Gestione degli
accessi
endovenosi
Indice Generale
Introduzione
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Gestione degli accessi endovenosi
Bibliografia 155
Bibliografia immagini 186
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Gestione degli accessi endovenosi
Introduzione
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Gestione degli accessi endovenosi
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La lunghezza del catetere (un tubicino lungo e sottile, rigido o flessibile e di vari
materiali), viene espressa in centimetri.
Le dimensioni del diametro del catetere sono espresse in French o in Gauge. Il
French esprime il diametro esterno del dispositivo (1 French = 0,33 mm) mentre
il Gauge (G) il diametro interno del lume.
Nei cateteri a più lumi, che permettono di infondere farmaci e/o soluzioni tra
loro non compatibili, il Gauge e il French si riferiscono alla dimensione interna e
esterna di ogni singolo lume.
Nell’adulto si utilizzano cateteri venosi centrali il cui diametro va da 6 a 9 F,
mentre nei bambini il diametro più utilizzato è compreso tra 2,7 e 5,5 F.
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Gestione degli accessi endovenosi
Il catetere venoso centrale va inserito, oltre che nei casi di emergenze che
richiedono un accesso rapido e sicuro, anche quando si vuole somministare
farmaci irritanti o vescicanti, acidi o basici, ipo o iperosmolari o infondere
terapie nutrizionali; si preferisce inserire un cvc nel caso in cui si verifichi
l'impossibilità di accedere a una vena periferica per depauperamento del
patrimonio venoso, la necessità di infusioni per periodi di tempo prolungati per
terapie continue o discontinue, sia che esse siano svolte in ambiente ospedaliero
che in quello extra ospedaliero.
L’inserimento di un catetere venoso centrale, tunnellizzato (tipo PAC) o non
tunnellizzato (tipo Hohn®), va eseguito da un medico formato, in un ambiente
dedicato come in un ambulatorio, con il materiale necessario e un’équipe
debitamente formata.
La decisione sul tipo di sistema da impiantare è un processo decisionale in cui
scelte e valutazioni dei sanitari, medici e infermieri, devono essere condivise
con il paziente se cosciente e/o i suoi familiari, tenendo conto della reale
oggettività.
Il PICC é l'unico tipo di catetere venoso centrale che può essere inserito da
infermieri formati, al letto del malato, sia in ospedale che a domicilio, in
entrambi i casi è necessario il consenso scritto del paziente per poter eseguire la
manovra. I cateteri tipo PICC sono inseriti in una delle vene dell’avambraccio
come la brachiale, la basilica o la cefalica a differenza dei cateteri venosi
centrali tipo Hohn®, PAC, Groshong® che sono invece inseriti in una vena di
grosso calibro come la giugulare interna o la succlavia.
Per ridurre il rischio di complicanze infettive e non si raccomanda di procedere
sempre con tecnica asettica e sotto controllo ecografico.
Dopo il posizionamento del catetere va eseguita una radiografia del torace in 2
proiezioni per verificare il corretto decorso del catetere e che la punta si trovi nel
terzo inferiore della vena cava superiore.
La tecnica raccomandata per il posizionamento del catetere venoso centrale è la
venipuntura percutanea ecoguidata, ovvero con l’utilizzo di un ecografo con
sonda ad alta frequenza (87,5-9 Mhz).
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vena succlavia
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vena femorale
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Complicanze immediate
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aritmie, per stimolazione del filo guida sul nodo del seno, tale
complicanza si può verificare con qualsiasi catetere venoso centrale
causando alterazioni del ritmo, cianosi, dispnea in tal caso informare il
medico, fare il monitoraggio cardiaco; é una complicanza frequente ma
quasi sempre benigna e spesso non rilevata, riconducibile all’inserimento
del catetere.
Complicanze precoci
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Complicanze tardive
pinch off, pizzicamento del tratto di catetere che passa tra la clavicola e la
prima costa quando è posizionato per via succlavia;
kinking, inginocchiamento di un tratto del catetere;
rottura del catetere stesso;
ribaltamento della camera del PAC, rottura della linea infusionale o del
PAC rottura dovuta a manovre scorrette o a flussi a elevata pressione
danno da chiusura interrompere ogni infusione chiudere il catetere a
monte della rottura proteggere l’area con medicazione sterile e riparare la
linea è una complicanza rara, si verifica se si forza l’infusione con il
catetere chiuso;
dislocazione della punta;
occlusione o spostamento del catetere è possibile fare infusioni ma non
prelievi, controllare quindi con una radiografia il catetere provare a
cambiare di posizione il paziente informare il medico, se il problema si
presenta in 2 occasioni
spostamento totale o parziale del catetere fuoriuscita di un tratto del
catetere, con cuffia visibile fuoriuscita totale del catetere dalla sede
interrompere la terapia infusiva non utilizzare la linea prima della
conferma radiologica informare il medico: se il catetere è parzialmente in
situ lasciarlo fino ad altra prescrizione;
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formante un manicotto che avvolge il catetere venoso centrale nel suo percorso
endovenoso, può occludere il catetere. Una delle complicanze più temibili è
l’infezione che può rendere necessaria la rimozione del catetere per evitare una
setticemia.
Complicanze infettive
Le infezioni sono un problema che non si riduce per diversi motivi come la
scarsa compliance del personale sanitario nel lavaggio delle mani, la presenza di
malati critici (terapia intensiva, in terapia con alte dosi chemioterapici),
l’utilizzo scorretto del catetere venoso centrale e delle linee infusionali e lo
scarso controllo da parte degli operatori sanitari.
Per prevenire le infezioni vanno adottate le precauzioni universali e alcune
precauzioni specifiche come:
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Occlusioni trombotiche
Se si sospetta che l’occlusione sia causata da un trombo bisogna informare il
medico che valuterà se somministrare agenti trombolitici specifici. La
somministrazione deve avvenire con tecnica asettica, osservando le precauzioni
standard e dopo la prescrizione di un medico. La somministrazione di agenti
trombolitici non deve superare la capacità del catetere. Naturalmente, chi esegue
queste manovre deve conoscere dosaggi, controindicazioni, effetti collaterali e
metodi di somministrazione. L’instillazione, l’aspirazione e il lavaggio
dell’accesso vascolare devono essere fatti usando un metodo che rispetti le
indicazioni del produttore sulla pressione massima sostenuta dal presidio. Per
esempio è sconsigliato l’uso di siringhe di calibro inferiore a 10 ml perchè
possono provocare la rottura del catetere per l’elevata pressione.
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Port-a-cath
- vantaggi
ottimo risultato estetico e cosmetico (pazienti con vita sociale attiva), comodita’
di gestione, minima interferenza con attivita’ quotidiana, possibili attivita’ quali
il nuoto e lo sport, preservazione immagine corporea-
- svantaggi
buona esperienza dello staff, puntura sgradita, dolorosa, necessita aghi dedicati
(non coring), rischio di puntura accidentale degli operatori, stravasi per
dislocazione ago dal port, danni cutanei cronici a livello dell’inserzione dell'ago,
basso flusso, inadatti per utilizzo frequente >1volta/settimana (es per npt).
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Tempo di
Generi di CVC Punta Tipi di CVC permanenza
massimo
Punta aperta Tesio, Broviac, Mesi- anni
TUNNELLIZZATI Hickman
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L’uso di questi cateteri non è raccomandato nei neonati sotto i due mesi.
Tutti i cateteri venosi centrali devono essere lavati ogni volta che vengono
utilizzati e rispettando i tempi di lavaggio indicati se il catetere non viene
utilizzato tutti i giorni.
