali si trova un'iscrizione fenicia; descritta anche questa dal
Di Costanzo, se ne trova menzione in opere erudite fin verso la fine del
XVIII secolo, ma andata nel frattempo perduta è rimasta ignorata fino al
1989.1 La prima iscrizione aramaica fu pubblicata nel 1704 da un funzio­
nario francese, M. Rigord, che l'aveva scoperta a Carpentras, dove in data
imprecisata era stata portata dall'Egitto (Mémoires pour l'histoire des
sciences et des beaux arts, Trevoux).
I primi tentativi di decifrazione dei testi comparvero quasi contempo­
raneamente ai testi pubblicati; ma per una solida, e non dilettantesca co­
noscenza delle varie scritture si dovette attendere fino alla metà del XVIII
secolo. Il primo tentativo coronato da successo ebbe per oggetto le iscri­
zioni palmirene: nel 175 4 apparvero, contemporaneamente ma indipen­
dentemente l'uno dall'altro, due studi: uno dell'abate francese Jean-Jac­
ques Barthélemy (Réflexions sur l'alphabet et sur la langue dont on se
servoit autrefois à Palmyre, lette nel 1 7 5 4 ma pubblicate solo nel 1759
nei Mémoires dell'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, pp. 577-
597); l'altro dell'inglese John Swinton (An Explication ofAli the Inscrip­
tions in the Palmyrene Language and Character hitherto Published, in
f'hilosophical Transactions, 1754, pp. 690-7 5 6). Anche per le iscrizioni
aramaiche e per quelle fenicie il merito della prima interpretazione fon­
damentalmente esatta spetta al Barthélemy (Explication d'un bas-relief
égyptien et de l'inscription phénicienne qui l'accompagne, letta nel 1761
ma pubblicata nel 1768 nei Mémoires della Académie des Inscriptions et
Bcllcs-Lettres, pp. 726-73 8, per l'iscrizione aramaica; Réflexions sur quel­
ques monuments phéniciens et sur les alphabets qui en résultent, lette nel
1 Cf. G. Hiilbl, Agyptisches Kulturgut auf den lnseln Malta und Gozo in phonikischer
1md punischer Zcit, Wicn 1989, pp. 105-114.

23
Le scoperte e gli studi

1 7 5 8 e pubblicate nei Mémoires della medesima accademia nel 1 764, pp.


405 -426, per l'iscrizione fenicia).
Alla fine del Settecento le basi scientifiche dell'epigrafia semitica set­
tentrionale erano ormai poste. Le iscrizioni note comprendevano ma­
teriale fenicio-punico (il termine «punico» va qui inteso in senso geo­
grafico, riferito cioè globalmente ai Fenici in Occidente), aramaico in
senso stretto (1 millennio a.C.), palmireno e nabateo, e grazie specialmen­
te agli studi del grande erudito Barthélemy ( 1 7 1 6- 1 795), che può giusta­
mente considerarsi il fondatore dell'epigrafia semitica, e di Oluf Ger­
1

hard Tychsenlry34- 1 8 1 5) anche le scritture e le lingue in cui quelle iscri­


zioni erano redatte non pre_s_entayano più difficoltà serie. Restava anco­
ra da scoprire il materia1e semitico meridionale, del quale una prima no­
tizia, ma senza alcun testo, fu data da Carsteri Niebuhr, che dal 1 761 al
1 76 3 condusse una sfortunata spedizione danese nello Yemen.2
Gli inizi del xrx secolo videro la scoperta delle prime iscrizioni semi­
tiche meridionali: nel 1 8 1 0 il russo-tedesco U.J. Seetzen scoprì in Yemen
le prime cinque iscrizioni sudarabiche (alle quali poche altre seguirono
negli anni successivi), contemporaneamente alle quattro che l'inglese H.
Salt scopriva in Etiopia, dove aveva copiato anche il testo greco e parte
di quello etiopico della grande iscrizione del re Ezana. Anche se nel 1 84 5
venne alla luce, a Marsiglia dove era stata trasportata da Cartagine in data
sconosciuta, la cosiddetta Tariffa (un testo cartaginese relativo ai sacrifi­
ci), la prima metà dell'Ottocento non conobbe scoperte epigrafiche di ri­
lievo; si iniziò invece uno studio filologico (continuato intensamente fino
ai primi decenni del xx secolo) che portò ad un reale approfondimento
delle conoscenze sul materiale precedentemente acquisito. Tra gli studiosi
che in quel periodo si dedicarono agli studi di epigrafia semitica vanno ri­
cordati almeno F. De Saulcy per le iscrizioni puniche e F. Fresnel per
quelle sudarabiche. In Italia vi furono G.A. Arri,3 M. Lanci e G.G. Or­
ti, eruditi e antiquari che solo occasionalmente si occuparono di epigra­
fi; l'Arri e l'Orti principalmente in merito alle iscrizioni fenicie di Sar-

1 M.V. David, En marge du Mémoire de l'Abbé Barthélemy sur !es inscriptions phénicien­

nes (1758), in CRAI 1961, pp. 30-40 (cf. anche Studia Semitica... ]oanni Bakos dicata,
Bratislava 1965, pp. 8 1 -94); A. Dupont- Sommer ]ean-]acques Barthélemy et l'ancienne
,

Académie des lnscriptions et Belles-Lettres, Paris 1971.


2 I risultati della spedizione furono illustrati dal Niebuhr, unico superstite, nel volume
Beschreibung von Arabien, Kopenhagen 1 772, che negli anni successivi conobbe vari ri­
facimenti e traduzioni.
3 Su questo erudito si vedano le parole dedicategli da G. Levi Della Vida nell'articolo Su

una bilingue latino-punica da Leptis Magna pubblicato negli Atti dell'Accademia delle
Scienze di Torino 1 0 1 ( 1 966- 1 967), pp. 396-397.
Le scoperte e gli studi

degna; il Lanci pubblicò anche, nel l 8 27, i primi papiri aramaici d'Egit­
to noti in Europa. Fra tutti emerge di gran lunga il grande semitista te­
desco Wilhelm Gesenius ( l 786- l 842 ), col suo fondamentale lavoro Scrip­
turae linguaeque Phoeniciae monumenta quotquot supersunt (Lipsia
1 8 37). In quattro libri, l'opera del Gesenius tratta la paleografia, le iscri­
zioni, le monete e la lingua dei Fenici, adducendo per quest'ultima un'ot­
tima raccolta di testimonianze antiche. 1 Allo stesso studioso si deve an -
che il primo e quasi completamente riuscito tentativo di decifrazione del­
le iscrizioni sudarabiche (Vber die himjaritische Sprache und Schrift und
Entzifferung der letzteren, Halle 1 84 1 ). Con questo lavoro possiamo
considerare terminato il periodo delle origini per l'epigrafia semitica.

IL PERIODO AUREO (18 5 0-1 9 1 5 )


Numerose e importanti iscrizioni furono scoperte nella seconda metà
del secolo. Aprì la serie, nel 1 8 5 5, l'iscrizione fenicia di Esmunazor, re di
Sidone vissuto verso il v secolo a.C. Non molto tempo dopo cominciò
ad apparire l'importante raccolta di M. de Vogiié, che comprendeva iscri­
zioni palmirene, nabatee e safaitiche (Syrie centrale. Inscriptions sémiti­
ques, Parigi l 868- 1 877). La scoperta più clamorosa fu forse quella, avve­
nuta nel l 868, della stele di Mesha, re di Moab, trovata a Dhiban. 2
Questa iscrizione, che in un periodo di polemiche sulla veridicità della
Bibbia veniva a confermare e precisare le notizie bibliche di 2 Re 3, co­
stituì per molti decenni la più antica iscrizione semitica nordoccidentale,
essendo datata al IX secolo a.C. Nell'anno successivo fu scoperta un'al­
tra importante iscrizione fenicia, quella del re di Sidone Yehawmilk, men­
tre nel 1 887 fu la volta di quella, parimenti fenicia, di Tabnit. Nel 1 880
veniva trovata l'iscrizione ebraica di Siloe, datata intorno al 700 a.C.
L'anno successivo il russo A. Lazarev scoprì la più lunga iscrizione pal­
mirena finora conosciuta, la cosiddetta Tariffa: è un testo bilingue, palmi­
rcno e greco, datato al l 3 7 d. C., contenente una serie di decreti doganali.
Vi è poi l'importante serie di iscrizioni trovate da F. von Luschan a Zin­
cirli (l'antica Samal, in Turchia) nel corso di scavi ivi condotti per diversi
anni a partire dal 1 890. Tali iscrizioni, redatte in diverse lingue (fenicio,

r Cf. O. Eissfeldt, Van den Anfdngen der phonizischen Epigraphik nach einem bisher un­
vcriifji:ntlichtcn Brief van Wilhelm Gesenius, Halle (Saale) 1 9 5 8 (lettera a E.G. Schultz;
il Lesto inglese di questo scritto, nato come conferenza, è pubblicato in PEQ 79 [ 1 947],
pp. 68-86).
, CL S.H. Horn, The Discovery of the Moabite Stone, in The Word of the Lord Shall Go
forth. Fssays in Honor of D. N. Freedman, Winona Lakc 1 98 3, pp. 497- 505.

\
Le scoperte e gli studi

aramaico e yaudico) danno un'idea della complessa situazione linguistica


della Siria al principio del I millennio a.C. Da ricordare alcuni papiri ara­
maici trovati in Egitto, che si vennero ad aggiungere a quelli già noti nella
prima metà del secolo, nonché numerose iscrizioni puniche scoperte nel-
1'Africa settentrionale (notevole è la raccolta di disegni Sammlung der
carthagischen lnschriften di J. Euting, pubblicata a Strasburgo nel 1 8 8 3).
La seconda metà dell'Ottocento vide anche un notevole sviluppo del­
l'epigrafia semitica meridionale. In seguito al viaggio compiuto a Marib
nel 1 843 dal farmacista francese (aggregato all'esercito egiziano di Meh­
met Alì) Th.J. Arnaud, che riportò più di 5 0 iscrizioni sudarabiche, l'Aca­
démie des Inscriptions di Parigi incaricò J. Halévy di un viaggio nell'Ara­
bia meridionale, compiuto tra il 1 869 e il 1 870; Halévy copiò quasi 700
iscrizioni.' Altri 1 800 testi furono copiati, tra il 1 882 e il 1 894, dall'au­
striaco E. Glaser2 (di questi molti sono rimasti per molto tempo inediti)
e un altro centinaio da una spedizione austriaca che D.H. Miiller capeg­
giò nel 1 898. Contemporaneamente altri viaggi e spedizioni avevano per
meta l'Arabia centrosettentrionale. Nel 1 8 5 7 C.C. Graham scoprì, nella
regione a sud-est di Damasco, le prime iscrizioni safaitiche, il cui nume­
ro fu largamente accresciuto l'anno successivo da J. Wetzstein. C.M.
Doughty tra il 1 87 5 e il 1 877 scoprì iscrizioni minee, nabatee, tamudene
e lihyanitiche; a Teima scoprì inoltre tre iscrizioni aramaiche; tutto que­
sto materiale epigrafico fu pubblicato nel 1 8 84. Nel 1 878 altre iscrizioni
nabatee, aramaiche e tamudene furono raccolte da C. Huber, il quale tor­
nò in Arabia più volte, tra il 1 8 8 1 e il 1 8 84, con J. Euting. A quest'ulti­
mo va il merito anche della più ampia raccolta epigrafica dell'Arabia cen­
trosettentrionale fino allora raggiunta, con le circa 900 iscrizioni ara­
maiche, nabatee, tamudene, lihyanitiche e minee da lui raccolte ed esau­
rientemente studiate (le iscrizioni minee furono però pubblicate dal
Miiller). Nel 1 894 il Miiller pubblicava altre iscrizioni sudarabiche sco­
perte a Yehà, in Etiopia, dall'inglese J.Th. Bent. Le prime iscrizioni etio-
1 Del viaggio in Yemen dello Halévy esiste un curioso resoconto, non troppo aderente

alla realtà, redatto parte in ebraico e parte (la maggiore) nell'arabo di Sana con scrittura
ebraica da f::labshush, l'ebreo yemenita che fece da guida e da aiutante allo studioso fran­
cese. Il racconto fu scritto molti anni dopo il viaggio dello Halévy, su consiglio di E. Gla­
ser, come dichiara apertamente f::labshush. Di tale opera esistono una versione in ebrai­
co moderno, con ampio commento e dettagliato riassunto in inglese, ad opera di S.D.
Goitein che la pubblicò a Gerusalemme nel 1941, e una versione italiana (f::l. f::labshush,
Immagine dello Yemen, a cura di G. Moscati Steindler, Napoli 1 976).
2 Sulle spedizioni yemenite di questo studioso si veda W.W. Miiller, Der bohmische
Siidarabienreisende Eduard Glaser (1855-1908) und seine Bedeutung fiir die Erfor­
schung des antiken ]emen, in Schriften der Sudetendeutschen Akademie der Wissenschaf­
ten und Kiinste (Geisteswiss. Kl.) 23, Miinchen 2002, pp. 1 9 5 -220.
Le scoperte e gli studi

