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Guida al monitoraggio

in Area Critica
Quaderni dell’Assistenza in Area Critica
A cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton
GUIDA AL MONITORAGGIO
IN AREA CRITICA
Quaderni dell’Assistenza
in Area Critica
A cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton
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AUTORI

A CURA DI:

Gian Domenico Giusti


Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore
Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia
intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su rivi-
ste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

Maria Benetton
Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto
Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di
numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

HANNO COLLABORATO:

Stefano Bambi
Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria “Careggi” di Firenze. Master I livello in Infermieristica
in anestesia e terapia intensiva, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Dottorando di
ricerca in scienze infermieristiche presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha lavorato in Pronto Soccorso,
attualmente in Terapia Intensiva di emergenza e del trauma. Impegnato nella formazione universitaria in corsi
infermieristici di base e post base. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali.

Irene Comisso
Infermiera presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine alla Clinica di Anestesia e Rianimazione; Dot-
tore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche; Tutor clinico e didattico presso il Corso di Laurea
in Infermieristica dell’Università di Udine, con responsabilità di programmazione e gestione dei tirocini in
Terapia intensiva e come coordinatore delle mobilità internazionali nell’ambito del programma Erasmus. Ha
collaborato in qualità di tutor e di vice-coordinatore al Master in Infermieristica di Area Critica dell’Università
degli Studi di Udine.

Andrea Gafforelli
Infermiere presso Ente Ospedaliero Cantonale, Lugano, in Servizio di Anestesia. Master I livello in “Scienze
infermieristiche di Anestesia e Terapia intensiva”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, specializzando al
secondo anno di anestesia presso la scuola specializzata superiore in cure infermieristiche, Lugano.

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AUTORI

Alberto Lucchini
Infermiere coordinatore presso Azienda Ospedaliera S. Gerardo Monza – Università degli Studi di Milano-
Bicocca in Terapia Intensiva Generale. Coordinatore dell’attività didattica e professore a contratto del Master
di I livello in “Scienze infermieristiche di Anestesia e Terapia intensiva”, Università degli Studi di Milano-Bi-
cocca. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo
di Aniarti.

Enrico Lumini
Infermiere formatore staff aziendale della formazione universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria
Careggi di Firenze. Master in infermieristica in anestesia, cure intensive e palliative, Dottore Magistrale in
scienze infermieristiche, dottore di ricerca. Ha lavorato per circa 10 anni in Dipartimento di Emergenza e
complessivamente 8 anni tra degenza neurochirurgica e sala operatoria di Neurochirurgia. Dal 2000 Docente
a contratto per l’Università degli Studi di Firenze dove insegna Infermieristica Clinica in area critica e meto-
dologia della ricerca. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali.

Elisa Mazzoni
Infermiera, ha conseguito la Laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi
di approfondimento sul monitoraggio del paziente in Neurorianimazione ed ha progettato un trial clinico per
misurare gli effetti delle manovre infermieristiche sul paziente neuroleso.

Chiara Peduto
Infermiera con perfezionamento in Medicina Tropicale e Cooperazione Internazionale. Ha lavorato per circa 2
anni in Pronto Soccorso, attualmente presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi (Firenze) in Terapia
Intensiva di Emergenza e del Trauma da 9 anni; due esperienze di cooperazione internazionale presso il Sa-
lam Centre for CardiacSurgery in Khartoum (Sudan) con la ONG Emergency. Referente dal 2009 dei Supporti
extra-corporei alla funzionalità respiratoria e cardiaca (ECMO, ECLS) in Terapia Intensiva. Dal 2007 impegnata
nella formazione nei corsi di Advanced Life Support(ALS) e Basic Life Support and Defibrillation(BLS-D) per
l’istituto Italian Resuscitation Council.

Laura Rasero
Professore Associato dell’Università degli Studi di Firenze in Scienze Infermieristiche generali, Cliniche e Pe-
diatriche (MED45). Attività clinica infermieristica in area oncoematologica dal 1998 al 2005 presso l’Azienda
Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. Ha partecipato, in qualità di responsabile co-investigatore, a nu-
merosi studi clinici controllati, condotti secondo le GoodClinicalPractices, sia monocentrici che multicentrici
Ha partecipato come componente invitato a numerosi gruppi di lavoro sia Italiani che Regionali. È autore/
coautore di oltre 90 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali tra abstract, articoli originali, libri e ca-
pitoli di libro. È Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche e referente
del Dottorato di ricerca ad indirizzo infermieristico dell’Università degli Studi di Firenze.

Daria Valsecchi
Infermiera presso Azienda Ospedaliera Manzoni-Lecco in UOS Pronto Soccorso. Master I livello in “ Scienze
infermieristi.

4
SOMMARIO

Introduzione – Perché una monografia sul monitoraggio


Maria Benetton, Gian Domenico Giusti.............................................................................. » 7

Capitolo I - L’importanza del monitoraggio. L’infermiere tra la persona e la tecnologia


Gian Domenico Giusti, Maria Benetton ............................................................................. » 9

Capitolo II - Il monitoraggio emodinamico


Irene Comisso ................................................................................................................... » 12
1. Il monitoraggio elettrocardiografico............................................................................. » 13
2. Il monitoraggio delle pressioni cruente......................................................................... » 20
3. Il monitoraggio della gittata cardiaca........................................................................... » 28
4. Il monitoraggio della saturazione venosa di ossigeno ................................................. » 32

Capitolo III - Il monitoraggio respiratorio di base


Stefano Bambi, Alberto Lucchini, Andrea Gafforelli, Daria Valsecchi .................................. » 36
1. Valutazione clinica respiratoria del paziente in terapia intensiva.................................. » 36
2. Monitoraggio strumentale........................................................................................... » 43
2.1. La saturimetria ................................................................................................. » 43
2.2. Capnografia e Capnometria............................................................................... » 53
2.3. Monitoraggio emogasanalitico ......................................................................... » 64
3. Monitoraggio in corso di ossigenoterapia ................................................................... » 70
4. Monitoraggio in corso di ventilazione meccanica invasiva .......................................... » 75
5. Monitoraggio in corso di ventilazione meccanica non invasiva.................................... » 115
5.1. CPAP con scafandro .......................................................................................... » 115
5.2. La CPAP di Boussignac .................................................................................... » 120
5.3. La pressione di supporto erogata con la maschera .......................................... » 122
6. Monitoraggi complementari: secrezioni respiratorie .................................................. » 129
6.1. Il loop flusso/volume ......................................................................................... » 130
6.2. Rilevanza della presenza di coarse crackles (crepitii grossolani) ....................... » 131
6.3. Utilizzo delle curve di flusso per identificare i pazienti a rischio ritenzione ....... » 132
7. Monitoraggio e gestione dell’umidificazione dei gas medicali ................................... » 136
8. Monitoraggio durante ECMO Veno-Venoso ................................................................ » 139

5
SOMMARIO

Capitolo IV - Il monitoraggio neurologico


Chiara Peduto, Enrico Lumini, Elisa Mazzoni, Laura Rasero .............................................. » 143
Introduzione ....................................................................................................................... » 143
1. Valutazione dello stato mentale................................................................................... » 144
1.1. Monitoraggio dello stato di coscienza............................................................... » 144
1.2. Monitoraggio della sedazione............................................................................ » 148
1.3. Monitoraggio del delirium................................................................................. » 150
2. Valutazione neuromotoria............................................................................................ » 156
2.1. Esame dei nervi cranici..................................................................................... » 156
2.2. Esame dello stato pupillare e dei movimenti oculari......................................... » 159
2.3. Esame del modello respiratorio ........................................................................ » 162
2.4. Valutazione della funzione motoria.................................................................... » 163
2.5. Valutazione della funzione sensitiva.................................................................. » 165
2.6. Valutazione e monitoraggio del dolore.............................................................. » 167
3. Pressione intracranica e perfusione cerebrale............................................................. » 174
3.1. Il monitoraggio della pressione intracranica...................................................... » 178
3.2. Flusso ematico cerebrale e valutazione della capacità di autoregolazione
dell’encefalo...................................................................................................... » 186
3.3. Ulteriori componenti del monitoraggio multimodale......................................... » 188

6
Introduzione
Perché una monografia
sul monitoraggio. Il progetto Aniarti
“Quaderni dell’Assistenza in Area Critica”
Maria Benetton, Gian Domenico Giusti

Per il Congresso Nazionale Aniarti (Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica) 2013 progettammo come
dono ai nuovi iscritti, il primo Quaderno dell’Assistenza, una monografia dedicata alle migliori prove di efficacia
sulla cura del corpo in area critica. È stata una scelta felice e quel successo ci ha portato alla decisione di
continuare il Progetto “Quaderni dell’Assistenza in Area Critica” affrontando ogni anno una tematica diversa.

Quest’anno abbiamo deciso per “Il monitoraggio in Area Critica”. Perchè questa scelta, apparentemente
banale?

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area inten-
siva in cui opera. Verrebbe da dire che non esiste area critica senza monitoraggio intensivo.

Il monitoraggio non serve per curare, ma fornisce informazioni che permettono o favoriscono la decisione
assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica. Rilevando continuamente i dati si riducono i possibili rischi
o complicanze cliniche. Il monitoraggio intensivo, e spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida
formidabile per gli infermieri ed i medici nella cura dei loro malati.

La letteratura conferma che gli eventi avversi, e tra loro il peggiore ed infausto cioè l’arresto cardiocircola-
torio, non sono improvvisi ma vengono annunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore
precedenti (Hodgetts 2002, Krause 2004, Harrison 2005); ma se questi non vengono monitorizzati, il campa-
nello d’allarme per un pronto intervento al momento giusto, rimane inascoltato.

Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente
l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità. E quindi chiaro quanto sia
determinante il ruolo dell’infermiere, sia per quanto riguarda la precisione, accuratezza, perizia nell’uso di
strumentazione, ma soprattutto nella perfetta conoscenza ed interpretazione dei paramentri rilevati, rispetto
la situazione, per rispondere tempestivamente al deterioramento clinico del paziente.

La capacità di gestire la tecnologia è una componente fondamentale e di routine quotidiana per un infermiere
di area critica. Ma ciò che qualifica l’infermiere come “competente” è il non perdere di vista il paziente a favore

7
Introduzione
PERCHÉ UNA MONOGRAFIA SUL MONITORAGGIO

della tecnologia. L’uomo non è l’appendice della macchina ma ben il contrario, l’attrezzatura è collaterale alla cura.

Questo è un rischio facile e frequente negli infermieri novizi ma quando c’è una maggiore familiarità e padronanza
con l’attrezzatura, l’enfasi lascia il posto all’esperienza e alla consapevolezza dell’esperto, la cui assistenza sarà
più incentrata sul paziente e non sulla macchina (Benner, 1992; Cooper 1993; Walter 1995; Alasad, 2002).

L’impiego del monitoraggio strumentale standard non esime dalla continua osservazione clinica del paziente
(SIIARTI, 2012). Il senso di sicurezza della tecnologia, derivata dall’uso del monitoraggio, va compensato con
l’osservazione diretta e il dubbio, espressione della competenza ed esperienza clinica. È necessario equilibrare
la tecnologia con cura integrata e globale e armonizzare i segni oggettivi monitorati con la percezione soggettiva
del clinico. Guardare oltre la tecnologia per non perdere la capacità di interpretare. Negli ambienti intensivi, ricchi
tecnologicamente, gli operatori sanitari “fondono” pazienti e apparecchi in un quadro clinico (Almeruda; 2008).

Questo “Quaderno dell’Assistenza in Area Critica” nasce anche con l’intento di aiutare gli infermieri novizi
o inesperti a comprendere le modalità di monitoraggio dei più importanti paramentri vitali, acquisendo un
corpo sistematico di conoscenze da utilizzare per avere un elevato livello di competenza tecnica; ma è rivolto
anche al personale più esperto per verificare le proprie conoscenze, aggiornare i propri saperi, porsi “spunti
di riflessione” per l’attività che sta svolgendo. Il testo costruito da infermieri che attraverso l’esperienza nella
clinica si dedicano alla ricerca, alla formazione, all’aggiornamento, tratterà alcuni capisaldi del monitoraggio
senza la presunzione di esaustività. Dopo un breve approfondimento sul rapporto tra assistito, professioni-
sta e monitoraggio, verrà trattato il monitoraggio cardiologico ed emodinamico, quello respiratorio e quello
neurologico. Il monitoraggio permette di controllare la persona con maggiore sicurezza rispetto agli standard
assistenziali di alcuni anni fa, ma occorre non dimenticare che una visione esclusiva e troppo sicura sull’ap-
parecchiatura rende il malato invisibile e a rischio (Almerud et al., 2008).

BIBLIOGRAFIA

Alasad J. (2002), Managing technology in the intensive care unit: the nurses’ experience, Int J Nurs Stud; 39:407-413.
Almerud S., Alapack R.J., Fridlund B, Ekebergh M. (2007),Of vigilance and invisibility-being a patient in technological
intense environments, Nurs Crit Care; 13(3):151-8.
Almerud S., Alapackb R.J., Fridlunda B., Ekeberghc M. (2008), Caught in an artificial split: A phenomenological study
of being a caregiver in the technologically intense environment, Intensive Crit Care Nurs; 24:130-136.
Benner P., Tanner C., Chesla C. (1992), From beginner to expert: gaining a differentiated clinical world in critical care
nursing, ANS Adv Nurs Sci; 14 (3):13-28.
Cooper M., (1993), The intersection of technology and care in the ICU, ANS Adv Nurs Sci; 15 (3): 23-32.
Gruppo di Studio SIAARTI per la Sicurezza in Anestesia, Standard per il monitoraggio in anestesia, (2012), [online]
http://www.siaarti.it/corsi-patrocini/linee-guida-raccomandazioni/ (ultimo accesso 25/8/2014).
Harrison G.A., Jacques T.C., Kilborn G., McLaws M.L. (2005), The prevalence of recordings of the signs of critical
conditions and emergency responses in hospital wards--the SOCCER study, Resuscitation; 65(2):149-57.
Hodgetts T.J., Kenward G., Vlachonikolis I., Payne S., Castle N., Crouch R., Inneson N., Shaikh L. (2002), Incidence, loca-
tion and reasons for avoidable in-hospital cardiac arrest in a district general hospital, Resuscitation; 54(2):115-23.
Kause J., Smith G., Prytherch D., Parr M., Flabouris A., Hillman K. (2004), Intensive Care Society (UK); Australian and
New Zealand Intensive Care Society Clinical Trials Group, A comparison of antecedents to cardiac arrests, deaths
and emergency intensive care admissions in Australia and New Zealand, and the United Kingdom-the ACADE-
MIA study, Resuscitation;62(3):275-82.
Walter A. (1995), A heideggarian hermeneutic study of the practice of critical care nurses, J Adv Nurs; 21:492-497.

8
Capitolo I
L’importanza del monitoraggio.
L’infermiere tra la persona
e la tecnologia
Gian Domenico Giusti, Maria Benetton

Il termine “Critical Care Medicine” è stato introdotto alla fine del 1950 all’Università Southern California (USC),
dal concetto di immediato pericolo di vita per alcune tipologie di pazienti, i quali possono avere migliori pos-
sibilità di sopravvivenza se assistiti costantemente in reparti ospedalieri ad alta tecnologia (con monitoraggio
continuo dei segni vitali, dei parametri emodinamici, respiratori, neurologici…), con una nuova generazione di
medici specialisti dedicati, infermieri e vari altri professionisti specializzati nelle cure intensive(Ristagno & Weil
2009) (fig. 1). Da allora il miglioramento nella gestione di questi pazienti, è stato accelerato dalla crescita del
progresso delle tecnologie che possono essere impiegate, non soltanto in contesti ospedalieri, ma sostanzial-
mente in qualunque luogo la persona si trovi in situazioni di instabilità e/o criticità vitale (Silvestri, 1990).

Una disciplina in così rapido movimento, ha bisogno di continui aggiornamenti da parte del personale, per acqui-
sire nuove conoscenze e competenze garantendo lo “stato dell’arte” necessario al mantenimento della corretta
assistenza alla persone (Alasad, 2002). La teoria è un potente strumento di spiegazione e predizione; essa dà
forma ai quesiti e consente l’esame sistematico di una serie di eventi (Benner, 2005); l’utilizzo del monitoraggio
è vincolato ad alcune conoscenze teoriche che comprendono la gestione dello strumento, la corretta rilevazione
e registrazione dei parametri, la giusta interpretazione; la natura scientifica della professione infermieristica,
necessita di acquisire un corpo sistematico di conoscenze e un elevato livello di competenza tecnica.

Il monitoraggio dei parametri vitali è sempre più presente nelle attività assistenziali e le persone ricoverate
negli ospedali per acuti richiedono una grande quantità di distinte attività specialistiche di cui gli infermieri
sono tra gli attori principali. Soprattutto se il paziente ha un’alta intensità assistenziale e si trova ricoverato
in setting di Area Critica queste attività diventano molto complesse; quotidianamente l’infermiere utilizza
autonomamente o in collaborazione con altre professioni, una serie di dispositivi che offrono il monitoraggio
dei parametri vitali (monitor), il sostegno delle funzioni vitali (ventilatori automatici, sistemi di emodialisi,
sistemi di assistenza circolatoria esterna), management di farmaci e nutrienti (pompe infusionali) e devices
per specifiche funzioni (sistemi di raffreddamento/riscaldamento dei pazienti, defibrillatori, pace-makers…).

Il risultato della continua ricerca e sviluppo di tecnologie, fanno si che ci sia una rapida evoluzione nella cura dei
pazienti, ed un aumento degli stessi con un elevata complessità; l’effetto di un ambiente ospedaliero in rapida
evoluzione con veloci modifiche e complesse valutazioni può portare incertezza nel personale per lo svolgimento

9
Capitolo I
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO. L’INFERMIERE TRA LA PERSONA E LA TECNOLOGIA

di pratiche non routinarie (non-routinesess), svolte in modo non sicuro per mancanza di adeguata formazione e
training (well-established). L’incertezza delle condizioni dei pazienti critici fanno sì che i loro bisogni non possano
essere facilmente previsti, ed i dispositivi non possano essere facilmente adattati a queste esigenze; l’aumento
del numero e della complessità della tecnologia, e quindi del monitoraggio, sono in grado di generare errori che
a volte nascono dall’agire con troppa sicurezza la quale abbassa la soglia di attenzione verso il rischio.

Tuttavia la tecnologia può fornire una serie di risposte che aiutano l’incertezza dei professionisti, offrendo
soluzioni a molti problemi e facilitando la pratica infermieristica.

In quest’epoca dove c’è un simbiotico rapporto tra la tecnologia e la cura, le Aree Critiche (nell’accezione struttu-
rale di Terapie Intensive, servizi di emergenza intra/extraospedalieri…) rispecchiano questa simbiosi (Almerud et
al., 2008); la tecnologia è incorporata nella cura dei pazienti e le terapie intensive si basano molto sulla tecnologia.

Allo stesso tempo gli infermieri che assistono persone in Area Critica devono prendersi cura dei bisogni
psicosociali sia dell’assistito che della famiglia, considerando il caring come obiettivo del nursing.

I termini care e caring stanno diventando dei sinonimi interscambiabili del termine nursing e, sempre più
frequentemente, “prendersi cura” (caring) diventa sinonimo di “assistenza infermieristica” (nursing) (Cunico
& Saiani, 2011); il caring è una pratica che si realizza attraverso azioni competenti e disponibilità ad occuparsi
intenzionalmente della persona assistita.

Il nursing è una professione pratica che fornisce attività di assistenza e di supporto, ed accanto ad una di-
mensione visibile del caring, fatta di azioni (mobilizzazione del paziente, gestione di accessi vascolari, inseri-
mento di sonde e cateteri…), ce n’è una molto più estesa ma poco visibile, fatta di pensieri, valori, emozioni
di difficile definizione. Tra i principi del caring c’è la vigilanza che è l’essenza del prendersi cura nell’infermie-
ristica; questa è una competenza intellettuale che si sviluppa con l’esperienza dopo un’attenta formazione.

La vigilanza è un processo complesso, che nel monitoraggio dei parametri vitali, trova la sua massima
espressione; si costituisce di quattro componenti: attribuire significato a ciò che è e si fa, prevedere gli eventi
e calcolare il rischio della situazione, prontezza ad agire in modo appropriato, monitorare i risultati.

• Attribuire significato agli eventi significa interpretare quello che è stato visto, sentito, registrato; questo
per permettere di decidere quando intervenire e quando quello rilevato rientra nella normalità. Attribuire
significato permette al professionista esperto anche di differenziare i segnali significativi da quelli poco
rilevanti (falsi allarmi).
• Prevedere gli eventi e calcolare il rischio situazionale rappresenta la capacità logica di mettere in sequenza
gli eventi/segnali per cercare di capire come sta evolvendo la situazione, cercando di bilanciare le proprie
azioni calcolando il giusto rischio/beneficio.
• Prontezza ad agire in modo appropriato è collegata al calcolo del rischio; questa espressione descrive la
capacità di prepararsi già ad un eventuale complicanza che si può verificare (per esempio la preparazione
del materiale per la procedura di intubazione oro tracheale, prima di procedere all’estubazione program-
mata di un paziente).
• Monitoraggio dei risultati è il risultato delle azioni combinate da più professionisti; essendo l’infermiere
la figura professionale sempre presente accanto alla persona assistita, è suo compito registrare i risultati
degli interventi assistenziali intrapresi anche da altri professionisti, per poi valutarne i risultati i pianificare
il percorso terapeutico/assistenziale.
La conoscenza clinica si acquisisce con il tempo e frequentemente accade che i professionisti della salute
stessi non siano consapevoli dei miglioramenti che hanno ottenuto, ma questi sono evidenti quando anche
piccole modifiche fisiologiche nella situazione clinica di un assistito, vengono interpretate correttamente.
La padronanza percettiva dipende dal contesto, certe modificazioni sottili acquistano significato solo alla
luce della storia precedente e della situazione attuale del paziente. Questa competenza, detta “abilità del

10
Capitolo I
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO. L’INFERMIERE TRA LA PERSONA E LA TECNOLOGIA

conoscitore”, è un aspetto della conoscenza clinica spesso trascurato in favore dell’impegno ad apprendere
le ultime procedure tecnologiche. L’attenzione eccessiva all’imparare l’uso di nuove tecnologie diminuisce
l’attenzione per l’acquisizione in profondità della capacità di giudizio clinico (Benner, 2005).

Comunque bisogna tenere presente che la tecnologia è una parte inscindibile del processo di cura per i
pazienti in criticità vitale, la conoscenza delle giuste abilità permette di garantire “cure di qualità” alla cui
base ci sono buone conoscenze teoriche, abilità pratiche e competenze relazionali, ed il giusto mix tra questi
componenti è fondamentale nelle professioni sanitarie.

BIBLIOGRAFIA

Alasad J. (2002), Managing technology in the intensive care unit: the nurses’ experience, Int J Nurs Stud 39, 407–413.
Almerud S., Alapack R.J., Fridlund B., Ekebergh M. (2008), Caught in an artificial split: A phenomenological study of
being a caregiver in the technologically intense environment, Intensive Crit Care Nurs 24, 130–136.
Benner P. (2005), L’eccellenza nella pratica clinica dell’infermiere, Ed. McGraw-Hill, Milano.
Cunico L., Saiani L., Caring Infermieristico, In Saiani L., Brugnolli A. (2011), Trattato di Cure Infermieristiche, Casa Ed.
Sorbona, Napoli.
Ristagno G., Weil M.H. (2009), History of Critical Care Medicine: The past, the present and the future, in Gullo A.,
Besso J., Lumb P.D., Williams G., Intensive and Critical care Medicine, Springer, Milano.
Silvestri C., Il concetto di Area Critica, Atti Covegno Aniarti, Regione Lombardia, 1990.

Figura 1 - Interno di una Terapia Intensiva, 1950


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11
Capitolo II
Il monitoraggio emodinamico
Irene Comisso

Il monitoraggio emodinamico (ME) è costituito dall’insieme di sistemi utilizzati nel paziente critico per la
rilevazione della funzione cardiovascolare del paziente. Nei pazienti critici, il monitoraggio emodinamico ha
lo scopo di consentire la valutazione delle funzionalità cardiovascolare (e quindi di individuare condizioni
di stabilità/instabilità, di diagnosticare situazioni patologiche e di consentire la diagnosi differenziale tra
diverse situazioni di malattia), di intercettare tempestivamente variazioni della stabilità clinica, di valutare
l’efficacia delle terapie farmacologiche e non utilizzate. La varietà di tecnologie di monitoraggio è note-
volmente aumentata negli ultimi decenni, e ha reso disponibili informazioni che prima erano ottenibili
solo con sistemi complessi, spesso gravati nel loro utilizzo da elevati rischi per il paziente. L’impiego di
nuove tecnologie di monitoraggio deve sempre tenere conto di quelle che sono le condizioni cliniche del
paziente (e quindi dell’appropriatezza di utilizzo), e dell’expertise degli operatori (medici e infermieri) nel
posizionamento e gestione dei devices, e soprattutto nell’ottenimento e interpretazione dei dati. Recente-
mente sono stati proposti degli step di implementazione dei sistemi di monitoraggio in terapia intensiva,
rappresentati da:

• un livello base, con catetere arterioso e venoso centrale;


• un livello intermedio, con monitoraggi a invasività minima o intermedia;
• un livello avanzato, rappresentato dal catetere arterioso polmonare.

Va inoltre sottolineata l’importanza e diffusione crescente delle metodiche di valutazione ecografica (tran-
storacica e transesofagea), impiegate per la visualizzazione in tempo reale delle condizioni cinetiche e di
riempimento del muscolo cardiaco.

A seconda delle caratteristiche considerate, il ME può essere classificato in base a:


• invasività, considerata sia in relazione alla necessità di “violare” la barriera cutanea (ad esempio, per l’in-
serimento di un catetere endovascolare), che in relazione alla sede di posizionamento dei cateteri stessi
(ad esempio, in arteria radiale o polmonare). A tale proposito, è intuitivo come un monitoraggio della
pressione arteriosa mediante bracciale sia meno invasivo di un monitoraggio cruento mediante catetere
endovascolare. Generalmente, l’aumento del livello di invasività consente di ottenere dati più comples-
si, anche se negli ultimi decenni l’evoluzione dei sistemi di monitoraggio ha consentito la rilevazione di
parametri anche avanzati (ad esempio la gittata cardiaca) con sistemi a minore invasività rispetto a quelli
tradizionali;

12
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

• complessità dei dati forniti; in tal senso, i sistemi di monitoraggio vengono descritti come “di base”
(ovvero destinati a tutti i pazienti critici) e avanzati (ovvero, utilizzati solo in situazioni selezionate). Tra i
monitoraggi di base vengono generalmente annoverati l’elettrocardiogramma, la saturazione periferica di
ossigeno, la pressione arteriosa (generalmente cruenta) e la temperatura corporea (rilevata con sonde
cutanee o termistori vescicali); nei pazienti intubati, viene ormai considerato un monitoraggio di base
imprescindibile anche quello della CO2 di fine espirio;
• continuità delle rilevazioni; in tal senso, i sistemi di monitoraggio possono essere descritti come continui,
semicontinui o intermittenti. I monitoraggi continui o semicontinui non richiedono generalmente l’attua-
zione di particolari manovre da parte degli operatori (se non la taratura dei sistemi a intervalli di tempo
prestabiliti); quelli intermittenti comportano la necessità di attivare specifici comandi o di effettuare mano-
vre (ad esempio, la termodiluizione per la rilevazione della gittata cardiaca).

Poiché il ME (così come gli altri sistemi di monitoraggio) ha tra le sue funzioni quella di guidare le scelte
diagnostiche e terapeutiche, è essenziale che i sistemi utilizzati abbiano caratteristiche di elevata affidabilità,
ovvero che i dati ottenuti mediante essi riproducano con il massimo livello di precisione possibile la situazio-
ne reale del paziente. Si richiamano a tale proposito i seguenti concetti:
• affidabilità, legata alla riproducibilità del risultato utilizzando lo stesso metodo o con metodi diversi
• accuratezza, legata alla riduzione dell’errore sistematico nei sistemi di misurazione;
• precisione, legata alla riduzione dell’errore casuale nei sistemi di misurazione.

1. IL MONITORAGGIO ELETTROCARDIOGRAFICO

Il monitoraggio elettrocardiografico (ECG) consente di visualizzare le variazioni di potenziale elettrico che si


verificano durante le fasi del ciclo cardiaco.

Il ciclo cardiaco si compone di una fase sistolica e una diastolica, che si alternano a livello di atrio e
ventricolo consentendo riempimento e svuotamento della camere cardiache. Essa ha inizio con la gene-
razione di un impulso elettrico a livello del nodo seno-atriale (localizzato nell’atrio destro), che viene poi
diffuso al nodo atrio-ventricolare, e di qui, tramite il sistema di conduzione, alle fibre di Purkinjie, a livello
ventricolare.

La conduzione di questi stimoli dà luogo ad all’alternarsi di fasi di depolarizzazione e ripolarizzazione delle


cellule cardiache (ovvero di variazioni di carica elettrica dovute ad una stimolazione): normalmente, infatti,
nelle cellule esiste un differenziale di potenziale elettrico (positivo sulla superficie esterna della membrana
cellulare e negativo sulla superficie interna); la stimolazione elettrica produce un afflusso di sodio (elet-
trolita che normalmente è più concentrato all’esterno) verso l’interno della cellula, dando luogo ad una
trasformazione (definita come depolarizzazione) di potenziale elettrico all’interno della cellula (da positivo
a negativo), che dà luogo ad alterazioni (visibili come onde) a livello elettrocardiografico. Il raggiungimento
di un potenziale elettrico positivo all’interno della cellula dà luogo alla fuoriuscita di potassio, che fa tornare
il potenziale elettrico intracellulare a valori negativi. In seguito, l’attivazione della pompa sodio-potassio fa
rientrare il potassio all’interno della cellula, facendo contemporaneamente fuoriuscire il sodio. In tal modo,
la carica cellulare torna negativa, dando così luogo ad una fase di ripolarizzazione. Sul tracciato ECG, la
depolarizzazione atriale (e la conseguente contrazione atriale) genera l’onda P, la depolarizzazione ventri-
colare (e la conseguente contrazione ventricolare) genera il complesso QRS; la ripolarizzazione atriale non
è generalmente visibile, mentre la ripolarizzazione ventricolare genera l’onda T.

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Figura 1 - Tracciato ECG


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

L’interpretazione del tracciato elettrocardiografico richiede abilità complesse. Quando si osserva un tracciato ECG
è possibile visualizzare una linea orizzontale (tra le onde), definita come linea di base. Le onde al di sopra di que-
sta linea sono convenzionalmente positive, quelle al di sotto negative (tale convenzione però non ha a che fare
con le differenze di potenziale che si instaurano a livello cellulare). Il tracciato ECG si avvale della lettura dell’attivi-
tà elettrica in 12 derivazioni, classificate come bipolari e unipolari, a seconda che utilizzino un solo elettrodo o due.

Figura 2 - Posizionamento degli elettrodi per ECG a 12 derivazioni


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Le derivazioni bipolari creano un impulso basato su informazioni provenienti da due lati opposti. Le derivazio-
ni unipolari si avvalgono invece di un unico elettrodo registrante e di un elettrodo indifferente.

Le derivazioni bipolari (I, II e III) sono quelle rappresentate nel triangolo di Einthoven, e si avvalgono dell’uso
di tre elettrodi (su spalla destra, spalla sinistra e gamba sinistra). La linea di congiungimento tra il punto di
applicazione di due elettrodi viene definita linea di derivazione.

Nella derivazione I l’elettrodo positivo è posto sulla spalla sinistra, quello negativo sulla spalla destra; nella
derivazione II l’elettrodo positivo è posto sulla spalla destra, quello positivo sulla gamba sinistra; nella deriva-
zione III l’elettrodo positivo è posto sul braccio sinistro, quello negativo sulla gamba sinistra.

Alle derivazioni originarie del triangolo di Einthoven, sono state aggiunte tre derivazioni unipolari utilizzando
gli elettrodi posti su spalla destra e sinistra e piede (gamba) destra, e utilizzando come elettrodo di riferi-
mento la bisettrice della linea di giunzione tra gli altri due elettrodi del triangolo. Le tre derivazioni che di
ottengono sono chiamate:
• Vfoot (Vf): elettrodo esplorante posto sul piede (gamba); elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione delle spalle;
• Vright (Vr): elettrodo esplorante posto sulla spalla destra; elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione tra spalla sinistra e piede;
• Vleft (Vl): elettrodo esplorante posto sulla spalla sinistra; elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione tra spalla destra e piede.
Convenzionalmente, i valori ottenuti su queste derivazioni vengono amplificati (si parla pertanto di AVr, AVf, AVl );
a queste derivazioni ne sono poi state aggiunte altre sei (precordiali, unipolari), che visualizzano l’attività elettrica
cardiaca non su un piano frontale ma sagittale (comprendente la parete anteriore del cuore e il lato sinistro).

La posizione dei sei elettrodi precordiali è di seguito descritta:


• V1: 4° spazio intercostale sulla linea parasternale destra
• V2: 4° spazio intercostale sulla linea parasternale sinistra
• V3: tra V2 e V4
• V4: 5° spazio intercostale sulla linea emiclaveare sinistra, corrispondente alla punta cardiaca
• V5: 5° spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore sinistra
• V6: 5° spazio intercostale sulla linea ascellare media sinistra.
Il tracciato elettrocardiografico visualizzato assume morfologie differenti nelle 12 derivazioni, a seconda della
direzione dell’impulso elettrico e della carica (positiva o negativa) verso cui tale impulso si dirige.

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Figura 3 - Morfologia normale dell’ECG a 12 derivazioni


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Concetti base sull’analisi del tracciato elettrocardiografico


L’analisi dell’ECG comprende alcuni parametri fondamentali:
• la presenza di attività elettrica,
• la frequenza cardiaca;
• il ritmo e l’ampiezza del complesso QRS;
• il rapporto tra onde P e complessi QRS;
• l’analisi del tratto ST e dell’onda T.
Se al monitor non è osservabile attività elettrica, è possibile che gli elettrodi non siano collegati ai cavi di
monitoraggio o che non vi sia una corretta amplificazione del segnale, o ancora che la derivazione selezionata
non sia corretta. In questo caso, al monitor si visualizza una traccia perfettamente piatta.

Nel caso, invece, di un’asistolia, si è in completa assenza di frequenza cardiaca; al tracciato ECG non si
riscontra nessun ritmo, e non sono visibili complessi QRS. Possono essere presenti onde P (se il nodo seno-
atriale funziona) non seguite da complessi QRS; in questo caso si parla di silenzio ventricolare, o asistolia
ventricolare. I protocolli di rianimazione cardiopolmonare prevedono la contemporanea valutazione di attività
elettrica e della presenza di un polso centrale; se sono entrambe assenti, ci si trova in una condizione di
asistolia, mentre se è presente solo attività elettrica si parla di attività elettrica senza polso (PEA - Pulseless
Electrical Activity). In entrambi i casi, sarà necessario procedere con manovre rianimatorie (massaggio car-
diaco esterno).

Normalmente, la velocità di scorrimento della carta millimetrata su cui viene stampato un tracciato ECG è
di 25 mm/s; questo comporta che ogni mm corrisponde a 0.04 s; un tratto di 5mm equivale a 0.2 s. La fre-
quenza cardiaca viene misurata come numero di onde R in un minuto.

Il ritmo cardiaco ha origine dal nodo seno-atriale; i ritmi cardiaci possono avere altre origini, ma in questo
caso si è in presenza di una condizione aritmica.

Il ritmo sinusale è caratterizzato dalla presenza di onde P e complessi QRS con morfologia normale in
relazione alla derivazione che viene considerata; inoltre, ogni complesso QRS è preceduto da un’onda P e
l’intervallo PR ha durata tra 0.12 e 0.2 secondi. Nel ritmo sinusale, la frequenza cardiaca è compresa tra 60 e
100 battiti/minuto: al di sotto di questi valori si parla di bradicardia sinusale, al di sopra di tachicardia sinusale.

La bradicardia sinusale può avere tra le sue cause un aumento dell’attività del sistema nervoso parasimpati-
co, mentre la tachicardia sinusale un aumento di attività del sistema nervoso simpatico.

Nella condizioni di aritmia, si possono distinguere i ritmi atriali, quelli atrio-ventricolari, quelli ventricolari.

Tra i principali ritmi atriali, annoveriamo:


• i battiti prematuri atriali, ovvero battiti precoci che producono sull’ECG una P di morfologia irregolare; tali
battiti sono definiti ectopici poiché originano al di fuori del nodo seno-atriale; normalmente non richiedono
trattamento;
• il flutter atriale, in cui il tracciato ECG assume la caratteristica morfologia a “dente di sega”, con frequenze
atriali fino a 250-300 battiti al minuto; in queste aritmie la maggior parte delle onde P non vengono con-
dotte (generalmente il rapporto di conduzione è di 2:1 o 4:1), e quindi non si registra un corrispondente
complesso QRS;

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Figura 4 - Tracciato ECG nel flutter atriale


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

• la fibrillazione atriale, in cui sono presenti impulsi provenienti da più punti sul miocardio, con una frequen-
za estremamente elevata (anche superiore a 350 impulsi al minuto), che danno luogo ad una contrazione
atriale disorganizzata e non efficace; in questa aritmia, non è visibile l’onda P sul tracciato ECG, e la rispo-
sta ventricolare varia in relazione alla capacità del nodo atrio-ventricolare di trattenere gli impulsi (si dice
che è controllata quando inferiore a 100 battiti/minuto).

Figura 5 - Tracciato ECG nella fibrillazione atriale


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

Tra i principali ritmi atrio-ventricolari, annoveriamo:


• i battiti prematuri giunzionali, che originano in prossimità o all’interno del nodo AV;
• il ritmo giunzionale, che ha origine nella giunzione atrio-ventricolare (area tra il nodo atrio-ventricolare e il
ventricolo);
• la tachicardia giunzionale, in cui oltre al ritmo giunzionale si reperta una frequenza superiore ai 100 battiti
al minuto.

Tra i principali ritmi ventricolari annoveriamo:


• i battiti prematuri ventricolari, che originano al di sotto del fascio di His; si presentano al tracciato ECG
come complessi QRS allargati;
• la tachicardia ventricolare, caratterizzata da una frequenza superiore a 100 battiti al minuto; in questa
aritmia, la depolarizzazione non ha luogo a partire dal nodo seno-atriale i complessi QRS sono slargati;
quando la tachicardia ventricolare persiste per oltre 30 secondi viene definita sostenuta;

Figura 6 - Tracciato ECG nella tachicardia ventricolare


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

• la fibrillazione ventricolare, in cui, analogamente a quanto appare per quella atriale, la contrazione ventri-
colare è disorganizzata e non efficiente; tale aritmia non consente uno svuotamento adeguato del ven-
tricolo e quindi non produce una gittata cardiaca adeguata; insieme alla tachicardia ventricolare, questo
ritmo è trattabile con la defibrillazione.

Figura 7 - Tracciato ECG nella fibrillazione ventricolare


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

Il rapporto tra le onde P e i complessi QRS consente di valutare il tempo che l’onda di depolarizzazione
atriale impiega per raggiungere i ventricoli e il numero di onde di depolarizzazione atriale cui fanno seguito
complessi di depolarizzazione ventricolare.

Nel blocco atrioventricolare di primo grado si verifica un aumento della durata del tratto PR al di sopra di 0.2
secondi (durata normale), ma il rapporto di conduzione atrio-ventricolare è di 1:1.

Nel blocco atrioventricolare di secondo grado si riscontra un numero di onde P superiore rispetto a quello dei
complessi QRS; generalmente, l’intervallo PR aumenta progressivamente fino alla comparsa di un’onda P (nor-
male per morfologia) non seguita da un complesso QRS; successivamente, la durata dell’intervallo PR si riduce,
e la sequenza si ripete. Questa variante è nota come blocco atrio-ventricolare tipo Mobitz I; esiste anche una va-
riante Mobitz II, in cui è riscontrabile un QRS allargato, e la mancata conduzione di onde P non è accompagnata
dall’allungamento dell’intervallo PR. Questa variante può evolvere verso un blocco atrioventricolare completo.

Nel blocco atrioventricolare di terzo grado (che può insorgere come conseguenza di quello di secondo, o in
seguito a cardiomiopatie croniche o infarto del miocardio), si assiste ad una dissociazione atrio-ventricolare
completa: la frequenza atriale può avere origine dal nodo seno-atriale, o può presentarsi come tachicardia
o fibrillazione atriale, quella ventricolare si presenta come un ritmo giunzionale o ventricolare. La frequenza
ventricolare è molto ridotta (solitamente inferiore a 60 battiti al minuto).

Figura 8 - Tracciato ECG nel blocco atrioventricolare di III grado


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

Esistono anche difetti di conduzione intraventricolari (blocchi di branca), in cui, a causa di un’anomala con-
duzione sulla branca destra o sinistra, si verifica un ritardo (fino all’assenza) di depolarizzazione di una parte
del muscolo cardiaco ventricolare; in questo caso, la depolarizzazione di uno dei due ventricoli può essere
più lenta (blocco incompleto) o essere condotta attraverso il setto interventricolare (blocco completo), dando
così luogo ad un allargamento del complesso QRS. Nel blocco completo la durata del QRS è superiore a 0.12
secondi, in quello incompleto è compresa tra 0.1 e 0.12 secondi.

L’analisi del tratto ST e dell’onda T è utile nelle condizioni ischemiche del miocardio. Normalmente il tratto ST
si trova sulla linea isoelettrica, ma quando si verifica una riduzione dell’apporto ematico alle cellule cardiache

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

si assiste a fenomeni di sopra- o sotto-slivellamento del tratto ST (classificate anche come STEMI e NSTE-
MI), rispettivamente quando la lesione ischemica è a tutto spessore o subendocardica. Questo fenomeno
può essere accompagnato anche dall’inversione delle onde T nelle zone interessate dall’ischemia.

Figura 9 - Morfologia normale del segmento ST e dell’onda T


Tratta da: Chulay M., Burns S.M. (2011), Manuale di Area Critica. L’essenziale a portata di mano, McGraw-Hill, Milano

2. IL MONITORAGGIO DELLE PRESSIONI CRUENTE

La rilevazione delle pressioni cruente avviene attraverso l’inserimento di un catetere all’interno di un vaso (per
la rilevazione di pressioni arteriose o venose) o di una cavità (ad esempio per la rilevazione della pressione
intracranica o intraddominale), e con il suo collegamento ad un sistema di misurazione manuale o elettronico.

I sistemi di misurazione manuale prevedono l’utilizzo di manometri ad acqua. Con tale sistema, il catetere
viene collegato (mediante un sistema di tubi) ad un manometro in plastica rigida riempito di soluzione fisio-
logica; identificando e allineando il sistema al livello corrispondente allo zero (illustrato più avanti), si procede
poi a mettere in comunicazione il manometro con il catetere (attraverso un sistema di rubinetti); per il prin-
cipio dei vasi comunicanti, il livello dell’acqua nel manometro si attesterà al livello della pressione presente
all’interno del vaso/cavità, consentendone la determinazione.

Si ricorda a tale proposito la relazione 1 cm H2O = 0.73 mm Hg (e 1 mm Hg = 1.36 cm H2O).

I sistemi di misurazione elettronica prevedono l’utilizzo di trasduttori di pressione, un tempo riutilizzabili e


oggi disponibili come monouso. La funzione del trasduttore è quella di “convertire” l’onda meccanica gene-
rata dal flusso ematico e trasmessa al catetere, in un’onda elettrica.

Il trasduttore di pressione viene collegato al paziente attraverso un sistema di tubi, e ad una sacca di lavag-
gio, utilizzata anche per il riempimento del sistema di tubi, poiché la trasmissione del segnale in presenza
di aria è viziata da uno smorzamento del segnale che comporta inesattezza nella misurazione. La corretta
preparazione e gestione del sistema di trasduzione è fondamentale per l’affidabilità della rilevazione.

20
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Il sistema di trasduzione delle pressioni si compone di:


• un catetere arterioso, di lunghezza e calibro variabile, inserito a livello radiale o femorale (più raramente a
livello dell’arteria brachiale);
• un tubo semi-rigido che collega il trasduttore al catetere; il tubo è più rigido di quelli utilizzati per le infusio-
ni endovenose, e la sua lunghezza deve essere la minore possibile, in modo da limitare la dispersione del
segnale (che esiterebbe in una lettura inaccurata del dato pressorio); sul tubo semirigido sono interposti
dei gommini forabili o uno o più rubinetti, utilizzati per l’aspirazione di eventuali bolle d’aria presenti all’in-
terno del sistema o per l’esecuzione di prelievi: l’inserimento del catetere arterioso consente di prelevare
sangue arterioso, senza necessità di dover pungere il paziente, ed evitando quindi il disconfort correlato
a questo tipo di procedura; questa possibilità rappresenta un vantaggio sia per il monitoraggio dei dati
emogasanalitici nei pazienti con problematiche respiratorie, sia di altri parametri ematochimici (elettroliti,
glicemia), che vengono controllati frequentemente in terapia intensiva e, se eseguiti su cateteri venosi
centrali, possono essere alterati dalla contemporanea presenza di infusioni di cristalloidi o nutrizioni pa-
renterali;
• un trasduttore, che converte l’onda pressoria generata dal flusso ematico in un segnale elettrico che può
essere visualizzato sul display del monitor;
• una sacca (di soluzione fisiologica) di lavaggio, mantenuta a pressione di 300 mmHg attraverso l’utilizzo
di un premi sacca, che tramite una valvola alloggiata all’interno del sistema di trasduzione mantiene un
flusso continuo di 3-4 ml/h all’interno del sistema, riducendo il rischio di coagulazione del catetere; la
pressurizzazione della sacca di lavaggio ha anche lo scopo di contrastare la pressione presente all’interno
dei vasi e quindi di evitare il reflusso di sangue; contrariamente a quanto indicato fino a pochi anni fa, non
è necessario miscelare eparina all’interno della sacca di lavaggio, poiché questo accorgimento non riduce
il rischio di trombosi del catetere;
• una valvola “fast flush”, anch’essa alloggiata all’interno del sistema di trasduzione, che consente il lavag-
gio rapido del sistema (ad esempio per l’esecuzione del test dell’onda quadra o dopo l’esecuzione di
prelievi);
• un connettore, collegato al cavo di pressione invasiva e quindi al monitor multiparametrico;
• un rubinetto, per il collegamento del sistema di trasduzione all’aria ambiente e il conseguente processo
di azzeramento.

Connettore per sacca


di soluzione fisiologica

Connettore per cavo


di monitoraggio

Connettore luer-lock
al catetere intrarterioso

Trasduttore
di pressione

Figura 10 - Sistema di trasduzione delle pressioni invasive

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Al fine di evitare l’ingresso di aria all’interno del sistema, è importante rispettare alcuni passaggi:
• tutti i componenti del sistema di trasduzione (inclusi eventuali rubinetti) devono essere riempiti con liquido
(soluzione fisiologica) in fase di preparazione; se il sistema viene aperto (ad esempio per l’azzeramento
del sistema o per effettuare prelievi di sangue) è importante effettuare un lavaggio mediante la valvola
“fast flush” presente sul trasduttore;
• eventuali bolle d’aria presenti all’interno del sistema devono essere aspirate con una siringa;
• i punti di raccordo devono essere stretti accuratamente.

Livellamento e azzeramento
Nella rilevazione delle pressioni per il monitoraggio emodinamico (e quindi della pressione arteriosa, veno-
sa centrale e polmonare), la rilevazione viene riferita al livello cardiaco (e più precisamente atriale): questo
perché uno dei determinanti della pressioni che vengono rilevate è la pressione idrostatica, definita come
la pressione esercitata da una colonna di fluido sulle pareti di un contenitore. Il settaggio del sistema di
trasduzione richiede quindi l’individuazione di un livello flebostatico (corrispondente alla linea orizzontale
che attraversa l’asse flebo statico, ovvero il punto di incrocio tra la linea immaginaria che parte dal 4’ spazio
intercostale sulla marginosternale e si prolunga fino all’ascella, e la linea intermedia fra superficie anteriore
e posteriore del torace), in corrispondenza del quale viene posto il sistema di trasduzione per eliminare l’ef-
fetto della pressione idrostatica. Il livellamento scorretto del sistema di trasduzione produce alterazioni nella
rilevazione dei valori pressori pari a 0.73 mm Hg per ogni cm H2O: se il trasduttore è posizionato al di sopra
del livello flebostatico, il valore pressorio registrato sarà minore, se è posizionato al di sotto sarà maggiore.

Figura 11 - Corretto livellamento

Il secondo passaggio prevede l’azzeramento del sistema, ovvero l’attribuzione di un “punto zero” (corrispon-
dente alla pressione atmosferica), sopra il quale viene misurata la pressione. Per fare ciò, il trasduttore viene
messo in collegamento con l’aria ambiente (utilizzando l’apposito rubinetto a tre vie ed escludendo la linea
che collega il trasduttore al paziente) e viene dato il comando di azzeramento al monitor. Questo passaggio
consente di associare un valore numerico all’onda di pressione.

Accuratezza dei sistemi di misurazione


Le misurazioni di pressioni endovascolari vengono utilizzate per la valutazione dell’andamento clinico del
paziente, e per adattare i trattamenti terapeutici utilizzati. Pertanto è essenziale testare l’accuratezza dei
sistemi di misurazione che vengono utilizzati. I test di risposta dinamica dei sistemi di misurazione delle
pressioni vengono utilizzati a tale scopo. Per fare ciò, il sistema viene sottoposto ad una pressione elevata
in modo improvviso, utilizzando la valvola fast-flush presente sul trasduttore di pressione. Poiché la sacca di
lavaggio viene mantenuta ad una pressione di 300 mmHg, e la scala di visualizzazione della curva pressoria
generalmente ha come limite superiore 200 mmHg, un lavaggio rapido di 1-2 secondi produce un grafico (si-
mile ai tre lati di un quadrato, motivo per cui il test viene definito dell’onda quadra) con una fase ascendente

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

verticale (quando il flusso viene aperto), una linea piatta (quando il flusso viene mantenuto) e una fase rapida
discendente (quando il flusso cessa).

L’onda quadra dovrebbe tornare rapidamente alla baseline dopo alcune oscillazioni rapide. Se le oscillazioni
sono lente, il sistema è soggetto a un eccesso di smorzamento del segnale (si dice “overdamping”), che
ha come effetto una sottostima della pressione sistolica e una sovrastima della pressione diastolica. Al
contrario, quando si ha un difetto di smorzamento del segnale (si dice “underdamping”), l’onda quadra sarà
seguita da multiple ampie oscillazioni e l’effetto registrato sarà una sovrastima della pressione sistolica e
una sottostima della pressione diastolica. La valutazione della risposta dinamica del sistema considera sia
la frequenza delle oscillazioni prodotte con il test dell’onda quadra che la loro ampiezza. Per quanto riguarda
la frequenza, si considera come ottimale una distanza minima tra le oscillazioni; per l’ampiezza si considera
che l’altezza della seconda oscillazione dovrebbe essere all’incirca 1/3 rispetto alla prima.

L’eccesso di smorzamento può avere come cause:


• utilizzo di tubi non semirigidi (che “disperdono” sulla lunghezza il segnale);
• utilizzo di tubi eccessivamente lunghi (non dovrebbero superare i 120 cm);
• presenza di bolle d’aria nel sistema;
• particolari caratteristiche del catetere (diametro, lunghezza e rigidità).

Accorgimenti per il riempimento del sistema di monitoraggio delle pressioni invasive

1. Preparazione del materiale necessario:


• kit monouso per trasduzione delle pressioni;
• sacca di soluzione fisiologica 0.9%;
• premisacca.
2. Riempire il sistema (per rimuovere l’aria):
• stringere le connessioni, chiudere la roller-clamp e ruotare il rubinetto in posizione di chiusura verso il pa-
ziente (aperto verso l’aria ambiente);
• innestare il deflussore nella sacca di soluzione fisiologica;
• aprire la roller clamp, riempire la camera di gocciolamento e, utilizzando la valvola fast-flush, riempire il
sistema fino al rubinetto posto sul trasduttore;
• ruotare il rubinetto in posizione di apertura verso il paziente (chiuso verso l’aria ambiente) e, utilizzando la
valvola fast-flush, riempire la restante parte del sistema (dal trasduttore al connettore distale);
3. ispezionare le linee, rimuovere eventuale aria residua utilizzando la valvola fast-flush;
4. inserire la sacca di soluzione fisiologica nel premi sacca e pressurizzare fino a 250-300 mmHg; ricontrollare
l’eventuale presenza di aria;
5. effettuare un test di risposta dinamica.

Adattato da: Bridges E., (2006), Pulmonary Artery Pressure Monitoring. When, how and what else to use,
AACN Advanced Critical Care. Vol. 17, n. 3; 286-305

Definizioni e significato clinico


La pressione arteriosa sistemica (PA) è la pressione rilevata all’interno di un vaso arterioso (generalmente
radiale o femorale). I cateteri utilizzati a tale scopo variano per lunghezza e calibro (fino a 5-6 Fr per quelli
inseriti in arteria femorale). La pressione arteriosa sistemica è la risultante della pressione emodinamica
(ovvero quella trasmessa dalla contrazione del ventricolo sinistro), cinetica (connessa al flusso) e idrostatica
(connessa alla densità e alla forza di gravità) che viene esercitata sulle pareti del circolo arterioso sistemico.
La pressione arteriosa sistolica (PAS -corrispondente al valore pressorio più elevato riscontrato durante il
ciclo cardiaco) è influenzata da diversi fattori (tra cui il precarico, lo stroke volume, la velocità di eiezione
ventricolare, le resistenze periferiche, la distensibilità vascolare e la viscosità del sangue); la pressione dia-
stolica (PAD - corrispondente al valore pressorio più basso riscontrato durante il ciclo cardiaco) è influenzata
dalla viscosità ematica e dalle resistenze sistemiche. La pressione arteriosa media (PAM) viene definita
come la pressione media durante il ciclo cardiaco. In condizioni normali, la pressione arteriosa media viene

23
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

mantenuta costante attraverso un sistema di barocettori che controllano il diametro vascolare, al fine di ga-
rantire un flusso (e quindi una perfusione) adeguata di organi e tessuti, e, a differenza delle pressioni sistolica
e diastolica, non risente delle variazioni legate al sito di misurazione (la pressione sistolica è minore a livello
dell’aorta, maggiore in periferia). La pressione arteriosa media può essere calcolata con la formula

PAM = (PAS + 2PAD) / 3

poiché normalmente nel ciclo cardiaco la durata della diastole è doppia rispetto a quella della sistole.

La pressione venosa centrale (PVC) è la pressione misurata (alla fine della diastole) attraverso un catetere
venoso la cui estremità distale è posta in prossimità dell’atrio destro. Generalmente si assume che questa
pressione sia sovrapponibile alla pressione in atrio destro alla fine della diastole, e per tale motivo la PVC
viene impiegata come indice di precarico. Tuttavia, vi sono numerose condizioni (pneumotorace, emotorace,
tamponamenti cardiaco, ventilazione meccanica a pressione positiva, alterazioni della contrattilità cardiaca)
che possono alterare la PVC, configurando una situazione in cui l’aumento di pressione non corrisponde ad un
aumento di volume. La PVC è la risultante dell’interazione tra la funzionalità cardiaca e il ritorno venoso. Per tale
motivo, le situazioni di ipovolemia relativa (come la Capillary Leak Syndrome) o assoluta (come gli stati emorra-
gici o di perdita massiva di liquidi per vomito o diarrea) generalmente si associano a valori di pressione venosa
centrale bassa; tuttavia, in queste stesse situazioni, una condizione di aumento della pressione intratoracica
può generare valori elevati di PVC che non rispecchiano accuratamente la condizione volemica del paziente.

