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III edizione
febbraio 2012
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Indice
Indice i
Prefazione ix
I Algebra lineare 1
3 Matrici 15
3.1 Nomenclatura e prime operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 15
3.2 Operazioni sulle matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
3.3 Polinomi di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3.4 Matrici a blocchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
3.5 Applicazioni ai sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
3.6 L’algoritmo di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
4 Spazi vettoriali 35
4.1 Definizioni e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
4.2 Sottospazi e basi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
5 Determinante. Inversa 45
i
ii Indice
7 Applicazioni 63
7.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
7.2 Applicazioni lineari, matrici, sistemi . . . . . . . . . . . . . . . 67
7.3 Prodotto scalare, norma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
7.4 Prodotto scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
7.5 Generalizzazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
10 Polinomi di matrici 97
10.1 Teorema di Cayley Hamilton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
10.2 Polinomio minimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
13 Le coniche 125
13.1 Coniche in forma generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
13.2 Riconoscimento di una conica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
13.3 Tangenti ad una conica in forma canonica . . . . . . . . . . . . 133
13.4 Conica per cinque punti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134
13.5 Le coniche in coordinate omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . 135
13.6 Fasci di coniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
13.7 Fasci e punti impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
v
vi Elenco delle figure
vii
Prefazione
MATHEMATICS
is one of essential emanations of
the human spirit – a thing to be
valued in and for itself – like art
or poetery1 .
Oswald Veblen-19242
ix
x Prefazione
ii) non studiare sui testi di scuola superiore: per bene che vada sono
impostati in maniera diversa e/o incompleti;
iii) non imparare a memoria le formule o le dimostrazioni dei teoremi:
la memoria tradisce molto più facilmente e più frequentemente
del ragionamento: imparare a ricostruirle;
iv) non aver paura di fare domande, ovviamente nei momenti oppor-
tuni: siete qui apposta per imparare;
v) durante le lezioni non prendere freneticamente appunti: quello
che spiega il docente di solito c’è sui libri o sulle dispense, mentre
prendendo male gli appunti c’è un alto rischio di perdere il filo
della lezione;
vi) durante le esercitazioni non ricopiare pedissequamente la risolu-
zione degli esercizi;
vii) non scoraggiarsi se, soprattutto all’inizio, sembra di non capire o
sembra che il docente “vada troppo in fretta,” seguendo i consigli
si acquista presto il ritmo;
viii) non perdere tempo: il fatto che all’università non ci siano compiti
in classe e interrogazioni è una grande tentazione per rimandare
il momento in cui “mettersi sotto” a studiare.
C OSE DA FARE :
i) Precedere sempre la lezione: cercare di volta in volta sui libri o
sulle dispense gli argomenti che il docente tratterà nella prossima
lezione e cominciare a leggerli per avere un’idea di che cosa si
parlerà. In questo modo la lezione sarà più efficace e chiarirà molti
dei dubbi e delle perplessità rimaste.
ii) Iniziare a studiare dal primo giorno. La Matematica, soprattutto
all’inizio, necessita di una lunga “digestione”: di un ripensamento
critico che non si può fare all’ultimo momento.
iii) Studiare sempre con carta e penna a portata di mano, per poter
rifare conti, dimostrazioni, figure ecc.
iv) Se proprio si vuole farlo imparare a prendere appunti senza perdere il
filo del discorso: appuntare solo i concetti base su cui poi riflettere
e ricostruire da soli l’argomento; a esercitazioni appuntare solo il
testo dell’esercizio ed il risultato finale e rifare per conto proprio
l’esercizio.
xi
B UON L AVORO !
Algebra lineare
Capitolo 1
B ✓ A () 8 a 2 B : a 2 B ) a 2 A (1.1)
numero 0 zero!
3
4 Capitolo 1. Richiami di nozioni essenziali
1.2 Relazioni
Ricordiamo che in un insieme A è definita una relazione di equiva-
lenza < se, qualsiansi siano gli elementi a, b, c 2 A, valgono le proprietà
elencate nella tabella 1.1.
Per esempio è di equivalenza
la relazione di parallelismo tra ret- Tabella 1.1 Relazioni di equivalenza
te nel piano, pur di considerare
parallele anche due rette coinci- a < a riflessiva
denti, mentre non lo è quella di a < b () b < a simmetrica
perpendicolarità. (perché?) a < b e b < c ) a < c transitiva
Se in un insieme A è definita
una relazione di equivalenza < chiamiamo classe di equivalenza dell’e-
lemento a l’insieme di tutti gli elementi di A che sono equivalenti ad
a. L’insieme di tutte le classi di equivalenza di A si chiama insieme
quoziente di A rispetto a <.
Esempio 1.1. Per esempio, nell’insieme delle frazioni, la relazione
a ka
< ( k 6 = 0)
b kb
1.3. Il simbolo di sommatoria 5
Un insieme per tutti gli elementi del quale valgono tutte le proprietà
elencate nella tabella 1.2 si chiama totalmente ordinato; in esso, data
una qualunque coppia a e b di elementi, in virtù della proprietà di
dicotomia, si può sempre dire se a b oppure b a cioè, come si suol
dire, tutti gli elementi sono confrontabili. Esistono, però, insiemi in cui
è definita una relazione d’ordine cosiddetta parziale, in cui non vale
la proprietà 1 di dicotomia, cioè in cui non tutte le coppie di elementi
sono confrontabili, come mostra il seguente
e rappresentano la somma x3 + x4 + x5 + x6 .
L’indice di sommatoria può essere sottinteso, quando è chiaro dal
contesto. Dalle proprietà formali delle operazioni di somma e prodotto
seguono subito queste uguaglianze:
n n n n n
 mxi = m  xi e  ( xi + yi ) =  xi +  yi .
i =1 i =1 i =1 i =1 i =1
1 + 3 + 5 + · · · + (2n 1) = n2 . (1.2)
1 + 3 + 5 + · · · + (2( k + 1) 1) =
1.2
(1 + 3 + 5 + · · · + 2k 1) +2k + 1 = k2 + 2k + 1 = (k + 1)2 .
| {z }
k2
n ( n + 1)
1+2+3+···+n = (1.3)
2
Per n = 2 la (1.3) è ovviamente vera; supponiamo che sia vera per n = k e
dimostriamo che in tal caso è vera anche per n = k + 1. Infatti si ha:
k ( k + 1)
1 + 2 + 3 + · · · + k + ( k + 1) = +k+1 =
2
k(k + 1) + 2k + 2 k2 + 3k + 2 (k + 1)(k + 2)
= = = .
2 2 2
Permutazioni
DEFINIZIONE 1.2. Si chiama permutazione di n oggetti un qualsiasi
allineamento di questi oggetti.
Per esempio per contare quante sono le permutazioni delle tre lettere
a, b, c possiamo provare ad elencarle:
gli oggetti a sono indistinguibili tra loro e così pure gli oggetti b. Le
permutazioni sono 7! = 5040 ma siccome i tre oggetti b sono uguali
avremo 3! permutazioni non distinguibili, quindi il numero diminuirà
7! 5040
a = = 840; siccome poi sono uguali anche i due elementi a
3! 6
7!
abbiamo = 420.
3! · 2!
Generalizzando, consideriamo l’insieme X ⌘ { x1 , x2 , . . . , xm } se
sappiamo che l’oggetto x1 è ripetuto n1 volte, l’oggetto x2 è ripetuto n2
m
volte e così via (con  ni = n) si ha
i =1
n!
P⇤ = (1.5)
n1 !n2 ! · · · nm !
Nel caso particolare in cui fra gli n oggetti ce ne siano k uguali tra loro e
gli altri n k pure uguali tra loro (ma non ai precedenti) la formula ( 1.5)
diventa
n!
P⇤ =
k!(n k )!
Combinazioni e disposizioni
Se abbiamo n oggetti e vogliamo suddividerli in gruppi di k oggetti
ognuno di questi raggruppamenti si chiama combinazione di n oggetti a
k a k se due di questi raggruppamenti sono diversi quando differiscono
per almeno un oggetto. Si chiama invece disposizione di n oggetti a k
a k ognuno di questi raggruppamenti quando consideriamo diversi
due di essi non solo se differiscono per almeno un oggetto, ma anche
se contengono gli stessi oggetti in ordine differente. Se indichiamo
rispettivamente con Cn,k e Dn,k il numero delle combinazioni e quello
delle disposizioni di n oggetti a k a k, dalla definizione segue subito che
si ha
Dn,k = k!Cn,k
Ripetendo il ragionamento fatto per determinare il numero delle per-
mutazioni, si ricava immediatamente che
e di conseguenza
n(n 1)(n 2) · · · ( n k + 1)
Cn,k =
k!
10 Capitolo 1. Richiami di nozioni essenziali
11
12 Capitolo 2. I sistemi lineari: teoria elementare
Questa scrittura significa che per ogni valore del parametro t esiste una
soluzione1 .
Sappiamo anche che una tale equazione rappresenta, nel piano
riferito ad una coppia di assi cartesiani ortogonali, una retta, i cui infiniti
punti hanno coordinate che sono appunto le soluzioni dell’equazione.
sono anche della seconda, quindi questo sistema ammette infinite solu-
zioni. In questo caso è facile vedere che, dal punto di vista geometrico,
le due rette coincidono.
Queste considerazioni si possono generalizzare al caso di sistemi
con un numero qualunque (finito) di incognite. Parleremo allora, nel
caso generale, di un sistema di m equazioni in n incognite2 .
8
>
> a11 x1 + a12 x2 + · · · + a1n xn = b1
>
< a x +a x +···+a x = b
21 1 22 2 2n n 2
(2.6)
>
> .........
>
:
am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm
trarre in inganno in quanto le soluzioni, pur essendo infinite, possono però essere determinate.
14 Capitolo 2. I sistemi lineari: teoria elementare
Matrici
2 3
a11 a12 . . . a1n
6 a21 a22 . . . a2n 7
6 7
A = 6 .. .. .. .. 7 (3.1)
4 . . . . 5
am1 am2 . . . amn
15
16 Capitolo 3. Matrici
Due matrici sono uguali quando sono dello stesso tipo e sono for-
mate dagli stessi elementi nelle stesse posizioni; formalmente scriviamo
che se A = [ aik ] e B = [bik ] sono due matrici, A = B se e solo se sono
dello stesso tipo e se aik = bik 8i, k.
1 2
Come controesempio consideriamo le matrici A = eB =
3 4
2 1
; esse, pur essendo formate dagli stessi elementi, non sono uguali,
3 4
infatti a11 6= b11 e a12 6= b12 .
23
1 2
1 3 5
Ad esempio se A = 43 45 si avrà A T = ; ovviamente la
2 4 6
5 6
trasposta di una matrice di tipo (m, n) è una matrice di tipo (n, m) e la
trasposta di una matrice di tipo n ⇥ n è ancora dello stesso tipo.
Sussiste anche la proprietà ( A T ) T = A, cioè la trasposta della traspo-
sta di una matrice A è ancora la matrice A. La semplice dimostrazione
di questa proprietà è lasciata come esercizio al lettore.
è emisimmetrica
viene indicata con At o con t A o anche con At oppure A| o in altri modi. Noi useremo sempre
la notazione A T .
2 Qui, come faremo d’ora in poi, abbiamo indicato con A (leggere, ovviamente, meno A)
1 0
Per esempio se A è la matrice la sua traccia è
2 3
trA = 1 3= 2
.
Sia ora A una matrice quadrata di ordine n; nella tabella 3.1 definia-
mo alcune particolari matrici quadrate.
Somma di matrici
Se A = [ aik ] e B = [bik ] sono due matrici dello stesso tipo, diciamo
che C = [cik ] (dello stesso tipo di A e B) è la somma di A e B e scri-
viamo C = A + B se ogni elemento di C è la somma degli elementi
corrispondenti di A e B, cioè se si ha,
cik = aik + bik ; 8i, k.
