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La Vergine Maria

e il Cammino neocatecumenale:
maternità di Maria e maternità del cristiano

Kiko Argüello:
“Chi ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica è mia madre e mio fratello” (cf Lc 8,21).
L’esperienza di essere madre di Cristo da una parte e fratello di Cristo, cioè figlio di Maria,
dall’altra, è intrinseca al processo di gestazione della fede che si dà in ogni uomo che viene
catechizzato dalla Chiesa. La maturazione cristiana nel catecumeno implica già questa
realtà di “maternità” che sperimenta l’uomo che viene chiamato da Dio a divenire cristiano
nel seno della Chiesa.
Il cristiano è figlio di Dio, figlio della Chiesa, figlio di Maria, cioè fratello di Cristo: i cristiani
sono figli della stessa madre, dello stesso Padre, per opera dello Spirito Santo.
Il cristiano viene gestato dalla Chiesa in un utero celeste, i un seno divino qual è il
Battesimo. Intendendo per Battesimo qui la globalità della gestazione cristiana: annuncio,
precatecumenato, catecumenato, elezione e neofitato: fedele, cristiano.
“Chi ascolta la mia Parola e la mette in pratica è mia madre…”.
Ogni uomo che viene messo di fronte alla Buona Notizia del kerygma che gli fa la Chiesa,
ascolta come la Vergine Maria l’Annuncio dell’Angelo: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore
è con te… Non temere, hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla
luce e lo chiamerai Gesù” (cf Lc 1, 28. 30-31).
La sterilità del nostro cuore, la sorpresa che siamo operatori del male, la nostra conoscenza
del più profondo di noi stessi, la pigrizia, l’egoismo, ecc., ci si impongono tante volte come
una scoperta che ci lascia perplessi e che tentiamo a stento di nascondere per la paura di
essere rifiutati. La frustrazione di non essere santi, la schiavitù a peccare, ci fanno sentire
tante volte goffi, smarriti, depressi.
Il tempo inesorabile passa attraverso il nostro corpo come un vento freddo che annuncia la
vacuità della nostra storia, del nostro non essere: tempo di morte, di noia profonda, dalla
quale l’uomo tenta di scappare di continuo scimmiottando la festa, cercando di rompere in
vano il circolo del vuoto che egli sente nel più profondo di sé stesso.
L’imperativo a scappare dalla morte, quando la morte è là dentro e fuori di noi, la malattia,
la vecchiaia, la delusione, il lavoro monotono, la routine, il fallimento delle nostre relazioni
con gli altri, la difficoltà ad amare l’altro, la tensione di essere felici ad ogni costo, la
costatazione del fallimento costante, ecc., fanno dell’uomo non redento un essere che si
abbatte: tra l’affermazione ribelle e demoniaca del suo io (“Sarai come Dio…”, ha detto il
serpente, cf Gen 3,5), come l’annuncio parenetico di ogni realtà, nella ricostruzione
costante di una sua cosmogonia, nella ricerca disperata di salvezza da se stesso e in se
stesso, negandosi a chiedere aiuto fuori di sé, negando il totalmente Altro (nel rifiuto di Dio
che lo cerca chiamandolo a sé: “Chi ascolta il Padre viene a me e io non lo rigetterò”, cf Gv
6, 37.45); e il riconoscimento del suo fallimento, del bisogno di salvezza, di aiuto. In
definitiva il dibattersi tra essere lui Dio, nella autonomia morale di decidere da sé, e
l’accettazione della sua creaturalità, nella speranza che si possa dare nella sua vita la
salvezza, la libertà, l’essere in Dio, per cui dovrà essere rifatto, o aiutato non sa come…
In questa situazione – con la sua molteplicità: dolore, angustia e complessità esistenziale –
la Chiesa invia i suoi messaggeri, i suoi apostoli, missionari, catechesi, i suoi angeli che,
come nel piccolo villaggio di Nazareth, fanno suonare la tromba del ritorno di Sion, del
ritorno dall’esilio, dell’anno di grazie del Signore, della libertà a tutti gli oppressi: Ci sarà
dato un Figlio (cf Is 9,5); “Ecco: la vergine concepirà e darà alla luce un figlio che chiamerà
Emmanuele, Dio con noi” (cf Is 7,14).