La pressione arteriosa polmonare (PAP) è la pressione rilevata all’interno di una branca dell’arteria polmonare.
Per misurarla è necessario l’inserimento di un catetere arterioso polmonare (PAC), introdotto nella pratica clinica
a partire dagli anni ’70 e noto anche come catetere di Swan-Ganz, dal nome dei suoi ideatori. È un catetere lungo
fino a 110 cm e provvisto di cinque lumi, la cui apertura sul catetere consente il monitoraggio di diversi parametri:
• lume prossimale con apertura in atrio destro: utilizzato per la misurazione della pressione venosa centrale
e per l’inoculo di indicatore freddo utilizzato per la determinazione della gittata cardiaca;
• lume distale con apertura in arteria polmonare: utilizzato per la misurazione della pressione in arteria
polmonare e, a palloncino gonfio, della pressione di occlusione dell’arteria polmonare; il lume distale può
essere inoltre impiegato per prelevare sangue venoso misto, e determinare il livello di saturazione venosa
mista (vedi paragrafo dedicato);
• lume per infusioni e somministrazioni di farmaci;
• lume per cuffiaggio: utilizzato per l’insufflazione del palloncino posto sulla porzione distale del catetere;
• lume del termistore: con apertura in prossimità del palloncino, viene utilizzato per la determinazione della
temperatura del sangue, è connesso attraverso un cavo al monitor multiparametrico.

Figura 12 - Catetere di Swan-Ganz


Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

24
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Una delle indicazioni principali per l’inserimento del catetere di Swan-Ganz è la valutazione e gestione dell’i-
pertensione polmonare e della gittata cardiaca (che però, come descritto nel paragrafo dedicato, può essere
rilevata con metodiche a minore invasività). Va sottolineato però come diversi studi e metanalisi non abbiano
evidenziato miglioramenti dell’outcome connessi all’impiego di questo device. Il catetere di Swan-Ganz vie-
ne posizionato utilizzando un introduttore, inserito per via percutanea (in vena giugulare interna o succlavia)
con metodica analoga a quella utilizzata per il posizionamento dei cateteri venosi centrali; alcuni modelli di
introduttori sono provvisti di lumi accessori per l’infusione di farmaci e fluidi. La profondità di inserimento
del catetere varia ovviamente a seconda del paziente (indicativamente si aggira intorno ai 50 cm), e viene
determinata attraverso la presenza di tacche sottili (poste a 10 cm di distanza l’una dall’altra) e grosse (poste
a 50 cm di distanza le une dalle altre). Questa procedura è caratterizzata da un alto livello di invasività, e
pertanto il paziente deve essere strettamente monitorato (in particolare per la possibile insorgenza di aritmie
maligne durante l’attraversamento delle camere cardiache). Inoltre, per l’elevato rischio infettivo connesso al
posizionamento del catetere, la procedura va effettuata adottando le misure di barriera massimale; in sede di
posizionamento, è anche possibile rivestire con una guaina la porzione di catetere non inserita, in modo da
mantenerne la sterilità nel caso in cui sia necessario riposizionare il catetere (ad esempio per una migrazio-
ne). Per l’inserimento del catetere di Swan-Ganz è necessario connettere i lumi prossimale e distale a due
trasduttori di pressione: la migrazione della punta del catetere attraverso la camere cardiache destre e il suo
ingresso in arteria polmonare consentirà infatti la visualizzazione al monitor di forme d’onda specifiche, che
sono indispensabili per il corretto posizionamento del catetere.

Figura 13 - Forme d’onda visualizzate durante il posizionamento del catetere di Swan-Ganz


Tratta da: Marino P.L., The ICU BOOK, Lippincott Williams & Wilkins, 2007

Una volta posizionato, il catetere consente la visualizzazione continua dell’onda di pressione atriale destra
e arteriosa polmonare. In condizioni normali, i valori di PAP sistolica si attestano intorno ai 20-30 mmHg,
quelli di PAP diastolica intorno ai 5-10 mmHg, quelli di PAP media sono inferiori ai 20 mmHg; la determi-
nazione della PAP è necessaria per identificare le condizioni di ipertensione polmonare. Poiché il range
di valori entro cui si muove la determinazione della PAP è molto minore rispetto a quello della pressione
arteriosa sistemica, è intuitivo come uno scorretto livellamento del trasduttore possa produrre dati non
corrispondenti alla condizione clinica del paziente. Per tale motivo, il livellamento (e quindi l’azzeramento
del trasduttore di pressione) dovrebbe essere effettuato ogni qualvolta che viene modificata la posizione
del paziente (vedi figura), e non è raccomandata la rilevazione della PAP quando il paziente si trova in po-
sizione laterale destra o sinistra.

25
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Il gonfiaggio del palloncino consente di misurare la pressione di incuneamento dell’arteria polmonare


(PAWP – Pulmonary Artery Occlusion Pressure o PAWP – Pulmonary Artery Wedge Pressure): il palloncino
cuffiato occlude un ramo dell’arteria polmonare, e la pressione che viene trasmessa al trasduttore è quella
a valle del palloncino (rilevata dal lume distale): tale pressione è in equilibrio con quella del letto vascolare
capillare polmonare, che a sua volta, poiché nel circolo polmonare non sono presenti valvole, riflette la pres-
sione in atrio sinistro. Se non sono presenti patologie a carico della valvola mitrale, si può assumere che tale
pressione rifletta la pressione telediastolica in ventricolo sinistro. La pressione di incuneamento viene quindi
utilizzata (con i limiti legati alla non linearità della relazione pressione-volume) come indice di precarico del
cuore sinistro. La pressione di incuneamento è generalmente compresa tra 4 e 12 mmHg, e valori superiori
sono indicativi della comparsa di edema polmonare, che è associato a cause cariogene quando il valore è
superiore a 18 mmHg.

Oltre che dalle problematiche legate ad azzeramento, livellamento e risposta dinamica del sistema, la deter-
minazione della PAP e della PAOP è influenzata anche dalla zona polmonare dove si posiziona la punte del
catetere, dalle variazioni respiratorie e dall’aumento della pressione intrapleurica. In particolare, le misura-
zioni della PAOP sono più accurate nella zona III (in cui la pressione alveolare è inferiore a quella arteriosa
polmonare). Inoltre, la misurazione della PAOP è più accurata nella fase tele-espiratoria, quando l’influenza
della pressione intratoracica e dei volumi polmonari sulla traccia pressoria è minima.

Il catetere di Swan-Ganz è inoltre impiegato per la determinazione della gittata cardiaca con metodo della
termodiluizione (vedi paragrafo dedicato).

Forme d’onda
All’interno di un vaso arterioso, la forma d’onda individuata è strettamente interconnessa con le fasi del ciclo
cardiaco, ed è caratterizzata dalla presenza di una fase ascendente (anacrotica), che ha inizio con l’apertura del-
la valvola aortica, e la cui altezza e pendenza dipendono dallo stroke volume e dalla contrattilità del ventricolo
sinistro. La fase ascendente culmina con il picco sistolico, corrispondente alla massima pressione generata
dalla contrazione ventricolare, e che corrisponde alla pressione arteriosa sistolica. A questa segue una fase
discendente, che ha inizio nella fase tardiva della sistole (quando il flusso ematico ventricolare inizia a diminu-
ire), durante la quale la chiusura della valvola aortica produce la caratteristica incisura dicrota, dopo la quale il
livello della pressione si attesta sul valore diastolico. La morfologia delle forme d’onda pressoria arteriosa può
variare in base alla sede dove viene rilevata la pressione stessa, poiché all’aumentare della distanza tra il cuore
e il punto di rilevazione, aumenta anche l’effetto di riflessione anterograda e retrograda dell’onda pressoria.

Figura 14 - Forme d’onda nei diversi siti di rilevazione della pressione arteriosa
Tratta da: Sladen A. & Feinstein, Invasive monitoring and its complications,
in Intensive Care Unit. critical Care medicine, 1990 18(12) 1500

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Anche l’età può influenzare la morfologia dell’onda di pressione arteriosa sistolica, dal momento che la
riduzione della compliance vascolare correlata all’invecchiamento può ritardare la comparsa del picco di
pressione arteriosa e attenuare la curva di pressione diastolica.

La forma d’onda della PVC riflette i cambiamenti di pressione che hanno luogo all’interno dell’atrio destro in
relazione al flusso sanguigno durante le diverse fasi del ciclo cardiaco.

L’onda A si crea dopo l’onda P dell’elettrocardiogramma durante l’intervallo PR. Essa riflette l’aumento di pressio-
ne che ha luogo con la contrazione atriale, e per tale motivo può non essere visibile nei soggetti con alterazione
della contrattilità atriale (ad esempio nei pazienti con fibrillazione atriale). La PVC viene rilevata a metà della
flessione X, poiché questo punto corrisponde sul tracciato elettrocardiografico alla fase di rilassamento atriale.

L’onda C si crea alla fine del complesso QRS (quando inizia il tratto ST) sul tracciato elettrocardiografico. Essa
riflette la chiusura della valvola tricuspide e può non essere sempre visualizzabile.

L’onda V si verifica alla fine dell’onda T sul tracciato elettrocardiografico, e riflette l’aumento della pressione
atriale dovuta al suo riempimento.

La flessione Y si crea prima dell’onda P sul tracciato elettrocardiografico e riflette l’apertura della valvola
tricuspide e il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo prima della contrazione atriale.

Figura 15 - Forma d’onda della pressione venosa centrale


Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

Il valore di PVC che viene visualizzato al monitor è ottenuto come media dei valori registrati durante l’intero ciclo
cardiaco. Per ottenere misurazioni accurate della PVC è importante registrare questo valore al termine dell’espi-
razione, in modo da eliminare l’influenza generata dall’aumento della pressione intratoracica. Sarebbe pertanto
opportuno utilizzare un tracciato stampato oppure utilizzare la funzione di “congelamento” dell’onda (con l’appo-
sito cursore). Come precedentemente accennato, la PVC va registrata a metà della flessione X, in corrispondenza
della fase finale dell’espirazione (sia nei pazienti in respiro spontaneo che in quelli in ventilazione meccanica).

La curva della PAP ha una morfologia simile a quella della pressione arteriosa sistemica (rapida ascesa, pic-
co, decremento, incisura dicrota e ritorno ai valori di base).

Figura 16 - Forma d’onda della pressione arteriosa polmonare


Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Aspetti assistenziali
La gestione dei cateteri per monitoraggio segue le indicazioni presenti all’interno delle linee guida dei CDC
di Atlanta per quanto concerne la medicazione, la manipolazione dei raccordi e la sostituzione delle linee.

La rimozione del catetere arterioso radiale e femorale è normalmente gestita dall’infermiere. Si tratta di
una procedura che richiede alcuni accorgimenti, al fine di evitare l’insorgenza di complicanze, in particolare
legate ad una compressione non adeguata che può esitare nella formazione di ematomi sottocutanei e
pseudoaneurismi. La rimozione del catetere arterioso è indicata in caso di malfunzionamento, impossibili-
tà a prelevare sangue, segni locali di infezione, segni di ipoperfusione a carico dell’arto interessato, e tutte
le volte in cui il paziente venga trasferito ad una struttura di cure non intensive. La manovra da garantire
dopo la rimozione di catetere arterioso (anche qualora questa avvenga per cause accidentali, ad esempio
lo sfilamento durante medicazione o l’autorimozione da parte del paziente) è una adeguata compressione
fino a che non si sia arrestato il flusso ematico; per i cateteri radiali, questa manovra può avere una durata
di 10 minuti, al termine dei quali viene posizionata una medicazione compressiva; per i cateteri femorali i
tempi di compressione sono più lunghi (almeno 30 minuti, ma si può arrivare all’applicazione per alcune
ore nel caso di dispositivi meccanici); si può ricorrere a metodiche di compressione manuale o meccanica
(ad esempio il Femostop®); le prime comportano l’applicazione di una pressione esercitata sul punto di
inserzione con due dita o con il pugno chiuso; le seconde prevedono l’utilizzo di dispositivi dotati di una
cuffia (che viene applicata sul punto di inserzione e mantenuta in sede per mezzo di apposite “cinture”,
o con sistemi adesivi) al cui interno la pressione viene regolata per mezzo di un manometro; la pressio-
ne all’interno della cuffia viene regolata inizialmente ad un livello superiore a quello del paziente, e poi
gradualmente ridotta, fino alla rimozione del dispositivo; durante la permanenza in sede del dispositivo di
compressione, l’arto interessato viene valutato periodicamente per identificare precocemente segni di
ridotta perfusione. Le metodiche manuali sono relativamente poco costose, ma impiegano tempo assi-
stenziale infermieristico e non consentono la valutazione delle pressioni applicate sul sito di inserzione. Le
metodiche meccaniche sono relativamente più costose e richiedono un training minimo, ma consentono
una valutazione più accurata delle pressioni applicate (e conseguentemente, dell’efficacia della compres-
sione esercitata), e possono comportare un maggiore dolore e disconfort per il paziente (anche perché
richiedono l’applicazione per tempi più lunghi rispetto alla compressione manuale). Per quanto riguarda
l’insorgenza di complicanze (ematomi, emorragie, pseudoaneurismi), non è stata dimostrata una mag-
giore efficacia di una metodica rispetto all’altra; tuttavia, va sottolineato che i campioni di pazienti studiati
erano generalmente ridotti; inoltre, le metodiche considerate sono state sempre applicate a gruppi di pa-
zienti sottoposti a cateterismo arterioso femorale in seguito a coronarografia; pertanto le conclusioni degli
studi considerati sono difficilmente applicabili ai pazienti di terapia intensiva, nei quali la maggiore durata
della permanenza del catetere può predisporre a maggiori difficoltà nel raggiungimento dell’emostasi. Nei
pazienti studiati, inoltre, non sono stati evidenziati dati di coagulazione (PTT, InR, conta piastrinica) predit-
tivi per l’insorgenza di complicanze.

3. IL MONITORAGGIO DELLA GITTATA CARDIACA

La gittata cardiaca è una misura di flusso; essa indica la quantità di sangue espulsa dai ventricoli in un minu-
to. In un soggetto adulto in condizioni normali, questa determinazione si aggira intorno ai 5 l/min. La gittata
cardiaca viene definita come prodotto della frequenza cardiaca e della gittata sistolica (o stroke volume), che
generalmente è di 60-100 ml per battito. Il metodo gold standard (rispetto al quale tutte le altre metodiche
vengono valutate) per la determinazione della gittata cardiaca si basa sul principio della termodiluizione a
freddo (utilizzando un catetere arterioso polmonare), che consiste nell’iniezione di un bolo (a volume pre-
determinato) di liquido (indicatore) a temperatura data; l’iniezione produce una riduzione di temperatura

28
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

rispetto al suo valore basale; la progressiva dispersione dell’indicatore freddo e il ritorno della temperatura al
valore basale sono una funzione della gittata cardiaca.

L’iniezione dell’indicatore viene effettuata attraverso il lume prossimale del catetere di Swan-Ganz. La varia-
zione di temperatura viene intercettata dal termistore posto in prossimità del palloncino, e visualizzata come
una curva, in cui il tempo è rappresentato sull’asse orizzontale e la temperatura su quello verticale.

Figura 17 - Curva di termodiluizione


Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

La curva è caratterizzata da una fase di ascesa rapida, da un picco e da un ritorno più lento al valore basale
della temperatura. L’area sotto la curva è inversamente proporzionale al tempo necessario per il ritorno alla
temperatura basale: nelle condizioni di aumento della gittata cardiaca, quindi, la pendenza della parte discen-
dente della curva sarà elevata; nelle condizioni di riduzione della gittata cardiaca, la pendenza della parte
discendente della curva sarà ridotta.

Figura 18 - Curva di termodiluizione in condizioni di alta e bassa gittata cardiaca


Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

Affinché la determinazione della gittata cardiaca sia accurata, è necessario rispettare alcuni principi:

• la temperatura di base del paziente deve essere costante;


• l’iniezione deve essere fatta a bolo e rapidamente;

29
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

• il volume del bolo (freddo o a temperatura ambiente) deve essere adeguato a produrre una variazione di
temperatura significativa;
• non deve esservi perdita di indicatore (ad esempio per un inadeguata connessione della siringa ), e que-
sto si deve disperdere completamente;
• il flusso ematico deve essere costante.

L’accuratezza della misurazione può essere influenzata da condizioni cliniche del paziente: nell’insufficienza
tricuspidale, ad esempio, si verifica un flusso anterogrado e retrogrado che può determinare una inadeguata
dispersione dell’indicatore freddo. Inoltre, il flusso ematico subisce delle variazioni a seconda del fatto che il
paziente sia in ventilazione meccanica o in respiro spontaneo, e durante le fasi del ciclo inspiratorio. L’accu-
ratezza della misurazione è correlata al rispetto di alcuni principi:

• temperatura dell’iniettato: la variazione di temperatura osservata è funzione della differenza tra la tempe-
ratura corporea del paziente e quella dell’iniettato; l’iniettato può essere utilizzato a temperatura ambiente
o precedentemente raffreddato in frigorifero (è fondamentale immettere il dato di temperatura dell’iniet-
tato per il calcolo della gittata cardiaca); nel primo caso saranno necessari volumi maggiori rispetto al
secondo; se l’iniettato è freddo, è importante evitarne il riscaldamento (ad esempio tenendo la siringa tra
le mani, o lasciandolo a temperatura ambiente per un tempo troppo lungo);
• velocità dell’iniezione: deve essere rapida (al massimo 4 secondi per un volume di 10 ml, 2 secondi per
un volume di 5 ml);
• l’iniezione dell’indicatore deve preferibilmente iniziare durante la fase teleespiratoria.

Vengono ottenute 3 o 5 curve di termodiluizione (a tale proposito, si ricorda che sarebbe importante regi-
strare la quantità di liquido iniettato per le determinazioni, particolarmente in pazienti con indicazione alla
restrizione di fluidi), e selezionate le 3 con il valore più vicino a quello mediano; il dato di gittata cardiaca viene
calcolato come media di questi tre valori.

I fattori che influenzano la gittata cardiaca (in particolare che concorrono alla determinazione dello stroke
volume) sono il precarico, la contrattilità, il postcarico.

Il precarico è riferito alla distensione delle fibre miocardiche alla fine della diastole, ovvero nel momento di
massimo riempimento del ventricolo. La distensione delle fibre dipende dal volume di sangue presente, e
come tale il precarico dipende dalla volemia del paziente; per la legge di Frank-Starling, la forza di contrazione
del ventricolo aumenta con l’aumentare della distensione delle fibre miocardiche; tuttavia, quando il muscolo
viene disteso al disopra delle proprie capacità, la contrattilità si riduce. Il precarico è stato storicamente stimato
utilizzando misure di pressione; tuttavia va considerato che la relazione pressione-volume a livello cardiaco è
di tipo curvilineo e non rettilineo; ciò comporta che, in un ventricolo compliante, in una prima fase aumenti
relativamente consistenti di volume producono piccole variazioni di pressione; in un ventricolo non compliante,
piccoli aumenti di volume generano maggiori aumenti di pressione (figura). L’introduzione di misure volume-
triche attraverso particolari sistemi di monitoraggio ha consentito la determinazione più precisa di indici di
precarico. Le più significative sono rappresentate dall’ITBV (Intra Thoracic Blood Volume, corrispondente al vo-
lume ematico intratoracico) e dal GEDV (Global End Diastolic Volume, corrispondente al volume ematico delle
quattro camere cardiache alla fine della diastole), anch’esse indicizzate sulla superficie corporea del paziente.

Questi indici vengono derivati analizzando il tempo di transito delle molecole di indicatore freddo dal pun-
to di iniezione (catetere venoso centrale) al punto di rilevamento della variazione di temperatura (catetere
arterioso), e dal tempo di decadimento (rappresentato dalla parte discendente) della curva di termodiluizio-
ne. Combinando i volumi ottenuti è possibile calcolare anche il volume di acqua extravascolare polmonare
(EVLW - ExtraVascular Lung Water), che rappresenta un indice più affidabile di edema polmonare rispetto
alla PAOP; normalmente, l’EVLW è inferiore a 6ml/kg di peso corporeo, quando aumenta l’acqua si raccoglie
negli spazi interstiziali polmonari determinando un progressivo peggioramento degli scambi gassosi.

30
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

La contrattilità si riferisce alla capacità delle fibre cardiache di accorciarsi indipendentemente dal precarico e
dal postcarico. La contrattilità non può essere misurata direttamente, e pertanto si utilizzano indicatori surro-
gati come lo stroke volume. La contrattilità può essere migliorata attraverso l’uso di inotropi.

Il postcarico viene definito come la resistenza che il cuore deve vincere per eiettare il sangue nel letto vasco-
lare; esso è determinato da numerosi fattori, come il volume di sangue espulso, la dimensione e lo spessore
del ventricolo, e le resistenze vascolari. Il postcarico può essere migliorato con l’utilizzo di vasodilatatori.

Nella pratica clinica, la gittata cardiaca viene rapportata alla superficie corporea del paziente ottenendo l’in-
dice cardiaco (espresso come l/min/m2), in modo da controllare l’influenza che le dimensioni dei soggetti
possono avere sulla determinazione di questo parametro.

Alcuni cateteri di Swan-Ganz modificati consentono la determinazione della gittata cardiaca attraverso il me-
todo della termodiluizione inversa: il principio a cui ci si riferisce è sempre l’equazione di Stewart-Hamilton,
tuttavia la temperatura del sangue viene aumentata riscaldando un filamento termico in rame posto sull’e-
stremità distale del catetere. Queste determinazioni vengono realizzate ad intervalli di 3-6 minuti, e pertanto
la metodica viene definita come semicontinua; il dato di gittata cardiaca che si ottiene non è contestuale.

Figura 19 - Catetere di Swan-Ganz modificato per la rilevazione della saturazione venosa continua
Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano

Altri metodi per la misurazione della gittata cardiaca


L’elevata invasività e i rischi connessi al posizionamento del catetere di Swan-Ganz riducono l’applicazione a
pazienti e condizioni molto selezionate. Tuttavia, altre metodiche consentono la determinazione della gittata
cardiaca con minori livelli di invasività.

Queste metodiche si distinguono per:


• continuità della misurazione;
• necessità di calibrazione;
• invasività;
• affidabilità delle misurazioni.

Una prima considerazione va fatta sulle metodiche di termodiluizione transpolmonare: esse utilizzano un ca-
tetere venoso centrale per l’iniezione del bolo e rilevano la variazione di temperatura con un termistore su un
catetere arterioso inserito in un’arteria di grosso calibro (generalmente la femorale o l’ascellare). L’invasività
di questa metodica è inferiore (less invasive) rispetto a quella del PAC. L’iniezione di bolo freddo (a volume
maggiore rispetto a quella usata con il PAC, poiché la distanza tra il punto di iniezione e quello di rilevazione
della variazione di temperatura è maggiore) consente di determinare la gittata cardiaca con l’equazione di

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Stewart-Hamilton; a partire dalla curva ottenuta, il sistema calcola un coefficiente (legato alla compliance
dell’aorta) che viene utilizzato per il calcolo della gittata cardiaca in continuo a partire dall’analisi del contorno
del polso (ovvero dell’area sotto la curva di pressione arteriosa sistolica). In questo modo, è possibile otte-
nere misurazioni della gittata cardiaca battito per battito, ed intercettare tempestivamente le sue variazioni.
La gittata cardiaca ottenuta con questo tipo di monitoraggio ha evidenziato una eccellente correlazione con
quella rilevata mediante PAC tradizionale e modificato. Il monitoraggio presenta tra i suoi vantaggi anche un
training relativamente semplice per gli operatori, ed è possibile utilizzarlo in diverse condizioni cliniche (sep-
si, ARDS, trapianti). La metodica richiede la ricalibrai zone del sistema nel caso in cui intervengano importanti
variazioni della pressione arteriosa del paziente (poiché il dato di gittata cardiaca continua viene derivato
dall’analisi della forma d’onda arteriosa).

Un’altra metodica per la determinazione della gittata cardiaca continua prevede l’analisi del contorno del
polso con l’inserimento di un semplice catetere arterioso (anche a livello radiale). L’invasività in questo caso
è ridotta (minimally invasive) e non vi è necessità di calibrazione. Il sistema utilizza un algoritmo per derivare
lo stroke volume dall’analisi della forma d’onda arteriosa (a intervalli di 20 secondi). Il dato di gittata cardiaca
così ottenuto è continuo, e non richiede calibrazione iniziale. Trattandosi di una metodica non calibrata, la sua
affidabilità è minore in condizioni iperdinamiche.

4. IL MONITORAGGIO DELLA SATURAZIONE VENOSA DI OSSIGENO

La saturazione venosa di ossigeno è definita come la percentuale di emoglobina saturata da ossigeno a livel-
lo del circolo venoso, analogamente a quanto avviene sul distretto arterioso. La valutazione della saturazione
venosa di ossigeno è di fondamentale importanza per comprendere il bilancio tra disponibilità e consumo
di ossigeno. Essa può essere valutata mediante prelievo ematico per emogasanalisi da catetere venoso
centrale (preferibilmente sulla via distale; in questo caso si parla ScvO2) o da catetere di Swan- Ganz (utiliz-
zando il lume della pressione polmonare; in questo caso si parla di SvO2). Quando disponibile, è preferibile
la determinazione da catetere di Swan-Ganz, in quanto il prelievo ottenuto assicura la mescolanza di san-
gue proveniente da tutti i distretti corporei (superiore e inferiore, circolo coronarico); tuttavia, la saturazione
venosa centrale di ossigeno rappresenta un ottimo surrogato di quella mista. Attraverso particolari cateteri
provvisti di fibre ottiche e inseriti all’interno di un catetere venoso centrale o del catetere di Swan-Ganz, è
possibile la visualizzazione continua a monitor dei valori di saturazione venosa centrale, dopo calibrazione in
vitro mediante prelievo emogasanalitico.

La saturazione venosa di ossigeno rappresenta la quantità di ossigeno che ritorna al cuore dopo che le cel-
lule dei tessuti hanno estratto l’O2 necessario al proprio fabbisogno. Essa è determinata dalla differenza tra
l’apporto di ossigeno (Oxygen Delivery - DO2) e il consumo di ossigeno cellulare per il metabolismo aerobio
(Oxygen Consumption - VO2).

I determinanti della DO2 sono rappresentati da:


• gittata cardiaca;
• emoglobina;
• saturazione arteriosa di ossigeno e pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso.

La DO2 viene indicizzata sulla superficie corporea del paziente.

Il consumo di ossigeno viene calcolato come prodotto della gittata cardiaca per la differenza tra contenuto
arterioso e venoso di ossigeno. Normalmente, la quantità di ossigeno che viene trasportata è di circa 1000
ml al minuto, quella consumata di 250 ml al minuto. La differenza (che rappresenta la riserva venosa di

32
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

ossigeno) serve nel caso di aumenti della richiesta di ossigeno a livello cellulare (ad esempio nelle condizioni
di aumentata attività fisica o negli stati ipermetabolici, come in caso di incremento della temperatura). I
valori normali di saturazione venosa centrale di ossigeno sono del 70-75%, e rappresentano con buona ap-
prossimazione quelli della saturazione venosa mista (che può essere inferiore del 5-7%). La valutazione della
saturazione venosa di ossigeno fornisce informazioni sulla necessità di aumentato consumo (in cui i valori
riscontrati saranno pertanto inferiori rispetto al normale) o ridotta estrazione a livello periferico (in cui i valori
saranno aumentati rispetto al normale). Nel primo caso, verranno attuati interventi per migliorare le capacità
del sistema di trasporto (ad esempio, correggendo l’ipossiemia, aumentando il livello di emoglobina, miglio-
rando la funzione di pompa del cuore con l’utilizzo di inotropi). Le condizioni di aumentata saturazione venosa
di ossigeno sono quelle in cui la cellula perde la propria capacità estrattiva a causa di un danno cellulare (che
evolve poi nel danno d’organo).

La saturazione venosa centrale di ossigeno è stata utilizzata, insieme ad altri parametri, come goal terapeu-
tico nell’ottimizzazione emodinamica di pazienti ad alto rischio (sepsi severa e shock settico, postoperati).
Negli studi che hanno utilizzato questo approccio, è stata evidenziata una correlazione con la sopravvivenza
dei pazienti quando l’ottimizzazione veniva iniziata precocemente, ovvero prima che il danno d’organo che si
instaura diventi irreversibile.

Tavola “Condizioni cliniche associate con cambiamenti dell’ossigenazione venosa”

CAUSE DI RIDUZIONE CAUSE DI AUMENTO


DELLA SATURAZIONE VENOSA DI OSSIGENO DELLA SATURAZIONE VENOSA DI OSSIGENO

Riduzione della disponibilità di ossigeno Aumento della disponibilità di ossigeno


Riduzione della saturazione di ossigeno Aumento della saturazione di ossigeno
• Problemi respiratori (edema polmonare, • Ossigenoterapia
polmonite..) • PEEP
• Embolia polmonare • Miglioramento della condizione respiratoria
• Alterazioni della ventilazione o della perfusione Aumento dell’emoglobina
Riduzione di emoglobina • Trasfusioni ematiche
• Emorragie • Policitemia
• Anemia Aumento della gittata cardiaca
Riduzione della gittata cardiaca • Pacing
• Aritmie • Fluidoterapia
• Shock ipovolemico, cardiogeno • Somministrazione di inotropi
• Condizioni ostruttive (tamponamento, • Vasodilatatori
pneumotorace iperteso)

Aumento del consumo di ossigeno Riduzione del consumo di ossigeno


• Alcune attività assistenziali (mobilizzazione, Riduzioni della necessità cellulare
tracheoaspirazione) • Ipotermia
• Ansia, dolore, agitazione • Blocco neuromuscolare
• Condizioni di aumento del consumo metabolico • Farmaci analgesici, anestetici, sedativi, antipiretici
(ustioni, trauma, febbre, brivido)
• Ipertermia Riduzione dell’apporto cellulare
• Vasocostrizione
• Coagulazione intravascolare disseminata
Riduzione della funzionalità cellulare
• Ischemia cellulare, necrosi
• Tossicità cellulare

Adattato da Carlson K. (2009), AACN Advanced Critical Care Nursing, Saunders Elsevier, St. Louis

33
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

Considerazioni conclusive
L’assistenza al paziente critico non può prescindere dalla conoscenza da parte dell’infermiere dei sistemi di
monitoraggio bedside che vengono impiegati. Le indicazioni fornite rappresentano il punto di partenza per
arrivare ad una gestione esperta delle tecnologie e delle informazioni da esse derivanti, che deve essere
coniugato con l’esperienza quotidiana. Si è scelto di non dedicare particolare attenzione alla descrizione delle
singole tecnologie di monitoraggio, ma di sottolineare piuttosto come si sia evoluta la disponibilità, e di come
sia cambiato l’approccio al monitoraggio emodinamico, in particolare con l’impiego sempre più diffuso di dati
continui e di indici volumetrici. Sebbene la scelta del monitoraggio emodinamico da impiegare sul singolo
paziente non rientri tra le decisioni infermieristiche, è importante sottolineare come l’appropriato settaggio
delle linee, la corretta rilevazione dei dati (anche attraverso specifiche manovre di misura), la valutazione dei
trend e il riconoscimento del deterioramento clinico (anche attraverso l’opportuna impostazione di limiti di
allarme) rientrano tra le attività che l’infermiere gestisce quotidianamente in terapia intensiva, e rispetto alle
quali conoscenze e competenze devono essere continuamente aggiornate.

BIBLIOGRAFIA

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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO

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Tutorial

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http://www.pulsion.com/international-english/academy/education-movie/picco2/, accessed 31.08.2014

35
Capitolo III
Il monitoraggio respiratorio di base
Stefano Bambi, Alberto Lucchini, Andrea Gafforelli, Daria Valsecchi

1. VALUTAZIONE CLINICA RESPIRATORIA DEL PAZIENTE IN TERAPIA INTENSIVA


Stefano Bambi, Alberto Lucchini

Nonostante che la medicina critica e intensiva siano caratterizzate da un imponente impiego tecnologico in
termini di strumentazione diagnostica e terapeutica, il primo approccio alla valutazione del paziente rimane
sempre l’esame clinico, che comprende la valutazione dei segni, sintomi e fattori di rischio per i problemi
respiratori, e un accurato esame obiettivo. Questo permette anche di evitare di curare le macchine, prima
che la persona, in un ambiente dove l’interazione tra questi 2 elementi è peculiare.

Naturalmente l’esame obiettivo deve essere preceduto da una raccolta di dati anamnestici inerenti i segni,
sintomi, e i fattori di rischio per problemi respiratori; in particolare devono essere esplorati: tosse, escreato,
dispnea, sibilo, dolore toracico (tabella 1).

Il processo di esame obiettivo del sistema respiratorio comprende: l’ispezione, la palpazione, la percussione
e l’auscultazione. L’esame deve essere condotto rispettando la sequenza riportata in figura 1.

Ispezione
L’ispezione prevede innanzitutto di dividere topograficamente il torace posteriore mediante le linee scapolari
destra e sinistra, e la linea vertebrale. Anteriormente si identificano, invece, la linea mediosternale e medio-
clavicolare di destra e sinistra. Infine, lateralmente si trovano le linee ascellari destre e sinistre (anteriore,
media e posteriore). Si osserva la conformazione del torace, la presenza di deformazioni, lesioni, cicatrici e la
simmetricità e profondità dell’espansione del torace. Importante il rilievo dell’uso dei muscoli accessori della
respirazione (trapezio, sternocleidomastoideo e scaleni) in fase inspiratoria e/o espiratoria. Si tenga presente
che l’osservazione del paziente in ventilazione meccanica assume caratteristiche differenti rispetto a quelle
della persona a respiro spontaneo. L’asimmetria dell’espansione toracica può esser segno di intubazione
del bronco principale, versamento pleurico, atelectasia, consolidamento, lobectomia, pneumotorace e pneu-
mectomia. Il movimento paradosso di una porzione della gabbia toracica, dato da retrazione delle coste in
fase inspiratoria e protrusione in espirazione, può esser provocato da volet costale o sternale.

L’ispezione inizia con la valutazione della frequenza respiratoria (FR) del paziente, i cui valori normali sono

36
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

circa 12-20 atti/m’. Accanto alla FR è importante anche osservare il rapporto inspirazione:espirazione (I:E), in
genere intorno a 1:2, per permettere la regolare eliminazione della CO2. I pattern respiratori patologici sono
riportati in tabella 2. Nel paziente ventilato l’osservazione della FR e del pattern respiratorio possono essere
molto influenzati dal grado di supporto ventilatorio offerto.

Palpazione
La palpazione del torace viene effettuata sistematicamente alla ricerca di asimmetria tra gli emitoraci, affos-
samenti, deformità, instabilità ossea, crepitii, ed enfisema sottocutaneo. Serve inoltre per elicitare aree di
dolore da parte del paziente, se in grado di riferire il sintomo, e per rilevare il fremito vocale tattile (vibrazioni
determinate dal passaggio dell’aria attraverso bronchi e polmoni). Vibrazioni più intense in un’area rispetto
all’altra suggeriscono la presenza di addensamento parenchimale, mentre se di intensità inferiore, possono
indicare versamento pleurico, enfisema polmonare e pneumotorace. L’ostruzione bronchiale o un versamen-
to pleurico massivo determinano, invece, la scarsità o assenza di vibrazioni nelle sedi superiori e posteriori.

Nel paziente intubato non si possono eseguire manovre per elicitare il fremito vocale tattile, o la risonanza
vocale, a causa della via aerea artificiale attraverso la glottide. Inoltre è difficile verificare con la palpazione
l’eventuale presenza di deviazione dell’asse tracheale perché il tubo tende a fare da splint tracheale, a meno
che la deviazione non sia estremamente marcata, come nel caso del pneumotorace iperteso

Percussione
La percussione è limitata nel paziente critico per la difficoltà a mantenere la posizione seduta a 90°, e per
la presenza di ferite, linee infusive, accessi vascolari, elettrodi di monitoraggio, o altri dispositivi invasivi o
ortopedici. In tabella 3 si riportano i principali rilievi clinici determinati dalla percussione del torace.

Auscultazione
L’auscultazione non dovrebbe essere effettuata da sopra indumenti per la riduzione della capacità di interpre-
tazione dei suoni e per la possibilità di artefatti. Anche una quota eccessiva di peluria toracica può rendere
difficile l’esecuzione dell’esame, simulando crepitii. Viene effettuata sistematicamente secondo lo schema
riportato in figura 1. La distinzione tra suoni normali ed avventizi può esser facilitata mantenendo bene adeso
alla cute il fonendoscopio e auscultando per ogni sede, una inspirazione ed una espirazione completa.

L’auscultazione produce suoni respiratori variabili a seconda della sede in cui viene effettuata: il suono tra-
cheale si apprezza sopra la fossetta sovraclaveare (anteriormente), è di tipo aspro e acuto e ha un tempo
inspiratorio uguale a quello espiratorio; il suono bronchiale si apprezza in sede sopraclavicolare bilaterale
rispetto ai lati sternali, al di sopra del manubrio sternale, è di tipo forte e acuto ed ha un tempo inspiratorio
inferiore a quello espiratorio; il suono broncovescicolare si apprezza anteriormente accanto allo sterno, e
posteriormente in sede interscapolare: è di media intensità ed altezza, ed ha uguale tempo inspiratorio ed
espiratorio; il suono vescicolare si apprezza sulle restanti sedi toraciche anteriori e posteriori, ha un tono
smorzato, basso, e un tempo inspiratorio maggiore di quello espiratorio.

Nel paziente in ventilazione meccanica è più frequentemente effettuata anteriormente e lateralmente, men-
tre dovrebbe esser utilizzata ogni occasione per procedere anche con l’auscultazione delle pareti toraciche
posteriori. Per avere la possibilità di reperti più nitidi, è necessario che la cuffia del tubo tracheale sia adegua-
tamente gonfia, e che non vi sia condensa all’interno del circuito del ventilatore. Le perdite della cuffia del
tubo possono simulare il reperto di un sibilo. Il fonendoscopio non dovrebbe toccare il circuito del ventilatore
per evitare la trasmissione di suoni che potrebbero essere scambiati per avventizi.

I reperti auscultatori per suoni avventizi sono riportati in tabella 4.

37
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Considerazioni particolari
• La dispnea, intensa come sensazione soggettiva di difficoltà alla respirazione, è un sintomo e, come tale,
quando riferito, deve esser preso in considerazione anche se non vi sono reperti clinici oggettivi.
• I segni e sintomi di ipossiemia sono:
- irrequietezza, confusione, disorientamento, poi sopore e coma;
- dispnea, tachipnea, cianosi;
- tachicardia, aritmie;
- ipertensione, poi ipotensione fino allo shock, lesione d’organo.
• I segni e sintomi di ipercapnia sono:
- letargia fino al coma;
- vasodilatazione, arrossamento del volto;
- bradicardia e disturbi del ritmo;
- ipotensione.
• La FR è un parametro vitale oggetto di scarsa attenzione e rilevazione, a fronte della sua reale importanza
e del valore predittivo che detiene nei confronti delle malattie acute e gravi.
• La FR e la SpO2 non sono due parametri intercambiabili, ma necessitano di valutazione integrata: infatti
una saturazione nei limiti del normale in aria ambiente può esser mantenuta, in alcuni casi di insufficienza
respiratoria iniziale, a prezzo di un aumento della FR. La SpO2 quindi non sostituisce la FR.
• Nel paziente a respiro spontaneo senza supporto meccanico della ventilazione, contare gli atti respiratori
per un minuto, per avere una FR attendibile.
• Non affidarsi ai monitor multiparametrici per monitorizzare la FR, dal momento che il parametro viene
derivato dagli elettrodi dell’ECG, ed è molto suscettibile di artefatti di lettura che possono sottostimare o
sovrastimare anche in modo importante la reale FR.
• Il livello di ossigenazione e di scambi della CO2 influenza notevolmente lo stato di coscienza del paziente.
Il monitoraggio respiratorio, richiede quindi particolare attenzione verso il sensorio.

Figura 1 - Sequenza dell’esplorazione delle aree del torace


Tratto da http://nursing-skills.blogspot.it/2014/01/order-of-auscultating-lung-sounds.html#.U3uRU_l_uSo

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 1 - Raccolta dati anamnestici su segni, sintomi, e fattori di rischio di problemi respiratori

Segni e sintomi Rilievi Significato clinico


Tosse Durata Acuta In genere infezione virale o risposta allergie
Cronica Può essere infausta; possibile segno di malattia da
reflusso gastroesofageo, asma, allergie croniche,
bronchite, TBC, o cancro.
Alcuni farmaci possono determinare la tosse come
effetto collaterale (per esempio gli ACE inibitori)
Tipologia Produttiva Generalmente indica qualche infezione o processo
infiammatorio
Secca o non produttiva Può indicare una polmonite “atipica”, o versamento
pleurico, condizione patologica cardiaca sottostante, o
effetto collaterale di radio o chemioterapia
Severità Accertata mediante scala numerica da 0 a 10, dove
possibile.
La tosse che aumenta in severità e frequenza di notte
può indicare malattia cardiaca sosttostante.
La tosse che aumenta dopo i pasti può indicare reflusso
gastroesofageo.
La tosse che peggiora al risveglio può indicare bronchite,
talvolta è chiamata anche “tosse del fumatore”
Escreato Durata Indagare da quanto tempo il paziente manifesta tosse
produttiva
Colore Rosa, schiumoso Può indicare edema polmonare
Purulento, color Può indicare processo virale, o pseudomonas
ruggine
Giallo, purulento Può indicare infezione batterica
Nero Può indicare pneumoconiosi occupazionale o “polmone
nero”
Chiaro, mucoso Quando si presenta perlopiù di mattina può indicare
enfisema
Presenza di sangue Necessarie ulteriori indagini per verificare se il sangue
(emoftoe) proviene dai polmoni o dal tratto gastroenterico.
Escreato striato di sangue può indicare TBC
Odore Nauseante, putrido In genere indica un processo infettivo
Consistenza Fluido Molto dipendente dallo stato di idratazione del paziente
e di umidificazione delle vie aeree
Denso
Quantità
Dispnea Possibili processi patologici sottostanti:
scompenso cardiaco congestizio, bronchite cronica,
asma, enfisema, ostruzione delle vie aeree, TBC, disordini
pollmonari HIV correlati, processi infettivi o infiammatori.
Modalità di Parossistica notturna Possibile malattia cardiaca sottostante
insorgenza
Ortopnea Possibile malattia cardiaca sottostante
A riposo Possibile malattia polmonare o cardiaca sottostante
Da sforzo Possibile malattia polmonare o cardiaca sottostante
Dolore toracico Caratteristiche P: provocato-palliato
Q: qualità
R: sede e irradiazione
S: severità
T: tempo di insorgenza
e concomitanza
segue

39
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Segni e sintomi Rilievi Significato clinico


Dolore toracico Qualità Opprimente, come una Probabile origine cardiaca
morsa
Variabile in intensità Possibile origine gastrica o esofagea
con l’assunzione di
cibo o antiacidi
Urente durante la Possibile origine tracheale
respirazione
Localizzato, ricorrente Possibile origine dalla gabbia toracica o dalle coste
con la palpazione
A pugnalata Possibile origine pleurica
Incessante, sfiancante, Possibile origine da malattie come TBC o cancro
sfumato
Fattori di rischio Rilievi
Anamnesi medica Sintomi attuali
Precedenti ricoveri
Malattie/condizioni croniche
Malattie/condizioni acute al momento della valutazione
Allergie
Traumi
Interventi chirurgici
Malattie ereditarie, allergie
Anamnesi sociale Fumo di sigaretta
Fattori di rischio lavorativi
Rischio per esposizione ad HIV o TBC
Viaggi recenti
Anamnesi Più di 100 farmaci possono avere effetti collaterali su sistema respiratorio
farmacologica
Legenda: TBC – Tubercolosi; ACE – Inibitori dell’enzima convertente l’angiotensina; HIV – Virus dell’Immunodeficienza Umana

Tabella 2 - Pattern respiratori patologici

Tipo Caratteristica Significato clinico


Apnea Assenza di respiro Eccesso di sedazione, analgesia con oppiodi, o
somministrazione di miorilassanti; lesioni del sistema
nervoso centrale, lesioni vertebromidollari sopra il livello
di C4; arresto cardiaco
Tachipnea FR> 20 atti/m’, regolare Dolore, febbre, polmonite, edema polmonare,
versamento pleurico
Bradipnea FR< 12 atti/m’, regolare Eccesso di sedazione, intossicazione da oppiacei,
ipertensione intracranica, depressione del sistema
nervoso centrale, iperkaliemia, accidenti cerebrovascolari
Iperventilazione Respiro rapido e superficiale Ansia, esercizio, malattia metabolica
Ipoventilazione Respiro molto superficiale Inspirazione dolorosa, fratture costali
Iperpnea Aumento della profondità di respiro Ansia, esercizio, malattia metabolica
Kussmaul Respiro rapido, profondo, regolare, Ansia, chetoacidosi diabetica, acidosi metabolica,
spesso a bocca aperta avvelenamento, malattia renale
Cheyne-Stokes Respiro irregolare, gradualmente Meningite, tumori o traumi encefalici, uremia, stadi finali
più veloce e profondo, poi lento e dello scompenso cardiaco congestizio cronico, traumi
superficiale, per arrivare a periodi di del sistema nervoso centrale
apnea fino anche a 60 secondi
Biot (atassico) Respirazione irregolare, può esser Meningiti, traumi al sistema nervoso centrale, danni
superficiale, poi lenta, profonda, encefalici, aumento della pressione intracranica
quindi rapida, con cicli di apnea
ripetuti e bruschi

40
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 3 - Rilievi clinici della percussione toracica

Suono di percussione Caratteristica Significato clinico


Chiaro polmonare Suono a tamburo, profondo, Polmoni normalmente riempiti d’aria
basso
Iperfonetico Suono più profondo, più forte Aumento di aria nel torace, tipicamente nell’enfisema e
di quello chiaro polmonare, nello pneumotorace
in qualche modo musicale,
rimbombante
Ottuso Suono breve, lieve, sordo, evocato Tumori polmonare, versamento pleurico ingente,
su tessuto denso senza aria addensamento, atelectasia
Ipofonetico Suono di altezza e intensità Consolidamento del parenchima, sostituzione dell’aria
media, evocato su tessuto denso, parenchimale con liquido o muco, tipicamente
quasi senza aria polmonite, edema polmonare, atelectasie
Timpanico Suono moderatamente lungo, Vasto pneumotorace
alto, musicale, evocato da tessuti e
organi completamente pieni d’aria

Tabella 4 - Rilievi clinici dell’auscultazione toracica


Suono respiratorio normale/ Caratteristica Significato clinico
Bronchiale Nessuno; se udito sui campi polmonari in periferia, indica
consolidamento; normalmente gli alveoli riempiti di aria
filtrano questo suono evitando che raggiunga la periferia,
mentre il consolidamento rende denso il parenchima
permettendone la trasmissione del suono in periferia
Broncovescicolare Nessuno, se udito in periferia, indica consolidamento
polmonare
Vescicolare Se ridotto o assente indica riduzione di emissione di
suoni, vedi respiro superficiale, oppure riduzione della
trasmissione dei suoni, come nell’iperinflazione o
nell’ostruzione parziale, per esempio da muco
Suono respiratorio avventizio/ Caratteristica Significato clinico
Crepitii – suoni non musicali, intermittenti, di breve Atelectasie, ritenzione di fluidi nelle vie aeree inferiori
durata. (edema polmonare), ritenzione di muco (bronchite,
Si distinguono in crepitii fini (udibili in inspirazione) e polmonite), fibrosi interstiziale
grossolani (udibili in inspirazione e espirazione)
Sibili – suoni musicali, striduli, fischianti, continui, udibii Broncospasmo, asma, ostruzione parziale delle vie aeree
in inspirazione e/o espirazione da secrezioni, tumori, infiammazione, stenosi, corpi
estranei
Ronchi – suoni musicali bassi, continui, tipo gemito, Malattie che generano infiammazione delle vie aeree con
rantolo o russamento. Possono schiarirsi o diminuire con eccesso di muco come polmonite, bronchite, oppure con
la tosse eccesso di fluidi, come nell’edema polmonare
Rumori di sfregamento pleurico – suoni grossolani, Flogosi pleurica, come nella polmonite, pleurite, TBC,
scricchiolanti, grattanti, come due pezzi di pelle che infarto polmonare, inserzione di drenaggio toracico
sfregano insieme. Trattenendo il respiro il suono scompare
Stridore – suono acuto, continuo, udibile sulle vie aeree Ostruzione parziale delle vie aeree superiori, come
superiori nell’edema laringeo, epiglottite o ostruzione da corpo
estraneo
(tratto da Pierce LNB, 2007)

41
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

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42
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

2. MONITORAGGIO STRUMENTALE

2.1 La saturimetria
Alberto Lucchini, Andrea Gafforelli, Stefano Bambi

La pulsossimetria convenzionale è una tecnica continua e non invasiva, basata sull’emissione e la rilevazione
di diverse lunghezze d’onda della luce comprese tra i 650 e 940 nm (rosso /infrarosso), attraverso un sito di
misurazione, capace di determinare frequenza cardiaca e saturazione di ossigeno.

Esistono due metodi per inviare la luce attraverso i siti di misurazione:


• La riflessione
• La trasmissione

Nella tecnica a riflessione l’emettitore e il fotodetettore sono vicini, la luce emessa dall’emettitore rimbalza
sul sito di misurazione e viene rilevata dal fotodetettore.

Classico esempio di questa tecnica è la saturimetria con sensore frontale. I sensori frontali (fig.1) sono di-
sponibili dalla fine degli anni ‘80, ma non si sono diffusi nell’uso clinico a causa della scarsa affidabilità che
mostrano nei pazienti in posizione supina o di Trendelenberg. In queste posizioni la pulsazione venosa può
rendere le misurazioni non accurate.

Figura 1 - Sensore frontale

Nella tecnica a trasmissione l’emettitore e il fotodetettore sono opposti, e la luce passa attraverso il sito di
misurazione; un esempio di questo metodo è il sensore digitale o il sensore auricolare (fig.2).

43
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 2 - Sensore riutilizzabile per dito

Per comprendere al meglio il funzionamento della pulsossimetria convenzionale bisogna approfondire alcu-
ne tematiche che stanno alla base di tale metodica. Il funzionamento si basa su:
• tecniche analitiche
• costanti di assorbimento tissutale
• quattro assunti base
• rapporto segnale/rumore
• filtri e algoritmi

Tecniche analitiche
Le tecniche analitiche su cui si basa la pulsossimetria convenzionale sono :
- Spettrometria
- Pletismografia

L’emoglobina (Hb) ossigenata e deossigenata assorbono differenti quantità di luce rossa o infrarossa. L’Hb
ossigenata assorbe più luce infrarossa e permette il passaggio di più luce rossa, mentre l’Hb deossigenata
fa esattamente l’opposto. La Spettrometria (figura 3) permette di rilevare il differente assorbimento di luce,
determinando un valore numerico di riferimento dal rapporto rosso infrarosso (figura 4).

Figura 3 - Spettrofotometria

44
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 4 - Rapporto Rosso/Infrarosso

A ogni battito cardiaco corrisponde un valore arterioso pressorio che influisce momentaneamente sul volu-
me arterioso periferico misurato. Questo porta a maggior assorbimento di luce durante l’analisi. La Pletismo-
grafia permette la registrazione grafica delle variazioni di volume che un certo distretto corporeo subisce a
ogni sistole cardiaca in conseguenza al suo flusso ematico, facilitando la rilevazione della componente pul-
satile misurando la variazione della quota di luce dal punto massimo al punto minimo dell’onda di pulsazione.
Si noti come l’andamento della pletismografia è molto simile a quella ottenuta da un sensore di pressione
invasivo (figura 5).

Figura 5 - Tracce di pletismografia

Questa rassomiglianza ha portato allo sviluppo di un nuovo parametro, il Pleth Variability Index (PVI®), in
grado di valutare l’andamento dinamico della curva, e fornire informazioni sullo stato volemico del paziente,
guidando in modo accurato e non invasivo il riempimento volemico del paziente. Almeno sei studi, pubblicati
sulle più importanti riviste di settore, hanno dimostrato la validità di tale parametro.

Costanti di assorbimento tissutale


Per una misurazione accurata il saturimetro deve distinguere tra l’assorbimento costante di fondo e i cam-
biamenti pulsatili causati dalla variazione del volume ematico a ogni battito cardiaco. La costante di fondo è
rappresentata dalla quota di luce che i tessuti assorbono dipendentemente dal sito di misurazione. La luce
non viene assorbita solo dal sangue arterioso, ma anche da diverse strutture quali: ossa, tegumenti, pigmen-
ti, sangue venoso e una quota dal sangue arterioso non pulsatile (figura 6).

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 6 - Fattori che influenzano l’assorbimento della luce

Per questo motivo i sensori hanno dei range di utilizzo, normalmente espressi in kg, che indicano a quali
pazienti possono essere applicati (i range sono sempre riportati sulle confezioni). L’utilizzo di sensori non
conformi alla struttura e alla sede di misurazione, comporta l’utilizzo di costanti di calcolo non appropriate, e
il dato risultante dalla misurazione non è attendibile.

Quattro assunti
I dati originali sulla pulsossimetria erano raccolti in condizioni sperimentali e ideali, ed erano basati su quattro
assunti di base:

Primo assunto: ”La sola componente ematica in grado di assorbire la luce è il sangue arterioso”

Basandosi sul primo assunto, la pulsossimetria convenzionale non considera la pulsazione sanguigna venosa
che avviene durante il movimento. In situazioni di buona perfusione il gradiente tra saturazione venosa e
arteriosa è lieve, la differenza artefattuale tra saturazione reale e numero risultante dall’averaging (media) è
minima (figura 7).

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 7 - Perfusione ottimale

In condizioni critiche l’effetto averaging è più evidente. Infatti, il gradiente tra saturazione venosa e quella
arteriosa è maggiore, causando una misurazione con un grado di approssimazione molto elevato, generando
falsi allarmi (figura 8).

Figura 8 - Perfusione alterata

Secondo assunto: “Le uniche componenti ematiche in grado di assorbire luce sono ossiemoglobina e deossiemoglobina”

La pulsossimetria convenzionale presume l’assenza di disemoglobine. I pulsossimetri convenzionali non


sono in grado di distinguere fra ossiemoglobina, carbossiemoglobina e metaemoglobina e forniscono un
dato rappresentativo di tutte l’emoglobine. Infatti, la saturazione dell’ossigeno nel sangue viene definita
come la percentuale di molecole di ossiemoglobina calcolata sul totale delle molecole di emoglobina pre-
senti. Per questo motivo si dice che i pulsossimetri misurino la saturazione funzionale, a differenza degli
emogasanalizzatori che misurano la saturazione frazionata.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Terzo assunto: “L’unica calibrazione sperimentale va bene per tutte le situazioni”

Le calibrazioni eseguite in fase sperimentale non tenevano conto di variabili che nel quotidiano possono
essere frequenti.

Per esempio, nei pazienti anemici la lettura della saturazione risulta normale, quando in realtà l’ossigena-
zione globale del sangue potrebbe risultare bassa. Saturare 100% con 15 g/dl di emoglobina, non è come
saturare 100% con 6 g/dl di emoglobina.

Le unghie artificiali o con smalto di colore metallico scuro interferiscono con le costanti di assorbimento
tissutale e con la ripartizione della luce, ostacolando il lavoro del fotodettettore e generando misurazioni che
possono essere poco accurate.