La somma di matrici gode delle proprietà elencate nella tabella 3.2,
che sono le proprietà di un gruppo abeliano. Nella tabella, A e B sono
i) A + ( B + C ) = ( A + B) + C proprietà associativa
ii ) A+B = B+A proprietà commutativa
iii ) A+0 = A esistenza elemento neutro
iv) A + ( A) = 0 esistenza opposto
v) ( A + B ) T = A T + BT
i) a0 = 0 = 0A;
ii ) 1A = A;
iii ) (ab) A = a( bA) = b(aA);
iv) (a + b) A = aA + bA;
v) a( A + B) = aA + bB;
vi ) aA = 0 =) a = 0 oppure A = 0.
a b x y z
Esempio 3.3. Siano A(2, 2) = e B(2, 3) = allora A è
c d u v w
conformabile con B e si ha
ax + bu ay + bv az + bw
C (2, 3) = AB =
cx + du cy + dv cz + dw
i) A( BC ) = ( AB)C associativa
ii ) ( A + B)C = AC + BC C ( A + B) = CA + CB distributive
iii ) a( AB) = (aA) B = AaB = ( AB)a associatività mista
iv) AI = I A = A esistenza elemento neutro
v) A0 = 0A = 0
vi ) ( AB)T = BT AT
Ax = b
2 3
a11 a12 . . . a1n
6 a21 a22 . . . a2n 7
6 7
in cui A è la matrice, di tipo (m, n), A = 6 .. .. .. .. 7, x è una
4 . . . . 5
am1 am2 . . . amn
2 3
x1
6 x2 7
6 7
matrice di tipo (n, 1) (matrice colonna), x = 6 .. 7 e b una matrice di
4.5
xn
2 3
b1
6 b2 7
6 7
tipo (m, 1), b = 6 .. 7 .
4 . 5
bm
24 Capitolo 3. Matrici
ed i blocchi Aij sono conformabili con i blocchi Bjk 8i, j, k allora si può
eseguire a blocchi il prodotto AB come se i singoli blocchi fossero elementi
delle matrici.
OSSERVAZIONE 3.7. Il prodotto a blocchi è utile quando, per esempio,
nelle matrici A e/o B si possono individuare blocchi che formano la
matrice nulla oppure la matrice unità o anche nei seguenti casi:
in particolare, se A3 = B3 = 0 si ha
A1 0 B1 0 A1 B1 0
= .
0 A2 0 B2 0 A2 B2
iii) sostituzione di una riga (colonna) con la somma della riga (colon-
na) stessa con un’altra moltiplicata per una costante k.
Ed è importante il
Risoluzione di un sistema
Vediamo ora, su un esempio, come si possa utilizzare il Teorema 3.2
per la risoluzione di un sistema lineare.
28 Capitolo 3. Matrici
ora se in questa nuova matrice sommiamo alla III riga la seconda moltiplicata
per 2 troviamo
2 3
1 1 1 1 1
60 1 1 5 07
6 7.
40 0 0 9 15
0 0 0 2 2
2
Infine se sommiamo alla IV riga la II moltiplicata per risulta
9
2 3
1 1 1 1 1
60 1 1 5 07
6 7
B = 60 0 0 9 17 .
4 5
16
0 0 0 0
9
sistema 8
>
> x+y+z t = 1
>
>
>
< y z + 5t = 0
> 9t = 1
>
>
>
> 16
: 0=
9
che è palesemente impossibile.
Teorema 3.3. Sia A una matrice qualsiasi, allora esiste una matrice B ridotta
per righe equivalente alla A.
in maniera formalmente molto diversa a partire dalla definizione di determinante di una matrice
quadrata.
30 Capitolo 3. Matrici
Teorema 3.4. Siano A1 e A2 due matrici ridotte equivalenti alla stessa matrice
A. Allora il numero delle righe che non contengono solo zeri è lo stesso in A1
e A2 , cioè r ( A) = r ( A1 ) = r ( A2 ).
Con i concetti introdotti possiamo enunciare il fondamentale
Teorema 3.5 (di Rouché-Capelli). 6 Sia A la matrice dei coefficienti di un
sistema lineare e sia B la matrice completa, allora il sistema è possibile se e
solo se
r ( A ) = r ( B ).
Una dimostrazione del Teorema 3.5 verrà data più avanti, a pagi-
na 58.
Una soluzione di un sistema lineare di m equazioni in n incognite
è costituita, come abbiamo visto, da una n–pla ordinata di numeri.
Abbiamo chiamato tale n–pla vettore; possiamo pensare ad un vettore
come una matrice di tipo (1, n) (vettore riga) o (n, 1) (vettore colonna).
di tutti i tempi.
3.6. L’algoritmo di Gauss 31
in cui m > n. Aggiungendo alla seconda ed alla terza riga la prima moltipli-
cata per 2 si ha il sistema equivalente
8
< x + 3y = 1
>
5y = 5 .
>
: 4y = 4
A questo punto è già chiaro che l’unica soluzione è x = 2 e y = 1. In ogni
caso, proseguendo l’algoritmo si può aggiungere alla terza riga la seconda
moltiplicata per 45 ottenendo
8
< x + 3y = 1
>
5y = 5 .
>
:
0=0
L’ultima uguaglianza è un’identità a riprova del fatto che le equazioni sono
ridondanti.
Nel caso in cui il sistema fosse impossibile procedendo con l’algorit-
mo si arriva ad una contraddizione.
Esempio 3.9. Sia dato il sistema
8
< x + 3y = 1
>
2x + y = 3
>
: 2x + 2y = 0
Sempre aggiungendo alla seconda ed alla terza riga la prima moltiplicata per
2 si ha il sistema equivalente
8
< x + 3y = 1
>
5y = 5 ;
>
:
4y = 2
a questo punto, però, aggiungendo alla terza riga la seconda moltiplicata per
4
5 si ottiene 8
< x + 3y = 1
>
5y = 5 .
>
: 0=2
3.6. L’algoritmo di Gauss 33
Spazi vettoriali
35
36 Capitolo 4. Spazi vettoriali
i) #»
v + (w #» + #» u ) = ( #»
v +w #») + #»
u associatività della somma
ii ) #» #»
v +w = w+ v #» #» commutatività della somma
iii ) 0 + #»v = #» v esistenza del vettore nullo
iv) #»
v + ( #» v) = 0 esistenza del vettore opposto
v) a( #»
v +w #») = a #» v + aw #» distributività rispetto alla somma di vettori
vi ) #» #»
(a + b) v = a v + b v #» distributività rispetto alla somma di scalari
vii ) a( b #»
v ) = (ab) #» v associatività mista
viii ) #»
1· v = v #» esistenza dell’unità
ix ) 0 · #»
v =0
È ovvio che la (4.2) è verificata quando tutti gli ai sono nulli. Può però
accadere che una combinazione lineare di vettori dia il vettore nullo
senza che tutti i coefficienti siano nulli. In tal caso i vettori si chiamano
linearmente dipendenti in caso contrario, cioè se la (4.2) vale solo quando
tutti gli ai sono nulli, si dice che i vettori sono linearmente indipendenti,
quindi diamo la seguente
DEFINIZIONE 4.4. n vettori si dicono linearmente dipendenti se esiste
una loro combinazione lineare
n
 ai #»v i
i =1
uguale al vettore nullo, senza che siano tutti nulli i coefficienti ai
Ad esempio i vettori #» #» = [2, 0, 1] e #»
v = [1, 2, 1], w u = [3, 2, 0] sono
#» #» #»
linearmente dipendenti, infatti si ha v + w u = 0. Invece i vettori
#»
e = [1, 0, 0], #»
e = [0, 1, 0] e #»
e = [0, 0, 1], che chiameremo anche
1 2 3
vettori fondamentali, sono linearmente indipendenti.
Sul concetto di dipendenza lineare sussiste il fondamentale
Teorema 4.1. Siano #»
v , #»
v , . . . #»
1 2v k vettori, essi sono linearmente dipenden-
k
ti se e solo se almeno uno di essi si può scrivere come combinazione lineare
degli altri.
Esso è del tutto analogo al Teorema 3.1 a pagina 21 e si dimostra
allo stesso modo.
Valgono, per la dipendenza ed indipendenza lineare, le seguenti
proprietà:
i) Se un insieme di vettori contiene il vettore nullo, esso è un insieme
dipendente, infatti, ad esempio, 0 · #»
v + 1 · 0 è una combinazione lineare
non banale che genera il vettore nullo.
ii) Aggiungendo un vettore qualsiasi ad un insieme linearmente di-
pendente, si ottiene ancora un insieme linearmente dipendente,
infatti, se, per esempio, #»v 1 , #»
v 2 . . . , #»
v k sono linearmente dipendenti
k #»
significa che Â1 ai v i = 0 con qualche ai 6= 0 e quindi la combinazio-
ne lineare a1 #»
v 1 + a2 #»
v 2 + · · · + ak #» v k + 0 · #»
v k+1 dà il vettore nullo
qualunque sia #»v k+1 sempre con gli stessi coefficienti non nulli.
38 Capitolo 4. Spazi vettoriali
Teorema 4.2. Se V è uno spazio vettoriale e B è una sua base, ogni vettore
di V si può scrivere in maniera unica come combinazione lineare dei vettori di
B.
Dimostrazione. Sia B ⌘ { #» e 1 , . . . , #»
e n } la base considerata, allora ogni
vettore v 2 V si scrive come combinazione lineare degli #»
#» e i in quanto
questi ultimi sono generatori, inoltre, se, per assurdo, #» v si potesse
scrivere in due modi diversi come combinazione lineare dei vettori di
B, si avrebbe sia #»v = Â1n ai #»e i sia #» v = Â1n b i #»
e i con qualche ai 6= b i ,
in tal caso, sottraendo membro a membro, si avrebbe la combinazione
lineare
0 = Â(ai b i ) #» ei (4.3)
ma poichè, per ipotesi, gli #»
e in quanto vettori di una base, sono linear-
i
mente indipendenti, si ha che tutti i coefficienti della combinazione
(4.3) devono essere nulli, e quindi 8i, ai = b i .
{ #»
v 1 , #»
v 2 , . . . , #»
v p , #»
e p+1 , . . . , #»
e n}
{ #»
v 1 , #»
v 2 , . . . , #»
v p , #»
e p+1 , . . . , #»
e n}
1 n #»
scrivere #»
v1 = Â b e ma ricordando che vale la (4.4) e per l’unicità
b1 2 i i
della rappresentazione di un vettore mediante gli elementi di una base,
concludiamo che i vettori sono indipendenti. Allo stesso modo si
procede sostituendo di volta in volta un’altro vettore #»
v i ad uno della
base.
Da quanto detto fin qui si ricava che il numero n dei vettori di una
base non dipende dalla scelta della base stessa, ma caratterizza lo spazio
V e prende il nome di dimensione di V.
Lo spazio vettoriale costituito dal solo vettore nullo ha, per conven-
zione, dimensione 0. Si può anche osservare che se V è uno spazio
vettoriale di dimensione n allora qualsiasi insieme di k < n vettori
indipendenti può essere completato ad una base di V aggiungendo
altri n k vettori indipendenti.
OSSERVAZIONE 4.1. Da quanto detto si deduce anche che in uno
spazio vettoriale V di dimensione n, qualunque n–pla di vettori indi-
pendenti forma una base per V.
OSSERVAZIONE 4.2. Tutti gli spazi vettoriali fin qui considerati han-
no dimensione n finita, ma è facile rendersi conto che esistono spazi
vettoriali che non hanno dimensione finita, per esempio se V = P ( x )
è l’insieme dei polinomi in una ideterminata sul campo reale con le
usuali operazioni di somma e di prodotto per uno scalare si vede subito
che V è uno spazio vettoriale; tuttavia se si suppone che esistano p
polinomi che generano V e se n è il grado massimo di questi polinomi,
è ovvio che nessun polinomio di grado m > n può essere generato da
questi. Quindi V = P ( x ) rappresenta un’esempio di spazio vettoriale
4.2. Sottospazi e basi 41
Esempio 4.2. Sia T n lo spazio vettoriale delle matrici triangolari alte e sia
Tn quello delle triangolari basse. Vogliamo verificare la (4.6). Osserviamo che
T n \ Tn = Dn dove con Dn abbiamo indicato lo spazio vettoriale delle matrici
diagonali e che Mn = T n + Tn lo spazio vettoriale delle matrici quadrate è
somma (non diretta) di quello delle matrici triangolari basse e di quello delle
matrici triangolari alte.
Per calcolare la dimensione di T n , ovviamente uguale a quella di Tn ,
procediamo così: dalla figura 4.1 nella pagina successiva si vede subito che gli
elementi che non sono certamente nulli in T n ed in Tn sono: 1 nella prima riga
n ( n + 1)
2 nella seconda ecc. quindi in totale si ha 1 + 2 + · · · + n = ; dunque
2
3 Herrmann Günther GRASSMANN, 1809, Stettino (Germania-odierna Polonia) – 1877,
2 3
•
6• • 7
6 7
4• • • 5
• • • •
| {z }
n elementi
n ( n + 1)
possiamo dire che dim( Tn ) = dim( T n ) = , inoltre dim( Dn ) = n e
2
2
dim( Mn ) = n ed infatti, applicando la ( 4.6 nella pagina precedente), si ha
n ( n + 1) n ( n + 1)
n2 = + n.
