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Foto: schema di una radice in cui si vedono peli radicali, epidermide,parenchima corticale poi si

vedono come i vasi siano dei tubi disposti all’interno diquesta parte centrale della radice.
FOTO 2: ispessimenti cellulosici che successivamente saranno impregnati di lignina. Si tratta di
tracheidi coltivate in vitro.
Vedremo come le cellule vegetali si possono differenziare e ridifferenziare
Origine di foglie di vigna da cellula di foglia si sono ottenute cellule di vaso con ispessimenti
cellulosici successivamente lignificati.
Analoga immagine
FOTO3: microscopio a fluorescenza e una tecnica di immunolocalizzazione basata
sull’uso di antitubulina, sono stati messi in evidenza i microtubuli che contengono tubulina,
infatti questi sono microtubuli marcati con immunofluorescenza indiretta e hanno lo stesso
andamento delle fibrille di cellulosa.
Non dimenticare come negli ispessimenti dei vasi legnosi sia importante il ruolo dei microtubuli
per l’orientamento delle fibrille di cellulosa.
FOTO 4: Tracheidi con ispessimenti cellulosici lignificati.
Foto 5: microscopio elettronico a scansione, sezione fine, si vedono gli ispessimenti di tipo
reticolato e poi ci sono moltissime perforazioni
FOTO6: microscopio elettronico a trasmissione, si vedono gli ispessimenti di tracheidi e
quello che si vede è il risultato di un autoradiografia che dimostra come la CO2 incorporata
dalla pianta marcata con carbonio 14 vada a finire anche negli ispessimenti cellulosici che
poi diventeranno lignificati.
Insieme a vasi che conducono acqua ci sono gli elementi che conducono la linfa elaborata:
VASI CRIBROSI O FLOEMATICI.
Questi vasi cribrosi sono molto più piccoli, hanno parete solo cellulosica, sono vivi e hanno le
placche cribrose, cioè delle zone perforate.
FOTO7: placca cribrosa a microscopio elettronico a trasmissione, quindi a elevato
ingrandimento. Si vedono le perforazioni e tutto intorno questa sostanza di colore più
chiaro di natura glicidica,di

formula simile a quella della cellulosa ma che non si organizza in fibrille, il callosio.
Quando in autunno le piante non foto sintetizzano più i vasi cribrosi si chiudono per
evitare che si diffondano malattie e microrganismi si formano dei veri e propri tappi, detti
tappi di callosio che si colorano in rosso con opportuno colorante.
Quindi vasi legnosi e cribrosi non sono isolati ma raggruppati in strutture primarie a
formare un fascio, nella pianta ci sono diversi tipi di fasci, nella radice i fasci si chiamano
arche e sono separate, cioè abbiamo un’arca legnosa (insieme di vasi legnosi) e un’arca
cribrosa ( insieme di vasi cribrosi) alternati.
Se la pianta è una dicotiledone il numero delle arche è basso, non superiore a cinque; mentre
nelle monocotiledoni c’è un numero elevato di arche, e questo dà origine ad una
classica struttura a stella da cui deriva il nome di actinostele (“actino”: stella, “stele”: parte
centrale della radice, all’interno del quale ci sono i vasi conduttori)
FOTO 8: porzione centrale in sezione trasversale (schema di radice trasversalmente) e si vede la
partecentralecheèlastele,actinosteleperchecisonolearche(legnose,5;floematiche,5) FOTO9:
La stele è delimitata da uno strato di cellule che hanno la parete ispessita e suberificata in
alcuni punti, questo strato di cellule che riveste la stele è un tessuto di rivestimento detto
endoderma.
Questo rivestimento è caratterizzato:
• nelle dicotiledoni da pareti trasversali suberificate e sono quelle che bloccano il
trasporto lungo le pareti, il trasporto per via apoplastica, l’acqua quando arriva
all’endodermide trova un blocco perché il sughero è impermeabile e quindi è costretto
a passare attraverso il citoplasma delle cellule ( da apoplastica a sinplastica).
• Nelle monocotiledoni l’endodermide è molto spesso e più suberificato cioè può
essere suberificato a W o ad O in entrambi i casi le cellule presentano una formazione
completa, quindi non c’è proprio possibilità di passaggio, ci sono però cellule non
suberificate che permettono il passaggio, questi sono punti cellulosici che prendono il
nome di punti di permeazione.
Periciclo: (“Peri”: tutto intorno) strato di cellule intorno, cellule vive con parete cellulosica e
hanno una caratteristica: quando sono sottoposte a determinati stimoli ormonali, sono in
grado di entrare

in divisione, di differenziarsi, acquistano capacità meristematica, e danno origine ad una


radice laterale, che quindi ha origine all’interno della radice, da questo periciclo si forma
un nuovo apice radicale, e per uscire deve attraversare tutti i tessuti e produrre anche
enzimi che degradano la parete del parenchima per uscire. Quindi le radici laterali
hanno un’ origine interna, Nel fusto invece le ramificazioni hanno origine esterna. Tutto il
completo prende il nome di Cilindro Centrale; al di fuori del parenchima, l’epidermide
prende il nome di esoderma, nella zona già differenziata.
Foto: sezione trasversale di radice in struttura primaria, la radice è di monocotiledone
perché le arche sono superiore a 5. Si vede anche bene come ci sia una porzione centrale,
endoderma e punti di permeazione, sotto c’è il periciclo, questo è il parenchima
corticale con ceklule differenziate con parete solo cellulosica (colore di queste pareti è
uguale al colore delle pareti delle arche floematiche), c’è un grande accumulo di granuli
rosa che sono amiloplasti, quindi il parenchima corticale ha funzione di riserva. All’esterno
troviamo tessuto di riserva che è esoderma. FOTO 10: radice principale sezione trasversale
con poche arche quindi dicotiledone, si vede bene che sta emergendo radice laterale, si
vede l’apice che si è già fatto strada e lacera i tessuti di rivestimento della radice.
Foto 11: (4 foto) 2. Struttura primaria di una radice di dicotiledone, fluorema con parete
cellulosiche, endoderma, xilema, punti di permeazione, periciclo, parenchima corticale
con funzione di riserva ricco di granuli di amido 3 . radice di monocotiledone, sezione
traversale, con tutte le strutture.
Foto 12: sezione longitudinale, in azzurro si colorano pareti cellulosiche, elementi di
conduzione (vasi cribrosi) e macchie rosse sono placche cribrose.

APPARATI RADICALI.
Un insieme di radici costituisce un apparato (o
sistema) radicale. Funzioni:
• assorbimento dell’acqua e dei Sali minerali dal terreno
• ancoraggio della pianta alsubstrato
• tutte le radici possiedono organi di riserva in quanto all’interno delle cellule del
parenchima corticale delle radici vengono tenuti gli amidi che sono appunti riserve delle
pianta e che derivano dalla fotosintesi
• produzione di ormoni vegetali i quali regolano sia lo sviluppo della radice sia quello della
pianta. Ogni specie ha il suo tipo di apparato radicale, pensate alla carota: non è che
un’enorme radice piena di sostanze di riserva con radici laterali. Nell’ambito delle
caratteristiche genetiche c’pè la possibilità di avere delle modificazioni in rapporto con
l’ambiente. Gli apparati radicali sono estremamente plastici: possono modificarsi a
seconda che si trovino in ambiente arido piuttosto che umido, ricco o povero di minerali,
in presenza di contaminanti e così via.
Gli apparati radicali possono essere ricondotti funzionalmente a tre tipi:
• Radici a fittone

Nella radice a fittone c’è una radice


principale da cui si originano radici laterali, una laterale può dare
origine ad un'altra laterale e così via (laterale di primo, secondo ,
terzo ordine..), però devve sempre esserci una radice principale
che è quella che deriva quando il seme germina. Il
sistema a fittone è un sistema di ramificazione monopodiale
(monos: uno.
) perché c’è un asse principale. Radice tuberizzata (con grandi
funzioni di riserva) quella della carota, è una radice a fittone.
• Radici fascicolate.

Nelle
radici fascicolate c’è una radice che ad un certo
punto smette di crescere, da cui si originano
radici laterali. È necessaria una distinzione tra
queste radici e quelle delle monocotiledoni
che hanno origine diversa (radici fibrose);

soprattutto le radici di primo ordine hanno una lunghezza notevole e possono quasi
andare a raggiungere quella della principale, quindi l’apparato viene detto costituito di
radici fascicolati o affastellate, nelle monocotiledoni esiste una radichetta embrionale
che, però, non dà origine alle radici, ma queste si originano alla base del fusto.
Si ha un sistema di ramificazione simpodiale in cui la radice primaria derivata da quella
embrionale o radichetta ad un cert momento smette di crescere e si sviluppano le radici
secondarie, queste a loro volta possono essere superate da radici terziarie etc. alla fine
l’apparato appare come una massa di radici affastellate o fascicolate.
• Radici fibrose o caulinari.

Quindi: le radici fascicolate


hanno origine da altre radici,
mentre nelle
monocotiledoni le radici
hanno origine nel fusto. Per
questo motivo vengono
dette radici caulinari (fusto=
caule), dette anche radici
avventizie, perché non
formate dalla radice ma dal
fusto.
Le radici a fittone e le radici
fascicolate
sono tipiche delle gimnosperme e delle dicotiledoni, mentre le radici fibrose sono
tipiche delle monocotiledoni. Nell’ ambito di questi tipi, c’è comunque questa grande
plasticità che consente alle radici di modificarsi.

MODIFICAZIONI DELLA RADICE:


Esistono diverse modificazioni di radice, la più comune tra le quali è la TUBERIZZAZIONE,
ovvero l’ingrossamento della radice la quale può essere totale o parziale. L’ingrossamento
può riguardare sia la radice primaria (come nel caso della carota, del ravanello, della
rapa) oppure l’ingrossamento delle radici secondarie (come nel caso delle dalie o della
patata americana). La patata comune non deriva dall’ingrossamento delle radici ma da
quello del fusto, non si parla più quindi di tuberizzazione.
La tuberizzazione della carota coinvolge anche l’IPOCOTILE, zona tra il ciuffo verde e la
parte arancione.

Un altro tipo di modificazione della radice sono gli PNEUMATOFORI, tipici di piante che
vivono in ambienti sommersi (mangrovie). Si tratta di radici che crescono verso l’alto e per
questo motivo si definisce GEOTROPISMO NEGATIVO, in quanto queste radici non
crescono verso la profondità della terra e quindi queste radici sono anche note con il
termine di “radici respiratorie”. Esse hanno il compito di ossigenare la pianta anche nei
periodi di sommersione.
Un’altra importante modificazione sono le RADICI CONTRATTILI, tipiche delle piante
bulbose rizomatose e anche di quelle piante che hanno dei semi che germinano molto
vicino alla superficie del terreno. Queste radici servono per tenere ancorata al terreno il
bulbo o la base della pianta. Esse si contraggono, come dice il nome, e la contrazione è
causata dal cambiamento della forma delle cellule corticali della radice stessa e tutte le
cellule contemporaneamente diminuiscono la lunghezza della loro parete cellulare.
Tutto ciò serve per mantenere la profondità all’interno del terreno.
Le radici avventizie derivano direttamente dal fusto o dalle foglie. Questo tipo di radici
possono
essere utilizzate anche per la riproduzione della pianta stessa perché possono produrre
delle gemme da cui si formano i germogli e conseguentemente una nuova pianta. Un tipo
particolare di radici avventizie sono le radici caulinari le quali crescono dai nodi più bassi del
fusto. Queste radici sono molto importanti per il mantenimento della stabilità della pianta.
Dal momento che superano in grandezza la radice primaria, esse svolgono anche la
funzione di riserva e di assorbimento. Un

altro tipo di radici avventizie sono le radici fulcranti. Anche questa tipologia di radici è
tipica delle zone sommerse e sono ricche di parenchima aerifero ed ossigenano quindi la
pianta. Un altro tipo di radici avventizie sono le radici aeree, tipiche delle specie epifite.
Esse servono per assorbire l’acqua direttamente dall’atmosfera in quanto sono tipiche di
piante che vivono in ambienti particolarmente umidi quali le foreste nebbiose. Ci sono
poi gli austori, altro tipo di radici avventizie, tipici di angiosperme parassite e derivano dal
fusto.
Tendenzialmente la struttura e la forma dell’apparato radicale sono determinati
geneticamente. Inoltre ci sono alcune caratteristiche delle radici che permettono di
distinguerle sistematicamente e queste caratteristiche sono: il colore, il diametro e la
superficie di assorbimento.
Per quanto riguarda il diametro radicale possiamo dire che le radici più spesse sono in
grado di esercitare una forza maggiore sul suolo e di conseguenza hanno una maggiore
capacità di penetrazione e quindi di esplorazione del terreno stesso. Inoltre le radici più
spesse tendono ad essere più persistenti e a garantire quindi una vita più lunga alla pianta,
sono quindi tipiche delle piante perenni. Al contrario invece per le radici più sottili, esse si
ricostruiscono più rapidamente in caso di rottura. Il diametro radicale determinerà la
larghezza della radice che la pianta potrà produrre.
Il colore in parte dipende dal substrato in cui cresce la pianta ma, tendenzialmente,le radici più
vecchie avranno un colore che varia intorno al marrone mentre quelle più giovano
avranno un colore che varia dal rosso al rosa al bianco a seconda della specie.
Per quanto riguarda invece la superficie di assorbimento, essa varia molto in funzione
dell’estensione dell’apparato radicale. Maggiore è lo sviluppo dell’apparato radicale e
maggiore sarà la superficie di assorbimento. Bisogna però ricordare che l’apparato
radicale ha una grossa capacità di adattamento ai diversi ambienti e ciò comporta
un’elevata plasticità dell’apparato stesso.
Le gimnosperme tendono ad avere un apparato radicale più superficiale mentre le
angiosperme hanno un apparato radicale più ramificato. Questa differenza influenza
fortemente la capacità della pianta ad evitare l’erosione dei suoli.
Il Larix decidua, pur essendo una gimnosperma, tende ad avere un apparato radicale che
arriva in

profondità. E’ una pianta pioniera per cui colonizza zone in cui non ci sono altre piante.
Poi ci sono piante che diventano parassite di altre piante che producono strutture dette
austori con le quali succhiano le sostanze nutritive, l’edera è una di queste.
A- SISTEMA DI SVILUPPO.
Finora abbiamo parlato di una radice principale da cui originano radici laterali. Questo
tipo di classificazione (radice principale, radice laterale di primo ordine, di secondo
ordine, di terzo ordine) è una classificazione di sviluppo, cioè segue il tempo di origine
delle radici, e quindi prevede un ordinamento centrifugo.
B- SISTEMA TOPOLOGICO
Alberi di magnitudine uguale (con lo stesso numero di link esterni) possono differire
molto in tipologia, dal “dicotomico” da un lato al “lisca di pesce” all’altro estremi (Fitter A.H.,
1991).
Queste differenze possono essere quantificate utilizzando due parametri: l’altitudine (a) e
il “total exterior pathlength” (pe).
Se vedete un apparato radicale molto semplice si riesce a capire la forma fondamentale, se
molto complicato non si capisce. Il sistema topologico dà nomi diversi alle radici in modo
centripeto, è tutto il contrario dell’altrometodo.
Per es. se si osserva una radice con delle laterali, secondo il sistema di sviluppo
avremmo una radice principale con tutte laterali di primo ordine, secondo questo
metodo invece dall’esterno troviamo: 1, 2, 3, 4, 5 e 6.
Ai nomi corrispondono dei significati funzionali differenti:
Ogni punto corrisponde ad un apice: avremo un apice radicale, poi una zona di
distensione e diverse zone assorbenti.
Nei due schemi il numero di apici rimane invariato, la differenza è nella struttura
dell’apparato radicale, infatti uno tende a svilupparsi in lunghezza, mentre l’altro si ramifica
semprepiù.
Esistono software specifici che fanno misure per ricondurre ad uno dei due modelli ( lisca di
pesce, dicotomico) così da poter appurare se una pianta ha carenza ad esempio da un
punto di vista idrico oppure nutriente.

Plasticità di un sistema radicale.


Abete rosso, si sviluppa in superficie. Questo fa si che le gimnosperme non siano adatte
come piante ornamentali piantumate nelle città e molto spesso non bagnate, poiché
necessitano di acqua.
La quercia invece ha un apparato radicale che prevede un apice radicale che vada a fondo e
quindi è favorita.
Cannabis attiva: canapa è una pianta rustica che cresce in molti ambienti, anche ostili. Nelle
nostre zone però non è una pianta dove potrebbe essere usata come Marijuana.
Normale o in terreno contenente rame: l’apparato radicale è fortemente influenzato,
tende ad estendersi come se cercasse una via di uscita, delle zone non contaminate,
sviluppa poco la funzione assorbente.

Metodi per studiare gli apparati radicali


Gli studi sugli apparati radicali, soprattutto in epoche passate, avvenivano in questo modo:
venivano effettuati gli scavi intorno alla pianta per portare in superficie le radici, stando
attenti a non danneggiarle. Attualmente invece, esistono degli altri metodi di studio per
studiare gli apparati radicali tra cui il softwareWinRHIZO. Questo software permette di
studiare gli apparati radicali grazie ad un particolare scanner delicato che permette di
digitalizzare le radici stesse. Inizialmente le radici vengono estratte dal terreno e districate
in modo da evitare che ci siano incroci, proprio in sovrapposizione delle radici una sull’altra.
In seguito le radici vengono poste in apposite vaschette con acqua e scansionate dallo
scanner. Successivamente vengono analizzate dal software e quello che si può ottenere
sono immagini; esso permette di ottenere diversi parametri tra cui:
• La lunghezza totale dell’apparato radicale
• La superfice totale dell’apparato radicale
• L’area proiettata
• Il volume dell’apparato
• Il diametro medio dell’apparato radicale
• Il numero diapici

• Il numero di biforcazioni
• Inoltre è possibile stabilire in tutto l’apparato radicale qual è la porzione di
lunghezza con un determinato diametro
• È possibile fare un’analisi dei parametri topologici
Effetto fattori abiotici sugli apparati radicali

Cannabis Sativa trattata con rame

Esistono diversi fattori che influenzano lo sviluppo


dell’apparato radicale e tra questi esistono anche i fattori abiotici (si intende anche la
distribuzione delle sostanze nutritive). Ad esempio, alcune sostanze come i nitrati, fosfati,
solfati e alcuni metalli come il ferro, vengono percepiti dalla pianta come dei segnali.
Quindi la radice stessa attiva dei meccanismi molecolari che modificano sia la divisione
cellulare sia i processi di differenziamento e di distensione cellulare e di conseguenza, si
ha una modificazione dello sviluppo dell’architettura del sistema radicale. I metalli pesanti
hanno un effetto sia sull’allungamento che sulla divisione cellulare, in particolare, il rame a
determinate concentrazioni induce da una parte l’aumento della densità delle laterali
questo quindi porta all’aumento della divisione cellulare e dall’altra parte però, inibisce lo
sviluppo in lunghezza.
L’immagine di sinistra è quella non sottoposta alla presenza di rame (Cu) ed è detta pianta di
controllo, l’immagine di destra, invece, è pianta cresciuta a concentrazioni di rame pari a
150 ppm (parti per milione).
Come si può vedere c’è una grossa differenza di sviluppo tra i due apparati radicali, che
vale per tutti i parametri visti: la lunghezza totale, l’area superficiale il volume e anche il
grado di ramificazione.
Effetto fattori biotici sugli apparati radicali
Un altro fattore che influenza lo sviluppo dell’apparato radicale sono i microrganismi
presenti nel terreno, tra cui ci sono sicuramente le micorrize che tendenzialmente
instaurando la simbiosi con la pianta ospite tendono ad aumentare la ramificazione
dell’apparato radicale stesso e di conseguenza aumentano la capacità di assorbimento sia
dell’acqua che delle sostanze nutritive, in particolare le micorrize aumentano la capacità
di assorbimento del fosfato. Al contrario i funghi patogeni come il Rizoctonia solani,
tendono a ridurre lo sviluppo della radice stessa. Questi funghi inducono la diminuzione del
sviluppo dell’apparato radicale del pomodoro (Solanumlycopersici, nome scientifico del
fungo). I funghi micorrizici inducono un aumento dello sviluppo degli apparati radicali,
come si può vedere dall’immagine la prima è la pianta di controllo, poi c’è la pianta trattata
con Glomusintraradices, l’altra è trattata con Gigasporamargarita e l’ultima con Gigaspora
rosea. L’aumento di sviluppo è sempre presente in tutte e tre le tipologie di piante
trattate con i funghi micorrizici ma esistono delle differenze tra i funghi micorrizici, per
cui ad esempio, G. rosea ha aumentato lo sviluppo dell’apparato radicale maggiormente
rispetto agli alti due funghi micorrizici.

Cannabis sativa micorrizata con vari funghi:


controllo G.intraradices G. margarita G

Rizobatteri promotori della crescita (PlantGrowth-


PromotingRhyzobacteria-PGPR) Esistono anche dei batteri in grado
di modificare lo sviluppo e la crescita dell’apparato radicale. Un
esempio sono i cosiddetti batteri PGPR, essi hanno la capacitàdi
produrredei fotormoniequindimodificano lo sviluppo radicale
migliorandolo e perciò migliorano anche la nutrizione minerale. In
particolare, questi batteri sono rizosferici. La rizosfera è quella
porzione di
Sx: contollo
Dx: P. fluorescens
suolo spessa all’incirca 1-2 mm che si trova lungo tutte le radici,
quindi è una porzione molto ristretta del suolo ma con
caratteristiche totalmente differenti rispetto al suolo, perché
gli apparati radicali rilasciano all’interno
di questa porzione del suolo gli essudati radicali in cui ci sono acidi organici ed altre
sostanze che permettono lo sviluppo dei batteri, di conseguenza tendenzialmente in un
terreno la zola della rizosfera è più ricca in microrganismi. I batteri PGPR appartengono
ai generi Pseudomonas, Azospirillum, Burkholderia, Bacillus, Enterobacter,
Serratia ,Alcaligenes, Arthrobacter, Acinetobacter, Flavobacterium, tra cui i più
importanti sono i primi quattro. Per molti studiosi, non bisognerebbe parlare di rizosfera
ma di micorrizosfera, in quanto in realtà, all’interno della rizosfera sono presenti anche
i funghi micorrizici, i quali si estendono oltre questa porzione di 1-2 mm, in quanto i
funghi riescono a penetrare all’interno del terreno e raggiungere anche quelle porzioni
porose, con pori molto piccoli, in cui le radici non potranno mai entrare.
I noduli radicali

I
noduli radicali sono dei pallini sono dei pallini che vengono
anche chiamati tubercoli, in questo caso sono delle piccole
sfere e la pianta di norma non li ha. Le piante più note che
hanno i noduli radicali sono le leguminose (ceci, fagioli,
piselli, soia). Questi noduli non sono normalmente presenti
negli apparati radicali ma si formano a seguito del rapporto di
simbiosi tra batteri del suolo azotofissatori appartenenti
soprattutto al genere Rhizobium. Questi
batteri possono vivere
liberi nel suolo ma in carenza di azoto, le leguminose
eventualmente presenti, liberano

dalle loro radici delle molecole messaggio, attraverso gli essudati radicali, chiamate
flavonoidi. I batteri si avvicinano alle radici per chemiotattismo, penetrano all’interno della
radice e inducono la formazione del nodulo in cui all’interno troviamo gli azotofissatori
che sono batteri in grado di utilizzare l’azoto atmosferico. Le piante non sono in grado di
utilizzarlo perché la molecola di azoto ha un legame triplo covalente molto forte da
rompere, che richiede molta energia. Le piante non sono in grado di farlo, quindi utilizzano
l’azoto sotto forma di nitrati o di ammonio. Certi batteri sono in grado di spezzare questo
legame e fissare l’azoto atmosferico in un composto organico dando origine a ioni
ammonio. Questa reazione di fissazione è catalizzata dall’enzima nitrogenasi che è inibita
dalla presenza di ossigeno. I batteri si trovano all’interno del nodulo fissano l’azoto
atmosferico grazie alla nitrogenasi e cedono i prodotti della fissazione alla pianta che li
incorpora in aminoacidi che alla fine vanno a finire nelle proteine. I batteri cedono ioni
ammonio e prendono dalla pianta i prodotti della fotosintesi. Ecco perché si dice una
simbiosi mutualistica: entrambi i partner traggono reciproco vantaggio. I batteri che
vivono all’interno del nodulo sono aerobi, cioè hanno bisogno di ossigeno, dunque c’è un
problema. All’interno del nodulo si viene a creare una zona a basissimo contenuto di
ossigeno, una zona microaerobica, si crea per la disposizione delle cellule che sono
affiancate, molto vicine le une alle altre e non lasciano passare l’aria, così la nitrogenasi può
entrare in funzione. I batteri aerobi riescono a vivere grazie alla presenza di un pigmento
che trasporta l’ossigeno fino a loro. Il pigmento è molto simile all’emoglobina dei
mammiferi ed è chiamato leg-emoglobina.

Sezione di nodulo radicale a microscopio ottico, i batteri appaiono come granulazioni azzurre:
Cellule del nodulo piene di batteri.

Quando il batterio entranella radice ha forma coccoide e non è

ancora
attivo, poi si divide e quando arriva nella zona centrale assume una forma ad y, che è la
forma attiva nella fissazione dell’azoto.
Nel nodulo si
esprimono alcuni geni della pianta che altrove
non si esprimono. I prodotti dell’espressione
sono delle proteine chiamate noduline, servono
per lo sviluppo del nodulo. La struttura del
nodulo consente che l’ossigeno molecolare non
inattivi la nitrogenasi, che viene inattivata a
concentrazioni basse di ossigeno (1-10 micromolare), concentrazioni alla quale però il
batterio non può vivere allora c’è uno strato di cellule appressate che esclude l’ossigeno,
perché quando ci sono spazi tra le cellule, le cellule non sono vicine quindi l’ossigeno passa
nell’aria ed ha un coefficiente di diffusione molto alto, 10mila volte superiore a quello
che ha nell’acqua, quando invece le cellule sono molto vicine, l’ossigeno è costretto a
passare nel citoplasma con un coefficiente di diffusione 10mila volte inferiore a quello che
avrebbe avuto se ci fossero stati degli spazi, di conseguenza si forma una barriera che
esclude l’ossigeno e lo lascia a concentrazioni molto basse.
La leg-emoglobina conferisce un colore rosato. Sezione di midollo a crescita indeterminata.

Il simbionte cede ammonio, perché lo cede e non lo tiene? Perché viene repressa la sua
capacità di utilizzarlo. L’ammonio passa per semplice diffusione, cioè passa da una
concentrazione maggiore, là dove ci sono i batteri, ad una concentrazione minore. Questo
gradiente di diffusione viene mantenuto perché dove ci sono i batteri ne producono a
velocità elevata, fissano velocemente, mentre le cellule della pianta, altrettanto
velocemente incorporano l’ammonio, c’è un’attività elevata di enzimi coinvolti
nell’assimilazione dell’ammonio come la glutammina e la glutammato-sintetasi nelle
piante.
Il primo prodotto della fotosintesi è il glucosio. Nei vasi liberiani gli zuccheri vengono trasportati
sottoforma di saccarosio e non riesce ad arrivare sino ai batteri quindi viene trasformato
mediante fermentazione (prevede l’assenza di ossigeno che è nella zona centrale
microaerobica) in malato, sale dell’acido malico, che è quindi la forma che i batteri
utilizzano. Il malato è quindi generato dalla fermentazione del saccarosio nella porzione
centrale microaerobica del nodulo.

Simbiosi: i batteri sono dentro le cellule ma non sono a diretto contatto con il citoplasma, c’è
sempre la membrana dell’ospite detta simbiosoma che separa i batteri dal citoplasma.
Perché si sviluppi l’organo è necessario che i batteri penetrino all’interno della radice.
Immaginiamo una pianta non ancora colonizzata, piena di peli radicali nella zona
pilifera,se il batterio è quello giusto (c’è un grado di specificità) avviene un meccanismo di
riconoscimento tra la superficie del pelo e la superficie della pianta, cioè due molecole che
si incastrano e si riconoscono. Avvenuto il riconoscimento, la prima riposta del pelo è
l’incurvamento, dopo di che la parete del pelo s’invagina e si forma un filamento
d’infezione, che porta i batteri dentro alle cellule della radice. Ad un certo punto la parete del
filamento d’infezione smette di crescere e si forma la vescicola d’infezione che si
frammenta fino a dare il singolo batterio delimitato dalla membrana plasmatica, il
simbiosoma. Quando i primi batteri entrano, questi incominciano a produrre ormoni che
inducono la divisione cellulare e quindi si ha poi la formazione del nodulo. I batteri, poi,
diffondono sempre più verso la parte interna che si differenzia, diventa microaerobica e li
ci sono i batteri a y e sono la forma attiva che fissa l’azoto atmosferico. Il fatto che i noduli
radicali, cioè la simbiosi tra le radici delle leguminose e i batteri in grado di fissare l’azoto
atmosferico, migliorano la nutrizione minerale della pianta, quindi comporta la possibilità
di ridurre l’uso di concimi azotati, che vanno a contaminare le acque difalda.

MICORRIZE

Le
micorrize sono interazioni tra piante e
microrganismi, infatti mico=fungo e
riza=radice, dunque sono dei nuovi organi.
Se si osserva il suolo notiamo la presenza di
diverse popolazioni di microrganismi (batteri,
funghi, protozoi, virus). Le radici delle piante
stimolano lo sviluppo dei microrganismi nel
suolo. I funghi e i batteri sono microrganismi del suolo generalmente più s
Lo stadio di salute del suolo si valuta con il suo grado di biodiversità, cioè conquantepopolazioni
microbiche sono presenti. Un suolo molto trattato chimicamente avrà un grado di biodiversità
molto basso, questo è indice dello stato di salute non molto buono.
I microrganismi benefici per le piante possono essere suddivisi in:
• SAPROTROFI, quando vivono consumando i composti che vengono rilasciati dalla pianta,
non hanno quindi interazioni intime con la pianta ma vivon
• SIMBIONTI, vivono in stretto contatto con la pianta e possono avere reciproco
vantaggio o uno ne trae dall’altro. Quando hanno reciproco vantaggio si parla di
SIMBIOSI MUTUALISTICA, al contrario si parla di SIMBIOSI PATOSISTICA (malattia). I
principali simbionti sono i batteri azoto- fissatori (noduli delle leguminose) e funghi
micorrizici.
Le maggior parte dei saprotrofi e dei simbionti svolgono attività quali:
-Stimolare la germinazione dei semi
-Migliorare lo sviluppo radicale
-Aumentare la biodisponibilità dei nutrienti
-Migliorare la struttura delsuolo
-Proteggerele piante daglistress(salinità, siccità,mancanzadi nutrienti, metalli
pesanti, patogeni…)

La maggior parte delle piante appartenenti agli ecosistemi terrestri vivono in simbiosi con
alcuni funghi del suolo. Questi funghi colonizzano le radici senza causare danni alle
piante ed apportando diversi benefici. Questa simbiosi prende il nome di MICORRIZA.

Esistono 5 diversi tipi di assicurazioni micorriziche, che sono state raggruppate in tre tipologie:
• ECTOMICORRIZE, fungo costituisce un tessuto che avvolge in modo molto stretto gli apici
della radice, quindi penetra tra le cellule e non va all’interno delle cellule.
• ENDOMICORRIZE, il fungo penetra all’interno delle cellule, ma non è mai a diretto
contatto con il citoplasma dell’’ospite perché è sempre separato dalla membrana
plasmatica.

ECTOMICORRIZE:
Il fungo
avvolge
l’estremità
della
radichetta in
modo molto
stretto,
bloccandone
la crescita. A
seconda dei
casi si può
avere una
ramificazione
dicotomica o
ramificazione
assente, una
colorazione
chiara o di
diverse
colorazioni. La
parte esterna
della radice
che
viene avvolta dal fungo che viene avvolta dal fungo che forma una specie di tessuto molto
fitto che
prende il nome di MANTELLO o MICOCLENA. Le cellule meristematiche a questo punto non
sono più in grado di dividersi, vengono soffocate, e quindi formano nuove radichette. Il
mantello ad occhio nudo sembra essere una vera a propria radice, un nuovo organo.
Questo tipo di simbiosi ha origine circa 130 milioni di anni fa (Cretaceo) e i primi resti
fossili risalgono a 50 milioni di anni fa in British Columbia.
immagine del mantello al microscopio elettronico a scansione, dalla tipica struttura a
unione a fibbia si capisce che il fungo è un basidiomicete.
Poiché tale simbiosi riguarda le piante arboree, queste sono in numero molto minore per
quanto riguarda le specie rispetto alle piante erbacee, tuttavia hanno una grande
estensione. Hanno dunque molta importanza globale dal punto di vista ecologico,
pensiamo alle foreste boreali, temperate e quelle dell’emisfero australe. Esempi di piante
sulle quali è stata descritta la simbiosi sono: acero, ontano, nocciolo, sambuco, cisto,
ginepro, cipresso, abete, cedro, pino. Tra i funghi troviamo: amanita, boletus, cortinarius,
cantharellus, russula, lactarius.

