in Area Critica
Quaderni dell’Assistenza in Area Critica
A cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton
GUIDA AL MONITORAGGIO
IN AREA CRITICA
Quaderni dell’Assistenza
in Area Critica
A cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton
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A CURA DI:
Maria Benetton
Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto
Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di
numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
HANNO COLLABORATO:
Stefano Bambi
Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria “Careggi” di Firenze. Master I livello in Infermieristica
in anestesia e terapia intensiva, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Dottorando di
ricerca in scienze infermieristiche presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha lavorato in Pronto Soccorso,
attualmente in Terapia Intensiva di emergenza e del trauma. Impegnato nella formazione universitaria in corsi
infermieristici di base e post base. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali.
Irene Comisso
Infermiera presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine alla Clinica di Anestesia e Rianimazione; Dot-
tore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche; Tutor clinico e didattico presso il Corso di Laurea
in Infermieristica dell’Università di Udine, con responsabilità di programmazione e gestione dei tirocini in
Terapia intensiva e come coordinatore delle mobilità internazionali nell’ambito del programma Erasmus. Ha
collaborato in qualità di tutor e di vice-coordinatore al Master in Infermieristica di Area Critica dell’Università
degli Studi di Udine.
Andrea Gafforelli
Infermiere presso Ente Ospedaliero Cantonale, Lugano, in Servizio di Anestesia. Master I livello in “Scienze
infermieristiche di Anestesia e Terapia intensiva”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, specializzando al
secondo anno di anestesia presso la scuola specializzata superiore in cure infermieristiche, Lugano.
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AUTORI
Alberto Lucchini
Infermiere coordinatore presso Azienda Ospedaliera S. Gerardo Monza – Università degli Studi di Milano-
Bicocca in Terapia Intensiva Generale. Coordinatore dell’attività didattica e professore a contratto del Master
di I livello in “Scienze infermieristiche di Anestesia e Terapia intensiva”, Università degli Studi di Milano-Bi-
cocca. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo
di Aniarti.
Enrico Lumini
Infermiere formatore staff aziendale della formazione universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria
Careggi di Firenze. Master in infermieristica in anestesia, cure intensive e palliative, Dottore Magistrale in
scienze infermieristiche, dottore di ricerca. Ha lavorato per circa 10 anni in Dipartimento di Emergenza e
complessivamente 8 anni tra degenza neurochirurgica e sala operatoria di Neurochirurgia. Dal 2000 Docente
a contratto per l’Università degli Studi di Firenze dove insegna Infermieristica Clinica in area critica e meto-
dologia della ricerca. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali.
Elisa Mazzoni
Infermiera, ha conseguito la Laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi
di approfondimento sul monitoraggio del paziente in Neurorianimazione ed ha progettato un trial clinico per
misurare gli effetti delle manovre infermieristiche sul paziente neuroleso.
Chiara Peduto
Infermiera con perfezionamento in Medicina Tropicale e Cooperazione Internazionale. Ha lavorato per circa 2
anni in Pronto Soccorso, attualmente presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi (Firenze) in Terapia
Intensiva di Emergenza e del Trauma da 9 anni; due esperienze di cooperazione internazionale presso il Sa-
lam Centre for CardiacSurgery in Khartoum (Sudan) con la ONG Emergency. Referente dal 2009 dei Supporti
extra-corporei alla funzionalità respiratoria e cardiaca (ECMO, ECLS) in Terapia Intensiva. Dal 2007 impegnata
nella formazione nei corsi di Advanced Life Support(ALS) e Basic Life Support and Defibrillation(BLS-D) per
l’istituto Italian Resuscitation Council.
Laura Rasero
Professore Associato dell’Università degli Studi di Firenze in Scienze Infermieristiche generali, Cliniche e Pe-
diatriche (MED45). Attività clinica infermieristica in area oncoematologica dal 1998 al 2005 presso l’Azienda
Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. Ha partecipato, in qualità di responsabile co-investigatore, a nu-
merosi studi clinici controllati, condotti secondo le GoodClinicalPractices, sia monocentrici che multicentrici
Ha partecipato come componente invitato a numerosi gruppi di lavoro sia Italiani che Regionali. È autore/
coautore di oltre 90 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali tra abstract, articoli originali, libri e ca-
pitoli di libro. È Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche e referente
del Dottorato di ricerca ad indirizzo infermieristico dell’Università degli Studi di Firenze.
Daria Valsecchi
Infermiera presso Azienda Ospedaliera Manzoni-Lecco in UOS Pronto Soccorso. Master I livello in “ Scienze
infermieristi.
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SOMMARIO
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SOMMARIO
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Introduzione
Perché una monografia
sul monitoraggio. Il progetto Aniarti
“Quaderni dell’Assistenza in Area Critica”
Maria Benetton, Gian Domenico Giusti
Per il Congresso Nazionale Aniarti (Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica) 2013 progettammo come
dono ai nuovi iscritti, il primo Quaderno dell’Assistenza, una monografia dedicata alle migliori prove di efficacia
sulla cura del corpo in area critica. È stata una scelta felice e quel successo ci ha portato alla decisione di
continuare il Progetto “Quaderni dell’Assistenza in Area Critica” affrontando ogni anno una tematica diversa.
Quest’anno abbiamo deciso per “Il monitoraggio in Area Critica”. Perchè questa scelta, apparentemente
banale?
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area inten-
siva in cui opera. Verrebbe da dire che non esiste area critica senza monitoraggio intensivo.
Il monitoraggio non serve per curare, ma fornisce informazioni che permettono o favoriscono la decisione
assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica. Rilevando continuamente i dati si riducono i possibili rischi
o complicanze cliniche. Il monitoraggio intensivo, e spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida
formidabile per gli infermieri ed i medici nella cura dei loro malati.
La letteratura conferma che gli eventi avversi, e tra loro il peggiore ed infausto cioè l’arresto cardiocircola-
torio, non sono improvvisi ma vengono annunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore
precedenti (Hodgetts 2002, Krause 2004, Harrison 2005); ma se questi non vengono monitorizzati, il campa-
nello d’allarme per un pronto intervento al momento giusto, rimane inascoltato.
Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente
l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità. E quindi chiaro quanto sia
determinante il ruolo dell’infermiere, sia per quanto riguarda la precisione, accuratezza, perizia nell’uso di
strumentazione, ma soprattutto nella perfetta conoscenza ed interpretazione dei paramentri rilevati, rispetto
la situazione, per rispondere tempestivamente al deterioramento clinico del paziente.
La capacità di gestire la tecnologia è una componente fondamentale e di routine quotidiana per un infermiere
di area critica. Ma ciò che qualifica l’infermiere come “competente” è il non perdere di vista il paziente a favore
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Introduzione
PERCHÉ UNA MONOGRAFIA SUL MONITORAGGIO
della tecnologia. L’uomo non è l’appendice della macchina ma ben il contrario, l’attrezzatura è collaterale alla cura.
Questo è un rischio facile e frequente negli infermieri novizi ma quando c’è una maggiore familiarità e padronanza
con l’attrezzatura, l’enfasi lascia il posto all’esperienza e alla consapevolezza dell’esperto, la cui assistenza sarà
più incentrata sul paziente e non sulla macchina (Benner, 1992; Cooper 1993; Walter 1995; Alasad, 2002).
L’impiego del monitoraggio strumentale standard non esime dalla continua osservazione clinica del paziente
(SIIARTI, 2012). Il senso di sicurezza della tecnologia, derivata dall’uso del monitoraggio, va compensato con
l’osservazione diretta e il dubbio, espressione della competenza ed esperienza clinica. È necessario equilibrare
la tecnologia con cura integrata e globale e armonizzare i segni oggettivi monitorati con la percezione soggettiva
del clinico. Guardare oltre la tecnologia per non perdere la capacità di interpretare. Negli ambienti intensivi, ricchi
tecnologicamente, gli operatori sanitari “fondono” pazienti e apparecchi in un quadro clinico (Almeruda; 2008).
Questo “Quaderno dell’Assistenza in Area Critica” nasce anche con l’intento di aiutare gli infermieri novizi
o inesperti a comprendere le modalità di monitoraggio dei più importanti paramentri vitali, acquisendo un
corpo sistematico di conoscenze da utilizzare per avere un elevato livello di competenza tecnica; ma è rivolto
anche al personale più esperto per verificare le proprie conoscenze, aggiornare i propri saperi, porsi “spunti
di riflessione” per l’attività che sta svolgendo. Il testo costruito da infermieri che attraverso l’esperienza nella
clinica si dedicano alla ricerca, alla formazione, all’aggiornamento, tratterà alcuni capisaldi del monitoraggio
senza la presunzione di esaustività. Dopo un breve approfondimento sul rapporto tra assistito, professioni-
sta e monitoraggio, verrà trattato il monitoraggio cardiologico ed emodinamico, quello respiratorio e quello
neurologico. Il monitoraggio permette di controllare la persona con maggiore sicurezza rispetto agli standard
assistenziali di alcuni anni fa, ma occorre non dimenticare che una visione esclusiva e troppo sicura sull’ap-
parecchiatura rende il malato invisibile e a rischio (Almerud et al., 2008).
BIBLIOGRAFIA
Alasad J. (2002), Managing technology in the intensive care unit: the nurses’ experience, Int J Nurs Stud; 39:407-413.
Almerud S., Alapack R.J., Fridlund B, Ekebergh M. (2007),Of vigilance and invisibility-being a patient in technological
intense environments, Nurs Crit Care; 13(3):151-8.
Almerud S., Alapackb R.J., Fridlunda B., Ekeberghc M. (2008), Caught in an artificial split: A phenomenological study
of being a caregiver in the technologically intense environment, Intensive Crit Care Nurs; 24:130-136.
Benner P., Tanner C., Chesla C. (1992), From beginner to expert: gaining a differentiated clinical world in critical care
nursing, ANS Adv Nurs Sci; 14 (3):13-28.
Cooper M., (1993), The intersection of technology and care in the ICU, ANS Adv Nurs Sci; 15 (3): 23-32.
Gruppo di Studio SIAARTI per la Sicurezza in Anestesia, Standard per il monitoraggio in anestesia, (2012), [online]
http://www.siaarti.it/corsi-patrocini/linee-guida-raccomandazioni/ (ultimo accesso 25/8/2014).
Harrison G.A., Jacques T.C., Kilborn G., McLaws M.L. (2005), The prevalence of recordings of the signs of critical
conditions and emergency responses in hospital wards--the SOCCER study, Resuscitation; 65(2):149-57.
Hodgetts T.J., Kenward G., Vlachonikolis I., Payne S., Castle N., Crouch R., Inneson N., Shaikh L. (2002), Incidence, loca-
tion and reasons for avoidable in-hospital cardiac arrest in a district general hospital, Resuscitation; 54(2):115-23.
Kause J., Smith G., Prytherch D., Parr M., Flabouris A., Hillman K. (2004), Intensive Care Society (UK); Australian and
New Zealand Intensive Care Society Clinical Trials Group, A comparison of antecedents to cardiac arrests, deaths
and emergency intensive care admissions in Australia and New Zealand, and the United Kingdom-the ACADE-
MIA study, Resuscitation;62(3):275-82.
Walter A. (1995), A heideggarian hermeneutic study of the practice of critical care nurses, J Adv Nurs; 21:492-497.
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Capitolo I
L’importanza del monitoraggio.
L’infermiere tra la persona
e la tecnologia
Gian Domenico Giusti, Maria Benetton
Il termine “Critical Care Medicine” è stato introdotto alla fine del 1950 all’Università Southern California (USC),
dal concetto di immediato pericolo di vita per alcune tipologie di pazienti, i quali possono avere migliori pos-
sibilità di sopravvivenza se assistiti costantemente in reparti ospedalieri ad alta tecnologia (con monitoraggio
continuo dei segni vitali, dei parametri emodinamici, respiratori, neurologici…), con una nuova generazione di
medici specialisti dedicati, infermieri e vari altri professionisti specializzati nelle cure intensive(Ristagno & Weil
2009) (fig. 1). Da allora il miglioramento nella gestione di questi pazienti, è stato accelerato dalla crescita del
progresso delle tecnologie che possono essere impiegate, non soltanto in contesti ospedalieri, ma sostanzial-
mente in qualunque luogo la persona si trovi in situazioni di instabilità e/o criticità vitale (Silvestri, 1990).
Una disciplina in così rapido movimento, ha bisogno di continui aggiornamenti da parte del personale, per acqui-
sire nuove conoscenze e competenze garantendo lo “stato dell’arte” necessario al mantenimento della corretta
assistenza alla persone (Alasad, 2002). La teoria è un potente strumento di spiegazione e predizione; essa dà
forma ai quesiti e consente l’esame sistematico di una serie di eventi (Benner, 2005); l’utilizzo del monitoraggio
è vincolato ad alcune conoscenze teoriche che comprendono la gestione dello strumento, la corretta rilevazione
e registrazione dei parametri, la giusta interpretazione; la natura scientifica della professione infermieristica,
necessita di acquisire un corpo sistematico di conoscenze e un elevato livello di competenza tecnica.
Il monitoraggio dei parametri vitali è sempre più presente nelle attività assistenziali e le persone ricoverate
negli ospedali per acuti richiedono una grande quantità di distinte attività specialistiche di cui gli infermieri
sono tra gli attori principali. Soprattutto se il paziente ha un’alta intensità assistenziale e si trova ricoverato
in setting di Area Critica queste attività diventano molto complesse; quotidianamente l’infermiere utilizza
autonomamente o in collaborazione con altre professioni, una serie di dispositivi che offrono il monitoraggio
dei parametri vitali (monitor), il sostegno delle funzioni vitali (ventilatori automatici, sistemi di emodialisi,
sistemi di assistenza circolatoria esterna), management di farmaci e nutrienti (pompe infusionali) e devices
per specifiche funzioni (sistemi di raffreddamento/riscaldamento dei pazienti, defibrillatori, pace-makers…).
Il risultato della continua ricerca e sviluppo di tecnologie, fanno si che ci sia una rapida evoluzione nella cura dei
pazienti, ed un aumento degli stessi con un elevata complessità; l’effetto di un ambiente ospedaliero in rapida
evoluzione con veloci modifiche e complesse valutazioni può portare incertezza nel personale per lo svolgimento
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Capitolo I
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO. L’INFERMIERE TRA LA PERSONA E LA TECNOLOGIA
di pratiche non routinarie (non-routinesess), svolte in modo non sicuro per mancanza di adeguata formazione e
training (well-established). L’incertezza delle condizioni dei pazienti critici fanno sì che i loro bisogni non possano
essere facilmente previsti, ed i dispositivi non possano essere facilmente adattati a queste esigenze; l’aumento
del numero e della complessità della tecnologia, e quindi del monitoraggio, sono in grado di generare errori che
a volte nascono dall’agire con troppa sicurezza la quale abbassa la soglia di attenzione verso il rischio.
Tuttavia la tecnologia può fornire una serie di risposte che aiutano l’incertezza dei professionisti, offrendo
soluzioni a molti problemi e facilitando la pratica infermieristica.
In quest’epoca dove c’è un simbiotico rapporto tra la tecnologia e la cura, le Aree Critiche (nell’accezione struttu-
rale di Terapie Intensive, servizi di emergenza intra/extraospedalieri…) rispecchiano questa simbiosi (Almerud et
al., 2008); la tecnologia è incorporata nella cura dei pazienti e le terapie intensive si basano molto sulla tecnologia.
Allo stesso tempo gli infermieri che assistono persone in Area Critica devono prendersi cura dei bisogni
psicosociali sia dell’assistito che della famiglia, considerando il caring come obiettivo del nursing.
I termini care e caring stanno diventando dei sinonimi interscambiabili del termine nursing e, sempre più
frequentemente, “prendersi cura” (caring) diventa sinonimo di “assistenza infermieristica” (nursing) (Cunico
& Saiani, 2011); il caring è una pratica che si realizza attraverso azioni competenti e disponibilità ad occuparsi
intenzionalmente della persona assistita.
Il nursing è una professione pratica che fornisce attività di assistenza e di supporto, ed accanto ad una di-
mensione visibile del caring, fatta di azioni (mobilizzazione del paziente, gestione di accessi vascolari, inseri-
mento di sonde e cateteri…), ce n’è una molto più estesa ma poco visibile, fatta di pensieri, valori, emozioni
di difficile definizione. Tra i principi del caring c’è la vigilanza che è l’essenza del prendersi cura nell’infermie-
ristica; questa è una competenza intellettuale che si sviluppa con l’esperienza dopo un’attenta formazione.
La vigilanza è un processo complesso, che nel monitoraggio dei parametri vitali, trova la sua massima
espressione; si costituisce di quattro componenti: attribuire significato a ciò che è e si fa, prevedere gli eventi
e calcolare il rischio della situazione, prontezza ad agire in modo appropriato, monitorare i risultati.
• Attribuire significato agli eventi significa interpretare quello che è stato visto, sentito, registrato; questo
per permettere di decidere quando intervenire e quando quello rilevato rientra nella normalità. Attribuire
significato permette al professionista esperto anche di differenziare i segnali significativi da quelli poco
rilevanti (falsi allarmi).
• Prevedere gli eventi e calcolare il rischio situazionale rappresenta la capacità logica di mettere in sequenza
gli eventi/segnali per cercare di capire come sta evolvendo la situazione, cercando di bilanciare le proprie
azioni calcolando il giusto rischio/beneficio.
• Prontezza ad agire in modo appropriato è collegata al calcolo del rischio; questa espressione descrive la
capacità di prepararsi già ad un eventuale complicanza che si può verificare (per esempio la preparazione
del materiale per la procedura di intubazione oro tracheale, prima di procedere all’estubazione program-
mata di un paziente).
• Monitoraggio dei risultati è il risultato delle azioni combinate da più professionisti; essendo l’infermiere
la figura professionale sempre presente accanto alla persona assistita, è suo compito registrare i risultati
degli interventi assistenziali intrapresi anche da altri professionisti, per poi valutarne i risultati i pianificare
il percorso terapeutico/assistenziale.
La conoscenza clinica si acquisisce con il tempo e frequentemente accade che i professionisti della salute
stessi non siano consapevoli dei miglioramenti che hanno ottenuto, ma questi sono evidenti quando anche
piccole modifiche fisiologiche nella situazione clinica di un assistito, vengono interpretate correttamente.
La padronanza percettiva dipende dal contesto, certe modificazioni sottili acquistano significato solo alla
luce della storia precedente e della situazione attuale del paziente. Questa competenza, detta “abilità del
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Capitolo I
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO. L’INFERMIERE TRA LA PERSONA E LA TECNOLOGIA
conoscitore”, è un aspetto della conoscenza clinica spesso trascurato in favore dell’impegno ad apprendere
le ultime procedure tecnologiche. L’attenzione eccessiva all’imparare l’uso di nuove tecnologie diminuisce
l’attenzione per l’acquisizione in profondità della capacità di giudizio clinico (Benner, 2005).
Comunque bisogna tenere presente che la tecnologia è una parte inscindibile del processo di cura per i
pazienti in criticità vitale, la conoscenza delle giuste abilità permette di garantire “cure di qualità” alla cui
base ci sono buone conoscenze teoriche, abilità pratiche e competenze relazionali, ed il giusto mix tra questi
componenti è fondamentale nelle professioni sanitarie.
BIBLIOGRAFIA
Alasad J. (2002), Managing technology in the intensive care unit: the nurses’ experience, Int J Nurs Stud 39, 407–413.
Almerud S., Alapack R.J., Fridlund B., Ekebergh M. (2008), Caught in an artificial split: A phenomenological study of
being a caregiver in the technologically intense environment, Intensive Crit Care Nurs 24, 130–136.
Benner P. (2005), L’eccellenza nella pratica clinica dell’infermiere, Ed. McGraw-Hill, Milano.
Cunico L., Saiani L., Caring Infermieristico, In Saiani L., Brugnolli A. (2011), Trattato di Cure Infermieristiche, Casa Ed.
Sorbona, Napoli.
Ristagno G., Weil M.H. (2009), History of Critical Care Medicine: The past, the present and the future, in Gullo A.,
Besso J., Lumb P.D., Williams G., Intensive and Critical care Medicine, Springer, Milano.
Silvestri C., Il concetto di Area Critica, Atti Covegno Aniarti, Regione Lombardia, 1990.
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Capitolo II
Il monitoraggio emodinamico
Irene Comisso
Il monitoraggio emodinamico (ME) è costituito dall’insieme di sistemi utilizzati nel paziente critico per la
rilevazione della funzione cardiovascolare del paziente. Nei pazienti critici, il monitoraggio emodinamico ha
lo scopo di consentire la valutazione delle funzionalità cardiovascolare (e quindi di individuare condizioni
di stabilità/instabilità, di diagnosticare situazioni patologiche e di consentire la diagnosi differenziale tra
diverse situazioni di malattia), di intercettare tempestivamente variazioni della stabilità clinica, di valutare
l’efficacia delle terapie farmacologiche e non utilizzate. La varietà di tecnologie di monitoraggio è note-
volmente aumentata negli ultimi decenni, e ha reso disponibili informazioni che prima erano ottenibili
solo con sistemi complessi, spesso gravati nel loro utilizzo da elevati rischi per il paziente. L’impiego di
nuove tecnologie di monitoraggio deve sempre tenere conto di quelle che sono le condizioni cliniche del
paziente (e quindi dell’appropriatezza di utilizzo), e dell’expertise degli operatori (medici e infermieri) nel
posizionamento e gestione dei devices, e soprattutto nell’ottenimento e interpretazione dei dati. Recente-
mente sono stati proposti degli step di implementazione dei sistemi di monitoraggio in terapia intensiva,
rappresentati da:
Va inoltre sottolineata l’importanza e diffusione crescente delle metodiche di valutazione ecografica (tran-
storacica e transesofagea), impiegate per la visualizzazione in tempo reale delle condizioni cinetiche e di
riempimento del muscolo cardiaco.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
• complessità dei dati forniti; in tal senso, i sistemi di monitoraggio vengono descritti come “di base”
(ovvero destinati a tutti i pazienti critici) e avanzati (ovvero, utilizzati solo in situazioni selezionate). Tra i
monitoraggi di base vengono generalmente annoverati l’elettrocardiogramma, la saturazione periferica di
ossigeno, la pressione arteriosa (generalmente cruenta) e la temperatura corporea (rilevata con sonde
cutanee o termistori vescicali); nei pazienti intubati, viene ormai considerato un monitoraggio di base
imprescindibile anche quello della CO2 di fine espirio;
• continuità delle rilevazioni; in tal senso, i sistemi di monitoraggio possono essere descritti come continui,
semicontinui o intermittenti. I monitoraggi continui o semicontinui non richiedono generalmente l’attua-
zione di particolari manovre da parte degli operatori (se non la taratura dei sistemi a intervalli di tempo
prestabiliti); quelli intermittenti comportano la necessità di attivare specifici comandi o di effettuare mano-
vre (ad esempio, la termodiluizione per la rilevazione della gittata cardiaca).
Poiché il ME (così come gli altri sistemi di monitoraggio) ha tra le sue funzioni quella di guidare le scelte
diagnostiche e terapeutiche, è essenziale che i sistemi utilizzati abbiano caratteristiche di elevata affidabilità,
ovvero che i dati ottenuti mediante essi riproducano con il massimo livello di precisione possibile la situazio-
ne reale del paziente. Si richiamano a tale proposito i seguenti concetti:
• affidabilità, legata alla riproducibilità del risultato utilizzando lo stesso metodo o con metodi diversi
• accuratezza, legata alla riduzione dell’errore sistematico nei sistemi di misurazione;
• precisione, legata alla riduzione dell’errore casuale nei sistemi di misurazione.
1. IL MONITORAGGIO ELETTROCARDIOGRAFICO
Il ciclo cardiaco si compone di una fase sistolica e una diastolica, che si alternano a livello di atrio e
ventricolo consentendo riempimento e svuotamento della camere cardiache. Essa ha inizio con la gene-
razione di un impulso elettrico a livello del nodo seno-atriale (localizzato nell’atrio destro), che viene poi
diffuso al nodo atrio-ventricolare, e di qui, tramite il sistema di conduzione, alle fibre di Purkinjie, a livello
ventricolare.
13
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
L’interpretazione del tracciato elettrocardiografico richiede abilità complesse. Quando si osserva un tracciato ECG
è possibile visualizzare una linea orizzontale (tra le onde), definita come linea di base. Le onde al di sopra di que-
sta linea sono convenzionalmente positive, quelle al di sotto negative (tale convenzione però non ha a che fare
con le differenze di potenziale che si instaurano a livello cellulare). Il tracciato ECG si avvale della lettura dell’attivi-
tà elettrica in 12 derivazioni, classificate come bipolari e unipolari, a seconda che utilizzino un solo elettrodo o due.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Le derivazioni bipolari creano un impulso basato su informazioni provenienti da due lati opposti. Le derivazio-
ni unipolari si avvalgono invece di un unico elettrodo registrante e di un elettrodo indifferente.
Le derivazioni bipolari (I, II e III) sono quelle rappresentate nel triangolo di Einthoven, e si avvalgono dell’uso
di tre elettrodi (su spalla destra, spalla sinistra e gamba sinistra). La linea di congiungimento tra il punto di
applicazione di due elettrodi viene definita linea di derivazione.
Nella derivazione I l’elettrodo positivo è posto sulla spalla sinistra, quello negativo sulla spalla destra; nella
derivazione II l’elettrodo positivo è posto sulla spalla destra, quello positivo sulla gamba sinistra; nella deriva-
zione III l’elettrodo positivo è posto sul braccio sinistro, quello negativo sulla gamba sinistra.
Alle derivazioni originarie del triangolo di Einthoven, sono state aggiunte tre derivazioni unipolari utilizzando
gli elettrodi posti su spalla destra e sinistra e piede (gamba) destra, e utilizzando come elettrodo di riferi-
mento la bisettrice della linea di giunzione tra gli altri due elettrodi del triangolo. Le tre derivazioni che di
ottengono sono chiamate:
• Vfoot (Vf): elettrodo esplorante posto sul piede (gamba); elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione delle spalle;
• Vright (Vr): elettrodo esplorante posto sulla spalla destra; elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione tra spalla sinistra e piede;
• Vleft (Vl): elettrodo esplorante posto sulla spalla sinistra; elettrodo di riferimento alla bisettrice del punto
di giunzione tra spalla destra e piede.
Convenzionalmente, i valori ottenuti su queste derivazioni vengono amplificati (si parla pertanto di AVr, AVf, AVl );
a queste derivazioni ne sono poi state aggiunte altre sei (precordiali, unipolari), che visualizzano l’attività elettrica
cardiaca non su un piano frontale ma sagittale (comprendente la parete anteriore del cuore e il lato sinistro).
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Nel caso, invece, di un’asistolia, si è in completa assenza di frequenza cardiaca; al tracciato ECG non si
riscontra nessun ritmo, e non sono visibili complessi QRS. Possono essere presenti onde P (se il nodo seno-
atriale funziona) non seguite da complessi QRS; in questo caso si parla di silenzio ventricolare, o asistolia
ventricolare. I protocolli di rianimazione cardiopolmonare prevedono la contemporanea valutazione di attività
elettrica e della presenza di un polso centrale; se sono entrambe assenti, ci si trova in una condizione di
asistolia, mentre se è presente solo attività elettrica si parla di attività elettrica senza polso (PEA - Pulseless
Electrical Activity). In entrambi i casi, sarà necessario procedere con manovre rianimatorie (massaggio car-
diaco esterno).
Normalmente, la velocità di scorrimento della carta millimetrata su cui viene stampato un tracciato ECG è
di 25 mm/s; questo comporta che ogni mm corrisponde a 0.04 s; un tratto di 5mm equivale a 0.2 s. La fre-
quenza cardiaca viene misurata come numero di onde R in un minuto.
Il ritmo cardiaco ha origine dal nodo seno-atriale; i ritmi cardiaci possono avere altre origini, ma in questo
caso si è in presenza di una condizione aritmica.
Il ritmo sinusale è caratterizzato dalla presenza di onde P e complessi QRS con morfologia normale in
relazione alla derivazione che viene considerata; inoltre, ogni complesso QRS è preceduto da un’onda P e
l’intervallo PR ha durata tra 0.12 e 0.2 secondi. Nel ritmo sinusale, la frequenza cardiaca è compresa tra 60 e
100 battiti/minuto: al di sotto di questi valori si parla di bradicardia sinusale, al di sopra di tachicardia sinusale.
La bradicardia sinusale può avere tra le sue cause un aumento dell’attività del sistema nervoso parasimpati-
co, mentre la tachicardia sinusale un aumento di attività del sistema nervoso simpatico.
Nella condizioni di aritmia, si possono distinguere i ritmi atriali, quelli atrio-ventricolari, quelli ventricolari.
17
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
• la fibrillazione atriale, in cui sono presenti impulsi provenienti da più punti sul miocardio, con una frequen-
za estremamente elevata (anche superiore a 350 impulsi al minuto), che danno luogo ad una contrazione
atriale disorganizzata e non efficace; in questa aritmia, non è visibile l’onda P sul tracciato ECG, e la rispo-
sta ventricolare varia in relazione alla capacità del nodo atrio-ventricolare di trattenere gli impulsi (si dice
che è controllata quando inferiore a 100 battiti/minuto).
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
• la fibrillazione ventricolare, in cui, analogamente a quanto appare per quella atriale, la contrazione ventri-
colare è disorganizzata e non efficiente; tale aritmia non consente uno svuotamento adeguato del ven-
tricolo e quindi non produce una gittata cardiaca adeguata; insieme alla tachicardia ventricolare, questo
ritmo è trattabile con la defibrillazione.
Il rapporto tra le onde P e i complessi QRS consente di valutare il tempo che l’onda di depolarizzazione
atriale impiega per raggiungere i ventricoli e il numero di onde di depolarizzazione atriale cui fanno seguito
complessi di depolarizzazione ventricolare.
Nel blocco atrioventricolare di primo grado si verifica un aumento della durata del tratto PR al di sopra di 0.2
secondi (durata normale), ma il rapporto di conduzione atrio-ventricolare è di 1:1.
Nel blocco atrioventricolare di secondo grado si riscontra un numero di onde P superiore rispetto a quello dei
complessi QRS; generalmente, l’intervallo PR aumenta progressivamente fino alla comparsa di un’onda P (nor-
male per morfologia) non seguita da un complesso QRS; successivamente, la durata dell’intervallo PR si riduce,
e la sequenza si ripete. Questa variante è nota come blocco atrio-ventricolare tipo Mobitz I; esiste anche una va-
riante Mobitz II, in cui è riscontrabile un QRS allargato, e la mancata conduzione di onde P non è accompagnata
dall’allungamento dell’intervallo PR. Questa variante può evolvere verso un blocco atrioventricolare completo.
Nel blocco atrioventricolare di terzo grado (che può insorgere come conseguenza di quello di secondo, o in
seguito a cardiomiopatie croniche o infarto del miocardio), si assiste ad una dissociazione atrio-ventricolare
completa: la frequenza atriale può avere origine dal nodo seno-atriale, o può presentarsi come tachicardia
o fibrillazione atriale, quella ventricolare si presenta come un ritmo giunzionale o ventricolare. La frequenza
ventricolare è molto ridotta (solitamente inferiore a 60 battiti al minuto).
Esistono anche difetti di conduzione intraventricolari (blocchi di branca), in cui, a causa di un’anomala con-
duzione sulla branca destra o sinistra, si verifica un ritardo (fino all’assenza) di depolarizzazione di una parte
del muscolo cardiaco ventricolare; in questo caso, la depolarizzazione di uno dei due ventricoli può essere
più lenta (blocco incompleto) o essere condotta attraverso il setto interventricolare (blocco completo), dando
così luogo ad un allargamento del complesso QRS. Nel blocco completo la durata del QRS è superiore a 0.12
secondi, in quello incompleto è compresa tra 0.1 e 0.12 secondi.
L’analisi del tratto ST e dell’onda T è utile nelle condizioni ischemiche del miocardio. Normalmente il tratto ST
si trova sulla linea isoelettrica, ma quando si verifica una riduzione dell’apporto ematico alle cellule cardiache
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Capitolo II
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si assiste a fenomeni di sopra- o sotto-slivellamento del tratto ST (classificate anche come STEMI e NSTE-
MI), rispettivamente quando la lesione ischemica è a tutto spessore o subendocardica. Questo fenomeno
può essere accompagnato anche dall’inversione delle onde T nelle zone interessate dall’ischemia.
La rilevazione delle pressioni cruente avviene attraverso l’inserimento di un catetere all’interno di un vaso (per
la rilevazione di pressioni arteriose o venose) o di una cavità (ad esempio per la rilevazione della pressione
intracranica o intraddominale), e con il suo collegamento ad un sistema di misurazione manuale o elettronico.
I sistemi di misurazione manuale prevedono l’utilizzo di manometri ad acqua. Con tale sistema, il catetere
viene collegato (mediante un sistema di tubi) ad un manometro in plastica rigida riempito di soluzione fisio-
logica; identificando e allineando il sistema al livello corrispondente allo zero (illustrato più avanti), si procede
poi a mettere in comunicazione il manometro con il catetere (attraverso un sistema di rubinetti); per il prin-
cipio dei vasi comunicanti, il livello dell’acqua nel manometro si attesterà al livello della pressione presente
all’interno del vaso/cavità, consentendone la determinazione.
Il trasduttore di pressione viene collegato al paziente attraverso un sistema di tubi, e ad una sacca di lavag-
gio, utilizzata anche per il riempimento del sistema di tubi, poiché la trasmissione del segnale in presenza
di aria è viziata da uno smorzamento del segnale che comporta inesattezza nella misurazione. La corretta
preparazione e gestione del sistema di trasduzione è fondamentale per l’affidabilità della rilevazione.
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IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Connettore luer-lock
al catetere intrarterioso
Trasduttore
di pressione
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Capitolo II
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Al fine di evitare l’ingresso di aria all’interno del sistema, è importante rispettare alcuni passaggi:
• tutti i componenti del sistema di trasduzione (inclusi eventuali rubinetti) devono essere riempiti con liquido
(soluzione fisiologica) in fase di preparazione; se il sistema viene aperto (ad esempio per l’azzeramento
del sistema o per effettuare prelievi di sangue) è importante effettuare un lavaggio mediante la valvola
“fast flush” presente sul trasduttore;
• eventuali bolle d’aria presenti all’interno del sistema devono essere aspirate con una siringa;
• i punti di raccordo devono essere stretti accuratamente.
Livellamento e azzeramento
Nella rilevazione delle pressioni per il monitoraggio emodinamico (e quindi della pressione arteriosa, veno-
sa centrale e polmonare), la rilevazione viene riferita al livello cardiaco (e più precisamente atriale): questo
perché uno dei determinanti della pressioni che vengono rilevate è la pressione idrostatica, definita come
la pressione esercitata da una colonna di fluido sulle pareti di un contenitore. Il settaggio del sistema di
trasduzione richiede quindi l’individuazione di un livello flebostatico (corrispondente alla linea orizzontale
che attraversa l’asse flebo statico, ovvero il punto di incrocio tra la linea immaginaria che parte dal 4’ spazio
intercostale sulla marginosternale e si prolunga fino all’ascella, e la linea intermedia fra superficie anteriore
e posteriore del torace), in corrispondenza del quale viene posto il sistema di trasduzione per eliminare l’ef-
fetto della pressione idrostatica. Il livellamento scorretto del sistema di trasduzione produce alterazioni nella
rilevazione dei valori pressori pari a 0.73 mm Hg per ogni cm H2O: se il trasduttore è posizionato al di sopra
del livello flebostatico, il valore pressorio registrato sarà minore, se è posizionato al di sotto sarà maggiore.
Il secondo passaggio prevede l’azzeramento del sistema, ovvero l’attribuzione di un “punto zero” (corrispon-
dente alla pressione atmosferica), sopra il quale viene misurata la pressione. Per fare ciò, il trasduttore viene
messo in collegamento con l’aria ambiente (utilizzando l’apposito rubinetto a tre vie ed escludendo la linea
che collega il trasduttore al paziente) e viene dato il comando di azzeramento al monitor. Questo passaggio
consente di associare un valore numerico all’onda di pressione.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
verticale (quando il flusso viene aperto), una linea piatta (quando il flusso viene mantenuto) e una fase rapida
discendente (quando il flusso cessa).