2 2
Capitolo 5
Definizione ricorsiva
Definiamo il determinante in maniera ricorsiva, cominciando con il
definire il determinante di una matrice di ordine 2 ed osservando come
si può estendere questa definizione al caso di una matrice di ordine
qualsiasi.
a b
DEFINIZIONE 5.1. Sia A = quadrata di ordine 2, allora il
c d
determinante di A è det( A) = ad bc.
1 2
Esempio 5.1. Il determinante della matrice A = è det( A) =
3 1
1 2
= 1·1 ( 2) · 3 = 7.
3 1
1 Se le matrici sono definite su un campo qualsiasi K il codominio sarà K.
45
46 Capitolo 5. Determinante. Inversa
x y
Osserviamo che il determinante della matrice A = si può
z t
x y
indicare in uno qualsiasi dei seguenti modi: det A, det( A), | A|, .
z t
Diamo ora una definizione ricorsiva che permette di calcolare il de-
terminante di una matrice di ordine qualsiasi quando si sappia calcolare
il determinante di una matrice di ordine 2.
Per far questo introduciamo prima una notazione: se A è quadrata
di ordine n chiameremo minore complementare dell’elemento aik e lo
indicheremo con Mik il determinante della sottomatrice che si ottiene
da A cancellando la i–esima riga e la k–esima colonna. Chiamiamo
poi complemento algebrico dell’elemento aik (e lo indicheremo con Aik ) il
determinante della sottomatrice (di ordine n 1) che si ottiene da A
cancellando la i–esima riga e la k–esima colonna, con il proprio segno
se i + k è pari, col segno opposto se i + k è dispari, cioè
2 3
1 0 1
Esempio 5.3. Sia da calcolare il determinante di A = 42 1 35 ; pren-
0 1 1
diamo in considerazione la prima riga: abbiamo che il determinante di A è
uguale a
1 3 2 3 2 1
1· 0· + ( 1) · = 1 · 4 0 · 2 + ( 1)( 2) = 6.
1 1 0 1 0 1
Avremmo potuto pervenire allo stesso risultato scegliendo un’altra qualsiasi
riga o colonna (si consiglia di provare per esercizio).
Definizione classica
DEFINIZIONE 5.3. Se A è una matrice quadrata di ordine n, chiamia-
mo prodotto associato ad A il prodotto di n elementi di A presi in modo
tale che in ciascuno di essi non ci siano due elementi appartenenti alla
stessa riga od alla stessa colonna.
2 3
a b c
Esempio 5.4. Se A = 4 1 2 35 sono prodotti associati, per esempio i
x y z
prodotti a2z e b1z ma non a1y e neppure c3x
Se consideriamo la generica matrice di ordine n
2 3
a11 a12 . . . a1n
6 a21 a22 . . . a2n 7
6 7
A = 6 .. .. .. .. 7
4 . . . . 5
an1 an2 . . . ann
ogni prodotto associato può essere indicato con a1k1 a2k2 · · · ankn che
abbiamo ordinato in ordine crescente rispetto ai primi indici e dove
{k1 k2 . . . k n } è una opportuna permutazione dei secondi indici.
Possiamo ora dare la definizione classica di determinante
DEFINIZIONE 5.4. Si chiama determinante della matrice quadrata A la
somma di tutti i possibili prodotti associati ad A, presi ciascuno con il
proprio segno o con il segno opposto a seconda che la permutazione dei
secondi indici sia di classe pari o di classe dispari, cioè, formalmente
cioè il determinante è la somma dei prodotti degli elementi di una linea (riga o
colonna) per i rispettivi complementi algebrici.
ii) Scambiando tra loro due colonne3 di A si ottiene una matrice B tale che
| A | = | B |.
2 Pierre-Simon Laplace,23 Marzo 1749 in Beaumont-en-Auge, Normandia, Francia-5 March
1827 in Parigi, Francia
3 In forza della proprietà i ), tutto quello che da qui in poi diciamo sulle colonne vale anche
sulle righe.
5.2. Proprietà del determinante 49
in cui la prima colonna è formata da tutti 1 (cioè a0i 8i) e le altre colonne
sono rispettivamente le successive potenze della seconda colonna; esso
4 Jacques Philippe Marie BINET,2 Feb 1786 in Rennes, Bretagne, France–12 May 1856 in
Paris, France
5.4. Rango di una matrice 51
V ( a1 , . . . , a n ) = ( a2 a1 )( a3 a1 ) . . .
... ( a3 a2 ) . . .
... ...
... . . . ( a n a n 1 ).
France
52 Capitolo 5. Determinante. Inversa
Teorema 5.7. Due importanti proprietà del rango di una matrice sono:
DEFINIZIONE 5.7. Sia A una matrice qualsiasi e sia M una sua sotto-
matrice; orlare M significa completare la sottomatrice M con una riga
ed una colonna di A non appartenenti a M.
2 3
1 0 3 2
Ad esempio vogliamo il rango della matrice A = 42 3 0 15. Si
3 3 3 3
3 0
osserva subito che il minore M = è diverso da 0, quindi 2
3 3
r ( A) 3. In virtù del Teorema 5.9 nella pagina precedente possiamo
limitarci a controllare se sono nulli i due minori del terz’ordine che
orlano M (anziché controllare tutti e quattro i minori del terz’ordine di
A); i minori che ci interessano sono
2 quelli3 formati dalla
2 I, II e3III colonna
1 0 3 0 3 2
e dalla II, III e IV, cioè: M1 = 2 3 0 e M2 = 3 0 15 entrambi
4 5 4
3 3 3 3 3 3
palesemente nulli, in quanto in entrambi la terza riga è la somma delle
prime due, dunque r ( A) = 2.
Una proprietà del rango del prodotto di due matrici, spesso utile
nelle applicazioni, è espressa dal seguente
Teorema 5.10. Il rango del prodotto di due matrici A e B non supera il rango
di ciascuna delle due, cioè r ( A · B) r ( A) e r ( A · B) r ( B), che equivale a
scrivere
r ( AB) min (r ( A), r ( B)) .
A·B = B·A = I
A⇤
e quindi che la matrice è un’inversa di A.
det( A)
Al secondo quesito risponde il
Teorema 5.12. Se l’inversa di A esiste, essa è unica.
Dimostrazione. Dimostriamo il teorema per assurdo e supponiamo che
B e C siano due inverse di A; allora si ha: AB = I = AC ma anche,
moltiplicando a sinistra per B, B( AB) = B( AC ) e, per l’associatività
del prodotto di matrici, ( BA) B = ( BA)C da cui B = C.
L’unica inversa di una matrice invertibile A sarà, d’ora in poi,
indicata con A 1 .
57
58 Capitolo 6. Teoria dei sistemi lineari
A⇤
si conclude che
det( A)
1 #»
#»
x = A⇤ b ;
det( A)
#»
osserviamo ora che A⇤ b è un vettore colonna, ciascuno dei componenti
del quale è, ricordando la definizione 5.2 a pagina 46, il det( Ai ).
Dimostrazione. Sia
#»
A #»
x = b (6.1)
un sistema lineare di m equazioni in n incognite e immaginiamo di
scrivere la matrice A = [ A1 A2 . . . An ] scomposta in blocchi formati
ciascuno da una delle sue colonne, che indicheremo con Ai . Allora la
relazione (6.1) si può scrivere come
#» #» #» #»
A1 x1 + A2 x2 + · · · A n x n = b
#»
e quindi ci dice che il sistema ammette soluzioni se e solo se b è combi-
nazione lineare delle colonne di A. Ma allora, in virtù del Teorema 5.8
a pagina 52 questo accade se e solo se il rango di A è uguale al rango
della matrice completa.
Segue anche, sia dal Teorema 3.5, sia dalla definizione di rango data
nel precedente capitolo, che se un sistema possibile ha rango r, esistono
esattamente r equazioni e r incognite indipendenti, dunque le altre
m r equazioni sono combinazione lineare delle r indipendenti e non
dicono nulla di nuovo, quindi si possono trascurare, e le altre n r
incognite si possono considerare come parametri; dunque
6.1. Teoremi sui sistemi lineari 59
#»
Se il vettore b = 0 è il vettore nullo, il sistema A #»
x = 0 si chiama
omogeneo. Segue immediatamente dalla definizione (e dal teorema
3.5) che un sistema omogeneo è sempre possibile ed ammette sempre
come soluzione banale il vettore nullo. Siamo quindi interessati ad
eventuali soluzioni non banali (dette anche autosoluzioni). Una semplice
conseguenza del Teorema di Cramer (6.1) è il
h 1 0
3 0 3
h 1 h 2 1
x= ,
(h 1)(h + 4)
h h 1
h+2 3 0
0 h 1 1
y= ,
(h 1)(h + 4)
h 0 h
h+2 3 3
0 h 2 h 1
z=
(h 1)(h + 4)
Per h = 1 si ha 8
<x+z = 1
>
x+y = 1
>
:y z=0
di due equazioni in tre incognite la cui matrice dei coefficienti ha rango 2, che
ammette dunque •1 soluzioni. Si vede subito che una soluzione particolare
è data dalla terna x = 0, y = 1, z = 1. Per trovare la soluzione generale
consideriamo il sistema omogeneo ad esso associato che è:
(
x + 2y + 2z = 0
2x + y + z = 0
7.1 Generalità
f
Ricordiamo che usualmente si scrive f : A 7! B oppure A! B
intendendo dire che stiamo considerando la funzione f dell’insieme A
nell’insieme B.
L’elemento y = f ( x ) appartiene a B e si chiama immagine di x
mediante f , viceversa, l’elemento x di A di cui y è immagine si chiama
controimmagine di y. L’insieme A si chiama dominio della funzione f ,
e si indica con dom f e l’insieme B si chiama codominio di f . Dunque
una funzione è data quando sono dati: la legge rappresentata dalla f , il
dominio ed il codominio.
L’insieme di tutti gli elementi del codominio che sono immagini di
qualche elemento del dominio A si chiama immagine di f e lo denotere-
mo con Im A ( f ), talvolta sottintendendo, nella notazione, il dominio di
f.
Da quanto detto si ha subito che Im( f ) ✓ B.
Se accade che Im( f ) = B la funzione si chiama suriettiva; cioè una
funzione è suriettiva se tutti gli elementi del codominio hanno una
controimmagine.
1 Sono moltissimi i sinonimi del vocabolo funzione, alcuni usati più propriamente in
contesti particolari, tra i tanti ricordiamo applicazione, trasformazione, corrispondenza, mappa,
operatore, morfismo, ecc.
63
64 Capitolo 7. Applicazioni
8 x 6= x 0 2 de f ( f ) =) f ( x ) 6= f ( x 0 )
quindi anche a #»
v 1 + b #»
v 2 è un vettore del nucleo.
i) suriettiva se e solo se Im f = W,
ii) iniettiva se e solo se Ker f = {0V } cioè il nucleo consiste solo nel vettore
nullo.
2 kern viene dalla parola inglese kernel che significa, appunto, nucleo.
66 Capitolo 7. Applicazioni
dunque la matrice
2 associata
3 a questa applicazione, rispetto alle basi canoniche,
1 0
è la matrice 40 15 .
1 1
punto del piano corrisponde una coppia ordinata di numeri reali, come
illustrato nella Figura 7.1. Così facendo abbiamo fissato quello che si
chiama un sistema di riferimento cartesiano4 ortogonale. Nella figura 7.1 è
raffigurato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano.
Nello spazio la generalizzazio-
ne non è immediata: bisogna con-
siderare come assi tre rette orien-
tate concorrenti5 e a due a due
perpendicolari e chiamare coordi-
nate cartesiane del punto P le tre
distanze di P dai tre piani che que-
ste rette a due a due formano; se
le tre rette si chiamano rispetti-
vamente x, y e z si ha, per esem-
pio: x P = distanza ( P, yz), dove,
Figura 7.1 Un sistema di riferimento cartesia- con yz abbiamo indicato il piano
no ortogonale nel piano individuato dai due assi y e z .