FASE DI PRECOLONIZZAZIONE:
Sono stati fatti degli esperimenti con organismi modello di Paxillus involutus e Pisolithus
tinctorius e si è visto che vengono prodotte molecole specifiche a concentrazioni molto
basse, che esistono batteri (Mycorrhiza helper bacteria) che possono facilitare
instaurazione della simbiosi ectomicorrizica e che vengono prodotti ormoni (auxina).
Le diverse fasi dell’infezione sono:
1)Preinfezi
one
2)Iniziodell
asimbiosi
• Colonizzazione
• Differenziazione simbiotica
• Funzione della simbiosi

Eventi Molecolari:
Mediante elettroforesi bidimensionale e
spettrometria di massa sono state scoperte 10 nuove proteine dette ECTOMICORRIZINE,
una delle quali è probabilmente l’idrofobina che si ritiene sia coinvolta in processi di
riconoscimento e adesione.

Schema di fungo, del genere ontano, che fa il mantello intorno alla radice e penetra tra le
cellule solo di uno strato cellulare. Le catenelle di ife, qui viste al microscopio elettronico a
trasmissione, prendono il nome di RETICOLO DI HARTIG.

Sezione longitudinale diradice ectomicorrizata. Nella zona centralevediamo itessuti


conduttori, proseguendo vediamo il parenchima corticale ed infine il mantello e le
catenelle del reticolo di Hartig.
Due fasi dell’apice radicale, a destra non ancora colonizzato, a sinistra iniziano ad arrivare le
prime
ife. Notiamo che le cellule a destra sono ricche di citoplasma, colorate e con le
caratteristiche tipiche del meristema; le cellule di sinistra sono molto chiare perché
occupate da un grande vacuolo, quindi il meristema ha smesso di dividersi e le cellule
sono andate incontro al differenziamento.

Evoluzione di una radichetta laterale, sezione trasversale di un’ectomicorriza con


formazione di una radice laterale. Le radici laterali nascono dal periciclo, origine interna.
Man mano che esce viene avvolta dal fungo.

COME FUNZIONA IL RETICOLO DI HARTIG:


Il fungo penetra tra le cellule, avvolge tutta la radichetta e le
ife vanno nel suolo. Queste esplorano esiinsinuano ladoveleradicinonriesconoadinsidiarsi,
dunquemiglioranolapiantafinoal reticolo di Hartig e a questo livello cedono gli elementi
alla pianta ospite. Il fungo ha un grosso vantaggio, riceve dalla pianta i prodotti della
fotosintesi, grazie ai quali può riprodursi e completare il suo ciclo vitale. Il complesso di ife
del reticolo di Hartig aumenta la superficie di contatto con le cellule ospiti e attraverso
queste ife passano i nutrienti.

In sezione trasversale vediamo il mantello esterno, il parenchima corticale e il cilindro centrale


della radice. Per questo motivo le ectomicorrize possono essere considerate dei veri e propri
organi.

immagine microscopio elettronico a trasmissione del reticolo di Hartig con tutte le ife.
schema che rappresenta i diversi modi in cui una cellula può essere avvolta. Le piante sono
collegate tra di loro da dei CORDONI MICELLIARI per scambiare i nutrienti. Questo insieme
di ife prende il nome di RIZOMORFE (simile alle radici).

immagine che mostra un piccolo pino con un apparato radicale molto complesso che
mette in comunicazione anche le piantine vicine.

ENDOMICORRIZE:
Si classificano in:
• Ericoidi
• Orchidacee
• Arbuscolari
I funghi che interessano le endomicorrize arbuscolari sono funghi microscopici
appartenenti al phylum dei Glomeromycota. Le piante sono erbacee alle quali si
aggiungono alcuni alberi da frutto e piante come il pioppo e acero nei primi anni di vita
(poi sostituita da ectomicorriza). Esistono delle famiglie di piante erbacee che di norma
non formano endomicorrize e sono le brassicacee o crucifere (cavolo, rapanello,
cavolfiore) e achinopodiacee (spinacio) e garofano. Questi funghi microscopici non sono
coltivabili in coltura pura.
Il fungo tramite le ife colonizza attivamente le radici. Quando il micelio fungino viene in contatto
con
le radici forma una struttura detta APPRESSORIO o IFOPODIO. Le ife possono penetrare
tra le cellule, poi dentro le cellule formando un gomitolo e cosi via fino ad arrivare a
formare la struttura detta ARBUSCOLO. L’arbuscolo è l’ifa che ramifica moltissimo dando
ramificazioni sempre più fini e a livello della quale avvengono gli scambi tra simbionte e
ospite; corrisponde al reticolo di Hartig ma è dentro alla cellula senza toccare il citoplasma,
vi è quindi un aumento di superficie e di nutrimento.
Oltre agli arbuscoli abbiamo delle strutture di riserva dette VESCICOLE.
Anche in questo caso abbiamo reciproci vantaggi: la pianta fornisce i prodotti della
fotosintesi, il fungo migliora la nutrizione minerale (fosforo) e la nutrizione
azotata. Il fungo inoltre induce maggiore sviluppo dell’apparato radicale, così la pianta
è più ancorata al terreno e riceve piùnutrimento.
Le endomicorrize arbuscolari si sono formate prima delle ectomicorrize, i resti fossili più
antichi risalgono a 400 milioni di anni fa, quando si sono formate le piante terrestri. Le
piante e i funghi si sono dunque coevoluti.

In aggregati, corpi fruttiferi detti SPOROCARPI.


La simbiosi si crea solo se le radici producono dei segnali che vengono inviati al fungo che forma
l’appressorio e colonizza l’apparato radicale. Altre alla colonizzazione dell’apparato radicale
troviamo una rete esterna che esplora il terreno e da effetti benefici alla pianta. Uno degli
effetti principali indotti dalle endomicorrize è detto EFFETTO CRESCITA e si verifica in
condizioni di carenza di nutrienti.

Altri effetti delle micorrize li vediamo sul sistema pianta/suolo:


• Protezione della pianta dagli stress biotici e abiotici. Le micorrize proteggono la
pianta dalle malattie (biotici)soprattutto quelle radicali consentono alla pianta di
sopravvivere inambienti salati e contaminati.
• Migliorano la struttura del suolo, il suolo risulta essere più compatto grazie alla
produzione di una proteina detta GLOMALINA che si trova sulle pareti esterne del fungo.
• Favoriscono la diversità delle comunità, dal momento che ciascuna pianta è
compatibile con un particolare tipo di fungo micorrizico, questo assicura la conservazione
della diversità fungina, che a sua volta, beneficia la diversità e la successione delle piante.
• Migliorano lo svilupporadicale, attraverso la produzione di ormoni, vitamine e
altre sostanze fitoattive da parte deifunghi.
• Aumentano l’apporto e la disponibilità dei nutrienti, attraverso l’effetto
stimolante dei funghi micorrizici sui cicli biochimici dei nutrienti.
In natura, la maggior parte delle piante sono micorriziche. Queste simbiosi sono ubiquitarie e si

ritrovano nella maggior parte degli ambienti terrestri. Negli ecosistemi agricoli sono
presenti ma sono molto ridotti e selezionati, quindi non è detto che siano quelli adatti alle
piante ma quelli che sono resistiti a pesticidi. Pertanto per avere delle condizioni di
miglioramento delle colture sarebbe necessaria una reintroduzione dei microrganismi
che sono stati eliminati dai pesticidi. Si parla quindi di agricoltura integrata, ovvero
riportare il suolo a condizioni più naturali riducendo la quantità di fertilizzante e pesticidi.
Le endomicorrize arbuscolari aiutano la pianta a tollerare la salinità e la siccità e a
resistere ai fitopatogeni.
Un esperimento (split experiment) dove l’apparato radicale viene diviso in due: uno
inoculato con un patogeno (Phythophtora) e l’altro micorrizato e inoculato con un patogeno.
Si riscontra che nella pianta micorrizata non c’è stata diffusione del patogeno.

Inoltre le micorrize arbuscolari sono ottime per contrastare i processi degradativi del suolo
e della copertura vegetativa. I processi degradativi che influenzano negativamente la
copertura vegetativa sono concomitanti con l’impoverimento del suolo (perdita della
struttura del suolo, aumento dell’erosione, perdita di nutrienti assimilabili e di sostanza
organica). La degradazione degli ecosistemi è associata anche ad una diminuzione della
qualità, della diversità e dell’attività dei propaguli microbici nel suolo, in particolare quelli
dei funghi AM.
Le proposte di ripristino/ riabilitazione/recupero degli ecosistemi per mezzo di pratiche
sostenibili

(rivegetazione, conservazione della flora a rischio, controllo dell’erosione, ecc..) devono


tenere in considerazione la gestione dell’attività micorrizia.
Le ENDOMICORRIZE ERICOIDI appartengono alla famiglia delle Ericacee (Erica o Calluna
vulgaris; Macinium mirtillus; Corbezzolo; Rododendro) e costituiscono la brughiera. Le
ericoidi non hanno importanza dal punto di vista applicativo ma dal punto di vista ecologico
perché consentono ad un gruppo di piante di vivere in carenza di nutrienti azotati.
Essendo endomicorrize hanno citoplasma sempre limitato dalla membrana plasmatica
dell’ospite. Le ericacee oltre alle radici visibili ad occhio nudo hanno delle radici molto fini
(diametro di 20μm) chiamate RADICI PILIFORMI (HAIR ROOTS) le quali ospitano il fungo.
Quest’ultimo appare avvolto all’interno di una singola cellula e rimane vivo all’interno
della stressa, in questo caso muoiono le radici, quindi gli scambi di nutrienti devono aver
luogo fin tanto che la radice è viva; da questa simbiosi il fungo ricava i benefici della
fotosintesi e le piante il miglioramento della nutrizione minerale. Il fungo simbionte non
è un fungo microscopico ma un ASCOMICETE ed è coltivabile in coltura pura. E’ quindi
possibile lo studio della pianta e del fungo separati o in simbiosi.
Le ENDOMICORRIZE ORCHIDACEE hanno semi piccolissimi privi di tessuto di riserva
(endosperma) infatti germinano grazie alla presenza di funghi simbionti che forniscono loro
i primi elementi necessari. Questi funghi appartengono comunque ai funghi superiori,
BASIDIOMICETI. Nella fase di germinazione del seme si ritiene che la pianta sia parassita
del fungo, quando la pianta cresce di insatura una simbiosi normale e il rapporto
diventa equilibrato. Tuttavia non è molto chiaro se davvero sia una simbiosi mutualistica.
USO DI BIOFERTILIZZANTI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’ DELLE COLTURE:
Per biofertilizzanti si intende micorrize arbuscolari abbinate a batteri rizosferici, quindi
benefici che vivono in prossimità nella radice del suolo.
La nutrizione è migliorata sia dal reticolo delle ife fungine ma anche dalle modifiche che
vengono indotte all’apparato radicale che è più sviluppato.
Intorno alla radice alcune volte possiamo trovare, oltre ai funghi, anche batteri.

I batteri che promuovono la crescita sono dunque batteri del suolo, rizosferici, che
migliorano la

nutrizione minerale producendo, per esempio, enzimi che degradano il fosfato. Questi
batteri modificano l’apparato radicale della pianta e incrementano la crescita della
stessa con la produzione di ormoni. In più alcuni batteri permettono alle piante di
sopportare alti livelli di stress. L’etilene è un gas che viene prodotto dalla pianta e
considerato un ormone vegetale. Quando la pianta è in condizioni di stress, la prima
risposta è un picco di etilene che viene definito benefico, ed aiuta quindi la pianta stessa.
Se lo stress persiste c’è un secondo picco di etilene, dannoso, che porta la pianta a
senescenza. Ci sono alcuni batteri che inibiscono la sintesi del picco dannoso, in questo
modo la pianta affronta meglio lo stress.
I batteri responsabili della crescita possono funzionare inoltre come agenti di biocontrollo,
essere
promotori della simbiosi,indurre resistenza sistemica vero virus, batteri patogeni e funghi
patogeni.

Questo lavoro è stato finanziato dalla Regione Piemonte nell’ambito del Programma
Operativo Regionale del Fondo Europeo di Sviluppo con il progetto BIRS OASIS che aveva
come scopo lo studio dei microrganismi rizosferici come biofertilizzanti da integrare con
una ridotta concimazione e una riduzione dell’irrigazione al fine di migliorare e rendere più
sostenibile la cotura di piante dal forte interesse agrario in Piemonte quali fragola,
pomodoro e fagiolo.
In particolare questo lavoro ha avuto come scopo la valutazione dell’effetto di due inoculi
costituiti rispettivamente da batteri selezionati dal suolo, da soli ed in associazione con un
inoculo fungino, in condizioni di concimazione ridotta sulla produttività e sulla qualità
dei frutti di fragola. La fragola è ricca di antocianine, flavonoidi, acidi fenolici e dal punto
di vista nutrizionale è un’ottima fonte di vitamine e di composti antiossidanti importanti
per la salute umana. Sono stati fatti degli esperimenti mettendo insieme concimazione
completa e ridotta del 30% (senza biofertilizzanti) e le varie combinazioni funghi e batteri
con concimazione ridotta del 30%. L’efficacia dei batteri promotori della crescita è
correlata con la loro capacità di colonizzare la radice.

Piano sperimentale
C100 controllo senza biofertilizzanti in condizioni di
fertilizzazione normale C70 controllo con riduzione di
fertilizzazione del 30%
Come accennato vi era un controllo 100 con concimazione tradizionale, un controllo 70
con riduzione del 30% dell’apporto di fosforo e azoto e tutte le tesi con microrganismi
sempre consimate con il 30% di riduzione.

Le plantule sono state inizialmente trapiantate con il fungo micorrizico.


Successivamente è stata preparata la sospensione batterica. Le piante sono state quindi
batte rizzate e sistemate in serra cosi come appaiono nell’immagine. Le piante sono
state concimate settimanalmente, e durante la loro crescita sono state monitorate ogni
settimana la fioritura e la fruttificazione. I frutti sono stati raccolti quando la percentuale
di colorazione rosso intenso superava il 90% della superficie del frutto.
PRODUZIONE FIORI:
La combinazione tra funghi micorrizici e batteri si discostano e quindi producono più fiori

+ 60% della produzione vs C100 e C70


La slide mostra la produzione di frutti. Si evidenzia una produzione nettamente superiore
delle tesi in inoculo combinato, si arriva ad un +60% di produzione in più rispetto sia al
controllo 100 sia al controllo 70.
Le piante con inoculo combinato danno una maggiore produzione di fiori e un’alta
percentuale di alligagione, percentuale che però è anche presente nell’inoculo fungino
da solo, fatto che suggerisce che l’alligagione sia favorita dalla presenza del fungo
micorrizico. Da sottolineare la percentuale di alligagione delle tesi con inoculo combinat.
I frutti delle piante micorrizate e batterizzate presentavano un peso fresco
statisticamente maggiore rispetto sia al controllo 70% ma soprattutto rispetto al
controllo 100%. In particolare Pf4+U2 presentava un aumento del 92% della produzione in
peso rispetto a C70 e dell’85% rispetto al C100.
Fruttosio, glucosio e saccarosio rappresentano i tre zuccheri più importanti presenti nei frutti di

fragola. Essi risultano variamente modulati dalla presenza/ assenza dei vari microrganismi.
Dalla quantità è difficile definire un effetto sicuro.
Il dosaggio dell’acido ascorbico ha evidenziato una concentrazione statisticamente
superiore nei frutti di tutte le piante in cui sono presenti i microrganismi, da soli o in
combinazione. Come evidenziato le due tesi che danno i migliori risultati in produttività
danno anche ottimi risultati in concentrazione di vitamine. Vale lo stesso discorso per
l’acido folico. I risultati ottenuti suggeriscono che l’impegno di questi microrganismi
come biofertilizzanti permetta la riduzione dell’utilizzo dei fertilizzanti, implementando la
produzione e la qualità dei frutti.
Lo stesso esperimento è stato condotto sulle piante di pomodoro. Il pomodoro
appartiene alla famiglia delle Solanacee, piante di per sé tossiche ma non
i frutti. Le piante vengono incoulate e poi trapiantate in campo per un totale di 3528
piante di pomodoro per la sperimentazione.

Vengono effettuate varie analisi:


• Produzione totale
• Totale delle bacche commerciabili
• Grado Brix
• Percentuale di prima e di seconda scelta
• Valutazione di incidenza di
antracosi e alternariosi Vengono
successivamente analizzati i frutti.

I batteri PGPB e i funghi AM utilizzati hanno permesso di mantenere invariata la


produttività, nonostante la riduzione di concimazione, e di conferire alla pianta maggiore
resistenza nei confronti dei patogeni.
Dalle analisi qualitative e nutrizionali è emerso che i ceppi batterici e l’inoculo fungino,
singoli o in associazione, hanno agito su parametri diversi in modo differente. Da
evidenziare un minor contenuto di nitrati e di acido ossalico (Pseudomonas fluorescens
C7) e un maggior contenuto di zuccheri totali (Pseudomonas fluorescens 19Fv1T).

Lo zafferano invece si ricava dai pistilli dei fiori e gli effetti che hanno i batteri sono visibili a
livello della dimensione del bublo e nel numero dei fiori. Importante dal punto di vista
farmaceutico perché il fungo micorrizico permette maggiore produzione di crocina,
antitumorale e antidepressivo.
La tecnica utilizzata è stata poi riutilizzata da un ricercatore afgano che intendeva
migliorare e utilizzare le colture di zafferano in alternativa a quelle dell’oppio.

I funghi micorrizici migliorano anche il contenuto di oli essenziali nelle piante


aromatiche, ad esempio il basilico.

Peli ghiandolari che producono oli essenziali


I biofertilizzanti inducono un cambiamento della quantità e anche della qualità.

CONTROLLO DELLE MALATTIE DELLE PIANTE:


Tra i patogeni delle piante abbiamo i nematodi. Un altro patogeno può essere Rizoctonia
solagni che induce la malattia del colletto, ovvero il punto di raccordo tra le radici e il fusto.
In questo caso i funghi micorrizici hanno indotto una resistenza alla malattia molto buona
che si può tradurre con l’80%.
La stessa cosa è stata dimostrata sui FITOPLASMI, ovvero dei batteri privi di parete cellulare
che quindi appartengono alla classe dei Mollicuti ed estremamente importanti perché
causano molte malattie tra cui la FLAVESCENZA DORATA della pianta della vite. I
citoplasmi sono trasmessi da un insetto che va a succhiare il liquido floematico di una
pianta malata e lo trasporta nella pianta sana.
L’immagine mostra citoplasmi all’interno dei vasi floematici della pianta.
Prima di passare alla vite si è scelto di studiare una pianta modello più piccola e facilmente
maneggiabile: una margherita. I batteri utilizzabili sono stati selezionati da viti sane
vicine a viti malate quindi possibili induttori di resistenza. Il risultato è che le piante
malate sono significativamente più basse e c’è stato comunque l’effetto crescita.
In passato si valutava la malattia solo mediante i sintomi visibili: ingiallimento, necrosi,
scopazi. Non sempre però questi sono sicuri, infatti la pianta può essere malata ma non
presentare sintomi visibili. Si sono allora sviluppate delle tecniche di analisi molecolare
per valutare la presenza di citoplasmi nella pianta. Queste tecniche prevedono l’estrazione
del DNA e dell’RNA dei citoplasmi.

Al microscopio elettronico elementi floematici pieni di fitoplasmi.


In conclusione, l’applicazione di una combinazione di un fungo AM ed un batterio
rizosferico ha provocato un certo livello di resistenza all’infezione dei fitoplasmi,
l’espressione ritardata dei sintomi e ha migliorato la crescita delle piante infette. Sulla
base dei nostri risultati l’applicazione pratica di organismi rizosferici per mitigare i danni dei
fitoplasmi deve essere valutata in condizioni di campo, soprattutto nel caso di colture
perenni. Questo potrebbe rappresentare un ulteriore strumento per la gestione integrata
delle fitoplasmosi, eventualmente permettendo la riduzione delle domande di insetticidi
per un controllo più ecocompatibile di queste malattie.

FUNGHI.
I funghi che noi raccogliamo nei boschi, altro non sono che l’organo di riproduzione del fungo
sotterraneo che poi va a stringere rapporti simbiotici con la pianta.

Amanita cesarea reale (con la comparsa dei reali è finita la stagione) presenta delle
lamelle e su queste vengono prodotte le spore che
cadendo generano un nuovo fungo.

I funghi ectomicorrizici sono coltivabili in coltura pure, possono quindi fare delle sintesi in
laboratorio.

Amanita falloide, mortale perché produce amanitine falloidine che sono tra i composti
più pericolosi perché inibiscono la sintesi proteica inibendo l’attività dell’RNA polimerasi.

Amanita muscaria, velenosa perche produce la muscarina che ha effetti allucinogeni.


Boletus satanas con fusto rosso, sembra un porcino
ma è velenoso.
Laricino, unico fungo simbionte obbligato del larice, cresce in simbiosi solo con il larice.

Lactarius piperatus
Cantarellus cibarius, ectomicorrizico. Diffuso in montagna.

NODULI RADICALI:
I noduli radicali si formano nelle LEGUMINOSE.
immagine rappresenta un apparato radicale di soia (è una leguminosa, come i ceci, i
fagioli, le lenticchie ecc..) con i noduli radicali.
I noduli rotondi si formano in seguito alla SIMBIOSI con BATTERI AZOTOFISSATORI. Le
piante non sono in grado di utilizzare l’azoto atmosferico, infatti possono usare solo
l’azoto come nitrato nel suolo. La molecola dell’azoto atmosferico è caratterizzata dalla
presenza di un triplo legame covalente che le piante non sono in grado di rompere.
Questa operazione viene fatta quindi dai batteri azoto fissatori.
La simbiosi avviene tra batteri del genere Rhizobium e piante appartenenti alle
leguminose. I rizobi vivono liberi nel suolo, vengono attratti dalle radici delle
leguminose e penetrano in esse dando origine ad una vera e propria nuova struttura: IL
NODULO.

Le immagini al microscopio a scansione rappresentano i batteri che riempiono le cellule.


Vediamo 3 cellule, la lamella mediana e uno spazio intercellulare.

Alcune PROTEINE vengono prodotte all’interno del nodulo per espressione di alcuni geni
della pianta, Queste proteine sono le NODULINE e ne esistono di due tipi:
• NODULINE ENOD: si formano durante lo sviluppo del nodulo (early nodulins) e sono
associate con la parete cellulare della pianta.
• NODULINE NOD: si formano nel nodulo maturo e sono coinvolte con il mantenimento dei
rizobi e con la fissazione dell’azoto. A questo gruppo appartengono le leg-emoglobine.
I batteri vengono attratti da delle molecole prodotte dalla radice, i flavonoidi, che sono
molecole segnale. I batteri arrivano, si posano su un pelo radicale e deve avvenire un
riconoscimento fra il rizobio e la pianta. Se il batterio è quello giusto, la prima risposta della
pianta è che il pelo si incurva e la sua parete si invagina (il pelo radicale è un’estroflessione
di una cellula epidermica); sotto la parete del pelo c’è la membrana plasmatica che si
invagina con la parete e si forma un canale costituito dalla parete del pelo che si invagina e
dalla membrana plasmatica. Questo canale è noto con il termine di FILAMENTO DI
INFEZIONE all’interno del quale penetrano i batteri. Ad un certo punto il filamento di
infezione interrompe la crescita, mentre continua la produzione di membrana plasmatica;
viene quindi interrotta la sintesi di nuovo materiale di parete, ma continua la produzione di
membrana plasmatica e si forma una vescicola di infezione. La presenza di batteri induce
la divisione cellulare, controllata dalle citochinine, i batteri passano di cellula in cellula, la
vescicola di infezione si frammenta e ogni singolo batterio si trova circondato dalla
membrana plasmatica dell’ospite. E’ la situazione che troviamo nelle endomicorrize,
dove il fungo rimane a contatto con il citoplasma dell’ospite.
La membrana plasmatica dell’ospite insieme con la parete cellulare prende il nome di
SIMBIOSOMA.
I batteri fissano l’azoto atmosferico grazie ad un enzima che prende il nome di
NITROGENASI, la quale viene inattivata a concentrazione di ossigeno 1-10μM.
La nitrogenasi è attivata dalla presenza di ossigeno e quindi ci vuole un ambiente quasi
anaerobico perché possa funzionare, infatti la parte centrale del nodulo (parte più attiva)
è delimitata da uno strato di cellule molto vicine le une alle altre (“the boundary layer”) che
impedisce il passaggio dell’ossigeno. Al centro, la concentrazione dell’ossigeno è <1μM,
perché il suo

coefficiente di diffusione dell’acqua (citoplasma, vacuolo) è circa 10.000 volte inferiore a


quello dell’aria (spazi intercellulari). L’ossigeno passa all’interno della pianta tra gli spazi
intercellulari, se invece è costretto a passare in un liquido contenente molta acqua come il
citoplasma, allora la sua diffusione avviene molto lentamente (10.000 volte più
lentamente). Si crea quindi un ambiente microaerobico perché l’ossigeno viene
bloccato dall’assenza di spazi intercellulari e cosi la nitrogenasi può funzionare. I rizobi
sono batteri aerobi quindi è presente una proteina NOD: la leg- emoglobina molto simile
all’emoglobina degli animali e che ha funzione di legare l’ossigeno e portarlo alle cellule
dei batteri. I batteri possono così vivere e la nitrogenasi non è inattivata. la leg-emoglobina
è di colore rosso e i noduli quindi appaiono leggermente rosati.
L’immagine rappresenta la zona centrale attiva con la leg-emoglobina.

L’immagine rappresenta un nodulo di forma clavata dove si vede la leg-emoglobina


nelle zone rosse. Questo nodulo è un piccolo meristema e quindi può continuare a crescere
a differenza di quello circolare che non ha zona meristematica.

Nell’immagine a destra la freccia indica la zona meristematica.

Quali sono i vantaggi della simbiosi per i due partner? La pianta migliora la nutrizione
azotata e la maggior parte dei batteri rizobi cedono l’azoto sottoforma di ammonio perché
durante la simbiosi viene repressa la capacità di utilizzare questo composto. Questa
capacità invece ce l’hanno durante la vita libera. L’ammonio passa per semplice
diffusione alle cellule dell’ospite. Vi è quindi un gradiente di concentrazione maggiore nei
batteri e minore nelle cellule radicali dovuto al fatto che i batteri continuano a fissare
l’azoto atmosferico e quindi a produrre ammonio e le cellule radicali sono in grado di
assimilarlo velocemente perché hanno degli enzimi come la glutammina o la glutammato
sintetasi che servono per sintetizzare degli amminoacidi ed hanno un’elevata attività. Di
conseguenza la pianta consuma velocemente l’ammonio. La pianta utilizza l’azoto per le
proteine, quindi l’ammonio, che si origina dalla fissazione e si diffonde, finisce nelle
proteine. Le leguminose hanno quindi un maggior contenuto proteico e i semi delle
leguminose contengono più proteine e sono più nutrienti (ad esempio i faglioli).
Che cosa ricavano i batteri dalla simbiosi? I prodotti della fotosintesi, che vengono distribuiti
sottoforma di saccarosio attraverso i vasi floematici. Ma il saccarosio non riesce a passare
attraverso la membrana del simbiosoma e quindi nell’ambiente microaerobico centrale,
dove c’è pochissimo ossigeno, può avvenire la fermentazione. Il saccarosio si fermenta e
si trasforma in acido malico, i cui Sali, i MALATI, possono attraversare le membrane del
simbiosoma e le piante possono quindi ricavare l’energia necessaria per la fissazione
dell’azoto atmosferico. Il malato serve come substrato respiratorio e genera molecole
di ATP che vengono fissate nella fissazione dell’azoto.

Lo studio dei rizobi è molto più avanzato rispetto a quello delle micorrize vascolari perché i
rizobi sono coltivabili e possono essere anche venduti.
Le leguminose sono fagioli, ceci, lenticchie (alimentari), trifoglio, erba medica (piante dei
pascoli che rendono nurtiente il fieno), arachidi (producono le noccioline sotto terra-
Arachis hypogaea) e la soia (estremamente importante nei paesi orientali che hanno come
base di alimentazione il riso bianco).

Arachis hypogaea
L’erba medica viene usata nelle tecnica del sovescio: coltivare un campo di erba medica,
tagliarlo e girare la terra in modo che l’azoto contenuto nell’erba medica passi nel terreno
(rotazione delle colture per arricchire ilterreno).
IL FUSTO.
La parte epigea della pianta comprende il fusto, le foglie e la gemma apicale (apice
vegetativo), che è il corrispondente dell’apice radicale della radice.
Nella gemma apicale è localizzato il tessuto meristematico, da cui si originano le cellule
che si distendono e si differenziano e danno origine a rami e foglie. Le foglie si
inseriscono in punti del fusto chiamati nodi mentre le zone che intercorrono tra un nodo e
l’altro si chiamano internodi.
Il fusto è il mezzo di raccordo tra le radici e le foglie, quindi il fusto sviluppa con
l’evoluzione delle piante terrestri e passiamo da piante che non hanno un vero e proprio
fusto (muschi e epatiche) a forme con il fusto a cormo (cormofita).
È necessario che avvenga la comparsadella lignina,quindidei tessuti meccanicie conduttori.

La gemma apicale ha un effetto di dominanza sulle


gemme laterali che sono presenti. Questo fenomeno prende il nome di dominanza apicale,
quindi finchè la gemma apicale è attiva, le gemme laterali restano dormienti oppure
possono restare dormienti quelle che si trovano più vicine alla gemma apicale. Mano a
mano che ci allontaniamo viene meno l’effetto di dominanza e possono svilupparsi anche
le gemmelaterali.
Possiamo vedere due diverse situazioni, a sinistra vediamo un’asse centrale su cui si
inseriscono ramificazioni laterali, sulle quali se ne inseriscono altre, ma con la gemma
apicale sempre attiva. Quando c’è questo asse centrale visibile si parla di “ramificazione
monocodiale”, caratteristica delle gimnosperme (es.quercia). nella maggioranza delle
angiosperme abbiamo la situazione di destra, in cui ad un certo punto della stagione di
crescita la gemma apicale smette di crescere e si sviluppano delle ramificazioni e le foglie si
inseriscono con un ordine ben preciso. Studiare come le foglie si inseriscono sui rami
significa studiare la filotassi.
Quando una pianta si sviluppa nella sua porzione aerea comparirà prima una foglia, poi l’altra
ecc.;
facendo degli esperimenti per esempio per vedere l’effetto di un’infezione virale oppure
l’effetto di una infezione fungina, bisogna confrontare delle piante che siano confrontabili.
Non è sufficiente che siano state ottenuti da semi posti nello stesso momento, ma bisogna
vedere se queste piante hanno il medesimo indice plastocronico, cioè il tempo di
formazione delle foglie, che può essere influenzato dalle condizioni ambientali; a livello
cellulare bisogna prendere una foglia di una pianta che sia stata prelevata nella medesima
zona e che quindi abbia il medesimo indice plastronico della pianta che si vuole
confrontare.
Nella gemma possiamo vedere una zona apicale meristematica, le cellule si dividono nella
zona di

accrescimento per
divisione, poi si distendono e quindi le cellule si
differenziano; la zona meristematica viene chiamata cono
vegetativo. La zona di determinazione è la zona in cui le
cellule sono determinate a diventare un certo tipo di
tessuto, e quindi ricevono le informazioni molecolari per
trasformarsi in determinati tipi cellulari.
Anche nelle felci noi abbiamo una zona meristematica, il
cono vegetativo, che però è molto semplice con un’unica
cellula apicale che si divide con divisioni parallele ai lati e
successivamente trasversali.

L’immagine
mostra l’apice caulinare di una gimnosperma.
Nella gemma apicale delle angiosperme abbiamo il cono vegetativo con la zona
meristematica (corpus), le bozze fogliari e nel punto in cui la foglia si inserisce nell’asse,
l’ascella, ci sono i primordi dei rami. Le foglie sono numerate a partire dalla più giovane.

Un’osservazione che si può fare riguarda l’origine dei rami, i quali sono delle appendici
(ramificazioni) del fusto e, a differenza di quanto accade nella radice, nel fusto le
ramificazioni hanno un’origine esterna (nella radice le ramificazioni radicali si originano
all’interno). Le cellule della zona meristematica si distendono in modo analogo a quanto
avviene nella radice, si fondono i vacuoli che comprimono la parete e la fanno distendere.
Nella zona di differenziamento troviamo il midollo centrale, quello che diventerà il
midollo del fusto chiamato protomidollo, il parenchima corticale, mentre i cordoni
procambiali sono destinati a diventare elementi conduttori, cioè vasi legnosi e vasi
floematici.

Nelle piante ci sono le gemme, che possono crescere molto a lungo oppure possono bloccarsi e
far così nascere dei rami laterali (nuovi organi che si formano). Negli animali questo non succede
perché il numero degli organi dopo l’organogenesi è fisso.

