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LA PAROLA E LA SPADA

Luis Navarro

Si dice spesso che “un'immagine vale più di mille parole”. L'immagine si


percepisce a colpo d'occhio, è facile da ricordare, ha una maggiore forza emotiva,
suscita interpretazioni diverse e va oltre linguaggi diversi. A differenza di molti
artisti concettuali, il cui lavoro è sostenuto da contorte manovre testuali, Santiago
Sierra ha sempre resistito a spiegare le sue opere, costruite sui presupposti del
minimalismo, preferendo che mostrassero il loro significato, al di là anche dei loro
titoli ironici, nell'incontro con lo sguardo dello spettatore.

Altri autori hanno però evidenziato l'incapacità dell'immagine di generare


riflessione critica, riferendosi al nostro mondo come a una “società dello
spettacolo” che giustappone un'immagine dopo l’altra, senza lasciare il tempo per
un'articolazione del pensiero che “richiede un vero giudizio ad ogni riga” (Debord).
Non è un caso che il suddetto adagio, nella sua moderna formulazione, abbia
origine e trovi il suo luogo ideale nel mondo della pubblicità. La comparsa dell'arte
concettuale è in gran parte dovuta al tentativo di risolvere questa dicotomia,
problematizzando il rapporto tra arti visive e parole.

Sierra ha talvolta definito il suo modo di intendere l'arte come “anti-propaganda”,


cioè come un modo di affrontare criticamente la rappresentazione del potere e la
seduzione onnipresente nei mass media, provocando più volte -con parole di
Pablo España- “la frustrazione e la delusione della promessa del piacere estetico”.

Un'altra dualità che abbonda in questa svalutazione delle parole nella mentalità
moderna è quella che le oppone all'azione: “quello che conta sono i fatti, non le
parole”, si dice spesso, e in politica “teoria e prassi”. Alla base di questo dualismo
c'è la vecchia verità moderna che vi sia una distanza tra "parole e cose": la parola
e il mondo sono realtà separate e talvolta incompatibili. Fino a che, alla metà del
secolo scorso, J. L. Austin ha messo in discussione questo problema con il suo
famoso libro Come fare cose con le parole, che ha ampliato il campo della
linguistica incorporando la "pragmatica".

Molte delle opere di Sierra rompono questi confini definiti imprimendo il potere
dell'immagine sulla parola o coinvolgendola in diversi tipi di azione. L’artista ci
mostra così che le parole sono cose tra le cose: hanno una loro materialità,
producono e subiscono esse stesse effetti ed eventi. Ci mostra anche che le
parole hanno un grande potere nascosto, poiché modellano il mondo come lo
conosciamo agendo sulla coscienza. Ci mostra poi soprattutto che, nella loro
plasticità, le parole sono armi, in quella che oggi è stata codificata come “guerra
culturale”, consistente nell'appropriazione di segni e referenti e nella loro
manipolazione interessata.

"La guerra è un linguaggio oltraggiato dalla pubblicità, usato come magia nera per
dominare il pianeta", recitava il poeta Allen Ginsberg. Questo confronto tra il potere
nascosto della parola e la magia non mi sembra gratuito, al punto che credo che la
dinamica che meglio ne definisca la natura sia quella di "incantesimo", nella sua
doppia accezione di "invocazione" ed “esorcismo". Prevenire l'inevitabile,
realizzare l'improbabile; convocare gli spiriti a farsi presenti, metterli in ritirata;
interagire, insomma, con l'esteriorità invisibile che agisce sul futuro del mondo.