Il punto P può anche essere
visto come il secondo estremo di
un vettore spiccato dall’origine, che, come già detto, è completamente
# »
individuato dalle sue coordinate; in R2 scriviamo quindi OP = #» v =
[ x, y], in cui x, y sono le coordinate cartesiane del punto P( x, y) nel
sistema di riferimento scelto, mettendo così in luce che si tratta di un
vettore del piano, cioè di R2 .
l[ x, y] = [lx, ly]
e
[ x, y] + [ x 0 , y0 ] = [ x + x 0 , y + y0 ]
in R2 e
l[ x, y, z] = [lx, ly, lz]
e
[ x, y, z] + [ x 0 , y0 , z0 ] = [ x + x 0 , y + y0 , z + z0 ]
in R3 .
Anche i concetti di dipendenza ed indipendenza lineare hanno una
facile interpretazione geometrica, infatti si vede subito che in R2 due
vettori sono linearmente dipendenti se e solo se stanno su una stessa retta ed
in R3 tre vettori sono dipendenti se e solo se sono complanari.
e in R3 q
k #»
v k = k[ x, y, z]k = x 2 + y2 + z2 . (7.2)
La norma verifica le proprietà elencate nella tabella 7.1, dove, per noi,
i) k #»
vk 0 8 #»
v 2 V;
ii ) k v k = 0 () #»
#» v =0 #»
8 v 2 V;
iii ) kl #»
v k = |l| · k #»
vk 8 #»
v 2 V e 8l 2 R;
iv) k #»
u + #»v k k #»
u k + k #»
v k, 8 u , #»
#» v 2 V.
d(u, v) = ku vk (7.3)
i) d(u, v) 0; 8u, v
ii ) d(u, v) = 0 () v = u; 8v = u
iii ) d(u, v) = d(v, u); 8u, v
iv) d(u, v) d(u, w) + d(w, v). 8v, u, w
h #» #»i = h[ x , y , z ], [ x , y , z ]i =
v, w 1 1 1 2 2 2
2 3
⇥ ⇤ x2
= x1 x2 + y1 y2 + z1 z2 = x1 y1 z1 4 y2 5 =
z2
= #»
vw #» (7.5)
T
Per esempio
oppure ⌧
2 3
, = 2( 3) + 3 · 1 = 3
3 1
(nel secondo esempio abbiamo usato vettori colonna, per sottolineare
l’assoluta intercambiabilità, in questo contesto, delle due notazioni).
i) h #»
u , #»
ui 0 8 #»
u 2V
ii ) h u , #»
#» u i = 0 () #» u =0 8 #»
u 2V
iii ) #» #»
hu, vi = hv, ui#» #» 8 u , #»
#» v 2V
iv) hl #»
v , #»
u i = l h #»
v , #»
u i = h #»
u , l #»
vi 8 #»
u , #»
v 2 V e 8l 2 R
v) h u , v + w i = h u , v i + h #»
#» #» #» #» #» #»i
u, w 8 #»
u , #» #» 2 V
v, w
Sussiste il seguente
h #»
u , #»
v i = k #»
u k · k #»
v k cos j (7.7)
i l = h #»
i v , #»
e i.
7.5. Generalizzazioni 75
#» h #»
v , #»
e 1 i #» h #»
v , #»
e 2 i #» h #»
v , #»
e 3 i #»
v = e1+ e2+ e3 =
11 2 88
14 #» 5 #»
= e 1 + #» e2+ e 3.
11 11
Dal punto di vista geometrico la (7.10) significa che h #» v , #»e i i #»
ei è
#»
la componente del vettore v nella direzione di e i o anche che è la #»
proiezione ortogonale di #» v sulla retta su cui giace il vettore #» e i . Come
#»
è noto la proiezione ortogonale ha lunghezza k v k · | cos j |; lo stesso i
risultato si trova applicando il teorema 7.5:
kh #»
v , #»
e i i #»
e i k = | h #»
v , #»
e i i | · k #»
e i k = k #» e i k2 · | cos ji | = k #»
v k · k #» v k · | cos ji |.
7.5 Generalizzazioni
Il concetto di prodotto scalare è molto più generale di quello qui
definito (che è il prodotto scalare standard in uno spazio vettoriale
isomorfo a R2 od a R3 ).
Ricordiamo che si chiama prodotto cartesiano di due insiemi V e W
e si indica con V ⇥ W l’insieme delle coppie ordinate (v, w) essendo
v 2 V, e w 2 W.
In generale dati due spazi vettoriali sul medesimo campo K un’ap-
plicazione g da V ⇥ W a K per cui valgano le proprietà elencate nella
tabella 7.4 si chiama applicazione o forma bilineare (nel senso che è linea-
i) g ( v1 + v2 , w ) = g ( v1 , w ) + g ( v2 , w ) 8v1 , v2 2 V, w 2 W
ii ) g(v, w1 + w2 ) = g(v, w1 ) + g(v, w2 ) 8v 2 V, w1 , w2 2 W
iii ) g(av, w) = g(v, aw) = ag(v, w) 8v 2 V, w 2 W, a 2 K
1
P AP = B. (8.1)
È immediato dimostrare il
77
78 Capitolo 8. Similitudine. Autovalori. Autovettori
A #»
x = l #»
x (8.2)
con #»
x 6= 0. La (8.2) in sostanza dice che applicando al vettore #» x la
matrice A si ottiene un vettore proporzionale ad #» x , cioè che #»
x non
cambia direzione.
Fissata la A ci chiediamo se esistono degli scalari l e dei vettori #» x
per cui valga la (8.2), cioè, fissata la trasformazione, ci chiediamo se ci
sono vettori che, trasformati, non cambiano direzione.
Gli scalari l che compaiono nella (8.2) si chiamano autovalori o valori
propri ed i vettori #»
x si chiamano autovettori o vettori propri della matrice
A.
È lecito ora porsi la domanda: fissata una matrice A esistono auto-
valori? quanti? ed autovettori?
Per rispondere a queste domande riscriviamo la (8.2) nella forma
l #»
x A #»
x =0
equivalente a
(lI A) #»
x =0 (8.3)
che possiamo pensare come un sistema lineare omogeneo di n equazioni
in n incognite la cui matrice dei coefficienti è la matrice lI A. Sap-
piamo che un tale sistema ammette soluzioni non banali se e solo se il
determinante della matrice dei coefficienti è nullo.
1 Ricordiamo che si chiama endomorfismo un’applicazione lineare f : V ! V di uno spazio
vettoriale su se stesso.
8.2. Autovalori ed autovettori di una matrice 79
Vale il
2 cioè coefficiente del termine di grado massimo.
80 Capitolo 8. Similitudine. Autovalori. Autovettori
det( A) = ( 1)n cn = l1 · l2 · · · ln .
j(l) = det(lI A ) = l n + c1 l n 1 + · · · + c n =
= (l l1 )(l l2 ) · · · (l ln )
j(0) = det( A) = cn = ( l1 )( l2 ) · · · ( ln )
c k = ( 1 ) k  Mk (8.5)
r (lI A) n k. (8.6)
Siano ora #»
x e #»
y due autovettori della matrice A associati entrambi
all’autovalore l; sussiste il
Dimostrazione. Siano A #»
x = l #»
x e A #»
y = l #»
y , consideriamo il vettore
#» #»
a x + b y e vogliamo dimostrare che anch’esso è autovettore associato
a l. Si ha, infatti
A(a #»
x + b #»
y ) = Aa #»
x + Ab #»
y =
aA x + bA y = al x + bl y = l(a #»
#» #» #» #» x + b #»
y ).
Vale il
Dimostrazione. Da A #»
x = l #»
x si ricava, moltiplicando a sinistra per A,
A2 #»
x = Al #»
x = lA #» x = l2 #»
x = ll #» x
Diagonalizzazione, matrici
ortogonali
85
86 Capitolo 9. Diagonalizzazione, matrici ortogonali
da cui
h i h i
#» #» #» #» #» #»
A X 1 A X 2 . . . A X n = l1 X 1 l2 X 2 . . . l n X n
#» #» #»
e quindi, per ogni i, si ha A X i = li X i , dunque gli X i sono autovettori
di A, linearmente indipendenti in quanto P è non singolare.
2 1
qundi semplici entrambi; per a = 2 la matrice diventa il cui
1 0
polinomio caratteristico è (l + 1)2 cioè ammette l’autovalore 1 doppio. Esso
è regolare se r ( I A) = 0 il che palesemente non è. Concludiamo dunque
che la matrice A è diagonalizzabile per ogni a 6= 2.
Esempio 9.2. Vogliamo determinare per quali valori dei parametri è diagona-
lizzabile la matrice 2 3
1 0 0
4 a 0 05 .
b a 1
Si vede subito (A è triangolare) che gli autovalori sono 0 semplice e 1 doppio.
L’autovalore 0 è regolare in quanto semplice. Esaminiamo la regolarità di
1.
2 Esso è regolare
3 quando r ( I A) = 3 2 = 1; la matrice 1I A è
0 0 0
4 a 1 05 il cui unico minore del second’ordine non certamente nullo è
b a 0
a 1
esso però si annulla per a2 + b = 0, dunque per questi valori, e
b a
solo per questi, A è diagonalizzabile.
i) det(U ) = ±1;
ii) U è invertibile e U 1 = UT ;
iii) UT è ortogonale.
Dimostriamo ora il
Teorema 9.7. Gli autovalori di una matrice reale simmetrica sono reali
l #»
x = A #»
x (9.4)
l #»
x T #»
x = #»
x T Ax = #»
x T l #»
x = l #»
x T #»
x;
poiché #»
x T #»
x 6= 0 in quanto #»
x autovettore, concludiamo che l = l e
quindi che l è reale.
Teorema 9.10. Se #» x e #»
y sono due autovettori della matrice reale simmetrica
A associati rispettivamente agli autovalori l e µ con l 6= µ, allora #»x e #»
y
sono ortogonali.
2 3
a
Per l = 1 abbiamo la famiglia di autovettori 4 b 5 con a e b non
2 3 a b
g
entrambi nulli, e per l = 2 l’autovettore 4g5 con g 6= 0. Dovremo scegliere
g
due autovettori associati a l1 ed uno associato a l3 , quindi possiamo costruire
la matrice 2 3
a a0 g
4 b b0 g5
a b a 0 0
b g
che dobbiamo rendere ortogonale scegliendo opportuni valori per i parametri a,
a0 , b, b0 e g. Per il Teorema 9.10 l’ultima colonna è ortogonale a ciascuna delle
altre due, quindi basta imporre la condizione aa0 + bb0 + (a + b)(a0 + b0 ) =
0 che equivale a
2aa0 + 2bb0 + ab0 + ba0 = 0.
Poniamo a = 0 allora b(2b0 + a0 ) = 0 e poiché, in questo caso dev’essere
b 6= 0 bisognerà prendere a0 = 2b0 . Se scegliamo allora b = 1, b0 = 1 e
g = 1 otteniamo la matrice
2 3
0 2 1
4 1 1 15
1 1 1
esso è una forma quadratica; osserviamo che si può anche scrivere come
1...n
F ( x1 , x2 , . . . , x n ) = Â aik xi xk . (9.6)
i,k
la trasforma in
che diventa
F = 5u2 + 30v2
mentre se prendiamo a = 0, b = 1, c = 2, d = 1 abbiamo la forma
canonica
F = 8u2 + 3v2 .
Polinomi di matrici
97
98 Capitolo 10. Polinomi di matrici
Esempio 10.1. Consideriamo ora tre matrici triangolari, per esempio alte,
per semplicità di ordine tre, B1 , B2 e B3 tali che 8i in Bi sia nullo l’i–esimo
elemento principale. Per esempio siano
2 3 2 3 2 3
0 a1 b1 a2 b2 c2 a3 b3 c3
B1 = 40 c1 d1 5 B2 = 4 0 0 d2 5 B3 = 4 0 d3 e3 5
0 0 e1 0 0 e2 0 0 0
B1 B2 B3 = 0
B1 B2 · · · Bn = 0
(A l1 I )( A l2 I ) · · · ( A ln I ) =
1
= PP (A l1 I ) PP ( A l2 I ) PP · · · PP 1 ( A ln I ) PP
1 1 1
=
= P( B l1 I )( B l2 I ) · · · ( A ln I ) =
1
= PB1 B2 · · · Bn P
quindi
(A l1 I )( A l2 I ) · · · ( A ln I ) = 0 (10.3)
e siccome il polinomio caratteristico di A si può scrivere come
Questo significa che se, per esempio, una matrice ammette come po-
linomio caratteristico j(l) = (l 1)2 (l 2) il suo polinomio minimo
può essere solo j(l) stesso oppure (l 1)(l 2).
