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DIRITTI & ROVESCI

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Óscar Colchado Lucio

ROSA COLTELLO

A cura di Rodja Bernardoni


Titolo originale dell'opera: Rosa Cuchillo

© Óscar Colchado Lucio, 1997

@ © Aníbal Jesús Paredes Galván – Editor, Editorial San Marcos, Lima, 2000

© per l'Italia: Edizioni Gorée – Iesa (SI) via dell’Arco, 1, 2009

Edizioni Gorée è un marchio di Leggere i diritti – Società Cooperativa Sociale ONLUS

Prima edizione: maggio 2009

Copertina di Maurizio Ceccato

RISTAMPE

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INTERNET www.edizionigoree.it
E-MAIL info@edizionigoree.it

ISBN 978-88-89605-62-2
INDICE

Prefazione di Rodja Bernardoni p. XI

Rosa coltello p. 3

Glossario p. 329
A José
A zia Anita
A Pepe Palacios
PREFAZIONE

di Rodja Bernardoni

I l 17 maggio del 1980 si inaugura uno dei periodi più sangui-


nosi e cupi nella storia peruviana recente; è infatti in questa
data che, con l’occupazione del seggio elettorale del piccolo vil-
laggio di Chuschi, nel dipartimento di Ayacucho, e la distruzione
delle urne per elezioni politiche del giorno successivo, il gruppo
terrorista di ispirazione marxista-leninista Sendero Luminoso fa il
suo debutto e dà inizio al suo delirante progetto eversivo. Progetto
che – contro le previsioni di coloro ai quali inizialmente esso era
apparso come un problema di ordine pubblico facilmente risolvi-
bile – darà luogo, con l’intervento nel conflitto delle Forze Armate,
a una vera e propria guerra civile. Con l’allargamento a macchia
d’olio della campagna sovversiva che nel giro di poco meno di un
biennio si estenderà fino a comprendere la quasi totalità dei terri-
tori della cordigliera andina, infatti, lo stato peruviano, abdicando
alla sua sovranità, consegnerà ai militari il pieno controllo delle
zone di guerra. Nasce in quel momento la tristemente nota Zona
de Emergencia. Spazio sotto la completa giurisdizione delle Forze
Armate all’interno del quale si imporrà in breve una rigidissima e
feroce repressione. Il conflitto da lì in avanti assumerà proporzioni
spaventose trascinandosi per più di dieci anni di orrore in orrore,
fino a quando, con l’arresto nel 1992 del leader di Sendero Abimael
Guzmán, non si giungerà alla sconfitta e alla dissoluzione del grup-

XI
po terrorista. Ma il prezzo pagato dal paese sarà altissimo; alla fine
della guerra, durante la quale gli opposti schieramenti, come in
ogni conflitto interno, faranno del loro meglio per prodursi in un
campionario di violenze e atrocità via via sempre più raccapric-
cianti, si conteranno, tra morti e desaparecidos, circa settantamila
vittime; vittime che nella stragrande maggioranza dei casi saranno
persone di origine e lingua indigene. Dato, questo, che chiamando
in causa il ruolo marginale e subalterno della componente abori-
gena sia andina che amazzonica, ci conduce a una delle questioni
storico-sociali più drammatiche del Perù: la questione etnica.
Paese nel quale coesistono ed interagiscono ormai da secoli cultu-
re ed etnie differenti e dove gli individui di origine o ascendenza
amerindia costituiscono la quasi maggioranza della popolazione,
il Perù è tuttavia profondamente percorso da tensioni e conflitti
di matrice etnica e razziale alla cui origine si colloca l’ideologia
marcatamente razzista che sin dall’indipendenza ha caratterizzato
il pensiero delle classi dominanti e delle istituzioni. Visione che
con il passare degli anni ha finito per permeare ogni ambito della
vita civile e politica del paese, segnando in maniera inequivocabile
ogni aspetto della dialettica tra le differenti classi e le differenti
culture presenti sul suo territorio. Un modello ideologico che,
come possiamo evincere dalle cifre precedentemente citate, viene
durante il conflitto interno a essere ampiamente riprodotto, nono-
stante i loro proclami e i loro distinguo, sia da Sendero che dallo
stato. Numerosi studiosi non hanno esitato a paragonare l’impatto
che questi eventi hanno avuto sulla popolazione indigena con la
conquista spagnola. Di fatto, al di là delle ovvie analogie esistenti
tra la brutale condotta dei conquistatori e quella dei terroristi e
delle forze di sicurezza, lo shock che la guerra sucia, come è stata
ribattezzata, ha rappresentato per gli universi socio-antropologici
dei nativi presenta da un punto di vista antropologico e culturale
non poche affinità ed analogie con quello prodotto dall’invasione