Dai meristemi vegetativi, a seguito di segnali, l’apice vegetativo si trasforma in meristemi


fiorali, da cui si originano i fiori. I fiori sono gli organi riproduttori di una pianta e ciò significa
che i gameti maschili e femminili contenuti negli organi riproduttori si formano di nuovo di
anno in anno. Negli animali abbiamo un numero di gameti femminili e maschili che è tale
dalla pubertà in poi.
Poiché nella pianta si formano i vari organi, si formano anche diversi tessuti conduttori.
Negli animali i tessuti conduttori rimangono tali e sono destinati all’invecchiamento e alla
degenerazione. Una similitudine si può trovare nei tessuti esterni, ad esempio nelle piante
la corteccia si origina ad opera di un meristema sottostante che quindi origina sempre
nuove cellule che andranno via (border-cells): negli animali possiamo pensare
all’epitelio germinativo sotto l’epidermide che dà origine a nuove cellule che si staccano e
vanno via.
Gli apici vegetativi possono essere usati in modo pratico per ricavare le proprie cellule e per
propagare le intere piante. Qualsiasi cellula vegetale in opportune condizioni può dare
origine a foglie, radici o all’intera pianta. Quando si parla di propagare un’intera pianta si
preferisce ricorrere alla moltiplicazione dei meristemi vegetativi. Questo si fa quando si
vuole clonare una pianta e ottenerne altre tutte uguali (con la riproduzione sessuale non si
ha l’assoluta certezza che le piante siano tutte uguali). Riproducendo le piante attraverso
il meristema si ha un vantaggio perché le piante non vengono invase dalle malattie virali.
Ci sono delle tecniche, chiamate micropropagazione, che sono basate sull’asportazione di
meristemi in condizioni sterili e che poi vengono posti in ambienti di coltura isolati
dall’ambiente esterno; con le dosi ormonali giuste si sviluppano nell’intera pianta. A
questo punto viene prima trapiantata in un ambiente più protetto come la serra o la cella
climatica e dopo di che la piantina è pronta per la piantumazione in campo.
Il centro MTT ha sede in Finlandia dove sono specializzati sulla microporpagazione. La
piantina viene micropropagata attraverso una sostanza, il fitogel, a base di composti che si
ricavano dalle alghe. Per avere determinate caratteristiche di fiori o frutti è importante
l’ambiente esterno. Nei paesi del nord è necessario accelerare il rpcesso di crescita a
casua delle basse temperature. Questo lab produce piante certificate (prive di virus ecc..).
IL FUSTO NELLE DICOTILEDONI.
Se noi facciamo una sezione trasversale nella zone in cui ormai il fusto è differenziato, cioè
tutte le cellule sono differenziate e la loro parete è in struttura secondaria. Nel
passaggio dalle cellule meristematiche alle cellule differenziate le cellule acquisiscono la
parete secondaria e alcuni di loro si differenziano, lignificano, suberificano,mentre altre
restano solo con la parete cellulosica secondaria.
Se consideriamo invece l’organo, quando le cellule si sono differenziate, è in una struttura
chiamata struttura primaria, che è diversa tra le monocotiledoni e le dicotiledoni.
Dento il fusto ci sono dei vasi di tessuti connettori; i fasci che sono inseriti nel fusto di
dicotiledone prendono il nome id fasci collaterali aperti, cioè c’è un insieme di vasi
legnosi da una parte e di vasi floematici dall’altra.
Tra il floema e lo xilema per tutta la lunghezza dei vasi è inserito un tessuto meristematico
secondario o cambio cribro-vascolare, poiché questo meristema si origina soltanto
durante la formazione dei fasci e quindi sono cellule che si differenziano e diventano
merismatiche.
La presenza del cambio fa si che si possano generare nuovi vasi legnosi e nuovi elementi
floematici. Infatti i fasci collaterali si definiscono aperti perché sono aperti alla
formazione di una nuova struttura e si possono ulteriormente modificare. Sono
caratteristiche delle dicotiledoni e delle gimnosperme.
I fasci collaterali aperti sono poi disposti in modo ordinato secondo più o meno una
circonferenza della nella porzione centrale del fusto, lo stele o colonna.
La disposizione ordinata definisce una eustele (eu=bene) nelle dicotiledoni e nelle
gimnosperme quando sono in strutturaprimaria.
Se consideriamo tutto l’organo in struttura primaria, troviamo l’epidermide, il parenchima
corticale, un periciclo che delimitala stele e il tessuto midollare con i vari fasci collaterali
aperti disposti in modo ordinato. È importante ricordare che le cellule che si trovano nella
zona differenziata hanno una parete secondaria, qualcuna modificata e qualcuna no,
mentre l’organo è in struttura primaria. È presente anche un tessuto di sostegno, il
collenchima, cioè un tessuto vivo con le pareti e si colora con i coloranti della cellulosa.

IL FUSTO NELLE MONOCOTILEDONI.


Le monocotiledoni hanno dei fasci collaterali, ma a diretto contatto, quindi sono fasci
collaterali chiusi, perché non danno origine a una struttura secondaria. Vi è una
disposizione disordinata dei fasci, che prende il nome di atassostele (atasso= senza
ordine)¸ poiché i fasci collaterali sono chiusi e non si passa ad una struttura secondaria, c’è
la necessità di un maggior sostegno e quindi il tessuto di sostegno è soprattutto
sclerenchima, cioè fibre lignificate che si colorano pertanto con i vasi legnosi. Essendo
lignificato, lo sclerenchima è un tessuto morto. I vasi legnosi più piccoli sono a diretto
contatto con il midollo verso l’interno e sono quelli che si differenziano per primi e
prendono il nome di protoxilema endarco.
Dalla sezione di un fusto è quindi possibile distinguere una monocotiledone da una
dicotiledone.
A sinistra vediamo una struttura eustelica con fasci collaterali aperti disposti in modo
ordinato, la presenza del cambio e il midollo centrale. A destra vediamo una struttura
atassostele con fasci collaterali chiusi disposti in modo disordinato, l’epidermide e il
parenchima corticale. Nell’epidermide possono essere presenti anche degli stomi.
Possiamo vedere che il floema e lo xilema si colorano in modo diverso; lo xilema in rosso
come le fibresclerenchimatiche(lignina),mentreilfloemaè coloratoinazzurrocome la
cellulosa.

La cuticola riveste l’epidermide, le cellule epidermiche e il parenchima corticale. Sono


presenti degli spazi intercellulari.
In questo
caso il parenchima corticale è fotosintetico perché sono presenti dei cloroplasti.
In certe piante il midollo centrale può essere riassorbito e quindi il fusto diventa cavo.
Questo si verifica nelle ombrellifere, come il finocchio o il prezzemolo, e in alcune
monocotiledoni

come le graminacee.

L’ immagine rappresenta una gemma vegetativa. Vediamo il meristema, le bozze fogliari, le


cellule che si distendono e si differenziano.
L’immagine mostra un apice vegetativo in cui le bozze fogliari stanno emergendo.
Nell’immagine a destra le bozze fogliari sono più sviluppate.

L’immagine rappresenta una sezione trasversale di fusto di dicotiledone, in cui vediamo


l’epidermide, il collenchima, il parenchima corticale, l’eustele e il midollo al centro.
Che cosa succede ad un certo punto della vita nelle monocotiledoni e dicotiledoni?
Alcune cellule del parenchima corticale si differenziano e acquistano capacità
meristematica, dando origine al cambio secondario (meristema secondario) cioè si forma
un anello continuo di cambio. Questo è il passaggio dalla struttura primaria alla struttura
secondaria, perché questo cambio, che si trova tra i fasci, prende il nome di cambio
interfasciale (mentre quello dentro i fasci prende il nome di cambio intrafasciale) ad un
certo punto dà origine verso l’interno a nuovi vasi e verso l’esterno a nuovo floema. In
questo modo si formano gli anelli di legno e al di sopra un anello di floema.
Si è formato così il primo cerchio annuale. Le colorazioni sono diverse: il legno è stato
colorato con verde dimetile, mentre il collenchima in violetto come tutte le pareti
cellulosiche.
Nel primo cerchio annuale avremo un insieme di vasi tra cui i più piccoli, il protoxilema
interno. La pianta è attiva per tutto il periodo vegetativo, quindi primavera, estate,
autunno e verso la fine dell’autunno inizia la fase di riposo, cioè cessa l’attività
vegetativa e quindi il cambio smette di funzionare e non si formano più nuovi vasi. Nuovi
vasi si formeranno poi la primavera successiva.
Si può notare una specie di linea che separa un cerchio annuale dall’altro, chiamata legno di
chiusura.
Nella primavera successiva i vasi che si formano sono solitamente vasi piccoli inizialmente,
poi vasi più grandi perché in primavera la pianta rimette le foglie e riacquisisce l’attività
vegetativa; per questo motivo ha bisogno di molta acqua.
All’interno dei vasi l’acqua sale e viene attratta da una forza, chiamata forza di
traspirazione. L’acqua perduta dalle foglie per evaporazione esercita questa forza che tira
su la colonna d’acqua, che deve restare adesa alle pareti dei vasi, poiché se si stacca si
formano delle bolle d’aria e quindi il vaso smette di funzionare perché si forma un embolo.
In primavera la forza di traspirazione prevale sulla forza di coesione, che tiene la colonna
adesa alle pareti, consentendo all’acqua di salire e di restare adesa ai vasi nello stesso
tempo. Questo

poiché la forza di traspirazione è presente, ma non è eccessiva. In estate le temperature


che si raggiungono sono molto superiori e quindi l’acqua evapora più velocemente e
pertanto la forza di traspirazione è molto elevata e sui vasi grandi questa è molto
superiore alla forza di coesione, inducendo il distacco dell’acqua dalle pareti, perché la
forza di coesione è inversamente proporzionale al diametro dei vasi. Questo significa che
è tanto maggiore quanto più piccoli sono i vasi. È per questo motivo che in primavera si
possono formare vasi grandi, in quanto la forza di coesione non viene sbilanciata. In
molte piante si può quindi riconoscere il periodo primaverile da quello estivo. Si parla di
porosità anulare, per cui i vasi grandi corrispondono alla primavera e i vasi piccoli
corrispondono all’estate. Se invece non c’è questa distinzione, la porosità è chiamata
diffusa.
Una pianta passa dall’avere il fusto verde ad una scorza marrone per la presenza di sughero.
Verso l’esterno dal parenchima corticale si differenzia il meristema secondario, chiamato
fellogeno o cambio suberofallodermico, che non è presente nell’embrione, ma si forma
in un secondo momento. Questo cambio dà origine verso l’esterno al sughero e verso
l’interno al felloderma, un tessuto di rivestimento.
Tutto l’insieme (sughero, fellogeno e felloderma) prende il nome di periderma. Le
cellule del sughero sono completamente morte.
Per consentire ai tessuti interni di ricevere aria, poiché ci sono cellule vive all’interno del
fusto e il sughero è impermeabile all’acqua e all’aria si formano delle strutture, le
lenticelle, le quali sono delle aperture (cioè lo strato di sughero si interrompe e si alza) e
si originano nuove cellule, che hanno però parete cellulosica e l’acqua riesce a passare.
Queste aperture restano beanti per tutto il periodo vegetativo, ma poi si chiudono con
un nuovo strato di sughero al termine del periodo vegetativo per evitare l’ingresso di
patogeni.
l’immagine mostra la sezione trasversale di un fascio collaterale aperto perché si vede bene il
cambio. È un eustele che sta passando in struttura secondaria.
L’immagine mostra una sezione trasversale di fusto di monocotiledone perché i fasci sono
disposti in modo disordinato, ad atassostele, e si tratta di fasci collaterali chiusi.
I vasi legnosi sono colorati con il verde dimetile, si vede anche del tessuto sclerenchimatico
meccanico con pareti lignificate per dare maggior sostegno.

Mostra una sezione trasversale di fusto di dicotiledone in cui notiamo l’anello continuo di
cambio. Si sta formando il primo cerchio annuale e sta passando alla struttura
secondaria. Vediamo il parenchima corticale, il midollo e dei tricomi, cioè dei peli di
rivestimento, strutture morte che hanno la funzione di limitare la traspirazione perché
trattengono il vapore acqueo. I tricomi possono essere anche ghiandolari.
il legno è un tessuto caratteristico della struttura secondaria. La struttura secondaria di un
fusto non si limita alla sola presenza del legno ma si estende a tutti gli altri tessuti. Pensando
ad un fusto o ad un albero in struttura secondaria, notiamo la parte centrale cioè la stele,
costituita di legno, circondata da un anello di cambio e da un anello di floema, inoltre da
tutti quegli anelli di floema che vengono rotti a mano a mano che il legno si accresce.
L’anello di cambio dà origine ogni anno verso l’interno ad un nuovo anello di legno e verso
l’esterno ad un anello di floema. Il nuovo anello di legno che si forma aumenta il diametro
esterno,quindi il floema rimane vivo solamente nell’anno in cui funziona. Gli strati vecchi si
lacerano in quanto vengono troppo tesi dalla crescita interna e ne rimangono solo dei
brandelli. Il legno invece resta ed è caratterizzato da cerchi annuali che corrispondo alla
formazione dei vasi durante il periodo vegetativo (da primavera ad autunno) in

questo periodo si formano anche gli ultimi vasi che vengono chiamati legno di chiusura.
Durante l’inverno cessa la crescita, quindi ad ogni anno corrisponde un anello.

Oltre questo floema lacerato troviamo parenchima corticale e ancora oltre troviamo il
periderma: il felloderma, il fellogeno (cambio sughero-fellodermico) e il, sughero esterno,
il quale si può chiamare anche scorza ocorteccia.
Il legno come tessuto è costituito in gran parte da cellule morte perché i vasi legnosi sono
morti in quanto la lignina è incompatibile con la vita. Il legno però è attraversato da dei
raggi midollari che partono dal centro e hanno funzione di riserva, questi sono costituiti
da cellule parenchimatiche vive. Nel legno sono anche presenti delle fibre di sostegno,
anche queste morte. La presenza comunque di questi raggi midollari del parenchima del
legno fa sì che il legno non possa essere ritenuto completamente un tessuto morto.

Rappre
senta come si originano dal cambio primo
vascolare, verso l’interno il legno (xilema) e verso
l’esterno il floema. Una cellula del cambio si
divide in due, dando origine verso l’interno e
l’esterno ai due tessuti.
Rappresenta una micrografia in cui si vede il cambio in cellule con parete cellulosica. Si
nota la differenza tra cellule schiacciate e dormienti durante il periodo invernale, mentre il
cambio diviene attivo nel periodo primaverile.

Rappresenta un pezzo di legno al microscopio elettronico a scansione, sezionato su tre


piani diversi. La parte superiore è in sezione trasversale, i buchi corrispondono ai vasi,
alcuni sono doppi o tripli. Ci sono moltissime fibre e anche delle cellule vive che
costituiscono i raggi midollari che si approfondano nel legno ma non per tutta la sua altezza,
come delle lamine. Si tratta dunque di un’angiosperma.
Da una sezione di legno si può capire se si tratta di gimnosperme o angiosperme; nelle
prime esistono solamente fibrotracheidi, quindi soltanto vasi che hanno sia una funzione
di conduzione sia una funzione di sostegno. Per definire questo legno che è
caratterizzato da elementi diversi cioè vada e fibre separati si una il termine eterogeneo, se
ci si riferisce invece ad una pianta, allora questa sarà eteroxila.
Nella sezione longitudinale e tangenziale i raggi midollari appaiono come delle specie di
lenticelle con le cellule sovrapposte. Da questa sezione si capisce quanto sono alti i raggi
midollari e il loro spessore (il numero di cellule) un’altra sezione è quella longitudinale
radiale, condotta cioè lungo un raggio. Si vedono solamente un raggio midollare e non posso
avere informazioni sullo spessore ma ho informazioni sulla lunghezza e sull’altezza.
Poiché i legni si classificano in base alle caratteristiche anatomiche in legno eterogeneo e non e

secondo le dimensioni dei vasi, ma anche in base alle caratteristiche dei raggi midollari, è
opportuno avere sempre le tre sezioni
(A) rappresenta una sezione trasversale di legno eterogeneo con raggi midollari. I vasi
singoli o tracheidi sono distribuiti per tutta la sezione, quindi questo legno ha una
porosità diffusa. (D) rappresenta una sezione longitudinale con le perforazioni dei vasi
che consentono il passaggio
dell’acqua in senso radiale, in quanto l’acqua
non deve soltanto salire per andare in punta ma deve anche diffondersi ed essere distribuita in
tutti i tessuti della pianta.
(C) rappresenta la sezione di un legno eterogeneo in quanto sono presenti vasi molto grandi,
grandi e piccoli. È presente una linea del legno di chiusura, al di là della quale ci sono vasi

molto grandi in corrispondenza del legno primaverile. Il legno di chiusura è formato in autunno,
poi abbiamo il riposo invernale, dopodichè viene il legno primaverile.
(C) e (D) rappresentano un legno
alterato, rimasto a lungo nell’acqua o nella terra oppure un legno archeologico. Se
vedessimo al microscopio polarizzatore, vedremmo brillare la sezione per la cellulosa e
le micelle in essa presenti. Quando il legno è sano allora è tutto birifrangente, se è
degradato, parte della porzione cristallina è degradata quindi si vede non brillante ma in
modo più intenso perché il legno degradato permette al colorante di penetrare meglio.
Anche un fungo attaccato da una malattia ha le cellule senescenti che si colorano di più.
(A) (B) (C) e (D) rappresentano i raggi midollari molto estesi, si notano chiaramente la
sezione tangenziale con il diverso spessore dei vasi e la sezione radiale (E) con dei
cristalli (F).

Rappresenta una sezione longitudinale e una radiale. Se la sezione è longitudinale e


facile da riconoscere guardando i vasi, invece per riconoscere quella tangenziale o radiale
bisogna analizzare i raggi midollari.

(A) rappresenta la porosità anulare e il legno di chiusura. Sono visibili 5 cerchi annuali.
Esiste una scienza che si chiama dendrocronologia che è in grado di sapere l’età degli
alberi e di ricavare informazioni climatiche sul passato dall’osservazione dei cerchi annuali.
E possibile saper se una
primavera è stata molto calda o un’estate molto piovosa: se la primavera è stata molto
calda il legno con porosità anulare avrà avuto dei vasi più piccoli mentre se l’estate è stata
molto piovosa avrà avuto dei vasi molto grandi.
L’immagine (D) rappresenta in sezione trasversale due cerchi annuali con il legno di
chiusura, i vasi sono all’incirca tutti uguali tra loro cioè sono sezioni di fibrotracheidi quindi
si tratta di un legno omogeneo caratteristico delle gimnosperme. Inoltre si vede, tagliato
trasversalmente, un canale resinifero mantenuto aperto da cellule sclerenchimatiche
(per mantenersi rigido e non essere schiacciato), all’interno è costituito da epitelio
secernente cioè cellule che secernono resina. La resina, con proprietà antisettiche, ha la
funzione di proteggere la pianta in caso di lesioni spalmandosi sulla stessa e fendendo la
pianta da infezioni microbiche e fungine. I canali resiniferi si trovano in tutti gli organi delle
piante delle gimnosperme, dal tronco alle foglie e anche alle radici. Non sono esclusivi
delle gimnosperme ma si trovano anche in una famiglia delle angiosperme con foglie
molto frastagliate e fiori ad ombrello, le ombrellifere o apiaceae. A questa famiglia
appartengono la carota, il prezzemolo, la cicuta, la pianta che da il cumino, l’aneto, il
finocchio e il sedano. Queste piante hanno in comune il fatto di avere un particolare odore,
hanno dei canali resiniferi e posseggono delle sostanze nelle resine prodotte.
Dunque il legno omogeneo abbinato alla presenza di canali resiniferi è caratteristico del legno
delle gimnosperme.
Un legno può essere tenero o duro p di diversi colori. Il primo può essere quello del pino,
abete o larice che viene facilmente lavorato e quindi più utilizzato per motivi di
produzione dalle grandi industri che producono mobili come l’ikea, invece il noce la
quercia e il corniolo sono legni molto pregiati e possono essere definiti legni duri la parte
centrale del legno che vinee più compressa dalla crescita, di solito anche più colorata,
prende il nome di cuore del legno o duramen, mentre la parte più esterna è l’alburno più
chiaro.

L’immagine rappresenta lo xilema con i suoi raggi midollari, il cambio, il floema che si rompe
perché il tronco si accresce in lunghezza, gli spazi vuoti nel floema non funzionale quindi
vengono riempiti da cellule parenchimatiche (parenchima= tessuto di riempimento),
questo prende il nome di parenchima di dilatazione. Nello strato superiore abbiamo il
periderma formato da epidermide, fellogeno e scorza. Nel floema sono presenti delle
fibre di sostegno colorate come i vasi legnosi perché hanno una parete molto spessa.

L’immagine rappresenta un legno omogeneo di gimnosperma, nelle quali i raggi


midollari sono uniseriati cioè con una sola fila di cellule e ci sono tantissime cellule ricche di
tannini.

L’immagine rappresenta lo schema tridimensionale dello xilema secondario. Si vedono


le tre sezioni: trasversali, longitudinale radiale e longitudinale tangenziale. I vasi sono
simili per dimensioni e non sono presenti le fibre, infatti questo è un legno omogeneo di una
gimnosperma (il pino) ed è presente un canale resinifero. I raggi midollari sono uniseriati
cioè costituiti da un’unica fila di cellule.
L’immagine rappresenta la sezione trasversale di un legno omogeneo in cui si vedono 4 cerchi

annuali. Anche nel legno omogeneo si distinguono il legno primaverile, dal legno estivo e dal
legno di chiusura. Sono presenti canali resiniferi e al centro del tronco è presente il midollo.
L’imma
gine rappresenta una sezione longitudinale tangenziale.
L’immagine rappresenta la sezione trasversale di un legno eterogeneo di quanto sono
presenti fibre, vasi grossi e piccoli.

L’immagine rappresenta la sezione trasversale di un legno eterogeneo a porosità diffusa è


presente una lenticella cioè una zona dove le pareti sono solo cellulosiche cioè l’aria può
entrare.

L’immagine rappresenta un esempio di fusto modificato. I bulbi, come ad esempio


quello della cipolla o il croco (di cui fa parte lo zafferano) oppure ancora i rizomi dell’iris o
rizomi dello zenzero, sono tutti fusti ipogei modificati con funzione di riserva e non
hannonulla a che vedere con le radici. Dal bulbo infatti nascono le radici. In questo caso +
una monocotiledone in quanto le radici sono originate direttamente dal fusto.
I fusti possono perdere le foglie e assumere funzione fotosintetica nel caso delle piante
succulente, un esempio è dato dalla pianta di fico d’india. Possono anche avere dei viticci
nel caso della vite e alcune gemme sono commestibili come l’asparago. L’asparago ha
delle foglioline sottili ed è una pianta molto soggetta a malattie, quindi richiede
particolari cure nella coltura e spesso viene trattata con potenti pesticidi. Il fusto può
avere anche delle emergenze come le spine, esempio della rosa o delmelograno.

L’immagine rappresenta delle porzioni di fusto o caule che possono essere espiantate e
messi in condizioni di coltra cellulare in capsule con terreni di crescita e ormoni, le cellule si
sdifferenziano e proliferano. Questi ammassi quindi derivano da cellule del fusto che si
sono sdifferenziate e danno origine a dei calli, da cui callogenesi. Una volta che crescono
questi calli, si possono trapiantare in altre condizioni e fatti sviluppare in piantine o radici o
foglie. Nell’esempio degente i calli hanno dato origine a dei germogli.
Le piante possono essere micropropagate a partire da apici vegetativi ma anche da
altre parti della pianta. Alla basi di ciò c’è lo studio delle biotecnologie cellulari come
l’ingegneria genetica.

LA STRUTTURA SECONDARIA DELLA RADICE.


Come avviene il passaggio alla struttura secondaria?
Le arche sono immerse nel parenchima e ad un certo punto si forma il cambio cribro-
vascolare, ma, a differenza di quello che avviene nel fusto, il cambio cribro-vascolare ha
un diverso andamento (non circolare). Ha un andamento sinusoidale, circonda le arche
legnose e passa sotto quelle floematiche, ma alla fine si formano i cerchi annuali. Per
passare quindi da sinusoidale a circolare questi cambi devono entrare in attività in
momenti differenti. Prima il cambio entra in attività dove ci sono le concavità e
dall’interno dà origine al nuovo legno, il quale spinge sempre di più verso l’alto e spinge
verso l’alto anche il floema. Il vecchio floema viene quindi spinto all’esterno e si forma il
cambio circolare.
Quando si è verificato tutto lo sviluppo e ci sono i cerchi annuali, sipuò riconoscere una radice da
un fusto in struttura secondaria attraverso un metodo: i vasi piccoli sono quelli che si
formano per primi (protoxilema), nella radice il protoxilema è verso l’esterno cioè esarco,
mentre nel fusto i vasi piccoli sono verso l’interno, il protoxilema è endarco. Quando si
forma la struttura secondaria nel fusto riesco a vedere il protoxilema mentre nella
radice non vedo il protoxilema perché viene schiacciato, è esarco e non lo vedo ma vedo i
vasi grandi o metaxilema.

LA FOGLIA.
Le prime foglie delle piante vascolari, prime piante terrestri con vasi, sono foglie chiamate
microfilli in quanto erano veramente piccole. Esistono anche dei microfilli di dimensioni
notevoli di alcune decine di cm. Si chiamano così per distinguerle dalle foglie più evolute
della maggioranza delle piante che sono invece macrofilli. La differenza sta nella
nervatura.
Il microfillo è quella foglia molto piccola con un’unica nervatura, i macrofilli invece sono
quelle foglie in cui le nervature sono numerose. Per nervatura si intende l’insieme di tessuti
conduttori che penetrano nella foglia per portare acqua e portare via i prodotti della
fotosintesi.
I microfilli si sono originati in piante terrestri chiamate Lycophita con i licopori. Tutte le
altre foglie sono macrofilli e hanno nervature che possono essere più o meno ramificate. Il
fusto si ramifica in

modo dicotomico e continua a farlo, oppure in modo diverso (scorpioide). Quando ci


sono dei rametti localizzati sul medesimo piano si pensa che si sia sviluppato il tessuto
fotosintetico attorno a questi rametti e si siano espansi e in questo modo abbia avuto
origine il macrofillo con le numerose nervature.
Le foglie si possono inserire sul fusto in modo diverso. La disposizione delle foglie prende il
nome di fillotassi (disposizione delle foglie sul fusto). Le foglie possono essere inserite in
modo alterno come nel caso dell’edera con fillotassi alternata (A), oppure come l’Oleandro
dove sono più foglie che iniziano dal medesimo punto e c’è quindi una fillotassi
verticillata (C), oppure nel caso della pervinca dove le due foglie sono opposte cioè
fillotassi opposta (B)

La disposizione della fillotassi può essere diversa perché si può riconoscere un’elica se
sono disposte un po’ a spirale quindi fillotassi elicoidale.

Rappresenta lo schema di un macrofillo, una foglia a lamina espansa. Si riconosce il margine


fogliare, la lamina ovvero la parte espansa della foglia, le nervature ovvero i tessuti
conduttori. In questo caso si distingue una nervatura centrale con delle nervature laterali
ramificate che terminano con vasi sottilissimi. La foglia si inserisce sul fusto mediante il
picciolo e qualche volta possono essere presenti delle foglioline chiamate stipole. Questa
è una classica foglia di dicotiledone in quanto è a lamina espansa con una simmetria
dorsoventrale.
Le foglie possono anche essere composte come quelle della rosa; inoltre il fusto può
essere avvolto da una guaina fogliare (come nel caso di alcune graminacee)
Ci sono altri esempi di foglie come quella semplice (A), composta pennata (B) e composta
palmata (C).

SIGNIFICATO FUNZIONALE:
Il significato funzionale è quello di svolgere il processo fotosintetico. Una foglia deve essere
fatta in modo che consenta alla luce di penetrare nei tessuti interni e che consenta
all’anidride carbonica di entrare. Nello stesso modo deve consentire all’ossigeno, quello
che per la pianta è un gas di scarto, di uscire. Attraverso la fotolisi dell’acqua, con il
processo fotosintetico si genera ossigeno che è importantissimo per la vita ma per la
pianta è un prodotto di scarto.
Durante l’evoluzione a seconda degli ambienti sono stati selezionati tipi fogliari diversi in
base a diverse caratteristiche ambientali. Una foglia a lamina espansa è caratteristica
dei climi mesotermici, dove le temperature non sono elevatissime e dove non c’è grande
rischio di perdere acqua per la traspirazione. La luce penetra facilmente negli strati
fotosintetici attraversando l’epidermide. La foglia a lamina espansa assicura una
massima superficie fotosintetica ma può essere presente solo in quegli ambienti dove non
ci sia una temperatura eccessivamente elevata oppure forte e costante vento, cioè dove
non ci siano le condizioni climatiche per far perdere

acqua alla pianta in quanto attraverso la foglia, la piante perde acqua per la
traspirazione. Una foglia a lamina espansa perde acqua per traspirazione più di una foglia
più piccola o più chiusa, però consente maggiormente il processo fotosintetico.
La forma globulare è quella che offre meno superficie fotosintentica, quindi la meno
efficiente dal punto di vista fotosintetico, però è anche quella che limita al massimo la
traspirazione.
Così come la forma ad ago è una forma che limita la traspirazione perché non è una lamina
espansa. Le troviamo infatti nelle piante che hanno un tessuto conduttore primitivo,
come le gimnosperme (pino, abete, larice) che hanno le fibrotracheidi.
Ci sono poi le situazioni intermedie dove la lamina è abbastanza espansa, quindi ha
abbastanza superficie fotosintetica. Nello stesso tempo la foglia è carnosa, ha uno spesso
strato di cere che ne limita la perdita di acqua per la traspirazione.

SIMMETRIA:
Nelle foglie possiamo distinguere una simmetria dorsoventrale quando si riconosce una
pagina inferiore e una pagina superiore. In sezione si vedono quindi dei tessuti diversi. Se
traccio un piano di simmetria e la ripiego, le due porzioni non coincidono perché c’è una
pagina inferiore e una superiore che sono diverse. Una foglia può avere anche simmetria
isolaterale dove è possibile, ripiegando, avere questasovrapposizione.
Oltre a queste simmetrie, troviamo anche la simmetria centrica, caratteristica delle foglie
di pino o foglie aghiformi.

Nello schema di una foglia aghiforme è presente l’epidermide con un rivestimento ceroso,
stomi

infossati che si possono aprire e chiudere ma in certi casi si possono formare dei tappi di
cera per limitare la traspirazione. Al di sotto troviamo il parenchima clorofilliano con le
cellule a puzzle che sembrano incastrate, ma c’è sempre dell’aria che può circolare tra le
cellule perché devono poter svolgere la fotosintesi. Abbiamo poi la nervatura centrale
caratterizzata dalla presenza di due fasci conduttori, la quale è limitata da uno strato di
cellule chiamata endodermide. Al di sotto dell’epidermide c’è uno strato di cellule con
parete lignificata. Questo tipo di foglia ha subito degli adattamenti per limitare la
traspirazione; questi adattamenti avvengono per un motivo anatomico, perché le
gimnosperme (prime piante arboree) hanno un legno omogeneo costituito da
fibrotracheidi, cioè vasi piccoli. Che svolgono contemporaneamente la funzione di
conduzione e la funzione meccanica; quindi non hanno un legno particolarmente efficiente
nel trasporto dell’acqua. Queste piante vivono in ambienti aridi.
Esempio di sezione con simmetria centrica con stomi, camera sottostomatica, cellule con
margine
sinuoso, endoderma e i due fasci conduttori. Il colore scuro è dovuto all’accumulo nei
vacuoli di tannini. Si vedono anche dei canali resiniferi (producono resina, utile in caso di
lesione)

Vediamo una foglia con simmetria dorso-ventrale caratteristica delle dicotiledoni, alla
destra una foglia con simmetria isolaterale caratteristica delle monocotiledoni. Si nota
chiaramente la diversa disposizione delle nervature: nella foglia dicotiledone le nervature
sono tutte anamostosate tra loro quindi fittamente reticolate, mentre nella foglia
monocotiledone con simmetria isolaterale le nervature sono disposte in modo parallelo
tra loro e quindi si dice che sono foglie parallelinervie. Entrambe queste foglie sono
evolute, macrofille, in quanto contengono più di una nervatura.
Vicino agli stomi ( cellule guardia) c’è solitamente un ispessimento sclerenchimatico, poi
troviamo

le cellule (anche più di una). È il turgore di queste cellule che fa aprire e chiudere la rima
stomatica. Quando le cellule si afflosciano allora lo stoma si chiude, mentre quando le
cellule sono turgide allora lo stoma si apre. Alla base dei meccanismi di chiusura e di
apertura ci sono delle variazioni di pressione osmotica. Gli stomi sono delle aperture che
consentono di essere aperte o chiuse a differenza delle lenticelle. Attraverso queste
aperture penetra l’anidride carbonica ed esce l’ossigeno derivante dalla fotosintesi.
Questi stomi sono circondati da cellule che hanno un margine sinuoso, caratteristica delle
epidermidi delle dicotiledoni.
È uno schema della sezione trasversale di una
foglia
dicotiledone, con simmetria
dorsoventrale. L’epidermide (superiore
e inferiore) è schematizzata con cellule
bianche in quanto non contengono
cloroplasti perché devono proteggere,
per questo sono rivestite da uno strato
di natura lipidica: la cuticola. Queste
cellule devono proteggere ma
consentire alla luce di penetrare, per
questo motivo non ci sono i cloroplasti.
Le cellule di guardia degli
stomi sono delle eccezioni, infatti presentano cloroplasti che sono implicati nel meccanismo
di
apertura e chiusura degli stomi. Fanno eccezione anche le epidermidi di alcune piante
acquatiche, le quali vivendo solitamente in ambienti poco illuminati, hanno cloroplasti
anche nell’epidermide. Quest’ultima non deve essere particolarmente protettiva in
quanto le foglie galleggiano, vivono o sono immerse nell’acqua quindi non hanno problemi
di limitare la traspirazione.
Anche l’epidermide inferiore è rivestita dalla cuticola. Tutte le parti verdi della pianta,
incluso il fusto verde non ancora in struttura secondaria, sono rivestite dalla cuticola che ha
la funzione di limitare la perdita di acqua per la traspirazione. Subito sotto l'epidermide
superiore ci sono le cellule poste come i pali di una palizzata, per questo motivo si chiama
tessuto a palizzata ed è un parenchima clorofilliano dove soprattutto avviene il processo
fotosintetico. Scendendo ulteriormente vediamo altre cellule con cloroplasti (parenchima
clorofilliano), tuttavia queste cellule lasciano degli ampi spazi tra loro. Questo strato si
può chiamare spugnoso oppure lacunoso, per consentire all’aria
che entra attraverso lo stoma di poter circolare e consentire la fotosintesi di queste cellule,
inoltre per consentire all’aria di arrivare anche alle cellule del palizzata.
Gli stomi sono solo nella pagina inferiore tranne nelle piante acquatiche perché
galleggiano e quindi devono avere stomi sulla pagina superiore; gli stomi si possono aprire
e chiudere, si chiudono quando fa molto caldo, in genere si chiudono di giorno e si aprono la
notte.
Il Laurusnobilis, cioè l’alloro, vive in ambienti ben illuminati e caldi (mediterraneo) e quindi
il numero di strati del tessuto a palizzata aumenta a seconda delle condizioni di
illuminazione. Questo si può modificare anche in una stessa pianta, nello stesso albero ci
sono delle foglie di luce e di ombra; le prime sono più esposte alla luce e avranno più strati
di tessuto palizzata, mentre le seconde sono quelle meno esposte e ne avranno uno solo.