Il catetere PICC
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Risorse Umane
• Un infermiere impiantatore che deve aver ricevuto specifica formazione
nell’inserzione del PICC;
Risorse Materiali
• telini in numero sufficiente per allestire il campo sterile per il materiale e
l’impianto;
• guanti e camice sterili;
• guanti non sterili;
• mascherina e copricapo;
• garze non sterili;
• garze sterili;
• disinfettante iodato o Clorexidina 2% in soluzione alcoolica;
• 4 fl da 10 ml di Soluzione Fisiologica;
• 4 siringhe da 10 ml;
• 1 siringa da 2,5 ml e una da 1 ml con ago da insulina;
• carbocaina 2%;
• laccio emostatico;
• tappino needle-less;
• sistema suture-less
• 1 medicazione assorbente;
• benda autoadesiva tipo Peha haft;
• contenitore per taglienti;
• contenitore per rifiuti speciali e urbani;
• telino salvaletto monouso;
• Monitor elettrocardiografico
• ecografo;
• metro da sarto;
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Operatività:
Verificare che il sistema scelto sia effettivamente il dispositivo adatto alla
terapia endovenosa prevista per quel paziente; Spiegare dettagliatamente al
paziente la procedura; Raccogliere il consenso verbale e scritto del paziente alla
procedura e verificare eventuale presenza di pace-maker o defibrillatori
impiantabili (il PICC in tal caso verrà posizionato nell’arto contro laterale) e che
non siano presenti allergie conosciute; Valutazione ecografica delle vene delle
braccia prima senza e poi con l'applicazione del laccio emostatico; Valutare le
vene teoricamente agibili,identificare il punto di inserzione con penna
dermografica e rimuovere il laccio emostatico; Rilevare la lunghezza del
catetere da introdurre (distanza da punto di inserzione a emiclaveare + distanza
da emiclaverare a 3° spazio intercostale dx); Effettuare il lavaggio sociale delle
mani; Posizionare il paziente in posizione supina, con braccio a 90 gradi, palmo
della mano in alto; Eseguire tricotomia, se necessaria;
Posizionare il telino salvaletto monouso sotto il braccio del paziente; Indossare
mascherina e copricapo; Eseguire lavaggio antisettico delle mani; Indossare il
camice e i guanti sterili; Preparare il campo sterile aprendo il telino non adesivo
sul piano di lavoro; Disporre sul campo sterile il materiale necessario: 3 teli
sterili, 4 fiale di soluzione fisiologica, 4 siringhe 10 ml, 1 siringa da 2.5 ml e una
da 1 ml con ago da insulina, garze sterili, tappino needleless, una medicazione
sterile, carbocaina 2%, sistema sutureless, copri sonda sterile, 1 spugnetta
disinfettante, kit PICC preconfezionato.
Aspirare le 4 fiale di sol fisiologica nelle siringhe da 10 ml Il secondo operatore
applica il laccio emostatico; Disinfettare la zona eligibile con disinfettante
appropriato almeno 10 cm sopra e 10 cm sotto il punto di inserzione; Rispettare
il tempo d’azione del disinfettante; Posizionare 1 telino sterile senza adesivo
sotto il braccio destinato all’impianto ed applicare 2 teli adesivi sul braccio
lasciando in evidenza il sito di inserzione oppure utilizzare apposito telo
contenuto nella confezione; Controllare dilatatore e peel-away e lavarli con
fisiologica, estrarre guida metallica.
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Da alcuni anni sono stati messi sul mercato una nuova tipologia di PICC detti
Power PICCs, contraddistinti da un’elevata resistenza alle alte pressioni in
infusione come quelle generate dalle pompe per mezzo di contrasto durante una
TC.
Caratteristiche dei Power PICC’s:
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Poliuretano ultra-resistente
Connessioni ultra-resistenti
Resistenza ad alte pressioni = possibilità di alti flussi
Pressione: fino a 300-350 PSI
Flusso: fino a 5 ml/sec (300 ml/min) con pompa appropriata
Possono essere utilizzati per misurare la pressione venosa centrale
se cateteri di poliuretano, a punta aperta
Lumi multipli: Bilume (5 Fr) o trilume (6 Fr)
Riparazione di un picc
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I PICC power injectable possono essere utilizzati con successo nei reparti di
Terapia Intensiva e Sub-Intensiva che richiedono terapie infusionali ad alti flussi
e/o multiple vie di infusione (fino a 3 lumi) e/o monitoraggio della pressione
venosa centrale.
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Materiale necessario
• CLOREXIDINA 0,5% O IODOPOVIDONE 10%
• GUANTI NON STERILI
• GUANTI STERILI
• GARZE STERILI
• TELINO STERILE
• STATLOCK
• MEDICAZIONE TRASPARENTE OPPURE DI TIPO ASSORBENTE
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Harrow®
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Epicutaneo-cava
Permanenza maggiorata;
Accesso stabile e sicuro (elevato grado di libertà di movimento del
neonato);
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Limiti:
Posizionamento in asepsi
Per la scelta del catetere, gli operatori sanitari, medici e infermieri, devono
prendere in considerazione le condizioni del paziente valutando, quindi, il
contesto sociale in cui vive e lavora, il tipo di patologia, la propria manualità e
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se è un bambino;
se è sottoposto a chemioterapia attiva o a terapia nutrizionale;
se è giovane con una vita di relazione e lavorativa attiva;
se è in condizioni critiche;
si deve fare un’attenta valutazione del malato, della patologia e del
momento;
se il catetere viene usato in modo continuo o discontinuo.
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In linea generale è bene limitare i prelievi di sangue dal catetere venoso centrale
ed eseguirli da una vena periferica anche se spesso in oncologia e in pediatria i
cateteri venosi centrali sono utilizzati di routine per i prelievi ematici.
Se il lavaggio non viene eseguito correttamente, all’interno del lume o nei
raccordi, i residui laciati dal passaggio di sangue nel catetere potrebbero non
essere rimossi, favorendo la formazione di microcoaguli che potrebbero
diventare veri e propri trombi adesi alla parete del catetere fino a causarne
l’occlusione.
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Tale situazione può favorire l’insorgenza di un’infezione dato che gli aggregati
di fibrina sono un terreno idoneo allo sviluppo di germi patogeni, é per tali
motivi che i prelievi ematici vanno eseguiti in maniera corretta.
I prelievi per i controlli della coagulazione vanno sempre eseguiti da una vena
periferica, in particolare nei malati in terapia con anticoagulanti orali (TAO) o
con infusione continua di eparina o nei soggetti con accertata/sospetta
alterazione della cascata coagulativa.
E’ possibile effettuare un prelievo di sangue dal catetere venoso centrale nelle
situazioni di emergenza, perché il prelievo dal catetere centrale consente un
accesso rapido e sicuro a una vena di grosso calibro, scarso patrimonio venoso
del malato e nei pazienti pediatrici, per evitare il trauma della puntura della
vena.
Si devono evitare i prelievi per il dosaggio della glicemia quando attraverso il
catetere venoso centrale si somministrano soluzioni glucosate e sacche di
nutrizione parenterale.
Se il catetere venoso centrale ha un lume piccolo è buona norma evitare il
prelievo dal catetere per evitare il rischio di emolisi e rendere così il risultato del
prelievo non attendibile.
Prima di effettuare un prelievo ematico da catetere venoso centrale è sempre
necessario lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale
quali guanti e occhiali.
Nel caso in cui il catetere centrale ha più lumi, per effettuare il prelievo, si deve
usare il lume con il calibro maggiore (solitamente è la via prossimale) per
evitare l’emolisi e, naturalmente, é possibile effettuare il prelievo solo dopo aver
sospeso l’infusione.
Non è raccomandato lavare il catetere prima del prelievo in quanto, utilizzando
siringhe di calibro non inferiore a 10 ml, si devono scartare 5 ml di sangue
(prelievo di spurgo) prima di riempire le provette, perché potrebbe contenere
parte delle soluzioni infuse (viene considerato contaminato).
Nei cateteri con punta valvolata il prelievo ematico va eseguito evitando di
innestare direttamente il sistema vacutainer al catetere, per evitare possibili
rotture della punta valvolata del catetere venoso centrale.
E’ quindi necessario collegare al catetere un raccordo a due vie (rubinetto) a cui
si collega una siringa da 10 ml e la provetta da riempire: ruotando la leva del
raccordo si esclude la via collegata alla provetta riempendo così la siringa.
Ruotando nuovamente la leva del raccordo si esclude la via collegata con il
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L’operatore deve lavarsi le mani con saponi o gel antisettici prima e dopo la
manipolazione delle linee infusive. Solo dopo aver disinfettato l’estremità del
catetere con clorexidina al 2% in soluzione alcolica o con iodopovidone o con
alcol si potrà provvedere alla sostituzione delle linee infusive.
Utilizzare preferibilmente un catetere venoso centrale con il minor numero di
porte o lumi.
Per evitare la fuoriuscita accidentale del catetere può essere utile ancorare le vie
del sistema infusivo alla cute del malato con un cerotto anallergico.
Non usare pomate o creme antibiotiche nei siti di inserimento (a eccezione dei
cateteri di dialisi) perché potrebbero favorire infezioni fungine e resistenze agli
antibiotici.
I set per l’infusione (deflussori e rubinetti) vanno cambiati ogni 72 ore, se usati
per la somministrazione di una soluzione contenente destrosio e aminoacidi, a
meno che non si sospetti o sia documentata un’infezione.
Le linee usate per somministrare sangue, prodotti del sangue o emulsioni di
lipidi vanno cambiate entro 24 ore dall’inizio dell’infusione, usando comunque
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La scelta del catetere venoso periferico e della vena più appropriata dipende
anche dalle caratteristiche delle soluzioni o dei farmaci da somministrare.
L’osmolarità e il pH sono i principali fattori intrinseci di soluzioni e farmaci in
grado di provocare alcune complicanze locali (principalmente la flebite) se non
vengono rispettate le indicazioni relative ai tempi e alle modalità di infusione.
