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Beatrice Pasciuta

Il diavolo in Paradiso

Diritto, teologia e letteratura


nel Processus Satane (sec. XIV)

viella
168 Il diavolo in Paradiso

nando la teoria di Anselmo e supportandola con argomentazioni squisi-


tamente giuridiche: l’uomo ha peccato contro Dio e quindi Dio – nella
persona del Figlio – ha la possibilità di perdonare, di rimettere le colpe.
Il peccato infatti può essere stato determinato da leggerezza o da follia –
casi per i quali il diritto non prevede la possibilità di condanna – ovvero si
è trattato di ingiuria: quest’ultima fattispecie, la peggiore evidentemente,
consente tuttavia a colui che ha subito l’offesa di perdonare e quindi di non
adire necessariamente le vie del processo.84
Il confronto è fra le due teorie della salvezza: quella più tradizionale e
risalente, che vedeva il sacrificio di Cristo come “riscatto” pagato da Dio
per liberare l’umanità dalla schiavitù del diavolo e quella, più recente, che
invece escludeva il rapporto di scambio con il diavolo e vedeva nel sacri-
ficio di Cristo la modalità con cui l’umanità era stata in grado di “soddi-
sfare” il suo debito, contratto con il peccato originale, nei confronti di Dio.
Nel Processus Satane il punto di contatto fra queste due posizioni sembra
trovarsi in una pronuncia del giudice, che per la verità appare piuttosto
debole, nella sua tautologica evidenza. Cristo infatti ricorda al diavolo e
al pubblico di essersi sacrificato per la redenzione dell’umanità – riprende
quindi il concetto del riscatto – e che, questa volta ricorrendo al diritto, su
una stessa fattispecie non si possono dare due diverse sentenze. La deci-
sione sulle anime, dunque, è rinviata ad un altro processo, quello finale;85
la decisione sul diavolo, invece, è già presa e qui confermata grazie alla
concordanza fra “Sacre Scritture e verità giuridica”: egli è nuovamente
condannato in eterno, e costretto a camminare all’Inferno, atterrito dal do-
lore e con le vesti strappate.86

5. Una donna ci ha dannato e una donna ci ha salvato

Vergini sedotte dagli angeli


Nel prologo “bartoliano”, così come nell’impianto stesso del Proces-
sus Satane, colpisce il singolare rilievo dato alla figura femminile: «Sapete
che il genere umano fu dannato, sin dalla creazione del mondo, a causa del-

84. Appendice 1 [82].


85. Appendice 1 [84].
86. Appendice 1 [91].
I punti teologici 169

la disubbidienza di Eva e che poi fu salvato dalla gloriosa Vergine Maria.


Infatti, una donna lo ha dannato e una donna lo ha salvato».
E ancora avanti:
E dunque la nequizia infernale pensò, chiamò a consiglio la sfrenata cupidi-
gia, la frode diabolica e l’astuzia, tutte qualità che aveva in sé, per trovare il
modo di ricondurre il genere umano nella sua antica servitù e intuendo, quel
macchinatore fraudolento, che la natura della donna è più debole di quella
dell’uomo, suggerì alla moglie di Pilato di impedire la condanna a morte di
Cristo e così quando lei si fu svegliata dal suo sogno disse al marito: Multa
enim passa sum hac nocte etc.87
Tre donne – Eva, Maria e la moglie di Pilato – scandiscono concreta-
mente la strada della dannazione e della salvezza, artefici e insieme stru-
menti del male e della redenzione.
Tre donne antitetiche, certamente, ma tutte in rapporto diretto con il
male: Maria la grande antagonista, Eva e la moglie di Pilato i due strumenti
del diavolo. Tre donne che pur nella loro differenza “storica” e di ruolo,
sono pur sempre accomunate dall’appartenenza al medesimo genus, unite
dalla stessa natura, la debole natura muliebre.
La maggiore fragilità della natura femminile è all’origine della scelta
del diavolo di apparire in sogno alla moglie di Pilato per suggerirle di im-
pedire al marito di condannare Cristo: il diavolo, infatti, ha capito che se la
condanna verrà eseguita egli avrà perso per sempre il suo potere sull’uma-
nità, a causa dell’uccisione di un innocente, anzi dell’unico uomo senza
peccato.88
La moglie di Pilato è l’alter ego terreno di Eva, una donna della quale
ancora una volta il diavolo si serve per operare il male, puntando sulla in-
trinseca debolezza femminile.
Ma se con Eva il diavolo era riuscito nel suo intento, adesso la sua
azione è bloccata dalla venuta salvifica di Cristo: il piano della salvezza
dovrà essere portato a compimento e dunque a quella fragilità si troverà
una perfetto bilanciamento nella forza della Vergine Maria, tradizional-
mente antagonista del diavolo ed unico essere umano in grado di scon-
figgerlo.