L’onda quadra dovrebbe tornare rapidamente alla baseline dopo alcune oscillazioni rapide. Se le oscillazioni
sono lente, il sistema è soggetto a un eccesso di smorzamento del segnale (si dice “overdamping”), che
ha come effetto una sottostima della pressione sistolica e una sovrastima della pressione diastolica. Al
contrario, quando si ha un difetto di smorzamento del segnale (si dice “underdamping”), l’onda quadra sarà
seguita da multiple ampie oscillazioni e l’effetto registrato sarà una sovrastima della pressione sistolica e
una sottostima della pressione diastolica. La valutazione della risposta dinamica del sistema considera sia
la frequenza delle oscillazioni prodotte con il test dell’onda quadra che la loro ampiezza. Per quanto riguarda
la frequenza, si considera come ottimale una distanza minima tra le oscillazioni; per l’ampiezza si considera
che l’altezza della seconda oscillazione dovrebbe essere all’incirca 1/3 rispetto alla prima.
Adattato da: Bridges E., (2006), Pulmonary Artery Pressure Monitoring. When, how and what else to use,
AACN Advanced Critical Care. Vol. 17, n. 3; 286-305
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Capitolo II
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mantenuta costante attraverso un sistema di barocettori che controllano il diametro vascolare, al fine di ga-
rantire un flusso (e quindi una perfusione) adeguata di organi e tessuti, e, a differenza delle pressioni sistolica
e diastolica, non risente delle variazioni legate al sito di misurazione (la pressione sistolica è minore a livello
dell’aorta, maggiore in periferia). La pressione arteriosa media può essere calcolata con la formula
poiché normalmente nel ciclo cardiaco la durata della diastole è doppia rispetto a quella della sistole.
La pressione venosa centrale (PVC) è la pressione misurata (alla fine della diastole) attraverso un catetere
venoso la cui estremità distale è posta in prossimità dell’atrio destro. Generalmente si assume che questa
pressione sia sovrapponibile alla pressione in atrio destro alla fine della diastole, e per tale motivo la PVC
viene impiegata come indice di precarico. Tuttavia, vi sono numerose condizioni (pneumotorace, emotorace,
tamponamenti cardiaco, ventilazione meccanica a pressione positiva, alterazioni della contrattilità cardiaca)
che possono alterare la PVC, configurando una situazione in cui l’aumento di pressione non corrisponde ad un
aumento di volume. La PVC è la risultante dell’interazione tra la funzionalità cardiaca e il ritorno venoso. Per tale
motivo, le situazioni di ipovolemia relativa (come la Capillary Leak Syndrome) o assoluta (come gli stati emorra-
gici o di perdita massiva di liquidi per vomito o diarrea) generalmente si associano a valori di pressione venosa
centrale bassa; tuttavia, in queste stesse situazioni, una condizione di aumento della pressione intratoracica
può generare valori elevati di PVC che non rispecchiano accuratamente la condizione volemica del paziente.
La pressione arteriosa polmonare (PAP) è la pressione rilevata all’interno di una branca dell’arteria polmonare.
Per misurarla è necessario l’inserimento di un catetere arterioso polmonare (PAC), introdotto nella pratica clinica
a partire dagli anni ’70 e noto anche come catetere di Swan-Ganz, dal nome dei suoi ideatori. È un catetere lungo
fino a 110 cm e provvisto di cinque lumi, la cui apertura sul catetere consente il monitoraggio di diversi parametri:
• lume prossimale con apertura in atrio destro: utilizzato per la misurazione della pressione venosa centrale
e per l’inoculo di indicatore freddo utilizzato per la determinazione della gittata cardiaca;
• lume distale con apertura in arteria polmonare: utilizzato per la misurazione della pressione in arteria
polmonare e, a palloncino gonfio, della pressione di occlusione dell’arteria polmonare; il lume distale può
essere inoltre impiegato per prelevare sangue venoso misto, e determinare il livello di saturazione venosa
mista (vedi paragrafo dedicato);
• lume per infusioni e somministrazioni di farmaci;
• lume per cuffiaggio: utilizzato per l’insufflazione del palloncino posto sulla porzione distale del catetere;
• lume del termistore: con apertura in prossimità del palloncino, viene utilizzato per la determinazione della
temperatura del sangue, è connesso attraverso un cavo al monitor multiparametrico.
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Capitolo II
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Una delle indicazioni principali per l’inserimento del catetere di Swan-Ganz è la valutazione e gestione dell’i-
pertensione polmonare e della gittata cardiaca (che però, come descritto nel paragrafo dedicato, può essere
rilevata con metodiche a minore invasività). Va sottolineato però come diversi studi e metanalisi non abbiano
evidenziato miglioramenti dell’outcome connessi all’impiego di questo device. Il catetere di Swan-Ganz vie-
ne posizionato utilizzando un introduttore, inserito per via percutanea (in vena giugulare interna o succlavia)
con metodica analoga a quella utilizzata per il posizionamento dei cateteri venosi centrali; alcuni modelli di
introduttori sono provvisti di lumi accessori per l’infusione di farmaci e fluidi. La profondità di inserimento
del catetere varia ovviamente a seconda del paziente (indicativamente si aggira intorno ai 50 cm), e viene
determinata attraverso la presenza di tacche sottili (poste a 10 cm di distanza l’una dall’altra) e grosse (poste
a 50 cm di distanza le une dalle altre). Questa procedura è caratterizzata da un alto livello di invasività, e
pertanto il paziente deve essere strettamente monitorato (in particolare per la possibile insorgenza di aritmie
maligne durante l’attraversamento delle camere cardiache). Inoltre, per l’elevato rischio infettivo connesso al
posizionamento del catetere, la procedura va effettuata adottando le misure di barriera massimale; in sede di
posizionamento, è anche possibile rivestire con una guaina la porzione di catetere non inserita, in modo da
mantenerne la sterilità nel caso in cui sia necessario riposizionare il catetere (ad esempio per una migrazio-
ne). Per l’inserimento del catetere di Swan-Ganz è necessario connettere i lumi prossimale e distale a due
trasduttori di pressione: la migrazione della punta del catetere attraverso la camere cardiache destre e il suo
ingresso in arteria polmonare consentirà infatti la visualizzazione al monitor di forme d’onda specifiche, che
sono indispensabili per il corretto posizionamento del catetere.
Una volta posizionato, il catetere consente la visualizzazione continua dell’onda di pressione atriale destra
e arteriosa polmonare. In condizioni normali, i valori di PAP sistolica si attestano intorno ai 20-30 mmHg,
quelli di PAP diastolica intorno ai 5-10 mmHg, quelli di PAP media sono inferiori ai 20 mmHg; la determi-
nazione della PAP è necessaria per identificare le condizioni di ipertensione polmonare. Poiché il range
di valori entro cui si muove la determinazione della PAP è molto minore rispetto a quello della pressione
arteriosa sistemica, è intuitivo come uno scorretto livellamento del trasduttore possa produrre dati non
corrispondenti alla condizione clinica del paziente. Per tale motivo, il livellamento (e quindi l’azzeramento
del trasduttore di pressione) dovrebbe essere effettuato ogni qualvolta che viene modificata la posizione
del paziente (vedi figura), e non è raccomandata la rilevazione della PAP quando il paziente si trova in po-
sizione laterale destra o sinistra.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Oltre che dalle problematiche legate ad azzeramento, livellamento e risposta dinamica del sistema, la deter-
minazione della PAP e della PAOP è influenzata anche dalla zona polmonare dove si posiziona la punte del
catetere, dalle variazioni respiratorie e dall’aumento della pressione intrapleurica. In particolare, le misura-
zioni della PAOP sono più accurate nella zona III (in cui la pressione alveolare è inferiore a quella arteriosa
polmonare). Inoltre, la misurazione della PAOP è più accurata nella fase tele-espiratoria, quando l’influenza
della pressione intratoracica e dei volumi polmonari sulla traccia pressoria è minima.
Il catetere di Swan-Ganz è inoltre impiegato per la determinazione della gittata cardiaca con metodo della
termodiluizione (vedi paragrafo dedicato).
Forme d’onda
All’interno di un vaso arterioso, la forma d’onda individuata è strettamente interconnessa con le fasi del ciclo
cardiaco, ed è caratterizzata dalla presenza di una fase ascendente (anacrotica), che ha inizio con l’apertura del-
la valvola aortica, e la cui altezza e pendenza dipendono dallo stroke volume e dalla contrattilità del ventricolo
sinistro. La fase ascendente culmina con il picco sistolico, corrispondente alla massima pressione generata
dalla contrazione ventricolare, e che corrisponde alla pressione arteriosa sistolica. A questa segue una fase
discendente, che ha inizio nella fase tardiva della sistole (quando il flusso ematico ventricolare inizia a diminu-
ire), durante la quale la chiusura della valvola aortica produce la caratteristica incisura dicrota, dopo la quale il
livello della pressione si attesta sul valore diastolico. La morfologia delle forme d’onda pressoria arteriosa può
variare in base alla sede dove viene rilevata la pressione stessa, poiché all’aumentare della distanza tra il cuore
e il punto di rilevazione, aumenta anche l’effetto di riflessione anterograda e retrograda dell’onda pressoria.
Figura 14 - Forme d’onda nei diversi siti di rilevazione della pressione arteriosa
Tratta da: Sladen A. & Feinstein, Invasive monitoring and its complications,
in Intensive Care Unit. critical Care medicine, 1990 18(12) 1500
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Anche l’età può influenzare la morfologia dell’onda di pressione arteriosa sistolica, dal momento che la
riduzione della compliance vascolare correlata all’invecchiamento può ritardare la comparsa del picco di
pressione arteriosa e attenuare la curva di pressione diastolica.
La forma d’onda della PVC riflette i cambiamenti di pressione che hanno luogo all’interno dell’atrio destro in
relazione al flusso sanguigno durante le diverse fasi del ciclo cardiaco.
L’onda A si crea dopo l’onda P dell’elettrocardiogramma durante l’intervallo PR. Essa riflette l’aumento di pressio-
ne che ha luogo con la contrazione atriale, e per tale motivo può non essere visibile nei soggetti con alterazione
della contrattilità atriale (ad esempio nei pazienti con fibrillazione atriale). La PVC viene rilevata a metà della
flessione X, poiché questo punto corrisponde sul tracciato elettrocardiografico alla fase di rilassamento atriale.
L’onda C si crea alla fine del complesso QRS (quando inizia il tratto ST) sul tracciato elettrocardiografico. Essa
riflette la chiusura della valvola tricuspide e può non essere sempre visualizzabile.
L’onda V si verifica alla fine dell’onda T sul tracciato elettrocardiografico, e riflette l’aumento della pressione
atriale dovuta al suo riempimento.
La flessione Y si crea prima dell’onda P sul tracciato elettrocardiografico e riflette l’apertura della valvola
tricuspide e il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo prima della contrazione atriale.
Il valore di PVC che viene visualizzato al monitor è ottenuto come media dei valori registrati durante l’intero ciclo
cardiaco. Per ottenere misurazioni accurate della PVC è importante registrare questo valore al termine dell’espi-
razione, in modo da eliminare l’influenza generata dall’aumento della pressione intratoracica. Sarebbe pertanto
opportuno utilizzare un tracciato stampato oppure utilizzare la funzione di “congelamento” dell’onda (con l’appo-
sito cursore). Come precedentemente accennato, la PVC va registrata a metà della flessione X, in corrispondenza
della fase finale dell’espirazione (sia nei pazienti in respiro spontaneo che in quelli in ventilazione meccanica).
La curva della PAP ha una morfologia simile a quella della pressione arteriosa sistemica (rapida ascesa, pic-
co, decremento, incisura dicrota e ritorno ai valori di base).
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Capitolo II
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Aspetti assistenziali
La gestione dei cateteri per monitoraggio segue le indicazioni presenti all’interno delle linee guida dei CDC
di Atlanta per quanto concerne la medicazione, la manipolazione dei raccordi e la sostituzione delle linee.
La rimozione del catetere arterioso radiale e femorale è normalmente gestita dall’infermiere. Si tratta di
una procedura che richiede alcuni accorgimenti, al fine di evitare l’insorgenza di complicanze, in particolare
legate ad una compressione non adeguata che può esitare nella formazione di ematomi sottocutanei e
pseudoaneurismi. La rimozione del catetere arterioso è indicata in caso di malfunzionamento, impossibili-
tà a prelevare sangue, segni locali di infezione, segni di ipoperfusione a carico dell’arto interessato, e tutte
le volte in cui il paziente venga trasferito ad una struttura di cure non intensive. La manovra da garantire
dopo la rimozione di catetere arterioso (anche qualora questa avvenga per cause accidentali, ad esempio
lo sfilamento durante medicazione o l’autorimozione da parte del paziente) è una adeguata compressione
fino a che non si sia arrestato il flusso ematico; per i cateteri radiali, questa manovra può avere una durata
di 10 minuti, al termine dei quali viene posizionata una medicazione compressiva; per i cateteri femorali i
tempi di compressione sono più lunghi (almeno 30 minuti, ma si può arrivare all’applicazione per alcune
ore nel caso di dispositivi meccanici); si può ricorrere a metodiche di compressione manuale o meccanica
(ad esempio il Femostop®); le prime comportano l’applicazione di una pressione esercitata sul punto di
inserzione con due dita o con il pugno chiuso; le seconde prevedono l’utilizzo di dispositivi dotati di una
cuffia (che viene applicata sul punto di inserzione e mantenuta in sede per mezzo di apposite “cinture”,
o con sistemi adesivi) al cui interno la pressione viene regolata per mezzo di un manometro; la pressio-
ne all’interno della cuffia viene regolata inizialmente ad un livello superiore a quello del paziente, e poi
gradualmente ridotta, fino alla rimozione del dispositivo; durante la permanenza in sede del dispositivo di
compressione, l’arto interessato viene valutato periodicamente per identificare precocemente segni di
ridotta perfusione. Le metodiche manuali sono relativamente poco costose, ma impiegano tempo assi-
stenziale infermieristico e non consentono la valutazione delle pressioni applicate sul sito di inserzione. Le
metodiche meccaniche sono relativamente più costose e richiedono un training minimo, ma consentono
una valutazione più accurata delle pressioni applicate (e conseguentemente, dell’efficacia della compres-
sione esercitata), e possono comportare un maggiore dolore e disconfort per il paziente (anche perché
richiedono l’applicazione per tempi più lunghi rispetto alla compressione manuale). Per quanto riguarda
l’insorgenza di complicanze (ematomi, emorragie, pseudoaneurismi), non è stata dimostrata una mag-
giore efficacia di una metodica rispetto all’altra; tuttavia, va sottolineato che i campioni di pazienti studiati
erano generalmente ridotti; inoltre, le metodiche considerate sono state sempre applicate a gruppi di pa-
zienti sottoposti a cateterismo arterioso femorale in seguito a coronarografia; pertanto le conclusioni degli
studi considerati sono difficilmente applicabili ai pazienti di terapia intensiva, nei quali la maggiore durata
della permanenza del catetere può predisporre a maggiori difficoltà nel raggiungimento dell’emostasi. Nei
pazienti studiati, inoltre, non sono stati evidenziati dati di coagulazione (PTT, InR, conta piastrinica) predit-
tivi per l’insorgenza di complicanze.
La gittata cardiaca è una misura di flusso; essa indica la quantità di sangue espulsa dai ventricoli in un minu-
to. In un soggetto adulto in condizioni normali, questa determinazione si aggira intorno ai 5 l/min. La gittata
cardiaca viene definita come prodotto della frequenza cardiaca e della gittata sistolica (o stroke volume), che
generalmente è di 60-100 ml per battito. Il metodo gold standard (rispetto al quale tutte le altre metodiche
vengono valutate) per la determinazione della gittata cardiaca si basa sul principio della termodiluizione a
freddo (utilizzando un catetere arterioso polmonare), che consiste nell’iniezione di un bolo (a volume pre-
determinato) di liquido (indicatore) a temperatura data; l’iniezione produce una riduzione di temperatura
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Capitolo II
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rispetto al suo valore basale; la progressiva dispersione dell’indicatore freddo e il ritorno della temperatura al
valore basale sono una funzione della gittata cardiaca.
L’iniezione dell’indicatore viene effettuata attraverso il lume prossimale del catetere di Swan-Ganz. La varia-
zione di temperatura viene intercettata dal termistore posto in prossimità del palloncino, e visualizzata come
una curva, in cui il tempo è rappresentato sull’asse orizzontale e la temperatura su quello verticale.
La curva è caratterizzata da una fase di ascesa rapida, da un picco e da un ritorno più lento al valore basale
della temperatura. L’area sotto la curva è inversamente proporzionale al tempo necessario per il ritorno alla
temperatura basale: nelle condizioni di aumento della gittata cardiaca, quindi, la pendenza della parte discen-
dente della curva sarà elevata; nelle condizioni di riduzione della gittata cardiaca, la pendenza della parte
discendente della curva sarà ridotta.
Affinché la determinazione della gittata cardiaca sia accurata, è necessario rispettare alcuni principi:
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Capitolo II
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• il volume del bolo (freddo o a temperatura ambiente) deve essere adeguato a produrre una variazione di
temperatura significativa;
• non deve esservi perdita di indicatore (ad esempio per un inadeguata connessione della siringa ), e que-
sto si deve disperdere completamente;
• il flusso ematico deve essere costante.
L’accuratezza della misurazione può essere influenzata da condizioni cliniche del paziente: nell’insufficienza
tricuspidale, ad esempio, si verifica un flusso anterogrado e retrogrado che può determinare una inadeguata
dispersione dell’indicatore freddo. Inoltre, il flusso ematico subisce delle variazioni a seconda del fatto che il
paziente sia in ventilazione meccanica o in respiro spontaneo, e durante le fasi del ciclo inspiratorio. L’accu-
ratezza della misurazione è correlata al rispetto di alcuni principi:
• temperatura dell’iniettato: la variazione di temperatura osservata è funzione della differenza tra la tempe-
ratura corporea del paziente e quella dell’iniettato; l’iniettato può essere utilizzato a temperatura ambiente
o precedentemente raffreddato in frigorifero (è fondamentale immettere il dato di temperatura dell’iniet-
tato per il calcolo della gittata cardiaca); nel primo caso saranno necessari volumi maggiori rispetto al
secondo; se l’iniettato è freddo, è importante evitarne il riscaldamento (ad esempio tenendo la siringa tra
le mani, o lasciandolo a temperatura ambiente per un tempo troppo lungo);
• velocità dell’iniezione: deve essere rapida (al massimo 4 secondi per un volume di 10 ml, 2 secondi per
un volume di 5 ml);
• l’iniezione dell’indicatore deve preferibilmente iniziare durante la fase teleespiratoria.
Vengono ottenute 3 o 5 curve di termodiluizione (a tale proposito, si ricorda che sarebbe importante regi-
strare la quantità di liquido iniettato per le determinazioni, particolarmente in pazienti con indicazione alla
restrizione di fluidi), e selezionate le 3 con il valore più vicino a quello mediano; il dato di gittata cardiaca viene
calcolato come media di questi tre valori.
I fattori che influenzano la gittata cardiaca (in particolare che concorrono alla determinazione dello stroke
volume) sono il precarico, la contrattilità, il postcarico.
Il precarico è riferito alla distensione delle fibre miocardiche alla fine della diastole, ovvero nel momento di
massimo riempimento del ventricolo. La distensione delle fibre dipende dal volume di sangue presente, e
come tale il precarico dipende dalla volemia del paziente; per la legge di Frank-Starling, la forza di contrazione
del ventricolo aumenta con l’aumentare della distensione delle fibre miocardiche; tuttavia, quando il muscolo
viene disteso al disopra delle proprie capacità, la contrattilità si riduce. Il precarico è stato storicamente stimato
utilizzando misure di pressione; tuttavia va considerato che la relazione pressione-volume a livello cardiaco è
di tipo curvilineo e non rettilineo; ciò comporta che, in un ventricolo compliante, in una prima fase aumenti
relativamente consistenti di volume producono piccole variazioni di pressione; in un ventricolo non compliante,
piccoli aumenti di volume generano maggiori aumenti di pressione (figura). L’introduzione di misure volume-
triche attraverso particolari sistemi di monitoraggio ha consentito la determinazione più precisa di indici di
precarico. Le più significative sono rappresentate dall’ITBV (Intra Thoracic Blood Volume, corrispondente al vo-
lume ematico intratoracico) e dal GEDV (Global End Diastolic Volume, corrispondente al volume ematico delle
quattro camere cardiache alla fine della diastole), anch’esse indicizzate sulla superficie corporea del paziente.
Questi indici vengono derivati analizzando il tempo di transito delle molecole di indicatore freddo dal pun-
to di iniezione (catetere venoso centrale) al punto di rilevamento della variazione di temperatura (catetere
arterioso), e dal tempo di decadimento (rappresentato dalla parte discendente) della curva di termodiluizio-
ne. Combinando i volumi ottenuti è possibile calcolare anche il volume di acqua extravascolare polmonare
(EVLW - ExtraVascular Lung Water), che rappresenta un indice più affidabile di edema polmonare rispetto
alla PAOP; normalmente, l’EVLW è inferiore a 6ml/kg di peso corporeo, quando aumenta l’acqua si raccoglie
negli spazi interstiziali polmonari determinando un progressivo peggioramento degli scambi gassosi.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
La contrattilità si riferisce alla capacità delle fibre cardiache di accorciarsi indipendentemente dal precarico e
dal postcarico. La contrattilità non può essere misurata direttamente, e pertanto si utilizzano indicatori surro-
gati come lo stroke volume. La contrattilità può essere migliorata attraverso l’uso di inotropi.
Il postcarico viene definito come la resistenza che il cuore deve vincere per eiettare il sangue nel letto vasco-
lare; esso è determinato da numerosi fattori, come il volume di sangue espulso, la dimensione e lo spessore
del ventricolo, e le resistenze vascolari. Il postcarico può essere migliorato con l’utilizzo di vasodilatatori.
Nella pratica clinica, la gittata cardiaca viene rapportata alla superficie corporea del paziente ottenendo l’in-
dice cardiaco (espresso come l/min/m2), in modo da controllare l’influenza che le dimensioni dei soggetti
possono avere sulla determinazione di questo parametro.
Alcuni cateteri di Swan-Ganz modificati consentono la determinazione della gittata cardiaca attraverso il me-
todo della termodiluizione inversa: il principio a cui ci si riferisce è sempre l’equazione di Stewart-Hamilton,
tuttavia la temperatura del sangue viene aumentata riscaldando un filamento termico in rame posto sull’e-
stremità distale del catetere. Queste determinazioni vengono realizzate ad intervalli di 3-6 minuti, e pertanto
la metodica viene definita come semicontinua; il dato di gittata cardiaca che si ottiene non è contestuale.
Figura 19 - Catetere di Swan-Ganz modificato per la rilevazione della saturazione venosa continua
Tratta da: Owen A. (1998), Il monitoraggio in area critica, McGraw-Hill, Milano
Una prima considerazione va fatta sulle metodiche di termodiluizione transpolmonare: esse utilizzano un ca-
tetere venoso centrale per l’iniezione del bolo e rilevano la variazione di temperatura con un termistore su un
catetere arterioso inserito in un’arteria di grosso calibro (generalmente la femorale o l’ascellare). L’invasività
di questa metodica è inferiore (less invasive) rispetto a quella del PAC. L’iniezione di bolo freddo (a volume
maggiore rispetto a quella usata con il PAC, poiché la distanza tra il punto di iniezione e quello di rilevazione
della variazione di temperatura è maggiore) consente di determinare la gittata cardiaca con l’equazione di
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Stewart-Hamilton; a partire dalla curva ottenuta, il sistema calcola un coefficiente (legato alla compliance
dell’aorta) che viene utilizzato per il calcolo della gittata cardiaca in continuo a partire dall’analisi del contorno
del polso (ovvero dell’area sotto la curva di pressione arteriosa sistolica). In questo modo, è possibile otte-
nere misurazioni della gittata cardiaca battito per battito, ed intercettare tempestivamente le sue variazioni.
La gittata cardiaca ottenuta con questo tipo di monitoraggio ha evidenziato una eccellente correlazione con
quella rilevata mediante PAC tradizionale e modificato. Il monitoraggio presenta tra i suoi vantaggi anche un
training relativamente semplice per gli operatori, ed è possibile utilizzarlo in diverse condizioni cliniche (sep-
si, ARDS, trapianti). La metodica richiede la ricalibrai zone del sistema nel caso in cui intervengano importanti
variazioni della pressione arteriosa del paziente (poiché il dato di gittata cardiaca continua viene derivato
dall’analisi della forma d’onda arteriosa).
Un’altra metodica per la determinazione della gittata cardiaca continua prevede l’analisi del contorno del
polso con l’inserimento di un semplice catetere arterioso (anche a livello radiale). L’invasività in questo caso
è ridotta (minimally invasive) e non vi è necessità di calibrazione. Il sistema utilizza un algoritmo per derivare
lo stroke volume dall’analisi della forma d’onda arteriosa (a intervalli di 20 secondi). Il dato di gittata cardiaca
così ottenuto è continuo, e non richiede calibrazione iniziale. Trattandosi di una metodica non calibrata, la sua
affidabilità è minore in condizioni iperdinamiche.
La saturazione venosa di ossigeno è definita come la percentuale di emoglobina saturata da ossigeno a livel-
lo del circolo venoso, analogamente a quanto avviene sul distretto arterioso. La valutazione della saturazione
venosa di ossigeno è di fondamentale importanza per comprendere il bilancio tra disponibilità e consumo
di ossigeno. Essa può essere valutata mediante prelievo ematico per emogasanalisi da catetere venoso
centrale (preferibilmente sulla via distale; in questo caso si parla ScvO2) o da catetere di Swan- Ganz (utiliz-
zando il lume della pressione polmonare; in questo caso si parla di SvO2). Quando disponibile, è preferibile
la determinazione da catetere di Swan-Ganz, in quanto il prelievo ottenuto assicura la mescolanza di san-
gue proveniente da tutti i distretti corporei (superiore e inferiore, circolo coronarico); tuttavia, la saturazione
venosa centrale di ossigeno rappresenta un ottimo surrogato di quella mista. Attraverso particolari cateteri
provvisti di fibre ottiche e inseriti all’interno di un catetere venoso centrale o del catetere di Swan-Ganz, è
possibile la visualizzazione continua a monitor dei valori di saturazione venosa centrale, dopo calibrazione in
vitro mediante prelievo emogasanalitico.
La saturazione venosa di ossigeno rappresenta la quantità di ossigeno che ritorna al cuore dopo che le cel-
lule dei tessuti hanno estratto l’O2 necessario al proprio fabbisogno. Essa è determinata dalla differenza tra
l’apporto di ossigeno (Oxygen Delivery - DO2) e il consumo di ossigeno cellulare per il metabolismo aerobio
(Oxygen Consumption - VO2).
Il consumo di ossigeno viene calcolato come prodotto della gittata cardiaca per la differenza tra contenuto
arterioso e venoso di ossigeno. Normalmente, la quantità di ossigeno che viene trasportata è di circa 1000
ml al minuto, quella consumata di 250 ml al minuto. La differenza (che rappresenta la riserva venosa di
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
ossigeno) serve nel caso di aumenti della richiesta di ossigeno a livello cellulare (ad esempio nelle condizioni
di aumentata attività fisica o negli stati ipermetabolici, come in caso di incremento della temperatura). I
valori normali di saturazione venosa centrale di ossigeno sono del 70-75%, e rappresentano con buona ap-
prossimazione quelli della saturazione venosa mista (che può essere inferiore del 5-7%). La valutazione della
saturazione venosa di ossigeno fornisce informazioni sulla necessità di aumentato consumo (in cui i valori
riscontrati saranno pertanto inferiori rispetto al normale) o ridotta estrazione a livello periferico (in cui i valori
saranno aumentati rispetto al normale). Nel primo caso, verranno attuati interventi per migliorare le capacità
del sistema di trasporto (ad esempio, correggendo l’ipossiemia, aumentando il livello di emoglobina, miglio-
rando la funzione di pompa del cuore con l’utilizzo di inotropi). Le condizioni di aumentata saturazione venosa
di ossigeno sono quelle in cui la cellula perde la propria capacità estrattiva a causa di un danno cellulare (che
evolve poi nel danno d’organo).
La saturazione venosa centrale di ossigeno è stata utilizzata, insieme ad altri parametri, come goal terapeu-
tico nell’ottimizzazione emodinamica di pazienti ad alto rischio (sepsi severa e shock settico, postoperati).
Negli studi che hanno utilizzato questo approccio, è stata evidenziata una correlazione con la sopravvivenza
dei pazienti quando l’ottimizzazione veniva iniziata precocemente, ovvero prima che il danno d’organo che si
instaura diventi irreversibile.
Adattato da Carlson K. (2009), AACN Advanced Critical Care Nursing, Saunders Elsevier, St. Louis
33
Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
Considerazioni conclusive
L’assistenza al paziente critico non può prescindere dalla conoscenza da parte dell’infermiere dei sistemi di
monitoraggio bedside che vengono impiegati. Le indicazioni fornite rappresentano il punto di partenza per
arrivare ad una gestione esperta delle tecnologie e delle informazioni da esse derivanti, che deve essere
coniugato con l’esperienza quotidiana. Si è scelto di non dedicare particolare attenzione alla descrizione delle
singole tecnologie di monitoraggio, ma di sottolineare piuttosto come si sia evoluta la disponibilità, e di come
sia cambiato l’approccio al monitoraggio emodinamico, in particolare con l’impiego sempre più diffuso di dati
continui e di indici volumetrici. Sebbene la scelta del monitoraggio emodinamico da impiegare sul singolo
paziente non rientri tra le decisioni infermieristiche, è importante sottolineare come l’appropriato settaggio
delle linee, la corretta rilevazione dei dati (anche attraverso specifiche manovre di misura), la valutazione dei
trend e il riconoscimento del deterioramento clinico (anche attraverso l’opportuna impostazione di limiti di
allarme) rientrano tra le attività che l’infermiere gestisce quotidianamente in terapia intensiva, e rispetto alle
quali conoscenze e competenze devono essere continuamente aggiornate.
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Capitolo II
IL MONITORAGGIO EMODINAMICO
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Tutorial
35
Capitolo III
Il monitoraggio respiratorio di base
Stefano Bambi, Alberto Lucchini, Andrea Gafforelli, Daria Valsecchi
Nonostante che la medicina critica e intensiva siano caratterizzate da un imponente impiego tecnologico in
termini di strumentazione diagnostica e terapeutica, il primo approccio alla valutazione del paziente rimane
sempre l’esame clinico, che comprende la valutazione dei segni, sintomi e fattori di rischio per i problemi
respiratori, e un accurato esame obiettivo. Questo permette anche di evitare di curare le macchine, prima
che la persona, in un ambiente dove l’interazione tra questi 2 elementi è peculiare.
Naturalmente l’esame obiettivo deve essere preceduto da una raccolta di dati anamnestici inerenti i segni,
sintomi, e i fattori di rischio per problemi respiratori; in particolare devono essere esplorati: tosse, escreato,
dispnea, sibilo, dolore toracico (tabella 1).
Il processo di esame obiettivo del sistema respiratorio comprende: l’ispezione, la palpazione, la percussione
e l’auscultazione. L’esame deve essere condotto rispettando la sequenza riportata in figura 1.
Ispezione
L’ispezione prevede innanzitutto di dividere topograficamente il torace posteriore mediante le linee scapolari
destra e sinistra, e la linea vertebrale. Anteriormente si identificano, invece, la linea mediosternale e medio-
clavicolare di destra e sinistra. Infine, lateralmente si trovano le linee ascellari destre e sinistre (anteriore,
media e posteriore). Si osserva la conformazione del torace, la presenza di deformazioni, lesioni, cicatrici e la
simmetricità e profondità dell’espansione del torace. Importante il rilievo dell’uso dei muscoli accessori della
respirazione (trapezio, sternocleidomastoideo e scaleni) in fase inspiratoria e/o espiratoria. Si tenga presente
che l’osservazione del paziente in ventilazione meccanica assume caratteristiche differenti rispetto a quelle
della persona a respiro spontaneo. L’asimmetria dell’espansione toracica può esser segno di intubazione
del bronco principale, versamento pleurico, atelectasia, consolidamento, lobectomia, pneumotorace e pneu-
mectomia. Il movimento paradosso di una porzione della gabbia toracica, dato da retrazione delle coste in
fase inspiratoria e protrusione in espirazione, può esser provocato da volet costale o sternale.
L’ispezione inizia con la valutazione della frequenza respiratoria (FR) del paziente, i cui valori normali sono
36
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
circa 12-20 atti/m’. Accanto alla FR è importante anche osservare il rapporto inspirazione:espirazione (I:E), in
genere intorno a 1:2, per permettere la regolare eliminazione della CO2. I pattern respiratori patologici sono
riportati in tabella 2. Nel paziente ventilato l’osservazione della FR e del pattern respiratorio possono essere
molto influenzati dal grado di supporto ventilatorio offerto.
Palpazione
La palpazione del torace viene effettuata sistematicamente alla ricerca di asimmetria tra gli emitoraci, affos-
samenti, deformità, instabilità ossea, crepitii, ed enfisema sottocutaneo. Serve inoltre per elicitare aree di
dolore da parte del paziente, se in grado di riferire il sintomo, e per rilevare il fremito vocale tattile (vibrazioni
determinate dal passaggio dell’aria attraverso bronchi e polmoni). Vibrazioni più intense in un’area rispetto
all’altra suggeriscono la presenza di addensamento parenchimale, mentre se di intensità inferiore, possono
indicare versamento pleurico, enfisema polmonare e pneumotorace. L’ostruzione bronchiale o un versamen-
to pleurico massivo determinano, invece, la scarsità o assenza di vibrazioni nelle sedi superiori e posteriori.
Nel paziente intubato non si possono eseguire manovre per elicitare il fremito vocale tattile, o la risonanza
vocale, a causa della via aerea artificiale attraverso la glottide. Inoltre è difficile verificare con la palpazione
l’eventuale presenza di deviazione dell’asse tracheale perché il tubo tende a fare da splint tracheale, a meno
che la deviazione non sia estremamente marcata, come nel caso del pneumotorace iperteso
Percussione
La percussione è limitata nel paziente critico per la difficoltà a mantenere la posizione seduta a 90°, e per
la presenza di ferite, linee infusive, accessi vascolari, elettrodi di monitoraggio, o altri dispositivi invasivi o
ortopedici. In tabella 3 si riportano i principali rilievi clinici determinati dalla percussione del torace.
Auscultazione
L’auscultazione non dovrebbe essere effettuata da sopra indumenti per la riduzione della capacità di interpre-
tazione dei suoni e per la possibilità di artefatti. Anche una quota eccessiva di peluria toracica può rendere
difficile l’esecuzione dell’esame, simulando crepitii. Viene effettuata sistematicamente secondo lo schema
riportato in figura 1. La distinzione tra suoni normali ed avventizi può esser facilitata mantenendo bene adeso
alla cute il fonendoscopio e auscultando per ogni sede, una inspirazione ed una espirazione completa.
L’auscultazione produce suoni respiratori variabili a seconda della sede in cui viene effettuata: il suono tra-
cheale si apprezza sopra la fossetta sovraclaveare (anteriormente), è di tipo aspro e acuto e ha un tempo
inspiratorio uguale a quello espiratorio; il suono bronchiale si apprezza in sede sopraclavicolare bilaterale
rispetto ai lati sternali, al di sopra del manubrio sternale, è di tipo forte e acuto ed ha un tempo inspiratorio
inferiore a quello espiratorio; il suono broncovescicolare si apprezza anteriormente accanto allo sterno, e
posteriormente in sede interscapolare: è di media intensità ed altezza, ed ha uguale tempo inspiratorio ed
espiratorio; il suono vescicolare si apprezza sulle restanti sedi toraciche anteriori e posteriori, ha un tono
smorzato, basso, e un tempo inspiratorio maggiore di quello espiratorio.
Nel paziente in ventilazione meccanica è più frequentemente effettuata anteriormente e lateralmente, men-
tre dovrebbe esser utilizzata ogni occasione per procedere anche con l’auscultazione delle pareti toraciche
posteriori. Per avere la possibilità di reperti più nitidi, è necessario che la cuffia del tubo tracheale sia adegua-
tamente gonfia, e che non vi sia condensa all’interno del circuito del ventilatore. Le perdite della cuffia del
tubo possono simulare il reperto di un sibilo. Il fonendoscopio non dovrebbe toccare il circuito del ventilatore
per evitare la trasmissione di suoni che potrebbero essere scambiati per avventizi.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Considerazioni particolari
• La dispnea, intensa come sensazione soggettiva di difficoltà alla respirazione, è un sintomo e, come tale,
quando riferito, deve esser preso in considerazione anche se non vi sono reperti clinici oggettivi.