Per ridurre questo rischio occorre somministrare soluzioni con un pH prossimo a
quello del sangue (pH 7,35-7,45) e un’osmolarità inferiore ai 600 mOsm/l.
L’osmolarità esprime la concentrazione di una soluzione, ossia il numero di
particelle in essa disciolte indipendentemente dalla carica elettrica e dalle
dimensioni. L’osmolarità è espressa in osmoli per litro (osmol/l o OsM) oppure,
quando la soluzione è particolarmente diluita, in milliosmoli per litro (mOsM/l).
Il suo valore esprime la concentrazione della soluzione, ma non dice nulla sulla
natura delle particelle in essa contenute. Di riflesso, due soluzioni con uguale
osmolarità avranno lo stesso contenuto numerico di particelle e le medesime
proprietà colligative (stessa tensione di vapore, stessa pressione osmotica e
stessa temperatura di congelamento ed ebollizione).
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Soluzioni isotoniche
Soluzioni ipotoniche
soluzione fisiologica NaCl 0,45% 4,5-7,0 ipotonica 155 mOsm/l usata per
il trattamento della disidratazione ipertonica;
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Soluzioni ipertoniche
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Ph
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• Ago cannula:
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elevata biocompatibilità
elevata flessibilità (facile adattamento
del catetere alla vena)
facilità nella penetrazione dell’ago
elasticità (rapido ritorno del catetere
alla sua forma originale in caso di movimenti
involontari del paziente che provocano una
piegatura dello stesso
minor trombogenicità (superficie liscia
che diminuisce il rischio di trombosi e flebiti)
termoplastico
minore colonizzazione microbica
riduzione del rischio di infiltrazione
3-4 giorni
(72-96 ore)
teflon
(politetrafluoroetilene)
elevata biocompatibilità
riduce gli incidenti di trombogenicità
alta resistenza a contorsioni
non termoplastico
rigido con scarso ritorno dal piegamento
maggiore colonizzazione microbica
maggior trombogenicità
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Il dispositivo integrato più utilizzato per i pazienti con vene difficili, che
consente un aumento dei tempi medi di permanenza, in accordo con le linee
guida CDC, è caratterizzato dalla ridotta lunghezza della cannula in
poliuretano e da grandi alette flessibili che facilitano l’incannulamento venoso,
in particolare nell’anziano o nel bambino e in tutte le situazioni in cui l’accesso
venoso risulti difficile o poco accessibile, e favoriscono anche il fissaggio alla
cute. La combinazione del materiale Vialon, alette grandi e morbide e la
prolunga integrata aiuta a migliorare la stabilizzazione del catetere nel vaso,
riducendo al minimo le complicanze ad esso associate ed accrescendo i tempi
medi di permanenza.
Questo catetere è dotato di dispositivo telescopico che si attiva durante la
rimozione del mandrino, incamerandolo ed evitando il rischio di puntura
accidentale. La prolunga che termina con un raccordo ad Y permette sia il
prelievo sia l’infusione. Il gommino di chiusura del sistema evita il contatto
muco-cutaneo con il sangue durante la manipolazione. Concepito per ridurre
al minimo le ferite da aghi e l'esposizione al sangue durante l'inserzione, è
dotato di un meccanismo di sicurezza dell'ago di tipo passivo che si attiva
quindi in modo automatico durante l’estrazione dell’ago ed evita il rischio
di punture accidentali.
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La buona gestione del catetere previene infezioni sia locali sia sistemiche. I
cateteri venosi periferici devono garantire la stabilità dell’accesso venoso, la
massima biocompatibilità e la protezione da complicanze infettive e
trombotiche. Inoltre deve essere possibile l’uso discontinuo.
Un catetere ideale fornisce inoltre la protezione per l’utente e grazie alle
soluzioni di progettazione avanzate assicura:
• facilità di utilizzo;
• rapido ritorno di sangue;
• visibilità del sito di puntura;
• flessibilità;
• facile manutenzione;
• sicurezza e comfort;
• riduzione del dolore;
• riduzione del rischio di infezione;
• minimo rischio di trombogenicità;
• esposizione minima al sangue.
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• Midline
Mini-Midline
Lunghezza 6-15 cm, Durata relativamente breve (<4settimane), Inserito
nelle vene superficiali e profonde del braccio (con eco)
Catetere Midline
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• Utilizzo discontinuo;
• Utilizzo Intra/Extra Ospedaliero;
• Lunghezza 8 – 30 cm;
• Calibro (16 – 25 G ovvero 5 - 2 Fr);
• Silicone o poliuretano 3^ generazione;
• Non tunnellizzato;
• Morbido, flessibile, biocompatibile;
• Valvolato/non valvolato, mono/bilume;
• Non richiede sostituzione programmata;
• Inserzione al III° medio del braccio (basilica>brachiale>cefalica);
• Impianto ecoguidato con abbattimento delle complicanze all’impianto:
fallimenti, punture arteriose, ematomi e tentativi ripetuti.
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Procedura molto simile all’inserimento del Picc con la differenza che questo
catetere va in vena ascellare quindi non necessità di rx torace e neanche di
misurazioni. Un'altra differenza dal Picc è che una volta inserito il catetere nella
vena bisogna assemblare la sua codina e chiuderlo con il Clave Connector.
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L'accesso a una vena periferica può variare dalla puntura venosa estemporanea
con ago a farfalla (butterfly) fino all’incannulamento. L’ago a farfalla può essere
utilizzato per terapie infusionali sporadiche e di breve durata oppure per il
prelievo di sangue in ambito pediatrico. L’incannulamento invece viene
utilizzato per terapie infusionali continue o a intermittenza.
Come indicato nelle procedure standardizzate, la scelta della sede per l’accesso
vascolare deve tenere conto della situazione clinica del paziente, dell’età e della
malattia di base, nonché delle condizioni delle vene, del tipo e della durata della
terapia e delle potenziali complicanze vascolari associate al dispositivo scelto. I
criteri adottati dovrebbero essere in linea con le linee guida più recenti e
contemplati nelle procedure delle organizzazioni sanitarie.
Il posizionamento di qualsiasi dispositivo di accesso vascolare dovrebbe essere
effettuata solo da personale formato in quanto è una procedura asettica. La scelta
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• piene e mobili;
• superficiali e palpabili;
• di diametro sufficiente a contenere il catetere vascolare e a consentire un
flusso di sangue adeguato per garantire una corretta emodiluizione del
farmaco somministrato;
• in una sede tale da consentire al paziente un buon livello di comfort (per
esempio è preferibile posizionare l’accesso vascolare nell’arto non
dominante).
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Prima e dopo qualsiasi procedura clinica, come per esempio l’inserimento del
catetere, il cambio della medicazione e la palpazione è fondamentale lavarsi le
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mani. Se non è possibile lavarsi le mani con acqua e saponi antisettici si possono
utilizzare creme o gel senz’acqua a base alcolica. L’uso dei guanti non
sostituisce il lavaggio delle mani.
L’operatore nel posizionamento del catetere venoso periferico, indossa i
dispositivi di protezione individuale (DPI): guanti monouso, occhiali di
protezione o visiera.
Per inserire un catetere venoso periferico è sufficiente usare un paio di guanti
monouso non sterili e una tecnica no-touch mentre occorrono i guanti sterili per
il posizionamento di cateteri centrali in quanto una tecnica no-touch non è
possibile.
Preparare il set per infusione costituito da:
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Come indicato dalle raccomandazioni contenute nelle linee guida dei CDC di
Atlanta, il sito di inserimento del catetere venoso va controllato con l’ispezione
visiva e palpato almeno una volta al giorno, preferibilmente a intervalli regolari
per riconoscere subito eventuali reazioni o complicanze come le flebiti o le
infezioni; per i motivi sopra citati, sui dispositivi di accesso vascolare, periferici
e centrali, occorre applicare e mantenere una medicazione sterile, trasparente,
semipermeabile e autoadesiva.
Successivamente, ogni ispezione, va registrata sulla documentazione
infermieristica, anche se negativa.
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L’ispezione visiva del sito di inserimento può essere effettuata più velocemente
utilizzando la medicazione in poliuretano trasparente; nel caso in cui il paziente
sudi abbondantemente, il sito di accesso sanguina, il paziente è intollerante o
allergico è consigliabile la medicazione con garza e cerotto traspirante, da
rinnovare ogni 24 ore. Le medicazioni trasparenti in poliuretano, diversamente
da quelle fatte con garza e cerotto, possono essere lasciate per la durata di
inserzione del catetere venoso periferico senza aumentare il rischio di
tromboflebiti, mentre vanno rinnovate con la sostituzione della cannula se
sporche o bagnate.
Se si utilizzano garze sterili, il sito va ispezionato e la medicazione sostituita
ogni 24-48 ore o più spesso se sporca o bagnata. La garza sterile utilizzata in
combinazione con una medicazione TSM dovrebbe essere trattata come una
garza normale e sostituita ogni 24-48 ore.