Questo uso della parola come incantesimo è ben documentato in alcune opere di
Land Art di Sierra. In Il graffito più grandi del mondo (2012) -opera realizzata
nell'ambito di incontri d'arte a sostegno del popolo sahrawi Artifariti-, l’artista ha
inciso un’immenso segnale di soccorso (S.O.S.) di 5000 x 1700 metri sui vasti e
dimenticati territori del deserto del Sahara, un paesaggio che solo i rifugiati
saharawi percorrono per stabilirsi nel campo di Smara, in territorio algerino, un
luogo lontano da ogni rotta aerea o commerciale. C'era ancora una certa ironia
nera in questo gesto eccessivo, perché per le sue dimensioni nessuno poteva
decifrare il messaggio a terra, e solo un satellite in quota poteva fotografare il
segnale, il che lo rendeva più simile a un “brindisi al sole", o meglio una preghiera
nel vuoto in un territorio dimenticato anche dagli "dei". Tuttavia, almeno, la
documentazione artistica dell'azione ha permesso di rompere, anche in modo
virtuale, questa invisibilità e questa dimenticanza in cui i paesi occidentali, e
soprattutto la Spagna per il suo impegno storico, mantengono il conflitto tra
Sahara occidentale e Marocco.

Ciò che contraddistingue questa e altre opere di Land Art realizzate da Sierra è che
non si limitano a realizzare un intervento formale sul territorio, ma anzi introducono
un livello semantico dirompente in uno spazio già duramente connotato. Questo
produce un potentissimo effetto di denuncia e visibilità di quanto vi accade. In un
altro spazio dimenticato a Ciudad Juárez, in Messico, l'insediamento illegale di
Anapra, occupato da abusivi senzatetto e migranti intrappolati nel loro
pellegrinaggio verso gli Stati Uniti, un luogo avvelenato da industrie chimiche
altamente inquinanti e costantemente monitorato dalle forze repressive
statunitensi, Sierra scrisse anche la parola SUMISIÓN (SOTTOMISSIONE) in lettere
elvetiche di 15 metri di lunghezza ciascuna. Nelle vicinanze si trova anche il Cerro
del Cristo Negro, dove un tempo venivano abbandonati i corpi delle lavoratrici
uccise selvaggiamente. La trincea era ricoperta di cemento, poiché lo scopo
iniziale era quello di riempire le lettere di fatte di materiale combustibile e dar loro
fuoco (da cui il suo titolo originale Parola di fuoco, che in seguito dovette essere
cambiato). In questo caso, i testimoni privilegiati dell'azione sarebbero stati gli
aerei militari delle strutture statunitensi di Fort Bliss, che sono vicine al luogo e lo
attraversano frequentemente. Tuttavia, numerosi ostacoli burocratici, basati su
pretesti incongrui, hanno impedito il rogo della parola e il governo locale ha
persino utilizzato la forza pubblica per farlo. La conclusione, anche in questo caso,
è sia ironica che scoraggiante: SUMISIÓN è ignifuga. Tuttavia, vediamo qui
soprattutto che tipo di eventi può provocare una semplice parola sotto forma di
incantesimo in una situazione concreta e le vicissitudini che può attraversare.
L’opera è quindi concepita come un dispositivo e solo la sua realizzazione, spesso
imprevedibile, può realizzarne il significato.

Sia le opere di Land Art di Sierra che i suoi interventi urbani sono specificamente
concepiti per il luogo in cui vengono realizzati, il che implica sempre uno studio
preliminare dettagliato dello stesso e dei conflitti e delle situazioni che in esso si
svolgono. Per il suo intervento a El Cabanyal, quartiere di pescatori della città di
Valencia, in Spagna, minacciato dai piani urbanistici del consiglio comunale che ne
indicavano il degrado e la trasformazione in località turistica, Sierra ha costruito la
parola FUTURE con materiale combustibile e l’ha bruciata, in un atto che non può
essere inteso se non come una conferma che non c'era futuro per la vita del
quartiere (Parola bruciata, 2012). O forse, se prendiamo l'incantesimo nella sua
doppia accezione, non c’era futuro per i piani dello stesso governo, nel caso fosse
stato costretto a cedere alle pressioni popolari.