• I segni e sintomi di ipossiemia sono:
- irrequietezza, confusione, disorientamento, poi sopore e coma;
- dispnea, tachipnea, cianosi;
- tachicardia, aritmie;
- ipertensione, poi ipotensione fino allo shock, lesione d’organo.
• I segni e sintomi di ipercapnia sono:
- letargia fino al coma;
- vasodilatazione, arrossamento del volto;
- bradicardia e disturbi del ritmo;
- ipotensione.
• La FR è un parametro vitale oggetto di scarsa attenzione e rilevazione, a fronte della sua reale importanza
e del valore predittivo che detiene nei confronti delle malattie acute e gravi.
• La FR e la SpO2 non sono due parametri intercambiabili, ma necessitano di valutazione integrata: infatti
una saturazione nei limiti del normale in aria ambiente può esser mantenuta, in alcuni casi di insufficienza
respiratoria iniziale, a prezzo di un aumento della FR. La SpO2 quindi non sostituisce la FR.
• Nel paziente a respiro spontaneo senza supporto meccanico della ventilazione, contare gli atti respiratori
per un minuto, per avere una FR attendibile.
• Non affidarsi ai monitor multiparametrici per monitorizzare la FR, dal momento che il parametro viene
derivato dagli elettrodi dell’ECG, ed è molto suscettibile di artefatti di lettura che possono sottostimare o
sovrastimare anche in modo importante la reale FR.
• Il livello di ossigenazione e di scambi della CO2 influenza notevolmente lo stato di coscienza del paziente.
Il monitoraggio respiratorio, richiede quindi particolare attenzione verso il sensorio.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Tabella 1 - Raccolta dati anamnestici su segni, sintomi, e fattori di rischio di problemi respiratori
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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42
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
2. MONITORAGGIO STRUMENTALE
2.1 La saturimetria
Alberto Lucchini, Andrea Gafforelli, Stefano Bambi
La pulsossimetria convenzionale è una tecnica continua e non invasiva, basata sull’emissione e la rilevazione
di diverse lunghezze d’onda della luce comprese tra i 650 e 940 nm (rosso /infrarosso), attraverso un sito di
misurazione, capace di determinare frequenza cardiaca e saturazione di ossigeno.
Nella tecnica a riflessione l’emettitore e il fotodetettore sono vicini, la luce emessa dall’emettitore rimbalza
sul sito di misurazione e viene rilevata dal fotodetettore.
Classico esempio di questa tecnica è la saturimetria con sensore frontale. I sensori frontali (fig.1) sono di-
sponibili dalla fine degli anni ‘80, ma non si sono diffusi nell’uso clinico a causa della scarsa affidabilità che
mostrano nei pazienti in posizione supina o di Trendelenberg. In queste posizioni la pulsazione venosa può
rendere le misurazioni non accurate.
Nella tecnica a trasmissione l’emettitore e il fotodetettore sono opposti, e la luce passa attraverso il sito di
misurazione; un esempio di questo metodo è il sensore digitale o il sensore auricolare (fig.2).
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Per comprendere al meglio il funzionamento della pulsossimetria convenzionale bisogna approfondire alcu-
ne tematiche che stanno alla base di tale metodica. Il funzionamento si basa su:
• tecniche analitiche
• costanti di assorbimento tissutale
• quattro assunti base
• rapporto segnale/rumore
• filtri e algoritmi
Tecniche analitiche
Le tecniche analitiche su cui si basa la pulsossimetria convenzionale sono :
- Spettrometria
- Pletismografia
L’emoglobina (Hb) ossigenata e deossigenata assorbono differenti quantità di luce rossa o infrarossa. L’Hb
ossigenata assorbe più luce infrarossa e permette il passaggio di più luce rossa, mentre l’Hb deossigenata
fa esattamente l’opposto. La Spettrometria (figura 3) permette di rilevare il differente assorbimento di luce,
determinando un valore numerico di riferimento dal rapporto rosso infrarosso (figura 4).
Figura 3 - Spettrofotometria
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
A ogni battito cardiaco corrisponde un valore arterioso pressorio che influisce momentaneamente sul volu-
me arterioso periferico misurato. Questo porta a maggior assorbimento di luce durante l’analisi. La Pletismo-
grafia permette la registrazione grafica delle variazioni di volume che un certo distretto corporeo subisce a
ogni sistole cardiaca in conseguenza al suo flusso ematico, facilitando la rilevazione della componente pul-
satile misurando la variazione della quota di luce dal punto massimo al punto minimo dell’onda di pulsazione.
Si noti come l’andamento della pletismografia è molto simile a quella ottenuta da un sensore di pressione
invasivo (figura 5).
Questa rassomiglianza ha portato allo sviluppo di un nuovo parametro, il Pleth Variability Index (PVI®), in
grado di valutare l’andamento dinamico della curva, e fornire informazioni sullo stato volemico del paziente,
guidando in modo accurato e non invasivo il riempimento volemico del paziente. Almeno sei studi, pubblicati
sulle più importanti riviste di settore, hanno dimostrato la validità di tale parametro.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Per questo motivo i sensori hanno dei range di utilizzo, normalmente espressi in kg, che indicano a quali
pazienti possono essere applicati (i range sono sempre riportati sulle confezioni). L’utilizzo di sensori non
conformi alla struttura e alla sede di misurazione, comporta l’utilizzo di costanti di calcolo non appropriate, e
il dato risultante dalla misurazione non è attendibile.
Quattro assunti
I dati originali sulla pulsossimetria erano raccolti in condizioni sperimentali e ideali, ed erano basati su quattro
assunti di base:
Primo assunto: ”La sola componente ematica in grado di assorbire la luce è il sangue arterioso”
Basandosi sul primo assunto, la pulsossimetria convenzionale non considera la pulsazione sanguigna venosa
che avviene durante il movimento. In situazioni di buona perfusione il gradiente tra saturazione venosa e
arteriosa è lieve, la differenza artefattuale tra saturazione reale e numero risultante dall’averaging (media) è
minima (figura 7).
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
In condizioni critiche l’effetto averaging è più evidente. Infatti, il gradiente tra saturazione venosa e quella
arteriosa è maggiore, causando una misurazione con un grado di approssimazione molto elevato, generando
falsi allarmi (figura 8).
Secondo assunto: “Le uniche componenti ematiche in grado di assorbire luce sono ossiemoglobina e deossiemoglobina”
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Le calibrazioni eseguite in fase sperimentale non tenevano conto di variabili che nel quotidiano possono
essere frequenti.
Per esempio, nei pazienti anemici la lettura della saturazione risulta normale, quando in realtà l’ossigena-
zione globale del sangue potrebbe risultare bassa. Saturare 100% con 15 g/dl di emoglobina, non è come
saturare 100% con 6 g/dl di emoglobina.
Le unghie artificiali o con smalto di colore metallico scuro interferiscono con le costanti di assorbimento
tissutale e con la ripartizione della luce, ostacolando il lavoro del fotodettettore e generando misurazioni che
possono essere poco accurate.
Anche la presenza di pigmenti patologici e i farmaci coloranti endovenosi, ostacolano il lavoro della spettro-
metria generando misurazioni non attendibili, e non erano considerati durante le calibrazioni sperimentali.
Il maldestro posizionamento del sensore può provocare l’aumento della pulsazione venosa, mettendo in
difficoltà la lettura pletismografica. Qualsiasi variabile che interferisce con le calibrazioni sperimentali può
generare valori distorti.
In realtà, con livelli di perfusione molto bassi, è stato osservato un fenomeno chiamato ipossia localizzata. In
questa situazione, il flusso di sangue nella sede di misurazione (es. arteria radiale) è più alto rispetto al flusso
nella sede monitorata (dito mano). In tale condizione si verifica un aumento dell’estrazione di ossigeno nella
sede a flusso più lento; pertanto la saturimetria nella sede monitorata sarà più bassa rispetto a quella della
sede di misurazione. I problemi d’ipoperfusione hanno portato allo sviluppo di un nuovo parametro, chiamato
indice di perfusione (PI), che segnala la qualità della perfusione vascolare nel sito monitorato.
Rapporto segnale/rumore
Il rapporto segnale/rumore, spesso abbreviato con la sigla inglese SNR (Signal to Noise Ratio) o S/N anche
nell’uso italiano, è una grandezza numerica che mette in relazione la potenza del segnale utile rispetto a
quella del rumore in un qualsiasi sistema di acquisizione, elaborazione o trasmissione dell’informazione.
In pratica il rumore non è altro che un segnale che interferisce con il segnale rosso/infrarosso proveniente
dall’emettitore. Un qualsiasi sistema che debba trasportare o trattare informazioni è affetto da rumore, e
tanto maggiore è la potenza di rumore rispetto alla potenza del segnale utile, tanto minore è la qualità risul-
tante. È logico, dunque, aspettarsi che l’SNR sia un parametro di qualità che si cerchi o si tenda in qualche
modo a massimizzare o preservare il più possibile. Esistono diverse fonti di rumore, sia interne al sistema
che esterne. Tra le fonti più comuni d’interferenza troviamo:
1. Rumore termico
2. Luce solare o artificiale-ambientale molto intensa
3. Movimento del cavo
4. Movimento del paziente (aumento pulsatilità venosa)
5. Apparecchiature elettriche vicine
6. Emettitore e fotodetettore non ben allineati
Queste interferenze, hanno reso necessario l’introduzione di filtri e algoritmi, capaci di minimizzare gli arte-
fatti e gestire i dati in maniera più accurata.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Filtri e Algoritmi
In elettronica, un filtro è un sistema o dispositivo che realizza delle funzioni di trasformazione o elaborazio-
ne di segnali posti al suo ingresso. Ad esempio una sua funzione può essere quella di eliminare determina-
te bande di frequenza lasciando passare tutte le altre, cosa che si ottiene attenuando le frequenze più alte
o più basse di un valore determinato (filtri passa-basso o passa-alto), o quelle comprese in un intervallo
prestabilito (filtri passa banda o elimina banda). Nel tentativo di affrontare i problemi d’interferenza-rumo-
re, i produttori di apparecchiature mediche hanno utilizzato filtri passa banda, progettati per consentire
solo una finestra fisiologica di interesse, campionando solo segnali presenti in una determinata frequenza
desiderata. Con l’avvento del Digital Signal Processing (filtraggio digitale) le prestazioni di filtraggio pas-
sa banda sono state migliorate, ma non si era ancora in grado di risolvere il problema del rumore che si
verifica all’interno della banda di interesse. Per risolvere anche quest’ultimo problema, sono stati intro-
dotti filtri adattivi, capaci di adattarsi alla variazione delle caratteristiche del segnale e di usare algoritmi
multipli per la lettura dello stesso. Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema
attraverso un determinato numero di passaggi. In matematica e informatica un algoritmo è un particolare
tipo di procedimento la cui soluzione non è quella ottimale per quel dato problema. Infatti l’algoritmo della
pulsossimetria convenzionale, mette in relazione i valori numerici ricavati dalle tecniche analitiche (spettro-
metria – pletismografia) con dati sperimentali ricavati da volontari, arrivando a determinare un valore che
è un’ottima stima della saturazione (figura 9).
L’evoluzione tecnologica ha portato a usare algoritmi di lettura sempre più complessi. Esistono algoritmi che
utilizzano forme d’onda di pulsazione per i calcoli, e brevetti che utilizzano algoritmi multipli, ipotizzando che
sia il sangue arterioso che quello venoso possono muoversi, e utilizzando motori di elaborazione capaci di
separare il segnale arterioso dalla sorgente di rumore (compreso il segnale venoso) al fine di misurare l’SpO2
e la frequenza cardiaca in modo accurato anche durante il movimento.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
nuovo metodo di monitorizzazione non invasiva, utilizzando 7 lunghezze d’onda della luce per acquisire i
dati costitutivi del sangue. Grazie all’utilizzo di avanzati algoritmi d’elaborazione del segnale e unici filtri
adattivi è riuscita a identificare e quantificare le diverse emoglobine. Questa tecnologia, oltre ai classici
parametri forniti dalla pulsossimetria convenzionale, riesce a monitorare in modo continuo e non invasivo
i seguenti parametri:
• SpHb emoglobina
• SpCO carbossiemoglobina
• SpMet metaemoglobina
• PVI Pleth Variabile Index
• RRa Acoustic Respiratory rate
Luci e ombre
I valori evidenziati dalla pulsossimetria convenzionale sono frutto di medie e filtraggi che rappresentano il
livello di saturazione dell’emoglobina. Tale tecnica presuppone che il soggetto abbia un adeguato quantitati-
vo di emoglobina, che respiri prevalentemente ossigeno, che abbia un buono stato di perfusione vascolare
distrettuale, che non ci siano condizioni cliniche che facciano aumentare la componente pulsatile venosa o
alterino le costanti di assorbimento tissutale (es. edema), che il sensore sia applicato correttamente, e che si
muova il meno possibile. La conoscenza di queste variabili permette di interpretare al meglio i valori visualiz-
zati al monitor, comprendendo che la SpO2 convenzionale non esprime lo stato di ossigenazione globale del
paziente, ma quanto l’emoglobina è “piena” (satura), senza esprimere la quantità di emoglobina, la qualità
dell’emoglobina e con che tipo di gas è legata.
Il personale sanitario, spesso usa la PO2 arteriosa come indice del contenuto di ossigeno nel sangue. Il
contenuto arterioso di ossigeno è dato dalla somma dell’ossigeno trasportato dall’emoglobina e quello di-
sciolto nel plasma (PaO2). L’emoglobina trasporta circa 1,39 ml/g di ossigeno, mentre l’ossigeno disciolto nel
plasma è direttamente proporzionale alla sua pressione parziale come descritto dalla seguente equazione:
O2 disciolto = 0,003 ml/100 ml/ mm Hg (coefficiente di solubilità dell’ossigeno in ml/mm Hg) x PaO2
Per esempio, se la PO2 è di 100 mm Hg, un litro di sangue conterrà solo 3 ml di O2 disciolto. Studi clinici
hanno dimostrato che la SpO2 può essere un indicatore sensibile di alterazione della ventilazione (bassa
PaO2) quando i pazienti respirino in aria ambiente ma non quando respirino ossigeno supplementare. Con
la somministrazione di ossigeno la SpO2 si sposterà sempre di più lungo il tratto piatto della curva di dis-
sociazione dell’emoglobina (figura 10), pertanto relative ampie variazioni nella PaO2 si accompagneranno
a minimi cambiamenti nella SpO2, riducendo la sensibilità della pulsossimetria nell’evidenziare un’inade-
guata ventilazione.
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Non esistono evidenze che dimostrino la necessità di somministrare ossigeno con valori di SaO2 sopra il
90%, e la supplementazione di ossigeno non è necessaria se la SpO2 in aria ambiente è pari o superiore
al 92%.
Una riduzione dell’emoglobina del 50% è accompagnata da un’equivalente riduzione del 50% del conte-
nuto arterioso di O2 (CaO2), mentre una riduzione del 50% della PaO2 (da 90 a 45 mm Hg) determina una
riduzione del 18% del CaO2. L’anemia ha un impatto molto più importante sull’ossigenazione dell’ipos-
siemia. Ciò dovrebbe servire a ricordare che non si deve utilizzare la PaO2 per valutare l’ossigenazione
arteriosa, ma deve essere impiegata per determinare l’efficienza dello scambio gassoso nei polmoni. Per
questi motivi solo i sistemi capaci di visualizzare i parametri ematici riescono a eliminare parte delle om-
bre che la tecnica convenzionale pone sui pazienti nei quali non si conoscono variabili fondamentali per la
determinazione del reale stato di ossigenazione (come per esempio i pazienti che approdano a un pronto
soccorso o vengono soccorsi sul territorio).
Conclusioni
La storia della medicina, indica che l’evoluzione tecnologica ha sempre portato a una riduzione dell’invasi-
vità diagnostico-terapeutica e che gli unici veri ostacoli ai cambiamenti sono le abitudini degli operatori, lo
scetticismo e la poca comprensione della tecnologia da un punto di vista ingegneristico.
La pulsossimetria ha avuto un impatto significativo sul settore medico e ha spinto il progresso di cura dei
pazienti in particolari aree quali l’anestesia e l’area critica, per poi espandersi in tutti gli ambiti diventando
uno dei parametri più usato in campo clinico. In un articolo di John Severinhaus, dal titolo “Takus Aoyagi:
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Scoperta di pulsossimetria” pubblicato nel 2007, si arriva a conclusione che l’introduzione della pulsossi-
metria ha coinciso con il 90% di riduzione dei decessi correlati alle pratiche anestesiologiche.
L’evoluzione tecnologica e la continua competizione tra le case produttrici di elettromedicali, ha portato alla
realizzazione di pulsossimetri sempre più precisi, multiparametrici e con soluzioni ingegneristiche sempre
più complesse. La lettura attenta, delle schede tecniche di funzionamento, permette all’operatore di com-
prendere i punti forti e deboli della tecnologia sulla quale si basa un determinato pulsossimetro, potendo,
così, scegliere e utilizzare il più adatto alla tipologia dei pazienti e all’ambiente di lavoro in cui si esercita.
Punti Chiave:
1. La tecnologia digitale è superiore alla tecnologia analogica (figura 11)
2. I sensori monopaziente hanno performance superiori a quelli riutilizzabili
3. Utilizzare sempre i sensori in sedi appropriate per il loro utilizzo e per il peso del paziente
4. Nell’adulto preferire l’utilizzo su dito indice, medio ed anulare
5. Ridurre sempre le possibili interferenze
6. Con la tecnologia analogica il movimento degli arti determina artefatti (lettura di un falso flusso pulsatile
venoso).
Figura 11 - Differenza nella rilevazione nello stesso sito con la stessa tipologia di sensore monouso
collegato ad un sistema analogico versus digitale
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BIBLIOGRAFIA
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Il gas espirato fluisce direttamente sopra il sensore fornendo una misurazione quasi istantanea della PET-
CO2. Gli svantaggi della capnografia mainstream sono il peso del sensore (che aumenta il rischio di estuba-
zione accidentale), lo spazio morto addizionale (sensore) , e la contaminazione del sensore con le secrezioni.
Vantaggi Svantaggi
• No tubo di drenaggio • Vecchi sensori pesanti e alto spazio morto
• No ostruzione • Influenzabile da secrezioni e condensa
• No incidenza su pressioni • Spazio morto in gravissime ARDS
• No problemi se cambio di pressione del vapore acqueo • Tempo di calibrazione
• Capnogramma non influenzato dalla dispersione gas • Non utilizzabile in pazienti in O2 terapia e scafandro
• No ritardo nel dato
• Utilizzabile in bambini e neonati
Nella capnografia sidestream (figura 2) un piccolo tubo è posizionato tra le vie aeree e i tubi del ventilatore,
e una pompa aspira continuamente un campione dal gas espirato.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
La tecnologia sidestream è molto leggera dal punto di vista del peso, ma può essere ostruita da umidità,
espettorato o saliva nella linea di campionamento.
Vantaggi Svantaggi
• Di semplice utilizzo • Ritardo nella lettura
• Utilizzabile in pazienti in scafandro ed O2 terapia • Ostruzione del tubo
• Utilizzabile con le cannule nasali • Il vapore acqueo influenza/blocca la lettura
• In Sala Operatoria integrato nel monitoraggio dei gas • Necessita di prelievo di un alto volume di gas
Anche la capnografia microstream, come la tecnologia sidestream, può essere utilizzata in pazienti intubati
e non. È la più recente tecnologia nel monitoraggio della capnografia e utilizza piccoli fori di campionamento,
bassi flussi e bassi volumi. (Zwerneman, 2006).
Smalhout, da molti considerato il padre della capnografia clinica, ha definito il capnogramma come “l’ECG
della respirazione”.
I fattori che possono determinare un aumento dell’EtCO2 sono riassunti in tabella 3.
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I fattori che possono determinare una riduzione dell’EtCO2 sono riassunti in tabella 4.
In figura 3 è possibile osservare la correlazione tra andamento tipico della capnografia ed i volumi espirati
dal paziente.
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In figura 4 è possibile osservare la correlazione tra la capnografia e le curve di pressione nelle vie aeree e di
flusso, registrate in un paziente in ventilazione invasiva volumetrica controllata.
I capnogrammi devono essere interpretati congiuntamente ad altri rilievi clinici, tuttavia i cambiamenti
nell’end-tidal CO2 quasi sempre precedono i cambiamenti nella saturazione di ossigeno, frequenza cardiaca
e pressione arteriosa. La capnografia è infatti il più sensibile indicatore che un tubo endotracheale si è mosso
o dislocato, individua l’ostruzione acuta delle vie aeree e l’estubazione ipofaringea più rapidamente di quanto
facciano il monitoraggio dei segni vitali, o la pulsossimetria continua (Cheifetz et al., 2007).
Secondo Delorio (2005), la pulsossimetria potrebbe rimanere nel range normale fino a cinque minuti dopo la
cessazione della ventilazione polmonare.
In pazienti asmatici l’infermiere può riconoscere il restringimento delle vie aeree e l’efficacia della terapia
con broncodilatatori e di altri interventi (Zwerneman, 2006).
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Nelle figure da 5 a 12 sono riportate alcune tracce tipiche relative a scenari clinici in pazienti ventilati sotto-
posti a monitoraggio dell’EtCO2.
Figura 6
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Figura 7
Figura 8
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Figura 9
Figura 10
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Figura 11
Figura 12
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Lo spazio morto addizionale, il peso, i problemi meccanici e l’uso di tubi non cuffiati possono limitare il valore
della capnografia nei neonati (Thompson et al., 2005).
Nei capnometri sidestream applicati ad infanti, i piccoli volumi correnti associati a frequenze d’aspirazione
molto alte possono provocare il campionamento sia di gas espirati che di gas freschi della fase inspiratoria,
risultando in una diluizione del campione e una sottostima della concentrazione dell’end-tidal CO2 (Sullivan
et al., 2005).
Recenti studi sulla capnografia mainstream nei neonati non sono stati incoraggianti, e hanno anche riportato
elevazioni della PaCO2 dovute a rebreathing in presenza dell’adattatore alle vie aeree.
La capnografia microstream, invece, utilizza un flusso di campionamento di 50 ml/min (circa un terzo rispetto
ai sidestream convenzionali) ed elimina la competizione per il volume corrente. La fonte di infrarossi è alta-
mente specifica per la CO2 e la cella di campionamento utilizza un volume molto più piccolo (15 μL). Viene
così preservata l’accuratezza impedendo al tempo stesso il mix dei piccoli volumi inspiratori ed espiratori
osservati nei neonati (Hagerty et al., 2002).
Occorre precisare che in infanti e bambini con cardiopatia congenita il monitoraggio transcutaneo della CO2
fornisce una stima più accurata della PaCO2 di quanto faccia il monitoraggio dell’ETCO2. La differenza è mag-
giore in pazienti di età inferiore ad un anno e in quelli con cianosi (Cheifetz et al., 2007).
Tuttavia l’ETCO2 fornisce ulteriori informazioni utili, documentando la posizione intratracheale del tubo e ser-
vendo come un monitor addizionale di sicurezza in caso di disconnessione dal ventilatore. Tali caratteristiche
addizionali non possono essere fornite da un monitor transcutaneo.
Raccomandazioni
• L’American Heart Association raccomanda, nel protocollo dell’Advanced Cardiac Life Support, l’utilizzo dei
rilevatori della CO2 espirata per confermare la posizione del tubo endotracheale in pazienti con un ritmo
che permette la perfusione (classe IIA).
• L’American Society of Anasthesiologists ha suggerito che la capnografia sia disponibile per i pazienti con
insufficienza ventilatoria acuta in supporto ventilatorio meccanico.
• L’American College of Emergency Physicians raccomanda la capnografia come metodo aggiuntivo per
assicurare il posizionamento corretto del tubo endotracheale.
• L’American Association of Respiratory Care raccomanda l’utilizzo dell’EtCO2 in tutti i pazienti ventilati
(2012).
Conclusioni
Anche se non esistono dati che supportano definitivamente l’uso della capnografia per tutti i pazienti ventilati
meccanicamente allo scopo di ottimizzare il supporto ventilatorio meccanico, sembra ragionevole utilizzarla
per assicurare l’integrità dell’apparato di ventilazione e del tubo endotracheale. L’estubazione accidentale è
un evento potenzialmente letale. È utile ricordare che in una persona adulta la flessione-estensione del capo
può spostare il tubo di circa 1.9 cm rispetto alla carena, il movimento laterale di circa 0,7 cm.
Il maggior vantaggio della capnometria digitale è la sua capacità di fornire continue letture riguardo l’end-tidal
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Capitolo III
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CO2, fornendo la garanzia che un tubo endotracheale dislocato venga identificato immediatamente, molto
prima che si manifesti la desaturazione (Davis, 2005).
Questo è particolarmente importante per i pazienti pediatrici, nei quali le ridotte dimensioni anatomiche delle
vie aeree rendono piccoli spostamenti del tubo tracheale (anche solo 0,5 cm), che in un adulto potrebbero
essere irrilevanti, pericolosi dal punto di vista della perdita del controllo delle vie aeree. Il rischio di disloca-
zione è maggiore in presenza di tubi non cuffiati.
Usando la capnografia continua, gli eventi critici delle vie aeree possono essere identificati e corretti prima
dello sviluppo di ipossia o d’instabilità emodinamica.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
L’emogasanalisi arteriosa (EGA) consiste in un prelievo di sangue arterioso mediante puntura diretta o da
sistema catetere-trasduttore-lavaggio in continuo, utilizzando un’apposita siringa contenente un coating di
litio eparina liofila bilanciata con calcio.
L’emogasanalisi arteriosa permette di rilevare dati per il monitoraggio relativo all’ossigenazione, alla venti-
lazione, e allo stato metabolico (equilibrio acido base, respirazione cellulare). Inoltre i moderni emogasana-
lizzatori forniscono il rilievo di altri valori fondamentali per la valutazione continua dei pazienti critici, quali:
emoglobina, emoglobine patologiche (carbossiemoglobina, e metaemoglobina), elettroliti, lattati, glicemia.
Il prelievo emogasanalitico, quando effettuato su sangue venoso misto o proveniente dalla vena cava supe-
riore in prossimità dell’atrio destro, consente la valutazione della saturazione venosa mista (SvO2) o centrale
(ScVO2), fondamentale per la rilevazione di discrepanze a livello della richiesta ed apporto dell’ossigeno
tessutale, di cui si rimanda al relativo paragrafo 4 (Il monitoraggio della saturazione venosa di ossigeno, nel
capitolo II, Il monitoraggio emodinamico.
Indicazioni
Le indicazioni all’esecuzione di EGA sono la valutazione della funzione ventilatoria, dell’ossigenazione, della
presenza di shunt intrapolmonare, della capacità di trasporto dell’ossigeno e dell’equilibrio acido base. L’EGA
permette anche di monitorare il trend dei cambiamenti dei parametri suddetti in corso evoluzione della ma-
lattia, di trattamento terapeutico, o valutazione diagnostica.
È controindicato inserire nell’emogasanalizzatore prelievi per EGA che contengano bolle d’aria visibili (rischio
di riduzione dei valori reali di PaCO2 ed aumento di PaO2), o che superi il periodo di conservazione di 5 minuti
a temperatura ambiente, o di 30 minuti a 0-4°C.
1. Valutazione dell’ossigenazione
Il paziente è ipossico? La PaO2 dovrebbe essere maggiore di 75 mmHg in aria, il rapporto PaO2/FiO2 > 350,
ed il gradiente alveolo-arterioso (A-a) inferiore al valore indicato dalla formula A-a=(età in anni:4)+4
2. Determina il pH
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
PaCO2 > 45 mmHg - acidosi respiratoria (oppure compenso respiratorio di alcalosi metabolica)
PaCO2 < 35 mmHg - alcalosi respiratoria (oppure compenso respiratorio di acidosi metabolica)
Il sistema respiratorio comporta modificazioni rapide del pH (minuti), cambiando velocemente i valori
di PaCO2 con l’iper o ipo-ventilazione
HCO3- < 22 mEq/l (BE < -2) – acidosi metabolica (o compenso renale per alcalosi respiratoria)
HCO3 - > 26 mEq/l (BE > +2) – alcalosi metabolica (o compenso renale per acidosi respiratoria)
Il sistema renale comporta modificazioni lente del pH (ore, giorni), cambiando gradualmente i valori
di HCO3- e BE con l’escrezione o il riassorbimento a livello tubulare
Emoglobina, metaemoglobina, carbossiemoglobina, bilirubina, sodio, potassio, calcio, cloruro, glucosio, lattati
Legenda: EGA – Emogasanalisi arteriosa; F – Femmina, M – Maschio; SVO2 – Saturazione venosa mista; ScVO2 – Saturazione venosa
da catetere venoso centrale in vena cava superiore; VN - Valori Normali
Figura 1 - Prelievi emogasanalitici in terapia intensiva
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Tabella 1 - Valori emogasanalitici normali in aria ambiente per persone con età inferiore ai 60 anni
Valori di laboratorio Livello del mare 1610 mt sopra il livello Valori di laboratorio del sangue venoso misto
del sangue arterioso (PB 760 mmHg) del mare (PB 629 mmHg)
pH 7.35 – 7.45 7.35 – 7.45 pH 7.34 – 7.37
PaO2 80 – 100 mmHg 65 – 75 mmHg PVO2 38 – 42 mmHg
SaO2 95% - 100% 95% - 100% SVO2 60 – 80%
PaCO2 35 – 45 mmHg 35 – 45 mmHg PVCO2 44 – 46 mmHg
HCO3- 22 – 26 mEq/l 22 – 26 mEq/l HCO3- 24 – 30 mEq/l
Eccesso di basi (BE) ±2 ±2 Eccesso di basi (BE) Da 0 a + 4
Legenda: HCO3- bicarbonati; PaO2 - pressione parziale dell’ossigeno arterioso; PaCO2 - pressione parziale arteriosa
di anidride carbonica; PVCO2 - pressione parziale venosa di anidride carbonica; PVO2 - pressione venosa di ossigeno;
SaO2 saturazione arteriosa di ossigeno; SVO2 saturazione venosa di ossigeno
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Legenda: BE – Base Excess; COHb – carbossiemoglobina; DO2 – Delivery Oxygen; ECG – Elettrocardiografia;
EGA – Emogasanalisi arteriosa; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; Hb - emoglobina HCO3- bicarbonati; PaO2 – pressione
parziale dell’ossigeno arterioso; PaCO2 - pressione parziale arteriosa di anidride carbonica; PEEP – Pressione Positiva
di Fine Espirazione; ScVO2 - saturazione venosa centrale di ossigeno; SVO2 - saturazione venosa
Figura 2 - Gestione dei parametri emogasanalitici in terapia intensiva
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Considerazioni particolari
• La valutazione della PaO2 in un paziente a respiro spontaneo, dovrebbe sempre tener conto della for-
mula PaO2 standardizzata = [PaO2 misurata + (PaCO2 misurata X 1.66) -66.4]. Questa formula permette
di slatentizzare pazienti ipossiemici che presentano livelli di PaO2 apparentemente normali all’EGA, ma
solo grazie alla compensazione data dall’iperventilazione, che produce maggiore eliminazione di CO2. La
PaO2 standardizzata indica quindi come sarebbe la vera PaO2 se il paziente fosse normocapnico, cioè non
iperventilasse.
• Il rapporto PaO2/FiO2, in condizioni di livelli di PaCO2 vicini al normale, rappresenta un buon indicatore di
disfunzione parenchimale polmonare. I valori normali di PaO2/FiO2 in aria ambiente sono in genere supe-
riori a 350 (indicativamente PaO2/FiO2 = 95:0.21= 452); con valori inferiori a 200 siamo di fronte a grave
insufficienza respiratoria. In presenza di ipercapnia, accanto all’indice di Horowitz, è opportuno utilizzare
anche il rapporto dell’O2 arterioso/alveolare (PaO2/PAO2). La formula della PAO2 è ottenuta dall’equazione
dei gas alveolari PAO2 = (760 - 47) x FiO2 - PaCO2 /0.8 (oppure 1).
• A pH ematico arterioso neutro (7.4), sulla curva di dissociazione dell’emoglobina si hanno valori di SaO2
di 90% corrispondenti ad una PaO2 di 60 mmHg, che sono i valori minimi accettabili di sicurezza per il
paziente critico. La curva di dissociazione dell’emoglobina viene spostata a destra dalla riduzione di pH,
dall’aumento di PaCO2, di temperatura e di 2,3-bisfosfoglicerato. In questo caso l’ossigeno ha minore
affinità con l’emoglobina, mostrando valori più bassi di SaO2 a parità di PaO2, ma viene più facilmente
ceduto ai tessuti. La curva di dissociazione dell’emoglobina viene spostata a sinistra dall’aumento di pH,
dalla riduzione di PaCO2, di temperatura e di 2,3-bisfosfoglicerato. In questo caso l’ossigeno ha maggiore
affinità con l’emoglobina, mostrando valori più elevati di SaO2 a parità di PaO2, ma viene più difficilmente
ceduto ai tessuti. In questo modo un paziente in alcalosi e con uno spostamento della curva a sinistra
può risultare ipossico anche con SaO2 maggiori del 90%. Sulla base di questi elementi, è necessario di
ricordare di inserire sempre nei dati richiesti dall’emogasanalizzatore la temperatura corporea del paziente
(se l’EGA viene eseguito immediatamente dopo il prelievo), e prendere in considerazione i risultati corretti
con la temperatura.
• È necessario tener presente che la saturimetria periferica dell’O2 ha dei limiti nel mostrare il trend di peg-
gioramento degli scambi gassosi dal momento che la curva di dissociazione dell’emglobina raggiunge il
plateau di SaO2 del 100% a partire da valori di PaO2 superiori a 95 mmHg. Questo indica che senza un
controllo emogasanalitico, non è possibile individuare precocemente il verificarsi di ipossiemia relativa
(ad esempio il peggioramento di un paziente in ventilazione meccanica che da una PaO2 di 250 mmHg
con FiO2 di 0.5 e PEEP di 10 cmH2O, passa ad una PaO2 di 110 mmHg a parità di parametri impostati,
mantiene sempre una SpO2 di 100%)
• L’intossicazione da monossido di carbonio deve esser sospettata sulla base dei valori di COHb > 2% per
i non fumatori e > 9% per i fumatori.
• L’interpretazione dell’equilibrio acido base nel paziente sottoposto a ventilazione meccanica deve sempre
considerare l’influenza sull’assetto respiratorio esercitata dai parametri ventilatori. In questo caso disturbi
primitivi di carattere metabolico possono subire una sorta di ipercompenso, se non addirittura essere
“latentizzati” dalla rimozione o accumulo di PaCO2 provocata dall’iper o ipo-ventilazione indotta dall’ope-
ratore.
• Recentemente è stato rimesso fortemente in discussione dall’Evidence Based Medicine il target glice-
mico da mantenere nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. A fronte del rischio di complicanze derivanti
da episodi di ipoglicemia, come effetto indesiderato del controllo stretto dei livelli di glucosio ematico
(80 – 110 mg/dl) mediante somministrazione di infusione continua di insulina, si preferisce attualmente
mantenere i valori in un range tra 140 e 180 mg/dl.
68
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
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69
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
In generale, i segni di deterioramento respiratorio sono: aumento della frequenza respiratoria (particolarmen-
te sopra 30 atti/m’); riduzione della saturimetria periferica dell’ossigeno; aumento delle dosi di ossigeno per
mantenere la SpO2 nel target range; aumento dei punteggi di Modified Early Warning Score; ritenzione di
CO2; sonnolenza, cefalea, tremori, arrossamento del volto.
La British Thoracic Society raccomanda l’osservazione della saturazione dell’ossigeno per almeno 5 minuti
dopo l’istituzione dell’O2 terapia. Se l’ossigenazione del paziente è sopra target, la somministrazione può
essere titolata riducendone la dose e cambiando dispositivo. Pazienti con target terapeutico di SaO2 tra 88%
e 92%, e, in generale, quelli a rischio di sviluppare ipercapnia (PaCO2 > 46 mm Hg), dovrebbero ricevere una
valutazione emogasanalitica entro 30-60 minuti dall’inizio della terapia. I pazienti con target terapeutico di
SaO2 94%-98% non necessitano la ripetizione dell’EGA entro 30-60 minuti, e se non c’è rischio di sviluppare
ipercapnia e acidosi, possono anche non necessitare di ulteriori valutazioni di EGA rispetto a quella di base.