XII
spagnola: episodi come gli omicidi, la militarizzazione delle zone
rurali andine, l’annientamento di interi villaggi e comunità, le
migrazioni e gli esodi di massa, la disarticolazione dei vincoli fami-
liari e comunitari delle società indigene della sierra e della selva,
hanno sovvertito e incrinato irrimediabilmente la percezione e
l’esperienza degli individui della loro realtà etico-filosofica e della
loro quotidianità, obbligandoli, per metabolizzarli e interpretarli,
a un immane sforzo adattativo ed ermeneutico. Così come avve-
nuto nei primi anni della conquista, l’estrema violenza ed il clima
di generalizzata paura che si sono abbattuti sulle popolazioni
civili si sono concretizzati in complessi fenomeni psicologici e
culturali, come la riattivazione e la riattualizzazione di credenze
di tipo messianico e millenaristico che hanno visto il recupero di
antichi miti incaici e l’affermarsi di culti e sette di matrice avven-
tista. Contemporaneamente si sono diffusi e si sono moltiplicati
fenomeni collettivi di tipo psicotico e paranoide che, a partire da
superstizioni e leggende locali e popolari, hanno portato all’ela-
borazione e alla ripresa di figure soprannaturali e minacciose
sulle quali poter trasferire ansie e paure; figure tra le quali senza
dubbio spicca il Pishtaco o Naqaq. Sorta di vampiro andino, che si
ciba del grasso e della carne delle sue vittime e alla cui presenza gli
abitanti delle zone di guerra hanno spesso attribuito le numerose
fosse comuni scoperte nel corso del conflitto, arrivando, in alcuni
casi al linciaggio di innocenti passanti.
Sono queste le premesse storiche e culturali dalle quali pren-
de le mosse lo splendido romanzo di Óscar Colchado Lucio,
Rosa Coltello, pubblicato per la prima volta nel 1997. Opera
che forse rappresenta uno dei tentativi più lucidi e complessi di
comprendere e rappresentare i drammatici eventi del conflitto
attuato all’interno del panorama letterario peruviano odierno.
Autore di grande fama ed abilità narrativa, Colchado Lucio, che
arriva alla prova di questo romanzo dopo la pubblicazione di tre

XIII
raccolte di racconti, Cordillera Negra (1985), Camino de Zorro
(1987) e Hacia el Janaq Pacha (1989) e la fortunata serie di libri
per l’infanzia incentrata sul personaggio di Cholito, riesce a dare
vita ad un testo di grande spessore e significato; un testo che pur
non rinunciando a farsi strumento di denuncia e critica sociale e
politica riesce ad appassionare e coinvolgere il lettore sin dalle
primissime pagine, catturando la sua attenzione ed assorbendolo
completamente nella narrazione. Già durante i primi anni della
guerra sucia riuscire a trovare una maniera adeguata per poter
narrare eventi così drammatici senza rinunciare alle qualità più
strettamente artistiche del testo letterario è stata una delle grandi
sfide affrontate dagli scrittori peruviani. Tanti sono stati i registri e
gli stili con cui i vari autori si sono misurati con questo problema:
il realismo magico, la narrativa storica, la scrittura allegorica, la
narrativa poliziesca. Alcuni, come lo scrittore Mario Vargas Llosa,
fautori della completa autonomia e indipendenza dell’arte, hanno
optato per un approccio più ellittico e allusivo, che pur affron-
tando le questioni del presente, cerca di mascherare e mimetiz-
zare il più possibile, all’interno dell’opera, riferimenti a episodi e
avvenimenti concreti della contemporaneità. Altri, tra cui Óscar
Colchado Lucio, hanno invece preferito, per ragioni biografiche,
estetiche o ideologiche, mettere la realtà socio-politica peruvia-
na, in tutta la sua complessità e problematicità, al centro della
loro prassi scritturale. Scelta questa che trova i suoi antecedenti
nel modello narrativo indigenista: tradizione di scrittura che,
in special modo a partire dalla seconda decade del Novecento,
ha costituito il principale strumento per articolare la critica e la
denuncia delle estreme condizioni di sfruttamento e di emargina-
zione delle società amerindie contemporanee all’interno del Perù
e al tempo stesso per progettare un modello di nazione meno
discriminatorio e intollerante. Caratteristiche che, con l’evoluzio-
ne e la maturazione dell’estetica del movimento, trovano la loro