87. Appendice 1 [1].


88. Sull’episodio del sogno della moglie di Pilato, tratto dal Vangelo di Nicodemo,
cfr. supra, p. 83.
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La donna in quanto tale è dunque centrale nella costruzione teologica:


la sua natura è insieme causa della dannazione e mezzo per la salvezza.
L’antitesi, o meglio il binomio Eva-Maria, è uno dei fondamenti co-
stitutivi della teologia cristiana ed è già ben presente nelle riflessioni della
patristica di area orientale.
A partire dal II secolo, le teorie della riconciliazione, quelle cioè che
tentano di spiegare le modalità con cui Dio ha perdonato il genere uma-
no, insistono sul ruolo strumentale della figura femminile nei due processi
complementari della dannazione e della salvezza.
Giustino († 165 c.), derivandola dalla narrazione della Genesi, fonda
la sua teoria della riconciliazione proprio sulla presenza di una donna-ver-
gine, causa della dannazione e poi essa stessa strumento della salvezza.89
Le due vergini sono antitetiche: l’una dialoga con il diavolo, l’altra con
l’angelo, l’una concepisce disobbedienza e morte l’altra fede e gioia.90
Anche Ireneo di Lione († 202 c.), nella sua confutazione delle credenze
gnostiche, riprende il binomio di Giustino, ma ne dà un’interpretazione dif-
ferente e di maggiore successo. La teoria della salvezza è formulata secondo
la prospettiva della ricapitulatio – letteralmente «rigenerazione dalla testa»
–, un concetto che va oltre il semplice riscatto, e che ipotizza che eventi
già accaduti vengano ribaltati «a capite», dalla testa appunto: se Adamo ha
condannato l’umanità con la propria disobbedienza, Cristo la salverà con
l’obbedienza.91 Il chiasmo continua con Eva e Maria: la prima, vergine, se-
dotta da un angelo (ribelle) per disobbedire, la seconda, anch’ella vergine e
ugualmente sedotta da un angelo, per obbedire; la vergine Maria, che fa parte
del genere umano, sarà pertanto l’avvocata della vergine Eva.92
L’antinomia fra dannazione e salvezza si ricompone in armonia pro-
prio grazie alla identica natura – umana – e all’identità di genere.
Due donne che credono – Eva al serpente, Maria all’arcangelo – che pre-
stano cioè fede a qualcosa che comunque non sono in grado di comprendere.93

89. Giustino, Dialogo con Trifone, 43.3; per i passi di Giustino e per la relativa esegesi
cfr. Peretto, Maria nell’area culturale greca, p. 264.
90. Giustino, Dialogo con Trifone, 100. 4-6 (PG 6, coll.709-712); Laurentin, Court
traité de theologie, pp. 38-40.
91. Ireneo di Lione, Contra Hereses I, l.3§22, pp. 958-960; app. 2, p. 426.
92. Ireneo di Lione, Contra Hereses V, l.5 § 19.1, p. 248. Russo, Les représentations
mariales, p. 181.
93. «Crediderat Eva serpenti, credidit Maria Gabrieli: quod illa credendo deliquit
haec credendo delevit»: così Tertulliano (ca160-220/240), De carne Christi 17,5, p. 60.
I punti teologici 171

In questa “fede” sta insieme la forza e la intrinseca fragilità che, nel modello
patristico, finisce con l’accomunare le due figure antitetiche di Eva e Maria
sotto l’unico denominatore rappresentato dalla loro funzione strumentale.
Due donne-madri, anzi archetipiche nel concetto di madre, e che pro-
prio intorno al parto costruiscono insieme la condanna e il perdono, la
sofferenza e la speranza: Eva madre di Caino, Maria di Cristo, entrambe,
tuttavia, definite paradossalmente madri dell’umanità.
Ancora sul motivo del parto e della verginità, Giovanni Crisostomo
(† 407), rielabora il binomio Maria-Eva. L’elemento della verginità, as-
sunto in Giustino come fattore unificante fra gli estremi del processo di
salvezza, diventa adesso fattore identificativo di Maria e salvifico, e viene
contrapposto alla carnalità di Eva, simbolo e artefice della dannazione, e
quindi “contaminata” e obbligata, come tutte le altre donne, a pagare il
prezzo della sua scelleratezza con il dolore del parto.94
Per quanto riguarda la patristica occidentale, il modello antitetico del-
la dannazione-salvezza e quello ad esso collegato della verginità trovano il
primo fondamento in Agostino († 430).
«Poiché l’uomo è caduto per colpa del sesso femminile, per mezzo
del sesso femminile è stato perdonato […]: per mezzo di una femmina la
morte, per mezzo di una femmina la vita».95 Il concetto della dannazione
e quello della salvezza, allora, risultano simbolicamente imperniati su una
dialettica tutta interna al genere femminile, e che trova ampio spazio nella
riflessione agostiniana sulla verginità della Madonna: «Vergine nel conce-
pirlo, vergine nel generarlo, vergine nel portarlo in grembo, vergine dopo
averlo partorito, vergine per sempre».96
Il concetto della “triplice verginità” entra nella liturgia mariana dei
secoli centrali e conclusivi della patristica, e viene esplicitamente ribadito