Un esempio di foglia con simmetria isolaterale è l’eucalipto, pur


essendo una dicotiledone.

Apice vegetativo con le bozze fogliari


Si riconoscono le cellule guardia degli stomi e questi sono la prova della simmetria isolaterale in

quanto sono sia nella pagina superiore sia inferiore. Sezione di foglia monocotiledone,
sono presenti delle cellule più grosse rispetto alle altre, infatti in certe piante ci sono cellule
che si possono gonfiare e sgonfiare facendo arrotolare la foglia che diverrà nastriforme,
queste sono le cellule bulliformi.

PIANTE SUCCULENTE.
Normalmente designate con il nome di piante grasse. A questo gruppo appartengono
moltissime famiglie diverse: le crassulacee, le liliacee la famiglia dei gigli, l’agavacee, le
cactacee.
Sono molte famiglie, ma caratterizzate dal medesimo tipo di adattamento ad una bassa
disponibilità idrica. Queste piante sono diffuse in tutte le zone in cui ci sono climi simili e
la loro morfologia è diversa con alcune caratteristiche in comune.
La loro caratteristica comune è quella di essere in grado di accumulare elevate quantità di
acqua attraverso il parenchima acquifero. Si è verificato un fenomeno di convergenza
nell’adattamento tra piante diversissime dal punto di vista filogenetico. Le condizioni
ambientali che hanno causato questa convergenza evolutiva sono l’intenso
irraggiamento solare e le scarse precipitazioni (abbondanti nella stagione estiva e molto
scarse in quella invernale).
Alcuni meccanismi di adattamento sono:
• La funzione fotosintetica viene svolta generalmente dal fusto nella grande maggioranza
dei casi perché è privo di foglie per evitare la perdita di acqua per traspirazione
• Hanno un parenchima acquifero che consente di accumulare tantissima acqua.
• La loro epidermide è ricca di cere con funzione di minima traspirazione e protezione
dall’irraggiamento solare.
• I fusti fotosintetici sono spesso “costolati” cioè a coste perché in questo modo viene
aumentata la superficie fotosintetica, non avendo foglie, queste sono trasformate in spine
e i fusti sono ripiegati.
• In alcuni casi hanno uno sviluppo ipogeo, cioè la porzione della pianta cheè esposta è
molto limitata rispetto a quella che è sotterranea. Quindi ci sono delle strutture fatte in
modo tale da far convergere la luce solare all’interno dei tessuti e nel suolo (quasi
trasparenza deitessuti)

• C’è una specializzazione nella fotosintesi. Il normale ciclo fotosintetico è detto ciclo C3
perché si formano due molecole con tre atomi di carbonio, mentre il ciclo c4 che si verifica
nella guaina del fascio vede una molecola a 4 atomi di carbonio a cui si lega l’anidride
carbonica.
Oltre al ciclo C4 può esserci un altro metabolismo: il metabolismo acido delle crassulacee
CAM. Queste piante chiudono gli stomi di giorno e durante la notte li aprono. Durante la
notte è quindi possibile che l’anidride carbonica entri all’interno della pianta e questa
venga trasformata e incorporata in un composto che è l’acido malico, accumulato nel
vacuolo. Il vacuolo si infarcisce di acido malico (da cui deriva il nome di metabolismo acido)
che durante il giorno esce dal vacuolo e libera l’anidride carbonica e consente il normale
ciclo di Calvin.
Le piante succulente possono trovare varie applicazioni, vengono utilizzate in vario modo.
L’aloe vera è una pianta succulenta molto nota, dal quale catafillo (molto gelatinoso) si
ricava un gel che viene usato sia in cosmesi sia in medicina perché ha effetti antibatterici
e antifungini. È possibile che abbia anche effetti antitumorali e antiinfiammatori. L’aloe vera
veniva usata in passato per invitare i bambini ad evitare di mangiarsi le unghie perché è
molto amara. Ci sono piante che vengono utilizzate per produrre farmaci anoressizanti
cioè che tolgono la fame, venivano usate durante le battute di caccia dalle popolazioni
indigene del deserto del Kalahari.
Alcune piante come i cactus psicotropi contengono degli alcaloidi con effetto allucinogeno
soprattutto Mescalina. Altri ancora possono essere usati a scopo alimentare in quanto
sono abbastanza facili da coltivare e sono protette da una convenzione mondiale che
ne protegge l’esportazione e il commercio (attività di tutela svolta dalla CITES).

PIANTE CARNIVORE.
Le torbiere sono ambienti acidi (pH basso) derivati dall’accumulo di muschio del genere
sphagnum e sono povere di nutrienti, per questo motivo sono ambienti molto adatti alla
crescita delle piante carnivore. Questi ambienti non sono del tutto privi di nutrienti, ma non
sono assimilabili dalle piante a causa del PH acido. Di conseguenza le piante carnivore si
sono evolute in questi habitat, queste piante sono infatti fotosintetiche ma suppliscono la
carenza di azoto con la digestione di piccoli insetti o di piccoli artropodi che restano
intrappolati in queste strutture, che

altro non sono che delle foglie modificate.


Le trappole sono modificazione fogliari. L’insetto muove perché annega, oppure muore
di fame; esistono diversi tipi ditrappole:
• Trappola ad ascidio dove gli insetti muoiono o di inedia oppure annegati, dopodichè
vengono lentamente digeriti per effetto di enzimi proteolitici come la Nepenthes.
• Trappola a scatto come la dionea, l’insetto entra e fa scattare la trappola.
• Trappola a nassa oppure adesiva come nella drosea (pinguicula molto comune in
montagna vicino alle sorgenti, foglie molto chiare e non troppo fotosintetiche e
fiorellini bianchi o azzurri), l’insetto rimane appiccicato alle foglie e poi viene digerito.
• Trappola ad aspirazione attraverso le ghiandole.
• Le piante carnivore non sono molto diffuse, a differenza di quelle succulente, in
quanto colonizzano ambienti non comuni e perché sono deboli competitrici. La
coltivazione non è semplice infatti servono adatti strumenti per controllare il pH.

Il FITORISANAMENTO.
Le matrici ambientali sono soggette all’accumulo di materiali. L’uomo attraverso
l’agricoltura e l’industria ha rilasciato nell’ambiente sostanze che quindi si trovano in
concentrazioni superiori rispetto a quelle usuali. È chiaro che le sostanze come metalli
pesanti e arsenico sono presenti naturalmente nell’atmosfera ma in concentrazioni
basse. Quando la concentrazione di queste sostanze aumenta costituisce un pericolo per
l’ambiente e per l’uomo.
È allora indispensabile intervenire per recuperare le matrici ambientali e, l’utilizzo delle
piante, rappresenta una modalità nuova ed efficace per fare ciò. L’utilizzo delle piante ha
diversi vantaggi: un basso costo economico rispetto ad altre tecnologie di tipo
ingegneristico; ha una buona accettazione dell’opinione pubblica (vedere un’area verde
al posto di una discarica è più apprezzabile); permette di recuperare i suoli dal punto di
vista ecologico. Anche le acque possono essere trattate in questomodo.
Gli inquinanti che vengono trattati con l’utilizzo di piante possono essere di tipo inorganico
(metalli e metalloidi) o di tipo organico (composti da carbonio). La differenza importante è
che le molecole

inorganiche vengono accumulate dentro l’organismo sotto forma di nutrienti, mentre, le


molecole organiche vengono degradate non per azione diretta delle piante, ma per
azione degli organismi associate ad esse (batteri e funghi).
Sull’asse delle ascisse abbiamo la concentrazione della sostanza presa in
considerazione; sull’asse delle ordinate la risposta della pianta.
Questa risposta non è meglio caratterizzata, parametro ottimale sarebbe la fitness della
pianta, ma difficile da misurare, quindi per comodità ci si riferisce a caratteri morfologici
come la crescita. La risposta può essere positiva o negativa in maniera crescente dunque
con gradualità continua. Le due curve rappresentate riguardano due tipologie di sostanze:
• Linea continua: parliamo di sostanze essenziali che l’organismo assorbe, infatti si ha
una risposta positiva al crescere della concentrazione della sostanza. Tale risposta si ha
fino ad un livello massimo ottimale, dal quale, se la concentrazione continua ad aumentare,
si ha una risposta negativa fino ad arrivare al caso limite di tossicità.
• Linea tratteggiata: la sostanza non viene normalmente assimilata dall’organismo. Il
grafico presenta una zona orizzontale in cui non si ha una risposta negativa pronunciata, ma
di tolleranza, infatti tutti gli organismi hanno evoluto l’abilità di tollerare le sostanze
tossiche tramite dei meccanismi di detossificazione che eliminano le sostanze nocive o
le accumulano in siti specializzati dove vengono rese inoffensive. Questa capacità però non
è illimitata, ma presenta dei limiti. Quando questi limiti vengono superati
progressivamente la risposta dell’organismo va peggiorando fino a raggiungere la morte.

Tra gli elementi metallici molti sono essenziali, si pensi al rame, allo zinco, al magnesio, al
sodio, al potassio; queste sostanze seguono l’andamento della curva continua e risultano
essere necessari per la sopravvivenza dell’organismo.
Allo stesso tempo possono essere presenti nell’ambiente molecole che non sono utili o
addirittura tossiche e che quindi non prendono parte ad attività enzimatiche e non
vengono sfruttati dagli organismi viventi, si pensi al cadmio e al mercurio. Tuttavia queste
sostanze riescono a penetrare negli organismi viventi tramite i canali ionici.
L’idea è quella di utilizzare piante particolarmente tolleranti e resistenti per sottrarre alle
matrici alte concentrazioni di sostanze tossiche. La problematica principale risulta essere
quella della scelta e dello smaltimento di tali piante. In primo luogo viene scelto di
utilizzare piante che non rientrino nella catena alimentare.
Un organismo ha la capacità di mantenere un’omeostasi, ovvero una serie di condizioni
ottimali per la vita. Questa condizione indica che ci deve essere una certa concentrazione
degli elementi, un certo PH ecc. finchè l’organismo riesce a mantenere le condizioni di
omeostasi la sua sopravvivenza è garantita; quando si esce dalla condizione di equilibrio
si ha una condizione di stress che a lungo andare causa la morte.

Ma come fa una pianta a sopravvivere in presenza di sostanze inquinanti?


Strategia di esclusione: la pianta sviluppa la capacità di non raccogliere e non assimilare le
sostanze inquinanti. Una pianta di questo genere sarà adattata, dal punto di vista della
fitness, ad

un ambiente inquinato, ma è altrettanto ovvio che una pianta di questo tipo non può
essere utilizzata per l’intervento di fitorisanamento.

TIPOLOGIE DI FITORISANAMENTO.
In funzione della matrice e del tipo di inquinante possiamo compiere diverse tipologie
di fitorisanamento:
• Fitoestrazione, si usano piante per assorbire e accumulare contaminanti, metalli,
eccessi di nutrienti che siano eventualmente presenti nel suolo e nelle acque. In questo
modo si assorbono le sostanze e vengono sottratte dalla matrice. Una volta che la pianta è
cresciuta con queste sostanze viene utilizzata per la produzione di energia, viene quindi
bruciata e dalle ceneri possono essere estratti metalli (rame)
• Rizofiltrazione, si usano le piante per assorbire contaminanti e anche sostanze
radioattive dalle acque. Si sfruttano quindi piante adatte a crescere in ambienti umidi. Un
uso tipico è quello negli impianti di zootermia; a valle degli allevamenti sono presenti
vasche di raccolta in cui sono immersi i rifiuti animali e quindi ricchi di azoto. Un eccesso
di azoto emesso nell’ambiente può causare problemi di crescita eccessiva di alghe verdi e
cianobatteri che possono inquinare i corsi d’acqua.
• Fitostabilizzazione, si fanno crescere delle piante su una matrice inquinata perché sia le
radici che gli essudati radicali hanno la capacità di legare, stabilizzandoli e rendendoli
poco mobili i contaminanti presenti nel suolo stesso. In questo modo viene ridotta la
quantità e la capacità dei contaminanti di nuocere ad altri organismi. In effetti alcuni
elementi rimangono all’interno delle radici perché troppo tossici
• Fitovolatilizzazione, alcuni elementi possono essere assimilati dal suolo tramite le
radici, trasferiti alla parte aerea e possono poi essere dispersi nell’aria. Questo avviene
normalmente legando gli ioni mercurio o ioni selenio a delle molecole organiche volatili e se
ne ha poi il rilascio in atmosfera.
• Fitodegradazione, ovvero l’uso delle piante in associazione ad organismi (funghi e
batteri per degradare complessi metallici o organo metallici presenti nel suolo.

PIANTE UTILIZZATE PER IL FITORISANAMENTO.


Una pianta per essere idonea per il fitorisanamento deve essere in grado di accumulare
grandi quantità di metalli, le cosiddette iperaccumulatrici. Lo sono alcune brassicacee, ottimi
accumulatori di casmio, di piombo, e moltissime asteracee (come dente di leone o il
girasole). L’utilizzo di piante iperaccumulatrici può funzionare ma presenta un grosso
problema perché solitamente tali piante hanno dimensioni abbastanza contenute e quindi
la quantità di metalli estratti è minima.
Si possono allora utilizzare piante erbacee di grandi dimensioni che non sono
iperaccumulatrici in senso stretto (concentrazione di metalli relativamente bassa) ma sul
totale della biomassa prodotta l’estrazione sarà particolarmente efficace. Queste piante
vengono utilizzate con una tecnica detta SRC, ovvero delle culture da taglio che vengono
fatte crescere per un ciclo relativamente breve e poi espiantate. Un esempio è il pioppo
che viene normalmente accresciuto in un ciclo di 15-20 anni, per attività di
fitorisanamento l’accrescimento va dai 4 ai 6 anni. L’aspetto positivo è che dopo il taglio le
radici rimangono al suolo e quindi possono far nascere nuove piante.
Le specie del genere pioppo hanno un areale molto ampio: si trovano pioppi in tutta l’Eurasia, in
Cina, nel Nord America e in parte anche nel Mediterraneo. Questo è estremamente
positivo per l’applicazione della tecnologia.
Il pioppo è una pianta che produce tanta biomassa e lo fa in modo rapido; è una pianta con
ottima capacità rigenerativa, infatti, mantenendo le radici ributteranno con grande
facilità e, in secondo luogo significa anche avere una grande facilità di propagazione. I
pioppi per queste finalità e anche per finalità industriali vengono normalmente propagati
mediante talea, significa che se si va su una pianta esistente si tagliano dei rami (20 cm) e si
ripiantano nel terreno. Da queste talee si formano nuove radici di tipo avventizio che
ripristinano il normale funzionamento delle piante. Questo significa che avremo dei cloni
con la stessa efficienza di assorbimento dei metalli, senza passare attraverso i rischi della
riproduzione sessuale che potrebbe modificare questo carattere.
Il pioppo è una pianta che è stata studiata e coltivata per molto tempo quindi abbiamo una
collezione genetica di piante con caratteristiche diverse dalla quale possiamo scegliere
quelle migliori per il nostro fine. Con il pioppo sono possibili delle applicazioni biotecnologie
perché è una pianta suscettibile alla trasformazione bioetica, ovvero esistono protocolli
efficienti per inserire dei
geni di interesse nelle piantine di pioppo e per coltivare le piantine in vitro e per
eventualmente micropropagarle. Al momento nell’UE è vietato utilizzare organismi
geneticamente modificati in campo.
Il pioppo è anche suscettibile a micorrizzazione sia endomicorriza che ectomicorriza,
questo significa che possiamo utilizzare questi microrganismi per migliorare
l’attecchimento delle piante, per migliorare questi l’assorbimento dei nutrienti, per
ridurre lo stress ed eventualemente per aumentare la capacità di assimilazione degli
inquinanti nel suolo.
Il pioppo è una pianta che ha importanti aspetti economici, in passato venivano
utilizzati principalmente per la produzione di carta, oggi non è più così, si fanno compensati,
fogli multistrati e pellet.
Inoltre piante di pioppo sono meno soggette all’attacco degli erbivori. Il pioppo è una
pianta che in autunno perde le foglie e queste foglie accumulate sul terreno potrebbero
restituire gli inquinanti che hanno accumulato, bisogna allora provvedere
periodicamente alla raccolta delle foglie; normalmente questo viene fatto recintando la
zona aspettando che il vento trasporti le foglie ai lati dove sono più facilmente recuperabili.
Questi sono i motivi per cui il pioppo è una pianta molto indicata per essere sfruttata in un
contesto di fitorisanamento.
Ovviamente caratteristiche simili a queste possono essere ricercate anche in altre specie.

APPLICAZIONI DI FITORISANAMENTO.
Si è fatta un’attività di screening di una collezione di piante di pioppo per il fitorisanamento
di suoli inquinati da metalli pesanti, in particolare rame e zinco.
In questa attività si è verificato il livello di dissimilarità generica di una popolazioni di Populus
alba e di due popolazioni di Populusnigra e si è valutata all’interno di ciascuna delle tre
popolazioni. Questo serviva a stabilire se la diversità genetica all’interno della popolazione
fosse tale da giustificare la ricerca di piante con caratteristiche diverse tra di loro e quindi la
possibilità che qualcuna di queste piante avesse successo nell’estrazione di tolleranza dei
metalli.
La seconda parte di attività riguardava la selezione in campo di cloni tolleranti e capaci di

accumulare metalli; sono state piantate un certo numero di talee ed è stato osservato
quante di queste, a che genere appartenevano e si accumulavano oppure no i metalli.
La terza parte del lavoro consisteva nel valutare la concentrazione di metalli nel suolo
prima e dopo l’impianto e nei cloni selezionati.

• Analisi della dissimilarità genetica: abbiamo un gene di poliacrilammide che


rappresenta il risultato di un’analisi AFLP, ovvero l’analisi di frammenti amplificati in
seguito al trattamento con enzimi di restrizione. In pratica si estrae il DNA genomico e gli si
applica degli enzimi di restrizione che lo tagliano in punti specifici; se il DNA di due
organismi è differente i tagli avverranno in punti differenti e otterremo dei frammenti di
differente lunghezza. Si possono costruire delle matrici matematiche di presenza-
assenzae confrontare ladiversitàdituttequestepopolazioni.
Nel nostro caso sono stati presi in considerazione 40 cloni di pioppo bianco (al), 66 cloni
di una popolazione di pioppo nero (ng), 62 di una popolazione di pioppo nero con diversa
origine geografica (sn) e 3 cloni commerciali.
Una volta costruita la matrice si può analizzare con strumenti matematici e costruire un
albero in cui la lunghezza dei rami indica la dissimilarità.
Il nostro diagramma sul pioppo bianco ci dice che la dissimilarità interna alla
popolazione era abbastanza elevata per giustificare la ricerca di cloni con caratteristiche
diverse tra di loro (circa 30%). Questo era abbastanza simile ai risultati per le altre
popolazioni.
• Selezione in campo: i cloni sono stati utilizzati in una zona contaminata da metalli (tra
Serravalle e Cassano Spinola). In questa zona è presente un grande stabilimento che
produce leghe metalliche, nel tempo tutta l’area sottoposta all’azione dei fiumi è
inquinata da rame e zinco con concentrazioni piuttosto elevate nel suolo (100 ppm). Nel
2003 un’area circoscritta è stata utilizzata per piantare i cloni selezionati (170/175 cloni
con 12 repliche per clone). Le piante nel frattempo hanno avuto una buonarisposta.
Dopo il primo anno è stato fatto un censimento sulla sopravvivenza delle piante e sulle
dimensioni delle stesse. Sono state divise in classi di sopravvivenza: 0 piante morte, 1
(fino a 20 cm) -2 -3 (oltre 70 cm) in base all’altezza terra. Tutte e tre le popolazioni hanno
avuto una distribuzione della

sopravvivenza di tipo normale (a campana o curva gaussiana).


Nel primo anno di analisi non si hanno avuto rischi nella correlazione tra la dimensione delle
piante e il tasso di sopravvivenza; mentre nel secondo anno si è riscontrato che le piante più
grandi presentavano maggiore sopravvivenza.
• Valutazione della concentrazione dei metalli: il rame e lo zinco sono nutrienti
essenziali per le piante, ma in basse dosi. Nel nostro suolo prima di impiantare le talee
erano presenti 950 ppm di zinco nei primi 20 cm e circa 1300 ppm di rame nei primi 20 cm.
Dopo l’accrescimento delle piante (6 mesi di coltura) il livello dello zinco è sceso a poco più
di 700 ppm nei primi 20 cm (20% in meno) e quello del rame a meno di 1000 ppm.
Inoltre è stata fatta un’analisi sulle concentrazioni dei due metalli nelle varie parti della
pianta (foglie, fusto, radici) e si è osservato che alcuni cloni selezionati con buona
sopravvivenza hanno differenze, alcuni accumulano più metalli altri meno. In particolare
il clone al35 accumula molto zinco nelle foglie e nei rami e molto più degli altri nelle radici.
Si osserva (a parte il campione al35) che tutti i cloni accumulano poco zinco a livello delle
radici, questo perché viene trasferito a livello aereo. Allo stesso modo il rame. Per quanto
riguarda il rame questo tipo di risultati è abbastanza anomalo in quanto esperimenti in serra
hanno evidenziato che mettendo del rame nel terreno la pianta lo assorbe, ma lo mantiene
nelle radici. Dobbiamo pertanto immaginare che il grosso del rame presente sulle foglie
(30/50 ppm) proviene dall’emissione. Il clone al35 accumula anche molto rame nel suolo e
lo trasferisce almeno in parte nel suolo. Dunque risulta essere il migliore clone. Questo
clone essendo maggiormente tollerante ai metalli si presuppone che abbia meccanismi di
detossificazione molto efficienti.
I meccanismi coinvolti sono molteplici: le piante rispondono alla presenza di metalli
accumulandoli
in distretti particolari, due sono i siti adibiti a fare questo, il vacuolo e le pareti.
Il vacuolo può essere il sito di accumulo di sostanze di riserva o sostanze di scarto; il metallo
viene legato ad una molecola organica ricca di gruppi sulfidrile che si legano al metallo e si
trasferiscono nel vacuolo dove lo stabilizzano. Le pareti possono legare il metallo perché
composte da pectine che portano dei gruppi acidi COOH che in condizioni fisiologiche
-; i metalli hanno carica positiva e possono complessarsi agli ioni.
COO

C’è poi un terzo meccanismo che prevede l’interazione con particolari molecole,
poliammine, presenti in tutti gli organismi viventi. Le poliammine hanno funzioni
importanti per la risposta allo stress, sono almeno in parte legate al ruolo di antiossidanti,
si sa che sono essenziali, ma non si conoscono tutti i meccanismi di azione.
Sono divise in due grandi gruppi: poliammine libere e poliammine coniugate a gruppi
idrossici dinamici di varia natura. Sono state prese in considerazione tre poliammine, la
putrescina, la spermidina e la spermina, e sono state misurate le concentrazioni. Si vede
che le concentrazioni sono abbastanza basse per i cloni di controllo, crescono nelle piante
sottoposte a stress da metalli, ma la cosa straordinaria è che nel nostro clone al35 la
concentrazione di putrescina toccava le 400 nmol/g contro al massimo le 55 nmol/g
riscontrate nelle altre piante.
Allora è evidente la correlazione tra l’abbondanza di queste poliammine nel clone al35 e la
capacità di accumulare metalli.
L’etilene è un ormone vegetale che è, per esempio, coinvolto nella maturazione dei frutti
e dell’ormone dello stress. Se è presente un certo tipo di stress, come quello da metalli,
la pianta produce etilene e accresce la sua crescita; se noi sopprimiamo la presenza di
etilene possiamo ridurre la condizione distress.
Il processo che porta alla sintesi di etilene e quello che porta alla sintesi di poliammine
sono in competizione per un metabolita; se noi incrementassimo la produzione di
poliammine, da un lato, aumenteremmo la loro azione positiva nei confronti dello stress,
dall’altro avremmo una diminuzione della produzione di etilene. Questo è vantaggioso
per la pianta e potrebbe essere un modo per far rispondere la pianta allo stress da metalli.
In conclusione le popolazioni di pioppo avevano una dissimilarità genetica sufficientemente
ampia da tentare di essere esplorata per cercare cloni resistenti, tolleranti e capaci di
accumulare in relazione a diverse condizioni ambientali. In questo modo sono state
selezionate alcune piante di pioppo che presentavano una sopravvivenza
particolarmente elevata rispetto alla media e che almeno in un caso avevano elevate
concentrazioni di rame e di zinco. La sola piantumazione ha presentato un notevole
potenziale per il fitorisanamento. L’accumulo di metalli ha provocato variazioni nella
concentrazione fogliare delle poliammine, in particolare putrescina. Il rame

produceva gli effetti più marcati mentre concentrazioni elevate di putrescina


coniugata sembravano particolarmente importanti nella tolleranza allo stress.

LA RIPRODUZIONE
Com’è fatto un fiore?
Il fiore è l’organo riproduttivo delle piante a seme, cioè delle angiosperme.
Abbiamo un peduncolo, che si allarga alla sommità e questa zona prende il nome di
ricettacolo; nel ricettacolo si trovano inserite delle foglioline verdi; chiamate sepali, il cui
insieme costituisce il calice. Al di sopra dei sepali vi sono i petali, il cui insieme costituisce la
corolla.
La funzione del calice e della corolla è quella di proteggere gli organi riproduttivi e di attrarre
gli insetti nel caso delle piante il cui polline si distribuisce per mezzo degli insetti.
L’organo riproduttivo femminile è il pistillo, mentre l’organo riproduttivo maschile è lo stame.
Il pistillo ha una base allargata, chiamata ovario, prosegue nello stilo e termina nello
stigma. All’interno dell’ovario sono presenti uno o più ovuli. Ogni ovulo contiene un
gamete femminile, la oosfera.
Lo stame ha un filamento che lo porta e termina con due antere, all’interno delle quali
vengono prodotti i granuli pollinici che contengono il gamete maschile.

I GRANULI POLLINICI
I granuli pollinici hanno un rivestimento esterno, chiamato esina, che può essere
variamente decorato e ornamentato. Ogni polline relativo ad una pianta ha le sue
ornamentazioni e lo strato esterno del granulo pollinico è impregnato di sporopollenina,
molto resistente.
I pori germinativi sono quelle zone in cui la sporopollenina si interrompe, ma è presente la
parete cellulosica (non c’è un buco e non c’è contatto con l’aria), e sono le zone in cui il
polline può germinare; se non ci fossero i pori germinativi, il tubo pollinico non
potrebbe uscire. Quando il polline raggiunge il pistillo per portare il gamete maschile,
deve germinare e produrre il tubetto pollinico, una struttura che cresce e si allunga in
una direzione, in base ad una crescita apicale, cioè le vescicole golgiane si affollano verso
la direzione di crescita guidate dai microtubuli e si ha la formazione di una nuova parete.
A seconda del numero di pori, ci sono dei caratteri sistematici dovuti alla posizione e alla forma
delle aperture.

La parete esterna del granulo pollinico può essere costituita sempre dall’esina, come strato
esterno, e da uno strato interno cellulosico, chiamato intina.
L’esina a sua volta può essere pluristratificata con due strati molto compatti seguiti da uno
strato più esterno, che è quello ornamentato.
Le ornamentazioni sono caratteristiche di quelle piante che distribuiscono il loro polline
mediante gli insetti, esse consentono una migliore adesione al corpo degli insetti.
Quando mancano le

ornamentazione il polline viene diffuso attraverso il vento.


Si parla di impollinazione entomofila quando avviene tramite gli insetti e il polline possiede
delle ornamentazioni.
Si parla di impollinazione anemofila quando avviene tramite il vento e il polline non possiede
delle ornamentazioni.
L’ORGANO RIPRODUTTIVO MASCHILE

L’immagine mostra l’organo


riproduttivo maschile. A sinistra
vediamo un’antera nel dettaglio.
Sezione trasversale di antera, in cui vediamo un tessuto esterno, l’esotecio, e un tessuto
interno, chiamato endotecio. Sono delle strutture che proteggono i granuli pollinici
durante la loro formazione (sono veri e propri organi).
Il tappeto è un tessuto poliploide, cioè le sue cellule hanno un numero di ploidia multiplo
di quello della specie. Il significato fisiologico della ploidia è quello di consentire delle
attività metaboliche in tempi molto più brevi rispetto ad una cellula con ploidia minore.
Si trova poliploidia nelle cellule molto attive, di solito quelle secernenti, anche negli
uomini e negli animali. Nel tappeto ci sono cellule molto attive che hanno la funzione di
nutrire il granulo pollinico durante il suo sviluppo. Il

tappeto presenta 4 logge, all’interno delle quali c’è un tessuto sporigeno che darà origine
a delle spore.
La pianta angiosperma, poiché produce spore, viene definita sporofito (diploide). E’ la fase
predominante della vitadella pianta.
Le antere si sviluppano a partire da alcune foglioline, che vanno incontro a divisioni
cellulari e si forma il tappeto e il tessuto sporigeno, il quale darà origine a delle spore che
poi nel loro interno origineranno i gameti. Le spore che si formano sono inizialmente
delle tetradi di spore tenute insieme da un tessuto, chiamato callosio, e le spore vengono
originate per meiosi, perciò le spore sono aploidi.
Le tetradi di spore si liberano, il callosio viene digerito e ogni spora è quindi libera. Ogni
spora è una microspora perché contiene dei nuclei aploidi ed è essenzialmente il granulo
pollinico.
L’immagine è stata ottenuta con il microscopio elettronico a trasmissione.
Notiamo che ci sono cellule fortemente differenziate con grossi vacuoli nell’endotecio e
nell’esotecio, mentre il tappeto contiene cellule con grossi nucleoli, fabbrica di ribosomi.

In tarda profase
iniziano a
dividersi i
cromosomi. La
parete di queste
cellule è
secondaria, ma
sottile. È una
cellula
metabolicamente
moltoattiva.
L’immagine rappresenta una sezione trasversale di antera durante profase. Si possono
vedere le
cellule madri e il reticolo endoplasmatico delle cellule madri ad anelli concentrici. È visibile anche il
tappeto delle cellule madri.

Il callosio dal punto di vista biochimico è molto simile alla cellulosa, ma differisce per la
posizione della molecola di glucosio e dalla presenza del legame α. È il risultato di una
sostanza amorfa. La cellula madre va incontro a meiosi e si forma la tetrade di meiospore.
Il callosio viene digerito ed è possibile che venga digerito da enzimi prodotti dalle cellule del
tappeto.

Infine, le microspore, cioè i granuli pollinici, sono liberi con le loro ornamentazioni.
Sezione al microscopio ottico.
Che cosa succede all’interno della microspora? All’interno della microspora possiamo
trovare due o tre nuclei aploidi.
Se troviamo due nuclei aploidi, uno sarà il nucleo generativo, l’altro sarà il nucleo
vegetativo. Il polline in questo caso è binucleato, con entrambi i nuclei aploidi. Il nucleo
vegetativo serve a controllare lo sviluppo del tubetto pollinico, che si sviluppa solo
quando il granulo pollinico si è posato sullo stigma e quando tra la superficie dello stigma e
la parete del granulo pollinico è avvenuto il riconoscimento.
La funzione del tubetto pollinico è quella di portare il gamete maschile.
In realtà sono necessari due nuclei vegetativi, quindi nel caso del polline binucleato, il
nucleo generativo esistente va incontro a mitosi nel momento prima che avvenga la
fecondazione.
In moti granuli pollinici invece ci sono gin dall’inizio tre nuclei aplodici, due generativi e uno
vegetativo. Questa situazione viene considerata più evoluta perché accelera i processi di
fecondazione e non deve avvenire l’ultima divisione meiotica, in quanto il polline è già
pronto per la fecondazione.
Nelle angiosperme consiste in una doppia fecondazione.