Si può anche dimostrare che
Teorema 10.5. Due matrici simili hanno lo stesso polinomio minimo.
Naturalmente esistono matrici che, pur avendo lo stesso polinomio
minimo, non sono simili, anzi, che non hanno nemmeno lo stesso
polinomio caratteristico, come si vede nel seguente
2 3 2 3
0 0 0 0 0 0
Esempio 10.4. Siano A = 40 1 15 e B = 40 0 05. Si vede subito che
0 0 1 0 0 1
entrambe hanno come polinomio minimo µ(l) = l2 l, infatti A2 = A e
B2 = B, ma j A (l) = l(l 1)2 mentre j B (l) = l2 (l 1).
Anche l’avere lo stesso polinomio caratteristico non garantisce
affatto che i polinomi minimi siano uguali come si vede nel seguente
2 3 2 3
0 0 0 0 0 0
Esempio 10.5. Consideriamo le matrici A = 41 0 05 e B = 41 0 05.
2 3 0 2 0 0
3
Tutte e due hanno come polinomio caratteristico j(l) = l , ma siccome si
vede subito che B2 = 0 si ha µ B (l) = l2 mentre essendo A3 = 0 6= A2 si
ha µ A (l) = j(l) = l3 .
OSSERVAZIONE 10.3. Con un facile calcolo, che si propone come eser-
cizio, si verifica che il polinomio minimo di una matrice diagonale Dn
avente t n autovalori distinti è (l l1 )(l l2 ) · · · (l lt ).
Riferendoci a questa osservazione possiamo dimostrare il
Teorema 10.6. Una matrice A è diagonalizzabile se e solo se il suo polinomio
minimo ammette solo radici sempilici.
Dimostrazione. Dimostriamo, per semplicità, solo la parte “solo se”. Sia
A diagonalizzabile, allora essa è simile ad una matrice diagonale il
cui polinomio minimo, per l’osservazione precedente, è privo di radici
multiple, quindi la tesi segue dal teorema 10.5.
Il Teorema 10.6 fornisce un altro potente criterio per stabilire se
sono diagonalizzabili matrici di cui è facile determinare il polinomio
minimo. Ad esempio si ricava da esso che ogni matrice idempotente,
cioè per cui sia A2 = A che ha quindi come polinomio minimo l2 l
è diagonalizzabile.
Parte II
Geometria piana
Capitolo 11
11.1 Preliminari
In un sistema di riferimento cartesiano ortogonale è noto dagli studi
precedenti che una retta si rappresenta con un’equazione lineare
ax + by + c = 0, (11.1)
105
106 Capitolo 11. La retta nel piano
aa1 + bb1 = 0.
Esempio 11.2. Vogliamo l’equazione della retta che passa per i punti A(4, 1)
e B(3, 2). Sia essa di equazione ax + by + c = 0; si ha, imponendo il passaggio
per il primo punto a( x 4) + b(y 1) = 0 e per il secondo a(3 4) + b(2
1) = 0 () a + b = 0 () a = b, dunque , scegliendo a = 1 si ha
x + y = 5, risultato a cui si poteva pervenire direttamente, osservando che 5 è
proprio la somma dell’ascissa e dell’ordinata sia di A che di B.
11.2. Altri tipi di equazione della retta 107
|h[ a1 , b1 ], [ a2 , b2 ]i| |a a + b b |
cos j = = q 1 2 q1 2
k[ a1 , b1 ]k · k[ a2 , b2 ]k a21 + b12 · a22 + b22
Abbiamo visto che una retta r del piano che passa per il punto
P0 ( x0 , y0 ) ed ha la direzione del vettore #»
u = [ p, q] è l’insieme dei punti
#»
( x, y) tali che il vettore v = [ x x0 , y y0 ] sia linearmente dipendente
dal vettore #» u ; ma sappiamo anche che due vettori sono linearmente
dipendenti se e solo se sono proporzionali, quindi dev’essere #» v = l · #»
u,
da cui (
x = x0 + lp
(11.4)
y = y0 + lq
le (11.4) si chiamano equazioni parametriche della retta; ogni punto della
retta ha coordinate espresse dalle (11.4), e per ogni valore del parametro
nelle (11.4) si ottiene un punto della retta. Le componenti p e q del
u sono una coppia1 di parametri direttori della retta.
vettore #»
1 Abbiamo già osservato che i parametri direttori sono definiti a meno di una costante
r ⌘ 3x 2y = 2
11.3 Distanze
La distanza di due punti nel
piano segue da una immediata
applicazione del Teorema di Pi-
tagora, infatti dalla figura 11.1 si
nota subito che la distanza d tra i
punti A( x1 , y1 ) e B( x2 , y2 ) è l’ipo-
tenusa di un triangolo rettangolo
i cui cateti sono AC = x2 x1 e
.
BC = y2 y1 da cui
Figura 11.1 Distanza di due punti
q
d = ( x2 x1 )2 + ( y2 y1 )2
l( ax + by + c) + µ( a0 x + b0 y + c0 ) = 0 (11.7)
incontreremo ancora.
110 Capitolo 11. La retta nel piano
k ( ax + by + c) + ( a0 x + b0 y + c0 ) = 0 (11.8)
l
in cui abbiamo posto k = . In questo caso, però, quando µ = 0 il
µ
parametro k perde di significato, e quindi l’equazione del fascio, nella
forma (11.8) non rappresenta tutte le rette del fascio, mancando quella
per cui µ = 0, cioè la retta ax + by + c = 0. Se si considera, però,
che lim k = •, si può accettare il valore infinito per il parametro k,
µ !0
convenendo che in questo caso la (11.8) rappresenta la retta ax + by +
c = 0.
I fasci sono uno strumento molto potente e comodo: vediamo un
primo esempio.
Esempio 11.3. Vogliamo scrivere l’equazione della la retta che passa per i
punti A(1, 0) e B(2, 3). Essa appartiene al fascio che ha per sostegno, per
esempio, il punto A e quindi di equazione
x 1 + ky = 0 (11.9)
accentato
114 Capitolo 11. La retta nel piano
Ma si ha
R P
R0 Q0
# »
che il vettore OP forma con l’asse, si vede subito dalla figura 11.4 che si
ha (
x = r cos J
y = r sin J
con r > 0, 0 J < 2p.
r
r sin(J )
J A
O
r cos(J )
12.1 Generalità
Consideriamo un riferimento cartesiano ortogonale. La distanza tra
i punti P( x1 , y1 ) e Q( x2 , y2 ) è, come è noto,
q
d = ( x1 x2 )2 + ( y1 y2 )2 .
da cui
(x x0 )2 + ( y y0 )2 = r 2 (12.1)
che assume la più usuale forma
x2 + y2 + ax + by + c = 0 (12.2)
pur di porre a = 2x0 , b = 2y0 e c = x02 + y20 r2 .
Ma si può anche far vedere che ogni equazione del tipo (12.2) rappre-
senta una circonferenza. Infatti, confrontando la (12.1) con la✓(12.2) si ve-
◆
a b
de subito che essa rappresenta la circonferenza di centro C ,
p 2 2
a2 + b2 4c
e di raggio r = purché si abbia
2
a2 + b2 4c > 0. (12.3)
117
118 Capitolo 12. La circonferenza nel piano
Esempio
p 12.1. La circonferenza che ha centro nel punto C (1, 0) e raggio
r = 2 ha equazione ( x 1)2 + y2 = 2 che, sviluppata, diventa x2 + y2
2x 1 = 0.
Esempio 12.2. Sia g la circonferenza
x 2 + y2 = 0
x 2 + y2 + 1 = 0
12.2 Tangenti
Sussiste il ben noto
120 Capitolo 12. La circonferenza nel piano
( x x1 )( x1 x0 )+ (12.6)
(y y1 )(y1 y0 ) = 0
g ⌘ x 2 + y2 2x = 0
passanti per P(0, 2). (vedi la figura 12.3 nella pagina successiva). La g ha
centro nel punto C (1, 0) e raggio r = 1. Si nota subito da questo fatto che una
delle tangenti è l’asse y. Per trovare l’altra tangente si può procedere in vari
modi
e
x2 + y2 + a2 x + b2 y + c2 = 0 (12.9)
si vede subito che l’equazione
l( x2 + y2 + a1 x + b1 y + c1 ) + µ( x2 + y2 + a2 x + b2 y + c2 ) = 0 (12.10)
Teorema 12.3. L’ equazione del fascio che ha per sostegno i punti A e B cioè
di tutte e sole le circonferenze che passano per questi punti si ottiene come
combinazione lineare non banale di quelle di due qualsiansi circonferenze
passanti per A e B.
x 2 + y2 4x + ly + 3 = 0
dove, in accordo con quanto detto nell’osservazione 11.4 a pagina 109, abbiamo
usato un solo parametro, ovviamente posto nella posizione più comoda. A
questo punto la circonferenza che cerchiamo sarà quella del fascio che passa
per il punto C, cioè quella per cui
22 + 32 4 · 2 + 3l + 3 = 0.
12.4. Circonferenza ed elementi impropri 123
Le coniche
1 Il
nome deriva dal fatto che l’ellisse, la parabola e l’iperbole sono sezioni piane di un cono
circolare.
2 Da non confondere con il numero e = 2, 71 . . . di Nepero, base dei logaritmi naturali
125
126 Capitolo 13. Le coniche
d( PF1 ) + d( PF2 ) = 2a
x 2 y2
+ 2 = 1. (13.1)
a2 b
p
dove b = a2 c2 .
Sia P( x, y); allora deve essere
q q
2a = d( PF1 ) + d( PF2 ) = ( x + c )2 + y2 + (x c )2 + y2 .
127
Da cui
✓ q ◆2
2 2
( x + c) + y = 2a (x c )2 + y2
q
2 2 2
= 4a + ( x c) + y 4a (x c )2 + y2
e quindi q
4a (x c )2 + y2 = 4( a2 cx )
da cui
a2 ( x 2 2xc + c2 + y2 ) = ( a2 cx )2 = a4 2a2 xc + c2 x2
x2 y2
( a2 c2 ) x 2 + a2 y2 = a2 ( a2 c2 ) () + =1
a2 a2 c2
e la (13.1) segue ponendo b2 = a2 c2 .
OSSERVAZIONE 13.1. Per come è stato definito segue naturalmente
che b < a; se b = a si ottiene una circonferenza e se b > a si scambiano
il ruolo della x e y e dunque si ottiene l’ellisse di fuochi (0, ±c).
Per esempio vogliamo determinare i fuochi dell’ellisse di equazione
4x2 + y2 = 1. (13.2)
Possiamo scrivere la (13.2) nella forma
x2 2
⇣ ⌘2 + y = 1
1
2
1
da cui si ricava immediatamente che a = e b = 1; essendo b > a si ot-
r 2 p p !
p 1 3 3
tiene c = b2 a2 e dunque c = 1 = e quindi F1 0,
4 2 2
p !
3
e F2 0, .
2
Tenendo presente l’equazione (13.1) si vede subito che si può por-
x y
re = cos j e = sin j da cui si ottengono le comode equazioni
a b
parametriche dell’ellisse riferita ai propri assi di simmetria
(
x = a cos j
j0 j j0 + 2p. (13.3)
y = b sin j
128 Capitolo 13. Le coniche
p
ay b| x | = a2 b2 + b2 x 2 b |x|
p p
( a2 b2 + b2 x2 + b | x |)( a2 b2 + b2 x 2 b | x |)
= p
a2 b2 + b2 x 2 + b | x |
a2 b2
= p .
b |x| + a2 b2 + b2 x 2
129
DEFINIZIONE 13.3. Dati nel piano un punto F ed una retta r tali che
F 62 r, una parabola di fuoco F e direttrice r è l’insieme dei punti P del
piano equidistanti da F e da r cioè:
d( FP) = d( Pr ).
⇣p ⌘
Per trovarne l’equazione canonica (v. Fig. 13.4) sia p > 0, se F ,0
2
p
allora r ha equazione x = e l’equazione della parabola è:
2
y2 = 2px (13.5)
infatti r⇣
p ⌘2
d( PF ) = x + y2
2
e
p
d( P, r ) = x +
2
3 Il concetto generale di asintoto di una curva è stato chiarito nei corsi di Analisi.
130 Capitolo 13. Le coniche
da cui
p2 p2
x2 + px + = x2 px + + y2
4 4
che, semplificata, è la (13.5).
termini lineari, ma questi ultimi si possono facilmente eliminare con una traslazione degli assi.