Anche la presenza di pigmenti patologici e i farmaci coloranti endovenosi, ostacolano il lavoro della spettro-
metria generando misurazioni non attendibili, e non erano considerati durante le calibrazioni sperimentali.
Il maldestro posizionamento del sensore può provocare l’aumento della pulsazione venosa, mettendo in
difficoltà la lettura pletismografica. Qualsiasi variabile che interferisce con le calibrazioni sperimentali può
generare valori distorti.

Quarto assunto: “Il sito monitorato e il sito misurato sono in equilibrio”

In realtà, con livelli di perfusione molto bassi, è stato osservato un fenomeno chiamato ipossia localizzata. In
questa situazione, il flusso di sangue nella sede di misurazione (es. arteria radiale) è più alto rispetto al flusso
nella sede monitorata (dito mano). In tale condizione si verifica un aumento dell’estrazione di ossigeno nella
sede a flusso più lento; pertanto la saturimetria nella sede monitorata sarà più bassa rispetto a quella della
sede di misurazione. I problemi d’ipoperfusione hanno portato allo sviluppo di un nuovo parametro, chiamato
indice di perfusione (PI), che segnala la qualità della perfusione vascolare nel sito monitorato.

Rapporto segnale/rumore
Il rapporto segnale/rumore, spesso abbreviato con la sigla inglese SNR (Signal to Noise Ratio) o S/N anche
nell’uso italiano, è una grandezza numerica che mette in relazione la potenza del segnale utile rispetto a
quella del rumore in un qualsiasi sistema di acquisizione, elaborazione o trasmissione dell’informazione.
In pratica il rumore non è altro che un segnale che interferisce con il segnale rosso/infrarosso proveniente
dall’emettitore. Un qualsiasi sistema che debba trasportare o trattare informazioni è affetto da rumore, e
tanto maggiore è la potenza di rumore rispetto alla potenza del segnale utile, tanto minore è la qualità risul-
tante. È logico, dunque, aspettarsi che l’SNR sia un parametro di qualità che si cerchi o si tenda in qualche
modo a massimizzare o preservare il più possibile. Esistono diverse fonti di rumore, sia interne al sistema
che esterne. Tra le fonti più comuni d’interferenza troviamo:
1. Rumore termico
2. Luce solare o artificiale-ambientale molto intensa
3. Movimento del cavo
4. Movimento del paziente (aumento pulsatilità venosa)
5. Apparecchiature elettriche vicine
6. Emettitore e fotodetettore non ben allineati

Queste interferenze, hanno reso necessario l’introduzione di filtri e algoritmi, capaci di minimizzare gli arte-
fatti e gestire i dati in maniera più accurata.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Filtri e Algoritmi
In elettronica, un filtro è un sistema o dispositivo che realizza delle funzioni di trasformazione o elaborazio-
ne di segnali posti al suo ingresso. Ad esempio una sua funzione può essere quella di eliminare determina-
te bande di frequenza lasciando passare tutte le altre, cosa che si ottiene attenuando le frequenze più alte
o più basse di un valore determinato (filtri passa-basso o passa-alto), o quelle comprese in un intervallo
prestabilito (filtri passa banda o elimina banda). Nel tentativo di affrontare i problemi d’interferenza-rumo-
re, i produttori di apparecchiature mediche hanno utilizzato filtri passa banda, progettati per consentire
solo una finestra fisiologica di interesse, campionando solo segnali presenti in una determinata frequenza
desiderata. Con l’avvento del Digital Signal Processing (filtraggio digitale) le prestazioni di filtraggio pas-
sa banda sono state migliorate, ma non si era ancora in grado di risolvere il problema del rumore che si
verifica all’interno della banda di interesse. Per risolvere anche quest’ultimo problema, sono stati intro-
dotti filtri adattivi, capaci di adattarsi alla variazione delle caratteristiche del segnale e di usare algoritmi
multipli per la lettura dello stesso. Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema
attraverso un determinato numero di passaggi. In matematica e informatica un algoritmo è un particolare
tipo di procedimento la cui soluzione non è quella ottimale per quel dato problema. Infatti l’algoritmo della
pulsossimetria convenzionale, mette in relazione i valori numerici ricavati dalle tecniche analitiche (spettro-
metria – pletismografia) con dati sperimentali ricavati da volontari, arrivando a determinare un valore che
è un’ottima stima della saturazione (figura 9).

Figura 9 - Rapporto R/RI

L’evoluzione tecnologica ha portato a usare algoritmi di lettura sempre più complessi. Esistono algoritmi che
utilizzano forme d’onda di pulsazione per i calcoli, e brevetti che utilizzano algoritmi multipli, ipotizzando che
sia il sangue arterioso che quello venoso possono muoversi, e utilizzando motori di elaborazione capaci di
separare il segnale arterioso dalla sorgente di rumore (compreso il segnale venoso) al fine di misurare l’SpO2
e la frequenza cardiaca in modo accurato anche durante il movimento.

L’evoluzione e l’utilizzo di diverse lunghezze d’onda


Esiste una grande competizione tra le case produttrici di elettromedicali, soprattutto sulla realizzazione e
applicazione di nuovi algoritmi capaci di ridurre i falsi allarmi e di fornire dati più vicini alla reale condizione
clinica del paziente anche in presenza di stati di bassa perfusione. Una di queste aziende ha realizzato un

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

nuovo metodo di monitorizzazione non invasiva, utilizzando 7 lunghezze d’onda della luce per acquisire i
dati costitutivi del sangue. Grazie all’utilizzo di avanzati algoritmi d’elaborazione del segnale e unici filtri
adattivi è riuscita a identificare e quantificare le diverse emoglobine. Questa tecnologia, oltre ai classici
parametri forniti dalla pulsossimetria convenzionale, riesce a monitorare in modo continuo e non invasivo
i seguenti parametri:
• SpHb emoglobina
• SpCO carbossiemoglobina
• SpMet metaemoglobina
• PVI Pleth Variabile Index
• RRa Acoustic Respiratory rate

L’evoluzione tecnologica e la conseguente complessità di funzionamento dei pulsossimetri, ha consentito,


passando per la digitalizzazione con filtri adattivi, di arrivare all’utilizzo di 7 lunghezze d’onda della luce per
la monitorizzazione multiparametrica del sangue.

Luci e ombre
I valori evidenziati dalla pulsossimetria convenzionale sono frutto di medie e filtraggi che rappresentano il
livello di saturazione dell’emoglobina. Tale tecnica presuppone che il soggetto abbia un adeguato quantitati-
vo di emoglobina, che respiri prevalentemente ossigeno, che abbia un buono stato di perfusione vascolare
distrettuale, che non ci siano condizioni cliniche che facciano aumentare la componente pulsatile venosa o
alterino le costanti di assorbimento tissutale (es. edema), che il sensore sia applicato correttamente, e che si
muova il meno possibile. La conoscenza di queste variabili permette di interpretare al meglio i valori visualiz-
zati al monitor, comprendendo che la SpO2 convenzionale non esprime lo stato di ossigenazione globale del
paziente, ma quanto l’emoglobina è “piena” (satura), senza esprimere la quantità di emoglobina, la qualità
dell’emoglobina e con che tipo di gas è legata.

Il personale sanitario, spesso usa la PO2 arteriosa come indice del contenuto di ossigeno nel sangue. Il
contenuto arterioso di ossigeno è dato dalla somma dell’ossigeno trasportato dall’emoglobina e quello di-
sciolto nel plasma (PaO2). L’emoglobina trasporta circa 1,39 ml/g di ossigeno, mentre l’ossigeno disciolto nel
plasma è direttamente proporzionale alla sua pressione parziale come descritto dalla seguente equazione:

O2 disciolto = 0,003 ml/100 ml/ mm Hg (coefficiente di solubilità dell’ossigeno in ml/mm Hg) x PaO2

Per esempio, se la PO2 è di 100 mm Hg, un litro di sangue conterrà solo 3 ml di O2 disciolto. Studi clinici
hanno dimostrato che la SpO2 può essere un indicatore sensibile di alterazione della ventilazione (bassa
PaO2) quando i pazienti respirino in aria ambiente ma non quando respirino ossigeno supplementare. Con
la somministrazione di ossigeno la SpO2 si sposterà sempre di più lungo il tratto piatto della curva di dis-
sociazione dell’emoglobina (figura 10), pertanto relative ampie variazioni nella PaO2 si accompagneranno
a minimi cambiamenti nella SpO2, riducendo la sensibilità della pulsossimetria nell’evidenziare un’inade-
guata ventilazione.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 10 - Curva di dissociazione dell’Emoglobina

Non esistono evidenze che dimostrino la necessità di somministrare ossigeno con valori di SaO2 sopra il
90%, e la supplementazione di ossigeno non è necessaria se la SpO2 in aria ambiente è pari o superiore
al 92%.

Tuttavia è la concentrazione di emoglobina la principale determinante del contenuto di ossigeno. La con-


centrazione di O2 disciolto nel plasma è così piccola da poter essere eliminata dall’equazione che descrive
il contenuto di O2:

Contenuto di O2 = (1,34 x Hb x SaO2) + (0,003 x PaO2)

Contenuto di O2 = 1,34 x Hb x SO2 (equazione semplificata)

Una riduzione dell’emoglobina del 50% è accompagnata da un’equivalente riduzione del 50% del conte-
nuto arterioso di O2 (CaO2), mentre una riduzione del 50% della PaO2 (da 90 a 45 mm Hg) determina una
riduzione del 18% del CaO2. L’anemia ha un impatto molto più importante sull’ossigenazione dell’ipos-
siemia. Ciò dovrebbe servire a ricordare che non si deve utilizzare la PaO2 per valutare l’ossigenazione
arteriosa, ma deve essere impiegata per determinare l’efficienza dello scambio gassoso nei polmoni. Per
questi motivi solo i sistemi capaci di visualizzare i parametri ematici riescono a eliminare parte delle om-
bre che la tecnica convenzionale pone sui pazienti nei quali non si conoscono variabili fondamentali per la
determinazione del reale stato di ossigenazione (come per esempio i pazienti che approdano a un pronto
soccorso o vengono soccorsi sul territorio).

Conclusioni
La storia della medicina, indica che l’evoluzione tecnologica ha sempre portato a una riduzione dell’invasi-
vità diagnostico-terapeutica e che gli unici veri ostacoli ai cambiamenti sono le abitudini degli operatori, lo
scetticismo e la poca comprensione della tecnologia da un punto di vista ingegneristico.

La pulsossimetria ha avuto un impatto significativo sul settore medico e ha spinto il progresso di cura dei
pazienti in particolari aree quali l’anestesia e l’area critica, per poi espandersi in tutti gli ambiti diventando
uno dei parametri più usato in campo clinico. In un articolo di John Severinhaus, dal titolo “Takus Aoyagi:

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Scoperta di pulsossimetria” pubblicato nel 2007, si arriva a conclusione che l’introduzione della pulsossi-
metria ha coinciso con il 90% di riduzione dei decessi correlati alle pratiche anestesiologiche.

L’evoluzione tecnologica e la continua competizione tra le case produttrici di elettromedicali, ha portato alla
realizzazione di pulsossimetri sempre più precisi, multiparametrici e con soluzioni ingegneristiche sempre
più complesse. La lettura attenta, delle schede tecniche di funzionamento, permette all’operatore di com-
prendere i punti forti e deboli della tecnologia sulla quale si basa un determinato pulsossimetro, potendo,
così, scegliere e utilizzare il più adatto alla tipologia dei pazienti e all’ambiente di lavoro in cui si esercita.

Punti Chiave:
1. La tecnologia digitale è superiore alla tecnologia analogica (figura 11)
2. I sensori monopaziente hanno performance superiori a quelli riutilizzabili
3. Utilizzare sempre i sensori in sedi appropriate per il loro utilizzo e per il peso del paziente
4. Nell’adulto preferire l’utilizzo su dito indice, medio ed anulare
5. Ridurre sempre le possibili interferenze
6. Con la tecnologia analogica il movimento degli arti determina artefatti (lettura di un falso flusso pulsatile
venoso).

Figura 11 - Differenza nella rilevazione nello stesso sito con la stessa tipologia di sensore monouso
collegato ad un sistema analogico versus digitale

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

BIBLIOGRAFIA

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2.2. Capnografia e Capnometria


Alberto Lucchini, Daria Valsecchi, Stefano Bambi

La capnometria (misurazione e visualizzazione della concentrazione di CO2 espirata come percentuale o


come pressione parziale in millimetri di mercurio), meglio conosciuta come end-tidal CO2, fornisce informa-
zioni qualitative sulle onde associate alla ventilazione meccanica e una stima quantitativa della pressione
parziale della CO2 espirata. La capnografia è, invece, la registrazione visiva della forma d’onda delle concen-
trazioni di CO2. La capnografia volumetrica utilizza invece un sensore per la CO2 e un pneumotacografo in
combinazione; ciò permette il calcolo del volume netto di CO2 espirata dal paziente (espresso generalmente
in mL/min). La normale differenza tra il valore della CO2 ricavato dall’emogasanalisi e l’end-tidal CO2 è appros-
simativamente di 4-5 mmHg e rappresenta la ventilazione del normale spazio morto.
Ci sono tre tipi di dispositivi per la capnografia: il sistema mainstream, il sidestream ed il microstream.
La capnografia mainstream (figura 1) è usata nei pazienti intubati. Un sensore riscaldato è posizionato nel
circuito ventilatorio tra il tubo endotracheale e il circuito del ventilatore.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 1 - Sistema mainstream

Il gas espirato fluisce direttamente sopra il sensore fornendo una misurazione quasi istantanea della PET-
CO2. Gli svantaggi della capnografia mainstream sono il peso del sensore (che aumenta il rischio di estuba-
zione accidentale), lo spazio morto addizionale (sensore) , e la contaminazione del sensore con le secrezioni.

Tabella 1 - Vantaggi e svantaggi della tecnologia mainstream

Vantaggi Svantaggi
• No tubo di drenaggio • Vecchi sensori pesanti e alto spazio morto
• No ostruzione • Influenzabile da secrezioni e condensa
• No incidenza su pressioni • Spazio morto in gravissime ARDS
• No problemi se cambio di pressione del vapore acqueo • Tempo di calibrazione
• Capnogramma non influenzato dalla dispersione gas • Non utilizzabile in pazienti in O2 terapia e scafandro
• No ritardo nel dato
• Utilizzabile in bambini e neonati

Nella capnografia sidestream (figura 2) un piccolo tubo è posizionato tra le vie aeree e i tubi del ventilatore,
e una pompa aspira continuamente un campione dal gas espirato.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 2 - Sistema sidestream

La tecnologia sidestream è molto leggera dal punto di vista del peso, ma può essere ostruita da umidità,
espettorato o saliva nella linea di campionamento.

Tabella 2 - Vantaggi e svantaggi della tecnologia sidestream

Vantaggi Svantaggi
• Di semplice utilizzo • Ritardo nella lettura
• Utilizzabile in pazienti in scafandro ed O2 terapia • Ostruzione del tubo
• Utilizzabile con le cannule nasali • Il vapore acqueo influenza/blocca la lettura
• In Sala Operatoria integrato nel monitoraggio dei gas • Necessita di prelievo di un alto volume di gas

Anche la capnografia microstream, come la tecnologia sidestream, può essere utilizzata in pazienti intubati
e non. È la più recente tecnologia nel monitoraggio della capnografia e utilizza piccoli fori di campionamento,
bassi flussi e bassi volumi. (Zwerneman, 2006).
Smalhout, da molti considerato il padre della capnografia clinica, ha definito il capnogramma come “l’ECG
della respirazione”.
I fattori che possono determinare un aumento dell’EtCO2 sono riassunti in tabella 3.

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 3 - Cause di incremento dell’EtCO2

Output Perfusione polmonare Ventilazione Alveolare Problemi tecnici


• Febbre • Aumento Portata • Ipoventilazione • Inadeguato flusso
• Ipotermia maligna cardiaca • Intubazione bronchiale di gas fresco
• Embolia CO2 venosa • Aumento della PA • Ostruzione delle • Perdita nel circuito
vie aeree di ventilazione
• Rirespirazione • Deficit del ventilatore/
valvole

I fattori che possono determinare una riduzione dell’EtCO2 sono riassunti in tabella 4.

Tabella 4 - Cause di riduzione dell’EtCO2

Output Perfusione polmonare Ventilazione Alveolare Problemi tecnici


• Ipotermia • Portata cardiaca • Iperventilazione • Deconnessione
• Ipovolemia • Apnea del circuito
• Embolia polmonare • Ostruzione Totale • Deficit del ventilatore/
• Arresto Cardiaco • Estubazione accidentale valvole

In figura 3 è possibile osservare la correlazione tra andamento tipico della capnografia ed i volumi espirati
dal paziente.

Figura 3 - Capnogramma e miscelazione dei gas espirati

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

In figura 4 è possibile osservare la correlazione tra la capnografia e le curve di pressione nelle vie aeree e di
flusso, registrate in un paziente in ventilazione invasiva volumetrica controllata.

Figura 4 - Capnogramma, curva del flusso e della pressione

I capnogrammi devono essere interpretati congiuntamente ad altri rilievi clinici, tuttavia i cambiamenti
nell’end-tidal CO2 quasi sempre precedono i cambiamenti nella saturazione di ossigeno, frequenza cardiaca
e pressione arteriosa. La capnografia è infatti il più sensibile indicatore che un tubo endotracheale si è mosso
o dislocato, individua l’ostruzione acuta delle vie aeree e l’estubazione ipofaringea più rapidamente di quanto
facciano il monitoraggio dei segni vitali, o la pulsossimetria continua (Cheifetz et al., 2007).

Secondo Delorio (2005), la pulsossimetria potrebbe rimanere nel range normale fino a cinque minuti dopo la
cessazione della ventilazione polmonare.

La PETCO2 fornisce un pronto riconoscimento dell’edema/spasmo laringeo, dell’ostruzione parziale o totale


e dell’inefficace clearance delle vie aeree.

In pazienti asmatici l’infermiere può riconoscere il restringimento delle vie aeree e l’efficacia della terapia
con broncodilatatori e di altri interventi (Zwerneman, 2006).

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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Nelle figure da 5 a 12 sono riportate alcune tracce tipiche relative a scenari clinici in pazienti ventilati sotto-
posti a monitoraggio dell’EtCO2.

Figura 5 - Capnogramma ed embolo polmonare

Figura 6

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Figura 7

Figura 8

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Figura 9

Figura 10

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Figura 11

Figura 12

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Indicazioni per la terapia intensiva pediatrica


Sebbene la capnografia sia utile nella terapia intensiva pediatrica, presenta comunque delle limitazioni. Innanzi-
tutto è disegnata per volumi correnti e frequenze respiratorie relativamente normali, pertanto infanti e neonati in
respiro spontaneo che hanno un pattern respiratorio rapido e superficiale spesso mancano della fase di plateau
del capnogramma time-based. La traccia è anche influenzata dalle perdite d’aria attorno al tubo endotracheale.

Lo spazio morto addizionale, il peso, i problemi meccanici e l’uso di tubi non cuffiati possono limitare il valore
della capnografia nei neonati (Thompson et al., 2005).

Nei capnometri sidestream applicati ad infanti, i piccoli volumi correnti associati a frequenze d’aspirazione
molto alte possono provocare il campionamento sia di gas espirati che di gas freschi della fase inspiratoria,
risultando in una diluizione del campione e una sottostima della concentrazione dell’end-tidal CO2 (Sullivan
et al., 2005).

Recenti studi sulla capnografia mainstream nei neonati non sono stati incoraggianti, e hanno anche riportato
elevazioni della PaCO2 dovute a rebreathing in presenza dell’adattatore alle vie aeree.

La capnografia microstream, invece, utilizza un flusso di campionamento di 50 ml/min (circa un terzo rispetto
ai sidestream convenzionali) ed elimina la competizione per il volume corrente. La fonte di infrarossi è alta-
mente specifica per la CO2 e la cella di campionamento utilizza un volume molto più piccolo (15 μL). Viene
così preservata l’accuratezza impedendo al tempo stesso il mix dei piccoli volumi inspiratori ed espiratori
osservati nei neonati (Hagerty et al., 2002).

Occorre precisare che in infanti e bambini con cardiopatia congenita il monitoraggio transcutaneo della CO2
fornisce una stima più accurata della PaCO2 di quanto faccia il monitoraggio dell’ETCO2. La differenza è mag-
giore in pazienti di età inferiore ad un anno e in quelli con cianosi (Cheifetz et al., 2007).

Tuttavia l’ETCO2 fornisce ulteriori informazioni utili, documentando la posizione intratracheale del tubo e ser-
vendo come un monitor addizionale di sicurezza in caso di disconnessione dal ventilatore. Tali caratteristiche
addizionali non possono essere fornite da un monitor transcutaneo.

Raccomandazioni
• L’American Heart Association raccomanda, nel protocollo dell’Advanced Cardiac Life Support, l’utilizzo dei
rilevatori della CO2 espirata per confermare la posizione del tubo endotracheale in pazienti con un ritmo
che permette la perfusione (classe IIA).
• L’American Society of Anasthesiologists ha suggerito che la capnografia sia disponibile per i pazienti con
insufficienza ventilatoria acuta in supporto ventilatorio meccanico.
• L’American College of Emergency Physicians raccomanda la capnografia come metodo aggiuntivo per
assicurare il posizionamento corretto del tubo endotracheale.
• L’American Association of Respiratory Care raccomanda l’utilizzo dell’EtCO2 in tutti i pazienti ventilati
(2012).

Conclusioni
Anche se non esistono dati che supportano definitivamente l’uso della capnografia per tutti i pazienti ventilati
meccanicamente allo scopo di ottimizzare il supporto ventilatorio meccanico, sembra ragionevole utilizzarla
per assicurare l’integrità dell’apparato di ventilazione e del tubo endotracheale. L’estubazione accidentale è
un evento potenzialmente letale. È utile ricordare che in una persona adulta la flessione-estensione del capo
può spostare il tubo di circa 1.9 cm rispetto alla carena, il movimento laterale di circa 0,7 cm.

Il maggior vantaggio della capnometria digitale è la sua capacità di fornire continue letture riguardo l’end-tidal

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CO2, fornendo la garanzia che un tubo endotracheale dislocato venga identificato immediatamente, molto
prima che si manifesti la desaturazione (Davis, 2005).

Questo è particolarmente importante per i pazienti pediatrici, nei quali le ridotte dimensioni anatomiche delle
vie aeree rendono piccoli spostamenti del tubo tracheale (anche solo 0,5 cm), che in un adulto potrebbero
essere irrilevanti, pericolosi dal punto di vista della perdita del controllo delle vie aeree. Il rischio di disloca-
zione è maggiore in presenza di tubi non cuffiati.

Usando la capnografia continua, gli eventi critici delle vie aeree possono essere identificati e corretti prima
dello sviluppo di ipossia o d’instabilità emodinamica.

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63
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

2.3. Monitoraggio emogasanalitico


Stefano Bambi, Alberto Lucchini

L’emogasanalisi arteriosa (EGA) consiste in un prelievo di sangue arterioso mediante puntura diretta o da
sistema catetere-trasduttore-lavaggio in continuo, utilizzando un’apposita siringa contenente un coating di
litio eparina liofila bilanciata con calcio.

L’emogasanalisi arteriosa permette di rilevare dati per il monitoraggio relativo all’ossigenazione, alla venti-
lazione, e allo stato metabolico (equilibrio acido base, respirazione cellulare). Inoltre i moderni emogasana-
lizzatori forniscono il rilievo di altri valori fondamentali per la valutazione continua dei pazienti critici, quali:
emoglobina, emoglobine patologiche (carbossiemoglobina, e metaemoglobina), elettroliti, lattati, glicemia.
Il prelievo emogasanalitico, quando effettuato su sangue venoso misto o proveniente dalla vena cava supe-
riore in prossimità dell’atrio destro, consente la valutazione della saturazione venosa mista (SvO2) o centrale
(ScVO2), fondamentale per la rilevazione di discrepanze a livello della richiesta ed apporto dell’ossigeno
tessutale, di cui si rimanda al relativo paragrafo 4 (Il monitoraggio della saturazione venosa di ossigeno, nel
capitolo II, Il monitoraggio emodinamico.

Indicazioni
Le indicazioni all’esecuzione di EGA sono la valutazione della funzione ventilatoria, dell’ossigenazione, della
presenza di shunt intrapolmonare, della capacità di trasporto dell’ossigeno e dell’equilibrio acido base. L’EGA
permette anche di monitorare il trend dei cambiamenti dei parametri suddetti in corso evoluzione della ma-
lattia, di trattamento terapeutico, o valutazione diagnostica.

È controindicato inserire nell’emogasanalizzatore prelievi per EGA che contengano bolle d’aria visibili (rischio
di riduzione dei valori reali di PaCO2 ed aumento di PaO2), o che superi il periodo di conservazione di 5 minuti
a temperatura ambiente, o di 30 minuti a 0-4°C.

Interpretazione semplificata dei risultati dell’EGA


L’approccio semplificato in 5 punti per la rapida interpretazione dell’EGA, prevede innanzitutto di tenere in
considerazione il quadro clinico del paziente, l’anamnesi e i trattamenti e supporti d’organo in corso. Poi,
sistematicamente si devono seguire gli step secono le linee guida Advanced Life Support – European Re-
suscitation Council:

1. Valutazione dell’ossigenazione

Il paziente è ipossico? La PaO2 dovrebbe essere maggiore di 75 mmHg in aria, il rapporto PaO2/FiO2 > 350,
ed il gradiente alveolo-arterioso (A-a) inferiore al valore indicato dalla formula A-a=(età in anni:4)+4

2. Determina il pH

Acidosi - pH < 7.35


Alcalosi - pH > 7.45

64
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

3. Valutare la componente respiratoria rispetto ai valori di pH

PaCO2 > 45 mmHg - acidosi respiratoria (oppure compenso respiratorio di alcalosi metabolica)
PaCO2 < 35 mmHg - alcalosi respiratoria (oppure compenso respiratorio di acidosi metabolica)
Il sistema respiratorio comporta modificazioni rapide del pH (minuti), cambiando velocemente i valori
di PaCO2 con l’iper o ipo-ventilazione

4. Valutare la componente metabolica rispetto ai valori di pH

HCO3- < 22 mEq/l (BE < -2) – acidosi metabolica (o compenso renale per alcalosi respiratoria)
HCO3 - > 26 mEq/l (BE > +2) – alcalosi metabolica (o compenso renale per acidosi respiratoria)
Il sistema renale comporta modificazioni lente del pH (ore, giorni), cambiando gradualmente i valori
di HCO3- e BE con l’escrezione o il riassorbimento a livello tubulare

5. Valutare gli elettroliti e i metaboliti

Emoglobina, metaemoglobina, carbossiemoglobina, bilirubina, sodio, potassio, calcio, cloruro, glucosio, lattati

Legenda: EGA – Emogasanalisi arteriosa; F – Femmina, M – Maschio; SVO2 – Saturazione venosa mista; ScVO2 – Saturazione venosa
da catetere venoso centrale in vena cava superiore; VN - Valori Normali
Figura 1 - Prelievi emogasanalitici in terapia intensiva

65
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 1 - Valori emogasanalitici normali in aria ambiente per persone con età inferiore ai 60 anni

Valori di laboratorio Livello del mare 1610 mt sopra il livello Valori di laboratorio del sangue venoso misto
del sangue arterioso (PB 760 mmHg) del mare (PB 629 mmHg)
pH 7.35 – 7.45 7.35 – 7.45 pH 7.34 – 7.37
PaO2 80 – 100 mmHg 65 – 75 mmHg PVO2 38 – 42 mmHg
SaO2 95% - 100% 95% - 100% SVO2 60 – 80%
PaCO2 35 – 45 mmHg 35 – 45 mmHg PVCO2 44 – 46 mmHg
HCO3- 22 – 26 mEq/l 22 – 26 mEq/l HCO3- 24 – 30 mEq/l
Eccesso di basi (BE) ±2 ±2 Eccesso di basi (BE) Da 0 a + 4
Legenda: HCO3- bicarbonati; PaO2 - pressione parziale dell’ossigeno arterioso; PaCO2 - pressione parziale arteriosa
di anidride carbonica; PVCO2 - pressione parziale venosa di anidride carbonica; PVO2 - pressione venosa di ossigeno;
SaO2 saturazione arteriosa di ossigeno; SVO2 saturazione venosa di ossigeno

Tabella 2 - Interpretazione semplificata dell’equilibrio acido-base mediante emogasanalisi arteriosa

Disturbo Stato pH* PaCO2 HCO3- BE


Acidosi respiratoria Acuta <7.35 >45 mm Hg 22-26 mEq/l ±2
Parzialmente compensata <7.35 >45 mm Hg >26 mEq/l >+2
Cronica 7.35 - 7.39 >45 mm Hg >26 mEq/l >+2
Acidosi metabolica Acuta <7.35 35-45 mmHg <22 mEq/l <-2
Parzialmente compensata <7.35 <35 mm Hg <22 mEq/l <-2
Cronica 7.35 - 7.39 <35 mm Hg <22 mEq/l <-2
Alcalosi respiratoria Acuta >7.45 <35 mm Hg 22-26 mEq/l ±2
Parzialmente compensata >7.45 <35 mm Hg <22 mEq/L <-2
Cronica 7.41 - 7.45 <35 mm Hg <22 mEq/L <-2
Alcalosi metabolica Acuta >7.45 35-45 mmHg >26 mEq/L >+2
Parzialmente compensata >7.45 >45 mm Hg >26 mEq/L >+2
Cronica 7.41-7.45 >45 mm Hg >26 mEq/L >+2
Acidosi mista <7.35 >45 mm Hg <22 mEq/L <-2
Alcalosi mista >7.45 <35 mm Hg >26 mEq/L >+2
*il pH neutro del sangue arterioso è 7.4
tradotta e modificata da Lian JX, 2010

66
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Legenda: BE – Base Excess; COHb – carbossiemoglobina; DO2 – Delivery Oxygen; ECG – Elettrocardiografia;
EGA – Emogasanalisi arteriosa; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; Hb - emoglobina HCO3- bicarbonati; PaO2 – pressione
parziale dell’ossigeno arterioso; PaCO2 - pressione parziale arteriosa di anidride carbonica; PEEP – Pressione Positiva
di Fine Espirazione; ScVO2 - saturazione venosa centrale di ossigeno; SVO2 - saturazione venosa
Figura 2 - Gestione dei parametri emogasanalitici in terapia intensiva

67
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Considerazioni particolari
• La valutazione della PaO2 in un paziente a respiro spontaneo, dovrebbe sempre tener conto della for-
mula PaO2 standardizzata = [PaO2 misurata + (PaCO2 misurata X 1.66) -66.4]. Questa formula permette
di slatentizzare pazienti ipossiemici che presentano livelli di PaO2 apparentemente normali all’EGA, ma
solo grazie alla compensazione data dall’iperventilazione, che produce maggiore eliminazione di CO2. La
PaO2 standardizzata indica quindi come sarebbe la vera PaO2 se il paziente fosse normocapnico, cioè non
iperventilasse.
• Il rapporto PaO2/FiO2, in condizioni di livelli di PaCO2 vicini al normale, rappresenta un buon indicatore di
disfunzione parenchimale polmonare. I valori normali di PaO2/FiO2 in aria ambiente sono in genere supe-
riori a 350 (indicativamente PaO2/FiO2 = 95:0.21= 452); con valori inferiori a 200 siamo di fronte a grave
insufficienza respiratoria. In presenza di ipercapnia, accanto all’indice di Horowitz, è opportuno utilizzare
anche il rapporto dell’O2 arterioso/alveolare (PaO2/PAO2). La formula della PAO2 è ottenuta dall’equazione
dei gas alveolari PAO2 = (760 - 47) x FiO2 - PaCO2 /0.8 (oppure 1).
• A pH ematico arterioso neutro (7.4), sulla curva di dissociazione dell’emoglobina si hanno valori di SaO2
di 90% corrispondenti ad una PaO2 di 60 mmHg, che sono i valori minimi accettabili di sicurezza per il
paziente critico. La curva di dissociazione dell’emoglobina viene spostata a destra dalla riduzione di pH,
dall’aumento di PaCO2, di temperatura e di 2,3-bisfosfoglicerato. In questo caso l’ossigeno ha minore
affinità con l’emoglobina, mostrando valori più bassi di SaO2 a parità di PaO2, ma viene più facilmente
ceduto ai tessuti. La curva di dissociazione dell’emoglobina viene spostata a sinistra dall’aumento di pH,
dalla riduzione di PaCO2, di temperatura e di 2,3-bisfosfoglicerato. In questo caso l’ossigeno ha maggiore
affinità con l’emoglobina, mostrando valori più elevati di SaO2 a parità di PaO2, ma viene più difficilmente
ceduto ai tessuti. In questo modo un paziente in alcalosi e con uno spostamento della curva a sinistra
può risultare ipossico anche con SaO2 maggiori del 90%. Sulla base di questi elementi, è necessario di
ricordare di inserire sempre nei dati richiesti dall’emogasanalizzatore la temperatura corporea del paziente
(se l’EGA viene eseguito immediatamente dopo il prelievo), e prendere in considerazione i risultati corretti
con la temperatura.
• È necessario tener presente che la saturimetria periferica dell’O2 ha dei limiti nel mostrare il trend di peg-
gioramento degli scambi gassosi dal momento che la curva di dissociazione dell’emglobina raggiunge il
plateau di SaO2 del 100% a partire da valori di PaO2 superiori a 95 mmHg. Questo indica che senza un
controllo emogasanalitico, non è possibile individuare precocemente il verificarsi di ipossiemia relativa
(ad esempio il peggioramento di un paziente in ventilazione meccanica che da una PaO2 di 250 mmHg
con FiO2 di 0.5 e PEEP di 10 cmH2O, passa ad una PaO2 di 110 mmHg a parità di parametri impostati,
mantiene sempre una SpO2 di 100%)
• L’intossicazione da monossido di carbonio deve esser sospettata sulla base dei valori di COHb > 2% per
i non fumatori e > 9% per i fumatori.
• L’interpretazione dell’equilibrio acido base nel paziente sottoposto a ventilazione meccanica deve sempre
considerare l’influenza sull’assetto respiratorio esercitata dai parametri ventilatori. In questo caso disturbi
primitivi di carattere metabolico possono subire una sorta di ipercompenso, se non addirittura essere
“latentizzati” dalla rimozione o accumulo di PaCO2 provocata dall’iper o ipo-ventilazione indotta dall’ope-
ratore.
• Recentemente è stato rimesso fortemente in discussione dall’Evidence Based Medicine il target glice-
mico da mantenere nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. A fronte del rischio di complicanze derivanti
da episodi di ipoglicemia, come effetto indesiderato del controllo stretto dei livelli di glucosio ematico
(80 – 110 mg/dl) mediante somministrazione di infusione continua di insulina, si preferisce attualmente
mantenere i valori in un range tra 140 e 180 mg/dl.

68
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

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69
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

3. MONITORAGGIO IN CORSO DI OSSIGENOTERAPIA


Stefano Bambi, Alberto Lucchini

Ossigenoterapia: definizione, indicazioni e modalità di somministrazione


L’ossigenoterapia consiste nella somministrazione di ossigeno a concentrazioni superiori rispetto all’aria am-
biente (FiO2 20.95%), con lo scopo di correggere l’ipossiemia (PaO2 < 60 mmHg, equivalente approssimativa-
mente ad SaO2 di 90%). Delle 3 indicazioni principali all’uso di ossigenoterapia (trattare l’ipossiemia, quando
c’è evidenza del fatto che l’ipossiemia severa è pericolosa, prevenire l’ipossiemia nei pazienti acuti; alleviare la
dispnea nei pazienti non ipossiemici) soltanto la correzione dell’ipossiemia in atto è fondata su prove di efficacia.
Non esistono controindicazioni specifiche all’ossigenoterapia quando se ne rilevano le indicazioni.
La valutazione dei pazienti acuti prevede sistematicamente il rilievo di stato di coscienza, frequenza respira-
toria, polso, pressione e temperatura corporea, assieme alla saturazione periferica dell’O2 ed alla valutazione
della massa ematica circolante e della presenza di eventuale anemia. I dispositivi per la somministrazione
di ossigenoterapia sono classificati in figura 1, e le caratteristiche sono riportate in tabella 1. In figura 2 sono
riassunte le indicazioni e la conduzione del trattamento con O2 terapia dei pazienti acuti, secondo le linee
guida della British Thoracic Society (BTS).

Monitoraggio del paziente


Il dispositivo principale per il rilievo di dati oggettivi in merito all’indicazione alla somministrazione di O2, ed
al raggiungimento del target terapeutico desiderato è l’emogasanalisi (EGA), assieme alla valutazione della
funzione respiratoria, particolarmente della tachipnea, che è un indicatore sensibile di deterioramento de-
gli scambi gassosi. Il monitoraggio strumentale continuo viene garantito dall’uso di pulsossimetria (SpO2).
Quindi, laddove possibile, è necessario ottenere un EGA di base prima di iniziare il trattamento con O2. Ogni
EGA eseguito successivamente dovrà essere messo in relazione alla FiO2 erogata al paziente.

In generale, i segni di deterioramento respiratorio sono: aumento della frequenza respiratoria (particolarmen-
te sopra 30 atti/m’); riduzione della saturimetria periferica dell’ossigeno; aumento delle dosi di ossigeno per
mantenere la SpO2 nel target range; aumento dei punteggi di Modified Early Warning Score; ritenzione di
CO2; sonnolenza, cefalea, tremori, arrossamento del volto.

La British Thoracic Society raccomanda l’osservazione della saturazione dell’ossigeno per almeno 5 minuti
dopo l’istituzione dell’O2 terapia. Se l’ossigenazione del paziente è sopra target, la somministrazione può
essere titolata riducendone la dose e cambiando dispositivo. Pazienti con target terapeutico di SaO2 tra 88%
e 92%, e, in generale, quelli a rischio di sviluppare ipercapnia (PaCO2 > 46 mm Hg), dovrebbero ricevere una
valutazione emogasanalitica entro 30-60 minuti dall’inizio della terapia. I pazienti con target terapeutico di
SaO2 94%-98% non necessitano la ripetizione dell’EGA entro 30-60 minuti, e se non c’è rischio di sviluppare
ipercapnia e acidosi, possono anche non necessitare di ulteriori valutazioni di EGA rispetto a quella di base.

Il monitoraggio susseguente l’istituzione di O2 terapia prevede la misurazione di SpO2 e delle variabili fisio-
logiche (per esempio il Modified Early Warning Score), almeno 4 volte il giorno, se il paziente è stabile. Nei
pazienti instabili, il monitoraggio della SpO2 dovrebbe essere continuo, e in aree di cura appropriate. Qualsi-
asi variazione in peggioramento della saturazione dell’ossigeno dovrebbe prevedere una rivalutazione clinica
generale del paziente, associata ad EGA.

L’O2 terapia dovrebbe esser titolata per rimanere nel range terapeutico del paziente, ed cessata, quando non
ne esistano ulteriormente le indicazioni. Eventuali variazioni nella somministrazione di O2 dovrebbero esser
seguite da valutazioni di almeno 5 minuti della risposta del paziente e particolarmente della SpO2. I pazienti
a rischio di ipercapnia, dovrebbero ricevere una valutazione EGA entro 30-60 minuti dalle variazioni di ero-
gazione dell’O2 terapia. Non sono invece necessarie misurazioni emogasanalitiche ripetute nei pazienti che
richiedono riduzione del dosaggio o cessazione dell’O2 terapia per mantenere il target di saturazione indicato.

70
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Considerazioni particolari
• La PaO2 attesa per l’età è molto semplicemente calcolabile con la seguente formula: PaO2 attesa = 102
mmHg - 0.33 x (età).
• In corso di O2 terapia può essere titolata la FiO2 sulla base del target di PaO2 desiderato con la seguente
formula: nuova FiO2 = (FiO2 attuale X PaO2 desiderata):PaO2 attuale.
• La SpO2 può essere normale in pazienti con PaO2 normale, ma che hanno pH acido (< 7.35) e/o ipercapnia,
oppure in condizioni di basso contenuto ematico di ossigeno dovuto ad anemia.
• I pazienti dispnoici senza oggettivazione di ipossiemia non giovano di O2 terapia, eccettuato nei casi di intos-
sicazione da monossido di carbonio, ed altri casi rari. Comunque, la riduzione di 3 punti percentuali di SpO2
all’interno del range di target, deve far sospettare una condizione acuta e richiede pronta valutazione.
• Alcuni soggetti normali, particolarmente gli anziani con età maggiore di 70 anni, o gli obesi, possono pre-
sentare SpO2 < 94% e non necessitare di trattamento con ossigeno.
• Nei pazienti con asma la somministrazione di aerosol in ossigeno deve prevedere dispositivi che funzioni-
no con almeno 6 lt/m’ di flusso di O2, altrimenti diventa necessario aggiungere cannule nasali a 2-6 lt/m’.
• Nei pazienti con acidosi ipercapnica l’aerosol dovrebbe esser somministrato in aria compressa; eventual-
mente l’O2 dovrebbe esser fornito con cannule nasali a 2-4 lt/m’ per mantenere SaO2 target tra 88% e 92%.
In assenza di disponibilità di aria compressa non eccedere oltre i 6 minuti nella somministrazione di aerosol.

Riserva di ossigeno disponibile ed autonomia


Calcolo della riserva di ossigeno nelle bombole: volume (in lt) x pressione (in atmosfere) = lt di O2 disponibili.

In caso di utilizzo di ventilatore automatico connesso a bombola da trasporto, il calcolo della riserva di ossigeno
prevede di non considerare 50 atmosfere, in quanto pressione minima per garantire il funzionamento adeguato
del ventilatore. Pertanto la formula sarà: volume (in lt) x [pressione - 50 (in atmosfere)]= lt di O2 disponibili.

Calcolo dell’autonomia della bombola di ossigeno rispetto alla dose erogata: O2 presente nella bombola in
lt: flusso di O2 erogato (in lt/m’) = minuti di autonomia della bombola.

Legenda: CO2 – Anidride carbonica; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; FR – Frequenza Respiratoria; TV – Tidal Volume
Figura 1 - Classificazione dei dispositivi per ossigenoterapia

71
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 1 - Sistemi di erogazione dell’ossigenoterapia

Dispositivo Flusso di O2 FiO2 Caratteristiche


(lt/m’) erogata
Cannule nasali 1-2 0.24 - necessità di flusso libero dal naso
(occhialini nasali) - riduzione della FiO2 effettiva se il paziente espira dal naso
3-5 0.30-0.40
- incostanza della FiO2
6 0.44 - può esser usata l’umidificazione
Sondini 1-6 0.23-0.42 - introduzione mediante misura punta del naso-lobo dell’orecchio
nasofaringei - possibile rischio di distensione gastrica
- rischio di minor tolleranza da parte del paziente
- può esser usata l’umidificazione
Maschere facciali 5-6 0.40 - rischio di rirespirazione di CO2 con flussi inferiori a 5 lt/m’
semplici - necessaria l’umidificazione
6-7 0.50
7-8 0.60
Maschere con 7 0.65 - dotata di reservoir riempito per circa 1/3 della prima porzione
reservoir a parziale dell’espirato del pz.
8-15 0.7-0.8
rirespirazione - mantenere un flusso di O2 tale da prevenire il collasso
del reservoir per più di 1/3, e quindi la rirespirazione di CO2
- necessaria l’umidificazione
Maschere con 10-15 0.85-1 - dotata di 3 valvole unidirezionali, la centrale fornisce O2,
reservoir senza le laterali sono espiratorie; sistema chiuso all’aria ambiente
rirespirazione - erogazione teorica di FiO2 fino a 1; quote reali intorno a 0.6-0.8
- il reservoir non deve mai collassare
- necessaria l’umidificazione
Maschera 3 0.24 - FiO2 costante al variare del pattern respiratorio
di Venturi - molto utile nella BPCO
4 0.28
- necessaria l’umidificazione (preferibilmente a caldo)
6 0.31 - possibilità di uso con maschere facciali, o da tracheostomia
9 0.35
12 0.40
15 0.50
Sistemi ad alto 3-15 0.24-0.50 - FiO2 costante al variare del pattern respiratorio
flusso per (adulti) - miscelazione aria/O2 con FiO2 variabile da 0.21 a I con sistema
nebulizzazione 0.24-1 venturi, tramite umidificazione e formazione di aerosol
(pediatrico) - negli adulti il sistema si comporta come un alto flusso fino
ad erogazione di FiO2 0.5
- nei pazienti pediatrici il sistema si comporta come alto flusso
fino a FiO2 I
- uso di tubo corrugato di grosso calibro
- reservoir garantito dal tubo che connette la maschera facciale
al sistema venturi distale
- necessaria l’umidificazione a caldo
- possibilità di uso con maschere facciali, da tracheostomia,
o tubo a T
Cannule nasali 20-60 0.21-1 - l’utilizzo di flussi che superano il volume/minuto del paziente
ad alto flusso permette l’erogazione di FiO2 costanti
- l’utilizzo di flussi elevati consente in condizioni di buona
compliance del paziente, l’erogazione di bassi livelli PEEP
- necessaria l’umidificazione a caldo, con impostazioni da via
aerea artificiale per contrastare gli effetti dei flussi elevati
(al paziente: umidità assoluta 44 mg/lt; temperatura 37°C;
umidità relativa 100%)

Legenda: BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva; CO2 - Anidride carbonica; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno;
NIV – Noninvasive Ventilation; O2 – ossigeno

72
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Legenda: BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva; EGA – Emogasanalisi arteriosa; FiO2 – Frazione inspiratoria
dell’ossigeno; NIV – Noninvasive Ventilation; O2 – ossigeno; PaO2 - pressione parziale dell’ossigeno arterioso;
PaCO2 - pressione parziale arteriosa di anidride carbonica; SaO2 – saturazione arteriosa dell’ossigeno; SpO2 - saturazione
periferica dell’ossigeno;SVO2 - saturazione venosa mista di ossigeno; TI – Terapia Intensiva
Figura 2 - Gestione dell’ossigenoterapia nei pazienti acuti
tradotta e modificata dalle linee guida BTS; O’Driscoll et al. 2008

73
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

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74
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

4. MONITORAGGIO IN CORSO DI VENTILAZIONE MECCANICA INVASIVA


Stefano Bambi, Alberto Lucchini

Approccio generale
L’approccio al monitoraggio (e alla gestione) del paziente sottoposto a supporto ventilatorio invasivo in area
critica segue il modello attualmente più diffuso, che è quello di valutazione-azione-rivalutazione offerto dall’E-
mergency Care Cycle secondo lo schema ABCDE (A - Airways, valutazione della coscienza e delle vie aeree;
B – Breathing, valutazione della funzione respiratoria; C – Circulation, valutazione del circolo; D – Disability, va-
lutazione delle funzioni neurologiche, della sedazione e del dolore; E – Exposure, valutazione della temperatura,
dello stato cutaneo, e dell’integrità muscolo-scheletrica), seguendo per le valutazioni secondarie, un rigoroso
schema testa-piedi, accanto alla presa in carico dei referti delle indagini di laboratorio e strumentali, ad una
rigorosa raccolta dati anamnestica clinica e psico-sociale, ed al rilievo delle necessità informative/educative
e psicologiche sia del malato che delle persone significative. A monte dell’intero processo è imprescindibile
l’implementazione di una fase di anticipazione (messa in sicurezza del contesto di cura) caratterizzata dalla
predisposizione e controllo di operatività secondo check list su:
• equipaggiamento, presidi sanitari e farmaci standard nel box/unità di vita paziente;
• presidi di prevenzione delle lesioni da pressione
• apparecchiature di monitoraggio e di supporto delle funzioni d’organo specifiche per la tipologia di assisti-
to in arrivo
• equipaggiamento per il trasporto protetto intraospedaliero
• disponibilità dei presidi di autoprotezione.

Inoltre, laddove possibile è auspicabile reperire preventivamente, mediante adeguato hand-over telefonico o
telematico, informazioni utili alla pianificazione degli interventi sanitari circa:
• problema principale d’ingresso
• dati anagrafici
• supporti e monitoraggi in corso
• supporti e monitoraggi potenzialmente necessari (da predisporre)
• specifiche necessità di isolamento
• tempo stimato di arrivo

Monitoraggio nel paziente con vie aeree artificiali


Al momento dell’accoglienza del paziente gli operatori provvedono a:
1. Valutazione immediata delle funzioni vitali coscienza, respiro, circolo (quick look): Advanced Life Support,
se cedimento di funzioni vitali.
2. Trasferimento della persona dal mezzo di trasporto al letto della terapia intensiva con mantenimento di continu-
ità dei supporti vitali e del monitoraggio strumentale completo dei parametri vitali durante tutte le operazioni.

A – Airways - Valutazione della coscienza e delle vie aeree

1. Verifica della pervietà delle vie aeree artificiali:


a. Tipologia di dispositivo in sede e posizione corretta del tubo tracheale/tracheostomico
i. Tipologia di tubo tracheale e sede di intubazione
ii. Conferma del corretto posizionamento del tubo mediante capnografia/capnometria (gold-standard);
auscultazione dell’epigastrico ricercando l’assenza di rumori; auscultazione bilaterale degli apici e
delle basi degli emitoraci lungo la linea media ascellare alla ricerca di simmetria nei suoni; osser-
vazione della simmetria dell’espansione toracica; in alcuni casi controllo con rilevatore esofageo, o
visivo mediante fibroscopia. Contestuale controllo di SpO2, della sovrapponibilità dei volumi correnti
inspiratori con quelli espiratori al ventilatore automatico.