Su questo cfr. Maître, Du culte marial à la célébration des vierges, p. 48; Maritano, Maria
nell’area culturale latina, p. 308.
94. Giovanni Crisostomo, Il cambiamento dei nomi, 2,3 (PG 51,129), cit. in Testi
mariani del Primo millennio: Padri ed altri autori greci, p. 412.
95. «Quia per sexum femineum cecidit homo, per sexum femineum reparatus
est homo; quia Virgo Christum pepererat, femina resurrexisse nuntiabat. Per feminam
mors, per feminam vita». Agostino, Sermones de tempore, Sermo 232.2 (PL 38, col.
1108).
96. «Concipiens virgo, pariens virgo, virgo gravida, virgo feta, virgo perpetua». Ago-
stino, Sermones de tempore, Sermo 186.1 (PL 38, col.999); ma anche Sermo 190.2 (PL 38,
col. 1008).
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dal Concilio Lateranense (649), dove si definisce Maria vergine «ante, in


et post partum».97
Un concetto esplicitamente asserito dalla Madonna nel nostro proces-
so, come prova della sua appartenenza al genere umano, e quindi come
giustificazione processuale del suo diritto a postulare e a difendere il gene-
re umano in qualità di avvocata:
Fui vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto, e ho concepito e
generato te per tua sola potenza e senza l’intervento di nessuno, come il grano
germina sine alterius coherentia, e come la verga di Aronne creò fiori fronde
e frutti senza semi e radici.98
Il chiasmo Eva-Maria, d’altronde, scandisce costantemente la rifles-
sione teologica occidentale.
Isidoro da Siviglia lo rintraccia nel nome stesso della prima donna:
Eva significa vita ma anche disastro (woe);99 e per di più, nella traduzio-
ne latina, il chiasmo si rafforza attraverso un gioco di parole, laddove
Eva è l’anagramma perfetto di Ave, il saluto che Gabriele rivolge a
Maria.100
Il connubio vita-disastro sarà ripreso anche da Innocenzo III, che as-
socia il nome di Eva al grido di dolore con il quale ogni uomo si affaccia
alla vita:
Tutti nasciamo urlando per esprimere la miseria della nostra natura. E un ma-
schio appena nato dice “A”, una femmina “E” e si dice “E” o “A” poiché tutti

97. Sacrorum conciliorum, vol. 10, can. 3, col. 1151.


98. Appendice1 [48].
99. «Eva interpretatur vita sive calamitas sive vae. Vita, quia origo fuit nascendi: ca-
lamitas et vae, quia praevaricatione causa extitit moriendi. A cadendo enim nomen sumpsit
calamitas. Alii autem dicunt: ob hoc Eva vita et calamitas appellata, quia saepe mulier viro
causa salutis est, saepe calamitatis et mortis, quod est vae». Isidoro da Siviglia, Etimologie,
VII, 6 §§ 5-6, vol. 1, p. 580.
100. Flood, Representations of Eve, p. 14. Sulla figura di Eva nella costruzione
teologica cristiana rimane fondamentale Phillips, Eve. La diversa caratterizzazione sce-
nica delle donne nelle sacre rappresentazioni – sostanzialmente divise fra donne buone
e caste, teatralmente passive, e donne attive e sboccate, attraenti per il pubblico, riflette
appunto la suddivisione dell’universo femminile in base alla dicotomia Maria-Eva. New-
lyn, Between the Pit and the Pedestal, pp. 126-127 e Waller, The Virgin Mary, p. 71. Per
l’antifemminismo nel cristianesimo cfr. i testi raccolti in Woman defamed and Woman
defended.
I punti teologici 173

nascono da Eva; Che vuol dire dunque Eva? È certamente un’esclamazione


di dolore che esprime la grandezza della nostra pena.101
L’accostamento antitetico fra le due protagoniste della parabola fem-
minile assume anche un rilievo di tipo pubblicistico. Come si legge nel
Sermone 12 dello pseudo-Ildefonso (sec. VIII), la condizione di peccato
genera la sottomissione della donna all’uomo e di contro la condizione
di verginità salvifica è per Maria il principio di legittimazione della sua
potestas.102
Il motto mulier damnavit et mulier salvavit – riportato nel prologo
“bartoliano” del Processus Satane –103 riassume con straordinaria efficacia
il paradosso fondativo della “questione femminile” che sta alla base della
dottrina cristiana.
La donna è all’origine della dannazione dell’umanità e al contempo a
lei si deve la salvezza. Ma la filosofia scolastica, fondata sulla logica di tipo
aristotelico, non può accontentarsi di una semplice constatazione: l’espres-
sione va spiegata perché, attraverso la sua spiegazione strutturale, si può
tentare di sciogliere quella che altrimenti risulterebbe una contraddizione
insanabile e pertanto inaccettabile.
La massima è dunque oggetto di indagine in ambiente scolastico. Per
comprendere le strutture logiche che stanno alla base del linguaggio, Pie-
tro Abelardo utilizza l’espressione «mulier que dampnavit salvavit» come
esempio di «relatio simplex» sottolineando come l’identità, in questo caso,
non vada intesa con riguardo alla persona ma alla natura, ossia al genere:
Nel dire “per mezzo di una donna è entrata la morte, per mezzo della stessa
la vita” o “la donna che ci ha dannato, la stessa ci ha salvato” utilizziamo il
pronome in maniera indifferente e non riferito alla persona, e se si dicesse:
“una donna ci ha dannato e la stessa, cioè un’appartenente al suo stesso sesso,

