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2019 Gestione degli accessi endovenosi

Gestione degli
accessi
endovenosi

Responsabile scientifico: Dott.ssa Valentina Ingrassia


Gestione degli accessi endovenosi

Indice Generale

Introduzione

Parte Prima: CATETERE VENOSO CENTRALE

Definizione del catetere venoso centrale 3


Inserimento del catetere venoso centrale 4
Complicanze associate all’inserimento di un catetere venoso centrale 7
Classificazione dei cateteri venosi centrali 11
Medicazione e gestione del sito di venipuntura 24
Prelievo da catetere venoso centrale 27
Gestione delle linee infusive 29
Caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere
per via endovenosa 33

Parte Seconda: CATETERE VENOSO PERIFERICO

Definizione del catetere venoso periferico 43


Classificazione dei cateteri ad accesso venoso periferico 44
Dimensioni esterne e interne del catetere venoso periferico 52
Procedure per la scelta della sede di inserimento del catetere
venoso periferico 52
Procedure per la gestione del catetere venoso periferico 56
Possibili complicanze legate all’uso del catetere venoso periferico 66

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Parte Terza: ACCESSI VENOSI E DISPOSIZIONI LEGISLATIVE

Igiene delle mani 98


Attrezzature per il posizionamento e per l’utilizzo degli accessi venosi 99
Tecniche di visualizzazione dei vasi 99
Tecniche di verifica della posizione centrale della punta 103
Scelta e posizionamento dei dispositivi per accesso venoso 106
Scelta della sede di impianto 110
Dispositivi impiantabili per accesso venoso (port) 114
Cateteri venosi per emodialisi 117
Cenni di ecografia 137
Disposizioni legislative 140

Bibliografia 155
Bibliografia immagini 186

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Gestione degli accessi endovenosi

Introduzione

Il seguente dossier descrive la gestione degli accessi vascolari, centrali e


periferici, più utilizzati nella pratica clinica ed è articolato in tre parti.
La prima espone una chiara e univoca definizione di catetere venoso centrale
(CVC), nonchè le modalità d'inserimento e le possibili complicanze che possono
in seguito scaturirne; sono, inoltre, descritti e classificati cateteri come il PICC,
l'epicutaneo, il Port a Cath, Harrow, catetere tipo Tesio, Hohn, Groshong,
tunnellizzato tipo Hickman e Broviac. Vengono anche argomentate le linee
guida riguardanti la gestione delle linee infusive, la medicazione e la gestione
del sito di venipuntura, le modalità di prelievo da un catetere venoso centrale e
le caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere per via
endovenosa.
La seconda parte di questo dossier illustra la gestione dei cateteri venosi
periferici frequentemente utilizzati nell'iter diagnostico; sono chiaramente
descritti e classificati sia i cateteri venosi a breve termine, come il batterflay,
l'agocannula e il catetere integrato di sicurezza, che quelli a medio termine,
come il Midline. A seguire sono riportate le procedure per la scelta della sede di
inserimento e per la gestione del catetere venoso periferico. Sono descritte le
possibili e più frequenti complicanze legate all’uso del catetere venoso
periferico, come occlusione, infiltrazione, stravaso, flebite chimica, meccanica,
infettiva e tromboflebite. Infine, non ultima per importanza, la terza parte
descrive, tutte le procedure inerenti gli accessi venosi, quali, il lavaggio delle
mani, le tecniche utilizzate nella scelta dei dispositivi, cenni di ecografia
utilizzata per reperire l’accesso centrale in sicurezza, i cateteri utilizzati in
emodialiasi e le disposizioni legislative che descrivono le responsabilità
dell’infermiere nell’esercizio della professione.

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Parte Prima: CATETERE VENOSO CENTRALE

Definizione del catetere venoso centrale

Il catetere venoso centrale (CVC) é un presidio medico caratterizzato da un


tubicino di circa 20 centimetri e di alcuni millimetri di diametro, di materiale
biocompatibile, più frequentemente in silicone o poliuretano di terza
generazione, attraverso il quale è possibile accedere al sistema venoso. Si
considera centrale un catetere la cui punta si proietta nel giunto atrio cavale
ovvero a livello del terzo inferiore della vena cava superiore.
Questo dispositivo rende possibile l’infusione intermittente o continua di
farmaci e/o, emotrasfusioni e la somministrazione di terapie nutrizionali.
Il catetere venoso centrale ha l’obiettivo di garantire un accesso stabile e sicuro,
con la conseguente riduzione delle complicanze infettive, trombotiche e di
stravaso.

Kit per catetere venoso centrale

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Gestione degli accessi endovenosi

La lunghezza del catetere (un tubicino lungo e sottile, rigido o flessibile e di vari
materiali), viene espressa in centimetri.
Le dimensioni del diametro del catetere sono espresse in French o in Gauge. Il
French esprime il diametro esterno del dispositivo (1 French = 0,33 mm) mentre
il Gauge (G) il diametro interno del lume.
Nei cateteri a più lumi, che permettono di infondere farmaci e/o soluzioni tra
loro non compatibili, il Gauge e il French si riferiscono alla dimensione interna e
esterna di ogni singolo lume.
Nell’adulto si utilizzano cateteri venosi centrali il cui diametro va da 6 a 9 F,
mentre nei bambini il diametro più utilizzato è compreso tra 2,7 e 5,5 F.

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Inserimento del catetere venoso centrale

Il catetere venoso centrale va inserito, oltre che nei casi di emergenze che
richiedono un accesso rapido e sicuro, anche quando si vuole somministare
farmaci irritanti o vescicanti, acidi o basici, ipo o iperosmolari o infondere
terapie nutrizionali; si preferisce inserire un cvc nel caso in cui si verifichi
l'impossibilità di accedere a una vena periferica per depauperamento del
patrimonio venoso, la necessità di infusioni per periodi di tempo prolungati per
terapie continue o discontinue, sia che esse siano svolte in ambiente ospedaliero
che in quello extra ospedaliero.
L’inserimento di un catetere venoso centrale, tunnellizzato (tipo PAC) o non
tunnellizzato (tipo Hohn®), va eseguito da un medico formato, in un ambiente
dedicato come in un ambulatorio, con il materiale necessario e un’équipe
debitamente formata.
La decisione sul tipo di sistema da impiantare è un processo decisionale in cui
scelte e valutazioni dei sanitari, medici e infermieri, devono essere condivise
con il paziente se cosciente e/o i suoi familiari, tenendo conto della reale
oggettività.
Il PICC é l'unico tipo di catetere venoso centrale che può essere inserito da
infermieri formati, al letto del malato, sia in ospedale che a domicilio, in
entrambi i casi è necessario il consenso scritto del paziente per poter eseguire la
manovra. I cateteri tipo PICC sono inseriti in una delle vene dell’avambraccio
come la brachiale, la basilica o la cefalica a differenza dei cateteri venosi
centrali tipo Hohn®, PAC, Groshong® che sono invece inseriti in una vena di
grosso calibro come la giugulare interna o la succlavia.
Per ridurre il rischio di complicanze infettive e non si raccomanda di procedere
sempre con tecnica asettica e sotto controllo ecografico.
Dopo il posizionamento del catetere va eseguita una radiografia del torace in 2
proiezioni per verificare il corretto decorso del catetere e che la punta si trovi nel
terzo inferiore della vena cava superiore.
La tecnica raccomandata per il posizionamento del catetere venoso centrale è la
venipuntura percutanea ecoguidata, ovvero con l’utilizzo di un ecografo con
sonda ad alta frequenza (87,5-9 Mhz).

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In neonatologia e UTIN l’indicazione all’inserimento di un CVC, più


frequentemente all'utilizzo dell'epicutaneo, si ha nel momento in cui il neonato
sia prematuro, ci sia un’emergenza chirurgica o il neonato presenti
malformazioni.
Non ci sono ancora prove sufficienti per raccomandare nei soggetti con cancro
un tipo specifico di catetere e una sede di inserimento.
Durante l’inserimento del catetere a livello della giugulare interna si raccomanda
di far ruotare leggermente il capo nella direzione opposta alla sede di
inserimento, tenendo presente che una rotazione eccessiva può ridurre il lume
della vena. In genere nei soggetti in emodialisi la sede da preferire è la vena
giugulare interna seguita dalla femorale e dalla succlavia.
Riguardo invece l’inserimento del catetere venoso centrale a livello della
femorale, che è da limitare alle condizioni di emergenza, la punta si posiziona a
livello della vena cava inferiore, pertanto questo catetere non è da considerarsi
un catetere venoso centrale.
In pediatria può essere usata la venolisi chirurgica, oltre al posizionamento eco
guidato, per il posizionamento di cateteri tipo Groshong®. I PICC nei bambini
sono inseriti attraverso la giugulare esterna, la piccola safena o la vena
temporale. Le indicazioni al posizionamento di un CVC al paziente pediatrico
sono: la malnutrizione, la somministrazione di NPT, scarsità di AVP,
monitoraggio invasivo, dialisi/plasmaferesi o le infusioni ripetute di farmaci.

Sedi di inserimento del catetere venoso centrale

vena succlavia

 buona sede per la medicazione


 facile reperibilità
 buona tollerabilità
 consigliata per incannulazioni a breve termine

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vena giugulare interna

 permette il posizionamento di qualsiasi tipo di cateter


 inserimento lineare con sbocco diretto in vena cava superiore
 minore rischio di trombosi e pneumotorace
 facile compressione in caso di puntura arteriosa
 vena facilmente reperibile
 buona sede per la medicazione
 buona tollerabilità
 rischio di puntura arteriosa

vena femorale

 sede di medicazione non ideale


 valida alternativa all’irreperibilità di giugulare e succlavia
 facile reperibilità anche in pazienti in stato di shock
 assenza di complicanze immediate
 aumento del rischio di infezioni e trombosi
 mal tollerata dal paziente

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Complicanze associate all’inserimento di un catetere


venoso centrale

Le complicanze che interessano un catetere venoso centrale sono secondarie al


posizionamento e possono essere classificate secondo il tempo di insorgenza in:

 complicanze immediate, si manifestano entro 48 ore e sono associate


all’impianto del catetere;
 complicanze precoci, insorgono entro una settimana dal posizionamento e
sono causate da problemi al momento dell’impianto del catetere;
 complicanze tardive, possono insorgere dopo una settimana dal
posizionamento o al momento della rimozione del catetere, sono legate
alla gestione del catetere.

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Per evitare le complicanze è necessario che il paziente, gli operatori sanitari e le


persone che assistono siano formati per gestire correttamente sia il catetere sia il
sistema infusionale.

Complicanze immediate

La manovra di inserimento del catetere può provocare diverse complicanze.


Alcune sono più frequenti con alcuni tipi di catetere mentre sono rare con altri.
In particolare si è visto che l’inserimento può causare:

 pneumotorace, in caso di posizionamento per via succlavia, tale


complicanza non si verifica con i cateteri PICC, causa dispnea, dolore
toracico, cianosi, in tal caso sarebbe necessario informare il medico, fare
una radiografia del torace ed eventualmente richiedere il posizionamento
di un drenaggio toracico; si riduce il rischio utilizzando la venipuntura
ecoguidata;
 emotorace o tamponamento cardiaco (complicanze rare), non si verifica
con i cateteri PICC;
 puntura arteriosa della carotide o della brachiale (si verifica soprattutto
con i PICC); causa formicolio alle dita, dolore alle braccia, paresi in
questi casi é necessario informare il medico e consultare un fisiatra per il
trattamento sintomatico; è una complicanza estremamente rara, che si
verifica durante l’inserimento del catetere;
 ematoma, in seguito a ripetuti tentativi di inserimento, tale complicanza si
può verificare con qualsiasi catetere venoso centrale;
 embolia gassosa, causata dalla rottura e conseguente migrazione della
punta nel piccolo circolo, tale complicanza si può verificare con qualsiasi
catetere venoso centrale causando dispnea, dolore toracico, cianosi,
alterazioni della pressione venosa centrale, disorientamento, in tal caso
controllare il paziente e chiudere il catetere per prevenire l’ingresso di
altra aria nel circolo, posizionare il paziente sul lato sinistro, informare il
medico e somministrare ossigeno; è una complicanza molto rara, dovuta
all’ingresso di aria nel circolo ematico durante l’inserimento del catetere
venoso centrale;

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 aritmie, per stimolazione del filo guida sul nodo del seno, tale
complicanza si può verificare con qualsiasi catetere venoso centrale
causando alterazioni del ritmo, cianosi, dispnea in tal caso informare il
medico, fare il monitoraggio cardiaco; é una complicanza frequente ma
quasi sempre benigna e spesso non rilevata, riconducibile all’inserimento
del catetere.

Il mal posizionamento primario consiste nel posizionamento della punta del


catetere in una sede diversa dal terzo inferiore della vena cava superiore. Esso
comporta la ridotta o nulla funzionalità del catetere venoso centrale con
sintomatologia differente a seconda dei casi. Per esempio si può osservare un
aumento del volume della ghiandola mammaria in seguito al posizionamento
della punta in vena mammaria.

Complicanze precoci

Entro una settimana dall’inserimento del catetere possono comparire i seguenti


sintomi:

 pneumotorace tardivo (in caso di posizionamento per via succlavia), tale


complicanza non si verifica con i PICC;
 ematoma (si può verificare con qualsiasi tipo di catetere venoso centrale);
 emorragie locali (si può verificare con qualsiasi tipo di catetere venoso
centrale);
 dolore (si può verificare con qualsiasi tipo di catetere venoso centrale);
 puntura dei plessi nervosi (si verifica soprattutto con i PICC);
 compressione per emorragia arteriosa (si può verificare con qualsiasi tipo
di catetere venoso centrale);
 infezioni con presenza di secrezioni a livello del foro di ingresso del
catetere (si può verificare con qualsiasi tipo di catetere venoso centrale).
causando eritema locale, rigonfiamento presenza di siero nel punto di
inserimento; in tal caso eseguire un tampone, disinfettare e medicare
secondo protocollo, osservare a intervalli regolari il foro di ingresso del
catetere, prelevare campioni di sangue;

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 da ogni lume del catetere, informare il medico per un’eventuale terapia


antibiotica, usare sempre una tecnica
 asettica durante il cambio della medicazione e delle linee infusionali

Qualunque segnale di malfunzionamento del catetere va considerato come


indice di una possibile complicanza.

Complicanze tardive

Possono avere conseguenze di tipo meccanico e spesso sono provocate da un


mal posizionamento del catetere causato da:

 pinch off, pizzicamento del tratto di catetere che passa tra la clavicola e la
prima costa quando è posizionato per via succlavia;
 kinking, inginocchiamento di un tratto del catetere;
 rottura del catetere stesso;
 ribaltamento della camera del PAC, rottura della linea infusionale o del
PAC rottura dovuta a manovre scorrette o a flussi a elevata pressione
danno da chiusura interrompere ogni infusione chiudere il catetere a
monte della rottura proteggere l’area con medicazione sterile e riparare la
linea è una complicanza rara, si verifica se si forza l’infusione con il
catetere chiuso;
 dislocazione della punta;
 occlusione o spostamento del catetere è possibile fare infusioni ma non
prelievi, controllare quindi con una radiografia il catetere provare a
cambiare di posizione il paziente informare il medico, se il problema si
presenta in 2 occasioni
 spostamento totale o parziale del catetere fuoriuscita di un tratto del
catetere, con cuffia visibile fuoriuscita totale del catetere dalla sede
interrompere la terapia infusiva non utilizzare la linea prima della
conferma radiologica informare il medico: se il catetere è parzialmente in
situ lasciarlo fino ad altra prescrizione;

Inoltre la presenza all’interno del catetere venoso centrale di coaguli, trombi,


precipitati di farmaci, aggregati lipidici o fibrin sleeve, deposizione di fibrina

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formante un manicotto che avvolge il catetere venoso centrale nel suo percorso
endovenoso, può occludere il catetere. Una delle complicanze più temibili è
l’infezione che può rendere necessaria la rimozione del catetere per evitare una
setticemia.

Complicanze infettive

Le infezioni sono un problema che non si riduce per diversi motivi come la
scarsa compliance del personale sanitario nel lavaggio delle mani, la presenza di
malati critici (terapia intensiva, in terapia con alte dosi chemioterapici),
l’utilizzo scorretto del catetere venoso centrale e delle linee infusionali e lo
scarso controllo da parte degli operatori sanitari.
Per prevenire le infezioni vanno adottate le precauzioni universali e alcune
precauzioni specifiche come:

• il lavaggio delle mani (metodo asettico) prima e dopo ogni procedura


clinica;
• l’eliminazione dei dispositivi contaminati o acuminati in un contenitore
non permeabile, resistente alle punture;
• il rispetto della sterilità dei prodotti;
• l’utilizzo di tecniche asettiche (o manovra no touch, purché sia eseguita in
modo corretto) quando si preparano i farmaci o le soluzioni e nel
momento in cui si somministrano.

La precauzione principale è il lavaggio antisettico delle mani che va eseguito


dopo il lavaggio sociale con saponi antisettici o con prodotti in crema o gel a
base di alcol.
Le mani vanno lavate prima e dopo aver palpato il sito d’inserimento del
catetere, prima e dopo l’inserimento, la medicazione e qualsiasi altra manovra
sul catetere venoso centrale.
La palpazione del sito di inserimento non va più eseguita dopo l’applicazione
dell’antisettico a meno che non venga mantenuta una tecnica asettica.
L’uso dei guanti non sostituisce il lavaggio delle mani, anzi se i guanti non
vengono usati correttamente possono diventare un veicolo di trasmissione di
germi patogeni.

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Gestione degli accessi endovenosi

Quando si interviene sull’accesso venoso è quindi necessario indossare guanti


sterili, puliti o eseguire manovre no touch secondo le diverse procedure.
Per l’inserimento e la gestione dei cateteri vascolari è importante rispettare le
tecniche asettiche, in particolare: per l’inserimento di cateteri arteriosi e centrali
occorre usare guanti sterili e quando si cambiano le medicazioni dei cateteri
intravascolari occorre indossare guanti puliti e usare manovre no touch oppure
utilizzare guanti sterili.

Occlusioni trombotiche
Se si sospetta che l’occlusione sia causata da un trombo bisogna informare il
medico che valuterà se somministrare agenti trombolitici specifici. La
somministrazione deve avvenire con tecnica asettica, osservando le precauzioni
standard e dopo la prescrizione di un medico. La somministrazione di agenti
trombolitici non deve superare la capacità del catetere. Naturalmente, chi esegue
queste manovre deve conoscere dosaggi, controindicazioni, effetti collaterali e
metodi di somministrazione. L’instillazione, l’aspirazione e il lavaggio
dell’accesso vascolare devono essere fatti usando un metodo che rispetti le
indicazioni del produttore sulla pressione massima sostenuta dal presidio. Per
esempio è sconsigliato l’uso di siringhe di calibro inferiore a 10 ml perchè
possono provocare la rottura del catetere per l’elevata pressione.

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Gestione degli accessi endovenosi

Una pressione eccessiva può causare danni come de connessioni, rotture e


perdita di integrità del catetere.

Occlusione non trombotiche


Per sciogliere precipitati di soluzioni si possono somministrare:
• Alcool etilico (55-75% lock 1-2 ore) per aggregati lipidici.
• HCO3 (8,4% lock 1 ora) per precipitati causati da mezzo di contrasto.
• HCL, NaOH (0,1 % lock 1ora) in caso di deposito di minerali.
La somministrazione di questi agenti deve avvenire sotto controllo di un medico,
non deve superare la capacità del catetere e va effettuato in asepsi.

Classificazione dei cateteri venosi centrali

I cateteri venosi centrali possono essere a punta chiusa come ad esempio il


Groshong® o a punta aperta (Hickman® e Broviac®), possono essere
classificati in parzialmente impiantabili per esempio Groshong® e totalmente
impiantabili come il Port a Cath®, in cateteri tunnellizzati per esempio
Groshong® o non tunnellizzati come il catetere Hohn® e il PICC (Perypherally
Inserted Central Catheter).

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Port-a-cath

- vantaggi
ottimo risultato estetico e cosmetico (pazienti con vita sociale attiva), comodita’
di gestione, minima interferenza con attivita’ quotidiana, possibili attivita’ quali
il nuoto e lo sport, preservazione immagine corporea-

- svantaggi
buona esperienza dello staff, puntura sgradita, dolorosa, necessita aghi dedicati
(non coring), rischio di puntura accidentale degli operatori, stravasi per
dislocazione ago dal port, danni cutanei cronici a livello dell’inserzione dell'ago,
basso flusso, inadatti per utilizzo frequente >1volta/settimana (es per npt).

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Tempo di
Generi di CVC Punta Tipi di CVC permanenza
massimo
Punta aperta Tesio, Broviac, Mesi- anni
TUNNELLIZZATI Hickman

Punta chiusa Groschong

Punta aperta Hohn 2-3 mesi


NON TUNNELLIZZATI

Punta aperta Port a cat Anni


TOTALMENTE Punta chiusa
IMPIANTABILI

Punta aperta PICC Fino a un


INSERIMENTO Punta chiusa anno
PERIFERICO

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Gestione degli accessi endovenosi

Quelli tunnellizzati percorrono un tragitto sottocutaneo prima dell’accesso in


vena.
Si distinguono inoltre cateteri a breve termine, lasciati in sito per 1-6 mesi come,
ad esempio Certofix®, medio termine per esempio Hohn® e cateteri a lungo
termine per esempio PICC, PAC e Groshong®; il tempo di permanenza dei
cateteri a medio-lungo termine è di oltre 6 mesi.
I PICC e Port a Cath possono avere punta aperta o punta chiusa e il loro
impianto cambia a seconda della necessità del malato. l Groshong® può essere a
punta chiusa o valvolata e l’Hohn® a punta aperta o non valvolata.
Fatta eccezione per i cateteri Power injectable PICCs, che sono in poliuretano o
silicone di ultima generazione, che consentono di sopportare pressioni elevate
fino a 300 PSI. in genere i cateteri venosi centrali attualmente in commercio non
consentono, per le loro caratteristiche, l’iniezione di liquidi ad alta pressione, per
esempio nel caso di somministrazione del mezzo di contrasto.
Dato che nessuno studio ha finora mostrato una efficacia certa, in genere i
catetere a rilascio di ioni argento non sono raccomandati. Le linee guida
SHEA/IDSA 2014 sostengono l’uso nei pazienti adulti di cateteri venosi centrali
impregnati di antisettico per esempio clorexidina, sulfadiazina di argento o di
antibiotico come minociclina o rifampicina perché si riduce il rischio di
infezioni (CLABSI Central Line-Associated Blood Stream Infection).
In commercio ci sono anche cateteri medicati, cioè impregnati di sostanze atte a
ridurre il tasso di infezione. Le linee guida SHEA/IDSA 2014 suggeriscono
inoltre di utilizzare i cateteri omblicali, impregnati di argento, nei neonati nati
pretermine. Gli unici cateteri medicati sicuramente efficaci, secondo le
metanalisi e le linee guida correnti, sono quelli ricoperti di
clorexidina/sulfadiazina e quelli ricoperti di minociclina/rifampicina.
In particolare l’uso di cateteri venosi centrali impregnati di antisettico o
antibiotico va considerato in caso di: unità ospedaliere o pazienti che hanno alto
rischio di CLABSI e che non rispondono alle terapie standard; pazienti con
accessi venosi limitati e pregressa storia di CLABSI; pazienti esposti ad alto
rischio di gravi complicanze da CLABSI, per esempio pazienti sottoposti a
recenti impianti intravascolari quali valvole cardiache o protesi aortiche.
Si raccomanda di tenere sotto controllo i soggetti con catetere venoso centrale
impregnato di antisettico per il rischio di effetti negativi come per esempio
anafilassi.

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Gestione degli accessi endovenosi

L’uso di questi cateteri non è raccomandato nei neonati sotto i due mesi.
Tutti i cateteri venosi centrali devono essere lavati ogni volta che vengono
utilizzati e rispettando i tempi di lavaggio indicati se il catetere non viene
utilizzato tutti i giorni.

Il catetere PICC

Il PICC (Peripherally Inserted Central Catheters) è un catetere venoso centrale a


inserzione periferica.
Lo si definisce "centrale" in quanto la sua punta viene posizionata in
prossimità della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro.
Il PICC è indicato per Terapie Infusionali di Medio-Lungo termine, può essere
in silicone o poliuretano, il diametro è di 3-5 French, monolume,bilume e
trilume; consente inoltre tutti gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali (CVC)
"classici":

 misurazione della PVC o della saturazione di ossigeno nel sangue venoso


(ScvO2);
 infusione di soluzioni ipertoniche (osmolarità superiore a 800
mOsm/litro);
 somministrazione di farmaci basici (pH >9), acidi (pH <5) o vescicanti o
irritanti sull’endotelio.
 Indicazioni all’uso del CVC
 Terapia endovenosa a medio o lungo termine (> 7 giorni) o terapie
intermittenti in regime ambulatoriale
 Infusione farmaci con pH < 5 > 9 o con osmolarità > 600 mOsm/L
 infusione di sostanze notoriamente flebitogene o vescicanti (potassio,
sodio bicarbonato)
 chemioterapia
 nutrizione parenterale
 infusione tramite due o tre linee in simultanea (terapia con farmaci
incompatibili)
 emodialisi
 scarso patrimonio venoso
 frequenti e protratte punture venose per infusioni e prelievi

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Gestione degli accessi endovenosi

Il PICC consente lo stesso tipo di terapie infusionali di un CVC a breve termine,


inserito mediante puntura (aperta o chiusa) diretta della vena giugulare interna,
succlavia, o femorale, con in più i seguenti vantaggi:

 evita il rischio di complicanze meccaniche alla inserzione, tipico della


puntura venosa centrale diretta (es. emo-pneumotorace);
 basso rischio di complicanze batteriemiche;
 minor rischio di trombosi venosa centrale;
 può essere posizionato da personale medico o infermieristico
adeguatamente addestrato, non necessita di competenze di tipo
anestesiologico o chirurgico;
 può essere utilizzato anche in modo discontinuo, senza aumentare il
rischio di complicanze ostruttive o infettive;
 può essere utilizzato sia in ambito intra-ospedaliero che extra-ospedaliero.

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Gestione degli accessi endovenosi

Sono di seguito elencati alcuni esempi di indicazioni per la scelta di un


cateterismo venoso centrale mediante PICC:

 necessità di infusione di soluzioni con: pH < 5 o pH >9, o osmolarità >


800 mOsm/l, o con effetto vescicante o irritante sull’endotelio (es.
vancomicina, etc);
 pazienti con alto rischio di complicanze meccaniche qualora si procedesse
alla inserzione di un CVC in vena giugulare interna o succlavia (pazienti
obesi);
 pazienti con alterazioni anatomiche e/o patologiche del collo;
 pazienti con grave coagulopatia;
 pazienti con alto rischio di complicanze infettive qualora si posizionasse
un CVC tradizionale (pazienti con tracheostomia, pazienti
immunodepressi o soggetti ad alto rischio di batteriemie);
 situazioni in cui è logisticamente difficoltoso o costoso procedere al
posizionamento di un CVC tradizionale (domicilio, *mancanza di un team
dedicato; etc.);
 necessità di accesso venoso centrale per tempo particolarmente prolungato
(‘a medio termine’: < 3 mesi);
 necessità di accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) in
paziente da trattare anche o esclusivamente in ambito extraospedaliero;

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Gestione degli accessi endovenosi

 necessità di accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) da


utilizzare anche o esclusivamente in modo discontinuo.
 il lavaggio periodicova eseguito ogni 7 giorni (il volume residuo è di 0,3-
0,6 ml).

Procedura inserimento PICC

Risorse Umane
• Un infermiere impiantatore che deve aver ricevuto specifica formazione
nell’inserzione del PICC;

Risorse Materiali
• telini in numero sufficiente per allestire il campo sterile per il materiale e
l’impianto;
• guanti e camice sterili;
• guanti non sterili;
• mascherina e copricapo;
• garze non sterili;
• garze sterili;
• disinfettante iodato o Clorexidina 2% in soluzione alcoolica;
• 4 fl da 10 ml di Soluzione Fisiologica;
• 4 siringhe da 10 ml;
• 1 siringa da 2,5 ml e una da 1 ml con ago da insulina;
• carbocaina 2%;
• laccio emostatico;
• tappino needle-less;
• sistema suture-less
• 1 medicazione assorbente;
• benda autoadesiva tipo Peha haft;
• contenitore per taglienti;
• contenitore per rifiuti speciali e urbani;
• telino salvaletto monouso;
• Monitor elettrocardiografico
• ecografo;
• metro da sarto;

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Gestione degli accessi endovenosi

• un copri sonda sterile


• 1 KIT microintroduttore preconfezionato contenente:
• ago introduttore • introduttore Peel-away; • mandrino; • agocanula; • bisturi; •
guida metallica. • 1 KIT preconfezionato contenente catetere tipo PICC.

Operatività:
Verificare che il sistema scelto sia effettivamente il dispositivo adatto alla
terapia endovenosa prevista per quel paziente; Spiegare dettagliatamente al
paziente la procedura; Raccogliere il consenso verbale e scritto del paziente alla
procedura e verificare eventuale presenza di pace-maker o defibrillatori
impiantabili (il PICC in tal caso verrà posizionato nell’arto contro laterale) e che
non siano presenti allergie conosciute; Valutazione ecografica delle vene delle
braccia prima senza e poi con l'applicazione del laccio emostatico; Valutare le
vene teoricamente agibili,identificare il punto di inserzione con penna
dermografica e rimuovere il laccio emostatico; Rilevare la lunghezza del
catetere da introdurre (distanza da punto di inserzione a emiclaveare + distanza
da emiclaverare a 3° spazio intercostale dx); Effettuare il lavaggio sociale delle
mani; Posizionare il paziente in posizione supina, con braccio a 90 gradi, palmo
della mano in alto; Eseguire tricotomia, se necessaria;
Posizionare il telino salvaletto monouso sotto il braccio del paziente; Indossare
mascherina e copricapo; Eseguire lavaggio antisettico delle mani; Indossare il
camice e i guanti sterili; Preparare il campo sterile aprendo il telino non adesivo
sul piano di lavoro; Disporre sul campo sterile il materiale necessario: 3 teli
sterili, 4 fiale di soluzione fisiologica, 4 siringhe 10 ml, 1 siringa da 2.5 ml e una
da 1 ml con ago da insulina, garze sterili, tappino needleless, una medicazione
sterile, carbocaina 2%, sistema sutureless, copri sonda sterile, 1 spugnetta
disinfettante, kit PICC preconfezionato.
Aspirare le 4 fiale di sol fisiologica nelle siringhe da 10 ml Il secondo operatore
applica il laccio emostatico; Disinfettare la zona eligibile con disinfettante
appropriato almeno 10 cm sopra e 10 cm sotto il punto di inserzione; Rispettare
il tempo d’azione del disinfettante; Posizionare 1 telino sterile senza adesivo
sotto il braccio destinato all’impianto ed applicare 2 teli adesivi sul braccio
lasciando in evidenza il sito di inserzione oppure utilizzare apposito telo
contenuto nella confezione; Controllare dilatatore e peel-away e lavarli con
fisiologica, estrarre guida metallica.

23
Gestione degli accessi endovenosi

Con la mano dominante, impugnare l’agocannula o l’ago introduttore presenti


nel kit; Con la mano non dominante impugnare la sonda ecografica, protetta dal
copri sonda sterile, mantenendo la visualizzazione della vena prescelta al centro
dello schermo per facilitare la venipuntura; Pungere e avanzare con l’ago con un
angolo di 45 - 60 gradi rispetto alla superficie della cute; Se si usa l’ago
introduttore, al refluire di sangue fermarsi immediatamente; Introdurre
delicatamente la guida metallica fino a lasciarne fuori cute circa 10 CM; In caso
di mancata progressione della guida cercare di estrarla lentamente senza forzare,
qualora non sia possibile, estrarre prima l’ago o la cannula e poi la guida; Sfilare
l’ago dalla cute facendo attenzione a non rimuovere la guida; Eseguire pomfo di
carbocaina al 2% in sede di puntura all’emergenza della guida; Eseguire, se
necessario una piccola incisione della cute (2 mm) con il bisturi in posizione
orizzontale all’emergenza della guida; Introdurre, con movimento di
avvitamento, il dilatatore preassemblato al peelaway; Togliere il laccio
emostatico; In caso di PICC a punta aperta tagliare l’estremità distale alla
lunghezza definita precedentemente. Rimuovere quindi contemporaneamente,
con delicatezza, la guida metallica e il dilatatore (svitandolo); Introdurre il
catetere nella cannula peel-away (fino alla misura precedentemente rilevata se il
PICC è a punta chiusa) Controllare il reflusso di sangue nel catetere con siringa
in aspirazione; Iniettare SF con la siringa preconnessa con tecnica pulsante;
Rimuovere l’introduttore con tecnica peel-away Posizionare garza sterile sul
punto di introduzione;
Togliere delicatamente il mandrino dal catetere e tagliare il tratto di catetere in
esubero in modo tale da permettere di assemblare e connettere il raccordo
louerlock al catetere (se PICC a punta chiusa) Assemblare la seconda aletta a 0,5
cm dall’emergenza cutanea ancorandola al catetere col filo di sutura presente nel
kit PICC a punta chiusa Controllare regolare funzionamento in aspirazione e
infusione.

24
Gestione degli accessi endovenosi

Controindicazione al posizionamento di PICC per problemi locali (bilaterali)


degli arti superiori:

 Trombosi asse ascellare-succlavio;


 Fistola A-V già presente;
 Paresi dell’arto;
 estesi danni cutanei o osteoarticolari;
 Pregresso svuotamento linfonodale ascellare;
 Neonati e bambini con vene brachiali/basilica < 3 mm;
 Indicazione all’utilizzo della vena femorale (ostruzione VCS)

Power injectable PICCs

Da alcuni anni sono stati messi sul mercato una nuova tipologia di PICC detti
Power PICCs, contraddistinti da un’elevata resistenza alle alte pressioni in
infusione come quelle generate dalle pompe per mezzo di contrasto durante una
TC.
Caratteristiche dei Power PICC’s:

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Gestione degli accessi endovenosi

 Poliuretano ultra-resistente
 Connessioni ultra-resistenti
 Resistenza ad alte pressioni = possibilità di alti flussi
 Pressione: fino a 300-350 PSI
 Flusso: fino a 5 ml/sec (300 ml/min) con pompa appropriata
 Possono essere utilizzati per misurare la pressione venosa centrale
se cateteri di poliuretano, a punta aperta
 Lumi multipli: Bilume (5 Fr) o trilume (6 Fr)

Riparazione di un picc

●Preparazione del materiale come per la medicazione di un CVC al quale


aggiungiamo: - soluzione fisiologica e una siringa da 10 ml - Kit riparazione
PICC che comprende un connettore che farà da sostegno interno al lume del
PICC e una prolunga morbida dotata di alette che verranno inserite nel sistema
sutureless, entrambi muniti di un sistema luer-lock
●Procedimento:La manovra di riparazione va eseguita in asepsi. Il connettore va
inserito all'interno del lume del CVC che è stato precedentemente disinfettato,
clampato e tagliato molto delicatamente, dopo averlo inserito collegarlo alla
prolunga dotata di un dispositivo luer-lock che combacia con il connettore
inserito nel lume del PICC.
●Controllare la pervietà del PICC e procedere alla medicazione
●Al termine di ogni riparazione è consigliabile eseguire una sorveglianza
microbiologica straordinaria in quanto il CVC è stato a lungo manipolato

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Gestione degli accessi endovenosi

I PICC power injectable possono essere utilizzati con successo nei reparti di
Terapia Intensiva e Sub-Intensiva che richiedono terapie infusionali ad alti flussi
e/o multiple vie di infusione (fino a 3 lumi) e/o monitoraggio della pressione
venosa centrale.