Il disegno di questo “uomo nuovo”, di questo Figlio, non è lontano dalla nostra bocca e dal
nostro cuore (cf Rm 10,8). Questo uomo nuovo che nascerà in noi, ha dei contorni
sorprendenti e sublimi: è allo stesso tempo il Servo di Jahvè, di cui parla il profeta Isaia
(42,1-9; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-53,12), e il Figlio dell’Uomo, del quale parla il profeta
Daniele (7,9-14; 10,1-8).
I Canti del Servo parlano di un uomo che sarà rifiutato, castigato da Dio, tenuto come
infame, obbrobrio della gente, schifo del popolo; tutti quelli che lo vedranno storceranno il
capo, si copriranno il volto, dato che apparirà davanti ai noi come un orrore! Era come
agnello portato al macello, davanti ai suoi tosatori non apriva bocca; e ciò nonostante
quando tutti pensavano che era castigato da Dio, erano i nostri peccati che egli portava, il
prezzo della nostra pace era caduto su di Lui (cf Is 53, 4-5.7).
Questa figura abbietta nella quale si realizza una profonda “kenosis”, è allo stesso tempo il
Figlio dell’Uomo, cioè quella figura escatologica che appare nell’alto della “merkabà” di Dio
(cf Ez 1,4-28), nel suo carro di fuoco, figura gloriosa e celeste che consegnerà a Dio un
nuovo popolo, che lo introdurrà nello stesso Cielo, nel Regno del suo Padre.
Questo figlio, che nascerà da Maria, presenterà al mondo una forma nuova di amore:
l’amore al malvagio, l’amore al peccatore; “a fatica si trova uno che dia la vita per un
buono – dice S. Paolo – ma l’amore di Dio si è mostrato a noi i Cristo quando ci ha amati
per primo, quando eravamo ancora peccatori” (cf Rm 5,7-8). Egli permetterà che alla sua
carne, alla sua persona, arrivi l’orgoglio, l’invidia, il disprezzo, il peccato i tutte le sue forme.
Il peccato arriverà al suo corpo e lo ucciderà dopo averlo fatto soffrire indicibilmente. Ma
Dio lo risusciterà dalla morte, mostrando nella sua Risurrezione il perdono che Dio concede
in Cristo all’umanità, a tutti gli uomini, per la sua pietà, per il suo amore all’uomo schiavo
del peccato. Cristo Risorto è il primogenito di una nuova creazione. Egli ha compiuto nella
nostra umanità, nell’uomo, un esodo, lo ha fatto passare dalla schiavitù del faraone alla
libertà, ha aperto il mare della morte, e lo ha introdotto nella Terra Promessa, nello stesso
Cielo. Lì si presenta davanti al Padre come vero Sacerdote, come figlio dell’uomo, con le
sue piaghe gloriose; e, intercedendo per gli uomini che si dibattono in una sofferenza
esistenziale, invia e dona loro la possibilità di una rinascita, di cambiare vita, della
conversione attraverso lo Spirito Santo, lo Spirito stesso di Dio che, come in un nuovo Sinai,
scende come lingue di fuoco ed inscrive il cammino dell’amore (la Torah), non più su tavole
di pietra ma nello stesso cuore dell’uomo. “In quei giorni vi toglierò il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne, capace di adempiere i miei comandamenti: metterò il mio Spirito
dentro di voi… Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (cf Ez 36,26-28).
Maria, di fronte alle parole dell’Angelo che le annunziano che diventerà madre di questa
salvezza per il genere umano, risponde: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1,34)
L’angelo le dice che questo sarà opera dello Spirito Santo, dello Spirito stesso di Dio che la
coprirà con la sua ombra, di modo che colui che nascerà in lei sarà Santo e chiamato Figlio
di Dio. L’angelo accompagna questo annunzio con una testimonianza per aiutarla a credere:
“Vedi: anche Elisabetta tua parente, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia ha
concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei; perché nulla è impossibile a Dio” (cf Lc
1,36-37). Dio fronte alla meraviglia, all’impossibilità totale che si fa possibile nello Spirito di
Dio, Maria risponde: “Ecco la serva del Signore, si realizzi in me quello che tu mi annunzi”
(cf Lc 1,38).