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Nel più grande studio controllato finora condotto sull’argomento su circa 2.000
cateteri venosi periferici, sono stati confrontati i due tipi di medicazione
(trasparenti e con garza sterile) rispetto al tasso di colonizzazione che è risultato
comparabile: le medicazioni trasparenti (5,7%), la garza sterile (4,6%). Non
c’erano differenze significative neppure nel rischio di flebite.
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10 ml di acqua
sterile
291 mOsm/l
100 ml di Cefalosporina 10 ml di
soluzione 1g soluzione
fisiologica fisiologica
(ph 4,5)
317 mOsm/ >600 mOsm/l
20 ml di
soluzione
fisiologica
425 mOsm/l
Vi sono diversi fattori che influiscono sulla velocità di infusione delle soluzioni
somministrate per via endovenosa, tra cui:
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il tempo aumenta a circa due ore se il farmaco deve essere infuso attraverso una
vena periferica; in questo caso è suggerito l’utilizzo di un’ago cannula di piccolo
calibro (24 G) in una grossa vena al fine di ridurre l’irritazione della vena e il
rischio di una flebite chimica locale.
Da quanto appena descritto, si deduce dunque, che la flebite e altri effetti
correlati all’infusione sono ricollegabili sia alla concentrazione che alla velocità
di somministrazione della vancomicina. Negli adulti, per la somministrazione in
vena periferica si raccomanda una concentrazione non superiore ai 5 mg per ml
di diluente ed una velocità di infusione minore di 10 mg/min.
Quindi concentrazioni maggiori, tra 10 e 20 mg/ml, dovrebbero essere infuse in
una vena centrale.
La gestione infermieristica non è soltanto limitata alla cura del paziente e del
sito endovenoso, l’infermiere è anche responsabile dell’inserimento, della
rimozione e dell’approvvigionamento dei dispositivi endovenosi utilizzati nella
terapia infusionale.
Quest'ultima, che è ormai parte integrante della pratica professionale per la
maggior parte degli infermieri, è associata a un rischio relativamente elevato di
complicanze qualunque sia l’accesso, periferico o centrale.
L'obiettivo é quello di ridurre questo rischio, è essenziale pertanto, non solo lo
sviluppo delle raccomandazioni standard, ma occorre anche realizzare una guida
pratica per la loro applicazione.
Il principio attivo di un farmaco a seconda dell’azione tossica che può provocare
sulle vene si definisce:
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Gestione degli accessi endovenosi
antimicrobici
− fluorochinoloni
− gentamicina
− nafcillina
− penicillina
− vancomicina
elettroliti
− calcio cloruro
− calcio gluconato
− potassio cloruro
− sodio bicarbonato
altre soluzioni
− destrosio
− diazepam
− dobutamina
− dopamina
− emulsione di grassi
− immunoglobulina umana
− noradrenalina
− formule di nutrizione parenterale ipertoniche
− fenitoina
− prometazina
− vasopressina
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Gestione degli accessi endovenosi
Una reazione locale che si manifesta con la comparsa di una striatura rossa in
rilievo nella sede di infusione o lungo la vena si definisce anche di flare
reaction, spesso associata a sensazione di prurito e bruciore.
Sono stati condotti numerosi studi su alcuni farmaci, in particolare i
chemioterapici, studi per valutare la differente tossicità locale a livello venoso
rispetto alle diverse modalità di somministrazione. Per esempio è stato condotto
uno studio prospettico randomizzato con l’obiettivo di determinare se l’iniezione
in una vena periferica di un bolo di vinorelbina, della durata di un minuto,
potesse ridurre l’incidenza di tossicità venosa rispetto all’infusione goccia a
goccia del farmaco, della durata di 6 minuti. Non c’era differenza
statisticamente significativa tra le due modalità di somministrazione (p=0,47) e
dunque la somministrazione in bolo sembra non ridurre significativamente
l’incidenza di tossicità locale venosa, ma occorrerebbero ulteriori studi.
La flebite chimica, meccanica e infettiva, la tromboflebite, l’infiltrazione, lo
stravaso, l’occlusione, lo spasmo venoso e l'infezione sono le complicanze più
frequenti che si possono verificare, singolarmente o in combinazione tra loro, in
corso di terapia infusionale di seguito descritte. Poi vi sono altre complicanze
possibili, come l’infezione sistemica correlata a catetere venoso e il sovraccarico
circolatorio che non verranno approfondite in questo dossier.
La migliore formazione del personale sanitario sulla gestione dei cateteri venosi,
una maggiore consapevolezza e adesione alle linee guida hanno portato al
decremento dell’incidenza di flebite associata alla presenza di un catetere in una
vena periferica, dal 40% dei pazienti ricoverati del 1998 al 2% del 2003.
Qualunque sia l’accesso venoso, periferico o centrale, la terapia infusionale è
associata a un rischio relativamente elevato di complicanze. Per ridurre questo
rischio è essenziale sviluppare e applicare raccomandazioni standard.
Obesità, sottopeso e la presenza di un accesso venoso difficile da reperire sono
fattori di rischio indipendenti da tenere in considerazione. Individuare i soggetti
a maggiore rischio di complicanze può favorire la scelta di accessi venosi
periferici alternativi. Tra le complicanze più frequenti di una terapia infusionale
vi sono la flebite, la tromboflebite, l’infiltrazione, lo stravaso, l’occlusione e lo
spasmo venoso. Tali complicanze possono manifestarsi singolarmente o in
combinazione.
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L’infiltrazione
• dolore
• edema dell’arto
• gonfiore
• pallore del sito di inserimento.
• rallentamento della velocità di infusione
• assenza di reflusso ematico nel catetere con il flacone abbassato sotto il
livello del corpo del paziente.
Per limitare la quantità di liquidi che fuoriesce nel tessuto sottocutaneo e ridurre
il potenziale danno tessutale il riconoscimento precoce dell’infiltrazione è
importante.
L'Infiltration Scale della INS è una scala internazionale che permette di valutare
l’entità delle infiltrazioni. L’infermiere verifica periodicamente tutte le sedi di
accesso vascolare per rilevare precocemente i segni e i sintomi di infiltrazione
tenendo conto delle condizioni cliniche del paziente, del tipo di terapia, del
dispositivo e dei fattori di rischio.
Il trattamento dipende dalla sua gravità e si devono interrompere tutte le
infusioni quando il paziente lamenta dolore, bruciore intorno al sito di
inserimento del catetere venoso periferico. Grandi volumi (per esempio
maggiori di 25-30 ml) di liquido possono aumentare il rischio di danni ai tessuti,
rendendo necessario l’intervento di un chirurgo plastico.
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Lo stravaso
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La flebite è l’infiammazione dello strato più interno della vena, la tonaca intima.
Si sviluppa rapidamente, in seguito alla sensibilizzazione dell’endotelio
vascolare, ed è provocata da:
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Per tali motivi dovrebbero essere selezionate vene con un abbondante flusso
ematico per l’infusione di soluzioni ipertoniche o soluzioni contenenti farmaci
ad azione irritante, come i farmaci antibiotici quali: amfotericina, cefalosporine,
eritromicina, metronidazolo, tetracicline, vancomicina, agenti citotossici,
elettroliti come sali di calcio e cloruro di potassio, soluzioni farmacologiche
acide e soluzioni farmacologiche ipertoniche, per esempio mezzi di contrasto
ionici, soluzioni contenenti glucosio >5%.
Considerando che il rischio di complicanze aumenta con il trascorrere del tempo
per ridurlo occorre rimuovere il catetere venoso periferico appena possibile.
Il Royal College of Nurses e la Health Protection Scotland raccomandano di
controllare il sito di inserimento almeno una volta al giorno e anche con una
maggiore frequenza durante la somministrazione dei farmaci, per favorirne il
controllo è bene utilizzare una medicazione trasparente.
Sintomi di flebite
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Mettere gli impacchi caldi o freddi per il trattamento delle flebiti è controverso,
in quanto, alcuni autori suggeriscono di applicare impacchi freddi sulla zona per
ridurre il dolore, se presente, rallentare il flusso sanguigno e l’adesione delle
piastrine, altri invece consigliano di applicare impacchi caldi.
Sono stati utilizzati diversi interventi farmacologici per il trattamento delle
flebiti chimiche da infusione, anche se non tutti i farmaci possono essere
disponibili in commercio nei diversi paesi, la loro conoscenza è rilevante per la
pratica infermieristica e per lo sviluppo della ricerca clinica. E’ stata confrontata
l’efficacia terapeutica dei diversi farmaci per uso topico: la nitroglicerina sotto
forma di cerotto transdermico e gel, le creme contenenti eparina o sostanze
eparinoidi, il piroxicam in gel, il notoginseny in crema e il diclofenac in gel e in
forma orale. Gli antinfiammatori topici sono stati raccomandati, in alcuni studi,
come alternativa semplice, sicura ed efficace per il trattamento della flebite
derivante da terapia infusionale rispetto ai farmaci antinfiammatori sistemici a
causa agli effetti collaterali prodotti da questi ultimi, quali la cefalea, il dolore
epigastrico, la nausea e il prurito locale.