101. «Omnes nascimur eiulantes ut nature miseriam exprimamus. Masculus enim re-
center natus dicit ‘A’, femina ‘E’. Dicentes ‘E’ vel ‘A’ quotquot nascuntur ab Eva. Quid est
igitur ‘Eva’? Utrum dolentis est interiectio, doloris exprimens magnitudinem» Innocenzo
III, De contemptu mundi, I.7, pp. 22-23.
102. «Eva per corruptionem concipiens et in dolore pariens, sub viri potestate fuit.
Maria per mysterium Spritus sancti fide concipiens, gaudio pariens: inde reges et principes
ovantes eius cupiunt subiici potestati». Sermo de Sancta Maria (PL 96, col. 280), cit. in
Iogna-Prat, Le culte de la Vierge, p. 93 e ivi nt. 92; su questo sermone cfr. Grégoire, Les
Homéliaires liturgiques médiévaux, p. 260.
103. Appendice 1 [1].
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ci ha salvati”, ugualmente ci si riferirebbe a quella in base alla indifferenza


del sesso e non in base all’identità della persona.104
Nel caso in specie, il motto serve a spiegare il concetto grammaticale
di «indifferenza», ovvero la comunanza di opposti all’interno di un mede-
simo genus.
Sul punto Abelardo torna anche nelle Sentenze, dove con maggiore
chiarezza afferma: «Quando poi diciamo “la donna che ci ha dannato ci ha
salvato” non ci riferiamo alla persona ma alla natura del sesso femminile
[…]: Eva certamente ci ha dannato, Maria ci ha salvato».105 L’argomenta-
zione utilizzata per spiegare un costrutto sintattico contiene il fondamento
di un topos che va ben oltre il ragionamento logico-grammaticale, rivelan-
dosi anche e soprattutto teologica: il sexus – l’identità di genere, diremmo
oggi – diventa qui la categoria unificante del percorso della salvezza e
serve alla filosofia medievale per tentare di risolvere con gli strumenti della
logica di derivazione aristotelica una delle contraddizioni che la dottrina
cristiana poneva con maggior evidenza e che riguarda proprio il ruolo della
donna e l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti.

La Madonna “togata”
Nel nostro processo la Vergine è la protagonista principale. Conosce il
diritto e la teologia, li usa entrambi in maniera efficacissima e dà concre-
tezza ad un ruolo – quello di avvocata, nel senso di intercessora fra l’uomo
e Dio – che le era stato attribuito sin dalle origini del cristianesimo.106

104. «Cum dicitur “Per mulierem intravit mors, per eandem vita” vel “mulierem quae
damnavit, ipsa salvavit” indifferenter pronomina referimus, non personaliter, ac si dicatur:
“mulier damnavit et eadem” – id est res eius sexus – “salvavit”, scilicet similiter, ut vide-
licet eadem secundum indifferentiam sexus non secundum identitatem personae dicatur»
Abelardo, Logica ‘Ingredientibus’, p. 397, cit. in Mews, Reason and belief, p. 32. Su questi
testi - sempre analizzati in una prospettiva grammaticale, linguistica e filosofica – cfr. C.H.
Kneepkens, “Mulier Quae Damnavit, Salvavit”.
105. «Cum vero dicimus hoc “mulier que dampnavit salvavit” non circa eandem per-
sonam sed circa naturam sexus muliebris […]: Eva quippe damnavit, Maria salvavit» Abe-
lardo, Sententie, p. 118, cit. in Mews, Thèmes philosophiques, pp. 30-31.
106. Il culto mariano è, evidentemente, oggetto di una mole di studi pressocché ster-
minata e in questa sede si tenterà esclusivamente di tratteggiare le linee principali della
“giuridicizzazione” del ruolo della Vergine come avvocata del genere umano. Per un qua-
dro complessivo si rinvia dunque alle opere fondamentali e alla bibliografia ivi citata, su
tutte Storia della mariologia, e più in generale Storia della teologia, vol. 1. e vol. 2; Gam-
I punti teologici 175

Il culto mariano si lega evidentemente all’immagine della donna e al


suo posto nella religione cristiana. Ed è un culto che nasce in Oriente e che
lì ha una prima fase di sviluppo con il riconoscimento a Maria del titolo di
Madre di Cristo – Theotokòs – nel Concilio di Efeso (431). A partire dal
V secolo, la devozione nei confronti della madre di Cristo si diffonde in
tutto il bacino del Mediterraneo e, quindi, in occidente dove, dal VI secolo,
comincerà ad essere celebrata, con una festa annuale, il primo di gennaio.
Dagli inizi del secolo seguente, come testimoniato dal Liber Pontificalis,
papa Sergio I (687-701) istituisce le processioni per l’Annunciazione, la
Dormizione e della Natività, con le quali si consolida la cosiddetta tetralo-
gia mariana, scandita adesso nelle celebrazioni della Purificazione, Annun-
ciazione, Assunzione e Natività. 107
Il ruolo centrale che la figura della Madonna assume nella religiosità
alta e in quella popolare si evince, fra l’altro, anche dalla precoce tradi-
zione, tutta extra-scritturale, del repertorio dei «Miracoli» della Vergine,
raccolti per la prima volta in occidente, da Gregorio di Tours († 594);108
ma, per collocare la Madonna nel contesto in cui compare in riferimento al
Processus Satane, occorre fare un passo avanti nella cronologia del topos
mariano occidentale ed arrivare alle grandi trasformazioni che investono la
Chiesa a partire dal movimento cluniacense.109
Per lo sviluppo del culto mariano, il XII secolo rappresenta un mo-
mento di estrema importanza, che culmina con la creazione del Salve Re-
gina. Introdotto nella liturgia cluniacense almeno a partire dagli Statuti di
Pietro il Venerabile (1146-47 c.),110 il Salve Regina rappresenta la preghiera
fondamentale per la definizione del ruolo e della percezione della figura