Allo stesso modo, ogni volta in cui l’uomo ascolta un araldo della Chiesa, un inviato, che gli
annunzia l’amore di Dio per l’uomo schiavo del peccato, per l’uomo peccatore, e che Cristo
è morto per i suoi peccati, è morto per lui perché lui non muoia, ed è risorto, e dal Cielo
invia lo Spirito Santo che accompagna l’annunciatore, ecco che questo Spirito, questa Pace,
lo copre con la sua ombra e comincia a gestare in lui una nuova creazione, un figlio.
Lo stesso annunciatore accompagna il suo annunzio, come l’angelo, con una testimonianza:
egli stesso è come Elisabetta; infatti parlerà anche delle meraviglie che Dio ha fatto nella
Chiesa; cioè la sua parola è accompagnata da migliaia di testimoni, di martiri e di santi, i
quali erano tutti sterili di vero amore, ed ecco che hanno dato alla luce l’amore stesso di
Dio nella loro vita, “perché nulla è impossibile a Dio”.
In questa opera di evangelizzazione, durante questo annunzio del kerygma, il Cielo e la
terra si fermano, trattengono il fiato di fronte alla risposta che l’uomo può dare; lo Spirito
Santo stesso scende nel suo cuore per aiutarlo nella sua debolezza e lo spinge a dire come
Maria: “Ecco la serva del Signore”, ecco il servo del Signore, avvenga in me, e si realizzi, ciò
che tu annunzi: “la tua parola”.
Noi possiamo cantare con Elisabetta a Maria: “Beata te, che hai creduto alla parola del
Signore” (cf Lc 1,45). Questo stesso canto lo possiamo dire per la Chiesa, per quelli che
costituiscono la Chiesa, e per ogni singolo cristiano.
Il neocatecumeno, cioè colui che ascolta, si fa così madre di Cristo; nella sua vita nasce una
nuova avventura: è figlio di Dio e figlio della Chiesa, e allo stesso tempo è madre di Cristo e
fratello di Cristo. E’ gestato dalla madre Chiesa come un figlio, conoscerà una maternità
che possiamo dire esterna a lui e una maternità interna; nel suo intimo nascerà una
creatura piccola, balbuziente, che geme con gemiti inesprimibili: Abba!, che ha bisogno di
massima cura, che si può uccidere facilmente, che soffoca e muore se non viene
alimentata, sia dal latte materno che gli dà la Chiesa con la parola e i sacramenti, sia
dall’interiorizzazione che lui stesso fa di essi, mettendo in pratica la parola, rispondendo
con la preghiera e con un cambiamento progressivo di vita.
Con alcune di queste pennellate abbiamo voluto abbozzare come si realizza una
conoscenza di Maria, della Madre di Gesù, molto profonda, nel cuore del catecumeno e
pertanto del cristiano. L’amore alla madre di Gesù nasce nella Chiesa dalla gestazione che
si realizza nell’essere cristiano, e non viene soltanto dal bisogno psicologico di ogni uomo
verso sua madre. Lì dove si annuncia veramente Gesù, per opera dello Spirito Santo si dà
sempre la scoperta meravigliosa e gioiosa di Maria come Madre di Gesù e come Madre
Nostra. Questa scoperta viene sottolineata e data nell’esperienza che ci dà lo Spirito santo
della maternità di Maria, in quanto essa è la nostra immagine, e in certo modo si dà in noi
la sua maternità, la partecipazione alla maternità di Maria.
Abbiamo visto come il cristiano ha in Maria la propria immagine: lei ha ascoltato l’annuncio,
ha portato nel suo seno Gesù; lo ha dato alla luce in mezzo alla povertà e al rifiuto.
Essendo la Madre di Gesù, ha un amore materno, pieno di tenerezza e immenso, verso il
Figlio di Dio. Questo amore, questa maternità nuova, celeste e verginale, viene anche data,
per partecipazione, dallo Spirito Santo al cristiano.
Questo amore e questa maternità in Maria, farà sì che accompagni il Figlio nella sua
missione, la porterà ad amarlo non possessivamente, giacché dovrà costantemente
donarlo alla missione che ha per gli altri. Ecco che possiamo dire che in questo amore per il
Figlio, in questa maternità, sta l'amore per noi peccatori.