piche, dopo quella di Ezana, furono copiate sullo scorcio del secolo da
C. Conti Rossini.
I primi quindici anni del xx secolo videro l'intensificarsi delle ricer­
che avviate nei decenni precedenti, con spedizioni scientifiche special­
mente nella penisola araba. Nel 190 5 W.M. Flinders Petrie scopriva a
Serabit el-Khadim (Sinai) alcune iscrizioni, risalenti a circa la metà del II
millennio a.C.; queste, chiamate «protosinaitiche» per distinguerle da quel­
le sinaitiche di tipo nabateo, già ricordate, furono pubblicate nel 1906; al­
tre ne furono trovate negli anni 1927 e seguenti. Una spedizione america­
na in Siria nel 1904, 1905 e 1909 raccolse ricco materiale epigrafico naba­
teo, siriaco e nordarabico, che fu alcuni anni dopo pubblicato da E. Litt­
mann. Nel 1906 fu intrapresa la prima di tre campagne di scavo nell'isola
di Elefantina sul Nilo allo scopo di arricchire la raccolta di papiri ara­
maici che negli anni precedenti erano apparsi nel commercio antiquario
(E. Mayer, Der Papyrusfund van Elephantine, Lipsia 1 9 1 2). Nello stesso
anno una grande spedizione tedesca, diretta da E. Littmann e D. Krenk­
ker, si recava sulla costa africana orientale, dove scopriva importanti re­
sti architettonici e documenti epigrafici relativi alla colonizzazione sud­
arabica e al regno paleoetiopico di Aksum (Deutsche Aksum-Expedition
1-1v, Berlino 19 1 3 ). L'ultima delle grandi ricognizioni anteriori alla
prima guerra mondiale fu quella condotta dai domenicani J .A. J aussen e
R. Savignac nel 1907 e 1 909- 1 9 1 o nell'Arabia centrale e settentrionale; la
serie di viaggi fruttò quasi 1 800 iscrizioni nabatee, minee, lihyanitiche e
specialmente tamudene (Jaussen-Savignac, Mission archéologique en
Arabie, Parigi, 1 1909; II 1 9 1 4 con un supplemento nel 1920; III 1922).
Oltre a queste spedizioni epigrafiche, che riportarono ingente nuovo
materiale, non mancarono ritrovamenti di singole iscrizioni di notevole
importanza. Nel 1907 H. Pognon pubblicava il suo volume lnscriptions
sémitiques de la Syrie, de la Mésopotamie et de la région de Mossoul (Pa­
rigi 1907), che conteneva tra l'altro l'iscrizione aramaica di Zakur che,
datata tra la fine del rx e l'inizio dell'vm sec. a.C., costituiva per allora
la più antica testimonianza dell'aramaico. Nel 1908 veniva trovata a Ge­
i'.er, in Palestina, un'iscrizione, datata al x secolo a.C. e redatta in un dia­
letto cananaico arcaico (si tratta del cosiddetto «calendario di Gezer» ).
Nello stesso anno veniva pubblicata una bilingue (brevissima) greco­
minea rinvenuta a Delo. Due anni più tardi un'altra località palestinese,
identificata con l'antica Samaria, restituiva una serie di ostraka con bre­
vi iscrizioni di carattere amministrativo (bollette di accompagnamento).
Il grande aumento di materiale che si verificò nella seconda metà del­
l'Ottocento fu insieme causa ed effetto di un fervore di studi e di ricer-
Le scoperte e gli studi

che che trovavano un clima assai propizio in quell'età che vide il trionfo
della filologia e della scienza positiva. L'esempio dei grandi filologi ed
epigrafisti germanici che operavano nell'ambito della cultura classica fu
seguito dalla Francia, la nazione che le vicende politiche del tempo por­
tarono a più diretto contatto con alcune delle zone di provenienza delle
epigrafi semitiche. Non fu certo un caso che in Francia venne concepito
il Corpus inscriptionum Semiticarum (promosso nel 1 867 da Ernest Re­
nan nell'ambito dell'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres che ne af­
fidò a lui la direzione) ' e che francese fu il gruppo più cospicuo di epi­
grafisti semitisti: accanto al Renan ( 1 8 2 3 - 1 892), il più famoso, anche se
non il più assiduo, vanno ricordati A.C. Judas, M. de Vogiié, Ph. Ber­
ger e specialmente Ch. Clermont-Ganneau ( 1 846- 1 923) per l'epigrafia
semitica settentrionale, F. Fresnel e H. Derenbourg per quella meridio­
nale, F. Lenormant, J. Derenbourg e J. Halévy per entrambe. Meno mas­
siccio fu l'apporto tedesco, con H. Ewald, O. Blau, J. Euting, F. Hom­
mel e J.H. Mordtmann (quasi tutti parimenti esperti di epigrafi setten­
trionali e meridionali), mentre in Austria erano particolarmente coltiva­
ti gli studi di epigrafia semitica meridionale (E. Glaser, D.H. Miiller);
qualche interesse fu destato in Inghilterra dal settore sudarabico (W.F.
Prideaux, C.M. Doughty), mentre gli italiani si limitarono quasi esclusi­
vamente al settore fenicio-punico: C. Cavedoni, R. Garrucci (i quali si
occuparono di epigrafia solo incidentalmente), A. Pellegrini, autore di
una pregevole monografia (Studii d'epigrafia fenicia, Palermo 1 89 1 ) e
principalmente G. Spano ( 1 803 - 1 878), che insieme al gen. Alberto La
Marmora iniziò lo studio sistematico delle antichità sarde.
Il progresso nell'opera di interpretazione delle epigrafi non poteva es­
sere che assai lento (e tale è rimasto tuttora) per le ovvie difficoltà di va­
rio genere insite in ogni iscrizione in lingua semitica, quando quest'ulti­
ma non sia nota che epigraficamente. A parte le iscrizioni ebraiche, tut­
te le altre sono scritte in lingue che non erano conosciute prima della
scoperta delle iscrizioni stesse, sì che la definizione di una grammatica è
piuttosto il punto di arrivo, anziché la premessa, dell'opera esegetica;
non fa dunque meraviglia che ancora oggi siamo ben lontani dal cono­
scere compiutamente la grammatica e il lessico delle lingue epigrafiche.
L'Ottocento vide poste le basi, piuttosto solide, soltanto di una lingua,
quella fenicia: dopo la già ricordata fondamentale opera del Gesenius
( 1 83 7), va menzionata la grammatica fenicia di P. Schroder (Die phoni­
zische Sprache, Halle 1 869), che per quasi settanta anni è rimasta l'indi-
r Cf. A. Dupont-Sommer, Ernest Renan et le Corpus des inscriptions sémitiques, Paris
1 968.
Le scoperte e gli studi

spensabile punto di riferimento per lo studio di questa lingua; ormai


come curiosità possiamo ricordare De lingua Phoenicum, un lavoro che
l'Arri pubblicò nel 1 839 nelle Memorie dell'Accademia di Torino. Di
tutte le altre lingue epigrafiche, solo il sudarabico ebbe un profilo gram­
maticale, nella Sudarabische Chrestomathie (Monaco 1 893) di F. Hom­
mel; in questo settore il progresso compiuto in un secolo di studi era
stato relativamente rapido: non appena le iscrizioni furono raccolte in
numero sufficiente, la loro decifrazione avvenne piuttosto presto, a par­
tire dal già ricordato tentativo del Gesenius; progressi notevoli furono
fatti ad opera specialmente di E. Osiander, F. Praetorius e F. Hommel.
Dalle iscrizioni sudarabiche incominciava ad emergere una civiltà che, a
differenza di quella siro-palestinese, era completamente sconosciuta; fio­
rita nello Yemen e nel Hadramaut per più di un millennio anteriormen­
te all'avvento dell'islam, possedeva una lingua di tipo arcaico, affine al­
l'arabo e specialmente all'etiopico, suddivisa in quattro dialetti (sabeo,
mineo, qatabanico, hadramutico) ed espressa in una scrittura consonan­
tica da cui sembrava derivare la scrittura sillabica etiopica. Soltanto l'epi­
grafia nordarabica preislamica si trovava, alla fine dell'Ottocento, in
una fase iniziale: se le iscrizioni lihyanitiche, rinvenute nel sito dell'anti­
ca Dedan nell'Arabia nordoccidentale (che fu anche una colonia dei su­
darabici minei) poterono essere lette agevolmente, essendo scritte in un
alfabeto quasi identico a quello sudarabico, per le altre iscrizioni, sa­
faitiche e tamudene, scritte in alfabeti affini a quello sudarabico ma con
un maggior numero di segni propri, una soddisfacente decifrazione si
ebbe soltanto al principio del nuovo secolo, ad opera di E. Littmann
( 1874- 1 9 5 8 ) con le opere Zur Entzifferung der $afa-Inschriften, Lipsia
1 901 e Zur Entzifferung der thamudenischen Inschriften, Berlino 1904.
L'accumularsi della documentazione epigrafica e la sua progressiva
differenziazione resero necessaria una sua sistemazione adeguata, sul
modello di quanto in Germania si era incominciato a fare per le iscri­
i'.ioni latine e greche, mentre si sentiva l'esigenza di creare i primi stru­
menti di lavoro per una corretta impostazione metodologica della ricer­
ca che si configurava già, e lo sarebbe stata ancor più in futuro, indiriz­
zata verso due ambiti abbastanza nettamente distinti fra loro, quello
dell'epigrafia semitica nordoccidentale e quello dell'epigrafia semitica
meridionale. Alla prima di queste esigenze si pensò di soddisfare me­
diante la creazione del Corpus inscriptionum Semiticarum, che però si
rivelò ben presto insufficiente, con la sua monumentalità che andava a
scapito della velocità di pubblicazione; nel 1900 apparve perciò il primo
volume di un'opera destinata a fungere da supplemento provvisorio al
Le scoperte e gli studi

Corpus per le parti già trattate e a preparare le parti future: il Répertoire


d'épigraphie sémitique, pubblicato anch'esso a Parigi. Al bisogno di
opere introduttive specialistiche provvidero inizialmente la già ricorda­
ta Siidarabische Chrestomathie di F. Hommel ( 1 893), che oltre ad una
larga scelta di testi comprendeva anche una grammatica, una bibliogra­
fia aggiornata all'anno precedente e un glossario, e il fondamentale ma­
nuale che M. Lidzbarski pubblicò a Weimar nel 1 898, lo Handbuch der
nordsemitischen Epigraphik; questo conteneva tra l'altro una bibliogra­
fia completa dei lavori apparsi dal 1 6 1 6 al 1 898, un'antologia di testi,
una trattazione grammaticale e un ampio glossario. Per completezza di
trattazione lo Handbuch rimane unico nel suo genere. Più tardi lo stes­
so studioso raccolse le ricerche da lui condo�te dal 1900 al 1 9 1 5 nei tre
volumi (apparsi a Giessen rispettivamente nel 1 902, nel 1 908 e nel 1 9 1 5 )
della Ephemeris fiir semitische Epigraphik. Nel 1903 veniva pubblicata
una ricca raccolta di iscrizioni semitiche nordoccidentali, accompagnata
da un ampio commento dei testi (G.A. Cooke, A Text-Book of North­
Semitic lnscriptions, Oxford 1903). Una più piccola raccolta di iscrizioni
fu pubblicata nel 1 907 anche dal Lidzbarski (Kanaanaische lnschriften
[Moabitisch, Althebraisch, Phonizisch, Punisch ], Giessen 1907). Anche le
iscrizioni sudarabiche ebbero in quegli anni una trattazione d'assieme (D.
Nielsen, Studier over Oldarabische lnskrifter, Copenaghen 1906).
Un problema che si era posto con le prime indagini epigrafiche e che si
venne precisando a mano a mano che si verificavano le nuove scoperte, fu
quello dell'origine e dell'evoluzione della scrittura consonantica. Studi
sulla scrittura fenicia si erano già avuti nella prima metà del secolo, ad
opera di studiosi come U.F. Kopp, M. Lanci, W. Gesenius, J.L. Saalschiitz,
F. Hitzig (nel 1 8 3 5 il Gesenius pubblicava, come editore e in parte come
autore, un volume Palaographische Studien iiber phonizische und puni­
sche Schrift, Lipsia); il problema delle origini attirò sempre più l'attenzio­
ne degli studiosi a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

IL NOVECENTO

La prima guerra mondiale segnò non soltanto una brusca interruzione


nel campo delle ricerche e degli studi di epigrafia, come avvenne peraltro
qualche decennio più tardi con la seconda, ma anche la fine di un modo
di concepire tali studi. Il caso di Mark Lidzbarski ( 1 868- 1 928), può es­
sere considerato emblematico: dopo un quindicennio di studi intensis­
simi in questo settore, il passaggio dello studioso all'università di Got-

30
Le scoperte e gli studi

tinga nel l 9 l 7 significò il totale venir meno della voce più autorevole. '
I n realtà, era finita l'epoca della sicurezza positivistica, e l a scomparsa
della generazione di studiosi che la rappresentava nell'epigrafia semitica
ne suggellò il termine. Era terminato altresì il periodo d'oro della filolo­
gia e stava per incominciare quello dell'archeologia, che con i suoi aspetti
positivi e negativi avrebbe dominato e profondamente condizionato la ri­
cerca scientifica sul Vicino Oriente antico (e non solo questo) per tutto il
Novecento. Le clamorose scoperte archeologiche del xx secolo (Biblo,
Ugarit, Mari, Qumran, Ebla, Emar, per limitarci al mondo di lingua se­
mitica), insieme con il consolidarsi e l'ampliarsi degli studi assiriologici,
hanno di fatto relegato in secondo piano l'indagine delle culture ogget­
to dell'epigrafia semitica. Un'apparente eccezione a tale situazione è co­
stituita dall'epigrafia ebraica, e palestinese in genere, che ha invece go­
duto di una fortuna straordinaria e sostanzialmente immeritata; questo
fcnomeno va tuttavia inquadrato nel clima culturale e ideologico che ha
preceduto e poi accompagnato la rinascita di uno stato ebraico in Pale­
stina nonché nella progressiva affermazione di tendenze religiose sem­
pre più radicali che pongono la Bibbia ebraica al centro della visione sto­
rica del Vicino Oriente antico. Questo insieme di fattori giustifica am­
piamente la relativa marginalità dell'epigrafia semitica nell'ambito degli
studi orientalistici; marginalità emblematicamente denunciata dall'inter­
ruzione della pubblicazione del Corpus inscriptionum Semiticarum (l'ul­
timo fascicolo è apparso nel 1 962) e del Répertoire d'épigraphie sémiti­
r1ue (ultimo fascicolo nel 1950) nonché dal sostanziale fallimento delle
iniziative tendenti ad aggiornarlo o a sostituirlo. Ma proseguiamo il rac­
conto delle ricerche.
Gli studi epigrafici ripresero vigore verso la fine del terzo decennio
dcl secolo con tre avvenimenti: gli scavi di Biblo, la scoperta di Ugarit e
la ripresa dell'esplorazione dello Yemen. Dei primi due furono prota­
gonisti i francesi (che dopo la prima guerra mondiale si trovarono in
una situazione politica che confermava ed allargava il loro controllo sul
, Si veda il suo profilo tracciato da E. Littmann nel 1928 e ripubblicato in Ein Jahrhun­
tlcrt Orientalistik, Wiesbaden 195 5, pp. 46- 5 1 . Tra i semitisti è poco noto il fatto che il
I .idzbarski pubblicò, un anno prima di morire, un'opera autobiografica anonima, Auf
1·11uhcm Wege (Giessen 1927), assai critica verso l'ebraismo tradizionale di una piccola
rittà polacca; il titolo richiama, forse polemicamente, quello di un'opera assai conosciuta
n q ;li ambienti sionisti dell'inizio del secolo, Am Scheidewege di A�ad ha-Am. Al libro
1kl Lidzbarski rivolse la sua attenzione Giorgio Pasquali (Autobiografia anonima di un
}!.iu dco polacco, in Stravaganze quarte e supreme, Venezia 1 9 5 1 , pp. 1 6 5 - 1 79). Con il
1 itolo Ricordi di giovinezza di un professore tedesco il libro è apparso in traduzione ita­
liana nel 1 98 8 (Firenze, Passigli Editori) con una postfazione di M. Raicich e il citato
sa��io di Pasquali come prefazione.