Vantaggi specifici PICC V/s CVC:

 Posizionabili anche in pazienti con gravi alterazioni della


coagulazione
 Minor rischio infettivo (soprattutto nei tracheostomizzati)
 Inserzione infermieristica
 Utilizzabili anche dopo il trasferimento in reparto

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Gestione degli accessi endovenosi

Medicazione del Picc Materiale

Materiale necessario
• CLOREXIDINA 0,5% O IODOPOVIDONE 10%
• GUANTI NON STERILI
• GUANTI STERILI
• GARZE STERILI
• TELINO STERILE
• STATLOCK
• MEDICAZIONE TRASPARENTE OPPURE DI TIPO ASSORBENTE

Procedura di medicazione PICC


• Lavarsi le mani con sapone antisettico o frizionare le mani con gel antisettico •
Indossare cappellino e mascherina
• Aprire il telo sterile e appoggiarci sopra le garze imbevute di disinfettante , lo
statlock, e la medicazione.
• Rimuovere la medicazione con guanti non sterili e cambiarli con guanti sterili
per eseguire la nuova medicazione.
• Osservare l’exite-site alla ricerca di segni di infezione o flebite.

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Gestione degli accessi endovenosi

• Posizionare la striscietta bianca contenuta nella confezione dello statlock per


evitare la dislocazione del catetere.
• Sostituire adesivo antitrazione
• Aprire le alette di ancoraggio del dispositivo suturless
• Impugnare la garza in TNT imbevuta di soluzione fisiologica e detergere la
cute sottostante il dispositivo suturless.
• Impugnare garza per detersione cute del suturless
• Attendere che la soluzione si asciughi spontaneamente
• Impugnare dispositivo suturless e, sollevando delicatamente il catetere ,
applicarlo sulla cute in modo che i riferimenti di ancoraggio del dispositivo
suturless siano in coincidenza delle asole del catetere . • Inserire le asole del
catetere incorrispondenza degli ancoraggi del dispositivo suturless • Chiudere le
ali di ancoraggio del dispositivo suturless • Applicare medicazione

Catetere tipo Hohn®

 catetere venoso centrale di colore bianco latte, fuoriesce a livello della


base del collo, non tunnellizzato, totalmente esterno, a punta aperta
 uso discontinuo, a breve termine, può essere mono o bilume
 i punti di sutura non vanno mai rimossi ma sostituiti con il dispositivo di
fissaggio (o Statlock)
 il diametro è di 5-7 French
 il lavaggio periodico è ogni 7 giorni
 il volume residuo è di 0,2-0,5 ml

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Gestione degli accessi endovenosi

Harrow®

 catetere venoso centrale non tunnellizzato totalmente esterno in


poliuretano
 l’uso è continuo solo in pazienti ospedalizzati
 può avere uno o più lumi, a punta aperta
 solitamente è posizionato in succlavia e l’uso è a breve termine
 il diametro è di 4-6 French
 il volume residuo (VR) è di 0,2-0,5 ml

Catetere tipo Groshong®

 è un catetere tunnellizzato, di colore azzurro, punta valvolata con uscita


solitamente in torace, monolume
 uso discontinuo, a medio-lungo termine
 fornito di kit di riparazione per il tratto terminale esterno
 è dotato di cuffia in dacron (deve essere posta a circa 2,5 cm prima
dell’exitsite) che serve da ancoraggio e una cuffia antimicrobica
 punta chiusa con valvola con tre posizioni: aspirazione, infusione, stand
by
 il diametro è di 3,5-8 French
 il lavaggio periodico è ogni 15 giorni
 il volume residuo è di 0,5-1,2 ml

Catetere tipo Tesio®

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Gestione degli accessi endovenosi

 catetere venoso centrale in silicone, duplice, tunnellizzato, usato per


emodialisi
 uso a lungo termine e uso discontinuo, solo in ospedale
 costituito da due cateteri monolume separati: rosso e blu
 il catetere è fissato con punti cutanei che vanno rimossi dopo 10-15
giorni, punta aperta
 il diametro è di 8-10 French
 il lavaggio periodico è ogni 7 giorni
 va lavato con fisiologica a cui fa seguito citrato di sodio puro
 il volume residuo è di 1,5 ml

Catetere tunnellizzato tipo Hickman®

 catetere in silicone, parzialmente tunnellizzato, è fornito di kit di


riparazione
per il tratto terminale esterno
 esiste anche per emodialisi
 uso discontinuo
 può essere mono o bilume
 dotato di cuffia in dacron (ancoraggio/antimicrobica)
 punta aperta
 uso a lungo termine
 il diametro è di 9-12 French
 il lavaggio periodico è ogni 7 giorni
 il volume residuo è di 0,3-1,6 ml

Catetere tunnellizzato tipo Broviac®

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Gestione degli accessi endovenosi

 catetere in silicone a punta aperta, parzialmente tunnellizzato, è dotato di


cuffia di dacron antimicrobica/ancoraggio
 uso pediatrico, uso discontinuo e a lungo termine
 il diametro è di 2,7-6,6 French
 il lavaggio periodico è ogni 7 giorni
 il volume residuo è di 0,2-0,5 ml

Port a Cath (PAC)

 catetere venoso centrale totalmente impiantato in silicone e titanio (in casi


rari può
 essere arterioso)
 uso discontinuo
 connesso, tramite tunnel sottocutaneo, a una camera posta in una tasca
sottocutanea
 situata a livello sottoclaveare; l’accesso alla camera va fatto con aghi
NON carotanti
 (tipo Gripper, Huber o simili). In casi rari la camera può essere doppia

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Gestione degli accessi endovenosi

 la camera si può trovare a livello addominale o della coscia. Può essere


valvolato (punta
 chiusa) o non valvolato (punta aperta)
 la camera può essere di altezza diversa (basso o alto profilo) catetere a
lungo termine
 il lavaggio deve essere periodico, se non viene usato ogni 40 giorni
 in caso di camera doppia il lavaggio va effettuato in entrambe le camere
 il diametro è di 6-8 French
 il volume residuo (VR), cioè il volume contenuto nel tubicino, è di 1,5 ml
 Epicutaneo-cava o Premicath

 Catetere radio-opaco in poliuretano marcato ogni 50 mm, introdotto in


una vena periferica attraverso un ago apribile. Questo catetere si compone
di un' aletta di fissaggio e una prolunga non amovibile, raccordata
all'aletta di fissaggio e principalmente destinato alla nutrizione parenterale
e per le somministrazioni di farmaci per via intravenosa dei prematuri.
I calibri in uso in UTIN sono di 1 o 2 Fr

Epicutaneo-cava

Vantaggi di un Epicutaneo-cava rispetto ad un agocannula venoso:

 Permanenza maggiorata;
 Accesso stabile e sicuro (elevato grado di libertà di movimento del
neonato);

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Gestione degli accessi endovenosi

 Ottimo per la somministrazione di farmaci in infusione continua


(dopamina, dobutamina; prostaglandine, NPT);
 Possibilità di somministrare soluzioni ipertoniche e irritanti.
Le soluzioni vengono immediatamente diluite dal flusso ematico in
quanto l’infusione avviene in vena cava;
 Minori rischi di flebite dovuto al ridotto contatto con le pareti del vaso.

Limiti:

 Il calibro estremamente ridotto impedisce velocità di infusione superiori


ai 15 ml/ora (1 fr) con pressioni di esercizio intorno ai 500 mmHg;
 Pericolo di rottura durante la rimozione;
 Non si possono infondere sangue, plasma e piastrine;
 Non si possono eseguire prelievi.

Posizionamento in asepsi

• Posizionamento in sala operatoria o ambulatorio dedicato


• Adeguato lavaggio delle mani
• Utilizzo di teleria sterile con confezionamento di un campo chirurgico
• Utilizzo di camici e guanti sterili, mascherina e copricapo
• Utilizzo di Clorexidina 2% colorata per la disinfezione del campo
• Medicazione adeguata trasparente semipermeabile
• Medicazione e gestione del sito di venipuntura

Aspetti da tenere in considerazione per la scelta del catetere

Per la scelta del catetere, gli operatori sanitari, medici e infermieri, devono
prendere in considerazione le condizioni del paziente valutando, quindi, il
contesto sociale in cui vive e lavora, il tipo di patologia, la propria manualità e

34
Gestione degli accessi endovenosi

autonomia. In particolare le linee guida internazionali raccomandano di tenere


in considerazione i seguenti aspetti del paziente:

 se è un bambino;
 se è sottoposto a chemioterapia attiva o a terapia nutrizionale;
 se è giovane con una vita di relazione e lavorativa attiva;
 se è in condizioni critiche;
 si deve fare un’attenta valutazione del malato, della patologia e del
momento;
 se il catetere viene usato in modo continuo o discontinuo.

Subito dopo l’impianto del catetere, la medicazione va eseguita con garza e


cerotto dato che la sede dell’impianto tende a sanguinare e va rinnovata dopo 24
ore essendo una medicazione precoce.
Prima di qualsiasi manovra sul catetere venoso centrale e sulla medicazione è
necessario eseguire il lavaggio antisettico delle mani e poi indossare i guanti
sterili, tenendo conto che l’uso dei guanti non sostituisce il lavaggio delle mani.
Anche il rinnovo della medicazione è una tecnica sterile, pertanto si devono
utilizzare guanti sterili oppure la manovra no touch.
Le medicazioni successive, definite medicazioni tardive, possono essere
rinnovate ogni 7 giorni, se non ci sono complicanze, utilizzando cerotto
semipermeabile trasparente e traspirante.
Se insorgono complicanze come eventuale sanguinamento del sito di
inserimento o fuoriuscita di siero, la medicazione dovrà essere eseguita con
garza e cerotto e rinnovata ogni 24-48 ore perché il paziente potrebbe riferire
dolore o altri sintomi.
La medicazione va rinnovata quando è umida, sporca o non è più aderente.
Si può usare una medicazione con garza e cerotto semipermeabile trasparente
quando il malato ha la tendenza a sudare, quando ha un’ipertermia e ogni volta
che vi sono segni di flogosi avendo l’accortezza di rinnovarla con la frequenza
sopra descritta.

35
Gestione degli accessi endovenosi

Il disinfettante ideale da utilizzare anche per i neonati è la clorexidina 2% sia in


soluzione alcolica sia sotto forma di tamponcini o salviette preimpregnate.
In caso di catetere tipo Hohn®, PICC o Groshong® non vengono più utilizzati i
punti di sutura cutanei ma presidi di ancoraggio, comunemente conosciuti come
Statlock®, che vanno rinnovati ogni 7 giorni.
Come indicato nei protocolli per la medicazione dell’accesso venoso centrale,
disponibili in ogni reparto, bisogna disinfettare l’accesso cutaneo del presidio
vascolare con un antisettico adeguato, per esempio clorexidina al 2% in
soluzione alcolica. Nel caso si usasse un disinfettante diverso come per esempio
loiodopovidone, è necessario rispettarne i tempi d’azione, come consigliato dalla
ditta produttrice.
Per coprire il sito del catetere si possono usare sia garze sterili sia medicazioni
semipermeabili trasparenti, purché sterili.
Il paziente può fare la doccia purché vengano utilizzate tutte le precauzioni per
ridurre la possibilità di ingresso di germi nel catetere, per esempio la
medicazione in poliuretano semipermeabile trasparente e traspirante.
Non è necessario medicare il sito di inserimento del catetere venoso centrale
tunnellizzato se è guarito.

Indicazioni sulla gestione dell’accesso venoso:

 L’accesso vascolare deve essere manipolato con tecnica asettica e


osservando le precauzioni universali. La manipolazione dell’accesso
centrale deve coincidere con il cambio della medicazione.
 Vanno usati guanti puliti, sterili, oppure si deve intervenire con manovra
no touch per ogni accesso al catetere venoso centrale, per esempio il

36
Gestione degli accessi endovenosi

rinnovo della medicazione, il posizionamento dell’ago di Huber, l’attacco


dell’infusione. La scelta dei guanti è fatta dall’infermiere in base al suo
metodo di lavoro. Si raccomanda di lavorare sempre in asepsi.
 L’accesso al sistema PAC deve essere fatto usando aghi non carotanti
(tipo Huber).
 In caso di infusione continua l’ago deve essere rinnovato ogni 7 giorni.
 Quando il PAC non viene utilizzato, cioè in assenza di ago di Huber, non
si deve medicare il sito cutaneo d’ingresso alla camera in quanto la cute
funge da protezione.
 Ogni qualvolta si buca il PAC e si lascia in situ l’ago di Huber, la
medicazione da preferire è quella semipermeabile trasparente che dovrà
essere rinnovata ogni 7 giorni.
 La funzionalità del catetere va controllata prima della somministrazione
di ogni farmaco e/o soluzione.
 Non ci sono indicazioni riguardo all’aspirazione di routine di sangue con
il solo scopo di eliminare l’eparina o la soluzione fisiologica usata prima
dell’infusione.
 L’aspirazione è indicata per verificare la pervietà del catetere prima
dell’esecuzione di esami ematici o in caso di impossibilità di infondere o
di aspirare. Se non vi è ritorno ematico non si possono infondere farmaci
o liquidi.

Prelievo da catetere venoso centrale

In linea generale è bene limitare i prelievi di sangue dal catetere venoso centrale
ed eseguirli da una vena periferica anche se spesso in oncologia e in pediatria i
cateteri venosi centrali sono utilizzati di routine per i prelievi ematici.
Se il lavaggio non viene eseguito correttamente, all’interno del lume o nei
raccordi, i residui laciati dal passaggio di sangue nel catetere potrebbero non
essere rimossi, favorendo la formazione di microcoaguli che potrebbero
diventare veri e propri trombi adesi alla parete del catetere fino a causarne
l’occlusione.

37
Gestione degli accessi endovenosi

Tale situazione può favorire l’insorgenza di un’infezione dato che gli aggregati
di fibrina sono un terreno idoneo allo sviluppo di germi patogeni, é per tali
motivi che i prelievi ematici vanno eseguiti in maniera corretta.
I prelievi per i controlli della coagulazione vanno sempre eseguiti da una vena
periferica, in particolare nei malati in terapia con anticoagulanti orali (TAO) o
con infusione continua di eparina o nei soggetti con accertata/sospetta
alterazione della cascata coagulativa.
E’ possibile effettuare un prelievo di sangue dal catetere venoso centrale nelle
situazioni di emergenza, perché il prelievo dal catetere centrale consente un
accesso rapido e sicuro a una vena di grosso calibro, scarso patrimonio venoso
del malato e nei pazienti pediatrici, per evitare il trauma della puntura della
vena.
Si devono evitare i prelievi per il dosaggio della glicemia quando attraverso il
catetere venoso centrale si somministrano soluzioni glucosate e sacche di
nutrizione parenterale.
Se il catetere venoso centrale ha un lume piccolo è buona norma evitare il
prelievo dal catetere per evitare il rischio di emolisi e rendere così il risultato del
prelievo non attendibile.
Prima di effettuare un prelievo ematico da catetere venoso centrale è sempre
necessario lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale
quali guanti e occhiali.
Nel caso in cui il catetere centrale ha più lumi, per effettuare il prelievo, si deve
usare il lume con il calibro maggiore (solitamente è la via prossimale) per
evitare l’emolisi e, naturalmente, é possibile effettuare il prelievo solo dopo aver
sospeso l’infusione.
Non è raccomandato lavare il catetere prima del prelievo in quanto, utilizzando
siringhe di calibro non inferiore a 10 ml, si devono scartare 5 ml di sangue
(prelievo di spurgo) prima di riempire le provette, perché potrebbe contenere
parte delle soluzioni infuse (viene considerato contaminato).
Nei cateteri con punta valvolata il prelievo ematico va eseguito evitando di
innestare direttamente il sistema vacutainer al catetere, per evitare possibili
rotture della punta valvolata del catetere venoso centrale.
E’ quindi necessario collegare al catetere un raccordo a due vie (rubinetto) a cui
si collega una siringa da 10 ml e la provetta da riempire: ruotando la leva del
raccordo si esclude la via collegata alla provetta riempendo così la siringa.
Ruotando nuovamente la leva del raccordo si esclude la via collegata con il

38
Gestione degli accessi endovenosi

catetere, mettendo in collegamento siringa e provetta che, grazie al vuoto, si


riempirà prendendo il sangue direttamente dalla siringa ed evitando così la
rottura della punta valvolata.
Dopo aver effettuato il prelievo ematico va eseguito un lavaggio con 10 ml di
soluzione fisiologica, iniettata con manovra pulsante e chiusura in pressione
positiva.
Questa tecnica va eseguita sempre per mantenere la via pulita e pervia, senza
residui ematici che potrebbero portare all’occlusione del lume o all’infezione del
catetere venoso centrale.

Prelievo per emocoltura

Bactec batteri aerobi, anaerobi e miceti

Si consiglia di effettuare il prelievo per emocoltura al momento del rialzo


febbrile del paziente e prima di iniziare la terapia antibiotica per evitare risultati
falsi negativi.
Il prelievo per emocoltura va eseguito contemporaneamente da vena periferica e
dal catetere venoso centrale, in rapida successione. Se il catetere venoso centrale
è multi lume, il prelievo va fatto da ognuno dei lumi, anche da quelli non
utilizzati.
Solo dopo aver disinfettato il needleless system con clorexidina al 2%, in base
alcolica, si preleva, tramite vacutainer o siringa, il sangue senza scartare nulla,
diversamente da quanto previsto per gli altri esami ematici.

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Gestione degli accessi endovenosi

Avendo l’accortezza di cambiare l’ago tra un flacone e l’altro, é consigliato


prelevare prima il campione aerobio, poi quello anaerobio e poi, se richiesto,
quello per i miceti. In genere vengono eseguite 3 emocolture a distanza di circa
20 minuti una dall’altra.
Al termine del prelievo va sempre eseguito il lavaggio di ciascun lume del
catetere venoso centrale.
In alcuni ospedali italiani l’emocoltura viene effettuata utilizzando la tecnica di
coltura semi quantitativa (isolator). Anche in questo caso il prelievo può essere
fatto sia da vena centrale sia da vena periferica in rapida successione e senza
scartare nulla.
Si consiglia di seguire le indicazioni del laboratorio di microbiologia
dell’ospedale di riferimento.
Se la febbre persiste le emocolture vanno eseguite ogni 72 ore, sia da accesso
periferico sia da accesso centrale, fino alla scomparsa della febbre.

Gestione delle linee infusive

L’operatore deve lavarsi le mani con saponi o gel antisettici prima e dopo la
manipolazione delle linee infusive. Solo dopo aver disinfettato l’estremità del
catetere con clorexidina al 2% in soluzione alcolica o con iodopovidone o con
alcol si potrà provvedere alla sostituzione delle linee infusive.
Utilizzare preferibilmente un catetere venoso centrale con il minor numero di
porte o lumi.
Per evitare la fuoriuscita accidentale del catetere può essere utile ancorare le vie
del sistema infusivo alla cute del malato con un cerotto anallergico.
Non usare pomate o creme antibiotiche nei siti di inserimento (a eccezione dei
cateteri di dialisi) perché potrebbero favorire infezioni fungine e resistenze agli
antibiotici.
I set per l’infusione (deflussori e rubinetti) vanno cambiati ogni 72 ore, se usati
per la somministrazione di una soluzione contenente destrosio e aminoacidi, a
meno che non si sospetti o sia documentata un’infezione.
Le linee usate per somministrare sangue, prodotti del sangue o emulsioni di
lipidi vanno cambiate entro 24 ore dall’inizio dell’infusione, usando comunque

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Gestione degli accessi endovenosi

un deflussore per ogni sacca; le linee per la somministrazione di propofol vanno


invece cambiate ogni 6 o 12 ore.
Al termine delle infusioni, il catetere venoso centrale va lavato periodicamente
per evitare che soluzioni incompatibili entrino in contatto fra loro.
Prima di procedere è necessario sapere quale tipo di catetere è stato impiantato
per poterlo gestire al meglio.
Il lavaggio del CVC va eseguito con siringhe di calibro compreso tra 10 e 20 ml.
Non vanno assolutamente usate siringhe di calibro inferiorea 10 ml perché si
rischierebbe di danneggiare il catetere a causa dell’alta pressione che esercitano.
Vanno quindi iniettati almeno 10 ml di soluzione fisiologica con manovra
pulsante a cui deve seguire la chiusura in pressione positiva.
Se si prevede di non utilizzare il catetere per un periodo di tempo superiore alle
8 ore, salvo diversa indicazione della ditta produttrice, i cateteri venosi a punta
aperta (Hohn®, Hickmann®) vanno eparinati con eparina diluita (10 UI per
millilitro) o soluzioni eparinate già pronte; diversamente da quest'ultimi, i
cateteri dotati di valvola (Groshong®) non vanno mai eparinati.
Le raccomandazioni internazionali non suggeriscono di aspirare l’eparina alla
riapertura del catetere, in quanto tale farmaco ha un’emivita inferiore alle 6 ore.
Il catetere che non viene utilizzato va lavato a cadenze prestabilite, settimanali
per cateteri tunnellizzati e non tunnellizzati tipo PICC e Hohn®, o mensili per i
cateteri totalmente impiantati, tipo Port a seconda del tipo di catetere.
Si raccomanda di lavare con soluzione fisiologica i cateteri con valvola
antireflusso, i cateteri a punta aperta dopo il lavaggio di soluzione fisiologica
devono essere eparinati. E’ buona norma tuttavia seguire le indicazioni della
ditta produttrice, in quanto attualmente è in commercio un Port a Cath a punta
aperta che non deve essere eparinato.
Si raccomanda l’uso di presidi a pressione positiva (needleless system).
Il volume del lavaggio deve essere uguale al doppio dello spazio morto del
catetere e comunque mai inferiore a 5-10 ml.
La concentrazione di eparina utilizzata per mantenere la pervietà del catetere
deve essere pari a 10 UI di eparina in 1 ml di soluzione fisiologica.
L’iniezione di eparina opportunamente diluita va effettuata con chiusura in
pressione positiva e con siringhe di calibro non inferiore ai 10 ml.
Prima, durante e dopo l’infusione di sostanze incompatibili tra loro va eseguito
un lavaggio con soluzione fisiologica iniettata con siringa da 10 ml.

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Gestione degli accessi endovenosi

Il lavaggio va eseguito con manovra pulsante (infondendo la soluzione a piccoli


scatti e non in maniera fluida) e utilizzando siringhe di calibro non inferiore a 10
ml; tale tecnica favorisce la rimozione di ogni residuo di soluzione e/o di
farmaco dalla parete del catetere in quanto crea una turbolenza che elimina tali
residui.
La chiusura del catetere deve avvenire sempre in pressione positiva per evitare il
ritorno ematico all’interno del catetere.
Nel caso in cui si danneggi il catetere, quest'ultimo può essere riparato;
La riparazione può essere fatta da infermieri formati o medici che rispettino
quanto suggerito dall’azienda produttrice, osservando le precauzioni standard e
utilizzando sempre la tecnica asettica; la riparazione va registrata in cartella
medica e infermieristica. Prima di procedere con la riparazione si deve escludere
la necessità di sostituire o rimuovere il catetere venoso centrale valutando il
rapporto rischi e benefici per il malato.
I cateteri tipo Groshong® e PICC possono essere riparati in caso di rottura del
tratto esterno utilizzando gli appositi kit di riparazione che non sono invece
disponibili per il catetere tipo Hohn.
L'eventuale sostituzione su guida di un catetere a punta aperta non tunnellizzato
va eseguita da un medico abilitato utilizzando un apposito filo guida o un
microintroduttore. La gestione del paziente rimane comunque competenza e
responsabilità degli infermieri. Sia per la sostituzione che per la riparazione va
utilizzata una tecnica sterile e si devono indossare i dispositivi di protezione
individuale: cuffia, camice, guanti e mascherina.
In particolare gli infermieri devono assicurarsi che il malato abbia capito e
firmato il consenso informato, far assumere al paziente una posizione corretta e
confortevole, verificare che siano state adottate tutte le precauzioni per una
tecnica asettica, assistere il paziente durante la manovra, prenotare una
radiografia del torace in 2 proiezioni per il controllo del corretto posizionamento
della punta e del decorso del catetere.
Ogni difetto del catetere va registrato come evento avverso nelle schede di
reparto e deve essere segnalato all’azienda produttrice.
Nel caso invece in cui il catetere venoso centrale non funziona perché ci sono
difficoltà di aspirazione o di infusione (oppure entrambe), prima di eseguire
qualsiasi manovra è necessario far eseguire al paziente una radiografia del torace
per verificare decorso e posizione della punta del catetere. Potrebbe verificarsi
un occlusione che può essere trombotica o non trombotica.

42
Gestione degli accessi endovenosi

L’insorgenza di trombi, che possono essere colonizzati da batteri, danno così


origine a problemi di tipo infettivo che potrebbero portare alla rimozione del
catetere venoso centrale.
Se si sospetta che l’occlusione sia causata da un trombo bisogna informare il
medico che valuterà l’eventuale somministrazione di agenti trombolitici
specifici.
La somministrazione deve avvenire con tecnica asettica, osservando le
precauzioni standard e prevede l’utilizzo di urochinasi 5.000 UI/ml in lock per
1-2 ore, per un massimo di 3 tentativi.
Naturalmente la somministrazione di agenti trombolitici non deve superare la
capacità del catetere, cioè si deve iniettare un quantitativo di farmaco che occupi
il doppio dello spazio morto del catetere; chi esegue queste manovre deve
conoscere dosaggi, controindicazioni, effetti collaterali e metodo di
somministrazione.
Per effettuare l’instillazione, l’aspirazione e il lavaggio dell’accesso vascolare
vanno rispettate le indicazioni del produttore sulla pressione massima sostenuta
dal presidio (misurata in libbre per pollice quadrato, PSI).
Si sconsiglia di non usare siringhe di calibro inferiore ai 10 ml perché possono
provocare rottura, deconnessione e perdita dell’integrità del catetere per
l’elevata pressione.
É stato dimostrato che il rischio di tale complicanza si riduce eseguendo
correttamente il lavaggio del catetere, ricordiamo inoltre che la
somministrazione preventiva di eparina non ha dimostrato una riduzione del
tasso di infezione.
L’occlusione può anche non essere di origine trombotica, in questo caso si
sospetta che sia causata da infusioni di soluzioni particolari, i cui precipitati
occludono il lume del catetere in seguito a errato lavaggio e chiusura del
dispositivo. Per sciogliere i precipitati di soluzioni presenti all’interno del lume
del catetere si possono somministrare farmaci antidoti. In particolare in caso di:

• aggregati lipidici va usato alcol etilico (55-75%, lock 1-2 ore);


• depositi di mezzo di contrasto si utilizza HCO3 (8,4%, lock 1 ora);
• deposito di minerali si inietta acido cloridrico (HCl), idrossido di sodio
(NaOH) 0,1%, lock 1 ora.

43
Gestione degli accessi endovenosi

La somministrazione di questi agenti va fatta da personale esperto, con tecnica


asettica, sotto stretto controllo medico e conoscendo dosaggi, controindicazioni,
effetti collaterali e metodo di somministrazione.

Per monitorare le possibili complicanze infettive come la sepsi CVC correlata


(CLABSI) si effettuano i seguenti accertamenti:

●PCR + PCT (a tempo 0 e 12h) + Emocromo con Formula


●Emocoltura da CVC e da periferico (se più vie, da ogni linea)
●Tampone del HUB
●Coltura del LIC (liquido intracatetere)
●Coltura dell'infusione in corso
●Tampone dell'exit-site

Caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere


per via endovenosa

La scelta del catetere venoso periferico e della vena più appropriata dipende
anche dalle caratteristiche delle soluzioni o dei farmaci da somministrare.
L’osmolarità e il pH sono i principali fattori intrinseci di soluzioni e farmaci in
grado di provocare alcune complicanze locali (principalmente la flebite) se non
vengono rispettate le indicazioni relative ai tempi e alle modalità di infusione.
Per ridurre questo rischio occorre somministrare soluzioni con un pH prossimo a
quello del sangue (pH 7,35-7,45) e un’osmolarità inferiore ai 600 mOsm/l.
L’osmolarità esprime la concentrazione di una soluzione, ossia il numero di
particelle in essa disciolte indipendentemente dalla carica elettrica e dalle
dimensioni. L’osmolarità è espressa in osmoli per litro (osmol/l o OsM) oppure,
quando la soluzione è particolarmente diluita, in milliosmoli per litro (mOsM/l).
Il suo valore esprime la concentrazione della soluzione, ma non dice nulla sulla
natura delle particelle in essa contenute. Di riflesso, due soluzioni con uguale
osmolarità avranno lo stesso contenuto numerico di particelle e le medesime
proprietà colligative (stessa tensione di vapore, stessa pressione osmotica e
stessa temperatura di congelamento ed ebollizione).

44
Gestione degli accessi endovenosi

Il pH, la conducibilità elettrica e la densità potrebbero tuttavia essere differenti,


perché dipendono dalla natura chimica dei soluti e non solo dal loro numero.
L’osmolarità sierica normale è intorno a 300 mOsM/l.
Va detto, comunque, che l’osmolarità plasmatica efficace (o tonicità) non
corrisponde a quella totale. Infatti soltanto le molecole che non possono
attraversare liberamente le membrane semipermeabili a esse interposte
determinano movimenti d’acqua dalla soluzione più concentrata a quella meno
concentrata. Al contrario, ne esistono altre, come l’urea, che pur contribuendo
alla determinazione dell’osmolarità sono liberamente permeabili (attraversano le
membrane) e come tali non riescono a creare gradienti di acqua.
Se l’osmolarità plasmatica si alza, perché aumentano i livelli di sodio nel sangue
(ipernatriemia), tale soluto dovrà essere maggiormente diluito; in caso contrario
si assisterebbe a un movimento d’acqua dal compartimento intra a quello
extracellulare, con conseguente disidratazione della cellula.
Il pH invece definisce la concentrazione di ioni idrogeno in una soluzione. La
scala va da 0 a 14 (da 0 a 6 il pH è acido, mentre da 8 a 14 è basico; con un pH
pari a 7 la soluzione è neutra). A ogni piccolo cambiamento di pH corrisponde
una grande variazione della concentrazione degli ioni idrogeno.
Le soluzioni infusionali sono distinte in isotoniche, ipertoniche e ipotoniche in
base alla loro osmolarità confrontata con quella plasmatica.
Le soluzioni isotoniche, come la soluzione fisiologica (NaCl allo 0,9%) o il
destrosio al 5%, hanno un’osmolarità vicina a quella plasmatica (tra 240 e 340
mOsm/l). Tali soluzioni sono in equilibrio con il flusso sanguigno e non
incidono sul movimento dei liquidi verso e dalle cellule endoteliali delle vene.
Per tale ragione essi sono i diluenti più comuni per numerosi farmaci
somministrati per via endovenosa (per esempio la vancomicina).
Le soluzioni ipotoniche, come per esempio l’acqua distillata sterile, hanno
un’osmolarità inferiore a 250-260 mOsm/l.
Tali soluzioni, quando entrano nel flusso sanguigno, causano il movimento
dell’acqua nelle cellule endoteliali della vena; il risultato può essere
un’irritazione della vena o una flebite, se le cellule attirano acqua in eccesso fino
a scoppiare. Per questa ragione l’acqua sterile e le altre soluzioni ipotoniche non
sono generalmente infusioni adatte di per sé, ma possono essere utilizzate per
diluire farmaci ipertonici, specialmente nelle persone che hanno una quantità
limitata di liquidi in circolo, come i bambini e i neonati.

45
Gestione degli accessi endovenosi

Le soluzioni ipertoniche hanno invece un’osmolarità superiore a 300-310


mOsm/l con valori che raggiungono anche 500-1.000 mOsm/l e richiamano
acqua dalle cellule dei vasi endoteliali nel lume vascolare, causando il loro
restringimento e l’esposizione della membrana a ulteriori danni (flebiti
chimiche, irritazioni, trombosi). Tra le soluzioni fortemente ipertoniche ci sono
la soluzione glucosata al 20% (1.112 mOsm/l) e il bicarbonato all’8,4% (2.000
mOsm/l). Queste soluzioni non sono buoni diluenti.
E’ dimostrato che le soluzioni ipertoniche che superano i 600 mOsm/l possono
indurre una flebite chimica in una vena periferica entro 24 ore. Una soluzione
ipertonica può essere infusa in modo sicuro attraverso una vena centrale; il
grande volume di sangue in una vena centrale diluisce la soluzione, abbassando
la sua osmolarità. Invece il volume di sangue in una vena periferica non
garantisce un’adeguata emodiluizione e rende la vena vulnerabile a flebiti,
infiltrazioni e trombosi.
L’osmolarità è dunque uno dei possibili fattori che possono provocare una
flebite chimica. Naturalmente è necessario considerare l’osmolarità sia del
farmaco, sia del diluente. E’ importante che l’osmolarità dei farmaci
somministrati sia inferiore alle 600 mOsm/l.
Il rischio di flebite aumenta quando il pH e l’osmolarità della soluzione
endovenosa differiscono da quella del sangue.
Nelle vene periferiche possono essere somministrate soluzioni con osmolarità
non superiore a 600 mOsm/l e pH compreso tra 5 e 9 (per esempio: 10 mEq di
cloruro di potassio hanno osmolarità pari a 500 mOsm e si possono
somministrare in una vena periferica, mentre 30 mEq di cloruro di potassio che
hanno un’osmolarità di 800 mOsm/l non vanno somministrati).
E’ sempre preferibile utilizzare come accesso una vena di grosso calibro e
chiedere al paziente se avverte dolore o bruciore durante la somministrazione
del farmaco.

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Gestione degli accessi endovenosi

Soluzioni infusionali e caratteristiche chimico-fisiche

Soluzioni isotoniche

 albumina al 5%, isotonica ipo-oncotica utilizzata per il ripristino e il


mantenimento del volume sanguigno;
 soluzione fisiologica NaCl 0,9%, ph 4,5-7, isotonica, 308 mOsm/l idonea
per il reintegro di liquidi extracellulari stati ipovolemici, di shock o deficit
di sodio;
 aminoacidi a catena ramificata, ph 5,8-6,8, isotonica, 315 mOsm/l , per la
prevenzione encefalopatia epatica;
 Intralipid®10% e 20% ph 6,5–8,8 isotonica 260 mOsm/l soluzioni di
lipidi utilizzate per aumentare l’apporto energetico;
 Lipofundin®10% e 20% ph 6,5–8,8 isotonica 258 mOsm/l soluzioni di
lipidi utilizzate per aumentare l’apporto energetico;
 Soyacal®10% e 20% ph 6,5–8,8 isotonica 280-315 mOsm/l, soluzioni di
lipidi utilizzate per aumentare l’apporto energetico;
 ringer, isotonica 250-375 mOsm/l, per il trattamento della disidratazione
vascolare;
 elettrolitica reidratante con o senza glucosio ph 5–7, isotonica 306
mOsm/l utilizzata per mantenere l’equilibrio idroelettrolitico;
 bicarbonato 1,4% isotonica 334 mOsm/l, correzione acidosi metabolica;
 PPS® 5% isotonica,proteine plasmatiche;
 Voluven® 6% ph 4,0–5,5, isotonica 308 mOsm/l, sostituti del plasma
terapia e profilassi dell’ipovolemia e dello shock;
 Haes-steril® 6% ph 3,5–6,0, isotonica 308 mOsm/l sostituti del plasma
terapia e profilassi dell’ipovolemia e dello shock;
 Emagel® 3,5% ph 7,3±0,3, isotonica 308 mOsm/l sostituti del plasma
terapia e profilassi dell’ipovolemia e dello shock.