75
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

iii. Documentazione della distanza del tubo alla rima dei denti (in genere intorno ai 21 cm nelle donne
e 23 cm negli uomini)
iv. Esecuzione di radiografia del torace per controllo della punta del tubo al livello tracheale medio
v. In presenza di tubi con lume di aspirazione sottoglottica, aspirazione manuale del lume con siringa
da 10 ml, e successiva istituzione di aspirazione continua a pressioni di – 30 mmHg, o intermittente
con pressioni di -100/-150 mmHg
vi. Tipologia di device tracheostomico (se presente)
b. Fissaggio in sicurezza della via aerea artificiale
i. I tubi endotracheali necessitano del controllo di stabilità del sistema di fissaggio. L’utilizzo di sistemi
di fissaggio con solo cerotto e senza passare posteriormente al collo predispongono maggiormente
il paziente al rischio di estubazione non pianificata
ii. La metodica di fissaggio utilizzata per i tubi orotracheali è centrale all’interno di una strategia as-
sistenziale volta al frequente cambio di posizione del tubo da un angolo della bocca all’altro, per
prevenire lesioni da pressione sulle labbra e all’interno del cavo orale
iii. L’utilizzo di bite-block per prevenire lo schiacciamento del tubo tra i denti del paziente, dovrebbe
essere estremamente limitato a causa del rischio di lesioni alle mucose del cavo orale
c. Controllo pressione della cuffia del device endotracheale
i. Mantenimento della cuffia del tubo tracheale o tracheostomico su valori tra 25 e 30 cmH2O (20 e 25
mmHg) mediante manometro
ii. In assenza di manometro utilizzare la minimal leak tecnique o minimal occlusive volume per garan-
tire un equilibrio tra la riduzione di perdite aeree e la prevenzione delle lesioni da pressione sulla
mucosa tracheale
2. Monitoraggio della ETCO2 con capnografia

B – Breathing, valutazione della funzione respiratoria

1. Posizionamento della persona per favorire la migliore ventilazione possibile rispetto alle condizioni cliniche
contingenti
a. Monitoraggio intermittente dei gradi di posizione semirecumbente della testa del letto del paziente (in caso
di lesioni vertebro-midollari, utilizzo della posizione Anti-Trendelemburg) da mantenere superiori a 30°
2. Valutazione della funzione respiratoria mediante esame clinico
a. Osservazione dell’espansione toracica, di ferite, alterazioni/deformità visibili a occhio nudo, pattern
respiratorio, simmetria
b. Palpazione bilaterale degli emitoraci alla ricerca di alterazioni, avvallamenti, enfisemi, ferite
c. Auscultazione bilaterale del torace superiore e inferiore lungo la linea ascellare media destra e sinistra
per verifica simmetria del murmure
d. Controllo della frequenza respiratoria in relazione alla modalità ed ai parametri impostati sul ventilatore
3. Valutazione delle variazioni nello stato di coscienza (in assenza di sedazione e/o miorisoluzione in corso di
somministrazione)
4. Valutazione del colorito cutaneo e della presenza di sudorazione
5. Monitoraggio della SpO2 con pletismografia
6. Monitoraggio dei parametri della ventilazione meccanica sulla base delle modalità impostate e dei target
terapeutici prescritti
a. Impostazione degli allarmi sulla base dei target terapeutici del paziente
i. Risoluzione problemi di interazione uomo-macchina sulla base degli allarmi
b. Monitoraggio delle curve della ventilazione
i. Risoluzione problemi di interazione uomo-macchina sulla base dell’analisi delle curve
c. Gestione delle emergenze collegate alla ventilazione meccanica invasiva

76
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

7. Valutazione dell’emogasanalisi arteriosa


8. Valutazione dei caratteri quantitativi e qualitativi delle secrezioni rimosse mediante aspirazione delle vie
aree artificiali
9. Verifica della pervietà dei drenaggi toracici a caduta o in aspirazione eventualmente presenti e dell’in-
fluenza esercitata sulla ventilazione

Legenda: ARDS – Sindrome da Distress Respiratorio dell’Adulto; Eco – Ecografia; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; FR –
Frequenza Respiratoria: I.E – Rapporto Inspirazione : Espirazione; IIA – Ipertensione Intra-Addominale; PEEP – Pressione Positiva
di Fine Espirazione; Pnx – Pneumotorace; Rx – Radiografia; TET – Tubo endotracheale; TV – Volume Corrente
Figura 1 - Flow chart di gestione dell’emergenza nel paziente in ventilazione meccanica
tradotto da Wood & Winters, 2011

77
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Considerazioni particolari
• Il monitoraggio dei parametri vitali in continuo non deve mai essere interrotto in alcuna fase del processo
di cura ed assistenza, in particolare, nel passaggio da un luogo di cura ad un altro è prevista la momenta-
nea sovrapposizione dei sistemi di monitoraggio in attesa del completo avvicendamento delle tecnologie
appartenenti all’equipe ricevente
• La capnografia può dare esiti falso negativi per quanto riguarda la posizione del tubo tracheale, in caso di
arresto cardiaco, in assenza di scambi gassosi
• In ventilazione meccanica, la gestione dell’ossigenazione del paziente avviene mediante il bilanciamento
dell’impostazione di PEEP e FiO2. La PaCO2, invece, viene gestita attraverso l’impostazione del volume
corrente, e della ventilazione minuto.
• L’ipercapnia produce riduzione progressiva del sensorio. L’ipossiemia si caratterizza negli stadi iniziali per
agitazione e confusione mentale.
• Il monitoraggio del paziente ventilato, e in generale di ogni malato critico, necessita sempre l’accurata
integrazione dei dati clinici derivanti dall’esame obiettivo con quelli strumentali, offerti dalle tecnologie
medicali.
• Focalizzarsi solo ed esclusivamente sulla risoluzione dei problemi derivanti dalle macchine può essere
fonte di perdita di tempo, quando non di errore nel trattamento delle urgenze dei pazienti in ventilazione
meccanica. L’approccio da seguire per la gestione e risoluzione degli allarmi derivanti dalle tecnologie di
monitoraggio e supporto delle funzioni vitali è sempre quello di ripartire dallo schema ABCDE controllan-
do il paziente e in parallelo la macchina che offre il supporto d’organo
• La formula per il calcolo del peso corporeo ideale (Ideal Body Weight – IBW) è:
- Maschi IBW (kg) = 50 + 0.91 (altezza (cm) –152.4)
- Femmine IBW (kg) = 45.5 + 0.91 (altezza (cm) –152.4)

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78
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 1 - Parametri della ventilazione e concetti chiave

Parametro/ Descrizione Valori di riferimento


concetto chiave
Frazione Quantità di ossigeno presente nei gas inspirati Variabile tra 0.21 (aria ambien-
inspiratoria te) ed 1. FiO2 superiori a 0.5 per
dell’ossigeno periodi prolungati pongono a ri-
(FiO2) schio di tossicità da ossigeno
Ciclo respiratorio Quantità di tempo impiegata per compiere inspirazione, pausa In condizioni di FR tra 12 e 20
inspiratoria, ed espirazione. In ventilazione meccanica si indi- atti/m’, il ciclo respiratorio varia
viduano 4 fasi che lo commpongono: 1- passaggio da espira- da 5 a 3 secondi
zione ad inspirazione; 2-inspirazione; 3-passaggio da inspira-
zione ad espirazione; 4-espirazione. Si calcola con la formula
60 sec./FR
Rapporto Il rapporto I:E determina quanto tempo viene dedicato all’in- Rapporto I:E normale 1:2, o 1:3;
Inspirazione/ terno del ciclo respiratorio, all’inspirazione e all’espirazione. il Ti è mediamente tra 0.7 e 1.3
Espirazione (I:E) Ad esempio, in un rapporto 1:2, 1/3 del tempo è inspiratorio e secondi
2/3 è dedicato all’espirazione.
Il tempo inspiratorio (Ti) è determinato dalla velocità del flus-
so di gas. Più alto è il flusso, più veloce è la velocità dei gas,
quindi più breve è il Ti, e maggiore è la PIP a parità di re-
sistenze e compliance del complesso toraco-polmonare. Un
rapporto I:E invertito mantiene il polmone aperto e previene il
dereclutamento alveolare (necessaria la sedazione)
Volume corrente Volume di aria inspirato (TVi) ed espirato (TVe) ad ogni atto In una persona di 70 Kg, è circa
(tidal volume; TV) respiratorio. L’aumentare del TV produce una riduzione della 400-500 ml. In genere 7-8 ml/Kg
PaCO2; la riduzione del TV produce un aumento della PaCO2 IBW. I TV protettivi in ventilazione
meccanica si calcolano con 6 ml/
Kg di IBW
Volume minuto Volume di aria inspirato ed espirato (TVe) nell’arco di un minu- Si calcola con FRxTV
(Vol/m’) to. L’aumentare del Vol/m’ produce una riduzione della PaCO2;
la riduzione del Vol/m’ produce un aumento della PaCO2
Spazio morto Quantità di aria presente all’interno delle vie aeree che non In media è 150 ml. Una appros-
anatomico (VD) partecipa agli scambi gassosi (dalla bocca ai bronchioli termi- simazione del valore può essere
nali). In ventilazione meccanica lo spazio morto delle branche ottenuta moltiplicando il peso
inspiratoria ed espiratoria del circuito viene normalmente corporeo x 2 (risultato in ml)
compensato dalla macchina, ma tutto quello che viene inter-
posto tra la Y del circuito ed il paziente, non è oggetto di com-
pensazione, andando a aumentare lo spazio morto (es. filtri
umidificatori o antibatterici, catetermount, sensori per EtCO2,
interfacce per NIV)
Ventilazione Volume di aria che raggiunge la zona respiratoria del polmone Si calcola con la formula [(VT –
Alveolare (VA) per minuto, e che partecipa agli scambi gassosi VD) X Freq. Respiratoria)]; in un
adulto di circa 70 Kg è [(500 –
150) X 14)]= 3500 ml
Capacità Volume di aria rimanente nei polmoni al termine di un’espira- In una persona di 70 Kg, in media
Funzionale zione normale (non forzata). In ventilazione meccanica, l’appli- la FRC è di 2500 ml
Residua (FRC) cazione di una pressione positiva di fine espirazione (PEEP), o
continua (CPAP), contribuisce ad aumentare la FRC, favorendo
il reclutamento di aree ben perfuse ma mal ventilate, miglio-
rando gli scambi gassosi
segue

79
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Parametro/ Descrizione Valori di riferimento


concetto chiave
Pressione Applicazione di una pressione positiva costante nelle vie In ventilazione meccanica si
Positiva di Fine aeree alla fine dell’espirazione, che impedisce il ritorno della applicano valori di PEEP rara-
Espirazione pressione al livello atmosferico. Aumenta la FRC, recluta quin- mente inferiori a 5 cmH2O. In
(PEEP) di gli alveoli polmonari atelectasici, determina splint sulle vie ARDS PEEP superiori ai valori
aeree e distende gli alveoli già aperti, contrasta la chiusura al- tradizionali (5-12 cmH2O) pos-
veolare in fase espiratoria e ridistribuisce l’acqua polmonare sono minimizzare la ciclica chiu-
extravascolare dagli alveoli allo spazio perivascolare. Questi sura alveolare. Tra i metodi più
meccanismi consentono la riduzione dello shunt intrapolmo- frequenti per titolare la PEEP si
nare, aumentano la compliance e migliorano la diffusione trovano approcci incrementali
dell’ossigeno, comportando un aumento dell’ossigenazione. (combinandola con la FiO2 fino
Bassi livelli di PEEP sono utili nel contrastare l’eventuale pre- al raggiungimento di ossigena-
senza di PEEP intrinseca nei pazienti con BPCO. zione e compliance desiderata),
La PEEP esercita effetti emodinamici nei pazienti in ventila- decremantali, oppure mediante
zione meccanica, determinando un abbassamento dei valori l’impostazione su valori appena
pressori, particolarmente nei pazienti ipovolemici a causa del- superiori rispetto a quelli rilevati
la riduzione del ritorno esercitata dall’ostacolo al flusso ema- dal punto di flesso inferiore della
tico prodotto dallo schiacciamento dei capillari perialveolari, curva pressione – volume. Altre
dovuto alla distensione degli alveoli. La lettura dei valori di modalità sono costituite dall’uso
pressione venosa centrale e della pressione di incuneamen- dello Stress index o dalla misura
to capillare polmonare dovrebbero tenere conto dei livelli di della pressione esofagea. Rara-
PEEP impostati mente si utilizzano livelli di PEEP
superiori a 24 cmH2O
Pressione Positiva La PEEP e la CPAP hanno lo stesso meccanismo. Ma se la La CPAP viene impostata in ge-
Continua delle vie PEEP è applicata a fine della espirazione in un paziente con nere su valori in un range tra 5
aeree (CPAP) supporto ventilatorio a pressione positiva, la CPAP, in realtà, e 15 cmH2O
è una pressione positiva continua delle vie aeree sulla qua-
le il paziente respira spontaneamente durante tutte le fasi del
ciclo respiratorio. La CPAP può essere erogata dal ventilatore
automatico oppure da un apprecchio ad alti flussi o da un ven-
turimetro. Gli effetti fisiologici della CPAP sono identici a quelli
della PEEP
PEEP intrinseca La PEEP intrinseca (detta anche autoPEEP, air-trapping, o ipe-
(PEEPi) rinflazione dinamica), è lo sviluppo spontaneo di PEEP a causa
di un tempo di espirazione insufficiente. Le cause di PEEPi in-
cludono tachipnea, ostruzione al flusso nelle vie aeree, elevate
richieste ventilatorie in termini di ventilazione minuto, e ven-
tilazione a rapporto I:E invertito. L’air-trapping tende a svilup-
parsi progressivamente fino a che le forze di ritorno elastico
del polmone non superano la tendenza a intrappolare ulterio-
re aria. L’autoPEEP determina aumento del lavoro respiratorio
del paziente (a causa delle pressioni pleuriche maggiori che
deve esercitare per dare inizio ad un nuovo atto respiratorio),
altera i valori delle pressioni vascolari, ed è fonte di errore di
calcolo per le misure della compliance statica e dinamica.
L’autoPEEP è riconoscibile al ventilatore automatico, quando a
fine espirazione, sulle curve di flusso, il valore del flusso non
torna a 0. Molti dei moderni ventilatori ne permettono il cal-
colo quantitativo mediante manovre di occlusione espiratoria.
Questa misura, è chiaramente possibile soltanto nel paziente
intubato o trachestomizzato collegato al ventilatore meccanico
Variabili di fase Sono responsabili di ogni singola parte componente un re-
del ventilatore spiro, e sono manipolabili dall’operatore. La variabile trigger
(tempo, pressione o flusso) è quella che determina l’inizio
dell’inspirazione; la variabile di limite (pressione, volume, flus-
so o tempo), pone il valore massimo del parametro scelto per
controllare l’inspirazione; la variabile di ciclo (volume, flusso,
pressione o tempo) è quella che determina la fine dell’inspira-
zione e l’inizio dell’espirazione
segue

80
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Parametro/ Descrizione Valori di riferimento


concetto chiave
Flusso Velocità di erogazione del volume corrente. Alti valori di flusso Mediamente impostato tra 40 e
determinano una riduzione del tempo inspiratorio, l’aumento 60 lt/m’, talvolta anche fino a 100
della PIP (con flusso più turbolento), possibile maldistribuzio- lt/m’. Una regola approssimativa
ne dei gas; sono richiesti per alti valori di ventilazione/m’. Bassi indica che sia necessario impo-
valori di flusso comportano un aumento del tempo inspirato- stare un flusso non inferiore a 3
rio, la riduzione della PIP, con flusso più laminare, e possono volte il volume/m’ desiderato
contribuire ad una migliore distribuzione dei gas
Tipologie di Ciclati dalla macchina
respiri erogati dal - obbligatorio: respiro triggerato, limitato e ciclato dal ven-
ventilatore tilatore. Il ventilatore esegue tutto il lavoro respiratorio
attraverso ogni fase della ventilazione
- assistito: respiro triggerato dal paziente, limitato e ciclato
dal ventilatore
Ciclati dal paziente
- supportato: respiro triggerato dal paziente, limitato dal
ventilatore, e ciclato dal paziente. Un respiro spontaneo
con una pressione inspiratoria maggiore del baseline
- spontaneo: respiro triggerato, limitato e ciclato dal pazien-
te. Il paziente si fa carico di tutto il lavoro della ventilazione
Trigger Il trigger è la variabile che il ventilatore utilizza per ciclare Nei trigger gestiti dal paziente,
dall’espirazione all’inspirazione. Il trigger può esser indotto una sensibilità elavata comporta
dal ventilatore oppure dal paziente. In questo caso il ventila- un aumento del lavoro richiesto
tore avverte una variazione negativa di pressione o flusso in- dal paziente per indurre il ventila-
dotta dal paziente all’interno del circuito, in concomitanza con tore a fornire una risposta.
l’inizio di un respiro, e rilascia un atto respiratorio, oppure un Una soglia eccessivamente bas-
supporto pressorio o del flusso per mantenere una pressione sa di trigger può indurre il ven-
in sincronismo con lo sforzo inspiratorio del paziente. tilatore a interpretare falsamente
Trigger a pressione: il ventilatore avverte una caduta di pres- come richiesta del paziente, an-
sione nel circuito (sensibilità di trigger), indotta dallo sforzo che segnali che non lo sono (ad
inspiratorio del paziente, ed eroga l’atto respiratorio o il sup- esempio condensa nel circuito,
porto a seconda della modalità ventilatoria impostata o movimenti del circuito stesso),
Trigger a flusso: il ventilatore avverte una caduta di flusso nel determinando l’attivazione di atti
circuito (sensibilità di trigger), indotta dallo sforzo inspiratorio o supporti non necessari.
del paziente, ed eroga l’atto respiratorio o il supporto a secon- Il trigger a pressione, nella mag-
da della modalità ventilatoria impostata. In genere il trigger gior parte dei casi dovrebbe esser
di flusso ha una risposta più rapida da parte del ventilatore impostato tra −0.5 e −2.0 cm H2O.
perché le valvole inspiratoria e espiratoria non sono mai com- Il trigger di flusso prevede in al-
pletamente chiuse. cuni ventilatori l’impostazione di
Trigger a volume: il ventilatore avverte un cambiamento di vo- un flusso base che il ventilatore
lume nel circuito (sensibilità di trigger), indotta dallo sforzo mantiene all’interno del circuito
inspiratorio del paziente, ed eroga l’atto respiratorio o il sup- (in genere tra 5 e 10 lt/m’). Inve-
porto a seconda della modalità ventilatoria impostata ce in tutti i ventilatori è prevista
Trigger a tempo: il ventilatore eroga respiri a regolari intervalli l’impostazione della sensibilità
di tempo, sulla base di una frequenza impostata in un minuto trigger, (cioè il livello sul quale
(FR), indipendentemente dalle presenza di sforzo del paziente. lo sforzo inspiratorio del paziente
viene riconosciuto dal ventilato-
re), generalmente tra 1 e 3 lt/m’.
Pressione Il livello di pressione inspiratoria, viene impostato nelle mo- In ventilazione protettiva, il
Inspiratoria dalità ventilatorie pressumetriche. Il nome della pressione in- target di impostazione della
spiratoria può variare a seconda delle modalità ventilatorie e pressione inspiratoria di è non
delle marche dei ventilatori. In genere per una data pressione superare il valore soglia di 30
impostata, il TV ottenuto dipende dal tempo inspiratorio, dalle cmH2O di Pplateau
resistenze delle vie aeree e dalla compliance del paziente
Pressione In un respiro condotto dal ventilatore la PIP, viene raggiunta La PIP non dovrebbe mai
Inspiratoria di rapidamente ed è la massima pressione delle vie aeree che si superare valori di 30-35 cmH2O a
Picco (PIP) sviluppa nel paziente. La PIP è espressione sia delle resistenze causa del rischio di barotrauma
delle vie aeree che della compliance toracopolmonare. del paziente
segue

81
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Parametro/ Descrizione Valori di riferimento


concetto chiave
Pressione di La pressione di plateau è la pressione di pausa inspiratoria In ventilazione meccanica
Plateau (pausa del paziente, quando il flusso di gas del ventilatore è cessato, protettiva sono suggeriti valori
inspiratoria) in attesa dell’apertura della valvola espiratoria del ventilatore. non superiori a 30 cmH2O. In
(Pplateau) Pplateau è espressione della compliance polmonare alcune categorie di pazienti,
con ampi quote di polmone non
areato, la Pplateau dovrebbe esser
limitata a 28 cmH2O
La Pplateau se maggiore del flesso
superiore della curva pressione
– volume, può determinare
sovradistensione alveolare.
La Pplateau correla maggiormente
della PIP col rischio di
barotrauma. Questo deve
esser tenuto a mente nel
monitoraggio ventilatorio del
paziente e nell’impostazione dei
parametri della macchina
Pressione media È la pressione media mantenuta attraverso tutto il ciclo
delle vie aeree respiratorio. È espressa essenzialmente nell’area sotto la curva
(mPaw) del diagramma tempo-pressione. È influenzata sia dal livello
di pressione delle vie aeree sopra i valori di base che dalla
durata. La pressione media delle vie aeree correla fortemente
con gli effetti emodinamici della ventilazione meccanica
Rise Time Velocità con cui il sistema raggiunge la pressione inspiratoria In genere si utilizzano rampe
(tempo di salita o di supporto impostata di flusso brevi: 0.1-0.15 sec per
inspiratoria; pazienti con dispnea grave e
rampa di flusso) fame d’aria; 0.2 sec. in pazienti
con patologie neuromuscolari
Resistenza delle È la misura dell’opposizione al flusso di gas attraverso le vie I valori normali di resistenza,
vie aeree (Raw) aeree. Si calcola con la formula Raw= (Pressione di Picco – misurati con un flusso standard
Pressione di Plateau)/Flusso. I fattori che influenzano la Raw di 0.5 lt/sec. sono 0.5-3.0
sono la lunghezza, ed il raggio delle vie aeree, ed il flusso. cmH2O/l/sec. L’aumento di
L’aumento del flusso influenza la distribuzione dei gas e au- Raw determina la necessità di
menta la pressione nelle vie aeree (espressione di aumento maggiori pressioni inspiratorie
della resistenza). per ottenere un dato TV. Le aree
Condizioni di aumento delle resistenze si verificano per fattori con minor resistenza vengono
dipendenti dalle vie aeree (broncospasmo, aumento di secre- ventilate meglio di quelle che ne
zioni nelle vie aeree, edema della mucosa), o dal circuito di offrono di più
ventilazione (morso del tubo, schiacciamento del circuito, ec-
cesso di condensa).
segue

82
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Parametro/ Descrizione Valori di riferimento


concetto chiave
Compliance Misura della distensibilità dei tessuti respiratori. La complian- Valori normali di CST si aggirano
ce toraco-polmonare totale si misura con la seguente formula tra i 70 e i 100 ml/cmH2O. In prati-
CTL = variazione di volume/variazione di pressione. Bassa com- ca, al variare di 1 cmH2O di pres-
pliance statica (polmoni rigidi) è tipica di ARDS, polmoniti, sione all’interno dei polmoni, la
edema polmonare, fibrosi polmonare, pnx, emotorace, obesi- variazione di volume ottenuta è
tà cifoscoliosi versamento pleurico. L’ alta compliance statica tra i 70 e i 100 ml di gas.
è, invece, tipica dell’enfisema polmonare, del lembo mobile Valori normali di CDYN sono intor-
toracico, e nelle sternotomie. no a 50 – 80 ml/cmH2O. I valori
La compliance statica è la misura più vera della distensibilità sono sempre minori rispetto alla
del tessuto polmonare. Viene misurata quando il flusso all’in- CST dal momento che la pressio-
terno delle vie aeree sia in entrata che in uscita è a 0. La formu- ne di picco inspiratorio è sempre
la è CST = Tidal Volume espirato/(Pressione di Plateau – PEEP). maggiore di quella di plateau
La compliance dinamica viene misurata mentre i gas si muo- (pausa inspiratoria). La riduzione
vono all’interno dei polmoni, pertanto è espressione non solo di valori di CST può indicare una
della distensibilità toraco-polmonare ma anche della resisten- diminuzione di compliance tora-
za delle vie aeree al flusso. La formula è CDYN = Tidal Volume co-polmonare o un aumento di
espirato/(Pressione di Picco Inspiratorio – PEEP). resistenze delle vie aeree.
Utile, per questi parametri, la va-
lutazione dei trend, piuttosto che
la misurazione estemporanea di
singoli valori
Oxygenation L’Oxygenation Index mette in relazione la gravità delle alte-
Index (OI) razioni dell’ossigenazione (PaO2) con l’intensità del supporto
ventilatorio (FiO2 e pressione media delle vie aeree) ed è un
predittore di mortalità superiore al rapporto PaO2/FiO2 nei pa-
zienti affetti da ALI/ARDS.
La formula per calcolarlo è OI= (FIO2xmPawX100)/PaO2
Legenda: ARDS – Acute Respiratory Distress Syndrome (Sindrome da Distress Respiratorio Acuto); BPCO – Broncopneumopatia
Cronica Ostruttiva; CDYN – Compliance Dinamica; CPAP – Continuous Positive Airways Pressure (Pressione Positiva Continua
delle Vie Aeree); CST – Compliance Statica; EtCO2 – End tidal CO2 (anidride carbonica di fine espirazione); FiO2 – Frazione
Inspiratoria dell’O2; FR – Frequenza Respiratoria; FRC – Functional Residual Capacity (Capacità Funzionale Residua); IBW – Ideal
Body Weight (Peso Corporeo Ideale); mPaw - mean Airways Pressure (Pressione media delle vie aeree); NIV – Noninvasive
Ventilation (Ventilazione Non Invasiva); PaCO2 – Pressione parziale dell’anidride carbonica su sangue arterioso; PEEP – Positive
End Expiratory Pressure (Pressione Positiva di Fine Espirazione); PEEPi – Intrinsic Positive End Expiratory Pressure (Pressione
Positiva di Fine Espirazione Intrinseca); PIP – Peak Inspiratory Pressure (Pressione Inpsiratoria di Picco); Pplateau - Pressione di
Plateau; Raw - Resistenza delle vie aeree; Ti – Tempo Inspiratorio; TV- Tidal Volume (volume corrente); TVe - Volume Corrente
espiratorio; TVi – Volume Corrente inspiratorio; VD – Volume Dead (Spazio Morto Anatomico); Vol/m’ – Volume/minuto;
VA – Ventilazione Alveolare

83
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

BIBLIOGRAFIA

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84
Tabella 2 - Modalità convenzionali di ventilazione meccanica – impostazioni e monitoraggio

Modalità di ventilazione Tipi di respiro Descrizione (TLC) Parametri Parametri


(sigle più comuni) impostati monitorizzati
Volume controllato (V-CMV; IPPV; CV; VC) Obbligatorio Trigger – ventilatore TV o minute volume (volume minuto) PIP
Limite – flusso FR Pplateau
Ciclaggio – volume (Flusso) TV espirato
Pausa ciclaggio – tempo Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) FR totale
FiO2
PEEP
Volume assistito-controllato (V-A/C; A/C;) Obbligatorio Trigger – ventilatore o TV o minute volume (volume minuto) PIP
e Assistito paziente FR Pplateau
Limite – flusso (Flusso) TV espirato
Ciclaggio – volume Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) TV espirato
Pausa ciclaggio – tempo FiO2 spontaneo
PEEP FR spontanea
Trigger (pressione o flusso) FR totale
Ventilazione volumetrica obbligatoria Obbligatorio Trigger – ventilatore o TV o minute volume (volume minuto) PIP
intermittente sincronizzata paziente FR Pplateau
(V-SIMV; SIMV) Limite – flusso (Flusso) TV espirato obbligato
Ciclaggio – volume Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) TV espirato spontaneo
FiO2 FR totale
Spontaneo Trigger – paziente
PEEP FR spontanea
Trigger (pressione o flusso)

85
Capitolo III

Ventilazione volumetrica obbligatoria Obbligatorio Trigger – ventilatore o TV o minute volume (volume minuto) PIP
intermittente sincronizzata + Pressione paziente FR Pplateau
di Supporto (V-SIMV + PSV) Limite – flusso (Flusso) TV espirato obbligato
Ciclaggio – volume Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) TV espirato spontaneo
FiO2 FR totale
Supportato Trigger – paziente
PEEP FR spontanea
Limite – pressione
Trigger (pressione o flusso)
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Ciclaggio – flusso
PS
Pressione controllata (PC-CMV; PCV) Obbligatorio Trigger – ventilatore Pinsp TV espirato
Limite – pressione FR FR totale
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo FiO2 PIP
PEEP
Rampa di flusso (rise time)
Pressione controllata a rapporto I:E Obbligatorio Trigger – ventilatore Pinsp TV espirato
invertito (PCVIRC) Limite – pressione FR FR totale
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo FiO2 PIP
PEEP
Rampa di flusso (rise time)
segue
Modalità di ventilazione Tipi di respiro Descrizione (TLC) Parametri Parametri
(sigle più comuni) impostati monitorizzati
Pressione assistita/ controllata (P/AC) Obbligatorio Trigger – ventilatore o Pinsp TV espirato
e Assistito paziente FR FR totale
Limite – pressione FiO2 FR spontanea
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo PEEP PIP
Trigger (pressione o flusso)
Rampa di flusso (rise time)
Ventilazione pressometrica obbligatoria Obbligatorio Trigger – ventilatore o Pinsp TV espirato assistito
intermittente sincronizzata paziente FR TV espirato spontaneo
(P-SIMV; SIMV) Limite – pressione Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) FR totale
Ciclaggio – tempo FiO2 FR spontanea
Pausa ciclaggio – tempo PEEP Volume minuto espirato
Trigger (pressione o flusso)
Supportato Trigger – paziente
PS
Limite – pressione
Rampa di flusso (rise time)
Ciclaggio – flusso

Pressione di Supporto (PSV; PA; ASB) Supportato Trigger – paziente PS TV espirato


Limite – pressione FiO2 FR
Ciclaggio – flusso PEEP Volume minuto espirato
Trigger (pressione o flusso)
Rampa di flusso (rise time)

86
Frequenza di back up SIMV
Capitolo III

Pressione Positiva Continua delle Vie Spontaneo Trigger – paziente FiO2 TV espirato
aeree (CPAP) Limite – pressione PEEP FR
Unica modalità erogabile con strumenti Ciclaggio – flusso (Trigger) Volume minuto espirato
diversi dal ventilatore automatico Frequenza di back up SIMV
(apparecchi ad alti flussi; venturimetri)
Legenda: ASB – Assisted Spontaneous Breathing; CPAP – Continuous Positive Airways Pressure; CV – Control Volume; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’O2; FR – Frequenza Re-
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

spiratoria; IPPV – Intermittent Positive Presure Ventilation; P-A/C Pressure Assist/Control; PC-CMV – Pressure Control-Continous Mandatory Ventilation; PCIRV – Pressure Control
Inverse Ratio Ventilation; PA – Pressione Assistita; PCV – Pressure Control Ventilation; PEEP – Positive End Expiratory Pressure; PIP – Peak Inspiratory Pressure; Pplateau – Pres-
sione di pausa inspiratoria; PS – Pressure Support; Rapporto I:E – Rapporto Inspirazione/Espirazione; SIMV – Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation; SIMV + PSV
- Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation + Pressure Support Ventilation;TLC – Trigger Limiting Cycling Classification; TV – Tidal Volume; V-A/C – Volume –Assist/Control;
A/C – Assist/Control; VC – Volume Controllato; V-CMV – Volume –Continuous Mandatory Ventilation; V-SIMV – Volume-Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation

BIBLIOGRAFIA

Kapadia F. (1998), Mechanical ventilation: simplifying the terminology, Postgraduate Medical Journal, vol. 74, no. 872, pp. 330–335.
Pierce L.N.B. (2007), Chapter 7 – Modes of mechanical ventilation, in Pierce L.N.B., Management of the mechanically ventilated patient, 2° edn. Saunders
Elsevier, pp. 211-265
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Tabella 3 - Allarmi del ventilatore meccanico e troubleshooting

Allarme Cause Valutazione e Soluzioni


Limite superiore di pressione Aumento della Possibili cause di ostruzione al flusso: inginocchiamento di
- in genere impostato 10 resistenza al tubo o circuito; condensa; morso del tubo; secrezioni nelle vie
cmH2O sopra la media della flusso dei gas aeree; catetere dell’aspirazione a circuito chiuso non comple-
PIP del paziente tamente ritirato; slittamento del tubo nel bronco principale;
- soglia in genere tra 30 e 35 erniazione della cuffia nel sopra la fine del tubo; broncospa-
cmH2O smo; impaccamento del filtro HME per eccesso di secrezioni;
malfunzionamento della valvola espiratoria
Addrizzare la via aerea e/o i tubi del circuito; eliminare la con-
densa; eventualmente spostare il tubo in aree della bocca
edentule; posizionare un boccaglio o sedare il paziente; au-
scultare alla ricerca di sibili e somministrare broncodilatatori;
valutare il riposizionamento della via aerea; sospettare l’ernia-
zione della cuffia se incapace di passare attraverso il tubo o se
presente eccesso di resistenza al passaggio, quindi sgonfiare
la cuffia e rimpiazzare il tubo; sostituire filtro HME impaccato;
sostituzione del ventilatore o della valvola espiratoria in emer-
genza, previa deconnessione e ventilazione manuale, e esecu-
zione dei test pre-operativi
Riduzione della Condizioni patologiche che determinano irrigidimento dei pol-
compliance moni, quali: atelectasia; polmonite; ARDS; edema polmonare;
polmonare fibrosi polmonare; pneumotorace ed emotorace.
Auscultazione alla ricerca di crepitii indicativi per edema; ri-
dotti suoni polmonari indicativi per atelectasie o infiltrati; suo-
ni polmonari assenti indicativi malattia dello spazio pleurico o
consolidamento;
Valutazione Rx torace
Trattamento delle condizioni patologiche sottostanti: adegua-
ti livelli di PEEP; mobilizzazione e rimozione delle secrezio-
ni mediante fisioterapia toracica e aspirazione; tecniche di
miglioramento della ventilazione quali il posizionamento in
decubito laterale, tosse assistita, respirazioni profonde; som-
ministrazione di diuretici per l’edema; drenaggio toracico per
evacuazione di versamento pleurico, pnx, emotorace.
Il pnx iperteso si presenta con improvviso aumento della PIP,
suoni polmonari ridotti o assenti, ed iper-risonanza dell’emito-
race colpito; si rilevano anche aumento della PVC e della PAP, e
scompenso cardiovascolare acuto per sbandamento mediasti-
nico e compressione dei grossi vasi intratoracici. Trattamento
con puntura esplorativa, evacuazione con drenaggio toracico.
Correggere le cause di riduzione della compliance della gab-
bia toracica: controllo del dolore; escarotomia nelle ustioni
circonferenziali del torace, gestione dell’asincronia paziente
ventilatore.
Misurare seriatamente la compliance statica e valutarne il
trend.
Aggiustare i parametri del ventilatore: ridurre il flusso o il TV
se possibile; cambiare il pattern di flusso, o passare ad una
modalità pressumetrica
Il paziente riceve Aggiustare i limiti di pressione per il volume erogato con il
un respirone sigh
(sigh)
segue

87
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Allarme Cause Valutazione e Soluzioni


Limite superiore di pressione Il paziente mostra Determinare la causa del “gagging”: tentativo di espulsione
- in genere impostato 10 il riflesso faringeo, del tubo con la lingua, conati di vomito, tubo accidentalmente
cmH2O sopra la media della tossisce o tenta di tirato in fuori o smosso
PIP del paziente parlare
Correggere il problema; aspirare il cavo orale e/o la sonda
- soglia in genere tra 30 e 35
gastrica se necessario; rassicurare il paziente e informarlo
cmH2O
sulla sua momentanea impossibilità a vocalizzare; usare
alternative per la comunicazione.
Mantenere in sicurezza con una mano le vie aeree durante
mobilizzazione del paziente o del circuito ventilatorio.
Prevedente un operatore dedicato al mantenimento in
sicurezza delle vie aeree artificiali durante gli spostamenti o il
posizionamento del paziente.
Assicurare la via aerea artificiale adeguatamente, con sistemi
che passino dietro il collo per garantire stabilità e prevenire
estubazione o decannulazione artificiale
Mantenere il livello di umidificazione delle vie aeree adeguato
ad avere delle secrezioni non ispessite.
Evitare che la condensa dreni verso le vie aeree del paziente.
Non instillare soluzione fisiologica nelle vie aeree per
migliorare la mobilizzazione di secrezioni.
Il paziente contra- Identificare la causa dell’asincronia con il ventilatore,
sta il ventilatore mediante la valutazione generale e delle onde del ventilatore
Correggere i parametri ventilatori sulla base dell’asincronia
rilevata (di flusso, trigger, o di ciclo); se necessario,
ottimizzare la sedazione

Bassa pressione inspiratoria Disconnessione Determinare le cause delle perdite: disconnessione paziente-
- in genere impostato 5-10 paziente-ventila- ventilatore; perdita di connessione nel circuito in presenza di
cmH2O sotto la media della tore o perdite nel aerosol, filtro HME, raccogli-condensa, all’ingresso del senso-
PIP del paziente sistema re di temperatura dell’umidificatore, o alla valvola espiratoria;
perdite intorno alla cuffia della via aerea (intenzionali o meno)
Correggere la causa delle perdite: riconnettere il paziente alla
via aerea, controllare le connessioni e ristabilirle; portare la
cuffia del tubo tra 25 e 30 cmH2O
Bassa pressione dell’ossigeno Perdita di fonte Possibili cause: disconnessione accidentale della linea dell’os-
- informa sulla caduta della dell’ossigeno sigeno; problemi di ingegneria clinica come la cessazione mo-
pressione dell’ossigeno o caduta della mentanea di erogazione nel sistema centralizzato dei gas
nelle linee di erogazione al pressione dell’os-
Controllare rapidamente la fonte di ossigeno e riconnetterla; se
ventilatore sigeno all’interno
il problema è legato all’assenza di ossigeno centralizzato utiliz-
della fonte
zare immediatamente sistemi di bypass per l’erogazione di gas
medicali di emergenza, o bombole di ossigeno; eventualmente
deconnettere il paziente dal ventilatore meccanico e provvedere
alla ventilazione manuale con fonte di ossigeno in bombola; ca-
librazione dei sensori dell’ossigeno dopo riconnessione
Bassa pressione dell’aria Perdita di fonte di Controllare rapidamente la fonte di aria compressa e ricon-
compressa aria compressa o netterla se necessario; se il problema è legato all’assenza aria
- informa sulla caduta di pressione caduta della pres- compressa centralizzata utilizzare immediatamente sistemi di
di aria compressa nelle linee di sione di aria com- bypass per l’erogazione di gas medicali di emergenza; in as-
erogazione al ventilatore pressa all’interno senza dei sistemi suddetti, se il ventilatore inizia a dare segni
- molti ventilatori prevedono il della fonte di malfunzionamento legati alla mancanza di pressione di gas
funzionamento con ossigeno adeguati, deconnettere il paziente ed assisterlo in ventilazio-
al 100% per mantenere una ne manuale
fonte di gas fresco al paziente
connesso in ventilazione
meccanica
Bassa PEEP/CPAP Perdita nel circuito Valutare la presenza di perdite nel circuito e correggerle. Per-
- generalmente impostato 3-5 di ventilazione dite correlate a paziente possono essere quelle intorno alle vie
cmH2O sotto il livello di PEEP/ aeree oppure attraverso drenaggio toracico (vedi fistola bron-
CPAP impostato copleurica)
segue

88
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Allarme Cause Valutazione e Soluzioni


Basso volume corrente o Disconnessione Perdite udibili possono provenire dalle connessioni del circui-
volume/minuto paziente venti- to del ventilatore o dalla bocca; il paziente può fonare e/o mo-
- generalmente ad una soglia latore; possibile strare segni e sintomi di ipossiemia e ipercapnia
del 10% inferiore rispetto al perdita d’aria nel Controllare e correggere presenza di perdite di aria nel cir-
TV o al V/m’ medio sistema paziente- cuito. Sedi comuni di perdite sono alla cuffia delle vie aeree,
- in genere l’allarme di TV espi- ventilatore all’inserzione del termometro e alle connessioni dell’umidifi-
rato inferiore è impostato a catore nel circuito, e alle connessioni del circuito al ventilato-
100 mL in meno rispetto al TV re, compreso i sistemi di aspirazione a circuito chiuso.
impostato o atteso Controllare la posizione della via aerea artificiale, dal momento
che le perdite possono esser segno di dislocamento del tubo
Aggiustare le connessioni; sostituire il circuito, se necessario;
gonfiare la cuffia del tubo a 25-30 cmH2O; se le perdite non
sono correggibili come nel caso di quelle dal drenaggio tora-
cico, aggiustare l’impostazione del TV per compensare il volu-
me perduto; preventivare in cambio della via aerea artificiale
in presenza di sospetto di rottura della cuffia
Paziente ventilato Valutare la presenza di ridotta compliance polmonare o au-
in modalità pres- mento delle resistenze delle vie aeree e e trattarle
sione controllata Valutare altri segni di fatigue muscolare respiratoria: aumento
con riduzione di della frequenza respiratoria, pattern respiratorio alterato e ir-
compliance, au- regolare, uso dei muscoli accessori.
mento di resisten- Fornire assistenza ventilatoria con aumento della pressione
ze o manifestazio- inspiratoria per raggiungere un adeguato VT, fornire un ade-
ne di fatigue guata frequenza respiratoria obbligata o porre il paziente in
modalità di volume controllato
Raggiungimento Individua e risolvi le cause di alta pressione inspiratoria
della soglia di al-
larme di alta pres-
sione con conse-
guente perdita del
restante TV
Flusso di gas in- Il paziente lamenta fame d’aria. La valutazione evidenzia tempo
sufficiente inspiratorio prolungato in modalità in cui il paziente ha il con-
trollo sul rapporto I:E, o onda di flusso inspiratoria anormale.
Correggere mediante aggiustamento del flusso
Alto volume corrente o volume/ Aumento della Determinare il motivo dell’aumento del volume/minuto del
minuto frequenza respira- paziente: ansia, dolore, ipossiemia, o acidosi metabolica cau-
- generalmente ad una soglia toria o del VT sata da ridotta perfusione, febbre, stato catabolico (eccesso di
del 10% -15% superiore ri- produzione di CO2), carico nutrizionale eccessivo (eccesso di
spetto al VT o al V/m’ deside- produzione di CO2), perdita di bicarbonati.
rato Se il paziente ha alterazioni cerebrali, l’iperventilazione può
essere neurogena.
Determinare le cause di ansia, rassicurare il paziente e sommi-
nistrare ansiolitici se necessario. Controllare il dolore, deter-
minare e correggere le cause di ipossiemia.
Gestire l’alcalosi respiratoria indotta da cause centrali
Impostazioni del TV o frequenza respiratoria impostate troppo alte al ventilato-
ventilatore inade- re; allarmi impostati inadeguatamente rispetto a TV, Vol./m’ o
guate o incompa- frequenza respiratorie impostate
tibili
Autociclaggio del Rilievo di assistenza non condotta (triggerata) dal paziente
ventilatore per
Ridurre la sensibilità del trigger
soglia di sensibili-
tà impostata non
correttamente
Eccessivo rumo- Rimuovere adeguatamente la condensa dai tubi e dal circuito
re, causa di falsa del ventilatore
lettura del venti-
latore
segue

89
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Allarme Cause Valutazione e Soluzioni


Apnea Nessuno sforzo Valutare l’escursione respiratoria del paziente. Se non ci sono
- si attiva quando non viene respiratorio del sforzi del paziente, ricercare le cause: letargia; sedazione pro-
rilevata espirazione per un paziente rilevabile fonda; arresto respiratorio;
tempo impostato (in genere
Svegliare il paziente letargico ed invitarlo a respirare; utilizzo
20 secondi)
di modalità assistite per integrare e supportare il paziente (es.
- in molti ventilatori questo
SIMV); discontinuare il weaning se frequenti periodi di apnea;
allarme innesca, se prevista
somministrazione di antidoti per oppiacei e/o benzodiazepine
ed impostata, una ventilazio-
se indicato;
ne di back-up
Se il paziente è in arresto respiratorio, passare ad una mo-
dalità controllata; se il paziente è in arresto cardiorespiratorio
eseguire ALS secondo linee guida

Perdita della con- Assicurare la connessione


nessione della via
espiratoria al sen-
sore di flusso
Rapporto Inspirazione-Espirazione Controlli di VT, Controlla compatibilità dei controlli di TV, flusso inspiratorio
- informa quando il rapporto I:E flusso inspiratorio di picco e frequenza respiratoria, ed aggiustarli se necessario
eccede 1:3 o è meno di 1:1.5; di picco e frequen-
Se TV e frequenza respiratoria sono impostate correttamente,
- i parametri possono essere za respiratoria
aggiustare il flusso inspiratorio di picco per raggiungere l’I:E
alterati quando sono in uso incompatibili
desiderato
rapporti I:E diversi da 1:2
Ventilatore non operativo/ Perdita alimenta- Controllare le connessioni dei cavi elettrici; mantenimento di
guasto zione elettrica alimentazione elettrica in presenza di gruppo elettrogeno di
- in genere i ventilatori aprono continuità; eventualmente deconnessione dal ventilatore e
la valvola di sicurezza all’aria ventilazione manuale provvisoria
ambiente
Perdita di pres- Controllare le connessioni dei gas medicali e le pressioni di
sione dell’aria erogazione dei gas centralizzati; utilizzo sistemi di bypass per
compressa e/o l’erogazione di gas medicali di emergenza; ventilazione manua-
ossigeno le provvisoria, fino a risoluzione del problema, se necessario.
Disfunzione inter- Sostituzione del ventilatore in emergenza; ventilazione manua-
na di hardware o le provvisoria, fino a risoluzione del problema, se necessario.
microprocessori
Fallimento dei Sostituzione del sensore di flusso e calibrazione; ventilazione ma-
sensori di flusso nuale provvisoria, fino a risoluzione del problema, se necessario.
Fallimento della Sostituzione del ventilatore in emergenza;sostituzione della
valvola espirato- valvola espiratoria in emergenza e verifica con test pre-opera-
ria/valvola PEEP tivo; ventilazione manuale provvisoria, fino a risoluzione del
problema, se necessario
Legenda: ALS – Advanced Life Support; ARDS – Acute respiratory Distress Syndrome; CPAP – Continuous Positive Airways
Pressure; HME – Heat and Moisture Exchange; PAP – Pulmonary Artery Pressure; PEEP – Positive End Expiratory Pressure;
PIP – Peak Inspiratorydi Pressure; Pnx – Pneumotorace; PVC – Pressione Venosa Centrale; Rapporto I:E – Rapporto Inspirazione;
Rx – Radiografia; SIMV – Synchronized Mandatory Ventilation TV – Tidal Volume

BIBLIOGRAFIA

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90
Tabella 4 - Modalità di ventilazione meccanica alternative e non convenzionali – impostazioni e monitoraggio
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
- Automatic Tube Compensation ATC compensa le resistenze associate al tubo tra- - Tipo di via aerea artificiale - Pressione intratracheale
(ATC) – (Dräger Medical; Puritan cheale mediante un controllo a loop chiuso del - Misura della via aerea artificiale - Pressione inspiratoria di picco
Bennet) calcolo continuo della pressione tracheale. ATC - TV
usa la pressione intratracheale per controllare - FR
il flusso, e ridurre quindi il lavoro respiratorio - EGA
indotto dal carico resistivo della via aerea artifi-
ciale. ATC adatta continuamente il grado di com-
penso al flusso di gas, e acquisce precisamente
durante tutto il ciclo respiratorio il lavoro respi-
ratorio aggiunto, generato dal tubo tracheale. Dal
momento che la pressione delle vie aeree con
ATC è funzione del flusso inspiratorio spontaneo
altrimenti non assistito del paziente (es. in CPAP),
e siccome il flusso è generato dalla pressione
muscolare del paziente, l’ATC può esser immagi-
nato come un semplice amplificatore dello sforzo
inspiratorio del paziente.
- Mandatory Minute Ventilation In un paziente che respira spontaneamente viene - Mandatory Minute Volume - TV
(MMV) – (Dräger Medical; impostata una ventilazione minuto di back-up, - Se SIMV: FR, TV, flusso - TV spontaneo
Hamilton AG; Bear Medical Sy- mediante PSV o SIMV. Se il paziente mostra una - Se PSV: livello di pressione di - Pressioni inspiratorie
stem Inc., VIASYS Healthcare) quota di Vol/m’ superiore alla soglia di back-up, supporto - Vol/m’ totale

91
Capitolo III

Sinonimi: Minimum Minute il ventilatore non offre alcuna forma di suppor- - PEEP - Vol/m’ spontaneo
Ventilation; Augmented Minute to o sostituzione rispetto a quella eventualmente - FiO2 - FR totale
Ventilation impostata (se viene usata la modalità SIMV). Se - Trigger - FR spontanea
invece la ventilazione del paziente cade sotto la - EGA
soglia di Vol/m’ di back up, il ventilatore eroga ul-
teriori respiri obbligati con TV impostato come la
SIMV, oppure aumenta la PSV ad un livello tale
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

da raggiungere il Vol/m’ di back up ( a seconda


delle preferenze dell’operatore)
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
- Biphasic Positive Airways Pres- La BIPAP eroga respiri a pressione controllata - Livello di pressione inspiratoria - TV
sure (BIPAP) – (Dräger Medical) triggerati a tempo, e ciclati a tempo con schema (CPAP alta) - TV spontaneo
- BiLevel (Puritan Bennett) set-point targeting, cioè l’erogazione e manteni- - Rampa di flusso (Rise time) - Vol/m’ totale
- BIPAP (Dräger Europe) mento costante di un obiettivo preimpostato (in - PEEP (CPAP bassa) - Vol/m’ spontaneo
- Bi-Vent (Siemens) questo caso il mantenimento di una pressione - FR - FR totale
- BiPhasic (Avea, Cardinal Health, costante, anche di fronte alla presenza di un re- - Tempo inspiratorio - FR spontanea
Inc.) spiro spontaneo). - Trigger - EGA
- PCV+ (Dräger Medical) Grazie alla presenza di un sistema di valvole espi- - FiO2
- DuoPAP (Hamilton) ratorie attive, il ventilatore consente al paziente
** Attenzione: i termini BiPAP di respirare spontaneamente sia durante l’ero-
(Respironics, Murrysville, PA) e gazione della pressione inspiratoria, che durante
BiLevel vengono usati in genere la fase di PEEP, alla stregua di una ventilazione
per la ventilazione non invasiva, spontanea effettuata su 2 livelli di CPAP (uno alto
facendo riferimento in genere a e uno basso) che si alternano nell’arco di un mi-
una ventilazione sovrapponibile nuto sulla base della FR impostata sul ventilatore
a quella con PSV + PEEP dei e del rapporto I:E. Nel caso in cui il paziente non
ventilatori da terapia intensiva, abbia drive respiratorio, la BIPAP si comporta
ma non hanno niente a che ve- esattamente come una PCV, sostituendo, se op-
dere con la BIPAP di cui si parla portunamente impostata, tutto il lavoro respira-
in questa sede torio del paziente.

- Airways Pressure Release Venti- L’APRV, è una modalità analoga alla BIPAP, an- - Pressione inspiratoria alta - TV

92
Capitolo III

lation (APRV) - (Dräger Medical) che se essenzialmente utilizzata come una BIPAP - Tempo di pressione inspiratoria - TV spontaneo
a rapporto I:E invertito, per permettere il recluta- alta - Vol/m’ totale
mento polmonare del paziente. A causa dei tempi - Pressione inspiratoria bassa - Vol/m’ spontaneo
inspiratori elevati, può richiedere, per essere tol- - Tempo di Pressione inspiratoria - FR totale
lerata, la sedazione del paziente, anche se l’APRV, bassa - FR spontanea
come la BIPAP, funziona con un sistema di val- - Rampa di flusso (Rise time) - EGA (rischio di ipercapnia)
vole espiratorie attive, e permette la ventilazione - FiO2 - PEEPi
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

spontanea del paziente sia durante la pressione


inspiratoria alta che durante la pressione inspi-
ratoria bassa
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
- Proportional Assist Ventilation La PAV eroga respiri a pressione controllata con - Tipo di via aerea artificiale - FR
(PAV) – (Puritan Bennett Co) uno schema di controllo servo-targeting. Du- (tubo endotracheale; cannula - TV
- Proportional Pressure Support rante la PAV, la pressione applicata è funzione tracheostomica) - Pressione inspiratoria
(Dräger Medical) dello sforzo del paziente, in quanto maggiore è - Misura della aerea artificiale - Resistenze delle vie aeree
lo sforzo inspiratorio del paziente e maggiore è (diametro interno) - Compliance
l’incremento di pressione applicata. L’operatore - % di lavoro supportato (range - EGA
imposta la percentuale di supporto che il ventila- di assistenza 5%-95%)
tore deve erogare. Il ventilatore misura in modo - Limite di TV
intermittente la compliance e la resistenza del - Limite di pressione
sistema respiratorio del paziente e il flusso ed il - Sensibilità espiratoria (valore di
volume istantaneo generato dal paziente. Sulla flusso al quale terminare l’inspi-
base di questi, il ventilatore eroga una quota pro- razione)
porzionale di pressione inspiratoria. In PAV non ci
sono volumi, flussi o pressioni preimpostate, ed
il paziente controlla tempo e misura del respiro.
- Neurally Adjusted Ventilatory Utilizza l’attività elettrica diaframmatica (EAdi), - NAVA level - FR
Assist (NAVA) – (Maquet Servo- che è il miglior segnale per stimare il drive respi- - FiO2 - PaW (cmH2O) = EAdi (μV) x
I, Siemens) ratorio, il triggering e il cycling off dell’assisten- - PEEP NAVA level (μV/cmH2O)
za del ventilatore, e per controllare la quota e il - TV
profilo intra-respiro da erogare da parte del ven- - EGA
tilatore. L’ EAdi è ottenuta dalla porzione crurale
del diaframma, mediante un SNG dotato di 8 elet-

93
Capitolo III

trodi bipolari montati sulla sua porzione distale.


Con NAVA il cycling on, il cycling off, ed il profilo
di assistenza intra-respiro sono determinati di-
rettamente dall’ EAdi, laddove la quota di assi-
stenza per un dato livello di attività diaframma-
tica è data da un fattore di ampiezza controllato
dall’operatore. Perciò durante l’inspirazione, Paw
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

è istantaneamente accoppiato all’EAdi. Siccome


il ventilatore è triggerato direttamente dall’EAdi,
con NAVA, la sincronia tra tempo neurale ed in-
spiratorio meccanico è garantita sia all’inizio che
alla fine dell’inspirazione, senza riguardo di PEE-
Pi, perdite di aria e meccanica respiratoria.
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
Knowledge Based System
- Smartcare (Dräger Medical) L’applicazione usa diversi dati in input dal ventila- - Peso corporeo - FR
tore per titolare la PSV in risposta ai cambiamenti - Diagnosi di BPCO o malattia - TV
di FR, TV, ed ETCO2, allo scopo di mantenere il neuromuscolare - ETCO2
paziente in una cosiddetta “zona di comfort re- - EGA
spiratorio” determinata da range prestabiliti dei
3 parametri. La FR è il parametro che influenza
maggiormente il sistema. L’applicazione è stata
progettata per il weaning dalla ventilazione mec-
canica. Il sistema acquisisce automaticamente
ogni 2 minuti i dati sullo stato respiratorio del
paziente e aggiusta i parametri di pressione di
supporto per raggiungere i target.
Raggiunta la tolleranza ai livelli di PSV più bassi
per circa 1 o 2 ore, la macchina suggerisce il di-
stacco dalla ventilazione meccanica
Doppio Controllo (ventilazione a loop chiuso) intra-respiro
Modalità ventilatorie capaci di passare da una modalità pressumetrica ad una volumetrica all’interno di un singolo respiro
- Pressure Augmentation (PA) Il respiro può esser triggerato sia dal paziente Modalità spontanea: - TV espirato
– (Bear Medical System Inc., che dal ventilatore, in modalità pressumetrica. Il - TV target - Vol/m’
VIASYS Healthcare ) ventilatore compara continuamente il TV erogato - PEEP - Pressione inspiratoria di picco

94
Capitolo III

- Volume-Assured Pressure Sup- con quello target impostato dall’operatore. Se il - FiO2 - FR


port (VAPS) - (Bear Medical Sy- TV target non è stato ancora raggiunto il ventila- - trigger - EGA
stem Inc., VIASYS Healthcare) tore continua l’inspirazione al picco di flusso fino - % flusso di picco (trigger espi-
a che il TV target non è stato raggiunto. Quindi ratorio)
il ventilatore passa all’interno di un respiro da Modalità controllata:
una modalità limitata a pressione a una limitata a - TV target
volume. Dal momento che il feedback di control- - FR
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

lo avviene istantaneamente nel singolo respiro, - Tempo inspiratorio


questo si basa sul TV inspirato, e non su quello - PEEP
espirato. - FiO2
Possono essere erogati 2 tipi di respiro: il primo è - trigger
un respiro controllato a pressione, triggerato dal - % flusso di picco (trigger espi-
paziente o a tempo, limitato a pressione e ciclato ratorio)
a flusso. Il secondo è controllato a volume, trig-
gerato dal paziente o a tempo, limitato a flusso, e
ciclato a volume
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
Doppio Controllo (ventilazione a loop chiuso) inter-respiro
Modalità che aggiusta il livello di pressione di un respiro pressumetrico sulla base basato su un target di TV o Vol./m’ selezionato dall’operatore. In pratica si tratta
di una ventilazione a pressione con volume garantito
Doppio Controllo (ventilazione a loop chiuso) inter-respiro: ventilazione limitata a pressione e ciclata a flusso
Modalità che erogano PSV con la sicurezza di raggiungere un TV o Vol/m’ target. Se la meccanica respiratoria del paziente migliora o aumenta lo sforzo inspirato-
rio, il ventilatore in automatico aggiusta i livelli di PSV
- Volume Support (VS) – (Servo VS eroga una PSV ad un livello tale da raggiunge- - FR attesa - TV espirato
300, Siemens; Puritan Bennett) re un TV presettato ad ogni respire del paziente. - livello minimo di TV - Vol/m’ espirato
Modalità simili, ma non identiche: Il paziente triggera ogni respiro. Le impostazio- - livello minimo di Vol/m’ - FR
- Variable Pressure Support (VPS) ni iniziali del ventilatore includono un valore di - PEEP - Pressione inspiratoria di picco
– (Cardiopulmonary Corpora- FR spontanea attesa ed un minimo TV espirato o - FiO2 - Limite di pressione superiore
tion, Venturi) Vol/m’ espirato. All’inizio e dopo ogni disconnes- - Trigger - EGA
sione dal ventilatore, vengono erogati 4 respiri
test in sequenza. Durante questi respiri il ventila-
tore calcola la compliance dinamica del paziente,
i TV attuali e le pressioni necessarie a raggiun-
gere il TV target, erogando pressioni inspiratorie
variabili ± 3 cmH2O per raggiungere il TV target,
tenendo in considerazione i valori di compliance
calcolati nel respiro precedente. I respiri posso-
no esser ciclati a flusso o a tempo. Il ventilatore

95
Capitolo III

risponde alla caduta della FR rispetto a quella


attesa, calcolando un nuovo TV target basandosi
sul Vol./m’ minimo pre-impostato e sulla FR mi-
surata. Le pressioni inspiratorie saranno ricalco-
late sul nuovo valore di TV target. Il nuovo TV è
comparato a quello precedente, e se lo eccede
del 50%, la pressione inspiratoria viene fermata
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

al livello richiesto per raggiungere un TV pari al


150% del TV iniziale
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
Doppio Controllo (ventilazione a loop chiuso) inter-respiro: ventilazione limitata a pressione e ciclata a tempo
Modalità che lavora come PC a loop chiuso, mediante un TV o Vol/m’ garantito. La variabile di input è il TV, e la pressione inspiratoria si riduce automaticamente al
migliorare della meccanica polmonare del paziente o all’aumentare del suo sforzo inspiratorio. I respiri sono triggerati dal paziente o tempo, limitati a pressione e
ciclati a tempo
Adaptive Pressure Control (APC) APC eroga respiri in pressione controllata con - TV - TV
- Pressure Regulated Volume schema adattivo rispetto ad un target di TV. Il - Tempo inspiratorio - Vol/m’
Control (Maquet Servo-I, Sie- ventilatore aggiusta la pressione inspiratoria mi- - FR - Pressione inspiratoria
mens) nima indispensabile ad erogare il TV target im- - FiO2 - EGA
- AutoFlow (Dräger Medical) postato, e se il TV espirato si riduce, la macchina - PEEP
- Adaptive Pressure Ventilation aumenta la pressione inspiratoria. - Rampa di flusso (Rise time), in
(Hamilton Medical AG) Comunque, se lo sforzo inspiratorio è abbastanza alcuni ventilatori
- Volume Control + (Puritan Ben- consistente, il TV aumenterà a dispetto della ridu- - Limite superiore di pressione
nett, Tyco Healthcare) zione di pressione inspiratoria.
- Volume Targeted Pressure L’aggiustamento della pressione inspiratoria av-
Control; Pressure Controlled viene a seguito una serie di respiri in cui il TV ri-
Volume Guaranteed (Engström, sulta fuori target
General Electric)
- Variable Pressure Control (Car-
diopulmonary Corporation,
Venturi)
Doppio Controllo (ventilazione a loop chiuso) inter-respiro: ventilazione combinata ciclata a tempo e a flusso

96
Capitolo III

Questa tecnica prevede il passaggio automatico tra respiri a doppio controllo inter-respiro ciclati a tempo e respiri a doppio controllo inter-respiro ciclati a flusso.
La variabile che determina il feedback per decidere quale tipo di respiro verrà erogato è lo sforzo inspiratorio del paziente. Se il paziente triggera il respiro, il ven-
tilatore eroga modalità di supporto; se il paziente diventa apnoico per un periodo pre-impostato di tempo, il ventilatore passa ad erogare una modalità controllata
- Automode - (Siemens-Maquet) Automode consente di passare da una modalità Necessarie le impostazioni comple- - TV obbligato
- Volume Ventilation Plus (VV+) – di ventilazione di supporto ad una modalità con- te di entrambe le modalità, quella - TV spontaneo
(Puritan Bennet) trollata, a prescindere. In assenza di trigger da controllata e quella di supporto - Vol/m’ totale
parte del paziente per 12 secondi, il ventilatore - Vol/m’ spontaneo
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

passa in modalità controllata. Quando lo sforzo - Pressioni inspiratorie


inspiratorio del paziente diventa più soddisfacen- - FR totale
te, evidenziato da 2 respiri consecutivi triggerati, - FR spontanea
il ventilatore passa in modalità di supporto - EGA
segue
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
- Adaptive Support Ventilation L’ASV eroga respiri a pressione controllata usando - Altezza del paziente (cm): sulla - Monitoraggio area di ventilazio-
(ASV) - Hamilton Medical AG uno schema adattivo (optimal targeting scheme). base di questa viene calcolato ne target su display
È una modalità ventilatoria che si adatta allo sfor- l’IBW e lo spazio morto (2.2 ml/kg) - FR mandatoria e spontanea
zo respiratorio del paziente. Sulla base delle FR - Genere - TV espirato
spontanea del paziente la ASV può lavorare come - % di Vol./m’: normale 100%; - Pressioni inspiratorie
PCV, se non c’è respiro spontaneo, come P-SIMV Asma 90%; ARDS 120%; altro - EGA
se la FR è più bassa del target, o come PSV se la 110%. Aggiungere 20% per TC >
FR è più elevata. Il livello di pressione è poi adat- 38.5°C; aggiungere 5% ogni 500
tato per ottenere un TV target, all’interno dei limiti mt sopra il livello del mare
imposti dagli allarmi di pressione. Il ciclaggio in - Trigger di flusso: 2 lt/m’
espirazione è basato sul flusso in caso di ventila- - Sensibilità del trigger espira-
zione assistita, o sul tempo per i respiri obbligati. torio: iniziare con 25%; nella
In pratica, qualsiasi cambiamento nella meccani- BPCO a 40%
ca respiratoria e nello sforzo del paziente è ac- - Compensazione resistenza del
compagnato da un pattern respiratorio dinamico tubo: 100%
che guida il paziente gradualmente verso il nuovo - Limite superiore di pressione
obiettivo, costituito da una più alta efficienza di - PEEP
energia con il minimo sforzo. La regola di sicurez- - FiO2
za viene applicata dalla ASV respiro per respiro,
mantenendo i parametri ventilatori entro i limiti
sicuri in termini di TV e pressione
Modalità di ventilazione non convenzionali

97
Capitolo III

- High Frequency Oscillatory Ven- HFOV è una forma alternativa di ventilazione ob- - Ampiezza della pressione delle - Presenza di oscillazioni dal tora-
tilation (HFOV) bligatoria intermittente a pressione controllata vie aeree (delta-P o power) ce a metà della coscia
** Ci sono modalità ventilatorie con uno schema di set-point targeting. HFOV ero- - Frequenza (in Hz; 1 Hz=60 - EGA
che pur non essendo identiche ga respiri obbligatori molto piccoli e ad altissima atti/m’) - Frequenza cardiaca
alla HFOV, lavorano similmente, frequenza per creare una pressione media delle - Pressione media delle vie aeree - Pressione arteriosa
ognuna con ventilatori specifi- vie aeree costante grazie alle piccole oscillazioni. - tempo inspiratorio (% del ciclo
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

catamente disegnati: L’erogazione di questa modalità di ventilazione respiratorio speso in inspira-


- HFPPV richiede l’uso di appositi ventilatori. La macchi- zione)
- HFJV na eroga un flusso costante di gas (flusso bias), - Flusso bias inspiratorio
- HFFI mentre una valvola crea resistenza per mantene- - FiO2
- HFPV re la pressione delle vie aeree, sulla quale una
- HFCWO pompa a pistone oscilla a frequenze tra 3 e 15 Hz
(160-900 atti/m’).
Legenda: APC – Adaptive Pressure Control; APRV - Airways Pressure Release Ventilation; ASV – Adaptive Support Ventilation; ATC – Automatic Tube Compensation; BPCO –
Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva; BiPAP – Bilevel Positive Airways Pressure; BIPAP - Biphasic Positive Airways Pressure; CPAP – Continuous Positive Airways Pressure;
EAdi - Attività elettrica diaframmatica; EGA – Emogasanalisi arteriosa; ETCO2- End Tidal CO2; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; FR – Frequenza Respiratoria; HFCWO
-High-Frequency Chest Wall Oscillation; HFFI -High-Frequency Flow Interruption; HFJV - High-Frequency Jet Ventilation; HFOV - High Frequency Oscillatory Ventilation; HFPV-
High-Frequency Percussive Ventilation; HFPPV - High-Frequency Positive Pressure Ventilation; Hz – Hertz; IBW – Ideal Body Weight; MMV - Mandatory Minute Ventilation; NAVA
- Neurally Adjusted Ventilatory Assist; PA - Pressure Augmentation; PAV – Proportional Assist Ventilation; PCV – Pressure Control Ventilation; PEEP – Positive End Expiratory
Pressure; PEEPi – Intrinsic Positive End Expiratory Pressure; PSV – Pressure Support Ventilation; P-SIMV – Pressure – Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation; SIMV –
Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation Rapporto I:E – Rapporto Inspirazione:Espirazione; SNG – Sondino nasogastrico; TV – Tidal Volume; Vol./m’ – Volume/minuto;
VAPS - Volume-Assured Pressure Support; VPS – Variable pressure Support; VS - Volume Support
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

BIBLIOGRAFIA

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98
Tabella 5 - Principali curve del ventilatore e troubleshooting dei problemi più comuni

Modalità Onda Onda Immagine


Pressione Flusso
Volume Decelerato Quadrato In volume controllato avremo Picco di pressione (funzione delle resistenze) e Plateau espressione del ritorno elastico
controllato (compliance).
Situazione con riduzione di compliance (aumentano Picco e Plateau, ma non la differenza tra le due pressioni). Esempio:
CPPV accumulo di secrezioni

99
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Volume Decelerato Quadrato Situazione con aumento delle resistenze. Il Picco aumenta mentre il Plateau rimane invariato
controllato

CPPV

100
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Volume Decelerato Quadrato Situazione con riduzione della compliance ed aumento delle resistenze. Aumento del valore di entrambe le pressioni, ma
controllato con aumento della differenza tra Picco e Plateau

CPPV

101
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Situazione con riduzione della compliance. Riduzione del Volume corrente a parità di pressione di plateau. Si noti come
controllata la riduzione della compliance determini una riduzione del picco di flusso inspiratorio

102
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Situazione con aumento delle resistenze. Riduzione del volume corrente a parità di pressione di plateau. Si noti la modi-
controllata ficazione dell’onda di flusso, con riduzione del picco di flusso inspiratorio, espiratorio e del volume di distribuzione del
flusso.