3I
Le scoperte e gli studi

Nordafrica e il Vicino Oriente, potendo così prolungare il loro predo­


minio culturale in questi studi); tedeschi e inglesi furono invece i prota­
gonisti della ricerca nell'Arabia meridionale. L'esplorazione archeologi­
ca di Biblo rivelò, oltre naturalmente a interessanti dati di carattere ar­
cheologico e storico, anche una serie di iscrizioni fenicie che si pongo­
no come i più antichi documenti di questa lingua (iscrizioni: di Ahiram,
del XIII secolo a.C., trovata nel 192 3, di Y ehimilk e di Sapatbaal, del x
secolo; la seconda di queste due fu pubblicata solo nel 194 5 ). Nel 1 929 e
negli anni successivi furono inoltre trovati, sempre a Biblo, alcuni testi
redatti in una scrittura sconosciuta, chiamata «pseudo-geroglifica» a
causa di una certa somiglianza che essa presenta con quella egiziana.
Nello stesso anno in cui fu trovata la prima iscrizione «pseudo-gero­
glifica», si iniziava lo scavo di Ugarit, una cirri fiorente intorno alla me­
tà del II millennio a.C. e distrutta all'inizio del XII sec. a.C. forse da un
terremoto ma comunque coinvolta in uno dei sommovimenti connessi
alla invasione dei «popoli del mare». Questa scoperta interessa l'epigra­
fia semitica perché in tale città fu inventato un tipo di scrittura conso­
nantica che si serviva di segni cuneiformi e che ha rimesso in discussio­
ne l'origine dell'alfabeto fenicio.
Il viaggio compiuto nel 1927 nello Yemen da C. Rathjens e H. von
Wissmann, che fruttò anche una larga messe di iscrizioni (pubblicate
nel 1 93 1 da J.H. Mordtmann e E. Mittwoch), segnò l'inizio della ripre­
sa dell'esplorazione della penisola araba, nella quale si è segnalato, in
un'attività durata quasi mezzo secolo (anche se di carattere solo margi­
nalmente epigrafico) H.St.J.B. Philby. ' Delle numerose spedizioni con­
dotte nell'Arabia centrale e meridionale sono da ricordare quella egizia­
na, promossa dall'Università Fuad del Cairo, nel 1936; le due inglesi, di
natura archeologica, nel 1 9 3 8. Quella diretta dalla signorina G. Caton
Thompson a Hureidha portò al rinvenimento anche di numerose iscri­
zioni hadramutiche (pubblicate nel 1 944 da G. Ryckmans).
Qualche iscrizione sudarabica fu raccolta in Etiopia da una missione
archeologica italiana che condusse ricerche ad Aksum tra il 1939 e il
194 1 .
Accanto a queste imprese di maggior rilievo, il periodo tra le due guer­
re vide la scoperta e la pubblicazione di notevole materiale epigrafico.
Tra il 1 9 1 6 e il 1 9 1 8 J.-B. Chabot ( 1 860- 1 948) 2 pubblicava nella rivista
1 Su questa singolare figura cf. G. Ryckmans, H. Saint fohn B. Philby, in Muséon 73

( 1 960), pp. 459-48 1 ; H. von Wissmann, 'Abdallah H.St.j. B. Philby (1885-1960), sein
Leben und Wirken, in Welt des Islams, 1961, pp. 1 00- 1 4 1 .
2 G . Ryckmans, Jean-Baptiste Chabot (1860-1948), in Muséon 6 1 ( 1 948), pp. 1 41 - 1 5 2;
Le scoperte e gli studi

Journal Asiatique, sotto il titolo di Punica, un rilevante numero di iscri­


zioni puniche e neopuniche. Numerose iscrizioni neopuniche, prove­
nienti dalla Tripolitania, furono edite da G. Levi Della Vida ( 1 886-1967) '
il quale pubblicò inoltre nel 193 5 un'iscrizione punica da Bitia, in Sar­
degna, che è la più recente testimonianza della scrittura punica (n-m
secolo d.C.). Nel 193 l N. Aimé-Giron pubblicava una raccolta di nuo­
vi testi aramaici dall'Egitto, mentre S. Ronzevalle rendeva nota una iscri­
zione aramaica dell'vm secolo a.C. trovata a Sefire (di essa è stata fatta
una nuova edizione, molto migliorata, nel 1 9 5 8, ad opera di A. Dupont­
Sommer). Tra il 1932 e il 1938 fu rinvenuto a Teli ed-Duweir, l'antica
Lachish, un gruppo di ostraka ebraici della prima metà del VI secolo
a.C., che furono pubblicati da H. Torczyner nel 1938. Negli stessi anni
diverse iscrizioni palmirene venivano alla luce durante gli scavi della
città di Dura-Europos (furono pubblicate da R. du Mesnil du Buisson
ne I 193 9). Altre numerose iscrizioni palmirene, scoperte per lo più nella
stessa città di Palmira, furono pubblicate da J. Cantineau ( 1 899- 1 9 5 6) in
una serie di articoli intitolati Tadmorea, apparsi nella rivista Syria tra il
1 93 3 e il 1938, nonché in 9 fascicoli, pubblicati tra il 1930 e il 1936, de­
dicati all'Inventaire des inscriptions de Palmyre. Nel settore del semiti­
co meridionale occorre poi ricordare il materiale pubblicato, tra il 1 9 3 2
l' il 1934, d a J.H. Mordtmann e E . Mittwoch, nonché l a lunga serie di

iscrizioni che G. Ryckmans ( 1 8 87- 1 969),2 pubblicò, a partire dal 1 927 e


f i n o al 1965, sulla rivista Le Muséon.
1 1 forte incremento del materiale epigrafico, solo in piccola misura in­
st.•rito nelle raccolte ufficiali del Corpus e del Répertoire (alle quali dedi­
l';lrono moltissime energie lo Chabot e il Ryckmans, che possiamo con­
siderare come gli ultimi rappresentanti della grande tradizione degli epi­
�rnfisti semitisti), provocò la nascita di raccolte di iscrizioni, settorial-
111ente più diversificate di quelle del Cooke e del Lidzbarski, e di qual­
rhe strumento di lavoro, mentre proseguiva l'indagine delle lingue epi­
Krafìchc (per queste si veda la sezione bibliografica). Nel 1923 A. Cow­
ll')' raccolse tutti i papiri aramaici che erano stati trovati in Egitto fino a
I ; , I .l·vi Della Vida, Jean-Baptiste Chabot, in Necrologi di soci defunti nel decennio di-
1 1•111/Jrc i 'J4 5 - dicembre 195 5 (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei), II, Roma 1 9 5 7,
l'I '· <1 7-69. A questo studioso si deve anche l'ancora fondamentale Recueil des inscriptions
lt/1y1111c:s (Parigi 1 940).
o S11 l l '.11 1ività di questo studioso come epigrafista scmitista cf. il contributo di M. G. Ama­
d.1si l ; u no nel volume Giorgio Levi Della Vida nel centenario della nascita (1 886-1967),
lt 1 1 n1.1 1 98 8 , pp. 4 1 - 5 1 .
' I :t . J . Pi re n n e , L 'oeuvrc d'épigraphiste de Monseigneur G. Ryckmans, in ETL 39 ( 1 963),
l'I'· � \ l - 446.

33
Le scoperte e gli studi

quella data; nel 1934 D. Diringer pubblicava in Italia un corpus comple­


to delle iscrizioni antico-ebraiche. Carattere antologico ebbero invece le
raccolte di iscrizioni palmirene (solo in traduzione) dello Chabot ( 1 922),
sudarabiche di C. Conti Rossini ( l 9 3 l; il glossario di questa raccolta ha
costituito a lungo il punto di riferimento per il lessico sudarabico), naba­
tee del Cantineau ( 1 932), fenicie di N. Slouschz ( 1 942; in lingua ebraica).
Opera di grande utilità fu il monumentale repertorio dei Noms propres
sud-sémitiques edito nel 1934 dal Ryckmans.
Gli anni della seconda guerra mondiale videro ovviamente un'attività
scientifica assai ridotta, pur non giungendosi ad una paralisi totale; si
può citare la pubblicazione di nuovi testi sudarabici: nel 1 943 apparvero
contemporaneamente una raccolta di iscrizio�i, per lo più sabee e inedi­
te, da parte dell'egiziano Kh.Y. Nami e le dediche minee di ierodule edi­
te da K. Mlaker. Un altro egiziano, M. Tawfiq, compì nel l 944 e l 94 5 una
serie di ricerche nello Yemen, riportandone materiale epigrafico che fu
più tardi pubblicato dal Nami.
Per quasi una diecina d'anni dopo la fine della guerra, gli studi di epi­
grafia semitica proseguirono in tono minore. Soltanto la scoperta, avve­
nuta a Karatepe (Turchia) nel 1 946, delle bilingui in fenicio e ittito ge­
roglifico (luvio) provocò un temporaneo risveglio di interesse, dovuto
specialmente al fatto che diventava possibile una verifica della decifrazio­
ne, già avviata, della lingua anatolica. Nel 1948 fu pubblicato un papiro
aramaico trovato a Saqqarah nel 1942 con il testo di una lettera scritta da
un re filisteo (circa 600 a.C.). Un'eco piuttosto scarsa tra i semitisti, anche
a causa della difficoltà di ottenere le relative pubblicazioni, ha avuto in
Occidente la scoperta di circa duemila brevi iscrizioni aramaiche effettua­
ta da una missione sovietica, tra il 1 948 e il 1 9 54, nella città partica di Ni­
sa (Turkmenistan meridionale); tali iscrizioni furono pubblicate inizial­
mente solo in piccola parte. Un gruppo quantitativamente e qualitativa­
mente importante di iscrizioni puniche, di cui alcune scritte in caratteri
greci, fu scoperto nel 1 9 5 0 a Costantina (Algeria); esse furono pubblica­
te nel 1 9 5 5 da A. Berthier e R. Charlier. Ricerche furono condotte anche
nel settore meridionale: nel 1 947 l'egiziano A. Fakhri compì una mis­
sione nella penisola araba e le iscrizioni sudarabiche da lui raccolte fu­
rono pubblicate nel 1 9 5 2 da G. Ryckmans. Tra il 1 9 5 0 e il 1 9 5 2 ebbero
luogo due spedizioni scientifiche: una belga nell'Arabia Saudita, guidata
dal Philby con la direzione scientifica del Ryckmans; l'altra, americana,
diretta da W. Phillips. La prima raccolse ricchissimo materiale epigrafi­
co nordarabico ( 1 2 000 testi) tuttora inedito; anche la seconda trovò nu­
merose iscrizioni, che sono state più tardi pubblicate dall'epigrafista del-

34
Le scoperte e gli studi

la missione, il belga A. Jamme (i testi qatabanici della necropoli di Tim­


na furono pubblicati nel 1 9 5 1 , quelli sabei di Marib nel 1 962, quelli qa­
tabanici di Hajar Bin Humeid nel 1 969 ).
Negli stessi anni veniva ripresa l'opera di raccolta delle iscrizioni: nel
1950 A. van den Branden pubblicava un corpus delle iscrizioni tamudene,
mentre il Ryckmans faceva uscire il primo volume della Pars quinta del
Corpus inscriptionum Semiticarum con più di 5 ooo iscrizioni safaitiche;
l'anno successivo apparivano una piccola antologia di iscrizioni palesti­
nesi, ebraiche per lo più, edita da T.C. Vriezen e J.H. Hospers in Olanda
e l'aggiornamento della raccolta di iscrizioni ebraiche fatta dal Diringer,
ad opera di S. Moscati (ad esclusione degli ostraka di Lachish).
La seconda metà del Novecento è stata caratterizzata, nel campo del­
l'epigrafia semitica, da una serie di fenomeni, non tutti positivi. In pri­
mo luogo è da menzionare il grande sviluppo della ricerca archeologica
che ha naturalmente portato a un arricchimento del materiale epigrafico
in tutti i settori; bisogna però rilevare che tale incremento è stato relati­
vamente modesto, ad eccezione dello Yemen, e comunque non parago­
nabile né all'intensità dell'attività archeologica né all'importanza delle
scoperte effettuate in altri campi delle culture vicino-orientali. È una con­
statazione, questa, che dopo due secoli di ricerche potrebbe far definire
come piuttosto secondaria la cultura siro-palestinese del I millennio a.C.
se non si tenesse conto del fatto che l'epigrafia semitica studia le culture
di cui noi non conosciamo la letteratura semplicemente perché questa è
andata perduta totalmente o quasi, come nel caso della letteratura feni­
cia e di quella aramaica antica, o ci è giunta in maniera parziale e con ri­
maneggiamenti successivi, come è avvenuto per quella ebraica anteriore
all'esilio. L'iscrizione di Deir Alla, che ci ha fatto conoscere un testo let­
terario, conferma l'esistenza di letterature semitiche nordoccidentali
nella prima metà del I millennio a.C.
Una succinta rassegna delle scoperte più significative deve porre al
primo posto, nel settore semitico nordoccidentale, le iscrizioni aramai­
che. Gli scavi iracheni intrapresi, a partire dal 1 9 5 1, nella città di Hatra
hanno rivelato un buon numero di iscrizioni di età partica, in un dialet-
10 locale affine al palmireno. Nel 1 9 5 8 A. Dupont-Sommer pubblicava
due nuove importanti iscrizioni aramaiche da Sefire; nello stesso anno
veniva trovata a Kandahar (Afghanistan) un'iscrizione bilingue greco­
aramaica del re indiano Ashoka; l'iscrizione fu pubblicata nello stesso
anno da G. Levi Della Vida e, per la parte greca, da G. Pugliese Carra-
1 dli; cinque anni più tardi la stessa località dava un'altra bilingue dello
stesso sovrano, in aramaico e in pracrito; una trilingue (aramaico, greco