Soluzioni ipotoniche

 soluzione fisiologica NaCl 0,45% 4,5-7,0 ipotonica 155 mOsm/l usata per
il trattamento della disidratazione ipertonica;

47
Gestione degli accessi endovenosi

 glucosata 5% 3,5-6,5 leggermente ipotonica 278 mOsm/l utilizzata per la


terapia reidratante, veicola farmaci per esempio di alcuni antibiotici e non
contiene elettroliti.

Soluzioni ipertoniche

 albumina 20%, ipertonica >375 mOsm/l, utilizzata per mantenere la


pressione oncotica;
 glucosata 10%, ph 3,5–6,5 ipertonica 556 mOsm/l utilizzata per via
periferica, fonte nutritiva in pazienti che non possono alimentarsi per via
enterale;
 glucosata 20%, ph 3,5–6,5,fortemente ipertonica,1112 mOsm/l, utilizzate
solo per via centrale, fonte nutritiva in pazienti che non possono
alimentarsi per via enterale;
 glucosata 33% 3,5–6,5 fortemente ipertonica,1833 mOsm/l utilizzate solo
per via centrale, fonte nutritiva in pazienti che non possono alimentarsi
per via enterale;
 glucosata 50% 3,5–6,5 fortemente ipertonica, 2778 mOsm/l utilizzate solo
per via centrale, fonte nutritiva in pazienti che non possono alimentarsi
per via enterale;
 Isopuramin® ph 4,5–5,5 ipertonica 550 mOsm/l aminoacidi utilizzati per
trattare deficit proteici;
 Freamine® ph 4,5–5,5 ipertonica 860 mOsm/l aminoacidi utilizzati per
trattare deficit proteici;
 aminoacidi selettivi ph 5,5-7 ipertonica, 760 mOsm/l;
 destrosio 5% in ringer lattato ph 4,0–6,5, ipertonica 525 mOsm/l per il
trattamento della disidratazione ipotonica;
 sodio bicarbonato 8,4% 7–8,5 ipertonica 2000 mOsm/l usata per la
correzione di gravi acidosi metaboliche;
 mannitolo 18% ph 4,5–7 ipertonica 990 mOsm/l riduzione dell’edema
cerebrale;
 glicerolo 10% ph 4,5–7 ipertonica 1394 mOsm/l riduzione dell’edema
cerebrale;
 NaCl 3% fortemente ipertonica 1028 mOsm/l correzione gravi situazioni
di iponatriemia e ipocloremia.

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Gestione degli accessi endovenosi

Ph

Il pH è una scala di misura dell'acidità o della basicità di una soluzione acquosa


definendone, quindi, la concentrazione di ioni idrogeno. Come mostrato in
figura soprastante, la scala va da 0 a 14, da 0 a 6 il pH è acido, mentre da 8 a 14
il pH è basico. Quando il pH è pari a 7 significa che la soluzione è neutra. A
ogni piccolo cambiamento di pH corrisponde una grande variazione della
concentrazione degli ioni idrogeno.
Le soluzioni endovenose, troppo acide o troppo basiche, possono danneggiare la
tunica intima, causare la formazione di emboli oppure favorire la comparsa di
complicanze come la flebite.
Al fine di ridurre il rischo di insorgenza di complicanze, bisogna somministrare
soluzioni che abbiano un pH prossimo a quello del sangue, ossia 7,35- 7,45, o
comunque compreso tra ph 5 e 9 se il farmaco viene somministrato da un
accesso venoso perferico. In particolare i principi attivi con pH sotto 4,1 e quelli
con pH sopra i 9 possono danneggiare la tunica intima della vena, causando una
flebite chimica. Se il paziente sviluppa una flebite chimica, aumenta di
conseguenza il rischio di sclerosi della vena, di infiltrazione e di trombosi
venosa.
Il miglior metodo per prevenire tali complicanze e aumentare il tempo di
permanenza del dispositivo endovenoso è sicuramente l’emodiluizione. Alcuni
farmaci, invece, che sono irritanti, come la vancomicina e l’eritromicina, anche
quando vengono miscelati con soluzioni diluenti per raggiungere un pH neutro o
quasi, possono causare flebite chimica.
Un farmaco acido e vescicante come la vancomicina deve essere infuso
utilizzando un catetere dal calibro più piccolo possibilmente in una vena di
grandi dimensioni, centrale e non periferica, che abbia un flusso di sangue
sufficiente a consentire l’emodiluizione nel momento in cui il farmaco viene

49
Gestione degli accessi endovenosi

infuso. Potrebbe anche essere indicato l’inserimento di un catetere centrale per


via periferica piuttosto che usare un dispositivo endovenoso periferico.
L’utilizzo di più diluente è solo un rimedio parziale, in quanto spesso le stesse
soluzioni diluenti sono acide. Quindi, miscelando 1 grammo di vancomicina che
ha un pH acido, da 2,4 a 4,5 in 250 ml di soluzione fisiologica 0,9% il pH si
alza, ma solo leggermente, in quanto il pH del sodio, cloruro 0,9% è solo
leggermente meno acido. Anche la variazione del volume per la diluizione della
vancomicina modifica di poco l'osmolarità e il pH della soluzione finale.

Principi attivi alcalini

Principi attivi alcalini PH


Ampicillina 8.5-10.00
5 fluoruracile 9.2
Aciclovir 10.5
Ganciclovir 11.0
Sulfametossazolo 10.0
dilantin 12.0

Principi attivi acidi

Principi attivi acidi PH


ceftriaxsone 6.6
gentamicina 3.0-5.5
pentamidina 4.0-5.4
vancomicina 2.4-4.5
ciprofloxacina 3.5-4.0
docetaxel 4.0
etoposide 3.0-4.0

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Gestione degli accessi endovenosi

Diluizione della vancomicina con relativo ph e osmolarità della soluzione.

Diluente per la PH Osmolarità


vancomicina
1 g in 100 ml 0,9% 3,19 328 mOsm/ml
soluzione fisiologica
1 g in 250 ml 0,9% 3,2-3,4 316 mOsm/l
soluzione fisiologica
1,5 g in 100 ml 0,9% 3,3-3,5 339 mOsm/l
soluzione fisiologica
1,5 g in 250 ml 0,9% 3,2-3,4 320 mOsm/l
soluzione fisiologica
2 g in 100 ml 0,9% 3,3-3,4 348 mOsm/l
soluzione fisiologica
2 g in 250 ml 0,9% 3,2-3,4 324 mOsm/l
soluzione fisiologica

Caratteristiche delle soluzioni disponibili per la somministrazione


endovenosa

La terapia infusionale consiste nella somministrazione di liquidi o farmaci


direttamente nel flusso sanguigno, attraverso un dispositivo di accesso vascolare
(batterflay o ago cannula) inserito in una vena periferica o centrale.
La via endovenosa consente una rapida somministrazione del farmaco perché si
evita la fase di assorbimento necessaria con le altre vie di somministrazione e
consente la somministrazione in infusione continua, mantenendo in questo modo
un dosaggio terapeutico costante nel sangue. Per infusione è possibile
somministrare numerose sostanze compresi liquidi, elettroliti, nutrienti, prodotti
del sangue e farmaci, ottenendo un sostegno vitale e una nutrizione adeguata
quando l’alimentazione per via enterale è compromessa.
Alcuni farmaci possono anche essere somministrati attraverso un bolo
endovenoso; ciò garantisce l’introduzione di una dose concentrata di principio
attivo direttamente nel circolo sistemico e un rapido effetto terapeutico, ma si
tratta di una manovra potenzialmente pericolosa e spesso irritante sulle pareti
interne dei vasi sanguigni. Ulteriori complicanze locali possono manifestarsi a

51
Gestione degli accessi endovenosi

causa di alcuni fattori intrinseci alle soluzioni e ai farmaci, quali l’osmolarità e il


pH. Prima di somministrare la terapia endovenosa occorre dunque verificare,
sulla base della prescrizione, le caratteristiche delle soluzioni e le indicazioni
relative ai tempi e alle modalità di infusione.
Le linee guida più recenti raccomandano di prescrivere liquidi per via
endovenosa solo nei soggetti che non possono assumerli per via orale o enterale
e di interrompere la somministrazione appena possibile.
I soggetti che ricevano liquidi per via endovenosa devono essere ricontrollati
regolarmente, in particolare è bene valutare azotemia, creatinina ed elettroliti.
Le soluzioni disponibili per la somministrazione endovenosa si definiscono
cristalloidi o colloidi a seconda del loro contenuto e producono effetti diversi
quando vengono infuse.
Occorre inoltre precisare che ogni soluzione che viene infusa si distribuisce nei
vari comparti del corpo in modo diverso, a seconda delle sostanze contenute.
Il corpo umano è composto per il 60% da acqua suddivisa in due grandi aree
funzionali separate fra loro dalla membrana cellulare: il liquido intracellulare
(67% del volume totale di acqua) e il liquido extracellulare (30% del volume
totale di acqua).
Il liquido extracellulare a sua volta è diviso in altri due comparti, il liquido
intravascolare e il liquido interstiziale. I liquidi e gli elettroliti somministrati per
via endovenosa passano direttamente nel plasma (spazio del liquido
extracellulare), vengono assorbiti in base alle caratteristiche del liquido e allo
stato di idratazione del paziente.
I liquidi più comunemente infusi sono il destrosio e la soluzione fisiologica,
entrambe sono soluzioni cristalloidi.
Sciogliendo i cristalli, come i sali e gli zuccheri, in acqua si creano i cristalloidi.
Non contengono proteine e altri soluti ad alto peso molecolare e si
distribuiscono esclusivamente nei due comparti del liquido extracellulare;
rimangono nello spazio intravascolare solo per un breve periodo prima di
diffondersi attraverso la parete dei capillari nei tessuti.
A causa di questa azione è necessario somministrare 3 litri di soluzione
cristalloide per ogni litro di perdita di sangue.
Sono esempi di soluzioni cristalloidi: la soluzione fisiologica, il ringer lattato e il
destrosio.
I cristalloidi sono raccomandati quando in caso di rianimazione occorre
infondere liquidi per via endovenosa. In tale condizione va somministrata una

52
Gestione degli accessi endovenosi

soluzione cristalloide che contenga sodio in un range che va da 130 a 154


mmol/litro con un bolo di 500 ml in circa 15 minuti.
I colloidi contengono ivece molecole di grandi dimensioni come le proteine che
non passano facilmente la membrana capillare. Pertanto, i colloidi restano nello
spazio intravascolare per lunghi periodi. Queste molecole di grandi dimensioni
aumentano la pressione osmotica nello spazio intravascolare provocando in tal
modo il passaggio del fluido dallo spazio interstiziale e intracellulare allo spazio
intravascolare.
Per questo motivo i colloidi sono spesso indicati come espansori del volume
ematico. I colloidi sono costosi, hanno un’emivita breve e richiedono
refrigerazione.
Per queste ragioni non sono comunemente utilizzati in ambito preospedaliero.
Sono esempi di soluzioni colloidi: l’albumina al 5% e al 20% e i sostituti del
plasma.

53
Gestione degli accessi endovenosi

Parte Seconda: CATETERE VENOSO PERIFERICO

Definizione del catetere venoso periferico

IL catetere venoso periferico é un dispositivo che permette l'accesso periferico


ossia il collegamento tra la superficie cutanea e una vena del circolo periferico
quali basilica, cefalica e in difficoltà di reperimento delle precedenti si
possono utilizzare vene della mano, dei piedi come ultimissima scelta per
complicanze, o in caso d’urgenza la giugulare esterna.
I cateteri venosi periferici (CVP) sono i dispositivi di accesso vascolare più usati
nella pratica clinica per la somministrazione di liquidi, nutrienti, farmaci e
derivati del sangue per via parenterale.
La gestione dei cateteri venosi periferici e della terapia infusionale è parte
integrante dell’assistenza nei diversi contesti di cura ospedalieri e territoriali,
con pazienti acuti e cronici.
Negli ultimi due decenni la tecnologia dei dispositivi di accesso vascolare
(VAD) è notevolmente progredita e l’attenzione è sempre più centrata sulla
prevenzione delle complicanze. Pertanto la corretta gestione degli accessi
vascolari richiede all’infermiere nuove conoscenze, abilità e capacità nella
valutazione dei fattori di rischio, nella scelta del dispositivo più idoneo e
contribuisce a ridurre l’insorgenza delle complicanze aumentando la
sopravvivenza del paziente.
I cateteri venosi periferici sono realizzati con materiale biocompatibile come il
teflon, il poliuretano e il silicone, assemblato in modi diversi secondo la
specificità. Ogni nuovo materiale mira a essere un progresso rispetto ai
precedenti per consentire di prevenire specifici problemi associati al loro
impiego come la trombogenicità. Per esempio il poliuretano ha migliorato le
prestazioni del catetere prolungando il tempo di permanenza in vena: rigido a
temperatura ambiente e flessibile dopo l’inserimento, diminuisce l’irritazione
delle pareti delle vene e il rischio di flebite. Diversi produttori hanno anche
sperimentato il rivestimento batteriostatico dei cateteri per prevenire la
colonizzazione e l’infezione.

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Gestione degli accessi endovenosi

I cateteri in poliuretano e in politetrafluoroetilene (teflon) sono stati associati a


un minor rischio di complicanze infettive (colonizzazione microbica) e di
trombogenicità rispetto ai cateteri in cloruro di polivinile (PVC) o in polietilene.
Gli aghi in acciaio utilizzati in alternativa ai cateteri venosi periferici hanno lo
stesso tasso di complicanze infettive dei cateteri in teflon. Tuttavia, l’uso di aghi
in acciaio andrebbe evitato per la somministrazione di liquidi e di farmaci
vescicanti.

Classificazione dei cateteri ad accesso venoso periferico

• Ago a farfalla o butterfly:


composto da ago metallico di piccole dimensioni con un sistema di alette
utile per la presa durante il posizionamento e fissaggio e da un tubicino di
circa 30 cm con sistema di raccordo luer-lock per la connessione a set per
infusioni o siringhe. Va rimosso alla fine dell’infusione. E’indicato per
terapie a breve termine e monosomministrazioni; può essere utilizzato
anche per prelievi ematici in campo pediatrico o in caso di accessi venosi
difficili;

Caratteristiche riassuntive del catetere venoso periferico Ago a


farfalla

Tipo di CVP Materiale Caratteristiche Tempo di


permanenza
Ago a farfalla acciaio ago metallico con deve essere
(butterfly) alette in plastica rimosso alla fine
che consentono di dell’infusione
impugnare meglio
l’ago stesso

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Gestione degli accessi endovenosi

• Ago cannula:

composto da una cannula esterna di vario calibro e di materiale


biocompatibile (di solito in teflon, più raramente in poliuretano o silicone)
e da un mandrino o stiletto, inserito all’interno della cannula con la punta
che fuoriesce dalla parte distale della cannula, con impugnatura e camera
di reflusso trasparente. Garantisce una maggiore affidabilità e tenuta nel
tempo rispetto all’ago butterfly; è indicato per la somministrazione dei
farmaci in infusione continua e intermittente, per esami ematochimici, per
la somministrazione di farmaci in emergenza, di emoderivati o per la
nutrizione parenterale periferica. Gli aghi cannula di nuova generazione
sono dotati di un dispositivo di sicurezza che si attiva durante o dopo
l’estrazione dell’ago e copre completamente la punta dell’ago,
preservando dal rischio di punture accidentali anche durante la fase di
smaltimento del catetere;

Ago cannula: due diversi sistemi di sicurezza integrati a confronto

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Gestione degli accessi endovenosi

Caratteristiche riassuntive del catetere venoso periferico Ago cannula

Tipo di Materiale Caratteristiche Tempo di


CVP permanenza
Ago cannula vialon
(poliuretano)

 elevata biocompatibilità
 elevata flessibilità (facile adattamento
del catetere alla vena)
 facilità nella penetrazione dell’ago
 elasticità (rapido ritorno del catetere
alla sua forma originale in caso di movimenti
involontari del paziente che provocano una
piegatura dello stesso
 minor trombogenicità (superficie liscia
che diminuisce il rischio di trombosi e flebiti)
 termoplastico
 minore colonizzazione microbica
 riduzione del rischio di infiltrazione
3-4 giorni
(72-96 ore)
teflon
(politetrafluoroetilene)
 elevata biocompatibilità
 riduce gli incidenti di trombogenicità
 alta resistenza a contorsioni
 non termoplastico
 rigido con scarso ritorno dal piegamento
 maggiore colonizzazione microbica
 maggior trombogenicità

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Gestione degli accessi endovenosi

• Catetere integrato di sicurezza:

Il dispositivo integrato più utilizzato per i pazienti con vene difficili, che
consente un aumento dei tempi medi di permanenza, in accordo con le linee
guida CDC, è caratterizzato dalla ridotta lunghezza della cannula in
poliuretano e da grandi alette flessibili che facilitano l’incannulamento venoso,
in particolare nell’anziano o nel bambino e in tutte le situazioni in cui l’accesso
venoso risulti difficile o poco accessibile, e favoriscono anche il fissaggio alla
cute. La combinazione del materiale Vialon, alette grandi e morbide e la
prolunga integrata aiuta a migliorare la stabilizzazione del catetere nel vaso,
riducendo al minimo le complicanze ad esso associate ed accrescendo i tempi
medi di permanenza.
Questo catetere è dotato di dispositivo telescopico che si attiva durante la
rimozione del mandrino, incamerandolo ed evitando il rischio di puntura
accidentale. La prolunga che termina con un raccordo ad Y permette sia il
prelievo sia l’infusione. Il gommino di chiusura del sistema evita il contatto
muco-cutaneo con il sangue durante la manipolazione. Concepito per ridurre
al minimo le ferite da aghi e l'esposizione al sangue durante l'inserzione, è
dotato di un meccanismo di sicurezza dell'ago di tipo passivo che si attiva
quindi in modo automatico durante l’estrazione dell’ago ed evita il rischio
di punture accidentali.

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Gestione degli accessi endovenosi

La buona gestione del catetere previene infezioni sia locali sia sistemiche. I
cateteri venosi periferici devono garantire la stabilità dell’accesso venoso, la
massima biocompatibilità e la protezione da complicanze infettive e
trombotiche. Inoltre deve essere possibile l’uso discontinuo.
Un catetere ideale fornisce inoltre la protezione per l’utente e grazie alle
soluzioni di progettazione avanzate assicura:

• facilità di utilizzo;
• rapido ritorno di sangue;
• visibilità del sito di puntura;
• flessibilità;
• facile manutenzione;
• sicurezza e comfort;
• riduzione del dolore;
• riduzione del rischio di infezione;
• minimo rischio di trombogenicità;
• esposizione minima al sangue.

I cateteri si possono classificare in relazione al tempo di permanenza:

 a breve termine (per esempio Abbocath® e Angioset®): usati in ambito


ospedaliero con tempo di permanenza di 3 o 4 giorni, sono cateteri a
punta aperta, in teflon o poliuretano, con un diametro compreso tra 14 e
24 gauge;

 a medio termine (per esempio Midline®): usati in ambito ospedaliero ed


extraospedaliero con un tempo di permanenza di 4 settimane, questi
cateteri possono essere a punta aperta oppure valvolati, di solito sono di
silicone o poliuretano. Sono lunghi da 20 a 30 cm (la punta può arrivare in
vena ascellare) e hanno un diametro variabile da 2 a 6 french.

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Gestione degli accessi endovenosi

• Midline

Mini-Midline
Lunghezza 6-15 cm, Durata relativamente breve (<4settimane), Inserito
nelle vene superficiali e profonde del braccio (con eco)

midline Vs. mini-midline


MIDLINE MIDLINE: punta posizionata nell'area infra/supraclavicolare
(Vena ascellare o succlavia) Una trombosi causata da un midline può
essere un grave problema
MINI-MIDLINE MINI-MIDLINE: punta in una vena del braccio più
frequentemente crea problemi di malfunzionamento spesso non
utilizzabile per prelievi durata più breve

Catetere Midline

60
Gestione degli accessi endovenosi

E’ un catetere venoso periferico in quanto la sua punta non raggiunge la


prossimità della giunzione cavo-atriale. Il suo utilizzo è a medio temine (1-6
settimane), tuttavia ci sono non poche segnalazioni di presidi long-survivor (3-5
mesi). Indicati per infusioni periferiche previste per > 6 gg.
Rimuovere soltanto a fine uso o in caso di complicanza (cfr. LG Atlanta 2011).

Caratteristiche del catetere Midline:

• Utilizzo discontinuo;
• Utilizzo Intra/Extra Ospedaliero;
• Lunghezza 8 – 30 cm;
• Calibro (16 – 25 G ovvero 5 - 2 Fr);
• Silicone o poliuretano 3^ generazione;
• Non tunnellizzato;
• Morbido, flessibile, biocompatibile;
• Valvolato/non valvolato, mono/bilume;
• Non richiede sostituzione programmata;
• Inserzione al III° medio del braccio (basilica>brachiale>cefalica);
• Impianto ecoguidato con abbattimento delle complicanze all’impianto:
fallimenti, punture arteriose, ematomi e tentativi ripetuti.

Catetere Midline a punta aperta a punta chiusa (groshong)

61
Gestione degli accessi endovenosi

Vantaggi dell'uso del Midline:

– Superamento del limite rappresentato dal paziente con patrimonio venoso


superficiale esaurito;
– Accesso venoso stabile per periodi prolungati, adatto all’infusione
discontinua;
– Dispositivo con il più basso tasso di complicanze infettive batteriemiche
(0,2per IVD 1000-days,Maki et al 2006);
– Assenza di complicanze maggiori da sanguinamento in pz. scoagulati;
– Presidio infermieristico.

Svantaggi dell'uso del Midline:

Possibili complicanze locali flebitiche e trombo-flebitiche, riducibili con


l’impianto ecoguidato a metà braccio.

I cateteri venosi periferici a medio termine come il Midline®, sono associati a


una minore incidenza di flebite rispetto ai cateteri a breve termine e a un basso
tasso di infezioni rispetto ai cateteri venosi centrali (CVC). In uno studio
prospettico, su 140 cateteri a medio termine il tasso di BSI (Blood Stream
Infection) era dello 0,8% per 1.000 giorni/catetere. Sebbene gli studi
suggeriscano la sostituzione dei cateteri a medio termine soltanto quando vi è
una specifica indicazione clinica, nessuno studio prospettico randomizzato ha
valutato l’efficacia della sostituzione di routine nella prevenzione delle infezioni
associate all’utilizzo di questi cateteri venosi periferici.
La fleboclisi, che è la procedura invasiva più comune, si associa a un tasso di
flebite tra il 2,3% e il 60% in funzione delle caratteristiche del paziente e delle
terapie infuse, e a un tasso di infezione del catetere endovenoso (CRBSI:
Catether-Related Blood Stream infection) dello 0,8% circa.
Studi sui cateteri venosi periferici a breve termine indicano che l’incidenza di
tromboflebite e la colonizzazione batterica dei cateteri aumenta quando
rimangono in vena per un tempo superiore a 72 ore e non aumenta in modo
significativo quando i cateteri vengono lasciati in sede 72 o 96 ore.

62
Gestione degli accessi endovenosi

Secondo una revisione sistematica Cochrane del 2010 però la sostituzione


regolare del catetere ogni 3-4 giorni è poco efficace per prevenire le infezioni da
catetere. Confrontando la sostituzione del catetere di routine, ogni 3-4 giorni,
con quella eseguita soltanto in presenza di segni clinici di infiammazione o
flebiti non sono infatti emerse differenze statisticamente significative nella
frequenza di infezioni. Questi risultati sono probabilmente frutto del
miglioramento nella progettazione dei cateteri venosi periferici e indicano la
necessità di rivedere le raccomandazioni sulla sostituzione dei cateteri. Le linee
guida dei CDC e anche le recenti linee guida australiane (2013) continuano a
consigliare la sostituzione programmata dei cateteri venosi periferici ogni 72-96
ore per limitare lo sviluppo di flebiti e di infezioni da catetere e questa
raccomandazione è tuttora seguita nella maggior parte degli ospedali.
E’ necessario quindi sostituire il catetere venoso periferico posizionato in
condizioni di emergenza entro le 24-48 ore dall’inserimento, se non inserito
asetticamente.

Procedura inserimento Midline

1. Verificare che il sistema scelto sia effettivamente il dispositivo adatto alla


terapia endovenosa prevista per quel paziente;
2. Spiegare dettagliatamente al paziente la procedura;
3. Raccogliere il consenso verbale e scritto del paziente alla procedura e
verificare eventuale presenza di pace-maker o defibrillatori impiantabili (il PICC
in tal caso verrà posizionato nell’arto contro laterale) e che non siano presenti
allergie conosciute;
4. Valutazione ecografica delle vene delle braccia prima senza e poi con
l'applicazione del laccio emostatico;
5. Valutare le vene teoricamente agibili,identificare il punto di inserzione con
penna dermografica e rimuovere il laccio emostatico;
6. Effettuare il lavaggio sociale delle mani;
7. Posizionare il paziente in posizione supina, con braccio a 90 gradi, palmo
della mano in alto;
8. Eseguire tricotomia, se necessaria;
9. Posizionare il telino salvaletto monouso sotto il braccio del paziente;

63
Gestione degli accessi endovenosi

10. Indossare mascherina e copricapo;


11. Eseguire lavaggio antisettico delle mani;
12. Indossare il camice e i guanti sterili;
13. Preparare il campo sterile aprendo il telino non adesivo sul piano di lavoro;
14. Disporre sul campo sterile il materiale necessario: 3 teli sterili, 4 fiale di
soluzione fisiologico, 4 siringhe 10 ml, 1 siringa da 2.5 ml, 1 siringa da 1 ml con
ago da insulina, garze sterili, tappino needleless, 1 medicazione assorbente,
carbocaina 2%, sistema sutureless, copri sonda sterile, kit microintroduzione
Midline.

Procedura molto simile all’inserimento del Picc con la differenza che questo
catetere va in vena ascellare quindi non necessità di rx torace e neanche di
misurazioni. Un'altra differenza dal Picc è che una volta inserito il catetere nella
vena bisogna assemblare la sua codina e chiuderlo con il Clave Connector.

64
Gestione degli accessi endovenosi

Dimensioni esterne e interne del catetere venoso periferico

Le dimensioni del diametro della cannula da tenere in considerazione sono


indicate in french e in gauce
Il french esprime la dimensione del diametro esterno di un catetere, dove 1
french corrisponde a 0,3 mm, la misura del diametro interno è indicata in gauge
(G), un’unità di misura che corrisponde al numero di cateteri che entrano in un
cm2, mentre la lunghezza del catetere è espressa in centimetri. Maggiore è il
gauge, più piccolo è il calibro della cannula. Gli aghi cannula più comunemente
utilizzati sono quelli da 18 G, 20 G, 22 G e 24 G. E’ indicato selezionare il
dispositivo del calibro più piccolo possibile rispetto al calibro della vena.
Cannule venose di grosso calibro sono associate a un maggior rischio di
complicanze infettive rispetto a quelle di calibro minore, per l’aumentato trauma
fisico al vaso durante il posizionamento. Un catetere di calibro più piccolo
permette un maggior flusso ematico nel vaso, diluendo così la soluzione infusa e
quindi l’azione lesiva locale, soprattutto quando le soluzioni sono iperosmolari.
Ogni diametro della cannula è identificata da un codice colore standard, come
richiesto dalla norma ISO10555-5.

Calibro interno dei CVP

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Gestione degli accessi endovenosi

La portata ideale del flusso di un catetere venoso periferico (normalmente


indicato in l/ora sul retro dell’imballaggio del catetere) dipende principalmente
dal suo calibro e in misura minore dalla sua lunghezza.
Normalmente però la portata reale è più lenta a causa della variabilità della
resistenza provocata dalla vena e della viscosità di molte soluzioni infuse.
Per selezionare il dispositivo più appropriato per il paziente, per la terapia e per
ridurre al minimo gli eventi avversi, l’infermiere deve possedere le conoscenze e
competenze adeguate che includono la conoscenza dell’appropriatezza della
terapia prescritta e delle linee guida più aggiornate, delle potenziali complicanze
e la competenza nella tecnica di inserimento del dispositivo in base alla
personale esperienza pratica.
La scelta del catetere vascolare dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche
delle soluzioni da infondere, dal volume e dalla velocità di infusione, dalla
durata della terapia, dalle condizioni del paziente, dalla preferenza e dal piano
terapeutico complessivo.
È importante la scelta del dispositivo più appropriato in base all’uso per
accrescere i benefici terapeutici del paziente e ridurre al minimo il disagio e i

66
Gestione degli accessi endovenosi

costi. L’obiettivo è quello di utilizzare il dispositivo meno invasivo con il minor


rischio di complicanze, infettive e non infettive, per tutta la durata della terapia.
Le linee guida emesse dai CDC nel 2011 classificano ogni raccomandazione
sulla base dei dati scientifici esistenti, del razionale teorico, dell’applicabilità e
dell’impatto economico.

Procedure per la scelta della sede di inserimento del


catetere venoso periferico

L'accesso a una vena periferica può variare dalla puntura venosa estemporanea
con ago a farfalla (butterfly) fino all’incannulamento. L’ago a farfalla può essere
utilizzato per terapie infusionali sporadiche e di breve durata oppure per il
prelievo di sangue in ambito pediatrico. L’incannulamento invece viene
utilizzato per terapie infusionali continue o a intermittenza.

La vena può essere scelta:

• in cieco, preferendo una vena superficiale, facilmente rintracciabile e di


sufficiente turgore;
• con l’ausilio di un ecografo a sonda piccola per agevolare l’inserimento
del catetere (questo metodo si usa in genere con il catetere a medio
termine).

Come indicato nelle procedure standardizzate, la scelta della sede per l’accesso
vascolare deve tenere conto della situazione clinica del paziente, dell’età e della
malattia di base, nonché delle condizioni delle vene, del tipo e della durata della
terapia e delle potenziali complicanze vascolari associate al dispositivo scelto. I
criteri adottati dovrebbero essere in linea con le linee guida più recenti e
contemplati nelle procedure delle organizzazioni sanitarie.
Il posizionamento di qualsiasi dispositivo di accesso vascolare dovrebbe essere
effettuata solo da personale formato in quanto è una procedura asettica. La scelta

67
Gestione degli accessi endovenosi

della vena e le modalità di posizionamento del catetere possono condizionare il


risultato della terapia infusionale.
Nel posizionamento di un catetere venoso periferico occorre selezionare vene
che abbiano le seguenti caratteristiche:

• piene e mobili;
• superficiali e palpabili;
• di diametro sufficiente a contenere il catetere vascolare e a consentire un
flusso di sangue adeguato per garantire una corretta emodiluizione del
farmaco somministrato;
• in una sede tale da consentire al paziente un buon livello di comfort (per
esempio è preferibile posizionare l’accesso vascolare nell’arto non
dominante).

Vanno invece evitate le vene:

• a livello delle pieghe anatomiche o delle articolazioni mobili, per non


ostacolare i movimenti e per ridurre il rischio di fuoriuscita del catetere
dalla vena (va tuttavia segnalato che in alcune situazioni di emergenza
può essere necessario utilizzare le vene a livello delle pieghe anatomiche);
• dolenti, con ematomi o sclerosate;
• localizzate in un braccio edematoso o ipofunzionante ovvero con problemi
neurologici, plegici, o che sia stato sottoposto a uno svuotamento
ascellare post mastectomia;
• già utilizzate ove si sia verificata una flebite;
• situate a livello degli arti inferiori, dato il maggior rischio di embolia, di
tromboflebite e di infezioni;
• localizzate a livello del polso, per diminuire i rischi di danni alle arterie
radiale e ulnare e/o al nervo mediano che si trovano nel raggio di circa 5
cm;
• vene della fossa antecubitale e vene metacarpali, se il farmaco da
somministrare è vescicante, a causa della difficoltà di individuare
infiltrazioni nei siti di flessione;
• localizzate nell’arto in cui è presente una fistola vascolare per emodialisi.

68
Gestione degli accessi endovenosi

Prima di scegliere una sede alternativa a seguito di infiltrazioni o di stravaso,


occorre rivalutare completamente i parametri già illustrati.
Nell’adulto sono da prediligere le vene che si trovano sulla superficie dorsale e
ventrale degli arti superiori, come la cefalica e la basilica e i loro prolungamenti
e le vene metacarpali. Tali vene hanno le seguenti caratteristiche anatomiche e
di flusso:

• vena cefalica: 6 mm di diametro con un flusso di 40 ml/min


• vena basilica: 8 mm di diametro con una portata di 95 ml/min

La vena cefalica, basilica o mediana cubitale dell’arto superiore possono essere


utilizzate anche per l’inserimento di un catetere venoso periferico a medio
termine.
Le vene della superficie ventrale e in particolare la cefalica dovrebbero essere
evitate nei soggetti con insufficienza renale, in tali soggetti va preferito il dorso
della mano.
I cateteri venosi periferici non dovrebbero essere utilizzati di routine per il
prelievo di sangue, tranne nel caso in cui il prelievo venga effettuato subito dopo
l’inserimento.
Di seguito riportiamo le principali raccomandazioni sulla selezione della sede
contenute nelle nuove linee guida dei CDC di Atlanta del 2011.

Procedure per la gestione del catetere venoso periferico

I microrganismi responsabili delle infezioni provengono principalmente dalla


flora batterica della cute del paziente o dalle mani dell’operatore sanitario.
Questi microrganismi possono essere introdotti con il catetere o penetrare
mentre il catetere è già in situ, anche migrando nella vena con il movimento del
catetere dentro o fuori dal punto di inserimento. Pertanto la cute deve essere
pulita prima di applicare l’antisettico.
Si raccomanda di utilizzare come antisettico la clorexidina alcolica >0,5 che è
diventata un antisettico standard nelle procedure di inserimento dei cateteri

69
Gestione degli accessi endovenosi

venosi centrali e periferici, oppure clorexidina in soluzione acquosa al 2% o in


soluzione alcolica allo 0,5%.
Purché vengano rispettati i tempi di azione del prodotto secondo le indicazioni
dell’azienda produttrice, in alternativa si possono usare lo iodopovidone al 10%
o l’alcol al 70%,
Nel caso di allergie, ipersensibilità o se comunque l’alcol è controindicato va
utilizzato lo iodopovidone in soluzione acquosa al 10% oppure la soluzione
fisiologica sterile, tenendo presente che il tempo di asciugatura della soluzione
acquosa è più lungo rispetto alla soluzione alcolica.
La soluzione va applicata seguendo un movimento circolare dall’interno verso
l’esterno per circa 30 secondi e andando a coprire un’area di circa 10 cm x 10
cm. Dopo la disinfezione della cute non è più possibile palpare la vena per non
perdere la sterilità del sito di accesso. Se necessario palpare nuovamente la vena
occorre una nuova antisepsi rispettando i tempi di asciugatura. Le linee guida
raccomandano di lasciare l’antisettico sul sito di inserimento e di farlo asciugare
all’aria.
L’infermiere deve aiutare i pazienti a raggiungere il massimo livello di
autonomia possibile, pianificando e attuando interventi educativi.
Seguendo le procedure correnti nella cura e nella gestione del catetere venoso
periferico, l’infermiere deve prendere in considerazione i seguenti fattori:

• il materiale di cui è composto il catetere venoso periferico;


• i tempi di permanenza del catetere venoso periferico;
• la soluzione antisettica da utilizzare sulla cute;
• la tolleranza del paziente (comparsa di eventuali reazioni allergiche o
dolore);
• la valutazione e il monitoraggio del sito di inserzione (integrità e
sensibilità cutanea, segni di flebite, infiltrazione, stravaso);
• il tipo di medicazione e la frequenza della sua sostituzione;
• il monitoraggio del dispositivo di accesso vascolare (pervietà, flusso,
fissaggio);
• la modalità di somministrazione della terapia prescritta.