Così ogni cristiano, nel cui cuore abita Cristo, sa che, come Maria, dovrà donarlo al mondo
e accompagnarlo nella sua missione, perché amare Cristo significa amare i peccatori,
amare la missione di Cristo, di modo che ogni cristiano non solo è madre di Cristo ma è
madre degli uomini e madre dei peccatori, sentendo nelle sue viscere che gli viene, dalle
viscere stesse di Cristo, un amore immenso, un amore grande per gli uomini lontani da Dio:
amore a Maria e amore ai peccatori che avvertiamo in tutti i santi della Chiesa.
Nei Vangeli sembra che questa maternità di Maria verso il Figlio non le sia stata data una
volta per sempre, ma che debba apprenderla nel suo divenire storico, rispondendo ad essa
giorno per giorno. Il cuore stesso di Maria dovrà essere educato attraverso la sofferenza
alla missione di Madre del Messia, dovendo entrare costantemente nell'assurdo,
nell'incomprensione del suo essere limitato, di fronte all'infinita Sapienza dell'Eterno. Così
possiamo dire che, come suo Figlio sulla Croce, Maria, da buona figlia di Sion, dovrà vivere
nella sua vita, nella sua mente lo "Shemà" di Israele, accettando che la sua ragione venga
coronata di spine: " Amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua mente" (cf Dt 6,5; Mt 22,37),
serbando nel suo cuore tante cose che non comprende (cf Lc 2,19.51), ma senza dubitare
mai, come nuovo Abramo, che Dio provvederà: "Sul monte Dio provvede" (Gen 22,14).
Parole profetiche che si avverano sul monte Calvario, dove Dio provvederà un Angelo, un
nuovo Isacco, il suo proprio Figlio, che si darà in riscatto di una moltitudine.
Questa stessa educazione, nella storia di ciascun giorno, la riceve ogni cristiano che sa che
c'è un dragone che vuol divorare questo bambino che la Donna dà alla luce (cf Ap 12). il
cristiano rientra così in un combattimento cosmico, in una storia della salvezza dove il Dio
che portiamo dentro soffre le tensioni immense per la salvezza di ogni uomo. Tensione,
lotta, combattimento dal quale non possiamo esimerci, senza tradire la nostra più
profonda e primigenia realtà.

Tre giorni sparirà Cristo dalla vita della famiglia di Nazareth, tre giorni come tre pugnali di
angustia, di veglia, di agitazione, di percorrere la carovana per trovarlo poi nel Tempio,
nella casa di suo Padre (cf Lc 2,41-52). Maria dovrà custodire nel suo cuore questi tre giorni
morte, di angustia, come tre che appassite nel tempo, ritorneranno ad aprirsi quando
vedrà il suo Figlio ucciso e tolto dalla terra, quando la sua maternità dovrà subire la prova
ultima; ma questa esperienza passata, questa educazione ricevuta come Madre del Messia
l'aiuterà a sperare con una fede profondissima (la fede di figlia di Abramo) che, come
quella volta lo ritrovò nella casa di suo Padre, come quella Pasqua terribile il cui solo
ricordo fa sì che le dolga il cuore, anche ora lo ritroverà. Ora non è un dolore, è una spada
che divide le fibre del suo spirito, che spezza il suo cuore, come in ogni Pasqua ed in ogni
Eucarestia si spezza il Pane; ma ora dovrà sperare senza dubitare dell'amore di Dio, senza
mormorare. Così, come Abramo è il padre della fede, lei sarà la madre della fede e come
Abramo dovrà sperare che potente è Dio per risuscitare il suo Figlio dalla morte (cf Eb
11,19).
"Figlie di Gerusalemme, non piangete per me...,
perché se questo si fa con il legno verde,
che cosa non si farà con il legno secco" (Lc 23,28.31)
Come se Gesù dicesse alle donne, ed anche pensiamo a sua madre: se il peccato, se il
demonio opera questo nel legno verde, che cosa non farà nel secco. Così, diceva già
Origene, Cristo ha sostenuto sua Madre in questo dolore. l'ha aiutata anche a capire che lo
deve accompagnare nella sua missione per salvare dall'orrore della morte e della
sofferenza più abissale tutti gli uomini della terra.