Gli antinfiammatori topici sono considerati più efficaci rispetto al polisolfato di
mucopolisaccaridi, un farmaco anticoagulante che viene generalmente utilizzato
come controllo per gli studi clinici sul trattamento della flebite. L’azione del
polisolfato di mucopolisaccaridi sulla tromboplastina e la trombina, inibisce o
ritarda la formazione di trombi e la loro successiva crescita.
D’altra parte lo stesso polisolfato, attivando la plasmina e il plasminogeno,
stimola la fibrinolisi.
La nitroglicerina è una sostanza comunemente usata come vasodilatatore,
utilizzata sotto forma di cerotto transdermico ha un elevato potere di
assorbimento, a contatto con la cute induce vasodilatazione e di conseguenza un
maggiore flusso di sangue locale, facilitando la visualizzazione della rete
vascolare e migliorando le condizioni per la puntura. Quando la nitroglicerina
viene applicata sulla cute, il suo effetto vasodilatatore, che dura 3-6 ore, può
essere osservato entro 10 minuti. Gli studi suggeriscono che la flebite chimica
da infusione inizi da una vasocostrizione a livello del sito endovenoso, causata
da irritazione della tunica intima, pertanto, la vasodilatazione locale provocata
dalla nitroglicerina è efficace nella prevenzione delle flebiti, così come nel
trattamento dei primi gradi di flebite e dell’infiltrazione; il mantenimento della
vasodilatazione riduce la pressione osmotica intravasale, evitando che i fluidi
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L’igiene delle mani deve essere effettuata di routine durante tutte le attività di
assistenza al paziente.
Raccomandazioni Pratiche A. L'igiene delle mani si pratica strofinando le mani
con un gel a base alcolica o lavandole con acqua ed un sapone antimicrobico, in
diversi momenti della assistenza al paziente: 1. Prima di avere un contatto
diretto con il paziente. 2. Prima di indossare i guanti sterili per l’inserzione di un
catetere venoso centrale. 3. Prima di inserire un catetere venoso periferico. 4.
Dopo il contatto con la cute del paziente, che sia intatta oppure no. 5. Dopo il
contatto con secrezioni o fluidi biologici, membrane mucose e medicazioni di
ferite (se le mani non sono visibilmente sporche). 6. Dopo il contatto con oggetti
inanimati (comprese le apparecchiature mediche) posti nelle immediate
vicinanze del paziente. 7. Dopo aver rimosso i guanti. 1-6 (III) B. Per l’igiene
delle mani, usare routinariamente un gel su base alcolica a meno che le mani
non siano visibilmente sporche o vi sia un’epidemia di patogeni sporigeni o di
gastroenterite da norovirus.1-8 (III) C. Ricorrere al lavaggio con acqua e sapone
antimicrobico o non antimicrobico, nei seguenti casi: 1. Quando le mani sono
visibilmente contaminate con sangue o altri fluidi corporei.1-6 (II) 2. Dopo aver
assistito o essere stato in contatto con pazienti in cui si sospetta o è stata
accertata una gastroenterite da norovirus o un’epidemia di patogeni sporigeni
(es. Clostridium Difficile). 18 (II) 3. Prima di mangiare e dopo essersi recati alla
toilette.1-8 (II) D. Non indossare unghie artificiali o estensori per le unghie
quando si è in contatto diretto con pazienti ad alto rischio (es. quelli in terapia
intensiva o in sala operatoria) o quando s’inserisce un dispositivo per accesso
venoso centrale.1 (III) E. Tenere le unghie corte.1-4 (III) F. Conservare i
prodotti per l'igiene delle mani in locali vicini al punto ove devono essere
utilizzati. Scegliere prodotti per l'igiene delle mani a basso potenziale di
irritazione e lozioni per le mani o creme atte a prevenire le dermatiti da
contatto.1,3 (IV) G. Coinvolgere medici ed infermieri nella scelta dei prodotti
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Standard per la sicurezza del paziente, il clinico deve essere competente nell’uso
delle tecniche di visualizzazione utili all’impianto dei dispositivi per accesso
venoso. Questa conoscenza deve comprendere, ad esempio, la abilità nell’usare
tali tecniche per individuare i vasi appropriati per la incannulazione e valutarne
calibro, profondità e posizione, così come di prevedere le potenziali
complicanze di ciascuna tecnica. Le tecnologie di visualizzazione sono
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necessarie nei pazienti con accesso venoso difficile e/o dopo ripetuti tentativi
falliti di venipuntura. Le tecnologie di visualizzazione aumentano le possibilità
di successo durante i tentativi di incannulazione venosa periferica e
diminuiscono il rischio di dover ricorrere all’impianto di un dispositivo per
accesso venoso centrale non altrimenti indicato.
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con tecnica in asse corto (con puntura out of plane) versus la tecnica in asse
lungo (con puntura in plane) dipende dal diametro e dalla profondità della vena
periferica e dall’abilità dell’impiantatore.24,25 (V) ! 7!
F. Utilizzare la puntura eco-guidata per l‘inserzione di cateteri midline in
pazienti con accesso venoso difficile.26,27 (V) G. Utilizzare la tecnica eco-
guidata in tutte le punture arteriose ed incannulazioni arteriose sia nell’adulto
che nei bambini.2,28 (I) H. Utilizzare la venipuntura eco-guidata in tutte le
inserzioni di cateteri venosi centrali sia negli adulti che nei bambini allo scopo
di ottimizzare il successo della manovra, ridurre il numero di venipunture e
minimizzare il rischio di complicanze legate all’inserzione.1. Prima della
manovra, verificare ecograficamente l’anatomia delle vene allo scopo di
identificare patologie venose (occlusione o trombosi) e di valutare il diametro
della vena.2,25,29 (IV) 2. Quando si inseriscono cateteri venosi centrali, usare
sempre una tecnica di venipuntura ecoguidata dinamica o ‘realtime’.2,31 (I) 3.
Nelle punture eco-guidate della vena giugulare interna, utilizzare
preferibilmente la visualizzazione in asse corto poiché più facile e associata a un
numero maggiore di successi rispetto alla tecnica di visualizzazione in asse
lungo. Posizionare la sonda verticalmente al di sopra della vena e inserire l’ago
il più vicino possibile alla sonda per seguirne il più possibile la traiettoria25,34
(III) 4. Nei neonati e nei lattanti in terapia intensiva, il posizionamento eco-
guidato di un catetere venoso centrale in safena e femorale ha le stesse
probabilità di successo di un impianto tradizionale eseguito con tecniche di
radiologia interventistica.35 (IV) I. Il posizionamento eco-guidato di un catetere
venoso centrale con approccio sottoclaveare può avvenire a metà della clavicola
o più lateralmente, o in ‘asse corto’ o in ‘asse lungo’. A seconda del sito di
puntura e della traiettoria dell’ago, in tali condizioni il catetere potrà entrare o
nella vena ascellare o più di rado direttamente nella vena succlavia .36 (V) J. Per
l’inserzione eco-guidata di agocannule, proteggere la sonda con un’ampia
membrana trasparente sterile; per l’inserzione ecoguidata di cateteri venosi
centrali, usare coprisonda sterili di lunghezza appropriata e gel sterile.27,37 (V)
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Norme generali 26.1 La scelta del tipo di dispositivo per accesso venoso,
periferico o centrale, deve basarsi sulle necessità del paziente e, di conseguenza,
su considerazioni quali il piano terapeutico, i farmaci prescritti, la durata
prevista, le caratteristiche delle vene del paziente, la sua età, le sue comorbilità,
l’anamnesi di pregresse terapie infusionali, eventuali preferenza per il tipo o
sede del dispositivo, nonchè le capacità e le risorse disponibili per il suo
mantenimento. 26.2 La scelta del catetere venoso più adatto deve nascere dalla
collaborazione tra tutti i professionisti dell’equipe, coinvolgendo anche il
paziente e i suoi caregiver. 26.3 Occorre scegliere il catetere venoso con il
diametro esterno più piccolo possibile, con il minor numero di lumi, e con la
minima invasività, compatibilmente con la terapia prescritta. 26.4 Quando si
pianifica un accesso venoso occorre sempre tenere presente la importanza di
preservare il patrimonio venoso periferico del paziente. 26.5 Occorre sempre
scegliere, utilizzare o attivare dispositivi con meccanismi di sicurezza.