132 Capitolo 13. Le coniche
x2 y2
+ =1 (ellisse reale)
a2 a2
x 2 y 2
2
+ 2 = 1 (ellisse immaginaria)
a a
x2 y2
+ 2 =0 (ellisse degenere)
a2 a
x 2 y2
=1 (iperbole non degenere)
a2 a2
x 2 y 2
2
=0 (iperbole degenere)
a a2
2
y = 2px (parabola non degenere)
y2 = 0 (parabola degenere)
x22xy + 6y2 2x = 0.
2 3
1 1 1
La matrice dei coefficienti è A = 4 1 6 05 che non è singolare. Si
1 0 0
1 1
vede subito che la sottomatrice B = ha determinante uguale a 5
1 6
quindi positivo: si tratta dunque di un’ellisse non degenere (vedi Figura 13.5).
yy0 = p( x + x0 ). (13.9)
Le condizioni poste non vietano che due dei cinque punti coincida-
no. In tal caso la conica è tangente ad una retta passante per i due punti
coincidenti (e per nessuno dei rimanenti). Di più le coppie di punti
coincidenti possono essere due, in tal caso la conica sarà tangente a due
rette che passano ciascuna per una delle coppie di punti coincidenti.
In questo paragrafo
estenderemo al caso delle
coniche il concetto di fa-
scio già visto per le rette e
le circonferenze; in genera-
le, infatti, un fascio è un in-
sieme di enti geometrici le
cui equazioni dipendono
linearmente da una coppia
di parametri omogenei o
da un solo parametro non
omogeneo.
Figura 13.7 Esempio 13.4
Generalità
sui fasci di coniche
DEFINIZIONE 13.4. Chiamiamo fascio di coniche generato da due co-
niche g1 e g2 , che si incontrano in quatto punti (reali o no, propri o
impropri, a tre a tre non allineati ma eventualmente a due a due coinci-
denti) l’insieme F di tutte le coniche la cui equazione si ottiene come
combinazione lineare non banale delle equazioni di g1 e g2 . In tale
situazione chiamiamo punti base del fascio i quattro punti comuni a g1 e
g2 .
g1 ⌘ a1 x2 + b1 xy + c1 y2 + d1 x + e1 y + f 1 = 0
g2 ⌘ a2 x2 + b2 xy + c2 y2 + d2 x + e2 y + f 2 = 0
l( a1 x2 + b1 xy + c1 y2 + d1 x + e1 y + f 1 )+
+µ( a2 x2 + b2 xy + c2 y2 + d2 x + e2 y + f 2 ) = 0 (13.11)
( k + 1) x 2 2xy + (k 1)y2 + 2x 4k = 0
p
Per avere una parabola dovrà essere (k + 1)(k 1) 1 = 0 da cui k = ± 2.
Quindi si hanno due parabole, di equazioni rispettive
p p p
(1 + 2) x2 2xy (1 + 2)y2 + 2x 4 2 = 0
p 2 p 2 p
(1 2) x 2xy (1 2)y + 2x + 4 2 = 0
Polarità piana
Capitolo 14
Proiettività ed involuzioni
14.1 Proiettività
Si considerino due rette proiettive (cioè completate con il loro punto
improprio e pensate come insieme di punti) r e r 0 . Su ciascuna di esse si
può fissare un sistema di ascisse in modo che ( x : u) siano le coordinate
omogenee del generico punto P 2 r e ( x 0 : u0 ) quelle del generico punto
P0 2 r 0 . Chiamiamo proiettività tra r ed r 0 la corrispondenza biunivoca
p che associa al punto P( x : u) di r il punto P0 di r 0 di coordinate
(
rx 0 = ax + bu
(14.1)
ru0 = cx + du
143
144 Capitolo 14. Proiettività ed involuzioni
(
rx 0 = a
0) dalla (14.1) ha coordinate tali che sia e se c 6= 0 si ha
ry0 = c
P0 ( a : c) cioè P0 ac mentre se è c = 0 si ottiene il punto di coordinate
omogenee P0 ( a : 0) cioè il punto improprio della retta r 0 . Esso può
ax + b
anche essere determinato, usando la (14.2), come x 0 = lim . In
x !0 cx + d
modo analogo si osserva che il punto di r che ha come corrispondente
⇣ ⌘
d
il punto improprio di r 0 è P( d : c), dunque per c 6= 0 si ha P c e
per c = 0 si ha il punto improprio di r.
Un altro modo per rappresentare una proiettività si può ricavare
eliminando il denominatore nella (14.2) ottenendo una relazione del
tipo
axx 0 + bx + gx 0 + d = 0 (14.3)
con la condizione ad bg = 0.
Nel caso in cui le due rette (o più in generale le due forme) coinci-
dano, cioè, come si suol dire, la proiettività sia tra forme sovrapposte si
chiamano uniti o fissi i punti che sono corrispondenti di se stessi.
Esempio 14.4. Vogliamo l’equazione della proiettività che ammette come uni-
ti i punti A(0), B(1) e fa corrispondere al punto C (2) il punto 0
8 C ( 1). Le con-
>
< d=0
dizioni poste, sostituite nella (14.3), danno luogo al sistema a+b+g+d = 0
>
: 2a + 2b g + d = 0
da cui si ricava d = 0, a = 3b e g = 4b e quindi l’equazione della
proiettività è 3xx 0 + x 4x 0 = 0.
14.2 Involuzioni
Se in una proiettività p tra forme di prima specie sovrapposte si ha
una coppia di punti A e B tale che p ( A) = B =) p ( B) = A si dice che
la coppia è involutoria o che i punti si corrispondono in doppio modo.
DEFINIZIONE 14.1. Una proiettività tra forme di prima specie sovrap-
poste in cui ogni coppia di elementi è involutoria si chiama involuzione.
L’equazione di una involuzione si può scrivere, in analogia con la
(14.3) come
axx 0 + b( x + x 0 ) + d = 0 (14.4)
che è un’equazione simmetrica, cioè non cambia scambiando x con x 0 .
Lemma 14.1. Se in una proiettività di equazione (14.3) esiste una coppia
involutoria, allora si ha b = g e quindi la proiettività è in particolare una
involuzione.
Dimostrazione. Infatti se a x1 , ascissa di un punto non unito corrispon-
de x2 6= x1 si ha ax1 x2 + bx1 + gx2 + d = 0, ma poiché anche x1
corrisponde ad x2 si avrà anche ax2 x1 + bx2 + gx1 + d = 0; sottraen-
do membro a membro otteniamo b( x1 x2 ) + g( x2 x1 ) = 0 da
cui ( x1 x2 )( b g) = 0 e poiché per ipotesi x2 6= x1 , deve essere
b g = 0, quindi la proiettività è un’involuzione.
Per le involuzioni sussiste il
Teorema 14.2. La proiettività di equazione (14.3) è un’involuzione se e
soltanto se b = g.
Dimostrazione. Se b = g, risolvendo la (14.3) sia rispetto ad x che ad x 0
si ha
bx + d bx 0 + d
x0 = e x=
ax + b ax 0 + b
14.2. Involuzioni 147
coniugati.
148 Capitolo 14. Proiettività ed involuzioni
bm+d
l’altra retta unita. Dalla relazione m0 = am+ b , tenendo conto delle condi-
b+d
zioni date si hanno le relazioni 3a + b = 0 e 1 = a+ b che danno luogo al
( (
a + 2b = d d = 5a
sistema che ha come soluzione . L’involuzione
3a + b = 0 b = 3a
cercata ha dunque equazione mm0 3(m + m0 ) + 5 = 0. Ponendo m = m0 si
ha l’equazione ai punti uniti m2 6m + 5 = 0, le cui soluzioni sono m = 1,
che sapevamo, ed m = 5, coefficiente angolare dell’altra retta unita.
Capitolo 15
Polarità piana
~x A~x T = 0 (15.2)
1 Da qui in poi, e per tutto il capitolo, anche se non espressamente detto, le coniche prese in
149
150 Capitolo 15. Polarità piana
hanno sempre due punti in comune, a meno che il punto non appartenga alla conica.
154 Capitolo 15. Polarità piana
Figura 15.2 Involuzione iperbolica, retta Figura 15.3 Involuzione ellittica, retta
secante esterna
Ma essendo f ( x, y, u) omogenea, 4
⇣ ⌘ ⇣dal ⌘Teorema
⇣ di
⌘ Eulero sulle funzioni
∂f ∂f ∂f
omogenee segue che x ∂x +y ∂y +u ∂u = 2 f ( x, y, u) e quindi
f ( x0 , y0 , u0 ) = 0.
159
160 Capitolo 16. Centro ed assi
1
m0 = m otteniamo
✓ ◆
1
a22 + a12 m + a11 = 0
m
che diventa
a12 m2 + ( a11 a22 )m a12 = 0 (16.3)
Per a12 6= 0 la (16.3) ammette due radici reali e distinte, quindi la conica
ammette esattamente una coppia di assi. Se invece è a12 = 0 e a11 6= a22
l’equazione (16.3) si abbassa di grado ed ammette una radice nulla: si
hanno quindi anche in questo caso esattamente due assi, di coefficienti
angolari m = 0 e m = •.
Infine se è a12 6= 0 e a11 = a22 cioè se la conica è una circonferenza,
la (16.3) diventa un’identità in accordo col fatto che l’involuzione circo-
lare è l’involuzione dei diametri coniugati della circonferenza, per la
quale, dunque, tutti i diametri sono assi.
Esempio 16.6. Vogliamo gli assi della conica g : x2 + xy 2 = 0. Inpquesto
caso la (16.3) diventa m2 + m 1 = 0 che ha come radici m = 1±2 5 : gli
assi
⇣ dellapg possono
⌘ essere determinati o come polari dei due punti impropri
1 : 1±2 5 : 0 oppure osservando che il centro di g è l’origine in quanto
la sua equazione manca
p
dei termini lineari. Dunque gli assi sono le rette di
1± 5
equazioni y = 2 x.
Parte IV
167
168 Capitolo 17. Rette e piani nello spazio
a( x x0 ) + b ( y y0 ) + c ( z z0 ) = 0
Che diventa
ax + by + cz + d = 0 (17.2)
Teorema 17.1. Nello spazio tutte e sole le equazioni della forma 17.2 rappre-
sentano un piano in cui a, b e c sono numeri non tutti e tre nulli3 .
ax + by + cz + d = 0
a1 x + b1 y + c1 z + d1 = 0 (p1 )
a2 x + b2 y + c2 z + d2 = 0 (p2 )
Per quanto detto finora essi saranno non paralleli se i vettori ~v1 =
[ a1 , b1 , c1 ] e ~v2 = [ a2 , b2 , c2 ] sono linearmente indipendenti. Dal punto
di vista geometrico, due piani non paralleli hanno in comune una
retta, in accordo col fatto che P( x, y, z) 2 p1 \ p2 se e solo se ( x, y, z) è
soluzione del sistema
(
a1 x + b1 y + c1 z + d1 = 0
(17.6)
a2 x + b2 y + c2 z + d2 = 0
Dal teorema 3.5 a pagina 30 segue che, nell’ipotesi che i piani non
siano paralleli, questo sistema è possibile, dato che, se chiamiamo A
la matrice dei coefficienti e B quella completa, si ha r ( A) = r ( B) = 2,
dunque il sistema ammette •1 soluzioni che sono effettivamente i punti
di una retta nello spazio. Dunque una retta può essere individuata
come intersezione di due piani.
172 Capitolo 17. Rette e piani nello spazio
Rette sghembe
Due rette che non hanno punti in comune e non sono parallele, cioè
due rette non complanari, si dicono sghembe. Se entrambe le rette sono
date come intersezione di due piani, esse sono sghembe se non sono
parallele e se il sistema formato dalle quattro equazioni è impossibile.
Esempio 17.8. Le rette
( (
x+z = 0 2x + y = 1
r: e s:
y z=1 x + 2z = 0
non sono parallele; consideriamo allora il sistema formato dalle quattro equa-
zioni: 8
>
> x+z = 0
>
< y z=1
>
> 2x + y = 1
>
:
x + 2z = 0
2 3
1 0 1
60 1 17
la matrice dei coefficienti sarà A = 6 42 1
7 che ha rango 3 e quella
05
1 0 2
2 3
1 0 1 0
60 1 1 17
completa sarà B = 6 42 1
7, anch’essa di rango 3, dunque il sistema
0 15
1 0 2 0
ammette una soluzione, quindi le rette si incontrano, dunque sono complanari
176 Capitolo 17. Rette e piani nello spazio
e quindi non sghembe. L’equazione del piano che le contiene entrambe si può
determinare in vari modi, per esempio trovando il fascio F di piani per una
delle due e, scelto un punto comodo P sull’altra (ovviamente diverso dal punto
di intersezione), scrivere l’equazione del piano di F passante per P; oppure,
determinato il punto Q comune alle due rette, scegliere un punto comodo
R 2 r (R 6⌘ Q) ed uno comodo S 2 s (S 6⌘ Q) e poi determinando il piano
per i tre punti Q, R ed S.