XIV
massima espressione nell’opera di artisti come Ciro Alegría e José
María Arguedas, Eleodoro Vargas Vicuña e Manuel Scorza, in
cui all’aspetto più propriamente politico e rivendicativo si affian-
ca un vigoroso processo di rivalutazione e rilancio degli aspetti
etici, filosofici e culturali delle società indigene che, soprattutto
in Arguedas, non saranno visti più come suggestivi retaggi di un
passato ormai concluso, ma come un patrimonio di valori poten-
zialmente universali in grado di modificare e arricchire la nostra
Weltanschauung occidentale.
Prendendo le mosse dal magistero di questi autori, Colchado
Lucio riesce, come dicevamo, a confezionare, con estrema abilità
e originalità, un libro nel quale la ricercatezza stilistica e formale
e l’analisi storico-politica si sposano con i ritmi ed i tempi del
grande romanzo, dando vita ad un’opera ricca di pathos ed epici-
tà; un testo estremamente stratificato e profondo i cui molteplici
significati difficilmente si esauriscono a una prima lettura.
Operazione nel compiere la quale l’autore è aiutato da una
estrema conoscenza e padronanza delle tecniche e dei ritmi nar-
rativi; padronanza e conoscenza che, oltre alla sua solidissima
formazione letteraria, sono dovute, per sua stessa ammissione,
all’influenza esercitata su di lui dalla nonna e dalla madre, entram-
be grandissime narratrici orali. Ed è proprio dall’oralità e dai suoi
repertori espressivi e tematici che questo romanzo trae forse le
sue più grandi qualità e i suoi aspetti più curiosi e interessanti. La
narrazione, che si sviluppa lungo tre sequenze diegetiche princi-
pali, si svolge, infatti, in due differenti mondi: quello dei vivi, che
coincide con la realtà storica dell’autore, e quello dei morti, spazio
mitico e magico dove Colchado Lucio dispiega con copiosità di
dettagli il patrimonio simbolico e iconografico delle società indi-
gene andine, mutuato dalla tradizione narrativa orale.
La vicenda si apre durante gli ultimi anni del conflitto:
alla notizia della morte del figlio Liborio, membro di Sendero

XV
Luminoso, la contadina Rosa Wanka, da tutti conosciuta come
Rosa Coltello, muore di crepacuore. Giunta nell’aldilà, la donna
scopre che per raggiungere il Janaq Pacha, sorta di paradiso della
tradizione religiosa indigena a lei destinato, e ritrovare l’anima del
figlio e del resto dei membri della sua famiglia, dovrà compiere un
lungo viaggio purificatore nei differenti mondi dell’oltretomba.
Guidata dallo spirito del suo vecchio cane Wayra, Rosa partirà
allora per il suo pericoloso cammino. Percorso lungo il quale
incontrerà gli esseri soprannaturali del folclore andino e nume-
rose anime che, raccontandole le loro storie e le circostanze delle
loro morti, le mostreranno, storia dopo storia, la dolorosa realtà
di un Perù sprofondato nella violenza e nella paura. Modello nar-
rativo che, come potrà facilmente notare il lettore italiano, nono-
stante l’ambientazione e la massiccia presenza di un immaginario
e di un sistema etico e morale di matrice andina, è qui fortemente
influenzato da quello della Commedia dantesca. Ai frammenti
in cui la protagonista racconta in prima persona il suo viaggio
ultraterreno, si alternano, attraverso un processo di decronologiz-
zazione, le altre due storie: quella di Liborio, sorta di eroe mitico
la cui nascita è ammantata dal mistero, che si colloca nel passato
e di cui un narratore onnisciente ci racconta la riluttante adesio-
ne del protagonista alla sovversione fino alla sua ineluttabile e
annunciata morte; e quella di Mariano Ochante, uno dei capi delle
ronde di contadini organizzate dai militari che, ferito a morte dai
terroristi, ricostruisce, durante la sua agonia e i suoi deliri, la lunga
storia di massacri e violenze della guerra a cui ha partecipato ed
a cui ha assistito.
All’intreccio ed alla sovrapposizione dei piani narrativi cor-
risponde, a livello stilistico, un intrecciarsi e un accavallarsi di
norme linguistiche eterogenee, sia dal punto di vista lessicale, sia
da quello sintattico e grammaticale. Il peculiare impasto linguisti-
co, con cui si esprimono quasi tutti i personaggi di origine popo-