Prima e dopo qualsiasi procedura clinica, come per esempio l’inserimento del
catetere, il cambio della medicazione e la palpazione è fondamentale lavarsi le

70
Gestione degli accessi endovenosi

mani. Se non è possibile lavarsi le mani con acqua e saponi antisettici si possono
utilizzare creme o gel senz’acqua a base alcolica. L’uso dei guanti non
sostituisce il lavaggio delle mani.
L’operatore nel posizionamento del catetere venoso periferico, indossa i
dispositivi di protezione individuale (DPI): guanti monouso, occhiali di
protezione o visiera.
Per inserire un catetere venoso periferico è sufficiente usare un paio di guanti
monouso non sterili e una tecnica no-touch mentre occorrono i guanti sterili per
il posizionamento di cateteri centrali in quanto una tecnica no-touch non è
possibile.
Preparare il set per infusione costituito da:

• deflussore: in materiale plastico trasparente, è dotato di una camera di


gocciolamento con filtro antibatterico e dispositivo di ingresso dell’aria;
di un apparato tubolare di lunghezza variabile da un minimo di 120 cm a
un massimo di 200 cm; di un raccordo terminale luer-lock e di un
cappuccio protettivo alle due estremità. I deflussori standard garantiscono
un’infusione di 20 gtt/ml; quelli pediatrici e i microgocciolatori di 60
gtt/ml;
• prolunghe o sistemi di raccordo: facilitano il collegamento e la gestione
del sistema. Possono essere a due o a tre vie e consentono anche la
somministrazione contemporanea di più infusioni, limitando le
manipolazioni e riducendo il rischio di contaminazioni del sito di
inserzione;
• sistemi di regolazione del flusso: consentono di regolare e controllare la
velocità del flusso d’infusione; la velocità di infusione va controllata
frequentemente in quanto potrebbe subire variazioni in funzione della
posizione della persona (devono esserci almeno 80 cm di distanza in
altezza tra il punto di inserzione e la soluzione da infondere), del volume
totale da infondere e della viscosità della soluzione stessa.
• morsetti stringi-tubo a vite o a rotella: utilizzati quando la velocità di
infusione non richiede livelli elevati di accuratezza o precisione e il tempo
previsto per l’infusione è approssimativo (per esempio “circa 2-3 ore”);

71
Gestione degli accessi endovenosi

• regolatori di flusso (tipo Dial-Flow®): garantiscono una maggior


precisione rispetto ai morsetti. La velocità viene definita in ml/orari,
variabile da 5 ml/ora a 250 ml/ora.

Per gestire al meglio le linee infusionali che utilizzano un catetere venoso


periferico occorre considerare che nelle infusioni continue di soluzioni
fisiologiche, glucosate e bilanciate, la sostituzione del set di infusione, quindi
deflussore, regolatori di flusso, tappi e adattatori, deve avvenire ogni 72 ore a
meno che non si sospetti un’infezione associata al catetere; le soluzioni
contenenti emulsioni lipidiche, invece, necessitano di una sostituzione più
frequente, ogni 24 ore, mentre i set per l’infusione di sangue ed emoderivati
vanno sostituiti ogni 12 ore o al termine di ogni sacca.
Quando si sostituiscono le linee infusionali è obbligatorio lavarsi le mani con
sapone antisettico oppure con gel a base alcolica. Come già ricordato, l’uso dei
guanti non deve escludere il lavaggio delle mani all’inizio e al termine della
procedura per alcuni farmaci occorre seguire le indicazioni dell’azienda
produttrice rispetto ai tempi di sostituzione del set di infusione, per esempio per
il propofol il set va sostituito ogni 6-12 ore.
Per ridurre il rischio di perdite, i vari sistemi utilizzati per l’infusione, tipo il
luer-lock, devono essere tra loro compatibili nel punto di connessione.
É importante ricordare che ogni manovra fatta sul dispositivo deve essere
asettica e prima di ogni connessione al set di infusione con siringhe, aghi o
raccordi sterili occorre utilizzare soluzioni antisettiche ossia clorexidina in
soluzione acquosa al 2% o in soluzione alcolica allo 0,5%;

Medicazione del sito di venipuntura

Come indicato dalle raccomandazioni contenute nelle linee guida dei CDC di
Atlanta, il sito di inserimento del catetere venoso va controllato con l’ispezione
visiva e palpato almeno una volta al giorno, preferibilmente a intervalli regolari
per riconoscere subito eventuali reazioni o complicanze come le flebiti o le
infezioni; per i motivi sopra citati, sui dispositivi di accesso vascolare, periferici
e centrali, occorre applicare e mantenere una medicazione sterile, trasparente,
semipermeabile e autoadesiva.
Successivamente, ogni ispezione, va registrata sulla documentazione
infermieristica, anche se negativa.

72
Gestione degli accessi endovenosi

La medicazione non va rimossa se il paziente non ha segni clinici di infezione,


va rinnovata a intervalli regolari in concomitanza con il cambio del catetere
venoso periferico.
Nel caso in cui il paziente riferisce dolore a livello del sito, ha febbre o sono
presenti altre manifestazioni locali che possano far sospettare la presenza di
infiammazione e/o di infezione da catetere, rimuovere la medicazione ed
effettuare un esame completo del sito. Sostituire, quindi, la medicazione solo se
bagnata, staccata o visibilmente sporca.

In base al tipo di catetere venoso utilizzato é opportuno seguire determinate


indicazioni per la corretta medicazione:

• quando si usa un catetere a medio termine, la prima medicazione va fatta


con garza sterile e cerotto e sostituita dopo 24 ore con una medicazione
trasparente in poliuretano, per poter controllare il sito di inserimento. Le
medicazioni successive vanno rinnovate ogni 7 giorni; se si utilizzano
garza e cerotto, ogni 72 ore.
• con i cateteri a breve termine, si devono usare medicazioni in poliuretano
trasparente (TSM) per controllare il sito di inserimento. Visto che non si
tratta di un impianto invasivo come quello dei cateteri a medio termine
non è necessaria la sostituzione della prima medicazione dopo 24 ore.

L’ispezione visiva del sito di inserimento può essere effettuata più velocemente
utilizzando la medicazione in poliuretano trasparente; nel caso in cui il paziente
sudi abbondantemente, il sito di accesso sanguina, il paziente è intollerante o
allergico è consigliabile la medicazione con garza e cerotto traspirante, da
rinnovare ogni 24 ore. Le medicazioni trasparenti in poliuretano, diversamente
da quelle fatte con garza e cerotto, possono essere lasciate per la durata di
inserzione del catetere venoso periferico senza aumentare il rischio di
tromboflebiti, mentre vanno rinnovate con la sostituzione della cannula se
sporche o bagnate.
Se si utilizzano garze sterili, il sito va ispezionato e la medicazione sostituita
ogni 24-48 ore o più spesso se sporca o bagnata. La garza sterile utilizzata in
combinazione con una medicazione TSM dovrebbe essere trattata come una
garza normale e sostituita ogni 24-48 ore.

73
Gestione degli accessi endovenosi

Nel più grande studio controllato finora condotto sull’argomento su circa 2.000
cateteri venosi periferici, sono stati confrontati i due tipi di medicazione
(trasparenti e con garza sterile) rispetto al tasso di colonizzazione che è risultato
comparabile: le medicazioni trasparenti (5,7%), la garza sterile (4,6%). Non
c’erano differenze significative neppure nel rischio di flebite.

Il lavaggio del catetere venoso

Il lavaggio del catetere venoso ha l’obiettivo di garantirne la pervietà, prevenirne


l’occlusione e ridurre la formazione di trombi.
Come raccomandato dalle linee guida orrenti, il lavaggio si esegue generalmente
nelle seguenti situazioni:

• in corso di terapia infusionale intermittente;


• quando si passa da una somministrazione continua a una
somministrazione intermittente;
• prima e dopo avere somministrato un farmaco;
• prima e dopo avere infuso emocomponenti;
• per mantenere pervio un dispositivo non utilizzato;
• dopo il prelievo ematico.

74
Gestione degli accessi endovenosi

Al fine di mantenere il lume del catetere pervio, si consiglia l’utilizzo della


tecnica flushing e locking.
Il flushing, che consiste nel lavaggio della cannula, previene l'adesione alle
pareti del lume della cannula di farmaci o soluzioni incompatibili, pulisce quindi
il lume del catetere dagli aggregati di sangue o fibrina.
Sia i cateteri centrali che quelli periferici, devono essere lavati utilizzando la
tecnica del flusso turbolento per prevenire il miscelarsi di farmaci o soluzioni
incompatibili e per ridurre le complicanze come gli aggregati di fibrina o
l’accumulo dei precipitati dei farmaci all’interno del lume del catetere.
Se non si effettuerebbe il flushing, in tutti i cateteri si depositerebbero coaguli di
fibrina. Si deve utilizzare il metodo pulsato, ossia iniettare e fermarsi per poi
iniettare e fermarsi nuovamente,per almeno tre volte, per consentire alla
soluzione di lavare mediante attrito l’interno della parete del dispositivo e di
rimuovere sangue e fibrina, evitando la formazione di precipitati all’interno del
lume.
La pressione di lavaggio eccessiva può causare il distacco di trombi, la
disgiunzione del catetere dalla siringa o la sua rottura infatti siringhe da almeno
10 ml creano minore pressione quando si inietta e maggiore pressione quando si
aspira, invece le siringhe più piccole, creano una maggiore pressione durante
l’iniezione e una minore pressione in fase di aspirazione.
Nei cateteri venosi periferici è indicato eseguire lavaggi (flushing) con 3-5 ml di
soluzione fisiologica 0,9% al termine di un’infusione a ciclo breve, oppure ogni
12 ore, per infusioni superiori alle 12 ore, con la chiusura (locking) a pressione
positiva il volume deve essere almeno doppio rispetto alla capacità complessiva
del lume del catetere e di tutti i dispositivi del sistema di infusione ,solitamente
tra i 3 e i 10 ml per tutti i dispositivi.
Il locking, ossia la chiusura a pressione positiva, previene il ritorno del sangue
nel lume della cannula quando il catetere non è più utilizzato.
La chiusura a pressione positiva all’interno del lume evita il reflusso ematico
dalla vena al lume del catetere, prevenendo così gli aggregati di fibrina, i coaguli
e l’occlusione trombotica dei dispositivi.
Nel caso in cui si utilizza un catetere a punta aperta senza dispositivi a pressione
positiva, si deve tenere una pressione positiva sullo stantuffo della siringa
mentre si chiude il morsetto e prima di rimuovere la siringa dal catetere.
Tra l’uso di eparina diluita in soluzione fisiologica e soluzione fisiologica pura,
per i cateteri venosi periferici, non vi sono differenze significative se utilizzata

75
Gestione degli accessi endovenosi

con la tecnica che garantisce una pressione positiva; per di più, la


somministrazione di eparina può provocare gravi complicanze, come l'emorragia
iatrogena, trombocitopenia, interazioni farmacologiche, pertanto per il lavaggio
dei cateteri venosi periferici va preferita la soluzione fisiologica senza eparina
utilizzando la tecnica del flushing e locking.

Modalità di somministrazione di farmaci e liquidi per via endovenosa

Per la somministrazione dei farmaci in vena, distinguiamo l’infusione continua,


che è una modalità, utilizzata di frequente, per la somministrazione endovenosa
di fluidi e di farmaci, che consente di mantenere un dosaggio terapeutico
costante nel sangue, diluendo i farmaci in grandi volumi da 500 a 1.000 ml di
soluzione salina isotonica o di soluzione glucosata al 5%.
Il bolo endovenoso o push, é un’altra modalità di somministrazione dei farmaci
che prevede, invece, l’introduzione di una dose concentrata di farmaco
direttamente nella circolazione sistemica.
Quest'ultima modalità appena descritta, risulta essere potenzialmente pericolosa
perché, avendo un emodiluizione bassa, può provocare irritazione diretta alla
parete interna dei vasi sanguigni e, in caso di errore, il tempo e le possibilità di
intervenire sono molto ridotte. I farmaci non somministrabili in bolo sono diluiti
in volumi di piccole quantità da 50 a 100 ml di soluzioni isotoniche e
somministrati con l’infusione intermittente. Nella tabella seguente si mostra
come la scelta del diluente e della sua quantità possa modificare l’osmolarità di
una soluzione.

76
Gestione degli accessi endovenosi

Variazione dell’osmolarità di un principio attivo in funzione del diluente

10 ml di acqua
sterile

291 mOsm/l

100 ml di Cefalosporina 10 ml di
soluzione 1g soluzione
fisiologica fisiologica
(ph 4,5)
317 mOsm/ >600 mOsm/l

20 ml di
soluzione
fisiologica

425 mOsm/l

Vi sono diversi fattori che influiscono sulla velocità di infusione delle soluzioni
somministrate per via endovenosa, tra cui:

il calibro dell’accesso venoso;


le condizioni del sito;
il volume complessivo di soluzione da infondere.
l’osmolarità, in quanto le soluzioni ipertoniche vanno infuse lentamente
per il loro effetto di richiamo di liquidi nello spazio intravascolare;

77
Gestione degli accessi endovenosi

i principi attivi come per esempio chemioterapici, antibiotici, amine,


eparina o elettroliti, come il potassio, contenuti nella soluzione che
necessitano di un controllo attento della velocità con pompa d’infusione;
le condizioni del paziente: le persone anziane, cardiopatiche e
nefropatiche rischiano il sovraccarico per cui la velocità di infusione deve
essere ridotta e controllata scrupolosamente;

Nel caso in cui il farmaco da somministrare sia irritante, è opportuno rallentarne


l’infusione, prolungando la sua somministrazione per un periodo più lungo,
aumentando in questo modo il tempo per l’emodiluizione e riducendo quindi il
rischio di flebite legato alla somministrazione di un farmaco irritante, in quanto
un’infusione rapida aumenterebbe il rischio di flebite, perchè riduce il tempo
dell’emodiluizione consentendo alla soluzione molto concentrata (ipertonica) di
venire a contatto con la tunica intima della vena.
Mentre l'infusione in una vena centrale richiede un’ora, in una vena periferica è
consigliato aumentare il tempo di infusione a 2 ore.
Maki e Ringer hanno osservato un aumento di flebiti con infusioni superiori a 90
ml/h. Questo potrebbe essere dovuto ai pazienti che hanno ricevuto soluzioni
ipertoniche a una velocità superiore a 100 ml/h.
Potrebbe verificarsi che la velocità di infusione elevata causi un trauma
meccanico della vena come la flebite meccanica, mentre la bassa velocità di
infusione può causare un’esposizione continua delle pareti dei vasi alle sostanze
chimiche aumentando il rischio di flebite chimica.
Si preferisce selezionare la cannula con il calibro più piccolo disponibile per la
terapia prescritta al fine di ridurre al minimo l'irritazione da contatto e prevenire
i danni all’intima vasale e promuovere una migliore emodiluizione, perchè se la
cannula è grande per la vena, il flusso di sangue è ostacolato e farmaci irritanti
possono permanere in contatto prolungato con l’intima della vena, facilitando
l’insorgenza di una tromboflebite meccanica.
Per l’infusione di soluzioni ipertoniche o soluzioni contenenti farmaci ad azione
irritante dovrebbero essere selezionate vene con un abbondante flusso ematico.
Per la somministrazione della vancomicina, ad esempio, è raccomandato
l’utilizzo di un catetere venoso centrale per garantire un’adeguata emodiluizione
e il tempo di infusione consigliato è di un’ora;

78
Gestione degli accessi endovenosi

il tempo aumenta a circa due ore se il farmaco deve essere infuso attraverso una
vena periferica; in questo caso è suggerito l’utilizzo di un’ago cannula di piccolo
calibro (24 G) in una grossa vena al fine di ridurre l’irritazione della vena e il
rischio di una flebite chimica locale.
Da quanto appena descritto, si deduce dunque, che la flebite e altri effetti
correlati all’infusione sono ricollegabili sia alla concentrazione che alla velocità
di somministrazione della vancomicina. Negli adulti, per la somministrazione in
vena periferica si raccomanda una concentrazione non superiore ai 5 mg per ml
di diluente ed una velocità di infusione minore di 10 mg/min.
Quindi concentrazioni maggiori, tra 10 e 20 mg/ml, dovrebbero essere infuse in
una vena centrale.

Possibili complicanze legate all’uso del catetere venoso


periferico

La gestione infermieristica non è soltanto limitata alla cura del paziente e del
sito endovenoso, l’infermiere è anche responsabile dell’inserimento, della
rimozione e dell’approvvigionamento dei dispositivi endovenosi utilizzati nella
terapia infusionale.
Quest'ultima, che è ormai parte integrante della pratica professionale per la
maggior parte degli infermieri, è associata a un rischio relativamente elevato di
complicanze qualunque sia l’accesso, periferico o centrale.
L'obiettivo é quello di ridurre questo rischio, è essenziale pertanto, non solo lo
sviluppo delle raccomandazioni standard, ma occorre anche realizzare una guida
pratica per la loro applicazione.
Il principio attivo di un farmaco a seconda dell’azione tossica che può provocare
sulle vene si definisce:

 irritante quando, in caso di stravaso, produce dolore, calore e


infiammazione nel sito di infusione o lungo la vena nella quale viene
somministrato, ma non provoca distruzione tessutale;

79
Gestione degli accessi endovenosi

 vescicante quando, in caso di stravaso, produce dolore grave o


prolungato, irritazione intravascolare, ulcerazione, danno cellulare;
tra i farmaci e le soluzioni vescicanti che possono provocare lesioni da
stravaso sono compresi:

 antimicrobici
− fluorochinoloni
− gentamicina
− nafcillina
− penicillina
− vancomicina

 elettroliti
− calcio cloruro
− calcio gluconato
− potassio cloruro
− sodio bicarbonato

 altre soluzioni
− destrosio
− diazepam
− dobutamina
− dopamina
− emulsione di grassi
− immunoglobulina umana
− noradrenalina
− formule di nutrizione parenterale ipertoniche
− fenitoina
− prometazina
− vasopressina

 necrotizzante, quando il danno cellulare avanza fino alla necrosi del


tessuto.

80
Gestione degli accessi endovenosi

Una reazione locale che si manifesta con la comparsa di una striatura rossa in
rilievo nella sede di infusione o lungo la vena si definisce anche di flare
reaction, spesso associata a sensazione di prurito e bruciore.
Sono stati condotti numerosi studi su alcuni farmaci, in particolare i
chemioterapici, studi per valutare la differente tossicità locale a livello venoso
rispetto alle diverse modalità di somministrazione. Per esempio è stato condotto
uno studio prospettico randomizzato con l’obiettivo di determinare se l’iniezione
in una vena periferica di un bolo di vinorelbina, della durata di un minuto,
potesse ridurre l’incidenza di tossicità venosa rispetto all’infusione goccia a
goccia del farmaco, della durata di 6 minuti. Non c’era differenza
statisticamente significativa tra le due modalità di somministrazione (p=0,47) e
dunque la somministrazione in bolo sembra non ridurre significativamente
l’incidenza di tossicità locale venosa, ma occorrerebbero ulteriori studi.
La flebite chimica, meccanica e infettiva, la tromboflebite, l’infiltrazione, lo
stravaso, l’occlusione, lo spasmo venoso e l'infezione sono le complicanze più
frequenti che si possono verificare, singolarmente o in combinazione tra loro, in
corso di terapia infusionale di seguito descritte. Poi vi sono altre complicanze
possibili, come l’infezione sistemica correlata a catetere venoso e il sovraccarico
circolatorio che non verranno approfondite in questo dossier.
La migliore formazione del personale sanitario sulla gestione dei cateteri venosi,
una maggiore consapevolezza e adesione alle linee guida hanno portato al
decremento dell’incidenza di flebite associata alla presenza di un catetere in una
vena periferica, dal 40% dei pazienti ricoverati del 1998 al 2% del 2003.
Qualunque sia l’accesso venoso, periferico o centrale, la terapia infusionale è
associata a un rischio relativamente elevato di complicanze. Per ridurre questo
rischio è essenziale sviluppare e applicare raccomandazioni standard.
Obesità, sottopeso e la presenza di un accesso venoso difficile da reperire sono
fattori di rischio indipendenti da tenere in considerazione. Individuare i soggetti
a maggiore rischio di complicanze può favorire la scelta di accessi venosi
periferici alternativi. Tra le complicanze più frequenti di una terapia infusionale
vi sono la flebite, la tromboflebite, l’infiltrazione, lo stravaso, l’occlusione e lo
spasmo venoso. Tali complicanze possono manifestarsi singolarmente o in
combinazione.

81
Gestione degli accessi endovenosi

L’infiltrazione

A seguito della somministrazione di una soluzione non vescicante, quest'ultima


potrebbe infiltrarsi nei tessuti sottocutanei circostanti, generando l'infiltrazione
che è una complicanza nota nella somministrazione dei farmaci per via
endovenosa.
Le soluzioni non vescicanti, come anche le soluzioni isotoniche, idratanti e
senza farmaci aggiunti, non provocano necrosi dei tessuti. L’infiltrazione può
essere causata da fattori meccanici, che si possono verificare durante
l’inserimento del catetere venoso periferico o mentre il catetere è in situ, fattori
fisiologici o farmacologici.
I sintomi dell’infiltrazione sono:

• dolore
• edema dell’arto
• gonfiore
• pallore del sito di inserimento.
• rallentamento della velocità di infusione
• assenza di reflusso ematico nel catetere con il flacone abbassato sotto il
livello del corpo del paziente.

Per limitare la quantità di liquidi che fuoriesce nel tessuto sottocutaneo e ridurre
il potenziale danno tessutale il riconoscimento precoce dell’infiltrazione è
importante.
L'Infiltration Scale della INS è una scala internazionale che permette di valutare
l’entità delle infiltrazioni. L’infermiere verifica periodicamente tutte le sedi di
accesso vascolare per rilevare precocemente i segni e i sintomi di infiltrazione
tenendo conto delle condizioni cliniche del paziente, del tipo di terapia, del
dispositivo e dei fattori di rischio.
Il trattamento dipende dalla sua gravità e si devono interrompere tutte le
infusioni quando il paziente lamenta dolore, bruciore intorno al sito di
inserimento del catetere venoso periferico. Grandi volumi (per esempio
maggiori di 25-30 ml) di liquido possono aumentare il rischio di danni ai tessuti,
rendendo necessario l’intervento di un chirurgo plastico.

82
Gestione degli accessi endovenosi

Scala per valutare l’infiltrazione (Infiltration Scale)

Lo stravaso

Altra complicanza che potrebbe verificarsi a seguito della somministrazione di


una soluzione é lo stravaso, ossia la fuoriuscita accidentale di farmaci vescicanti
o di soluzioni dal percorso vascolare e la loro somministrazione nel tessuto
sottocutaneo circostante.
I sintomi dello stravaso sono simili a quelli dell’infiltrazione con la differenza
che in corrispondenza del sito di inserimento del catetere e delle zone limitrofe
sono presenti arrossamento e dolore, tanto che può essere facilmente confuso
con una flebite o una flare reaction (reazione locale transitoria caratterizzata da
rossore alla sede d’infusione o lungo la vena, spesso associata a una sensazione
di prurito e bruciore).
Per intervenire precocemente bisogna riconoscere tempestivamente un eventuale
stravaso e, limitare la quantità di soluzione che fuoriesce nel tessuto
sottocutaneo e le potenziali lesioni locali, valutando il sito dell’accesso
vascolare.

83
Gestione degli accessi endovenosi

Vanno interrotte tutte le infusioni se il paziente lamenta dolore, bruciore intorno


al sito di inserimento o alla punta del catetere, o lungo il decorso della vena.
Non si deve rimuovere l’accesso venoso, il deflussore va scollegato e il liquido
aspirato il più possibile con una siringa.
Tutte le informazioni relative allo stravaso devono essere documentate nella
cartella clinica e infermieristica del paziente, eventualmente con fotografie.Si
deve valutare il volume di liquido fuoriuscito: grandi volumi, maggiori di 25-30
ml, aumentano il rischio di danni ai tessuti.
Il trattamento dello stravaso dipende dalla sua gravità e dal tipo di soluzione
fuoriuscita. L’elevazione dell’arto interessato per 24-48 ore può aiutare il
riassorbimento del farmaco vescicante e, sebbene non sia dimostrato con
certezza, alleviare il dolore e la risoluzione dello stravaso. Lo stravaso può
provocare gravi conseguenze, tra cui la perdita a tutto spessore della cute e la
necrosi muscolare e tendinea; In questo caso diventa necessario chiedere la
consulenza di un chirurgo plastico per un eventuale trattamento di chirurgia
ricostruttiva.
Sono stati studiati un certo numero di antidoti farmacologici per la gestione
dello stravaso di sostanze vescicanti, ma il loro utilizzo rimane controverso. Le
linee guida più recenti dell’Oncology Nursing Society sconsigliano l’utilizzo di
antidoti per lo stravaso di farmaci chemioterapici e bioterapici, fatta eccezione
per il sodio tiosolfato.

La flebite meccanica, chimica e infettiva

La flebite è l’infiammazione dello strato più interno della vena, la tonaca intima.
Si sviluppa rapidamente, in seguito alla sensibilizzazione dell’endotelio
vascolare, ed è provocata da:

• attrito e movimento dell’accesso vascolare contro l’endotelio (flebite


meccanica);
• iperosmolarità e pH della soluzione somministrata (flebite chimica);
• tossine batteriche provenienti dalla contaminazione del catetere venoso
periferico da parte di microrganismi quali Staphylococcus epidermidis e
Staphylococcus aureus (flebite batterica).

84
Gestione degli accessi endovenosi

Per valutare se il paziente ha una flebite, la sua gravità e il tipo di intervento


occorre osservare e palpare la sede di infusione. La venocostrizione è un segno
precoce della flebite dovuto all’irritazione dell’endotelio, e determina il
rallentamento del flusso ematico e dunque delle infusioni in corso. Ciò
intensifica l’irritazione dell’endotelio da parte dei liquidi infusi che non possono
più essere diluiti adeguatamente dal sangue.
Nella fase successiva vengono rilasciate serotonina, bradichinina e istamina,
agenti infiammatori, che possono provocare vasodilatazione, aumentando così la
permeabilità vascolare e favorendo lo stravaso di proteine e di plasma verso lo
spazio interstiziale e infine l’edema. Aumentano l’aggregazione piastrinica,
stimolata dall’istamina, e la tendenza alla formazione di trombi lungo la parete
venosa.
Si rilevano un eritema localizzato e un cordone vascolare palpabile, fino a 3,5
cm: lungo la vena c’è un aumento di spessore e di sensibilità, accompagnato dai
segni classici dell’infiammazione quali dolore, calore, arrossamento ed edema. I
leucociti iniziano a migrare verso la sede dell’infiammazione che può interessare
una zona piuttosto estesa (7,5-15 cm) e alla palpazione si avverte un aumento
della temperatura locale.
Nella sede della puntura venosa può anche essere presente essudato.

In sintesi, i sintomi e i segni di flebite sono:

• eritema nella sede di inserimento;


• arrossamento persistente nella sede di inserimento del catetere;
• dolore o bruciore nella sede di inserimento e per tutta la lunghezza della
vena, uno dei segni più precoci e più frequenti;
• calore nella sede di inserimento;
• edema che può coinvolgere tutto l’arto;
• vena indurita (rigida), rossa;
• cordone venoso palpabile;
• velocità di infusione rallentata;
• temperatura di un grado superiore rispetto ai valori basali (ipertermia
locale).

85
Gestione degli accessi endovenosi

Indipendentemente dal tipo di flebite e a seguito della formazione del cordone


vascolare possono insorgere ulteriori complicanze come la sclerosi vascolare,
che è spesso irreversibile e impedisce di utilizzare nuovamente la vena per
infusioni o per prelevare campioni di sangue.
La flebite meccanica è strettamente legata alla presenza del catetere venoso
periferico. I fattori che contribuiscono alla sua insorgenza sono:

• posizionamento di un catetere venoso periferico in zone di flessione


(rischio maggiore a livello delle vene del polso, dell’avambraccio e della
fossa antecubitale rispetto a quelle della mano). Le linee guida dei CDC
raccomandano che il dispositivo venoso periferico venga inserito
preferibilmente negli arti superiori indicando un rischio inferiore a livello
della mano;
• calibro del catetere venoso periferico eccessivo rispetto al lume della
vena;
• catetere venoso periferico instabile (non fissato correttamente) che si
muove facilmente dentro e fuori la vena;
• trauma della vena durante l’inserimento del catetere venoso periferico.

L’incidenza di flebite da catetere venoso periferico è diminuita nettamente negli


ultimi anni, probabilmente grazie alla migliore formazione del personale
sanitario sulla gestione dei cateteri venosi e alla maggiore consapevolezza e
adesione alle linee guida.
Quando si verifica una flebite, aumenta il rischio di sviluppare un’infezione da
catetere a livello locale.
Il meccanismo di questo evento sarebbe la migrazione di microrganismi dalla
cute nel punto di inserimento al catetere, con possibile colonizzazione della
punta. La contaminazione della parte terminale del catetere può contribuire
anche alla colonizzazione del lume, soprattutto nei cateteri a medio e lungo
termine.
Le caratteristiche del catetere hanno anche un ruolo nello sviluppo di una flebite:
il tipo di materiale, teflon o vialon, le dimensioni e la lunghezza, le sostanze
infuse, la velocità di infusione, l’asepsi e la medicazione del sito, i metodi
utilizzati per mantenere pervio il catetere, l’abilità del personale nel
posizionamento del catetere e il rischio intrinseco al singolo paziente.

86
Gestione degli accessi endovenosi

La Infusion Nurses Standards of Practice raccomanda l’utilizzo della scala VIP


(Visual Infusion Phlebitis Score) per valutare oggettivamente il grado di flebite
in base ai segni e ai sintomi presenti a livello del sito di inserzione del catetere
venoso periferico.
In caso di flebite si deve interrompere l’infusione e rimuovere la cannula,
comunicare al medico la presenza di ipertermia, effettuare una coltura del
catetere e controllare la sede fino a quando non si risolve la flebite.
Sono stati condotti alcuni studi per valutare l’efficacia dei farmaci: a oggi
sembra che la nitroglicerina sotto forma di cerotto transdermico sia più efficace
delle sostanze eparinoidi. Gli eparinoidi sono considerati efficaci come
antinfiammatori topici.
La flebite chimica consiste nell’infiammazione di una vena e in particolare dello
strato più interno, la tonaca intima, causata dall’iperosmolarità della soluzione
somministrata a causa di farmaci acidi, fortemente acidi (pH <4) o fortemente
basiche (pH >8), o ipertonici o di soluzioni con effetto irritante, come per
esempio il ferro, il cloruro di potassio e i citostatici che se iniettati in una piccola
vena con un flusso ematico insufficiente danneggiano il rivestimento della vena
con conseguente possibile infiltrazione, danno ai tessuti e sclerosi.
Il rischio di flebite chimica aumenta quando il pH e l’osmolarità della soluzione
endovenosa differiscono da quelli del sangue; è una complicanza comune nei
pazienti ospedalizzati che si verifica in corso di terapia endovenosa, in
particolare per via periferica. Diversi studi hanno trovato un’incidenza tra il 20%
e l’80% nei pazienti che ricevono una terapia endovenosa periferica;
naturalmente, se la flebite non viene trattata precocemente può prolungare
l’ospedalizzazione.
La flebite chimica può verificarsi durante tutto il periodo della terapia
infusionale, ma è più comune che si sviluppi dopo 2 o 3 giorni dalla sospensione
delle infusioni continue e dalla rimozione del catetere, in questo caso si parla di
flebite post infusione.
Spesso la flebite si accompagna a un processo trombotico ossia tromboflebite o
flebotrombosi.
La flebite meccanica é generata da un classico processo infiammatorio che si
sviluppa rapidamente in seguito alla sensibilizzazione dell’endotelio vascolare a
causa dell’attrito provocato dall’accesso vascolare contro l’endotelio.
Un segno precoce della flebite è la venocostrizione provocata dall’irritazione
dell’endotelio che é causa del rallentamento della portata del flusso ematico e

87
Gestione degli accessi endovenosi

dunque delle infusioni in corso. Questo intensifica l’irritazione dell’endotelio da


parte dei liquidi infusi che non possono più essere emodiluiti correttamente.
Successivamente le citochine infiammatorie inducono il rilascio di serotonina,
bradichinina e istamina, che sono agenti infiammatori che possono provocare
vasodilatazione, aumentando così la permeabilità vascolare favorendo lo
stravaso di proteine e di plasma sanguigno verso lo spazio interstiziale e quindi
l’edema.
L’istamina aumenta l’aggregazione piastrinica, si verifica quindi una formazione
trombotica lungo la parete venosa che si estende fino al lume, caratterizzata da
eritema localizzato e da un cordone vascolare palpabile, fino a 3,5 cm. I
leucociti iniziano a migrare verso il luogo in cui l’infiammazione diventa ora
visibile (7,5-15 cm) e il calore localizzato diventa percettibile alla palpazione.
Inoltre, nel sito della puntura venosa può essere presente anche l’essudato. I
pirogeni, derivanti da apoptosi, che è la morte cellulare programmata
leucocitaria, stimolano l’ipotalamo ad aumentare la temperatura corporea. In
questa fase la flebite è caratterizzata dalla formazione di un cordone vascolare
palpabile lungo la vena, che aumenta di spessore e di sensibilità, mostrando i
segni classici dell’infiammazione, quali dolore, calore, arrossamento ed edema.
In seguito alla formazione del cordone vascolare, indipendentemente dal tipo di
flebite, possono insorgere ulteriori complicanze, come la sclerosi vascolare che è
spesso irreversibile e impedisce di utilizzare nuovamente la vena per infusioni o
per prelevare campioni di sangue.
La probabilità di sviluppare una flebite post infusione aumenta se viene inserito
un nuovo dispositivo venoso in prossimità di uno rimosso da poco. Si sviluppa
più rapidamente nelle vene distali rispetto al cuore.
Alcuni farmaci come ad esempio grandi dosi di cloruro di potassio, aminoacidi,
destrosio, multivitaminici, sono in grado di produrre flebite chimica dopo una o
più somministrazioni nello stesso sito.
Possono causare flebite anche farmaci irritanti come l’eritromicina, la
tetraciclina, la nafcillina, la vancomicina, l’amfotericina B. I farmaci che non
sono stati diluiti o miscelati correttamente producono particolato che aumenta il
rischio di flebite chimica.
Alcune categorie di persone sono particolarmente vulnerabili e a rischio di
flebite chimica a causa della loro ridotta capacità di emodiluizione, come le
persone anziane, quelle che necessitano di restrizioni idriche, cardiopatici,
nefropatici, i neonati e i bambini. Inoltre i bambini e gli anziani sono anche più

88
Gestione degli accessi endovenosi

vulnerabili alle flebiti perché potrebbero non essere in grado di comunicare il


loro senso del dolore. Occorrerebbe quindi una valutazione più frequente di
questi pazienti.
Nelle vene periferiche possono essere somministrate soluzioni con osmolarità
non superiore a 600 mOsm/l e pH compreso tra 5 e 9 (per esempio: 10 mEq di
cloruro di potassio hanno osmolarità pari a 500 mOsm/l, 30 mEq di cloruro di
potassio invece hanno osmolarità pari a 800 mOsm/l per cui non vanno
somministrati in una vena periferica). E’ sempre preferibile prendere una vena di
grosso calibro e chiedere al paziente se avverte dolore o bruciore durante la
somministrazione del farmaco.
La flebite chimicasi verifica più frequentemente negli accessi periferici, la cui
prevalenza varia dal 2,5% al 70%, in quanto i farmaci e le soluzioni irritano il
rivestimento endoteliale della parete dei vasi periferici di piccole dimensioni; é
invece un evento raro negli accessi venosi centrali, grazie alle grandi dimensioni
del vaso e al volume di sangue circolante.
Al fine di ridurre il rischio di flebite chimica è importante ricostituire i farmaci
da somministrare rispettando le indicazioni del produttore.
Nonostante siano stati condotti studi sui fattori che predispongono alla flebite,
ad oggi non è chiaro quali siano: i dati relativi a frequenza di infusione, sesso ed
età del paziente sono infatti contrastanti. Oltre ciò, non ci sono dati sufficienti
sul rapporto tra la frequenza di somministrazione dei liquidi, i tipi di farmaci
somministrati e la frequenza del cateterismo nello stesso sito. Pertanto, sono
necessari ulteriori studi per definire le relazioni tra i diversi fattori che
predispongono alla flebite e per chiarire i risultati contrastanti derivanti da studi
precedenti.
Uno studio descrittivo e comparativo del 2008 condotto su un campione di
grandi dimensioni ha esaminato lo sviluppo di flebite nel sito di inserzione del
catetere e i fattori predisponenti nei pazienti in trattamento con farmaci e
soluzioni somministrate attraverso cateteri periferici endovenosi. In questo
studio a differenza di altri (Curan et al 2000) è stato riscontrato che l’infusione
di fluidi con pompe infusionali e l’inserimento di cateteri a livello del gomito
aumenterebbe il rischio di flebiti. E’ possibile che in questo studio le pompe
infusionali siano state utilizzate più frequentemente per infondere soluzioni
ipertoniche: infatti è stata trovata una differenza significativa tra i diversi liquidi
di infusione e il tasso di flebite.