35
Le scoperte e gli studi

e licio) è stata scoperta nel 1973 a Xanthos (Turchia) e pubblicata l'an­


no successivo. Nuove iscrizioni sono state trovate a Palmira negli scavi
condotti da una missione archeologica svizzera e una polacca e sono sta­
te pubblicate rispettivamente nel 1971 e nel 1 974; molte le nuove iscri­
zioni nabatee, mentre veniva individuato un nuovo gruppo di iscrizioni
aramaiche che per la loro provenienza (Iran sudoccidentale) furono de­
finite elimaiche. Numerosi papiri, in genere molto frammentari, e alcu­
ni ostraka sono stati scoperti a Saqqarah tra il 1 964 e il 1975 e pubblicati
nel 1983. In un dialetto affine all'aramaico è scritta un'iscrizione dipinta
sull'intonaco di un vano templare di Deir Alla scavato dagli olandesi;
scoperta nel 1 967 ed edita nel 1976, questa iscrizione databile intorno al
700 a.C. è eccezionale non solo per la sua forma linguistica ma per il
contenuto, che è un testo profetico attribuito a Balaam, ben noto per­
sonaggio biblico. Assai notevole è anche una statua da Tell Fekheriyeh,
trovata nel 1979 e pubblicata nel 1 982, con un testo bilingue in assiro e
in un nuovo dialetto aramaico antico, redatto questo in una scrittura di
tipo arcaico. Interessanti per le prospettive storiche che aprono sono al­
cune piccole iscrizioni aramaiche databili al IX e all'vm secolo a.C. tro­
vate in varie località del Mediterraneo (Ischia, Eretria, Samo) e pubbli­
cate tra il 1978 e il 1988. Tra i numerosi ritrovamenti verificatisi in tutta
l'area del Vicino Oriente durante l'ultimo ventennio del Novecento me­
ritano di essere ricordate le iscrizioni scoperte a Teima nel 1982 da una
missione saudita e quella trovata dagli iraniani a Bukan (Azerbaigian):
pubblicata nel 1 996, testimonia l'esistenza di un regno aramaico nell'vm
secolo a.C.
Più modeste sono state le acquisizioni di nuovo materiale fenicio, no­
nostante la risonanza della scoperta, nel 1 964, di una bilingue fenicio­
etrusca fatta a Pyrgi, sulla costa laziale. Scarse e poco significative le
nuove iscrizioni provenienti dal Libano; tra il 1 986 e il 1 997 sono state
scoperte in Cilicia due bilingui (fenicio e luvio) e una trilingue (fenicio,
luvio e assiro). Notevole un'iscrizione bilingue greco-fenicia dall'isola
di Cos con la menzione del re di Sidone Abdalonim, scoperta nel 1982
e pubblicata nel 1986, nonché una nuova iscrizione reale da Kition sco­
perta nel 1 990 e pubblicata poco più tardi. Modesto il materiale restitui­
to dal Nordafrica; più numerose, e importanti nel loro insieme, sono le
iscrizioni provenienti dagli scavi italiani a Malta, Mozia (Sicilia), Antas
e Tharros in Sardegna.
Abbastanza ricco numericamente ma non qualitativamente è l'appor­
to epigrafico dei numerosi scavi condotti in Israele; da segnalare gli ostra­
ka ebraici e aramaici di Arad, editi nel 1 97 5 . Un'iscrizione molto fram-
Le scoperte e gli studi

mentaria pubblicata nel 1969 ha però consentito, negli anni successivi,


di individuare e di costituire un piccolo corpus epigrafico ammonitico,
che dal punto di vista linguistico non sembra distinguersi, finora, dal fe­
nicio, mentre solo nel l 98 5 si è incominciato a parlare di iscrizioni fili­
stee, di cui una monumentale da Tel Miqne (identificata con Ekron) è
stata pubblicata nel l 997; anche le iscrizioni filistee sono linguisticamen­
te fenicie.
Un grande incremento quantitativo ha registrato l'epigrafia nordara­
bica, con una serie di esplorazioni e di pubblicazioni nelle quali si è di­
stinto F.V. Winnett ( 1903 - 1 989).1 Le iscrizioni provengono per lo più
dalla Giordania e dall'Arabia Saudita centrosettentrionale; nel 200 1 so­
no state pubblicate iscrizioni da Teima con la menzione del re Nabone­
do. A partire dal 1 969 è stata possibile la ripresa dell'esplorazione dello
Y cmen, dapprima a livello di ricognizioni di superficie poi con scavi re­
�olari. L'individuazione del Gebel Balaq tra il 1974 e il 1975 è stata di
�rande importanza per la comprensione delle iscrizioni di cui E. Glaser
•\Vcva fatto dei calchi, pubblicati in maniera insoddisfacente nel 1965;
altre importanti iscrizioni rupestri, di contenuto storico come le pre­
ct·denti, sono state scoperte da una missione italiana nel l 98 5 nel wadi
Yalà e pubblicate nel 1988. Tra il ricco materiale epigrafico scoperto e
pubblicato da diverse missioni europee, va ricordata, per la sua ecce-
1'. ionalità, una bilingue sabeo-ebraica da Zafar che rappresenta la più
,111tica testimonianza (circa 400 d.C.) del giudaismo nell'Arabia meri­
dionale; ricco, ma in gran parte inedito, è il materiale da Raybun (Ha­
dramaut) raccolto da francesi e russi. Recenti scoperte hanno aperto
due nuovi capitoli nell'epigrafia sudarabica: le iscrizioni su cocci trovate
11t01 lo scavo stratigrafico di Durayb (Yalà) nel 1987 e pubblicate nel
1 992 con la loro antichità (inizio del l millennio a.C.) e con la loro
snittura preclassica hanno rimesso in discussione la cronologia e la sto­
ria della scrittura semitica meridionale, mentre la pubblicazione nel l 994,
dopo molti anni di notizie e di comunicazioni rimaste inedite, di un
piccolo gruppo di testi scritti su bastoncini di legno (piccioli di palma)
h,\ rivelato l'esistenza di una scrittura corsiva usata nella vita quotidiana
l' rimasta a lungo sconosciuta.

Ricco materiale sudarabico e paleoetiopico (in scrittura consonanti­


ra) è stato riportato alla luce da scavi francesi condotti a partire dal
I •H 5 in varie località dell'Etiopia (Yehà, Hawltì-Melazò, Endà Cher­
qìis, Matarà, Macallè); nel 1 98 1 è stata trovata ad Aksum una seconda
o < :t. i\ . D. Tushingham, In Memoriam Frederick Victor Winnett 1903 -1989, in BASOR
1 71J ( 1 990), pp. 1 -4.

37
Le scoperte e gli studi

copia della grande iscrizione «trilingue» (in realtà greco, etiopico ed etio­
pico in caratteri sudarabici) di Aksum. Di grande importanza per la pro­
tostoria etiopica sono alcune brevissime iscrizioni rupestri scoperte in
Eritrea nei primi anni Cinquanta e pubblicate in Italia parte nel 1 9 5 9 e
l 960, parte negli anni l 999 e seguenti.
In questa rassegna del nuovo materiale acquisito nell'ultimo mezzo
secolo dobbiamo ricordare anche la pubblicazione di iscrizioni trovate
in precedenza ma rimaste inedite più o meno a lungo. I testi aramaici
rinvenuti a Persepoli tra il 1936 e il 1938 furono pubblicati (ma non in­
tegralmente) da R.A. Bowman solo nel 1970, quelli fenici di Umm el­
Amed, scoperti tra il 1 942 e il 1 94 5 , lo furono da M. Dunand nel 1 962;
tre gruppi di papiri aramaici furono pubblica�i rispettivamente nel 1 9 5 3
da E.G. Kraeling (museo di Brooklyn), nel 1 9 5 4 da G.R. Driver (Brit­
ish Museum), nel 1 966 da Edda Bresciani (papiri di Hermopoli). Tra il
196 1 e il 1 9 8 1 Maria Hofner ( 1 900- 1992),1 con altri studiosi, ha portato
a termine la pubblicazione, che era rimasta interrotta per alcuni decen­
ni, delle iscrizioni raccolte dal Glaser alla fine dell'Ottocento.
Il continuo anche se generalmente lento accrescersi del materiale non
ha trovato un'adeguata risposta da parte degli studiosi di epigrafia
semitica; la quale proprio in questo settore rivela il suo stato di profon­
da crisi. Il Corpus inscriptionum Semiticarum è sempre proceduto len­
tamente, ma è fermo dal 1 962, quando J. Février2 fece uscire l'ultimo fa­
scicolo del terzo volume della Pars prima dedicata alle iscrizioni fenicie.
Il Répertoire d'épigraphie sémitique non ha più pubblicato iscrizioni
nordoccidentali dal 1 9 1 9; tra il 1929 e il 1 9 5 0 G. Ryckmans vi ha pub­
blicato tre volumi di iscrizioni sudarabiche; nel l 968 è apparso l'ultimo
volume, a cura di Jacqueline Pirenne, che però contiene solo indici. Di
fronte alla paralisi che ha colpito le due più prestigiose raccolte di iscri­
zioni non è mancata qualche iniziativa che ha cercato di porre rimedio,
almeno parzialmente, a questa situazione. La stessa J. Pirenne progettò
un Corpus des inscriptions et antiquités sud-arabes che prese l'avvio nel
1 977 con un volume preliminare di bibliografia e un primo tomo che da­
va larga parte al materiale inedito; l'opera si è però interrotta dopo il se­
condo tomo, apparso nel 1986, per la scomparsa della studiosa ( 1 9 1 8-
1 990 ). Il progetto è stato parzialmente ripreso dal suo allievo C. Robin,
che per pubblicare materiale recente ha ideato un lnventaire des inscrip­
tions sudarabiques, a collaborazione italo-francese, con volumi redatti

1 Cf. W.W. Miiller, Maria Hofner, in AfO 40-41 ( 1 993-1994), pp. 3 3 1 -3 34.
2 Cf. M. Sznycer, ]ames Germain Février (1 895-1976), in AEPHE, 1976- 1977, pp. 49-66.
Le scoperte e gli studi

da autori diversi; ma l'opera procede lentamente e con qualche incer­


tezza. Anche un'opera di modeste pretese, l' Inventaire des inscriptions
de Palmyre, si fermò nel 1975 con il XII fascicolo. Il sostanziale fallimen­
to dei progetti di ampio respiro ha provocato la realizzazione di raccol­
te settoriali ma complete, come quella dedicata ai papiri aramaici nel l 92 3
e l'altra alle iscrizioni ebraiche nel 1 934· Nel 1962 videro la luce le iscri­
zioni sudarabiche ed etiopiche di Etiopia; nel 1967 è stata pubblicata
una raccolta delle iscrizioni puniche non africane, nel 1974 una di iscri­
zioni minee (solo testo), nel 198 1 una dedicata alle iscrizioni di Hatra; i
testi aramaici d'Egitto sono stati riediti in quattro volumi apparsi tra il
1 986 e il l 999; il piccolo corpus delle iscrizioni ammonitiche ha visto la
luce nel 1 989, mentre nel 199 1 sono apparsi contemporaneamente quel­
lo (aggiornato) delle iscrizioni ebraiche e il primo volume (solo testo) di
quelle antiche d'Etiopia; nel 1 996 è stata la volte delle iscrizioni palmi­
rene; un corpus di iscrizioni qatabaniche, ad esclusione dei piccoli fram­
menti, è apparso nel 2004. In questo ambito vanno segnalate anche al­
nme antologie di iscrizioni: la più importante, che ha sostituito quella
dcl Cooke (ma senza i testi palmireni e nabatei) è quella che W. Rollig e
1 1 . Donner hanno dedicato rispettivamente alle iscrizioni cananaiche (fe­
nicie, puniche, moabitiche, ebraiche) ed aramaiche; l'opera è stata pub­
blicata tra il 1 962 e il 1 966 (una seconda edizione, con pochi aggiorna­
menti, apparve tra il l 966 e il l 969; il primo fascicolo ha avuto una nuo­
va edizione ampliata nel 2002 ma non è prevista la riedizione del com­
mento). Inferiore sotto ogni aspetto, pur avendo intenti analoghi, è la
sillo ge di J.C. Gibson in tre volumi contenenti rispettivamente le iscri-
1'.ioni ebraiche e moabitiche ( 1 97 1 ), quelle yaudiche e aramaiche ( 1 975)
l' quelle fenicie ( 1 982). Al solo aramaico era dedicata la crestomazia edi-

1 .\ nel l 962 da J.J. Koopmans.


Un dato positivo che emerge dagli studi più recenti di epigrafia semi-
1 ica è un innegabile allargamento di prospettiva nell'analisi delle iscri-
1'.ioni; oltre naturalmente all'aspetto linguistico si è incominciato a tener
rnnto anche della struttura letteraria che non di rado soggiace alle epi­
i.;r;\h, con risultati talvolta insospettati. Maggiore spazio che in passato è
sL\lo dato alle ricerche onomastiche; il lavoro pionieristico del Ryckmans
( 1 934) è stato ripreso da G.L. Harding ( 1 97 1 ); raccolte onomastiche so-
110 state realizzate per il palmireno ( l 97 l ), il fenicio ( l 972 ) , Hatra
( 1 983), l'aramaico antico ( 1 98 8); negli anni Novanta diversi lavori sono
stati dedicati ai dialetti sudarabici. Molto meno soddisfacente è invece la
situazione degli studi paleografici, ai quali si è chiesto più di quanto
l 'estrema povertà del materiale settentrionale e la natura di quello meri-

39
Le scoperte e gli studi

dionale potevano dare. L'iscrizione aramaica di Tell Fekheriyeh ha dato


una clamorosa smentita alle sequenze paleografiche stabilite per le più
antiche iscrizioni semitiche nordoccidentali, mentre gli studi più recenti
hanno consacrato il fallimento dei criteri paleografici stabiliti da J ac­
queline Pirenne nel 1 9 5 6 per l'area sudarabica, criteri sui quali diversi
studiosi avevano basato le loro ricostruzioni cronologiche della più an­
tica storia sudarabica. Utili, ma ormai insufficienti, punti di riferimento
per un primo approccio restano comunque i lavori di J.B. Peckham sul­
la scrittura fenicia ( l 968) e di J. Naveh su quella aramaica ( l 970).
L'aspetto che forse più di ogni altro caratterizza l'epigrafia semitica
degli ultimi decenni è l'enorme accrescimento della bibliografia secon­
daria, non di rado di livello scientifico decisamente mediocre. Il fenome­
no non è esclusivo della nostra disciplina ed è' l'inevitabile anche se non
desiderata conseguenza dell'aumento quantitativo degli insegnamenti
universitari o comunque specialistici e delle relative riviste scientifiche.
In questo quadro generale vanno segnalate alcune iniziative più o meno
effimere che bene illustrano la situazione. Dal 1 967 al 1 979 J. Teixidor
ha curato una rassegna annuale di epigrafia semitica nordoccidentale, il
Bulletin d'épigraphie sémitique pubblicato sulla rivista Syria; tre studio­
si tedeschi hanno dato vita a tre volumi, apparsi nel 1972, 1 974 e 1978,
di studi epigrafici dal significativo titolo di Neue Ephemeris fiir semiti­
sche Epigraphik che riprendeva quello dell'opera del Lidzbarski; nel 1 978
cominciò ad apparire la rivista Raydan, dedicata in gran parte all'epigra­
fia sudarabica e con larga partecipazione internazionale, che uscì rego­
larmente solo fino al l 98 l ; successivamente sono stati pubblicati, tra il
1988 e il 200 1 , soltanto tre volumi. Non si vuol dare alla vicenda di que­
ste iniziative scientifiche un valore emblematico che probabilmente non
hanno, ma non ci si può sottrarre all'impressione che a partire dagli an­
ni Ottanta l'epigrafia semitica si trovi in non trascurabili difficoltà.
Un'ultima considerazione, anche questa purtroppo non positiva per i
nostri studi, riguarda l'atteggiamento assunto da non pochi studiosi nei
riguardi dell'epigrafia semitica a partire dagli anni immediatamente suc­
cessivi alla seconda guerra mondiale. Seguendo l'atteggiamento dell'ame­
ricano W.F. Albright ( 1 89 1 - 1 97 1 ), molti di essi condividono la posizio­
ne apertamente dichiarata da A.M. Honeyman nel 1 9 5 1 quando in una
rassegna pose l'epigrafia semitica tra gli «studies ancillary to the inter­
pretation of the Hebrew Bible».1 Se a ciò si aggiunge il recente diffonder­
si di tendenze religiose integraliste possiamo spiegare alcuni fenomeni
r A.M. Honeyman, Semitic Epigraphy and Hebrew Philology, in H.H. Rowley (ed.),