XVI
lare del romanzo e che riproduce le reali dinamiche linguistiche
di queste zone dove lo spagnolo e la lingua quechua convivono
e si intrecciano, ne è un chiaro esempio. Questa parlata, come il
lettore potrà rendersi conto, è essenzialmente caratterizzata dal-
l’ibridazione, in gradi e intensità diversi, della lingua di base con il
quechua. Contaminazione che lungo il testo affiora e si manifesta
in vari modi: per quanto riguarda il vocabolario, nei numerosi ter-
mini usati per denominare e indicare cose o concetti che rivestono
un ruolo speciale o che esprimono un particolare stato d‘animo di
chi parla, o impiegati, quando la parola quechua viene affiancata
al suo omologo in spagnolo, per ribadire un’idea o una afferma-
zione. Mentre per quanto riguarda gli aspetti sintattici e gramma-
ticali, essa si manifesta in una serie di modificazioni e alterazioni
della norma linguistica standard, come per esempio il peculiare
uso del doppio genitivo, le frequenti inversioni dell’ordine della
frase e le costruzioni arzigogolate che appaiono soprattutto nelle
parti narrate in prima persona dai personaggi.
Come già detto, Rosa Coltello è un testo fortemente indebitato
con l’oralità e le sue forme espressive. Debito che, oltre che sul
modo di esprimersi dei singoli personaggi e sul repertorio icono-
grafico e immaginativo usato dall’autore, risulta evidente dalla
struttura generale dell’opera. Già da una prima lettura, infatti,
salta subito all’occhio come il testo possieda il respiro e il ritmi
tipici di una performance orale. Caratteristica che è stata ben indi-
viduata e sfruttata dal gruppo teatrale Yuyachkani nel ricavare da
Rosa Coltello vari monologhi e che risulta ben evidente da alcuni
aspetti della scrittura e del suo organizzarsi. È questo il caso delle
numerose formule fisse che ricorrono lungo tutto il testo, scanden-
do la narrazione e caratterizzando le parlate dei vari protagonisti,
dell’abbondante ricorso a onomatopee e esclamazioni, e dell’uso
di una punteggiatura ricca di pause e di incisi che riproducono
le inflessioni, le sinuosità e le esitazioni della voce e che riescono

XVII
a dare al lettore la chiara e netta percezione della presenza tra le
righe della viva parola del narratore. Procedimento che infonde
al tradizionale rapporto tra chi legge e gli eventi narrati una sfu-
matura di intimità e di immediatezza che fa sì che difficilmente ci
si possa sottrarre alla magia ed al fascino di questo libro, e tanto
meno alla palpabile e a volte dolorosissima carica di umanità che
deborda dalle sue pagine e dai suoi personaggi.
Rosa Coltello, oltre a essere un romanzo stupendamente scritto
e costruito, è senza dubbio, infatti, una di quelle rare opere che,
spalancando una finestra sulla barbarie e sulla follia congenite a
ogni forma di fanatismo e dogmatismo, ci obbligano a riflettere
su di noi e sul nostro mondo e a mettere in discussione molte
delle nostre idee e delle nostre convinzioni; una di quelle opere,
insomma, dalla cui lettura ognuno di noi non potrà che emergere
un poco cambiato e forse, chissà, un poco più saggio.