89
Gestione degli accessi endovenosi

Un tasso di flebite basso si verifica con soluzioni isotoniche, mentre l’osmolarità


delle soluzioni ipertoniche può provocare danni all’endotelio della vena,
innescando un processo infiammatorio e lo sviluppo di flebite.
Rispetto alla velocità d’infusione non è stata rilevata una differenza
statisticamente significativa tra le diverse velocità e il tasso di flebite (p>0,05).
In altri studi è stato osservato un aumento di flebiti con infusioni superiori a 90
cc/h.
Questo potrebbe essere dovuto al piccolo numero di pazienti che hanno ricevuto
soluzioni ipertoniche a una velocità superiore a 100 cc/h; un’altra possibilità è
che la velocità elevata di infusione causi un trauma meccanico della vena
(flebite meccanica), mentre la bassa velocità di infusione causi un’esposizione
continua delle pareti dei vasi alle sostanze chimiche aumentando il rischio di
flebite chimica.
In questo studio il 60,8% dei pazienti che hanno ricevuto farmaci ha sviluppato
una flebite; vi era una differenza statisticamente significativa tra i pazienti con o
senza trattamento farmacologico e il tasso di flebite (p=0,002). E’ probabile che
i farmaci con pH diverso da quello del sangue causino un trauma chimico nella
tunica intima. Tra le varie classi di farmaci utilizzati e il tasso di flebite non è
stata osservata alcuna differenza statisticamente significativa (p>0,05), anche se
da uno studio del 1991 era emerso che gli antibiotici come l’eritromicina
aumentano il rischio di flebite.
La flebite si sviluppa più frequentemente quando i farmaci sono somministrati
quattro o più volte al giorno (p<0,05).
La ragione potrebbe essere che il pH di molti farmaci è superiore a quello del
sangue e quindi il trauma chimico e meccanico insieme aumentano il rischio di
flebite.
In sintesi, i materiali di cui i cateteri sono fatti (teflon o vialon), la dimensione e
la lunghezza del catetere, il sito di inserimento, la frequenza di utilizzo dello
stesso, il tempo di permanenza del catetere, l’osmolarità dei fluidi e dei farmaci
infusi, la velocità di infusione, l’asepsi, i tipi di medicazioni del sito, i metodi
utilizzati per mantenere pervio il catetere e l’abilità del personale nel
posizionamento del catetere sono tutti fattori ampiamente esplorati nei diversi
studi e pare che svolgano un ruolo importante nello sviluppo della flebite.
Quando si verifica una flebite può aumentare il rischio di sviluppare
un’infezione da catetere a livello locale soprattutto con i cateteri a medio e lungo
termine. La patogenesi delle infezioni correlate alla presenza del catetere è più

90
Gestione degli accessi endovenosi

complessa, ma sembra essere il risultato della migrazione di microrganismi dalla


cute del sito di inserimento del catetere al tratto del catetere, che eventualmente
possono colonizzare la punta del catetere. La contaminazione della parte
terminale del catetere può contribuire anche alla colonizzazione del lume del
catetere, soprattutto nei cateteri a lungo termine.
La flebite e la tromboflebite possono quindi essere provocate sia da infezione sia
da irritazione chimica.
Alcuni autori sostengono che solo una minoranza di tromboflebiti sia di origine
infettiva e anche in questi casi non si è in grado di definire se la colonizzazione
batterica sia precedente o secondaria alla tromboflebite.

Come prevenire la flebite

Il tipo di materiale e le dimensioni del catetere, il tipo di sostanze infuse, il


rischio proprio di quel paziente, sono tutti fattori di rischio per l'insorgenza di
flebiti. I cateteri venosi periferici sono raramente associati a infezioni, spesso
invece possono causare flebite: condizione che è soprattutto un fenomeno fisico-
chimico o meccanico piuttosto che infettivo
Il rischio di sviluppare, a livello locale, un’infezione può aumentare quando si
verifica una flebite, per tale motivo, é importante quindi conoscere i fattori che
predispongono alla flebite e le misure atte a prevenirla. A tal fine è necessario:

• conoscere il pH, l’osmolarità, gli effetti terapeutici e gli effetti collaterali


delle sostanze che verranno somministrate;
• valutare tipologia, dimensioni, caratteristiche strutturali dei dispositivi
endovenosi e la loro integrità;
• valutare le sostanze infuse (limpidezza, presenza di particolato o
decolorazione);
• scegliere un accesso endovenoso adeguato e determinare se la vena è
appropriata alle infusioni prescritte: i grandi vasi sanguigni consentono
l’emodiluizione in quanto la quantità di sangue che si muove nel vaso è
sufficiente a diluire le soluzioni e i farmaci a livelli tollerabili; i vasi
sanguigni di piccolo calibro non hanno un volume di sangue tale da
garantire un’emodiluizione significativa;

91
Gestione degli accessi endovenosi

• diluire i farmaci in modo corretto: l’utilizzo di più diluente non sempre


migliora il pH e/o l’osmolarità del prodotto finale, considerando che le
soluzioni utilizzate per la diluizione possono essere a loro volta acide o
iper/ipotoniche; l’uso di acqua sterile come diluente per alcuni farmaci
può rendere il prodotto finale meno ipertonico;
• rallentare la velocità dell’infusione può aiutare, ma di poco;
• osservare il sito di infusione endovenosa frequentemente;
• cambiare il catetere venoso periferico e il sito di infusione regolarmente
ogni 72-96 ore può ridurre l’incidenza di flebite chimica.

È richiesto un accesso venoso centrale per le soluzioni parenterali per evitare la


flebite chimica, cioè quelle soluzioni nutrizionali con concentrazioni di destrosio
oltre il 10%. Molte soluzioni parenterali sono estremamente ipertoniche, fino a 6
volte più concentrate rispetto al sangue, e richiedono un alto flusso ematico che
può essere garantito soltanto da una vena centrale come la vena cava superiore
in modo da diluire la soluzione e prevenire la flebite e la formazione del
coagulo.
Naturalmente il sito di inserimento del catetere influisce sul rischio di infezioni e
di flebiti. Come affermato dai diversi studi effettuati al riguardo, negli adulti il
rischio di flebite è maggiore a livello delle vene del polso, dell’avambraccio e
della fossa antecubitale rispetto a quelle della mano.
Le linee guida dei CDC raccomandano che il dispositivo venoso periferico
venga inserito preferibilmente negli arti superiori indicando un rischio inferiore
a livello della mano. Tuttavia, in uno studio del 2004 sulla percezione dei fattori
di rischio di flebite da infusione tra gli infermieri svedesi è emerso che solo il
33% degli infermieri ritiene che l’inserimento dell’accesso in una vena della
mano diminuisca il rischio di flebite, mentre il 55% pensa che aumenti il rischio;
mentre il 59% degli infermieri in questo studio ritiene che l’inserimento
nell’avambraccio sia protettivo.
Al fine di ridurre al minimo l’irritazione da contatto, prevenire i danni all’intima
vasale e promuovere una migliore emodiluizione, la cannula con il calibro più
piccolo disponibile dovrebbe essere selezionata per la terapia prescritta, perchè
se la cannula è grande per la vena, il flusso di sangue è ostacolato e farmaci
irritanti possono permanere in contatto prolungato con l’intima della vena,
facilitando l’insorgenza di una tromboflebite meccanica.

92
Gestione degli accessi endovenosi

Per tali motivi dovrebbero essere selezionate vene con un abbondante flusso
ematico per l’infusione di soluzioni ipertoniche o soluzioni contenenti farmaci
ad azione irritante, come i farmaci antibiotici quali: amfotericina, cefalosporine,
eritromicina, metronidazolo, tetracicline, vancomicina, agenti citotossici,
elettroliti come sali di calcio e cloruro di potassio, soluzioni farmacologiche
acide e soluzioni farmacologiche ipertoniche, per esempio mezzi di contrasto
ionici, soluzioni contenenti glucosio >5%.
Considerando che il rischio di complicanze aumenta con il trascorrere del tempo
per ridurlo occorre rimuovere il catetere venoso periferico appena possibile.
Il Royal College of Nurses e la Health Protection Scotland raccomandano di
controllare il sito di inserimento almeno una volta al giorno e anche con una
maggiore frequenza durante la somministrazione dei farmaci, per favorirne il
controllo è bene utilizzare una medicazione trasparente.

Sintomi di flebite

La flebite si manifesta con i seguenti segni e sintomi:

• eritema sul sito;


• arrossamento persistente nel punto di inserimento del catetere;
• dolore o bruciore nel sito di inserimento e per tutta la lunghezza della
vena è il segno iniziale più comune di flebite;
• calore sul sito di inserimento;
• edema che può coinvolgere tutto l’arto;
• vena indurita (rigida), rossa;
• cordone venoso palpabile;
• velocità di infusione rallentata;
• temperatura di un grado superiore rispetto ai valori basali (ipertermia
locale).
• Altri segni sono il rallentamento della soluzione infusa e l’arrossamento
localizzato, il calore e il gonfiore della cute attorno al sito.
Possono presentarsi segni di infezione locale successivamente , come la
presenza di vena “indurita” alla palpazione e di drenaggio purulento, malessere,
affaticamento e febbre.

93
Gestione degli accessi endovenosi

Come valutare una flebite


Per Una valutazione infermieristica accurata della flebite, è importante oltre ad
ispezionare il sito di introduzione del dispositivo venoso, per escludere segni di
infiammazione o di infezione, palpare il sito per rilevare il calore e/o la presenza
di un cordone palpabile lungo la vena e la rilevare la presenza di dolore a livello
del sito di infusione da parte del paziente, utilizzare la scala di valutazione della
flebite, ovvero la Visual Infusion Phlebitis Score descritta in figura.

94
Gestione degli accessi endovenosi

La Infusion Nurses Standards of Practice raccomanda l’utilizzo della scala


Visual infusion phlebitis score per valutare il grado di flebite in base ai segni e
ai sintomi presenti.
Esistono numerose scale per valutare la flebite ma non c’è ancora consenso su
quale sia la scala da preferire. L’utilizzo di scale di valutazione diverse fa sì che
non ci siano dati uniformi anche riguardo all’incidenza e alla gravità della
flebite. Il sito di inserimenro del dispositivo di accesso vascolare deve essere
controllato per identificare precocemente eventuali segni di flebite. Il punteggio
e la successiva azione/trattamento, la somministrazione di farmaci in bolo e il
tipo di soluzioni infuse devono essere documentate su un apposito modulo di
registrazione.
Va riportato sulla documentazione oltre che un eventuale episodio precedente di
flebite, anche se vi sono delle condizioni cliniche che possono aumentare il
rischio di flebite per esempio, ustioni, diabete mellito o altra malattia
infiammatoria e rivedere il tipo di trattamento farmacologico in corso e la via di
somministrazione.
La scala di VIP (VIP - Visual Infusion Phlebitis Score) è una scala di
valutazione standardizzata per determinare l’incidenza di flebite introdotta a
seguito di uno studio descrittivo; come modificato dalla Jackson, è stata
utilizzata per valutare oggettivamente il sito di inserzione del catetere venoso
periferico.
Il punteggio può variare da zero, che indica nessun sintomo di flebite, a 5, con
segni di drenaggio purulento, arrossamento e cordone palpabile superiore a circa
7,5 cm di lunghezza.

Trattatamento terapeutico della flebite

In caso di flebite è importante intervenire tempestivamente innanzitutto,


interrompendo l’infusione endovenosa e rimuovendo la cannula, poi comunicare
al medico la presenza di ipertermia o drenaggio purulento dal sito endovenoso,
non irrigare assolutamente la vena, fare la coltura del catetere e del sito
endovenoso, controllare il sito endovenoso fino a quando non si risolve la
flebite, riavviare le infusioni in un altro sito utilizzando un nuovo dispositivo,
fare la coltura del catetere e del sito endovenoso e controllare il sito endovenoso
fino a quando non si risolve la flebite.

95
Gestione degli accessi endovenosi

Mettere gli impacchi caldi o freddi per il trattamento delle flebiti è controverso,
in quanto, alcuni autori suggeriscono di applicare impacchi freddi sulla zona per
ridurre il dolore, se presente, rallentare il flusso sanguigno e l’adesione delle
piastrine, altri invece consigliano di applicare impacchi caldi.
Sono stati utilizzati diversi interventi farmacologici per il trattamento delle
flebiti chimiche da infusione, anche se non tutti i farmaci possono essere
disponibili in commercio nei diversi paesi, la loro conoscenza è rilevante per la
pratica infermieristica e per lo sviluppo della ricerca clinica. E’ stata confrontata
l’efficacia terapeutica dei diversi farmaci per uso topico: la nitroglicerina sotto
forma di cerotto transdermico e gel, le creme contenenti eparina o sostanze
eparinoidi, il piroxicam in gel, il notoginseny in crema e il diclofenac in gel e in
forma orale. Gli antinfiammatori topici sono stati raccomandati, in alcuni studi,
come alternativa semplice, sicura ed efficace per il trattamento della flebite
derivante da terapia infusionale rispetto ai farmaci antinfiammatori sistemici a
causa agli effetti collaterali prodotti da questi ultimi, quali la cefalea, il dolore
epigastrico, la nausea e il prurito locale.
Gli antinfiammatori topici sono considerati più efficaci rispetto al polisolfato di
mucopolisaccaridi, un farmaco anticoagulante che viene generalmente utilizzato
come controllo per gli studi clinici sul trattamento della flebite. L’azione del
polisolfato di mucopolisaccaridi sulla tromboplastina e la trombina, inibisce o
ritarda la formazione di trombi e la loro successiva crescita.
D’altra parte lo stesso polisolfato, attivando la plasmina e il plasminogeno,
stimola la fibrinolisi.
La nitroglicerina è una sostanza comunemente usata come vasodilatatore,
utilizzata sotto forma di cerotto transdermico ha un elevato potere di
assorbimento, a contatto con la cute induce vasodilatazione e di conseguenza un
maggiore flusso di sangue locale, facilitando la visualizzazione della rete
vascolare e migliorando le condizioni per la puntura. Quando la nitroglicerina
viene applicata sulla cute, il suo effetto vasodilatatore, che dura 3-6 ore, può
essere osservato entro 10 minuti. Gli studi suggeriscono che la flebite chimica
da infusione inizi da una vasocostrizione a livello del sito endovenoso, causata
da irritazione della tunica intima, pertanto, la vasodilatazione locale provocata
dalla nitroglicerina è efficace nella prevenzione delle flebiti, così come nel
trattamento dei primi gradi di flebite e dell’infiltrazione; il mantenimento della
vasodilatazione riduce la pressione osmotica intravasale, evitando che i fluidi

96
Gestione degli accessi endovenosi

passino nei tessuti circostanti e limitando la dislocazione della cannula


endovenosa.
L’effetto vasodilatatore della nitroglicerina non è efficace nel trattamento di
flebiti se usato sotto forma di spray, lo è invece quando è usata sotto forma di
gel, crema o cerotto transdermico.
Nel trattamento della flebite avrebbe una qualche efficacia nella riduzione di
dolore, cordone fibroso, eritema ed edema, il notoginseny, che si trova nella
radice della pianta del ginseng ed è indicato come antiemorragico.
I risultati di questa revisione sistematica, oltre a sottolineare che molti degli
studi condotti non sono di buona qualità metodologica e non consentono quindi
di trarre conclusioni certe e definitive, suggeriscono che l’uso topico di
notoginseny in crema e di nitroglicerina sotto forma di cerotto transdermico
siano più efficaci nel trattamento delle flebiti rispetto all’uso di creme o
unguenti contenenti polisolfato di mucopolisaccaridi, noto anche come sostanza
eparinoide, che a loro volta, sono stati considerati efficaci come antinfiammatori
topici.

97
Gestione degli accessi endovenosi

Parte Terza: Accessi venosi e disposizioni legislative

Igiene delle mani

L’igiene delle mani deve essere effettuata di routine durante tutte le attività di
assistenza al paziente.
Raccomandazioni Pratiche A. L'igiene delle mani si pratica strofinando le mani
con un gel a base alcolica o lavandole con acqua ed un sapone antimicrobico, in
diversi momenti della assistenza al paziente: 1. Prima di avere un contatto
diretto con il paziente. 2. Prima di indossare i guanti sterili per l’inserzione di un
catetere venoso centrale. 3. Prima di inserire un catetere venoso periferico. 4.
Dopo il contatto con la cute del paziente, che sia intatta oppure no. 5. Dopo il
contatto con secrezioni o fluidi biologici, membrane mucose e medicazioni di
ferite (se le mani non sono visibilmente sporche). 6. Dopo il contatto con oggetti
inanimati (comprese le apparecchiature mediche) posti nelle immediate
vicinanze del paziente. 7. Dopo aver rimosso i guanti. 1-6 (III) B. Per l’igiene
delle mani, usare routinariamente un gel su base alcolica a meno che le mani
non siano visibilmente sporche o vi sia un’epidemia di patogeni sporigeni o di
gastroenterite da norovirus.1-8 (III) C. Ricorrere al lavaggio con acqua e sapone
antimicrobico o non antimicrobico, nei seguenti casi: 1. Quando le mani sono
visibilmente contaminate con sangue o altri fluidi corporei.1-6 (II) 2. Dopo aver
assistito o essere stato in contatto con pazienti in cui si sospetta o è stata
accertata una gastroenterite da norovirus o un’epidemia di patogeni sporigeni
(es. Clostridium Difficile). 18 (II) 3. Prima di mangiare e dopo essersi recati alla
toilette.1-8 (II) D. Non indossare unghie artificiali o estensori per le unghie
quando si è in contatto diretto con pazienti ad alto rischio (es. quelli in terapia
intensiva o in sala operatoria) o quando s’inserisce un dispositivo per accesso
venoso centrale.1 (III) E. Tenere le unghie corte.1-4 (III) F. Conservare i
prodotti per l'igiene delle mani in locali vicini al punto ove devono essere
utilizzati. Scegliere prodotti per l'igiene delle mani a basso potenziale di
irritazione e lozioni per le mani o creme atte a prevenire le dermatiti da
contatto.1,3 (IV) G. Coinvolgere medici ed infermieri nella scelta dei prodotti

98
Gestione degli accessi endovenosi

per l’igiene delle mani per valutarne il gradimento, la tollerabilità e la possibilità


di irritazione cutanea. Prevedere opzioni alternative per quegli operatori sanitari
allergici a determinati prodotti. Verificare la compatibilità tra i prodotti per
l’antisepsi delle mani ed altri prodotti che vengono a contatto con la pelle quali
guanti, lozioni e creme idratanti.1,3 (IV) H. Non aggiungere sapone in erogatori
parzialmente vuoti.1 (III) I. Fornire a medici ed infermieri una formazione
adeguata sull'igiene delle mani; controllare ed eventualmente correggere
l’esecuzione di tale pratica.1-5 (III)! 4!
J. Spiegare al paziente e/o al caregiver come e quando eseguire l'igiene delle
mani ed istruirli ad invitare gli operatori sanitari a provvedere alla igiene delle
mani prima di avere un contatto diretto con il paziente, se questo non è stato
fatto in precedenza.1-6 (IV).

Attrezzature per il posizionamento e per l’utilizzo degli


accessi venosi

Considerazioni Generali I. Per assicurare la sicurezza del paziente, il clinico


(medico o infermiere) deve essere competente nell’uso delle attrezzature utili
per il posizionamento e per l’utilizzo degli accessi venosi, e deve conoscerne
indicazioni, controindicazioni e le istruzioni per l’uso fornite dal produttore. II.
L’utilizzo e la manutenzione delle attrezzature per il posizionamento e per
l’utilizzo degli accessi venosi deve essere regolamentata da procedure aziendali.

Tecniche di visualizzazione dei vasi

Standard per la sicurezza del paziente, il clinico deve essere competente nell’uso
delle tecniche di visualizzazione utili all’impianto dei dispositivi per accesso
venoso. Questa conoscenza deve comprendere, ad esempio, la abilità nell’usare
tali tecniche per individuare i vasi appropriati per la incannulazione e valutarne
calibro, profondità e posizione, così come di prevedere le potenziali
complicanze di ciascuna tecnica. Le tecnologie di visualizzazione sono

99
Gestione degli accessi endovenosi

necessarie nei pazienti con accesso venoso difficile e/o dopo ripetuti tentativi
falliti di venipuntura. Le tecnologie di visualizzazione aumentano le possibilità
di successo durante i tentativi di incannulazione venosa periferica e
diminuiscono il rischio di dover ricorrere all’impianto di un dispositivo per
accesso venoso centrale non altrimenti indicato.

Raccomandazioni Pratiche A. Prima della inserzione di un accesso venoso o


arterioso, valutare la storia clinica del paziente relativamente alle condizioni che
potrebbero avere un impatto sulla vascolatura periferica e porre l’indicazione ad
utilizzare tecnologie di visualizzazione. Diversi fattori possono infatti limitare
l’efficacia delle tecniche basate su ispezione e palpazione di reperi cutanei: 1.
Processi patologici che alterano la struttura del vaso (es. diabete, ipertensione).
2. Anamnesi di ripetute venipunture e/o di lunghi periodi di terapia endovenosa.
3. Particolarità della cute in termini di pigmentazione o peluria. 4. Alterazioni
cutanee speciali, secondarie ad esempio a cicatrici e tatuaggi. 5. L’età del
paziente (maggiori difficoltà si verificano nei neonati e negli anziani). 6.
Obesità. 7. Stati ipovolemici o di disidratazione. 8. Pazienti che fanno uso
frequente di farmaci per via endovenosa.1-7 (III)
B. Nei pazienti pediatrici con accesso venoso difficile, prendere in
considerazione l’uso di dispositivi a luce visibile che mediante
transilluminazione favoriscono la visualizzazione dei vasi superficiali. 1. Usare
per la transilluminazione esclusivamente dispositivi a luce fredda. Sono state
infatti segnalate ustioni termiche secondarie al contatto ravvicinato tra la cute e
fonti di luce con emissione di calore (es. torce elettriche).!6!
2. Disinfettare il dispositivo dopo l’uso su ciascun paziente, in considerazione
del rischio potenziale di contaminazione durante la procedura (vedi lo Standard
21, Disinfezione delle Apparecchiature Medicali). 3. Utilizzando tali dispositivi,
oscurare la stanza per ridurre la luce ambientale; assicurare però una luce
suffciente per osservare il ritorno venoso dalla cannula o dal catetere. 4. Tenere
presente che nel paziente obeso la transilluminazione può essere inefficace se le
vene sono troppo profonde.1,8-11 ( I ) C. Prendere in considerazione l’uso di
tecnologie con raggi nello spettro del “quasi infrarosso” (tecnologia ‘near-
infrared’ o ‘nIR’) allo scopo di localizzare meglio le vene periferiche
superficiali e quindi ridurre il tempo impiegato per l’impianto di agocannule. 1.
La tecnologia ‘nIR’ attualmente disponibile include dispositivi a mano libera
che catturano un’immagine delle vene e la riflettono sulla superficie cutanea o

100
Gestione degli accessi endovenosi

su uno schermo, oppure dispositivi a visione diretta. Il clinico può scegliere di


usare una tecnica statica (visione e marcatura sulla cute della vena localizzata,
prima dell’impianto) oppure una tecnica dinamica (utilizzo della visualizzazione
come guida durante l’impianto del catetere). Nessuno studio ha confrontato
queste due diverse tecniche e quindi la scelta è lasciata alla discrezione del
clinico.1,6,12 (III) 2. Prendere in considerazione la tecnologia ‘nIR’ per
identificare le vene periferiche e fornire informazioni utili (es. biforcazioni,
tortuosità, presenza di vene palpabili ma non visibili) ai fini della selezione della
vena da incannulare. Due studi non randomizzati hanno mostrato un
miglioramento del successo al primo tentativo con tecnologia nIR per l’impianto
dei cateteri periferici; altri studi non hanno confermato tale dato. Tale
discrepanza – che dovrà essere oggetto di ulteriori ricerche - può essere dovuta a
differenze nel tipo di dispositivo nIR adottato, a fattori legati al paziente o al
livello di competenza degli impiantatori nell’utilizzo della tecnologia nIR.11-19
(I) D. Prendere in considerazione la tecnologia ‘nIR’ per la cannulazione
dell’arteria radiale al polso nel paziente pediatrico. Uno studio in questo ambito
ha documentato un più facile successo al primo tentativo e un numero minore di
tentativi, senza raggiungere però la significatività statistica e senza un impatto
sull’esito clinico.20 (V) E. Usare l’ecografia per l’impianto di agocannule nei
pazienti - sia adulti sia pediatrici - con accesso venoso difficile.2 (II) 1. Nei
pazienti pediatrici l’ecografia riduce significativamente il numero dei tentativi di
venipuntura ed il tempo della procedura. Negli adulti l’ecografia si associa a un
numero minore di tentativi di venipuntura e a un minor numero di fallimenti. I
molti studi condotti in questo ambito sono stati assai differenti tra loro in termini
di tecnica di inserzione (a 1 o 2 impiantatori; statica vs dinamica) e di esperienza
degli impiantatori; anche il tasso di successo è stato assai variabile, mentre la
complicanza più frequente è stata l’ematoma locale.21 (I) 2. Scegliere un
catetere la cui lunghezza sia tale da permettere un sufficiente tratto residuo di
catetere all’interno del lume della vena. Infatti, la durata di una agocannula
posizionata per via ecografica sembra essere minore quando la vena è ad una
profondità maggiore di 1,2 cm e/o quando la vena prescelta è una vena
profonda, brachiale o basilica, al livello del braccio; il diametro della vena non
sembra fare differenza. Cateteri venosi periferici più lunghi (12 cm.) durano più
a lungo che non le agocannule standard (5 centimetri).22,23 (III) 3. Per
minimizzare il danno della parete venosa si raccomanda la venipuntura eco-
guidata dinamica o “real-time”.24 (V) 4. La scelta tra la venipuntura ecoguidata

101
Gestione degli accessi endovenosi

con tecnica in asse corto (con puntura out of plane) versus la tecnica in asse
lungo (con puntura in plane) dipende dal diametro e dalla profondità della vena
periferica e dall’abilità dell’impiantatore.24,25 (V) ! 7!
F. Utilizzare la puntura eco-guidata per l‘inserzione di cateteri midline in
pazienti con accesso venoso difficile.26,27 (V) G. Utilizzare la tecnica eco-
guidata in tutte le punture arteriose ed incannulazioni arteriose sia nell’adulto
che nei bambini.2,28 (I) H. Utilizzare la venipuntura eco-guidata in tutte le
inserzioni di cateteri venosi centrali sia negli adulti che nei bambini allo scopo
di ottimizzare il successo della manovra, ridurre il numero di venipunture e
minimizzare il rischio di complicanze legate all’inserzione.1. Prima della
manovra, verificare ecograficamente l’anatomia delle vene allo scopo di
identificare patologie venose (occlusione o trombosi) e di valutare il diametro
della vena.2,25,29 (IV) 2. Quando si inseriscono cateteri venosi centrali, usare
sempre una tecnica di venipuntura ecoguidata dinamica o ‘realtime’.2,31 (I) 3.
Nelle punture eco-guidate della vena giugulare interna, utilizzare
preferibilmente la visualizzazione in asse corto poiché più facile e associata a un
numero maggiore di successi rispetto alla tecnica di visualizzazione in asse
lungo. Posizionare la sonda verticalmente al di sopra della vena e inserire l’ago
il più vicino possibile alla sonda per seguirne il più possibile la traiettoria25,34
(III) 4. Nei neonati e nei lattanti in terapia intensiva, il posizionamento eco-
guidato di un catetere venoso centrale in safena e femorale ha le stesse
probabilità di successo di un impianto tradizionale eseguito con tecniche di
radiologia interventistica.35 (IV) I. Il posizionamento eco-guidato di un catetere
venoso centrale con approccio sottoclaveare può avvenire a metà della clavicola
o più lateralmente, o in ‘asse corto’ o in ‘asse lungo’. A seconda del sito di
puntura e della traiettoria dell’ago, in tali condizioni il catetere potrà entrare o
nella vena ascellare o più di rado direttamente nella vena succlavia .36 (V) J. Per
l’inserzione eco-guidata di agocannule, proteggere la sonda con un’ampia
membrana trasparente sterile; per l’inserzione ecoguidata di cateteri venosi
centrali, usare coprisonda sterili di lunghezza appropriata e gel sterile.27,37 (V)

102
Gestione degli accessi endovenosi

Tecniche di verifica della posizione centrale della punta

Standard 23.1 La posizione della punta di un dispositivo per accesso venoso


centrale deve essere verificata radiologicamente o per mezzo di altre tecnologie
appropriate prima di iniziare la terapia endovenosa o ogni volta che vi siano
segni clinici e sintomi che suggeriscono una malposizione.
! 9!
23.2 La posizione originale della punta a fine impianto deve essere documentata
nella cartella clinica del paziente ed essere successivamente disponibile per gli
operatori sanitari coinvolti nell’assistenza del paziente. 23.3 Sia nei pazienti
adulti che in quelli pediatrici, la localizzazione ideale della punta del catetere
venoso centrale, ovvero quella che si associa al minimo rischio di complicanze,
è la giunzione atriocavale.