bero, Maria nel pensiero dei teologi latini medievali; Iogna-Prat, Palazzo, Russo, Marie;
Testi mariani del Secondo Millennio, 3; Figure poetiche e figure teologiche; per un inqua-
dramento della figura di Maria nella cultura medievale Rubin, Mother of God; Ead., Emo-
tion and Devotion; Remensnyder, Meeting the Challenges of Mary; per una prospettiva
antropologica della figura di Maria, come esempio di madre di un dio – in una cronologia
che inizia intorno al VI sec. a.C. – cfr. il discusso lavoro di Borgeaud, La Mére des dieux.
107. Maître, Du culte marial à la célébration des vierges, pp. 46-47; Le Liber Ponti-
ficalis, 1, p. 376.
108. Gregorio di Tours, Miraculorum libri, pp. 482-820, e in particolare l. I.4 § 8 (p.
43 ss.).
109. Su questo cfr. Simón, La presenza della Beata Vergine, pp. 593-617.
110. «Statutum est ut antiphona de sacra Matre Domini facta, cujus principium est,
Salve, Regina, mater misericordiae, in festo Assumptionis ipsius, dum processio fit, a con-
ventu cantetur: et insuper in processionibus, quae a principali ecclesia Apostolorum, ad
ejusdem matris Virginis ecclesiam ex more fiunt, exceptis illis sanctorum festivitatibus, in
176 Il diavolo in Paradiso

della Madonna nella nuova spiritualità occidentale.111 Inno dell’umanità


dolente alla sua salvatrice, alla figura che media con il Cristo, il Salve di-
venta la preghiera mariana per antonomasia. Il nostro processo, non a caso,
in tutte le varianti conosciute – bartoliane e adespote – si chiude sempre
con l’immagine del coro celeste che inneggia alla Madonna, intonando il
Salve Regina, come a voler riportare sul piano della spiritualità e della me-
tafora il ruolo di avvocata che in questa specifica circostanza Maria aveva
interpretato anche e soprattutto tecnicamente.
Il ruolo dell’intercessora, peraltro, conferisce alla figura della Madon-
na una nuova ed esclusiva individualità, pressocché assente nel culto ma-
riano delle origini, dove la questione cristologica relegava Maria al solo
ruolo di madre.
La scolastica si concentra sulla santità della Vergine e sulla sua specia-
lissima prerogativa, incarnata nella virtù della misericordia.
Uno dei punti di svolta della riflessione teologica in questa direzione
è rappresentato indubbiamente da Bernardo di Chiaravalle (1090-1154).
Nel sermone De duodecim praerogativis Bernardo riprende la celebre con-
trapposizione fra Eva e Maria, nel binomio con Adamo e Cristo.112 E ad
entrambe attribuisce il ruolo di mediatrici: Eva del male, Maria del bene.
Questa precisazione risulta necessaria per spiegare la teoria della riconci-
liazione: certamente, asserisce Bernardo, Cristo da solo sarebbe stato suf-
ficiente per placare l’ira di Dio nei confronti del genere umano. Ma questo
rapporto, questa azione di perdono, per essere portata a compimento in
maniera efficace, aveva bisogno di una mediazione, ed ecco la necessità
dell’intervento di Maria. E dunque se Eva era stata mediatrice crudele,
tramite fra il serpente e Adamo, strumento attraverso cui il veleno del male
si infonde all’umanità, Maria è portatrice dell’antidoto, e la sua missione è
di propinarlo agli uomini e alle donne per salvarli. E ancora, Eva, ministra
di seduzione, Maria di concordia, da Eva la prevaricazione, da Maria la
redenzione. Un binomio antico, dunque, quello riproposto da Bernardo, nel
quale tuttavia risulta centrale non tanto l’antitesi bene-male, quanto il ruolo

quibus mos antiquus exigit, ad eosdem sanctos pertinentia decantari». Pietro il Venerabile,
Statuta, cap. 76 (PL 189, col. 1048).
111. Palazzo, Johansson, Jalon liturgiques, p. 18. Sul punto cfr. inoltre Canal, Salve
regina, e Mundó, El origen del “Salve”.
112. «Vehementer quidem nobis, dilectissimi, vir unus et mulier una nocuere: sed,
gratias Deo, per unum nihilominus virum, et mulierem unam omnia restaurantur». Bernar-
do di Chiaravalle, Sermo De duodecim praerogativis, PL 183, col. 429.
I punti teologici 177