Così ogni ristiano viene aiutato da Cristo a reggere questa maternità che ha la Chiesa verso
tutti gli uomini.
Cristo stesso, attraverso lo suo Spirito, ci insegna a guardare l'uomo schiavo, prigioniero,
cieco, sopportando tante volte fardelli pesantissimi, anche se apparentemente ci sembra
spensierato e felice. Noi sappiamo che non è vero; lo sappiamo per la nostra propria
esperienza e per il male ingente che esiste nel mondo: guerre, campi di concentramento,
ingiustizie, torture, fame, schiavitù, prostituzione, alcoolismo, droga, malattia, vecchiaia,
morte, ecc., ma tutto questo vissuto nel non senso, nell'assurdo di un perché? Perché così?
L'angelo caduto annunzia alla donna Eva la grande menzogna: Dio non ti ama, Dio ti limita
con la sua proibizione (cf Gen 3); Dio non lascia che ti realizzi veramente, ti mette la
proibizione e ti castiga con la morte; ma tutto questo non è vero, credi a me..., tu puoi
essere Dio di te stesso nella conoscenza (esperienza) del bene e del male, nell'autonomia
morale, ecc. Quest'annunzio creduto e realizzato gesta come un figlio: il peccato, cioè il
desiderio, l'imperativo di essere Dio.
"Avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è
stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché è menzognero e
padre della menzogna!" (Gv 8,44).
Questa realtà di figli del demonio implica anche, per così dire, una maternità al peccato
che è gestato dentro di noi, che ha delle sue conseguenze, che ci schiavizza, che si impone
a noi, che ci adula dicendoci che noi diamo dio e che gli altri non ci amano, creando come
frutto dell'uomo, l'incomunicabilità, la solitudine più totale, l'alienazione con sé stesso, con
la storia e con gli altri, causa di indicibile sofferenza e di migliaia di suicidi ogni giorno.
"Voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro...
... Perché non comprendete il mio linguaggio?
Perché voi non potete ascoltare la mia Parola.
Voi che avete per padre il diavolo
e volete compiere i desideri del padre vostro...
... A me invece che vi dico la verità, non credete" (Gv 8,38.43-35)
questo abbozzo è fatto un poco a linee discontinue che possono aiutare forse a capire
meglio il perché dell'unità stretta che esiste tra il cristiano e la Vergine Maria; in questo
abbozzo, ripeto, si comincia a comprendere come nel Cammino Neocatecumenale ci sia un
amore così grande alla Chiesa e soprattutto alla Vergine Maria.
Lungo il percorso dell'iniziazione cristiana post-battesimale, quale è il neocatecumenato, e
dopo alcuni anni di aver fatto l'esperienza della Chiesa come madre, che ti aiuta, che ti
cura, ti dà il latte, che ti insegna a parlare, a camminare, che ti mostra che è tuo Padre, ecc.,
al neocatecumenato viene presentata Maria, la Madre di Gesù, come sua Madre, che
Cristo gli ha donato dalla Croce, e da quel giorno accoglie nella sua casa (nel suo spirito),
come S. Giovanni, come sua Madre, e stabilisca come lei una vera relazione di figlio a
Madre.
L'amore che si dà nel cristiano alla Chiesa e alla Vergine Maria non si può separare dalla
missione di Cristo, in questa maternità che per così dire il cristiano ha per partecipazione,
che gli dà lo Spirito Santo.
Non c'è cristiano che non ami Maria, che non capisca la Vergine Maria e la sua maternità
verso la "missione" del suo Figlio, perché lui stesso sta vivendo il medesimo mistero; perciò
la comprende, la porta come dentro, le chiede aiuto, la prega delle sue difficoltà, la sente
vicina: sa che Maria, come nelle nozze di Cana, mostra costantemente al suo Figlio che non
hanno vino, che agli uomini manca la felicità, manca la festa.
Lei è perciò la più perfetta mediatrice per ogni sofferenza umana.

Kiko Arguello

Madrid, 31 Maggio 1986


Visitazione di Maria

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