103
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato In pressione controllata è fondamentale che non vi sia attività respiratoria del paziente (indipendentemente dalla presenza
controllata del curaro). In caso di attività respiratoria del paziente il ventilatore fornirà un atto anticipato con riduzione del tempo espi-
ratorio preimpostato. Questa situazione determina un aumento delle pressioni medie. Le soluzioni prevedono : aumento
della sedazione, eventuale curarizzazione oppure, passaggio verso forme di ventilazione controllata a pressione che per-
mettano il ciclaggio di atti spontanei in CPAP o PS ( BiPAP Draeger.)

104
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Nel grafico sottostante possiamo apprezzare come la presenza di una broncopneumopatica cronica ostruttiva modifichi
controllata il flusso espiratorio. Il flusso non ritorna a zero, ma alla partenza della successiva inspirazione si verifica un fenomeno di
“air-trapping/intrappolamento d’aria” dovuto alla presenza di AutoPEEP.

105
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
CPPV- Quadrata Decelerato Ventilazione a pressione controllata con volume garantito
Autoflow Mantenendo lo stesso Tempo inspiratorio il ventilatore varierà le pressioni inspiratorie per ottenere il TV impostato
VGRP

106
Capitolo III

segue
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
BiPAP Quadrata Decelerato In caso di assenza di attività respiratoria del paziente, questa modalità è sovrapponibile alla Pressione controllata. A dif-
Drager ferenza di quest’ultima, se il paziente presenta attività respiratoria spontanea, la particolare valvola inspiratoria consente,
anche a pressione di plateau, un atto condotto in CPAP, senza passaggio al livello basso di pressione. In caso di attività
respiratoria spontanea durante il tempo espiratorio, è possibile scegliere se assistere il respiro spontaneo in CPAP o in
Pressione Assistita.

107
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Decelerato Decelerato La principale caratteristica della pressione di supporto riguarda la presenza di un trigger inspiratorio e di un trigger espira-
Assistita torio ( vedi schede ventilazione non invasiva). Il trigger inspiratorio deve essere in grado di rilevare tutti gli atti del paziente.
Nel grafico sottostante possiamo apprezzare un tipico caso di asincronia paziente/ventilatore. Nel punto A possiamo osser-
vare che il flusso è decrescente fino a circa metà dell’inspirazione, quindi aumenta e decresce nuovamente.
Contemporaneamente la pressione scende e poi risale al valore di picco. La situazione si verifica perché mentre il paziente
stava smettendo di inspirare (flusso decrescente) ha effettuato una nuova inspirazione (il flusso è risalito). Nel punto B
invece, possiamo osservare una interruzione dell’espirazione dovuta ad un tentativo di inspirazione del paziente, non con-
dotto dal ventilatore. In questi casi è fondamentale reimpostare la sensibilità del trigger inspiratorio.

108
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Decelerato Decelerato Nelle ventilazioni pressometriche il ventilatore ha il compito di raggiungere e mantenere la pressione impostata. Nelle ven-
Assistita tilazioni volumetriche invece il comando che diamo al ventilatore è quello di raggiungere e mantenere un certo flusso. La
“Rampa” è il tempo impiegato dalla pressione per raggiungere, dall’inizio dell’inspirazione, il proprio valore finale (quello
impostato). Questo nelle ventilazioni pressometriche. Mentre nelle ventilazioni volumetriche è il tempo necessario per
raggiungere il valore di flusso costante dal momento in cui inizia il flusso inspiratorio. Semplificando, la “Rampa”esprime
il tempo impiegato dalla curva che “comanda” la ventilazione per arrivare da zero al proprio valore massimo, su cui poi
si stabilizza. Il tempo di salita esprime la rapidità con cui inizia l’insufflazione. La regolazione della “Rampa” è importante
soprattutto nei pazienti che interagiscono con il ventilatore. Una Rampa troppo lenta (lunga) determina un aumento delle
asincronie e del lavoro respiratorio, ed un minor volume corrente, mentre un tempo di salita troppo rapido (breve) può
dare discomfort;

109
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Legenda: VGRP: volume garantito a regime di pressione, Tvinsp/esp: volume corrente espiratorio, PEEP: pressione positiva di fine espirazione,
PEEPi: auto peep (peep intrinseca), PRE: pressione di ritorno elastico, PS: pressione di supporto, Rampa: “Rise Time”
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

BIBLIOGRAFIA

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Anesthesiology. 2002 Apr; 96(4):788-94.

110
Tabella 6 - Monitoraggio durante weaning da ventilazione meccanica

Il weaning dalla ventilazione meccanica prevede il passaggio a ventilazioni con pressione e successivamente CPAP, per preparare il paziente all’estubazione. Il
weaning del paziente prevede che siano presenti nel paziente la capacità di ventilare autonomamente, la forza e che il paziente non sia esaurito. Oltre ai parametri
respiratori tradizionali, per valutare questi parametri esistono diverse misure, ottenibili con il monitoraggio respiratorio, in grado di aiutare il personale sanitario
nella valutazione del paziente e nell’impostazione della ventilazione assistita.

Punti chiave

• Il rilasciamento muscolare non è garantito ma deve essere verificato dalla presenza di un plateau sulla traccia di pressione nelle vie aeree la cui durata deve
essere di circa 0.5 sec. ma che non ci si può aspettare duri 2-3 sec. come in controllata
• Il riconoscimento del plateau è facilitato dall’avere una traccia di pressione delle vie aeree (Servo Screen, Evita2 dura ed Evita 4)
• Il rilasciamento muscolare del paziente è facilitato dalla riduzione del suo drive respiratorio ottenibile mediante:
1. Rassicurazione della persona
2. Aumento del livello di PSV
3. Sedazione estemporanea
4. Aumento della PaO2 oltre 90 mmHg

Misura Razionale Valore normale Esecuzione


Considerazioni Verificare che il circui- a) Tvinsp-Tvesp/Tvinsp < 0.1
pratiche to ventilatore-paziente b) Dopo 3 sec. dalla pausa di fine inspirazione, Pplat diminuisca meno di 1cmH2O/sec
preliminari non abbia perdite c) In caso di perdite controlla prima che il circuito ventilatorio non sia la fonte della per-
dita e quindi controlla la cuffia del tubo endotracheale. Aumenta, se necessario, solo
per il tempo necessario al completamento delle misure, la pressione della cuffia per

111
Capitolo III

ridurre le perdite.
Considera il volume di Il Vcomp riduce il volume di gas che penetra nell’apparato respiratorio rispetto a quello
compressione (Vcomp) rilevato dal pneumotacografo del respiratore. In genere il Vcomp è di 1-2 ml/cmH2O che
significa che con un TV inspirato di 500 ml se la variazione di pressione che esso deter-
mina (P fine inspirazione – PEEP) è di 20 cmH2O, il volume effettivamente insufflato è 500
– (Vcomp * 20) ≈ 500 – 30 (se Vcomp = 1.5ml/cmH2O) = 470 ml
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

PEEPi Rappresenta la diffe- zero Utilizza i sistemi di misurazione automatica dei ventilatori
(PEEP intrinseca) renza fra la PEEP im-
postata e la pressione Può essere misurata mediante pausa di fine espirazione della durata di 3 sec
alveolare di fine
espirazione (Pel,rse)
segue
Misura Razionale Valore normale Esecuzione
PMuscIndex (PMI) Permette di verificare il Laddove indicato, il Misurazione PMI:
PMI = PRE - (PEEP paziente sta ricevendo PSV può essere rego-
+ PS) una sovrassistenza in lato in modo da mante-
(indicatore di Pressione di supporto nere un PMI compreso
sovrassistenza fra 2 e 6 cm H2O, co-
respiratoria) PRE è la Pressione di munque occorre evita-
ritorno elastico dell’ap- re PMI< 0 indicativi di
parato respiratorio sovrassistenza ventila-
ottenuta mediante oc- toria
clusione di fine inspi-
razione

Il PMI è un buon indi-


catore di lavoro elasti-
co, ma non di quello
resistivo: non è quindi
indicato per valutare lo
sforzo inspiratorio di pz
BPCO o asma.

Ripeti la misura per tre


volte. Passaggio da paziente con sovrassistenza (PS 12 con PMI =1) a paziente con attività dei
muscoli respiratori con soli 3 cmH2O di supporto PSV in meno (PSV9 e PMI 3):

112
Non sedare o aumen-
Capitolo III

tare il livello di PS per


calcolare PMI poiché
tali manovre influen-
zano pesantemente lo
sforzo inspiratorio.
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

segue
Misura Razionale Valore normale Esecuzione
P.01 La P 0.1 è la caduta di 1-1.5 cm H2O Utilizzare la funzione dedicata sui ventilatori
Pressione nelle vie ae-
(indicatore di ree nei primi 100 msec Il PS può essere rego- Esempio di misurazione automatica:
esaurimento) di un tentativo inspira- lato in modo che la P
torio a vie aeree occlu- 0.1 sia compresa fra 2
se (utilizzo la pausa di e 4 cm H2O,
fine espirazione). comunque occorre evi-
tare Po.1 < 1.5 indicati-
È un indicatore di dri- ve di sovrassistenza
ve respiratorio che ben ventilatoria
correla con lo sforzo in-
spiratorio

È estremamente varia-
bile e dipendente dal
livello di sedazione per
cui va misurata

in triplicato in condizio-
ni ambientali tranquille

può non essere affi-


dabile in pz. con gravi

113
danni neurologici e/o
Capitolo III

con gravi deficit di


forza muscolare (MIP <
10 cmH2O)
Maximum Viene calcolata come 80 - 100 cm H2O (i Ma- Si misura utilizzando una pausa di fine espirazione di almeno 30 sec, incitando il paziente
Inspiratory la massima defles- quet misurano fino a - a produrre lo sforzo massimale dopo averlo adeguatamente informato sul tipo di test che
Pressure (MIP) sione della pressione 40 mentre gli Evita fino stiamo per intraprendere. Nei pazienti non collaboranti può essere necessario prolungare
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

nelle vie aeree rispetto a –45) il tempo di apnea per ottenere lo sforzo massimale.
(Indicatore di forza alla PEEP di partenza +
muscolare respi- eventuale PEEPi per cui
ratoria) se la massima depres-
sione è di 20 in sogget-
to ventilato con PEEP
10 e PEEPi di 2, la MIP
= 20+10+2 = 32 cmH2O
Legenda: Tvinsp: volume corrente espiratorio; Tvesp: volume corrente espiratorio; Vcomp: volume di compressione, PEEP: pressione positiva di fine espirazione,
PEEPi: auto peep (peep intrinseca), PRE pressione di ritorno elastico, PS: pressione di supporto
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

BIBLIOGRAFIA

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114
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

5. MONITORAGGIO IN CORSO DI VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA


Alberto Lucchini, Stefano Bambi

5.1 CPAP con scafandro

CPAP è un acronimo inglese che significa Continuous Positive Airway Pressure, ovvero pressione positiva
continua nelle vie aeree. Indica un tipo di assistenza respiratoria in cui al respiro spontaneo non assistito
viene aggiunta una pressione positiva di fine espirazione, detta PEEP (Positive End Expiratory Pressure).

Negli anni ‘80 la CPAP era applicabile in modalità non invasiva attraverso l’utilizzo di maschere facciali. Le
maschere hanno un tempo di impiego ridotto (non più di 2 ore consecutive, a causa della pressione di appli-
cazione) che non ne consente l’utilizzo in continuo. Per ovviare a questi problemi nei primi anni ‘90 è stato
introdotto in Italia un nuovo device: lo scafandro. Questo dispositivo, composto da una parte superiore con
funzione di tenda ed un collare elastico che ne delimita la parte inferiore, nasce negli Stati Uniti per essere
utilizzato come “tenda ad ossigeno” durante le sedute di ossigenazione iperbarica. Il dispositivo presenta
due accessi per il gas medicale: uno per l’erogazione del gas in entrata ed uno per l’uscita della miscela.
Applicando sulla via di uscita una valvola PEEP, il dispositivo si trasforma in una interfaccia ideale per l’appli-
cazione della CPAP in continuo. Il tempo di applicabilità è la caratteristica fondamentale che distingue l’el-
metto dalle maschere facciali. In uno studio condotto su pazienti ematologici che necessitavano della CPAP
(Principi et al., 2002) la mortalità era diversa nei due gruppi oggetto del trial (CPAP con elmetto versus CPAP
in maschera) con risultati migliori per i pazienti che avevano ricevuto la CPAP mediante elmetto. Il gruppo con
elmetto si distingueva dal gruppo con maschera per la media di ore di applicazione in continuo della CPAP:
24 versus 2 ore.

L’applicabilità e la tollerabilità sono quindi due caratteristiche fondamentali dell’elmetto. L’infermiere durante
l’assitenza di una persona portatrice di elmetto, deve garantire al paziente il maggior comfort possibile al fine
di aumentare la tollerabilità, e quindi il tempo di applicazione della CPAP.

Gli elementi su cui l’infermiere può intervenire sono i seguenti:


• Gestione del flusso di gas
• Scelta della valvola PEEP
• Monitoraggio del circuito e della persona
• Riduzione del rumore
• Fissaggio del casco
• Umidificazione delle vie aeree

Gestione del flusso di gas


Il flusso di gas da immettere nell’elmetto può essere erogato con due dispositivi che presentano caratterisi-
che diverse: scatole flussometriche aria compressa-ossigeno o sistemi venturi con alimentazione ad ossige-
no. Le scatole rotametriche, per il loro funzionamento, necessitano della presenza di aria compressa. Sono
quindi i sistemi di erogazione ideali per le aree di emergenza e la terapia intensiva. Con questi dispositivi,
attraverso apposite formule è possibile calcolare la FiO2 che si vuole erogare al paziente. Ad esempio, se un
paziente è sottoposto a CPAP con elmetto con una miscela di 40 litri di gas totale, composta da 15 litri di
ossigeno e 25 litri di aria compressa, la FiO2 totale è ricavabile dalla seguente formula:

FiO2 della miscela = (litri di ossigeno + 20% dei litri di aria)/litri totali erogati

Ossigeno nella miscela = (15 litri + 5 litri)/40lt = 50%

115
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

In caso di erogatori che non permettano la misurazione del flusso di gas oltre i 30 litri/minuto, è indispensa-
bile un analizzatore esterno per la determinazione della FiO2.

Un’alternativa a questi sistemi è rappresentata dai venturimetri. Questi sistemi utilizzano il principio di Ven-
turi, ovvero la possibilità di veicolare aria dall’ambiente esterno attraverso l’effetto aspirante determinato dal
passaggio di una quantità di gas noto attraverso una strozzatura del canale del gas. In questi dispositivi, ad
esempio, attraverso le tabelle di utilizzo è possibile modulare la FiO2 fino al 50% ottenendo flussi totali di mi-
scela di circa 50 litri. Con necessità di FiO2 superiori al 50% è mandatorio utilizzare le scatole rotametriche. Il
grande vantaggio di questi sistemi è rappresentato dall’applicabilità negli ambienti di degenza non intensivi
(reparti medici, reparti chirurgici).

Il flusso totale del gas con cui alimentare l’elmetto non deve essere inferiore a 30 lt/minuto indipendente-
mente dalla taglia di elmetto utilizzata. Come dimostrato in letteratura (Patroniti et al. ,2003) se la miscela di
gas è inferiore ai 30 lt/min all’interno del casco vi è un ristagno della CO2 eliminata dal paziente.

In caso di deconnessione accidentale all’interno dell’elmetto vi è un ristagno di CO2. La deconnessione è


tanto più pericolosa tanto più è lontana dall’ingresso dei gas nell’elmetto. A 240 secondi dalla deconnessio-
ne la pressione parziale della CO2 all’interno dell’elemetto oscilla tra 50 e 60 mm Hg, a seconda della taglia
dell’elmetto utilizzata. Per questo motivo esistono in commercio degli elmetti dotati di vavola di sicurezza.
Questa valvola, in condizioni di CPAP attiva, viene mantenuta chiusa dalla pressione esercitata dalla PEEP
all’interno dell’elmetto. In caso di deconnessione con conseguente depressurizzazione dell’elmetto, quando
la PEEP scende sotto i 3 cm H2O, la valvola si apre e permette al paziente di usufruire dell’aria ambiente.
Queste valvole non eliminano il problema della deconnessione accidentale, ma ne diminuiscono l’entità,
visto che a 240 secondi dalla deconnessione la CO2 si aggira intorno ai 20 mmHg (Patroniti et al., 2007).

Un’ultima considerazione riguarda la possibilità di erogare i flussi per la CPAP dentro l’elmetto impiegando
un ventilatore polmonare da terapia intensiva. Questa possibilità non è applicabile, poiché anche in presenza
di elevata performance pneumatica erogabile dai moderni ventilatori, il flusso continuo presente nel casco è
nettamente inferiore ai 30 lt/minuti sopradescritti, con conseguente ristagno di CO2 all’interno dell’elmetto
(Taccone et al., 2004).

Scelta della valvola PEEP


La scelta della valvola PEEP può ricadere su due dispositivi:
• valvola meccanica: la PEEP è generata da una resistenza applicata con una molla
• valvola ad acqua: la PEEP è generata dall’immersione in acqua del tubo espiratorio. Il livello di immersione
determina la PEEP.
La valvola meccanica è di semplice applicazione, presenta ingombri ridotti, ma richiede, per il suo utilizzo,
la presenza di un sistema di monitoraggio della pressurizzazione all’interno del casco. I sistemi presenti su
alcuni elmetti consistono in una molla pretarata, montata sulla via espiratoria del casco. L’indicatore di livello
non deve subire oscillazioni. La presenza di queste ultime, è espressione di una non corretta pressurizzazio-
ne del casco. Per risolvere la situazione è necessario aumentare il flusso di gas che rifornisce l’elmetto. Nel
caso non siano presenti dei dispositivi per il monitoraggio della pressione, un intervento semplice consiste
nell’analisi del suono emesso dalla valvola meccanica. Il suono dovrà essere continuo e non dovrà subire
interruzioni dovute al ciclo respiratorio del paziente.

La valvola ad acqua presenta un ingombro maggiore, ma non richiede l’utilizzo di un sistema di monitoraggio
della pressione all’interno dell’elmetto. Se il circuito è pressurizzato in modo ottimale, nella valvola ad acqua
si avrà la formazione di bolle in continuo. Se la pressurizzazione non è ottimale, a causa di perdite dal collare
dell’elmetto, la formazione di bolle non sarà in continuo. Queste due condizioni sono difficilmente verificabili
con la valvola meccanica senza l’utilizzo di un monitoraggio esterno.

116
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Nel caso questi sistemi non fossero presenti, un’alternativa è rappresentata dalla possibilità di utilizzare per il
monitoraggio i trasduttori nati per la misurazione in continuo della pressione arteriosa invasiva. I trasduttori di
ultima generazione sono in grado di registrare anche le pressioni dell’aria. Per un utilizzo con l’elmetto, questi
trasduttori vanno collegati al circuito CPAP o direttamente dentro l’elmetto senza essere riempiti di soluzione
fisiologica ed avendo cura di eliminare il deflussore per la soluzione di riempimento ( sul trasduttore, una
volta eliminato il deflussore deve essere posto un tappo luer-lock). Una volta posizionato il trasduttore, la
pressione presente nell’elmetto può essere monitorata con un normale monitor da terapia intensiva.

Monitoraggio del circuito e della persona


Il monitoraggio minimo della persona in scafandro deve prevedere:
• Saturimetria periferica dell’ossigeno
• Frequenza cardiaca
• Pressione arteriosa in continuo (invasiva o non invasiva)
Un altro punto fondamentale è il controllo del ristagno gastrico. La pressurizzazione delle vie aeree ottenuta
con la CPAP con elmetto può determinare una distensione gastrica da ingestione di gas medicale. Pur non
essendoci rischi teorici per quanto riguarda le possibilità di ab-ingestis (a differenza della CPAP in maschera,
in caso di rigurgito il materiale non viene inalato ma si disperde nell’elmetto), l’infermiere deve verificare la
necessità di posizionamento del sondino naso-gastrico.

Il sondino deve essere posizionato solo se il paziente deve rimanere in continuo dentro l’elmetto (in questo
caso il sondino risponde alle esigenze legate alla nutrizione enterale). Se le condizioni del paziente permet-
tono al soggetto di alimentarsi autonomamente, il sondino non dovrebbe essere posizionato. Lo sfintere
esofageo inferiore infatti si apre a pressioni superiori ai 30 cmH20. Queste pressioni non vengono raggiunte
con la CPAP. La presenza del sondino, inoltre, determina l’inefficacia dello sfintere esofageo.

In caso di sondino posizionato prima del trattamento il controllo del ristagno gastrico deve essere effettuato
ogni 4 ore.

Riduzione del rumore


Il passaggio di elevati flussi di gas all’interno dei tubi del circuito CPAP determina l’insorgenza di turbolenza
e conseguentemente di rumore. Questo fenomeno è ancora più evidente se si utilizzano i dispositivi venturi.
Per questo motivo è importante utilizzare degli accorgimenti che permettano la riduzione del rumore presen-
te all’interno del casco (Conti G., Antonelli M., 2003).

L’infermiere può utilizzare le seguenti possibilità:


• Utilizzo di tubi con superficie interna liscia: la superficie liscia è da preferire alle superfici interne seghet-
tate in quanto non genera turbolenza e resistenza all’avanzamento del gas con conseguente riduzione del
rumore
• Utilizzo di un filtro HME: il filtro non viene utilizzato con scopi di umidificazione (manca la possibilità di
avere un flusso bidirezionale). Il filtro viene posizionato per sfruttare la presenza delle membrane come si-
stemi per la riduzione del rumore (è lo stesso principio di funzionamento delle marmitte degli autoveicoli)
• Utilizzo di tappi per le orecchie: riducono la trasmissione aerea del rumore. Inoltre è importante che l’in-
fermiere spieghi al paziente che la sensazione che proverà dentro l’elmetto a livello dell’apparato uditivo
è simile a quella che si prova durante le immersioni per effetto della pressurizzazione esterna del canale
uditivo.

Fissaggio del casco


La pressurizzazione dell’elmetto determina una spinta verso l’alto del casco. Per ovviare a questo problema
è possibile ancorare il casco al paziente con diversi sistemi:

117
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

• Fasce ascellari
• Fettuccia con ancoraggio al letto
• Sistema a contrappeso
Le fasce ascellari rappresentano il sistema più semplice per il fissaggio dell’elmetto. Le fasce vengono an-
corate alla parte rigida del dispositivo e vengono fatte passare sotto le ascelle del paziente. Questo tipo di
fissaggio è indicato per un utilizzo al massimo di due ore, o in pazienti con PEEP inferiore a 10 cmH20. L’uti-
lizzo in continuo determina l’insorgenza di decubiti e l’occlusione del letto venoso ascellare con possibilità di
stasi venosa e formazione di coaguli. L’utilizzo di PEEP maggiori di 10 cmH20, determina una forza di spinta
sul casco superiore ai 2 Kg per cavo ascellare, rendendo necessaria una pressione di esercizio delle cinghie
elevata, con aumento del disagio del paziente

Una seconda possibilità è rappresentata dall’utilizzo di una fettuccia di garza che ancora il casco da un capo
all’altro del letto. La fettuccia può essere fissata al casco con del cerotto di tela. Questo sistema, seppur
molto efficace limita i movimenti del paziente e di conseguenza ne diminuisce la collaborazione.

Il sistema a contrappesi funziona con l’utilizzo delle cinghie ascellari sopra descritte. In questo caso però le
cinghie non vengono fissate sotto le ascelle, ma vengono fatte passare sopra le spalle del paziente. A queste
vengono applicati per ogni lato del paziente 2 kg (possono essere utilizzati a tal scopo i pesi delle trazioni
transcheletriche). Con questa tipologia di fissaggio il paziente è libero nei movimenti (figura 1).

Figura 1 - CPAP con scafandro con sistema di fissaggio con contrappesi

118
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Umidificazione delle vie aeree


A differenza di quanto avviene in ventilazione invasiva, dove le vie aeree superiori sono escluse dalla pre-
senza del tubo naso/oro tracheale o dalla cannula tracheostomica, in ventilazione non invasiva la capacità di
umidificazione naturale del gas inspirato è conservata.

La ventilazione non invasiva sottopone il paziente all’inspirazione di gas medicale che per definizione ha ca-
ratteristiche differenti dall’aria naturale. L’aria inspirata naturalmente ha temperatura ed umidità determinate
dal clima. I gas medicali, invece, hanno una temperatura tendenzialmente compresa tra i 10 ed i 20 gradi, ma
soprattutto vengono veicolati negli impianti ospedalieri o nelle bombole di ossigeno con una umidità relativa
inferiore al 3%.

L’International Consensus Conferences in Intensive Care Medicine: noninvasive positive pressure ventilation
in acute Respiratory failure del 2003 ha stabilito che esiste una soglia minima di acqua per litro ventilato,
10mgH20/lt, sotto la quale le capacità naturali di umidificazione vegono alterate.

Per questo motivo è indispensabile identificare i potenziali pazienti a rischio durante CPAP con elmetto.
Come recentemente dimostrato (Chiumello et al.,2008) il problema si pone quando l’elmetto viene gestito
con alti flussi (>40lt/min). In queste condizioni è necessario l’utilizzo di un umidificatore attivo per trattare i
pazienti che necessitano dell’applicazione dell’elmetto per lungo periodo.

Esistono delle problematiche tecniche connesse all’utilizzo degli umidificatori attivi durante umidificazione
con alti flussi. Il set-up base di questi umidificatori non può essere lo stesso utilizzato in ventilazione invasiva.

L’impostazione ideale nel paziente intubato prevede una temperatura della camera di umidificazione a 35°
con umidità relativa del 100% ed una temperatura alla fine della linea inspiratoria di 37°. Se utilizzassimo
questo set-up il gas arriverebbe nell’elmetto a 37° con l’80% di umidità relativa. Come illustrato da Chiu-
mello, la temperatura dentro un elmetto alimentato da gas medicali senza umidificatore si attesta intorno
ai 29-30°. Il gas introdotto a 37° porterebbe immediatamente alla formazione di condensa sul lato interno
dell’elmetto con discomfort del paziente. Per questo motivo l’impostazione ideale per la gestione dell’u-
midificazione in CPAP con elmetto deve mirare all’umidificazione del gas con 100% di umidità relativa alla
temperatura presente naturalmente dentro lo scafandro (29-30°).

L’umidificatore può essere impostato (se dotato di programmi per la gestione della ventilazione non invasiva)
a 28° in uscita dalla camera con 100% di umidità relativa. La temperatura della linea inspiratoria in prossimità
dell’elmetto può essere impostata a 30°. In questo modo il gas in uscita dall’umidificatore avrà un contenu-
to d’acqua proporzionato alla temperatura all’interno dello scafandro. La temperatura crescente nella linea
inspiratoria impedirà la formazione di condensa prima dell’ingresso nell’elmetto. Nel caso si stia utilizzando
anche un filtro HME per la riduzione del rumore, andrà posizionato tra la fonte del gas e l’ingresso del gas
nell’umidificatore (in caso di posizionamento del filtro tra umidificatore ed elmetto tutta l’umidità prodotta si
bloccherebbe nel filtro rendendo vana l’umidificazione del gas) figura 2.

119
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 2 - Impostazione umidificazione in NIV

I pazienti che utilizzano un venturimetro come fonte del gas con una FiO2 inferiore al 50% non necessitano
di umidificazione in quento parte del flusso del gas è veicolato dall’ambiente esterno con la relativa quota
di umidità.

5.2. La CPAP di Boussignac

Il sistema che genera la CPAP è una valvola cilindrica che viene poi comunemente applicata al volto del sog-
getto mediante una tradizionale maschera facciale per ventilazione non invasiva. La PEEP viene generata dal
flusso di ossigeno veicolato da un tubo simile a quello fornito con le comuni maschere per ossigenoterapia.
Il cuore del sistema si trova inserito nella valvola dove alcuni sottilissimi canali veicolano l’ossigeno causando
la formazione di moti turbolenti in grado di generare la pressione positiva continua (PEEP).

La PEEP viene generata dalla turbolenza conseguente all’accelerazione del flusso di Ossigeno che passa
attraverso i microcanali. Il paziente respira attraverso la valvola pressurizzata dall’ossigeno. Se il flusso inspi-
ratorio del soggetto eccede il flusso di Ossigeno, allora il paziente “raccoglie” aria dall’ambiente attraverso
l’orificio principale della valvola. Questo concetto è importante perché spiega la difficoltà di controllare con
precisione la FiO2. Uno spaccato della valvola mostra inoltre la presenza di un secondo connettore che può
essere utilizzato tanto per dare un supplemento di ossigeno quanto, e più frequentemente, per monitoriz-
zare la PEEP generata dal circuito.

L’interfaccia è costituita da una comune maschera facciale fissata in modo standard (figura 3).

120
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 3 - Broncoscopia attraverso la valvola di Boussignac

La PEEP generata dal sistema Boussignac è flusso-dipendente, dipende cioè dal flusso di ossigeno erogato
all’interno del sistema dei microcanali.

Nella confezione del prodotto (Templier F. et al., 2003) viene fornito un grafico che rappresenta la relazione
fra flusso di O2 erogato e PEEP generata: con un flusso di ossigeno di 15 L/min si genera una PEEP di circa
3 cmH2O, mentre per ottenere 10 cmH2O di PEEP si devono somministrare circa 30 L/min.

I punti deboli ed i punti forti del sistema originano dalle caratteristiche tecniche sopradescritte.

Il ridotto ingombro e la maneggevolezza sono certamente i vantaggi principali che lo rendono competitivo
nei confronti di qualsiasi altro sistema per CPAP, compreso l’elmetto. Situazioni in cui tali caratteristiche sono
particolarmente apprezzate potrebbero essere: il soccorso extra-ospedaliero, il Pronto Soccorso ed i reparti
di degenza meno evoluti che potrebbero trovare il “device” più allettante dello scafandro. L’impiego della
maschera facciale convince facilmente il personale infermieristico, e non, del reparto che in realtà si tratti
di un trattamento non molto diverso dalla normale O2 terapia, anche se in realtà è profondamente diverso.
Andando più in dettaglio si possono evidenziare alcune insidie, legate all’utilizzo del device:
1. Imprevedibilità della FiO2
2. Iperpressurizzazione della linea dell’ossigeno
3. tollerabilità della maschera facciale
4. condizionamento dei gas inspirati

Il punto n. 1 è probabilmente quello clinicamente più rilevante. È difficile stabilire con precisione la FiO2 infatti
essa dipende da un lato dal flusso di O2 erogato e dall’altro dal tipo di respirazione del paziente. Quando il
flusso inspiratorio del paziente eccede il flusso di O2 allora il soggetto pesca aria dall’ambiente riducendo
progressivamente la FiO2.

121
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Risulta evidente come conoscere la FiO2 durante CPAP di Boussignac non sia semplice. Monitorizzare la
concentrazione di Ossigeno attraverso il connettore supplementare non garantisce risultati attendibili in re-
lazione alla velocità di campionamento dell’ossimetro che è spesso troppo lenta e non può, quindi, fornirci
risultati attendibili. Probabilmente potrebbe essere più accurata la misurazione della FiO2 all’interno della
maschera facciale.

Per generare la PEEP il sistema Boussignac deve accelerare il flusso dell’O2 facendolo passare attraverso
dei microcanali che offrono una grossa resistenza determinando una iperpressurizzazione della linea dell’O2.
Questa pressurizzazione raggiunge naturalmente i massimi livelli quando si debbano generare PEEP > 5
cmH2O e sono in grado talvolta di far saltare le connessioni fra ossigeno e gorgogliatori presenti nella mag-
gior parte dei sistemi in uso nei reparti ospedalieri. Per ottenere PEEP> 5 cmH2O occorrono flussi > 15 L/min
che i comuni erogatori di ossigeno ospedaliero non consentono; pertanto, per far funzionare correttamente
la Boussignac, sono necessari alcuni aggiustamenti ai sistemi per O2 terapia comunemente impiegati.

L’applicazione della maschera facciale è spesso tollerata meno del casco dai pazienti con evidente distress
respiratorio, richiede un nursing time superiore ed è gravata da maggior insuccesso. Questo è particolar-
mente vero se si paragona la pressione di supporto erogata con la maschera alla CPAP con elmetto, mentre
la tollerabilità e la fattibilità della CPAP di Boussignac è certamente superiore alla pressione di supporto con
elmetto.

Per ultimo va ricordato che la somministrazione di gas medicali freddi e anidri per periodi prolungati può
produrre danni alle vie aeree, secchezza delle fauci, tosse, atelettasie ed aumentato rischio di infezioni. Per
tale motivo i gas medicali vanno adeguatamente umidificati e riscaldati anche durante ventilazione non inva-
siva. Non è possibile umidificare efficacemente l’O2 necessario per far funzionare la Boussignac e quindi, al
momento, il sistema di condizionamento suggerito consiste nell’aggiunta di un filtro HME fra la maschera
e la valvola di Boussignac.

La CPAP di Boussignac è stata anche utilizzata per l’assistenza durante broncoscopia in quanto il foro della
valvola consente un agevole passaggio dell’endoscopio, ed in questo caso è certamente più comoda da
usare dell’elmetto (Maitre B. et al., 2000)

5.3 La pressione di supporto erogata con la maschera

L’applicazione della pressione di supporto in modalità non invasiva può essere ottenuta mediante l’utilizzo di
due differenti interfacce:
• la maschera facciale
• lo scafandro

Durante l’applicazione di pressione di supporto, a differenza di quanto avviene nella CPAP a flusso continuo,
l’interazione paziente-ventilatore è influenzata dalle perdite aeree presenti nei circuiti di ventilazione non
invasiva, e generati dall’impossibilità di sigillare il sistema come avviene per la ventilazione invasiva.

La maschera facciale è l’interfaccia ideale per erogare la pressione di supporto in quanto permette di ridurre
lo spazio morto e di ottimizzare al meglio il tempo di pressurizzazione del ventilatore a differenza di quanto
accade se la pressione di supporto è erogata con l’elemetto (Chiumello et al., 2003).

La perdita aerea influenza in modo importante il trigger espiratorio del ventilatore con la possibilità che si
perda la sincronizzazione tra paziente e ventilatore.

122
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

La ventilazione in pressione assistita è influenzata da due tipologie di trigger:


• Inspiratorio: garantisce la sincronizzazione tra paziente e ventilatore
• Espiratorio: determina la fine dell’inspirazione ed il passaggio alla fase espiratoria.

Per poter monitorare la costante e continua sincronizzazione, oltre al corretto funzionamento del trigger
inspiratorio, deve funzionare in modo ottimale anche il trigger espiratorio.

La configurazione standard in ventilazione invasiva e quella di partenza del software NIV, prevede che l’espi-
razione parta quando si è raggiunto il valore pari al 25% del picco di flusso generato durante l’inspirazione.
Se ad esempio si è raggiunto un picco di flusso di 50 lt/min, l’espirazione partirà quando il flusso sarà dece-
lerato fino a 12,5 lt/min (figura 4).

Figura 4 - Curve di pressione e flusso durante ventilazione con PS

Durante la ventilazione in NIV però, a differenza di quanto avviene per la ventilazione invasiva, le perdite
potrebbero non permettere una decelerazione del flusso. La perdita agisce come fistola, e la sua presenza
genera nel ventilatore un mantenimento del flusso.

Questa condizione determina perdita della sincronizzazione in quanto il paziente vorrebbe espirare, ma la
valvola espiratoria del ventilatore è chiusa, mentre quella inspiratoria continua ad erogare flusso. Si può giun-
gere alla condizione in cui il apziente, cercando di espirare contro il flusso del ventilatore, si trova costretto
ad aumentare il suo lavoro respiratorio, rendendo vano il beneficio della ventiazione con PS.

123
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

La perdita della sincronizzazione determina poi la presenza di atti del paziente non condotti a causa della
valvola espiratoria aperta con valvola inspiratoria chiusa (figura 5).

Figura 5 - Curve di pressione e flusso durante ventilazione con PS in maschera facciale

Diventa perciò fondamentale disporre di maschere facciali di diverse forme e misure al fine di ricercare la
maschera più adatta per ogni tipologia di paziente.

In molte occasioni bastano differenze di pochi centimetri nel supporto erogato per determinare la perdita
aerea.

L’infermiere deve occuparsi della gestione della maschera. Come primo intervento si dovranno posizionare
delle medicazioni di idrocolloide sottile nei punti in cui la maschera aderirà al viso del paziente, con partico-
lare attenzione alla superficie del naso.

In caso di pazienti portatori di protesi dentaria, è possibile mantenerla in sede, se è sufficientemente stabile,
al fine di ottimizzare la superficie di contatto tra viso e maschera.

Per incrementare la tollerabilità del paziente è consigliabile iniziare gradualmente l’erogazione del supporto.
Si può procedere con i seguenti steps:

• posizionare la maschera sul viso, avendo cura di non stringere subito i lacci della maschera al massimo
consentito (in caso di maschere con superficie gonfiabile non inserire il massimo volume consentito);
iniziare l’erogazione della sola CPAP con PEEP impostata alla metà del valore che si vuole raggiungere
a regime (per esempio se l’obiettivo e 10 cmH20, iniziare con 5 cmH20 – in alcuni casi piccoli incrementi
posso determinare l’insorgenza dalle perdite aeree – figura 6).

124
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 6 - Fenomeno di “hang up” (intrappolamento aria)

Verificare l’interazione paziente-ventilatore con le curve flusso-tempo.


• Iniziare ad erogare metà del valore di pressione di supporto prestabilito. Verificare il mantenimento della
sincronia paziente-ventilatore.
• Raggiungere il valore di PEEP precedentemente definito, monitorare il mantenimento della sincronizza-
zione. Eventualmente incrementare la pressione della maschera e delle cinghie.
• Erogare la totalità della pressione di supporto predefinita, monitorando il mantenimento della sincroniz-
zazione. In caso di perdita della sincronizzazione si possono utilizzare i meccanismi di compenso delle
perdite presenti sui moderni ventilatori.

I moderni ventilatori hanno dei set-up dedicati per la gestione della ventilazione non invasiva. Questi settaggi
per la ventilazione non invasiva permettono al ventilatore di compensare il parte le perdite e di erogare flussi
di gas maggiori. Inoltre vengono attivati dei meccanismi per la gestione delle perdite. A seconda delle ditte
costruttrici è possibile regolare:
• Regolazione del trigger espiratorio: alcuni ventilatori consentono di aumentare la soglia del trigger espira-
torio rispetto al 25% del picco di flusso inspiratorio impostato per la ventilazione invasiva. Osservando la
curva flusso/tempo è possibile avvicinare al punto di perdita la regolazione del trigger espiratorio (figura 7).

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 7 - Regolazione del trigger espiratorio in caso di perdita aerea

• Tempo massimo inspiratorio: a differenza della ventilazione invasiva dove il ciclaggio dell’espirazione
è impostato di default al 25% del picco di flusso inspiratorio,quindi sempre regolato dal paziente, in
caso di perdite aeree importanti con difficoltosa sincronizzazione paziente ventilatore, è possibile de-
terminare il tempo massimo di erogazione inspiratoria della pressione di supporto. Il tempo inspiratorio
massimo deve essere impostato in base alla frequenza respiratoria del paziente. (Esempio: frequenza
respiratoria 45 atti/minuto: il tempo inspiratorio massimo va impostato tra 0,45 secondi e 0,60 secondi)
(figura 8).

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 8 - Curve di pressione e flusso durante ventilazione con PS in maschera facciale

127
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

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128
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

6. MONITORAGGI COMPLEMENTARI: SECREZIONI RESPIRATORIE


Alberto Lucchini, Stefano Bambi

La broncoaspirazione è una manovra essenziale dell’infermieristica in area critica. Le linee guida elabora-
te dall’American Association of Respiratory Care (AARC) nel 1993, sono state il punto di riferimento per
l’esecuzione corretta della procedura. Gli indicatori standard per determinare la necessità di eseguire una
manovra di broncoaspirazione, citati in queste linee guida si basavano o sulle aspirazioni preordinate ef-
fettuate ad orario, o sul giudizio clinico dell’operatore in merito al deterioramento delle condizioni cliniche
del paziente.

Nel 2010, l’AARC ha pubblicato le nuove linee guida, i cui punti salienti possono essere così sintetizzati:

1. L’aspirazione endotracheale deve essere eseguita solo in presenza di secrezioni, prima del deterioramen-
to dei parametri respiratori, e non di routine.
2. Utilizzo della pre-ossigenazione del paziente prima della procedura di aspirazione, al fine di evitare un
deterioramento clinicamente importante del valore di saturazione di ossigeno (SpO2) in pazienti ipossici.
3. Eseguire la manovra di aspirazione senza scollegare il paziente dal ventilatore (deconnessione)
4. Preferire una aspirazione endotracheale superficiale rispetto all’aspirazione profonda.
5. Non eseguire l’instillazione di soluzione fisiologica prima della manovra di aspirazione.
6. Utilizzare obbligatoriamente un sistema d’aspirazione a circuito chiuso nei pazienti con FiO2 e/o Peep
elevate, o a rischio di de-reclutamento polmonare.
7. Utilizzare manovre di reclutamento polmonare con il ventilatore qualora la manovra di aspirazione produ-
ca un de-reclutamento.
8. Utilizzare un catetere d’aspirazione che occluda meno del 50% del diametro del tubo endotracheale.

Le principali novità riguardano l’elaborazione della diagnosi di “ritenzione di secrezioni bronchiali”. L’inter-
vento infermieristico mirato alla risoluzione di questa diagnosi è l’effettuazione della manovra di bronco
aspirazione. Le linee guida suggeriscono che la manovra deve essere effettuata solo quando necessario,
cercando di identificare il “timing corretto” per l’esecuzione della procedura.

Per “timing corretto” si intende identificare il momento in cui il paziente inizia ad accumulare le secrezioni
bronchiali prima che queste possano generare un deterioramento dei parametri respiratori. A tal scopo,
le linee guida suggeriscono l’utilizzo di sistemi avanzati di monitoraggio, basati sull’analisi delle curve di
ventilazione (loop Flusso/Volume) o l’utilizzo di sistemi basati sull’analisi dei rumori respiratori.

La priorità di scelta per gli indicatori di presenza di ritenzione di secrezioni bronchiali è la seguente:
1. Presenza di dente di sega nel loop flusso/volume e/o presenza di “coarse crackles” (crepitii grossolani)
2. Aumento del picco inspiratorio durante ventilazione controllata volumetrica o diminuzione del volume
corrente durante ventilazione controllata pressometrica
3. Deterioramento dell’SpO2 o dei parametri emogasanalitici
4. Secrezioni visibili nelle vie aeree
5. Inabilità del paziente nell’espettorazione
6. Sindrome di fatica respiratoria (aumento del lavoro)
7. Sospetto di aspirazione di materiale gastrico

129
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

6.1. Il loop flusso/volume

J. Tobin, in uno studio pubblicato nel 1994, fornisce un parametro per la rilevazione del ristagno di secre-
zioni bronchiali, ovvero l’analisi del loop flusso/volume, che molti ventilatori di ultima generazione offrono
sul display dell’apparecchiatura. La presenza di una curva definita “a denti di sega” in questo loop, può
significare che si è in presenza di ritenzione di secrezioni bronchiali”.

Tobin parte dalla constatazione che nella sua realtà l’esame clinico dei parametri elencati precedente-
mente ha dato una percentuale di risultati con falsi positivi (pazienti senza secrezioni aspirati inutilmente)
e falsi negativi (pazienti con secrezioni non broncoaspirati ) molto più alti (rispettivamente 42% e 43%)
rispetto alle curve flusso/volume (rispettivamente 12% e 14%). L’autore conclude che “affidarsi all’esame
clinico potrebbe portare ad un’aspirazione non necessaria del paziente senza secrezioni e ad un’aspira-
zione insufficiente nel paziente con secrezioni”. Inoltre, pur essendo l’analisi del loop flusso volume un
indicatore della presenza di secrezioni più attendibile dell’analisi clinica, Tobin sottolinea che “È importan-
te tenere in considerazione la possibilità che la forma ‘a denti di sega’ possa essere un artefatto. Anche
acqua nel circuito di un ventilatore può provocare una forma simile, ma i circuiti sono stati attentamente
drenati prima di ogni studio”.

Nel loop flusso/volume, sull’asse orizzontale troviamo il volume e su quello verticale il flusso (figura 1).

Figura 1 - Loop flusso/volume normale

Il loop rappresenta il ciclo della respirazione (Volume corrente o tidal) . La lettura del grafico parte dal punto
1 e procede in senso orario. All’inizio c’è il flusso inspiratorio (verso l’alto) mentre viene inspirato il volume
corrente. Successivamente inizia l’espirazione ed il flusso espiratorio (verso il basso) è misurato in funzione
della riduzione del volume corrente. Il ciclo si chiude quando il volume corrente è stato espirato.

130
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Nel grafico 2 possiamo vedere l’effetto “dente di sega” sulla parte di flusso espiratoria, a testimonianza della
presenza di secrezioni bronchiali (figura 2).

Figura 2 - Loop flusso/volume con dente di sega

6.2. Rilevazione della presenza di coarse crackles (crepitii grossolani)

Recentemente è stato commercializzato un nuovo device elettromedicale per effettuare la diagnosi di riten-
zione di secrezioni bronchiali. Il dispositivo monitorizza il livello sonoro delle secrezioni tracheobronchiali,
riconoscendo l’ampiezza del rumore delle secrezioni quando questi sono presenti nelle vie aeree. Il micro-
fono per l’acquisizione del segnale è collegato al paziente tramite un raccordo maschio/femmina passo 22
posizionato tra il tubo endotracheale e la Y del circuito ventilatorio. Nel momento in cui il paziente inizia a
ritenere le secrezioni bronchiali, il dispositivo avverte gli operatori tramite un allarme sonoro e visivo che
aumenta di intensità proporzionalmente all’aumento del relativo segnale. È possibile anche l’ascultazione di-
retta dei suoni polmonari grazie alla presenza di cuffie stereo a disposizione degli operatori. La performance
del sensore è garantita per 72 ore, dopodiché il sensore deve essere sostituito

Nel 2006 per verificare la sensibilità (capacità nel riconoscere la presenza di secrezioni bronchiali quando
queste sono presenti nell’albero bronchiale) e la specificità ( capacità di riconoscere l’assenza di secrezioni
bronchiali quando queste non siano presenti) di questo device uno studio italiano ha analizzato 500 manovre
di broncoaspirazione, in cui il dispositivo era collegato a pazienti ventilati invasivamente.

L’apparecchio ha dimostrato una specificità/sensibilità elevata nella diagnosi di ritenzione di secrezioni


bronchiali.

131
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Il device si è dimostrato performante nell’eseguire una diagnosi corretta di assenza di secrezioni ed in pochi
casi, meno del 3 % ha effettuato diagnosi non corrette.

Questo dispositivo rappresenta un aiuto anche nel percorso educativo degli infermieri neolaureati perché
permette di avere un supporto nell’elaborazione della diagnosi di ritenzione di secrezioni bronchiali. Gli autori
ritengono che possa essere determinante nel clearing precoce delle vie aeree in pazienti in cui le broncoa-
spirazioni si devono effettuare esclusivamente in condizione di sicura presenza delle secrezioni (gravi ARDS,
pazienti con patologia neurochirurgia con ICP instabile, pazienti con diatesi emorragica).

Figura 3 - Sistema TBA care

6.3. Utilizzo delle curve di flusso per identificare i pazienti a rischio ritenzione

I sistemi per broncoaspirare i pazienti si dividono in aperti e chiusi. Con la tecnica aperta, vi è il problema della
deconnessione del circuito respiratorio, con sospensione della ventilazione e perdita dei volumi di ventilazione
e della PEEP. La tecnica aperta è sicuramente economica, ma può esporre i pazienti con polmoni con complian-
ce ridotte a gravi ripercussioni emodinamiche e respiratorie determinate dalla sospensione della ventilazione.

Per ovviare a questi problemi, oramai da più di 20 anni, sono stati introdotti in commercio i sistemi di aspi-
razione a circuito chiuso. In questi sistemi il sondino di aspirazione è contenuto in una guaina trasparente. Il
sondino viene spinto mediante l’utilizzo della guaina nel circuito respiratorio attraverso un sistema valvolato,
presente tra la parte finale del tubo endotracheale ed il catetere mounth. La ventilazione non viene sospesa
durante la manovra di bronco aspirazione. Il mantenimento dei volumi polmonari, come testimoniato in
alcuni studi (Lasocki et al., 2006 - Caramez M.P. et al.) permette di ridurre le complicanze determinate dalla
manovra di bronco aspirazione. Pesenti e collaboratori (Pesenti et al., 2002) hanno dimostrato che l’utilizzo di
questi sistemi non interferisce con il funzionamento dei moderni ventilatori, anche in presenza di ventilazioni
volumetriche controllate.