della mediazione che la donna – strumento e mezzo dell’altrui superiore


volontà – è chiamata a svolgere.
Il ruolo di mediazione della Vergine è reso efficacemente da Bernardo
con la metafora dell’acquedotto: Maria, piena di grazia, è appunto come
un acquedotto che non produce l’acqua ma la contiene e la distribuisce,
non è fonte, ma strumento fondamentale per la diffusione della grazia agli
uomini;113 e Cristo, anch’egli mediatore ma anche sommo giudice, non po-
trà non esaudire le richieste della madre.114
Una mediazione, quella proposta da Bernardo, che ancora – com’è
ovvio – è ben lontana dall’assumere la connotazione giuridica, rimanendo
fondata sul ruolo di Maria madre e quindi sul concetto della misericor-
dia come elemento cardine e fondamento dell’intercessione: la Madonna,
componente del genere umano, utilizza la sua specialissima prerogativa di
madre di Cristo, per intercedere sul figlio, altrimenti del tutto irragiungibile
e distante, nella sua divinità, dall’umanità peccatrice.
La teologia del XII secolo pone dunque l’accento sulla devozione ma-
riana e, per quanto ci interessa maggiormente, sulla funzione di mediazio-
ne, basata sul rapporto affettivo e sul ruolo materno e, in definitiva, su una
sostanziale passività della Madonna che svolge il suo compito limitandosi
ad attuare la volontà di Dio.
Di segno del tutto differente sarà l’atteggiamento della riflessione teo-
logica a partire dai primi decenni del Duecento.
Sotto l’indubbio influsso della coeva cultura giuridica, l’ambito della
mediazione sembra infatti uscire dal mondo del sentimento – della mise-
ricordia materna – per assumere una coloritura più tecnica, negli schemi e
nel linguaggio.
Non a caso, un altro protagonista della teologia cistercense, Adamo di
Perseigne (1145 c.-1221), proseguirà sul tema della Madonna mediatrice,
così caro a Bernardo, inserendolo questa volta esplicitamente nel linguag-
gio processuale e nell’esemplificazione del giudizio: Maria è mediatrice
fra Dio e l’umanità, ed è quindi mediatrice fra il reo e il giudice: ella è
«potentissima advocata».
Grazie all’intervento di Maria l’umanità, colpevole, sarà giudicata da
un giudice-fratello: se Cristo è stato posto da Dio nel ruolo di mediatore
con l’umanità, così la Madonna, sua madre, avrà un compito più specifico,

113. Bernardo di Chiaravalle, Sermo De aquaeductu, PL 183, coll. 440-442.


114. Montanari, San Bernardo di Clairvaux, pp. 645-649.
178 Il diavolo in Paradiso

quello di mediare fra il reo e il suo giudice, ossia tra l’umanità peccatrice-
colpevole e il Figlio giudice.115 In questa specificità comincia a prendere
forma la declinazione giuridica del tradizionale epiteto di Maria “avvo-
cata”, formulato per la prima volta da Ireneo di Lione in riferimento alla
difesa di Eva da parte della Vergine.116
La concretizzazione “giuridica” del ruolo di Maria avvocata del genere
umano riceve un ulteriore impulso dalla teologia degli ordini mendicanti,
e in particolare dall’ambiente francescano. La categoria giuridica in base
alla quale la donna può postulare in difesa dei miserabili viene infatti uti-
lizzata già da Francesco d’Assisi (1181/82-1226) per affermare che Maria,
in quanto avvocata dei poveri, è l’avvocata dell’ordine francescano.117
Il tema della mediazione, dunque, si coniuga strettamente con il più
grande problema della salvezza. In Bonaventura da Bagnoregio († 1274)
– siamo nell’ambito dell’insegnamento teologico negli studia generalia,
ma sempre di stampo francescano – la Vergine è «madre di Dio, per unio-
ne matrimoniale; regina del cielo, per il trono regale; avvocata del genere
umano, per i paramenti sacerdotali».118 Nel pensiero del Doctor Seraphicus,
Maria è artefice unica della salvezza: in sintonia con le dottrine dei Padri
della Chiesa, Bonaventura riprende la centralità del ruolo della Madonna
nel processo salvifico accostandola, come di consueto, in antitesi e simbiosi,
ad Eva, figura centrale del processo di dannazione.119 Anche nella visione di
Bonaventura, tuttavia, il ruolo di avvocata svolto dalla Madonna sembra in-
centrarsi quasi totalmente sull’aspetto della mediazione come intercessione.

115. «Quid igitur reo timendum est, cui in causa sua idem est frater qui et judex, et talis
judex, cui proprium est misereri semper et parcere, et qui misericordiam superexaltet judicio?
Timere ne debeat ut pereat, cui misericordissima mater clementissimi fratris, et judicis se piis-
simam matrem exhibet, et potentissimam advocatam? Tu misericordiae mater, non rogabis
pro filio Filium, pro adoptato Unigenitum, pro servo Dominum, pro reo Judicem, pro creatura
Creatorem, pro redempto Redemptorem? Rogabis plane, quia qui Filium tuum inter Deum et
homines posuit Mediatorem, te quoque inter reum et judicem posuit mediatricem» Adamo di
Perseigne, Sermo I In Annuntiatione B. Virginis, §§ 20-21 (PL 211, col. 703).
116. Cfr. supra, p. 170.
117. «Sed quod laetificat plurimum, Ordinis advocatam ipsam constituit, suisque alis
quos relicturus erat filios usque in finem fovendos et protegendos submisit. Eia, pauperum
advocata! imple in nobis tutricis officium usque ad praefinitum tempus a Patre» Tommaso
Celano, Vita secunda Francisci, c. 172.1, pp. 314-315.
118. «Propter nuptiale connubium […] est mater Dei; propter regale solium, regina
caeli; propter sacerdotale ornamentum, advocata generis humani» Bonaventura, De annun-
ciatione, t. IX, p. 672 col.a.
119. Bonaventura, In III sententiarum, d. 12, art. 3, q. 1, pp. 270-272.
I punti teologici 179