Raccomandazioni pratiche
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tasso di infezioni è invece simile a quello di altri cateteri venosi centrali a lungo
termine.3,6,21-23 (IV) 1. Tra le molte controindicazioni all’inserzione di un port
ricordiamo ad esempio la presenza di una coagulopatia non correggibile, una
sepsi non controllata, il reperto di emocolture positive, etc..22-23 (V) 2. Nei
pazienti con ustioni, traumi, o neoplasie che precludono il posizionamento di un
port a livello toracico si può considerare come opzione alternativa l’impianto di
un port venoso a livello brachiale. 24 (IV) 3. I cateteri venosi centrali totalmente
impiantabili tipo port, quando non utilizzati hanno il vantaggio di consentire
attività quali il bagno ed il nuoto e si associano alla protezione dell’immagine
corporea.2,17 (V) F. Utilizzare cateteri venosi centrali cuffiati e tunnellizzati in
pazienti con necessità di terapia infusionale a lungo termine intermittente o
continua (terapia antineoplastica, nutrizione parenterale). 6,17,25 (V) G.
Valutare la possibile indicazione all’uso di dispositivi per accesso venoso
centrale ideati specificatamente per le infusioni ad alta pressione e conoscerne i
limiti pressori ed altri limiti (ad esempio massimo numero di iniezioni ad alta
pressione), sia in riferimento al dispositivo che agli accessori ad esso connessi
(aghi per accedere al port impiantato, prolunghe, cappucci a valvola) così da
evitare possibili rotture del catetere.26-27 (V) H. Pianificare tempestivamente la
confezione di una fistola arterovenosa o di una protesi arterovenosa nei pazienti
con insufficienza renale cronica che necessitano di un accesso permanente per
dialisi. (consultare la Norma 29, Dispositivi di Accesso Venoso per Emodialisi.
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Standard 27.1 Si deve scegliere la vena e la sede più adatta, a seconda del
diametro esterno e della lunghezza del catetere venoso necessario per la terapia
prescritta. 27.2 Nella scelta della vena da incannulare occorre sempre tener
conto della necessità di preservare il patrimonio venoso periferico del paziente. !
16!
27.3 Occorre valutare accuratamente molti fattori: le condizioni del paziente, la
sua età, la diagnosi, le eventuali comorbidità, lo stato della vascolatura nella
sede d’inserzione e in sede più prossimale, le condizioni della cute nella sede di
inserzione, l’anamnesi di precedenti cateteri venosi e venipunture, il tipo e la
durata della terapia infusionale, la preferenza del paziente. 27.4 Il
posizionamento dei cateteri venosi centrali da parte di clinici qualificati e
certificati deve essere stabilito dalle procedure locali.
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II. Accesso Venoso Periferico tramite Cateteri Midline A. Scegliere come prima
scelta vene nella parte superiore del braccio o - in alternativa - nella regione
antecubitale; incannulare come prima scelta la basilica o - in alternativa - la
cefalica, la mediana e le brachiali. Nei neonati e nei bambini è possibile
impiantare midline anche in vene dell’arto inferiore (punta al di sotto
dell’inguine) o nello scalpo (punta nel collo al di sopra del torace).7,12,13,3234
(V) B. Anche per il posizionamento di midline, evitare aree dolenti alla
palpazione, ferite aperte, aree infette, vene patologiche (ematomi, infiltrati,
flebiti, sclerosi ecc.) e aree dove siano pianificate procedure
chirurgiche.3,7,11,12 (V) Evitare le vene del braccio destro di lattanti e bambini
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palpare il port. 2. Non utilizzare la palpazione del port come unico metodo di
identificazione, poichè non tutti i port certificati per la power-injection sono
dotati di caratteristiche tali da renderli identificabili alla palpazione. 3. Durante e
dopo la power injection, tenere presente il rischio di rottura del catetere, che può
comportare stravaso, embolizzazione di frammenti del catetere e necessità di
rimuovere e sostituire il port. Sospettare la rottura del catetere quando il paziente
mostra segni di gonfiore o eritema localizzato o riferisce dolore (si veda la
Norma 51, Danneggiamento del Catetere [Embolia, Riparazione, Scambio]). B.
Valutare le esigenze e le preferenze del paziente in termini di gestione del dolore
durante l’accesso al port (si veda la Norma 32, Anestesia Locale per il
Posizionamento e l’Accesso dei Dispositivi di Accesso Venoso). C. Rispettare la
tecnica asettica durante l’accesso al port, usando mascherina e guanti sterili.3,4
(V, Committee Consensus) 1. Esaminare la regione dove è stato impiantato il
port, per valutare la presenza eventuale di segni di gonfiore, eritema, secrezione,
reticoli venosi o altro; lavarsi le mani prima e dopo tale esame.5,6 (V) 2.
Eseguire l’antisepsi cutanea prima dell’accesso al port. a. Utilizzare l’antisettico
cutaneo di prima scelta, la clorexidina >0.5% in soluzione alcolica.4-7 (I) b. In
presenza di una controindicazione specifica alla clorexidina in base alcolica, è
possibile utilizzare la tintura di iodio, uno iodoforo (iodopovidone), oppure
alcool isopropilico al 70%.5 (I) c. Aspettare che l’agente antisettico si sia
completamente asciugato prima di accedere al port.5 (V) D. Accedere al port
con l’ago non carotante del calibro più piccolo possibile ma ancora sufficiente
per la terapia prescritta. 1. Per ridurre il rischio di dislocazione dell’ago durante
l’utilizzo, scegliere un ago non carotante di lunghezza appropriata ovvero tale da
consentire alle alette dell’ago di poggiare sulla cute ma simultaneamente alla
punta dell’ago di essere con certezza all’interno del port.7 (V) 2. Orientare l’ago
non carotante all’interno del reservoir in modo che la sua apertura guardi in
direzione opposta al punto ove è situata la connessione tra port e catetere.
Quando l’ago è orientato in tal modo, secondo alcuni studi in vitro, sembra che
sia possibile una migliore rimozione del materiale residuo all’interno del
reservoir.8 (IV) 3. Non vi sono evidenze sufficienti per raccomandare un tempo
ideale per la sostituzione dell’ago non carotante quando si utilizza il port per
infusioni continue.5 (V) E. Valutare la funzionalità dei cateteri venosi con una
siringa da 10 ml. o con una siringa specificatamente progettata per generare
basse pressioni di infusione (ad esempio con stantuffo di diametro analogo ad
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Gestione degli accessi endovenosi
Standard 29.1 La scelta del tipo più adeguato di catetere venoso per l’emodialisi
deve avvenire in collaborazione con il paziente/caregiver e con il team
multiprofessionale, in funzione del piano terapeutico previsto. 29.2 Il
posizionamento e la rimozione di un catetere per emodialisi tunnellizzato o
impiantato, la creazione di una fistola arterovenosa e l’inserzione di una protesi
artero-venosa sono considerate procedure chirurgiche e devono essere eseguite
da personale appropriatamente qualificato ed autorizzato. 29.3 La rimozione di
un catetere per emodialisi temporaneo, non tunnelizzato viene eseguita da o in
base alle istruzioni di personale appropriatamente qualificato ed autorizzato.
29.4 Non si devono eseguire manovre di venipuntura o di monitoraggio
emodinamico su un braccio portatore di fistole o di protesi artero-venosa.
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Gestione degli accessi endovenosi
cateteri per emodialisi per prelievi di sangue, per emotrasfusioni o per infusioni
endovenose. Nei pazienti in terapia intensiva, si può posizionare un catetere per
dialisi non tunnellizzato con una terza via da utilizzare per terapie infusionali. I
farmaci saranno somministrati attraverso questa terza via e non attraverso i lumi
utilizzati per la dialisi. Poiché la presenza di lumi multipli aumenta il rischio
infettivo, è bene mantenere tali cateteri da dialisi con un terzo lume per il
periodo più breve possibile. 8 (V).
H. Aspirare la soluzione di chiusura e confermare il ritorno di sangue tutte le
volte che si usa un catetere per dialisi tunnellizzato o non tunnellizzato. 8 (V) I.
Quando si cambia la medicazione di un catetere venoso per dialisi oppure una
medicazione che copre una fistola artero-venosa o una protesi artero-venosa,
occorre indossare guanti sterili e mascherine. Utilizzando un catetere per dialisi
tunnellizzato con cuffia ormai stabilizzata è sufficiente l’uso di guanti puliti (si
veda la Norma 41, Valutazione, Cura e Sostituzione della Medicazione con i
Dispositivi di Accesso Venoso).2,6,8 (V) J. Insegnare ai pazienti/caregiver come
aver cura del catetere per dialisi e come sia necessario segnalare ogni segno e
sintomo di disfunzioni, infezioni e altre complicazioni (si veda la Norma 8,
Educazione del Paziente).1,2,8 (V)
Cateteri ombelicali
Standard 30.1 Il posizionamento e la rimozione di un catetetere ombelicale
venoso o arterioso devono essere affidati a personale qualificato e certificato.