L’ORGANO RIPRODUTTIVO FEMMINILE


Il pistillo è composto da stimma, stilo e
ovario. All’interno dell’ovario ci possono
essere uno o più ovuli.
L’ovulo ha 2 tegumenti, all’interno del quale troviamo il sacco embrionale, il micropilo che
è l’apertura e le cellule madri delle spore (che sono ancora diploidi).
Di queste, 3 degenerano e una va incontro a meiosi generando8 nuclei aploidi e, questi, uno per
parte migrano al centrofondendosi.
Se abbiamo 2 nuclei che migrano e si fondono, otteniamo un nucleo diploide.
Questo nucleo diploide è chiamato nucleo dell’endosperma secondario.
Restano quindi 3 nuclei da una parte e 3 dall’altra.
Il nucleo centrale sarà il gamete femminile (oosfera) aploide; le cellule vicine serviranno
dopo la fecondazione quando lo zigote si trasformerà in embrione per aiutare lo sviluppo
dell’embrione. Queste cellule infatti sono dotate delle caratteristiche estroflessioni di
parete che aiutano il trasferimento di sostanze, per cui si chiamano sinergidi.
I nuclei delle cellule della parte opposta si chiamano antipodali.
Dopo breve tempo questi nuclei si cellularizzano circondandosi di un po’ di citoplasma.
Tutti questi nuclei sono contenuti in una struttura diploide, che iene portata da una pianta
diploide, lo sporofito.
Cosa succede quando arriva il granulo pollinico? Se avviene il riconoscimento, quindi il
polline è quello giusto, il polline arriva, poggia sullo stigma che può essere secco o umido,
avviene il riconoscimento e la prima risposta è l’idratazione, quindi il nucleo vegetativo del
granulo pollinico controlla lo sviluppo del granulo pollinico, che avviene lungo le pareti
dello stilo, sino ad arrivare al micropilo.
I nuclei generativi vengono materialmente portati uno al nucleo femminile e uno al
nucleo dell’endosperma secondario. Vi è quindi una doppia fecondazione.
Quindi uno va a fecondare il nucleo dell’endosperma secondario, quindi 2n + n forma un
nucleo triploide, e uno va a fecondare l’oosfera e quindi si origina lo zigote, il quale va
incontro a una prima divisione asimmetrica: la cellula più grande diventerà il sospensore
dell’embrione, e

l’embrione verrà contenuto in questa struttura destinata a diventare il seme. Quando è


avvenuta la fecondazione, l’ovario diventa frutto e gli ovuli diventano semi. Le pareti
dell’ovulo si induriscono e lignificano e si sviluppa l’embrione, che se porta un cotiledone
appartiene alle monocotiledoni, se ne porta due diventa dicotiledone. L’endosperma
secondario è il tessuto di riserva nel quale è immerso l’embrione, che servirà al seme
durante la gemmazione, poiché anche il seme si idrata e l’embrione fuoriesce dal seme e
diventa la parte verde, che raggiunge subito la luce.
La prima fase è quindi una fase eterotrofa. Quanto più un seme è profondo, tanto più deve
avere bisogno di sostanze diriserva.

L’immagine a sinistra rappresenta una sezione trasversale di antera in cui vediamo le


quattro logge. L’antera è la parte terminale dell’organo riproduttivo maschile, lo stame.
Nelle logge vediamo il tappeto e all’interno i microsporociti, cioè quelli che diventeranno
i granuli pollinici. In alto vediamo il tessuto connettore; ogni parte della pianta potrà ricevere
l’acquaenutrienti.
L’immagine a destra rappresenta un’antera con i granuli pollinici maturi. L’antera si rompe
in due parti per effetti di tensione dovuti alla disidratazione della parete, che presenta
lignina nella porzione interna e quando si disidrata si creano delle forze di tensione che
fanno aprire le antere e liberano i granuli pollinici.
L’immaginerappresentaun granulo dipollineal microscopio otticoatrasmissione in cui sivede il
nucleo generativo e il nucleolo. Quando vediamo il nucleolo che appare pieno di piccoli
vacuoli significa che è particolarmente attivo.
Vediamo la membrana nucleare, i diversi organelli e l’esina del granulo pollinico con le
diverse ornamentazioni.
Il tappeto comincia a degenerare, poiché la funzione del tapperò è quella di nutrire i granuli
pollinici, ma quando essi sono ormai maturi non ah più motivo di esistere.
Il granulo pollinico ha due o tre nuclei che si circonderanno di citoplasma e di una
membrana; quindi all’interno del granulo pollinico non ci sono i nuclei, ma ci sono due o
tre cellule ed è aploide.
In alcuni casi avremo una sola cellula generativa con il suo plasmalemma e una cellula
vegetativa che occupa tutto il resto del granulo pollinico con il suo plasmalemma che si
inserisce intorno alla cellula generativa.

L’immagine rappresenta il granulo pollinico con gli organuli cellulari, il nucleo della cellula
vegetativa (più grosso) e il nucleo della cellula generativa. Il nucleolo molto vacuolato.
Al centro vediamo il nucleo generativo che è circondato dal nucleo vegetativo. Vediamo
mitocondri, reticolo endoplasmatico del Golgi e vacuoli del citoplasma.
Che differenza notiamo tra i due nuclei? La cromatina del nucleo generativo è
‘eterocormatina’ (perché scura), ma può essere sia cromatina codificante, sia non
codificante, sia condensata perché in quel momento ha DNA non attivo.
L’immagine rappresenta una granulo pollinico trinucleato, che viene considerato più evoluto
rispetto al binucleato, perché il binucleato deve ancora prepararsi quando si appoggia sullo
stigma edeveancoraavvenireladivisonenelnucleogenerativo,mentreiltrinucleatoègià
pronto.
Le cellule generative possono anche essere chiamate cellule spermatiche.
Le cellule spermatiche e la cellula vegetativa sono separate ma occupano tutto lo spazioe del
granulo pollinico.

Immagine a microscopia
ottica, ottenuta con
obiettivo 100x a
immersione e colo0rata.
Una colorazione specifica
per il DNA potrebbe
essere la reazione
Folghen.

L’immagine al microscopio elettronico a scansione mostra l’antera che si apre della pianta di
Ibisco e i granuli pollinici con le loro ornamentazioni. Si può notare un particolare, cioè
qualche granulo pollinico ha già qualche estroflessione e potrebbe essere dovuto al
trattamento subito per la preparazione alla microscopia.

Immagine colorata artificialmente dei granuli pollinici con pori vegetativi.


Nell’immagine si può notare la differenza tra il
granulo pollinico trinucleato e binucleato.
Schema della struttura del fiore. Il talamo è ricettacolo. Vediamo le antere, il pistillo con
l’ovario, lo
stilo e lo stigma.
Lo stigma, o stimma, è la parte su cui si posa il granulo pollinico. Può essere di tipo umido,
cioè ricoperto da un essudato, oppure di tipo asciutto, cioè uno stigma secco, come ad
esempio nel cavolo.

L’essudato può essere di


natura lipidica, come il tabacco e la Petunia oppure di natura polare, come il Giglio.
L’immagine mostra un
esempio di stigma secco di
Ipomea. La superficie dello
stigma, che è molto
invaginato con estroflessioni,
ha la funzione di accogliere in
maniera ottimale i granuli
pollinici.

L’immagine mostra uno stigma con papille con appoggiati i granuli pollinici.
Lo stilo in certi casi rari può mancare (come nel Papavero), ma nella maggior parte dei casi è
presente e può essere pieno, come nelle Rosacee, Solenacee e Crucifere, oppure
cavo ,come nel caso del Giglio. In entrambi i casi il tubetto pollinico è in grado di penetrare.
L’immagine mostra una sezione trasversale di stilo pieno, dove è possibile vedere che la
maggior parte dello stilo è occupato da tessuto parenchimale. È presente un tessuto di
trasmissione, che consente la conduzione dell’acqua e dei nutrienti ed è presente la
corteccia.

Lo stilo cavo ha un’epidermide rivestita con un epitelio interno ed un essudato.


L’ovulo può essere ortotropo, cioè dritto, oppure anatropo, come quello mostrato
nell’immagine ed è il più comune.

Il nucleo proendospermatico è quel nucleo al centro che può essere fecondato.


Ontogenesi dell’ovulo.

Ogni tipo di pianta ha un suo polline particolare, una specie di “impronta vegetale” che lascia
tracce. La principale applicazione forense della palinologia (scienza che studia i pollini) è
fornire prove che provino o neghino legami tra persone, luoghi e oggetti. Se si conosce la
pioggia pollinica di una determinata zona, allora si potrà supporre che gruppo di pollini
dovrebbe essere rinvenuto nei campioni di una determinata area. Un numero elevato di
granuli pollinici di piante ad impollinazione zoofila, per esempio, non può essere dovuto
a contaminazione ambientale, ma implica un avvenuto contatto tra pianta e oggetto o
persona.
È importante occuparsi di riproduzione perché c’è la possibilità di intervenire sull’ibridazione
e ha
grandi conseguenze economiche.

L’immagine rappresenta il nucleo del


megasporocita che darà origine agli
otto nuclei dell’ ovulo.

Per meiosi questa cellula madre darà origine ad otto nuclei aploidi (caso generale) che si
dispongono ai due poli. Uno per parte migra al centro dando un nucleo diploide;
l’oosfera verrà fecondata; le sinergidi e tutti i nuclei si circondano di citoplasma. Dal
momento che si trovano agli antipodi sono cellule apntipodiali.
La fase aploide delle piante superiori è molto ridotta dal momento che il granulo pollinico
presenta al massimo tre nuclei aploidi e quindi nell’ovulo otto nuclei aploidi. Questa
fase vienechiamata gametofitica.
La cellula madre che è diploide va incontro ad una prima meiosi, poi a mitosi e dalla cellula
madre si ottengono otto nuclei.
Alla fine si vedranno cellule antipodi ali, nuclei polari, oosfera, le due sinergini e l’apparato
filiforme che è un insieme di invaginazioni di parete che hanno le sinergidi perché serve a
trasferire i nutrienti all’embrione in via di sviluppo.
Quando arriva il tubetto pollinico portato dal vento o dagli insetti porta due nuclei generativi,
uno va a fecondare il nucleo dell’endosperma secondario che diventa triploide mentre
l’altro nucleo va a fecondare l’oosfera, formando lo zigote.
Dopo la fecondazione, l’ovulo si trasforma in seme, le pareti si induriscono e possono in
parte lignificarsi e il nucleo dell’endosperma secondario controlla l’origine del tessuto di
riserva, che può essere amido o di natura lipidica o di natura proteica. Questo servirà
all’embrione quando il seme germinerà.
In un primo momento lo zigote si divide in modo asimmetrico e va incontro a successive
divisioni che daranno origine all’embrione. All’interno del seme c’è quindi una vera e propria
piantina con un tessuto di riserva. Il seme resta quiescente fino a quando non trova delle
condizioni opportune per germinare. Se il seme è posto molto in profondità è presente
molto tessuto di riserva in modo che la piantina possa sopravvivere senza luce e quindi in
un primo momento è eterotrofa. Se invece il seme è in superficie non necessita di molto
tessuto di riserva perché germinando la piantina trova subito la luce e diventa autotrofa.
Dopo la fecondazione l’uovo diventa seme mentre l’ovario diventa frutto. La diffusione della
specie
è affidata al seme.
CICLO RIPRODUTTIVO
DELLE PIANTE A FIORE (ANGIOSPERME)
Nello schema è possibile vedere un fiore con il pistillo, l’ovario, lo stilo, lo stigma, un
ovulo che contiene sacco embrionale e gli otto nuclei.
Parallelamente vediamo lo stame, le antere e i granuli pollinici (fecondazione). In seguito alla
fecondazionesiformailseme edalseme siformalapianta.Il ciclopuòcosì iniziare ancora.

I SEMI ARTIFICIALI.
I semi artificiali sono delle piantine con un involucro esterno del tutto artificiale, ad esempio
il cactus.
I semi artificiali sono stati messi a punto nell’istituto di Sanremo. Quando si individuano delle
piante con particolare caratteristiche e si vogliono riprodurle uguali si utilizzano i semi
artificiali. Si prende l’apice e si fa rigenerare.
Questo rappresenta un’alternativa alla micropropagazione.

IL POLLINE E LE ALLERGIE.
L’immuno localizzazione che si fa in microscopia elettronica utilizza l’oro. I granuli pollinici
possono quindi avere delle proteine che fuoriescono dal citoplasma attraverso i pori
germinativi, oppure restano adese alla superficie del granulo pollinico. Durante lo
sviluppo del granulo pollinico, le proteine possono avere origine interna, staminale
(dallo stame) che possono essere cariche di energia.
I granuli pollinici possono essere colorati in modo diverso. Le piante che hanno le
antere che disperdono il polline nell’ambiente sono quelle che più facilmente possono dare
allergie, come nel caso delle graminacee. Tra le piante più responsabili di allergie c’è
l’ambrosia artemisiifolia, che appartiene alla famiglia delle Composite o Asteracee.
Una pianta infestante molto comune anche nelle città è la Parietaria che può provocare
delle allergie, come ad esempio il cipresso, la betulla e la quercia.
È necessario che il polline venga rilasciato, che venga trasportato al pistillo e che si
fermi sullo stigma. Il trasporto del polline sullo stigma (impollinazione) può avvenire
attraverso il vento (anemofila) o gli insetti (zoofila ma possono esserci anche uccell). Il
polline viene trattenuto dai peli o da papille.
L’impollinazione può avvenire anche attraverso l’acqua come nel caso delle piante
acquatiche (idrofila).
Altri animali che trasportano il polline possono essere il colibrì, il pipistrello, la farfalla e le
mosche. C’è quindi una coevoluzione tra piante ed animali e un rapporto reciproco di
vantaggi ma non si può parlare di simbiosi perché il rapporto è di breve durata. La visione
di un animale impollinatore può essere diverso dallanostra.
Le ricompense per l’impollinatore sono il ricavo di nutrimento, un aumento del fascino e il
sesso. Il trattenimento del polline da parte dello stigma è diverso in base allo stigma che
può essere secco che presenta delle strutture per trattenere i granuli pollinici e in
questo caso si parla di intrattenimento di tipo
Oppure può essere umido che fa aderire il polline.
Quando il granulo pollinico comincia ad essere trasportato dall’antera può essere
completamente

disidratato come quella del tabacco, o può essere già idratato. Se è disidratato la prima fase
che si compie è l’idratazione e il polline cambia la forma e diventa quasi sferico invece che
appiattito.
Durante la germinazione c’è emissione del tubetto pollinico che fuoriesce ma si
interrompe ed è protetto da una parete che si forma ad opera delle vescicole Golgiane
con un meccanismo di crescita apicale e prende il nome di intina.
Quando il polline arriva si appoggia e viene intrappolato o rimane appiccicato ma prima di
emettere il tubetto pollinico deve avvenire il riconoscimento e deve esserci una guida.
La guida chimica è quella che viene data dal secreto delle cellule che si trovano
all’interno dello stilo ricco di glicolipidi e glicoproteine, in particolare sono state isolate
delle glicoproteine ricche di prolina e il riconoscimento avviene anche durante tutto il
percorso dello stilo.
Inizialmente c’è una fase di crescita autotrofa in cui il polline utilizza le proprie riserve per
generare il tubetto pollinico e utilizza le sostanze presenti negli spazi intercellulari del
tessuto di trasmissione dello stilo. Il tubetto pollinico arriva fino all’ovario e il tessuto che
nutre gli ovuli si chiama placentea. Lo stilo ha quindi anche la funzione di guidare il tubetto
pollinico fino all’ingresso dell’ovulo e quindi fino all’oosfera che contiene il sacco
embrionale.

ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA PALINOLOGIA FORENSE


Nel 1994, a Magdeburg, in Germania, venne scoperta una fossa comune con 32
scheletri di uomini; la loro identità e quella degli assassini non era nota. Due erano le
ipotesi:
• Le vittime erano state uccise nella primavera del 1945 dalla Gestapo, alla fine della
Seconda Guerra Mondiale;
• Le vittime erano soldati sovietici uccisi dalla polizia segreta sovietica, dopo la rivolta
della Repubblica Democratica Tedesca, nel giugno del 1953.
La possibilità di distinguere il periodo (primaver5a o estate) risultò il punto critico per
risolvere il caso: l’analisi palinologica sulle cavità nasali dei teschio, rivelò in almeno 7 di
essi la presenza di elevate quantità di polline di platano, tiglio e segale. Queste piante
liberano il loro polline nei mesi di giugno e luglio e questo fatto supportò la seconda ipotesi.

LA BOTANICA FORENSE.
Questa disciplina si basa sulla constatazione che anche piante e porzioni di vegetali
possono fornire preziose testimonianze su di un crimine (luogo, momento in cui è
avvenuto, informazioni sulla vittima, ecc…).
La Botanica forense comprende numerose discipline botaniche: Anatomia vegetale,
dendrocronologia, limnologia, palinologia, sistematica vegetale, ecologia vegetale,
biologia molecolare delle piante.

L’utilizzo delle prove botaniche nelle investigazioni legali è relativamente recente. Fino
alla metà del 1930, la consulenza di esperti in campo scientifico era richiesta solo per
l’analisi delle impronte digitali, della scrittura, dei proiettili e del contenuto stomacale.
La prima testimonianza botanica ad essere presa in esame in una Corte del Nord America
riguardò il caso del rapimento di Charles Lindbergh Jr. , figlio del famoso aviatore (compì
nel 1927 la prima traversata in aereo dell’Atlantico senza scalo) e portò alla condanna di
Bruno Hauptmann per il crimine nel 1935.

Arthur Koehler, un esperto di identificazione del legno del Forest Product Laboratory degli
UnitedStatesForest Service riuscì ad identificare, mediante lìanalisi microscopica della
tessitura del legno, le specie usate per costruire la scala impiegata nel rapimento.
Si trattava di: Pinus ponderosa, abete di Douglas e betulla. Inoltre, egli verificò che gli
anelli di crescita annuale ed i nodi di legno presenti su uno dei pioli della scala,
combaciavano perfettamente con una porzione di asse del pavimento in legno rinvenuto
nell’attico del sospettato.

Recentemente la Botanica forense è stata portata all’attenzione internazionale dal


Tribunale delle Nazioni Unite per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia (eccidi di massa):
per nascondere la portata delle esecuzioni, i corpi vennero spostati e dispersi in diverse
località, ma fu proprio l’analisi dei minerali e dei pollini rinvenuti sui resti ad aiutare ad
individuare i luoghi dove erano stati compiuti i delitti.

In America alcuni scienziati hanno utilizzato invece lo studio dei residui vegetali ingeriti dalle
vittime per risolvere alcuni casi di omicidio.
Le analisi di materiale vegetale (rami, radici, polline, foglie, etc…) possono far luce su
diversi aspetti elle indagini:
• Collocazione cronologica di un delitto: le informazioni cronologiche possono essere
dedotte dagli anelli di crescita nel legno, soprattutto nelle radici di arbusti e alberi presenti
nel sito (nei climi temperati, con presenza di stagioni distinte);
• Localizzazione del luogo di sepoltura o occultamento di un cadavere: le piante, essendo
ancorate al suolo, si devono adattare passivamente alle caratteristiche del luogo in cui
crescono e perciò ne riflettono le condizioni ecologiche; ciò permette talvolta di risalire
alle caratteristiche del luogo ove sono cresciute.
Dendrocronologia (dendron = albero; kronos = tempo): scienza che studia
l’accrescimento delle piante arboree nel tempo, le modalità con cui questo si sviluppa e
i fattori esterni che lo influenzano. Poiché nel corso degli anni gli andamenti climatici
stagionali non sono mai identici, gli anelli di crescita portano nei loro tessuti l’impronta
delle singole stagioni) e quindi degli anni) durante le quali si sono formati.

Anche le radici possono dare alcune informazioni: accade improvvisamente che lo scavo
di una tomba improvvisa tagli ed elimini le radici; lo spazio perso viene rioccupato da
nuovi getti, più giovani rispetto alla sepoltura: valutando l’età delle nuove radici si può
risalire almeno ad un periodo ante quem della sepoltura.
Spesso, invece, durante lo scavo di una buca nel terreno, le radici sono danneggiate, ma
continuano a crescere; in questo caso il numero di anelli deposti verso la lesione indica il
numero di anni intercorso dopo il danno.
In particolare, è estremamente significativo il ritrovamento di radici che passano
attraverso i resti (vestiti o ossa) dellevittime.

La parete cellulare è molto importante per due ragioni: essa non viene digerita dalla
maggior parte degli organismi e perciò persiste anche quando altre caratteristiche del
vegetale vanno distrutte.
Forma, taglia e aspetto delle pareti cellulari sono spesso specie specifiche.
Tipologia degli stomi, forma delle cellule epidermiche, ornamentazione cuticolare e
tricomi sono spesso specie-specifici perciò utili nell’indicazione del materiale vegetale.

Le diatomee sono alghe unicellulari che variano in dimensioni da 5 a oltre 500 micron ed
hanno una parete silicea, per cui si conservano molto bene. In caso di annegamento il
soggetto può inalare o ingerire acqua contenente diatomee, che possono entrare nella
circolazione sanguigna ed essere trasportate nei vari organi ove possono essere ritrovate o
riconosciute.
Ovviamente se il corpo viene posto, post-mortem nell’acqua, quando cioè la circolazione
sanguigna è cessata, le diatomee non possono più essere trasportate negli organi del
grande circolo, ma semmai soltanto nei polmoni o nello stomaco.
L’identificazione delle diatomee spesso consente di avere indicazioni sulla zona in cui è
annegato il soggetto. La variazione nell’abbondanza e la diversità delle diatomee
permette, infatti, di caratterizzare gli habitats acquatici: i dati delle analisi dei campioni
raccolti sui resti della vittima vanno confrontati con quelli del luogo del ritrovamento del
cadavere e/o del crimine.
Inoltre i patterns di colonizzazione algale sono un buon mezzo di valutare il tempo di
immersione i un corpo. Meno di 20 taxa colonizzatori implicano immersione recente,
mentre più di 50 taxa indicano immersione di diverse settimane.
Il contenuto stomacale di una persona ci può dare delle informazioni. Tra i resti vegetali
possiamo avere:
• Cellule caratteristiche che derivano da vegetali usati nell’alimentazione possono
fornire indicazioni sull’ultimo pasto della vittima e quindi anche sui suoi movimenti (Bock e
Norris, 1997);
• Cristalli tipo rafidi ( ananas, cipolla);
• Cristalli tipo druse (agrumi, bietole, spinacio) o stiloidi (cipolla), corpi silicei (cereali,
bamboo);
• Sclereidi (pere)
• Granuli d’amido (patate, riso)

RESTI VEGETALI NEL CORREDO DI OTZI


Otzi, l’uomo dei ghiacci o uomo del Similaun. La mummia dell’età del Rame, di un uomo
cacciatore-guerriero, congelato 5000 anni fa, fu rinvenuta nel 1991 in Val Venosta, a 3210
m.
Corredo: arco in legno di tasso; faretra in pelle con telaio in nocciolo con 14 frecce in viburno;
ascia con manico in legno di tasso; un pugnatello con fodero in fibra vegetale; due funghi
Piptoporusbetulinus e Fomesfomentarius (esca per conservare il fuoco); due recipienti
cilindrici in corteccia di betulla, contenenti foglie di acero che avvolgevano carboncini di
legna; corde in fibra vegetale; asticelle in larice e verga in nocciolo costituenti l’intelaiatura
di una gerla; due chicchi di grano Triticummonococcum (potrebbero indicare
provenienza dell’uomo da una comunità ad economia agricola stanziata in valle).

In genere, i resti vegetali nell’apparato digerente consistono dei cosiddetti macroresti (resti
di cibo) e microresti, rappresentati dal polline.
Un modo nel quale il polline è ingerito tramite l’adesività a cibi vegetali ingeriti. Questo tipo
di polline è classificato come “economicpollen”.
D’altra parte, il contenuto pollinico della bassa atmosfera è incorporato non
intenzionalmente nei residui di cibo, respirando o bevendo acqua. Questo è definito come
“background pollen” e riflette la composizione generale della vegetazione nell’area dove la
personaol’animaleviveva.

PALINOLOGIA FORENSE
Polline e spore rinvenute in terra, abiti, capelli, materiale da imballo ecc… possono rivelare
l’origine geografica o possono legare un individuo o un oggetto alla scena di un crimine.
Similmente, polline e spore rinvenuti nelle droghe illegali, come marijuana e cocaina,
possono collegare queste droghe con le loro zone d’origine e possono indicare che carichi
arrivino dalla stessa o da diverse zone di produzione.
Altri tipi di materiale utilizzati in questi studi sono: mieli (composizione e origine
geografica); frutta secca importata, zucchero grezzo, caffè, sisal (paese d’origine e
d’importazione) ecc.

BIOLOGIA MOLECOLARE SU MATERIALE VEGETALE


In alcun i casi, anche nel campo della Botanica forense può essere risolutivo l’impiego di metodi
molecolari (es. RAPD, basato sulla PCR –polymerasechainreaction-).
Nel “Maricopa case” il DNA vegetale venne per la prima volta ammesso come prova in una
Corte di Giustizia americana (1993).
In questo caso, un albero fu testimone di un delitto: “palo verde tree”, Parkinsoniamicrophylla (o
Cercidiummicrophyllum), tipico del deserto dell’Arizona.

Il corpo di una donna assassinata venne rinvenuto presso una fabbrica abbandonata della
Contea di Maricopa, in Arizona. L’uomo sospettato del delitto negava di essere mai stato in
quel luogo, ma furono rinvenuti sui suoi abiti alcuni frutti di una albero (palo verde tree),
presente nella zona. Grazie alla straordinaria variabilità genetica che questa specie
presenta, ripetuti test permisero di distinguere l’albero presente sulla scena del crimine
da numerosi altri presenti nei dintorni e da quelli scelti a caso attorno a Phoenix (Yoon,
1993).

AVVELENAMENTI DA FUNGHI.
Amanita phalloides, A. verna e A. virosa, che contengono principi azotati tossici e Amanita
muscaria, che deve il potere tossico alla colina, responsabile dei disturbi gastro-intestinali,
e alla micotropina, che agisce sul sistema nervoso centrale.
Amanita phalloides, fungo che cresce soprattutto sotto le latifoglie. La sua ingestione causa
avvelenamenti quasi sempre mortali.
Amanita muscaria, la sua ingestione provoca intossicazione di tipo neurotropico.

AVVELENAMENTI DA PIANTE SUPERIORI


Tra le dicotiledoni, peresempio:
• Agrostemma githago (Cariofillacee);
• Neriumoleander (Apocinacee)
• Datura stramonium ed Atropa belladonna (Solenacee)
• Artemisia absinthium (Composite)
• Helleborusfoetidus(Ranuncolacee)
• Digitalis purpurea (Scrofulariacee)
Tra le monocotiledoni, per esempio: Colchicumautumnale e Veratrum album (Liliacee)

Atropa belladonna (Solenacee): pianta erbacea perenne, alta 1 m, viscida e fetida, molto
tossica e soprattutto pericolosa per l’ingestione delle bacche, che possono attirare
l’attenzione dei bambini (3-15 possono essere mortali). Contiene alcaloidi tropanici
(scopolamina, iosciamina, ed atropina). Nota a Romani e Greci (avvelenamento
dell’imperatore Claudio) e usata dalle dame del Rinascimento per far sembrare più
grandi e belli gli occhi.

Datura stramonium: pianta erbacea annua, alta 50-100 cm, che cresce negli incolti.
Grandi fiori con corolla tubulosa-imbutiforme; capsula dotata di aculei. Le foglie di
questa vengono usate come antiasmatico (es. sigarette), più raramente fiori o semi.
Contiene alcaloidi di tipo atropinico e ioscina.
Nei casi di avvelenamento si verifica la dilatazione delle pupille, capogiro e
delirio. Nella polvere delle foglie si trovano prismi di ossalato di calcio e
sabbia cristallina.

Agrostemma githago (gittaione): comune un tempo come infestante nei campi di cereali.
I semi maturi venivano trasportati e sovente macinati insieme a quelli di grano e, spesso,
quando erano in quantità rilevanti, causavano avvelenamenti in quanto tossici, per la
presenza di glicosidi. Negli ultimi decenni, l’uso di diserbanti chimici ne ha notevolmente
ridotto la presenza.

PIANTE DA DROGA
Tra le piante più diffusamente utilizzate per ricavare droga, ricordiamo:
• Canapa o canapa indiana (Cannabis sativa), che appartiene alla famiglia delle
Cannabaceae, è originaria dell’Asia centrale ed occidentale ed è coltivata in India, Medio
oriente e Nord Africa.
• Coca (Erytroxylon coca), che appartiene alla famiglia delle Erythroxylaceae, è un
arbusto o piccolo albero originario del Perù e della Bolivia.
• Papavero (Papaversomniferum), che4 appartiene alla famiglia delle Papaveraceae, è
originario dell’Asia minore e si trova spontaneo in Italia in luoghi incolti delle coste
Tirreniche. Presenta diverse varietà.

Papavero da oppio: pianta annuale, da tempo coltivata per la produzione di oppio, vigorosa,
alta 1-
1.5 m. il fiore ha sepali caduchi e 4 petali bianco-rosati, con unghia basale scura. Al centro ci
sono i numerosissimi stami e il pistillo, che è sormontato da un disco sessile, è formato da
12-18 carpelli concresciuti.
Dalla capsula immatura, per incisione longitudinale o trasversale, fuoriesce il latice, che si
rapprende all’aria, si scurisce per ossidazione e si forma l’oppio. Questo viene raccolto ed
essiccato, con procedure diverse nei diversi paesi.
La droga è l’oppio che contiene dal 10 al 20 % di alcaloidi, tra i quali i più importanti sono:
morfina, codeina, tebaina, papaverina e narcotina.
L’oppio agisce sulla corteccia cerebrale e sul centro del dolore (derivati usati come
analgesici e anestetici). I semi sono privi di alcaloidi e risultano molto utili per
l’alimentazione (dolci, pane, mangimi per uccelli, olio usato in cucina).
Coca: coltivata in Bolivia e Perù ad altitudini di 500-2000 m, potando le piante in modo
che non superino i 2 m di altezza.
Le foglie essiccate contengono principi attivi stimolanti e vengono masticate dagli Indigeni
dell’America meridionale per sopportare la fatica e la fame, infatti contengono lo 0.7-
1.5% di alcaloidi totali (cocaina, cinnamil cocaina e α-truxillina). La cocaina agisce sul SNC,
perciò è una

delle prime droghe usate come stimolante mentale. Produce assuefazione. Esistono
diverse varietà: coca boliviana o Huanuco, coca peruviana oTruxilloe coca giavanese,
che differiscono anche per il contenuto in alcaloidi.ù
Le foglie mostrano sulla superficie inferiore due linee curvate molto caratteristiche, una
per ogni lato della nervatura centrale (ben evidenti nelle foglie di Huanuco).
In sezione trasversale le foglie mostrano parenchima a palizzata con prismi di ossalato di
calcio e un’epidermide inferiore papillosa, con numerosi stomi.

METODI DI ANALISI
In base a recenti studi, la cocaina può essere attribuita a specifiche zone di coltivazione
del Sud America, analizzando il rapporto tra gli isotopi stabili del carbonio (13C) e azoto (15N).
Differenze nel suolo influiscono su 15N, mentre umidità e lunghezza della stagione umida
influiscono su 13C. la variazione in questi isotopi può essere usata per prevedere la
naturale variazione degli isotopi nei relativi raccolti.
Ehleringer et al. (2000) hanno verifica to che su 200 campioni di cocaina quest’analisi
combaciava al 90% con la zona di provenienza; la percentuale saliva al 96% quando essa era
associata all’analisi degli alcaloidi in traccia (Truxillina e trimethoxycocaine). Queste due
analisi associate, perciò, rappresentano un possibile mezzo per seguire le rotte del
traffico di cocaina e di identificare zone di coltivazione nuove o già esistnti.

Cannabis sativa (canapa): pianta erbacea annua, dioica, alta fino a 2 m, originaria dell’Asia
centrale e occidentale; coltivata in India, Medio Oriente e Nord Africa. Ha
caratteristiche foglie palmatocomposte, con penne lanceolate a margine seghettato. Nei
climi temperati essa produce un tasso modesto di cannabinoidi ed è coltivata per le sue
fibre (industrie tessili) e per l’olio dei semi (in Italia usato nella medicina popolare per
curare le infiammazioni delle mucose).
Il tasso di principi attivi rimane alto solo in prima generazione (seme formatosi su
esemplari dei paesi di origine). In seconda generazione, invece, risulta ridotto. Inoltre,
sembra che il clima nel quale le piante crescono influisca molto su questi valori.