Distanze
• Distanza di due punti: dalla figura 17.1 nella pagina precedente si
vede subito che se sono dati i punti P( x1 , y1 , z1 ) e Q( x2 , y2 , z2 ), la
distanza PQ è l’ipotenusa del triangolo rettangolo che ha come
cateti la differenza delle quote z1 z2 e la distanza delle proiezioni
ortogonali P1 e Q1 rispettivamente di P e Q sul piano xy. Sul
piano xy dal Teorema di Pitagora si ricava immediatamente che
la distanza P1 ( x1 , y1 ) Q1 ( x2 , y2 ) è
q
d( P1 Q1 ) = ( x1 x2 )2 + (y1 y2 )2 .
e quindi un’ulteriore applicazione del Teorema di Pitagora forni-
sce la distanza di due punti nello spazio:
q
d( PQ) = ( x1 x2 )2 + (y1 y2 )2 + (z1 z2 )2 .
se appartiene a p, cioè se
17.7 Simmetrie
In questo paragrafo presentiamo, per lo più mediante esempi, alcuni
problemi nello spazio riguardanti le simmetrie rispetto a punti a rette
ed a piani.
⇣ ⌘
2 4 2
da cui si ha 1 + t (1 t ) + 1 + t = 0 e quindi H 3, 3, 3 dunque le
coordinate di P0 sono
8
> 2 1
>
> x P0 = 2 · 1=
>
>
< 3 3
4 5
y P0 = 2 · 1=
>
>
> 3 3
>
:z 0 = 2· 2
>
1=
1
P
3 3
8 Per evitare equivoci usiamo un parametro diverso, il parametro t. È ovvio che il nome
1
perpendicolare
⇣ ⌘ a p e passante per P risulta individuata da t = 3 quindi è
H = 23 , 13 , 13 . Dunque il simmetrico P0 di P sarà P0 ( 31 , 23 , 23 ) e sostituendo
le sue coordinate nell’equazione del fascio si ottiene, con semplici calcoli,
l’equazione del piano a0 che è x + 2y + 2z 3 = 0.
184 Capitolo 17. Rette e piani nello spazio
Nel caso in cui i due piani siano paralleli, vedi fig. 17.5 si può anche,
per esempio, considerare la loro distanza: se essa è d basta scrivere
l’equazione del piano a distanza d da a.
Si verifica subito che le due rette date sono sghembe; per determinare r 0 occorre
e basta determinare i simmetrici di due punti comodi di r e scrivere le equa-
zioni della retta che li congiunge: per esempio siano P(1, 0, 0) e Q(1, 1, 1)
(corrispondenti, rispettivamente, ai valori t = 0 e t = 1) i due punti: i
due simmetrici sono, come si ricava facilmente P0 (0, 0, 12 ) e Q0 ( 1, 1, 1)
dunque una terna di parametri direttori di s0 è 1, 1, 32 quindi la retta s0 ha
17.8. Coordinate omogenee nello spazio 185
equazioni 8
< x = 2t 1
>
y = 2t + 1 .
>
: z = 3t + 1
punto.
17.8. Coordinate omogenee nello spazio 187
10 Ricordiamo che anche le coordinate omogenee dei punti dello spazio sono definite a meno
di un fattore di proporzionalità.
Capitolo 18
18.1 Rototraslazioni
Risulta quasi immediato verificare che una trasformazione di assi,
cioè il passaggio da un sistema di riferimento monometrico ad un altro
con gli assi paralleli ed equiversi a quelli del precedente e con la stessa
unità di misura1 è descritto dalle equazioni2
8 0
<x = x a
>
y0 = y b (18.1)
>
: 0
z =z g
dove (a, b, g) sono le coordinate della nuova origine nel sistema di
riferimento iniziale; x, y, z sono le coordinate del generico punto in
questo sistema e le coordinate accentate sono le coordinate nel nuovo
sistema di riferimento.
nel senso, cioè, che saranno sempre gli assi del sistema di riferimento e non i punti a muoversi:
risulterebbe interessante trattare l’argomento anche in modo contrario, ma ciò comporterebbe
un livello di astrazione superiore che esula dagli scopi di queste dispense.
2 cioè tali equazioni legano le coordinate di un punto generico dello spazio nel vecchio
189
190 Capitolo 18. Sui sistemi di riferimento
sostituendo si ha :
8
>
> 00 1 1 1 1 3
>
> x = p ( x + 2) p (y 1) = p x p y+ p
>
< 2 2 2 2 2
00 1 1 1 1 3
>
> y = p ( x + 2) + p (y 1) = p x + p y+ p
>
>
> 2 2 2 2 2
: 00
z =z 2
4 Nello spazio, come, del resto anche nel piano, si può, ovviamente, introdurre un riferi-
mento polare anche in assenza di uno cartesiano preesistente; qui preferiamo invece partire
da un sistema cartesiano, in quanto siamo interessati alla determinazione del legame tra le
coordinate di un punto in sistemi di riferimento diversi in qualche modo però legati tra loro.
5 In questo modo, infatti, ogni punto dello spazio viene individuato da una ed una sola
8
< x = r sin J cos j
>
y = r sin J sin j
>
: z = r cos J
19.1 Superfici
DEFINIZIONE 19.1. Si chiama superficie il luogo dei punti dello spa-
zio, che riferito ad un sistema di coordinate cartesiane ortogonali,
soddisfano un’equazione cartesiana
f ( x, y, z) = 0 (19.1)
od una terna di equazioni parametriche del tipo
8
< x = g(u, v)
>
y = h(u, v) (19.2)
>
: z = i (u, v)
195
196 Capitolo 19. Linee e Superfici nello spazio
rappresenta un piano. Per far ciò basta eliminare i due parametri u e v ricavan-
do u3 e log v dalle prime due equazioni: si ottiene u3 = 3x y e, similmente,
log v = y 2x; sostituendo poi i valori trovati nella terza equazione, si per-
viene all’equazione cartesiana 5x 4y + z = 0 che rappresenta appunto un
piano.
Per la precisione in questo caso si dovrebbe parlare di un piano privato di
una semiretta, infatti, poiché v è argomento dinlogaritmo, dev’essere v > 0 e
5x 4y+z =0
cioè y 2x > 0 quindi bisognerebbe scrivere y 2x >0 .
x 2 + y2 + z2 = k (19.4)
z = j( x, y) (19.5)
19.2 Linee
Una linea (o curva) L nello spazio può essere rappresentata da
equazioni parametriche del tipo
8
< x = f (t)
>
L ⌘ y = g(t) (19.7)
>
:
z = h(t)
20.1 La sfera
Come è noto si chiama sfera il luogo dei punti dello spazio equi-
distanti da un punto fissato. Se tale punto è C (a, b, g) e la distanza è
R 0 si vede subito che, indicando con P( x, y, z) un generico punto
dello spazio, l’equazione della sfera è
(x a )2 + ( y b )2 + ( z g )2 = R2 (20.1)
che diventa
x 2 + y2 + z2 2ax 2by 2gz + a2 + b2 + g2 R2 = 0
che si può scrivere
x2 + y2 + z2 + ax + by + cz + d = 0
pur di porre a = 2a, b = 2b, c = 2g e d = a2 + b2 + g2 R2 .
Viceversa l’equazione
x2 + y2 + z2 + ax + by + cz + d = 0 (20.2)
caratterizzata dal fatto di avere i coefficienti dei termini quadratici ugua-
li e non contenere alcun
✓ termine rettangolare
◆ rappresenta la sfera con
a b c 1p 2
centro nel punto C = , , e raggio R = a + b2 + c2 4d
2 2 2 2
come si può facilmente mostrare con ragionamenti analoghi a quelli
effettuati per la circonferenza nel piano. Ampliando lo spazio con i
punti a coordinate complesse, come abbiamo fatto per il piano, pos-
siamo eliminare nella (20.1) l’eccezione R 0 ed affermare che ogni
equazione della forma (20.2) rappresenta una sfera nello spazio.
201
202 Capitolo 20. Sfera e circonferenza nello spazio
Ci proponiamo di
calcolare le coordina-
te del centro e la lun-
ghezza del raggio di g.
Se indichiamo con C
e R rispettivamente il
centro ed il raggio del-
la sfera S, è facile ren-
dersi conto (vedi Figu-
ra 20.1) che il centro C 0
della g è la proiezione
ortogonale di C sul pia-
no p, quindi si può de-
terminare come inter- Figura 20.1 Circonferenza nello spazio
sezione tra il piano p
e la retta ad esso perpendicolare passante per C. Per quanto rigurada il
raggio r della circonferenza, osservando sempre la figura 20.1, il Teo-
rema di Pitagora ci permette di scrivere che R2 = r2 + d2 , dove con d
abbiamo
p indicato la distanza di c dal piano p da cui immediatamente
r = R2 d2 .
Esempio 20.3. Siano date le equazioni
(
x2 + y2 + z2 2x + 2y z=0
x+y z=0
✓ ◆
1
che rappresentano l’intersezione della sfera di centro C 1, 1, e raggio
2
3
R= con il piano x + y z ; esse rappresentano una circonferenza reale,
2
infatti il piano taglia la sfera in punti reali dato cher
la distanza d dirp da C è
|1 1 12 | 1 9 1 1 26
p , quindi d = p < R. Dunque r = = . Per
3 2 3 4 12 2 3
trovare le coordinate del centro di g osserviamo che una terna di parametri
direttori del piano è 1,81, 1, quindi la retta perpendicolare al piano passante
>
> x = 1+t
<
per C avrà equazioni y = 1 + t intersecandola con il piano si ottiene 1 +
>
:z= 1 t
>
2 ✓ ◆
1 1 0 7 5 1
t 1 + t 2 + t = 0 da cui t = cui corrisponde il punto C , ,
6 6 6 3
centro della circonferenza data.
204 Capitolo 20. Sfera e circonferenza nello spazio
l ( x 2 + y2 + z2 2x 2y) + µ( x2 + y2 + z2 + x 2y + z 1) = 0
che, come al solito e con le solite avvertenze sull’eventuale valore infinito del
parametro, si può scrivere, con un parametro solo, nella forma
x 2 + y2 + z2 2x 2y + k ( x2 + y2 + z2 + x 2y + z 1) = 0 (20.4)
che diventa
x 2 + y2 + z2 x 1 + k( x + y z + 1) = 0
x 2 + y2 + z2 + ( k 1) x + ky kz + k 1=0
207
208 Capitolo 21. Superfici rigate e di rotazione
22.1 Coni
DEFINIZIONE 22.1. Fissati nello spazio un punto V ed una curva
algebrica1 L , si chiama cono2 di vertice V e direttice L l’insieme di
tutte e sole le rette passanti per V e secanti la L (Figura 22.1), quindi il
cono è una superficie rigata.
211
212 Capitolo 22. Cilindri, coni e proiezioni
Per imporre il fatto che la retta (22.1) tagli la direttrice, basta sosti-
tuire nelle equazioni della L i valori dati dalle (22.1) ed eliminare il
parametro dalle due equazioni.
Esempio 22.1. Vogliamo l’equazione del cono che ha vertice in V (0, 1, 0) e
come direttrice la circonferenza di equazioni
(
x2 + y2 + z2 2x = 0
.
x 2y + 3z = 0
vogliamo l’equazione del cono che si ottiene facendo ruotare la retta r attorno
alla s. Si può osservare che tale cono ha vertice V ⌘ O(0, 0, 0), che è il
214 Capitolo 22. Cilindri, coni e proiezioni
22.2 Cilindri
DEFINIZIONE 22.2. Fissata nello spazio una curva algebrica g ed una
retta r che interseca g si chiama cilindro di direttrice g e generatrice r
la superficie (rigata) formata da tutte e sole le rette parallele ad r che
intersecano la g. (Figura 22.2 a fronte).
Quindi il cilindro è ben di più del cilindro circolare che siamo
abituati a conoscere.