Il monitoraggio susseguente l’istituzione di O2 terapia prevede la misurazione di SpO2 e delle variabili fisio-
logiche (per esempio il Modified Early Warning Score), almeno 4 volte il giorno, se il paziente è stabile. Nei
pazienti instabili, il monitoraggio della SpO2 dovrebbe essere continuo, e in aree di cura appropriate. Qualsi-
asi variazione in peggioramento della saturazione dell’ossigeno dovrebbe prevedere una rivalutazione clinica
generale del paziente, associata ad EGA.
L’O2 terapia dovrebbe esser titolata per rimanere nel range terapeutico del paziente, ed cessata, quando non
ne esistano ulteriormente le indicazioni. Eventuali variazioni nella somministrazione di O2 dovrebbero esser
seguite da valutazioni di almeno 5 minuti della risposta del paziente e particolarmente della SpO2. I pazienti
a rischio di ipercapnia, dovrebbero ricevere una valutazione EGA entro 30-60 minuti dalle variazioni di ero-
gazione dell’O2 terapia. Non sono invece necessarie misurazioni emogasanalitiche ripetute nei pazienti che
richiedono riduzione del dosaggio o cessazione dell’O2 terapia per mantenere il target di saturazione indicato.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Considerazioni particolari
• La PaO2 attesa per l’età è molto semplicemente calcolabile con la seguente formula: PaO2 attesa = 102
mmHg - 0.33 x (età).
• In corso di O2 terapia può essere titolata la FiO2 sulla base del target di PaO2 desiderato con la seguente
formula: nuova FiO2 = (FiO2 attuale X PaO2 desiderata):PaO2 attuale.
• La SpO2 può essere normale in pazienti con PaO2 normale, ma che hanno pH acido (< 7.35) e/o ipercapnia,
oppure in condizioni di basso contenuto ematico di ossigeno dovuto ad anemia.
• I pazienti dispnoici senza oggettivazione di ipossiemia non giovano di O2 terapia, eccettuato nei casi di intos-
sicazione da monossido di carbonio, ed altri casi rari. Comunque, la riduzione di 3 punti percentuali di SpO2
all’interno del range di target, deve far sospettare una condizione acuta e richiede pronta valutazione.
• Alcuni soggetti normali, particolarmente gli anziani con età maggiore di 70 anni, o gli obesi, possono pre-
sentare SpO2 < 94% e non necessitare di trattamento con ossigeno.
• Nei pazienti con asma la somministrazione di aerosol in ossigeno deve prevedere dispositivi che funzioni-
no con almeno 6 lt/m’ di flusso di O2, altrimenti diventa necessario aggiungere cannule nasali a 2-6 lt/m’.
• Nei pazienti con acidosi ipercapnica l’aerosol dovrebbe esser somministrato in aria compressa; eventual-
mente l’O2 dovrebbe esser fornito con cannule nasali a 2-4 lt/m’ per mantenere SaO2 target tra 88% e 92%.
In assenza di disponibilità di aria compressa non eccedere oltre i 6 minuti nella somministrazione di aerosol.
In caso di utilizzo di ventilatore automatico connesso a bombola da trasporto, il calcolo della riserva di ossigeno
prevede di non considerare 50 atmosfere, in quanto pressione minima per garantire il funzionamento adeguato
del ventilatore. Pertanto la formula sarà: volume (in lt) x [pressione - 50 (in atmosfere)]= lt di O2 disponibili.
Calcolo dell’autonomia della bombola di ossigeno rispetto alla dose erogata: O2 presente nella bombola in
lt: flusso di O2 erogato (in lt/m’) = minuti di autonomia della bombola.
Legenda: CO2 – Anidride carbonica; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; FR – Frequenza Respiratoria; TV – Tidal Volume
Figura 1 - Classificazione dei dispositivi per ossigenoterapia
71
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Legenda: BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva; CO2 - Anidride carbonica; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno;
NIV – Noninvasive Ventilation; O2 – ossigeno
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Legenda: BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva; EGA – Emogasanalisi arteriosa; FiO2 – Frazione inspiratoria
dell’ossigeno; NIV – Noninvasive Ventilation; O2 – ossigeno; PaO2 - pressione parziale dell’ossigeno arterioso;
PaCO2 - pressione parziale arteriosa di anidride carbonica; SaO2 – saturazione arteriosa dell’ossigeno; SpO2 - saturazione
periferica dell’ossigeno;SVO2 - saturazione venosa mista di ossigeno; TI – Terapia Intensiva
Figura 2 - Gestione dell’ossigenoterapia nei pazienti acuti
tradotta e modificata dalle linee guida BTS; O’Driscoll et al. 2008
73
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
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74
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Approccio generale
L’approccio al monitoraggio (e alla gestione) del paziente sottoposto a supporto ventilatorio invasivo in area
critica segue il modello attualmente più diffuso, che è quello di valutazione-azione-rivalutazione offerto dall’E-
mergency Care Cycle secondo lo schema ABCDE (A - Airways, valutazione della coscienza e delle vie aeree;
B – Breathing, valutazione della funzione respiratoria; C – Circulation, valutazione del circolo; D – Disability, va-
lutazione delle funzioni neurologiche, della sedazione e del dolore; E – Exposure, valutazione della temperatura,
dello stato cutaneo, e dell’integrità muscolo-scheletrica), seguendo per le valutazioni secondarie, un rigoroso
schema testa-piedi, accanto alla presa in carico dei referti delle indagini di laboratorio e strumentali, ad una
rigorosa raccolta dati anamnestica clinica e psico-sociale, ed al rilievo delle necessità informative/educative
e psicologiche sia del malato che delle persone significative. A monte dell’intero processo è imprescindibile
l’implementazione di una fase di anticipazione (messa in sicurezza del contesto di cura) caratterizzata dalla
predisposizione e controllo di operatività secondo check list su:
• equipaggiamento, presidi sanitari e farmaci standard nel box/unità di vita paziente;
• presidi di prevenzione delle lesioni da pressione
• apparecchiature di monitoraggio e di supporto delle funzioni d’organo specifiche per la tipologia di assisti-
to in arrivo
• equipaggiamento per il trasporto protetto intraospedaliero
• disponibilità dei presidi di autoprotezione.
Inoltre, laddove possibile è auspicabile reperire preventivamente, mediante adeguato hand-over telefonico o
telematico, informazioni utili alla pianificazione degli interventi sanitari circa:
• problema principale d’ingresso
• dati anagrafici
• supporti e monitoraggi in corso
• supporti e monitoraggi potenzialmente necessari (da predisporre)
• specifiche necessità di isolamento
• tempo stimato di arrivo
75
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
iii. Documentazione della distanza del tubo alla rima dei denti (in genere intorno ai 21 cm nelle donne
e 23 cm negli uomini)
iv. Esecuzione di radiografia del torace per controllo della punta del tubo al livello tracheale medio
v. In presenza di tubi con lume di aspirazione sottoglottica, aspirazione manuale del lume con siringa
da 10 ml, e successiva istituzione di aspirazione continua a pressioni di – 30 mmHg, o intermittente
con pressioni di -100/-150 mmHg
vi. Tipologia di device tracheostomico (se presente)
b. Fissaggio in sicurezza della via aerea artificiale
i. I tubi endotracheali necessitano del controllo di stabilità del sistema di fissaggio. L’utilizzo di sistemi
di fissaggio con solo cerotto e senza passare posteriormente al collo predispongono maggiormente
il paziente al rischio di estubazione non pianificata
ii. La metodica di fissaggio utilizzata per i tubi orotracheali è centrale all’interno di una strategia as-
sistenziale volta al frequente cambio di posizione del tubo da un angolo della bocca all’altro, per
prevenire lesioni da pressione sulle labbra e all’interno del cavo orale
iii. L’utilizzo di bite-block per prevenire lo schiacciamento del tubo tra i denti del paziente, dovrebbe
essere estremamente limitato a causa del rischio di lesioni alle mucose del cavo orale
c. Controllo pressione della cuffia del device endotracheale
i. Mantenimento della cuffia del tubo tracheale o tracheostomico su valori tra 25 e 30 cmH2O (20 e 25
mmHg) mediante manometro
ii. In assenza di manometro utilizzare la minimal leak tecnique o minimal occlusive volume per garan-
tire un equilibrio tra la riduzione di perdite aeree e la prevenzione delle lesioni da pressione sulla
mucosa tracheale
2. Monitoraggio della ETCO2 con capnografia
1. Posizionamento della persona per favorire la migliore ventilazione possibile rispetto alle condizioni cliniche
contingenti
a. Monitoraggio intermittente dei gradi di posizione semirecumbente della testa del letto del paziente (in caso
di lesioni vertebro-midollari, utilizzo della posizione Anti-Trendelemburg) da mantenere superiori a 30°
2. Valutazione della funzione respiratoria mediante esame clinico
a. Osservazione dell’espansione toracica, di ferite, alterazioni/deformità visibili a occhio nudo, pattern
respiratorio, simmetria
b. Palpazione bilaterale degli emitoraci alla ricerca di alterazioni, avvallamenti, enfisemi, ferite
c. Auscultazione bilaterale del torace superiore e inferiore lungo la linea ascellare media destra e sinistra
per verifica simmetria del murmure
d. Controllo della frequenza respiratoria in relazione alla modalità ed ai parametri impostati sul ventilatore
3. Valutazione delle variazioni nello stato di coscienza (in assenza di sedazione e/o miorisoluzione in corso di
somministrazione)
4. Valutazione del colorito cutaneo e della presenza di sudorazione
5. Monitoraggio della SpO2 con pletismografia
6. Monitoraggio dei parametri della ventilazione meccanica sulla base delle modalità impostate e dei target
terapeutici prescritti
a. Impostazione degli allarmi sulla base dei target terapeutici del paziente
i. Risoluzione problemi di interazione uomo-macchina sulla base degli allarmi
b. Monitoraggio delle curve della ventilazione
i. Risoluzione problemi di interazione uomo-macchina sulla base dell’analisi delle curve
c. Gestione delle emergenze collegate alla ventilazione meccanica invasiva
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Legenda: ARDS – Sindrome da Distress Respiratorio dell’Adulto; Eco – Ecografia; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’ossigeno; FR –
Frequenza Respiratoria: I.E – Rapporto Inspirazione : Espirazione; IIA – Ipertensione Intra-Addominale; PEEP – Pressione Positiva
di Fine Espirazione; Pnx – Pneumotorace; Rx – Radiografia; TET – Tubo endotracheale; TV – Volume Corrente
Figura 1 - Flow chart di gestione dell’emergenza nel paziente in ventilazione meccanica
tradotto da Wood & Winters, 2011
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Considerazioni particolari
• Il monitoraggio dei parametri vitali in continuo non deve mai essere interrotto in alcuna fase del processo
di cura ed assistenza, in particolare, nel passaggio da un luogo di cura ad un altro è prevista la momenta-
nea sovrapposizione dei sistemi di monitoraggio in attesa del completo avvicendamento delle tecnologie
appartenenti all’equipe ricevente
• La capnografia può dare esiti falso negativi per quanto riguarda la posizione del tubo tracheale, in caso di
arresto cardiaco, in assenza di scambi gassosi
• In ventilazione meccanica, la gestione dell’ossigenazione del paziente avviene mediante il bilanciamento
dell’impostazione di PEEP e FiO2. La PaCO2, invece, viene gestita attraverso l’impostazione del volume
corrente, e della ventilazione minuto.
• L’ipercapnia produce riduzione progressiva del sensorio. L’ipossiemia si caratterizza negli stadi iniziali per
agitazione e confusione mentale.
• Il monitoraggio del paziente ventilato, e in generale di ogni malato critico, necessita sempre l’accurata
integrazione dei dati clinici derivanti dall’esame obiettivo con quelli strumentali, offerti dalle tecnologie
medicali.
• Focalizzarsi solo ed esclusivamente sulla risoluzione dei problemi derivanti dalle macchine può essere
fonte di perdita di tempo, quando non di errore nel trattamento delle urgenze dei pazienti in ventilazione
meccanica. L’approccio da seguire per la gestione e risoluzione degli allarmi derivanti dalle tecnologie di
monitoraggio e supporto delle funzioni vitali è sempre quello di ripartire dallo schema ABCDE controllan-
do il paziente e in parallelo la macchina che offre il supporto d’organo
• La formula per il calcolo del peso corporeo ideale (Ideal Body Weight – IBW) è:
- Maschi IBW (kg) = 50 + 0.91 (altezza (cm) –152.4)
- Femmine IBW (kg) = 45.5 + 0.91 (altezza (cm) –152.4)
BIBLIOGRAFIA
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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84
Tabella 2 - Modalità convenzionali di ventilazione meccanica – impostazioni e monitoraggio
85
Capitolo III
Ventilazione volumetrica obbligatoria Obbligatorio Trigger – ventilatore o TV o minute volume (volume minuto) PIP
intermittente sincronizzata + Pressione paziente FR Pplateau
di Supporto (V-SIMV + PSV) Limite – flusso (Flusso) TV espirato obbligato
Ciclaggio – volume Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) TV espirato spontaneo
FiO2 FR totale
Supportato Trigger – paziente
PEEP FR spontanea
Limite – pressione
Trigger (pressione o flusso)
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Ciclaggio – flusso
PS
Pressione controllata (PC-CMV; PCV) Obbligatorio Trigger – ventilatore Pinsp TV espirato
Limite – pressione FR FR totale
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo FiO2 PIP
PEEP
Rampa di flusso (rise time)
Pressione controllata a rapporto I:E Obbligatorio Trigger – ventilatore Pinsp TV espirato
invertito (PCVIRC) Limite – pressione FR FR totale
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo FiO2 PIP
PEEP
Rampa di flusso (rise time)
segue
Modalità di ventilazione Tipi di respiro Descrizione (TLC) Parametri Parametri
(sigle più comuni) impostati monitorizzati
Pressione assistita/ controllata (P/AC) Obbligatorio Trigger – ventilatore o Pinsp TV espirato
e Assistito paziente FR FR totale
Limite – pressione FiO2 FR spontanea
Ciclaggio – tempo Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) Volume minuto espirato
Pausa ciclaggio – tempo PEEP PIP
Trigger (pressione o flusso)
Rampa di flusso (rise time)
Ventilazione pressometrica obbligatoria Obbligatorio Trigger – ventilatore o Pinsp TV espirato assistito
intermittente sincronizzata paziente FR TV espirato spontaneo
(P-SIMV; SIMV) Limite – pressione Rapporto I:E (o tempo inspiratorio) FR totale
Ciclaggio – tempo FiO2 FR spontanea
Pausa ciclaggio – tempo PEEP Volume minuto espirato
Trigger (pressione o flusso)
Supportato Trigger – paziente
PS
Limite – pressione
Rampa di flusso (rise time)
Ciclaggio – flusso
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Frequenza di back up SIMV
Capitolo III
Pressione Positiva Continua delle Vie Spontaneo Trigger – paziente FiO2 TV espirato
aeree (CPAP) Limite – pressione PEEP FR
Unica modalità erogabile con strumenti Ciclaggio – flusso (Trigger) Volume minuto espirato
diversi dal ventilatore automatico Frequenza di back up SIMV
(apparecchi ad alti flussi; venturimetri)
Legenda: ASB – Assisted Spontaneous Breathing; CPAP – Continuous Positive Airways Pressure; CV – Control Volume; FiO2 – Frazione inspiratoria dell’O2; FR – Frequenza Re-
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
spiratoria; IPPV – Intermittent Positive Presure Ventilation; P-A/C Pressure Assist/Control; PC-CMV – Pressure Control-Continous Mandatory Ventilation; PCIRV – Pressure Control
Inverse Ratio Ventilation; PA – Pressione Assistita; PCV – Pressure Control Ventilation; PEEP – Positive End Expiratory Pressure; PIP – Peak Inspiratory Pressure; Pplateau – Pres-
sione di pausa inspiratoria; PS – Pressure Support; Rapporto I:E – Rapporto Inspirazione/Espirazione; SIMV – Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation; SIMV + PSV
- Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation + Pressure Support Ventilation;TLC – Trigger Limiting Cycling Classification; TV – Tidal Volume; V-A/C – Volume –Assist/Control;
A/C – Assist/Control; VC – Volume Controllato; V-CMV – Volume –Continuous Mandatory Ventilation; V-SIMV – Volume-Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
87
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Bassa pressione inspiratoria Disconnessione Determinare le cause delle perdite: disconnessione paziente-
- in genere impostato 5-10 paziente-ventila- ventilatore; perdita di connessione nel circuito in presenza di
cmH2O sotto la media della tore o perdite nel aerosol, filtro HME, raccogli-condensa, all’ingresso del senso-
PIP del paziente sistema re di temperatura dell’umidificatore, o alla valvola espiratoria;
perdite intorno alla cuffia della via aerea (intenzionali o meno)
Correggere la causa delle perdite: riconnettere il paziente alla
via aerea, controllare le connessioni e ristabilirle; portare la
cuffia del tubo tra 25 e 30 cmH2O
Bassa pressione dell’ossigeno Perdita di fonte Possibili cause: disconnessione accidentale della linea dell’os-
- informa sulla caduta della dell’ossigeno sigeno; problemi di ingegneria clinica come la cessazione mo-
pressione dell’ossigeno o caduta della mentanea di erogazione nel sistema centralizzato dei gas
nelle linee di erogazione al pressione dell’os-
Controllare rapidamente la fonte di ossigeno e riconnetterla; se
ventilatore sigeno all’interno
il problema è legato all’assenza di ossigeno centralizzato utiliz-
della fonte
zare immediatamente sistemi di bypass per l’erogazione di gas
medicali di emergenza, o bombole di ossigeno; eventualmente
deconnettere il paziente dal ventilatore meccanico e provvedere
alla ventilazione manuale con fonte di ossigeno in bombola; ca-
librazione dei sensori dell’ossigeno dopo riconnessione
Bassa pressione dell’aria Perdita di fonte di Controllare rapidamente la fonte di aria compressa e ricon-
compressa aria compressa o netterla se necessario; se il problema è legato all’assenza aria
- informa sulla caduta di pressione caduta della pres- compressa centralizzata utilizzare immediatamente sistemi di
di aria compressa nelle linee di sione di aria com- bypass per l’erogazione di gas medicali di emergenza; in as-
erogazione al ventilatore pressa all’interno senza dei sistemi suddetti, se il ventilatore inizia a dare segni
- molti ventilatori prevedono il della fonte di malfunzionamento legati alla mancanza di pressione di gas
funzionamento con ossigeno adeguati, deconnettere il paziente ed assisterlo in ventilazio-
al 100% per mantenere una ne manuale
fonte di gas fresco al paziente
connesso in ventilazione
meccanica
Bassa PEEP/CPAP Perdita nel circuito Valutare la presenza di perdite nel circuito e correggerle. Per-
- generalmente impostato 3-5 di ventilazione dite correlate a paziente possono essere quelle intorno alle vie
cmH2O sotto il livello di PEEP/ aeree oppure attraverso drenaggio toracico (vedi fistola bron-
CPAP impostato copleurica)
segue
88
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
89
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
Grossbach I., Chlan L. & Tracy M.F. (2011), Overview of mechanical ventilatory support and management of patient-
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90
Tabella 4 - Modalità di ventilazione meccanica alternative e non convenzionali – impostazioni e monitoraggio
Modalità di ventilazione Descrizione Parametri impostati Parametri monitorizzati
& marchi registrati
- Automatic Tube Compensation ATC compensa le resistenze associate al tubo tra- - Tipo di via aerea artificiale - Pressione intratracheale
(ATC) – (Dräger Medical; Puritan cheale mediante un controllo a loop chiuso del - Misura della via aerea artificiale - Pressione inspiratoria di picco
Bennet) calcolo continuo della pressione tracheale. ATC - TV
usa la pressione intratracheale per controllare - FR
il flusso, e ridurre quindi il lavoro respiratorio - EGA
indotto dal carico resistivo della via aerea artifi-
ciale. ATC adatta continuamente il grado di com-
penso al flusso di gas, e acquisce precisamente
durante tutto il ciclo respiratorio il lavoro respi-
ratorio aggiunto, generato dal tubo tracheale. Dal
momento che la pressione delle vie aeree con
ATC è funzione del flusso inspiratorio spontaneo
altrimenti non assistito del paziente (es. in CPAP),
e siccome il flusso è generato dalla pressione
muscolare del paziente, l’ATC può esser immagi-
nato come un semplice amplificatore dello sforzo
inspiratorio del paziente.
- Mandatory Minute Ventilation In un paziente che respira spontaneamente viene - Mandatory Minute Volume - TV
(MMV) – (Dräger Medical; impostata una ventilazione minuto di back-up, - Se SIMV: FR, TV, flusso - TV spontaneo
Hamilton AG; Bear Medical Sy- mediante PSV o SIMV. Se il paziente mostra una - Se PSV: livello di pressione di - Pressioni inspiratorie
stem Inc., VIASYS Healthcare) quota di Vol/m’ superiore alla soglia di back-up, supporto - Vol/m’ totale
91
Capitolo III
Sinonimi: Minimum Minute il ventilatore non offre alcuna forma di suppor- - PEEP - Vol/m’ spontaneo
Ventilation; Augmented Minute to o sostituzione rispetto a quella eventualmente - FiO2 - FR totale
Ventilation impostata (se viene usata la modalità SIMV). Se - Trigger - FR spontanea
invece la ventilazione del paziente cade sotto la - EGA
soglia di Vol/m’ di back up, il ventilatore eroga ul-
teriori respiri obbligati con TV impostato come la
SIMV, oppure aumenta la PSV ad un livello tale
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
- Airways Pressure Release Venti- L’APRV, è una modalità analoga alla BIPAP, an- - Pressione inspiratoria alta - TV
92
Capitolo III
lation (APRV) - (Dräger Medical) che se essenzialmente utilizzata come una BIPAP - Tempo di pressione inspiratoria - TV spontaneo
a rapporto I:E invertito, per permettere il recluta- alta - Vol/m’ totale
mento polmonare del paziente. A causa dei tempi - Pressione inspiratoria bassa - Vol/m’ spontaneo
inspiratori elevati, può richiedere, per essere tol- - Tempo di Pressione inspiratoria - FR totale
lerata, la sedazione del paziente, anche se l’APRV, bassa - FR spontanea
come la BIPAP, funziona con un sistema di val- - Rampa di flusso (Rise time) - EGA (rischio di ipercapnia)
vole espiratorie attive, e permette la ventilazione - FiO2 - PEEPi
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
93
Capitolo III
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Capitolo III
95
Capitolo III
96
Capitolo III
Questa tecnica prevede il passaggio automatico tra respiri a doppio controllo inter-respiro ciclati a tempo e respiri a doppio controllo inter-respiro ciclati a flusso.
La variabile che determina il feedback per decidere quale tipo di respiro verrà erogato è lo sforzo inspiratorio del paziente. Se il paziente triggera il respiro, il ven-
tilatore eroga modalità di supporto; se il paziente diventa apnoico per un periodo pre-impostato di tempo, il ventilatore passa ad erogare una modalità controllata
- Automode - (Siemens-Maquet) Automode consente di passare da una modalità Necessarie le impostazioni comple- - TV obbligato
- Volume Ventilation Plus (VV+) – di ventilazione di supporto ad una modalità con- te di entrambe le modalità, quella - TV spontaneo
(Puritan Bennet) trollata, a prescindere. In assenza di trigger da controllata e quella di supporto - Vol/m’ totale
parte del paziente per 12 secondi, il ventilatore - Vol/m’ spontaneo
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
97
Capitolo III
- High Frequency Oscillatory Ven- HFOV è una forma alternativa di ventilazione ob- - Ampiezza della pressione delle - Presenza di oscillazioni dal tora-
tilation (HFOV) bligatoria intermittente a pressione controllata vie aeree (delta-P o power) ce a metà della coscia
** Ci sono modalità ventilatorie con uno schema di set-point targeting. HFOV ero- - Frequenza (in Hz; 1 Hz=60 - EGA
che pur non essendo identiche ga respiri obbligatori molto piccoli e ad altissima atti/m’) - Frequenza cardiaca
alla HFOV, lavorano similmente, frequenza per creare una pressione media delle - Pressione media delle vie aeree - Pressione arteriosa
ognuna con ventilatori specifi- vie aeree costante grazie alle piccole oscillazioni. - tempo inspiratorio (% del ciclo
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
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98
Tabella 5 - Principali curve del ventilatore e troubleshooting dei problemi più comuni
99
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Volume Decelerato Quadrato Situazione con aumento delle resistenze. Il Picco aumenta mentre il Plateau rimane invariato
controllato
CPPV
100
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Volume Decelerato Quadrato Situazione con riduzione della compliance ed aumento delle resistenze. Aumento del valore di entrambe le pressioni, ma
controllato con aumento della differenza tra Picco e Plateau
CPPV
101
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Situazione con riduzione della compliance. Riduzione del Volume corrente a parità di pressione di plateau. Si noti come
controllata la riduzione della compliance determini una riduzione del picco di flusso inspiratorio
102
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Situazione con aumento delle resistenze. Riduzione del volume corrente a parità di pressione di plateau. Si noti la modi-
controllata ficazione dell’onda di flusso, con riduzione del picco di flusso inspiratorio, espiratorio e del volume di distribuzione del
flusso.
103
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato In pressione controllata è fondamentale che non vi sia attività respiratoria del paziente (indipendentemente dalla presenza
controllata del curaro). In caso di attività respiratoria del paziente il ventilatore fornirà un atto anticipato con riduzione del tempo espi-
ratorio preimpostato. Questa situazione determina un aumento delle pressioni medie. Le soluzioni prevedono : aumento
della sedazione, eventuale curarizzazione oppure, passaggio verso forme di ventilazione controllata a pressione che per-
mettano il ciclaggio di atti spontanei in CPAP o PS ( BiPAP Draeger.)
104
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Quadrata Decelerato Nel grafico sottostante possiamo apprezzare come la presenza di una broncopneumopatica cronica ostruttiva modifichi
controllata il flusso espiratorio. Il flusso non ritorna a zero, ma alla partenza della successiva inspirazione si verifica un fenomeno di
“air-trapping/intrappolamento d’aria” dovuto alla presenza di AutoPEEP.
105
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
CPPV- Quadrata Decelerato Ventilazione a pressione controllata con volume garantito
Autoflow Mantenendo lo stesso Tempo inspiratorio il ventilatore varierà le pressioni inspiratorie per ottenere il TV impostato
VGRP
106
Capitolo III
segue
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
BiPAP Quadrata Decelerato In caso di assenza di attività respiratoria del paziente, questa modalità è sovrapponibile alla Pressione controllata. A dif-
Drager ferenza di quest’ultima, se il paziente presenta attività respiratoria spontanea, la particolare valvola inspiratoria consente,
anche a pressione di plateau, un atto condotto in CPAP, senza passaggio al livello basso di pressione. In caso di attività
respiratoria spontanea durante il tempo espiratorio, è possibile scegliere se assistere il respiro spontaneo in CPAP o in
Pressione Assistita.
107
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Decelerato Decelerato La principale caratteristica della pressione di supporto riguarda la presenza di un trigger inspiratorio e di un trigger espira-
Assistita torio ( vedi schede ventilazione non invasiva). Il trigger inspiratorio deve essere in grado di rilevare tutti gli atti del paziente.
Nel grafico sottostante possiamo apprezzare un tipico caso di asincronia paziente/ventilatore. Nel punto A possiamo osser-
vare che il flusso è decrescente fino a circa metà dell’inspirazione, quindi aumenta e decresce nuovamente.
Contemporaneamente la pressione scende e poi risale al valore di picco. La situazione si verifica perché mentre il paziente
stava smettendo di inspirare (flusso decrescente) ha effettuato una nuova inspirazione (il flusso è risalito). Nel punto B
invece, possiamo osservare una interruzione dell’espirazione dovuta ad un tentativo di inspirazione del paziente, non con-
dotto dal ventilatore. In questi casi è fondamentale reimpostare la sensibilità del trigger inspiratorio.
108
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
segue
Modalità Onda Onda Immagine
Pressione Flusso
Pressione Decelerato Decelerato Nelle ventilazioni pressometriche il ventilatore ha il compito di raggiungere e mantenere la pressione impostata. Nelle ven-
Assistita tilazioni volumetriche invece il comando che diamo al ventilatore è quello di raggiungere e mantenere un certo flusso. La
“Rampa” è il tempo impiegato dalla pressione per raggiungere, dall’inizio dell’inspirazione, il proprio valore finale (quello
impostato). Questo nelle ventilazioni pressometriche. Mentre nelle ventilazioni volumetriche è il tempo necessario per
raggiungere il valore di flusso costante dal momento in cui inizia il flusso inspiratorio. Semplificando, la “Rampa”esprime
il tempo impiegato dalla curva che “comanda” la ventilazione per arrivare da zero al proprio valore massimo, su cui poi
si stabilizza. Il tempo di salita esprime la rapidità con cui inizia l’insufflazione. La regolazione della “Rampa” è importante
soprattutto nei pazienti che interagiscono con il ventilatore. Una Rampa troppo lenta (lunga) determina un aumento delle
asincronie e del lavoro respiratorio, ed un minor volume corrente, mentre un tempo di salita troppo rapido (breve) può
dare discomfort;
109
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Legenda: VGRP: volume garantito a regime di pressione, Tvinsp/esp: volume corrente espiratorio, PEEP: pressione positiva di fine espirazione,
PEEPi: auto peep (peep intrinseca), PRE: pressione di ritorno elastico, PS: pressione di supporto, Rampa: “Rise Time”
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
Bellani G., Mauri T., Coppadoro A., Grasselli G., Patroniti N., Spadaro S., Sala V., Foti G., Pesenti A., Estimation of
patient’s inspiratory effort from the electrical activity of the diaphragm, Crit Care Med. 2013 Jun; 41(6):1483-91.
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and lung volume in patients with acute respiratory distress syndrome undergoing pressure support ventilation,
Anesthesiology. 2002 Apr; 96(4):788-94.
110
Tabella 6 - Monitoraggio durante weaning da ventilazione meccanica
Il weaning dalla ventilazione meccanica prevede il passaggio a ventilazioni con pressione e successivamente CPAP, per preparare il paziente all’estubazione. Il
weaning del paziente prevede che siano presenti nel paziente la capacità di ventilare autonomamente, la forza e che il paziente non sia esaurito. Oltre ai parametri
respiratori tradizionali, per valutare questi parametri esistono diverse misure, ottenibili con il monitoraggio respiratorio, in grado di aiutare il personale sanitario
nella valutazione del paziente e nell’impostazione della ventilazione assistita.
Punti chiave
• Il rilasciamento muscolare non è garantito ma deve essere verificato dalla presenza di un plateau sulla traccia di pressione nelle vie aeree la cui durata deve
essere di circa 0.5 sec. ma che non ci si può aspettare duri 2-3 sec. come in controllata
• Il riconoscimento del plateau è facilitato dall’avere una traccia di pressione delle vie aeree (Servo Screen, Evita2 dura ed Evita 4)
• Il rilasciamento muscolare del paziente è facilitato dalla riduzione del suo drive respiratorio ottenibile mediante:
1. Rassicurazione della persona
2. Aumento del livello di PSV
3. Sedazione estemporanea
4. Aumento della PaO2 oltre 90 mmHg
111
Capitolo III
ridurre le perdite.
Considera il volume di Il Vcomp riduce il volume di gas che penetra nell’apparato respiratorio rispetto a quello
compressione (Vcomp) rilevato dal pneumotacografo del respiratore. In genere il Vcomp è di 1-2 ml/cmH2O che
significa che con un TV inspirato di 500 ml se la variazione di pressione che esso deter-
mina (P fine inspirazione – PEEP) è di 20 cmH2O, il volume effettivamente insufflato è 500
– (Vcomp * 20) ≈ 500 – 30 (se Vcomp = 1.5ml/cmH2O) = 470 ml
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
PEEPi Rappresenta la diffe- zero Utilizza i sistemi di misurazione automatica dei ventilatori
(PEEP intrinseca) renza fra la PEEP im-
postata e la pressione Può essere misurata mediante pausa di fine espirazione della durata di 3 sec
alveolare di fine
espirazione (Pel,rse)
segue
Misura Razionale Valore normale Esecuzione
PMuscIndex (PMI) Permette di verificare il Laddove indicato, il Misurazione PMI:
PMI = PRE - (PEEP paziente sta ricevendo PSV può essere rego-
+ PS) una sovrassistenza in lato in modo da mante-
(indicatore di Pressione di supporto nere un PMI compreso
sovrassistenza fra 2 e 6 cm H2O, co-
respiratoria) PRE è la Pressione di munque occorre evita-
ritorno elastico dell’ap- re PMI< 0 indicativi di
parato respiratorio sovrassistenza ventila-
ottenuta mediante oc- toria
clusione di fine inspi-
razione
112
Non sedare o aumen-
Capitolo III
segue
Misura Razionale Valore normale Esecuzione
P.01 La P 0.1 è la caduta di 1-1.5 cm H2O Utilizzare la funzione dedicata sui ventilatori
Pressione nelle vie ae-
(indicatore di ree nei primi 100 msec Il PS può essere rego- Esempio di misurazione automatica:
esaurimento) di un tentativo inspira- lato in modo che la P
torio a vie aeree occlu- 0.1 sia compresa fra 2
se (utilizzo la pausa di e 4 cm H2O,
fine espirazione). comunque occorre evi-
tare Po.1 < 1.5 indicati-
È un indicatore di dri- ve di sovrassistenza
ve respiratorio che ben ventilatoria
correla con lo sforzo in-
spiratorio
È estremamente varia-
bile e dipendente dal
livello di sedazione per
cui va misurata
in triplicato in condizio-
ni ambientali tranquille
113
danni neurologici e/o
Capitolo III
nelle vie aeree rispetto a –45) il tempo di apnea per ottenere lo sforzo massimale.
(Indicatore di forza alla PEEP di partenza +
muscolare respi- eventuale PEEPi per cui
ratoria) se la massima depres-
sione è di 20 in sogget-
to ventilato con PEEP
10 e PEEPi di 2, la MIP
= 20+10+2 = 32 cmH2O
Legenda: Tvinsp: volume corrente espiratorio; Tvesp: volume corrente espiratorio; Vcomp: volume di compressione, PEEP: pressione positiva di fine espirazione,
PEEPi: auto peep (peep intrinseca), PRE pressione di ritorno elastico, PS: pressione di supporto
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
BIBLIOGRAFIA
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114
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
CPAP è un acronimo inglese che significa Continuous Positive Airway Pressure, ovvero pressione positiva
continua nelle vie aeree. Indica un tipo di assistenza respiratoria in cui al respiro spontaneo non assistito
viene aggiunta una pressione positiva di fine espirazione, detta PEEP (Positive End Expiratory Pressure).
Negli anni ‘80 la CPAP era applicabile in modalità non invasiva attraverso l’utilizzo di maschere facciali. Le
maschere hanno un tempo di impiego ridotto (non più di 2 ore consecutive, a causa della pressione di appli-
cazione) che non ne consente l’utilizzo in continuo. Per ovviare a questi problemi nei primi anni ‘90 è stato
introdotto in Italia un nuovo device: lo scafandro. Questo dispositivo, composto da una parte superiore con
funzione di tenda ed un collare elastico che ne delimita la parte inferiore, nasce negli Stati Uniti per essere
utilizzato come “tenda ad ossigeno” durante le sedute di ossigenazione iperbarica. Il dispositivo presenta
due accessi per il gas medicale: uno per l’erogazione del gas in entrata ed uno per l’uscita della miscela.
Applicando sulla via di uscita una valvola PEEP, il dispositivo si trasforma in una interfaccia ideale per l’appli-
cazione della CPAP in continuo. Il tempo di applicabilità è la caratteristica fondamentale che distingue l’el-
metto dalle maschere facciali. In uno studio condotto su pazienti ematologici che necessitavano della CPAP
(Principi et al., 2002) la mortalità era diversa nei due gruppi oggetto del trial (CPAP con elmetto versus CPAP
in maschera) con risultati migliori per i pazienti che avevano ricevuto la CPAP mediante elmetto. Il gruppo con
elmetto si distingueva dal gruppo con maschera per la media di ore di applicazione in continuo della CPAP:
24 versus 2 ore.
L’applicabilità e la tollerabilità sono quindi due caratteristiche fondamentali dell’elmetto. L’infermiere durante
l’assitenza di una persona portatrice di elmetto, deve garantire al paziente il maggior comfort possibile al fine
di aumentare la tollerabilità, e quindi il tempo di applicazione della CPAP.
FiO2 della miscela = (litri di ossigeno + 20% dei litri di aria)/litri totali erogati
115
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
In caso di erogatori che non permettano la misurazione del flusso di gas oltre i 30 litri/minuto, è indispensa-
bile un analizzatore esterno per la determinazione della FiO2.