I METALLI PESANTI
3 e sono
I metalli pesanti sono elementi naturali, aventi peso specifico superiore a 5 g/cm
elementi di transizione. Sono presenti sulla superficie terrestre, in ogni tipo di ambiente;
possono essere presenti per motivi naturali ma anche per motivi antropici, legai
all’attività industriale. Alcuni di questi a vaste concentrazioni sono indispensabili per le
piante, cioè sono elementi essenziali. Una pianta non può crescere se non ha una quantità
minima di questi elementi, ad esempio lo zinco o il rame. Questi stessi elementi però, se
presenti a concentrazioni troppo elevate, divengono tossici. L’eccesso di rame dovuto
all’uso del verderame sui vigneti può causare un problema. Ci sono poi dei metalli che non
sono affatto indispensabili e possono essere non pericolosi allo stato elementare (ad
eccezione del mercurio), mentre lo sono se sono presenti nella loro forma cationica. Per
origine naturale si trovano in suoli serpentinici (Nichel, Cromo, Cobalto), calaminici (Zinco,
Piombo e Cadmio) e zone vicine ad eruzioni vulcaniche.
Per origine antropica sono dovuti a scarichi industriali, per pratiche agricole (pesticidi ed
erbicidi) e
per sfruttamento delle miniere. Provocano danni a tutti gli organismi viventi. B, Cu, Fe, Mn,
Zn sono micronutrienti di questi metalli pesanti ma non sempre sono resi disponibili per le
piante. Nel suolo c’è un’abbondanza di cariche negative che legano i metalli, a seconda
delle condizioni ambientali possono cambiare, soprattutto se cambia il pH.
Il suolo ed i sedimenti colloidali sono carichi negativamente, a causa della presenza di
gruppi idrossilici e doppietti elettronici dell’ossigeno nei substrati argillosi e di gruppi
carbossilici e fenolici nelle sostanze organiche. Gli ioni metallici hanno cariche positive e
sono attratti da tali cariche negative. Persino in soluzione acquosa, i metalli sono legati
a piccole particelle cariche negativamente. Alcuni fattori abiotici possono favorire il
rilascio di metalli fa sostanze colloidali e complessi, influenzando la concentrazione dei
metalli biodisponibili ed, in particolare, la loro disponibilità per le piante. Ad esempio
+
bassi valori di pH incrementano la disponibilità di metalli pensati in quanto gli ioni H
hanno alta affinità per le cariche negative e competono con i metalli per il legame a siti di
natura colloidale. La disponibilità dipende dal metallo, dal tipo di suolo e dal tipo di pianta.
I metalli vengono assorbiti a libello dell’apoplasto delle radici, insieme delle pareti e spazi

intercellulari. Tuttavia nella parete sono presenti delle molecole cariche negativamente
(pectine, acido galatturonico). I metalli entrano e possono essere catturati dalle pareti.
Legandosi alle cariche negative. Non tutti i metalli vengono fermati, quelli che procedono
possono anche passare attraverso la membrana plasmatica; passano attraverso
meccanismi passivi ma anche attraverso meccanismi metabolici in cui sono coinvolte delle
ATPasi di membrana. Una volta che sono entrati nel citoplasma, i metalli possono essere
accumulati legandosi a cariche negative in molecole solubili presenti, oppure si possono
legare (complessare) con determinate molecole quali gli acidi organici e le fitochelatine.
Queste sono delle piccole proteine, polipeptidi ricchi di zolfo. Le fitochelatine (fito= di
origine vegetale, chelatine= che legano) legano il metallo e lo trasportano all’interno del
vacuolo, dove il pH più acido fasi che il metallo venga liberato. La fitochelatina senza il
metallo, torna indietro nel citoplasma e ricomincia il ciclo. Mediante questo meccanismo
molte piante riescono a tollerare elevante quantità di metalli, in quanto segregano
queste sostanze tossiche nel vacuolo.
FITOCHELATINE
Sono peptidi semplici che contengono glutammato, cisteina e glicina in proporzione
2:2:1 o 11:11:1. Piccoli peptidi che contengono zolfo e che vengono sintetizzate a partire
dal glutatione. Non esiste un gene che codifica per le fitochelatine, in quanto vengono
sintetizzate a partire da glutatione, in presenza di metalli pesanti e la reazione viene
catalizzata dall’enzima fitochelatina sintasi. Esiste però un gene che codifica per questo
enzima. La cisteina è l’amminoacido che contiene zolfo, grazie ad essa le fotochelatine
possono formare complessi con molti metalli pensanti. Sono presenti nelle alghe, nei
muschi, nelle piante superiori, nei funghi e nei nematodi (dove sono state trovate -> C.
Elegans). La fitochelatina sintasi in presenza di metalli pesanti è arriva mentre in assenza
è disattivata.
I metalli se sono in forma gassosa come il mercurio possono penetrare nelle foglie attraverso gli
stomi e in forma di ioni penetrano attraverso la cuticola, sottile strato che riveste la
parte verde delle piante. Ci potrebbe essere una correlazione tra l’alimentazione,
l’inquinamento ambientale e l’insorgere del cancro. I metalli pensati sono genotossici,
inducono quindi modiche del DNA, sia su

cellule umane in cultura sia sulle piante.


Una volta che i metalli hanno superato anche la barriera citoplasmatica, che non si sono
fermati nel vacuolo, e riescono a passare la barriera che delimita il cilindro centrare
delle radici (endondermide), vanno a finire nei vasi xilematici e qui vengono trasportati;
il rame legato ad aminoacidi, il cadmio come ione e lo zinco legato ad acidi organici. Da
qui possono andare nella porzione aerea. Quindi ci sono pianta che accumulano i metalli
nelle radici e alcuni che li accumulano nella parte verde. Una pianta iperaccumulatrice ad
uso alimentare è il girasole, da cui si ricava olio e semi ed è il tarassaco il quale accumula
piombo nelle foglie. Aumentando la concentrazione dei metalli pesanti nel terreno, ci
sono alcune piante che fino a certi valori non ne assumono e non li assorbono, queste
vengono chiamate excluder. Tuttavia, superata una certa concentrazione critica, anche
le escludes ne accumulano. Ci sono altre piante la cui concentrazione di metalli
accumulati aumenta via via che accumula la quantità di metalli nel terreno, queste
possono essere usate come indicatrici e piante sentinella. Altre ancora, aumentano la
concentrazione nel terreno, accumulano ma fino ad un certo valore limite. Quindi si
distinguono i gruppi degli accumulatori, gli indicatori e gli excluder. Tra gli accumulatori
troviamo le piante iperaccumulatrici, utili perfitorisanamento.
I metalli pesanti causano danni alla respirazione cellulare, inibiscono le attività enzimatiche,
denaturano le proteine e degradano il DNA; questo avviene in tutti gli organismi ma nelle
piante inducono necrosi, clorosi (la clorofilla si degrada e la pianta diventa gialla), e radici
si scuriscono (per l’accumulo di composti fenolici) e diminuzione della crescita dei
tessuti. Il metallo induce l’insorgere di specie reattive di ossigeno.
Il metallo può essere immobilizzato nel suolo con la produzione di acidi organici o nelle pareti.
Può

essere compartimentalizzato cioè segregato nel vacuolo, può essere escluso cioè non
assorbito, si può avere la lignificazione radicale come barriera ulteriore. La produzione di
molecole che legano i metalli (essudati radicali), la produzione di fitochelatine che
trasportano i metalli nei vacuoli. La produzione di metallotioneine, la modificazione del
profilo proteico e la sintesi di etilene da stress. C’è un picco di etilene che aiuta la pianta a
sopportare lo stress, chiamato picco benefico; se la concentrazione del metallo aumenta,
abbiamo un secondo picco, cioè il picco deleterio, questo induce senescenza nella pianta.
Esperimento condotto su Giacinto d’acqua e lattuga d’acqua, due piante acquatiche, per
studiare
la loro resistenza al cadmio, pericoloso inquinante acquatico, e per sapere se si possono
sfruttare per detossificare le acque. Sono state fatte vasche artificiali con concentrazioni
diverse di cadmio. La lattuga accumula il cadmio nelle radici, lo accumula ad alte
concentrazioni, mentre il giacinto soprattutto nelle foglie con la modalità della lattuga
(ad alte concentrazioni accumula maggiormente). Si trovano accumuli di fenoli nei vacuoli
di giacinto nei cristalli di ossalato di calcio, dove il calcio viene sostituito dal cadmio. Il
risultato dimostra che sia nelle radici che nelle foglio sono molto più presenti le
fitochelatine nella lattuga d’acqua, mentre il giacinto contrasta il metallo pesante
producendo acido ascorbico.

METALLOTIONEINE
Sono presenti in animali, cianobatteri e funghi e la loro funzione è di detossificazione nei
confronti dei metalli pesanti. Sono delle molecole molto piccole, comprese tra i 6 e gli 8
kD, più precisamente dei peptidi ricchi di cisteina (di zolfo). A differenza delle
fitochelatine, le metallotioneine non trasportano i metalli pesanti nel vacuolo ma la
loro azione è quella semplicemente di detossificare cioè rendere il metallo non
disponibile e quindi complessano il metallo nel citoplasma. Un’altra differenza è che
esistono dei geni che codificano per le metallotioneine. Vengono raggruppate in classi:
Prima classe: comprende le metallotioneine dei mammiferi con 20 residui di cisteina altamente
conservati.
Seconda classe: comprende piante, funghi e vertebrati inferiori.

Il legame tiolico con i metalli forma grazie ai gruppi funzionali contenenti zolfo. Nella pianta
modello arabidopsis thaliana, di cui si conosce bene il genoma, sono state riconosciute
nelle radici, nelle foglie e nei semi 700 metallotioneine che includono rappresentanti dei
gruppi citati.
Le regioni promotrici dei geni metallotioneine 1A,2A,2B,3B sono state fuse con un gene
reporter della β-glucuronidasi e gas e trasferire in arabidopsis. La β-glucuronidasi se è in
presenza del giusto substrato fa diventare blu le radici, poiché β-glucuronidasi è
collegata ai geni delle metallotioneine, si è in grado di vedere dove esse siano collocate.
Dove si vede blu quindi si vede l’espressione delle metallotioneine di diversi tipi. 1° viene
espressa in cotiledoni, nelle radici ma non nell’apice e un po’ nelle foglie.
Somministrando un metallo pesante, ad esempio il rame, si vede l’espressione dei geni
per le metallotioneine in arabidopsis.

METALLI PESANTI NEL MERISTEMA RADICALE


Un sistema molto facile per ottenere indicazioni è quello di ricorrere ai meristemi radicali
(cellule staminali radicali), prima di ricorrere alla coltura di cellule umane, poiché danno
risultati attendibili in pochissimo tempo. La radice, che è un organo ipogeo, è la prima
parte della pianta che viene a contatto con la presenza di sostanze tossiche, se si usa per
esempio la pianta di pisello pisum sativum, si nota che il cadmio si deposita proprio
nelle radici. L’apice radicale è la zona in cui è presente la parte meristematica della radice,
le cellule in attiva divisione, in queste cellule è possibile vedere gli effetti indotti dal cadmio
e da altri metalli pesanti. Con l’aumentare della concentrazione di cadmio diminuisce
l’indice mitotico, mentre in altre specie c’è un picco. Questo si può spiegare con il fatto che
alte concentrazioni di cadmio possono indurre le cellule del centro quiescente (cellule che
non si dividono ma che entrano in azione quando c’è uno stress) a dividersi perché in
condizioni di stress. I diversi genotipi rispondono in modo diverso.
L’effetto del cadmio nella mitosi delle cellule meristematiche può portare nella metafase,
quando i
cromosomi sono tutti accartocciati in un stessa zona e sono cromosomi inspessiti, si parla di
sticky chromosomes, in altri casi si rompono dei pezzi di cromosomi e in altri casi ancora si
formano dei ponti di due cromosomi appaiati. Questi sono esempi di gene tossicità.
Le cellule sviluppandosi, portano dei danni al DNA che possono essere ingenti. Se ci sono delle

anomalie nell’apice di una radice possono essere possibili, in seguito, anomalie


mitotiche in qualsiasi organo e tessuto.
Il comet test (test della cometa) serve per studiare il danno del DNA: sottoponendo un
campione a elettroforesi (in miniatura, su vetrino), quindi ad un campo elettrico, si vede
che il DNA migra fino ad uscire dalla membrana del nucleo che si rompe, creando una
specie di cometa; più grande è la cometa, più degradato sarà il DNA e maggiore il danno
nucleare.
RIPRODUZIONE GIMNOSPERME: (piante a seme)
Le gimnosperme non hanno il fiore, hanno gli ovuli nudi e quindi non sono avvolti dalla
foglia che li produce e le foglie che proteggono gli ovuli sono dette BRATTEE e sono
organizzate in coni o strobili (pigne).

L’immagine rappresenta uno strobilo maschile di pino (pigna maschile) dove è presente
un asse centrale, cioè l’asse del cono e delle brattee; ci sono inoltre sacche polliniche. Non
c’è fiore, non ci sono gli stami e non ci sono le antere.
Le sacche polliniche sono portate nei coni maschili e protette dalle brattee.

L’immagine rappresenta strobili femminili (sezione) che presentano delle brattee e gli ovuli,
portati nell’ascella delle brattee. Gli ovuli sono quindi esposti e dopo la fecondazione
diventeranno seme.

Nelle conifere non c’è doppia fecondazione e neanche la fusione dei nuclei. Viene
fecondata solo la cellula uovo.
Anche nella angiosperme sono presenti tegumenti dell’uovo, che dopo la fecondazione
diventeranno i tegumenti del seme.
All’interno dell’uovo troviamo due strutture a forma di fiasco dette ARCHEGONI, ciascuna di
queste contiene un’OOSFERA. Tutta la restante parte dell’ovulo è occupato da un
tessuto aploide (n) chiamato ENDOSPERMA PRIMARIO. Quando l’ovulo diventerà seme,
l’endosperma primario sarà tessuto di riserva dell’embrione in via di sviluppo.
La parte gametofitica aploide è più estesa nelle gimnosperme in quanto ci sono tutto
l’endosperma primario più gli archegoni, che contengono ciascuno un’oosfera; mentre
nelle angiosperme abbiamo solo otto nuclei che alla fine diventano 6 aploidi e uno diploide.
L’oosfera verrà fecondata dal granulo pollinico che arriva direttamente sull’ovulo,al
contrario delle angiosperme in cui arriva sullo stigma, poi nello stilo ed infine, attraverso
l’ovario, entra nell’ovulo.
Nelle gimnosperme viene emessa una goccia dall’ovulo chiamata GOCCIA MICROPILARE
(micropilo è l’apertura dell’ovulo), la quale ingloba polline e ritraendosi lo trasporta
all’interno dell’ovulo. Nella goccia micro pilare il polline si idrata , emette il tubetti
pollinico e porta il nucleo

generativo. Qualora venissero fecondate entrambe le oosfere, un solo zigote sopravvive


mentre l’altro viene abortito. Non è possibile che i due archegoni diano origine a due
embrioni, si sviluppa sempre un solo embrione.

L’immagine rappresenta dei giovani strobili femminili di larice (si capisce perché le foglie
aghiformi sono numerosi e corte). Per il raggiungimento della maturità completa da
parte di un giovane strobilo ci vogliono circa due anni, sono fenomeni molto lenti.
L’immagine rappresenta uno strobilo maturo che ha già perso i semi (pigna)
Nel ginepro il tegumento esterno diviene carnoso e sembra un frutto ma non lo è. Le bacche
(impropriamente chiamate) di ginepro vengono usate in cucina e per produrre il Gin.

La pianta di tasso è completamente velenosa, tranne la porzione esterna carnosa del seme
che è

commestibile per gliuccelli.


Nella pianta Ginko biloba non è presente la camera pollinica. Non porta i nuclei maschili, ma
porta delle cellule spermatiche che nuotano nella camera micro pilare, nella quale è
presente quindi dell’acqua. Queste cellule spermatiche andranno poi a fecondare
l’oosfera. I gameti maschili di questa pianta sono cellule mobili ciliate.
Le angiosperme sono completamente svincolate dalla vita acquatica mentre le
gimnosperme mantengono un legame con essa attraverso la goccia micro pilare.
A confronto i due metodi di riproduzione tra gimnosperme (A) e angiosperme (B)
Nelle angiosperme (B) abbiamo gli stami e le antere, che liberano i granuli pollinici
(trasportati dal vento o dagli insetti) arrivando sullo stigma. Qui, attraverso i meccanismi
di riconoscimento, se il polline è giusto germina ed emette il tubetto pollinico che va a
fecondare l’oosfera e il nucleo dell’endosperma secondario.
Nelle gimnosperme (A) non ci sono stami ma ci sono sacche polliniche portate dagli
strobili, i granuli pollinici vengono liberati e dispersi dal vento 8impollinazione
anemofila), vengono per questo prodotti in grandissima quantità in quanto in gran parte
andranno persi. Molti di loro hanno delle strutture che gli consentono di essere
trasportati più agevolmente (granulo di pino hanno delle sacche aeree), sono protetti
dalla squama della pigna. I granuli pollinici arrivano sulla goccia micro pilare, la quale
ritraendosi porta il pollina nella camera pollinica (prima degli archegoni). Il polline
depositato sulla goccia si idrata e poi germina ed emette il tubetto pollinico che porta il
nucleo generativo che va a fecondare l’oosfera (una sola fecondazione). Dopo che l’oosfera è
stata fecondata si ha lo sviluppo dell’embrione, che porta tante foglioline cioè numerosi
cotiledoni. Le angiosperme invece possono avere una o due cotiledoni; l’ovulo si trasforma
in seme, i tegumenti diventano coriacei ed il seme può cadere a terra ed essere
mangiato dagli animali e dovrebbe andare incontro a dei periodi di freddo.

LA GOCCIA MICROPILARE:
Essa contiene zuccheri, tra cui glucosio 6-fosfato, saccarosio, glucosio, fruttosio e
stanchiosio. Questi zuccheri hanno un doppio significato, per il nutrimento dei granuli
pollinici e per i meccanismi di riconoscimento. Nella goccia micro pilare sono contenute
anche delle proteine correlate con la formazione del tubetto pollinico dopo
l’idratazione, hanno cioè un ruolo nello sviluppo del tubetto pollinico e nella formazione
di una nuova parete: le XILOSIDASI e le GLUCANASI. Ce ne sono altre tra cui la CHITINASI
e la THAUMATINLIKE PROTEIN (TLP) che sono correlate con la difesa da patogeni e
coinvolte nei meccanismi di riconoscimento. La goccia micro pilare può non ritrarsi
per nulla, ritrarsi parzialmente oppure ritrarsi completamente. L’ultimo caso avviene
quando i granuli pollinici sono quelli corretti, tuttavia i

meccanismi di riconoscimento non sono così avanzati come nelle angiosperme quindi è
possibile che la goccia micro pilare si ritragga senza che ci sia del polline dentro ma
semplicemente delle particelle abiotiche di una certa dimensione.
Cosa succede quando si deposita il polline di un’altra specie? (etero specificità).
Sono stati utilizzati granuli di ginepro vitali e non vitali, polline di pero e polline di
parietaria, una pianta infestante.
In assenza di impollinazione, quindi in assenza di polline, la goccia micro pilare non si
ritrae. Nel caso del polline vitale c’è una ritrazione completa ma questo accade anche nel
caso del polline non vitale, la differenza sta nel fatto che il polline non vitale non sarà in
grado di fecondare. Con pollini di pero e parietaria non c’è ritrazione dopo un’ora ma c’è
una parziale ritrazione dopo tre ore.
Dopo tre ore la completa ritrazione c’è solo con il polline vitale della medesima
specie. Anche il numero di granuli pollinici può influenzare la ritrazione della
goccia
Sono stati effettuati anche studi con particelle abiotiche, le quali hanno in parte indotto la
ritrazione parziale. il particolato atmosferico può quindi influenzare la riproduzione e
alcuni esperimenti hanno dimostrato come. Il particolato induce la ritrazione micro pilare e
riduce il numero e la fertilità dei semi e lo sviluppo dell’embrione.

EFFETTI AMBIENTALI-OZONO:
Nell’atmosfera ci sono degli inquinanti primari come l’acido fluoridrico, l’ammoniaca, il
cloro, l’anidride solforosa ma abbiamo anche ozono (O3), il quale è fondamentale nella
troposfera per la protezione dai raggi UV. Ci possono essere anche dei “buchi” dell’ozono
per effetti dei composti clorofluorati. La presenza di ozono all’interno della troposfera,
più vicino alla terra, ha effetti negativi sugli organismi, sia sull’uomo che sugli animali e le
piante. L’ozono si diffonde anche molto lontano dalla sorgente dell’ozono stesso. Con 90
ppm si ha una situazione di attenzione, mentre l’allarme è con 180ppm.
La medesima concentrazione di ozono ha lo stesso effetto in qualsiasi zona della terra e su
tutte le
piante?

No perché la stessa pianta che vive in regioni differenti si trova in condizioni diverse.
Quando le temperature sono maggiori, le piante traspirano di più e perdono acqua
attraverso la superficie fogliare e soprattutto attraverso gli stomi (traspirazione cuticolare).
Se gli stomi sono aperti, l’ozono penetra più facilmente, mentre se gli stomi sono chiusi è
più difficile che entri. Nelle cellule epidermiche non ci sono cloroplasti normalmente, sono
presenti solamente cellule guardia e sono coinvolti meccanismi di apertura e di chiusura
degli stomi.
EFFETTI SUI CLOROPLASTI:
L’organello è delimitato da due membrane e da cisterne impilate, i TILACOIDI, i quali sono
impilati a loro volta per formare i GRANA.
Esistono due tipi di tilacoidi: GRANALI ed INTERGRANALI.
I tilacoidi, per effetto dell’ozono, sono leggermente dilatati, e si vede la presenza di
composti fenolici, i quali sono auto fluorescenti. I composti fenolici sono auto
fluorescenti perché hanno doppi legami negli anelli aromatici. Come risposta alla
presenza di ozono si formano quindi dei polifenoli, probabilmente tannini. Alcune
risposte possono sembrare malattie ma sono invece effetti da ozono. Sull’abete c’è una
diminuzione della clorofilla, si vedono i cloroplasti quasi bianchi. L’ozono induce morte
cellulare associata ad uno stress ossidativo. La diamioniobenzidina è molto cancerogena
ma permette di evidenziare i danni da ozono a diverse esposizioni. Si può monitorare
l’inquinamento da ozono con delle centraline, con dei campionatori passivi o con il
biomonitoraggio (utilizzare vari organismi viventi per valutare le condizioni
dell’ambiente. Può essere vantaggioso perché di basso costo). Esistono dei bioindicatori
per l’ozono, devono essere piante particolarmente sensibili all’ozono: le piante sentinella
(tabacco e pomodoro).
PARADOSSO DELL’OZONO:
L’ozono deve essere presente al di sopra della troposfera, ma non al di sotto. I buche
nell’ozono sono dannosissimi e infatti se l’ozono si trova all’interno della troposfera per
cause industriali è estremamente dannoso. L’ozono può avere fonti industriali, non si
limita all’aria di origine ma si espande; può trovarsi quindi anche in zone lontane da aree
industriali. Gli effetti dell’ozono non sono evidenti solo nelle piante ma anche negli
animali e nell’uomo.

MORFOGENESI FIORALE:
FIORE: complesso apparato di strutture funzionalmente specializzate e radicalmente
diverse dall’organismo vegetativo sia nella forma che nei tipi cellulari.
Sappiamo che il meristema vegetativo è costituito di cellule che sono in attiva divisione
fintanto che non cessa di dividersi e forma un nuovo meristema vegetativo (crescita
indeterminata). E’ possibile che questo meristema si trasformi in un meristema con
crescita determinata, questo accade nel meristema fiorale . L’insieme degli eventi che
portano alla trasformazione dell’apice vegetativo a fiore prende il nome di INDUZIONE
FIORALE.
Nell’immagine vediamo il peduncolo fiorale che si allarga in un ricettacolo. L’organo di
riproduzione femminile è costituito da ovario, stilo e stigma. Nell’ovario è contenuto l’ovulo.
Affianco vediamo gli stami composti da filamento e antera. I sepali sono piccole foglioline
verdi, e i petali sono colorati.

INDUZIONE FIORALE:
Dalla crescita vegetativa per effetto del fotoperiodo (diversa durata del periodo di luce)
il meristema diventa determinato. Da qui per l’espressione di alcuni geni si trasforma in
fiore. I meristemi fiorali sono distinguibili da quelli vegetativi perché più grossi e anche
più schiacciati. Il passaggio allo stato riproduttivo implica un aumento delle divisioni cellulari
delmeristema.
Vediamo un meristema vegetativo e uno fiorale
Il meccanismo della fioritura è stato studiato molto nella pianta modello Arabidopsis che
appartiene alla famiglia delle Brassicacee ed ha il vantaggio di essere piccola ed avere
un genoma sequenziato.

Fusto di Arabidopsis con infiorescenze primarie che producono un fusto allungato che
porta le gemme fiorali.
Il meristema fiorale determina la formazione di quattro organi organizzati in cerchi
concentrici detti verticilli. La formazione degli organi più interni (carpelli) esaurisce le
cellule meristematiche nella zona apicale e rimangono solo i primordi degli organi fiorali.
Durante la morfogenesi fiorale si formano 4 sepali versi, 4 petali bianchi, 6 stami di cui i 4 più
lunghi, un pistillo composto da due carpelli fusi (foglioline che costituiscono l’ovario), stilo e
stigma.

Sezione longitudinale del meristema e sua differenziazione


Pistillo di Arabidopsis visto al microscopio elettronico a scansione. Lo stilo è molto ridotto, lo
stigma è piumoso e trattiene il polline con le sue estroflessioni.

Oltre agli studi su Arabidopsis ne sono stati condotti altri su Anthirrinum (bocca di leone)
identificando una rete di geni che controllano lo sviluppo del fiore:
• Geni che determinano l’identità degli organi del fiore (fattori di trascrizione che
controllano l’espressione di geni di differenziamento)
• Geni catastali (regolatori spaziali della espressione dei geni di identità degli organi)
• Geni di identità meristematica (fattori di trascrizione necessari per l’induzione dei
geni di identità degli organi fiorali)
I geni che controllano l’identità degli organi fiorali sono detti GENI OMEOTICI
FUNZIONALMENTE. Mutazioni di questi geni comportano la formazione di un organo
piuttosto che di un altro. Tuttavia sono strutturalmente diversi dai geni omeotici animali
in quanto non contengono il motivo HOMEOBOX ma appartengono alla classe di fattori
MADS box.
In Arabidopsis 82 geni MADS BOX.
Negli anni 90 è stato proprosto il primo modello di morfogenesi fiorale detto ABC basato
sullo studio dei mutanti omeotici fiorali in Arabidopsis e Anthirrinum.
Mutanti di alcuni di questi geni inducono la scomparsa della corolla o di fiori completamente
sterili.

Il modello ABC postula che l’identità d’organo nel fiore è controllata dalla combinazione di
tre funzioni geniche A B C nei vertici fiorali:
Se si esprimono i geni A da soli otteniamo sepali;con l’espressione dei geni A e B otteniamo
petali; con l’espressione dei geni B e C otteniamo gli stami; con l’espressione solo di C si
originano i carpelli (ovario).
A e C non possono esprimersi insieme perché si reprimono
reciprocamente. In Arabidopsis erano stati scoperti dei geni:
• classe A: APETALA1 (AP1), APETALA2 (AP2)
• classe B: APETALA 3 (AP3), PISTILLATA (PI)
-classe C:
AGAMOUS
(AG) E in
Anthirrinu
m:
• classe A: SQUAMOSA (SQUA)
• classe B: DEFICIENS (DEF), GLOBOSA (GLO)
• classe C: PLENA

Se non viene espresso il gene C il fiore non avrà organi riproduttivi, non avrà sesso. Se
non viene espresso il gene A il fiore rimane senza petali e senza sepali. Se non
viene espresso il gene B il fiore rimane senza petali e senza stami.

STRUTTURA E FUNZIONE DEL FIORE NELLE PIANTE


Il fiore contiene gli organi della riproduzione e in genere viene evitata l’autofecondazione,
ovvero che i pollini vadano a fecondare gli ovuli dello stesso, questo per evitare bassa
variabilità genetica. Esistono dei meccanismi per evitare l’autofecondazione come lo
sviluppo in tempi diversi dei due organi o la posizione spaziale diversa. Un fiore si definisce
proterandro se si sviluppano prima gli stami, invece è proterogino se si sviluppa prima la
parte femminile. Tuttavia l’autofecondazione è presente in determinati ambienti ostili,
dove è difficile che ci sia fecondazione per mancanza di piante.
Esistono dei meccanismi più fini di incompatibilità, ovvero l’impossibilità di incrocio tra individui
della stessa specie. Tra specie diverse invece si parla di incongruità.
È possibile, tuttavia, che ci siano incroci tra individui di specie diverse con generazione di
ibridi sterili; questi sopravvivono in natura andando incontro a fenomeni di
poliploidizzazione. La poliploidia è quel fenomeno che porta alla moltiplicazione del DNA di
una specie, questo permette che ci siano degli appaiamenti impossibili con il numero base.
Questo è quello che è successo nel grano coltivato, che è il risultato dell’incrocio tra due
specie completamente diverse che sono diventate fertili.
A livello di incompatibilità non avvengono meccanismi di riconoscimento che devono
verificarsi tra proteine presenti sul granulo pollinico e la componente glicosidica
presente sullo stigma (meccanismo chiave-serratura). Non avvenendo il riconoscimento
si ha dunque incompatibilità sporofitica.
Ammettendo che questa barriera venga superata la prima risposta del polline è di
idratazione e emette il tubetto pollinico che può essere fermato ad un certo livello. Se si
supera anche questa barriera e l’ovulo viene fecondato si ha incompatibilità tardiva,
ovvero avviene l’aborto. Questi meccanismi di blocco possono essere alterati
dall’esterno e portare ad autofecondazione.
Se la fecondazione avviene in modo corretto, ogni barriera viene superata e il tubetto
pollinico porta i nuclei generativi all’interno dell’ovulo. L’ovulo contiene 3 nuclei a destra, 3
nuclei a sinistra e 2 al centro detti polari o nuclei dell’endosperma secondario.
Un nucleo maschile arriva alla cellula uovo e la feconda. Un secondo nucleo maschile feconda
la

cellula centrale e avvia lo sviluppo dell’endosperma ce diventa quindi triploide. Si è


formato lo zigote e a questo punto gradualmente l’ovulo si trasforma in seme e l’ovario si
trasforma in frutto destinato a favorire la dispersione del seme.
Con la formazione dello zigote si ha la prima divisione cellulare asimmetrica; la cellula più
grande darà origine ad una struttura detta sospensore, che serve a sostenere
l’embrione che si trova immerso nell’endosperma, la cellula più piccola invece va incontro
ad altre divisioni mitotiche che portano ad un primo stadio in cui l’embrione è globulare.
Successivamente si ha lo stadio a torpedo e infine l’embrione continua lo sviluppo con la
formazione di un meristema radicale, i cotiledoni e in mezzo l’apice vegetativo. A questo
punto il seme rimane quiescente fintanto che non ci saranno le condizioni opportune per
poter germinare.
Il seme è nudo nelle gimnosperme; nelle angiosperme invece è contenuto in frutto. I
frutti delle angiosperme si dividono in frutti carnosi e frutti secchi.
• I frutti carnosi possono essere delle bacche (pomodoro) e i semi direttamente
immersi nella polpa. Se invece è presente epicarpo (buccia esterna), mesocarpo ed
endocarpo che è il nocciolo lignificato che contiene il seme, questo frutto è detto drupa
(pesca, albicocca). Sono presenti anche frutti aggregati (more, lamponi) che derivano da
ovari diversi di un singolo fiore.
• I frutti secchi si dividono a loro volta in deiscenti e indeiscenti. I primi si aprono a maturità
mentre

i secondi no. I legumi quando sono maturi sono secchi e fanno parte dei deiscenti, mentre, le
samare sono indeiscenti
Un tipo particolare di frutto e seme nello stesso tempo è la cariosside dei cereali ( riso, orzo,
frumento, segale..). hanno il pericarpo strettamente aderente ai tegumenti del seme,
quindi il tegumento esterno è l’unico residuo del frutto. All’interno è presente un seme,
quindi il tegumento esterno è l’unico residuo del frutto. All’interno è presente un
endosperma amidaceo. L’amido non è facilmente assimilabile, è necessario che venga
degradato in zucchero semplice. Quando inizia la germinazione l’embrione si trova nella
parte bassa del seme e si idrata. L’embrione esce dalla dormienza e manda un
messaggio sotto forma di acido giberellico (GA), che viene inviato ad uno strato di cellule
che si trova subito sotto al pericarpo dette cellule aleurone. La risposta è la sintesi da parte
di questo strato di cellule dell’enzima alfa-amilasi che scinde l’amido in zucchero. A questo
punto l’embrione può utilizzare lo zucchero tramite lo scutello (fogliolina embrionale) che
assorbe gli zuccheri provenienti dall’endosperma epermette all’embrione di
trasformarsi in plantula finchè si trova sotto lo strato di terra.
Questo meccanismo è usato dall’uomo per la formazione della birra. Si utilizzano cariossidi di orzo
che vengono fatte germinare per far si che lo strato di aleurone trasformi l’amido in
maltosio. A trasformazione avvenuta le cariossidi di orzo vengono tostate per uccidere
l’embrione, macinate e successivamente vengono sottoposte a fermentazione alcolica
con utilizzo di un fungo ascomicete
S. cerevisiae. La fermentazione porta alla formazione di alcol etilico, il luppolo viene
utilizzato per aromatizzare.