The Old Testament and Modern Study, Oxford 1 9 5 r, pp. 264 - 282.
Le scoperte e gli studi

che caratterizzano gli studi epigrafici semitici dei nostri giorni: la posi­
zione privilegiata goduta dalle iscrizioni ebraiche in ogni tipo di tratta­
zione; il veto messo alla pubblicazione di testi importanti come i papiri
aramaici del wadi Daliyeh (presso Samaria) e i testi epigrafici ebraici e
fenici di Kuntillet Ajrud, nel Negev; la pratica, sempre esistita ma oggi
portata a livelli inaccettabili, della creazione di falsi epigrafici più o me­
no clamorosi elaborati specialmente per dare un fondamento «storico»
all'Antico Testamento; ' l'impostazione fortemente nazionalistica con
cui sono state condotte le ricerche epigrafiche in Etiopia; e infine, per
unificare quasi i due settori dell'epigrafia semitica, il condizionamento
esercitato, esplicitamente o meno, dalla leggendaria regina di Saba sulla
ricostruzione della più antica storia sudarabica.

Nota bibliografica
Una storia generale dell'epigrafia semitica non è stata ancora scritta. Come
saggio introduttivo si rimanda a G. Garbini, Storia e problemi dell'epigrafia se­
mitica, Napoli 1979.
Per il settore settentrionale, dalle origini alla fine dell'Ottocento, è essenzia­
le, anche per la bibliografia, M. Lidzbarski, Handbuch der nordsemitischen
l:'pigraphik, Weimar 1 898, pp. 89- 1 1 0.
Per il settore meridionale si può ricordare D. Nielsen, Handbuch der altara­
/Jischen Altertumskunde, Kopenhagen 1927, pp. 1 - 5 1 .
Dopo l a fine della seconda guerra mondiale si registrò qualche tentativo di

1 Per l'Ottocento cf. Ch. Clermont-Ganneau, Les fraudes archéologiques en Palestine,

l ';1ris 1 88 5 ; v. inoltre A. Dupont-Sommer, Un dépisteur de fraudes archéologiques: Char­


lt·s Clermont-Ganneau (1846-1923), Paris 1 974· Un episodio curioso, fra i tanti, è quello
11.11Tato da S. Gibson, Conrad Schick (1822-1901), the Palestine Exploration Fund and
,,,, •Àrchaic Hebrew» Inscription from Jerusalem, in PEQ 1 3 2 (2000), pp. 1 1 3 - 1 22. Per
qu;111to riguarda il Novecento, è degna di nota la recentissima presa di posizione di due
.1111orcvoli studiosi contro un'ennesima falsificazione epigrafica: F.M. Cross, Notes on
1/11· Forged Plaque Recording Repairs to the Tempie, in IEJ 53 (2003), pp. 1 1 9- 1 22 e I.
l•:ph'al, The 'Yehoash lnscription ': a Forgery, ibid., pp. 1 24- 128. Una quindicina di anni
l .1 due studiosi pubblicarono un papiro ebraico il cui ottimo stato di conservazione era
.� ufficicnte a dimostrarne la falsità; dopo aver discusso a lungo il documento, mettendo
rnmpctcntemente in luce tutti gli elementi che ne denunciavano la falsità, gli autori con­
l'ludcvano: «Le profil du faussaire éventuel est clone celui-ci: un spécialiste des langues
11onl-oucst sémitiques qui connait particulièrement bien la littérature rabbinique. Son
i111 cntion aurait été de créer un texte qui placerait les origines de l'hébreu mishnique au
111ilil'U du premier millénaire av. J.-C. ... Ce profil plaira peut-etre à certains. Nous pré­
lfrons n'accuser aucun de nos collègues d'un tel crime contre la science. Le mot 'crime'
1•s1 l'mployé à bon escient ... Il nous semble plus plausible de voir ici un texte authenti­
'Jlll' . (P. Bordreuil - D. Pardee, Le papyrus du marzea&, in Semitica 3 8 [1988 ma ap­
.. •

p� rso nel 1 990), pp. 49-68); la foto del papiro ebbe l'onore della copertina. Il lettore giu­
d irhi d;1 sé.

41
Le scoperte e gli studi

bilancio parziale: G. R yckmans, L 'épigraphie arabe préislamique au cours de


ces dernières années, in Muséon 6 1 (1948), pp. 1 97-2 1 3 . J.G. Février, Les dé­
-

couvertes épigraphiques puniques et néopuniques depuis la guerre, in Studi


orientalistici in onore di G. Levi Della Vida 1, Roma 1 9 5 6, pp. 247-286. J. -

Hoftijzer, Kanttekeningen bij het onderzoek van de westsemitische epigrafie, in


JEOL l 5 ( 1 9 5 7- 5 8), pp. I 1 2 - 1 2 5 .
Dal l 967 al 1979 sulla rivista Syria è apparsa una rassegna degli studi dedicati
all'epigrafia semitica nordoccidentale, il Bulletin d'épigraphie sémitique curato
da J. Teixidor, raccolto poi in volume, con addenda, corrigenda e indici: J.
Teixidor, Bull. d'épigr. sémitique (1964-1980), Paris 1986. In questo stesso an­
no un Supplemento della Rivista di Studi Fenici raccoglieva e completava la ras­
segna dei lavori sull'epigrafia punica nel Nordafrica che dal 1974 era pubblicata
periodicamente nella rivista Studi Magrebini: G. Garbini, Venti anni di epigra­
·
fia punica nel Magreb (1965-1985), Roma 1986.
Tra il 1978 e il 198 1 la rivista Raydan ha pubblicato annualmente brevi ras­
segne sugli studi di sudarabico (prevalentemente epigrafici) effettuati in diversi
paesi europei. W.W. Miiller cura dal 1973 una bibliografia annuale sugli studi
sudarabici, con particolare riguardo all'epigrafia, sulla rivista AfO; i lavori pub­
blicati fino al 1996 sono stati raccolti, secondo l'ordine alfabetico degli autori,
in un volume: Siidarabien im Altertum. Kommentierte Bibliographie der jahre
1973 bis 1996, Rahden/Westf. 2oo r .
3 . Origine dell'alfabeto

L 'origine dell'alfabeto (su questo termine torneremo in seguito) ha sem­


pre costituito un argomento centrale negli studi di epigrafia semitica e
nonostante le numerose scoperte effettuate nel corso del Novecento gli
inizi della nostra scrittura restano ancora avvolti nel buio; anzi, i dati
emersi nell'ultimo secolo hanno reso il problema molto più complicato
Ji quanto fosse in precedenza.
Nell'antichità classica diverse erano le opinioni su chi avesse inventa­
to la scrittura e in particolare le lettere dell'alfabeto, ma in generale si
;tttribuiva ai Fenici il merito, se non di esserne gli inventori, almeno di
esserne stati i diffusori; ' uno dei vari motivi di incertezza su queste
fonti antiche è che gli scrittori greci e latini davano al termine «fenici»
u n 'accezione più ampia di quella datagli attualmente, facendolo corri­
spondere piuttosto al nostro «Levantini». In età moderna, la grande an­
tic hità riconosciuta alle scritture egiziana e mesopotamica ha portato gli
studiosi a far derivare la scrittura fenicia dapprima da quella egiziana o
da quella cuneiforme o anche, dopo le scoperte di A.I. Evans a Creta,
da quella cretese; il rinvenimento, agli inizi del Novecento, delle iscri­
zioni protosinaitiche e, poco più tardi, di frammenti epigrafici palesti­
nesi che furono datati entro la prima metà del II millennio a.C. favorì
l 'elaborazione di quella che è stata definita «teoria americana»' sull'ori­
�ine dell'alfabeto. Poiché tale ipotesi è quella che trova oggi il maggior
numero di seguaci è necessario sottoporla a un breve esame.
Ideatore della teoria è stato l'americano W.F. Albright, che la elaborò
ne�li anni Quaranta del Novecento: dopo aver abbassato, senza addur­
re argomenti validi, la datazione dell'iscrizione fenicia di Ahiram dal
x111 sec. a.C. (data da lui sostenuta in precedenza) all'inizio del x sec.,1
;\ ll nunciò una sua (presunta) decifrazione delle iscrizioni protosinaiti-

1 CL G. Garbini, Storia e problemi, cit., pp. 2 7- 3 3 .


•M . Srnycer, L 'origine de l'alphabet sémitique, in L 'espace e t la lettre, Paris 1 977, pp.
7y- 1 2 3; la definizione si trova a p. 1 1 5 . Questo studioso è uno dei pochissimi che ha ri­
volto fondate critiche all 'ipotesi made in USA .
1 W . I '. Albright, The Phoenician lnscriptions of the Tenth Century B. C. from Byblus, in
J t\ OS 67 ( 1 947), PP· I 5 3 - 1 60 .

43
Origine dell'alfabeto

che,' datate approssimativamente a cavallo del I 5 00 a.C.; nello stesso


articolo lo studioso affermava che tre iscrizioni trovate in Palestina, e
precisamente un frammento ceramico da Gezer con tre segni, una spada
da Lachish con quattro segni e un frammento calcareo da Sichem con
sette segni, erano da datare tra il 1 700 e il I 5 50 a.C., essendo evidente
per «a neutra! observer trained to recognize changes in form» che i se­
gni presenti sui reperti palestinesi erano più antichi di quelli protosinai­
tici.2 Delineato così nelle linee generali lo sviluppo della scrittura con­
sonantica, che avrebbe dunque avuto la sua origine in Palestina e che
solo dopo molti secoli avrebbe raggiunto la Fenicia, l' Albright affidò al
suo allievo F.M. Cross il compito di precisare i dettagli: nel 1 9 5 4 appar­
ve il primo di una serie di articoli in cui veniva esaminata l'evoluzione
della scrittura consonantica dalle iscrizioni protosinaitiche (datate al xv
sec. a.C.) a quelle che furono chiamate «protocananaiche», paleografi­
camente distribuite tra il xm e l'x1 sec. a.C.; il nome dato a queste iscri­
zioni era giustificato dal fatto che tutte le epigrafi in scrittura più «ar­
caica» di quella fenicia provenivano dalla Palestina.3
Considerata in se stessa, la teoria di Albright-Cross non ha nulla di
inverosimile; essa è tuttavia inaccettabile per i presupposti metodologici
su cui è basata. Per parlare di una evoluzione nella forma dei segni è in­
dispensabile che i segni stessi siano bene individuabili: ora, gli sporadici
segni attestati sui reperti datati alla prima metà del II millennio a.C. re­
stano completamente indecifrati, come è indecifrata una buona parte dei
segni protosinaitici; collegare a questi i simboli grafici documentati nei
secoli finali del II millennio a.C. (e nemmeno questi sempre comprensi­
bili) costituisce pertanto un semplice arbitrio. In secondo luogo bisogna
considerare che il criterio paleografico, anche quando è applicato a scrit­
ture ben note, è assolutamente inaffidabile quando manchino, come ac­
cade quasi sempre nell'epigrafia semitica, serie di iscrizioni distribuite
con sicurezza su un periodo abbastanza lungo provenienti dallo stesso
luogo e con caratteri omogenei; l'epigrafia semitica è ricca di clamorose

1 W.F. Albright, The Early Alphabetic Inscriptions from Sinai and Their Decipherment,
in BASOR I 10 ( I 948), pp. 6-22.
i Ibidem, p. I 2; la fallacità del!'«osservatore esperto» è stata dimostrata dallo stesso Al­
bright, il quale nel suo lavoro The Proto-Sinaitic Inscriptions and Their Decipherment,
Cambridge, Mass. 1 966, pp. IO-I I datò il frammento di Sichem tra il I 4 5 0 e il 1 400 a.C.,
cioè 75 anni dopo le iscrizioni protosinaitiche.
3 F.M. Cross, The Evolution of the Proto-Canaanite Alphabet, in BASOR I }4 ( I 9 5 4),

pp. I 5 -24; The Origin and Early Evolution of the Alphabet, in El 8 ( 1 967), pp. 8"-24";
nuovo e importante materiale è stato esaminato dallo studioso in Newly Found lnscrip­
tions in Old Canaanite and Early Phoenician Scripts, in BASOR 238 ( 1 980), pp. I -20.