Raccomandazioni Pratiche A. Prima dell’inserzione, stimare la lunghezza più


appropriata del catetere utilizzando misurazioni antropometriche quali ad
esempio la distanza tra il sito di venipuntura ed il terzo spazio intercostale
oppure l’uso di formule basate sulla superficie corporea o su stime desunte da
radiografie del torace.1-3 (IV) B. Evitare di posizionare la punta del catetere
venoso centrale in vene diverse dalla vena cava superiore o inferiore (anonima,
succlavia, vena iliaca comune o vena iliaca esterna), poiché tali posizioni si
associano ad un più alto rischio di complicanze. Tali posizioni della punta sub-
ottimali e non centrali, devono essere segnalate agli organismi - quali ad
esempio il National Healthcare Safety Network dei Centers for Disease Control
and Prevention - preposti alla sorveglianza delle complicanze da catetere venoso
centrale. Benchè tali posizioni sub-ottimali possano essere clinicamente indicate
in casi selezionati, per via di anomalie anatomiche o particolari situazioni
fisiopatologiche, la posizione ideale della punta rimane la giunzione cavo-
atriale.4-8 (IV) C. Sia negli adulti che nei bambini, la punta di un catetere
venoso centrale deve essere posizionata nella parte più bassa della cava inferiore
in prossimità o in corrispondenza della giunzione cavoatriale. 1. Nelle inserzioni
di cateteri venosi centrali nel distretto della cava superiore, tenere presente che i
movimenti del respiro e i movimenti del braccio ed i cambi della postura del
corpo comporteranno movimenti della punta subito sopra o subito sotto la

103
Gestione degli accessi endovenosi

giunzione cavo-atriale, incluse possibili escursioni nella parte superiore


dell’atrio destro. Vanno però evitate posizioni della punta nella parte più
profonda dell’atrio in prossimità della valvola tricupside - e a maggior ragione
nel ventricolo destro - poichè ciò comporta il rischio di aritmie.9-11 (II) 2. Per i
cateteri venosi centrali a inserzione femorale, la punta deve essere posizionata
nella vena cava inferiore (nei neonati, al di sopra del livello del diaframma).3
(IV) D. Nei neonati e nei bambini con età inferiore a un anno, evitare di
posizionare la punta del catetere venoso centrale all’interno delle cavità
cardiache perché ciò comporta il rischio di erosione della parete e conseguente
emopericardio.6,10 (II) E. Per la verifica della posizione centrale della punta,
utilizzare metodi intra-procedurali (es. ”realtime”) così da aumentare
l’accuratezza della manovra, iniziare più rapidamente la terapia endovenosa e
ridurre i costi assistenziali. 1. Adottare il metodo dell’ECG intra-cavitario o con
la tecnica della guida metallica o con la tecnica della colonna di soluzione
fisiologica all’interno del catetere e interpretare il tracciato ECG così da
posizionare la punta del catetere venoso centrale alla giunzione cavo-atriale. Nel
caso di dispositivi basati sull’ECG intra-cavitario che non prevedano la
interpretazione dell’operatore ma che indichino automaticamente la posizione
della punta con immagini di riferimento convenzionali, attenersi alle istruzioni
del produttore. 2. Prima di adottare la tecnica dell’ECG intra-cavitario,
verificare che il paziente non abbia un’anamnesi di alterazioni del ritmo
cardiaco e che l’onda P sia ben visibile sul tracciato dell’ECG. La tecnica
dell’ECG intra-cavitario non può essere applicata nei pazienti con anomalie
elettrocardiografiche associate a un’assenza o a una difficoltà di visualizzazione
! 10! dell’onda P (esempio pacemakers, fibrillazioni atriali, alcune tachiaritmie).
Seguire in proposito le istruzioni per l’uso del produttore. 3. Utilizzare con
cautela la tecnica ecocardiografica per la verifica della posizione della punta dei
cateteri venosi centrali: in tutte le fasce di età, l’accuratezza di tale tecnica è
ancora controversa poiché gli studi disponibili in letteratura sono stati effettuati
su limitate popolazioni di pazienti e con tecniche assai diverse. Prendere in
considerazione però la ecocardiografia nei neonati (ove la tecnica è più
affidabile) e nei dipartimenti di emergenza (ove diventa cruciale l’immediata
verifica della posizione della punta). 4. Limitare l’utilizzo della fluoroscopia alle
situazioni in cui è realmente indispensabile (per esempio nei casi in cui la
inserzione è assai difficoltosa) poiché implica sempre una esposizione a
radiazioni ionizzanti. 5. Non è necessario ricorrere ad una radiografia del torace

104
Gestione degli accessi endovenosi

post-procedurale se si è adottata una tecnica alternativa per la conferma della


posizione appropriata della punta.3,12-18 (II) F. La conferma della
localizzazione della punta per mezzo di una radiografia del torace
postprocedurale rimane una pratica accettabile ed è necessaria soltanto quando
non si sia adottata una tecnica intra-procedurale per la verifica della posizione
della punta. La radiografia è un metodo meno accurato poiché non consente una
visualizzazione diretta della giunzione cavo-atriale bensì prevede una stima
basata su reperi radiolgici quali la carena, l’angolo tracheobronchiale o i corpi
delle vertebre toraciche. Inoltre, il movimento del paziente dalla posizione
supina a quella ortostatica come normalmente richiesto dalla radiografia si
associa ad una dislocazione della punta del catetere per un tratto che può
arrivare anche a 2 centimetri.3,11,12,19,20 (II) G. Tener presente che la maggior
parte delle tecniche di posizionamento della punta, sia quelle radiologiche che
quelle basate sull’ECG intracavitario, non permettono di identificare
posizionamenti accidentali del catetere in sede intra-arteriosa. Se tale
complicanza viene sospettata è bene ricorrere ad altri metodi per confermarla o
escluderla. (vedi lo Standard 53, Malposizione del Dispositivo per Accesso
Venoso Centrale]). H. Medici o infermieri con documentata competenza in
materia possono verificare autonomamente la posizione della punta di un
catetere venoso centrale interpretando il tracciato dell’ECG intracavitario o la
radiografia del torace post-procedurale e quindi autorizzare l’inizio della terapia
endovenosa sulla base di questa valutazione. Quando si utilizza una radiografia
toracica postprocedurale sarà comunque il radiologo a firmare il referto
completo, in ottemperanza alle procedure locali.2,21 (V) I. Comprovare la
posizione della punta del catetere venoso centrale allegando alla cartella clinica
una copia del tracciato ECG, il referto della radiografia del torace o altra
documentazione appropriata (vedi lo Standard 10, Documentazione nella
Cartella Clinica)

Scelta e Posizionamento dei Dispositivi per Accesso Venoso

Standard I. Per garantire la sicurezza del paziente, il clinico deve conoscere a


fondo la indicazione, il posizionamento e l’uso dei dispositivi per accesso
venoso; a tal scopo, deve possedere adeguate conoscenze di anatomia, fisiologia
e deve conoscere quali terapie endovenose sono più appropriate per ogni tipo di

105
Gestione degli accessi endovenosi

accesso venoso. II. Indicazioni e protocolli per la scelta e il posizionamento dei


cateteri venosi devono essere specificati nelle procedure locali, nel rispetto delle
istruzioni per l'uso della casa produttrice. ! 26.

Scelta dei dispositivi per accesso venoso

Norme generali 26.1 La scelta del tipo di dispositivo per accesso venoso,
periferico o centrale, deve basarsi sulle necessità del paziente e, di conseguenza,
su considerazioni quali il piano terapeutico, i farmaci prescritti, la durata
prevista, le caratteristiche delle vene del paziente, la sua età, le sue comorbilità,
l’anamnesi di pregresse terapie infusionali, eventuali preferenza per il tipo o
sede del dispositivo, nonchè le capacità e le risorse disponibili per il suo
mantenimento. 26.2 La scelta del catetere venoso più adatto deve nascere dalla
collaborazione tra tutti i professionisti dell’equipe, coinvolgendo anche il
paziente e i suoi caregiver. 26.3 Occorre scegliere il catetere venoso con il
diametro esterno più piccolo possibile, con il minor numero di lumi, e con la
minima invasività, compatibilmente con la terapia prescritta. 26.4 Quando si
pianifica un accesso venoso occorre sempre tenere presente la importanza di
preservare il patrimonio venoso periferico del paziente. 26.5 Occorre sempre
scegliere, utilizzare o attivare dispositivi con meccanismi di sicurezza.

Raccomandazioni pratiche

I. Cateteri Periferici Corti A. Scegliere una ago-cannula in base agli elementi


seguenti: 1. Prendere in considerazione le caratteristiche della soluzione
infusionale (che non deve essere nè irritante, né vescicante e l’osmolarità) e la
durata prevista della terapia infusionale (deve essere minore di 6 giorni) nonchè
la disponibilità di vene periferiche superficiali.1-7 (IV) 2. Nei pazienti con
accesso venoso difficile, adottare tecniche di visualizzazione (ad es. nIR,
ecografia) per aumentare le possibilità di successo (consultare la Norma 22,
Visualizzazione Venosa). 3. Non utilizzare cateteri periferici per terapie
vescicanti continue, per nutrizione parenterale o per terapie infusionali con una
osmolarità superiore a 900 mOsm/L (si veda la Norma 58, Terapia

106
Gestione degli accessi endovenosi

Antineoplastica; Norma 61, Nutrizione Parenterale ).1-3, 6-8 (IV) B. Scegliere


l’ago-cannula del calibro più piccolo possibile, tenendo conto della terapia
prescritta e delle esigenze infusionali del paziente.1,4 (V) 1. Per la maggior
parte delle terapie infusionali, utilizzare un ago-cannula di calibro tra 20G e
24G. I cateteri periferici di calibro superiore a 20G si associano ad maggior
rischio di flebite.1-4,9 (IV) 2. Prendere in considerazione agocannule di calibro
22G-24G nei neonati, nei pazienti pediatrici e negli anziani, allo scopo di
minimizzare il trauma da inserzione.1-4 (V)! 13!
3. Preferire ago-cannule con diametro più grande (16G-20G) ove occorra una
rapida infusione di cristalloidi, ad esempio nei pazienti traumatizzati; utilizzare
cannule multifenestrate per esami radiologici con mezzo di contrasto.1-4,10 (IV)
4. Per le trasfusioni di sangue, utilizzare cannule di calibro compreso tra 20G e
24G, a seconda del calibro della vena: nel caso di necessità di trasfusioni rapide
si utilizzino cateteri di calibro maggiore (consultare la Norma 62, Terapia
Trasfusionale) 5. Gli aghi in acciaio dotati di aletta (c.d. Butterfly) vanno
utilizzati esclusivamente per somministrazione di farmaci in bolo e non per
infusioni continue.Tali dispositivi non vanno lasciati in sede dopo l’uso.1-3,5
(IV)

II. Cateteri Midline A. I criteri per la scelta di un catetere midline sono i


seguenti: 1. Tenere presenti le caratteristiche della terapia infusionale e la durata
prevista del trattamento (tipicamente, tra 1 e 4 settimane).1-3,5 (IV) 2. Usare un
catetere midline per farmaci e soluzioni di vario tipo - antibiotici, fluido-terapie
ed analgesici – che abbiamo caratteristiche tali da essere ben tollerati dalle vene
periferiche.11-14 (V) 3. Non usare cateteri midline per terapie continue con
farmaci vescicanti, per nutrizione parenterale o per soluzioni con osmolarità
superiore a 900 mOsm/L (si veda la Norma 61, Nutrizione Parenterale).1-3, 6,11
(V) 4. Usare la massima cautela quando si utilizzano midline per la
somministrazione intermittente di farmaci vescicanti, considerato il rischio di
non diagnosticare tempestivamente uno stravaso. In uno studio isolato, la
somministrazione di vancomicina per meno di 6 giorni attraverso un catetere
midline non si è associata a complicanze.1-3, 15 (IV) 5. Evitare di utlizzare il
catetere midline nei pazienti ad alto rischio di trombosi, con ipercoagulabilità
ematica, diminuzione del flusso venoso alle estremità o insufficienza renale
cronica tale da raccomandare una conservazione delle vene periferiche del
braccio.1,16-17 (IV)

107
Gestione degli accessi endovenosi

III. Cateteri Venosi Centrali (Non tunnelizzati, Tunnellizzati, Totalmente


Impiantabili) A. Utilizzare i cateteri venosi centrali per somministrare qualsiasi
tipo di terapia infusionale. 3,6,17 (V) B. Per ridurre al minimo il posizionamento
di cateteri venosi centrali non necessari, predisporre una lista di indicazioni
all’accesso venoso centrale basata sulle evidenze, come ad esempio: 18 (IV) 1.
Pazienti clinicamente instabili e/o con regimi infusionali complessi (infusioni
multiple). 2. Trattamenti chemioterapici discontinui previsti per più di 3 mesi. 3.
Ogni terapia infusionale di lunga durata (nutrizione parenterale, liquidi ed
elettroliti, farmaci, sangue o emoderivati). 4. Necessità di monitoraggio
emodinamico invasivo. 5. Terapia infusionale discontinua a lungo termine (ad
esempio terapie antibiotiche protratte). 6. Accesso venoso periferico difficile o
impossibile, anche utilizzando tecnologie di visualizzazione. C. Tenere presente
che i PICC, specialmente se inseriti o gestiti con tecniche non appropriate,
possono associarsi ad un potenziale rischio di complicanze trombotiche e
infettive, particolarmente nei pazienti ospedalizzati. 1. Usare con cautela i PICC
nei pazienti oncologici o in terapia intensiva per il potenziale rischio trombotico.
19,20 (III) 2. Ridurre il rischio di trombosi misurando il diametro della vena per
via ecografica prima dell’inserzione del PICC e scegliendo cateteri con un
rapporto catetere/vena del 45% o meno (si veda la Norma 52, Trombosi Venosa
Associata a Dispositivi di Accesso Venoso Centrale). 3. Non usare i PICC come
strategia per la prevenzione delle infezioni.18,20 (III)! 14!
D. Il team multiprofessionale dovrà condividere le indicazioni all’uso di cateteri
venosi centrali pretrattati con sostanze anti-batteriche, identificando quelle
situazioni cliniche ad alto rischio per infezioni batteriemiche catetere-correlate.
5,18 (I) 1. Permanenza prevista superiore a 5 giorni. 2. Incidenza di infezioni
batteriemiche catetere-correlate superiore alle aspettative, nonostante l’impiego
delle normali strategie di prevenzione. 3. Pazienti ad alto rischio infettivo
(neutropenici, trapiantati, ustionati, pazienti in condizioni critiche). 4. Cateteri
venosi centrali inseriti in emergenza. 5. Non utilizzare cateteri medicati con
farmaci antibatterici in pazienti con allergie a tali sostenze (clorexidina,
sulfadiazina argento, rifampicina o minociclina). E. Utilizzare dispositivi per
accesso venoso centrale totalmente impiantati (port) preferibilmente nei pazienti
con previsione di terapia infusionale intermittente a lungo termine (terapie
antineoplastiche). Se usati in maniera intermittente, i port hanno più bassa
incidenza di infezioni batteriemiche da catetere; se usati in modo continuo il

108
Gestione degli accessi endovenosi

tasso di infezioni è invece simile a quello di altri cateteri venosi centrali a lungo
termine.3,6,21-23 (IV) 1. Tra le molte controindicazioni all’inserzione di un port
ricordiamo ad esempio la presenza di una coagulopatia non correggibile, una
sepsi non controllata, il reperto di emocolture positive, etc..22-23 (V) 2. Nei
pazienti con ustioni, traumi, o neoplasie che precludono il posizionamento di un
port a livello toracico si può considerare come opzione alternativa l’impianto di
un port venoso a livello brachiale. 24 (IV) 3. I cateteri venosi centrali totalmente
impiantabili tipo port, quando non utilizzati hanno il vantaggio di consentire
attività quali il bagno ed il nuoto e si associano alla protezione dell’immagine
corporea.2,17 (V) F. Utilizzare cateteri venosi centrali cuffiati e tunnellizzati in
pazienti con necessità di terapia infusionale a lungo termine intermittente o
continua (terapia antineoplastica, nutrizione parenterale). 6,17,25 (V) G.
Valutare la possibile indicazione all’uso di dispositivi per accesso venoso
centrale ideati specificatamente per le infusioni ad alta pressione e conoscerne i
limiti pressori ed altri limiti (ad esempio massimo numero di iniezioni ad alta
pressione), sia in riferimento al dispositivo che agli accessori ad esso connessi
(aghi per accedere al port impiantato, prolunghe, cappucci a valvola) così da
evitare possibili rotture del catetere.26-27 (V) H. Pianificare tempestivamente la
confezione di una fistola arterovenosa o di una protesi arterovenosa nei pazienti
con insufficienza renale cronica che necessitano di un accesso permanente per
dialisi. (consultare la Norma 29, Dispositivi di Accesso Venoso per Emodialisi.

IV. Cateteri Arteriosi A. I cateteri arteriosi periferici e i cateteri in arteria


polmonare (tipo Swan-Ganz) vanno utilizzati soltanto per l’uso a breve termine
a scopo di monitoraggio emodinamico, prelievo ematico e emogasanalisi nei
pazienti in terapia intensiva.5 (V) B. Il calibro consigliato per i cateteri arteriosi
periferici radiali è 20G; uno studio di ampie dimensioni ha documentato una
bassa percentuale di complicanze. 28 (V)

109
Gestione degli accessi endovenosi

Scelta della sede di impianto

Standard 27.1 Si deve scegliere la vena e la sede più adatta, a seconda del
diametro esterno e della lunghezza del catetere venoso necessario per la terapia
prescritta. 27.2 Nella scelta della vena da incannulare occorre sempre tener
conto della necessità di preservare il patrimonio venoso periferico del paziente. !
16!
27.3 Occorre valutare accuratamente molti fattori: le condizioni del paziente, la
sua età, la diagnosi, le eventuali comorbidità, lo stato della vascolatura nella
sede d’inserzione e in sede più prossimale, le condizioni della cute nella sede di
inserzione, l’anamnesi di precedenti cateteri venosi e venipunture, il tipo e la
durata della terapia infusionale, la preferenza del paziente. 27.4 Il
posizionamento dei cateteri venosi centrali da parte di clinici qualificati e
certificati deve essere stabilito dalle procedure locali.

Raccomandazioni pratiche I. Accesso Venoso Periferico tramite Ago-cannule A.


Per i pazienti adulti: 1. Utilizzare il sito di venipuntura più appropriato per la
durata della terapia prescritta: il posizionamento sull’avambraccio si associa ad
una durata maggiore dell’agocannula, a minor fastidio da parte del paziente, a
una autogestione più facile e a una minore incidenza di dislocazioni ed
occlusioni. Prendere eventualmente in considerazione anche altre vene sulle
superfici dorsali e ventrali degli arti superiori, comprese le vene del metacarpo,
le cefaliche, le basiliche e le mediane.1-9 (IV) 2. Non usare le vene degli arti
inferiori se non assolutamente necessario, per via dell’aumentato rischio di
danni locali, tromboflebiti ed ulcerazioni. 3,10,11 (IV)

B. Per i pazienti pediatrici: 1. Utilizzare il sito di venipuntura con maggiori


probabilità di durata ripetto alla terapia prescritta, prendendo in considerazione
le vene della mano, dell'avambraccio e del braccio fino a sotto l'ascella. Evitare
la zona antecubitale, caratterizzata da una percentuale elevata di fallimenti. 2.
Nei lattanti, prendere anche in considerazione le vene dello scalpo e del piede
(se il bambino ancora non cammina). 3. Evitare la mano, le dita, il pollice o il
dito utilizzato dal bambino per succhiare. 4. Evitare le vene del braccio destro in
lattanti e bambini sottoposti ad interventi chirurgici per difetti cardiaci congeniti

110
Gestione degli accessi endovenosi

in quanto il flusso sanguigno nella succlavia potrebbe essere ridotto.5,12-15 (V)


C. Per tutti i pazienti: 1. Discutere con il paziente quale braccio preferisce per la
sede del dispositivo, cercando di utilizzare il braccio non dominante.6,7,16,17
(V) 2. Evitare la superficie ventrale del polso a causa del dolore durante
l’inserzione ed il rischio di danno nervoso (si veda la Norma 47, Lesioni
Nervose). 3. Evitare le aree di flessione, quelle dolenti alla palpazione, quelle
compromesse da qualche patologia, quelle distali a tali patologie, nonché le aree
infette, o le vene con alterazioni patologiche (ematomi, infiltrati, flebiti, sclerosi
ecc.) o le vene con valvole. Evitare anche le aree di precedenti infiltrazioni o
stravasi, e le aree dove siano pianificate procedure chirurgiche. 3,4,7,11,13,18
(V) 4. Evitare le vene dell’arto superiore dal lato di una dissezione linfonodale
ascellare per chirurgia mammaria; evitare gli arti con linfedema e gli arti sede di
fistola arterovenosa o protesi; evitare gli arti paretici dopo ictus o sede di
radioterapia; nei pazienti con insufficienza renale cronica, evitare qualunque
puntura delle vene degli arti superiori non indispensabile. Discutere con il
paziente i pro e i contro del posizionamento di una agocannula in un determinato
arto affetto da patologia. (si veda la Norma 29, Dispositivi di Accesso Venoso
per Emodialisi ).7,19-25 (V) 5. L’utilizzo a fini infusionali di una fistola per
emodialisi, di una protesi arterovenosa o di un catetere per dialisi è accettabile
solo in condizioni di emergenza e deve essere autorizzata dal nefrologo o dal
medico curante.7,25 (V)
! 17!
6. Utilizzare l’ecoguida per il posizionamento di agocannule in pazienti adulti e
pediatrici con accesso venoso difficile e/o dopo ripetuti tentativi falliti di
venipuntura (si veda la Norma 22, Visualizzazione Venosa).26-31 (I)

II. Accesso Venoso Periferico tramite Cateteri Midline A. Scegliere come prima
scelta vene nella parte superiore del braccio o - in alternativa - nella regione
antecubitale; incannulare come prima scelta la basilica o - in alternativa - la
cefalica, la mediana e le brachiali. Nei neonati e nei bambini è possibile
impiantare midline anche in vene dell’arto inferiore (punta al di sotto
dell’inguine) o nello scalpo (punta nel collo al di sopra del torace).7,12,13,3234
(V) B. Anche per il posizionamento di midline, evitare aree dolenti alla
palpazione, ferite aperte, aree infette, vene patologiche (ematomi, infiltrati,
flebiti, sclerosi ecc.) e aree dove siano pianificate procedure
chirurgiche.3,7,11,12 (V) Evitare le vene del braccio destro di lattanti e bambini

111
Gestione degli accessi endovenosi

sottoposti ad interventi chirurgici per difetti cardiaci congeniti in quanto il flusso


sanguigno nella succlavia potrebbe essere ridotto.12 (V) D. In caso di accesso
venoso difficoltoso, prendere in considerazione l’utilizzo di tecnologie di
visualizzazione che aiutino ad identificare e scegliere la vena (si veda la Norma
22, Visualizzazione Venosa).27,28,31 (I)

III. Accesso Venoso Centrale tramite cateteri centrali a inserimento periferico


A. Nei pazienti adulti, scegliere vene di dimensioni sufficienti per il
posizionamento del PICC (es.: mediane cubitali, brachiali, basiliche, cefaliche):
si raccomanda un rapporto di calibro catetere/vena pari o inferiore al 45%. Nei
neonati, utilizzando cateteri epicutaneo-cavali di piccole dimensioni, è possibile
incannulare anche altre vene (ascellare, temporale, auricolare posteriore del
capo, safena e poplitea): ovvero, si può scegliere la miglior vena disponibile, sia
nel distretto cavale superiore che nel distretto inferiore, con rischio di
complicanze sovrapponibile, benchè i cateteri epicutaneo-cavali inseriti agli arti
inferiori siano più frequentemente in posizione non centrale.35-40 (IV) B.
Evitare le aree dolenti alla palpazione o quelle con ferite e le vene con
alterazioni patologiche (ematomi, infiltrati, flebiti, sclerosi ecc).3,41 (IV) C.
Evitare i PICC nei pazienti con insufficienza renale cronica per via del rischio di
stenosi e occlusione della vena centrale, oltre al rischio di impoverimento delle
vene periferiche in vista di future fistole artero-venose (consultare la Norma 29,
Dispositivi di Accesso Venoso per Emodialisi]).19,22,42,43 (IV) D. Nel
posizionamento dei PICC, usare la ecografia, poiché il suo impiego permette di
identificare le vene, diminuire il rischio di complicanze e aumentare il successo
al primo tentativo (si veda la Norma 22, Visualizzazione Venosa ).36,39,44-46
(IV)

IV. Cateteri Venosi Centrali Non Tunnelizzati ad Inserzione Centrale A. Per


minimizzare il rischio di infezioni associate ai cateteri venosi centrali non
tunnellizzati, preferire nel paziente adulto gli approcci sottoclaveari piuttosto
che quelli sopraclaveari o inguinali. Considerare però nei pazienti con
insufficienza renale cronica i rischi di stenosi venosa centrale e trombosi legati
all’utilizzo della vena succlavia; soppesare rischi e benefici per ogni sede di
impianto. Evitare zone con ferite o infezioni (si veda la Norma 29, Dispositivi di
Accesso Venoso per Emodialisi ; Norma 48, Occlusione con Dispositivi di
Accesso Venoso Centrale ).11,19,41,47-49 (I) B. Per ridurre al minimo il

112
Gestione degli accessi endovenosi

rischio di complicanze trombotiche associate ai cateteri non tunnellizzati, è


preferibile nei pazienti adulti evitare la incannulazione della vena femorale.47
(I) 1. Se il paziente è affetto da insufficienza renale cronica, preferire un
approccio sopraclaveare, ad esempio alla vena giugulare interna, soppesando
rischi e benefici di ogni sede di impianto.22 (V) ! 18!
C. Per quanto riguarda i cateteri centrali non tunnellizzati, in età pediatrica non
esiste un sito di inserzione preferito in termini di riduzione del rischio
infettivo.11 (V) D. Usare sempre l’ecografia nel posizionamento degli accessi
venosi centrali, per l’identificazione, la scelta e la cannulazione delle vene, così
da ridurre il rischio di insuccessi o di complicanze quali la puntura arteriosa
accidentale, l’ematoma e l’emotorace (si veda la Norma 22, Visualizzazione
Venoso ).46,50-52 (I)

V. Cateteri Venosi Centrali Cuffiati Tunnellizzati e Totalmente Impiantabili A.


Collaborare con l’equipe sanitaria e con il paziente per valutare e scegliere la
sede più appropriata per il posizionamento dei cateteri tunnellizzati cuffiati e dei
port impiantati. Utilizzare preferibilmente nei bambini gli approcci
sopraclaveari.23,53-55 (IV)

VI. Cateteri Arteriosi Periferici A. Includere come criteri di selezione all’esame


obiettivo, la presenza del polso e della circolazione distale.3,56 (I A/P) B. Negli
adulti, l’arteria radiale è l’accesso più appropriato per l’incannulamento
arterioso percutaneo, seguito dall’arteria brachiale e dalla arteria dorsale del
piede e da altri siti alternativi. Nei pazienti pediatrici, utilizzare l’arteria radiale,
la tibiale posteriore e la dorsale del piede. Sia negli adulti che nei bambini,
questi siti sono da preferire rispetto alla arteria femorale o ascellare per ridurre il
rischio di infezione. Nei pazienti pediatrici, è bene evitare la incannulazione
della arteria brachiale, per via della assenza di circoli collaterali.27,57,58 (III) 1.
Prima della puntura dell’arteria radiale, verificare la circolazione della mano.
Considerare l’anamnesi del paziente (traumi pregressi, precedenti incannulazioni
o punture dell’arteria radiale, possibile assenza dell’arteria, etc.); verificare
l’eventuale uso di anticoagulanti; effettuare un esame obiettivo della
circolazione della mano, valutando il polso radiale e ulnare, utilizzando il test di
Allen, la pulsossimetria, o una flussimetria Doppler (si veda la Norma 43,
Flebotomia). C. Non utilizzare cateteri arteriosi periferici per somministrare la
terapia infusionale ma soltanto per il monitoraggio emodinamico, per

113
Gestione degli accessi endovenosi

l’emogasanalisi ed i prelievi ematici.3,59 (V) D. Utilizzare l’ecografia per


identificare l’arteria, per sceglierla ed aumentare le probabilità di successo della
puntura al primo tentativo (si veda la Norma 22, Visualizzazione Venoso ).60-
62 (I)

VII. Accesso dalla Vena Giugulare Esterna A. I clinici qualificati e certificati


possono utilizzare la vena giugulare esterna per la inserzione di cateteri centrali
e periferici, ad esempio in terapia intensiva o in condizioni d’urgenza quando
non vi siano altre possibilità di accesso venoso.3,63,64 (V) B. Quando si
inserisce un agocannula nella vena giugulare esterna e si prevede che la terapia
infusionale prosegua per oltre 96 ore, pianificarne con il medico curante la
rimozione e la sostituzione con un accesso venoso alternativo non appena
possibile.7,21,63 (V)

Dispositivi impiantabili per accesso venoso (port)

Standard 28.1 Il posizionamento e la rimozione di un port impiantabile per


accesso venoso sono considerate manovre chirurgiche e devono essere eseguite
da medici o infermieri qualificati e certificati, nel rispetto dei protocolli e delle
normative locali. 28.2 I port devono essere utilizzati con aghi di sicurezza non
carotanti.
! 21!
28.3 in caso di iniezione di mezzo di contrasto con iniettori automatici ad alta
pressione per la infusione di mezzo di contrasto (power injection), si dovranno
usare esclusivamente port e aghi non carotanti specificatamente adatti per tale
utilizzo, attenendosi alle istruzioni del fabbricante. 28.4 Quando il port è
utilizzato, mantenere una medicazione sterile sulla sede di accesso.

Raccomandazioni pratiche A. Verificare che il port abbia un’indicazione


documentata per l’iniezione di mezzo di contrasto ad alta pressione, prima di
utilizzarlo per tale scopo.1,2 (V) 1. Utilizzare almeno 2 metodi di
identificazione, tra cui schede di identificazione, fascette da polso o catenelle
fornite dal costruttore; rivedere la documentazione della procedura operatoria e

114
Gestione degli accessi endovenosi

palpare il port. 2. Non utilizzare la palpazione del port come unico metodo di
identificazione, poichè non tutti i port certificati per la power-injection sono
dotati di caratteristiche tali da renderli identificabili alla palpazione. 3. Durante e
dopo la power injection, tenere presente il rischio di rottura del catetere, che può
comportare stravaso, embolizzazione di frammenti del catetere e necessità di
rimuovere e sostituire il port. Sospettare la rottura del catetere quando il paziente
mostra segni di gonfiore o eritema localizzato o riferisce dolore (si veda la
Norma 51, Danneggiamento del Catetere [Embolia, Riparazione, Scambio]). B.
Valutare le esigenze e le preferenze del paziente in termini di gestione del dolore
durante l’accesso al port (si veda la Norma 32, Anestesia Locale per il
Posizionamento e l’Accesso dei Dispositivi di Accesso Venoso). C. Rispettare la
tecnica asettica durante l’accesso al port, usando mascherina e guanti sterili.3,4
(V, Committee Consensus) 1. Esaminare la regione dove è stato impiantato il
port, per valutare la presenza eventuale di segni di gonfiore, eritema, secrezione,
reticoli venosi o altro; lavarsi le mani prima e dopo tale esame.5,6 (V) 2.
Eseguire l’antisepsi cutanea prima dell’accesso al port. a. Utilizzare l’antisettico
cutaneo di prima scelta, la clorexidina >0.5% in soluzione alcolica.4-7 (I) b. In
presenza di una controindicazione specifica alla clorexidina in base alcolica, è
possibile utilizzare la tintura di iodio, uno iodoforo (iodopovidone), oppure
alcool isopropilico al 70%.5 (I) c. Aspettare che l’agente antisettico si sia
completamente asciugato prima di accedere al port.5 (V) D. Accedere al port
con l’ago non carotante del calibro più piccolo possibile ma ancora sufficiente
per la terapia prescritta. 1. Per ridurre il rischio di dislocazione dell’ago durante
l’utilizzo, scegliere un ago non carotante di lunghezza appropriata ovvero tale da
consentire alle alette dell’ago di poggiare sulla cute ma simultaneamente alla
punta dell’ago di essere con certezza all’interno del port.7 (V) 2. Orientare l’ago
non carotante all’interno del reservoir in modo che la sua apertura guardi in
direzione opposta al punto ove è situata la connessione tra port e catetere.
Quando l’ago è orientato in tal modo, secondo alcuni studi in vitro, sembra che
sia possibile una migliore rimozione del materiale residuo all’interno del
reservoir.8 (IV) 3. Non vi sono evidenze sufficienti per raccomandare un tempo
ideale per la sostituzione dell’ago non carotante quando si utilizza il port per
infusioni continue.5 (V) E. Valutare la funzionalità dei cateteri venosi con una
siringa da 10 ml. o con una siringa specificatamente progettata per generare
basse pressioni di infusione (ad esempio con stantuffo di diametro analogo ad

115
Gestione degli accessi endovenosi

una siringa da 10 ml), prendendo nota di eventuali resistenze (consultare lo


Standard 40, Lavaggio e Chiusura).
! 22!
F. Lavare (flush) e chiudere (lock) il port o con soluzione fisiologica o con
soluzione eparinata (consultare la Norma 40, Lavaggio e Chiusura). 1. I port con
ago inserito, anche se non utilizzati, vanno lavati ogni giorno.9 (IV) 2. Non vi
sono evidenze sufficienti per raccomandare una frequenza ottimale di lavaggio
di un port in cui non sia inserito l’ago; consultare le istruzioni per l'uso del
produttore e rispettare la procedura aziendale.10-12 (V) 3. Prendere in
considerazione la opportunità di chiudere il port con soluzioni per lock
antimicrobiche nei pazienti con anamnesi positiva per infezioni batteriemiche da
catetere (CRBSI) (consultare la Norma 40, Lavaggio e Chiusura). G. Quando il
port è in uso, utilizzare per la medicazione una membrana semipermeabile
trasparente o una medicazione con garza. Sostituire la medicazione con
membrana trasparente ogni 5-7 giorni e la medicazione con garza ogni 2 giorni.
Quando si pone una garza al di sotto delle alette dell’ago non coring in modo da
non coprire il sito di accesso, la si copre con una membrana trasparente e la
medicazione può essere cambiata ogni 5, 7 giorni. 5-8,13-16 (IV) H. Provvedere
ad una corretta educazione del paziente e/o del caregiver su diversi punti:
tecnica di posizionamento; tipologia del port utilizzato (ad es. power injectable,
multilume); necessità di portare con se un tesserino di identificazione del port o
una scheda di identificazione del port (ad es. da tenere nel portafoglio); principi
di manutenzione ordinaria, compresa la frequenza dei lavaggi; necessità della
tecnica asettica durante il posizionamento dell’ago; necessità di usare solo aghi
non carotanti (tra cui il modello adatto alla power injection); diagnosi delle
potenziali complicanze e del loro trattamento.4,16 (V) I. Fornire una corretta
educazione del paziente/caregiver qualora il port sia utilizzato a domicilio,
toccando diversi aspetti: controllo giornaliero della medicazione; modalità
corrette per vestirsi e spogliarsi evitando di far trazione sull’ago non carotante;
protezione del sito del port durante l’igiene personale; verifica che le spalline del
reggiseno non strofinino la zona interessata; necessità di segnalare prontamente
segni o sintomi di dolore, bruciore, prurito o dolenzia locale; consapevolezza
della importanza di fermare la pompa di infusione e di avvertire i clinici nel caso
si intravedano localmente segni di gonfiore, secrezioni ed umidità (si veda la
Norma 8, Educazione del Paziente).17 (V)

116
Gestione degli accessi endovenosi

Cateteri venosi per emodialisi

Standard 29.1 La scelta del tipo più adeguato di catetere venoso per l’emodialisi
deve avvenire in collaborazione con il paziente/caregiver e con il team
multiprofessionale, in funzione del piano terapeutico previsto. 29.2 Il
posizionamento e la rimozione di un catetere per emodialisi tunnellizzato o
impiantato, la creazione di una fistola arterovenosa e l’inserzione di una protesi
artero-venosa sono considerate procedure chirurgiche e devono essere eseguite
da personale appropriatamente qualificato ed autorizzato. 29.3 La rimozione di
un catetere per emodialisi temporaneo, non tunnelizzato viene eseguita da o in
base alle istruzioni di personale appropriatamente qualificato ed autorizzato.
29.4 Non si devono eseguire manovre di venipuntura o di monitoraggio
emodinamico su un braccio portatore di fistole o di protesi artero-venosa.