Dicotiledone
LA MATURAZIONE DEI FRUTTI CARNOSI.
I frutti carnosi possono essere distinti in due gruppi.
• Climaterici: sono quelli caratterizzati dall’avere una maturazione che coincide con
un picco dell’attività respiratoria e che corrisponde anche ad un picco della produzione di
etilene del frutto; se non vengono colti continuano a maturare fino a quando non si staccano,
se vengono colti continuano a maturare ugualmente
• Aclimaterici: non hanno il picco di respirazione che coincide con il picco ormonale.
Un classico frutto climaterico è rappresentato dalla mela. Prima di maturare il frutto
deve ingrossarsi, ci sono infatti dei frutticini che sono il risultato dell’evoluzione
dell’ovario. I frutticini contengono già i semi, ma alcuni cadono. La pianta infatti non è in
grado di portare a maturazione tutti i frutticini; questo fenomeno prende il nome di cascula,
fenomeno naturale per cui restano sulla pianta solo i frutti che la pianta è in grado di portare a
maturazione, quindi che allegano.
L’aumento di dimensione dei frutticini si verifica come negli altri organi della pianta, cioè
vi è una fase di divisione cellulare a cui segue una fase di distensione cellulare. Questo
corrisponde anche all’attività delle auxine e citochimine. Nella fase iniziale la
concentrazione è giusta per indurre la divisione e la distensione cellulare, in seguito si
abbassano quando il frutto ha raggiunto la sua dimensione massima.
Il picco climaterico coincide con il picco della respirazione, a cui corrisponde il picco
dell’ormone etilene, che viene prodotto dai frutti in maturazione.
La maturazione consiste nel mantenere in parte l’acido, ma parte viene trasformato in
zucchero; vi è un assottigliamento della parete cellulare per consentire al frutto di essere
più morbido. In alcuni frutti, come ad esempio la banana, è l’amido che si trasforma in
zuccheri.
Nelle fasi finali il frutto rappresenta il sito dove vengono riversate le sostanze prodotte
dal metabolismo secondario della pianta. Questi prodotti danno un aroma e un
profumo al frutto e determinano quindi le caratteristiche sensoriali del frutto.
La maturazione di consumo è il momento migliore per cogliere il frutto e mangiarlo e
avviene in corrispondenza del picco di respirazione e di produzione di etilene. Questo non
può essere usato nella grande distribuzione e infatti avviene una maturazione di raccolta,
prima ce venga raggiunto il

picco climaterico.
La maturazione di raccolta incide sulla qualità del frutto perché i frutto matureranno al
momento della vendita e avranno le stesse caratteristiche sensoriali del frutto che è
maturato sulla pianta. Quando vengono raccolti i frutti destinati alla grande distribuzione
devono essere conservati. Ad esempio le mele vengono conservate in camere fredde
sature di anidride carbonica in modo tale che venga limitata al massimo la respirazione
cellulare; quando devono essere immesse in commercio e devono quindi riprendere la
respirazione normale vengono messe in una stanza con etilene, che induce la maturazione
e i fenomeni microscopici ad essa associata. Questo metodo non è dannoso perché
avviene comunque in maniera naturale. Tutti i frutti che maturano emettono etilene e
questo principio viene strutturato immettendo artificialmente etilene per far maturare i
frutti.
Se un frutto non viene raccolto, questo va incontro a senescenza, cade per terra e lascia il seme
oppure può essere mangiato dagli animali, o trasportato dall’acqua e dal vento. Si può
vedere che nella fase finale della maturazione c’è un aumento del’ormone acido
abscissico o ABA, il quale inibisce la germinazione del seme quando non ci sono le
condizioni idonee alla germinazione. Ad esempio i semi di pomodoro se vengono
piantati non si ottiene nessuna piantina in quanto la sostanza gelatinosa contiene ABA
che impedisce la germinazione. L’acido abscissico deve essere dilavato da quantità di
pioggia che siano di una certa importanza. La pioggia è prolungata infatti assicura la
quantità di acqua necessaria per la germinazione del seme in climi aridi perché una
piccola quantità di acqua non è sufficiente.
Alcuni frutti, come pesca ed albicocca, hanno l’epicarpo, cioè la buccia, il mesocarpo carnoso,
cioè la parte commestibile e l’endocarpo legnoso, cioè il nocciolo. All’interno del nocciolo si
trova il seme. Nel grafico che rappresenta questo tipo di frutti possiamo vedere una prima
fase di divisione e di distensione, poi si raggiunge un blocco (plateau) che corrisponde al
periodo in cui viene sintetizzato l’endocarpo legnoso e poi c’è il picco.

SEMI.
I semi possono stare quiescenti per moltissimo tempo finchè non trovano le condizioni
necessarie per la germinazione, che dipendono dalla temperatura, dall’acqua e da altri
fattori come l’assenza di ABA.
• Semi fotoblastici, germinano solo in presenza di luce e sono caratterizzati dall’avere
poco endosperma, cioè poche sostanze di riserva. La pianta per pochissimo tempo è
eterotrofa. Ad esempio le lattughe.
• Semi afotoblastici, germinano in assenza di luce e a maggiori profondità nel suolo;
contengono quindi una maggiore quantità di sostanza di riserva e di endosperma
secondario perché la plantula è eterotrofa per un periodo abbastanza lungo, in quanto
deve attraversare lo strato di suolo per arrivare in superficie.
• Semi delle orchidee, sono semi completamente privi di endosperma secondario. La
germinazione del seme è legata alla presenza al suo interno di funghi endomicorrizici,
caratteristici delle orchidacee, che in questa fase aiutano la pianta.
In altri casi è necessario che i semi abbiano bisogno di una “botta” di freddo per
germinare che prende il nome di vernalizzazione. Questa ha anche un significato
ecologico, cioè ci deve essere un periodo di freddo sufficientemente lungo perché il seme
possa germinare. Il grano è un esempio di pianta che ha bisogno di vernalizzazione, la
senape invece no.
Alcuni semi hanno invece bisogno di una “botta” di caldo, cioè sono i semi che resistono agli
incendi boschivi (es. Yellowstone) e che germinano solo dopo questo forte calore.
In questi casi i semi hanno un tegumento così duro da essere inciso perché possa
germinare, questo può avvenire naturalmente, ad esempio quando il seme viene
digerito da un animale, o possono essere necessari violenti temporali per smuovere i
sassi e determinare le lesioni al tegumento. La pratica che viene attuata dall’uomo nel
confronto di questi semi prende il nome di scarificazione, cioè una lesione artificiale per
consentire al seme di poter germinare.
Ci sono alcune piante che producono delle sostanze, chiamate fitoalessine che
impediscono la germinazione dei semi nelle loro vicinanze. Una di queste piante è il noce.
Per i semi è importante anche la presenza o l’assenza di luce nel bosco, ad esempio alcuni semi

germinano solo in primavera, prima che la pianta si riempia di foglie. In un bosco luminoso
ci sarà unsottoboscoricco;inunboscomoltoombrosocisaràunsottoboscopressoché
assente.
Vi sono alcune piante che fioriscono soltanto in periodo di giorno breve e notte lunga;
queste piante vengono chiamate brevi diurne. Altre piante fioriscono solo in periodo di
giorno lungo e notte breve, e queste piante prendono il nome di longidiurne. Altre piante
sono differenti.
Come viene percepito il giorno e la notte? ci deve essere un organo che percepisce la durata del
giorno e della notte, cioè la foglia.
All’interno della foglia c’è una molecola, il fitocromo, che è in grado di percepire la durata del
giorno e della notte, cioè il fotoperiodo.

0I FRUTTI.
Il frutto deriva dall’ovario, che è costituito da foglie modificate, pertanto l’epidermide
esterna diventa l’esocaropo, mentre l’epidermide interno diventa l’endocaropo, il
mesofillo fogliare diventa mesocarpo.
I frutti si distinguono in
secchi e carnosi. I frutti
secchi indeiscenti sono:
• Achenio, ad esempio il girasole, è un frutto secco che non si apre a maturità.
• Cariosside, esempio mais o grano, è contemporaneamente frutto e seme.
• Samara,adesempio ilfrassino,Disamara, ad esempio l’acero,hannouna
porzionealata. I frutti secchi deiscenti sono:
• Legumi, come fagiolo
• Lomento, ad esempio il carrubo, in cui si solleva una parte del baccello
• Follicolo, ad esempio lapeonia
• Siliqua, ha un asse centrale, caratteristica delle Brassicacee
• Capsule, che hanno diversi tipi di apertura, come giglio e
papavero. I frutti carnosi si dividono in :
• Bacca, con mesocarpo ed endocarpo carnosi, ad esempio il pomodoro
• Drupa, con mesocarpio carnoso ed endocarpo lignificato, ad esempio la prugna

• Frutti aggregati, derivano da fiori con più pistilli monocarpellari, ad esempio la mora del
rovo e la fragola.Nellafragolalapartecommestibileèilricettacolochediventacarnoso(falso
frutto)
• Infruttescenze,chederivanodainfiorescenze,adesempiolamoradelgelsoeilfico(sicone)
• I falsi frutti che derivano dal ricettacolo allargato, ad esempio la fragola, la mela, il fico.
La disseminazione può essere attiva, come il distacco dalla pianta o l’allontanamento dalla
pianta, o può essere passiva, per gravità o anemocora (mediante vento) o mediante acqua.
Le gimnosperme non hanno il fiore, ma il seme nudo. Nelle conifere non è presente la doppia
germinazione
Nel tasso i tegumenti carnosi sono l’unica parte commestibile della pianta.
Sistematica vegetale

LE ALGHE.
Le alghe sono organismi estremamente diversificati e vivono soprattutto in
ambiente acquatico, acque marine e dolci, ma non solo. Esistono alghe che vivono
nel suolo e alghe che possono vivere su superfici molto diverse se ci sono condizioni
di umidità sufficiente.

Differenze tra alghe:


• Nella struttura, nel contenuto genico e nella composizione in pigmenti
dei loro cloroplasti;
• Nella natura chimica delle sostanze di riserva;
• Nella natura chimica dei costituenti della parete;
• Nelle modalità della divisione cellulare.

Caratteristiche:
• Vivono in ambienti acquatici o molto umidi
• Sono autotrofe
• Hanno corpi unicellulari, coloniali, o pluricellulari (talli)
• Producono gametocisti, cellula produttrice di gameti caratteristica delle
alghe e dei funghi, e sporocisti, cellula specializzata che nelle alghe e nei
funghi produce le spore agamiche.
• Le uniche difficoltà sistematiche sono le alghe apoplastidiali (es.genere
Prototheca) e i fitoflagellati.

È molto importante dal punto di vista applicativo il ruolo delle alghe nella
degradazione dei beni culturali, ruolo negativo ovviamente, ma non per questo
poco importante. Anche il ruolo nel suolo è importante perchè le alghe
contribuiscono ad aumentare la sostanza organica del suolo, funzionando come
fertilizzanti.
Alcuni gruppi come le diatomee (alghe unicellulari non flagellate), sono i più
importanti produttori primari del pianeta.
Le alghe sono organismi molto diversificati tra loro, caratterizzati dall’avere un
corpo non diversificato chiamato tallo che può essere costituito da una sola cellula
(alghe unicellulari) oppure da più cellule.

Studi filogenetici sulle sequenze nucleotidiche di geni del DNA del cloroplasto e
del mitocondrio, e sulle sequenze delle sub-unità piccole degli RNA ribosomali,
hanno fornito informazioni sulle relazioni filogenetiche delle alghe tra loro e con gli
altri organismi eucarioti:
• Le linee evolutive fotosintetiche sono ampiamente intrecciate con quelle non foto
• Le alghe verdi e le piante terrestri appartengono alla stessa linea evolutiva;
Nelle alghe esiste una grande variabilità morfologica, tuttavia è possibile
distinguere alcuni gruppi caratterizzati dallo stesso livello di organizzazione.
Le alghe unicellulari possono avere forme monadale o flagellate.
• Monade è l’unità fondamentale di cui è costituita la materia.
• Flagellate, possono essere ad un flagello o a
due flagelli, se i flagelli sono uguali sono dette isoconte, se sono uno lungo e
uno corto sono eteroconte. Questo gruppo, le eteroconte, è molto grande e
vi appartengono ad esempio le alghe brune; altri flagelli hanno intorno a sé
delle cilia e sono detti stefanoconte (stephanos: corona).

isoconti

eteroconti

stefanoconti

In alcune alghe si trovano appendici nettamente differenti dai flagelli, sia per la
struttura che per il significato.

Nelle Haptophyta, un gruppo di alghe


unicellulari marine, oltre ai flagelli si rinviene un’ulteriore
struttura simile ad un peduncolo, l’aptonema, mediante il
quale le cellule aderiscono provvisoriamente al substrato.
Si tratta di un’estroflessione filiforme, lunga fino ad 80 µm,
che possiede alla sua estremità distale la capacità di
avvolgersi a spirale e di fissare l’alga in modo elastico ai
fondali.

Le alghe unicellulari possono essere sempre unicellulari e rappresentare le forme


riproduttive (es. i gameti) oppure possono raggrupparsi e formare alghe pluricellulari,
perciò anche alghe enormi come le alghe brune possono avere una forma
unicellulare.
Abbiamo poi un altro tipo di cellula singola: le alghe coccoidi, che hanno cellule senza
flagelli. Esiste un unico tipo di alghe che ha le cellule che non sono mai flagellate ed è
il gruppo delle alghe rosse.
Da una forma coccoide, per deformazione della parete cellulare si possono avere:
• Le forme rizopodiali (o ameboidi);
• Tante forme coccoidi impilate le une sulle altre con delle comunicazioni tra
loro che vanno a costituire dei filamenti, quindi ci sono i talli filamentosi,
caratteristici delle alghe rosse e hanno anche forme unicellulari. Quando
sono filamentosi i gameti sono coccoidi, senza flagelli;
• Alghe con organizzazione sifonocladale, quando l'alga è pluricellulare, ma
ogni cellula è plurinucleata;
• Le alghe più evolute possono avere un’organizzazione che ricorda quella dei
tessuti, per questo vengono chiamate talli pseudo-parenchimatici, non
sono propriamente parenchimi perché le cellule non comunicano attraverso i
plasmodesmi;
• Infine, le più evolute di tutti hanno dei proto-parenchimi, cioè primi
parenchimi con primi plasmodesmi.

Per quanto riguarda la struttura del corpo delle alghe unicellulari o pluricellulari:
quando si tratta di uno pseudo parenchima potrebbero essere alghe laminari (alghe
verdi al mare).

I cloroplasti delle alghe.


Le alghe sono organismi fotosintetici e quindi hanno dei cloroplasti, che però sono
diversi dai cloroplasti delle piante superiori e sono anche diversi tra i vari gruppi algali.
Perciò, nelle alghe la morfologia dei cloroplasti è estremamente varia: oltre alla
tipica forma ovoide, caratteristica anche delle piante vascolari, nelle alghe si
conoscono cloroplasti stellati, nastriformi, reticolati o a coppa. Molto
frequentemente il numero di cloroplasti per cellula è piuttosto basso e in taluni
generi si arriva addirittura ad un solo cloroplasto per cellula.
I diversi gruppi algali differiscono anche per le sostanze di riserva: mentre nelle
piante superiori troviamo l’amido come sostanza di riserva che è comune a tutte le
piante superiori, nelle alghe a seconda dei gruppi ne troviamo diverse.
La parete.
Le alghe hanno quasi tutte la parete. La struttura ricorda in linea di massima
quella delle piante superiori, cioè materiale fibrillare immerso in una matrice,
tuttavia la parete è già di per sè molto meno rigida di quella delle piante superiori,
questo perché, essendo organismi acquatici, non hanno bisogno di una parete
rigida per mantenere la posizione eretta, perché vengono sostenute dall’acqua. Per
di più, devono potersi adattare ai moti ondosi e quindi essere flessibili; i
componenti della parete variano a seconda dei gruppi algali.
Varia anche la modalità della divisione cellulare: alcuni gruppi algali hanno una mitosi di tipo
chiuso, cioè la membrana nucleare persiste, non viene disgregata durante la mitosi,
ma resta per tutto il tempo. Queste sono le differenze fisiologiche più importanti.
Numerose alghe inoltre si trovano al confine tra regno animali e vegetale, perché
alcune sono in grado di essere sia autotrofe sia eterotrofe, sono in grado di
fagocitare, ma nello stesso tempo di fotosintetizzare e per questo motivo, per
l’esistenza di questi gruppi algali, era stato

introdotto questo regno dei protisti in cui ci sono le alghe insieme ai protozoi.

Esiste un gruppo di alghe che si stacca proprio dalle


altre e sono le alghe verdi, che danno origine a piante terrestri. Le alghe verdi sono
considerate quelle più evolute, ma nell’ambito delle alghe ci sono altri gruppi più
evoluti, come le alghe brune, che però sono indipendenti, non hanno dato origine
ad organismi terrestri.

Alga verde tra le più evolute, potrebbe essere


genere “Cara” o genere “Fritschiella”. È evoluta
perché presenta già degli abbozzi che sembrano
foglie, ha dei meristemi e anche delle cellule
impilate all’interno che consentono il trasporto;
inoltre sono presenti cellule meristematiche.

Le piante terrestri si dividono in:


• Piante non vascolari, che non hanno vasi conduttori. Non presentano
nemmeno trachee e tracheidi, proprio perché non hanno la possibilità di
avere vasi rigidi non essendonsi ancora sviluppata la lignina. Es. muschi che
si riproducono per spore.
• Piante vascolari con vasi, dalle felci in poi, c’è la comparsa della lignina,
molecola molto importante.
Per lo sviluppo sulla terra ferma, si dividono a loro volta in:
• Piante non a seme, cioè che si riproducono per spore, a cui appartengono le felci.
• Piante a seme, che comprendono gimnosperme e angiosperme.
Quindi, tutte le piante terrestri, vascolari e non vascolari si sarebbero originate da
un’alga verde particolarmente evoluta.

Vengono considerate alghe anche


queste “alghe” procariotiche,
chiamate cianobatteri o blu batteri
o alghe azzurre. Sono dei batteri
procarioti, colonie di batteri azoto
fissatori, in cui sono presenti
cellule più grosse con la parete più
spessa dette eterocisti, nelle quali
ha luogo la fissazione dell’azoto
atmosferico.

Perché le cellule con la parete inspessita, in questi batteri, sono quelle in cui avviene la
fissazione dell’azoto? Perché l’enzima che catalizza la reazione di fissazione
(nitrogenasi) è inibito dalla presenza di ossigeno, quindi, mentre nei noduli radicali
c’è la zona centrale con le cellule tutte compatte dove l’ossigeno è pochissimo
(area microaerobica), le cellule con parete molto spessa limitano al massimo
l’entrata di ossigeno.
Felce
acquatica azolla che ha delle foglioline
rigonfie di parenchima aerifero per
galleggiare, ha una simbiosi con altri
cianobatteri (del genere “anabena”, quindi la
simbiosi prenderà il nome di azolla-
anabena). Questa simbiosi è molto
importante perché negli ambienti naturali
arricchisce le acque di azoto. In Oriente viene
reintrodotta nelle risaie ad esempio.
I cianobatteri si possono accumulare nel tempo e dare delle rocce chiamate stromatoliti.

Alghe - elementi riproduttivi.


I gameti e le spore vengono prodotti all’interno di singole cellule che vengono
chiamate gametocisti e sporocisti. In ambiente acquatico non sono necessari gli
organi riproduttivi perché non è necessario avere un’elevata protezione contro la
disidratazione, perciò sono presenti singole cellule e non organi veri e propri.

Gruppi tassonomici.
La classificazione è basata sui pigmenti fotosintetici, diversi a seconda dei gruppi algali:

Cianobatteri,
hanno la clorofilla
A e la clorofilla C,
poi hanno altri
pigmenti che sono
le ficocianine e
ficoeritrine. Questi
pigmenti
consentono loro di
vivere a diverse
profondità, si
tratta di pigmenti
antenna che
consentono di
utilizzare lunghezze
d’onda diverse da
quelle della
clorofilla.

Alghe rosse hanno la clorofilla


A, ficocianina e ficoeritrina, e in
generale presentano anche le
ficobiline, pigmenti accessori
che consentono loro di
assorbire lunghezze d’onda
molto penetranti. Vivono a
profondità maggiori, per
questo hanno i pigmenti
accessori che consentono
loro di sfruttare
delle lunghezze d’onda che arrivano fino a queste profondità (le lunghezze d’onda sono
quelle minori in quanto più penetranti); per poter assorbire queste lunghezze
d’onda e funzionare come pigmenti antenna per poter trasferire poi l’energia alle
clorofilla, hanno dei pigmenti, che sono appunto le ficobiline, che in certi casi
donano colore rosso.
Al
ghe verdi, sono quelle più simili alle
piante terrestri, hanno la clorofilla A e B
e come pigmenti antenna hanno i
carotenoidi.

Alghe
brune con clorofilla A e C, e fucoxantina
come pigmento antenna.
Alghe bruno-
dorate con clorofilla A e C e fucoxantina.

Una classificazione diversa dalla precedente è basata sul numero delle membrane che
avvolgono il cloroplasto, possono essere due, tre o addirittura quattro.
• Due membrane, sono il risultato di un fenomeno di fagocitosi da parte di
una primitiva cellula eucariotica che ha inglobato al suo interno un
cianobatterio. Sono il risultato dell’unione tra la membrana del vacuolo
e la membrana del batterio (la parete del batterio è andata
degradandosi). In questo caso, la fagocitosi dà origine ad una simbiosi, poi
si ha il passaggio da simbiosi a organulo anche se di solito con il fenomeno
di fagocitosi si ha la digestione.
La formazione dell’organello avviene quando parte del DNA del cloroplasto
viene trasferito al DNA nucleare della cellula (Es. clorofita, alghe verdi, alghe
rosse ecc.).
• Tre e quattro membrane sono invece il risultato di due fenomeni di
endosimbiosi, due eventi fagocitici.

Es. Heterokontophyta,
quelle con forme unicellulari con due flagelli, uno
corto e uno lungo, comprendono diversi gruppi algali
tra cui le alghebrune.

Le alghe unicellulari hanno degli organelli che sono tipici della cellula algale:
• Vacuolo contrattile, nelle alghe di acqua dolce, perché si trovano in
ambiente ipotonico, perciò assumono acqua che devono poi espellere;
• Stigma o macchia oculare, che consente di dirigersi verso la luce;
• Corpo pirenoide che invece è una parte del cloroplasto non presente
nelle piante superiori, ben visibile nelle alghe. È costituito dell’enzima
ruBisCO, ovvero quello che catalizza le reazioni nelle fasi oscure della
fotosintesi (organizzazione del carbonio).

La riproduzione
Può essere:
• Asessuale, per semplice frammentazione del tallo, con produzione di spore
all’interno delle sporocisti.
• Sessuale, se sono implicati i gameti prodotti nei gametocisti. Può aver luogo con
gameti identici (isogamia), oppure si possono distinguere gameti femminili
da quelli maschili (alisogamia).
Sono molto frequenti i cicli riproduttivi che possono vedere la meiosi subito dopo lo
zigote (in questo caso l’organismo è aploide e il ciclo è aploide); se invece lo zigote si
divide per mitosi, dà origine ad un organismo diploide per poi produrre delle
gametocisti nelle quali avviene la meiosi e quindi si ha la fase aploide, in questo caso
si verifica un’alternanza del ciclo aploide e diploide; oppure si può avere solo un ciclo
diploide.
È importante ricordare che, a differenza delle piante superiori dove si vede una linea
evolutiva precisa dai muschi alle angiosperme, dove si vede inizialmente predominare
la fase aploide e secondariamente la frase diploide, nelle alghe non si può individuare
una linea evolutiva nei confronti dei cicli evolutivi, infatti si possono trovare cicli
diploidi, aploidi etc. e per questo la riproduzione non è stata considerata a fini
sistematici.

Le alghe verdi - Clorophyta


Hanno la clorofilla A e B e sono soprattutto alghe di acqua dolce.
Sono chiamate verdi perché sono verdi d’aspetto, anche se in alcuni casi vi è un’alta
presenza di carotenoidi e quindi possono assumere colorazione rossa, come ad
esempio Clamidomonas nivalis, nome ricorrente perché è un’alga che vive sui
ghiacciai e utilizzata come colorante conferisce il colore rosa.
Si dividono in 3 famiglie:
• Cloroficee
• Ulvoficee
• Caroficee, che danno origine alle piante superiori
Alcune alghe verdi hanno una forma sifonale, quando sono
presenti tanti nuclei senza una divisione di parete.

Questa forma la si può trovare nell’alga Acetabularia studiata


molto in genetica (a forma di ombrellino) perché è un’unica
cellula gigante plurinucleata, con pareti mineralizzate, calcaree.

Caulerpa sono invece alghe molto


diffuse considerate invasive, che
impediscono lo sviluppo di altre
forme algali.

Il cloroplasto delle alghe verdi è molto simile a quello delle piante superiori: ha
due membrane, i tilacoidi riuniti in pseudo-grana e soprattutto amido all’interno del
cloroplasto. (In alcune alghe le sostanze di riserva si trovano nel citoplasma)

Esempi di alghe verdi.

Ulva lactuca, alga marina ulvoficea, è laminare


Chlamydomonas reinhardtii Unicellulare con due
flagelli isoconte.

Ci possono essere forme filamentose.

Carofite (caroficee)

Le carofite sembrano un’erba. Il motivo per cui è considerato l’antenato delle piante
terrestri è che durante la telofase si forma un fragmoplasto, ovvero un insieme di
microtubuli che orienta le vescicole che formeranno la parete primordiale, inoltre è
presente l’enzima glicolatossidasi che è presente anche in piante superiori, e c’è la
presenza, nei geni, di introni simili a quelli delle piante terrestri e l’enzima cellulosa-
sintasi proprio nella forma in cui noi la osserviamo nelle piante superiori (complessi
a rosetta).

Alghe rosse - Rodophyta


Hanno le pareti impregnate di carbonato di calcio e quindi possono dare origine
ad alghe che sembrano pietre (litofite), ma, nella maggioranza dei casi, sono alghe
filamentose e quindi il loro tallo è costituito di filamenti fatti di cellule coccoidi una di
seguito all’altro.

Importanza economica delle alghe rosse.


• Per quanto riguarda l’uso dei loro polisaccaridi di parete: nelle alghe rosse c’è
una grande abbondanza di materia amorfa costituita da un polisaccaride
chiamato agar-agar, (si trova in microbiologia e micologia, oppure per la
gelatina se si sta in campo alimentare).
• Alcune alghe rosse vengono utilizzate come cibo: Porfiria Iaconica, dal Giappone,
viene mangiata nei paesi orientali. Conosciuta con il nome di Nori, viene
utilizzata per fabbricare cracker, coltivata industrialmente nei paesi orientali.
• Esiste un tipo di alga rossa utilizzata come fonte di polisaccaride per purificare
la birra. I polisaccaridi sono la parte più importante da un punto di vista economico.

Le alghe rosse possono vivere a profondità elevatissime grazie alla presenza delle ficobiline,
organizzate in corpuscoli chiamati ficobilisomi.
Nelle alghe rosse i cloroplasti non formano i grana perché la presenza dei ficobilisomi
impedisce meccanicamente l’impacchettamento dei tilacoidi che sono dunque
isolati.
Le ficobiline possono essere:
• Ficocianine, si trovano all’interno dei tilacoidi, assorbono lunghezze
d’onda più lunghe.
• Ficoeritrine, si trovano all’esterno dei tilacoidi con delle proteine di
raccordo per la membrana. Sono di colore rosso, assorbono lunghezze
d’onda più penetranti e corte.

A seconda delle profondità, vediamo invertita la presenza delle ficocianine e


ficoeritrine: in superficie dove vengono assorbite lunghezze d’onda più lunghe le
ficoeritrine vanno all’interno mentre le fico cianine le troviamo all’esterno. Si
parla quindi di plasticità cromatica. Le alghe rosse si trovano soprattutto nelle
acque calde e tropicali, sono 5000/6000 specie alcune unicellulari (e in questo caso
non hanno flagelli). Sono organismi marini, solamente 150 specie sono d’acque
dolci.

Caratteri generali:
• Non possiedono centrioli nè cellule flagellate,
• Producono una sostanza di riserva chiamata “amido delle floridee”
accumulato nel citoplasma
• Hanno uno strato esterno mucillaginoso costituito di agar
• Alcune alghe possono avere la parete impregnata di carbonato di calcio
(alghe coralline)
• Molte producono sostanze tossiche che possono causare morie di pesci o
disturbi per l’uomo (le sostanze tossiche sono terpenoidi, che hanno
un’applicazione antitumorale)
• La maggior parte delle alghe rosse sono costituite da filamenti tenute
assieme da uno strato di agar mucillaginoso

Struttura delle alghe coralline, rosse


filamentose con carbonato di calcio, per
questo definite alghe coralline. In
generale le cellule contigue dei filamenti
non sono completamente separate ma
esiste una sorta di “punteggiatura” ed è
una specie di poro, pieno di materiale
proteico, anche se non si sa bene quale sia
la sua funzione.

Riproduzione
Le alghe rosse hanno un ciclo trigenetico, cioè costituito da tre fasi:
• Alga diploide (tetrasporofito, pianta che porta le spore a gruppi di quattro)
produce per meiosi delle spore aploidi a gruppi di quattro all’interno di
cellule (tetrasporocisti).
• Tetraspore aploidi germinano e danno origine ad individui aploidi
chiamati gametofiti perché producono i gameti femminili e maschili. I
gametofiti in questo caso sono differenti proprio per i gameti che
producono: il gamete femminile è una cellula più grossa che ha
un’estroflessione chiamata tricogino (trico: capello), il gametofito
maschile produce, all’interno di una grossa cellula, i gameti maschili che
sono privi di ciglia o flagelli (sono coccoidi). I gameti maschili raggiungono
l'oosfera (gamete femminile) grazie al moto ondoso, quando sono in
prossimità avviene una specie di attrazione chimica per la produzione di
sostanze ormonali (feromoni). Il tricogino è pronto a catturare lo
spermazio,eccoilruolodell’estroflessionedell’oosfera.
• Avviene la fecondazione con formazione di una generazione diploide, per mitosi si
formano alghe filamentose che portano cellule grosse al cui interno, per
mitosi, si generano delle spore (diploidi) chiamate carpo spore, che
vanno incontro a divisione, germinano e si torna ad individui simili a quelli
iniziali.

Fino a qualche tempo fa, l’assenza di ciglia e flagelli nelle forme unicellulari (gameti e
spore) aveva fatto pensare che le alghe rosse fossero molto antiche, adesso però
studi più recenti sembrano sostenere la tesi che le alghe rosse non siano così antiche,
ma che le forme unicellulari derivino da forme uniflagellate che hanno perso i flagelli,
quindi vengono collocate in epoca Cambriano, non antichissime.

Suddivisione delle alghe per numero di membrane:

- Glaucophyta (due membrane)


Sono un piccolo gruppo di alghe (13 specie) che vengono considerate come un anello di
raccordo, la prova vivente della teoria endosimbiotica del cloroplasto.
“Glauco” significa azzurro, vivono in acqua dolce e hanno dei particolari cloroplasti chiamati
cianelle.
Per moltissimo tempo sono stati considerati come cianobatteri, in realtà sono
cloroplasti poiché il loro DNA è molto simile dal punto di vista quantitativo al DNA di un
cloroplasto; tuttavia, troviamo un residuo peptidoglicanico di parete batterica tra
la prima membrana (membrana del vacuolo fagocitico) e la seconda membrana
(membrana plasmatica del batterio). Nella teoria endosimbiotica si sostiene che il
vacuolo non avrebbe digerito un batterio normalmente, ma questo sarebbe
vissuto come simbionte mutualistico, dando alla cellula i prodotti della fotosintesi.
Poi, ad un certo punto è successo che parte del DNA del cianobatterio si è trasferita
al nucleo dell’ospite, da questo momento in avanti, il cianobatterio ha cessato di
essere simbionte perché il rapporto con l’ospite è diventato indissolubile, per cui è
diventato organello.
Inoltre, nelle cianelle, anche se la quantità di DNA è simile a quello dei cloroplasti, codifica
per tutte e due le unità dell’enzima RuBisCO (Rubilosio-bifosfato-carbossilasi),
mentre nei cloroplasti soltanto una delle due subunità viene codificata.
Le cianelle vengono considerati come la prova vivente della teoria endosimbiotica
del cloroplasto, perciò sono molto importanti da un punto di vista filogenetico.

Alghe verdi, spirogyra, vengono


utilizzate come mangime per gli
animali, in Scozia, fino a qualche
anno fa, il bestiame veniva lasciato
libero sulle spiagge per nutrirsi delle
alghe.

• Dinophyta (tre membrane)


• Sono alghe unicellulari per lo più marine, caratterizzate dalla parete rivestita di
placche di cellulosa rigide disposte in modo da formare una specie di teca (pareti
molto rigide), si separano quando si dividono per scissione. Le teche rigide
possono anche non essere presenti, così come la parete stessa: questo capita
quando sono simbionti di animali (meduse, spugne, anemoni di mare, coralli).
• Hanno due flagelli, uno dei quali è arrotolato e srotolandosi consente il movimento a
trottola.
• Continuano ad essere foto sintetiche; come prodotti della fotosintesi hanno: il
glucosio, il glicerolo e l’arginina, quindi composti semplici.
• Quando le Dinophyta sono simbionti vengono chiamate zooxanthellae, i
coralli (animali) siorientano cosìdafavorirela simbiosi di questealghe
fotosintetiche.
• Molte di queste alghe sono bioluminescenti (fenomeno
dovuto alla reazione dell’enzima luciferasi con la luciferina, è esclusivo delle
Dinofita)
• Molte di queste alghe sono al confine tra la vita autotrofa ed eterotrofa, tanto
che alcune di esse vivono sotto forma di strutture di resistenza (ipnozigoti) sui
fondi degli oceani.
Solo negli ultimi anni ci si è resi conto di un fenomeno che non veniva spiegato:
scomparsa di interi banchi di pesci. Si è scoperto che era un fenomeno naturale: gli
ipnozigoti, percependo la presenza dei pesci, passavano alla vita attiva ed essendo
eterotrofi, si buttano sui pesci spolpandoli completamente, senza lasciare traccia,
dopodichetornavanosulfondo.