XVIII
ROSA COLTELLO
LA MORTE?
La morte sarà proprio come la vita?
«È più leggera, figlia mia»
Ci saranno i piccoli sirguillos che cantano tra le foglie
grandi in agosto?
Ci sono. «E mucche che pascolano in immense pianu-
re».
Ora stavo salendo lungo le pendici del Changa, leggera
leggera come il vento.
Per di qua? Da questi luoghi passeranno i morti?
«Per di là, figlia mia, da dove si dice per sempre addio alla
vita».
In basso, sulla sponda sinistra del fiume Pampas, bagnato
dalle ultime luci della sera, si trovava Illaurocancha, il mio
villaggio, con le sue casette con i tetti di tegole, i muri bian-
chi, incendiate dalla luce rossa del sole.
Avevo ancora le narici impregnate dell’odore tiepido,
dolciastro, dei campi di fave che ondeggiavano sulle pendici
dei monti con i loro fiorellini bianchi e neri accarezzati dal
vento. E nel mio sguardo c’era ancora il volo frettoloso delle
pernici, che frugavano, pigolavano alla ricerca del nido
nascosto tra le fronde.

3
Óscar Colchado Lucio

Povero il mio villaggio, ho detto, povera la mia terra. Qua


ti lascio (per sempre?) e ho guardato i molles1 sulle alture, le
pietre di alaymosca che rotolavano giù verso il vallone, gli alti
eucalipti che costeggiavano gli orti, i fichi d’india con le loro
spine irte e i magueys che si allungavano sulle cabuyas2.
E ho detto addio mettendomi la mano sul cuore, e bacian-
do, piena d’amore, la terra. Addio gioie e pene, consolazioni
e dolori, addio!
Ho sospirato profondamente prima di allontanarmi,
ricordando la mia giovinezza, quando allegra scorrazzavo
per i campi di mais giocando con il mio cane Wayra, spaven-
tando i piccoli sirguillos, quei piccoli uccellini gialli che in
mezzo a gioiosi acuti venivano a banchettare con le pannoc-
chie. Mi è venuto in mente anche il ricordo lontano dei
raccolti di giugno, dei miei giochi sui cumuli di semi illumi-
nati dalla luna, dei miei anni da pastora dietro al bestiame, a
volte sopportando l’ardente sole della cordigliera o comple-
tamente bagnata dalle piogge leggere o dai rovesci.
E ora? Ora per dove dovrei proseguire? Ho pensato arri-
vando alla pampa piena di ichu di Kuriayvina.
«Verso Auquimarca, figlia mia, la montagna innevata
dove dimorano i nostri antenati».
Girandomi, ho guardato un’ultima volta il mio villaggio;
ma ho solo potuto vedere un po’ sfocate le ombre dei suoi
eucalipti che emergevano dall’oscurità.
1 Schinus Molle. Conosciuto anche come Falso Pepe. Albero sempreverde tipico
dell’altopiano andino.
2 Specie di agavi. Rispettivamente conosciute con il nome scientifico di Agave
americana (pianta usata per la preparazione del famoso liquore Mezcal) e Agave
sisalana (generalmente usata per ricavare corde, fibre e materiali simili).

4
Rosa Coltello

– ROSA? ROSA Coltello?


Un cagnolino nero, con delle macchie bianche attorno
agli occhi, come occhiali, era colui che mi stava parlando. Le
sue parole sembravano latrati, ma si capivano.
Sono rimasta in silenzio per un istante, stupefatta, senza
sapere chi fosse né cosa facesse là quella bestiola.
– Non mi riconosci?
Sono rimasta lì ad osservare l’arcata sporgente dei suoi
denti superiori, tipici dei cagnolini cashmi, i suoi occhi viva-
ci, e le sue orecchie flosce.
– Wayra! – ho detto improvvisamente, chinandomi ad
abbracciarlo con il cuore pieno di gioia per averlo riconosciu-
to. Anche lui ha cominciato ad agitare la coda tutto allegro.
Erano tanti anni che era morto, per una zampata che gli
aveva dato un puma, mi ricordo, quando difendeva abbaian-
do il recinto delle pecore. Ed ecco, adesso lo incontravo
sulle sponde di questo fiume impetuoso, dalle acque nere, il
Wañuy Mayu, che separava i vivi dai morti.
All’ombra di un chacacomo3, che tremava di continuo al
passaggio delle acque furiose, ho incontrato Wayra che ripo-
sava.
3 Escallonia Resinosa. Albero sempreverde dal tronco resinoso e dai fiori bianchi.
Anticamente molto usato dagli inca a scopi cerimoniali.