OSSERVAZIONE 22.2. Si vede subito che ogni equazione del tipo
f ( x, y) = 0 (22.2)
Eliminando, con semplici calcoli, il parametro t dalle due equazioni del sistema
si ottiene la relazione che deve intercorrere tra le coordinate di P perché questi
appartenga al cilindro, che è quindi
(y z )2 = x z.
22.3 Proiezioni
DEFINIZIONE 22.3. Si chiama proiezione di una curva g da un punto V
sul piano a l’intersezione tra il piano a stesso ed il cono avente vertice
in V e come direttrice g. (v. figura 22.3)
Si chiama proiezione di una curva g dalla direzione della retta r sul piano
a (v. fig. 22.4 a pagina 218) l’intersezione tra il piano a stesso ed il
clindro avente g come generatrice e generatrici parallele a r.
y2 + x ( x z) + ( x z )2 = 0
22.4. Riconoscimento di una conica nello spazio 217
• una parabola se a = b
• un’ellisse se a < b
• un’iperbole se a > b
Teorema 22.3. Ogni proiezione parallela di una conica non ne altera la natura,
se effettuata da una direzione non parallela al piano su cui giace la conica
stessa.
non è possibile, ma in tal caso il riconoscimento procede come già abbiamo visto nel piano.
218 Capitolo 22. Cilindri, coni e proiezioni
Eliminando dal sistema una delle incognite, per esempio la z, si ottiene l’equa-
zione del cilindro che proietta la conica ortogonalmente al piano xy, che ha
quindi equazione x2 + xy + ( x y)2 x + 1 = 0, la proiezione sarà dunque.
(
x2 + xy + ( x y)2 x + 1 = 0
z=0
Superfici quadriche
219
220 Capitolo 23. Superfici quadriche
coefficienti: 2 d e g3
a 2 2 2
6d f h7
6 b 27
A = 6 2e f
2
i7
42 2 c 2
5
g h i
2 2 2 l
In tal modo possiamo riscrivere l’equazione di una generica quadri-
ca ( 23.1 nella pagina precedente) nel seguente modo
~x A~x T = 0 (23.2)
(x + y z )2 5( x + y z) + 6 = 0
che si scompone in
23.2. Quadriche in forma canonica e loro classificazione 221
[( x + y z) 2] [( x + y z) 3] = 0
che mette in luce i due piani paralleli in cui è spezzata.
irriducibili
x2 y2 z2
+ + =0 cono quadrico immaginario
a2 b2 c2
x 2 y 2 z 2
2
+ 2 + 2 =0 cono quadrico reale
a b c
x2 y2
+ 2 =1 cilindro quadrico a sezione ellittica
a2 b
x 2 y2
=1 cilindro quadrico a sezione iperbolica
a2 b2
x 2 y 2
2
+ 2 = 1 cilindro quadrico completamente immaginario
a b
y2 = 2px, p = 0 cilindro quadrico a sezione parabolica
riducibili
x2 y2
=0 piani reali incidenti
a2 b2
x 2 y 2
2
+ 2 =0 piani immaginari incidenti
a b
y2 = a2 , a 6 = 0 piani reali paralleli
y2 = a2 , a 6 = 0 piani immaginari paralleli
y2 = 0 piani reali coincidenti
a centro
x2 y2 z2
+ 2 + 2 =1 ellissoide reale
a2 b c
x 2 y2 z2
+ 2+ 2 = 1 ellissoide completamente immaginario
a2 b c
x 2 y2 z2
+ 2 =1 iperboloide iperbolico (o ad una falda)
a2 b c2
x 2 y 2 z 2
2 2
=1 iperboloide ellittico ( a due falde)
a b c2
non a centro
x2 y2
+ = 2pz, p 6= 0 paraboloide ellittico
a2 b2
x2 y2
= 2pz, p 6= 0 paraboloide iperbolico (o a sella)
a2 b2
x2 y2
= 2pz
a2 b2
e quindi si vede subito che su di esso ci sono due sistemi di rette, definiti, al
variare dei parametri k e h, dai sistemi
8 8
> x y > x y
< = kz < + = 2hp
⇣xa y⌘ b e ⇣xa y⌘ b
>
:k + = 2p >
:h =z
a b a b
• il sistema 8
< x = a cos J cos j
>
y = b cos J sin j
>
:
z = c sin J
• il sistema 8
< x = a cosh j cos J
>
y = b cosh j sin J
>
:
z = c sinh j
• il sistema 8
< x = a cos J
>
y = b sin J cosh j
>
:
z = c sin J sinh j
• il sistema 8
>
> x = at
>
< y = bs
>
>
> t2 + s2
:z=
2p
(con s, t 2 R) rappresenta un paraboloide ellittico.
• il sistema 8
>
> x = at
>
< y = bs
>
>
> t2 s2
:z=
2p
(con s, t 2 R) rappresenta un paraboloide iperbolico.
23.2. Quadriche in forma canonica e loro classificazione 225
| B| = 0 Paraboloide iperbolico
Punti iperbolici det A > 0 | B| < 0 Iperboloide ad una falda
| B| > 0 Ellissoide completamente immaginario
| B| = 0 Paraboloide ellittico
Punti ellittici det A < 0 | B| < 0 Iperboloide a due falde
| B| > 0 Ellissoide reale
| B| = 0 Cilindro quadrico
Punti parabolici det A = 0 | B| < 0 Cono quadrico reale
| B| > 0 Cono quadrico immaginario
1
che, come si verifica subito, ha det A = 16 > 0, quindi è una quadrica
irriducibile non specializzata ed a punti iperbolici, fatto che si può anche
constatare tenendo conto che il piano tangente nell’origine ad una qualsiasi
superficie algebrica ha come equazione il complesso dei termini di primo grado;
2 Non è difficile dimostrare che gli autovalori di B non possono essere tutti e tre nulli.
228 Capitolo 23. Superfici quadriche
x2 2y2 + z2 2x + y + 3 = 0
(per i passaggi necessari basta ricordare come ridurre a forma canonica una
forma quadratica: vedi § 9.3 a pagina 92). I tre autovalori della forma quadra-
tica sono non nulli, il che equivale a dire che il suo determinante | B| è diverso
da zero. S è dunque una quadrica a centro. Cerchiamo allora la traslazione del
riferimento
8
< x = X + x0
>
y = Y + y0
>
: z = Z+z
0
che porta la sua equazione ad una delle forme canoniche: avremo così, sosti-
tuendo
( X + x 0 ) 2 (Y + y 0 ) + ( Z + z 0 ) 2 2 ( X + x 0 ) + (Y + y 0 ) + 3 = 0
cioè, semplificando
che, come si verifica subito è una rotazione in quanto la sua matrice è ortogonale
a determinante positivo e che ha lo scopo di cambiare il nome agli assi da cui:
x 02 y 02 z 02
17 17 17
=1
16 8 8
f ( x, y, z, u) = a11 x2 + · · · + a33 z2 +
+ 2a12 xy + · · · + a13 xz+
+ 2a14 xu + · · · + a34 zu + a44 u2 = 0 (23.3)
Vale la pena di notare in conclusione che, come già accadeva nel piano,
l’ampliamento dello spazio con i punti impropri permette di eliminare
fastidiose dissimmetrie.
Indice analitico
A Teorema di, 99
Angolo di due rette Centro
nel piano, 107 di una conica, 159
nello spazio, 168 Cilindri, 214
Applicazione, 63 Circonferenza
biiettiva, 64 nello spazio, 202
biunivoca, 64 Codominio, 63
iniettiva, 64 Coefficiente angolare, 105
inversa, 66 Coefficiente binomiale, 10
lineare, 64 Combinazione lineare
suriettiva, 63 di matrici, 20
Asintoti di un’iperbole, 129 di vettori, 36
Asse Combinazioni, 9
di una conica, 163 Complemento algebrico, 46
Autosoluzioni Concetto primitivo, 3
di un sistema omogeneo, 59 Coni, 211
Autospazio, 82 Conica all’infinito, 231
Autovalori, 78 Conica per cinque punti, 134
regolari, 81 Coniche, 125
Autovettori, 78 Coniche a centro, 159
Coniche degeneri, 130
B Cono asintotico, 231
Base, 38 Controimmagine, 63
ortogonale, 74 Coordinate
ortonormale, 74 cilindriche, 191
Binet polari, 114
Teorema di, 50 nello spazio, 191
Coordinate omogenee
C nello spazio, 185
Caratteristica Coordinate polari
vedi Rango 51 nel piano, 114
Cayley-Hamilton Coppia involutoria, 146
233
234 Indice analitico
G K
Gauss Kroneker
algoritmo di , 30 Teorema di, 53
Generatori
di uno spazio vettoriale, 38 L
Generatrici, 207 Lagrange
Grassmann Teorema di, 94
formula di, 43 Laplace
primo teorema di, 48
I secondo teorema di, 48
Linee nello spazio, 198
Immagine, 63
Insieme, 3 M
differenza, 4
Matrice, 16
intersezione, 4
aggiunta, 96
parzialmente ordinato, 5
associata ad una forma qua-
sottoinsieme, 3
dratica, 93
totalmente ordinato, 5
autoaggiunta, 95
unione, 4 dei complementi algebrici,
vuoto, 3 55
Intersezione tra retta e piano, del cambiamento di base, 41
174 diagonale, 18
Invarianti diagonale principale, 17
di una conica, 131 diagonalizzabile, 85
Inversa elementi principali, 17
di un’applicazione lineare, elevazione a potenza, 24
66 emisimmetrica, 17
Involuzione hermitiana, 95
circolare, 162 inversa, 54
dei diametri coniugati, 160 invertibile, 54
dei punti coniugati, 155 normale, 96
dei punti reciproci, 155 nulla, 19
Involuzioni, 146 operazioni elementari
ellittiche, 147 sulle colonne, 27
iperboliche, 147 sulle righe, 27
Iperbole, 128 orlare, 53
Iperboloide ortogonale, 88
ellittico, 222 ortogonalmente diagonaliz-
iperbolico, 222 zabile, 89
Isomorfismo, 66 quadrata, 17
ridotta, 29
236 Indice analitico
proprietà, 72 d’ordine, 5
Proiettività, 143 di equivalenza, 4
ellittica, 145 insieme quoziente, 4
iperbolica, 145 di equivalenza, 4
parabolica, 145 di ordine, 5
Proiezione ortogonale, 181 Retta impropria, 111
Proiezioni, 216 Rette
centrali, 216 punteggiate, 143
parallele, 216 Rette isotrope, 132
Pundi base di un fascio Rette sghembe, 175
di coniche, 137 Riconoscimento di una conica
Punti nello spazio, 217
coniugati, 154 Riconoscimento di una quadrica
ellittici, 226 non degenere, 227
iperbolici, 226 Riduzione a forma canonica
multipli, 197 dell’equazione di una qua-
parabolici, 226 drica, 228
reciproci, 154 Rototraslazioni, 189
Punti base di un fascio Rouché-Capelli
di circonferenze, 121 Teorema di, 30, 58
Punti ciclici, 124
Punti impropri S
di una quadrica, 230 Sfera, 201
Punti uniti, 144 Simmetrie, 180
Punto improprio, 110 rispetto ad un piano, 181
rispetto ad un punto, 180
Q rispetto ad una retta, 184
Quadriche, 219 Sistema di equazioni, 12
Quadriche in forma canonica Sistema di riferimento
loro classificazione, 221 nel piano, 69
nello spazio, 69
R Sistema lineare, 12
Rango omogeneo, 59
calcolo del, 53 risoluzione elementare, 14
di una forma quadratica, 93 soluzioni, 13
di una matrice, 29, 51 Sistemi lineari
proprietà, 52 teoria dei, 57
Reciprocità teoria elementare, 11
legge di, 152 Somma
Regola del parallelogrammo, 70 di sottospazi, 42
Relazioni, 4 Somma diretta
238 Indice analitico
di sottospazi, 42 Tangenti
 sommatoria, 5 ad una circonferenza, 119
Sostegno Tangenti ad una conica
di un fascio, 109 in forma canonica, 133
Sottospazio, 38 Triangoli autopolari, 156
Spazi vettoriali
proprietà, 36 V
Spazio euclideo, 76
Vandermonde
Spazio vettoriale, 36
determinante di, 50
su R, 35
Versore, 73
Spettro
Vettore
di una matrice, 79
unitario, 73
Superfici, 195
di rotazione, 208 Vettori
rigate, 207 disgiunti, 41
Superficie fondamentali, 37
algebrica, 197 linearmente dipendenti, 37
linearmente indipendenti,
T 37
Tangente ortogonali, 74
ad una superficie, 197 ortonormali, 74