Raccomandazioni pratiche A. Stabilire il metodo di accesso venoso prima di


mettere il paziente in dialisi cronica periodica in trattamento dialitico. Gli
accessi da preferire sono nell’ordine la fistola artero-venosa, la protesi artero-
venosa ed il catetere a lungo termine. Il paziente/caregiver e l’equipe
multidisciplinare dovrebbero concordare sull’opportunità di impiantare un
catetere per emodialisi o creare un accesso vascolare a lungo termine di altro
tipo. 1-7 (III) B. Ricordarsi di preservare il patrimonio venoso nei pazienti che
potrebbero aver bisogno di un accesso venoso per emodialisi. In particolare
evitare dispositivi che potrebbero associarsi a trombosi o stenosi venosa
centrale, come i cateteri venosi in vena succlavia o i PICC.1,2,7-9 (I) C. Ove
possibile, utilizzare per la emodialisi una fistola artero-venosa matura. Fattori
variabili quali gli aspetti clinici, anatomici, funzionali e patologici sono
attualmente oggetto di studio allo scopo di individuare i fattori predittivi della
maturazione della fistola.1,2,7,10,11 (IV) D. Nel corso di ogni seduta dialitica
monitorare i dispositivi di accesso con riferimento a eventuali segni o sintomi di
disfunzione, infezione o altre complicanze.1,8 (V) E. Non sostituire di routine i
cateteri temporanei utilizzati per la dialisi.9 (I) F. Usare pomate a base di
iodopovidone o di bacitracina/gramicidina/polimixina sul sito di emergenza del
catetere per dialisi, a patto che non vi sia rischio di interazione con il materiale
del catetere, attenendosi alle istruzioni del produttore.9 (I) G. Evitare di usare

117
Gestione degli accessi endovenosi

cateteri per emodialisi per prelievi di sangue, per emotrasfusioni o per infusioni
endovenose. Nei pazienti in terapia intensiva, si può posizionare un catetere per
dialisi non tunnellizzato con una terza via da utilizzare per terapie infusionali. I
farmaci saranno somministrati attraverso questa terza via e non attraverso i lumi
utilizzati per la dialisi. Poiché la presenza di lumi multipli aumenta il rischio
infettivo, è bene mantenere tali cateteri da dialisi con un terzo lume per il
periodo più breve possibile. 8 (V).
H. Aspirare la soluzione di chiusura e confermare il ritorno di sangue tutte le
volte che si usa un catetere per dialisi tunnellizzato o non tunnellizzato. 8 (V) I.
Quando si cambia la medicazione di un catetere venoso per dialisi oppure una
medicazione che copre una fistola artero-venosa o una protesi artero-venosa,
occorre indossare guanti sterili e mascherine. Utilizzando un catetere per dialisi
tunnellizzato con cuffia ormai stabilizzata è sufficiente l’uso di guanti puliti (si
veda la Norma 41, Valutazione, Cura e Sostituzione della Medicazione con i
Dispositivi di Accesso Venoso).2,6,8 (V) J. Insegnare ai pazienti/caregiver come
aver cura del catetere per dialisi e come sia necessario segnalare ogni segno e
sintomo di disfunzioni, infezioni e altre complicazioni (si veda la Norma 8,
Educazione del Paziente).1,2,8 (V)

Cateteri ombelicali
Standard 30.1 Il posizionamento e la rimozione di un catetetere ombelicale
venoso o arterioso devono essere affidati a personale qualificato e certificato.
30.2 Occorre verificare quotidianamente la necessità clinica del caterere
ombelicale così da rimuoverlo tempestivamente quando non sia più indicato.

Raccomandazioni pratiche A. Stabilire procedure e protocolli locali per le


indicazioni appropriate ai cateteri ombelicali tenendo presente l’età gestazionale,
il peso alla nascita e la gravità della malattia così da evitarne l’uso non
necessario e le complicanze associate.1-3 (IV) 1. Utilizzare i cateteri ombelicali
arteriosi per i prelievi di sangue e per il monitoraggio invasivo della pressione
arteriosa. 2. Mantenere la pervietà e ridurre il rischio di occlusione mediante
infusioni continue di eparina da 0,25 a 1 unità/ml (dose totale quotidiana 25-200
unità prochilo) 3. Utilizzare i cateteri venosi ombelicali per l‘infusione di
farmaci, nutrizione parenterale ed emoderivati.2,4,5 (II).
B. Eseguire l’antisepsi cutanea prima dell'inserzione: 1. Usare iodopovidone,
clorexidina >0.5% in soluzione alcolica, o clorexidina in soluzione acquosa. 2.

118
Gestione degli accessi endovenosi

Sia la clorexidina acquosa che quella alcolica vanno usate con cautela nei
neonati pretermine, nei neonati a basso peso alla nascita e nei primi 14 giorni di
vita, a causa della possibilità di lesioni chimiche della cute. E’ stata segnalata la
possibilità di assorbimento sistemico attraverso la cute matura, ma ciò non si è
associato a effetti sistemici. A tutt’oggi non è ancora stabilita quale sia la
soluzione di clorexidina più sicura e più efficace nei neonati. Qualunque agente
contenente clorexidina va comunque usato con cautela sotto i 2 mesi di età. 3.
Evitare la tintura di iodio a causa dei potenziali effetti tossici sulla ghiandola
tiroidea del neonato. 4,6-11 (I) C. Per un corretto posizionamento della punta,
stabilire la lunghezza del catetere utilizzando misure antropometriche quali la
distanza tra spalla ed ombelico oppure equazioni basate sul peso corporeo o altri
metodi validati. 12-16 (V) D. La punta del catetere va così posizionata: 1. per i
cateteri venosi ombelicali, la punta deve trovarsi nella vena cava inferiore in
prossimità con la giunzione con l’atrio destro. 2. Per i cateteri ombelicali
arteriosi, la punta deve trovarsi nella porzione toracica dell’aorta discendente al
di sotto dell’arco aortico (posizione alta) o al di sotto delle arterie renali e sopra
la biforcazione aortica nelle arterie iliache comuni (posizione bassa)12,17-19
(IV) E. Confermare la posizione della punta del catetere con metodo
radiologico o ecocardiografico o ecografico prima dell’utilizzo. 1. Per i cateteri
venosi ombelicali, ottenere una radiografia del torace ed dell’addome in
anteroposteriore che dovrà mostrare la punta al livello o subito al di sopra del
diaframma. Si ha una maggiore accuratezza utilizzando come repere la
silhouette cardiaca piuttosto che i corpi vertebrali. Se in una proiezione antero-
posteriore non si riesce ad identificare con certezza il tragitto del catetere e la
posizione della punta, si ricorre ad una proiezione obliqua o laterale. 17,18,20
(IV) 2. In caso di difficile posizionamento di cateteri venosi ombelicali o in
pazienti con cardiopatie congenite, si può utilizzare la guida fluoroscopica. 21
(V) 3. Per i cateteri arteriosi ombelicali, è bene ottenere una proiezione antero-
posteriore del torace e dell’addome per verificare che la punta si proietti tra la
sesta e la decima vertebra toracica (posizione alta) o tra la quarta e la quinta
vertebra lombare (posizione bassa). 17 (V) 4. Per i cateteri venosi ombelicali, la
verifica della posizione della punta per via ecografica utilizzando proiezioni
parasternali in asse corto ed asse lungo comporta risultati paragonabili a quelli
della radiografia. L’iniezione di fisiologica attraverso il catetere può essere utile
nell’identificare la posizione esatta della punta. Comunque non sarà possibile
evidenziare ecograficamente eventuali anse o ripiegamenti del catetere nel suo

119
Gestione degli accessi endovenosi

tragitto. 18,22,23 (IV) 5. L’ecocardiografia neonatale sembra superiore alla


radiografia del torace e dell’addome nel diagnosticare malposizioni del catetere
o nel verificare la posizione della punta in neonati con peso estremamente basso
alla nascita. 24,25 (V) F. Per stabilizzare i cateteri venosi ed arteriosi ombelicali
occorre scegliere un metodo che sia rispettoso dell’integrità cutanea, che si
associ a poche complicazioni e che sia facile da utilizzare. Non ci sono evidenze
sufficienti per definire quale sia il metodo migliore.26 (IV) G. Non si devono
utilizzare pomate o unguenti antibiotici sul moncone ombelicale, considerando il
rischio di infezioni da miceti e di sviluppo di resistenza agli antibiotici.4 (I) H.
Monitorare i segni e i sintomi di complicanze potenziali come ad esempio:
sanguinamento dal moncone ombelicale, stravasi, emorragie, embolia gassosa,
infezione, trombosi, versamenti pleurici, versamenti pericardici, tamponamento
cardiaco, aritmie, danni epatici, vasocostrizione periferica. Prendere in
considerazione l’uso dell’ecografia o della ecocardiografia per diagnosticare tali
complicanze.27-31 (IV) I. Rimuovere i cateteri ombelicali tempestivamente
quando non sono più necessari oppure nel caso in cui insorga una complicanza.
1. Cercare di limitare il tempo di permanenza di un catetere venoso ombelicale a
7-14 giorni poichè il rischio infettivo aumenta con il passare del tempo. Una
strategia per ridurre il rischio infettivo è la rimozione del catetere venoso
ombelicale in settima giornata seguita dall’inserzione di un catetere epicutaneo-
cavale. 4,30,32,33 (III) 2. Cercare di limitare i tempi di permanenza dei cateteri
arteriosi ombelicali a non più di 5 giorni. 4,34,35 (IV) 3. I cateteri ombelicali
vanno rimossi lentamente nell’arco di diversi minuti dopo aver posizionato un
laccio intorno al moncone ombelicale. In particolare per la rimozione dei cateteri
arteriosi ombelicali, gli ultimi 5 cm. del catetere devono esere retratti lentamente
(1 cm. per minuto) per minimizzare lo spasmo arterioso.

Cateteri per aferesi


Standard 31.1 Il catetere venoso più appropriato per un trattamento di aferesi
terapeutica è scelto mediante collaborazione tra il paziente o il caregiver e il
team multiprofessionale sulla base del piano terapeutico.

Raccomandazioni pratiche A. Nella scelta del catetere venoso più appropriato


per un’aferesi, prendere in considerazione il tipo di procedura aferetica (sistemi
di centrifugazione o di filtrazione), il patrimonio venoso del paziente, il suo
grado di collaborazione, la frequenza e la durata del trattamento, e la patologia

120
Gestione degli accessi endovenosi

di base.1-3 (IV) B. Si possono usare per l’aferesi terapeutica cateteri venosi


centrali o periferici: 1. Si possono utilizzare nell’adulto aghicannula 16G -18G
posizionati nelle vene della piega del gomito. L’accesso venoso periferico è
sconsigliato nei bambini più giovani (< 30 kg) per via del piccolo calibro delle
vene ma è fattibile nei bambini più grandi e negli adolescenti. Le vene
periferiche non sono appropriate per i sistemi di aferesi basati sulla filtrazione.
1-5 (IV) 2. Negli adulti si possono utilizzare cateteri venosi centrali tunnellizzati
e non, purchè il calibro sia almeno 11,5 Fr.1-3 (IV) 3. L’utilizzo di sistemi
venosi centrali totalmente impiantabili è assai raro.1-4 (IV) 4. I PICC non sono
appropriati per l’aferesi terapeutica a causa del piccolo calibro e della
impossibilità di alti flussi.3 (IV) 5. Per i trattamenti a lungo termine si possono
confezionare fistole artero-venose o protesi artero-venose.

Gestione dei Dispositivi per Accesso Venoso

Norme I. Per garantire la sicurezza del paziente, il clinico (medico o infermiere)


deve essere specificamente competente nella gestione dei dispositivi di accesso
venoso e deve possedere conoscenze di anatomia, fisiologia e tecniche di
gestione di tali dispositivi così da ridurre il rischio di complicanze. II.
Indicazioni e protocolli per la gestione di tali dispositivi devono essere
specificati nelle procedure aziendali e/o nei protocolli locali, nel rispetto delle
istruzioni della casa produttrice. ! 34. Connettori senza ago
Norma 34.1 I connettori senza ago (needlefree connectors) devono potersi
collegare al dispositivo o alla porta di accesso della linea infusionale mediante
un meccanismo di chiusura di tipo luer-lock, così da garantire una connessione
sicura. 34.2 Disinfettare i connettori senza ago prima dell’utilizzo del
dispositivo. 34.3 Nel sostituire il connettore senza ago, utilizzare la tecnica
asettica no-touch. 34.4 Accedere ai connettori senza ago soltanto con dispositivi
(siringhe, prolunghe, linee infusionali, etc.) sterili.

Regole pratiche A. Nel caso di infusioni continue, non è ben definito se sia
sempre necessario interporre un connettore senza ago posizionato tra il catetere
venoso e il set di somministrazione. Lo scopo principale dei connettori senza
ago è di proteggere il personale sanitario evitando il rischio di punture
accidentali con aghi che potrebbero essere utilizzati per accedere alla linea
infusionale, tipicamente nel caso di infusioni intermittenti.1-3 (Regulatory) 1.

121
Gestione degli accessi endovenosi

Evitare di utilizzare un connettore senza ago quando si devono infondere


rapidamente cristalloidi ed emotrasfusioni, poichè il connettore riduce
notevolmente le velocità di flusso. 4 (IV) B. E’ preferibile interporre una
prolunga tra una agocannula e il connettore senza ago, così da evitare ulteriori
manipolazioni del sito di inserzione della cannula (consultare la Norma 36,
Dispositivi Aggiuntivi ). C. Tenere sempre presente che i connettori senza ago
sono una via di potenziale contaminazione microbica intraluminale e pertanto
esigono il rispetto assoluto delle raccomandazioni per la prevenzione delle
infezioni. Non vi è consenso su quale sia la tipologia di connettore senza ago
che possa associarsi al minor rischio di infezioni batteriemiche catetere-
correlate.3,5-8 (IV) D. Ogni tipo di connettore senza ago è dotato di un proprio
design interno in termine di meccanismi e percorsi dei liquidi infusi. Non vi è
consenso su quale sia la tipologia di connettore senz’ago che possa associarsi al
minor rischio di occlusione del lume del catetere: su questo tema sono necessari
ulteriori studi.9-13 (IV) E. Adottare una sequenza corretta di clampaggio del
catetere e distacco della siringa – attenendosi alle istruzioni del fabbricante –
allo scopo di ridurre il reflusso ematico nel lume del catetere e, di conseguenza,
ridurre il rischio di occlusioni intraluminali da coaguli. La sequenza di lavaggio,
clampaggio e distacco della siringa varia a seconda del meccanismo interno di
ciascun connettore senz’ago. Standardizzare il tipo di connettore senza ago a
livello di organizzazione può ridurre il rischio di confusione nella corretta
sequenza di tali fasi, con un miglioramento del risultato clinico.14,15 (V) ! 34!
F. Prima di utilizzare il connettore senz’ago disinfettarlo manualmente,
strofinando vigorosamente e rispettando il tempo di azione dell’antisettico usato.
1. Disinfettanti utilizzabili a tale scopo sono l’alcool isopropilico al 70%, gli
iodofori (ad es. iodopovidone), oppure la clorexidina >0.5% in soluzione
alcolica.7,16 (II) 2. La latenza più appropriata tra disinfezione e utilizzo del
connettore senz’ago varia secondo il tipo di dispositivo usato e l’agente
disinfettante prescelto. Nel caso del 70% alcool isopropilico, il tempo di
strofinamento consigliato varia da 5 a 60 secondi; l’alcool avrà una azione
quando la superficie è ancora umida e subito dopo la completa evaporazione.
Per quanto riguarda il tempo di strofinamento ideale, riferito ad altri disinfettanti
o combinazioni di disinfettanti, non vi sono evidenze univoche e saranno
necessari ulteriori studi.3,17,18 (II) 3. La disinfezione manuale con
strofinamento vigoroso va attuata anche nel caso si connettori senza ago
pretrattati con agenti antimicrobiche (ad es. a rilascio di ioni argento).19-24 (IV)

122
Gestione degli accessi endovenosi

G. La disinfezione del connettore senz’ago può essere attuata anche con


modalità ‘passiva’, automatica, mediante cappucci contenenti sostanze
disinfettanti tipo alcool isopropilico (port protectors); questo metodo riduce
significativamente la contaminazione microbica intraluminale, riducendo il
rischio di infezioni batteriemiche catetere-correlate. Si consiglia l’utilizzo di
questi cappucci disinfettanti anche sui cateteri venosi periferici, benchè le
evidenze in tale ambito siano ancora scarse. 1. L’efficacia di questa disinfezione
passiva ha una durata variabile secondo il tipo di cappuccio; attenersi alle
istruzioni dei produttori.18 (V) 2. Una volta rimosso, il cappuccio disinfettante
deve essere gettato: non lo si deve mai riapplicare al connettore senza ago.3,18
(II) 3. Dopo aver rimosso il cappuccio disinfettante, nel caso che siano previsti
altri accessi al connettore senz’ago, ad esempio non solo per la
somministrazione del farmaco ma anche per il flush della linea infusionale, è
necessario ripetere la disinfezione del connettore ogni volta. Per quanto riguarda
la disinfezione del connettore tra un accesso e l’altro, vi sono pochi studi e non è
possibile dare univoche raccomandazioni a proposito del tipo di dinfettante, così
come la tecnica e la durata della disinfezione. Preferire uno strofinamento
vigoroso della durata di 515 secondi ad ogni accesso al sistema, con una
variabilità dipendente dal tipo di connettore senza ago.25-30 (Committee
Consensus) 4. Utilizzare rubinetti e prolunghe dotati di connettore senza ago
integrato nel dispositivo stesso, piuttosto che dotati di un semplice cappuccio, ai
fini di ridurre la contaminazione proveniente dall’ambiente e dalle mani del
personale. Sostituire il rubinetto dotato di connettore senz’ago integrato, non
appena richiesto dalla situazione clinica.31-33 (III) H. Sostituire il connettore
senza ago almeno ogni 96 ore. Sostituzioni routinarie con frequenza più
ravvicinata non si associano a vantaggi clinici ma anzi aumentano il rischio
infettivo. 1. Se si utilizza una infusione continua, il connettore senza ago deve
essere sostituito quando si sostituisce tutto il set di somministrazione (ad es.
ogni 96 ore). 2. Nel caso di agocannule che rimangano in sede oltre le 96 ore,
non vi sono raccomandazioni univoche sulla opportunità o meno di sostituire la
prolunga e/o il connettore senza ago direttamente collegati alla cannula. 3.
Qualunque connettore senza ago deve anche essere sostituito nei casi seguenti:
quando il connettore sia stato rimosso, per qualunque motivo; in presenza di
detriti o residui ematici visibili all’interno del connettore; prima di prelevare un
campione per emocoltura dal catetere venoso; in caso di contaminazione del
connettore; o comunque sulla base dei protocolli locali e delle istruzioni per

123
Gestione degli accessi endovenosi

l’uso del fabbricante (si veda la Norma 49, Infezioni).7,34,35 (IV) I. Per
facilitare il rispetto della procedura di disinfezione del connettore senza ago da
parte del personale, è necessario che il materiale di disinfezione sia sempre
disponibile accanto al letto del paziente.14,36 (V) ! 35!

IL CATETERE VENOSO Per definizione un catetere venoso è “periferico”


quando la sua punta, indipendentemente dal sito di accesso, non raggiunge la
prossimità della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro ( lo sono ad
esempio agocannule e cateteri Midline). Per tale motivo, i cateteri venosi
periferici possono essere usati solo con farmaci e soluzioni aventi le seguenti
caratteristiche : - Soluzioni con ph tra 5 e 9 - Farmaci con osmolarità < 500-600
mOsm/L - Soluzioni nutrizionali con osmolarità < 800-900 mOsm/L - Farmaci
non vescicanti e non flebitogeni. Un catetere venoso lo si definisce "centrale"
quando la sua punta viene posizionata in prossimità della giunzione tra vena
cava superiore ed atrio destro. Un catetere “centrale” consente quindi: • la
misurazione della PVC; • l’infusione di soluzioni ipertoniche (osmolarità
superiore a 800 mOsm/litro); • la somministrazione di farmaci basici ed acidi
Posizione della punta del CVC Perché è importante il corretto posizionamento
della punta del CVC? Quantità crescente di dati della letteratura internazionale
evidenzia che il corretto posizionamento della punta del cvc è fondamentale per
un suo uso sicuro ed efficace. La posizione ottimale per i cateteri venosi centrali
è la giunzione cavo-atriale perchè : • Previene il rischio di trombosi • Previene il
rischio di malfunzione • Previene il rischio di ‘tip migration’ • Previene il rischio
di aritmie

Il catetere midline E’ un catetere venoso periferico in quanto la sua punta non


raggiunge la prossimità della giunzione cavo-atriale. Il suo utilizzo è a medio
temine (1-6 settimane), tuttavia ci sono non poche segnalazioni di presidi long-
survivor (3-5 mesi).
Dispensa per autoapprendimento “Corso teorico pratico di
ecografia infermieristica ed accessi venosi periferici”
Caratteristiche • Utilizzo discontinuo • Utilizzo Intra/Extra Ospedaliero •
Lunghezza 8 – 30 cm • Calibro (16 – 25 G ovvero 5 - 2 Fr) • Silicone o
poliuretano 3^ generazione • Non tunnellizzato • Morbido, flessibile,
biocompatibile • Valvolato/non valvolato, mono/bilume • Non richiede

124
Gestione degli accessi endovenosi

sostituzione programmata • Inserzione al III° medio del braccio


(basilica>brachiale>cefalica)
Impianto ecoguidato con abbattimento delle complicanze all’impianto: •
Fallimenti • Punture arteriose • - Ematomi - • Tentativi ripetuti. • Indicati per
infusioni periferiche previste per > 6 gg Rimuovere soltanto a fine uso o in caso
di complicanza (cfr. LG Atlanta 2011).
Dispensa per autoapprendimento “Corso teorico pratico di ecografia
infermieristica ed accessi venosi periferici”.
Vantaggi : • Superamento del limite rappresentato dal paziente con patrimonio
venoso superficiale esaurito; • Accesso venoso stabile per periodi prolungati,
adatto all’infusione discontinua; • Dispositivo con il più basso tasso di
complicanze infettive batteriemiche (0,2per IVD 1000-days,Maki et al 2006); –
• Assenza di complicanze maggiori da sanguinamento in pz. scoagulati; •
Presidio infermieristico.

Svantaggi : Know-how specifico d’impianto; • Possibili complicanze locali


flebitiche e trombo-flebitiche, riducibili con l’impianto ecoguidato a metà
braccio.

Il catetere picc. Il picc (Peripherally Inserted Central Catheters) è un catetere


venoso centrale a inserzione periferica. Lo si definisce "centrale" in quanto la
sua punta viene posizionata in prossimità della giunzione tra vena cava superiore
ed atrio destro. Il PICC è indicato per Terapie Infusionali di Medio-Lungo
termine; – può essere in silicone o poliuretano; monolume ,bilume e trilume. –
consente tutti gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali (CVC) "classici": •
misurazione della PVC; • infusione di soluzioni ipertoniche (osmolarità
superiore a 800 mOsm/litro); • somministrazione di farmaci basici (pH >9),
acidi (pH < 5 o pH >9, o osmolarità > 800 mOsm/l, o con effetto vescicante o
irritante sull’endotelio (es. vancomicina, etc); • pazienti con alto rischio di
complicanze meccaniche qualora si procedesse alla inserzione di un CVC in
vena giugulare interna o succlavia (pazienti obesi); • pazienti con alterazioni
anatomiche e/o patologiche del collo; • pazienti con grave coagulopatia;
Dispensa per autoapprendimento “Corso teorico pratico di
ecografia infermieristica ed accessi venosi periferici”.
• pazienti con alto rischio di complicanze infettive qualora si posizionasse un
CVC tradizionale (pazienti con tracheostomia, pazienti immunodepressi o

125
Gestione degli accessi endovenosi

soggetti ad alto rischio di batteriemie) • situazioni in cui è logisticamente


difficoltoso o costoso procedere al posizionamento di un CVC tradizionale
(domicilio, *mancanza di un team dedicato; etc.); • necessità di accesso venoso
centrale per tempo particolarmente prolungato (‘a medio termine’: < 3 mesi); •
necessità di accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) in paziente da
trattare anche o esclusivamente in ambito extraospedaliero; • necessità di
accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) da utilizzare anche o
esclusivamente in modo discontinuo.

Cenni di Anatomia
Vena Ascellare (Vena Succlavia)
Originata a livello del margine laterale del Muscolo Grande Pettorale dalla
confluenza delle due Vene Brachiali satelliti del vaso arterioso corrispondente e
con decorso identico.

Dispensa per autoapprendimento “Corso teorico pratico di ecografia


infermieristica ed accessi venosi periferici” Arteria Brachiale, (Arteria
Ascellare), segue il decorso dell’Arteria Ascellare (cfr. Arteria Ascellare)
ricevendo affluenti satelliti dei collaterali di questa.
Tutte le vene affluenti che sono satelliti di vasi arteriosi corrispondenti fanno
parte della cosiddetta Rete Venosa Profonda dell’Arto Superiore, invece alcune
vene indipendenti da vasi arteriosi scorrono superficialmente su di una Rete
Venosa Superficiale dell’Arto Superiore che comprende:
1) Vena Cefalica , nata dalla Parte Radiale (quindi laterale) della Rete Venosa
Dorsale della Mano si porta in alto risalendo e poi facendosi anteriore lungo la
superficie dei muscoli dell’Avambraccio e poi nel Braccio scorre lateralmente al
Muscolo Bicipite, arrivata nel solco tra il Muscolo Deltoide ed il Muscolo
Grande Pettorale si getta nel vaso principale.

2) Vena Basilica , originata dalla Parte Ulnare (quindi mediale) della Rete
Venosa Dorsale della Mano risale rimanendo mediale, ma poi facendosi
anteriore lungo la superficie dei muscoli dell’Avambraccio, giunta sul Braccio
decorre lungo il margine mediale del Muscolo bicipite Brachiale per poi affluire
dopo aver perforato la Fascia Brachiale.

126
Gestione degli accessi endovenosi

3) Vene Mediane di Gomito ed Avambraccio e Perforanti , le prime due sono


molteplici rami comunicanti superficiali tra la Vena Cefalica e la Vena Basilica,
le ultime sono rami perforanti che mettono in comunicazione la rete superficiale
con quella profonda.

PROCEDURA INSERIMENTO PICC

Risorse Umane • Un infermiere impiantatore che deve aver ricevuto specifica


formazione nell’inserzione del PICC; • Un infermiere/oss. Risorse Materiali •
telini in numero sufficiente per allestire il campo sterile per il materiale e
l’impianto; • guanti e camice sterili; • guanti non sterili; • mascherina e
copricapo; • garze non sterili; • garze sterili; • disinfettante iodato o Clorexidina
2% in soluzione alcoolica; • 4 fl da 10 ml di Soluzione Fisiologica; • 4 siringhe
da 10 ml; • 1 siringa da 2,5 ml e una da 1 ml con ago da insulina; • carbocaina
2%; • laccio emostatico; • tappino needle-less; • sistema suture-less • 1
medicazione assorbente; • benda autoadesiva tipo Peha haft; • contenitore per
taglienti; • contenitore per rifiuti speciali e urbani; • telino salvaletto monouso; •
Monitor elettrocardiografico • ecografo;
Dispensa per autoapprendimento “Corso teorico pratico di
ecografia infermieristica ed accessi venosi periferici”
• metro da sarto; • un copri sonda sterile • 1 KIT microintroduttore
preconfezionato contenente: • ago introduttore • introduttore Peel-away; •
mandrino; • agocanula; • bisturi; • guida metallica. • 1 KIT preconfezionato
contenente catetere tipo PICC. Operatività:
Verificare che il sistema scelto sia effettivamente il dispositivo adatto alla
terapia endovenosa prevista per quel paziente; Spiegare dettagliatamente al
paziente la procedura; Raccogliere il consenso verbale e scritto del paziente alla
procedura e verificare eventuale presenza di pace-maker o defibrillatori
impiantabili (il PICC in tal caso verrà posizionato nell’arto contro laterale) e che
non siano presenti allergie conosciute; Valutazione ecografica delle vene delle
braccia prima senza e poi con l'applicazione del laccio emostatico; Valutare le
vene teoricamente agibili,identificare il punto di inserzione con penna
dermografica e rimuovere il laccio emostatico; Rilevare la lunghezza del
catetere da introdurre (distanza da punto di inserzione a emiclaveare + distanza
da emiclaverare a 3° spazio intercostale dx); Effettuare il lavaggio sociale delle

127
Gestione degli accessi endovenosi

mani; Posizionare il paziente in posizione supina, con braccio a 90 gradi, palmo


della mano in alto; Eseguire tricotomia, se necessaria;
Posizionare il telino salvaletto monouso sotto il braccio del paziente; Indossare
mascherina e copricapo; Eseguire lavaggio antisettico delle mani; Indossare il
camice e i guanti sterili; Preparare il campo sterile aprendo il telino non adesivo
sul piano di lavoro; Disporre sul campo sterile il materiale necessario: • 3 teli
sterili • 4 fiale di soluzione fisiologica; • 4 siringhe 10 ml; • 1 siringa da 2.5 ml e
una da 1 ml con ago da insulina; • garze sterili; • tappino needleless; • una
medicazione sterile; • carbocaina 2% • sistema sutureless; • copri sonda sterile; •
1 spugnetta disinfettante • kit PICC preconfezionato. Aspirare le 4 fiale di sol
fisiologica nelle siringhe da 10 ml Il secondo operatore applica il laccio
emostatico; Disinfettare la zona eligibile con disinfettante appropriato almeno
10 cm sopra e 10 cm sotto il punto di inserzione; Rispettare il tempo d’azione
del disinfettante; Posizionare 1 telino sterile senza adesivo sotto il braccio
destinato all’impianto ed applicare 2 teli adesivi sul braccio lasciando in
evidenza il sito di inserzione oppure utilizzare apposito telo contenuto nella
confezione.; Controllare dilatatore e peel-away e lavarli con fisiologica, estrarre
guida metallica;
Con la mano dominante, impugnare l’agocannula o l’ago introduttore presenti
nel kit; Con la mano non dominante impugnare la sonda ecografica, protetta dal
copri sonda sterile, mantenendo la visualizzazione della vena prescelta al centro
dello schermo per facilitare la venipuntura; Pungere e avanzare con l’ago con un
angolo di 45 - 60 gradi rispetto alla superficie della cute; Se si usa l’ago
introduttore, al refluire di sangue fermarsi immediatamente; Introdurre
delicatamente la guida metallica fino a lasciarne fuori cute circa 10 CM; In caso
di mancata progressione della guida cercare di estrarla lentamente senza forzare,
qualora non sia possibile, estrarre prima l’ago o la cannula e poi la guida; Sfilare
l’ago dalla cute facendo attenzione a non rimuovere la guida; Eseguire pomfo di
carbocaina al 2% in sede di puntura all’emergenza della guida; Eseguire, se
necessario una piccola incisione della cute (2 mm) con il bisturi in posizione
orizzontale all’emergenza della guida; Introdurre, con movimento di
avvitamento, il dilatatore preassemblato al peelaway; Togliere il laccio
emostatico; In caso di PICC a punta aperta tagliare l’estremità distale alla
lunghezza definita precedentemente. Rimuovere quindi contemporaneamente,
con delicatezza, la guida metallica e il dilatatore (svitandolo); Introdurre il
catetere nella cannula peel-away (fino alla misura precedentemente rilevata se il

128
Gestione degli accessi endovenosi

PICC è a punta chiusa) Controllare il reflusso di sangue nel catetere con siringa
in aspirazione; Iniettare SF con la siringa preconnessa con tecnica pulsante;
Rimuovere l’introduttore con tecnica peel-away Posizionare garza sterile sul
punto di introduzione;
Togliere delicatamente il mandrino dal catetere e tagliare il tratto di catetere in
esubero in modo tale da permettere di assemblare e connettere il raccordo
louerlock al catetere (se PICC a punta chiusa) Assemblare la seconda aletta a 0,5
cm dall’emergenza cutanea ancorandola al catetere col filo di sutura presente nel
kit PICC a punta chiusa Controllare regolare funzionamento in aspirazione e
infusione.

Procedura inserimento Midline 1. Verificare che il sistema scelto sia


effettivamente il dispositivo adatto alla terapia endovenosa prevista per quel
paziente; 2. Spiegare dettagliatamente al paziente la procedura; 3. Raccogliere il
consenso verbale e scritto del paziente alla procedura e verificare eventuale
presenza di pace-maker o defibrillatori impiantabili (il PICC in tal caso verrà
posizionato nell’arto contro laterale) e che non siano presenti allergie
conosciute; 4. Valutazione ecografica delle vene delle braccia prima senza e poi
con l'applicazione del laccio emostatico; 5. Valutare le vene teoricamente
agibili,identificare il punto di inserzione con penna dermografica e rimuovere il
laccio emostatico; 7. Effettuare il lavaggio sociale delle mani; 8. Posizionare il
paziente in posizione supina, con braccio a 90 gradi, palmo della mano in alto;
9. Eseguire tricotomia, se necessaria; 10. Posizionare il telino salvaletto
monouso sotto il braccio del paziente; 11. Indossare mascherina e copricapo; 12.
Eseguire lavaggio antisettico delle mani; 13. Indossare il camice e i guanti
sterili;
14. Preparare il campo sterile aprendo il telino non adesivo sul piano di lavoro;
15. Disporre sul campo sterile il materiale necessario: • 3 teli sterili • 4 fiale di
soluzione fisiologica; • 4 siringhe 10 ml; • 1 siringa da 2.5 ml • 1 siringa da 1 ml
con ago da insulina; • garze sterili; • tappino needleless; • 1 medicazione
assorbente; • carbocaina 2% • sistema sutureless; • copri sonda sterile; • kit
microintroduzione; • Midline

Operatività
Procedura molto simile all’inserimento del Picc con la differenza che questo
catetere va in vena ascellare quindi non necessità di rx torace e neanche di

129
Gestione degli accessi endovenosi

misurazioni. Un'altra differenza dal Picc è che una volta inserito il catetere nella
vena bisogna assemblare la sua codina e chiuderlo con il Clave Connector.

Complicanze correlate all’inserzione e alla gestione di Picc e MidLine Il


posizionamento ecoguidato di Picc e Midline è una manovra sicura, con
complicanze minime, se effettuata da operatori che abbiano effettuato il training
adeguato. I rischi e i benefici devono essere considerati prima dell’inserzione e
ogni fattore di rischio deve essere ridotto correggendo tutti i deficit, in modo da
essere certi che il paziente sia nella condizione ottimale per essere sottoposto
alla procedura. Lo studio del patrimonio venoso del paziente è fondamentale per
evitare l’insuccesso. Prima di scegliere la vena da incannulare è opportuno
esaminare con l’ecografo, bilateralmente, le vene profonde del braccio (basilica,
brachiale, cefalica) e del collo (ascellare, succlavia, giugulare interna, anonima)
così da escludere eventuali anomalie anatomiche o pregresse trombosi venose, e
poter scegliere la vena più probabilmente associata ad un successo della
manovra. Per ottimizzare il nursing del sito di emergenza del catetere, la vena
dovrà essere incannulata ad appropriata distanza sia dal gomito che dall’ascella.
Per minimizzare il rischio di trombosi venosa. C omplicanze immediate Le
complicanze immediate legate alle manovre di inserimento (operatore
dipendente) del Picc o del Midline sono: - P u n t u r a a r t e r i o s a / e m o r r a
g i a : si intende un sanguinamento incontrollato a seguito di un danno ad
un’arteria durante la manovra d’incannulamento del vaso. In realtà non è un
problema serio in quanto l’uso dell’ecografo riduce al minimo il rischio di
puntura arteriosa perché consente la visualizzazione dell’arteria durante
l’inserzione in tempo reale in quanto risulta essere pulsante e non comprimibile
a differenza delle vena. Se dovessero presentarsi i sintomi di una puntura
arteriosa o di emorragia estrarre l’ago e comprimere esercitando una forte
pressione per almeno cinque minuti e applicare una garza sterile imbevuta di
soluzione coagulante (acido tranexamico) e medicazione compressiva per 24 ore
e cambiare sito d’inserzione. - Puntura del plesso brachiale : il plesso nervoso
brachiale è una rete di nervi spinali della porzione cervicale inferiore e della
porzione dorsale superiore, che innerva braccio, avambraccio e mano.
Ecograficamente si presenta come una massa translucida, iperecogena,
strutturata tipo “alveare” con concamerazione che non si modifica sotto
pressione. A causa della sua posizione anatomica (supero-laterale o supero-
mediale rispetto all’arteria brachiale) può essere danneggiato durante la puntura

130
Gestione degli accessi endovenosi

del vaso con l’ago dedicato. Se Il paziente riferisce dolore acuto, intenso alle
ultime due dita della mano retrarre l’ago. In seguito potrà avvertire formicolio
lungo tutto il braccio, parestesia con risoluzione dei sintomi nell’arco di 24 h. -
Puntura del dotto linfatico : il circolo linfatico è un sistema di drenaggio ad una
via che trasporta i fluidi dallo spazio interstiziale dei tessuti al torrente
circolatorio. Nell’arto superiore i vasi linfatici si suddividono in superficiali e
profondi: i collettori superficiali nascono dai capillari linfatici cutanei,
specialmente nella mano, da cui risalgono nell’avambraccio per formare i
collettori mediali, laterali e anteriori. Dal braccio poi proseguono per arrivare
nell’ascella dove terminano aprendosi nei linfonodi del gruppo laterale. E’
possibile che durante la venipuntura vi sia la possibilità di lesionare le strutture
linfatiche provocando linforragia. Si evidenzia come ad ogni trauma di una certa
entità corrisponda un differente grado di compromissione delle strutture
linfatiche nella loro componente capillare (linfatici iniziali) o nei settori più
prossimali (pre-collettori e collettori linfatici), con manifestazioni cliniche di
importanza variabile in rapporto alla gravità delle lesioni. Se la linforaggia è
minima cesserà spontaneamente entro 24 h grazie alla capacità della linfa di
coagulare in condizioni di infiammazione. Complicanze precoci Le complicanze
precoci che si presentano entro 48 ore dal posizionamento del catetere sono: -
Ematoma : ripetuti tentativi di puntura della vena possono provocare un
sanguinamento incontrollato con conseguente formazione di una massa dura e
dolete che interessa anche i tessuti circostanti. Tale ematoma può rendere più
difficoltoso il reperimento del vaso e predispone a lesioni più estese dei vasi e
delle strutture circostanti. Occorre rimuovere l’ago ed esercitare una forte
pressione sull’area. Il sito deve essere monitorato. Possono essere applicati
impacchi di ghiaccio. Il paziente deve essere informato circa l’accaduto e
istruito a riferire qualsiasi variazione nella procedura. La vena più adatta per il
posizionamento di un Picc o un Midline è la Basilica perché è più superficiale e
isolata rispetto all’arteria brachiale e al nervo mediano. Il grafico però dimostra
che non sempre questa vena è disponibile: è possibile comunque utilizzare anche
la vena brachiale o la vena cefalica anche se con la possibile comparsa di
complicanze durante la venipuntura se l’operatore non ha effettuato un training
adeguato o ha scarsa esperienza. La conoscenza di tutte quelle che possono
essere le complicanze legate all’impianto e alla gestione di un dispositivo
vascolare devono aiutarci a prevenirle, risolverle ed evitare inutili rimozioni.