30.2 Occorre verificare quotidianamente la necessità clinica del caterere
ombelicale così da rimuoverlo tempestivamente quando non sia più indicato.
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Gestione degli accessi endovenosi
Sia la clorexidina acquosa che quella alcolica vanno usate con cautela nei
neonati pretermine, nei neonati a basso peso alla nascita e nei primi 14 giorni di
vita, a causa della possibilità di lesioni chimiche della cute. E’ stata segnalata la
possibilità di assorbimento sistemico attraverso la cute matura, ma ciò non si è
associato a effetti sistemici. A tutt’oggi non è ancora stabilita quale sia la
soluzione di clorexidina più sicura e più efficace nei neonati. Qualunque agente
contenente clorexidina va comunque usato con cautela sotto i 2 mesi di età. 3.
Evitare la tintura di iodio a causa dei potenziali effetti tossici sulla ghiandola
tiroidea del neonato. 4,6-11 (I) C. Per un corretto posizionamento della punta,
stabilire la lunghezza del catetere utilizzando misure antropometriche quali la
distanza tra spalla ed ombelico oppure equazioni basate sul peso corporeo o altri
metodi validati. 12-16 (V) D. La punta del catetere va così posizionata: 1. per i
cateteri venosi ombelicali, la punta deve trovarsi nella vena cava inferiore in
prossimità con la giunzione con l’atrio destro. 2. Per i cateteri ombelicali
arteriosi, la punta deve trovarsi nella porzione toracica dell’aorta discendente al
di sotto dell’arco aortico (posizione alta) o al di sotto delle arterie renali e sopra
la biforcazione aortica nelle arterie iliache comuni (posizione bassa)12,17-19
(IV) E. Confermare la posizione della punta del catetere con metodo
radiologico o ecocardiografico o ecografico prima dell’utilizzo. 1. Per i cateteri
venosi ombelicali, ottenere una radiografia del torace ed dell’addome in
anteroposteriore che dovrà mostrare la punta al livello o subito al di sopra del
diaframma. Si ha una maggiore accuratezza utilizzando come repere la
silhouette cardiaca piuttosto che i corpi vertebrali. Se in una proiezione antero-
posteriore non si riesce ad identificare con certezza il tragitto del catetere e la
posizione della punta, si ricorre ad una proiezione obliqua o laterale. 17,18,20
(IV) 2. In caso di difficile posizionamento di cateteri venosi ombelicali o in
pazienti con cardiopatie congenite, si può utilizzare la guida fluoroscopica. 21
(V) 3. Per i cateteri arteriosi ombelicali, è bene ottenere una proiezione antero-
posteriore del torace e dell’addome per verificare che la punta si proietti tra la
sesta e la decima vertebra toracica (posizione alta) o tra la quarta e la quinta
vertebra lombare (posizione bassa). 17 (V) 4. Per i cateteri venosi ombelicali, la
verifica della posizione della punta per via ecografica utilizzando proiezioni
parasternali in asse corto ed asse lungo comporta risultati paragonabili a quelli
della radiografia. L’iniezione di fisiologica attraverso il catetere può essere utile
nell’identificare la posizione esatta della punta. Comunque non sarà possibile
evidenziare ecograficamente eventuali anse o ripiegamenti del catetere nel suo
119
Gestione degli accessi endovenosi
120
Gestione degli accessi endovenosi
Regole pratiche A. Nel caso di infusioni continue, non è ben definito se sia
sempre necessario interporre un connettore senza ago posizionato tra il catetere
venoso e il set di somministrazione. Lo scopo principale dei connettori senza
ago è di proteggere il personale sanitario evitando il rischio di punture
accidentali con aghi che potrebbero essere utilizzati per accedere alla linea
infusionale, tipicamente nel caso di infusioni intermittenti.1-3 (Regulatory) 1.
121
Gestione degli accessi endovenosi
122
Gestione degli accessi endovenosi
123
Gestione degli accessi endovenosi
l’uso del fabbricante (si veda la Norma 49, Infezioni).7,34,35 (IV) I. Per
facilitare il rispetto della procedura di disinfezione del connettore senza ago da
parte del personale, è necessario che il materiale di disinfezione sia sempre
disponibile accanto al letto del paziente.14,36 (V) ! 35!
124
Gestione degli accessi endovenosi
125
Gestione degli accessi endovenosi
Cenni di Anatomia
Vena Ascellare (Vena Succlavia)
Originata a livello del margine laterale del Muscolo Grande Pettorale dalla
confluenza delle due Vene Brachiali satelliti del vaso arterioso corrispondente e
con decorso identico.
2) Vena Basilica , originata dalla Parte Ulnare (quindi mediale) della Rete
Venosa Dorsale della Mano risale rimanendo mediale, ma poi facendosi
anteriore lungo la superficie dei muscoli dell’Avambraccio, giunta sul Braccio
decorre lungo il margine mediale del Muscolo bicipite Brachiale per poi affluire
dopo aver perforato la Fascia Brachiale.
126
Gestione degli accessi endovenosi
127
Gestione degli accessi endovenosi
128
Gestione degli accessi endovenosi
PICC è a punta chiusa) Controllare il reflusso di sangue nel catetere con siringa
in aspirazione; Iniettare SF con la siringa preconnessa con tecnica pulsante;
Rimuovere l’introduttore con tecnica peel-away Posizionare garza sterile sul
punto di introduzione;
Togliere delicatamente il mandrino dal catetere e tagliare il tratto di catetere in
esubero in modo tale da permettere di assemblare e connettere il raccordo
louerlock al catetere (se PICC a punta chiusa) Assemblare la seconda aletta a 0,5
cm dall’emergenza cutanea ancorandola al catetere col filo di sutura presente nel
kit PICC a punta chiusa Controllare regolare funzionamento in aspirazione e
infusione.
Operatività
Procedura molto simile all’inserimento del Picc con la differenza che questo
catetere va in vena ascellare quindi non necessità di rx torace e neanche di
129
Gestione degli accessi endovenosi
misurazioni. Un'altra differenza dal Picc è che una volta inserito il catetere nella
vena bisogna assemblare la sua codina e chiuderlo con il Clave Connector.
130
Gestione degli accessi endovenosi
del vaso con l’ago dedicato. Se Il paziente riferisce dolore acuto, intenso alle
ultime due dita della mano retrarre l’ago. In seguito potrà avvertire formicolio
lungo tutto il braccio, parestesia con risoluzione dei sintomi nell’arco di 24 h. -
Puntura del dotto linfatico : il circolo linfatico è un sistema di drenaggio ad una
via che trasporta i fluidi dallo spazio interstiziale dei tessuti al torrente
circolatorio. Nell’arto superiore i vasi linfatici si suddividono in superficiali e
profondi: i collettori superficiali nascono dai capillari linfatici cutanei,
specialmente nella mano, da cui risalgono nell’avambraccio per formare i
collettori mediali, laterali e anteriori. Dal braccio poi proseguono per arrivare
nell’ascella dove terminano aprendosi nei linfonodi del gruppo laterale. E’
possibile che durante la venipuntura vi sia la possibilità di lesionare le strutture
linfatiche provocando linforragia. Si evidenzia come ad ogni trauma di una certa
entità corrisponda un differente grado di compromissione delle strutture
linfatiche nella loro componente capillare (linfatici iniziali) o nei settori più
prossimali (pre-collettori e collettori linfatici), con manifestazioni cliniche di
importanza variabile in rapporto alla gravità delle lesioni. Se la linforaggia è
minima cesserà spontaneamente entro 24 h grazie alla capacità della linfa di
coagulare in condizioni di infiammazione. Complicanze precoci Le complicanze
precoci che si presentano entro 48 ore dal posizionamento del catetere sono: -
Ematoma : ripetuti tentativi di puntura della vena possono provocare un
sanguinamento incontrollato con conseguente formazione di una massa dura e
dolete che interessa anche i tessuti circostanti. Tale ematoma può rendere più
difficoltoso il reperimento del vaso e predispone a lesioni più estese dei vasi e
delle strutture circostanti. Occorre rimuovere l’ago ed esercitare una forte
pressione sull’area. Il sito deve essere monitorato. Possono essere applicati
impacchi di ghiaccio. Il paziente deve essere informato circa l’accaduto e
istruito a riferire qualsiasi variazione nella procedura. La vena più adatta per il
posizionamento di un Picc o un Midline è la Basilica perché è più superficiale e
isolata rispetto all’arteria brachiale e al nervo mediano. Il grafico però dimostra
che non sempre questa vena è disponibile: è possibile comunque utilizzare anche
la vena brachiale o la vena cefalica anche se con la possibile comparsa di
complicanze durante la venipuntura se l’operatore non ha effettuato un training
adeguato o ha scarsa esperienza. La conoscenza di tutte quelle che possono
essere le complicanze legate all’impianto e alla gestione di un dispositivo
vascolare devono aiutarci a prevenirle, risolverle ed evitare inutili rimozioni.