Un’alternativa a questi sistemi è rappresentata dai venturimetri. Questi sistemi utilizzano il principio di Ven-
turi, ovvero la possibilità di veicolare aria dall’ambiente esterno attraverso l’effetto aspirante determinato dal
passaggio di una quantità di gas noto attraverso una strozzatura del canale del gas. In questi dispositivi, ad
esempio, attraverso le tabelle di utilizzo è possibile modulare la FiO2 fino al 50% ottenendo flussi totali di mi-
scela di circa 50 litri. Con necessità di FiO2 superiori al 50% è mandatorio utilizzare le scatole rotametriche. Il
grande vantaggio di questi sistemi è rappresentato dall’applicabilità negli ambienti di degenza non intensivi
(reparti medici, reparti chirurgici).
Il flusso totale del gas con cui alimentare l’elmetto non deve essere inferiore a 30 lt/minuto indipendente-
mente dalla taglia di elmetto utilizzata. Come dimostrato in letteratura (Patroniti et al. ,2003) se la miscela di
gas è inferiore ai 30 lt/min all’interno del casco vi è un ristagno della CO2 eliminata dal paziente.
Un’ultima considerazione riguarda la possibilità di erogare i flussi per la CPAP dentro l’elmetto impiegando
un ventilatore polmonare da terapia intensiva. Questa possibilità non è applicabile, poiché anche in presenza
di elevata performance pneumatica erogabile dai moderni ventilatori, il flusso continuo presente nel casco è
nettamente inferiore ai 30 lt/minuti sopradescritti, con conseguente ristagno di CO2 all’interno dell’elmetto
(Taccone et al., 2004).
La valvola ad acqua presenta un ingombro maggiore, ma non richiede l’utilizzo di un sistema di monitoraggio
della pressione all’interno dell’elmetto. Se il circuito è pressurizzato in modo ottimale, nella valvola ad acqua
si avrà la formazione di bolle in continuo. Se la pressurizzazione non è ottimale, a causa di perdite dal collare
dell’elmetto, la formazione di bolle non sarà in continuo. Queste due condizioni sono difficilmente verificabili
con la valvola meccanica senza l’utilizzo di un monitoraggio esterno.
116
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Nel caso questi sistemi non fossero presenti, un’alternativa è rappresentata dalla possibilità di utilizzare per il
monitoraggio i trasduttori nati per la misurazione in continuo della pressione arteriosa invasiva. I trasduttori di
ultima generazione sono in grado di registrare anche le pressioni dell’aria. Per un utilizzo con l’elmetto, questi
trasduttori vanno collegati al circuito CPAP o direttamente dentro l’elmetto senza essere riempiti di soluzione
fisiologica ed avendo cura di eliminare il deflussore per la soluzione di riempimento ( sul trasduttore, una
volta eliminato il deflussore deve essere posto un tappo luer-lock). Una volta posizionato il trasduttore, la
pressione presente nell’elmetto può essere monitorata con un normale monitor da terapia intensiva.
Il sondino deve essere posizionato solo se il paziente deve rimanere in continuo dentro l’elmetto (in questo
caso il sondino risponde alle esigenze legate alla nutrizione enterale). Se le condizioni del paziente permet-
tono al soggetto di alimentarsi autonomamente, il sondino non dovrebbe essere posizionato. Lo sfintere
esofageo inferiore infatti si apre a pressioni superiori ai 30 cmH20. Queste pressioni non vengono raggiunte
con la CPAP. La presenza del sondino, inoltre, determina l’inefficacia dello sfintere esofageo.
In caso di sondino posizionato prima del trattamento il controllo del ristagno gastrico deve essere effettuato
ogni 4 ore.
117
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
• Fasce ascellari
• Fettuccia con ancoraggio al letto
• Sistema a contrappeso
Le fasce ascellari rappresentano il sistema più semplice per il fissaggio dell’elmetto. Le fasce vengono an-
corate alla parte rigida del dispositivo e vengono fatte passare sotto le ascelle del paziente. Questo tipo di
fissaggio è indicato per un utilizzo al massimo di due ore, o in pazienti con PEEP inferiore a 10 cmH20. L’uti-
lizzo in continuo determina l’insorgenza di decubiti e l’occlusione del letto venoso ascellare con possibilità di
stasi venosa e formazione di coaguli. L’utilizzo di PEEP maggiori di 10 cmH20, determina una forza di spinta
sul casco superiore ai 2 Kg per cavo ascellare, rendendo necessaria una pressione di esercizio delle cinghie
elevata, con aumento del disagio del paziente
Una seconda possibilità è rappresentata dall’utilizzo di una fettuccia di garza che ancora il casco da un capo
all’altro del letto. La fettuccia può essere fissata al casco con del cerotto di tela. Questo sistema, seppur
molto efficace limita i movimenti del paziente e di conseguenza ne diminuisce la collaborazione.
Il sistema a contrappesi funziona con l’utilizzo delle cinghie ascellari sopra descritte. In questo caso però le
cinghie non vengono fissate sotto le ascelle, ma vengono fatte passare sopra le spalle del paziente. A queste
vengono applicati per ogni lato del paziente 2 kg (possono essere utilizzati a tal scopo i pesi delle trazioni
transcheletriche). Con questa tipologia di fissaggio il paziente è libero nei movimenti (figura 1).
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
La ventilazione non invasiva sottopone il paziente all’inspirazione di gas medicale che per definizione ha ca-
ratteristiche differenti dall’aria naturale. L’aria inspirata naturalmente ha temperatura ed umidità determinate
dal clima. I gas medicali, invece, hanno una temperatura tendenzialmente compresa tra i 10 ed i 20 gradi, ma
soprattutto vengono veicolati negli impianti ospedalieri o nelle bombole di ossigeno con una umidità relativa
inferiore al 3%.
L’International Consensus Conferences in Intensive Care Medicine: noninvasive positive pressure ventilation
in acute Respiratory failure del 2003 ha stabilito che esiste una soglia minima di acqua per litro ventilato,
10mgH20/lt, sotto la quale le capacità naturali di umidificazione vegono alterate.
Per questo motivo è indispensabile identificare i potenziali pazienti a rischio durante CPAP con elmetto.
Come recentemente dimostrato (Chiumello et al.,2008) il problema si pone quando l’elmetto viene gestito
con alti flussi (>40lt/min). In queste condizioni è necessario l’utilizzo di un umidificatore attivo per trattare i
pazienti che necessitano dell’applicazione dell’elmetto per lungo periodo.
Esistono delle problematiche tecniche connesse all’utilizzo degli umidificatori attivi durante umidificazione
con alti flussi. Il set-up base di questi umidificatori non può essere lo stesso utilizzato in ventilazione invasiva.
L’impostazione ideale nel paziente intubato prevede una temperatura della camera di umidificazione a 35°
con umidità relativa del 100% ed una temperatura alla fine della linea inspiratoria di 37°. Se utilizzassimo
questo set-up il gas arriverebbe nell’elmetto a 37° con l’80% di umidità relativa. Come illustrato da Chiu-
mello, la temperatura dentro un elmetto alimentato da gas medicali senza umidificatore si attesta intorno
ai 29-30°. Il gas introdotto a 37° porterebbe immediatamente alla formazione di condensa sul lato interno
dell’elmetto con discomfort del paziente. Per questo motivo l’impostazione ideale per la gestione dell’u-
midificazione in CPAP con elmetto deve mirare all’umidificazione del gas con 100% di umidità relativa alla
temperatura presente naturalmente dentro lo scafandro (29-30°).
L’umidificatore può essere impostato (se dotato di programmi per la gestione della ventilazione non invasiva)
a 28° in uscita dalla camera con 100% di umidità relativa. La temperatura della linea inspiratoria in prossimità
dell’elmetto può essere impostata a 30°. In questo modo il gas in uscita dall’umidificatore avrà un contenu-
to d’acqua proporzionato alla temperatura all’interno dello scafandro. La temperatura crescente nella linea
inspiratoria impedirà la formazione di condensa prima dell’ingresso nell’elmetto. Nel caso si stia utilizzando
anche un filtro HME per la riduzione del rumore, andrà posizionato tra la fonte del gas e l’ingresso del gas
nell’umidificatore (in caso di posizionamento del filtro tra umidificatore ed elmetto tutta l’umidità prodotta si
bloccherebbe nel filtro rendendo vana l’umidificazione del gas) figura 2.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
I pazienti che utilizzano un venturimetro come fonte del gas con una FiO2 inferiore al 50% non necessitano
di umidificazione in quento parte del flusso del gas è veicolato dall’ambiente esterno con la relativa quota
di umidità.
Il sistema che genera la CPAP è una valvola cilindrica che viene poi comunemente applicata al volto del sog-
getto mediante una tradizionale maschera facciale per ventilazione non invasiva. La PEEP viene generata dal
flusso di ossigeno veicolato da un tubo simile a quello fornito con le comuni maschere per ossigenoterapia.
Il cuore del sistema si trova inserito nella valvola dove alcuni sottilissimi canali veicolano l’ossigeno causando
la formazione di moti turbolenti in grado di generare la pressione positiva continua (PEEP).
La PEEP viene generata dalla turbolenza conseguente all’accelerazione del flusso di Ossigeno che passa
attraverso i microcanali. Il paziente respira attraverso la valvola pressurizzata dall’ossigeno. Se il flusso inspi-
ratorio del soggetto eccede il flusso di Ossigeno, allora il paziente “raccoglie” aria dall’ambiente attraverso
l’orificio principale della valvola. Questo concetto è importante perché spiega la difficoltà di controllare con
precisione la FiO2. Uno spaccato della valvola mostra inoltre la presenza di un secondo connettore che può
essere utilizzato tanto per dare un supplemento di ossigeno quanto, e più frequentemente, per monitoriz-
zare la PEEP generata dal circuito.
L’interfaccia è costituita da una comune maschera facciale fissata in modo standard (figura 3).
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
La PEEP generata dal sistema Boussignac è flusso-dipendente, dipende cioè dal flusso di ossigeno erogato
all’interno del sistema dei microcanali.
Nella confezione del prodotto (Templier F. et al., 2003) viene fornito un grafico che rappresenta la relazione
fra flusso di O2 erogato e PEEP generata: con un flusso di ossigeno di 15 L/min si genera una PEEP di circa
3 cmH2O, mentre per ottenere 10 cmH2O di PEEP si devono somministrare circa 30 L/min.
I punti deboli ed i punti forti del sistema originano dalle caratteristiche tecniche sopradescritte.
Il ridotto ingombro e la maneggevolezza sono certamente i vantaggi principali che lo rendono competitivo
nei confronti di qualsiasi altro sistema per CPAP, compreso l’elmetto. Situazioni in cui tali caratteristiche sono
particolarmente apprezzate potrebbero essere: il soccorso extra-ospedaliero, il Pronto Soccorso ed i reparti
di degenza meno evoluti che potrebbero trovare il “device” più allettante dello scafandro. L’impiego della
maschera facciale convince facilmente il personale infermieristico, e non, del reparto che in realtà si tratti
di un trattamento non molto diverso dalla normale O2 terapia, anche se in realtà è profondamente diverso.
Andando più in dettaglio si possono evidenziare alcune insidie, legate all’utilizzo del device:
1. Imprevedibilità della FiO2
2. Iperpressurizzazione della linea dell’ossigeno
3. tollerabilità della maschera facciale
4. condizionamento dei gas inspirati
Il punto n. 1 è probabilmente quello clinicamente più rilevante. È difficile stabilire con precisione la FiO2 infatti
essa dipende da un lato dal flusso di O2 erogato e dall’altro dal tipo di respirazione del paziente. Quando il
flusso inspiratorio del paziente eccede il flusso di O2 allora il soggetto pesca aria dall’ambiente riducendo
progressivamente la FiO2.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Risulta evidente come conoscere la FiO2 durante CPAP di Boussignac non sia semplice. Monitorizzare la
concentrazione di Ossigeno attraverso il connettore supplementare non garantisce risultati attendibili in re-
lazione alla velocità di campionamento dell’ossimetro che è spesso troppo lenta e non può, quindi, fornirci
risultati attendibili. Probabilmente potrebbe essere più accurata la misurazione della FiO2 all’interno della
maschera facciale.
Per generare la PEEP il sistema Boussignac deve accelerare il flusso dell’O2 facendolo passare attraverso
dei microcanali che offrono una grossa resistenza determinando una iperpressurizzazione della linea dell’O2.
Questa pressurizzazione raggiunge naturalmente i massimi livelli quando si debbano generare PEEP > 5
cmH2O e sono in grado talvolta di far saltare le connessioni fra ossigeno e gorgogliatori presenti nella mag-
gior parte dei sistemi in uso nei reparti ospedalieri. Per ottenere PEEP> 5 cmH2O occorrono flussi > 15 L/min
che i comuni erogatori di ossigeno ospedaliero non consentono; pertanto, per far funzionare correttamente
la Boussignac, sono necessari alcuni aggiustamenti ai sistemi per O2 terapia comunemente impiegati.
L’applicazione della maschera facciale è spesso tollerata meno del casco dai pazienti con evidente distress
respiratorio, richiede un nursing time superiore ed è gravata da maggior insuccesso. Questo è particolar-
mente vero se si paragona la pressione di supporto erogata con la maschera alla CPAP con elmetto, mentre
la tollerabilità e la fattibilità della CPAP di Boussignac è certamente superiore alla pressione di supporto con
elmetto.
Per ultimo va ricordato che la somministrazione di gas medicali freddi e anidri per periodi prolungati può
produrre danni alle vie aeree, secchezza delle fauci, tosse, atelettasie ed aumentato rischio di infezioni. Per
tale motivo i gas medicali vanno adeguatamente umidificati e riscaldati anche durante ventilazione non inva-
siva. Non è possibile umidificare efficacemente l’O2 necessario per far funzionare la Boussignac e quindi, al
momento, il sistema di condizionamento suggerito consiste nell’aggiunta di un filtro HME fra la maschera
e la valvola di Boussignac.
La CPAP di Boussignac è stata anche utilizzata per l’assistenza durante broncoscopia in quanto il foro della
valvola consente un agevole passaggio dell’endoscopio, ed in questo caso è certamente più comoda da
usare dell’elmetto (Maitre B. et al., 2000)
L’applicazione della pressione di supporto in modalità non invasiva può essere ottenuta mediante l’utilizzo di
due differenti interfacce:
• la maschera facciale
• lo scafandro
Durante l’applicazione di pressione di supporto, a differenza di quanto avviene nella CPAP a flusso continuo,
l’interazione paziente-ventilatore è influenzata dalle perdite aeree presenti nei circuiti di ventilazione non
invasiva, e generati dall’impossibilità di sigillare il sistema come avviene per la ventilazione invasiva.
La maschera facciale è l’interfaccia ideale per erogare la pressione di supporto in quanto permette di ridurre
lo spazio morto e di ottimizzare al meglio il tempo di pressurizzazione del ventilatore a differenza di quanto
accade se la pressione di supporto è erogata con l’elemetto (Chiumello et al., 2003).
La perdita aerea influenza in modo importante il trigger espiratorio del ventilatore con la possibilità che si
perda la sincronizzazione tra paziente e ventilatore.
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Per poter monitorare la costante e continua sincronizzazione, oltre al corretto funzionamento del trigger
inspiratorio, deve funzionare in modo ottimale anche il trigger espiratorio.
La configurazione standard in ventilazione invasiva e quella di partenza del software NIV, prevede che l’espi-
razione parta quando si è raggiunto il valore pari al 25% del picco di flusso generato durante l’inspirazione.
Se ad esempio si è raggiunto un picco di flusso di 50 lt/min, l’espirazione partirà quando il flusso sarà dece-
lerato fino a 12,5 lt/min (figura 4).
Durante la ventilazione in NIV però, a differenza di quanto avviene per la ventilazione invasiva, le perdite
potrebbero non permettere una decelerazione del flusso. La perdita agisce come fistola, e la sua presenza
genera nel ventilatore un mantenimento del flusso.
Questa condizione determina perdita della sincronizzazione in quanto il paziente vorrebbe espirare, ma la
valvola espiratoria del ventilatore è chiusa, mentre quella inspiratoria continua ad erogare flusso. Si può giun-
gere alla condizione in cui il apziente, cercando di espirare contro il flusso del ventilatore, si trova costretto
ad aumentare il suo lavoro respiratorio, rendendo vano il beneficio della ventiazione con PS.
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
La perdita della sincronizzazione determina poi la presenza di atti del paziente non condotti a causa della
valvola espiratoria aperta con valvola inspiratoria chiusa (figura 5).
Diventa perciò fondamentale disporre di maschere facciali di diverse forme e misure al fine di ricercare la
maschera più adatta per ogni tipologia di paziente.
In molte occasioni bastano differenze di pochi centimetri nel supporto erogato per determinare la perdita
aerea.
L’infermiere deve occuparsi della gestione della maschera. Come primo intervento si dovranno posizionare
delle medicazioni di idrocolloide sottile nei punti in cui la maschera aderirà al viso del paziente, con partico-
lare attenzione alla superficie del naso.
In caso di pazienti portatori di protesi dentaria, è possibile mantenerla in sede, se è sufficientemente stabile,
al fine di ottimizzare la superficie di contatto tra viso e maschera.
Per incrementare la tollerabilità del paziente è consigliabile iniziare gradualmente l’erogazione del supporto.
Si può procedere con i seguenti steps:
• posizionare la maschera sul viso, avendo cura di non stringere subito i lacci della maschera al massimo
consentito (in caso di maschere con superficie gonfiabile non inserire il massimo volume consentito);
iniziare l’erogazione della sola CPAP con PEEP impostata alla metà del valore che si vuole raggiungere
a regime (per esempio se l’obiettivo e 10 cmH20, iniziare con 5 cmH20 – in alcuni casi piccoli incrementi
posso determinare l’insorgenza dalle perdite aeree – figura 6).
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
I moderni ventilatori hanno dei set-up dedicati per la gestione della ventilazione non invasiva. Questi settaggi
per la ventilazione non invasiva permettono al ventilatore di compensare il parte le perdite e di erogare flussi
di gas maggiori. Inoltre vengono attivati dei meccanismi per la gestione delle perdite. A seconda delle ditte
costruttrici è possibile regolare:
• Regolazione del trigger espiratorio: alcuni ventilatori consentono di aumentare la soglia del trigger espira-
torio rispetto al 25% del picco di flusso inspiratorio impostato per la ventilazione invasiva. Osservando la
curva flusso/tempo è possibile avvicinare al punto di perdita la regolazione del trigger espiratorio (figura 7).
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
• Tempo massimo inspiratorio: a differenza della ventilazione invasiva dove il ciclaggio dell’espirazione
è impostato di default al 25% del picco di flusso inspiratorio,quindi sempre regolato dal paziente, in
caso di perdite aeree importanti con difficoltosa sincronizzazione paziente ventilatore, è possibile de-
terminare il tempo massimo di erogazione inspiratoria della pressione di supporto. Il tempo inspiratorio
massimo deve essere impostato in base alla frequenza respiratoria del paziente. (Esempio: frequenza
respiratoria 45 atti/minuto: il tempo inspiratorio massimo va impostato tra 0,45 secondi e 0,60 secondi)
(figura 8).
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
La broncoaspirazione è una manovra essenziale dell’infermieristica in area critica. Le linee guida elabora-
te dall’American Association of Respiratory Care (AARC) nel 1993, sono state il punto di riferimento per
l’esecuzione corretta della procedura. Gli indicatori standard per determinare la necessità di eseguire una
manovra di broncoaspirazione, citati in queste linee guida si basavano o sulle aspirazioni preordinate ef-
fettuate ad orario, o sul giudizio clinico dell’operatore in merito al deterioramento delle condizioni cliniche
del paziente.
Nel 2010, l’AARC ha pubblicato le nuove linee guida, i cui punti salienti possono essere così sintetizzati:
1. L’aspirazione endotracheale deve essere eseguita solo in presenza di secrezioni, prima del deterioramen-
to dei parametri respiratori, e non di routine.
2. Utilizzo della pre-ossigenazione del paziente prima della procedura di aspirazione, al fine di evitare un
deterioramento clinicamente importante del valore di saturazione di ossigeno (SpO2) in pazienti ipossici.
3. Eseguire la manovra di aspirazione senza scollegare il paziente dal ventilatore (deconnessione)
4. Preferire una aspirazione endotracheale superficiale rispetto all’aspirazione profonda.
5. Non eseguire l’instillazione di soluzione fisiologica prima della manovra di aspirazione.
6. Utilizzare obbligatoriamente un sistema d’aspirazione a circuito chiuso nei pazienti con FiO2 e/o Peep
elevate, o a rischio di de-reclutamento polmonare.
7. Utilizzare manovre di reclutamento polmonare con il ventilatore qualora la manovra di aspirazione produ-
ca un de-reclutamento.
8. Utilizzare un catetere d’aspirazione che occluda meno del 50% del diametro del tubo endotracheale.
Le principali novità riguardano l’elaborazione della diagnosi di “ritenzione di secrezioni bronchiali”. L’inter-
vento infermieristico mirato alla risoluzione di questa diagnosi è l’effettuazione della manovra di bronco
aspirazione. Le linee guida suggeriscono che la manovra deve essere effettuata solo quando necessario,
cercando di identificare il “timing corretto” per l’esecuzione della procedura.
Per “timing corretto” si intende identificare il momento in cui il paziente inizia ad accumulare le secrezioni
bronchiali prima che queste possano generare un deterioramento dei parametri respiratori. A tal scopo,
le linee guida suggeriscono l’utilizzo di sistemi avanzati di monitoraggio, basati sull’analisi delle curve di
ventilazione (loop Flusso/Volume) o l’utilizzo di sistemi basati sull’analisi dei rumori respiratori.
La priorità di scelta per gli indicatori di presenza di ritenzione di secrezioni bronchiali è la seguente:
1. Presenza di dente di sega nel loop flusso/volume e/o presenza di “coarse crackles” (crepitii grossolani)
2. Aumento del picco inspiratorio durante ventilazione controllata volumetrica o diminuzione del volume
corrente durante ventilazione controllata pressometrica
3. Deterioramento dell’SpO2 o dei parametri emogasanalitici
4. Secrezioni visibili nelle vie aeree
5. Inabilità del paziente nell’espettorazione
6. Sindrome di fatica respiratoria (aumento del lavoro)
7. Sospetto di aspirazione di materiale gastrico
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
J. Tobin, in uno studio pubblicato nel 1994, fornisce un parametro per la rilevazione del ristagno di secre-
zioni bronchiali, ovvero l’analisi del loop flusso/volume, che molti ventilatori di ultima generazione offrono
sul display dell’apparecchiatura. La presenza di una curva definita “a denti di sega” in questo loop, può
significare che si è in presenza di ritenzione di secrezioni bronchiali”.
Tobin parte dalla constatazione che nella sua realtà l’esame clinico dei parametri elencati precedente-
mente ha dato una percentuale di risultati con falsi positivi (pazienti senza secrezioni aspirati inutilmente)
e falsi negativi (pazienti con secrezioni non broncoaspirati ) molto più alti (rispettivamente 42% e 43%)
rispetto alle curve flusso/volume (rispettivamente 12% e 14%). L’autore conclude che “affidarsi all’esame
clinico potrebbe portare ad un’aspirazione non necessaria del paziente senza secrezioni e ad un’aspira-
zione insufficiente nel paziente con secrezioni”. Inoltre, pur essendo l’analisi del loop flusso volume un
indicatore della presenza di secrezioni più attendibile dell’analisi clinica, Tobin sottolinea che “È importan-
te tenere in considerazione la possibilità che la forma ‘a denti di sega’ possa essere un artefatto. Anche
acqua nel circuito di un ventilatore può provocare una forma simile, ma i circuiti sono stati attentamente
drenati prima di ogni studio”.
Nel loop flusso/volume, sull’asse orizzontale troviamo il volume e su quello verticale il flusso (figura 1).
Il loop rappresenta il ciclo della respirazione (Volume corrente o tidal) . La lettura del grafico parte dal punto
1 e procede in senso orario. All’inizio c’è il flusso inspiratorio (verso l’alto) mentre viene inspirato il volume
corrente. Successivamente inizia l’espirazione ed il flusso espiratorio (verso il basso) è misurato in funzione
della riduzione del volume corrente. Il ciclo si chiude quando il volume corrente è stato espirato.
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Nel grafico 2 possiamo vedere l’effetto “dente di sega” sulla parte di flusso espiratoria, a testimonianza della
presenza di secrezioni bronchiali (figura 2).
Recentemente è stato commercializzato un nuovo device elettromedicale per effettuare la diagnosi di riten-
zione di secrezioni bronchiali. Il dispositivo monitorizza il livello sonoro delle secrezioni tracheobronchiali,
riconoscendo l’ampiezza del rumore delle secrezioni quando questi sono presenti nelle vie aeree. Il micro-
fono per l’acquisizione del segnale è collegato al paziente tramite un raccordo maschio/femmina passo 22
posizionato tra il tubo endotracheale e la Y del circuito ventilatorio. Nel momento in cui il paziente inizia a
ritenere le secrezioni bronchiali, il dispositivo avverte gli operatori tramite un allarme sonoro e visivo che
aumenta di intensità proporzionalmente all’aumento del relativo segnale. È possibile anche l’ascultazione di-
retta dei suoni polmonari grazie alla presenza di cuffie stereo a disposizione degli operatori. La performance
del sensore è garantita per 72 ore, dopodiché il sensore deve essere sostituito
Nel 2006 per verificare la sensibilità (capacità nel riconoscere la presenza di secrezioni bronchiali quando
queste sono presenti nell’albero bronchiale) e la specificità ( capacità di riconoscere l’assenza di secrezioni
bronchiali quando queste non siano presenti) di questo device uno studio italiano ha analizzato 500 manovre
di broncoaspirazione, in cui il dispositivo era collegato a pazienti ventilati invasivamente.
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Il device si è dimostrato performante nell’eseguire una diagnosi corretta di assenza di secrezioni ed in pochi
casi, meno del 3 % ha effettuato diagnosi non corrette.
Questo dispositivo rappresenta un aiuto anche nel percorso educativo degli infermieri neolaureati perché
permette di avere un supporto nell’elaborazione della diagnosi di ritenzione di secrezioni bronchiali. Gli autori
ritengono che possa essere determinante nel clearing precoce delle vie aeree in pazienti in cui le broncoa-
spirazioni si devono effettuare esclusivamente in condizione di sicura presenza delle secrezioni (gravi ARDS,
pazienti con patologia neurochirurgia con ICP instabile, pazienti con diatesi emorragica).
6.3. Utilizzo delle curve di flusso per identificare i pazienti a rischio ritenzione
I sistemi per broncoaspirare i pazienti si dividono in aperti e chiusi. Con la tecnica aperta, vi è il problema della
deconnessione del circuito respiratorio, con sospensione della ventilazione e perdita dei volumi di ventilazione
e della PEEP. La tecnica aperta è sicuramente economica, ma può esporre i pazienti con polmoni con complian-
ce ridotte a gravi ripercussioni emodinamiche e respiratorie determinate dalla sospensione della ventilazione.
Per ovviare a questi problemi, oramai da più di 20 anni, sono stati introdotti in commercio i sistemi di aspi-
razione a circuito chiuso. In questi sistemi il sondino di aspirazione è contenuto in una guaina trasparente. Il
sondino viene spinto mediante l’utilizzo della guaina nel circuito respiratorio attraverso un sistema valvolato,
presente tra la parte finale del tubo endotracheale ed il catetere mounth. La ventilazione non viene sospesa
durante la manovra di bronco aspirazione. Il mantenimento dei volumi polmonari, come testimoniato in
alcuni studi (Lasocki et al., 2006 - Caramez M.P. et al.) permette di ridurre le complicanze determinate dalla
manovra di bronco aspirazione. Pesenti e collaboratori (Pesenti et al., 2002) hanno dimostrato che l’utilizzo di
questi sistemi non interferisce con il funzionamento dei moderni ventilatori, anche in presenza di ventilazioni
volumetriche controllate.
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IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Particolare attenzione deve, però, essere posta nell’utilizzo di questi sistemi, quando si affronta il problema
della capacità di rimozione delle secrezioni coi sistemi chiusi. La capacità di aspirazione dei sistemi chiusi
è sovrapponibile a quella dei sistemi aperti (Blackwood B.,1998 - Noll M.L. et al.,1990). In alcuni pazienti,
soprattutto quelli con PEEP superiori a 10 cmH2O, il mantenimento della PEEP può ridurre la motilità delle
secrezioni e la conseguente rimozione.
L’influenza della ventilazione sulla mobilità delle secrezioni è stata recentemente evidenziata da J.J. Ma-
rini e collaboratori. La nostra fisiologia prevede che vi sia una differenza tra il picco di flusso inspiratorio
e quello espiratorio, a favore di quest’ultimo. Questa condizione permette la motilità delle secrezioni
verso le vie aeree superiori. In caso di aspirazione a circuito aperto, indipendentemente dalla ventilazione
adottata, questo rapporto è mantenuto poiché la deconnessione garantisce un flusso aggiuntivo, gene-
rato dalla perdita del volume necessario a generare la PEEP. Durante le aspirazioni con circuito chiuso,
questo flusso aggiuntivo non è presente, dato che non vi è deconnessione dal ventilatore. Diventa per-
ciò fondamentale determinare quali siano i pazienti, sottoposti a ventilazione controllata, in cui l’utilizzo
del sistema di aspirazione chiuso potrebbe generare difficoltà nella rimozione delle secrezioni al fine di
adottare accorgimenti specifici per consentire la clearance delle vie aeree. In condizioni di normalità, in
ventilazione volumetrica controllata, il picco di flusso inspiratorio (A) è inferiore a quello espiratorio (B),
come riportato in figura 4.
In figura 5 è riportato un caso di uguaglianza tra il picco di flusso inspiratorio ed espiratorio, mentre in figu-
ra 6 viene evidenziato un caso in cui il flusso inspiratorio è maggiore del flusso espiratorio. Quest’ultima
condizione agisce come una pompa pneumatica, impedendo la risalita delle secrezioni e determinandone
l’inversione della direzione (le secrezioni vengono spinte verso le basse vie aeree).
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Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
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Al fine di ottenere comunque una efficace rimozione delle secrezioni, nelle situazioni in cui sia difficile rimuo-
vere le secrezioni durante l’utilizzo del sistema chiuso, una delle strategie adottabili, consiste nell’aumentare il
numero di passaggi che compongono la manovra di aspirazione al fine di rimuovere tutte le secrezioni presenti
(Branson et al., 2007, Marini et al., 2008, Lucchini et al., 2011). Lasocki (Lasocki et al.,2006), dimezzando la
PEEP impostata tra un passaggio ed il successivo. In casi estremi il valore della PEEP può essere portato a
zero. La parziale riduzione della PEEP genera un flusso espiratorio aggiuntivo, con possibilità di incremento
della mobilità delle secrezioni.
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135
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Il paziente portatore di tubo endotracheale o di cannula tracheostomica viene ventilato con dei gas medicali
(temperatura <6°C umidità relativa 0%) che non possono essere umidificati dal rinofaringe e in quanto que-
sti distretti non sono attraversati dai suddetti gas.
Le vie aeree superiori permettono il condizionamento dei gas, nel soggetto estubato, in modo che il gas arrivi
in trachea a 35°C con il 100 % di umidità relativa (Umidità assoluta = 40 mg di H2O per litro di ventilazione).
Se il soggetto respira aria ambientale a 25°C con 50% di umidità relativa (Umidità assoluta = 10 mg di H2O
per litro di ventilazione) le vie aeree forniranno calore per raggiungere in trachea i 35°C ed in più forniranno
acqua al gas inspirato (30 mg H2O) per raggiungere un’umidità assoluta del 100%.
Nel paziente ventilato invasivamente esistono due possibilità per umidificare i gas inspirati:
• Gli umidificatori attivi (la temperatura e l’acqua venngono forniti da un sistema esterno).
• Gli umidificatori passivi, detti anche filtri (la temperatura e l’acqua sono forniti dal paziente).
Gli umidificatori attivi sono costituiti da un sistema riscaldante in cui il gas medicale viene portato alla tem-
peratura desiderata e da un sistema a membrana che cede umidità al gas riscaldato, caricando in base alla
temperatura la quantità d’acqua necessaria per portare il gas ad una umidità relativa del 100%.
In commercio esistono tre tipologie di umidificatori attivi: a camera riscaldata (la camera viene riscaldata e
per contatto viene ceduta l’acqua), con cartuccia a colonna (la colonna è rivestita da una membrana semi-
permeabile che cede l’umidità) e a membrana in goretex (la membrana in goretex, semipermeabile viene
riscaldata in modo da cedere l’umidità necessaria).
Tutti questi sistemi, sono in grado di fornire ai pazienti un’umidità relativa (UR) del 100% a 35°C come dimo-
strato da Pelosi (Pelosi et al., 2007).
L’umidificatore attivo oltre a controllare la temperatura del gas in uscita dalla camera riscaldante, può control-
lare la temperatura in prossimità del tubo endotracheale. Questa condizione è fondamentale per mantenere
il gas condizionato ed umidificato alla temperatura voluta. Se il gas esce dall’umidificatore a 35°C al 100% di
UR, nella linea inspiratoria la temperatura scende a 32°C, l’acqua contenuta nella differenza di temperatura
(da 35°C a 32°C) diventa condensa.
Per ovviare a questo problema i produttori di umidificatori hanno prodotto dei circuiti inspiratori con inserita
una resistenza elettrica in grado di mantenere costante la temperatura fino in prossimitàà del tubo tracheale.
Le resistenze in commercio sono di due tipi:
• Resistenza annegata nella superficie esterna della linea inspiratoria.
• Resistenza libera posizionata all’interno della linea inspiratoria.
Sono da preferire le resistenze annegate nella superficie interna poiché mantengono costante la temperatu-
ra all’interno della linea inspiratoria. Il filo libero invece determina l’insorgenza di aree calde e aree più fredde
con conseguente formazione di condensa.
Come suggerito da Pelosi (Severgnini et al., 2003) e da Branson (Branson et al., 2007), la temperatura in
uscita dall’umidificatore dovrebbe essere impostata allo stesso valore presente in trachea, ovvero 35°. La
temperatura in prossimità del tubo tracheale dovrebbe essere impostata con due gradi in più rispetto all’u-
midificatore, 37 ° al fine di impedire la formazione di condensa.
La condensa è assolutamente da evitare in quanto la sua presenza aumenta il rischio colonizzazione e quindi
di contrarre una VAP (Ventilator Associated Pneumonia).
136
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
Brochard (Brochard et al., 2005) e Lorente (Lorente et al., 2006) hanno recentemente dimostrato che un
utilizzo corretto dei nuovi sistemi di umidificazione, oltre a fornire un’umidificazione ottimale nelle vie aeree,
riduce il rischio di VAP se paragonati ai pazienti umidificati con filtri scambiatori di calore.
L’utilizzo delle linee espiratorie termo riscaldate non ha benefici sull’insorgenza della VAP. Inoltre l’utilizzo di tale li-
nee sul comparto espiratorio può essere realizzato solo in presenza di ventilatori con valvola espiratoria riscaldata.
In caso contrario la suddetta valvola, se non termostata, diventerebbe il punto in cui si formerebbe la condensa.
In tutti i pazienti in cui è posizionato un umidificatore attivo, il circuito respiratorio deve avere un andamento
declive rispetto al tubo oro tracheale.
Gli umidificatori passivi HME (Heath and Moisture Exchangers) possono essere montati sul tubo a Y per
umidificare e riscaldare l’aria inspirata. Esistono due tipologie di filtri: filtri igroscopici e filtri idrofobi.
Tabella 1
I filtri vanno mantenuti perpendicolari rispetto al tubo endotracheale. Il circuito deve essere mantenuto ad un livel-
lo di altezza superiore al tubo endotracheale al contrario di quanto avviene per i circuiti con umidificazione attiva.
I filtri HME comunque non sono in grado di offrire un’umidificazione ottimale nel paziente ventilato per più di 96 ore.
La scelta dell’umidificazione ideale per ogni singolo paziente può essere sintetizzata dalla tabella 7, come
suggerito da Branson (Branson R.D., 2007).
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137
Tabella 2 - Umidificazione dei gas medicali
Tipologia Durata prevista della Tipologia Impostazione ottimale Note:
di paziente ventilazione
ARDS, qualsiasi Umidificazione attiva 35° alla camera di umidificazione Secrezioni dense: aumentare la temperatura alla camera
polmonite, con circuito termo 37° allaY del paziente da 35 a 36 ed eventualmente 37. In questo modo il gra-
BPCO, riscaldato diente tra le due temperature diventerà zero con possibile
ASMA formazione di condensa. Se la temperatura corporea del
paziente è sotto controllo, per evitare la formazione di
condensa, aumentare proporzionalmente la temperatura
alla Y da 37 a 38° ed eventualmente 39°.