5
Óscar Colchado Lucio

– Wayra, che cosa fai qua? Come hai fatto a riconoscer-


mi?
Sotto il bianco chiarore della luna, ho osservato i miei
vestiti strappati dai rovi della macchia, dagli speroni di roc-
cia, dopo aver avanzato con grande fatica per pendii e gole
spaventosi.
– Ti stavo aspettando, Rosa. Sapevo che saresti venuta.
– Te l’ha detto qualcuno?
– Liborio, tuo figlio.
– Liborio?
Il cuore mi ha palpitato pieno di gioia
– Dimmelo – ho detto abbracciando di nuovo il cagnoli-
no, accarezzando il suo pelo crespo, lanuginoso – Dove?
Dove hai visto mio figlio?
– Calmati – mi ha risposto leccandomi la mano –. Per il
momento non lo vedrai ancora. Lui sta lassù, nel cielo dove
stanno facendo l’occhiolino le stelle.
– Nel Janaq Pacha! – Ho detto tutta piena d’allegria, con-
giungendo le mani –. Grazie, Dio mio! – Mi sono inginoc-
chiata –, grazie di tenerlo nella tua infinita grazia.
E mi sono raccomandata al dio Wari Wiracocha, il nostro
creatore.
– E anche io potrò andare fino a là, Wayra? – gli ho chie-
sto dopo, osservando il grande fiume bianco, il Koyllur
Mayu, che estendeva il suo lattiginoso corso tra stelle ed
astri.
– Non lo so – ha risposto –. Io sono solo venuto ad
accompagnarti fino ad Auquimarca, secondo l’ordine degli
dei.

6
Rosa Coltello

Rassegnata ho sospirato, speranzosa che nel villaggio


delle anime avrei potuto incontrare i miei genitori, il mio
sposo Domingo e Simón, il mio figlio piccolo, l’ultimo, che
è morto quando era solo una guagua.
– Wayra – gli ho detto, – e dove sei stato per tutto il
tempo che non ti ho visto?
– Ovunque – mi ha detto –: qui, giù e sulle stelle.
– Davvero?
– Davvero.

7
Óscar Colchado Lucio

SALDAMENTE AFFERRATA a Wayra che nuotava con


difficoltà sono potuta finalmente arrivare sull’altra sponda,
senza mai smettere di pensare al mio Liborio, morto solo di
recente durante gli scontri della guerra, e per il quale, di
dolore, anch’io sono morta.
La luna rischiarava quei luoghi terribili, impervi, dissemi-
nati di burroni.
– Vedi la cresta innevata di quella montagna che bian-
cheggia là in lontananza?
– Sì, la vedo.
– Quella è Auquimarca. È laggiù che dobbiamo arriva-
re.
Confortata confortata sono andata dietro a lui.

8
Rosa Coltello

– WAYRA, GUARDA quello! – ho detto voltandomi


improvvisamente piena di spavento, appena superata la
prima altura.
– Cosa? Dove?
Wayra l’ha scorto. Con un salto si è piazzato di fronte a
me e si è messo di guardia come per proteggermi.
Fluttuando leggermente sul terreno, la figura di un uomo
alto, scheletrico, coperto solo di stracci avanzava verso di
noi, guardandoci e riguardandoci con i suoi occhi che brilla-
vano come fiamme.
– Senza dubbio si vuole impadronire di te per salvarsi;
ma non temere, gli farò cambiare idea.
Per lo spavento, non riuscivo a fare un passo né avanti né
indietro, tremavo solamente.
– Chi sei anima peccatrice? – ha chiesto Wayra facendosi
avanti per andargli incontro –. Perché ti avvicini così?
L’uomo si fermò vedendo che Wayra gli sbarrava il
passo.
– Sono Fidencio Ccorahua, allko – ha risposto –, del vil-
laggio di Soccos. Sono morto rotolando giù per una scarpata
quando stavo seguendo le mie mucche nel bel mezzo di una
tempesta. Lascia che mi impadronisca dello spirito di quella