44
Origine dell'alfabeto

smentite al criterio paleografico. Tenuto infine conto dell'estrema incer­


tezza dei dati archeologici riguardo alla datazione dei reperti (l' archeo­
logia palestinese, in particolare, offre infiniti esempi di continui cambia­
menti nella datazione di strati archeologici), occorre ricordare i criteri
estremamente soggettivi con cui i sostenitori della «teoria americana»
datano le singole iscrizioni «protocananaiche», cambiando opinione da
un articolo all'altro e talvolta all'interno dello stesso articolo; 1 su un
solo punto essi sono tutti d'accordo: nell'assegnare alle iscrizioni trova­
te in Palestina sempre una datazione più alta di quella attribuita al ma­
teriale fenicio. Appare perciò evidente la motivazione ideologica che sta
alla base della «teoria americana».
Come si è detto all'inizio, non siamo ancora in grado di conoscere
dove e quando fu inventata la scrittura consonantica. La regione siro­
palestinese, e in particolare la parte più occidentale, fu certamente la
zona in cui nacque il nuovo tipo di scrittura, anche se tale localizzazio­
ne geografica resta ovviamente piuttosto vaga; ad essa ci riportano in­
fatti i numerosi tipi di scrittura, documentati in maniera più o meno
consistente, che vi furono creati a partire almeno dalla metà del II mil­
lennio a.C. Si tratta di materiale assai eterogeneo che veniva ad affian­
carsi alle due più importanti scritture usate nell'area in quel periodo:
quella cuneiforme babilonese (il babilonese era la lingua internazionale
della diplomazia) e quella geroglifica egiziana rappresentata dalle iscri­
i'.ioni monumentali erette dai faraoni nella parte asiatica del loro domi­
nio. I dati che si possono ricavare dall'esame del materiale meglio noto,
;\i fini di una storia dell'alfabeto, non sono molti ma consentono tutta­
via di fissare alcuni punti fermi.
I dati più importanti sono forniti dalla scrittura ugaritica. Questa è
u na scrittura documentata da circa la metà del XIV sec. a.C. fino ai pri­
missimi anni del xu nella città siriana di Ugarit, sulla costa mediterra­
nea. Si tratta di una scrittura cuneiforme costituita da forme molto sem­
plici (uno, due, tre tratti verticali; uno, due, tre tratti orizzontali e un
1-:rosso cuneo variamente combinati tra loro), per un totale di trenta se-
1-:ni, di cui due vocalici.' Abbiamo qui un precoce esempio di scrittura
sicuramente consonantica, utilizzata per esprimere la lingua locale ca­
ratterizzata da un ricco consonantismo che per certi aspetti anticipa
l) Uello dell'arabo. Il collegamento della scrittura ugaritica con quella fe­
niri.1 del 1 millennio a.C. fu rivelato nel 1 9 5 0, quando fu pubblicato un
1 Si veda in proposito G. Garbini, Note epigrafiche, 3. Le iscrizioni «protocananaiche»
1ft.I X Il e XI secolo a. C., in AION 34 ( 1 974), pp. 5 84- 590.

• ( ; , ( .. Windfuhr, The Cune�(orm Signs of Ugarit, in JNES 29 ( 1970), pp. 48- 5 1 .

45
Origine dell'alfabeto

alfabetario del xiv sec. a.C.,' il primo di una serie abbastanza ricca; tale
documento mostrava infatti che l'ordine di successione dei segni alfabe­
tici ugaritici era lo stesso di quelli fenici.2 Poiché si era già osservato che
due dei segni ugaritici, il cuneo (Winkelhaken) che esprimeva la conso­
nante 'ayn e il segno traslitterato s posto alla fine dell'alfabetario, ripro­
ducevano nella scrittura cuneiforme la forma di 'ayn e samek fenici, si
può affermare con sicurezza che nonostante la mancanza di iscrizioni
fenicie databili al xiv sec. a.C. l'alfabeto fenicio preesisteva alla scrittura
ugaritica. È lecito chiedersi, a questo punto, se l'alfabeto fenicio usato
come modello a Ugarit fosse costituito da 22 segni, come quello noto
nel I millennio a.C., o da 28, tenuto conto che nell'abecedario ugaritico
due segni sono secondari e indicano la laringale alef con la vocale i e la
vocale u. La risposta a questa domanda viene 'implicitamente fornita dal
modo in cui si diffuse la scrittura ugaritica verso sud, in Siria, Libano e
Palestina. Qui sono state trovate in diverse località (Teli Nebi Mend,
Kamid el-Loz, Sarepta, Tabor) epigrafi redatte nel cuneiforme alfabeti­
co di Ugarit le quali usavano un alfabeto foneticamente ridotto, privo
cioè di alcune consonanti (interdentali, ghayn ): in altri termini, esprime­
vano una lingua foneticamente corrispondente al fenicio e non all'uga­
ritico. Poiché è indubbio che Ugarit abbia conosciuto un alfabeto feni­
cio che veniva da sud, appare molto probabile che questo rispecchiasse
la situazione fonetica rivelata dalle iscrizioni in scrittura ugaritica ridotta.
Un secondo importante elemento di giudizio viene fornito dalla scrit­
tura protosinaitica, anche se questa si presenta con una fisionomia me­
no precisa di quella ugaritica. La prima incertezza riguarda la cronolo­
gia, perché la datazione corrente delle iscrizioni protosinaitiche al xv
sec. a.C. non è affatto sicura, pur essendo possibile; l'altro punto debole
di questo materiale è costituito dalla ancora non completa decifrazione
della scrittura, di cui solo alcuni segni possono essere letti con sicurez­
za, mentre altri hanno valori fonetici tuttora sconosciuti. Nonostante la
decifrazione parziale possiamo essere tuttavia sicuri che ci troviamo di
fronte a una scrittura consonantica, analoga a quella ugaritica e a quella
fenicia.3 La posizione privilegiata assegnata dalla «teoria americana» al-
' Ch. Virolleaud, L'abécédaire de Ras Shamra, in GLECS 5 ( 1 9 50) pp. 5 7-60.
2 I segni delle consonanti ugaritiche non possedute dal fenicio sono inseriti nell'alfabeta­
rio ugaritico con un certo criterio: poiché i primi hanno in genere il Winkelhaken come
componente, essi sono stati messi vicino a un segno formalmente affine privo di Winkel­
haken; cf. G. Garbini, Alfabeto ugaritico e alfabeto cananaico, in RSF 1 7 ( 1 989), pp. 1 27-
1 3 1 . La presenza del segno «!» (pronunciato probabilmente s) al posto di «s» riflette pro­
babilmente una situazione fonetica ugaritica diversa da quella fenicia.
3 Cf. M. Sznycer, Protosinaitiques (inscriptions), in DBS vm, fase. 47, Paris 1 972, coli.
Origine dell 'alfabeto

la scrittura protosinaitica, considerata la prima delle scritture consonan­


tiche, ap pare scarsamente giustificabile da un punto di vista storico-cul­
turale. È infatti difficile ammettere che un'invenzione così importante
come quella della scrittura consonantica abbia avuto le sue premesse
culturali in un ambiente socialmente marginale come quello dei funzio­
nari delle miniere e comunque limitato al sud della Palestina; dobbiamo
infatti domandarci perché la scrittura protosinaitica non abbia lasciato
tracce sicure nelle città palestinesi che avevano una presenza egiziana. '
Né bisogna trascurare il rapporto, piuttosto singolare, che unisce tale
scrittura a quella egiziana e che non depone a favore dell'ipotesi che ve­
de nella scrittura protosinaitica il momento originario della scrittura con­
sonantica.
Il dato più appariscente offerto dalla scrittura protosinaitica è che es­
sa utilizza molti segni desunti dalla scrittura egiziana, ma con un diver­
so valore fonetico. Si ripete qui lo stesso processo messo in atto ad Uga­
rit: viene inventata una nuova scrittura espressa però in forme grafiche
che si rifanno a quelle delle grandi culture dominanti nelle due regioni,
quella cuneiforme babilonese a nord e quella egiziana a sud. Esaminan­
do il sistema grafico protosinaitico vanno rilevati due fatti: il primo è
che non tutti i segni sono di origine egiziana (solo 1 7 su circa 24 noti); il
secondo è che solo in un caso il segno protosinaitico ha lo stesso valore
fonetico di quello egiziano da cui è derivato. Questa seconda circostan­
za rende inevitabile la domanda: se la scrittura protosinaitica voleva crea­
re un «alfabeto» partendo da quella egiziana, perché non ha adottato
quello egiziano già esistente, costituito dalla serie dei segni monoconso­
nantici? È noto che il valore fonetico dei segni protosinaitici è dato
dalla prima consonante della parola semitica corrispondente al gerogli­
fico egiziano: il segno «m», da mayn «acqua», è reso dal geroglifico «n»
che rappresenta un filo d'acqua; sarebbe stato ovvio che il procedimen­
to usato per «m» fosse stato applicato a tutti i segni monoconsonantici
q�iziani: ciò è invece accaduto solo per «m», «n» (dal segno «Q») e «�»
(che, probabilmente per caso, ha lo stesso valore fonetico dell'egiziano).
Perché, limitando il discorso ai soli segni identificati con relativa certez­
za, per alef, «b», 'ayn, «q» e «r>> si è fatto ricorso a segni biconsonantici

1 1 H4- 1 3 9 5 . Oggi devo ammettere che il mio scetticismo sulla natura consonantica della
snittura protosinaitica (Storia e problemi . , cit., pp. 8 5-89) non era giustificato.
. .

1 Nella bibliografia corrente un'anticipazione della scrittura protosinaitica viene indicata

11l'l l c tre iscrizioni da Lachish, Gezer e Sichem ricordate all'inizio di questo capitolo.
l .'uso di questo materiale per ricostruire la storia dell'alfabeto è da evitare per le molte
inrcrtczzc, non esclusa quella relativa all'autenticità, che presentano tali epigrafi, peraltro
hn·vissi mc.

47
Origine dell'alfabeto

e per «h» a uno triconsonantico ? La presenza di segni di origine non


egiziana costituisce un fatto naturale, se si pensa che la lingua espres­
sa dalle iscrizioni protosinatiche, per il numero dei segni noti, doveva
avere un sistema consonantico piuttosto ricco, come l'ugaritico e le lin­
gue semitiche meridionali. Il dato singolare è che dei sette segni non
egiziani tre sono di origine sconosciuta e rappresentano con molta pro­
babilità consonanti estranee all'egiziano, ma quattro, «l» «S» «k» e «t»
sono rapportabili alla scrittura fenicia. Ora, se i primi due esprimevano
consonanti probabilmente assenti in egiziano, gli altri due rappresenta­
vano consonanti esistenti anche in questa lingua: perché allora ricorrere
a segni estranei, desunti da una scrittura di tipo fenicio ? Tutte queste
domande trovano una risposta solo se postuliamo che la scrittura pro­
tosinaitica non rappresenta la prima creazione del sistema che definia­
mo alfabetico ma che invece, come quella ugaritica, costituisce la tra­
sposizione in forme prevalentemente egiziane di un alfabeto già esisten­
te, non solo come segni grafici ma anche con i nomi dei segni stessi attri­
buiti con il criterio acrofonico. È questa la ragione per cui la scrittura
protosinaitica ha utilizzato i geroglifici egiziani non secondo il loro va­
lore fonetico bensì secondo la loro forma esteriore, che doveva corri­
spondere al nome semitico dell'alfabeto già esistente. Ecco dunque la
testa di bue (in egiziano ki) per alef («bue» in semitico), la pianta di una
casa (in egiziano pr) per b (bet «casa»), un occhio (in egiziano Ìr) per 'ayn
(«occhio») e così via. L'esempio più eloquente di questo procedimento
è quello del segno «k»: in egiziano esisteva un geroglifico raffigurante
una mano con valore fonetico d, ma questo non fu preso in considera­
zione perché aveva la forma di una mano vista di fianco, come se avesse
due sole dita, mentre invece il nome semitico kaf indica il «palmo della
mano»; è per questo che il segno protosinaitico corrisponde sostanzial­
mente a quello fenicio. Per una ragione analoga il segno «t» ha la forma
a croce del fenicio taw, anche se in questo caso non si può escludere un
prestito dalla scrittura ieratica.
In conclusione possiamo affermare che la scrittura protosinaitica ha
avuto come modello un alfabeto già esistente che essa ha trasposto, nei
limiti del possibile, in geroglifici egiziani. Quando ciò non era possibile,
per mancanza di consonanti egiziane o per altre ragioni, essa ha fatto ri­
corso al suo modello; il fatto che questo non sia stato sufficiente a co­
prire tutte le esigenze della lingua rivela che l'alfabeto preso a modello
era di tipo ridotto, esattamente come nel caso dell'ugaritico.
L'analisi condotta sulle due più antiche scritture consonantiche ci
consente di stabilire che: a) entrambe derivano da una scrittura conso-
Origine dell'alfabeto

nantica gia esistente che usava segni di tipo fenicio; b) tale scrittura
esprimeva una lingua con un sistema consonantico ridotto, come quello
fenicio; 1 e) i segni di questa avevano un nome uguale a quelli dell'alfa­
beto fenicio, e poiché il nome del segno è legato al valore fonetico di
questo secondo il principio acrofonico ma anche alla forma del segno
stesso inteso più o meno ideograficamente, possiamo affermare che l'al­
fabeto originario fu ideato con una concezione unitaria che collegava tra
loro forma e nome del segno.
Questi dati, scarni ma importanti, forniscono indicazioni molto utili
per la ricerca sulle origini della scrittura consonantica. Anzitutto un ele­
mento che abbiamo desunto dalla scrittura protosinaitica: poiché questa
ha confermato che anche il suo modello, come quello ugaritico, era costi­
tuito da segni fenici, la considerazione svolta sotto il punto e) mostra che
il criterio metodologico generalmente seguito finora, quello di distingue­
re il principio consonantico dalla forma dei segni, è valido per lo svolgi­
mento della scrittura, a partire appunto da quelle protosinaitica e ugari­
tica, ma non può essere applicato al momento iniziale della scrittura con­
sonantica fenicia. Il principio consonantico come struttura essenziale
della scrittura è nato contemporaneamente ai ventidue segni dell'alfabe­
to fenicio. È tale elemento strutturale dell'alfabeto fenicio che segna una
separazione netta tra questo e il cosiddetto alfabeto egiziano.'
Un secondo punto che si può considerare acquisito riguarda la cro­
nologia. Anche se resta incerta la datazione delle iscrizioni protosinaiti­
che, l'invenzione della scrittura consonantica va collocata comunque in
una data anteriore al r 5 00 a.C. Di quanto tale scrittura abbia preceduto
la metà del II millennio a.C. è per il momento impossibile precisare: con­
siderazioni di ordine storico rendono possibile qualsiasi momento com­
preso tra il xvm e il XVI secolo a.C. Se l'adozione della scrittura conso­
nantica a Ugarit nel XIV sec. a.C. suggerisce una data non troppo remota
dal r 500 a.C., dobbiamo considerare la possibilità che il silenzio della
città siriana prima del XIV secolo sia dipeso dalla condizioni di questa.
L'ultimo dato che abbiamo accertato è che l'alfabeto originario aveva
un consonantismo ridotto: questo significa che i suoi inventori non par­
lavano né l'amorreo (cioè una lingua come l'ugaritico) né una lingua se­
mitica meridionale (nordarabico e sudarabico); per quanto conosciamo

1 Su questo punto concorda, ancora una volta contro l'opinione generale, M. Sznycer:
d. p. 1 1 6 dell'articolo citato sopra, p. 43 n . 2.
1 Nell'invenzione dci segni dell'alfabeto fenicio non si può escludere una qualche influ-
1·111.a della scrittura ieratica egiziana; cf. W. Helck, Zur Herkunft der sog. «phonizischen»
.\' !'hrifi, in UF 4 ( 1 971), pp . 41 - 4 5 .