132
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Particolare attenzione deve, però, essere posta nell’utilizzo di questi sistemi, quando si affronta il problema
della capacità di rimozione delle secrezioni coi sistemi chiusi. La capacità di aspirazione dei sistemi chiusi
è sovrapponibile a quella dei sistemi aperti (Blackwood B.,1998 - Noll M.L. et al.,1990). In alcuni pazienti,
soprattutto quelli con PEEP superiori a 10 cmH2O, il mantenimento della PEEP può ridurre la motilità delle
secrezioni e la conseguente rimozione.

L’influenza della ventilazione sulla mobilità delle secrezioni è stata recentemente evidenziata da J.J. Ma-
rini e collaboratori. La nostra fisiologia prevede che vi sia una differenza tra il picco di flusso inspiratorio
e quello espiratorio, a favore di quest’ultimo. Questa condizione permette la motilità delle secrezioni
verso le vie aeree superiori. In caso di aspirazione a circuito aperto, indipendentemente dalla ventilazione
adottata, questo rapporto è mantenuto poiché la deconnessione garantisce un flusso aggiuntivo, gene-
rato dalla perdita del volume necessario a generare la PEEP. Durante le aspirazioni con circuito chiuso,
questo flusso aggiuntivo non è presente, dato che non vi è deconnessione dal ventilatore. Diventa per-
ciò fondamentale determinare quali siano i pazienti, sottoposti a ventilazione controllata, in cui l’utilizzo
del sistema di aspirazione chiuso potrebbe generare difficoltà nella rimozione delle secrezioni al fine di
adottare accorgimenti specifici per consentire la clearance delle vie aeree. In condizioni di normalità, in
ventilazione volumetrica controllata, il picco di flusso inspiratorio (A) è inferiore a quello espiratorio (B),
come riportato in figura 4.

Figura 4 - Picco di flusso espiratorio maggiore dell’inspiratorio

In figura 5 è riportato un caso di uguaglianza tra il picco di flusso inspiratorio ed espiratorio, mentre in figu-
ra 6 viene evidenziato un caso in cui il flusso inspiratorio è maggiore del flusso espiratorio. Quest’ultima
condizione agisce come una pompa pneumatica, impedendo la risalita delle secrezioni e determinandone
l’inversione della direzione (le secrezioni vengono spinte verso le basse vie aeree).

133
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Figura 5 - Picco di flusso espiratorio uguale all’inspiratorio

Figura 6 - Picco di flusso espiratorio minore dell’inspiratorio

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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Al fine di ottenere comunque una efficace rimozione delle secrezioni, nelle situazioni in cui sia difficile rimuo-
vere le secrezioni durante l’utilizzo del sistema chiuso, una delle strategie adottabili, consiste nell’aumentare il
numero di passaggi che compongono la manovra di aspirazione al fine di rimuovere tutte le secrezioni presenti
(Branson et al., 2007, Marini et al., 2008, Lucchini et al., 2011). Lasocki (Lasocki et al.,2006), dimezzando la
PEEP impostata tra un passaggio ed il successivo. In casi estremi il valore della PEEP può essere portato a
zero. La parziale riduzione della PEEP genera un flusso espiratorio aggiuntivo, con possibilità di incremento
della mobilità delle secrezioni.

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135
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

7. MONITORAGGIO E GESTIONE DELL’UMIDIFICAZIONE DEI GAS MEDICALI


Alberto Lucchini, Stefano Bambi

Il paziente portatore di tubo endotracheale o di cannula tracheostomica viene ventilato con dei gas medicali
(temperatura <6°C umidità relativa 0%) che non possono essere umidificati dal rinofaringe e in quanto que-
sti distretti non sono attraversati dai suddetti gas.

Le vie aeree superiori permettono il condizionamento dei gas, nel soggetto estubato, in modo che il gas arrivi
in trachea a 35°C con il 100 % di umidità relativa (Umidità assoluta = 40 mg di H2O per litro di ventilazione).
Se il soggetto respira aria ambientale a 25°C con 50% di umidità relativa (Umidità assoluta = 10 mg di H2O
per litro di ventilazione) le vie aeree forniranno calore per raggiungere in trachea i 35°C ed in più forniranno
acqua al gas inspirato (30 mg H2O) per raggiungere un’umidità assoluta del 100%.

Nel paziente ventilato invasivamente esistono due possibilità per umidificare i gas inspirati:
• Gli umidificatori attivi (la temperatura e l’acqua venngono forniti da un sistema esterno).
• Gli umidificatori passivi, detti anche filtri (la temperatura e l’acqua sono forniti dal paziente).

Gli umidificatori attivi sono costituiti da un sistema riscaldante in cui il gas medicale viene portato alla tem-
peratura desiderata e da un sistema a membrana che cede umidità al gas riscaldato, caricando in base alla
temperatura la quantità d’acqua necessaria per portare il gas ad una umidità relativa del 100%.

In commercio esistono tre tipologie di umidificatori attivi: a camera riscaldata (la camera viene riscaldata e
per contatto viene ceduta l’acqua), con cartuccia a colonna (la colonna è rivestita da una membrana semi-
permeabile che cede l’umidità) e a membrana in goretex (la membrana in goretex, semipermeabile viene
riscaldata in modo da cedere l’umidità necessaria).

Tutti questi sistemi, sono in grado di fornire ai pazienti un’umidità relativa (UR) del 100% a 35°C come dimo-
strato da Pelosi (Pelosi et al., 2007).

L’umidificatore attivo oltre a controllare la temperatura del gas in uscita dalla camera riscaldante, può control-
lare la temperatura in prossimità del tubo endotracheale. Questa condizione è fondamentale per mantenere
il gas condizionato ed umidificato alla temperatura voluta. Se il gas esce dall’umidificatore a 35°C al 100% di
UR, nella linea inspiratoria la temperatura scende a 32°C, l’acqua contenuta nella differenza di temperatura
(da 35°C a 32°C) diventa condensa.

Per ovviare a questo problema i produttori di umidificatori hanno prodotto dei circuiti inspiratori con inserita
una resistenza elettrica in grado di mantenere costante la temperatura fino in prossimitàà del tubo tracheale.
Le resistenze in commercio sono di due tipi:
• Resistenza annegata nella superficie esterna della linea inspiratoria.
• Resistenza libera posizionata all’interno della linea inspiratoria.

Sono da preferire le resistenze annegate nella superficie interna poiché mantengono costante la temperatu-
ra all’interno della linea inspiratoria. Il filo libero invece determina l’insorgenza di aree calde e aree più fredde
con conseguente formazione di condensa.

Come suggerito da Pelosi (Severgnini et al., 2003) e da Branson (Branson et al., 2007), la temperatura in
uscita dall’umidificatore dovrebbe essere impostata allo stesso valore presente in trachea, ovvero 35°. La
temperatura in prossimità del tubo tracheale dovrebbe essere impostata con due gradi in più rispetto all’u-
midificatore, 37 ° al fine di impedire la formazione di condensa.

La condensa è assolutamente da evitare in quanto la sua presenza aumenta il rischio colonizzazione e quindi
di contrarre una VAP (Ventilator Associated Pneumonia).

136
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

Brochard (Brochard et al., 2005) e Lorente (Lorente et al., 2006) hanno recentemente dimostrato che un
utilizzo corretto dei nuovi sistemi di umidificazione, oltre a fornire un’umidificazione ottimale nelle vie aeree,
riduce il rischio di VAP se paragonati ai pazienti umidificati con filtri scambiatori di calore.

L’utilizzo delle linee espiratorie termo riscaldate non ha benefici sull’insorgenza della VAP. Inoltre l’utilizzo di tale li-
nee sul comparto espiratorio può essere realizzato solo in presenza di ventilatori con valvola espiratoria riscaldata.
In caso contrario la suddetta valvola, se non termostata, diventerebbe il punto in cui si formerebbe la condensa.

In tutti i pazienti in cui è posizionato un umidificatore attivo, il circuito respiratorio deve avere un andamento
declive rispetto al tubo oro tracheale.

Gli umidificatori passivi HME (Heath and Moisture Exchangers) possono essere montati sul tubo a Y per
umidificare e riscaldare l’aria inspirata. Esistono due tipologie di filtri: filtri igroscopici e filtri idrofobi.

La tabella riassume le caratteristiche dei filtri:

Tabella 1

Caratteristica Tipo di filtro


Igroscopico Idrofobo
(Heath and Moisture Exchanger, HME)
Membrana Polipropilene Fibra di ceramica
Superficie di condensazione Carta impregnata con CaCl2 Resine idrofobe
(impregnazione igroscopica)
Proprietà principali Umidificazione dell'aria inspirata Filtrazione dei batteri (ev. virus)
Proprietà annesse Filtrazione delle particelle Umidificazione parziale
(compresi i batteri)

I filtri vanno mantenuti perpendicolari rispetto al tubo endotracheale. Il circuito deve essere mantenuto ad un livel-
lo di altezza superiore al tubo endotracheale al contrario di quanto avviene per i circuiti con umidificazione attiva.

I filtri HME comunque non sono in grado di offrire un’umidificazione ottimale nel paziente ventilato per più di 96 ore.

La scelta dell’umidificazione ideale per ogni singolo paziente può essere sintetizzata dalla tabella 7, come
suggerito da Branson (Branson R.D., 2007).

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137
Tabella 2 - Umidificazione dei gas medicali
Tipologia Durata prevista della Tipologia Impostazione ottimale Note:
di paziente ventilazione
ARDS, qualsiasi Umidificazione attiva 35° alla camera di umidificazione Secrezioni dense: aumentare la temperatura alla camera
polmonite, con circuito termo 37° allaY del paziente da 35 a 36 ed eventualmente 37. In questo modo il gra-
BPCO, riscaldato diente tra le due temperature diventerà zero con possibile
ASMA formazione di condensa. Se la temperatura corporea del
paziente è sotto controllo, per evitare la formazione di
condensa, aumentare proporzionalmente la temperatura
alla Y da 37 a 38° ed eventualmente 39°.

In caso di condensa nel circuitoinspiratorio: verificare le


impostazioni ed il corretto funzionamento delle sonde di
temperatura
Paziente Inferiore alle 48 ore Passiva Preferire HME che forniscano almeno Il filtro deve essere collocato sopra la linea verticale del
post operato tubo Orotracheale e non deve essere in posizione declive
Superiore alle 48 ore Attiva (vedi sopra)
Paziente qualsiasi Attiva Impostare alla camera di umidifica-
con ipotermia zione una temperatura inferiore di
terapeutica due gradi rispetto alla temperatura
core del paziente. La temperatura alla
Y deve essere uguale alla temperatu-
ra core del pz.

138
Capitolo III

Paziente Inferiore a 4 ore Passiva (vedi sopra)


pediatrico
Superiore alle 4 ore Attiva (vedi sopra)
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

8. MONITORAGGIO DURANTE ECMO VENO-VENOSO


Alberto Lucchini, Stefano Bambi, Chiara Peduto

Il supporto extracorporeo della funzionalità respiratoria, grazie alle nuove tecnologie biomedicali si è affer-
mato come una tecnica in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con ARDS. L’infermiere rive-
ste un ruolo fondamentale nella gestione del paziente. Il primo approccio deve considerare la principale
complicanza che un supporto extracorporeo può indurre nel paziente: il sanguinamento non controllabile.
I moderni circuiti extracorporei, pur presentando al proprio interno una superficie eparinata, richiedono
comunque il mantenimento di tempi di coagulazione alterati (PTT con INR compreso tra 1,5 e 2), al fine di
evitare che si formino coaguli all’interno del circuito.

Questa problematica influenza il nursing di base del paziente. Infatti anche le più semplici manovre posso-
no indurre emorragie di difficile controllo. Tutte le manovre a rischio devono essere effettuate con margini
di sicurezza. Si elencano le principali:

• Pulizia del cavo orale: utilizzare una ridotta pressione del vuoto centralizzato (< 50 mmHg), scegliere son-
dini con CH 10, utilizzare spazzolini dentali a setole morbide.

• Pulizia degli occhi: utilizzare esclusivamente prodotti dedicati (lacrime artificiali), non rimuovere eventuali
coaguli che non si dovessere staccare autonomamente con la detersione con soluzione fisiologica.

• Fissaggio del tubo oro tracheale: non utilizzare fissatori rigidi per prevenire l’insorgenza di decubiti.

• Bidet: verificare se la presenza della padella può indurre ostacoli al flusso del circuito a causa dell’esten-
sione del bacino.

• Cambio lenzuola: il paziente con accesso femoro/femorale o con accesso giugulo-femorale deve essere
mobilizzato in asse con utilizzo di un sollevatore meccanico. La scelta è motivata da due necessità: il po-
sizionamento sul fianco riduce la capacità di prelievo delle cannule determinando una riduzione del flusso
extracorporeo, le possibilità di trazione sui cateteri è minore con la mobilizzazione in asse. Durante queste
manovre un 2 infermieri si occupano della mobilizzazione, un terzo operatore deve impugnare le linee di
drenaggio e re immissione del circuito CEC (Circolazione Extra-Corporea) e controllare la pompa.

• Gestione delle medicazioni: si raccomanda di non utilizzare acqua ossigenata per la rimozione dei coaguli.
Il sito di ingresso dei CVC, del catetere arterioso e delle cannule del circuito extracorporeo devono essere
deterse esclusivamente con soluzione fisiologica. Eventuali coaguli presenti sul sito che non dovessero
rimuoversi con la semplice soluzione fisiologica devono essere lasciati in sede al fine di evitare l’insorgen-
za di emorragie di difficile controllo.

• Aspirazione tracheale: utilizzare nel paziente adulto sistemi chiusi di bronco aspirazione di calibro compre-
so tra 10 e 12 CH in relazione al tubo tracheale utilizzato. La pressione del vuoto centralizzato deve essere
ridotta a valori inferiori a -80 mmHg al fine di evitare lesioni da suzione sulla mucosa tracheale. Ogni 48
ore deve essere effettuato un controllo fibrobroncoscopico per il monitoraggio della mucosa tracheale.
La pressione della cuffia del tubo deve essere monitorata almeno ogni 2 ore per evitare l’insorgenza di
decubiti sulla mucosa.

• Gestione delle cannule e del circuito extracorporeo: le cannule e le linee di drenaggio e re immissione
devono essere saldamente ancorate al paziente. In caso di presenza di cannule venose femorali, le linee
devono essere posizionate lungo la coscia ed il piatto tibiale e devono essere ancorate con cerotto o fissa-
tori in tessuto velcrato in almeno tre punti oltre alla medicazione del sito di inserzione. Lo scopo di questo
ancoraggio è quello di ridurre al minimo la possibilità che trazioni sul circuito si riverberino sul tramite della

139
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

cannula con possibilità di sanguinamento. Tra la cannula e la cute, al fine di evitare l’insorgenza di decubiti
ad opera del circuito, è possibile posizionare una medicazione in idrocolloide sottile, con l’interposizione
tra circuito e idrocolloide di una garza in tessuto non tessuto.

• Monitoraggio della perfusione degli arti inferiori: in caso di utilizzo di accessi femorali, soprattutto se in
presenza di un incannulamento arterioso, utilizzare la saturimetria capillare per monitorare la perfusione
degli arti. Inoltre è importante identificare e marcare con appositi pennarelli dermografici in centro co-
scia ed il centro gamba al fine di misurare almeno ogni 8 ore il diametro degli arti inferiori per il controllo
dell’andamento delle dimensioni degli stessi (verifica stasi venosa e ipoperfusione arteriosa indotta dalle
cannule del circuito extracorporeo).

• Controllo del livello di coscienza: le pupille devono essere verificate ogni ora per il controllo di eventuali
sanguinamenti cerebrali. Come illustrato nel capitolo seguente sul monitoraggio neurologico, il moni-
toraggio BIS può rappresentare un valido aiuto per l’infermiere per gestire al meglio situazioni in cui è
possibile determinare nel paziente l’insorgenza di instabilità emodinamica (cure igieniche).

• Monitoraggio del circuito: l’infermiere deve costantemente conoscere i valori di impostazione del cir-
cuito extracorporeo: i valori di Flusso extracorporeo, il numero di giri della pompa centrifuga, i limiti
di allarme del flusso, il flusso di gas che viene introdotto nel polmone artificiale, il set di temperatura
dello scambiatore di calore, le pressioni di esercizio del circuito. Nel circuito extracorporeo vengo-
no monitorate tre pressioni: la pressione pre-pompa, la pressione tra pompa e polmone artificiale, la
pressione dopo il polmone artificiale. La pressione pre-pompa è espressione della negativa generata
dalla pompa per riuscire a mantenere il flusso extracorporeo richiesto. In caso di pressioni inferiori a
-30mmHg l’infermiere deve prestare particolare attenzione durante le manovre di nursing in quanto
la negativa generata dalla pompa è al limite per quanto riguarda le possibilità di gestione del circuito
e quindi l’eventuale mobilizzazione per le cure igieniche può determinare una riduzione del flusso nel
circuito extracorporeo. Le pressioni pre-post polmone rappresentano un monitoraggio per identificare
l’aumento delle resistenze all’interno del polmone (aggregazione piastrinica, coaguli). Da questi accessi
ogni 24 ore vengono effettuati dei prelievi ematici (occorre prestare molta attenzione durante i prelievi,
essendo linee ad elevata pressione) per valutare attraverso l’esame emogasanalitico la performance
del polmone artificiale ed il suo decadimento nei giorni.

• Monitoraggio della coagulazione: ogni 2 ore è opportuno monitorare al letto del paziente mediante
apposite apparecchiature (Point of Care - POC), il tempo di coagulazione. Ogni 6 ore devono essere
monitorati: emocromo, PT,PTT, fibrinogeno e D-Dimeri per gestire la somministrazione di eparina e per
monitorare il tempo di sostituzione del circuito extracoproreo.

• Controllo della temperatura: è mandatario un controllo in continuo della temperatura centrale e della
temperatura nel circuito extracorporeo al fine di gestire al meglio lo scambiatore di calore del circuito
extracorporeo.

• Sostituzione del sondino naso gastrico e del catetere vescicale: il paziente ricoverato in terapia inten-
siva necessita di device che consentano il posizionamento a lungo temine. I materiali bio-compatibili
sono il silicone ed il poliuretano. Questi cateteri se è indicata la sostituzione, devono essere riposizio-
nati prima che il paziente venga connesso alla circolazione extracorporea.

140
Tabella 1 - Monitoraggio del circuito ECMO durante supporto Veno-Venoso

Il monitoraggio del circuito ECMO deve sempre considerare tre fattori:

• Flusso ematico (Blood Flow – BF): è la componente principale da cui dipende l’ossigenazione. Andrebbe settato al valore più basso che consenta un’ossigena-
zione adeguata.
• Flusso gas del polmone artificiale (Gas Flow – GF): è il principale fattore che regola la rimozione della CO2. In base a questo fattore viene regolato il volume
minuto del ventilatore.
• FiO2 del Gas Flow: inizialmente settato a 1 (100%), verrà progressivamente ridotto in base ai miglioramenti nell’ossigenazione del paziente.

La letteratura suggerisce un controllo quotidiano operato da un tecnico perfusionista ed un monitoraggio continuo da parte dell’infermiere.

Domanda Situazione ottimale Monitoraggio


Com’è la performance del Con FiO2 pari a 1 la pO2 nel sangue che esce dal polmone artifi- Almeno una volta al giorno effettuare un prelievo ematico dal
polmone artificiale? ciale dovrebbe essere molto elevata ( >300/400 mmHg). circuito nel punto pre polmone (P Pre) e post polmone (P post).
ed effettuare un esame emogasanalitico.
Com’è il Flusso Ematico? Monitorare la Pressione di prelievo pre-pompa (P in). Monitorare in continuo la pressione P in ed il relativo numero
La pressione dovrebbe essere sempre inferiore ai 100mmHg. di giri della pompa.

In caso di deficit nel drenaggio sarà necessario incrementare il In caso di eccesso di pressione negative, si osserverà nel circu-
numero di giri con conseguente aumento della pressione ne- ito una riduzione del flusso, con un movimento evidente della
gativa. cannula di drenaggio.

Monitorare bilancio idrico, volemia del paziente e postura (spe-

141
Capitolo III

cialmente durante le cure igieniche)

Ci sono trombi nel circuito? Nel circuito non dovrebbero essere rilevabili trombi evidenti. Ispezionare visivamente il circuito con una torcia elettrica ad
ogni turno.
La differenza del delta tra la pressione pre ossigenatore (P Pre)
e post ossigenatore (P Post) non deve aumentare acutamente. Monitorare le pressioni ( P in, P Pre e P Post).
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

ACT compreso tra 180-220 Prelievi per ACT, PTT e Piastrine almeno ogni 8 ore. Un prelievo
PTT con INR compreso tra 1,5 e 2 die per dosaggio ATIII.
AT III > 70%
segue
142
Capitolo III

Cause Sintomi Interventi


Trombi nella pompa Cambio nel suono della pompa Sostituire la “testa pompa” o l’intero circuito
Trombi visibili
Aumento dell’Emoglobina plasmatica Aumentare Eparina
Trombi nel polmone Aumento della pressione attraverso il polmone artificiale Sostituire il Polmone Artificiale o l’intero circuito
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE

artificiale Bassa pO2 dopo l’ossigenatore con alta CO2 post-ossigenatore


Trombi visibili nell’ossigenatore Aumentare Eparina

BIBLIOGRAFIA

Grasselli G., Pesenti A., Marcolin R., Patroniti N., Isgró S., Tagliabue P., Lucchini A., Fumagalli R., Percutaneous vascular cannulation for extracorporeal life support
(ECLS): a modified technique, Int J Artif Organs, 2010; 33(8):553-7.
Patroniti N., Bellani G., Pesenti A., Nonconventional support of respiration, Curr Opin Crit Care, 2011 Oct; 17(5):527-32.
Pesenti A., Patroniti N., Fumagalli R., Carbon dioxide dialysis will save the lung, Crit Care Med. 2010, Oct; 38(10 Suppl):S549-54.
Pesenti A., Zanella A., Patroniti N., Extracorporeal gas exchange, Curr Opin Crit Care, 2009 Feb; 15(1):52-8.
Pesenti A., Kolobow T., Gattinoni L., Extracorporeal respiratory support in the adult, ASAIO Trans, 1988, 34(4):1006-8.
Capitolo IV
Il monitoraggio neurologico
Chiara Peduto, Enrico Lumini, Elisa Mazzoni, Laura Rasero

INTRODUZIONE

I pazienti critici sono spesso a rischio di disfunzione neurologica come conseguenza di condizioni neurologi-
che primarie o danni secondari. Determinare quali aspetti della funzione cerebrale sono influenzati e quale
sia il modo migliore per gestire la disfunzione neurologica spesso può essere difficile e complicato dalle
limitate informazioni che si possono ottenere dall’esame clinico in tali pazienti e dagli effetti delle terapie, in
particolare la sedazione, sulla funzione neurologica. I metodi per misurare e monitorare la funzione cerebrale
si sono evoluti notevolmente negli ultimi anni e ora giocano un ruolo importante nella valutazione e gestione
dei pazienti con compromissione della funzione neurologica. È importante sottolineare che nessuna singola
tecnica è ideale per tutti i pazienti: in molti pazienti, sarà necessaria una combinazione di tecniche di moni-
toraggio. Gli obiettivi generali del neuromonitoraggio sono:
1) individuare il deterioramento della funzione neurologica e l’insorgenza di insulti cerebrali secondari che
possono beneficiare di un trattamento specifico;
2) migliorare la comprensione fisiopatologica delle affezioni cerebrali in malattie gravi;
3) fornire informazioni per guidare e individualizzare la terapia e gli interventi assistenziali;
4) fornire informazioni prognostiche.

In questo capitolo, verranno illustrate le tecniche di neuromonitoraggio attualmente in uso nei pazienti cri-
tici unitamente alle indicazioni principali e alle considerazioni utili ad un’assistenza infermieristica sicura ed
efficace. L’articolo è diviso in due sezioni: nei primi due paragrafi verrà trattato il monitoraggio della funzione
neurologica comune alla maggioranza dei pazienti intensivi e nei restanti il monitoraggio specifico di pazienti
con patologie o lesioni cerebrali.

143
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

1. VALUTAZIONE DELLO STATO MENTALE

1.1. Monitoraggio dello stato di coscienza

Da un punto di vista clinico, possiamo considerare la coscienza come il prodotto di due funzioni cerebrali
strettamente connesse: la vigilanza o stato di veglia (“arousal”) e la consapevolezza di sé e dell’ambiente
(“awareness”) (1). Quest’ultima funzione è ritenuta essere il contenuto della coscienza, che racchiude a
sua volta diversi processi cerebrali quali, l’attenzione, la memoria esplicita, la percezione e la sensazione, le
funzioni esecutive e le motivazioni. Il rapporto tra vigilanza e contenuto della coscienza è gerarchico: non vi
può essere consapevolezza di sé e dell’ambiente in assenza di stato di veglia, ma si può essere vigile senza
contenuto dello stato di coscienza (es. stato vegetativo).

Lo stato di veglia, da un punto di vista neuroanatomico, richiede la conservazione dei meccanismi di vigilanza
propri del Sistema Reticolare Attivatore Ascendente (ARAS), una complessa rete neuronale che origina a
livello del ponte e del mesencefalo e si collega alle strutture corticali e sottocorticali, amplificando e diffon-
dendo le informazioni riguardanti le variazioni delle condizioni ambientali. La consapevolezza di sé e dell’am-
biente invece richiede l’integrità delle funzioni cognitive proprie della corteccia cerebrale.

Alterazioni patologiche dello stato di coscienza possono derivare da lesioni dirette o indirette dell’ARAS
oppure da estese disfunzioni cerebrali e includere significativi cambiamenti della consapevolezza di sé e
dell’ambiente, associati a gradi diversi del livello di vigilanza (2).

Tabella 1 - Alterazioni patologiche dello stato di coscienza

Alterazioni dello Stato di veglia Consapevolezza Funzione Funzione Attività EEG


stato di coscienza motoria respiratoria
Silenzio
Morte cerebrale Assente Assente Assente Assente
elettrografico
Polimorfica
Coma Assente Assente Non intenzionale Variabile
(delta o teheta)
Polimorfica
Stato vegetativo Presente Assente Non intenzionale Presente (delta o theta,
a volte alfa)
Stato minimamente Mista
Presente Parziale Intenzionale a tratti Presente
cosciente (alfa e theta)
Diffusa aspecifica
Delirium Presente Parziale Normale Presente
rallentata
Movimenti oculari
Pseudocoma
verticali e di chiusura/
(locked-in Presente Presente Presente Normale
apertura palpebrali.
syndrome)
quadriplegia e anartria

Il Coma è uno stato di completa perdita della coscienza, della motilità volontaria e della sensibilità, con
conservazione, parziale o totale, delle funzioni vegetative. Può avere causa metabolica, quali disfunzioni
più o meno reversibili del metabolismo energetico delle cellule nervose (es. ipoglicemia, insufficienza epa-
tica, tossici esogeni) o causa strutturale, quali lesioni anatomiche del tessuto nervoso (es. infarti ischemici,

(1)  Plum F., Posner J.B., The Diagnosis of Stupor and Coma. Contemporary Neurology Series 19, Third Edition, Philadelphia, Davis,
1980.
(2)  Laureys S., Owen A.M., Schiff N.D., Brain function in coma, vegetative state, and related disorders, Lancet Neurol 2004;
3:537–546

144
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

ascessi cerebrali, lacerazione degli assoni per traumi cranici). Evoluzione e prognosi di questa condizione
clinica sono variabili, con differenti possibilità di recupero, dalla ripresa rapida e piena fino ad uno stato di
coma persistente, oppure evolvere nella morte cerebrale.

Lo Stato Vegetativo (VS) è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di un’attività di veglia in assen-
za di consapevolezza cosciente di sé e dell’ambiente circostante. Il paziente può aprire e muovere gli occhi,
deglutire, respirare autonomamente, e mantenere l’alternanza del ciclo sonno-veglia così come osservato
con registrazioni elettroencefalografiche (EEG). È, inoltre, in grado di compiere alcuni automatismi motori
come sorridere, sbadigliare, masticare, rispondere a stimoli dolorosi ed effettuare movimenti spontanei afi-
nalistici. Non è però capace di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo, eseguire anche i più semplici ordini
verbali, emettere parole o compiere movimenti finalizzati. Le possibilità di risveglio sono legate alla gravità
del danno cerebrale e si riducono con il passare del tempo. Se questa condizione permane per più di un
mese è definita Stato Vegetativo Persistente (SVP): una condizione in cui le capacità funzionali del cervello
del soggetto sono gravemente e permanentemente alterate, le possibilità di un recupero di coscienza molto
limitate e accompagnate da gravi sequele funzionali.

Lo Stato Minimamente Cosciente (MCS) è una condizione anch’essa caratterizzata da una grave alterazione
dello stato di coscienza in cui però il soggetto può talora presentare un comportamento volontario, consa-
pevole, che può presagire un parziale recupero della funzionalità cerebrale.

La definizione delle alterazioni dello stato di coscienza è affidata a linee guida universalmente accettate,
ma non esiste evidenza che definisca una modalità uniforme di valutazione di tali condizioni (3). Sono state,
quindi, sviluppate e validate numerose scale comportamentali, sia per setting intensivi che riabilitativi, che
consentano di determinare il livello di coscienza e permettano una diagnosi accurata del tipo di alterazione.

In linea generale possiamo ritenere valido il seguente approccio:


1. Valutazione dello stato di veglia
a. Determina lo stimolo necessario ad ottenere una risposta del paziente (voce normale, voce alta, tatto,
stimolo doloroso)
b. Utilizza uno score clinico per definire il livello di coscienza (di seguito ne sono proposti due per il setting
intensivo)
2. Valutazione della consapevolezza di sé e dell’ambiente
a. Verifica orientamento, capacità di concentrazione, linguaggio e memoria
b. Esegui un test di screening per Delirium (vedi sezione dedicata)

La Glasgow Coma Scale (GCS), originariamente disegnata per pazienti con trauma cranico (4), è successiva-
mente diventata la scala maggiormente utilizzata per la valutazione delle alterazioni dello stato di coscienza
dei pazienti acuti sia con patologie di natura medica che traumatica, inoltre è inserita in score utilizzati in
ambito intensivo (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation - APACHE score).

La scala si riferisce a tre parametri fondamentali: risposta per l’apertura degli occhi, risposta verbale e risposta
motoria. Il punteggio che si ottiene sommando i valori per ciascun parametro (il minimo valore ottenibile è 3, il
massimo è 15) costituisce l’indice GCS. Tale indice deve essere associato alla valutazione del diametro pupilla-
re e della reattività alla luce, alla pressione arteriosa, alla frequenza cardiaca, alla temperatura corporea, al pat-
tern respiratorio, ai valori di anidride carbonica arteriosa per una completa valutazione dello stato di coscienza.

(3)  Seel R., Sherer M., Whyte J., Katz D., Giacino J., Rosenbaum A., Hammond F., Kalmar K., Pape T., Zafonte R., Biester R, Kaelin D.,
Kean J., Zasler N., Assessment scales for disorders of consciousness: evidence-based recommendations for clinical practice and
research, Arch. Phys. Med. Rehabil. 91: 1795-1813, 2010.
(4)  Teasdale G., Jennett B., Assessment of coma and impaired consciousness. A practical scale, Lancet. 1974, 2: 81-84.

145
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 2 - Glasgow Coma Scale

Punteggio Apertura degli occhi Risposta verbale Risposta motoria


1 Assente Assente Assente
2 Allo stimolo doloroso Suoni incomprensibili Estensione allo stimolo doloroso
3 Allo stimolo verbale Parole inappropriate Flessione allo stimolo doloroso
4 Spontanea Parole confuse Retrazione allo stimolo doloroso
5 Orientata Localizzazione allo stimolo doloroso
6 Esecuzione del comando

La validità dell’indice GCS richiede una metodologia costante ed omogenea.

La frequenza delle osservazioni secondo la letteratura è molto variabile (ogni 10-15 minuti per pazienti instabili e
ogni 1-4 ore per quelli stabili) ma deve comunque essere adattata alle condizioni del paziente. Secondo le Linee
Guida della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva)per il trattamento
del grave traumatizzato cranico adulto, la valutazione neurologica (GCS e dimensione e reattività pupillari) nelle
prime 72 ore deve essere effettuata: all’ingresso, poi ogni ora e tutte le volte che compare una variazione neuro-
logica (team infermieristico)oppure ogni 4 ore e tutte le volte che avviene una variazione del quadro neurologico
(team medico); infine, nei pazienti sedati è necessario aprire una “finestra” di valutazione ogni 8 ore.

La valutazione del parametro ‘apertura degli occhi’ prevede l’esclusione di lesioni al nervo oculomotore op-
pure l’incapacità del paziente di eseguire la manovra (ptosi).

La risposta verbale deve accertare la capacità di comprendere e l’abilità ad esprimersi e l’orientamento


spazio-temporale, è quindi necessario che non vi siano barriere linguistiche e che siano esclusi i pazienti
incapaci di articolare la parola (frattura mandibola) intubati, afasici o disfasici.

La risposta motoria stabilisce la capacità del paziente di obbedire a semplici comandi quale ‘tirar fuori la lingua’,
inoltre deve accertare la forza degli arti, sono quindi esclusi i pazienti con trauma spinale oppure farmacologi-
camente sedati o curarizzati. Metodologicamente si considera la risposta motoria migliore dal lato migliore e
solo degli arti superiori. Lo stimolo doloroso deve sempre seguire il richiamo verbale e deve essere rivolto sia
a livello centrale (pizzico del trapezio o pressione sopraorbitale) che periferico (pressione del letto ungueale del
primo o secondo dito); la durata dello stimolo deve essere di 5 secondi fino ad un massimo di 20-30 secondi.

Negli anni sono emerse numerose limitazioni riguardo all’utilizzo di questa scala: una affidabilità inter-obser-
ver inconsistente, l’impossibilità di testare la componente verbale nei pazienti intubati, l’assenza della valu-
tazione dei riflessi del tronco encefalico, infine una scarsa correlazione tra outcome e basso indice GCS (5).

Recentemente è stata proposta una nuova scala per la valutazione dello stato di coscienza, la Full Outline of
UnResponsiveness (FOUR) (6). Questa scala introduce nuove componenti che consentono una più accurata
valutazione neurologica (7), tuttavia necessita di una più ampia validazione prima di poter essere utilizzata
come strumento bedside (8).

(5)  Balestrieri M., Czosnyka M., Chatfield D.A., et al., Predictive value of Glasgow Coma Scale after brain trauma: change in trend
over the past ten years, J Neurol Neurosurg Psychiatry, 2004, 75: 161-162
(6)  Wijdicks E.F., Bamlet W.R., Maramattom B.V., Manno E.M., McClelland R.L., Validation of a new coma scale: the FOUR score,
Ann Neurol, 2005. 58: 585-593.
(7)  Kornbluth J., Bhardwaj A., Evaluation of coma: a critical appraisal of popular scoring systems, Neurocrit Care. 2011; 14:134-143.
(8)  Seel R.t., Sherer M., Whyte J., et al., American Congress Of Rehabilitation Medicine, Brain Injury-Interdisciplinary Special
Interest Group, Disorders Of Consciousness Task Force, Assessment scales for disorders of consciousness: evidence-based
recommendations for clinical practice and research, Arch Phys Med Rehabil, 2010; 91:1795-1813.

146
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

La scala FOUR si riferisce a quattro componenti: apertura degli occhi, risposta motoria, riflessi del tronco
encefalico e pattern respiratorio. Il numero dei componenti e il punteggio massimo in ciascuna categoria è
sempre quattro (così da facilitare la memorizzazione e rinforzato dall’acronimo utilizzato) mentre il punteggio
minimo è zero, ad indicare la possibilità di morte encefalica.

Tabella 3 - Full Outline of UnResponsiveness Score

EYE RESPONSE
Action Score
Eyelids open or opened tracking or blinking to command 4
Eyelids open but not tracking 3
Eyelids closed but open to loud voice 2
Eyelids closed but open to pain 1
Eyelids remain closed with pain 0
MOTOR RESPONSE
Action Score
Thumbs up, fist or peace sign 4
Localizing to pain 3
Flexion response to pain 2
Extension response to pain 1
No response to pain or generalized myoclonus status 0
BRAINSTEM REFLEXES
Action Score
Pupil and corneal reflexes present 4
One pupil wide and fixed 3
Pupil or corneal reflexes absent 2
Pupil and corneal reflexes absent 1
Absent pupil, corneal and cough reflex 0
INTUBATION
Action Score
Not intubated, regular breathing pattern 4
Not intubated, Cheyne-Stokes breathing pattern 3
Not intubated, irregular breathing 2
Breathes above ventilator rate 1
Brethes at ventilator rate or apnea 0

Il FOUR score può essere utilizzato in molteplici setting intensivi, non esclusivamente in neurorianimazione
dove inizialmente è stato validato. È facile da insegnare e da somministrare, inoltre fornisce informazioni
essenziali per un’accurata valutazione di pazienti con alterazioni dello stato di coscienza (9). Lo score ha
dimostrato un valore prognostico paragonabile a quello fornito dalla GCS ma offre indiscutibili vantaggi: può
essere utilizzato in pazienti intubati, è in grado di distinguere stati vegetativi da stati minimamente respon-
sivi, infine, è in grado di rilevare la “locked-in syndrome” (pseudocoma o sindrome ventrale pontina) uno

(9)  Iyer V.N., Mandrekar J.N., Danielson R.D., Zubkov A.Y., Elmer J.L., Wijdicks E.F.M., Validity of the FOUR score coma scale in the
medical intensive care unit, Mayo Clinic Proceedings, 2009. 84(8):694-701.

147
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

stato in cui non vi è perdita di coscienza ma la paralisi dei quattro arti e degli ultimi nervi cranici permette di
comunicare solo con movimenti oculari (10).

1.2. Monitoraggio della sedazione

La maggior parte dei pazienti ricoverati in terapia intensiva (42-72%) riceve farmaci per la sedazione (11),
spesso associati ad analgesici, al fine di ridurre ansia e discomfort e migliorare la tolleranza ai trattamenti
(12). Ansia e agitazione sono infatti eventi molto frequenti in ambito intensivo, e sono associati al peggiora-
mento degli outcomes clinici. Secondo le linee guida internazionali, identificare e trattare prontamente le
condizioni che possono causarne la comparsa (es. ipossiemia, dolore, delirium, astinenza da sostanze, depri-
vazione di sonno, ventilazione meccanica) è considerato prioritario rispetto al trattamento farmacologico (13);
tali interventi includono il mantenimento del comfort del paziente, provvedere ad una adeguata analgesia,
monitorare e trattare il delirium, istituire pratiche di orientamento del paziente (es. incoraggiamento della
comunicazione, mobilizzazione precoce) e di miglioramento ambientale (es. riduzione degli stimoli nelle ore
notturne, quali procedure, rumori, luci) al fine di ridurre i fattori stressanti e favorire un normale modello di
sonno.

Non esistendo un livello di sedazione standard che sia ottimale per tutti i pazienti, gli esperti internazionali
concordano nel sostenere che sia necessario che l’equipe intensiva stabilisca quotidianamente il livello ade-
guato per ogni paziente, in considerazione delle peculiari caratteristiche cliniche, della tolleranza ai presidi
invasivi e alle posture, dell’adattamento alla ventilazione meccanica, infine degli importanti effetti collaterali
della terapia sedativa stessa. Le conseguenze negative legate ad una sedazione eccessiva prolungata sono
state ampiamente dimostrate in letteratura (14), a dispetto dei benefici ottenuti mantenendo livelli di sedazio-
ne più superficiali, in una popolazione così vulnerabile, quale quella dei pazienti di terapia intensiva. La novità
culturale emersa negli ultimi anni è sostanzialmente rappresentata dal concetto di “sedazione cosciente”,
ottenuta attraverso un approccio sistematico che preveda l’utilizzo di protocolli di interruzione giornaliera
della sedazione o di superficializzazione dalla stessa, anche per i pazienti ventilati meccanicamente, la scelta
del farmaco più adeguato e della migliore modalità di somministrazione dello stesso, associati ad un ottimale
sistema di monitoraggio del livello di sedazione raggiunto (15).

Il monitoraggio sistematico del livello di sedazione, esattamente come quello del dolore e del delirium, come
parte integrante della strategia di management degli stessi, è associato alla riduzione della mortalità, dei
giorni di degenza in terapia intensiva, di ventilazione meccanica, dei costi oltre ad una minore incidenza di
infezioni nosocomiali (16).

(10)  Bruno M.A., Ledoux D., Lambermont B., et al., Comparison of the Full Outline of UnResponsiveness and Glasgow Liege Scale/
Glasgow Coma Scale in an intensive care unit population, Neurocrit Care, 2011, 15(3):447-453.
(11)  Ayen J.F., Chanques G., Mantz J., Hercule C., Auriant I., Leguillou J.L. et al., Current practices in sedation and analgesia for
mechanically ventilated critically ill patients: a prospective multicenter patient-based study, Anesthesiology 2007; 106:687-95.
(12)  Jacobi J., Fraser G.L., Coursin D.B., Riker R.R., Fontaine D., Wittbrodt E.T., et al., Clinical practice guidelines for the sustained
use of sedatives and analgesics in the critically ill adult, Crit Care Med 2002; 30:119-41.
(13)  Martin J., Heymann A., Bäsell K., Baron R., Biniek R., Bürkle H., et al., Evidence and consensus-based German guidelines for
the management of analgesia, sedation and delirium in intensive care – short version, Ger Med Sci, 2010 Feb 2;8.
(14)  Girard T.D., Kress J.P., Fuchs B.D., Thomason J.W., Schweickert W.D., Pun B.T. et al., Efficacy and safety of a paired sedation
and ventilator weaning protocol for mechanically ventilated patients in intensive care (Awakening and Breathing Controlled trial):
a randomised controlled trial, Lancet 2008; 371:126-34.
(15)  Fraser G.L., Riker R.R., Sedation and analgesia in the critically ill adult, Curr Opin Anaesthesiol, 2007;14:119-123.
(16)  Jackson D.L., Proudfoot C.W., Cann K.F., Walsh T., A systematic review of the impact of sedation practice in the ICU on re-
source use, costs and patient safety, Crit Care, 2010; 4:R59.

148
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Le linee guida (17) raccomandano la misurazione e la relativa documentazione della qualità e del livello di sedazio-
ne ottenuto ogni 8 ore attraverso strumenti oggettivi, riproducibili e validati, quali la Richmond Agitation-Sedation
Scale (RASS) (18) e la Sedation Agitation Scale (SAS) (19); non sono invece raccomandate misurazioni oggettive
della funzionalità cerebrale quali Potenziali Evocati uditivi (AEPs), Bispectral Index (BIS), Narcotrend Index (NI),
Patient State Index (PSI) o Entropia (SE) ma suggeriti in pazienti in terapia con bloccanti neuromuscolari.

Esistono, in realtà, numerose scale di valutazione del livello di sedazione nei pazienti adulti ma la RASS e la
SAS sono risultate migliori relativamente alle proprietà psicometriche. Entrambe le scale hanno dimostrato
un elevato grado di affidabilità tra operatori diversi, sono in grado di discriminare diversi livelli di sedazione
in varie condizioni cliniche (20), inoltre mostrano un’alta correlazione fra score di sedazione ottenuto e valore
misurato con elettroencefalogramma o BIS (21).

Tabella 4 - Richmond Agistation-Sedation Scale (RASS)

Punteggio Definizione Descrizione


Chiaramente combattivo, violento, imminente pericolo per se stesso
4 Combattivo
o per lo staff
3 Molto agitato Aggressivo, rischio evidente di rimozione cateteri o tubi
Frequenti movimenti afinalistici, disadattamento alla ventilazione
2 Agitato
meccanica
1 Irrequieto Ansioso ma senza movimenti aggressivi e vigorosi
0 Sveglio e tranquillo Comprende i periodi di sonno fisiologico
Non completamente sveglio, apre gli occhi allo stimolo verbale, man-
-1 Soporoso
tiene il contatto visivo > 10 secondi
-2 Lievemente sedato Brevi risvegli allo stimolo verbale, contatto visivo < 10 secondi
Movimenti o apertura degli occhi allo stimolo verbale (senza contatto
-3 Moderatamente sedato
visivo)
Non risposta allo stimolo verbale, movimenti o apertura occhi alla
-4 Sedazione profonda
stimolazione fisica
-5 Non risvegliabile Nessuna risposta alla stimolazione tattile/dolorosa

Indicazioni per la somministrazione della RASS:


1. Osserva il paziente
a. Il paziente è calmo, irrequieto o agitato: punteggio da 0 a +4
2. Se non è sveglio, chiama il paziente per nome, chiedi di aprire gli occhi e di guardarti
a. Il paziente è risvegliabile, mantiene gli occhi aperti e il contatto visivo: punteggio -1
b. Il paziente è risvegliabile, mantiene gli occhi aperti ma si riduce il contatto visivo: punteggio -2
c. Il paziente è risvegliabile, mantiene gli occhi aperti ma non vi è contatto visivo: punteggio -3

(17)  Barr J., Fraser G.L., Puntillo K., et al., Clinical practice guidelines for the management of pain, agitation, and delirium in adult
patients in the intensive care unit, Crit Care Med 2013; 41(1):263-306.
(18)  Sessler C.N., Gosnell M.S., Grap M.J., Brophy G.M., O’Neal PV, et al. (2002), The Richmond Agitation-Sedation Scale: validity
and reliability in adult intensive care unit patients, Am J Respir Crit Care Med 166(10): 1338-44.
(19)  Riker R.R., et al., Prospective evaluation of the Sedation-Agitation Scale for adult critically ill patients, Crit Care Med 1999;
27(7):1325-9.
(20)  Ely E.W., Truman B., Shintani A., et al., Monitoring sedation status over time in ICU patients: Reliability and validity of the Rich-
mond Agitation-Sedation Scale (RASS), JAMA 2003; 289:2983-2991.
(21)  Deogaonkar A., Gupta R., DeGeorgia M., et al., Bispectral Index monitoring correlates with sedation scales in brain-injured
patients, Crit Care Med 2004; 32:2403-2406.

149
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

3. Quando non si ottiene una risposta alla stimolazione verbale, stimolare fisicamente il paziente scuoten-
dogli la spalla o premendo sullo sterno
a. Il paziente ha movimenti allo stimolo doloroso: punteggio -4
b. Il paziente non risponde ad alcuno stimolo: punteggio -5

Tabella 5 - Riker Sedation-Agitation Scale (SAS)

Punteggio Definizione Descrizione


Strappa il tubo endotracheale, cerca di rimuovere i cateteri, scavalca le
7 Agitazione pericolosa
barriere protettive dei letti, aggredisce lo staff, si agita continuamente
Non si calma, nonostante continui richiami verbali alla calma, necessi-
6 Molto agitato
ta di contenzioni fisiche, morde il tubo endotracheale
Ansioso o mediamente ansioso, cerca di mettersi seduto, si calma in
5 Agitato
seguito ad istruzioni verbali
4 Calmo e cooperante Calmo, si sveglia facilmente, segue i comandi
Difficoltà a svegliarsi, si sveglia in seguito a stimoli verbali, o sollecita-
3 Sedato
zioni tattili, ma si riaddormenta di nuovo, segue semplici istruzioni
Si sveglia in seguito a stimoli fisici, ma non comunica né segue co-
2 Molto sedato
mandi, presenza di movimenti spontanei
Risposta minima o nulla a stimoli nocivi, non comunica né segue
1 Non risvegliabile
comandi

1.3. Monitoraggio del delirium

Il delirium è una sindrome caratterizzata da una disfunzione cerebrale ad esordio acuto e variabilità tempo-
rale, che determina fluttuazione dello stato di coscienza con disattenzione e pensiero incoerente (22). Sono
elementi essenziali di tale sindrome, sia un’alterazione dello stato di coscienza associato ad una incapacità a
focalizzare e mantenere l’attenzione, sia un’alterazione del pensiero (deficit della memoria, disorientamento,
disturbi del linguaggio) o uno sviluppo di un disturbo percettivo (allucinazioni). Sono stati distinti tre sottotipi
di delirium secondo il livello di vigilanza e di attività psicomotoria: il delirium iperattivo, caratterizzato da agi-
tazione e labilità emotiva (meno comune); il delirium ipoattivo, caratterizzato da apatia e diminuzione della
responsività (più comune); infine la forma mista.

In Terapia Intensiva il delirium si sviluppa in circa i due terzi dei pazienti (23), nonostante ciò, in assenza di un
adeguato monitoraggio, rimane non diagnosticato nel 72% dei casi (24). È stato ampiamente dimostrato che
il delirium sia un importante fattore predittivo indipendente di peggioramento degli outcomes clinici dei pa-
zienti di terapia intensiva, quali aumento della mortalità, della degenza e dei costi ospedalieri, della presenza

(22)  American Psychiatric Association, Delirium, dementia and amnestic and other cognitive disorders, in Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders, 4th ed. Washington, DC, American Psychiatric Association, 1994, pp 123-133.
(23)  Dubois M.J., Bergeron N., Dumont M., Dial S., Skrobik Y., Delirium in an intensive care unit: a study of risk factors, Intensive
Care Med. 2001;27(8):1297-1304.
(24)  Spronk P.E., Riekerk B., Hofhuis J., Rommes J.H., Occurrence of delirium is severely underestimated in the ICU during daily care,
Intensive Care Med. 2009;35(7):1276-1280.

150
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

di deficit cognitivi a lungo termine (demenza indotta da terapia intensiva) (25)(26)(27). L’alta prevalenza di tali
outcomes e la loro gravità devono indurre tutti i professionisti di area critica a considerare quali aspetti del
delirium siano prevedibili, prevenibili, determinabili e trattabili.

I meccanismi fisiopatologici coinvolti nello sviluppo e nella progressione del delirium sono pressoché sco-
nosciuti, ma si pensa siano correlati allo squilibrio dei neurotrasmettitori che regolano le funzioni cognitive, il
comportamento e l’umore (dopamina, acido g-aminobutirrico e acetilcolina). Inouye et al (28) hanno sviluppa-
to un utile modello predittivo per diagnosticare il delirium e individuato due differenti categorie di fattori di ri-
schio: predisponenti e precipitanti. I fattori di rischio predisponenti sono presenti all’ammissione ed indicano
una certa vulnerabilità di base, includono l’età avanzata, gravi condizioni cliniche all’ingresso e la presenza di
comorbidità (es. demenza) che risultano da un cronico squilibrio dei neurotrasmettitori sopra descritti; invece
i fattori precipitanti sono rischi aggiuntivi acquisiti durante la degenza, includono stimoli nocivi (es. farmaci
psicoattivi, ventilazione meccanica, prolungata immobilità) che producono un acuto squilibrio dei neurotra-
smettitori citati (es. ipossia, disturbi metabolici o idroelettrolitici, sepsi, febbre) (29).

La prevenzione del delirium prevede un approccio multidimensionale che si avvale di strategie mirate a:

• monitorare routinariamente il delirium in tutti i pazienti di terapia intensiva e valutare la presenza di fattori
di rischio al fine di definirne il livello di vulnerabilità
• correggere le cause organiche/metaboliche sottostanti, per quanto possibile
• istituire pratiche di orientamento del paziente (es. incoraggiamento della comunicazione, mobilizzazione
precoce) (30) e di miglioramento ambientale (es. riduzione degli stimoli nelle ore notturne, quali procedure,
rumori, luci)
• ridurre le pratiche di ventilazione meccanica prolungata e over-sedazione (31), selezionare sedativi che non
espongano i pazienti ad aumentato rischio di delirium quali le benzodiazepine (32).

Il monitoraggio routinario del delirium (con frequenza di 1/8-12ore), in tutti i pazienti adulti ricoverati in terapia
intensiva, è fortemente raccomandato dalle linee guida (33), con strumenti altamente specifici e sensibili qua-
li il Confusion Assessment Method for the Intensive Care Unit (CAM-ICU) (34)(35) e la Intensive Care Delirium

(25)  Ely E.W., Shintani A., Truman B., et al., Delirium as a predictor of mortality in mechanically ventilated patients in the intensive
care unit, JAMA. 2004; 291:1753-1762.
(26)  Ely E.W., Gautam S., Margolin R., et al., The impact of delirium in the intensive care unit on hospital length of stay, Intensive
Care Med. 2001; 27:1892-1900.
(27)  Girard T.D., Jackson J.C., Pandharipande P.P., et al., Delirium as a predictor of long-term cognitive impairment in survivors of
critical illness, Crit Care Med. 2010; 38:1513-1520.
(28)  Inouye S.K., Charpentier P.A., Precipitating 
factors for delirium in hospitalized elderly persons: predictive model and interrela-
tionship with baseline vulnerability, JAMA, 1996; 275:852-857.
(29)  Vasilevskis E.E., Ely E.W., Speroff T., Pun B.T., Boehm L., Dittus R.S., Reducing iatrogenic risks: ICU-acquired delirium and
weakness-crossing the quality chasm, Chest. 2010.138:1224-1233.
(30)  Schweickert W.D., Pohlman M.C., Pohlman A.S., et al., Early physical and occupational therapy in mechanically ventilated, criti-
cally ill patients: a randomised controlled trial, Lancet, 2009; 373(9678):1874-1882.
(31)  Balas M.C., Vasilevskis E.E,. Burke W.J., et al., Critical care nurses’ role in implementing the “ABCDE bundle” into practice. Crit
Care Nurse. 2012; 32(2):35
(32)  Pandharipande P., Shintani A., Peterson J., et al., Lorazepam is an independent risk factor for transitioning to delirium in intensive
care unit patients, Anesthesiology. 2006; 104(1):21-26.
(33)  Barr J., Fraser G.L., Puntillo K., Ely E.W., Gelinas C., Dasta J.F., et al., Clinical practice guidelines for the management of pain,
agitation, and delirium in adult patients in the intensive care unit, Crit Care Med. 2013;41:263-306.
(34)  Ely E.W., Margolin R., Francis J., et al., Evaluation of delirium in critically ill patients: validation of the Confusion Assessment
Method for the Intensive Care Unit (CAM-ICU), Crit Care Med. 2001; 29(7):1370-1379.
(35)  Ely E.W., Inouye S.K., Bernard G.R., et al., Delirium in mechanically ventilated patients: validity and reliability of the confusion
assessment method for the intensive care unit (CAM-ICU), JAMA, 2001;286(21):2703-2710.

151
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Screening Checklist (ICDSC) (36). Entrambi gli strumenti, utilizzati in molti paesi e tradotti in molte lingue, sono
stati validati in molteplici popolazioni di pazienti ventilati e non. La valutazione del funzionamento cognitivo,
qualsiasi dei suddetti strumenti si intenda utilizzare, deve essere preceduta dalla valutazione della risvegliabilità
del paziente per escludere livelli profondi di sedazione/coma che classificano il paziente come “non valutabile”;

1a FASE
Valutazione del livello di sedazione con RASS (vedi sezione dedicata)
Se RASS ≤ -4 Stop e rivaluta il paziente in un secondo momento
Se RASS ≥ -3 procedi alla seconda fase

2a FASE
Valutazione del Delirium con CAM-ICU (Tabella 6)
La diagnosi di Delirium è positiva se sono presenti modificazioni acute dello stato di coscienza o vi è stato
un decorso fluttuante della stessa (PUNTO1) e disattenzione (PUNTO2) associate a pensiero disorganizzato
o incoerente (PUNTO3) oppure alterato livello di coscienza (PUNTO4).