Una mediazione possibile proprio grazie all’assenza di peccato originale,


un’idea che, con non poche difficoltà, si stava ormai radicando proprio nella
teologia francescana, come dogma dell’Immacolata Concezione.
La riflessione della scolastica matura chiude il cerchio e precisa, con la
metodologia analitica che le è propria, anche la qualità tecnica del ruolo di
Maria avvocata. Il passo emblematico di questo percorso ormai compiuto
è la quaestio XXIII del De laudibus Sanctae Mariae di Riccardo di San
Lorenzo († 1245).120
La quaestio è dedicata alla sapienza della Vergine. Una virtù che la
pone al di sopra delle creature angeliche, delle quali Maria possiede ogni
scienza. La Vergine sapiente padroneggia anche l’universo delle arti, mec-
caniche e liberali, nel quale la cultura medievale ha sistematizzato le co-
noscenze umane; in particolare, per quel che ci riguarda, conosce bene la
retorica, tradizionale terreno di elezione del sapere giuridico scolastico.
Questo assunto è dimostrato da Riccardo di San Lorenzo con la con-
sueta acribia logica.
Per conoscere la retorica è necessario, preliminarmente, conoscere la
grammatica: e il teologo scolastico dimostra, sulla scorta delle testimonianze
evangeliche, che la Vergine sapeva leggere – e dunque conosceva la gram-
matica – poiché era stata educata al tempio, secondo la legge mosaica.
Posta questa premessa, passa ad occuparsi più diffusamente della se-
conda arte del trivium, la retorica, per la quale è necessaria qualche argo-
mentazione in più.
La Vergine conosce la retorica innazitutto perché conosce perfetta-
mente le Sacre Scritture, dove, come dice Agostino sunt diversi colores
rethorici.
Ma c’è di più. Nell’evidente intento di rendere più concreta la sua
affermazione, alla maniera tipica del pensiero scolastico, Riccardo pone in
dimostrazione l’assunto che la conoscenza della retorica derivi, alla Vergi-
ne, anche dal diritto. E qui l’argomentazione si fa più articolata, lasciando
prefigurare, sullo sfondo, la struttura giuridica del nostro trattato. La Ver-
gine – afferma Riccardo di San Lorenzo – conosce iura civilia leges et

120. L’opera fu attribuita ad Alberto Magno e a suo nome edita con il titolo di Summa de
laudibus christiferae Virginis (cfr. ad es. Summa de laudibus christifere virginis Marie diui Al-
berti doctoris magni, Coloniae 1509) e successivamente, come Summa de Laudibus Virginis,
nel vol. 36 dell’edizione ottocentesca dell’Opera Omnia di Alberto Magno. Sul testo e sul suo
vero autore cfr. Testi mariani del secondo millennio, 4, p. 198 e la bibliografia ivi citata.
180 Il diavolo in Paradiso

decreta, ossia tutto il ius commune, civile e canonico; e questo assunto è


dimostrato ricorrendo al vocabolario del processo:
La sapienza dell’avvocato si manifesta in tre modi. Primo: che egli ottie-
ne ciò che chiede dinanzi a un giudice giusto e sapiente; secondo: che lo
ottiene contro un avversario astuto e sagace; terzo: che lo ottiene in una
causa disperata. E ora, la Beatissima Vergine ottenne la sentenza richiesta
da un giudice sapientissimo, il Signore, contro un avversario astutissimo, il
diavolo, e in una causa disperata, la nostra, e dunque fu una sapientissima
avvocata.121
La Vergine, inoltre, è stata scelta direttamente dallo Spirito Santo come
avvocata del genere umano e lo ha difeso utilizzando con estrema maestria
gli strumenti della dialettica forense:
Alcuni avvocati, ricorrendo a sofismi, possono dimostrare che è giusto ciò
che è ingiusto, senza con ciò renderlo effettivamente giusto, ma la Beata
Vergine non ha fatto così per l’umanità: essa ha difeso meglio di ogni altro
avvocato ricorrendo alla sapienza delle allegationes in maniera incommensu-
rabilmente migliore di ogni altro.122
La Vergine è espertissima di diritto anche in virtù della constatazione
che a lei, in quanto imperatrice, compete il compito di fare le leggi e di

121. Per comodità del Lettore, riportiamo il passo completo: «Queritur quinto de re-
thorica. Augustinus dicit de doctrina christiana quod in sacra scriptura sunt diversi colores
rethorici sed sacram scripturam perfecte scivit Beata Virgo ergo et rethorica. Item quod iura
civilia leges et decreta scivit in summo patet hoc modo. Sapientia advocati manifestatur
in tribus. Unum, quod obtineat omnia contra iudicem iustum et sapientem; Secundo, quod
contra adversarium astutum et sagacem; Tertio, quod in causa desperata. Sed Beatissima
Virgo contra iudicem sapientissimum, Dominum, contra adversarium callidissimum, dya-
bolum, in causa nostra desperata sententiam optatam obtinuit ergo sapientissima advocata
fuit». Summa de laudibus christifere virginis, fol. 63v. Non c’è alcuna prova – almeno a
mia conoscenza – che questa argomentazione sia frutto della conoscenza diretta del no-
stro Processus Satanae, che in questo caso dovrebbe evidentemente essere retrodatato. E
tuttavia il linguaggio adoperato da Riccardo di San Lorenzo e il riferimento immediato ad
un processo che dovrebbe essere a tutti noto, mi inducono ad ipotizzare la possibilità che
già nella prima metà del XIII secolo fosse diffuso, almeno negli ambienti delle scuole di
teologia e di diritto un canovaccio sul quale un secolo dopo si sarebbe costruito il testo così
come noi lo conosciamo.
122. «Item aliqui advocati possunt iniustum iustum probare sophistice et non facere
sed Beata Virgo hoc de nostra iniusticia fecit ergo improportionabiliter omnibus optime
allegare scivit». Summa de laudibus christifere virginis, fol. 63v.
I punti teologici 181