Sia per i materiali utilizzati che per il rituale che ha accompagnato l'azione, l'opera
Parola bruciata ha evocato la tradizione locale delle Fallas, festa in cui ogni anno,
in una cerimonia catartica, vengono bruciate figure costruite per l'occasione con
materiali combustibili, rappresentando tutto ciò che è stato negativo durante
quell'anno e che si vorrebbe distruggere. Le caricature di politici e personaggi
pubblici, contrassegnati come “cattivi dai giorni nostri”, vengono spesso bruciati in
assoluta libertà. La costruzione dell'opera era stata realizzata con la collaborazione
dei vicini e della locale bottega fallero di Manolo Martín, con la quale l’artista ha
poi sviluppato -insieme a Eugenio Merino- anche l’opera El ninot (2019), figura
iperrealistica dell'attuale Re di La Spagna Felipe VI che Sierra fece distruggere allo
stesso modo e con lo stesso scopo: sbarazzarsi del vecchio e sorpassato (la
monarchia) per far posto al nuovo.

Invitato nel 2015 a compiere un intervento nella città greca di Atene, Sierra ha
notato la realtà dei cani ateniesi (Los perros atenienses, ndt) che circolano con
noncuranza senza proprietario per la città con una libertà difficile da ritrovare in
qualsiasi altro paese europeo. Questi cani non sono propriamente animali randagi,
sono accuditi e nutriti collettivamente dalla comunità di ogni quartiere che li
accetta e vive con loro, in particolare da persone di strada che condividono in gran
parte il loro destino.

Queste persone, per lo più vittime della terribile crisi economica che ha colpito il
mondo intero dal 2008, ma con molta più intensità nei paesi del sud Europa, come
la Grecia o la Spagna, gravati da debiti e tagli, non rispondono nemmeno loro al
prototipo di “mendicanti”: sono stati tuttavia gettati in strada, dopo aver vissuto
pienamente integrati -con un lavoro e talvolta con un'istruzione superiore- nei
momenti più duri della crisi.

In questo contesto economico, Sierra ha vestito gli animali che giravano per la
città con pettorine con la scritta NON HO SOLDI in lingua greca, trasformandoli in
veicoli di un clamore che correva per il paese, "alter ego" solidali di queste
persone rese precarie. Vale la pena notare qui il ruolo che questi cani “in
comune”hanno svolto nelle proteste contro l'austerità e l’odioso debito che hanno
travolto il Paese; i cani hanno affrontato ferocemente la polizia nella stessa trincea
dei loro compagni umani. Due di questi cani, Lukanikos e Kanelos, nella cui
memoria è stata realizzata anche l'opera, sono diventati simbolici per le loro
continue apparizioni nelle fotografie dei disordini, come è successo in Cile con il
Negro Matapacos.1

In ogni occasione, Sierra cerca di materializzare le parole attraverso una sorta di


epifania, o trasformandole in segni o iscrizioni su supporti sensibili o dando loro
corpo, sotto forma di sculture con una grandezza e un peso, che ambiscono a
realizzarsi al di là della loro esistenza ideale, dell’immaginazione o della teoria. Le
parole sono quasi sempre soggette a processi di distruzione, trasformazione nello
spazio, ostentazione o occultamento in cui dispiegano il loro pieno significato.
Parola di 350 cm di altezza e di 1200 cm di larghezza è una scultura di grande
formato, concepita per l'esposizione in interni in precise condizioni ambientali di
illuminazione e occupazione dello spazio.

È stato esposta per la prima volta nel 2004 nella Chiesa di San Matteo, a Lucca,
Italia, sfruttando al meglio la struttura dell'edificio. Due faretti illuminavano da terra
la scritta KLASSENKAMPF (LOTTA DI CLASSE), proiettando un'ombra lunga e
sinistra. Questa volta si trattava di dare presenza e visibilità, in uno spazio artistico,
a un concetto sempre trascurato dalla cultura alta, come se non fosse alla base di
tutta la realtà e non fosse motivo di attenzione e riflessione per l'attività creativa.
La sua erezione in uno spazio chiuso, dove quasi eccede, toccando tutti gli angoli,
lo rende un "manifesto", una verità lanciata in faccia a chi probabilmente non la
vuole vedere. L’uso drammatico della luce sulla sua linea stilizzata e sui suoi vertici
la rendono inoltre una forma spaventosa, una minaccia che incombe sullo
spettatore con le sue ombre.