Tabella 6 - Scheda di lavoro CAM-ICU

MODIFICAZIONI ACUTE DELLA COSCIENZA/ DECORSO FLUTTUANTE


RASS o GCS sono
1 C’è differenza fra lo stato mentale di base e quello attuale? SÌ NO
variate nelle ultime 24h?
Lo stato di coscienza è variato nelle ultime 24 ore?
DISATTENZIONE
2 Il paziente ha difficoltà a concentrarsi? ASE* uditivo o visivo <8 SÌ NO
Riesce a mantenere l’attenzione?
PENSIERO DISORGANIZZATO
3 Il paziente ha pensiero disorganizzato o incoerente? Score** complessivo<4 SÌ NO
Risponde a domande semplici? Esegue semplici comandi?
ALTERATO LIVELLO DI COSCIENZA
4 RASS ≠ 0 SÌ NO
Il paziente è agitato, sedato o incosciente?
riadattata da: E. Wesley Ely, MD, MPH and Vanderbilt University, 2002

* Al punto 2 viene somministrato un test uditivo e/o visivo ASE (Attention Screening Examination) per valu-
tare il livello di concentrazione. Di seguito le modalità di somministrazione:
• si somministra prima l’ASE uditivo. Se il paziente è capace di svolgerlo e c’è un risultato chiaro, si passa al
punto 3. Se il paziente non riesce a svolgere questo test o se il risultato non è chiaro, si effettua anche l’ASE
visivo. Se vengono svolti entrambi i test e si riscontrano risultati contrastanti, fa fede il risultato dell’ASE visivo.
• ASE uditivo (riconoscimento della lettera “A”)

Si pronuncia a voce alta (una lettera al secondo) una serie di 10 lettere (es. S A V E A H A A R T) e si
chiede al paziente di stringere la mano dell’esaminatore tutte le volte che sente pronunciare la lettera
“A”. Il test è considerato positivo se il paziente fa più di 2 errori.
• ASE visivo (riconoscimento di immagini)

Si mostrano al paziente 5 immagini per 3 secondi l’una. Subito dopo, si mostrano 10 immagini che com-
prendono le 5 già mostrate. Il paziente dice “sì” se già viste e “no” se non mostrate in precedenza. Il
test è positivo se il paziente fa più di 2 errori. Alternare un set immagini per i giorni dispari ed uno per
quelli pari per evitare fenomeni di memorizzazione.
È importante che i pazienti che normalmente indos-
sano occhiali da vista li abbiano al momento dell’esecuzione del test.

(36)  Bergeron N., Dubois M.J., Dumont M., Dial S., Skrobik Y., Intensive Care Delirium Screening Checklist: evaluation of a new
screening tool, Intensive Care Med, 2001; 27(5): 859-864.

152
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

** Al punto 3 viene indagata la presenza di pensiero disorganizzato attraverso la capacità di rispondere


correttamente a semplici domande e di eseguire facili comandi . Il test è positivo se il paziente realizza un
punteggio complessivo inferiore a 4.

• Porre un set di quattro semplici domande cui sia possibile rispondere Sì o No. Applicare 1 punto per ogni
risposta giusta
Set giorni dispari:
1. Una pietra galleggia sull’acqua?
2. Ci sono dei pesci nel mare?
3. Un chilo pesa più di due chili?
4. Si può usare il martello per piantare un chiodo?
Set giorni pari:
1. Una foglia può galleggiare sull’acqua?
2. Ci sono gli elefanti nel mare?
3. Due chili pesano più di un chilo?
4. Si può usare il martello per segare il legno?
• Chiedere al paziente di ripetere il gesto dell’esaminatore che gli mostra 2 dita, sia con una mano che con
l’altra. Se il paziente non riesce a muovere entrambe le mani, ripetere il gesto due volte con la stessa
mano. La prova effettuata correttamente vale 1 punto.

Ulteriori approfondimenti riguardo all’utilizzo della CAM-ICU comprensivi di riferimenti bibliografici, video di
training, protocolli, strumenti utili per la pratica quotidiana, linee guida sono facilmente reperibili ai seguenti
siti internet: www.icudelirium.org oppure www.sedaicu.it.

Una valida alternativa alla CAM-ICU può essere la Intensive Care Delirium Screening Checklist (ICDSC),
rappresentata nella Tabella 7 (37); quest’ultima ricalca nei suoi primi quattro elementi i primi due criteri dia-
gnostici del delirium secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disease(DSM-IV), nei restanti
si riferisce a caratteristiche specifiche del delirium. Un punteggio totale ≥4 indica la presenza di delirium, se
compreso fra 3 e 1 indica la presenza di delirium subclinico, la sua assenza un punteggio uguale a 0. La scala
viene completata in base alle informazioni ottenute durante ciascun turno di 8 ore, oppure riferendosi alle 24
ore precedenti. Se vi sono manifestazioni evidenti di un fattore si assegna 1 punto, in assenza di alterazione
di quel fattore o impossibilità a rilevarlo si assegnano 0 punti. Il sistema di assegnazione del punteggio è
riassunto nella Tabella 8.

(37)  Giusti G.D., Piergentili F., Cultural and linguistic validation of the italian version of the intensive care delirium screening checklist
(ICDSC), Dimens Crit Care Nurs. 2012; 31(4):246-251.

153
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 7 - Intensive Care Delirium Screening Checklist

DATA
VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
TURNO M P N M P N M P N M P N M P N
1. Alterazione stato di coscienza (A-E)*
Se A o B non proseguire la valutazione del paziente in quel periodo
2. Disattenzione
3. Disorientamento
4. Allucinazioni o psicosi
5. Agitazione o ritardo psicomotorio
6. Alterazione del linguaggio o dell’umore
7. Disturbo del ciclo sonno/veglia
8. Fluttuazione dei sintomi
PUNTEGGIO TOTALE ( 0 - 8 )

* ALTERAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA: PUNTEGGI


A: Nessuna risposta Nessuno
B: Risposta solo a stimolo intenso e ripetuto Nessuno
C: Risposta a stimolo da lieve a moderato 1
D: Normale veglia 0
E: Risposta esagerata a stimolo normale 1

Tabella 8 - Sistema di assegnazione del punteggio della ICDSC

ALTERAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA (considerare una sola definizione tra A e E):

A) Nessuna risposta (coma) e B) necessità di una vigorosa stimolazione per ot- Nessun punteggio: si inserisce
tenere una risposta (stupor), rappresentano una severa alterazione dello stato di un trattino ( - ) e non si prose-
coscienza che preclude l’osservazione del delirium gue nell’ulteriore valutazione
durante quel periodo
1
C) Sopore o necessità di una stimolazione da lieve a moderata per ottenere una 1 punto
risposta
D) Veglia o stato di sonno fisiologico dal quale si è facilmente risvegliabili, è 0 punti
considerato normale
E) Stato di irrequietezza o agitazione in seguito a stimolo normale 1 punto
DISATTENZIONE

2 Difficoltà nel seguire una conversazione o ad eseguire ordini semplici 1 punto se presente una qualsi-
Facile distrazione a causa di stimoli esterni asi di queste voci
Difficoltà nello spostamento di attenzione
DISORIENTAMENTO
3 Palese errore di riconoscimento di persone e/o scorretta percezione spazio tem- 1 punto
porale
ALLUCINAZIONI, VISIONI O PSICOSI

4 Manifestazione clinica inequivocabile di allucinazioni o comportamento proba- 1 punto


bilmente indotto da allucinazioni (es: tentativo di afferrare un oggetto non esi-
stente) Alterazione grossolana di percezione della realtà
AGITAZIONE O RITARDO PSICOMOTORIO

5 Iperattività che richiede sedativi aggiuntivi o mezzi di contenzione fisica per evi- 1 punto se presente una qualsi-
tare potenziali danni (es: rimozione invasività, aggressioni allo staff) asi di queste voci
Ipoattività o rallentamento psicomotorio clinicamente evidente
segue

154
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

ALTERAZIONE DEL LINGUAGGIO O DELL’UMORE


6 Discorso inappropriato, disorganizzato o incoerente 1 punto se presente una qualsi-
Manifestazione di emozioni inappropriate ad eventi o situazioni asi di queste voci
DISTURBO DEL CICLO SONNO/VEGLIA

7 Periodo di sonno inferiore a 4 ore o risvegli frequenti durante la notte (da non 1 punto se presente una qualsi-
considerare la veglia provocata dal personale o dal rumore ambientale) asi di queste voci
Dormire per la maggior parte del giorno
FLUTTUAZIONE DEI SINTOMI
8
Alternanza nelle precedenti 24 ore di almeno uno dei sintomi sopraelencati 1 punto

Riportiamo, di seguito, lo schema generale di approccio al monitoraggio del Delirium proposto dalle recenti
linee guida:

Figura 1 - Algoritmo di monitoraggio e gestione del delirium


Attachment 1 to: Martin J., et al., Evidence and consensus-based German guidelines for the management of analgesia, sedation
and delirium in intensive care – short version, GMS Ger Med Sci. 2010;8:Doc02.
Available from: http://www.egms.de/en/journals/gms/2010-8/000091.shtml

155
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

2. VALUTAZIONE NEUROMOTORIA

2.1. Esame dei nervi cranici

I nervi cranici (CN) originano dall’encefalo ed emergono da forami del cranio; ne risultano 12 paia, denominati
a seconda della loro funzione e posizione e sono disposti in ordine discendente, lungo il tronco encefalico.
A seconda della tipologia di fibre che li compongono, possono essere suddivisi in nervi sensoriali (CN I, II e
VIII), nervi motori (CN III, IV, VI, XI e XII) e nervi misti (CN V, VII, IX e X). Lesioni a carico dei nervi cranici pro-
ducono deficit omolaterali anche quando il nervo svolge una funzione controlaterale (CN IV), inoltre la perdita
asimmetrica di una qualsiasi funzione di un nervo può indicarne una compressione unilaterale.

Data la loro disposizione, in molti casi l’esame dei nervi cranici è compreso nella valutazione dei riflessi del
tronco encefalico: risposta pupillare (CN II e III), riflesso corneale (CN V e VII), riflesso oculocefalico (CN III,
VI e VIII), riflesso oculovestibolare (CN III, V e parte del VIII), riflesso della tosse e del vomito (CN IX e X).

Mentre nei pazienti svegli e collaboranti è possibile testare la funzionalità di tutti i nervi, nei pazienti non
coscienti è possibile testarne solo alcuni, stimolando un nervo sensorio e valutandone la risposta motoria.

Figura 2 - Nervi cranici


Tratto da: Colbert B.J., Ankney J.J., Johnstown K.L. (2011), Anatomy, Physiology, and Disease: An Interactive Journey for Health
Professions, 2/E. Prentice Hall / Pearson Education, Inc.

156
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 9 - I nervi cranici

CN Denominazione Funzione Valutazione in paziente Valutazione in paziente non


cosciente e collaborante cosciente o non collaborante
I Olfattivo Olfatto 1. Capacità di identificare Non valutabile
odori non irritanti co-
nosciuti delle due narici
separatamente
II Ottico Vista 1. Acuità visiva bilaterale 1. Riflesso pupillare alla luce
2. Campo visivo
3. Fundus, macula e vasi (se
esperto)
III Oculomotore Costrizione pupillare 1. Simmetria e ampiezza pal- 1. Forma, grandezza e sim-
Apertura palpebrale pebrali metria pupillare
Movimenti oculari (esclusi 2. Forma, grandezza e sim- 2. Riflesso pupillare alla luce
quelli regolati dal CN IV e VI) metria pupillare 3. Movimenti extraoculari
3. Riflesso pupillare alla luce (nistagmo)
4. Riflesso pupillare alla luce
consensuale
5. Riflesso di accomodazio-
ne
6. Movimenti extraoculari
(nistagmo)
IV Trocleare Rotazione degli occhi verso il 1. Movimenti extraoculari 1. Capacità di muovere gli
naso e verso il basso (nistagmo) occhi medialmente (CN
III), lateralmente (CN VI),
verticalmente (CN IV) a
stimolo verbale o fisico (in
paziente ad occhi aperti)
2. Movimento coniugato de-
gli occhi
VI Abducente Sensibilità al tatto e termica 1. Sensibilità al tatto delle 1. Riflesso corneale
delle tre branche trigeminali: regioni frontale, mascella-
V1 oftalmica, V2 mandibola- re e mandibolare
re, V3 mascellare 2. Abilità alla masticazione
Motoria: masticazione 3. Riflesso corneale
V Trigemino Sensibilità al tatto e termica 1. Sensibilità al tatto delle 1. Riflesso corneale
delle tre branche trigeminali: regioni frontale, mascella-
V1 oftalmica, V2 mandibola- re e mandibolare
re, V3 mascellare 2. Abilità alla masticazione
Motoria: masticazione 3. Riflesso corneale

VII Facciale Motoria: movimenti facciali, 1. Capacità di corrugare la 1. Riflesso corneale


chiusura palpebrale, lacrima- fronte, sorridere e stringe-
zione, salivazione re gli occhi (verifica sim-
Sensibilità/gusto nei 2/3 della metria del volto e mimica)
lingua 2. Gusto nei due terzi ante-
riori della lingua
3. Riflesso corneale
VIII Acustico o vesti- Udito (cocleare) 1. Acuità uditiva bilaterale 1. Riflesso oculocefalico
bulococleare Equilibrio (vestibolare) 2. Esame audiologico (da (doll’s eyes test)
esperto) 2. Riflesso vestibolare (test
3. Equilibrio alla mobilizza- irrigazione caldo/freddo
zione (test di Romberg)
4. Riflesso oculocefalico
(doll’s eyes test)
5. Riflesso vestibolare (test
irrigazione caldo/freddo)
segue

157
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

CN Denominazione Funzione Valutazione in paziente Valutazione in paziente non


cosciente e collaborante cosciente o non collaborante
IX Glossofaringeo Sensibilità/gusto nel terzo 1. Gusto nel terzo inferiore 1. Riflesso della tosse e del
inferiore della lingua e del della lingua vomito
palato 2. Riflesso del vomito 2. Capacità di gestire le se-
Motoria: contrazione del mu- 3. Abilità nella deglutizione crezioni orali con la deglu-
scolo stilofaringeo 4. Articolazione della parola tizione
e qualità della voce
X Vago Funzione motoria del velo
pendulo
XI Spinale Capacità di alzare le spalle e 1. Grandezza, simmetria e Non valutabile
Accessorio ruotare la testa spasticità del muscolo
sternocleidomastoideo
2. Capacità di alzare le spalle
e ruotare la testa contro
resistenza
XII Ipoglosso Movimenti della lingua 1. Trofia e simmetria della Non valutabile
lingua
2. Abilità di muovere la lingua

Esame dei nervi cranici nei pazienti coscienti e collaboranti


1. Olfatto (CN I)
a. Indagare la capacità olfattiva del paziente mediante l’utilizzo di sostanze aromatiche non irritanti (es.
caffè)
b. Condurre la prova bilateralmente
2. Vista (CN II)
a. Esaminare la capacità del paziente di riconoscere persone ed oggetti
b. Controllo grossolano del visus facendo leggere un testo (o con tavola di Snellen)
c. Controllo manuale del campo visivo: disporsi di fronte al paziente con una penna in mano e chiedergli
di seguirne i movimenti mentre la muoviamo in tutti i campi visivi
3. Riflesso pupillare fotomotore (CN II e CN III)
a. Osservare forma e dimensione delle pupille
b. Osservare la risposta pupillare ad una luce diretta e consensuale bilateralmente
4. Apertura degli occhi (CN III)
a. Valutare la capacità di aprire gli occhi alla ricerca di oftalmoplegia esterna (strabismo divergente, diplo-
pia, ptosi)
5. Movimento degli occhi (CN III, CN IV e CN VI)
a. Studiare i movimenti oculari facendo seguire al paziente una luce o un oggetto mosso nei piani orizzon-
tali e verticali
b. Osserva eventuali movimenti extraoculari (nistagmo)
c. Valutare il riflesso di accomodazione e convergenza facendo mettere a fuoco al paziente un’immagine
distante e quindi un oggetto vicino
6. Sensibilità facciale (CN V)
a. Controllare la sensibilità nelle tre branche trigeminali con un batuffolo di cotone e un ago smusso e
testarne la sensibilità termica
b. Palpando il muscolo massetere e temporale controllarne la forza cercando di contrastare l’apertura
della bocca
7. Movimenti facciali (CN VII)
a. Chiedere al paziente di corrugare la fronte, sorridere, arricciare il naso e mostrare i denti
b. Verificare la simmetria del volto, la mimica, la eventuale spianamento del solco naso-genieno, deviazio-
ni della bocca
c. Verificare la capacità di chiudere gli occhi contro resistenza

158
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

8. Udito (CN VIII)


a. Testare la capacità uditiva bilaterale allo stimolo verbale
b. Verificare l’equilibrio durante la mobilizzazione
9. Riflesso del vomito (CN IX)
a. Testare la sensibilità della parte superiore della faringe toccandola con l’abbassalingua e provocarne il
riflesso
10. Alzare le spalle e ruotare la testa(CN XI)
a. Chiedere al paziente di alzare entrambe le spalle e mantenerle alzate contro una resistenza, valutarne
la simmetria
b. Chiedere al paziente di ruotare la testa e continuare a farlo contro una resistenza
11. Movimenti della lingua (CN XII)
a. Chiedere al paziente di tirar fuori la lingua e muoverla

Esame dei riflessi del tronco encefalico nei pazienti non coscienti
1. Riflesso pupillare fotomotore (CN II e CN III)
a. Miosi della pupilla in reazione all’illuminazione diretta della retina
2. Riflesso corneale (CN V branca oftalmica e CN VII)
a. Pronto ammiccamento per stimolazione della cornea con del cotone
3. Riflesso oculocefalico o “Doll’s Eyes” (CN III, CN VI e CN VIII)
a. Movimento degli occhi nella direzione opposta al movimento della testa
4. Riflesso oculovestibolare o “test caldo/freddo” (CN III, CN VI e CN VIII, ponte)
a. Lenta deviazione dello sguardo verso l’orecchio durante irrigazione di quest’ultimo con una soluzione
fredda poi veloce ritorno alla posizione di partenza (testa sollevata a 30 gradi)
5. Riflesso del vomito (CN IX e CN X, ponte)
a. Evocazione di conati e contrazione faringea per stimolazione con un abbassalingua della parete farin-
gea posteriore
6. Riflesso della tosse e di respirazione spontanea (CN X e medulla)
a. Provocazione della tosse durante broncoaspirazione
b. Respirazione spontanea all’aumentare della anidride carbonica ematica (PaCO2)

2.2. Esame dello stato pupillare e dei movimenti oculari

La valutazione dello stato pupillare è un esame non invasivo che è possibile eseguire in pazienti non coscien-
ti, sedati e sotto l’effetto di bloccanti neuromuscolari (38). Consente la valutazione della funzionalità del tronco
encefalico e della gravità e progressione delle lesioni a suo carico. La frequenza delle valutazioni dipende
dalle condizioni cliniche del paziente.

L’esame include le seguenti valutazioni (39):

1. DIMENSIONI PUPILLARI
Normalmente le pupille hanno uguale grandezza, compresa fra 2 e 5mm (isocoriche); una discrepanza
di 1mm tra le due pupille è considerato un reperto normale. L’esame deve essere effettuato dopo aver
aperto le palpebre ed atteso l’adattamento alla luce della stanza.

(38)  Adoni A., McNett M., The pupillary response in traumatic brain injury: a guide for trauma nurses, J Trauma Nurs., 2007, 14(4):
191-196.
(39)  Barker E., Neuroscience Nursing, St Louis, MO: Mosby; 
2001;45:60-78, 334-335.

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Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

2. FORMA PUPILLARE
Generalmente le pupille sono di forma circolare (isocicliche). Una forma irregolare può essere la conse-
guenza di procedure chirurgiche o traumi dell’occhio. La forma ovale generalmente indica ipertensione
endocranica, rappresenta la forma intermedia tra una pupilla normale ed una midriatica.
3. REATTIVITÀ ALLA LUCE
Valutare la reazione di ciascuna pupilla separatamente, dopo averla illuminata con una piccola fonte di
luce (usare una pila tascabile illuminando l’occhio dall’esterno verso la pupilla). La risposta pupillare può
essere vivace, lenta o non reagente. In condizioni fisiologiche si registra una vivace riduzione del diametro
pupillare allo stimolo luminoso; quanto più la risposta del riflesso fotomotore è lenta tanto maggiore sarà
il danno neurologico.
L’esame è completato dalla valutazione della risposta pupillare consensuale (costrizione di una pupilla du-
rante lo stimolo luminoso dell’altra) e di accomodamento (costrizione pupillare durante la messa a fuoco
del paziente di un oggetto molto vicino).

Tabella 10 - Risposte pupillari anormali

Anormalità Risposta pupillare Lesione


Midriasi monolaterale non reagente Compressione monolaterale del CN III
Trauma
Anisocoria Sindrome di Horner: miosi monolaterale con Lesione ipotalamica
ptosi palpebrale e anidrosi Perdita parziale o totale dell’innervazione
simpatica della pupilla
Pupille puntiformi, reagenti Lesioni diencefaliche bilaterali
Disfunzioni metaboliche
Pupille puntiformi, non reagenti Lesioni pontine
Indotta da farmaci (oppiacei)
Miosi
Pupilla di Argyll Robertson: pupille piccole Infezioni virali (neurosifillide, encefaliti)
e irregolari (generalmente simmetriche) che
non si costringono alla luce ma all’accomo-
damento
Indotta da farmaci (allucinogeni, dopamina,
Pupille dilatate, isocicliche, reagenti o non
anfetamine, barbiturici) o colliri oftalmici
Midriasi reagenti
(contenenti atropina, scopolamina)
Pupille dilatate, fisse, non reagenti Anossia e ischemia cerebrale
Hippus: spontanea fluttuazione del diametro Lesioni del tetto o pretetto mesencefalico
pupillare Tossicità da barbiturici
Riflesso fotomotore
anormale Pupilla di Marcus Gunn: risposta consensuale
Lesioni nel nervo ottico
normale ma diretta anormale (dilatazione alla
Distacco di retina
luce)

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Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 3 - Risposte pupillari


Tratto da: www.ib.cnea.gov.ar/~redneu/2013/BOOKS/Principles%20of%20Neural%20Science%20-%20Kandel/gateway.ut.ovid.
com/gw2/ovidweb.cgisidnjhkoalgmeho00dbookimagebookdb_7c_2fc~53.htm

La valutazione dei movimenti oculari completa l’esame con altrettanta importanza semeiotica. Comprende
l’analisi della posizione degli occhi a riposo, la presenza di movimenti spontanei e la risposta dei riflessi ocu-
locefalico e oculovestibolare (40).

- Lesioni emisferiche diffuse o bilaterali ma con tronco encefalico intatto, producono movimenti oculari
lenti, irregolari
- Lesioni strutturali del tronco encefalico producono una deviazione oculare disconiugata
- Lesioni del lobo frontale producono una deviazione oculare laterale coniugata, paralitica (ipsilaterale) o
irritativa (controlaterale)
- Lesioni del mesencefalo producono una deviazione oculare coniugata verso il basso o verso l’alto
- Lesioni pontine producono una deviazione oculare strabica; se la compromissione è grave si registrano
movimenti oculari oscillatori verticali (ocular bobbing)

(40)  Hickey J., The Clinical Practice of Neurological and Neurosurgical Nursing, 5th ed. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins;
2003:132-135, 170-176.

161
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Le risposte oculari riflesse sono rappresentate dal riflesso oculo-cefalico o fenomeno degli occhi di bambola
e dal riflesso oculo-vestibolare.
- Lesioni emisferiche diffuse o bilaterali producono risposte oculo-cefaliche normali, mentre la stimolazione
oculo-vestibolare provoca una deviazione oculare tonica
- Lesioni frontali producono risposte oculo-cefaliche e caloriche normali ma ritardate
- Se i globi oculari sono completamente deviati lateralmente e possono essere riportati sulla linea mediana
e verso il lato opposto da stimoli oculo-cefalici o calorici, la lesione è con tutta probabilità emisferica
- Se i globi oculari sono parzialmente deviati, ma non possono essere modificati nella loro posizione da
stimoli oculo-cefalici o calorici, la lesione è presumibilmente pontina
- Se il riflesso oculo-cefalico e la stimolazione calorica provocano un movimento oculare verticale non co-
niugato la lesione è a livello del tronco encefalico

2.3. Esame del modello respiratorio

Le alterazioni del modello respiratorio sono utili per valutare il livello di disfunzione cerebrale poiché sono la con-
seguenza di lesioni ai centri respiratori del tronco encefalico o di interferenza con la regolazione soprabulbare di
questi siti (41). Il valore deduttivo delle aritmie respiratorie è però limitato dal fatto che molteplici condizioni pos-
sono provocarle (es. insufficienza respiratoria o cardiaca, disordini metabolici, farmaci sedativi o analgesici, venti-
lazione meccanica). La valutazione prevede la registrazione della frequenza respiratoria, del ritmo e del modello.

Figura 4 - Modelli respiratori osservabili nel coma


immagine presa da http://www.memrise.com/course/84529/case-4-roundup/2/

(41)  North J.B., Jennett S., Abnormal breathing patterns associated with acute brain damage, Arch Neurol 1974; 31:338-344.

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IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

a) Respiro di Cheyne-Stokes
Respiro periodico che alterna tachipnea ad apnea; la fase tachipnoica è più lunga di quella apnoica. È
associato a lesioni bilaterali emisferiche o diencefaliche

b) Iperventilazione centrale neurogena


Tachipnea regolare, profonda associata a lesioni a livello tegmentale pontine o mesencefaliche

c) Respiro apneustico
Inspirazione prolungata seguita da una pausa di 2-3 secondi; occasionalmente può alternarsi ad una pau-
sa espiratoria. È associato a lesioni della porzione mediale o caudale del ponte

d) Respiro a grappolo
Sequenze di atti respiratori irregolari per ampiezza, seguiti da pause irregolari. Si verifica per lesioni bulbari
rostrali o pontine caudali

e) Respiro atassico
Respiro irregolare per frequenza e volume associato a lesioni del midollo

2.4. Valutazione della funzione motoria

1. ESAME DEL TROFISMO MUSCOLARE


Valutare la presenza di asimmetrie muscolari, ipotrofie segmentali o diffuse

2. ESAME DELLA FORZA MUSCOLARE


Nel paziente cosciente e collaborante:
a. Valutare l’integrità e la funzionalità della innervazione dei singoli muscoli
b. Procedere all’analisi della forza segmentaria degli arti superiori ed inferiori facendo compiere un deter-
minato movimento al paziente (prove antigravitarie e contro resistenza)
c. Quantificare la forza muscolare secondo una scala validata quale la Muscle Strength Grading Scale
(MSG) in Tabella 11.
Tabella 11 - Muscle Strength Grading Scale

Funzionalità muscolare Punteggio


Attività muscolare assente 0
Contrazione muscolare accennata senza movimento 1
Movimento possibile senza gravità 2
Movimento possibile contro gravità 3
Movimento possibile contro gravità e resistenza 4
Forza normale 5

Nel paziente non cosciente o non collaborante:


a. Osservare il movimento delle estremità allo stimolo doloroso
b. Emiparesi o emiplegia possono essere identificate alzando entrambe le braccia del paziente e lascian-
dole cadere simultaneamente. L’arto del lato emiparetico cadrà più velocemente e più chiaramente
rispetto al lato sano

163
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

3. ESAME DEL TONO MUSCOLARE


Valutare la flesso-estensione degli arti (spalla-gomito-polso, anca-ginocchio-caviglia). Considerare i se-
guenti reperti patologici:
a. Rigidità: resistenza forte e costante durante la mobilizzazione
b. Spasticità: resistenza evidente all’inizio del movimento passivo, che può scomparire improvvisamente.
Quantificarla con una scala appropriata quale la Ashworth Scale in Tabella 12
c. Ipotonia: muscolatura flaccida con possibile iperestensione degli arti

Tabella 12 - Ashworth Scale

Funzionalità muscolare Grado


Nessun aumento del tono muscolare 0
Leggero aumento del tono muscolare in flessione ed estensione passive dell’arto 1
Marcato aumento del tono muscolare che non impedisce la flessione ed estensione dell’arto 2
Considerevole aumento del tono muscolare che ostacola i movimenti passivi 3
Rigidità dell’arto in flessione ed estensione, mobilizzazione passiva impossibile 4

4. ESAME DEI RIFLESSI TENDINEI PROFONDI E DEI RIFLESSI SUPERFICIALI


I riflessi possono essere superficiali (polisinaptici), profondi (monosinaptici) o arcaici.
L’elicitazione dei riflessi osteotendinei (da stiramento muscolare) valuta i nervi afferenti, le connessioni
sinaptiche all’interno del midollo spinale, i nervi motori e le rispettive vie motorie discendenti. È ottenuta
percuotendo il tendine con un martelletto che provoca contrazione delle fibre muscolari quando il riflesso
monosinaptico è normofunzionante. Verificare la simmetria e l’intensità della risposta (iperreattiva, vivace,
normale, ridotta, assente o flaccida).
Le lesioni del motoneurone inferiore (p. es., quelle compromettenti le cellule delle corna anteriori, le radici
spinali, i nervi periferici, la placca muscolare o il muscolo) provocano la diminuzione dei riflessi, mentre
quelle del motoneurone superiore (cioè dei nuclei, eccetto quelli della base, localizzati in ogni parte al di
sopra delle cellule delle corna anteriori) la aumentano.

Tabella 13 - Ashworth Scale

Riflesso Innervazione spinale Stimolo Risposta


Bicipitale C5-C6 Tendine del bicipite brachiale Flessione del braccio
Tricipitale C7-C8 Tendine del tricipite Estensione del braccio
Cubito-pronatore C6-C8 Apofisi dell’ulna Estensione e pronazione del polso
Rotuleo L2-L4 Tendine patellare Estensione della gamba
Adduttore
Achilleo S1-S2 Tendine di Achille Flessione plantare del piede

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Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 14 - Riflessi superficiali

Riflesso Innervazione spinale Stimolo Risposta


Addominale D8-D10 sup Cute addominale Contrazione della muscolatura
D10-D12 inf (con oggetto appuntito) addominale
Cremasterico L1-L2 Lato mediale della coscia Sollevamento dei testicoli
(strisciamento)
Plantare S1-S2 Pianta del piede (strisciamento) Flessione plantare delle dita
del piede
Bulbo-cavernoso S2-S4 Glande (strisciamento) Contrazione del muscolo bulbo
cavernoso
Anale S4-S5 Area perianale (stimolazione) Contrazione dello sfintere anale

5. ESAME DEL COORDINAMENTO MUSCOLARE


Consente di valutare disfunzioni cerebellari (atassia o distassia e dismetria); è possibile solo in pazienti
coscienti e collaboranti
a. Test indice-naso: il paziente deve portare l’indice della mano (entrambi alternativamente) sul naso ad
occhi chiusi e braccia allargate
b. Test dito-dito: il paziente deve cercare di toccare il dito dell’esaminatore che lo sposta in diverse posizioni
c. Test tallone-ginocchio: il paziente, sdraiato, deve toccare alternativamente il proprio ginocchio destro
con il tallone sinistro e viceversa
d. Test di Romberg

6. MOVIMENTI ANORMALI
Annotare ognuno dei seguenti movimenti involontari per frequenza, durata e relazione ad una certa attività:
a. Convulsioni
b. Tremori: ritmico movimento tremolante dei muscoli
c. Clonia: contrazione involontaria che colpisce, talvolta ritmicamente, un muscolo o solo alcuni fasci
muscolari, e che può non provocare alcun movimento
d. Postura in flessione: flessione degli arti superiori ed estensione o flessione plantare degli arti inferiori
e. Postura in estensione: estensione degli arti superiori e flessione plantare degli arti inferiori

2.5. Valutazione della funzione sensitiva

L’esame della sensibilità consente di valutare la capacità di percepire e identificare specifiche sensazioni ad
occhi chiusi (sensibilità tattile, termoalgesia, propriocezione, vibrazione). Nei pazienti non coscienti o non
collaboranti l’esame è limitato alla valutazione delle risposte a stimoli dolorosi.

Attraverso la distribuzione del deficit sensitivo si può risalire alla localizzazione della struttura coinvolta: nervi
periferici (a guanto), alcuni particolari nervi (mononeurite multipla), radici nervose (radiculopatia), midollo
spinale (un metamero inferiore a quello dell’ipoestesia), tronco encefalico (alterazioni crociate volto-corpo
della sensibilità) o encefalo (emianestesia). La localizzazione della lesione viene confermata determinando
se la debolezza motoria e le alterazioni dei riflessi seguono una distribuzione simile.

165
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

È necessario esaminare la superficie corporea in senso cranio caudale seguendo la disposizione metamerica.

Figura 5 - Dermatomeri e nervi cutanei


in: Häggström M., Medical gallery of Mikael Häggström 2014, Wikiversity Journal of Medicine 1

1. ESAME DEL TRATTO SPINOTALAMICO (ANTERIORE E LATERALE)


a. Sensibilità dolorifica: il paziente deve distinguere uno stimolo puntorio da uno smusso applicato in manie-
ra casuale (utilizzare un ago appuntito ed uno smusso)
b. Sensibilità termica: il paziente deve distinguere uno stimolo caldo ed uno freddo applicato casualmente
(utilizzare una provetta contenente acqua calda e una contenente acqua fredda)
c. La sensibilità tattile epicritica: il paziente deve percepire il tocco di un batuffolo di cotone

166
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

2. ESAME DELLA COLONNA POSTERIORE (fasciculus gracilis e cuneatus)


a. Vibrazione: capacità di percepire una vibrazione applicata sulle prominenze ossee attraverso un diapason
vibrante
b. Propriocezione: capacità di riconoscere, ad occhi chiusi, il movimento verso l’alto e verso il basso delle
dita della mano e del piede. Se il paziente ha difficoltà a riconoscere questi movimenti si dovranno esami-
nare le altre articolazioni più prossimali. Qualora vi sia un’alterazione della percezione posturale, il paziente
non sarà in grado di mantenere la stazione eretta a piedi uniti e a occhi chiusi (Test di Romberg)

3. ESAME DELLA FUNZIONE SENSORIALE CORTICALE


a. Stereognosi: capacità di riconoscere, ad occhi chiusi, un oggetto conosciuto posto sulla mano
b. Grafestesia: capacità di discernere numeri o lettere scritti sul palmo della mano
c. Doppia stimolazione simultanea: capacità di distinguere il numero e la localizzazione degli stimoli

2.6. Valutazione e monitoraggio del dolore

Recenti studi dimostrano che il dolore dei pazienti critici continua ad essere in larga misura sottostimato e
quindi non trattato appropriatamente, nonostante lo sviluppo di linee guida e la diffusione di intense cam-
pagne educative. Indubbiamente la valutazione e il trattamento del dolore, in questa specifica categoria di
pazienti, risulta particolarmente complessa, a causa della presenza di numerose barriere che riguardano la
complessità clinica di questi pazienti ma rivelano anche un setting di cura non sempre ottimale e un deficit
di conoscenze, da parte dei membri del team intensivo, riguardo ai sistemi di valutazione e ai protocolli di
trattamento del dolore (42).

È universalmente riconosciuto che le esperienze dolorose, vissute durante la degenza ospedaliera, possono
influire negativamente sulla qualità di vita dopo la dimissione, ma soprattutto incidere pesantemente sugli
outcomes. Identificare, quantificare e trattare il dolore sono considerate priorità assolute in terapia intensiva,
eppure si registra un’incidenza maggiore del 50% di un dolore significativo tra i pazienti ricoverati in ambito
intensivo (43). La natura del dolore sperimentato da tali pazienti è variabile (es. post-operatorio, traumatico,
neoplastico), ma spesso correlato alle procedure invasive proprie di questo setting clinico (44). In Terapia
Intensiva si stima che il 70% dei pazienti sperimenti un dolore, correlato a procedure, descritto con una
intensità che varia tra moderata ed intensa; nonostante ciò, viene valutato solo nel 40% dei casi e trattato
adeguatamente in una percentuale ancora inferiore.

Le linee guida raccomandano un approccio strutturato e multidisciplinare di management del dolore e del
livello di sedazione, incoraggiano una analgesia sedation-based e sostengono fortemente l’utilizzo sistema-
tico di strumenti validati dedicati alla loro valutazione (45).

Il monitoraggio del dolore, esattamente come già visto per la sedazione, prevede valutazioni ogni 8 ore su
tutti i pazienti e relativa documentazione.

(42)  Pasero C., Gordon D.B., McCaffery M. et al. (1999), Building institutional commitment to improving pain management, pp.
711-744. In: McCaffery M. & Pasero C. (1999), Pain: clinical manual, 3rd edn. Mosby, St. Louis.
(43)  Chanques G., Sebbane M., Barbotte E., et al., A prospective study of pain at rest: Incidence and characteristics of an unrecogni-
zed symptom in surgical and trauma versus medical intensive care unit patients, Anesthesiology 2007; 107:858-860.
(44)  Puntillo K.A., White C., Morris A.B. et al. (2001), Patients perceptions and responses to procedural pain: Results from Thunder
Project II, Am J Crit Care, vol. 10, pp.238-251.
(45)  Barr J., Fraser G.L., Puntillo K. et al. (2013), Clinical practice guidelines for the management of pain, agitation, and delirium in
adult patients in the intensive care unit, Crit Care Med, vol. 41, no.1, pp. 263-306.

167
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Un tentativo di self report deve essere effettuato per ogni paziente, consentendo anche una semplice ver-
balizzazione ‘sì/no’ nel caso in cui vi siano limiti cognitivi.

Nei pazienti in grado di comunicare vengono utilizzate scale analogiche visive (Visual Analogic Scale – VAS),
la scala verbale con descrittore (es. Bieri Faces Pain Rating Scale)oppure la scala con rating numerici (Nu-
merical Rating Scale – NRS); quest’ultima è considerata la scala più discriminativa e di gran lunga preferita
dai pazienti adulti (46).

Figura 6 - Scale unidimensionali per la valutazione del dolore

(46) Chanques. G, Viel E., Constantin J.M. et al. (2010), The measurement of pain in intensive care unit: Comparison of 5 self-report
intensity scales, Pain, vol. 151, pp. 711-721.

168
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Nei pazienti adulti che non sono in grado di fornire un self report invece, sono state convalidate numerose
scale di valutazione comportamentale, utili per il rilievo della presenza di dolore e per stabilire l’efficacia dei
tentativi di trattamento. Nei pazienti con miorisoluzione o sedazione profonda, nei quali non sia possibile
determinare risposte comportamentali al dolore, non sono applicabili; è quindi necessario provvedere ad
un’adeguata analgesia per procedure o condizioni che si suppone siano dolorose.

La Behavioral Pain Scale (BPS) (47) e la Critical Care Pain Observation Tool (CPOT) (48) sono risultate migliori
per applicabilità clinica e caratteristiche psicometriche. Questi due strumenti consentono, con alcune impor-
tanti differenze fra loro, di registrare comportamenti che possono essere associati alla presenza di dolore
indipendentemente dal livello di coscienza. Entrambe sono state testate su un elevato numero di pazienti
ricoverati in terapie intensive mediche, post-chirurgiche e traumatologiche, hanno dimostrato una elevata
affidabilità tra valutatori diversi e una ottima capacità discriminante (49)(50), inoltre è stata dimostrata una
correlazione positiva tra i punteggi ottenuti con le due scale e i self reports dei pazienti (51).

Tabella 15 - Traduzione italiana della Behavioral Pain Scale (52)

Item Descrittore Punteggio


Rilassata 1
Parzialmente contratta (fronte corrugata) 2
Espressione facciale
Completamente contratta (chiusura delle palpebre) 3
Smorfie 4
Nessun movimento 1
Parzialmente piegato/i 2
Arti superiori
Completamente piegato/i con flessione delle dita 3
Permanentemente ritirato/i 4
Tollera la ventilazione (nessun contrasto) 1
Tosse, ma tollera la ventilazione per la maggior parte del tempo 2
Adattamento alla ventilazione
Contrasta la ventilazione, ma ventilazione possibile 3
Incapacità di controllare la ventilazione 4

(47)  Payen J.F., Bru O., Bosson J.L. et al. (2001), Assessing pain in critically ill sedated patients by using a behavioral pain scale, Crit
Care Med. vol. 29, no.12, pp. 2258-2263.
(48)  Gelinas C., Fillion L., Puntillo K.A. et al. (2006), Validation of the critical-care pain observation tool in adult patients, Am J Crit
Care, vol. 15, no.4, pp. 420-427.
(49)  Gélinas C., Puntillo K.A., Joffe A., Barr J.A., (2013), A validated approach to evaluating psychometric properties of pain asses-
sment tools for use in nonverbal critically ill adults, Semin Respir Crit Care Med. vol. 34, no. 2, pp. 153-168.
(50)  Ahlers S.J., Van der Veen A.M., Van Dijk M. et al. (2010), The use of the Behavioral Pain Scale to assess pain in conscious
sedated patients, Anesth Analg. vol. 110, no.1, pp.127-133.
(51)  Gélinas C., Arbour C., (2009), Behavioral and physiologic indicators during a nociceptive procedure in conscious and uncon-
scious mechanically ventilated adults: similar or different?, J Crit Care, vol. 24, no.4, pp. 628.e7-628.e17.
(52)  Falbo L., Terzoni S., Destrebecq A., Bonetti L. (2013), Traduzione e validazione in italiano della Behavioral Pain Scale (BPS) per
la valutazione del dolore in pazienti incoscienti e sedati, Scenario, vol. 30, no.4, pp. 18-23.

169
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 16 - Critical Pain Observation Tool: Da Stefani et al. modificata (53)

Indicatore Punteggio (0 a 8) Descrizione


Distesa, neutrale
€ Nessuna contrazione muscolare osservabile sul volto

Tesa
 Fronte aggrottata
Sopracciglia abbassate
Lievi pieghe nasolabiali
Occhi serrati o qualunque altro cambiamento dell’espressione
Espressione facciale (es. : apre improvvisamente gli occhi, presenta lacrime
1
facciale durante la mobilizzazione)

Smorfie
‚ Fronte aggrottata, sopracciglia abbassate, pieghe nasolabiali
Occhi chiusi e serrati
La bocca può essere aperta
Il paziente può mordere il tubo endotracheale
Assenza
di movimenti o € Immobile, non si muove (non significa necessariamente assen-
za di dolore)
posizione normale Posizione normale (movimenti non indirizzati verso il dolore o
non eseguiti allo scopo di proteggersi dal dolore)
Movimenti
di protezione  Movimenti lenti, prudenti
Tocca o strofina la zona del dolore
Si dirige verso la zona del dolore, verso i tubi
Movimenti Tocca i tubi/drenaggi
2
corporei Attira l’attenzione battendo piedi o mani
Decorticazione, Decerebrazione
Tira i tubi/drenaggi
Cerca di sedersi sul letto
Si muove continuamente
Agitazione ‚ Non collabora
Respinge il personale
Cerca di oltrepassare le sbarre del letto
Tollera la ventilazione Allarmi non attivi, si lascia ventilare
Interazione con
o i movimenti €
il ventilatore Tossisce ma si lascia ventilare, gli allarmi possono attivarsi ma
(paziente
Tossisce ma tollera  cessano spontaneamente
intubato)
Asincronia: blocca il suo respiro, fa scattare continuamente gli
Lotta ‚ allarmi
3 oppure
Si esprime
normalmente,
silenzioso
€ Si esprime normalmente o rimane in silenzio
Vocalizzazione
(paziente
non intubato) Geme, sospira  Geme, sospira

Grida, piange ‚ Grida, piange

Disteso € Assenza di resistenza ai movimenti, tono normale

Teso, rigido
4
Tono
muscolare o contratto  Resistenza ai movimenti

Molto teso, rigido Difficoltà o incapacità a compiere i movimenti


o contratto ‚ Stringe i pugni

Totale __/8

(53)  Stefani F., Nardon G., Bonato R., Modenese A., Novello C., Ferrari R., The validation of C-POT (Critical-Care Pain Observation
Tool) scale: a tool for assessing pain in intensive care patients, Assist Inferm Ric, 2011 Jul-Sep; 30(3):135-43.

170
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Come considerazioni finali, è necessario sottolineare che la valutazione con scale, siano esse unidimensio-
nali o comportamentali, deve comunque essere associata alla ricerca delle potenziali cause di dolore, quali
condizioni patologiche o procedure che lo innescano (anche in assenza di elementi comportamentali pre-
suntivi); inoltre è necessario escludere e, possibilmente, eliminare, ogni causa di discomfort. Gli indicatori
fisiologici (es. modificazione dei parametri vitali) non sono sensibili nel discriminare il dolore da altre fonti di
stress, pertanto non devono essere compresi nella valutazione (54).

Sono fortemente raccomandati il trattamento preventivo del dolore da procedura e un tentativo analgesico,
a scopo diagnostico e terapeutico, nel caso in cui si sospetti la presenza di dolore.

Il report surrogato da parte di familiari o caregivers, infine, può essere utile per rilevare variazioni comporta-
mentali, indici di possibile dolore.

Il neuromonitoraggio specialistico
Le lesioni del sistema nervoso centrale sono caratterizzate da un insulto primario seguito da lesioni secon-
darie o associate. Il recupero neurologico dopo gravi accidenti cerebrali acuti, come ad esempio lesioni
cerebrali traumatiche, emorragia subaracnoidea (ESA) e ictus ischemico/emorragico, dipende dalla portata
e dalla gravità dell’insulto cerebrale iniziale e dal peso di un eventuale danno cerebrale secondario. Indipen-
dentemente dall’insulto iniziale, si innesca una cascata di risposte a livello molecolare, cellulare, tissutale, e
di organo nei momenti che seguono l’evento acuto. La lesione cerebrale secondaria è correlata al numero
e alla gravità di eventi patologici (tra cui edema cerebrale, ipossia/ischemia cerebrale, disfunzioni del me-
tabolismo cerebrale, crisi epilettiche) e all’impatto delle lesioni sugli altri sistemi interdipendenti (cardiaco,
polmonare, renale, ecc) che si verificano nella fase seguente all’insulto iniziale e possono aggravare il danno
primario (55). Gli insulti cerebrali secondari sono frequenti e possono compromettere il recupero neurologico.

Sulla base della vulnerabilità precoce del cervello durante la fase acuta e del fatto che le lesioni associate
durante la fase acuta e subacuta determinano la qualità della sopravvivenza la prevenzione di insulti secon-
dari è della massima importanza. Tipici insulti secondari a causa di ipossia, ipotensione, iperventilazione in-
controllata, ipoglicemia e ipoventilazione, ipertensione e iperglicemia devono essere ricercati attivamente in
qualsiasi momento. L’entità del danno secondario non può essere valutata basandosi esclusivamente sulla
pressione intracranica (PIC) e sulla pressione di perfusione cerebrale (PPC). Solo attraverso l’aiuto del di un
monitoraggio esteso siamo in grado di smascherare i segni altrimenti occulti della compromissione cere-
brale, e soprattutto, anche in condizioni di PIC normale. Negli ultimi dieci anni, in parallelo con l’introduzione
e lo sviluppo costante delle Unità di Terapia Intensiva specialistiche (Neurorianimazioni), si è sempre più
evoluto il neuromonitoraggio multimodale che consiste nella integrazione delle variabili fisiologiche cerebrali
ottenute con metodiche invasive (cioè pressione intracranica, pressione parziale dell’ossigeno del tessuto
cerebrale, microdialisi cerebrale, flusso ematico cerebrale regionale) e non invasive (Doppler transcranico,
spettroscopia nel vicino infrarosso, elettroencefalografia) con l’obiettivo di ottimizzare la gestione e guidare
la terapia dei pazienti con danno cerebrale (vedi tabella 17).

(54)  Herr K., Coyne P.J., McCaffery M. et al. (2011), Pain assessment in the patient unable to self-report: position statement with
clinical practice recommendations, Pain Manag Nurs. vol. 12, no. 4, pp. 230-250.
(55)  Robertson C., Critical care management of traumatic brain injury, in Winn H.r., Youmans J.r., eds. Youmans neurological surge-
ry, 5 th ed. Philadelphia: Saunders, 2004: Vol 4, 5103 – 5144.

171
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 17 - Caratteristiche e utilità dei principali componenti del monitoraggio multimodale (56)

Parametro Globale/regionale Tipo Informazione Guida opzioni di


trattamento per
Pressione Intracranica Globale/regionale Aumento di volume e pressione Iperventilazione, supporto vaso-
(PIC) intracranico pressorio, analgesia e sedazione,
temperatura, posizionamento,
nursing
Pressione Perfusione Globale Valutazione indiretta della perfu- supporto vasopressorio
Cerebrale (PPC) sione cerebrale
Saturazione venosa Globale Stato generale della perfusione e PPC, analgesia e sedazione, tempe-
giugulare di ossigeno ossigenazione cerebrale ratura, emotrasfusione
(SjO2)
Pressione tissutale Regionale Stato della perfusione e ossigena- Ventilazione e ossigenazione, PPC,
ossigeno (PbtO2) zione di un area del cervello analgesia e sedazione, temperatu-
ra, emotrasfusione
Microdialisi (MD) Regionale Stato del metabolismo di un area Ventilazione e ossigenazione, PPC,
del cervello: analgesia e sedazione, tempera-
• Glucosio: disponibilità tura, emotrasfusione, supporto
• Lattati: metabolismo nutrizionale
anaerobio;
• Rapporto lattato/piruvato: di-
sfunzione mitocondriale, danno
metabolico grave;
• Glutammato: eccitotossicità;
• Glicerolo: danno della membra-
na cellulare.
Doppler Transcranico Regionale Stato della perfusione di un area Ventilazione, PPC, analgesia e se-
(TCD) del cervello: basso flusso, ipere- dazione, emotrasfusione,
mia, vasospasmo.
Elettroencefalogramma Globale/regionale Attività elettrica corteccia cerebra- Sedazione, neuroprotezione.
(EEG) le: crisi epilettiche non convulsi-
vanti, ischemia cerebrale

Recenti indagini cliniche di diversi gruppi indipendenti hanno dimostrato la fattibilità e l’utilità del neuromo-
nitoraggio multimodale (57). È importante rimarcare che il neuromonitoraggio esteso venga instaurato preco-
cemente ed anche in pazienti con valori di PIC non patologici ma che sono sedati: sarà così possibile rivelare
i processi patologici occulti e ridurre la progressione del danno cerebrale secondario. Le diverse tecniche
sono associate a determinati svantaggi che sono riassunti nella tabella 18.

(56)  Stover J.F., Actual evidence for neuromonitoring-guided intensive care following severe traumatic brain injury, Swiss Med
Wkly. 2011; 141:w13245.
(57)  Messerer M., Daniel R.T., Oddo M., Neuromonitoring after major neurosurgical procedures, Minerva Anestesiol, 2012 Jul;
78(7):810-22.

172
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 18 - Vantaggi e svantaggi delle principali componenti del monitoraggio multimodale

Tipo Monitoraggio Vantaggi Svantaggi


Pressione Intracranica (PIC) Valutazione continua della • Misura locale/eterogeneità delle varie regioni ce-
pressione intracranica rebrali;
• Relativa al compartimento sopratentoriale;
• Necessità di intervento chirurgico con potenziale
rischio di ulteriori lesioni (emorragia, lesioni strut-
ture nervose profonde, infezioni)
• Misure non accurate a seconda del tipo di dispo-
sitivo, dopo craniotomia o in caso di intrappo-
lamento di aria sottodurale, smorzamento del
segnale
Pressione Perfusione Valutazione continua di un • Valore calcolato;
Cerebrale (PPC) equivalente della perfusione • Stima della perfusione cerebrale;
cerebrale • Non possibili valutazioni della perfusione di di-
stretti specifici;
• Richiede il monitoraggio dell PIC.
Saturazione venosa giugulare Valutazione (continua) della • Valutazione discontinua che richiede prelievo di
di ossigeno (SjO2) perfusione e ossigenazione campioni ematici (se non utilizzati cateteri a fibre
cerebrale ottiche);
• Stabilità limitata nel tempo dei sensori per la valu-
tazione in continuo;
• Richiede incannulamento vena giugulare con
rischi associati (sanguinamento, trombosi, batteri-
emia, infezioni);
• Ostacolo al deflusso venoso con possibili riper-
cussioni sulla PIC.

Pressione tissutale ossigeno Regionale • Misura locale/eterogeneità delle varie regioni ce-
(PbtO2) rebrali;
• Necessità di intervento chirurgico con potenziale
rischio di ulteriori lesioni (emorragia, lesioni strut-
ture nervose profonde, infezioni)
• Costoso
Microdialisi (MD) Regionale • Discontinuo;
• Richiede personale esperto;
• Richiede ulteriori indagini per differenziare il vaso-
spasmo dall’iperemia.
Elettroencefalogramma (EEG) Globale/regionale • Discontinuo;
• Grande quantità di dati e personale esperto per
interpretazione;
• Artefatti da interferenza con le apparecchiature
elettromedicali;
• Controversie sul significato e l’interpretazione di
alcune forme d’onda.

Anche se sono attualmente in corso alcuni sforzi per controllare le lesioni primarie, l’obiettivo principale delle
cure intensive in questa tipologia di pazienti rimane la prevenzione delle lesioni secondarie ed esistono prove
che l’adozione del monitoraggio multimodale, quando supportato da una interpretazione e integrazione delle
variabili di monitoraggio in algoritmi di gestione specifici, può migliorare gli esiti, il recupero neurologico e
la qualità complessiva delle cure. Lo scopo dei successivi paragrafi è di rivedere e descrivere le tecniche
attualmente disponibili per monitorare la fisiologia cerebrale e illustrarne la potenziale utilità clinica soprattut-
to dal punto di vista infermieristico. Il concetto fondamentale è che non esiste una metodica o meglio una
combinazione di metodiche ottimali sulle quali fare affidamento per gestire i pazienti neurolesi e la scelta
dipende dalle caratteristiche del paziente, dalle tecnologie disponibili e dalle competenze sia del personale
medico che infermieristico.

173
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

3. PRESSIONE INTRACRANICA E PERFUSIONE CEREBRALE

L’ipotesi di Monro-Kellie fornisce il quadro di riferimento per comprendere la gestione e il trattamento di


condizioni che causano l’aumento della pressione intracranica (58). L’ipotesi afferma che la scatola cranica,
che è rigida, contiene tre elementi principali: il tessuto cerebrale (1400 gr), il sangue (75 ml) e il liquido ce-
rebrospinale (75 ml). Il volume di questi tre elementi è generalmente in uno stato di equilibrio dinamico e
determina la pressione intracranica (PIC).

Pressione Intracranica (PIC) = Pcervello + Psangue + Pfluido cerebrospinale

La PIC è generalmente misurata in mmHg per consentire il confronto con la pressione arteriosa sistemica
e così consentire il calcolo rapido della Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC) che è dato dalla sottrazione
del valore della PIC dalla Pressione Arteriosa Media (PAM).

Pressione Perfusione Cerebrale = PAM – PIC

La PIC ha normalmente un valore di 7-15 mmHg in un adulto supino, una pressione che supera 15 mmHg è
considerata anormale mentre una pressione maggiore di 20 mmHg è considerata patologica e costituisce in-
dicazione al trattamento medico (59). Si noti che la PIC è determinata anche dalla posizione e quindi un adulto
in piedi ha valori di PIC più bassi. Negli adulti, i plessi coroidei producono il liquido cerebrospinale (Cerebro-
Spinal Fluid – CSF) a una velocità di 20 ml/ora, per un totale di 500 ml/giorno. IL CSF viene poi riassorbito
dai villi aracnoidei presenti nella circolazione venosa cerebrale. Un aumento della PIC si può verificare per il
realizzarsi di tutta una serie di evenienze; fra queste le più importanti riguardano l’aumento della produzione
del liquido cerebrospinale, l’ostacolo al suo deflusso e riassorbimento, le modificazioni della pressione arte-
riosa, l’aumento della pressione venosa, gli aumenti di volume dell’encefalo o gli impedimenti meccanici al
suo normale incremento di volume durante lo sviluppo.