49
Origine dell'alfabeto

oggi delle lingue semitiche del II millennio a.C., l'alfabeto fu inventato


da qualcuno che parlava fenicio (in ossequio all'ideologia oggi domi­
nante, molti direbbero «cananaico» ). Questo ci riporta ali' area fenicio­
palestinese, l'antica terra di Canaan, cioè in una regione compresa tra
Ugarit e il Sinai; ma dove esattamente fu inventato l'alfabeto ?
In questo momento non siamo ancora in grado di rispondere a que­
sta domanda. Nella prima metà del II millennio vi era una città che emer­
geva fra tutte, economicamente e culturalmente, Biblo, la quale aveva
inventato, in una data imprecisata che va però collocata verosimilmente
prima della fine della prima metà del II millennio a.C., un proprio siste­
ma di scrittura. Gli scavi effettuati nella città hanno infatti riportato alla
luce diverse iscrizioni monumentali redatte in una scrittura, chiamata
«pseudo-geroglifica», che non è stata ancora decifrata ma che sicura­
mente non è consonantica bensì, come suggeriscono i quasi cento segni,
sillabica. 1 La preminenza culturale di Biblo e il fatto che da essa pro­
vengano le più antiche iscrizioni fenicie in scrittura alfabetica fanno sup­
porre che anche quest'ultima fu creata, non sappiamo per quale ragio­
ne, in questa stessa città.
Prima di proseguire nella storia della più antica scrittura consonanti­
ca è necessario soffermarsi brevemente su un altro aspetto del più anti­
co alfabeto: quello dell'ordine di successione dei segni. Come hanno ri­
velato gli alfabetari ugaritici, fin dall'inizio l'alfabeto fenicio presentava
i segni nell'ordine che è giunto sostanzialmente fino a noi: alef, «b»,
«g», «d», ecc. Il problema sta nel fatto che tale ordine non riflette affini­
tà né di ordine grafico né di ordine fonetico, in quanto i segni si susse­
guono senza alcun rapporto tra loro, indipendentemente dalla loro for­
ma e dal loro suono. Un pensiero complesso come quello che ha porta­
to all'invenzione dell'alfabeto fa escludere nella maniera più assoluta
che tale ordine sia stato dettato dal caso e che non possieda una logica
interna. Ora è da notare che per tutto il I millennio a.C. l'area siro-pale­
stinese ha restituito decine di documenti epigrafici, costituiti da serie
alfabetiche intere o parziali, di natura inequivocabilmente religiosa: co­
me ad esempio un'anfora da Kuntillet Ajrud (serie alfabetiche parziali e
disegni e iscrizioni di carattere sacro), un'altra trovata in una tomba fe­
nicia a Salamina di Cipro e molti sigilli in pietra dura, provenienti da
tombe, con le prime lettere dell'alfabeto precedute dalla preposizione l-

1 Cf. M. Sznycer, Les inscriptions «pseudo-hiéroglyphiques» de Byblos, in Biblo. Una cit­

tà e la sua cultura. Atti del Colloquio Internazionale (Roma, 5-7 dicembre 1990), Roma
1 994, PP· 1 67-1 78.
Origine dell'alfabeto

«per». ' La provenienza funeraria di molto di questo materiale rende


agevole l'interpretazione dei segni incisi sui sigilli, che hanno sempre la
forma di uno scarabeo: la scritta «per alef, b, g, d, ... » corrisponde alla
formula l'lm «per sempre». L'alfabeto, semplicemente in quanto tale,
aveva dunque in sé il concetto di eternità, di sopravvivenza dopo la
morte. È questa la ragione che rende assai suggestiva e convincente la
spiegazione che qualche decennio fa fu proposta da Alessandro Bausa­
ni, il nostro grande orientalista specialista anche di astronomia orienta­
le. Studiando le stazioni lunari nell'astronomia araba indiana e iranica,
in relazione con i segni dell'alfabeto arabo secondo la successione anti­
ca (identica a quella fenicia), egli giunse alla conclusione che l'ordine
dell'alfabeto fenicio presenta una specie di calendario, dove i segni alef,
ret, 'ayn e taw indicherebbero rispettivamente l'equinozio d'autunno, il
solstizio d'inverno, l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate. Que­
sto in una situazione astronomica che vedeva il plenilunio dell'equino­
i'. io autunnale in vicinanza delle Pleiadi, e cioè o intorno al 2000 o al
1 600 a.C., e in un ambiente geografico, come quello del Vicino Oriente,
dove l'estate con la sua siccità era sentita come un periodo sfavorevole;
oltre a tale ciclo stagionale, l'alfabeto di ventidue lettere può essere let­
to anche come un ciclo sinodico lunare con la settimana finale, negativa,
rappresentata dal taw. 2 Con tale ipotesi, non solo viene data una rispo­
sta soddisfacente a molti interrogativi (tra gli altri, quello sulla forma
dci segni: l'alef indicherebbe la costellazione del Toro, i segni circolari
la luna piena) ma si spiegherebbe anche il carattere sacrale posseduto
dall'alfabeto. La complessità intellettuale inerente all'invenzione dell'al­
fabeto presuppone necessariamente che esso sia nato in un ambiente con
�randi tradizioni culturali.
Venendo a tracciare un disegno sommario sulla prima diffusione del­
la scrittura consonantica, dobbiamo innanzi tutto accennare al proble-
111;\ della documentazione negli ultimi secoli del ii: millennio a.C., corri­

ro. l testi epigrafici assegnati a questo lungo,P eriodo sono molto diffici-
spondenti alla fase finale del Tardo Bronzo e ,all'inizio dell'Età del Fer­

1 i da utilizzare perché si tratta quasi sempre di testi molto brevi (spesso


mutili) e praticamente incomprensibili; oltre a ciò non è mai possibile
,\sscgnare ad essi una datazione soddisfacente: nel migliore dei casi ab­
hiamo un'oscillazione di uno-due secoli. Quando esiste il dato archeo­
logico, questo comporta sempre un largo margine di approssimazione e
1 < :f. G. Garbini, Le serie alfabetiche semitiche e il loro significato, in AION 42 ( 1 982), pp.

40.1 -4 1 1 .
• /\ , liausani, L 'alfabeto come calendario arcaico, in OA 17 ( 1 978), pp. 1 3 1 - 1 46.

p
Origine dell'alfabeto

va perciò usato con cautela; nella letteratura corrente, tuttavia, i dati del­
l'archeologia sono tenuti in scarso conto e si preferisce invece procede­
re con il criterio cosiddetto paleografico, esclusivamente soggettivo in
mancanza di sicuri punti di riferimento (si ricordi quello che abbiamo
detto poco fa a proposito di W.F. Albright, l'inventore di tale metodo).
La paleografia delle iscrizioni del periodo in questione è solo un prete­
sto per mascherare il vero scopo di molte pubblicazioni, che è quello di
ribadire la validità della «teoria americana». Va inoltre tenuto presente
un altro aspetto del problema: la relativa abbondanza di documenti pro­
venienti dalla Palestina (tra i quali non mancano i falsi) rispetto a quelli
trovati nell'area fenicia deve essere valutata non come indice di un più
ampio uso della scrittura nella parte meridionale di Canaan, ma soltan­
to come l'ovvia conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli scavi ef­
fettuati in Palestina e quelli condotti nel Libano. La sola città fenicia
oggetto di ricerche sistematiche è stata Biblo, scavata nella prima metà
del Novecento; se non ci fossero stati questi scavi noi ignoreremmo non
solo le più antiche iscrizioni fenicie ma la stessa esistenza della scrittura
«pseudo-geroglifica».
Inventato prima della metà del II millennio a.C., forse intorno al 1 600
a.C. se si accettano le argomentazioni di Bausani, l'alfabeto fenicio in­
cominciò in una data imprecisata a diffondersi in tutto il Levante. È pre­
sumibile che la più antica forma di adozione della nuova scrittura sia
stata quella dell'imitazione pura e semplice, come avvenne mezzo mil­
lennio più tardi nelle città aramaiche; di questa iniziale diffusione diret­
ta la stato attuale delle conoscenze non offre tuttavia alcuna testimo­
nianza. Come abbiamo già visto, le testimonianze più antiche sono quel­
le indirette, che mostrano l'adozione del principio alfabetico ma non dei
segni grafici da parte della scrittura protosinaitica e di quella ugaritica;
in questa prospettiva storica, la datazione al xv sec. a.C. delle iscrizioni
protosinaitiche appare leggermente alta. La prima attestazione diretta
dell'alfabeto fenicio è offerta dall'iscrizione incisa sul sarcofago di Ahi­
ram, re di Biblo; un paio di iscrizioni su oggetti fittili, trovate nella stes­
sa località, sono all'incirca contemporanee. Questo sarcofago, di grande
importanza anche per la storia artistica, da molti decenni è al centro di
una discussione cronologica: datato inizialmente al xm sec. a.C., la sua
datazione è stata improvvisamente abbassata da Albright all'inizio del x
secolo,' senza alcuna giustificazione scientifica ma con l'evidente scopo
di eliminare un testimonio epigrafico troppo scomodo per la teoria che

1 Vedi articolo citato sopra, p. 43 n. 3.


Origine dell'alfa�eto

lo studioso americano stava elaborando. Di fronte al quasi unanime ri­


fiuto degli storici dell'arte di datare il monumento al x secolo,' si è fatto
ricorso all'ipotesi, oggi molto accreditata, del reimpiego di un sarcofago
dcl XIII sec. a.C. da parte di un re morto intorno al r ooo a.C.; sono tut­
tavia le molte differenze linguistiche, veri e propri arcaismi che diffe­
renziano l'iscrizione di Ahiram da quelle documentate nella stessa Bi­
blo nel x sec. a.C., che obbligano a ritenere l'iscrizione contemporanea
;\Ila costruzione del sarcofago.' Da sottolineare, ai fini di una storia del­
l'alfabeto, è che a Biblo nel corso del XIII sec. a.C. fu abbandonata la scrit­
t ura «pseudo-geroglifica» e fu adottata quella consonantica fenicia.
I primi documenti relativamente sicuri della presenza dell'alfabeto fe­
nicio all'esterno della Fenicia sono due vasi, una brocchetta e una cop­
p;i, provenienti da Lachish in Palestina; su entrambi è dipinta una breve
iscrizione (la più lunga è mutila) ed entrambi vengono datati al XIII sec.
a.C. Accettando come valida tale datazione diventa inevitabile il con­
fronto con l'iscrizione di Ahiram: la scrittura attestata a Lachish presen­
t ;\ alcuni segni che hanno una forma più arcaica di quelli di Biblo, men­
i re tra questi ultimi è da notare una forma peculiare di alef Da queste
osservazioni si può dedurre che il maggiore arcaismo dei segni di La­
rhish riflette un attardamento provinciale: è dunque evidente che in Pa­
k·stina la scrittura giungeva da nord, come vedremo meglio fra poco.
Lo studio dell'origine e della diffusione della scrittura alfabetica risul­
t ;\ difficile e complesso non soltanto per la povertà della documentazio­
ne diretta ma anche per l'esistenza di una serie relativamente ricca di te­
sti, quasi tutti brevissimi, che documentano scritture, presumibilmente
;\lfobetiche, che usano segni diversi da quelli fenici, protosinaitici e «pseu­
do-geroglifici». È a questo periodo finale del Tardo Bronzo (XIV-XIII sec .
.1.C.) che vanno probabilmente assegnate iscrizioni enigmatiche come
quella da Biblo in scrittura «pseudo-geroglifica lineare», quella incisa
.� ull 'orlo di un vaso da Teli Gisr (Libano), alcune di Lachish e altre pale­
si i nesi; tipologicamente diverso ma non più comprensibile è il materiale
proveniente dall' Antilibano (segni isolati su cocci da Kamid el-Loz) e
dalla Transgiordania (tavolette fittili da Deir Alla, stele scolpita da Ba­
lua). La varietà di queste testimonianze grafiche non rapportabili diret-
1 ;\mente ad alcuna scrittura conosciuta rivela un'insospettata vivacità cul­
t u rale anche in zone ritenute periferiche alla civiltà urbana del Tardo
B ronzo finale, delimitata a est dall'Orante e dal Giordano. Esse dimo-
1 ( : 1 . anche, recentemente, E. Gubel, Byblos: l'art de la métropole phénicienne, in Bi­

/.111. . . , rit., pp. 74-76.


1 ( : 1 . ( ; , Garbi ni, Sulla datazione dell'iscrizione di A�iram, in AION 37 ( 1 977), pp. 8 1 -89.

53
Origine dell'alfabeto

strano inoltre l'esistenza di una notevole pluralità etnica e sociale: inven­


tarsi una propria scrittura rappresenta un'affermazione di autonomia
culturale che presuppone strutture economiche di un certo rilievo.
In questo quadro plurietnico della società siro-palestinese della secon­
da metà del 11 millennio a.C. si inserisce un fenomeno apparentemente
inspiegabile: la diffusione della scrittura cuneiforme alfabetica inventata
a Ugarit. Nel corso del XIII sec. a.C. questa non rimase limitata alla città
siriana e alle sue immediate vicinanze ma conobbe una notevole espan­
sione verso sud. Bisogna tuttavia premettere che l'alfabeto esportato
non è esattamente quello usato a Ugarit ma una sua varietà caratterizza­
ta da due elementi: riduzione del numero dei segni e direzione sini­
strorsa della scrittura; entrambi questi aspetti corrispondono a caratteri
della scrittura fenicia. Un dato interessante ma di difficile spiegazione è
che questo tipo di scrittura è attestato anche nella stessa Ugarit; la ridu­
zione dei segni può far pensare a una evoluzione fonetica nell'ambito del­
l'ugaritico, ma ciò non spiega la diversa direzione della scrittura. L'alfa­
beto cuneiforme ridotto è documentato a Hala Sultan Tekke (Cipro),
Tell Nebi Mend, presso Qadesh sull'Oronte e a Sarepta, ma in tutti que­
sti casi si tratta di oggetti (una coppa d'argento e due anfore) che posso­
no indicare semplici rapporti commerciali. Diversa è la situazione con
le iscrizioni provenienti da Kamid el-Loz nel Libano e dalla Palestina
(Tabor, Taanak e Beth Shemesh). Il primo problema posto da tale ma­
teriale è per quale ragione in terra fenicia e palestinese si sia voluto usa­
re questa scrittura invece di quella fenicia; d'altra parte la brevità o l'in­
comprensibilità delle iscrizioni non permette illazioni sulla lingua dei
testi. Ciò che ha sconvolto totalmente ogni precedente supposizione è
stata la decifrazione della tavoletta di Beth Shemesh, realizzata da A.G.
Lundin nel 1987, che si è rivelata essere un alfabetario che costituisce la
più antica attestazione dell'ordine alfabetico seguito dalle scritture se­
mitiche meridionali (nordarabico, sudarabico ed etiopico); 1 poco più
tardi, un più chiaro e completo alfabetario dello stesso tipo, sempre in
cuneiformi alfabetici, è stato scoperto nella stessa Ugarit (fig. r ) . 2 Que­
sta scoperta inaspettata, che ha rivelato l'origine siro-palestinese della
scrittura «meridionale», ha rimesso in discussione tutto il problema del­
l'origine di questa, in una prospettiva completamente diversa da quella
precedente, che guardava al Sinai (fantasie a parte).
1 A.G. Loundine, L 'abécédaire de Beth Shemesh, in Muséon 100 (1987), pp. 243-250.
2 P. Bordreuil - D. Pardee, Un abécédaire du type sud-sémitique découvert en 1988 dans
les fouilles archéologiques françaises de Ras Shamra - Ougarit, in CRAI 1995, pp. 8 5 5 -
860.