Se in quasi tutte le opere che abbiamo recensito, l'intenzione è solitamente quella


di rendere visibile qualcosa che è nascosto, dimenticato o rimosso, nel pezzo
Parola coperta, realizzato nell'ambito del suo intervento sul Padiglione Spagnolo
dell'edizione 2003 della Biennale de Venezia, l’intento è esattamente opposto:
l'occultamento di qualcosa che si impone, che si vuole evidenziare ed esaltare
dall'istituzione come qualcosa di evidente e degno di nota. L'intervento minimalista
di Sierra è consistito semplicemente nell'applicare alla parola SPAGNA -il cui
rilievo compare sulla facciata anteriore del padiglione- la stessa procedura che si
applica alla segnaletica stradale temporaneamente non in funzione, coprendola
con plastica e nastro adesivo fino ad annullarne la presenza. Questo silenziare
diventa paradossalmente un grido, una dichiarazione di intenti tanto manifesta
quanto quella dell’opera precedente, e per alcuni può essere ugualmente offensiva
e sinistra. Questo atto puramente denotativo contrastava con la sovra-
rappresentazione dell'opera che completava questo intervento, Muro che chiude
uno spazio, in cui l’artista impediva l'accesso principale al padiglione con blocchi
di cemento e chiedeva ai visitatori i "documenti" comprovanti la loro nazionalità
spagnola per accedere allo stesso, attraverso la porta laterale. Dall’altro lato,

1 [nota del traduttore] Negro Matapacos (dallo spagnolo matar, uccidere, e paco, in gergo cileno
"sbirro"; il suo soprannome completo si traduce in "Nero Uccidi Sbirri" o "Nero ammazza-sbirri”)
era un cane cileno che ha acquisito notorietà grazie alla sua partecipazione alle proteste di strada
che hanno avuto luogo a Santiago del Cile nel corso degli anni 2010.
questo intervento aspirava ad affermarsi, alla fine, come una tappa ulteriore
dell'evoluzione storica di questa facciata, dalla sua origine plateresca, passando
per i successivi rimaneggiamenti a cui fu sottoposta, a seconda del regime politico
prevalente nel Paese al quale la parola intendeva dare entità.2

Parola Distrutta (2012) è stato sicuramente il progetto più ambizioso di Sierra


rispetto a quello che potremmo definire, in modo un po' ironico, il suo “gioco” con
le parole. In questo caso si tratta di una scultura “processuale”, destinata, come
molte di quelle da lui realizzate, a essere sottoposta a vari processi di intervento
che ne confermano il significato, e talvolta tentano anche di trasformarlo. In una
rappresentazione simultanea, che è in realtà il prodotto di un lungo processo,
possiamo vedere ciascuna delle lettere della parola KAPITALISM (CAPITALISMO in
svedese) essere distrutta con mezzi diversi, dai più primitivi (fuoco, mazza, ascia o
maiali che divorano la forma) al più raffinato (uso di strumenti sofisticati o armi da
fuoco). In meno di mezz'ora vediamo un sistema che mette l'essere umano al
servizio della produzione, spreme la classe operaia a favore delle grandi
corporazioni, condanna la maggior parte della popolazione alla scarsità e alla
necessità, non smette di saccheggiare, distrugge il pianeta per alimentare il suo
incontenibile appetito di plusvalore.