• Ci sono relazioni molto strette tra le Dinofita e i protozoi ciliati (Paramecium e


Vorticella) e i protozoi parassiti (Plasmodium e Toxoplasma). Hanno in comune
una struttura, che è un insieme di vescicole che si trovano sotto la membrana
plasmatica dette alveoli, tutti questi organismi sono inseriti nel taxon degli
Alveolata.
• Le Dinofita hanno il nucleo mesocariotico, cioè una via di mezzo tra i nuclei
procariotici ed eucariotici, è caratterizzato dalla presenza di cromosomi sempre
visibili, anche durante l’interfase.
• Mancano quasi completamente gli istoni, proteine basiche importanti per la
struttura della cromatina;
• La mitosi non ha né fuso mitotico né piastra equatoriale e inoltre è di tipo
chiuso, cioè le membrane nucleari restano fino alla fine.
• I pigmenti presenti sono clorofilla A, C, betacarotene e tra le xantofille, la
peridinina. È un gruppo di alghe a metà tra animali e vegetali.
Molte Dicoficee sono state messe tra le alghe perché sono autotrofe, hanno molti
cloroplasti (da due a molti) che sono di varie forme (discoidali o lobati). Quelle che
non hanno dei cloroplasti sono eterotrofe e si nutrono per fagocitosi, mentre le
altre hanno i cloroplasti (da due a tanti, avvolti da tre membrane informa discoidale
o trilobata)
• La membrana esterna al cloroplasto non è collegata al reticolo
endoplasmatico, come invece avviene nelle piante superiori, tuttavia ci sono i
tilacoidi raggruppati a formare dei grana primitivi, in cui mancano le
interconnessioni. L’ultrastruttura richiama quella della pianta superiore, ma
differisce per il numero di membrane e per la mancanza di collegamento tra i
grana.
• L’enzima RuBisCO, responsabile della fissazione dell’anidride carbonica (fase
oscura fotosintesi), è presente in modo diverso da quello in cui si trova nella
maggior parte degli altri organismi, soprattutto ha una bassa affinità per
l’anidride carbonica e un’elevata attività catalitica. Nelle piante avviene il
contrario.

Queste alghe sono fra quelle responsabili del fenomeno delle maree rosse, le quali si
sviluppano con mare caldo, temperature elevate e concentrazioni di bassa salinità.
Queste condizioni si verificano normalmente d’estate dopo un periodo di pioggia
che diminuisce la salinità; possono venire accentuate dall’inquinamento di
fertilizzanti azotati e fosfatici.
Lo sviluppo delle maree rosse fa entrare le alghe nella catena alimentare: mangiate da
molluschi bivalvi e non e pesci; questo può causare morie di pesci, inoltre, anche
l’uomo se si ciba di pesci/molluschi contaminati dalle dinofita può andare incontro a
problemi neurologici e gastroenterici, oltre che a disturbi respiratori. Anche gli
uccelli che si cibano di pesci contaminati possono venirne uccisi. Nei casi estremi si
può avere anche avvelenamento da frutti di mare (episodi molto gravi in USA).

Noctiluca
scintillas
Dinophyta senza parete, bioluminescente.

Gelidium, alghe rosse con struttura


filamentosa, si chiama così perché impregnata di agar
Porfiria, usata per
fare il sushi

• Euglenophyta (tre membrane)


Irish moss (Chondrus crispus), alga rossa nord atlantico in Europa e Nord America, produce
carraghenano, una sostanza addensante così come lo è l’agar.

Caratteristiche:
• Alghe con tre membrane intorno al plastidio, il rappresentante più noto è
Euglena Gracilis, alghe unicellulari spesso coloniali, di acqua dolce, sopportano
anche pH acidi fino a 2,5 e possono essere sia fotosintetici sia eterotrofi.
• Hanno forma ovoidale e la porzione esterna del citoplasma è avvolta da una
pellicola che è fatte di proteine fibrose. Queste proteine sono disposte a formare
delle bande parallele incastrate le une nelle altre che si possono muovere
grazie anche alla presenza di un secreto lubrificante che viene prodotto da
corpi mucipari
• Vi è un complesso sistema di microtubuli al di sotto della pellicola esterna
che consentono all’euglena di avere dei movimenti caratteristici come
un’onda che si propaga, questo tipo di movimento tipico dell’euglena è definito
movimento euglenoide.
• Hanno due flagelli, uno lungo e uno corto, hanno una macchia oculare o stigma
che funziona come recettore della luce. La presenza del fotorecettore fa sì che
queste alghe, nel caso vivessero in acque salmastre, in pozze d’acqua, in stagni
lungo i bordi dove si trova anche il substrato, subiscano un fenomeno ciclico:
di giorno si spostano lungo la superficie del substrato, di notte vanno in senso
opposto e quindi si immergono nel substrato che non appare più verde.

• Hanno una sostanza di riserva caratteristica simile all’amido che viene


chiamato “paramylon”. Questi granuli di paramylon non sono nei plastidi ma
sono liberi nel citoplasma
In sezione, vista al microscopio, Euglena Rustica presenta all’esterno bande di
proteine fibrose della pellicola tutte parallele, poi i cloroplasti con tre membrane a
indicare due fenomeni di endosimbiosi, inoltre ci sono i tilacoidi che iniziano a
organizzarsi a gruppi di tre. Il corpo pirenoide, caratterizzato da ruBisCO, è
coinvolto nella fissazione di anidride carbonica durante la fase oscura della
fotosintesi, inoltre i cromosomi sono visibili.

È un gruppo di alghe che ha molto interesse dal punto di vista filogenetico: nelle
euglene non è mai stata vista riproduzione sessuale né fenomeni di meiosi, per questo
motivo si ritiene che si siano evolute dal gruppo dei protisti molto precocemente,
staccandosi velocemente prima della comparsa di questi fenomeni. Sono alghe
molto affini a organismi animali, come il tripanosoma.

• Heterocontophyta (quattro membrane)


Fanno parte di questo phylum le alghe brune, si tratta di alghe con quattro membrane
intorno ai cloroplasti.
Hanno la clorofilla A, C e le santofille come pigmenti antenna.
Possono anche essere chiamate Stramenopili (“che portano peli”): un pelo è corto
senza appendici laterali, mentre il pelo lungo ha delle appendici laterali lunghi e dei
peli corti rigidi oltre che dei peli terminali (tutta questa struttura prende il nome di
mastigomena).
Si dividono in:
• Bacillariophyceae o Diatomee
• Chrysophyceae
• Alghe brune

Alghe brune
• Appaiono per di più di colore marrone, colore dovuto dal pigmento
accessorio fucoxantina,
• Hanno clorofilla A e C;
• La sostanza di riserva è il mannitolo.
• Preferiscono regioni più fredde dove sono abbondanti
• Il mannitolo è importante non solo come sostanza di riserva ma anche perché
controlla la concentrazione osmotica delle cellule.
Le alghe brune sono in grado di aumentare o diminuire la concentrazione di
mannitolo e quindi, se aumenta la concentrazione, aumenta la pressione
osmotica e questo in funzione del grado di salinità dell’acqua, per evitare
disidratazione quando l’acqua è più salata.
• Possono avere un aspetto filamentoso (quelle più primitive) oppure possono
avere un vero e proprio tallo laminare che si forma per una successione di
divisioni anticlinarie e periclinarie.
• Le varie cellule sono collegate dai plasmodesmi.

Possiamo quindi individuare due grossi gruppi:


• Ectocarpales, sono alghe brune filamentose
• Laminariales, alghe brune con un tallo a lamina espansa.
Ordine: Ectocarpales
Vivono fino a 25-30 metri di profondità e anche in superficie, la loro viscosità
impedisce il disseccamento durante le basse maree, inoltre, sono presenti cellule
tondeggianti che aiutano l’alga a rimanereancorata.
• Le alghe brune sono alghe molto evolute che si sono evolute indipendentemente.
• Le alghe brune producono dei gas volatili, i metano bromuri, in quantità
rilevanti ( tonnellate all’anno nell’atmosfera) e si pensa che il buco dell’ozono
sia causato anche dalle emissioni algali. Lo squilibrio ecologico ha un effetto
globale.

La parete delle alghe.


Si tratta di una parete con fibrille cellulosiche immerse in una matrice amorfa
ricca di sali dell’acido alginico, molto utilizzati dall’industria farmaceutico come
emulsionanti, addensanti e quindi anche nell’industria alimentare, come mangime
per animali.

Riproduzione
Si hanno due individui profondamente diversi: un gametofito ed uno sporofito, uno
porta le spore e l’altro non le porta, sono diversi morfologicamente.
Si tratta di un ciclo di-genetico eteromorfico apo-diploide, per sottolineare le
differenza di questi individui.
Sono presenti spore conflagelli.
Le laminariales hanno un ciclo molto simile a quello delle piante terrestre: lo sporofito
è grosso e il gametofito è molto piccolo (ciclo di-genetico eteromorfico)

L’alga bruna Fucus ha un


ciclo biologico monogenetico. È un’alga molto
usata come sistema sperimentale perché produce
degli zigoti grossi facilmente studiabili.

Nell’ambito di un unico gruppo algale possono esserci diverse linee evolutive e


quindi non si può individuare una linea evolutiva legata alla riproduzione.
Nelle laminariali troviamo le macrocystis, alghe che possono essere coltivate che
vengono innanzitutto consumate. Se le tagliamo, può ricrescere la lamina. Non
hannocellule meristematiche
Parete cellulare delle alghe
Le alghe sono le piante con l’organizzazione più semplice.
Alcune hanno una parete a cellule singole, mentre altre non hanno parete.
Hanno pareti complesse che da un punto di vista energetico consumano molto, queste pareti
batterichenonhannonullaachevedereconleparetidellepiante,sonomoltodiverse.
Alcune alghe non hanno pareti, ma possono avere al di là della membrana una
pellicola fatta di bande proteiche (euglena), sono proteine organizzate in modo
regolare.
Nelle piante la comunicazione tra le cellule avviene con plasmodesmi e non
attraverso la parete, soprattutto lo scambio di trasporti; mentre un’alga
unicellulare non ha bisogno di comunicare con altre cellule, ma è completamente
immersa nell’ambiente e deve avere una parete che sia permeabile per i metaboliti.
La formazione di una parete più complessa si ha quando le singole cellule si organizzano
in talli e quindi in tessuti, in questo caso assistiamo quindi ad uno sviluppo più
complesso.

Volvox, esempio di alga verde


coloniale dove le pareti non
sono così importanti, ma è la
colonia organizzata in modo
da svolgere determinate
funzioni.

Ci sono alghe che spostano la colonia, mentre quelle più grosse hanno funzione
riproduttiva; la loro comunicazione è diversa rispetto a quella tra cellule.
Tutte le cellule strutturali hanno come elementi di base i polisaccaridi, la cellulosa è il
componente principale, in alcune alghe è stata vista anche cellulosa cristallina.
In alcune classi di alghe è presente soltanto la tessitura dispersa (fibrille disordinate)
mentre altre sono messe in modo parallelo, ma non c’è differenza tra parete primaria e
secondaria.

Inoltre, ci sono composti che nelle piante non troviamo: mannani nelle alghe verdi,
xilani in alghe rosse, ci sono anche etero polimeri. I polisaccaridi solforati sono
caratteristici delle alghe rosse (anche galattosio) e la presenza di questi composti
porta addirittura a strutture di tipo terziario.
Molte alghe hanno una parete mineralizzata di silice e calcare.
Manca completamente la lignina, che compare nella Chlorella (Alga verde) e la
sporopollenina, presente in tutte le piante terrestri.

Diatomee
Sono alghe unicellulari non flagellate, dette anche Bacillariofita, l’importanza delle
diatomee è enorme, soprattutto dal punto di vista ecologico, perché
contribuiscono per più del 25% (anche 30%) alla produzione primaria globale,
ovvero prodotti della fotosintesi.
Sono gli organismi più abbondanti sulla terra (più di 100.000 specie in 250 generi),
alcuni sono fossili e hanno varie applicazioni, tra cui quella di essere usate nelle
coltivazioni marine dei molluschi bivalvi.
Le diatomee hanno un rivestimento, una struttura chiamata frustolo, formata
dalla valva superiore e dalla valva inferiore con al centro una fessura, detta rafe, a
carattere sistematico. Le valve sono ricche di ornamentazioni, come pori e alveoli. È
grazie al frustolo che esistono dei fossili: chiaramente la parte biologica scompare,
ma la porzione del frustolo siliceo rimane.
La silice viene assunta dall’esterno, però poi viene elaborata e accumulata nei
corpi del Golgi, chiamati poi silicasomi che si avvicinano al plasmalemma e riversano
al di là del plasmalemma la silice. Questa viene riversata in modo molto preciso, per
cui, come avviene nei granuli pollinici dove ci sono ornamentazioni specifiche,
anche nelle diatomee ci sono delle ornamentazione di silice molto regolari e
caratteristiche di ciascuna specie.
Il frustolo silicilizzato trova delle applicazioni come:
• Antidetonante per gli esplosivi
• Filtri, nelle piscine
• Sorgente di silicio nella fabbricazione del cemento e nella sua
migliore qualità Ci sono due principali ordini, a seconda della simmetria:
• Pennales, con simmetria bilaterale; hanno una forma più spessa. Si
trovano sul fondale e si spostano grazie a movimenti del citoplasma;
• Centrales, con simmetria centrica; sono più espanse e schiacciate, infatti il
rapporto superficie/volume è a favore della superficie, perciò
galleggiano e fanno parte del fitoplancton;
Anche le diatomee sono responsabili di fioriture algali che possono provocare
gravi conseguenze perché producono un acido neurotossico, l’acido domoico.
Le diatomee sono alghe unicellulari e talvolta sono riunite in colonie, le loro
dimensioni variano da pochi micron a mezzo millimetro e si trovano sia in acque dolci
sia in acque salate. Le diatomee pinnales possono vivere su diversi substrati:
• Sulle rocce, in questo caso vengono dette epilitiche;
• Sulle piante acquatiche, sono considerate macrofite acquatiche e quindi
vengono chiamate epifitiche;
• Sul fango o sul limo; dette epimediche.

La riproduzione
Le teche del frustolo si dividono per mitosi, con la valva superiore che darà origine
ad una valva superiore più piccola e la valva inferiore che darà origine ad una
valva inferiore più piccola.
Per scissione binaria si originano delle diatomee identiche nella dimensione e
delle altre molto più piccole, questo fino a quando non vengono prodotte delle
diatomee talmente piccole da far intervenire la riproduzione sessuale.
Il ciclo delle diatomee è diplonte perché la alghe sono diploidi e si dividono
continuamente per mitosi, dando origine ad altre alghe diploidi. Quando
raggiungono la dimensione limite, le diatomee vanno incontro a meiosi e si formano
delle cellule che funzionano uno come gamete maschile e l’altro come gamete
femminile.
Tali gameti che sono aploidi, si fondono immediatamente dando origine ad un
organismo diploide.
Le diatomee sono centriche o pennate.
• Le alghe centriche hanno una simmetria radiata e possono avere delle valve
circolari, ma possono presentare anche forme diverse. Sono tipiche del
plancton e sono molto importanti per la produzione primaria, ma non hanno una
produzione pratica.
• Le pennales hanno una produzione pratica, infatti servono ad aiutare a
comprendere la qualità delle acque: un basso indice di biodiversità sta a
mostrare una cattiva qualità delle acque.
Le diatomee pennate si distinguono in quelle che hanno il rafe e in quelle che non
hanno il rafe. Le diatomee che hanno il rafe possono presentarlo sia su entrambe le
valve, ma anche su una sola valva.

I fattori che influenzano la diffusione delle diatomee sono: la velocità della


corrente dell’acqua, il pH, la composizione della materia organica, i nutrienti e la
mineralizzazione.
Le diatomee sono sensibili sia all’inquinamento organico, sia ai cambiamenti di
salinità. Poiché si riproducono in fretta sono adatti ad essere indicatori a breve
termine, servono per analisi puntuali; le diatomee sono ottime bioindicatori
perché si trovano tutto l’anno, sono completamente immerse nell’acqua, sono
molto sensibili alle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua, sono rappresentate da
molte specie conosciute dal punto di vista sistematico ed ecologico.
Tra le diatomee utilizzate come bioindicatori, vengono utilizzate quelle fisse al
substrato, come le diatomee bentoniche epilitiche, che si possono facilmente
prelevare, sono molto ricche di specie e ben riconosciute dal punto di vista
sistematico.
Come si fa a campionare?
• Si sceglie una determinata area, chiamata transetto
• poi si raschia la superficie con uno spazzolino
• si mette il ricavato in un contenitore riempito di acqua a cui si aggiunge del
fissativo, cioè una sostanza che blocca l’attività vitale e che risulta tanto
più efficiente quanto più è veloce a bloccare la vitalità, penetrando
rapidamente senza alterare la struttura, rivolgendo particolare
attenzione al frustolo,
• poi si allestiscono vetrini permanenti e l’osservazione viene fatta al 1000X
ad immersione ( non si più osservare semplicemente con l’acqua, perché si
vede male, visto che l’indice di rifrazione della silice è molto simile a quello
dell’acqua, allora si deve usare una soluzione di montaggio con un indice di
rifrazione elevato)
• successivamente si riconoscono le diatomee usando le chiavi dicotomiche
(ovvero quando per riconoscere un organismo ci si pone delle domande).
Le diatomee sono importanti per il monitoraggio della qualità delle acque, ma
bisogna ricordare che la loro importanza sta nell’essere i maggiori produttori primari
mondiali.

Come si può quantificare la qualità dell’acqua mediante le diatomee traducendo le


ricerche in numero? Attraverso l’indice diatomico, esiste l’indice diatomico
europeo. In Italia l’indice diatomico si chiama epi-d.
• Se il valore di questo indice diatomico è compreso tra 20 e 15, le acque
vengono considerate di prima classe, la cui qualità è ottima e se rappresentate
cartograficamente il loro colore è blu,
• Se invece questo indice è compreso tra 15 e 12 la qualità è buona con colorazione verde,
• Tra 12 e 9 la qualità è mediocre con colorazione gialla,
• Tra 9 e 6 la qualità è cattiva con colore arancione,
• Tra 6 e 1 la qualità dell’acqua è pessima con colorazione rossa.

La flora acquatica comprende:


• il fitoplacton,
• il fitobentos,
• le macrofite acquatiche, cioè specie vegetali grosse che si trovano sia
nell’acqua che nelle vicinanze. Esse possono essere angiosperme erbacee
(canne da palude, licheni, alghe, ecc..)

La teoria endosimbiontica
La teoria endosimbiontica degli organelli: si sono originati prima i plastidi o i mitocondri?
Prima i mitocondri. Il primo evento di endosimbiosi è stato quello che ha portato una
cellula eucariotica a fagocitare un proteobatterio aerobico, quindi l’acquisizione
della capacità di respirare.
Cos’è accaduto ai cloroplasti (cioè l’acquisizione della capacità fotosintetica)?
La cellula eucariotica ha fagocitato un proteobatterio e poi non l’ha digerito. Se fossero
rimasti dentro, i vacuoli autofagici sarebbero stati digeriti, ma ciò non è successo
perché questi sarebbero andati fuori, si sarebbero moltiplicati. Inoltre si originano
le due membrane del cloroplasto: la prima, quella del cianobatterio, e la seconda
membrana che sarebbe il risultato della degradazione della membrana batterica.
I cianobatteri che stanno dentro ad una cellula: si ha endosimbiosi (vita insieme) e
ad un certo punto diventano inseparabili, i cianobatteri diventano organelli
quando trasferiscono gran parte del DNA nel nucleo dell’ospite, quando avviene
questo trasferimento si ha il passaggio ad organello.
Nel nucleo dell’ospite vengono trasferite delle sequenze geniche (peptidi di
transito) per il riconoscimento del passaggio di proteine che vengono sintetizzate
nel citoplasma, e che quindi devono essere reimportate nel cloroplasto,
nell’originario batterio.
Nel nucleo dell’ospite compaiono dei geni che riconoscono le proteine sintetizzate
nel citoplasma, ma codificate dal DNA batterico trasferito al nucleo dell’ospite e
che devono essere riportate dentro al cloroplasto.
Ci sono dei complessi, di tipo multiproteico, chiamati toc (traslocation outer
complex) che si trovano sulla membrana esterna e tic (traslocation inter complex) che
si trova sulla membrana interna. Essi riconoscono proteine nel citoplasma che
devono però rientrare nell’originario batterio.
Dalle alghe sarebbero derivati i ciliati e gli oomiceti.

I LICHENI
I licheni sono un’associazione simbiotica
(simbiosi = vita insieme). Nel caso dei licheni
si parla di simbiosi mutualistica in quanto
entrambi i partner traggono vantaggio.
I licheni si formano con l’associazione tra funghi
chiamati funghi lichenizzati e alghe (Alghe
clorofita o cianobatteri).
I principali funghi che intervengono nella simbiosi sono ascomiceti, che sono la
maggioranza, poi una piccola minoranza di basidiomiceti e deuteromiceti. Le alghe
clorofite coinvolte sono dell’ordine chlorococcales (genere Trebuxia) oppure
cianobatteri (genere Nostoc).
Ci possono essere licheni con funghi e alghe verdi oppure licheni con funghi e
cianobatteri (licheni ritenuti più primitivi) oppure licheni con funghi più alghe verdi e
cianobatteri. ( I cianobatteri sono delle alghe azzurre, cioè procarioti azotofissatori).
Non hanno un corpo differenziato, ma hanno il tallo.
Vi è un intreccio di ife fungine al centro e grosse cellule, dette cellule algali. In questo
lichene si differenziano delle zone.
Un tallo lichenico può essere differenziato in zone diverse:
• strato di ife fungine molto fitte in superficie a protezione (strato corticale superiore),
• uno strato di ife mescolate alle cellule algali (strato algale),
• un altro strato di ife fungine (strato midollare)
• uno strato di ife che serve ad ancorare.
La struttura più diffusa tra i licheni è quella eteromera, dove il tallo è molto diverso
sulle due facce con cortex e medulla ben sviluppate.
Vi sono anche strutture più primitive in cui le cellule algali sono mescolate alle ife
fungine: le cellule algali sono cianobatteri e questo tipo di tallo è detto tallo
omeomero. Quest’ultimo è di aspetto uniforme sulle due facce senza cortex e
medulla ben sviluppate, solitamente da umido è gelatinoso.

Classificazione dei licheni


I licheni possono essere:
• Crostosi, se molto adesi al substrato o alle rocce
• Fogliosi, con aspetto simile alle foglie
• Fruticosi,con aspettopiù complessoe sembranodegli alberelli inminiatura
L’ontogenesi di un lichene (processo attraverso cui si differenzia) dipende
dall’organizzazione delle ife fungine. Il fungo influenza lo sviluppo del lichene e fa in
modo che le sue ife si disponganocosìdaassicurareallecellulealgalilamaggiore
quantitàdilucepossibile.
Esiste un piano di sviluppo dei licheni che però non è noto, perché difficile da
studiare considerato che i licheni si sviluppano in modo estremamente lento, circa 2-
3 cm l’anno.

Il fungo è ritenuto
responsabile della forma di un lichene e lo stesso fungo con alghe diverse può far
assumere al lichene forme diverse, quindi lo stesso fungo può associarsi ad alghe
diverse.

licheni crostosi

licheni fogliosi
licheni fruticosi

Simbiosi
I licheni hanno uno stile di vita fungino, infatti il fungo è molto importante, in quanto
influenza lo sviluppo del lichene.
I vantaggi della simbiosi:
• L’alga ha un ambiente protetto e umido
• Il fungo ricava il prodotto della fotosintesi: ovvero il glucosio dai cianobatteri,
se le alghe sono cianobatteri; si hanno dei polialcoli, tra questi il ribitolo, il
sorbitolo e l’eritritolo, se le alghe sono verdi.
I polialcoli sono molto importanti anche nel consentire la vita ai licheni in ambienti
estremi, infatti i licheni vivono nelle città, se queste non sono inquinate, ma vivono
anche in alta quota e anche in ambienti desertici (per esempio: la manna del
deserto, secondo alcuni, sarebbe una specie di lichene); quindi i licheni hanno questa
caratteristica di disidratarsi ed idratarsi e di sopportare temperature molto basse
senza che si formino cristalli di ghiaccio nel loro interno, grazie all’elevata
pressione osmotica, cioè al basso valore del potenziale dell’acqua, per la presenza dei
polialcoli. Dunque la presenza dei polialcoli (= prodotto della fotosintesi) impedisce
la formazione di cristalli di ghiaccio e favorisce la disidratazione e la reidratazione in
ambienti aridi.
Se si considerano i licheni come i batteri azotofissatori (Nostoc), allora vediamo che l’attività
degli enzimi coinvolti nell’assimilazione dell’azoto è diversa se si considera:
• il cianobatterio da solo. In questo caso è attivo nella glutammina
sintetasi,se invece è con il fungo, allora esso assorbe l’azoto
sintetizzato e fissato dal cianobatterio attraverso il glutammato
deidrogenasi.
• il cianobatterio in simbiosi
Non si riproducono quasi mai sessualmente e colonizzano substrati.

Indici
Gli indici servono per valutare la qualità dell’aria, sono indici di purezza atmosferica.
Questo perché le specie licheniche sono diversamente sensibili agli inquinanti
dell’aria. In zone fortemente inquinate esiste il deserto lichenico; ma a seconda
del grado di inquinamento esistono specie più resistenti e specie meno resistenti.
L’indice di purezza atmosferica mette in relazione la biodiversità lichenica con la
purezza dell’aria. Se l’indice di purezza atmosferica è minore di 1, sulle mappe appare
il colore rosso, ciò significa che l’inquinamento è molto elevato e che quindi l’aria è
pessima; a mano a mano che l’indice aumenta la qualità dell’aria migliora.
Gli indici si calcolano utilizzando dei reticoli standard che vengono applicati su un certo
numeri di alberi, rigorosamente appartenenti alla stessa specie, di una
determinata zona. Questo serve ad identificare i licheni e a valutarne la presenza. Gli
indici si ottengono facendo la media dei reticoli sulle varie zone.

Chimica dei licheni


I licheni producono oltre 700 metaboliti secondari: Tra questi, circa 400, sono detti,
per la loro unicità, sostanze licheniche o acidi lichenici. Questi prodotti fungini sono
prevalentemente derivati di esteri di sostanze fenoliche prodotti dal fungo e
depositati in forma solida (pseudocristalli) sulla parete cellulare.
I metaboliti secondari derivano da tre vie sintetiche:
• Via dell’acido shikimico;
• Via dell’acido mevalonico;
• Via dell’acetato-polimalonato;

I ruoli fisiologici dei prodotti fungini:


• Protezione contro i raggi ultravioletti per la popolazione algale; iprodotti
fungini sono sostanze che, dal punto di vista chimico, presentano degli
anelli aromatici e molti doppi legami che proteggono dagli UV
• Idrorepellenza
• Difesa: antibiotici, antimicotici, deterrenza
• Antiossidante
• Chelante

Gli utilizzi
I licheni sono stati utilizzati a scopo medicinale, alimentare, voluttuario, per tingere
(tessuti, pelli, legno, marmo). Ancora oggi sono impiegati nell’industria del profumo.

ENERGIE RINNOVABILI
I biocarburanti di prima generazione sono il bioetanolo, il biobutanolo e
il biodisel. I biocarburanti derivano da biomasse e da scarti
lignocellulosici.
I biocarburanti di terza generazione derivanti da microalghe e cianobatteri.

Cianobatteri e microalghe per la produzione di biocarburanti


I biocarburanti vengono ricavati dalla componente lipidica delle alghe.
Un problema che si incontra è la sopravvivenza delle colture: è difficoltoso
riprodurre l’esperimento su vasta scala e non in laboratorio, perché le condizioni
di coltura non sono rigidamente controllate. In un ambiente non protetto le alghe
autoctone possono soppiantare quelle selezionate per la produzione di
biocarburante, perciò la soluzione è selezionare delle microalghe che vivono solo in
condizioni estreme, le quali vengono poi ricreate nelle colture su vasta scala, che
impediscono la crescita delle alghe autoctone.
Perciò è stata effettuata una ricerca per individuare delle alghe di ambienti estremi, ma
che nello stesso tempo fossero capaci di produrre grandi quantità di sostanze lipidiche.
Un secondo problema si presenta quando si prepara un impianto per la coltura
delle microalghe; se l’impianto è cilindrico, con quindi un volume molto elevato, la
porzione interna non riceve luce.
Questo problema può essere risolto in vari modi:
• Realizzare impianti in vasche piatte in modo che tutte le alghe possano ricevere
la luce. Questo però rimane un sistema poco produttivo;
• Utilizzare organismi che sono in grado di vivere sia secondo uno stile di vita
eterotrofo che autotrofo, e che perciò anche in assenza di luce vivono lo stesso.
Affinché le alghe possano produrre più lipidi, esse vengono tenute in condizioni di carenza
di azoto.

La vita delle piante terrestri


Il passaggio dalla vita acquatica alla vita terrestre è avvenuto quando l’ossigeno
generato dalle alghe dei cianobatteri ha saturato e si è diffuso nell’atmosfera.
L’ossigeno presente nell’atmosfera, per effetto dei raggi solari, ha dato origine
all’ozono (O3). In questo modo si è formato lo strato di ozono che protegge dai raggi
ultravioletti ed è proprio questo strato che ha reso possibile questo passaggio.
In acqua l’anidride carbonica è meno disponibile, vi è meno competizione tra gli
organismi, quindi ci sono state le prime piante terrestri che rispetto alle alghe,
soprattutto quelle verdi, hanno modificato l’organismo a livello cellulare, a livello di
organo e riproduttivo.

A livello cellulare
• La parete delle alghe è molto elastica con poche fibrille di cellulosa per
consentire al corpo delle alghe di resistere al moto ondoso.
• Quando compare la cellulosa sintasi, essa compare sottoforma di bastoncini,
soltanto nelle alghe verdi più evolute abbiamo l’enzima cellulosa sintasi a forma
di rosetta, come invece è presente in tutte le piante terrestri.
• Nell’acqua sono presenti un insieme di pigmenti accessori per consentire lo
sfruttamento delle diverse lunghezze d’onda. Invece, sulla terra non è
necessaria una grande diversificazione di pigmenti accessori, infatti le piante
terrestri hanno tutte clorofilla A, clorofilla B e carotenoidi, come pigmenti
accessori. Tutte le piante terrestri hanno dei cloroplasti contenenti tilacoidi
organizzati in grana ed amido come sostanza di riserva.
• In molte alghe, come modalità di divisione nucleare c’è la mitosi aperta;
parlando invece di divisione cellulare il fragmoplasto compare solo nelle
alghe più evolute. In tutte le piante terrestri la mitosi è aperta e non chiusa e vi è
presenza di fragmoplasto.
• Uno dei primi problemi che le piante hanno dovuto affrontare è stato quello di
proteggersi dalla disidratazione, ed ecco quindi la comparsa della cuticola. Essa
è di natura lipidica che ha la funzione di proteggere.

A livello dell’organo
• La forma del corpo in ambiente acquatico è bidimensionale o comunque
sviluppato in due dimensioni per avere un elevato rapporto
superficie/volume. Per gli organismi terrestri invece si sviluppano degli
organi che hanno la funzione di consentire alle piante di competere tra di
loro (le prime piante sono striscianti o di bassa statura) per poi assumere la
stazione eretta per distribuire i prodotti della fotosintesi e l’acqua assunta
dal suolo a tutto il corpo della pianta. Ciò avviene attraverso dei sistemi di
conduzione che prima non esistevano visto che la pianta era completamente
immersa in acqua.
• I primi sistemi conduttori sono estremamente semplici: cellule con pareti
impregnate di flavonoidi, la lignina compare solo successivamente. Alcuni
fossili dimostrano che le prime cellule conduttrici erano cellule normali, non
ancora dei vasi, non c’erano ancora cellule sovrapposte.
La lignificazione riguardava tutta la superficie della cellula, quindi erano resistenti
dal punto di vista meccanico, ma non avevano ancora dei veri e propri vasi.
• Il passaggio dalle cellule completamente lignificate a quelle con tracheidi,
con inspessimenti e zone cellulosiche, consente la diffusione dei liquidi
anche in senso trasversale.
• Allo stesso modo, anche per i prodotti della fotosintesi si sono sviluppate
delle cellule allungate per poterli distribuire.

A livello riproduttivo
• Nelle alghe ci sono le sporocisti e i gametocisti cioè singole cellule che
producono spore e gameti; questi ultimi sono protetti dalla sola parete della
cellula e anche in questo caso la protezione non è necessaria perché l’alga si trova
in ambiente acquatico.
• Con il passaggio alla vita terrestre, le sporocisti e i gametocisti vengono sostituiti
da veri e propri organi, ovvero gli sporangi e i gametangi. Questi sono fatti da
tessuti che proteggono, al loro interno, le spore e i gameti.

• La parete delle spore è impregnata di sporopollenina, e sono anche resistenti


alla disidratazione. Nelle alghe le spore erano anche ciliate, per cui si
potevano muovere; mentre ora, nelle piante terrestri, esse sono assenti.
• Solitamente nelle alghe c’è isogamia, ovvero i gameti sono identici, mentre nelle
piante vi è il gamete femminile più grosso, con gameti maschili che devono
raggiungere quello femminile.
• La scomparsa delle mitospore è importante dal punto di vita ecologico.
Esse non esistono nelle piante terrestri dove, invece, esistono le meiospore.
Queste garantiscono una maggiore variabilità genetica e quindi una maggiore
quantità di fenotipi di una specie e la p