138
Capitolo III
Il supporto extracorporeo della funzionalità respiratoria, grazie alle nuove tecnologie biomedicali si è affer-
mato come una tecnica in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con ARDS. L’infermiere rive-
ste un ruolo fondamentale nella gestione del paziente. Il primo approccio deve considerare la principale
complicanza che un supporto extracorporeo può indurre nel paziente: il sanguinamento non controllabile.
I moderni circuiti extracorporei, pur presentando al proprio interno una superficie eparinata, richiedono
comunque il mantenimento di tempi di coagulazione alterati (PTT con INR compreso tra 1,5 e 2), al fine di
evitare che si formino coaguli all’interno del circuito.
Questa problematica influenza il nursing di base del paziente. Infatti anche le più semplici manovre posso-
no indurre emorragie di difficile controllo. Tutte le manovre a rischio devono essere effettuate con margini
di sicurezza. Si elencano le principali:
• Pulizia del cavo orale: utilizzare una ridotta pressione del vuoto centralizzato (< 50 mmHg), scegliere son-
dini con CH 10, utilizzare spazzolini dentali a setole morbide.
• Pulizia degli occhi: utilizzare esclusivamente prodotti dedicati (lacrime artificiali), non rimuovere eventuali
coaguli che non si dovessere staccare autonomamente con la detersione con soluzione fisiologica.
• Fissaggio del tubo oro tracheale: non utilizzare fissatori rigidi per prevenire l’insorgenza di decubiti.
• Bidet: verificare se la presenza della padella può indurre ostacoli al flusso del circuito a causa dell’esten-
sione del bacino.
• Cambio lenzuola: il paziente con accesso femoro/femorale o con accesso giugulo-femorale deve essere
mobilizzato in asse con utilizzo di un sollevatore meccanico. La scelta è motivata da due necessità: il po-
sizionamento sul fianco riduce la capacità di prelievo delle cannule determinando una riduzione del flusso
extracorporeo, le possibilità di trazione sui cateteri è minore con la mobilizzazione in asse. Durante queste
manovre un 2 infermieri si occupano della mobilizzazione, un terzo operatore deve impugnare le linee di
drenaggio e re immissione del circuito CEC (Circolazione Extra-Corporea) e controllare la pompa.
• Gestione delle medicazioni: si raccomanda di non utilizzare acqua ossigenata per la rimozione dei coaguli.
Il sito di ingresso dei CVC, del catetere arterioso e delle cannule del circuito extracorporeo devono essere
deterse esclusivamente con soluzione fisiologica. Eventuali coaguli presenti sul sito che non dovessero
rimuoversi con la semplice soluzione fisiologica devono essere lasciati in sede al fine di evitare l’insorgen-
za di emorragie di difficile controllo.
• Aspirazione tracheale: utilizzare nel paziente adulto sistemi chiusi di bronco aspirazione di calibro compre-
so tra 10 e 12 CH in relazione al tubo tracheale utilizzato. La pressione del vuoto centralizzato deve essere
ridotta a valori inferiori a -80 mmHg al fine di evitare lesioni da suzione sulla mucosa tracheale. Ogni 48
ore deve essere effettuato un controllo fibrobroncoscopico per il monitoraggio della mucosa tracheale.
La pressione della cuffia del tubo deve essere monitorata almeno ogni 2 ore per evitare l’insorgenza di
decubiti sulla mucosa.
• Gestione delle cannule e del circuito extracorporeo: le cannule e le linee di drenaggio e re immissione
devono essere saldamente ancorate al paziente. In caso di presenza di cannule venose femorali, le linee
devono essere posizionate lungo la coscia ed il piatto tibiale e devono essere ancorate con cerotto o fissa-
tori in tessuto velcrato in almeno tre punti oltre alla medicazione del sito di inserzione. Lo scopo di questo
ancoraggio è quello di ridurre al minimo la possibilità che trazioni sul circuito si riverberino sul tramite della
139
Capitolo III
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
cannula con possibilità di sanguinamento. Tra la cannula e la cute, al fine di evitare l’insorgenza di decubiti
ad opera del circuito, è possibile posizionare una medicazione in idrocolloide sottile, con l’interposizione
tra circuito e idrocolloide di una garza in tessuto non tessuto.
• Monitoraggio della perfusione degli arti inferiori: in caso di utilizzo di accessi femorali, soprattutto se in
presenza di un incannulamento arterioso, utilizzare la saturimetria capillare per monitorare la perfusione
degli arti. Inoltre è importante identificare e marcare con appositi pennarelli dermografici in centro co-
scia ed il centro gamba al fine di misurare almeno ogni 8 ore il diametro degli arti inferiori per il controllo
dell’andamento delle dimensioni degli stessi (verifica stasi venosa e ipoperfusione arteriosa indotta dalle
cannule del circuito extracorporeo).
• Controllo del livello di coscienza: le pupille devono essere verificate ogni ora per il controllo di eventuali
sanguinamenti cerebrali. Come illustrato nel capitolo seguente sul monitoraggio neurologico, il moni-
toraggio BIS può rappresentare un valido aiuto per l’infermiere per gestire al meglio situazioni in cui è
possibile determinare nel paziente l’insorgenza di instabilità emodinamica (cure igieniche).
• Monitoraggio del circuito: l’infermiere deve costantemente conoscere i valori di impostazione del cir-
cuito extracorporeo: i valori di Flusso extracorporeo, il numero di giri della pompa centrifuga, i limiti
di allarme del flusso, il flusso di gas che viene introdotto nel polmone artificiale, il set di temperatura
dello scambiatore di calore, le pressioni di esercizio del circuito. Nel circuito extracorporeo vengo-
no monitorate tre pressioni: la pressione pre-pompa, la pressione tra pompa e polmone artificiale, la
pressione dopo il polmone artificiale. La pressione pre-pompa è espressione della negativa generata
dalla pompa per riuscire a mantenere il flusso extracorporeo richiesto. In caso di pressioni inferiori a
-30mmHg l’infermiere deve prestare particolare attenzione durante le manovre di nursing in quanto
la negativa generata dalla pompa è al limite per quanto riguarda le possibilità di gestione del circuito
e quindi l’eventuale mobilizzazione per le cure igieniche può determinare una riduzione del flusso nel
circuito extracorporeo. Le pressioni pre-post polmone rappresentano un monitoraggio per identificare
l’aumento delle resistenze all’interno del polmone (aggregazione piastrinica, coaguli). Da questi accessi
ogni 24 ore vengono effettuati dei prelievi ematici (occorre prestare molta attenzione durante i prelievi,
essendo linee ad elevata pressione) per valutare attraverso l’esame emogasanalitico la performance
del polmone artificiale ed il suo decadimento nei giorni.
• Monitoraggio della coagulazione: ogni 2 ore è opportuno monitorare al letto del paziente mediante
apposite apparecchiature (Point of Care - POC), il tempo di coagulazione. Ogni 6 ore devono essere
monitorati: emocromo, PT,PTT, fibrinogeno e D-Dimeri per gestire la somministrazione di eparina e per
monitorare il tempo di sostituzione del circuito extracoproreo.
• Controllo della temperatura: è mandatario un controllo in continuo della temperatura centrale e della
temperatura nel circuito extracorporeo al fine di gestire al meglio lo scambiatore di calore del circuito
extracorporeo.
• Sostituzione del sondino naso gastrico e del catetere vescicale: il paziente ricoverato in terapia inten-
siva necessita di device che consentano il posizionamento a lungo temine. I materiali bio-compatibili
sono il silicone ed il poliuretano. Questi cateteri se è indicata la sostituzione, devono essere riposizio-
nati prima che il paziente venga connesso alla circolazione extracorporea.
140
Tabella 1 - Monitoraggio del circuito ECMO durante supporto Veno-Venoso
• Flusso ematico (Blood Flow – BF): è la componente principale da cui dipende l’ossigenazione. Andrebbe settato al valore più basso che consenta un’ossigena-
zione adeguata.
• Flusso gas del polmone artificiale (Gas Flow – GF): è il principale fattore che regola la rimozione della CO2. In base a questo fattore viene regolato il volume
minuto del ventilatore.
• FiO2 del Gas Flow: inizialmente settato a 1 (100%), verrà progressivamente ridotto in base ai miglioramenti nell’ossigenazione del paziente.
La letteratura suggerisce un controllo quotidiano operato da un tecnico perfusionista ed un monitoraggio continuo da parte dell’infermiere.
In caso di deficit nel drenaggio sarà necessario incrementare il In caso di eccesso di pressione negative, si osserverà nel circu-
numero di giri con conseguente aumento della pressione ne- ito una riduzione del flusso, con un movimento evidente della
gativa. cannula di drenaggio.
141
Capitolo III
Ci sono trombi nel circuito? Nel circuito non dovrebbero essere rilevabili trombi evidenti. Ispezionare visivamente il circuito con una torcia elettrica ad
ogni turno.
La differenza del delta tra la pressione pre ossigenatore (P Pre)
e post ossigenatore (P Post) non deve aumentare acutamente. Monitorare le pressioni ( P in, P Pre e P Post).
IL MONITORAGGIO RESPIRATORIO DI BASE
ACT compreso tra 180-220 Prelievi per ACT, PTT e Piastrine almeno ogni 8 ore. Un prelievo
PTT con INR compreso tra 1,5 e 2 die per dosaggio ATIII.
AT III > 70%
segue
142
Capitolo III
BIBLIOGRAFIA
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Capitolo IV
Il monitoraggio neurologico
Chiara Peduto, Enrico Lumini, Elisa Mazzoni, Laura Rasero
INTRODUZIONE
I pazienti critici sono spesso a rischio di disfunzione neurologica come conseguenza di condizioni neurologi-
che primarie o danni secondari. Determinare quali aspetti della funzione cerebrale sono influenzati e quale
sia il modo migliore per gestire la disfunzione neurologica spesso può essere difficile e complicato dalle
limitate informazioni che si possono ottenere dall’esame clinico in tali pazienti e dagli effetti delle terapie, in
particolare la sedazione, sulla funzione neurologica. I metodi per misurare e monitorare la funzione cerebrale
si sono evoluti notevolmente negli ultimi anni e ora giocano un ruolo importante nella valutazione e gestione
dei pazienti con compromissione della funzione neurologica. È importante sottolineare che nessuna singola
tecnica è ideale per tutti i pazienti: in molti pazienti, sarà necessaria una combinazione di tecniche di moni-
toraggio. Gli obiettivi generali del neuromonitoraggio sono:
1) individuare il deterioramento della funzione neurologica e l’insorgenza di insulti cerebrali secondari che
possono beneficiare di un trattamento specifico;
2) migliorare la comprensione fisiopatologica delle affezioni cerebrali in malattie gravi;
3) fornire informazioni per guidare e individualizzare la terapia e gli interventi assistenziali;
4) fornire informazioni prognostiche.
In questo capitolo, verranno illustrate le tecniche di neuromonitoraggio attualmente in uso nei pazienti cri-
tici unitamente alle indicazioni principali e alle considerazioni utili ad un’assistenza infermieristica sicura ed
efficace. L’articolo è diviso in due sezioni: nei primi due paragrafi verrà trattato il monitoraggio della funzione
neurologica comune alla maggioranza dei pazienti intensivi e nei restanti il monitoraggio specifico di pazienti
con patologie o lesioni cerebrali.
143
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Da un punto di vista clinico, possiamo considerare la coscienza come il prodotto di due funzioni cerebrali
strettamente connesse: la vigilanza o stato di veglia (“arousal”) e la consapevolezza di sé e dell’ambiente
(“awareness”) (1). Quest’ultima funzione è ritenuta essere il contenuto della coscienza, che racchiude a
sua volta diversi processi cerebrali quali, l’attenzione, la memoria esplicita, la percezione e la sensazione, le
funzioni esecutive e le motivazioni. Il rapporto tra vigilanza e contenuto della coscienza è gerarchico: non vi
può essere consapevolezza di sé e dell’ambiente in assenza di stato di veglia, ma si può essere vigile senza
contenuto dello stato di coscienza (es. stato vegetativo).
Lo stato di veglia, da un punto di vista neuroanatomico, richiede la conservazione dei meccanismi di vigilanza
propri del Sistema Reticolare Attivatore Ascendente (ARAS), una complessa rete neuronale che origina a
livello del ponte e del mesencefalo e si collega alle strutture corticali e sottocorticali, amplificando e diffon-
dendo le informazioni riguardanti le variazioni delle condizioni ambientali. La consapevolezza di sé e dell’am-
biente invece richiede l’integrità delle funzioni cognitive proprie della corteccia cerebrale.
Alterazioni patologiche dello stato di coscienza possono derivare da lesioni dirette o indirette dell’ARAS
oppure da estese disfunzioni cerebrali e includere significativi cambiamenti della consapevolezza di sé e
dell’ambiente, associati a gradi diversi del livello di vigilanza (2).
Il Coma è uno stato di completa perdita della coscienza, della motilità volontaria e della sensibilità, con
conservazione, parziale o totale, delle funzioni vegetative. Può avere causa metabolica, quali disfunzioni
più o meno reversibili del metabolismo energetico delle cellule nervose (es. ipoglicemia, insufficienza epa-
tica, tossici esogeni) o causa strutturale, quali lesioni anatomiche del tessuto nervoso (es. infarti ischemici,
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144
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
ascessi cerebrali, lacerazione degli assoni per traumi cranici). Evoluzione e prognosi di questa condizione
clinica sono variabili, con differenti possibilità di recupero, dalla ripresa rapida e piena fino ad uno stato di
coma persistente, oppure evolvere nella morte cerebrale.
Lo Stato Vegetativo (VS) è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di un’attività di veglia in assen-
za di consapevolezza cosciente di sé e dell’ambiente circostante. Il paziente può aprire e muovere gli occhi,
deglutire, respirare autonomamente, e mantenere l’alternanza del ciclo sonno-veglia così come osservato
con registrazioni elettroencefalografiche (EEG). È, inoltre, in grado di compiere alcuni automatismi motori
come sorridere, sbadigliare, masticare, rispondere a stimoli dolorosi ed effettuare movimenti spontanei afi-
nalistici. Non è però capace di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo, eseguire anche i più semplici ordini
verbali, emettere parole o compiere movimenti finalizzati. Le possibilità di risveglio sono legate alla gravità
del danno cerebrale e si riducono con il passare del tempo. Se questa condizione permane per più di un
mese è definita Stato Vegetativo Persistente (SVP): una condizione in cui le capacità funzionali del cervello
del soggetto sono gravemente e permanentemente alterate, le possibilità di un recupero di coscienza molto
limitate e accompagnate da gravi sequele funzionali.
Lo Stato Minimamente Cosciente (MCS) è una condizione anch’essa caratterizzata da una grave alterazione
dello stato di coscienza in cui però il soggetto può talora presentare un comportamento volontario, consa-
pevole, che può presagire un parziale recupero della funzionalità cerebrale.
La definizione delle alterazioni dello stato di coscienza è affidata a linee guida universalmente accettate,
ma non esiste evidenza che definisca una modalità uniforme di valutazione di tali condizioni (3). Sono state,
quindi, sviluppate e validate numerose scale comportamentali, sia per setting intensivi che riabilitativi, che
consentano di determinare il livello di coscienza e permettano una diagnosi accurata del tipo di alterazione.
La Glasgow Coma Scale (GCS), originariamente disegnata per pazienti con trauma cranico (4), è successiva-
mente diventata la scala maggiormente utilizzata per la valutazione delle alterazioni dello stato di coscienza
dei pazienti acuti sia con patologie di natura medica che traumatica, inoltre è inserita in score utilizzati in
ambito intensivo (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation - APACHE score).
La scala si riferisce a tre parametri fondamentali: risposta per l’apertura degli occhi, risposta verbale e risposta
motoria. Il punteggio che si ottiene sommando i valori per ciascun parametro (il minimo valore ottenibile è 3, il
massimo è 15) costituisce l’indice GCS. Tale indice deve essere associato alla valutazione del diametro pupilla-
re e della reattività alla luce, alla pressione arteriosa, alla frequenza cardiaca, alla temperatura corporea, al pat-
tern respiratorio, ai valori di anidride carbonica arteriosa per una completa valutazione dello stato di coscienza.
(3) Seel R., Sherer M., Whyte J., Katz D., Giacino J., Rosenbaum A., Hammond F., Kalmar K., Pape T., Zafonte R., Biester R, Kaelin D.,
Kean J., Zasler N., Assessment scales for disorders of consciousness: evidence-based recommendations for clinical practice and
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145
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
La frequenza delle osservazioni secondo la letteratura è molto variabile (ogni 10-15 minuti per pazienti instabili e
ogni 1-4 ore per quelli stabili) ma deve comunque essere adattata alle condizioni del paziente. Secondo le Linee
Guida della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva)per il trattamento
del grave traumatizzato cranico adulto, la valutazione neurologica (GCS e dimensione e reattività pupillari) nelle
prime 72 ore deve essere effettuata: all’ingresso, poi ogni ora e tutte le volte che compare una variazione neuro-
logica (team infermieristico)oppure ogni 4 ore e tutte le volte che avviene una variazione del quadro neurologico
(team medico); infine, nei pazienti sedati è necessario aprire una “finestra” di valutazione ogni 8 ore.
La valutazione del parametro ‘apertura degli occhi’ prevede l’esclusione di lesioni al nervo oculomotore op-
pure l’incapacità del paziente di eseguire la manovra (ptosi).
La risposta motoria stabilisce la capacità del paziente di obbedire a semplici comandi quale ‘tirar fuori la lingua’,
inoltre deve accertare la forza degli arti, sono quindi esclusi i pazienti con trauma spinale oppure farmacologi-
camente sedati o curarizzati. Metodologicamente si considera la risposta motoria migliore dal lato migliore e
solo degli arti superiori. Lo stimolo doloroso deve sempre seguire il richiamo verbale e deve essere rivolto sia
a livello centrale (pizzico del trapezio o pressione sopraorbitale) che periferico (pressione del letto ungueale del
primo o secondo dito); la durata dello stimolo deve essere di 5 secondi fino ad un massimo di 20-30 secondi.
Negli anni sono emerse numerose limitazioni riguardo all’utilizzo di questa scala: una affidabilità inter-obser-
ver inconsistente, l’impossibilità di testare la componente verbale nei pazienti intubati, l’assenza della valu-
tazione dei riflessi del tronco encefalico, infine una scarsa correlazione tra outcome e basso indice GCS (5).
Recentemente è stata proposta una nuova scala per la valutazione dello stato di coscienza, la Full Outline of
UnResponsiveness (FOUR) (6). Questa scala introduce nuove componenti che consentono una più accurata
valutazione neurologica (7), tuttavia necessita di una più ampia validazione prima di poter essere utilizzata
come strumento bedside (8).
(5) Balestrieri M., Czosnyka M., Chatfield D.A., et al., Predictive value of Glasgow Coma Scale after brain trauma: change in trend
over the past ten years, J Neurol Neurosurg Psychiatry, 2004, 75: 161-162
(6) Wijdicks E.F., Bamlet W.R., Maramattom B.V., Manno E.M., McClelland R.L., Validation of a new coma scale: the FOUR score,
Ann Neurol, 2005. 58: 585-593.
(7) Kornbluth J., Bhardwaj A., Evaluation of coma: a critical appraisal of popular scoring systems, Neurocrit Care. 2011; 14:134-143.
(8) Seel R.t., Sherer M., Whyte J., et al., American Congress Of Rehabilitation Medicine, Brain Injury-Interdisciplinary Special
Interest Group, Disorders Of Consciousness Task Force, Assessment scales for disorders of consciousness: evidence-based
recommendations for clinical practice and research, Arch Phys Med Rehabil, 2010; 91:1795-1813.
146
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
La scala FOUR si riferisce a quattro componenti: apertura degli occhi, risposta motoria, riflessi del tronco
encefalico e pattern respiratorio. Il numero dei componenti e il punteggio massimo in ciascuna categoria è
sempre quattro (così da facilitare la memorizzazione e rinforzato dall’acronimo utilizzato) mentre il punteggio
minimo è zero, ad indicare la possibilità di morte encefalica.
EYE RESPONSE
Action Score
Eyelids open or opened tracking or blinking to command 4
Eyelids open but not tracking 3
Eyelids closed but open to loud voice 2
Eyelids closed but open to pain 1
Eyelids remain closed with pain 0
MOTOR RESPONSE
Action Score
Thumbs up, fist or peace sign 4
Localizing to pain 3
Flexion response to pain 2
Extension response to pain 1
No response to pain or generalized myoclonus status 0
BRAINSTEM REFLEXES
Action Score
Pupil and corneal reflexes present 4
One pupil wide and fixed 3
Pupil or corneal reflexes absent 2
Pupil and corneal reflexes absent 1
Absent pupil, corneal and cough reflex 0
INTUBATION
Action Score
Not intubated, regular breathing pattern 4
Not intubated, Cheyne-Stokes breathing pattern 3
Not intubated, irregular breathing 2
Breathes above ventilator rate 1
Brethes at ventilator rate or apnea 0
Il FOUR score può essere utilizzato in molteplici setting intensivi, non esclusivamente in neurorianimazione
dove inizialmente è stato validato. È facile da insegnare e da somministrare, inoltre fornisce informazioni
essenziali per un’accurata valutazione di pazienti con alterazioni dello stato di coscienza (9). Lo score ha
dimostrato un valore prognostico paragonabile a quello fornito dalla GCS ma offre indiscutibili vantaggi: può
essere utilizzato in pazienti intubati, è in grado di distinguere stati vegetativi da stati minimamente respon-
sivi, infine, è in grado di rilevare la “locked-in syndrome” (pseudocoma o sindrome ventrale pontina) uno
(9) Iyer V.N., Mandrekar J.N., Danielson R.D., Zubkov A.Y., Elmer J.L., Wijdicks E.F.M., Validity of the FOUR score coma scale in the
medical intensive care unit, Mayo Clinic Proceedings, 2009. 84(8):694-701.
147
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
stato in cui non vi è perdita di coscienza ma la paralisi dei quattro arti e degli ultimi nervi cranici permette di
comunicare solo con movimenti oculari (10).
La maggior parte dei pazienti ricoverati in terapia intensiva (42-72%) riceve farmaci per la sedazione (11),
spesso associati ad analgesici, al fine di ridurre ansia e discomfort e migliorare la tolleranza ai trattamenti
(12). Ansia e agitazione sono infatti eventi molto frequenti in ambito intensivo, e sono associati al peggiora-
mento degli outcomes clinici. Secondo le linee guida internazionali, identificare e trattare prontamente le
condizioni che possono causarne la comparsa (es. ipossiemia, dolore, delirium, astinenza da sostanze, depri-
vazione di sonno, ventilazione meccanica) è considerato prioritario rispetto al trattamento farmacologico (13);
tali interventi includono il mantenimento del comfort del paziente, provvedere ad una adeguata analgesia,
monitorare e trattare il delirium, istituire pratiche di orientamento del paziente (es. incoraggiamento della
comunicazione, mobilizzazione precoce) e di miglioramento ambientale (es. riduzione degli stimoli nelle ore
notturne, quali procedure, rumori, luci) al fine di ridurre i fattori stressanti e favorire un normale modello di
sonno.
Non esistendo un livello di sedazione standard che sia ottimale per tutti i pazienti, gli esperti internazionali
concordano nel sostenere che sia necessario che l’equipe intensiva stabilisca quotidianamente il livello ade-
guato per ogni paziente, in considerazione delle peculiari caratteristiche cliniche, della tolleranza ai presidi
invasivi e alle posture, dell’adattamento alla ventilazione meccanica, infine degli importanti effetti collaterali
della terapia sedativa stessa. Le conseguenze negative legate ad una sedazione eccessiva prolungata sono
state ampiamente dimostrate in letteratura (14), a dispetto dei benefici ottenuti mantenendo livelli di sedazio-
ne più superficiali, in una popolazione così vulnerabile, quale quella dei pazienti di terapia intensiva. La novità
culturale emersa negli ultimi anni è sostanzialmente rappresentata dal concetto di “sedazione cosciente”,
ottenuta attraverso un approccio sistematico che preveda l’utilizzo di protocolli di interruzione giornaliera
della sedazione o di superficializzazione dalla stessa, anche per i pazienti ventilati meccanicamente, la scelta
del farmaco più adeguato e della migliore modalità di somministrazione dello stesso, associati ad un ottimale
sistema di monitoraggio del livello di sedazione raggiunto (15).
Il monitoraggio sistematico del livello di sedazione, esattamente come quello del dolore e del delirium, come
parte integrante della strategia di management degli stessi, è associato alla riduzione della mortalità, dei
giorni di degenza in terapia intensiva, di ventilazione meccanica, dei costi oltre ad una minore incidenza di
infezioni nosocomiali (16).
(10) Bruno M.A., Ledoux D., Lambermont B., et al., Comparison of the Full Outline of UnResponsiveness and Glasgow Liege Scale/
Glasgow Coma Scale in an intensive care unit population, Neurocrit Care, 2011, 15(3):447-453.
(11) Ayen J.F., Chanques G., Mantz J., Hercule C., Auriant I., Leguillou J.L. et al., Current practices in sedation and analgesia for
mechanically ventilated critically ill patients: a prospective multicenter patient-based study, Anesthesiology 2007; 106:687-95.
(12) Jacobi J., Fraser G.L., Coursin D.B., Riker R.R., Fontaine D., Wittbrodt E.T., et al., Clinical practice guidelines for the sustained
use of sedatives and analgesics in the critically ill adult, Crit Care Med 2002; 30:119-41.
(13) Martin J., Heymann A., Bäsell K., Baron R., Biniek R., Bürkle H., et al., Evidence and consensus-based German guidelines for
the management of analgesia, sedation and delirium in intensive care – short version, Ger Med Sci, 2010 Feb 2;8.
(14) Girard T.D., Kress J.P., Fuchs B.D., Thomason J.W., Schweickert W.D., Pun B.T. et al., Efficacy and safety of a paired sedation
and ventilator weaning protocol for mechanically ventilated patients in intensive care (Awakening and Breathing Controlled trial):
a randomised controlled trial, Lancet 2008; 371:126-34.
(15) Fraser G.L., Riker R.R., Sedation and analgesia in the critically ill adult, Curr Opin Anaesthesiol, 2007;14:119-123.
(16) Jackson D.L., Proudfoot C.W., Cann K.F., Walsh T., A systematic review of the impact of sedation practice in the ICU on re-
source use, costs and patient safety, Crit Care, 2010; 4:R59.
148
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Le linee guida (17) raccomandano la misurazione e la relativa documentazione della qualità e del livello di sedazio-
ne ottenuto ogni 8 ore attraverso strumenti oggettivi, riproducibili e validati, quali la Richmond Agitation-Sedation
Scale (RASS) (18) e la Sedation Agitation Scale (SAS) (19); non sono invece raccomandate misurazioni oggettive
della funzionalità cerebrale quali Potenziali Evocati uditivi (AEPs), Bispectral Index (BIS), Narcotrend Index (NI),
Patient State Index (PSI) o Entropia (SE) ma suggeriti in pazienti in terapia con bloccanti neuromuscolari.
Esistono, in realtà, numerose scale di valutazione del livello di sedazione nei pazienti adulti ma la RASS e la
SAS sono risultate migliori relativamente alle proprietà psicometriche. Entrambe le scale hanno dimostrato
un elevato grado di affidabilità tra operatori diversi, sono in grado di discriminare diversi livelli di sedazione
in varie condizioni cliniche (20), inoltre mostrano un’alta correlazione fra score di sedazione ottenuto e valore
misurato con elettroencefalogramma o BIS (21).
(17) Barr J., Fraser G.L., Puntillo K., et al., Clinical practice guidelines for the management of pain, agitation, and delirium in adult
patients in the intensive care unit, Crit Care Med 2013; 41(1):263-306.
(18) Sessler C.N., Gosnell M.S., Grap M.J., Brophy G.M., O’Neal PV, et al. (2002), The Richmond Agitation-Sedation Scale: validity
and reliability in adult intensive care unit patients, Am J Respir Crit Care Med 166(10): 1338-44.
(19) Riker R.R., et al., Prospective evaluation of the Sedation-Agitation Scale for adult critically ill patients, Crit Care Med 1999;
27(7):1325-9.
(20) Ely E.W., Truman B., Shintani A., et al., Monitoring sedation status over time in ICU patients: Reliability and validity of the Rich-
mond Agitation-Sedation Scale (RASS), JAMA 2003; 289:2983-2991.
(21) Deogaonkar A., Gupta R., DeGeorgia M., et al., Bispectral Index monitoring correlates with sedation scales in brain-injured
patients, Crit Care Med 2004; 32:2403-2406.
149
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
3. Quando non si ottiene una risposta alla stimolazione verbale, stimolare fisicamente il paziente scuoten-
dogli la spalla o premendo sullo sterno
a. Il paziente ha movimenti allo stimolo doloroso: punteggio -4
b. Il paziente non risponde ad alcuno stimolo: punteggio -5
Il delirium è una sindrome caratterizzata da una disfunzione cerebrale ad esordio acuto e variabilità tempo-
rale, che determina fluttuazione dello stato di coscienza con disattenzione e pensiero incoerente (22). Sono
elementi essenziali di tale sindrome, sia un’alterazione dello stato di coscienza associato ad una incapacità a
focalizzare e mantenere l’attenzione, sia un’alterazione del pensiero (deficit della memoria, disorientamento,
disturbi del linguaggio) o uno sviluppo di un disturbo percettivo (allucinazioni). Sono stati distinti tre sottotipi
di delirium secondo il livello di vigilanza e di attività psicomotoria: il delirium iperattivo, caratterizzato da agi-
tazione e labilità emotiva (meno comune); il delirium ipoattivo, caratterizzato da apatia e diminuzione della
responsività (più comune); infine la forma mista.
In Terapia Intensiva il delirium si sviluppa in circa i due terzi dei pazienti (23), nonostante ciò, in assenza di un
adeguato monitoraggio, rimane non diagnosticato nel 72% dei casi (24). È stato ampiamente dimostrato che
il delirium sia un importante fattore predittivo indipendente di peggioramento degli outcomes clinici dei pa-
zienti di terapia intensiva, quali aumento della mortalità, della degenza e dei costi ospedalieri, della presenza
(22) American Psychiatric Association, Delirium, dementia and amnestic and other cognitive disorders, in Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders, 4th ed. Washington, DC, American Psychiatric Association, 1994, pp 123-133.
(23) Dubois M.J., Bergeron N., Dumont M., Dial S., Skrobik Y., Delirium in an intensive care unit: a study of risk factors, Intensive
Care Med. 2001;27(8):1297-1304.
(24) Spronk P.E., Riekerk B., Hofhuis J., Rommes J.H., Occurrence of delirium is severely underestimated in the ICU during daily care,
Intensive Care Med. 2009;35(7):1276-1280.
150
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
di deficit cognitivi a lungo termine (demenza indotta da terapia intensiva) (25)(26)(27). L’alta prevalenza di tali
outcomes e la loro gravità devono indurre tutti i professionisti di area critica a considerare quali aspetti del
delirium siano prevedibili, prevenibili, determinabili e trattabili.
I meccanismi fisiopatologici coinvolti nello sviluppo e nella progressione del delirium sono pressoché sco-
nosciuti, ma si pensa siano correlati allo squilibrio dei neurotrasmettitori che regolano le funzioni cognitive, il
comportamento e l’umore (dopamina, acido g-aminobutirrico e acetilcolina). Inouye et al (28) hanno sviluppa-
to un utile modello predittivo per diagnosticare il delirium e individuato due differenti categorie di fattori di ri-
schio: predisponenti e precipitanti. I fattori di rischio predisponenti sono presenti all’ammissione ed indicano
una certa vulnerabilità di base, includono l’età avanzata, gravi condizioni cliniche all’ingresso e la presenza di
comorbidità (es. demenza) che risultano da un cronico squilibrio dei neurotrasmettitori sopra descritti; invece
i fattori precipitanti sono rischi aggiuntivi acquisiti durante la degenza, includono stimoli nocivi (es. farmaci
psicoattivi, ventilazione meccanica, prolungata immobilità) che producono un acuto squilibrio dei neurotra-
smettitori citati (es. ipossia, disturbi metabolici o idroelettrolitici, sepsi, febbre) (29).
La prevenzione del delirium prevede un approccio multidimensionale che si avvale di strategie mirate a:
• monitorare routinariamente il delirium in tutti i pazienti di terapia intensiva e valutare la presenza di fattori
di rischio al fine di definirne il livello di vulnerabilità
• correggere le cause organiche/metaboliche sottostanti, per quanto possibile
• istituire pratiche di orientamento del paziente (es. incoraggiamento della comunicazione, mobilizzazione
precoce) (30) e di miglioramento ambientale (es. riduzione degli stimoli nelle ore notturne, quali procedure,
rumori, luci)
• ridurre le pratiche di ventilazione meccanica prolungata e over-sedazione (31), selezionare sedativi che non
espongano i pazienti ad aumentato rischio di delirium quali le benzodiazepine (32).
Il monitoraggio routinario del delirium (con frequenza di 1/8-12ore), in tutti i pazienti adulti ricoverati in terapia
intensiva, è fortemente raccomandato dalle linee guida (33), con strumenti altamente specifici e sensibili qua-
li il Confusion Assessment Method for the Intensive Care Unit (CAM-ICU) (34)(35) e la Intensive Care Delirium
(25) Ely E.W., Shintani A., Truman B., et al., Delirium as a predictor of mortality in mechanically ventilated patients in the intensive
care unit, JAMA. 2004; 291:1753-1762.
(26) Ely E.W., Gautam S., Margolin R., et al., The impact of delirium in the intensive care unit on hospital length of stay, Intensive
Care Med. 2001; 27:1892-1900.
(27) Girard T.D., Jackson J.C., Pandharipande P.P., et al., Delirium as a predictor of long-term cognitive impairment in survivors of
critical illness, Crit Care Med. 2010; 38:1513-1520.
(28) Inouye S.K., Charpentier P.A., Precipitating
factors for delirium in hospitalized elderly persons: predictive model and interrela-
tionship with baseline vulnerability, JAMA, 1996; 275:852-857.
(29) Vasilevskis E.E., Ely E.W., Speroff T., Pun B.T., Boehm L., Dittus R.S., Reducing iatrogenic risks: ICU-acquired delirium and
weakness-crossing the quality chasm, Chest. 2010.138:1224-1233.
(30) Schweickert W.D., Pohlman M.C., Pohlman A.S., et al., Early physical and occupational therapy in mechanically ventilated, criti-
cally ill patients: a randomised controlled trial, Lancet, 2009; 373(9678):1874-1882.
(31) Balas M.C., Vasilevskis E.E,. Burke W.J., et al., Critical care nurses’ role in implementing the “ABCDE bundle” into practice. Crit
Care Nurse. 2012; 32(2):35
(32) Pandharipande P., Shintani A., Peterson J., et al., Lorazepam is an independent risk factor for transitioning to delirium in intensive
care unit patients, Anesthesiology. 2006; 104(1):21-26.
(33) Barr J., Fraser G.L., Puntillo K., Ely E.W., Gelinas C., Dasta J.F., et al., Clinical practice guidelines for the management of pain,
agitation, and delirium in adult patients in the intensive care unit, Crit Care Med. 2013;41:263-306.
(34) Ely E.W., Margolin R., Francis J., et al., Evaluation of delirium in critically ill patients: validation of the Confusion Assessment
Method for the Intensive Care Unit (CAM-ICU), Crit Care Med. 2001; 29(7):1370-1379.
(35) Ely E.W., Inouye S.K., Bernard G.R., et al., Delirium in mechanically ventilated patients: validity and reliability of the confusion
assessment method for the intensive care unit (CAM-ICU), JAMA, 2001;286(21):2703-2710.