131
Gestione degli accessi endovenosi

Complicanze Tardive Le complicanze tardive possono essere provocate da un


mal posizionamento del catetere, che può avere conseguenze meccaniche: •
(occlusione da coaguli o precipitati)
• fibrin-sleeve (manicotto di fibrina che avvolge il cvc generalmente nel suo
percorso endovenoso ma estendendosi talvolta anche nel tretto sottocuteneo
reservoir incluso) • pinch off ( compressione meccanica del catetere nel punto in
cui passa tre la clavicola e la prima costa) • frattura ed embolizzazione •
deconnessione e danni esterni • Necrosi tissutale ed espulsione presidio •
Complicanze cardio- vascolari.

Le trombosi legate a Picc e Midline Trattamento delle complicanze Occlusioni


trombotiche Se si sospetta che l’occlusione sia causata da un trombo bisogna
informare il medico che valuterà se somministrare agenti trombolitici specifici.
La somministrazione deve avvenire con tecnica asettica, osservando le
precauzioni standard e dopo la prescrizione di un medico. La somministrazione
di agenti trombolitici non deve superare la capacità del catetere. Naturalmente,
chi esegue queste manovre deve conoscere dosaggi, controindicazioni, effetti
collaterali e metodi di somministrazione. L’instillazione, l’aspirazione e il
lavaggio dell’accesso vascolare devono essere fatti usando un metodo che
rispetti le indicazioni del produttore sulla pressione massima sostenuta dal
presidio. Per esempio è sconsigliato l’uso di siringhe di calibro inferiore a 10 ml
perchè possono provocare la rottura del catetere per l’elevata pressione.
Una pressione eccessiva può causare danni come de connessioni, rotture e
perdita di integrità del catetere. Occlusione non trombotiche Per sciogliere
precipitati di soluzioni si possono somministrare: • Alcool etilico (55-75% lock
1-2 ore) per aggregati lipidici. • HCO3 (8,4% lock 1 ora) per precipitati causati
da mezzo di contrasto. • HCL, NaOH (0,1 % lock 1ora) in caso di deposito di
minerali. La somministrazione di questi agenti deve avvenire sotto controllo di
un medico, non deve superare la capacità del catetere e va effettuato in asepsi.
Segni e sintomi di Trombosi Venosa Profonda (TVP)
• La TVP si manifesta attraverso: • malfunzionamento del sistema • dolorabilità
ai movimenti dell'arto e sensazione di intorpidimento • modificazioni del
colorito cutaneo • dolore di discreta intensità alla spalla del lato dove è
posizionato il catetere • segni locali di stasi venosa (turgore ed evidenza di
circoli collaterali) • edema del braccio, della spalla e del collo. La diagnosi di
TVP viene fatta con lo studio Eco-colordoppler del distretto venoso (e già ad

132
Gestione degli accessi endovenosi

una prima ispezione, un vaso che ospita al suo interno un trombo risulta non
comprimibile) o con angioTC. Infezione di Picc e midline Ci sono diverse
microrganismi che causano CRBSI (Catheter Related Bloodstream Infestion)
fra i quali i più comuni sono gli Stafilococchi coagulasinegativi, lo
Staphylococcus Aureus, i bacilli gram negativi e la Candida Albicandis. In
particolare la determinazione dell’agente microbiologico è importante non
solo per un’appropriata terapia antibiotica, ma per le possibili ripercussioni
dell’infezione sul paziente: ad esempio in caso di batteriemia da S. Aureus
la mortalità è circa del 8,2% mentre la mortalità de stafilococchi coagulasi
negativi è 10 volte inferiore a causa del minor rischio di trombosi venosa.
Patogenesi delle infezioni Le linee guida del CDC di Atlanta identificano nella
patogenesi delle infezioni catetere correlate quattro vie di contaminazione
ben identificate: 1. migrazione di organismi cutanei dal sito di emergenza
attraverso il tratto sottocutaneo e lungo la superficie del catetere con
colonizzazione della punta del catetere; questa è la più comune via d’infezione
per i cateteri a breve termine. 2. Contaminazione diretta del catetere o del
connettore del catetere a causa del contatto con mani, fluidi o dispositivi
contaminati. 3. Meno frequente, i cateteri possono essere infettati da germi
provenienti per via ematogena da un’altra sede d’infezione. 4. Raramente, la
contaminazione dell’infuso può causare una CRBSI.

I fattori patogenetici determinanti le CRBSI sono: 1. il materiale con cui è fatto


il catetere 2. i fattori dell’ospite che consistono in proteine di adesione, quali
fibrina e la fibronectiona, che formano una guaina intorno al catetere. 3. la
virulenza intrinseca del microrganismo infettante, compresa la capacità di
produrre una matrice polimerica extracellulare. Infezione dell’exit-site Per
quanto riguarda l’emergenza cutanea del catetere, è opportuna un’ispezione,
almeno quotidiana, per controllare lo stato di integrità della medicazione e
dell’eventuale insorgenza di complicanze infettive, con palpazione attraverso
la medicazione intatta. Se durante la palpazione il paziente lamenta dolore e/o
l’infermiere rileva un indurimento della cute accompagnato o meno da febbre
senza una causa evidente, deve rimuovere la medicazione ed eseguire un
esame visivo completo del sito. L’infermiere, durante l’ispezione della
medicazione, può rilevare, nell’emergenza cutanea un diverso livello di
alterazione della cute: da una cute sana a una cute con segni e sintomi di
flogosi o infezione, con l’attribuzione di uno score clinico dove ad ogni score si

133
Gestione degli accessi endovenosi

attribuisce un grado: quando si rileva uno score ≥ 1 è necessario avvisare il


medico.

Infezione catetere-correlata. Viene definita infezione correlata al catetere venoso


centrale una batteriemia o funginemia in un paziente portatore di catetere
venoso centrale che abbia almeno un’emocoltura positiva ottenuta con prelievo
da una vena periferica, con manifestazioni cliniche di infezione (febbre, brividi
e/o ipotensione) e non apparenti fonti di infezione del torrente circolatorio (ad
eccezione del catetere venoso centrale).
Un’infezione viene associata a catetere venoso centrale se la linea è stata
utilizzata nelle 48 ore antecedenti lo sviluppo delle infezioni del torrente
circolatorio (Blood stream infection: BSI). Qualora l’intervallo di tempo tra
l’insorgere dell’infezione e l’uso del dispositivo sia superiore alle 48 ore, deve
essere presente una forte evidenza che l’infezione sia correlata alla linea
centrale. Una definizione più rigorosa potrebbero comprendere solo quelle BSI
per le quali, attraverso un esame attento delle informazioni del paziente, siano
state escluse altre fonti, e laddove una coltura della punta del catetere dimostri
una quantità sufficiente di colonie di un organismo identica a quella riscontrata
nel torrente circolatorio. La causa dell’infezione associata a CVC è
l’ingresso di microrganismi nel sistema di infusione con successiva
colonizzazione del catetere, moltiplicazione microbica e disseminazione nel
sangue con conseguente batteriemia. L’ingresso di microrganismi può avvenire
in un punto aperto della linea d’infusione e può essere favorito da una gestione
errata del sistema, da una scorretta preparazione e conservazione delle
soluzioni infuse e dal tipo di catetere. La presenza di flebite aumenta di 18 volte
il rischio d’insorgenza di batteriemie, così come l’utilizzo di attrezzatura
contaminata o l’infusione di soluzioni contaminate; un tempo di
permanenza eccessivo dei presidi endovenosi; cambio non asettico del catetere
endovenoso o della medicazione; contaminazione crociata da parte del
paziente che presenta altri focolai di infezione. Inoltre il paziente criticamente
malato o immunodepresso presenta un rischio particolare di batteriemia.
Prima di rimuovere il catetere tentare terapia antibiotica per via sistemica e
lock-therapy. In caso di trombo settico somministrare eparina a basso peso
molecolare in dose terapeutica.
Gestione infiermeristica del catetere venoso centrale infetto Medicazione del
Picc Materiale necessario: • clorexidina 0,5% o iodopovidone 10% • guanti non

134
Gestione degli accessi endovenosi

sterili • guanti sterili • garze sterili • telino sterile • statlock • medicazione


trasparente oppure di tipo assorbente Procedura di medicazione • Lavarsi le
mani con sapone antisettico o frizionare le mani con gel antisettico • Indossare
cappellino e mascherina • Aprire il telo sterile e appoggiarci sopra le garze
imbevute di disinfettante , lo statlock, e la medicazione. • Rimuovere la
medicazione con guanti non sterili e cambiarli con guanti sterili per eseguire la
nuova medicazione. • Osservare l’exite-site alla ricerca di segni di infezione o
flebite. • Posizionare la striscietta bianca contenuta nella confezione dello
statlock per evitare la dislocazione del catetere. • Sostituire adesivo antitrazione
• Aprire le alette di ancoraggio del dispositivo suturless • Impugnare la garza in
TNT imbevuta di soluzione fisiologica e detergere la cute sottostante il
dispositivo suturless. • Impugnare garza per detersione cute del suturless •
Attendere che la soluzione si asciughi spontaneamente • Impugnare dispositivo
suturless e, sollevando delicatamente il catetere , applicarlo sulla cute in modo
che i riferimenti di ancoraggio del dispositivo suturless siano in coincidenza
delle asole del catetere. • Inserire le asole del catetere incorrispondenza degli
ancoraggi del dispositivo suturless • Chiudere le ali di ancoraggio del dispositivo
suturless • Applicare medicazione.
E' molto importante quando si esegue la medicazione osservare il sito di
inserzione per verificare segni di infiammazione locali tramite score clinico (ad
ogni score si attribuisce un n°)
Grado di Score Descrizione Score Medicazione Score 0 Cute sana ,integra, non
segni di flogosi Medicazione standard ogni 7 gg Score 1 Iperemia minore a 1 cm
dal punto di uscita del cvc, presenza di fibrina. Medicazione standard ogni 7 gg
Score 2 Iperemia maggiore a 1 cm e minore a 2 cm al punto di uscita del cvc,
presenza di fibrina Eseguire tampone cutaneo Medicazione con betadine ogni 2-
3 gg Score 3 Iperemia, Secrezione ,Pus, Fibrina Tampone cutaneo Medicazioni
con Betadine ogni 2-3 gg Trattamento antibiotici immediato Se infezione
persiste rimuovere il CVC. Raccomandazioni per la gestione degli accessi
vascolari a inserzione periferica
Medicazione degli accessi 1. Decontaminazione delle mani prima della
manipolazione del device. 2. Sostituzione della medicazione - ogni sette giorni
se trasparente - Ogni due giorni se in garza - Ogni volta che è sporca, bagnata o
staccata 3. Disinfezione del sito con clorexidina al 2% a base alcolica, lasciare
asciugare per il tempo indicato da produttore (iodiopovidone in caso di allergia
alla clorexidina). 4. Ispezione del sito di emergenza del catetere a ogni cambio

135
Gestione degli accessi endovenosi

medicazione e palpazione quotidiana attraverso la medicazione. 5. Uso dei


dispositivi di fissaggio sutureless per ridurre il rischio di infezioni. 6. Uso di
medicazioni trasparenti semipermeabili sterili. 7. Uso di medicazione con garza
sterile in pazienzi con profusa sudorazione, su siti essudanti o sanguinanti,
subito dopo l’inserimento.
Gestione delle linee infusionali 1. Sostituzione dei niddle-free connectors ad
ogni sostituzione delle linee di infusione (non più frequentemente di 72 ore). 2.
Decontaminazione delle porte di accesso del catetere perima dell’uso con
clorexidina al 2% frizionando per 15 secondi e lasciando asciugare.

Lavaggio delle vie infusionali 1. Esecuzione di lavaggi pulsanti (alternanza


flusso laminare e turbolento) con siringhe da 10 ml, prima e dopo ogni utilizzo
della via. 2. Esecuzione di lavaggi con 20-30 ml di soluzione fisiologica dopo
infusione di sangue o emocomponenti.
3. In caso di ostruzione da coaguli, farmaci lipidi o mezzo di contrasto,
procedere con disostruzione idraulica o disostruzione farmacologica. 4. Non
utilizzare routinariamente soluzione di lock con sostanze antimicrobiche, ne
somministrarle a livello sistemico cme profilassi, allo scopo di prevenire la
colonizzazione o le infezioni da catetere venoso.

Sostituzione Picc e Midline 1. Non sostituire di routine Midline e Picc (su guida
solo se mal funzionanti, purchè non infetti). 2. Non rimuovere sulla base di sola
febbre, valutare la situazione clinica, soprattutto in presenza di altri focolai
infettivi. 3. Sostituire i Midline solo in caso di specifica indicazione clinica, mai
di routine, salvo diversa indicazione del produttore.
Prelievo attraverso Picc e Midline Per il prelievo da catetere PICC lavare con
10 ml di Fisiologica aspirare 5 ml di sangue che verranno eliminati, infine
collegare il sistema Vacutaneir ed effettuare il prelievo. Per il prelievo da
catetere Midline posso utilizzare il sistema Vacutainer effettuando i seguenti
passaggi: • Disinfettare Hub catetere strofinando per 15 secondi • Collegare il
rubinetto a tre vie all’ Hub del catetere • Collegare al rubinetto a tre vie la
siringa e la campana • Chiudere il rubinetto isolando la campana e aspirare
manualmente con la siringa da 5 ml che verranno eliminati. • Collegare una
nuova siringa • Aspirare manualmente con la siringa la quantità di sangue
necessaria • Isolare il catetere dal dispositivo di prelievo sottovuoto in sicurezza
e mettere in comunicazione la siringa e il dispositivo di prelievo • Inserire la

136
Gestione degli accessi endovenosi

provetta che aspirerà direttamente dalla siringa e non dal catetere. Questa tecnica
serve per non sottoporre il catetere a “pressione negativa” esercitata dalle
provette sottovuoto che lo potrebbe danneggiare.

Cenni di ecografia

Ultrasuoni: energia meccanica sonora a frequenze superiori a 20 kHz (massima


frequenza udibile). Vengono inviati all’interno del corpo umano mediante un
trasduttore piezoelettrico (sonda). Le informazioni si ottengono dalle interazioni
che avvengono fra l’energia e l’organo in esame. Velocità di propagazione
dell’onda: v = λ /T = f λ con: T = periodo, f = frequenza, λ = lunghezza d’onda.
Caratteristiche: • Non richiede l’uso di mezzi di contrasto • Non invasiva né
traumatica • Consente misure in profondità e stratigrafie • Fornisce misure del
flusso ematico L'ecografia è operatoredipendente, poiché vengono richieste
particolari doti di manualità e spirito di osservazione, oltre a cultura dell'
immagine ed esperienza clinica Sostanzialmente un ecografo è costituito da tre
parti: • una sonda che trasmette e riceve il segnale • un sistema elettronico che: –
Pilota il trasduttore – Genera l’impulso di trasmissione – Riceve l’eco di ritorno
alla sonda – Tratta il segnale ricevuto • un sistema di visualizzazione (in genere
un monitor, o un oscilloscopio) .

I tasti principali dell’ecografo υ patient υ distances υ freeze υ depth υ focus υ


color υ power υ m-mode patient o nuovo esame υ inizia un nuovo esame e
cancella tutte le informazioni del paziente precedente il tasto patient deve essere
premuto prima di iniziare con lo studio di ciascun paziente. Inserire i dati del
paziente con la tastiera alfanumerica. Depth, freeze, misurazioni la profondità
del campo di vista dipende dalla frequenza impiegata. Nei moderni apparecchi
ecografici è possibile ridurre il campo di vista e, contemporaneamente,
ingrandire l’immagine nel campo vicino o di aree profonde selezionate.

Un comando sempre presente negli apparecchi ecografici è il freeze fermo-


immagine. υ Blocca la successione di frame dell’esame, in tempo reale, nel
momento in cui, a giudizio dell’operatore, si sta visualizzando meglio un certa

137
Gestione degli accessi endovenosi

struttura od organo υ Di solito agendo sulla trackball è possibile selezionare


l’immagine migliore da freezare con la possibilità di scegliere tra gli ultimi
frames memorizzati, quello migliore (cine-scroll) Sull’immagine “congelata” è
possibile eseguire una serie di misurazioni, inserire delle note scritte, delle
frecce o dei simboli, ecc. GAIN Aumentando il guadagno aumenterà l’intensità
degli echi prodotti e, quindi, l’ecogenicità delle strutture esaminate Aumentando
l’intensità aumenta l’energia degli ultrasuoni e, quindi, le eventuali
modificazioni nei tessuti, indotte dagli ultrasuoni. E’ possibile regolare il
guadagno di tutta la superfice scansionata e solo su alcuni settori.

Focus Le linee di scansione del fascio di ultrasuoni tendono ad allargarsi poco


dopo essere fuoriusciti dalla sonda. Essi restano paralleli fra loro solo per un
breve tratto: il fascio resta coerente (cioè, con diametro pari a quello del
cristallo) fino ad una distanza che è proporzionale al diametro del cristallo. Il
punto di passaggio tra le due zone rappresenta la zona focale del fascio
ultrasonoro. Le sonde elettroniche attuali consentono di ottenere più di un punto
di focalizzazione a profondità variabili Modalita’ di acquisizione immagini B
(brightness = luminosità) MODE υ gli echi vengono rappresentati in sequenza
lungo una linea a seconda della loro distanza dalla sorgente (determinata sulla
base del ritardo con cui ritornano alla sonda) la loro intensità viene presentata in
scala di grigi: il bianco corrisponde al massimo dell’intensità mentre il nero
all’assenza di echi; le sfumature intermedie rappresentano i vari livelli di
intensità. . Nel B-mode RT, la singola linea di scansione è affiancata a molte
altre così da formare un “pennello” o un “ventaglio” che fornirà, quindi,
immagini bidimensionali di sezioni di un organo o di un tessuto υ Gli echi dei
singoli fasci ultrasonori arrivano ai cristalli della sonda, con una sequenza
opportunamente temporizzata, continuamente processati ed elaborati, così da
fornire “frame” che, se in numero adeguato (almeno 15 per secondo), daranno
una sensazione di “fluidità” alle immagini visualizzate sul monitor. Negli attuali
apparecchi ecografici il segnale analogico degli echi viene convertito in segnale
digitale prima di formare l’immagine

Tasto colordoppler color flow il flusso sanguigno viene visualizzato come una
mappa di colore sovrapposta all’immagine in bmode il colore è codificato, di
solito, in maniera tale che il rosso è assegnato al flusso diretto verso la sonda,
mentre l’azzurro è assegnato a quello che se ne allontana. Questa modalità non è

138
Gestione degli accessi endovenosi

in grado di dare informazioni quantitative ma solo qualitative sul flusso: un


rosso molto intenso o un blu molto intenso significheranno flussi molto veloci in
avvicinamento o in allontanamento; la presenza di un mosaico di colori in un
vaso, testimonieranno un flusso di tipo turbolento. Sonde • lineari • convex •
endocavitarie • sonde settoriali sonda convex formato dell’immagine a tronco di
cono nel caso di un trasduttore convex i cristalli vengono eccitati esattamente
come nel trasduttore lineare, ma il campo di vista sarà a tronco di cono, dato che
i cristalli (128-512) sono posizionati su una superficie curva. La frequenza di
emissione varia, in genere, da 2 a 7 mhz per la valutazione di strutture in
profondità ( addome pediatrico, vasi profondi addominali, testicoli, tiroide)
sonda lineare formato dell’immagine rettangolare gruppi di elementi (da 5 o 6)
facenti parte di una cortina di cristalli (128-512) posti in maniera contigua,
vengono eccitati in successione in maniera da formare una scansione lineare su
un campo rettangolare. La frequenza di emissione varia, in genere, da 7 a 12
mhz. Scarsa penetrazione e studio di strutture superficiali. (tiroide, paratiroidi,
tessuti superficiali, vasi superficiali , legamenti, articolazioni, corpi estranei nei
tessuti molli) sonde endocavitarie sonde endocavitarie: possono biplanari e
multiplanari, consentendo di ottenere con la stessa sonda scansioni in più piani
diversi o “end fire” con disposizione dei cristalli settoriale o convex all’apice
della sonda (sonde ginecologiche e tranrettali) sonde settoriali sonde settoriale
fasate (phased array): comunemente più piccole delle lineari e delle
microconvex, sono costituite da microcristalli multipli affiancati che vengono
attivati con piccolissimi ritardi l’uno dall’altro generando un fascio che può
essere inclinato in varie direzioni (addome superiore • addome inferiore • aorta,
vasi profondi, vasi portali, retroperitoneo) struttura anecogena (liquida ) assoluta
mancanza di riflessione di echi struttura ipoecogena (solida) riflette echi di
intensità minore rispetto al parenchima di riferimento struttura isoecogena (
solida) riflette echi di intensità uguale a quelli del parenchima di riferimento
struttura iperecogena solida riflette echi di intensità maggiore rispetto al
parenchima.

139
Gestione degli accessi endovenosi

Disposizioni legislative

In questa sezione sono riportate le disposizioni legislative di maggiore interesse


per la professione infermieristica.

Il decreto 739/94 sulla determinazione del profilo professionale dell’infermiere


rappresenta una pietra miliare nel processo di professionalizzazione dell’attività
infermieristica. Esso riconosce l’infermiere responsabile dell’assistenza generale
infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la
metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti
professionali di approfondimento culturale e operativo, le cinque aree della
formazione specialistica (sanità pubblica, area pediatrica, salute
mentale/psichiatria, geriatria, area critica).
Il profilo disegnato dal decreto è quello di un professionista intellettuale,
competente, autonomo e responsabile.
Analoga definizione dei campi di attività e delle competenze viene stabilita
anche per l’infermiere pediatrico (Dm 70/97) e per altri venti profili
professionali, tra cui figurano quello dell’assistente sanitario (Dm 69/97),
dell’ostetrica, del terapista della riabilitazione, del tecnico di laboratorio ecc.

Profilo professionale dell'infermiere


D.M. 14 settembre 1994, n. 739
Art. 1

1 - E' individuata la figura professionale dell'infermiere con il seguente profilo:


L'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario
abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza
generale infermieristica.

2 - l'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di


natura tecnica, relazionale, educativa.
Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati
e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria.

140
Gestione degli accessi endovenosi

3 - l'infermiere:
A) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della
collettività;
B) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della
collettività e formula i relativi obiettivi;
C) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;
D) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico -
terapeutiche;
E) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari
e sociali;
F) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del
personale di supporto;
G) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private,
nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero -
professionale.

4 - l'infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre


direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla
ricerca.

5 - La formazione infermieristica post - base per la pratica specialistica è intesa a


fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate
e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni
infermieristiche nelle seguenti aree:
A) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;
B) pediatria: infermiere pediatrico;
C) salute mentale - psichiatria: infermiere psichiatrico;
D) geriatria: infermiere geriatrico;
E) area critica: infermiere di area critica.

6) In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale,


potranno essere individuate, con decreto del Ministero della sanità, ulteriori aree
richiedenti una formazione complementare specifica.

141
Gestione degli accessi endovenosi

7) Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si
conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce
titolo preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree,
dopo il superamento di apposite prove valutative.
La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di
obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di
fatto.

Art. 2

1 - Il diploma universitario di infermiere, conseguito ai sensi dell' art. 6, comma


3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni,
abilita all'esercizio della professione, previa iscrizione al relativo albo
professionale.

Art. 3

1 - Con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro


dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi
e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono
equipollenti al diploma universitario di cui all'art. 2 ai fini dell'esercizio della
relativa attività professionale e dell'accesso ai pubblici uffici.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta
Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.
E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

142
Gestione degli accessi endovenosi

Legge 26 febbraio 1999, n. 42


Disposizioni in materia di professioni sanitarie
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 1999

Art. 1.
(Definizione delle professioni sanitarie)

1. La denominazione "professione sanitaria ausiliaria" nel testo unico delle leggi


sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive
modificazioni, nonchè in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla
denominazione "professione sanitaria".
2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo
1974, n. 225, ad eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il decreto del
Presidente della Repubblica 7 marzo 1975, n. 163, e l'articolo 24 del
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo
1968, n. 680, e successive modificazioni. Il campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie di cui all'articolo 6, comma 3, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e
integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei
relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione postbase nonchè degli specifici codici
deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per
le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche
competenze professionali.

Art. 2.
(Attività della Commissione centrale per gli eserce nti le professioni sanitarie)

1. Alla corresponsione delle indennità di missione e al rimborso delle spese


sostenute dai membri della Commissione centrale per gli esercenti le professioni
sanitarie designati dai Comitati centrali delle Federazioni nazionali degli ordini e
dei collegi ai sensi dell'articolo 17, terzo comma, del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, provvedono
direttamente le Federazioni predette.

143
Gestione degli accessi endovenosi

Art. 3.
(Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 175)

1. Alla legge 5 febbraio 1992, n. 175, sono apportate le seguenti modificazioni:


A)

All'articolo 1, comma 1, dopo le parole: "sugli elenchi telefonici" sono aggiunte


le seguenti: ", sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali e periodici
destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie"; b)

All'articolo 2, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente: " 3bis. Le autorizzazioni


di cui al comma 1 sono rinnovate solo qualora siano apportate modifiche al testo
originario della pubblicità";
C)

All'articolo 3, comma 1, le parole: "sono sospesi dall'esercizio della professione


sanitaria per un periodo da due a sei mesi" sono sostituite dalle seguenti: "sono
assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della sospensione
dall'esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell'articolo 40 del regolamento
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221"; d)

All'articolo 4, comma 1, dopo le parole: "sugli elenchi telefonici" sono inserite


le seguenti: "e sugli elenchi generali di categoria"; e)

All'articolo 5, comma 4, le parole: "sono sospesi dall'esercizio della professione


sanitaria per un periodo da due a sei mesi" sono sostituite dalle seguenti: "sono
assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della sospensione
Dall'esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell'articolo 40 del
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile
1950, n. 221"; f)

All'articolo 5, dopo il comma 5, sono aggiunti i seguenti: " 5bis. Le inserzioni


autorizzate dalla regione per la pubblicità sugli elenchi telefonici possono essere
utilizzate per la pubblicità sugli elenchi generali di categoria e, viceversa, le
inserzioni autorizzate dalla regione per la pubblicità sugli elenchi generali di
categoria possono essere utilizzate per la pubblicità sugli elenchi telefonici.

144
Gestione degli accessi endovenosi

Ter. Le autorizzazioni di cui al comma 1 sono rinnovate solo qualora siano


apportate modifiche al testo originario della pubblicità"; g)

Dopo l'articolo 9 è inserito il seguente: "Art. 9bis - 1. Gli esercenti le professioni


sanitarie di cui all'articolo 1 nonchè le strutture sanitarie di cui all'articolo 4
possono effettuare la pubblicità nelle forme consentite dalla presente legge e nel
limite di spesa del 5 per cento del reddito dichiarato per l'anno precedente".

Art. 4.
(Diplomi conseguiti in base alla normativa anterior e a quella di attuazione
dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni)

1. Fermo restando quanto previsto dal decreto-legge 13 settembre 1996, n. 475,


convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1996, n. 573, per le
professioni di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell'esercizio
professionale e dell'accesso alla formazione postbase, i diplomi e gli attestati
conseguiti in base alla precedente normativa, che abbiano permesso l'iscrizione
ai relativi albi professionali o l'attività professionale in regime di lavoro
dipendente o autonomo o che siano previsti dalla normativa concorsuale del
personale del Servizio sanitario nazionale o degli altri comparti del settore
pubblico, sono equipollenti ai diplomi universitari di cui al citato articolo 6,
comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni ed
integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione
postbase.
2. Con decreto del Ministro della sanità, d'intesa con il Ministro dell'università e
della ricerca scientifica e tecnologica, sono stabiliti, con riferimento alla
iscrizione nei ruoli nominativi regionali di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, allo stato giuridico dei dipendenti degli
altri comparti del settore pubblico e privato e alla qualità e durata dei corsi e, se
del caso, al possesso di una pluriennale esperienza professionale, i criteri e le
modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, di cui
all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive
modificazioni e integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso
alla formazione postbase, ulteriori titoli conseguiti conformemente

145
Gestione degli accessi endovenosi

all'ordinamento in vigore anteriormente all'emanazione dei decreti di


individuazione dei profili professionali. I criteri e le modalità definiti dal decreto
di cui al presente comma possono prevedere anche la partecipazione ad appositi
corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame finale. Le
disposizioni previste dal presente comma non comportano nuovi o maggiori
oneri a carico del bilancio dello Stato nè degli enti di cui agli articoli 25 e 27
della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
3. Il decreto di cui al comma 2 è emanato, previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge.
4. In fase di prima applicazione, il decreto di cui al comma 2 stabilisce i requisiti
per la valutazione dei titoli di formazione conseguiti presso enti pubblici o
privati, italiani o stranieri, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla
formazione postbase per i profili professionali di nuova istituzione ai sensi
dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni e integrazioni.

146
Gestione degli accessi endovenosi

Il Codice deontologico dell'infermiere


Approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n.1/09 del
10 gennaio 2009
E dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17
gennaio 2009

CAPO I

Articolo 1
L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza
infermieristica.

Articolo 2
L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla
collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari
di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.

Articolo 3
La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel
prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e
della dignità dell'individuo.

Articolo 4
L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo
conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni
sociali della persona.

Articolo 5
Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione
è condizione essenziale per l'esercizio della professione infermieristica.

Articolo 6
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e
interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione,
cura, riabilitazione e palliazione.

147
Gestione degli accessi endovenosi

CAPO II

Articolo 7
L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse
sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in
particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.

Articolo 8
L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si
impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e
persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della
professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi
garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

Articolo 9
L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al
fine di non nuocere.

Articolo 10
L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso
l'uso ottimale delle risorse disponibili.

CAPO III

Articolo 11
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e
competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica
sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione.
Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.

Articolo 12
L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e
assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.

148
Gestione degli accessi endovenosi

Articolo 13
L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e
ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di infermieri esperti o
specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a
disposizione della comunità professionale.

Articolo 14
L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione
interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni
dell’assistito.

Articolo 15
L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali
non ha esperienza.

Articolo 16
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività
quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di
contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.

Articolo 17
L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da
pressioni o interessi di assistiti, familiari, altri operatori, imprese, associazioni,
organismi.

Articolo 18
L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per
garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione
dell'autorità competente.

CAPO IV

Articolo 19

149
Gestione degli accessi endovenosi

L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura
della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e
l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.

Articolo 20
L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni
assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e
facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.

Articolo 21
L'infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i
rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel
piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni
assistenziali ad essa correlati.

Articolo 22
L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che
questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.

Articolo 23
L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e
si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi
bisogni di vita.

Articolo 24
L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di
natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando
la comunicazione alla sua capacità di comprendere.

Articolo 25
L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non
essere informato sul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia
di pericolo per sé o per gli altri.

Articolo 26

150
Gestione degli accessi endovenosi

L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi


all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò
che è attinente all’assistenza.

Articolo 27
L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla
realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione
degli strumenti informativi.

Articolo 28
L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma
per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con
l'assistito.

Articolo 29
L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza
dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore.
Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.

Articolo 30
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento
straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni
assistenziali.

Articolo 31
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del
minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali,
tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.

Articolo 32
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in
condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il
contesto non siano adeguati ai loro bisogni.

Articolo 33

151
Gestione degli accessi endovenosi

L'infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in


opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario,
all'autorità competente.

Articolo 34
L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la
sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.

Articolo 35
L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al
termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del
conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.

Articolo 36
L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che
non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione
da lui espressa della qualità di vita.

Articolo 37
L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà,
tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.

Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la
morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito.

Articolo 39
L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in
particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita
e della elaborazione del lutto.

Articolo 40
L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue,
tessuti ed organi quale atto di solidarietà e sostiene le persone coinvolte nel
donare e nel ricevere.

152
Gestione degli accessi endovenosi

CAPO V

Articolo 41
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e
valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.

Articolo 42
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti
ispirati al rispetto e alla solidarietà.

Articolo 43
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o
comportamento dei colleghi contrario alla deontologia.

Articolo 44
L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il
prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale.

Articolo 45
L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.

Articolo 46
L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel
rispetto delle indicazioni del Collegio professionale.

CAPO VI

Articolo 47
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le
politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei
diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la
valorizzazione del ruolo professionale.

153
Gestione degli accessi endovenosi

Articolo 48
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi
provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in
cui opera o a cui afferisce il proprio assistito.

Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i
disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera.
Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o
ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato
professionale.

Articolo 50
L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio
professionale le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della
professione infermieristica.

Articolo 51
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui
sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure
e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.

Disposizioni finali

Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro


inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.

I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e


della competenza da loro acquisita e sviluppata.

154
Gestione degli accessi endovenosi

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