54
Origine dell'alfabeto

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t>-1 <t.! t-1>� be f Y g:: YF I>-( �� �
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Figura r . Alfabetari ugaritici. a) Alfabetario ugaritico, da sinistra a destra: 'a b
g b d h w z � ç y k s 1 Il m Q n ?- s ' p � q r ! Il g t ' i ' u s . -

b) Alfabetario da Ugarit con ordine alfabetico «meridionale» (notare alcune va­

q w ! r 1 1 b t 4 s k n b � 11 ?- p g g z s ç 11 d ' y .
rianti nella forma dei segni rispetto al precedente), da sinistra a destra: h 1 � m
'

Prima d i andare oltre, cerchiamo d i dare una sintesi, sommaria e na­


turalmente provvisoria, dei dati emersi finora sull'origine della scrittura
alfabetica. Prima della metà del II millennio a.C. in una città fenicia, che
potrebbe essere anche Biblo, viene creata una nuova scrittura, semplice
da apprendere e da usare, saldamente innestata in un contesto religioso,
con probabile riferimento a situazioni astronomiche in rapporto alla
luna. Questa scrittura si diffonde in tutta l'area siro-palestinese, dando
vita a scritture locali più o meno direttamente ispirate ad essa; nel XIII
sec. a.C. la scrittura alfabetica fenicia si afferma anche a Biblo, che fino
;\llora aveva usato una scrittura diversa. Nel corso verosimilmente dello
stesso xm sec. a.C. a Ugarit e nel resto dell'area compare e si afferma
una scrittura che condivide con quella fenicia lo stesso numero di segni
e la direzione sinistrorsa ma ne rifiuta le forme grafiche, preferendo
quelle dell'alfabeto cuneiforme, e l'ordine di successione dei segni (tav.
1 ). È chiaro che questo fenomeno ha un significato che va molto al di là
di una scelta grafica (si pensi cosa ha significato per la Turchia la scelta
dell'alfabeto latino); si tratta di un gruppo sociale appartenente a un'et­
nia d iversa da quella più diffusa nell'area fenicio-palestinese; ritrovare

55
fenicio ugaritico «meridionale» sabeo
di Ugarit
,
alef (a) h h
b b l l
g g h h
b m m
d d q q
h h w w
w w ! s,
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, (u)
s ?-
Tavola 1. Alfabeti.

diversi elementi della nuova scrittura presso genti nordarabiche e sud-


arabiche ci consente di istituire un certo parallelismo tra alfabeto feni-
cio e popolazione cananaica in contrapposizione ad alfabeto tipo Beth
Shemesh e popolazione nordarabica. La connessione di quest'ultima
con la città di Ugarit è facilmente spiegabile sia sul piano linguistico (fin
dalla scoperta dell'ugaritico si sono rilevate le molte affinità di questa
Origine dell'alfabeto

lingua con il futuro arabo classico) sia sul piano storico, almeno per chi
considera gli Amorrei (classe dirigente di Ugarit) i primi rappresentanti
delle popolazioni semitiche che vivevano ai margini delle culture urba­
ne; popolazioni che aspettavano solo l'occasione propizia per inurbarsi
a loro volta. 1 La distribuzione delle iscrizioni in cuneiforme ridotto ri­
vela una consistente presenza di genti che possiamo definire generica­
mente «nordarabiche» nei centri urbani siro-palestinesi, bene inserite
nel tessuto sociale di questi; d'altra parte, il fatto che diversi segni grafi­
ci presenti nelle già ricordate iscrizioni trovate a est dell'Orante e del
Giordano si ritroveranno, non sappiamo se con gli stessi valori fonetici,
nelle scritture nordarabiche e sudarabiche, costituisce un altro non tra­
scurabile indizio a favore di un certo rapporto storico tra coloro che
usavano la scrittura documentata a Kamid el-Loz, Deir Alla e Balua e le
genti nordarabiche che vedremo documentate epigraficamente verso
l'inizio del I millennio a.C. Se questo discorso è valido, trova una possi­
bile spiegazione anche l'origine della nuova scrittura documentata per
la prima volta dal cuneiforme ridotto; il rifiuto dei segni fenici e della
loro successione, che abbiamo visto intimamente connessi con il loro
valore religioso, era motivato dal rifiuto dell'ideologia religiosa che sta­
va alla base dell'alfabeto fenicio. Questa era l'espressione di una cultura
urbana a base essenzialmente agricola, mentre i creatori della scrittura
«meridionale» pur vivendo nelle stesse città e alla periferia di queste, era­
no portatori di una cultura, anche religiosa, diversa, a base prevalente­
mente pastorale.
La fine del XIII sec. a.C. appare in definitiva contrassegnata, per quan­
to concerne la storia dell'alfabeto, dalla progressiva affermazione della
scrittura fenicia in Fenicia e in Palestina, dove comunque non mancava­
no forme di scrittura locali, e dalla comparsa e diffusione, a partire da
U garit, di una nuova scrittura cuneiforme preferita, a quanto sembra,
da genti semitiche «nordarabiche» che vivevano stabilmente nella regio­
ne. La grande crisi che nei decenni a cavallo del 1 200 a.C. sconvolse tut­
ta l'Asia Anteriore ebbe conseguenze anche per la storia della scrittura.
I >opo quella data, in Siria e in Palestina la scrittura fenicia dominò incon­
t rastata, mentre scomparvero tutte le altre forme di scrittura; solo nel Si­
nai si hanno labili tracce, avvolte d'incertezza, su qualche forma di scrit­
tura non fenicia che potrebbe, in via molto ipotetica, costituire un pon­
tl' di passaggio per le scritture meridionali che saranno documentate più
tardi (e delle quali si parlerà a suo tempo).
I ( :f. e ; . Garbini - o. Durand, Introduzione alle lingue semitiche, Brescia 1 994, PP· 1 36-
1 4 0.

57
Origine dell'alfabeto

Prima di chiudere l'argomento dell'origine dell'alfabeto e della sua ini­


ziale diffusione è opportuno accennare brevemente a due argomenti: la
natura dell'alfabeto e la sua trasmissione ai Greci.
La definizione di «alfabetica» data comunemente alla scrittura fenicia
è certamente appropriata rispetto ad altri tipi di scrittura, quali la ge­
roglifica egiziana, la cuneiforme mesopotamica e la lineare minoico­
micenea, ma non è completamente esatta. Se per «alfabeto» intendiamo
una scrittura nella quale, in linea generale, ad ogni segno corrisponde
un suono, la scrittura fenicia non può essere considerata alfabetica per­
ché registra soltanto le consonanti; per questo si parla spesso di scrittu­
ra consonantica: il primo vero alfabeto è quello greco, che ha un appo­
sito segno anche per le vocali. Lasciata da parte la ridicola giustificazio­
ne che la scrittura consonantica sia la più idonea a esprimere le lingue
semitiche (la cui radice consonantica in realtà rende solo meno gravi gli
inconvenienti dell'assenza delle vocali), negli anni Cinquanta del Nove­
cento qualche studioso ha sostenuto che la scrittura fenicia più che alfa­
betica doveva essere ritenuta una forma compendiaria di scrittura silla­
bica: il segno B, ad esempio, non esprimeva la consonante b ma era un
modo sintetico per scrivere le sillabe BA, BI, BU e B+zero.1 Questa
spiegazione appare piuttosto artificiosa e risente fortemente dell'impo­
stazione «strutturalista» che in quegli anni pervadeva molti campi del
sapere. È difficile, per non dire impossibile, sapere cosa avesse in mente
esattamente l'inventore dell'alfabeto, che fu comunque subito recepito
come una scrittura consonantica. Il fatto che quando, nel IV sec. d.C.,
nella scrittura etiopica diventata sillabica la forma base del segno fu
impiegata per indicare la consonante più la vocale a (l'originario segno
B divenne BA), mentre l'assenza di vocale fu espressa da una trasforma­
zione del segno stesso, non dimostra altro che nella lingua etiopica la vo­
cale a era la più comune.
La trasmissione dell'alfabeto fenicio alla Grecia resta ancora un avve­
nimento avvolto di incertezze. Sul fatto in sé la testimonianza di Ero­
doto (Storie 5 , 5 8), insieme con i nomi e l'ordine di successione dei se­
gni, non lascia sussistere dubbi; i quali sorgono invece numerosi quan­
do si vuole precisare il momento, il luogo e le modalità della trasmissio­
ne, per non parlare dell'identità esatta di quei Fenici guidati da Cadmo
dei quali parla lo storico greco. Come per l'origine dell'alfabeto, anche
in questo caso i preconcetti ideologici hanno avuto un ruolo preponde-
1 I.J. Gelb, A Study of Writing, London 1 9 5 2 (una seconda edizione è apparsa nel 1 963);

A. Schmitt, Die Vokallosigkeit der dgyptischen und semitischen Schrift, in IF 61 ( 1 9 5 1 -


1 9 5 4), pp. 2 1 6-227.
Origine dell'alfabeto

rante nelle infinite discussioni che si sono svolte sull'argomento. Da una


parte, gli studiosi della cultura greca tendono ad abbassare la data del-
1' adozione dell'alfabeto fenicio e a localizzare questa in un punto o nel­
l'altro delle regioni periferiche alla Grecia vera e propria, nonostante
l'esplicita affermazione di Erodoto che i Fenici di Cadmo si erano sta­
biliti in Grecia. Sul versante orientalistico, i molti fautori della «teoria
americana» vorrebbero che l'alfabeto fu introdotto in Grecia già nel II
millennio a.C. ma non dai Fenici bensì dai loro supposti predecessori ca­
nanei, di provenienza palestinese. Quello che si può dire di relativa­
mente certo è che, risalendo alla seconda metà dell'vm sec. a.C. le più
antiche iscrizioni greche attualmente note, un'origine della scrittura gre­
ca nella seconda metà del IX sec. a.C. appare ragionevole; e poiché nel IX
secolo è documentata una consistente presenza commerciale levantina
nell'Egeo, anche la situazione storica depone a favore di quella data. Il
problema è che i «Fenici» degli autori greci non corrispondono esatta­
mente ai Fenici quali vengono definiti attualmente da quasi tutti gli stu­
diosi (e cioè gli abitanti della Fenicia dopo il I 200 a.C.) ma hanno una
valenza più ampia, comprendendo anche altre genti semitiche, come gli
Aramei, e quei gruppi egeo-anatolici insediatisi in Libano e in Palestina
all'inizio del xn sec. a.C. e poi rapidamente fenicizzati. Prima dei Tiri
nella seconda metà dell'vm sec. a.C., il Mediterraneo centrale era stato
frequentato dagli Aramei di Damasco (Ix sec. a.C.) e dai Filistei di Asca­
lona in una data ancora precedente. Appare perciò pienamente possibile
che l'alfabeto greco sia il risultato di apporti e influenze successive, in
un ambito culturale che possiamo comunque sempre definire «fenicio»;
non mancano infatti indizi, per ora soltanto tali, che fanno supporre,
nella formazione dell'alfabeto greco, una qualche influenza aramaica e
fì listea.1

Nota bibliografica
Storia degli studi: G. Garbini, Storia e problemi, cit., pp. 27-48 (vari punti di
vista dell'autore sono da considerare superati). - M.G. Amadasi Guzzo, Origi­
ne e sviluppo della scrittura fenicia: stato degli studi, in Atti del II Congresso in­

t crnazionale di studi fenici e punici. Roma 1987, Roma 1 99 1 , pp. 44 1 -449.


Tra i molti lavori sull'argomento vanno ricordati: F.M. Cross, The Origin
,md Early Evolution of the Alphabet, in El 8 ( 1 967), pp. 8 '=· -24*. - M. Sznycer,
/. 'origine de l'alphabet sémitique, in L 'espace et la lettre, Paris 1 977, pp. 79-

1 C :f. G. Garbini, Genesi dell'alfabeto greco, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), I Greci
in Occidente, s.I. 1996, pp. 43 -46.

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Origine dell'alfabeto

1 23 . - É . Puech, Origine de l'alphabet, in RB 93 ( 1986), pp. 1 61 -2 1 3. - J.


Ryckmans, Aux origines de l'alphabet, in Bull. Séanc. Académie Royale des
Sciences d'Outre-Mer J 2 ( 1986) [1987], pp. 3 1 1 - 3 3 3 . - B. Sass, The Genesis of
the Alphabet and Its Development in the Second Millenium B. C. (Àgypten und
Altes Testament 1 3), Wiesbaden 1988 (la datazione delle iscrizioni protosinaiti­
che proposta da questo autore è inaccettabile). - W. Rollig, Das Alphabet und
sein Weg zu den Griechen, in Die Geschichte der hellenischen Sprache und
Schrift. Vom 2. zum 1. jahrtausend v. Chr.: Bruch oder Kontinuitat? Ohlstadtt
1996, Miinster 1 997, pp. 3 59-3 84. - W. Rollig, Nordsemitisch-Sudsemitisch?
Zur Geschichte des Alphabets im 2. Jt. v. Chr. , in IOS 1 8 ( 1 998), pp. 79-88.

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