151
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Screening Checklist (ICDSC) (36). Entrambi gli strumenti, utilizzati in molti paesi e tradotti in molte lingue, sono
stati validati in molteplici popolazioni di pazienti ventilati e non. La valutazione del funzionamento cognitivo,
qualsiasi dei suddetti strumenti si intenda utilizzare, deve essere preceduta dalla valutazione della risvegliabilità
del paziente per escludere livelli profondi di sedazione/coma che classificano il paziente come “non valutabile”;
1a FASE
Valutazione del livello di sedazione con RASS (vedi sezione dedicata)
Se RASS ≤ -4 Stop e rivaluta il paziente in un secondo momento
Se RASS ≥ -3 procedi alla seconda fase
2a FASE
Valutazione del Delirium con CAM-ICU (Tabella 6)
La diagnosi di Delirium è positiva se sono presenti modificazioni acute dello stato di coscienza o vi è stato
un decorso fluttuante della stessa (PUNTO1) e disattenzione (PUNTO2) associate a pensiero disorganizzato
o incoerente (PUNTO3) oppure alterato livello di coscienza (PUNTO4).
* Al punto 2 viene somministrato un test uditivo e/o visivo ASE (Attention Screening Examination) per valu-
tare il livello di concentrazione. Di seguito le modalità di somministrazione:
• si somministra prima l’ASE uditivo. Se il paziente è capace di svolgerlo e c’è un risultato chiaro, si passa al
punto 3. Se il paziente non riesce a svolgere questo test o se il risultato non è chiaro, si effettua anche l’ASE
visivo. Se vengono svolti entrambi i test e si riscontrano risultati contrastanti, fa fede il risultato dell’ASE visivo.
• ASE uditivo (riconoscimento della lettera “A”)
Si pronuncia a voce alta (una lettera al secondo) una serie di 10 lettere (es. S A V E A H A A R T) e si
chiede al paziente di stringere la mano dell’esaminatore tutte le volte che sente pronunciare la lettera
“A”. Il test è considerato positivo se il paziente fa più di 2 errori.
• ASE visivo (riconoscimento di immagini)
Si mostrano al paziente 5 immagini per 3 secondi l’una. Subito dopo, si mostrano 10 immagini che com-
prendono le 5 già mostrate. Il paziente dice “sì” se già viste e “no” se non mostrate in precedenza. Il
test è positivo se il paziente fa più di 2 errori. Alternare un set immagini per i giorni dispari ed uno per
quelli pari per evitare fenomeni di memorizzazione.
È importante che i pazienti che normalmente indos-
sano occhiali da vista li abbiano al momento dell’esecuzione del test.
(36) Bergeron N., Dubois M.J., Dumont M., Dial S., Skrobik Y., Intensive Care Delirium Screening Checklist: evaluation of a new
screening tool, Intensive Care Med, 2001; 27(5): 859-864.
152
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
• Porre un set di quattro semplici domande cui sia possibile rispondere Sì o No. Applicare 1 punto per ogni
risposta giusta
Set giorni dispari:
1. Una pietra galleggia sull’acqua?
2. Ci sono dei pesci nel mare?
3. Un chilo pesa più di due chili?
4. Si può usare il martello per piantare un chiodo?
Set giorni pari:
1. Una foglia può galleggiare sull’acqua?
2. Ci sono gli elefanti nel mare?
3. Due chili pesano più di un chilo?
4. Si può usare il martello per segare il legno?
• Chiedere al paziente di ripetere il gesto dell’esaminatore che gli mostra 2 dita, sia con una mano che con
l’altra. Se il paziente non riesce a muovere entrambe le mani, ripetere il gesto due volte con la stessa
mano. La prova effettuata correttamente vale 1 punto.
Ulteriori approfondimenti riguardo all’utilizzo della CAM-ICU comprensivi di riferimenti bibliografici, video di
training, protocolli, strumenti utili per la pratica quotidiana, linee guida sono facilmente reperibili ai seguenti
siti internet: www.icudelirium.org oppure www.sedaicu.it.
Una valida alternativa alla CAM-ICU può essere la Intensive Care Delirium Screening Checklist (ICDSC),
rappresentata nella Tabella 7 (37); quest’ultima ricalca nei suoi primi quattro elementi i primi due criteri dia-
gnostici del delirium secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disease(DSM-IV), nei restanti
si riferisce a caratteristiche specifiche del delirium. Un punteggio totale ≥4 indica la presenza di delirium, se
compreso fra 3 e 1 indica la presenza di delirium subclinico, la sua assenza un punteggio uguale a 0. La scala
viene completata in base alle informazioni ottenute durante ciascun turno di 8 ore, oppure riferendosi alle 24
ore precedenti. Se vi sono manifestazioni evidenti di un fattore si assegna 1 punto, in assenza di alterazione
di quel fattore o impossibilità a rilevarlo si assegnano 0 punti. Il sistema di assegnazione del punteggio è
riassunto nella Tabella 8.
(37) Giusti G.D., Piergentili F., Cultural and linguistic validation of the italian version of the intensive care delirium screening checklist
(ICDSC), Dimens Crit Care Nurs. 2012; 31(4):246-251.
153
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
DATA
VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
TURNO M P N M P N M P N M P N M P N
1. Alterazione stato di coscienza (A-E)*
Se A o B non proseguire la valutazione del paziente in quel periodo
2. Disattenzione
3. Disorientamento
4. Allucinazioni o psicosi
5. Agitazione o ritardo psicomotorio
6. Alterazione del linguaggio o dell’umore
7. Disturbo del ciclo sonno/veglia
8. Fluttuazione dei sintomi
PUNTEGGIO TOTALE ( 0 - 8 )
ALTERAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA (considerare una sola definizione tra A e E):
A) Nessuna risposta (coma) e B) necessità di una vigorosa stimolazione per ot- Nessun punteggio: si inserisce
tenere una risposta (stupor), rappresentano una severa alterazione dello stato di un trattino ( - ) e non si prose-
coscienza che preclude l’osservazione del delirium gue nell’ulteriore valutazione
durante quel periodo
1
C) Sopore o necessità di una stimolazione da lieve a moderata per ottenere una 1 punto
risposta
D) Veglia o stato di sonno fisiologico dal quale si è facilmente risvegliabili, è 0 punti
considerato normale
E) Stato di irrequietezza o agitazione in seguito a stimolo normale 1 punto
DISATTENZIONE
2 Difficoltà nel seguire una conversazione o ad eseguire ordini semplici 1 punto se presente una qualsi-
Facile distrazione a causa di stimoli esterni asi di queste voci
Difficoltà nello spostamento di attenzione
DISORIENTAMENTO
3 Palese errore di riconoscimento di persone e/o scorretta percezione spazio tem- 1 punto
porale
ALLUCINAZIONI, VISIONI O PSICOSI
5 Iperattività che richiede sedativi aggiuntivi o mezzi di contenzione fisica per evi- 1 punto se presente una qualsi-
tare potenziali danni (es: rimozione invasività, aggressioni allo staff) asi di queste voci
Ipoattività o rallentamento psicomotorio clinicamente evidente
segue
154
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
7 Periodo di sonno inferiore a 4 ore o risvegli frequenti durante la notte (da non 1 punto se presente una qualsi-
considerare la veglia provocata dal personale o dal rumore ambientale) asi di queste voci
Dormire per la maggior parte del giorno
FLUTTUAZIONE DEI SINTOMI
8
Alternanza nelle precedenti 24 ore di almeno uno dei sintomi sopraelencati 1 punto
Riportiamo, di seguito, lo schema generale di approccio al monitoraggio del Delirium proposto dalle recenti
linee guida:
155
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
2. VALUTAZIONE NEUROMOTORIA
I nervi cranici (CN) originano dall’encefalo ed emergono da forami del cranio; ne risultano 12 paia, denominati
a seconda della loro funzione e posizione e sono disposti in ordine discendente, lungo il tronco encefalico.
A seconda della tipologia di fibre che li compongono, possono essere suddivisi in nervi sensoriali (CN I, II e
VIII), nervi motori (CN III, IV, VI, XI e XII) e nervi misti (CN V, VII, IX e X). Lesioni a carico dei nervi cranici pro-
ducono deficit omolaterali anche quando il nervo svolge una funzione controlaterale (CN IV), inoltre la perdita
asimmetrica di una qualsiasi funzione di un nervo può indicarne una compressione unilaterale.
Data la loro disposizione, in molti casi l’esame dei nervi cranici è compreso nella valutazione dei riflessi del
tronco encefalico: risposta pupillare (CN II e III), riflesso corneale (CN V e VII), riflesso oculocefalico (CN III,
VI e VIII), riflesso oculovestibolare (CN III, V e parte del VIII), riflesso della tosse e del vomito (CN IX e X).
Mentre nei pazienti svegli e collaboranti è possibile testare la funzionalità di tutti i nervi, nei pazienti non
coscienti è possibile testarne solo alcuni, stimolando un nervo sensorio e valutandone la risposta motoria.
156
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
157
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
158
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Esame dei riflessi del tronco encefalico nei pazienti non coscienti
1. Riflesso pupillare fotomotore (CN II e CN III)
a. Miosi della pupilla in reazione all’illuminazione diretta della retina
2. Riflesso corneale (CN V branca oftalmica e CN VII)
a. Pronto ammiccamento per stimolazione della cornea con del cotone
3. Riflesso oculocefalico o “Doll’s Eyes” (CN III, CN VI e CN VIII)
a. Movimento degli occhi nella direzione opposta al movimento della testa
4. Riflesso oculovestibolare o “test caldo/freddo” (CN III, CN VI e CN VIII, ponte)
a. Lenta deviazione dello sguardo verso l’orecchio durante irrigazione di quest’ultimo con una soluzione
fredda poi veloce ritorno alla posizione di partenza (testa sollevata a 30 gradi)
5. Riflesso del vomito (CN IX e CN X, ponte)
a. Evocazione di conati e contrazione faringea per stimolazione con un abbassalingua della parete farin-
gea posteriore
6. Riflesso della tosse e di respirazione spontanea (CN X e medulla)
a. Provocazione della tosse durante broncoaspirazione
b. Respirazione spontanea all’aumentare della anidride carbonica ematica (PaCO2)
La valutazione dello stato pupillare è un esame non invasivo che è possibile eseguire in pazienti non coscien-
ti, sedati e sotto l’effetto di bloccanti neuromuscolari (38). Consente la valutazione della funzionalità del tronco
encefalico e della gravità e progressione delle lesioni a suo carico. La frequenza delle valutazioni dipende
dalle condizioni cliniche del paziente.
1. DIMENSIONI PUPILLARI
Normalmente le pupille hanno uguale grandezza, compresa fra 2 e 5mm (isocoriche); una discrepanza
di 1mm tra le due pupille è considerato un reperto normale. L’esame deve essere effettuato dopo aver
aperto le palpebre ed atteso l’adattamento alla luce della stanza.
(38) Adoni A., McNett M., The pupillary response in traumatic brain injury: a guide for trauma nurses, J Trauma Nurs., 2007, 14(4):
191-196.
(39) Barker E., Neuroscience Nursing, St Louis, MO: Mosby;
2001;45:60-78, 334-335.
159
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
2. FORMA PUPILLARE
Generalmente le pupille sono di forma circolare (isocicliche). Una forma irregolare può essere la conse-
guenza di procedure chirurgiche o traumi dell’occhio. La forma ovale generalmente indica ipertensione
endocranica, rappresenta la forma intermedia tra una pupilla normale ed una midriatica.
3. REATTIVITÀ ALLA LUCE
Valutare la reazione di ciascuna pupilla separatamente, dopo averla illuminata con una piccola fonte di
luce (usare una pila tascabile illuminando l’occhio dall’esterno verso la pupilla). La risposta pupillare può
essere vivace, lenta o non reagente. In condizioni fisiologiche si registra una vivace riduzione del diametro
pupillare allo stimolo luminoso; quanto più la risposta del riflesso fotomotore è lenta tanto maggiore sarà
il danno neurologico.
L’esame è completato dalla valutazione della risposta pupillare consensuale (costrizione di una pupilla du-
rante lo stimolo luminoso dell’altra) e di accomodamento (costrizione pupillare durante la messa a fuoco
del paziente di un oggetto molto vicino).
160
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
La valutazione dei movimenti oculari completa l’esame con altrettanta importanza semeiotica. Comprende
l’analisi della posizione degli occhi a riposo, la presenza di movimenti spontanei e la risposta dei riflessi ocu-
locefalico e oculovestibolare (40).
- Lesioni emisferiche diffuse o bilaterali ma con tronco encefalico intatto, producono movimenti oculari
lenti, irregolari
- Lesioni strutturali del tronco encefalico producono una deviazione oculare disconiugata
- Lesioni del lobo frontale producono una deviazione oculare laterale coniugata, paralitica (ipsilaterale) o
irritativa (controlaterale)
- Lesioni del mesencefalo producono una deviazione oculare coniugata verso il basso o verso l’alto
- Lesioni pontine producono una deviazione oculare strabica; se la compromissione è grave si registrano
movimenti oculari oscillatori verticali (ocular bobbing)
(40) Hickey J., The Clinical Practice of Neurological and Neurosurgical Nursing, 5th ed. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins;
2003:132-135, 170-176.
161
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Le risposte oculari riflesse sono rappresentate dal riflesso oculo-cefalico o fenomeno degli occhi di bambola
e dal riflesso oculo-vestibolare.
- Lesioni emisferiche diffuse o bilaterali producono risposte oculo-cefaliche normali, mentre la stimolazione
oculo-vestibolare provoca una deviazione oculare tonica
- Lesioni frontali producono risposte oculo-cefaliche e caloriche normali ma ritardate
- Se i globi oculari sono completamente deviati lateralmente e possono essere riportati sulla linea mediana
e verso il lato opposto da stimoli oculo-cefalici o calorici, la lesione è con tutta probabilità emisferica
- Se i globi oculari sono parzialmente deviati, ma non possono essere modificati nella loro posizione da
stimoli oculo-cefalici o calorici, la lesione è presumibilmente pontina
- Se il riflesso oculo-cefalico e la stimolazione calorica provocano un movimento oculare verticale non co-
niugato la lesione è a livello del tronco encefalico
Le alterazioni del modello respiratorio sono utili per valutare il livello di disfunzione cerebrale poiché sono la con-
seguenza di lesioni ai centri respiratori del tronco encefalico o di interferenza con la regolazione soprabulbare di
questi siti (41). Il valore deduttivo delle aritmie respiratorie è però limitato dal fatto che molteplici condizioni pos-
sono provocarle (es. insufficienza respiratoria o cardiaca, disordini metabolici, farmaci sedativi o analgesici, venti-
lazione meccanica). La valutazione prevede la registrazione della frequenza respiratoria, del ritmo e del modello.
(41) North J.B., Jennett S., Abnormal breathing patterns associated with acute brain damage, Arch Neurol 1974; 31:338-344.
162
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
a) Respiro di Cheyne-Stokes
Respiro periodico che alterna tachipnea ad apnea; la fase tachipnoica è più lunga di quella apnoica. È
associato a lesioni bilaterali emisferiche o diencefaliche
c) Respiro apneustico
Inspirazione prolungata seguita da una pausa di 2-3 secondi; occasionalmente può alternarsi ad una pau-
sa espiratoria. È associato a lesioni della porzione mediale o caudale del ponte
d) Respiro a grappolo
Sequenze di atti respiratori irregolari per ampiezza, seguiti da pause irregolari. Si verifica per lesioni bulbari
rostrali o pontine caudali
e) Respiro atassico
Respiro irregolare per frequenza e volume associato a lesioni del midollo
163
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
164
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
6. MOVIMENTI ANORMALI
Annotare ognuno dei seguenti movimenti involontari per frequenza, durata e relazione ad una certa attività:
a. Convulsioni
b. Tremori: ritmico movimento tremolante dei muscoli
c. Clonia: contrazione involontaria che colpisce, talvolta ritmicamente, un muscolo o solo alcuni fasci
muscolari, e che può non provocare alcun movimento
d. Postura in flessione: flessione degli arti superiori ed estensione o flessione plantare degli arti inferiori
e. Postura in estensione: estensione degli arti superiori e flessione plantare degli arti inferiori
L’esame della sensibilità consente di valutare la capacità di percepire e identificare specifiche sensazioni ad
occhi chiusi (sensibilità tattile, termoalgesia, propriocezione, vibrazione). Nei pazienti non coscienti o non
collaboranti l’esame è limitato alla valutazione delle risposte a stimoli dolorosi.
Attraverso la distribuzione del deficit sensitivo si può risalire alla localizzazione della struttura coinvolta: nervi
periferici (a guanto), alcuni particolari nervi (mononeurite multipla), radici nervose (radiculopatia), midollo
spinale (un metamero inferiore a quello dell’ipoestesia), tronco encefalico (alterazioni crociate volto-corpo
della sensibilità) o encefalo (emianestesia). La localizzazione della lesione viene confermata determinando
se la debolezza motoria e le alterazioni dei riflessi seguono una distribuzione simile.
165
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
È necessario esaminare la superficie corporea in senso cranio caudale seguendo la disposizione metamerica.
166
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Recenti studi dimostrano che il dolore dei pazienti critici continua ad essere in larga misura sottostimato e
quindi non trattato appropriatamente, nonostante lo sviluppo di linee guida e la diffusione di intense cam-
pagne educative. Indubbiamente la valutazione e il trattamento del dolore, in questa specifica categoria di
pazienti, risulta particolarmente complessa, a causa della presenza di numerose barriere che riguardano la
complessità clinica di questi pazienti ma rivelano anche un setting di cura non sempre ottimale e un deficit
di conoscenze, da parte dei membri del team intensivo, riguardo ai sistemi di valutazione e ai protocolli di
trattamento del dolore (42).
È universalmente riconosciuto che le esperienze dolorose, vissute durante la degenza ospedaliera, possono
influire negativamente sulla qualità di vita dopo la dimissione, ma soprattutto incidere pesantemente sugli
outcomes. Identificare, quantificare e trattare il dolore sono considerate priorità assolute in terapia intensiva,
eppure si registra un’incidenza maggiore del 50% di un dolore significativo tra i pazienti ricoverati in ambito
intensivo (43). La natura del dolore sperimentato da tali pazienti è variabile (es. post-operatorio, traumatico,
neoplastico), ma spesso correlato alle procedure invasive proprie di questo setting clinico (44). In Terapia
Intensiva si stima che il 70% dei pazienti sperimenti un dolore, correlato a procedure, descritto con una
intensità che varia tra moderata ed intensa; nonostante ciò, viene valutato solo nel 40% dei casi e trattato
adeguatamente in una percentuale ancora inferiore.
Le linee guida raccomandano un approccio strutturato e multidisciplinare di management del dolore e del
livello di sedazione, incoraggiano una analgesia sedation-based e sostengono fortemente l’utilizzo sistema-
tico di strumenti validati dedicati alla loro valutazione (45).
Il monitoraggio del dolore, esattamente come già visto per la sedazione, prevede valutazioni ogni 8 ore su
tutti i pazienti e relativa documentazione.
(42) Pasero C., Gordon D.B., McCaffery M. et al. (1999), Building institutional commitment to improving pain management, pp.
711-744. In: McCaffery M. & Pasero C. (1999), Pain: clinical manual, 3rd edn. Mosby, St. Louis.
(43) Chanques G., Sebbane M., Barbotte E., et al., A prospective study of pain at rest: Incidence and characteristics of an unrecogni-
zed symptom in surgical and trauma versus medical intensive care unit patients, Anesthesiology 2007; 107:858-860.
(44) Puntillo K.A., White C., Morris A.B. et al. (2001), Patients perceptions and responses to procedural pain: Results from Thunder
Project II, Am J Crit Care, vol. 10, pp.238-251.
(45) Barr J., Fraser G.L., Puntillo K. et al. (2013), Clinical practice guidelines for the management of pain, agitation, and delirium in
adult patients in the intensive care unit, Crit Care Med, vol. 41, no.1, pp. 263-306.
167
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Un tentativo di self report deve essere effettuato per ogni paziente, consentendo anche una semplice ver-
balizzazione ‘sì/no’ nel caso in cui vi siano limiti cognitivi.
Nei pazienti in grado di comunicare vengono utilizzate scale analogiche visive (Visual Analogic Scale – VAS),
la scala verbale con descrittore (es. Bieri Faces Pain Rating Scale)oppure la scala con rating numerici (Nu-
merical Rating Scale – NRS); quest’ultima è considerata la scala più discriminativa e di gran lunga preferita
dai pazienti adulti (46).
(46) Chanques. G, Viel E., Constantin J.M. et al. (2010), The measurement of pain in intensive care unit: Comparison of 5 self-report
intensity scales, Pain, vol. 151, pp. 711-721.
168
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Nei pazienti adulti che non sono in grado di fornire un self report invece, sono state convalidate numerose
scale di valutazione comportamentale, utili per il rilievo della presenza di dolore e per stabilire l’efficacia dei
tentativi di trattamento. Nei pazienti con miorisoluzione o sedazione profonda, nei quali non sia possibile
determinare risposte comportamentali al dolore, non sono applicabili; è quindi necessario provvedere ad
un’adeguata analgesia per procedure o condizioni che si suppone siano dolorose.
La Behavioral Pain Scale (BPS) (47) e la Critical Care Pain Observation Tool (CPOT) (48) sono risultate migliori
per applicabilità clinica e caratteristiche psicometriche. Questi due strumenti consentono, con alcune impor-
tanti differenze fra loro, di registrare comportamenti che possono essere associati alla presenza di dolore
indipendentemente dal livello di coscienza. Entrambe sono state testate su un elevato numero di pazienti
ricoverati in terapie intensive mediche, post-chirurgiche e traumatologiche, hanno dimostrato una elevata
affidabilità tra valutatori diversi e una ottima capacità discriminante (49)(50), inoltre è stata dimostrata una
correlazione positiva tra i punteggi ottenuti con le due scale e i self reports dei pazienti (51).
(47) Payen J.F., Bru O., Bosson J.L. et al. (2001), Assessing pain in critically ill sedated patients by using a behavioral pain scale, Crit
Care Med. vol. 29, no.12, pp. 2258-2263.
(48) Gelinas C., Fillion L., Puntillo K.A. et al. (2006), Validation of the critical-care pain observation tool in adult patients, Am J Crit
Care, vol. 15, no.4, pp. 420-427.
(49) Gélinas C., Puntillo K.A., Joffe A., Barr J.A., (2013), A validated approach to evaluating psychometric properties of pain asses-
sment tools for use in nonverbal critically ill adults, Semin Respir Crit Care Med. vol. 34, no. 2, pp. 153-168.
(50) Ahlers S.J., Van der Veen A.M., Van Dijk M. et al. (2010), The use of the Behavioral Pain Scale to assess pain in conscious
sedated patients, Anesth Analg. vol. 110, no.1, pp.127-133.
(51) Gélinas C., Arbour C., (2009), Behavioral and physiologic indicators during a nociceptive procedure in conscious and uncon-
scious mechanically ventilated adults: similar or different?, J Crit Care, vol. 24, no.4, pp. 628.e7-628.e17.
(52) Falbo L., Terzoni S., Destrebecq A., Bonetti L. (2013), Traduzione e validazione in italiano della Behavioral Pain Scale (BPS) per
la valutazione del dolore in pazienti incoscienti e sedati, Scenario, vol. 30, no.4, pp. 18-23.
169
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Tesa
Fronte aggrottata
Sopracciglia abbassate
Lievi pieghe nasolabiali
Occhi serrati o qualunque altro cambiamento dell’espressione
Espressione facciale (es. : apre improvvisamente gli occhi, presenta lacrime
1
facciale durante la mobilizzazione)
Smorfie
Fronte aggrottata, sopracciglia abbassate, pieghe nasolabiali
Occhi chiusi e serrati
La bocca può essere aperta
Il paziente può mordere il tubo endotracheale
Assenza
di movimenti o Immobile, non si muove (non significa necessariamente assen-
za di dolore)
posizione normale Posizione normale (movimenti non indirizzati verso il dolore o
non eseguiti allo scopo di proteggersi dal dolore)
Movimenti
di protezione Movimenti lenti, prudenti
Tocca o strofina la zona del dolore
Si dirige verso la zona del dolore, verso i tubi
Movimenti Tocca i tubi/drenaggi
2
corporei Attira l’attenzione battendo piedi o mani
Decorticazione, Decerebrazione
Tira i tubi/drenaggi
Cerca di sedersi sul letto
Si muove continuamente
Agitazione Non collabora
Respinge il personale
Cerca di oltrepassare le sbarre del letto
Tollera la ventilazione Allarmi non attivi, si lascia ventilare
Interazione con
o i movimenti
il ventilatore Tossisce ma si lascia ventilare, gli allarmi possono attivarsi ma
(paziente
Tossisce ma tollera cessano spontaneamente
intubato)
Asincronia: blocca il suo respiro, fa scattare continuamente gli
Lotta allarmi
3 oppure
Si esprime
normalmente,
silenzioso
Si esprime normalmente o rimane in silenzio
Vocalizzazione
(paziente
non intubato) Geme, sospira Geme, sospira
Teso, rigido
4
Tono
muscolare o contratto Resistenza ai movimenti
Totale __/8
(53) Stefani F., Nardon G., Bonato R., Modenese A., Novello C., Ferrari R., The validation of C-POT (Critical-Care Pain Observation
Tool) scale: a tool for assessing pain in intensive care patients, Assist Inferm Ric, 2011 Jul-Sep; 30(3):135-43.
170
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Come considerazioni finali, è necessario sottolineare che la valutazione con scale, siano esse unidimensio-
nali o comportamentali, deve comunque essere associata alla ricerca delle potenziali cause di dolore, quali
condizioni patologiche o procedure che lo innescano (anche in assenza di elementi comportamentali pre-
suntivi); inoltre è necessario escludere e, possibilmente, eliminare, ogni causa di discomfort. Gli indicatori
fisiologici (es. modificazione dei parametri vitali) non sono sensibili nel discriminare il dolore da altre fonti di
stress, pertanto non devono essere compresi nella valutazione (54).
Sono fortemente raccomandati il trattamento preventivo del dolore da procedura e un tentativo analgesico,
a scopo diagnostico e terapeutico, nel caso in cui si sospetti la presenza di dolore.
Il report surrogato da parte di familiari o caregivers, infine, può essere utile per rilevare variazioni comporta-
mentali, indici di possibile dolore.
Il neuromonitoraggio specialistico
Le lesioni del sistema nervoso centrale sono caratterizzate da un insulto primario seguito da lesioni secon-
darie o associate. Il recupero neurologico dopo gravi accidenti cerebrali acuti, come ad esempio lesioni
cerebrali traumatiche, emorragia subaracnoidea (ESA) e ictus ischemico/emorragico, dipende dalla portata
e dalla gravità dell’insulto cerebrale iniziale e dal peso di un eventuale danno cerebrale secondario. Indipen-
dentemente dall’insulto iniziale, si innesca una cascata di risposte a livello molecolare, cellulare, tissutale, e
di organo nei momenti che seguono l’evento acuto. La lesione cerebrale secondaria è correlata al numero
e alla gravità di eventi patologici (tra cui edema cerebrale, ipossia/ischemia cerebrale, disfunzioni del me-
tabolismo cerebrale, crisi epilettiche) e all’impatto delle lesioni sugli altri sistemi interdipendenti (cardiaco,
polmonare, renale, ecc) che si verificano nella fase seguente all’insulto iniziale e possono aggravare il danno
primario (55). Gli insulti cerebrali secondari sono frequenti e possono compromettere il recupero neurologico.
Sulla base della vulnerabilità precoce del cervello durante la fase acuta e del fatto che le lesioni associate
durante la fase acuta e subacuta determinano la qualità della sopravvivenza la prevenzione di insulti secon-
dari è della massima importanza. Tipici insulti secondari a causa di ipossia, ipotensione, iperventilazione in-
controllata, ipoglicemia e ipoventilazione, ipertensione e iperglicemia devono essere ricercati attivamente in
qualsiasi momento. L’entità del danno secondario non può essere valutata basandosi esclusivamente sulla
pressione intracranica (PIC) e sulla pressione di perfusione cerebrale (PPC). Solo attraverso l’aiuto del di un
monitoraggio esteso siamo in grado di smascherare i segni altrimenti occulti della compromissione cere-
brale, e soprattutto, anche in condizioni di PIC normale. Negli ultimi dieci anni, in parallelo con l’introduzione
e lo sviluppo costante delle Unità di Terapia Intensiva specialistiche (Neurorianimazioni), si è sempre più
evoluto il neuromonitoraggio multimodale che consiste nella integrazione delle variabili fisiologiche cerebrali
ottenute con metodiche invasive (cioè pressione intracranica, pressione parziale dell’ossigeno del tessuto
cerebrale, microdialisi cerebrale, flusso ematico cerebrale regionale) e non invasive (Doppler transcranico,
spettroscopia nel vicino infrarosso, elettroencefalografia) con l’obiettivo di ottimizzare la gestione e guidare
la terapia dei pazienti con danno cerebrale (vedi tabella 17).
(54) Herr K., Coyne P.J., McCaffery M. et al. (2011), Pain assessment in the patient unable to self-report: position statement with
clinical practice recommendations, Pain Manag Nurs. vol. 12, no. 4, pp. 230-250.
(55) Robertson C., Critical care management of traumatic brain injury, in Winn H.r., Youmans J.r., eds. Youmans neurological surge-
ry, 5 th ed. Philadelphia: Saunders, 2004: Vol 4, 5103 – 5144.
171
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Tabella 17 - Caratteristiche e utilità dei principali componenti del monitoraggio multimodale (56)
Recenti indagini cliniche di diversi gruppi indipendenti hanno dimostrato la fattibilità e l’utilità del neuromo-
nitoraggio multimodale (57). È importante rimarcare che il neuromonitoraggio esteso venga instaurato preco-
cemente ed anche in pazienti con valori di PIC non patologici ma che sono sedati: sarà così possibile rivelare
i processi patologici occulti e ridurre la progressione del danno cerebrale secondario. Le diverse tecniche
sono associate a determinati svantaggi che sono riassunti nella tabella 18.
(56) Stover J.F., Actual evidence for neuromonitoring-guided intensive care following severe traumatic brain injury, Swiss Med
Wkly. 2011; 141:w13245.
(57) Messerer M., Daniel R.T., Oddo M., Neuromonitoring after major neurosurgical procedures, Minerva Anestesiol, 2012 Jul;
78(7):810-22.
172
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Pressione tissutale ossigeno Regionale • Misura locale/eterogeneità delle varie regioni ce-
(PbtO2) rebrali;
• Necessità di intervento chirurgico con potenziale
rischio di ulteriori lesioni (emorragia, lesioni strut-
ture nervose profonde, infezioni)
• Costoso
Microdialisi (MD) Regionale • Discontinuo;
• Richiede personale esperto;
• Richiede ulteriori indagini per differenziare il vaso-
spasmo dall’iperemia.
Elettroencefalogramma (EEG) Globale/regionale • Discontinuo;
• Grande quantità di dati e personale esperto per
interpretazione;
• Artefatti da interferenza con le apparecchiature
elettromedicali;
• Controversie sul significato e l’interpretazione di
alcune forme d’onda.
Anche se sono attualmente in corso alcuni sforzi per controllare le lesioni primarie, l’obiettivo principale delle
cure intensive in questa tipologia di pazienti rimane la prevenzione delle lesioni secondarie ed esistono prove
che l’adozione del monitoraggio multimodale, quando supportato da una interpretazione e integrazione delle
variabili di monitoraggio in algoritmi di gestione specifici, può migliorare gli esiti, il recupero neurologico e
la qualità complessiva delle cure. Lo scopo dei successivi paragrafi è di rivedere e descrivere le tecniche
attualmente disponibili per monitorare la fisiologia cerebrale e illustrarne la potenziale utilità clinica soprattut-
to dal punto di vista infermieristico. Il concetto fondamentale è che non esiste una metodica o meglio una
combinazione di metodiche ottimali sulle quali fare affidamento per gestire i pazienti neurolesi e la scelta
dipende dalle caratteristiche del paziente, dalle tecnologie disponibili e dalle competenze sia del personale
medico che infermieristico.
173
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
La PIC è generalmente misurata in mmHg per consentire il confronto con la pressione arteriosa sistemica
e così consentire il calcolo rapido della Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC) che è dato dalla sottrazione
del valore della PIC dalla Pressione Arteriosa Media (PAM).
La PIC ha normalmente un valore di 7-15 mmHg in un adulto supino, una pressione che supera 15 mmHg è
considerata anormale mentre una pressione maggiore di 20 mmHg è considerata patologica e costituisce in-
dicazione al trattamento medico (59). Si noti che la PIC è determinata anche dalla posizione e quindi un adulto
in piedi ha valori di PIC più bassi. Negli adulti, i plessi coroidei producono il liquido cerebrospinale (Cerebro-
Spinal Fluid – CSF) a una velocità di 20 ml/ora, per un totale di 500 ml/giorno. IL CSF viene poi riassorbito
dai villi aracnoidei presenti nella circolazione venosa cerebrale. Un aumento della PIC si può verificare per il
realizzarsi di tutta una serie di evenienze; fra queste le più importanti riguardano l’aumento della produzione
del liquido cerebrospinale, l’ostacolo al suo deflusso e riassorbimento, le modificazioni della pressione arte-
riosa, l’aumento della pressione venosa, gli aumenti di volume dell’encefalo o gli impedimenti meccanici al
suo normale incremento di volume durante lo sviluppo.
(58) Mokri B., The Monro-Kellie hypothesis: applications in CSF volume depletion, Neurology, 2001 Jun 26;56(12):1746-8.
(59) Bratton S.L. et al., Guidelines for the management of severe traumatic brain injury. VIII. Intracranial pressure thresholds, J
Neurotrauma, 2007; 24 Suppl 1:S55-8.
(60) Barbati G., Cause di ipertensione endocranica, Atti del III Meeting Rianimazione, Emergenza e Terapia Intensiva, Avezzano,
2006, accessibile all’indirizzo http://rianimazione.net/node/447 (ultimo accesso il 10/9/2014).
174
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Se il volume del cervello aumenta, ad esempio a causa di un processo espansivo (tumore, ematoma), vi è
uno spostamento di compensazione del liquido cerebrospinale (Cerebro-Spinal Fluid – CSF) nel sacco durale
della colonna vertebrale associato ad un aumentato riassorbimento e seguito da una riduzione del volume
del sangue intracranico da vasocostrizione e drenaggio extracranico. Se questi meccanismi hanno successo,
la PIC rimane invariata. Una volta che questi meccanismi si sono esauriti, ulteriori variazioni di volume intra-
cranico possono portare ad aumenti drammatici della PIC.
175
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
La velocita con la quale cambia il volume del cervello ha importanza per determinare le risposte di adatta-
mento: un tumore a crescita lenta, per esempio, è spesso presente con una PIC normale o minimamente
elevata poiché il cervello ha avuto il tempo di adattarsi mentre un piccolo sanguinamento intracranico im-
provviso può produrre un significativo aumento della PIC. Alla fine, sia per cause acute che croniche ma
progressive, i meccanismi di compensazione si esauriscono, con un conseguente aumento della PIC. Il
rapporto tra ICP e il volume intracranico è descritto da una curva pressione-volume che ha un andamento
esponenziale ed è rappresentata in figura 8 insieme ai vari stadi evolutivi.
176
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Stadio Caratteristiche
1 Elevata compliance e bassa elastanza: il cervello si trova in totale situazione di compenso con mec-
canismi di adattamento e autoregolazione intatti. Un aumento di volume non determina un aumen-
to della pic
2 La compliance si riduce ed il cervello inizia a irrigidirsi a causa del relativo aumento dell’elastanza.
Un aumento di volume mette il paziente a rischio di aumento della PIC
3 L’elastanza prevale sulla compliance. Qualsiasi piccolo aumento di volume determina un elevato
aumento della PIC. Il meccanismo di autoregolazione risulta inefficace, si parla di uno stato di scom-
penso e compaiono i sintomi legati ad alti valori di PIC come ipertensione, bradicardia e bradipnea
(Triade di Cushing)
4 Stadio terminale: la PIC arriva a valori massimali anche con piccoli aumenti di volume. Si verifica
l’erniazione con il tessuto cerebrale che si sposta da compartimenti a elevata pressione a compar-
timenti a pressione inferiore
Un aumento di volume fino a 30 cm3 di solito non comporta cambiamenti significativi nella PIC grazie ai mec-
canismi di compenso. Quando questi meccanismi di compenso si sono esauriti la PIC aumenta rapidamente
e con ulteriori aumenti di volume arriva a raggiungere una pressione comparabile con quella all’interno delle
arteriole cerebrali (che dipende dalla pressione arteriosa media e dalle resistenze cerebrovascolari ma di
solito si attesta tra i 50 e 60 mmHg) determinando la cessazione del flusso cerebrale periferico.