interpretarle e, come ogni imperatore, nello scrigno del suo cuore ella cu-
stodisce ogni diritto.123
La conoscenza giuridica dunque per la Vergine non è solo sapienza
ma anche esperienza, non solo abilità nell’uso ma anche creazione delle
norme. Ovviamente questo della sapienza giuridica è soltanto uno degli
aspetti, e certamente non il preponderante, nella teologia mariana medieva-
le; e tuttavia dimostra come le categorie giuridiche fossero ormai divenute
elemento imprescindibile nella strutturazione teologica, specie per quegli
ambiti – ad esempio quello del ruolo della Madonna “avvocata” – in cui
tradizionalmente i vocabolari della religione e del diritto avevano mostrato
particolari coincidenze.
Riprendendo Arnaldo di Bonneval – e scambiandolo erroneamente per
S. Bonaventura di cui era amico personale –124 Riccardo afferma che Maria
è «la terza avvocata», dopo lo Spirito Santo e Cristo, e si spinge fino ad
ipotizzare una sorta di dicotomia fra la giustizia punitiva di Dio e del Figlio
e la giustizia misericorde, invocata dalla Madonna-madre:
È avvocata poiché libera con la misericordia coloro che la giustizia del Figlio
ha condannato. E certamente sembra quasi che la giustizia del Figlio e la mi-
sericordia della madre litighino fra loro e che la giustizia del Figlio dica: “ Io
ucciderò e colpirò” e la misericordia della madre risponda. “E io farò vivere e
guarirò” (Dt. 32-39). E dice anche così, la misericordia della madre: “Non c’è
nessuno che possa essere sottratto dalla mia protezione”. Fuggi dunque sotto
la protezione delle sue mani, così come fece Teofilo e non dovrai temere nul-
la. Ella infatti dice: “Come una nuvola dall’ardore del sole, così ho protetto
tutta la terra dall’ira di Dio”.125

123. «Item ipsa imperatrix fuit igitur legem condere et legis interpretativa penes ip-
sam fuit et omnia iura in archa sui cordis clausa habuit. Igitur Beatissima Virgo iura omnia
et rethorica in summo habuit», ibidem. Il passo riprende alla lettera il notissimo adagio
giustinianeo del princeps qui habet omnia iura in scrinio pectoris sui (C. 6.23.19) sul quale
già Cino da Pistoia aveva argomentato che occorresse interpretare l’espressione in senso
metaforico, intendendo per scrineum pectoris la curia regia nella quale devono sedere molti
dottori di legge che soli possono dar voce alla voluntas del sovrano (Cino, In Codicem, f.
367r). Su questo passo cfr. Kantorowicz, I due corpi del re, p. 132, n. 194.
124. Koehler, Tradition and Dramatization, p. 49.
125. «(Advocata) quia saepe quos filii iustitia damnat, matris misericordia liberat.
Quae scilicet iustitia filii et misericordia matris videntur sic altercari quasi dicat iustitia filii:
“Ego occidam et percutiam. Misericordia matris respondeat: Et ego vivere faciat et sanabo
(Dt. 32-39)”. Dicit etiam misericordia matris illud quod sequitur: “Et non est qui de manu
mea possit eruere”. Fugias igitur sub protectione manus eius sicut fecit Theophilus et nihil
182 Il diavolo in Paradiso

Nel Processus Satane, nonostante il trionfo di Maria, che in qualità di


avvocata del genere umano vince, determinando la definitiva condanna del
diavolo e la salvezza dell’umanità, prevale un atteggiamento di evidente
misoginia.
La Madonna, infatti, rappresenta anche in questo caso l’eccezione che
conferma la regola. La possibilità per una donna di postulare in giudizio,
sebbene ammessa dalle fonti normative, è la previsione del caso estremo,
non praticabile di fatto ma utile soltanto a inserire nel sistema le fattispecie
di grado inferiore. Questa eccezionalità della costruzione femminile risalta
con ancor maggiore evidenza in ambito teologico e morale. Nel nostro
processo ella si dichiara vergine tre volte e madre del giudice, appartenente
contemporaneamente all’ordo dei coniugati, a quello delle vergini e a quel-
lo dei continenti; è insieme sapiente giurista e donna appassionata, capace
di fulminare con lo sguardo il suo avversario e di piangere strappandosi le
vesti ai piedi del figlio, implorandone giustizia ed equità.
Nella costruzione teologica e in specie in quella medievale, la Madon-
na è la donna “impossibile”, il prototipo inimitabile, che segna, per la sua
eccezionalità una distanza incolmabile con l’umanità della quale pure ella
fa parte e si dichiara parte.

timendum est: ipsa enim dicit. Sicut nebula texi omnem terram ab ira scilicet Dei, quasi
ab ardore solis». Summa de laudibus Virginis, p. 70; sul punto cfr. Koehler, Tradition and
Dramatization, pp. 60-64.

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