In poche occasioni Sierra usa il suo intervento fisico sulle parole per esprimere un
desiderio. L'opera è stata realizzata in diverse parti del mondo nell'arco di due
anni, dal 2010 al 2012. In ogni luogo è stato distrutto una delle lettere, puntando
allo stesso risultato finale che solo l'artista conosceva, e che nella maggior parte
dei casi è stato ignorato da ciascuno di coloro che lo mettevano in pratica. A
distanza di anni, nonostante il sistema capitalista abbia mostrato enormi falle che
lo hanno costretto a un profondo azzeramento delle sue strutture, possiamo
verificare che neanche in questo caso l'incantesimo ha avuto successo, o almeno
che il capitalismo non è caduto a causa dell’iniziativa delle sue vittime.

Tuttavia, se c'è una parola che esprime decisamente l'atteggiamento di Sierra di


fronte a un mondo che disapprova e che la sua arte non basta a trasformare, essa
è molto semplice e molto breve, solo un fonema astratto che serve in diversi luoghi
e situazioni: NO. Questa parola riassume praticamente tutta la sua carriera e
percorre ciascuna delle sue opere nei suoi vari livelli di significato. Potremmo
definire Sierra l'artista “negazionista” per eccellenza, ma non perché nega l'ovvio e
l’evidente, ma perché detesta la realtà che ci si presenta così crudamente in ogni
sua espressione: patria, capitale, colpa, sacrificio, prigione, guerra, lavoro,
sfruttamento, morte…

Il progetto No, Global Tour è partito nel luglio 2009 da Lucca, Italia e, a differenza
di altri pezzi che Sierra ha realizzato, sembra non avere fine, poiché continua a
manifestarsi in varie parti del mondo finché ci siano ragioni per farlo. In questo
caso l'intervento consiste semplicemente nel “passaparola”. Un camion

2 Il plateresco (anche plataresco) è uno stile artistico fiorito in Spagna nel XV e nel XVI secolo. Si
tratta di uno stile architettonico molto ornato e composto a imitazione dei lavori di argenteria (in
spagnolo plata), da cui proviene il termine.
comunemente utilizzato per il trasporto di materiali da costruzione attraversa il
mondo trasportando una scultura in legno che pesa mezza tonnellata e misura più
di tre metri di altezza per quattro di larghezza, la cui forma esprime i caratteri della
parola NO. L'idea era quella di realizzare un road movie in cui il protagonista fosse
un concetto che attraversava il mondo fisicamente nello stesso momento in cui è
attraversato da esso. In ogni stazione quel "no" astratto, senza un riferimento
definito da una situazione specifica, ma applicabile a una grande varietà di
situazioni, si impregnava dei conflitti che attanagliano ogni luogo.

Che in ogni suo intervento, che usi o meno la parola come strumento, Sierra ha
cercato di adattarsi al contesto per produrre un significato specifico, in questo
caso è il contesto che si adatta al concetto e lo trasforma di volta in volta. Da
questa idea iniziale, il NO di Sierra ha continuato a produrre sculture con vari
materiali (marmo, vaselina, ferro), riprodotte su più supporti (tele, manifesti,
serigrafie, graffiti, francobolli, tracce sui raccolti), e ancora oggi continua a
percorrere diverse parti del mondo, illustrando diverse lotte e mostrando
un'inesauribile capacità di generare situazioni e significati.

Ci sono ancora molte altre opere in cui Sierra ha usato la parola, a volte come
strumento, a volte come materiale o come risorsa: Tela sospesa davanti a una
caletta (2001), Monumento alla disobbedienza civile (2012), Monumento
concettuale (2012), Dichiarazione di Copenhagen, realizzata in collaborazione
con Jens Haaning (2014), Tela di 600 x 400 cm (2018), ecc. Tuttavia, parlando del
suo lavoro in generale, possiamo notare come uno dei suoi tratti più ricorrenti e
originali consista nell'introduzione, all'interno di una pratica che utilizza le risorse
estetiche del minimalismo, di un livello semantico che lo separa dal formalismo e
ne rivoluziona la percezione, consentendo di fare della sua opera un efficace
dispositivo politico di denuncia e trasformazione delle realtà locali. Tornando agli
adagi, non è che "la parola è più forte della spada", ma la parola stessa è una
spada poderosa.

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