Come detto in precedenza la PPC è il gradiente di pressione che agisce sul letto cerebrovascolare e quindi
un fattore importante nel determinare flusso ematico cerebrale (Cerebral Blood Flow – CBF) (61): la soglia
critica, al di sotto della quale è necessario intervenire con fluidi e farmaci, è rappresentata dal valore di 60
mmHg mentre valori compresi tra 60 e 100 mmHg sono considerati normali. Il CBF è mantenuto costante a
dispetto di un’ampia variazione della PPC e della PAM da meccanismi di autoregolazione da parte delle arte-
riole cerebrali che consentono di mantenere costante la resistenza cerebrovascolare in diverse condizioni di
PPC. Ad esempio un aumento della PPC provoca uno stiramento delle pareti delle arteriole che compensano
dilatandosi per ridurre la pressione. Allo stesso modo, in un quadro di abbassamento della pressione, le arte-
riole si costringono per mantenere la PPC. I meccanismi di autoregolazione evitano che aumenti di pressione
transitori vengano trasmessi ai piccoli vasi distali. Quando la PAM è inferiore a 65 mmHg o superiore a 150
mmHg, le arteriole perdono la loro capacità di autoregolazione, e il CBF non è più costante ma dipende ed
è proporzionale alla PPC. Così, quando la PAM scende al di sotto dei 65 mm Hg, le arteriole cerebrali sono
dilatate al massimo e il cervello è a rischio di ischemia a causa di un insufficiente flusso di sangue per sod-
disfare le sue esigenze. Allo stesso modo, con una PAM superiore a 150 mm Hg, le arteriole cerebrali sono
costrette al massimo ed eventuali ulteriori aumenti della pressione possono causare un eccessivo CBF con
conseguente aumento della PIC.
(61) Miller J.D., Stanek A., Langfitt T.W., Concepts of cerebral perfusion pressure and vascular compression during intracranial
hypertension, Prog Brain Res. 1972; 35:411-32.
177
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Nonostante la moltitudine di progressi nel neuromonitoraggio negli ultimi anni, la PIC è ancora il parametro
più frequentemente monitorato nelle UTI: questo perché il monitoraggio della PIC e il suo parametro deriva-
to, la PPC, sono componenti importanti dei protocolli di gestione dei pazienti neurolesi in particolare quelli
con Trauma Cranico. L’Ipertensione intracranica può portare a conseguenze potenzialmente catastrofiche,
tra cui danni neurologici permanenti e disabilità. Le più recenti linee guida della Brain Trauma Foundation (62)
raccomandano (livello di evidenza II), che la PIC debba essere monitorata in tutti i pazienti ritenuti recupera-
bili con grave trauma cranico (punteggio GCS compreso tra 3 e 8) e evidenza di alterazioni alla Tomografia
Computerizzata (TC) della testa o una TC normale con almeno 2 dei seguenti fattori di rischio: età> 40 anni,
pressione arteriosa sistolica <90 mmHg e segni di decerebrazione o decorticazione mono o bilaterali. Il
monitoraggio della PIC è utilizzato anche in malattie neurologiche non traumatiche, come l’Emorragia Sub
Aracnoidea (ESA) e, in misura minore, nei tumori cerebrali, infarti, emorragie intracerebrali e infezioni. Una
(62) Bratton S.L., Chestnut R.M., Ghajar J., McConnell Hammond F.F., Harris O.A., Hartl R., Manley G.T., Nemecek A., Newell
D.W., Rosenthal G., Schouten J., Shutter L., Timmons S.D., Ullman J.S., Videtta W., Wilberger J.E., Wright D.W., Guidelines for the
management of severe traumatic brain injury. VI. Indications for intracranial pressure monitoring, J Neurotrauma 2007, 24 Suppl
1:S37-S44.
178
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
elevata pressione intracranica (PIC > 20 mmHg) è associata ad un aumento della mortalità dopo una lesione
cerebrale traumatica acuta. Il trauma cranico è una delle principali cause di morbilità e mortalità: ogni anno
250 pazienti ogni 100.000 abitanti vengono ricoverati in Italia per trauma cranico. La mortalità è di circa 17
casi per 100.000 abitanti per anno. L’Italia si trova in piena “media” Europea considerando l’incidenza media
in Europa di 232 casi per 100.000 abitanti ed una mortalità di 15 casi per 100.000 abitanti (63). Dopo ESA il
drenaggio ventricolare esterno è raccomandato nei pazienti con punteggio più elevato alla scala della World
Federation of Neurological Societies (WFNS) o idrocefalo acuto (64), per monitorare la PIC e drenare il CSF
per il controllo della PIC. Nella emorragia intracerebrale spontanea il monitoraggio della PIC è usato rara-
mente, ma le linee guida più recenti (65) suggeriscono che nei pazienti con un punteggio GCS < 8, in quelli
con evidenza clinica di ernia transtentoriale, o in quelli con emorragia intraventricolare o idrocefalo, il moni-
toraggio e il trattamento della PIC rappresenta un opzione che può essere considerata (classe IIb, livello di
evidenza: C). Esiste quindi una grande quantità di evidenze cliniche per sostenere l’uso di monitoraggio della
pressione intracranica nel guidare gli interventi terapeutici e valutare la prognosi, anche se mancano prove
di elevata qualità e permangono alcune controversie (66). Il monitoraggio della PIC consente di istituire inter-
venti terapeutici per prevenire o ridurre gli aumenti della PIC, consente al medico di monitorare l’efficacia
della terapia e all’infermiere di modulare gli interventi assistenziali per prevenire aumenti sostenuti della PIC.
(63) Tagliaferri F., Compagnone C., Korsic M., et al., A systematic review of brain injury epidemiology in Europe, Acta Neurochir
(Wien), 2006 Mar;148(3):255-68.
(64) Bederson J.B., Connolly E.S. Jr, Batjer H.H., Dacey R.G., Dion J.E., Diringer M.N., Duldner J.E. Jr, Harbaugh R.E., Patel A.B.,
Rosenwasser R.H., Guidelines for the management of aneurysmal subarachnoid hemorrhage: a statement for healthcare profes-
sionals from a special writing group of the Stroke Council, American Heart Association, Stroke 2009, 40:994-1025.
(65) Morgenstern L.B., Hemphill J.C. III, Anderson C., Becker K., Broderick J.P., Connolly E.S. Jr, Greenberg S.M., Huang J.N.,
MacDonald R.L., Messe S.R., Mitchell P.H., Selim M., Tamargo R.J., Guidelines for the management of spontaneous intracerebral
hemorrhage: a guideline for healthcare professionals from the American Heart Association/American Stroke Association, Stroke
2010, 41:2108-2129.
(66) Forsyth R.J., Wolny S., Rodrigues B., Routine intracranial pressure monitoring in acute coma, Cochrane Database Syst Rev.
2010 Feb 17;(2):CD002043.
(67) Lozier A.P., Sciacca R.R., Romagnoli M.F., Connolly E.S. Jr, Ventriculostomy-related infections: a critical review of the literature,
Neurosurgery. 2002;51(1):170-81.
179
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
In alternativa al catetere intraventricolare, sonde con microtrasduttori possono essere collocate nel paren-
chima cerebrale o nello spazio subdurale tramite una vite cranica o in seguito ad intervento neurochirurgi-
co. Sono disponibili varie tecnologie: cateteri a fibre ottiche in cui un cambiamento della PIC provoca un
cambiamento nella riflessione di un fascio di luce; cateteri con un sensore di pressione miniaturizzato sulla
punta che produce una variazione di resistenza elettrica al variare della PIC; cateteri in cui una variazione
di pressione viene rilevata da un piccolo palloncino riempito d’aria all’estremità del catetere. I vantaggi dei
sistemi con microtrasduttore sono la facilità d’uso, l’affidabilità, ed i bassi tassi di infezione e di complican-
ze correlate alla procedura (69)(70). Un inconveniente non trascurabile è dato dal fatto che esiste una piccola
deriva dello zero del sensore con il tempo, anche se i test in vitro hanno mostrato una deriva minore di 0,6 ±
0,9 mmHg dopo 5 giorni di utilizzo ed a questo si aggiunge che il sistema non consente la ricalibrazione una
volta posizionato. Un altro importante svantaggio è che queste tipologie di sonda misurano solo la pressio-
ne nel compartimento cranico nel quale sono posizionate, che può non riflettere il vero valore della PIC dal
momento che, a seconda della patologia endocranica, possono coesistere diversi gradienti di pressione; ciò
pone la questione della posizione ideale della sonda: in caso di lesione cerebrale diffusa, la sede della sonda
non influenza l’affidabilità delle misure ma se c’è una lesione focale la PIC dovrebbe essere monitorata sullo
stesso lato della lesione. Sono disponibili anche dispositivi di monitoraggio che possono essere posizionati
nello spazio subaracnoideo e epidurale, ma sono usati più raramente a causa della minor precisione mentre
non vengono più utilizzati cateteri spinali a causa della mancanza di affidabilità della stima dei valori della PIC.
I vari tipi di dispositivo unitamente ai relativi vantaggi e svantaggi e alle considerazioni infermieristiche sono
riassunti nella tabella 21.
(68) Kerr M.M., Crago E.A., Nursing management: acute intracranial problems, in O’ Brien P.g., Giddens J.F., Bucher L., Eds. Medical
Surgical Nursing: Assessment and Management of clinical problems, St Louis, MO: CV Mosby Inc; 2004: 1491-1524.
(69) Koskinen L.o., Olivecrona M., Clinical experience with the intraparenchymal intracranial pressure monitoring Codman Micro-
Sensor System, Neurosurgery, 2005; 56(4):693-8.
(70) Martinez-Manas R.M., Santamarta D., de Campos J.M., Ferrer E., Camino® intracranial pressure monitor: prospective study of
accuracy and complications, J Neurol Neurosurg Psychiatry, 2000; 69(1):82-6.
180
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Tabella 21 - Vantaggi, svantaggi e attenzioni infermieristiche dei diversi sistemi di monitoraggio della PIC
(71) American Association Of Neuroscience Nurses, Care of the patient undergoing intracranial pressure monitoring/external ventri-
cular drainage or lumbar drainage, Glenview (IL): American Association of Neuroscience Nurses; 2011.
181
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
182
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
(72) Arbour R., Intracranial hypertension: monitoring and nursing assessment, Crit Care Nurse, 2004 Oct; 24(5):19-20, 22-6, 28-32.
183
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Un altro elemento fondamentale per poter interpretare correttamente le variazioni della PIC è il livello di
intensità terapeutica utilizzato: è abbastanza intuitivi infatti che un valore PIC di 18 mmHg abbia un signi-
ficato diverso per un paziente con trauma cranico senza particolari provvedimenti terapeutici mirati e per
un paziente in coma barbiturico sottoposto a deopercolazione. L’obiettivo del sistema di classificazione TIL
(Therapy Intensity Level) è quello di categorizzare i diversi interventi, seguendo il filo della progressività ed
intensità di cura, in diversi livelli:
• Livello 0: nessuna terapia specifica mirata per il controllo della PIC
• Livello 1: questa categoria comprende qualsiasi intervento richiesto dell’assistenza generale in Terapia
Intensiva. Tra questi può essere inclusa la sedazione. Il dosaggio dei sedativi non è specificato, il requisito
è che l’uso dei sedativi in questa categoria non sia mirato a controllare la PIC. Allo stesso modo, l’uso
di farmaci vasoattivi (ad esempio per sepsi) può variare tra i centri, ma a questo livello di intensità non
viene utilizzato per sostenere la PPC. L’implicazione di fondo è che il controllo della PIC non è il problema
principale in questo gruppo di pazienti.
• Livello 2: questa categoria comprende gli interventi di prima linea mirati al controllo della PIC/PPC: ne con-
segue che il controllo dei valori della PIC è oggetto di attenzione in questo gruppo. È previsto ad esempio
per la sedazione, che la dose e i farmaci possano variare, ma il proposito è che essi vengono utilizzati per
modulare la PIC. Allo stesso modo, questa categoria potrebbe includere l’uso di agenti vasoattivi, che
vengono utilizzati per sostenere i target pressori della PPC. L’uso di diuretici osmotici è incluso in questa
categoria, ma solo per il controllo di aumenti moderati o transitori della PIC, che rispondono prontamente
alla terapia. Arbitrariamente una soglia per un periodo di 24 ore potrebbe essere fissato a 2 gr/kg di man-
nitolo o soluzione fisiologica ipertonica 0,3 gr/kg.
• Livello 3: questo livello include la maggior parte dei pazienti che hanno grossi problemi con la gestione
della PIC/PPC ma nella pratica clinica comune, non sono ‘refrattari’ alle terapie standard o raccomandate.
• Livello 4: questo livello include le terapie che vengono utilizzate nei pazienti con ipertensione intracranica
refrattaria. La decisione di utilizzare sedativi a questo livello richiede che il farmaco (tipicamente pento-
barbital o tiopentale, ma a volte propofol, o altri agenti) ha lo scopo di ridurre sostanzialmente l’utilizzo
di ossigeno cerebrale, spesso con monitoraggio dell’attività elettrica cerebrale e monitoraggio della se-
dazione per la soppressione dei potenziali di azione neuronali (il meccanismo attraverso il quale i neuroni
trasmettono e ricevono le informazioni che è molto dispendioso dal punto di vista energetico). L’Interven-
to chirurgico di craniectomia decompressiva con deopercolazione e l’ipotermia <35C° per ipertensione
endocranica refrattaria contribuiscono a giustificare la classificazione al livello 4.
Il TIL Basic fornisce solo una categorizzazione di massima, ma comunque molto rilevante, di intensità di
cura nel paziente neuroleso. È semplice da valutare, ma uno svantaggio è che è intrinsecamente viziata
dalla soggettività delle valutazioni e da variazioni e interpretazioni locali sulle opinioni di ciò che costituisce
una trattamento più o meno intenso. Ad esempio, il drenaggio del CSF è visto come un intervento preco-
ce nei centri che controllano la PIC mediante ventricolostomia, ma costituiscee un passaggio successivo
in centri in cui le sonde parenchimali sono abitualmente utilizzate per il monitoraggio della PIC. Un altro
limite è dato dall’assenza di una validazione (è presente solo uno studio pilota su pazienti pediatrici) ed il
fatto che ne esistono diverse versioni e adattamenti locali ma aiuta a conoscere ed avere ben presenti i
livelli dell’intensità.
184
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Livello Interventi
TIL 0 Nessun intervento diretto al controllo della PIC
TIL 1 Interventi di base in UTI
• Sedazione per tolleranza ventilazione/tuobo endotracheale
• Fluidi/farmaci vasopressori per causa non neurologica (ad es. sepsi, deficit di pompa cardiaca)
• Sollevamento testata letto (prevenzione VAP)
• Normocapnia (PaCO2 ≥ 40mmHg)
TIL 2 Interventi “Standard”
• Livelli sedazione maggiori
• Fluidi/Farmaci Vasopressori per controllo PPC
• Controllo Glicemia
• Bassi dosaggi terapia osmotica
• Ipocapnia Lieve (PaCO2 35-40 mmHg)
• Drenaggio CSF < 120 ml/die
• Controllo ipertermia
TIL 3 Interventi “Reinforced”
• Dosaggi alti terapia osmotica
• Ipocapnia moderata(PaCO2 < 30 mmHg)
• Soppressione dei potenziali di azione attraverso somministrazione di Propofol in associazione
con benzodiazepine
• Indometacina (onde di plateau, iperemia diffusa)
• Drenaggio CSF > 120 ml/die
• Ipotermia lieve (> 35°C)
TIL 4 Interventi “Extreme”
• Ipocapnia profonda (PaCO2 < 30 mmHg)
• Ipotermia lieve (< 35°C)
• Barbiturici ( in associazione con benzodiazepine) per soppressione attività metabolica neuronale
• Craniectomia decompressiva con deopercolazione
Nonostante la natura multidisciplinare della gestione della PIC, sono gli infermieri che prestano assistenza
diretta e erogano la maggior parte degli interventi per i pazienti che hanno la PIC sotto monitoraggio. Anche
se alcuni interventi sono specificamente mirati a ridurre la PIC, l’impatto di questi interventi non è stato
ben descritto (73)(74). Pochi studi (75) sono stati condotti per indagare le correlazioni statistiche tra un inter-
vento specifico e i valori della PIC. Alcune prove indicano che gli interventi infermieristici di routine possono
influenzare le variabili fisiologiche, aumentando il rischio potenziale per un danno cerebrale secondario: in
particolare l’aspirazione endotracheale e il riposizionamento dei pazienti sembrano essere associati a cam-
biamenti della pressione sanguigna, PIC, PPC, e della frequenza cardiaca in pazienti critici con deterioramen-
to neurologico (76). Al contrario l’igiene orale utilizzando spazzolini manuali o elettrici su pazienti intubati con
danni neurologici non sembra comportare aumenti significativi della PIC (77). Questi interventi sono spesso
necessari per fornire un’adeguata assistenza per i pazienti critici, in quanto riducono il rischio di polmonite
associata a ventilazione meccanica (VAP) e di ulcere da pressione (UdP), ma vi sono altri interventi infermie-
ristici che vengono eseguiti con l’obiettivo specifico di ridurre i valori della PIC: questi includono parlare con
il paziente, la cura del tubo endotracheale o dei circuiti di ventilazione, la rimozione precoce del collare cervi-
(73) McNett M.M., Gianakis A., Nursing interventions for critically ill traumatic brain injury patients, J Neurosci Nurs, 2010; 42(2):
71-77.
(74) Szabo C.m., The effect of oral care on intracranial pressure: a review of the literature, J Neurosci Nurs, 2011; 43(5):E1-E9.
(75) March K., Mitchell P., Grady S., Winn R., Effect of backrest position on intracranial and cerebral perfusion pressures, J Neurosci
Nurs. 1990;22(6):375-381.
(76) Snyder M., Relation of nursing activities to increases in intracranial pressure, J Adv Nurs. 1983; 8(4):273-279.
(77) Prendergast V., Hagell P., Hallberg I.R., Electric versus manual tooth brushing among neuroscience ICU patients: is it safe?
Neurocrit Care, 2011;14(2):281-286.
185
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
cale, il drenaggio del CSF, limitare la stimolazione ambientale, sollevamento della testata del letto con scru-
polosa attenzione al mantenimento dell’asse testa-collo-tronco e la somministrazione di farmaci in continuo
o immediatamente prima di interventi che si sanno poter influenzare i valori della PIC. Nonostante si tratti di
pratiche che gli infermieri svolgono abitualmente pochi studi hanno esplorato gli effetti immediati di questi
interventi sui valori PIC. Lo studio più recente in tal senso lo si deve a Olson e coll. (78): durante 3118 minuti di
osservazione, sono stati analizzati 11 interventi infermieristici specifici per 28 diadi infermiere-paziente in 16
ospedali. La presenza di familiari che parlano nella stanza, la somministrazione di sedativi, ed il riposiziona-
mento del paziente sono gli unici interventi che sono stati associati ad una PIC significativamente inferiore.
Tuttavia, la PIC dopo ogni osservazione è risultata talvolta più alta, più bassa, o immutata. La risposta della
PIC agli interventi infermieristici è stata contraddittoria. Possiamo quindi affermare che la variazione della
PIC come risposta agli interventi di cura non può essere semplificata in una relazione lineare e che sono
necessarie ulteriori ricerche per poter interpretare le variazioni della PIC in maniera coerente e prevedibile.
Se la PIC è da considerarsi una variabile nel ridurre il danno cerebrale secondario, la comprensione di come
la PIC cambia in risposta a interventi infermieristici è essenziale.
In condizioni di normalità la quantità di sangue che arriva all’encefalo nell’unità di tempo è circa di 50 – 55
ml/100g/min, circa 1/5 dell’intera gittata sistolica. Il flusso ematico cerebrale rimane costante nel tempo,
indipendentemente dall’attività funzionale dell’encefalo (diversamente da ciò che si può constatare per gli
altri organi, quali reni o muscoli) ed è direttamente proporzionale alla PPC e inversamente proporzionale alle
resistenze vascolari cerebrali (RVC).
Per resistenza vascolare cerebrale si intende la pressione esercitata sul letto dei vasi cerebrali; essa è
influenzata dalla pressione sistolica, dalla pressione diastolica, dal diametro dei vasi cerebrali e dalla PIC.
Poiché non sono presenti valvole all’interno delle vene cerebrali, la pressione venosa cerebrale è influenzata
dalle resistenze cerebrovascolari.
(78) Olson D.M., McNett M.M., Lewis L.S., Riemen K.E., Bautista C., Effects of Nursing Interventions on Intracranial Pressure, Am
J Crit Care 2013; 22:431-438.
186
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
provocherà una diminuzione del CBF. Inoltre, i fattori intrinseci possono alterare quelli estrinseci attraverso
cambiamenti dei meccanismi metabolici. Per esempio, potrebbe avvenire un cambiamento del metabo-
lismo da aerobico ad anaerobico, con conseguente aumento delle concentrazioni di acido lattico, acido
piruvico e acido carbonico che determinerà acidosi.
Il Doppler transcranico (TCD) è uno strumento innovativo, flessibile, accessibile per il monitoraggio al
letto del paziente del flusso cerebrale statico e dinamico e la risposta al trattamento. Introdotto da Rune
Aaslid nel 1982, è diventato indispensabile nella pratica clinica. Il principale ostacolo alla penetrazione
ecografia del cranio è l’osso. Vengono utilizzate basse frequenze, 1-2 MHz, che riducono l’attenuazione
dell’onda ultrasonica causata dallo spessore osseo. IL TCD sfrutta finestre acustiche che rappresentano
punti specifici del cranio in cui l’osso è abbastanza sottile da permettere agli ultrasuoni di penetrare. Ci
sono quattro finestre acustiche: trans-temporale, transorbitale, suboccipitale e retromandibolare. L’identi-
ficazione di ogni vaso intracranico si basa sui seguenti elementi: (a) velocità e direzione; (b) la profondità di
cattura del segnale; (c) possibilità di seguire il vaso lungo tutta la sua lunghezza; (d) relazione spaziale con
gli altri vasi e (e) risposta alla compressione della carotide omolaterale e controlaterale. I principali campi
di applicazione clinica del Doppler transcranico sono la valutazione del vasospasmo, l’individuazione di
stenosi delle arterie intracraniche, la valutazione dell’autoregolazione cerebrovascolare, la stima non inva-
siva della pressione intracranica, misura della pressione minima di perfusione e valutazione della morte
cerebrale. La velocità di flusso media è direttamente proporzionale al flusso e inversamente proporzio-
nale alla sezione del vaso. Qualsiasi circostanza che porta ad una variazione di uno di questi fattori può
quindi influenzare velocità media. La condizione patologica principale che interessa la velocità del flusso
è il vasospasmo: quando aumentano le resistenze cerebrovascolari - per esempio in caso di vasospasmo
delle dell’arteria cerebrale media, la velocità sistolica aumenta, mentre la velocità diastolica diminuisce,
portando ad un netto aumento dell’indice di pulsatilità (il rapporto tra la differenza tra flusso sistolico e
diastolico ed il flusso diastolico ). Per questo motivo il TCD viene spesso utilizzato per monitorare l’anda-
mento nel tempo del vasospasmo dopo ESA (79). Il vasospasmo è una complicanza frequente dell’ESA,
rimane spesso clinicamente silente ed i fattori che lo rendono sintomatico sono in gran parte sconosciuti.
Tuttavia una corretta interpretazione dell’indice di pulsatilità è complessa, perché dipende non solo dalle
resistenza cerebrovascolari, ma anche da variabili sistemiche e cerebrali. Il TCD è stato utilizzato anche
per valutare l’autoregolazione cerebrovascolare nei pazienti con trauma cranico e con ESA. Tramite alcune
formule è anche possibile stimare la pressione intracranica con discreta precisione. Il vantaggio principale
del TCD è che non è invasivo e può essere eseguito al letto del paziente. Tuttavia, la qualità del segnale
TCD è operatore-dipendente e la corretta interpretazione richiede una formazione specifica. I segnali rile-
vati tramite TCD possono anche variare nel tempo con la temperatura, la pressione di anidride carbonica
arteriosa ed, in alcune studi, la correlazione con il CBF misurato direttamente è stata deludente (80).
Sono stati fatti tentativi per identificare la perdita della capacità di autoregolazione mediante analisi della
forma d’onda della PIC: la normale forma d’onda ICP ha tre componenti (P1> P2> P3), ma è alterata
quando la pressione aumenta, con un aumento della componente P2 rispetto a P1 (Figura 12); l’ampiez-
za dell’impulso ICP (differenza tra valori sistolici e diastolici) tende anche ad aumentare. Tuttavia, questi
aspetti dipendono anche dalla PPC e dalle proprietà fisiche del sistema di misura, e quindi questo tipo di
lettura del tracciato della PIC deve essere usato con cautela.
(79) Washington C.W., Zipfel G.J., Detection and monitoring of vasospasm and delayed cerebral ischemia: a review and asses-
sment of the literature, Neurocrit Care 2011, 15:312-317.
(80) Chieregato A., Sabia G., Tanfani A., Compagnone C., Tagliaferri F., Targa L., Xenon - CT and transcranial Doppler in poor-grade or
complicated aneurysmatic subarachnoid hemorrhage patients undergoing aggressive management of intracranial hypertension,
Intensive Care Med 2006, 32:1143-1150.
187
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
Figura 12 - Tracciato PIC con compliance conservata (superiore) e non conservata (inferiore)
La prima onda, P1, è denominata “onda di percussione” e deriva dalla pressione arteriosa trasmessa al plesso coroideo;
la P2, che corrisponde al secondo picco e varia in ampiezza in base alla compliance cerebrale; l’onda P3 rappresenta
l’“onda dicrotica” ed è data dalla chiusura della valvola aortica
Oltre ai sistemi di monitoraggio già citati, esistono altri tipi di monitoraggio cerebrale che permettono di
valutare l’ossigenazione a livello tissutale (grazie al controllo della SjVO2, la PBTO2, la NIRS e la microdialisi)
ed infine l’attività elettrica dell’encefalo attraverso l’EEG. In questo paragrafo saranno descritti questi sistemi
di monitoraggio che rendono possibile sia ai medici che agli infermieri, di raccogliere più dati specifici per
determinare lo stato fisiopatologico dell’encefalo.
La configurazione più utilizzata prevede l’applicazione di 19 elettrodi, in posizione fissa, secondo convenzioni
internazionali (la più conosciuta è la 10-20 in cui la distanza tra gli elettrodi vicini è pari al 10-20% della distan-
za tra alcuni punti di repere esterni della superficie del cranio).
Gli elettrodi vengono poi accoppiati in varie combinazioni che garantiscono di esplorare l’intera superficie
cerebrale.
Il tracciato EEG è costituito da oscillazioni singole in successione continua. Una successione continua di
onde alla stessa frequenza viene definita ritmo; se ne distinguono quattro: il ritmo Alfa ( frequenza compresa
tra gli 8 e i 13 Hz), il ritmo Beta (frequenza superiore ai 13 Hz), il ritmo Tetha (frequenza compresa tra i 4 e 7
Hz) ed infine il ritmo Delta (frequenza inferiore ai 4 Hz).
188
Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
L’EEG di un soggetto normale varia principalmente in relazione all’età ed al livello di vigilanza: minore è l’età
e il livello di vigilanza maggiore è l’incidenza dei ritmi lenti. L’EEG è un semplice strumento di monitoraggio,
pertanto nessuna malattia cerebrale può essere diagnosticata solo in base al tracciato EEG. Il test assume
valore diagnostico solo quando è accompagnato da un dettagliato quadro clinico in quanto più malattie
possono presentare il medesimo tracciato. È anche usato per monitorare gli attacchi epilettici non con-
vulsivi e per la diagnosi di morte cerebrale. Molto promettente appare l’utilizzo di sistemi di monitoraggio
quali-quantitativi tramite elaborazione algoritmica delle forme d’onda EEG rilevate con un numero ridotto di
elettrodi e convertite in un valore numerico che è molto utile soprattutto per il monitoraggio della sedazione
(ad esempio quando si ricerchi la Burst suppression - soppressione dei potenziali di azione): ne è un esempio
il monitor BIS (Indice Bispettrale) che con elettrodi frontali restituisce un valore da 100 (paziente completa-
mente sveglio) a 0 (morte encefalica) la cui applicazione si sta diffondendo anche se ad oggi mancano dati
certi sull’affidabilità di questo tipo di monitoraggio. Oggigiorno è anche utilizzato il monitoraggio dei PES
(Potenziali evocati somato-sensoriali) il quale può procurare dati importanti per la funzione cerebrale in caso
di trauma cranico severo, analizzando l’integrità funzionali delle vie afferenti sensitive somatiche; tuttavia il
suo utilizzo è limitato nella gestione iniziale del paziente con tale patologia.
La saturazione venosa cerebrale (SjVO2 Jugular bulb venous oxygen saturation): è un indicatore sia dell’ossige-
nazione cerebrale sia del metabolismo cerebrale, riflettendo il rapporto tra flusso ematico cerebrale e il tasso
metabolico cerebrale dell’ossigeno (CMRO2). Per il monitoraggio del SjVO2 è utilizzato un catetere all’interno della
vena giugulare interna; esso è posizionato a livello del bulbo giugulare o a livello della seconda vertebra cerebrale
(C2). Il sangue può essere prelevato in modo intermittente oppure può essere monitorizzato continuamente at-
traverso un catetere a fibre ottiche. Il valore standard del SjVO2 , in un soggetto sano e sveglio, è del 62% con un
range tra il 55% e il 71%; una desaturazione venosa al di sotto del 50% è segno di un’ischemia e quindi il paziente
necessita di trattamenti tempestivi. Nei traumi cranici, la desaturazione venosa giugulare è spesso associata ad
una riduzione del flusso ematico cerebrale causata da ipotensione arteriosa, ipertensione endocranica o vaso-
spasmo o per una vasocostrizione cerebrale associato ad ipocapnia. Ricerche hanno verificato che una riduzione
della saturazione venosa al di sotto del 50% è un fattore di rischio per esiti e prognosi non positivi (81). Inoltre il
monitoraggio del SjVO2 è essenziale per valutare il tipo di ventilazione da eseguire durante procedure mediche o
per confermare la diagnosi di ipertensione endocranica. Tuttavia si precisa che i benefici che si possono trarre da
questo tipo di monitoraggio non sono stati confermati da uno studio controllato randomizzato.
Sia il monitoraggio del SjVO2 che del PbtO2 misurano (PbtO2 Brain tissue oxygen tension) l’ossigenazione
cerebrale ma il primo quantifica l’ossigenazione cerebrale globale, il secondo rileva l’ossigenazione cerebrale
focale utilizzando una sonda intracerebrale. Ove disponibile questa tecnologia sta soppiantando la SjVO2.
È stato documentato che le misure del PbtO2 rappresentano il prodotto del flusso ematico cerebrale e
della pressione di ossigeno arterovenosa piuttosto che una misura diretta del rilascio totale dell’ossigeno o
dell’ossigenazione cerebrale (82). Il PbtO2 è la tecnica più affidabile per monitorare l’ossigenazione cerebrale
focale per prevenire episodi di desaturazione; tuttavia alterazioni dell’ossigenazione cerebrale globale posso-
no non essere rilevate. Il range normale del PbtO2 è fra i 25 mmHg e i 40 mmHg; un valore del PbtO2 minore
dei 15 mmHg è considerato il valore soglia per un’ischemia cerebrale focale e quindi il paziente necessita
trattamenti. Molti studi hanno dimostrato che la terapia basata sul monitoraggio e valutazione del valore del
PbtO2 potrebbe essere associata ad una riduzione della mortalità e ad un miglioramento degli esiti a segui-
to di un trauma cranico (83). In un altro studio è stato comparato, in termini di esiti dello stato di salute dei
(81) Robertson C.S., Gopinath S.P., Goodman J.C., Contant C.F., Valadka A.B., Narayan R.K., SjVO2 monitoring in head-injured patients,
J Neurotrauma 1995 12:891-6.
(82) Rosenthal G., Hemphill J.C., Sorani M., Martin C., Morabito D., Obrist W.D., Manley G.T., Brain tissue oxygen tension is more
indicative of oxygen diffusion than oxygen delivery and metabolism in patients with traumatic brain injury, Crit Care Med 2008
36(6):1917-24.
(83) Spiotta A.M., Stiefel M.F., Gracias V.H., Garuffe A.M., Kofke W.A., Maloney-Wilensky E. et al., Brian tissue oxygen-directed
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Capitolo IV
IL MONITORAGGIO NEUROLOGICO
pazienti, l’efficacia delle terapie somministrate in base al monitoraggio del PbtO2 e in base al monitoraggio
della PIC/PPC: è risultato che i pazienti che hanno ricevuto trattamenti basati sui valori del PbtO2 hanno avuto
esiti positivi nel 62,2% mentre con i trattamenti guidati esclusivamente dal monitoraggio della PIC/PPC sono
stati rilevati esiti favorevoli nel 41,9%: questi risultati rendono evidente che un monitoraggio della PIC/PPC
associato al monitoraggio del PbtO2 comporta benefici maggiori rispetto che un classico approccio di solo
monitoraggio della PIC e della PPC (84). Questo tipo di monitoraggio è capace di eseguire un trattamento te-
rapeutico che potrebbe migliorare le condizioni e gli esiti dei pazienti con trauma cranico. È stato documen-
tato che il PbtO2 risulta più accurato del monitoraggio del SjVO2. Il determinante maggiore dell’affidabilità di
questo tipo di monitoraggio che è molto diffuso nelle UTI è il posizionamento della sonda (solitamente nella
sostanza bianca) e la prossimità con eventuali lesioni focali.
La Spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS Near Infrared Spectroscopy): è un monitoraggio continuo, di-
retto e non invasivo che consente di stimare l’ossigenazione cerebrale e del volume ematico cerebrale.
Nel tessuto cerebrale sono presenti due principali gruppi di atomi capaci di conferire una colorazione ad
una sostanza e quindi capaci di assorbire un fascio di luce che sono precisamente l’emoglobina (Hb) e il
citocromo ossidasi. La NIRS si basa sulle differenti proprietà di assorbimento di questi ultimi. Il range degli
infrarossi della NIRS vanno da 700 a 1000 nm; a 760 nm, l’emoglobina è deossigenata, mentre intorno ai 850
nm l’emoglobina captata è legata all’ossigeno. Quindi il livello della deossigenazione dei tessuti è valutato
attraverso la differenza di assorbimento fra le due lunghezze d’onda. In confronto al monitoraggio del SjVO2,
la NIRS è meno accurata per valutare l’ossigenazione cerebrale.
La Microdialisi cerebrale (CMD) prevede l’inserimento di un catetere con una punta rivestita da una membrana
semipermeabile (solitamente con un cutoff 20 kDa) nel parenchima cerebrale. Il catetere CMD è costante-
mente perfuso grazie a un microinfusore di precisione, consentendo in tal modo prelievi regolari di campioni
di liquido extracellulare del cervello del paziente. Il campionamento è limitato alla zona di tessuto interstiziale
intorno al catetere, misurando quindi il metabolismo cerebrale regionale. Normalmente, il catetere della micro-
dialisi è inserito in una zona del tessuto cerebrale “sensibile” per misurare i cambiamenti bio-chimici nell’area
dell’encefalo che è più vulnerabile a lesioni secondarie. Sono possibili diverse misurazioni per quantificare
le concentrazioni nel dialisato del glucosio, lattato, piruvato, glicerolo e glutammato. Precisamente, l’ipossia
cerebrale o l’ischemia provoca un forte aumento del lattato e di conseguenza, poiché si è in presenza di un
ambiente anaerobico è presente il piruvato; poiché i livelli di questi due componenti sono fisiologicamente
“fluttuanti” viene preso come indicatore il rapporto fra le concentrazioni del lattato e del piruvato detto anche
LPR (Lactate to Piruvate Ratio). Nella pratica clinica, il rilievo di un elevato rapporto lattato/piruvato e di bassi
valori di glucosio è considerato come un segnale di attenzione per una possibile ischemia/ipossia cerebrale.
Sempre dal punto di vista clinico i valori assoluti misurati sono importanti, ma il trend nel corso del tempo
può fornire informazioni più utili. Recentemente, la CMD è stata utilizzata per determinare il livello ‘ottimale’
della glicemia durante la terapia insulinica e, se utilizzato in combinazione con PbtO2, il monitoraggio CMD ha
una potenziale utilità clinica per ottimizzare i valori di PAM/PPC e la concentrazione di emoglobina nel sangue
al fine di migliorare perfusione e ossigenazione cerebrale (85).
È importante ribadire che il monitoraggio invasivo della pressione intracranica rimane il più affidabile e sicuro;
di tutti i metodi non invasivi la misura del diametro del nervo ottico attraverso ultrasuoni o doppler è definito
come il più promettente.
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