131
Gestione degli accessi endovenosi
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Gestione degli accessi endovenosi
una prima ispezione, un vaso che ospita al suo interno un trombo risulta non
comprimibile) o con angioTC. Infezione di Picc e midline Ci sono diverse
microrganismi che causano CRBSI (Catheter Related Bloodstream Infestion)
fra i quali i più comuni sono gli Stafilococchi coagulasinegativi, lo
Staphylococcus Aureus, i bacilli gram negativi e la Candida Albicandis. In
particolare la determinazione dell’agente microbiologico è importante non
solo per un’appropriata terapia antibiotica, ma per le possibili ripercussioni
dell’infezione sul paziente: ad esempio in caso di batteriemia da S. Aureus
la mortalità è circa del 8,2% mentre la mortalità de stafilococchi coagulasi
negativi è 10 volte inferiore a causa del minor rischio di trombosi venosa.
Patogenesi delle infezioni Le linee guida del CDC di Atlanta identificano nella
patogenesi delle infezioni catetere correlate quattro vie di contaminazione
ben identificate: 1. migrazione di organismi cutanei dal sito di emergenza
attraverso il tratto sottocutaneo e lungo la superficie del catetere con
colonizzazione della punta del catetere; questa è la più comune via d’infezione
per i cateteri a breve termine. 2. Contaminazione diretta del catetere o del
connettore del catetere a causa del contatto con mani, fluidi o dispositivi
contaminati. 3. Meno frequente, i cateteri possono essere infettati da germi
provenienti per via ematogena da un’altra sede d’infezione. 4. Raramente, la
contaminazione dell’infuso può causare una CRBSI.
133
Gestione degli accessi endovenosi
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Gestione degli accessi endovenosi
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Gestione degli accessi endovenosi
Sostituzione Picc e Midline 1. Non sostituire di routine Midline e Picc (su guida
solo se mal funzionanti, purchè non infetti). 2. Non rimuovere sulla base di sola
febbre, valutare la situazione clinica, soprattutto in presenza di altri focolai
infettivi. 3. Sostituire i Midline solo in caso di specifica indicazione clinica, mai
di routine, salvo diversa indicazione del produttore.
Prelievo attraverso Picc e Midline Per il prelievo da catetere PICC lavare con
10 ml di Fisiologica aspirare 5 ml di sangue che verranno eliminati, infine
collegare il sistema Vacutaneir ed effettuare il prelievo. Per il prelievo da
catetere Midline posso utilizzare il sistema Vacutainer effettuando i seguenti
passaggi: • Disinfettare Hub catetere strofinando per 15 secondi • Collegare il
rubinetto a tre vie all’ Hub del catetere • Collegare al rubinetto a tre vie la
siringa e la campana • Chiudere il rubinetto isolando la campana e aspirare
manualmente con la siringa da 5 ml che verranno eliminati. • Collegare una
nuova siringa • Aspirare manualmente con la siringa la quantità di sangue
necessaria • Isolare il catetere dal dispositivo di prelievo sottovuoto in sicurezza
e mettere in comunicazione la siringa e il dispositivo di prelievo • Inserire la
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Gestione degli accessi endovenosi
provetta che aspirerà direttamente dalla siringa e non dal catetere. Questa tecnica
serve per non sottoporre il catetere a “pressione negativa” esercitata dalle
provette sottovuoto che lo potrebbe danneggiare.
Cenni di ecografia
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Gestione degli accessi endovenosi
Tasto colordoppler color flow il flusso sanguigno viene visualizzato come una
mappa di colore sovrapposta all’immagine in bmode il colore è codificato, di
solito, in maniera tale che il rosso è assegnato al flusso diretto verso la sonda,
mentre l’azzurro è assegnato a quello che se ne allontana. Questa modalità non è
138
Gestione degli accessi endovenosi
139
Gestione degli accessi endovenosi
Disposizioni legislative
140
Gestione degli accessi endovenosi
3 - l'infermiere:
A) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della
collettività;
B) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della
collettività e formula i relativi obiettivi;
C) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;
D) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico -
terapeutiche;
E) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari
e sociali;
F) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del
personale di supporto;
G) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private,
nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero -
professionale.
141
Gestione degli accessi endovenosi
7) Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si
conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce
titolo preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree,
dopo il superamento di apposite prove valutative.
La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di
obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di
fatto.
Art. 2
Art. 3
142
Gestione degli accessi endovenosi
Art. 1.
(Definizione delle professioni sanitarie)
Art. 2.
(Attività della Commissione centrale per gli eserce nti le professioni sanitarie)
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Gestione degli accessi endovenosi
Art. 3.
(Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 175)
144
Gestione degli accessi endovenosi
Art. 4.
(Diplomi conseguiti in base alla normativa anterior e a quella di attuazione
dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni)
145
Gestione degli accessi endovenosi
146
Gestione degli accessi endovenosi
CAPO I
Articolo 1
L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza
infermieristica.
Articolo 2
L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla
collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari
di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.
Articolo 3
La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel
prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e
della dignità dell'individuo.
Articolo 4
L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo
conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni
sociali della persona.
Articolo 5
Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione
è condizione essenziale per l'esercizio della professione infermieristica.
Articolo 6
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e
interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione,
cura, riabilitazione e palliazione.
147
Gestione degli accessi endovenosi
CAPO II
Articolo 7
L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse
sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in
particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.
Articolo 8
L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si
impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e
persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della
professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi
garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.
Articolo 9
L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al
fine di non nuocere.
Articolo 10
L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso
l'uso ottimale delle risorse disponibili.
CAPO III
Articolo 11
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e
competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica
sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione.
Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.
Articolo 12
L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e
assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.
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Gestione degli accessi endovenosi
Articolo 13
L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e
ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di infermieri esperti o
specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a
disposizione della comunità professionale.
Articolo 14
L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione
interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni
dell’assistito.
Articolo 15
L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali
non ha esperienza.
Articolo 16
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività
quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di
contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.
Articolo 17
L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da
pressioni o interessi di assistiti, familiari, altri operatori, imprese, associazioni,
organismi.
Articolo 18
L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per
garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione
dell'autorità competente.
CAPO IV
Articolo 19
149
Gestione degli accessi endovenosi
L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura
della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e
l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.
Articolo 20
L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni
assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e
facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.
Articolo 21
L'infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i
rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel
piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni
assistenziali ad essa correlati.
Articolo 22
L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che
questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.
Articolo 23
L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e
si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi
bisogni di vita.
Articolo 24
L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di
natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando
la comunicazione alla sua capacità di comprendere.
Articolo 25
L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non
essere informato sul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia
di pericolo per sé o per gli altri.
Articolo 26
150
Gestione degli accessi endovenosi
Articolo 27
L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla
realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione
degli strumenti informativi.
Articolo 28
L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma
per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con
l'assistito.
Articolo 29
L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza
dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore.
Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.
Articolo 30
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento
straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni
assistenziali.
Articolo 31
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del
minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali,
tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.
Articolo 32
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in
condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il
contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
Articolo 33
151
Gestione degli accessi endovenosi
Articolo 34
L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la
sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.
Articolo 35
L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al
termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del
conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
Articolo 36
L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che
non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione
da lui espressa della qualità di vita.
Articolo 37
L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà,
tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la
morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito.
Articolo 39
L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in
particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita
e della elaborazione del lutto.
Articolo 40
L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue,
tessuti ed organi quale atto di solidarietà e sostiene le persone coinvolte nel
donare e nel ricevere.
152
Gestione degli accessi endovenosi
CAPO V
Articolo 41
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e
valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.
Articolo 42
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti
ispirati al rispetto e alla solidarietà.
Articolo 43
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o
comportamento dei colleghi contrario alla deontologia.
Articolo 44
L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il
prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale.
Articolo 45
L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.
Articolo 46
L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel
rispetto delle indicazioni del Collegio professionale.
CAPO VI
Articolo 47
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le
politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei
diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la
valorizzazione del ruolo professionale.
153
Gestione degli accessi endovenosi
Articolo 48
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi
provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in
cui opera o a cui afferisce il proprio assistito.
Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i
disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera.
Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o
ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato
professionale.
Articolo 50
L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio
professionale le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della
professione infermieristica.
Articolo 51
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui
sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure
e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.
Disposizioni finali
154
Gestione degli accessi endovenosi
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