Tabella 19 - Le principali cause di aumento della PIC (60)

Tipologia Cause Meccanismo


Alterazione produzione CSF Papilloma o carcinoma dei plessi corioidei La produzione di CSF supera le capacità
di riassorbimento finendo per provocare
un idrocefalo per sfiancamento degli spa-
zi subaracnoidei e dei ventricoli cerebrali
Alterazioni circolazione CSF • tumori che bloccano il forame di Mon- A causa dell’ostruzione il liquor si accu-
ro o il III ventricolo; mula con pressione aumentata, deter-
• tumori o processi infiammatori, com- minando allargamento dei ventricoli so-
prese le loro sequele cicatriziali gliali, prattutto nei corni frontali ed espansione
che ostruiscono l’acquedotto degli emisferi cerebrali.
• processi cronici adesivi meningei
post-meningitici che ostruiscono gli
spazi subaracnoidei
Alterazioni riassorbimento • tromboflebite murale del seno longi- Compromissione o compressione dei villi
CSF tudinale superiore aracnoidei che divengono impermeabili
• diffuse infezioni aracnoidee alla filtrazione
• emorragie subaracnoidee
segue

(58)  Mokri B., The Monro-Kellie hypothesis: applications in CSF volume depletion, Neurology, 2001 Jun 26;56(12):1746-8.
(59)  Bratton S.L. et al., Guidelines for the management of severe traumatic brain injury. VIII. Intracranial pressure thresholds, J
Neurotrauma, 2007; 24 Suppl 1:S55-8.
(60)  Barbati G., Cause di ipertensione endocranica, Atti del III Meeting Rianimazione, Emergenza e Terapia Intensiva, Avezzano,
2006, accessibile all’indirizzo http://rianimazione.net/node/447 (ultimo accesso il 10/9/2014).

174
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tipologia Cause Meccanismo


Alterazioni Pressione arteriosa • Accumulo locale di CO2 Gli aumenti della PIC possono avere
• Ipertensione maligna un’origine arteriosa attiva o passiva. Nel
• Stadi terminali ipertensione endocranica primo caso si tratta di vasodilatazione
arteriolocapillare (accumulo CO2): con
conseguente aumento di volume del
compartimento vascolare che causa una
congestione cerebrale acuta. Nel secon-
do caso la capacità di autoregolazione
dei vasi cerebrali è perduta e i vasi si
lasciano passivamente distendere dalla
pressione arteriosa sistemica.
Alterazioni pressione venosa • Occlusione/trombosi dei seni venosi In questi casi l’aumento della PIC è do-
laterali o longitudinali vuto ad un ostacolato riassorbimento del
• Occlusione/trombosi vena cava supe- liquor ed all’edema cerebrale conseguen-
riore o vene giugulari za della stasi venosa.
Processi occupanti spazio • tumori, I processi occupanti spazio a rapidissimo
• ematomi(subdurali, epidurali) sviluppo determinano Ipertensione En-
• emorragie intraparenchimali docranica (IE) essenzialmente per effetto
• infarti della massa della lesione che si espande.
• ascessi e granulomi Altri meccanismi attraverso i quali lesioni
occupanti spazio possono provocare IE
sono: un’ostruzione del sistema ventri-
colare tale da impedire il deflusso del
liquor; un’ostruzione delle vie di rias-
sorbimento e/o del sistema venoso di
drenaggio dell’encefalo; un aumento del
volume del contenuto intracranico per
effetto dell’edema cerebrale.
Edema cerebrale • trauma cranico L’edema vasogenico è tipicamente as-
• ictus ischemico con edema vasogenico sociato ad un danno della Barriera Ema-
• encefalopatia ipossico ischemica to – Encefalica (BEE) con conseguente
• edema postoperatorio aumento della permeabilità a livello dei
• encefalopatia uremica capillari cerebrali. Clinicamente l’edema
• encefalopatia epatica vasogenico è quello che si trova asso-
ciato a tumori, traumi cranici, ascessi,
malattie vascolari (infarti ed emorragie),
encefalopatia ipertensiva.
L’edema citotossico è invece la conseguen-
za del danno prodotto da agenti nocivi
sulle cellule del parenchima nervoso (neu-
roni, cellule gliali), le quali si rigonfiano
con concomitante riduzione dello spazio
extracellulare. L’edema citotossico si veri-
fica nell’ipossia che consegue ad esempio
ad arresto cardiaco o nell’asfissia.
modificata da Barbati 2006

Se il volume del cervello aumenta, ad esempio a causa di un processo espansivo (tumore, ematoma), vi è
uno spostamento di compensazione del liquido cerebrospinale (Cerebro-Spinal Fluid – CSF) nel sacco durale
della colonna vertebrale associato ad un aumentato riassorbimento e seguito da una riduzione del volume
del sangue intracranico da vasocostrizione e drenaggio extracranico. Se questi meccanismi hanno successo,
la PIC rimane invariata. Una volta che questi meccanismi si sono esauriti, ulteriori variazioni di volume intra-
cranico possono portare ad aumenti drammatici della PIC.

175
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 7 - La dottrina di Monro-Kellie

La velocita con la quale cambia il volume del cervello ha importanza per determinare le risposte di adatta-
mento: un tumore a crescita lenta, per esempio, è spesso presente con una PIC normale o minimamente
elevata poiché il cervello ha avuto il tempo di adattarsi mentre un piccolo sanguinamento intracranico im-
provviso può produrre un significativo aumento della PIC. Alla fine, sia per cause acute che croniche ma
progressive, i meccanismi di compensazione si esauriscono, con un conseguente aumento della PIC. Il
rapporto tra ICP e il volume intracranico è descritto da una curva pressione-volume che ha un andamento
esponenziale ed è rappresentata in figura 8 insieme ai vari stadi evolutivi.

Figura 8 - Curva Pressione - Volume cerebrale e stadi evolutivi


Carlson K.K. and American Association of Critical-Care Nurses, AACN Advanced critical care nursing, Saunders, 2008

176
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 20 - Stadi evolutivi ipertensione intracranica

Stadio Caratteristiche
1 Elevata compliance e bassa elastanza: il cervello si trova in totale situazione di compenso con mec-
canismi di adattamento e autoregolazione intatti. Un aumento di volume non determina un aumen-
to della pic
2 La compliance si riduce ed il cervello inizia a irrigidirsi a causa del relativo aumento dell’elastanza.
Un aumento di volume mette il paziente a rischio di aumento della PIC
3 L’elastanza prevale sulla compliance. Qualsiasi piccolo aumento di volume determina un elevato
aumento della PIC. Il meccanismo di autoregolazione risulta inefficace, si parla di uno stato di scom-
penso e compaiono i sintomi legati ad alti valori di PIC come ipertensione, bradicardia e bradipnea
(Triade di Cushing)
4 Stadio terminale: la PIC arriva a valori massimali anche con piccoli aumenti di volume. Si verifica
l’erniazione con il tessuto cerebrale che si sposta da compartimenti a elevata pressione a compar-
timenti a pressione inferiore

Un aumento di volume fino a 30 cm3 di solito non comporta cambiamenti significativi nella PIC grazie ai mec-
canismi di compenso. Quando questi meccanismi di compenso si sono esauriti la PIC aumenta rapidamente
e con ulteriori aumenti di volume arriva a raggiungere una pressione comparabile con quella all’interno delle
arteriole cerebrali (che dipende dalla pressione arteriosa media e dalle resistenze cerebrovascolari ma di
solito si attesta tra i 50 e 60 mmHg) determinando la cessazione del flusso cerebrale periferico.

Come detto in precedenza la PPC è il gradiente di pressione che agisce sul letto cerebrovascolare e quindi
un fattore importante nel determinare flusso ematico cerebrale (Cerebral Blood Flow – CBF) (61): la soglia
critica, al di sotto della quale è necessario intervenire con fluidi e farmaci, è rappresentata dal valore di 60
mmHg mentre valori compresi tra 60 e 100 mmHg sono considerati normali. Il CBF è mantenuto costante a
dispetto di un’ampia variazione della PPC e della PAM da meccanismi di autoregolazione da parte delle arte-
riole cerebrali che consentono di mantenere costante la resistenza cerebrovascolare in diverse condizioni di
PPC. Ad esempio un aumento della PPC provoca uno stiramento delle pareti delle arteriole che compensano
dilatandosi per ridurre la pressione. Allo stesso modo, in un quadro di abbassamento della pressione, le arte-
riole si costringono per mantenere la PPC. I meccanismi di autoregolazione evitano che aumenti di pressione
transitori vengano trasmessi ai piccoli vasi distali. Quando la PAM è inferiore a 65 mmHg o superiore a 150
mmHg, le arteriole perdono la loro capacità di autoregolazione, e il CBF non è più costante ma dipende ed
è proporzionale alla PPC. Così, quando la PAM scende al di sotto dei 65 mm Hg, le arteriole cerebrali sono
dilatate al massimo e il cervello è a rischio di ischemia a causa di un insufficiente flusso di sangue per sod-
disfare le sue esigenze. Allo stesso modo, con una PAM superiore a 150 mm Hg, le arteriole cerebrali sono
costrette al massimo ed eventuali ulteriori aumenti della pressione possono causare un eccessivo CBF con
conseguente aumento della PIC.

(61)  Miller J.D., Stanek A., Langfitt T.W., Concepts of cerebral perfusion pressure and vascular compression during intracranial
hypertension, Prog Brain Res. 1972; 35:411-32.

177
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 9 - Relazione tra pressione di perfusione cerebrale e pressione intracranica


in stati di ridotta compliance intracranica
Nella zona dove agisce la vasodilatazione una ipoperfusione con capacità di autoregolazione della pressione intatte
porta a un riflesso di vasodilatazione cerebrale e aumento della PIC. Nella regione caratterizzata da ipertensione
la pressione e il volume determinano un quadro di iperemia che altera le capacità di autoregolazione e produce
un aumento sia del volume sanguigno che della PIC

3.1. Il monitoraggio della pressione intracranica

Nonostante la moltitudine di progressi nel neuromonitoraggio negli ultimi anni, la PIC è ancora il parametro
più frequentemente monitorato nelle UTI: questo perché il monitoraggio della PIC e il suo parametro deriva-
to, la PPC, sono componenti importanti dei protocolli di gestione dei pazienti neurolesi in particolare quelli
con Trauma Cranico. L’Ipertensione intracranica può portare a conseguenze potenzialmente catastrofiche,
tra cui danni neurologici permanenti e disabilità. Le più recenti linee guida della Brain Trauma Foundation (62)
raccomandano (livello di evidenza II), che la PIC debba essere monitorata in tutti i pazienti ritenuti recupera-
bili con grave trauma cranico (punteggio GCS compreso tra 3 e 8) e evidenza di alterazioni alla Tomografia
Computerizzata (TC) della testa o una TC normale con almeno 2 dei seguenti fattori di rischio: età> 40 anni,
pressione arteriosa sistolica <90 mmHg e segni di decerebrazione o decorticazione mono o bilaterali. Il
monitoraggio della PIC è utilizzato anche in malattie neurologiche non traumatiche, come l’Emorragia Sub
Aracnoidea (ESA) e, in misura minore, nei tumori cerebrali, infarti, emorragie intracerebrali e infezioni. Una

(62)  Bratton S.L., Chestnut R.M., Ghajar J., McConnell Hammond F.F., Harris O.A., Hartl R., Manley G.T., Nemecek A., Newell
D.W., Rosenthal G., Schouten J., Shutter L., Timmons S.D., Ullman J.S., Videtta W., Wilberger J.E., Wright D.W., Guidelines for the
management of severe traumatic brain injury. VI. Indications for intracranial pressure monitoring, J Neurotrauma 2007, 24 Suppl
1:S37-S44.

178
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

elevata pressione intracranica (PIC > 20 mmHg) è associata ad un aumento della mortalità dopo una lesione
cerebrale traumatica acuta. Il trauma cranico è una delle principali cause di morbilità e mortalità: ogni anno
250 pazienti ogni 100.000 abitanti vengono ricoverati in Italia per trauma cranico. La mortalità è di circa 17
casi per 100.000 abitanti per anno. L’Italia si trova in piena “media” Europea considerando l’incidenza media
in Europa di 232 casi per 100.000 abitanti ed una mortalità di 15 casi per 100.000 abitanti (63). Dopo ESA il
drenaggio ventricolare esterno è raccomandato nei pazienti con punteggio più elevato alla scala della World
Federation of Neurological Societies (WFNS) o idrocefalo acuto (64), per monitorare la PIC e drenare il CSF
per il controllo della PIC. Nella emorragia intracerebrale spontanea il monitoraggio della PIC è usato rara-
mente, ma le linee guida più recenti (65) suggeriscono che nei pazienti con un punteggio GCS < 8, in quelli
con evidenza clinica di ernia transtentoriale, o in quelli con emorragia intraventricolare o idrocefalo, il moni-
toraggio e il trattamento della PIC rappresenta un opzione che può essere considerata (classe IIb, livello di
evidenza: C). Esiste quindi una grande quantità di evidenze cliniche per sostenere l’uso di monitoraggio della
pressione intracranica nel guidare gli interventi terapeutici e valutare la prognosi, anche se mancano prove
di elevata qualità e permangono alcune controversie (66). Il monitoraggio della PIC consente di istituire inter-
venti terapeutici per prevenire o ridurre gli aumenti della PIC, consente al medico di monitorare l’efficacia
della terapia e all’infermiere di modulare gli interventi assistenziali per prevenire aumenti sostenuti della PIC.

Il posizionamento di un catetere intraventricolare con la punta solitamente posizionata in un ventricolo la-


terale, e il catetere collegato ad un trasduttore di pressione standard, è considerato il “gold standard” per
la misurazione della PIC. Il catetere intraventricolare misura la PIC globale, permette il drenaggio del CSF
per trattare l’ipertensione intracranica, consente la calibrazione in vivo, e permette la somministrazione di
farmaci come gli antibiotici. Tuttavia, questo è il più invasivo dei metodi di monitoraggio della PIC e l’inseri-
mento del catetere interventricolare può essere difficile se vi è spostamento del ventricolo a causa di edema
cerebrale diffuso o per la presenza di una lesione intracranica occupante spazio. Il tasso riportato di infezioni
correlate al catetere intraventricolare è compreso tra l’8 e l’11% (67). Questo metodo, inoltre, non consente
il drenaggio simultaneo del CSF e il monitoraggio della PIC.

(63)  Tagliaferri F., Compagnone C., Korsic M., et al., A systematic review of brain injury epidemiology in Europe, Acta Neurochir
(Wien), 2006 Mar;148(3):255-68.
(64)  Bederson J.B., Connolly E.S. Jr, Batjer H.H., Dacey R.G., Dion J.E., Diringer M.N., Duldner J.E. Jr, Harbaugh R.E., Patel A.B.,
Rosenwasser R.H., Guidelines for the management of aneurysmal subarachnoid hemorrhage: a statement for healthcare profes-
sionals from a special writing group of the Stroke Council, American Heart Association, Stroke 2009, 40:994-1025.
(65)  Morgenstern L.B., Hemphill J.C. III, Anderson C., Becker K., Broderick J.P., Connolly E.S. Jr, Greenberg S.M., Huang J.N.,
MacDonald R.L., Messe S.R., Mitchell P.H., Selim M., Tamargo R.J., Guidelines for the management of spontaneous intracerebral
hemorrhage: a guideline for healthcare professionals from the American Heart Association/American Stroke Association, Stroke
2010, 41:2108-2129.
(66)  Forsyth R.J., Wolny S., Rodrigues B., Routine intracranial pressure monitoring in acute coma, Cochrane Database Syst Rev.
2010 Feb 17;(2):CD002043.
(67) Lozier A.P., Sciacca R.R., Romagnoli M.F., Connolly E.S. Jr, Ventriculostomy-related infections: a critical review of the literature,
Neurosurgery. 2002;51(1):170-81.

179
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 10 - Sedi per il monitoraggio della pressione intracranica


Modificata da Kerr et al., 2004 (68)
68

In alternativa al catetere intraventricolare, sonde con microtrasduttori possono essere collocate nel paren-
chima cerebrale o nello spazio subdurale tramite una vite cranica o in seguito ad intervento neurochirurgi-
co. Sono disponibili varie tecnologie: cateteri a fibre ottiche in cui un cambiamento della PIC provoca un
cambiamento nella riflessione di un fascio di luce; cateteri con un sensore di pressione miniaturizzato sulla
punta che produce una variazione di resistenza elettrica al variare della PIC; cateteri in cui una variazione
di pressione viene rilevata da un piccolo palloncino riempito d’aria all’estremità del catetere. I vantaggi dei
sistemi con microtrasduttore sono la facilità d’uso, l’affidabilità, ed i bassi tassi di infezione e di complican-
ze correlate alla procedura (69)(70). Un inconveniente non trascurabile è dato dal fatto che esiste una piccola
deriva dello zero del sensore con il tempo, anche se i test in vitro hanno mostrato una deriva minore di 0,6 ±
0,9 mmHg dopo 5 giorni di utilizzo ed a questo si aggiunge che il sistema non consente la ricalibrazione una
volta posizionato. Un altro importante svantaggio è che queste tipologie di sonda misurano solo la pressio-
ne nel compartimento cranico nel quale sono posizionate, che può non riflettere il vero valore della PIC dal
momento che, a seconda della patologia endocranica, possono coesistere diversi gradienti di pressione; ciò
pone la questione della posizione ideale della sonda: in caso di lesione cerebrale diffusa, la sede della sonda
non influenza l’affidabilità delle misure ma se c’è una lesione focale la PIC dovrebbe essere monitorata sullo
stesso lato della lesione. Sono disponibili anche dispositivi di monitoraggio che possono essere posizionati
nello spazio subaracnoideo e epidurale, ma sono usati più raramente a causa della minor precisione mentre
non vengono più utilizzati cateteri spinali a causa della mancanza di affidabilità della stima dei valori della PIC.
I vari tipi di dispositivo unitamente ai relativi vantaggi e svantaggi e alle considerazioni infermieristiche sono
riassunti nella tabella 21.

(68)  Kerr M.M., Crago E.A., Nursing management: acute intracranial problems, in O’ Brien P.g., Giddens J.F., Bucher L., Eds. Medical
Surgical Nursing: Assessment and Management of clinical problems, St Louis, MO: CV Mosby Inc; 2004: 1491-1524.
(69)  Koskinen L.o., Olivecrona M., Clinical experience with the intraparenchymal intracranial pressure monitoring Codman Micro-
Sensor System, Neurosurgery, 2005; 56(4):693-8.
(70)  Martinez-Manas R.M., Santamarta D., de Campos J.M., Ferrer E., Camino® intracranial pressure monitor: prospective study of
accuracy and complications, J Neurol Neurosurg Psychiatry, 2000; 69(1):82-6.

180
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 11 - Sistema di drenaggio ventricolare


da American Association of Neuroscience Nurses, 2011 (71)
71

Tabella 21 - Vantaggi, svantaggi e attenzioni infermieristiche dei diversi sistemi di monitoraggio della PIC

Dispositivo Vantaggi Svantaggi Considerazioni infermieristiche


Catetere • Consente misurazioni • Procedura maggior- • Assicurare analgesia e sedazio-
intraventricolare PIC accurate; mente invasiva asso- ne appropriate durante l’inseri-
• Consente drenaggio ciata a rischi maggiori mento;
CSF; soprattutto infettivi; • Effettuare valutazioni neurologi-
• Consente valutazione • Richiede calibrazioni e che di base e seriate;
affidabile compliance azzeramenti frequenti; • Misurare la temperatura del pa-
intracranica; • Il catetere è soggetto ziente frequentemente (almeno
ad occlusione o mal- ogni 4 ore);
funzionamento (san- • Registrare le caratteristiche e la
gue, tessuto, adesione quantità di CSF drenato;
a parete) • Documentare i valori di PIC/PPC,
• Inserzione difficoltosa la risposta agli stimoli e alle atti-
se i ventricoli sono vità assistenziali;
piccoli, compressi o • Segnalare valori della PIC al di
spostati; fuori delle soglie stabilite
• E’ associato al rischio • Controllare la qualità delle forme
di fuoriuscita di CSF d’onda della PIC;
dal sito di inserzione. • Controllare il sito d’inserzione
per valutare la presenza di san-
guinamenti, edema, perdita di
CSF;
segue

(71)  American Association Of Neuroscience Nurses, Care of the patient undergoing intracranial pressure monitoring/external ventri-
cular drainage or lumbar drainage, Glenview (IL): American Association of Neuroscience Nurses; 2011.

181
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Dispositivo Vantaggi Svantaggi Considerazioni infermieristiche


• Azzerare o calibrare il sistema
secondo le istruzioni del pro-
duttore o i protocolli dell’Unità
Operativa;
• Livellare il trasduttore all’altezza
del forame di Monro (i punti di
repere generalmente utilizzati
sono il trago, il meato acustico
esterno, il punto mediano tra
l’angolo palpebrale esterno e la
cartilagine esterna dell’orecchio:
è importante utilizzare sempre lo
stesso punto di repere)
• Controllare il livello della se-
dazione per riconoscere preco-
cemente stati di agitazione e
prevenire lo sposizionamento
del catetere.
Dispositivo • Tasso di infezioni più • Maggiormente sog- • Assicurare analgesia e sedazio-
sub aracnoideo basso del catetere in- getto a smorzamento ne appropriate durante l’inseri-
traventricolare; del segnale (sangue, mento;
• Posizionamento veloce tessuto, edema cere- • Effettuare valutazioni neurologi-
e semplice; brale); che di base e seriate;
• Non richiede la pene- • Richiede calibrazioni e • Misurare la temperatura del pa-
trazione del tessuto azzeramenti frequenti; ziente frequentemente (almeno
cerebrale; • Non consente drenag- ogni 4 ore);
gio CSF • Documentare i valori di PIC/PPC,
• Meno accurato per va- la risposta agli stimoli e alle atti-
lori elevati di PIC; vità assistenziali;
• Segnalare valori della PIC al di
fuori delle soglie stabilite
• Controllare la qualità delle forme
d’onda della PIC;
• Controllare il sito d’inserzione
per valutare la presenza di san-
guinamenti, edema, perdita di
CSF;
• Azzerare o calibrare il sistema
secondo le istruzioni del pro-
duttore o i protocolli dell’Unità
Operativa;
• Livellare il trasduttore all’altezza
del forame di Monro (i punti di
repere generalmente utilizzati
sono il trago, il meato acustico
esterno, il punto mediano tra
l’angolo palpebrale esterno e la
cartilagine esterna dell’orecchio:
è importante utilizzare sempre lo
stesso punto di repere)
• Controllare il livello della se-
dazione per riconoscere preco-
cemente stati di agitazione e
prevenire lo sposizionamento
del catetere.
segue

182
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Dispositivo Vantaggi Svantaggi Considerazioni infermieristiche


Catetere o sensore • Tasso di infezioni più • Aumento deriva dello • Assicurare analgesia e sedazio-
sottodurale basso del catetere in- zero con l’andare del ne appropriate durante l’inseri-
o epidurale traventricolare; tempo e conseguente mento;
• Posizionamento veloce perdita di affidabilità; • Effettuare valutazioni neurologi-
e semplice; • Non consente drenag- che di base e seriate;
• Minore invasività gio CSF. • Misurare la temperatura del pa-
ziente frequentemente (almeno
ogni 4 ore);
• Documentare i valori di PIC/PPC,
la risposta agli stimoli e alle atti-
vità assistenziali;
• Segnalare valori della PIC al di
fuori delle soglie stabilite
• Controllare la qualità delle forme
d’onda della PIC e la deriva dello
zero nel tempo;
• Controllare il sito d’inserzione
per valutare la presenza di san-
guinamenti, edema;
• Controllare il livello della se-
dazione per riconoscere preco-
cemente stati di agitazione e
prevenire lo sposizionamento
del catetere.
Catetere • Può essere posizionato • Non consente drenag- • Assicurare analgesia e sedazio-
a fibre ottiche nel ventricolo, nello gio CSF; ne appropriate durante l’inseri-
spazio sotto o epidu- • Non può essere ricali- mento;
rale o direttamente nel brato; • Effettuare valutazioni neurologi-
parenchima cerebrale; • Richiede periodiche so- che di base e seriate;
• Richiede azzeramento stituzioni della sonda; • Misurare la temperatura del pa-
solo al momento del • Più soggetto a danneg- ziente frequentemente (almeno
posizionamento; giamenti. ogni 4 ore);
• Ha deriva dello zero • Documentare i valori di PIC/PPC,
contenuta; la risposta agli stimoli e alle atti-
• È associato a minor vità assistenziali;
rischio di infezioni • Segnalare valori della PIC al di
(escluso posiziona- fuori delle soglie stabilite
mento intraparenchi- • Controllare la qualità delle forme
male); d’onda della PIC e la deriva dello
• Offre ottima visulaiz- zero nel tempo;
zazione forme d’onda • Controllare il sito d’inserzione
della PIC (meno arte- per valutare la presenza di san-
fatti); guinamenti, edema, perdita di
• Non richiede aggiusta- CSF;
menti di livello del tra- • Controllare il livello della se-
sduttore quando vine dazione per riconoscere preco-
cambiata la posizione cemente stati di agitazione e
del paziente; prevenire lo sposizionamento
• Facilita il trasporto del del catetere.
paziente;
Nota: i sistemi con riempimento a fluido NON devono essere collegati con kit di trasduzione muniti di sistema di la-
vaggio continuo e spremisacca.
modificata da Arbour, 2004 (72)

(72)  Arbour R., Intracranial hypertension: monitoring and nursing assessment, Crit Care Nurse, 2004 Oct; 24(5):19-20, 22-6, 28-32.

183
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Un altro elemento fondamentale per poter interpretare correttamente le variazioni della PIC è il livello di
intensità terapeutica utilizzato: è abbastanza intuitivi infatti che un valore PIC di 18 mmHg abbia un signi-
ficato diverso per un paziente con trauma cranico senza particolari provvedimenti terapeutici mirati e per
un paziente in coma barbiturico sottoposto a deopercolazione. L’obiettivo del sistema di classificazione TIL
(Therapy Intensity Level) è quello di categorizzare i diversi interventi, seguendo il filo della progressività ed
intensità di cura, in diversi livelli:
• Livello 0: nessuna terapia specifica mirata per il controllo della PIC
• Livello 1: questa categoria comprende qualsiasi intervento richiesto dell’assistenza generale in Terapia
Intensiva. Tra questi può essere inclusa la sedazione. Il dosaggio dei sedativi non è specificato, il requisito
è che l’uso dei sedativi in questa categoria non sia mirato a controllare la PIC. Allo stesso modo, l’uso
di farmaci vasoattivi (ad esempio per sepsi) può variare tra i centri, ma a questo livello di intensità non
viene utilizzato per sostenere la PPC. L’implicazione di fondo è che il controllo della PIC non è il problema
principale in questo gruppo di pazienti.
• Livello 2: questa categoria comprende gli interventi di prima linea mirati al controllo della PIC/PPC: ne con-
segue che il controllo dei valori della PIC è oggetto di attenzione in questo gruppo. È previsto ad esempio
per la sedazione, che la dose e i farmaci possano variare, ma il proposito è che essi vengono utilizzati per
modulare la PIC. Allo stesso modo, questa categoria potrebbe includere l’uso di agenti vasoattivi, che
vengono utilizzati per sostenere i target pressori della PPC. L’uso di diuretici osmotici è incluso in questa
categoria, ma solo per il controllo di aumenti moderati o transitori della PIC, che rispondono prontamente
alla terapia. Arbitrariamente una soglia per un periodo di 24 ore potrebbe essere fissato a 2 gr/kg di man-
nitolo o soluzione fisiologica ipertonica 0,3 gr/kg.
• Livello 3: questo livello include la maggior parte dei pazienti che hanno grossi problemi con la gestione
della PIC/PPC ma nella pratica clinica comune, non sono ‘refrattari’ alle terapie standard o raccomandate.
• Livello 4: questo livello include le terapie che vengono utilizzate nei pazienti con ipertensione intracranica
refrattaria. La decisione di utilizzare sedativi a questo livello richiede che il farmaco (tipicamente pento-
barbital o tiopentale, ma a volte propofol, o altri agenti) ha lo scopo di ridurre sostanzialmente l’utilizzo
di ossigeno cerebrale, spesso con monitoraggio dell’attività elettrica cerebrale e monitoraggio della se-
dazione per la soppressione dei potenziali di azione neuronali (il meccanismo attraverso il quale i neuroni
trasmettono e ricevono le informazioni che è molto dispendioso dal punto di vista energetico). L’Interven-
to chirurgico di craniectomia decompressiva con deopercolazione e l’ipotermia <35C° per ipertensione
endocranica refrattaria contribuiscono a giustificare la classificazione al livello 4.

Il TIL Basic fornisce solo una categorizzazione di massima, ma comunque molto rilevante, di intensità di
cura nel paziente neuroleso. È semplice da valutare, ma uno svantaggio è che è intrinsecamente viziata
dalla soggettività delle valutazioni e da variazioni e interpretazioni locali sulle opinioni di ciò che costituisce
una trattamento più o meno intenso. Ad esempio, il drenaggio del CSF è visto come un intervento preco-
ce nei centri che controllano la PIC mediante ventricolostomia, ma costituiscee un passaggio successivo
in centri in cui le sonde parenchimali sono abitualmente utilizzate per il monitoraggio della PIC. Un altro
limite è dato dall’assenza di una validazione (è presente solo uno studio pilota su pazienti pediatrici) ed il
fatto che ne esistono diverse versioni e adattamenti locali ma aiuta a conoscere ed avere ben presenti i
livelli dell’intensità.

184
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Tabella 22 - La scala TIL (Therapy Intensity Level) Basic

Livello Interventi
TIL 0 Nessun intervento diretto al controllo della PIC
TIL 1 Interventi di base in UTI
• Sedazione per tolleranza ventilazione/tuobo endotracheale
• Fluidi/farmaci vasopressori per causa non neurologica (ad es. sepsi, deficit di pompa cardiaca)
• Sollevamento testata letto (prevenzione VAP)
• Normocapnia (PaCO2 ≥ 40mmHg)
TIL 2 Interventi “Standard”
• Livelli sedazione maggiori
• Fluidi/Farmaci Vasopressori per controllo PPC
• Controllo Glicemia
• Bassi dosaggi terapia osmotica
• Ipocapnia Lieve (PaCO2 35-40 mmHg)
• Drenaggio CSF < 120 ml/die
• Controllo ipertermia
TIL 3 Interventi “Reinforced”
• Dosaggi alti terapia osmotica
• Ipocapnia moderata(PaCO2 < 30 mmHg)
• Soppressione dei potenziali di azione attraverso somministrazione di Propofol in associazione
con benzodiazepine
• Indometacina (onde di plateau, iperemia diffusa)
• Drenaggio CSF > 120 ml/die
• Ipotermia lieve (> 35°C)
TIL 4 Interventi “Extreme”
• Ipocapnia profonda (PaCO2 < 30 mmHg)
• Ipotermia lieve (< 35°C)
• Barbiturici ( in associazione con benzodiazepine) per soppressione attività metabolica neuronale
• Craniectomia decompressiva con deopercolazione

Nonostante la natura multidisciplinare della gestione della PIC, sono gli infermieri che prestano assistenza
diretta e erogano la maggior parte degli interventi per i pazienti che hanno la PIC sotto monitoraggio. Anche
se alcuni interventi sono specificamente mirati a ridurre la PIC, l’impatto di questi interventi non è stato
ben descritto (73)(74). Pochi studi (75) sono stati condotti per indagare le correlazioni statistiche tra un inter-
vento specifico e i valori della PIC. Alcune prove indicano che gli interventi infermieristici di routine possono
influenzare le variabili fisiologiche, aumentando il rischio potenziale per un danno cerebrale secondario: in
particolare l’aspirazione endotracheale e il riposizionamento dei pazienti sembrano essere associati a cam-
biamenti della pressione sanguigna, PIC, PPC, e della frequenza cardiaca in pazienti critici con deterioramen-
to neurologico (76). Al contrario l’igiene orale utilizzando spazzolini manuali o elettrici su pazienti intubati con
danni neurologici non sembra comportare aumenti significativi della PIC (77). Questi interventi sono spesso
necessari per fornire un’adeguata assistenza per i pazienti critici, in quanto riducono il rischio di polmonite
associata a ventilazione meccanica (VAP) e di ulcere da pressione (UdP), ma vi sono altri interventi infermie-
ristici che vengono eseguiti con l’obiettivo specifico di ridurre i valori della PIC: questi includono parlare con
il paziente, la cura del tubo endotracheale o dei circuiti di ventilazione, la rimozione precoce del collare cervi-

(73)  McNett M.M., Gianakis A., Nursing interventions for critically ill traumatic brain injury patients, J Neurosci Nurs, 2010; 42(2):
71-77.
(74)  Szabo C.m., The effect of oral care on intracranial pressure: a review of the literature, J Neurosci Nurs, 2011; 43(5):E1-E9.
(75)  March K., Mitchell P., Grady S., Winn R., Effect of backrest position on intracranial and cerebral perfusion pressures, J Neurosci
Nurs. 1990;22(6):375-381.
(76)  Snyder M., Relation of nursing activities to increases in intracranial pressure, J Adv Nurs. 1983; 8(4):273-279.
(77)  Prendergast V., Hagell P., Hallberg I.R., Electric versus manual tooth brushing among neuroscience ICU patients: is it safe?
Neurocrit Care, 2011;14(2):281-286.

185
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

cale, il drenaggio del CSF, limitare la stimolazione ambientale, sollevamento della testata del letto con scru-
polosa attenzione al mantenimento dell’asse testa-collo-tronco e la somministrazione di farmaci in continuo
o immediatamente prima di interventi che si sanno poter influenzare i valori della PIC. Nonostante si tratti di
pratiche che gli infermieri svolgono abitualmente pochi studi hanno esplorato gli effetti immediati di questi
interventi sui valori PIC. Lo studio più recente in tal senso lo si deve a Olson e coll. (78): durante 3118 minuti di
osservazione, sono stati analizzati 11 interventi infermieristici specifici per 28 diadi infermiere-paziente in 16
ospedali. La presenza di familiari che parlano nella stanza, la somministrazione di sedativi, ed il riposiziona-
mento del paziente sono gli unici interventi che sono stati associati ad una PIC significativamente inferiore.
Tuttavia, la PIC dopo ogni osservazione è risultata talvolta più alta, più bassa, o immutata. La risposta della
PIC agli interventi infermieristici è stata contraddittoria. Possiamo quindi affermare che la variazione della
PIC come risposta agli interventi di cura non può essere semplificata in una relazione lineare e che sono
necessarie ulteriori ricerche per poter interpretare le variazioni della PIC in maniera coerente e prevedibile.
Se la PIC è da considerarsi una variabile nel ridurre il danno cerebrale secondario, la comprensione di come
la PIC cambia in risposta a interventi infermieristici è essenziale.

3.2. Flusso ematico cerebrale e valutazione della capacità di autoregolazione dell’encefalo

In condizioni di normalità la quantità di sangue che arriva all’encefalo nell’unità di tempo è circa di 50 – 55
ml/100g/min, circa 1/5 dell’intera gittata sistolica. Il flusso ematico cerebrale rimane costante nel tempo,
indipendentemente dall’attività funzionale dell’encefalo (diversamente da ciò che si può constatare per gli
altri organi, quali reni o muscoli) ed è direttamente proporzionale alla PPC e inversamente proporzionale alle
resistenze vascolari cerebrali (RVC).

CBF= (PAM – PIC)/RVC o CBF= PPC/RVC

Per resistenza vascolare cerebrale si intende la pressione esercitata sul letto dei vasi cerebrali; essa è
influenzata dalla pressione sistolica, dalla pressione diastolica, dal diametro dei vasi cerebrali e dalla PIC.
Poiché non sono presenti valvole all’interno delle vene cerebrali, la pressione venosa cerebrale è influenzata
dalle resistenze cerebrovascolari.

Il flusso ematico cerebrale è influenzato da:


• Fattori estrinseci: includono PAM, output cardiaco, viscosità sanguigna ed il tono vascolare. Se la PAM è
al di sotto dei 70 mmHg, il flusso ematico cerebrale diminuirà; in questo caso entrerà in azione il meccani-
smo di autoregolazione citato nelle sezioni precedenti. Se il flusso ematico cerebrale non è sufficiente per
irrorare i tessuti dell’encefalo, esso provocherà un’alterazione del metabolismo cerebrale che influenza
l’attività sinaptica (50%), il mantenimento del gradiente ionico delle membrane cellulari (25%) e infine
sui processi di biosintesi (25%). È importante precisare che il metabolismo aerobico è criticamente di-
pendente dalle concentrazioni di ossigeno per la produzione di energia dal glucosio che l’encefalo non è
in grado di immagazzinare; per questo senza una fonte costante di ossigeno l’energia ricavata dal flusso
ematico si esaurirà in soli 3 - 5 minuti.
• Fattori intrinseci: includono la PaCO2 (pH), la PaO2 e la PIC. Si presenta vasodilatazione in caso il paziente
presenta criticità come ipercapnia, acidosi e ipossia; questa vasodilatazione aumenterà il CBF. Ogni 1
mmHg di PaCO2 causerà un aumento del flusso ematico del 2-3%. Si presenterà invece vasocostri-
zione in condizioni di ipocapnia, di alcalosi e un aumento della PaO2; in questo caso la vasocostrizione

(78)  Olson D.M., McNett M.M., Lewis L.S., Riemen K.E., Bautista C., Effects of Nursing Interventions on Intracranial Pressure, Am
J Crit Care 2013; 22:431-438.

186
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

provocherà una diminuzione del CBF. Inoltre, i fattori intrinseci possono alterare quelli estrinseci attraverso
cambiamenti dei meccanismi metabolici. Per esempio, potrebbe avvenire un cambiamento del metabo-
lismo da aerobico ad anaerobico, con conseguente aumento delle concentrazioni di acido lattico, acido
piruvico e acido carbonico che determinerà acidosi.
Il Doppler transcranico (TCD) è uno strumento innovativo, flessibile, accessibile per il monitoraggio al
letto del paziente del flusso cerebrale statico e dinamico e la risposta al trattamento. Introdotto da Rune
Aaslid nel 1982, è diventato indispensabile nella pratica clinica. Il principale ostacolo alla penetrazione
ecografia del cranio è l’osso. Vengono utilizzate basse frequenze, 1-2 MHz, che riducono l’attenuazione
dell’onda ultrasonica causata dallo spessore osseo. IL TCD sfrutta finestre acustiche che rappresentano
punti specifici del cranio in cui l’osso è abbastanza sottile da permettere agli ultrasuoni di penetrare. Ci
sono quattro finestre acustiche: trans-temporale, transorbitale, suboccipitale e retromandibolare. L’identi-
ficazione di ogni vaso intracranico si basa sui seguenti elementi: (a) velocità e direzione; (b) la profondità di
cattura del segnale; (c) possibilità di seguire il vaso lungo tutta la sua lunghezza; (d) relazione spaziale con
gli altri vasi e (e) risposta alla compressione della carotide omolaterale e controlaterale. I principali campi
di applicazione clinica del Doppler transcranico sono la valutazione del vasospasmo, l’individuazione di
stenosi delle arterie intracraniche, la valutazione dell’autoregolazione cerebrovascolare, la stima non inva-
siva della pressione intracranica, misura della pressione minima di perfusione e valutazione della morte
cerebrale. La velocità di flusso media è direttamente proporzionale al flusso e inversamente proporzio-
nale alla sezione del vaso. Qualsiasi circostanza che porta ad una variazione di uno di questi fattori può
quindi influenzare velocità media. La condizione patologica principale che interessa la velocità del flusso
è il vasospasmo: quando aumentano le resistenze cerebrovascolari - per esempio in caso di vasospasmo
delle dell’arteria cerebrale media, la velocità sistolica aumenta, mentre la velocità diastolica diminuisce,
portando ad un netto aumento dell’indice di pulsatilità (il rapporto tra la differenza tra flusso sistolico e
diastolico ed il flusso diastolico ). Per questo motivo il TCD viene spesso utilizzato per monitorare l’anda-
mento nel tempo del vasospasmo dopo ESA (79). Il vasospasmo è una complicanza frequente dell’ESA,
rimane spesso clinicamente silente ed i fattori che lo rendono sintomatico sono in gran parte sconosciuti.
Tuttavia una corretta interpretazione dell’indice di pulsatilità è complessa, perché dipende non solo dalle
resistenza cerebrovascolari, ma anche da variabili sistemiche e cerebrali. Il TCD è stato utilizzato anche
per valutare l’autoregolazione cerebrovascolare nei pazienti con trauma cranico e con ESA. Tramite alcune
formule è anche possibile stimare la pressione intracranica con discreta precisione. Il vantaggio principale
del TCD è che non è invasivo e può essere eseguito al letto del paziente. Tuttavia, la qualità del segnale
TCD è operatore-dipendente e la corretta interpretazione richiede una formazione specifica. I segnali rile-
vati tramite TCD possono anche variare nel tempo con la temperatura, la pressione di anidride carbonica
arteriosa ed, in alcune studi, la correlazione con il CBF misurato direttamente è stata deludente (80).
Sono stati fatti tentativi per identificare la perdita della capacità di autoregolazione mediante analisi della
forma d’onda della PIC: la normale forma d’onda ICP ha tre componenti (P1> P2> P3), ma è alterata
quando la pressione aumenta, con un aumento della componente P2 rispetto a P1 (Figura 12); l’ampiez-
za dell’impulso ICP (differenza tra valori sistolici e diastolici) tende anche ad aumentare. Tuttavia, questi
aspetti dipendono anche dalla PPC e dalle proprietà fisiche del sistema di misura, e quindi questo tipo di
lettura del tracciato della PIC deve essere usato con cautela.

(79)  Washington C.W., Zipfel G.J., Detection and monitoring of vasospasm and delayed cerebral ischemia: a review and asses-
sment of the literature, Neurocrit Care 2011, 15:312-317.
(80)  Chieregato A., Sabia G., Tanfani A., Compagnone C., Tagliaferri F., Targa L., Xenon - CT and transcranial Doppler in poor-grade or
complicated aneurysmatic subarachnoid hemorrhage patients undergoing aggressive management of intracranial hypertension,
Intensive Care Med 2006, 32:1143-1150.

187
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

Figura 12 - Tracciato PIC con compliance conservata (superiore) e non conservata (inferiore)
La prima onda, P1, è denominata “onda di percussione” e deriva dalla pressione arteriosa trasmessa al plesso coroideo;
la P2, che corrisponde al secondo picco e varia in ampiezza in base alla compliance cerebrale; l’onda P3 rappresenta
l’“onda dicrotica” ed è data dalla chiusura della valvola aortica

3.3. Ulteriori componenti del monitoraggio multimodale

Oltre ai sistemi di monitoraggio già citati, esistono altri tipi di monitoraggio cerebrale che permettono di
valutare l’ossigenazione a livello tissutale (grazie al controllo della SjVO2, la PBTO2, la NIRS e la microdialisi)
ed infine l’attività elettrica dell’encefalo attraverso l’EEG. In questo paragrafo saranno descritti questi sistemi
di monitoraggio che rendono possibile sia ai medici che agli infermieri, di raccogliere più dati specifici per
determinare lo stato fisiopatologico dell’encefalo.

L’Elettroencefalogramma (EEG) è la registrazione dell’attività elettrica prodotta dall’encefalo; questo produce


correnti elettriche che sono espressione dell’attività propria dei neuroni. I neuroni corticali sono organizzati in
modo da formare ammassi colonnari ad orientamento perpendicolare alla superficie della corteccia cerebra-
le, di cui costituiscono le unità funzionali elementari. L’EEG è l’espressione dei processi sinaptici (potenziali
elettrici pre e post- sinaptici) e dei potenziali dendritici; i potenziali rilevabili tramite EEG sono quelli associati
a correnti all’interno dell’encefalo che fluiscono perpendicolarmente rispetto allo scalpo. Per poter raccoglie-
re le informazioni relative ai potenziali elettrici bisogna applicare degli elettrodi sulla superficie del cranio. I
potenziali cerebrali possono essere raccolti in due metodi differenti:
1. a derivazione monopolare in cui ogni elettrodo è collegato ad un unico elettrodo indifferente (massa)
2. a derivazione bipolare, in cui gli elettrodi attivi sono collegati fra loro a coppie.

La configurazione più utilizzata prevede l’applicazione di 19 elettrodi, in posizione fissa, secondo convenzioni
internazionali (la più conosciuta è la 10-20 in cui la distanza tra gli elettrodi vicini è pari al 10-20% della distan-
za tra alcuni punti di repere esterni della superficie del cranio).

Gli elettrodi vengono poi accoppiati in varie combinazioni che garantiscono di esplorare l’intera superficie
cerebrale.

Il tracciato EEG è costituito da oscillazioni singole in successione continua. Una successione continua di
onde alla stessa frequenza viene definita ritmo; se ne distinguono quattro: il ritmo Alfa ( frequenza compresa
tra gli 8 e i 13 Hz), il ritmo Beta (frequenza superiore ai 13 Hz), il ritmo Tetha (frequenza compresa tra i 4 e 7
Hz) ed infine il ritmo Delta (frequenza inferiore ai 4 Hz).

188
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

L’EEG di un soggetto normale varia principalmente in relazione all’età ed al livello di vigilanza: minore è l’età
e il livello di vigilanza maggiore è l’incidenza dei ritmi lenti. L’EEG è un semplice strumento di monitoraggio,
pertanto nessuna malattia cerebrale può essere diagnosticata solo in base al tracciato EEG. Il test assume
valore diagnostico solo quando è accompagnato da un dettagliato quadro clinico in quanto più malattie
possono presentare il medesimo tracciato. È anche usato per monitorare gli attacchi epilettici non con-
vulsivi e per la diagnosi di morte cerebrale. Molto promettente appare l’utilizzo di sistemi di monitoraggio
quali-quantitativi tramite elaborazione algoritmica delle forme d’onda EEG rilevate con un numero ridotto di
elettrodi e convertite in un valore numerico che è molto utile soprattutto per il monitoraggio della sedazione
(ad esempio quando si ricerchi la Burst suppression - soppressione dei potenziali di azione): ne è un esempio
il monitor BIS (Indice Bispettrale) che con elettrodi frontali restituisce un valore da 100 (paziente completa-
mente sveglio) a 0 (morte encefalica) la cui applicazione si sta diffondendo anche se ad oggi mancano dati
certi sull’affidabilità di questo tipo di monitoraggio. Oggigiorno è anche utilizzato il monitoraggio dei PES
(Potenziali evocati somato-sensoriali) il quale può procurare dati importanti per la funzione cerebrale in caso
di trauma cranico severo, analizzando l’integrità funzionali delle vie afferenti sensitive somatiche; tuttavia il
suo utilizzo è limitato nella gestione iniziale del paziente con tale patologia.

La saturazione venosa cerebrale (SjVO2 Jugular bulb venous oxygen saturation): è un indicatore sia dell’ossige-
nazione cerebrale sia del metabolismo cerebrale, riflettendo il rapporto tra flusso ematico cerebrale e il tasso
metabolico cerebrale dell’ossigeno (CMRO2). Per il monitoraggio del SjVO2 è utilizzato un catetere all’interno della
vena giugulare interna; esso è posizionato a livello del bulbo giugulare o a livello della seconda vertebra cerebrale
(C2). Il sangue può essere prelevato in modo intermittente oppure può essere monitorizzato continuamente at-
traverso un catetere a fibre ottiche. Il valore standard del SjVO2 , in un soggetto sano e sveglio, è del 62% con un
range tra il 55% e il 71%; una desaturazione venosa al di sotto del 50% è segno di un’ischemia e quindi il paziente
necessita di trattamenti tempestivi. Nei traumi cranici, la desaturazione venosa giugulare è spesso associata ad
una riduzione del flusso ematico cerebrale causata da ipotensione arteriosa, ipertensione endocranica o vaso-
spasmo o per una vasocostrizione cerebrale associato ad ipocapnia. Ricerche hanno verificato che una riduzione
della saturazione venosa al di sotto del 50% è un fattore di rischio per esiti e prognosi non positivi (81). Inoltre il
monitoraggio del SjVO2 è essenziale per valutare il tipo di ventilazione da eseguire durante procedure mediche o
per confermare la diagnosi di ipertensione endocranica. Tuttavia si precisa che i benefici che si possono trarre da
questo tipo di monitoraggio non sono stati confermati da uno studio controllato randomizzato.

Sia il monitoraggio del SjVO2 che del PbtO2 misurano (PbtO2 Brain tissue oxygen tension) l’ossigenazione
cerebrale ma il primo quantifica l’ossigenazione cerebrale globale, il secondo rileva l’ossigenazione cerebrale
focale utilizzando una sonda intracerebrale. Ove disponibile questa tecnologia sta soppiantando la SjVO2.

È stato documentato che le misure del PbtO2 rappresentano il prodotto del flusso ematico cerebrale e
della pressione di ossigeno arterovenosa piuttosto che una misura diretta del rilascio totale dell’ossigeno o
dell’ossigenazione cerebrale (82). Il PbtO2 è la tecnica più affidabile per monitorare l’ossigenazione cerebrale
focale per prevenire episodi di desaturazione; tuttavia alterazioni dell’ossigenazione cerebrale globale posso-
no non essere rilevate. Il range normale del PbtO2 è fra i 25 mmHg e i 40 mmHg; un valore del PbtO2 minore
dei 15 mmHg è considerato il valore soglia per un’ischemia cerebrale focale e quindi il paziente necessita
trattamenti. Molti studi hanno dimostrato che la terapia basata sul monitoraggio e valutazione del valore del
PbtO2 potrebbe essere associata ad una riduzione della mortalità e ad un miglioramento degli esiti a segui-
to di un trauma cranico (83). In un altro studio è stato comparato, in termini di esiti dello stato di salute dei

(81)  Robertson C.S., Gopinath S.P., Goodman J.C., Contant C.F., Valadka A.B., Narayan R.K., SjVO2 monitoring in head-injured patients,
J Neurotrauma 1995 12:891-6.
(82)  Rosenthal G., Hemphill J.C., Sorani M., Martin C., Morabito D., Obrist W.D., Manley G.T., Brain tissue oxygen tension is more
indicative of oxygen diffusion than oxygen delivery and metabolism in patients with traumatic brain injury, Crit Care Med 2008
36(6):1917-24.
(83)  Spiotta A.M., Stiefel M.F., Gracias V.H., Garuffe A.M., Kofke W.A., Maloney-Wilensky E. et al., Brian tissue oxygen-directed

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Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO

pazienti, l’efficacia delle terapie somministrate in base al monitoraggio del PbtO2 e in base al monitoraggio
della PIC/PPC: è risultato che i pazienti che hanno ricevuto trattamenti basati sui valori del PbtO2 hanno avuto
esiti positivi nel 62,2% mentre con i trattamenti guidati esclusivamente dal monitoraggio della PIC/PPC sono
stati rilevati esiti favorevoli nel 41,9%: questi risultati rendono evidente che un monitoraggio della PIC/PPC
associato al monitoraggio del PbtO2 comporta benefici maggiori rispetto che un classico approccio di solo
monitoraggio della PIC e della PPC (84). Questo tipo di monitoraggio è capace di eseguire un trattamento te-
rapeutico che potrebbe migliorare le condizioni e gli esiti dei pazienti con trauma cranico. È stato documen-
tato che il PbtO2 risulta più accurato del monitoraggio del SjVO2. Il determinante maggiore dell’affidabilità di
questo tipo di monitoraggio che è molto diffuso nelle UTI è il posizionamento della sonda (solitamente nella
sostanza bianca) e la prossimità con eventuali lesioni focali.

La Spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS Near Infrared Spectroscopy): è un monitoraggio continuo, di-
retto e non invasivo che consente di stimare l’ossigenazione cerebrale e del volume ematico cerebrale.
Nel tessuto cerebrale sono presenti due principali gruppi di atomi capaci di conferire una colorazione ad
una sostanza e quindi capaci di assorbire un fascio di luce che sono precisamente l’emoglobina (Hb) e il
citocromo ossidasi. La NIRS si basa sulle differenti proprietà di assorbimento di questi ultimi. Il range degli
infrarossi della NIRS vanno da 700 a 1000 nm; a 760 nm, l’emoglobina è deossigenata, mentre intorno ai 850
nm l’emoglobina captata è legata all’ossigeno. Quindi il livello della deossigenazione dei tessuti è valutato
attraverso la differenza di assorbimento fra le due lunghezze d’onda. In confronto al monitoraggio del SjVO2,
la NIRS è meno accurata per valutare l’ossigenazione cerebrale.

La Microdialisi cerebrale (CMD) prevede l’inserimento di un catetere con una punta rivestita da una membrana
semipermeabile (solitamente con un cutoff 20 kDa) nel parenchima cerebrale. Il catetere CMD è costante-
mente perfuso grazie a un microinfusore di precisione, consentendo in tal modo prelievi regolari di campioni
di liquido extracellulare del cervello del paziente. Il campionamento è limitato alla zona di tessuto interstiziale
intorno al catetere, misurando quindi il metabolismo cerebrale regionale. Normalmente, il catetere della micro-
dialisi è inserito in una zona del tessuto cerebrale “sensibile” per misurare i cambiamenti bio-chimici nell’area
dell’encefalo che è più vulnerabile a lesioni secondarie. Sono possibili diverse misurazioni per quantificare
le concentrazioni nel dialisato del glucosio, lattato, piruvato, glicerolo e glutammato. Precisamente, l’ipossia
cerebrale o l’ischemia provoca un forte aumento del lattato e di conseguenza, poiché si è in presenza di un
ambiente anaerobico è presente il piruvato; poiché i livelli di questi due componenti sono fisiologicamente
“fluttuanti” viene preso come indicatore il rapporto fra le concentrazioni del lattato e del piruvato detto anche
LPR (Lactate to Piruvate Ratio). Nella pratica clinica, il rilievo di un elevato rapporto lattato/piruvato e di bassi
valori di glucosio è considerato come un segnale di attenzione per una possibile ischemia/ipossia cerebrale.

Sempre dal punto di vista clinico i valori assoluti misurati sono importanti, ma il trend nel corso del tempo
può fornire informazioni più utili. Recentemente, la CMD è stata utilizzata per determinare il livello ‘ottimale’
della glicemia durante la terapia insulinica e, se utilizzato in combinazione con PbtO2, il monitoraggio CMD ha
una potenziale utilità clinica per ottimizzare i valori di PAM/PPC e la concentrazione di emoglobina nel sangue
al fine di migliorare perfusione e ossigenazione cerebrale (85).

È importante ribadire che il monitoraggio invasivo della pressione intracranica rimane il più affidabile e sicuro;
di tutti i metodi non invasivi la misura del diametro del nervo ottico attraverso ultrasuoni o doppler è definito
come il più promettente.

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(84)  Nangunooru R., Maloney-Wilensky E., Stiefel M., Park S., Andrew Kofke W., Levine J.M. et al., Brain tissue oxygen-based the-
rapy and outcome after severe traumatic brain injury: a sistemic literature review, Neurocrit care 2012 17: 131-8.
(85)  Cecil S., Chen P.M., Callaway S.E., Rowland S.M., Adler D.E., Chen J.W., Traumatic brain injury advanced multimodal neuromo-
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