9
Óscar Colchado Lucio

signora e mi salverò. Ad Auquimarca non mi hanno ricevu-


to, non sono nemmeno potuto arrivare alle porte.
Mentre parlava, ho potuto vedere con grande spavento i
suoi enormi canini che biancheggiavano alla luce della luna,
gli orribili fori del suo naso corroso.
Sdraiandosi davanti a lui, Wayra gli ha detto:
– Prima conta i miei peli se vuoi impadronirti di lei.
Altrimenti non permetterò che ti avvicini.
C’è stato un breve silenzio. Subito dopo, il condannato ha
detto:
– Non posso, allko; guarda le mie mani.
Le sue dita erano mozze, come troncate con un machete,
ancora sanguinanti.
– Cosa è successo?
– Mi si sono consumate cercando di salire ad
Auquimarca.
– Ti ricresceranno – ha detto Wayra alzandosi – se le
strofinerai con años, quella piantina dal frutto quasi rosso
che cresce nelle valli.
– Così mi hanno assicurato; proprio per questo stavo
scendendo giù al fiume.
– Vattene, allora: ormai lo sai, non ti lascerò avvicinare se
prima non fai quello che ti ho detto.
– Come no? – l’anima ha sputato fiamme dalla bocca,
Wayra gli ha mostrato i suoi canini.
– Wauuuuuuu! – Ha urlato il dannato e, con grida vigo-
rose, e prendendo a calci l’aria, ha cercato di avvicinarsi a
me. Io ho indietreggiato spaventata. Wayra è saltato per
morderlo; ma l’altro, rapido, si è fatto da parte riuscendo a

10
Rosa Coltello

far sì che l’allko lo mancasse e, prima che lo attaccasse di


nuovo, è fuggito come un vento impetuoso, perdendosi per
quelle pendici.
– Waaaaaa… waaaaa!

11
Óscar Colchado Lucio

LA LUNA si stava nascondendo dietro una montagna. E


noi avanzavamo lungo uno spaventoso crinale.
– Rosa, e di cosa è morto Liborio?
– Lo hanno ucciso i truppakuna, nel vallone di Balcón,
vicino a Minas Canarias…
Parlando parlando siamo entrati in un vallone illuminato
da stelle molto pallide.
Dopo esserci addentrati in un boschetto, siamo di nuovo
usciti sul sentiero impregnati dall’odore di ñujchu e molle.
In alto, sulla vetta della montagna, verso dove ci dirigeva-
mo, abbiamo visto un’anima vestita di bianco, perseguitata
da un feroce maiale che girava e girava attorno ad un monti-
cello di pietre dove quella si era arrampicata, cercando di
farla cadere giù.
Vincendo il nostro timore, abbiamo proseguito.
L’animale, vedendoci, si è girato, furioso, inarcando il
corpo, con le zanne minacciose.
Wayra si è lanciato ad attaccarlo. Mi sono spaventata pen-
sando che quella fiera avrebbe fatto a pezzi il mio huallqui.
Meno male che con nostro grande sollievo, dopo aver titu-
bato un attimo, ha preferito scappare al di là del monte.

12
Rosa Coltello

L’anima buona è scesa dal tumulo e se ne è venuta dritta


dritta verso di noi.
– Grazie per avermi salvato, allko, grazie anche a lei
mamita signora – ha detto arrivando davanti a noi. – Un
altro po’ e mi avrebbe divorato quel demonio.
– Chi sei anima buona? – mi sono azzardata a domandar-
le.
– In vita il mio nome è stato Téodulo Huarca, mamita.
Sono stato un facchino ai mercati e alla stazione di Cuzco.
Proprio tanto mi piaceva bermi i miei bravi bicchierini. Sono
morto alcolizzato.
– E hai già purgato le tue colpe? – è intervenuto Wayra.
– Quasi, ormai. Mi manca solo di ritrovare due denti che
ho perso facendo a pugni ubriaco durante le celebrazioni del
Inti Raymi4.
– Torni al tuo villaggio allora?
– Sì, me ne sto andando proprio là.
Ha fatto qualche passo per andarsene, ma un’improvvisa
inquietudine lo ha trattenuto.
– E voi mamita, di dove siete?
– Del sud di Ayacucho – gli ho risposto –, di un villaggio
chiamato Illaurocancha.
– Laggiù e anche al mio villaggio dicono che c’è la guer-
ra, o no?
– È proprio così don Téodulo – gli ho detto –, di questi
tempi i nostri villaggi sono campi di battaglia dove tutti i

4 L’Inti Raymi è la festa incaica del sole che viene celebrata tradizionalmente a
giugno. Riscoperta nel corso del secolo passato è oggi una delle maggiori attrazio-
ni del Paese.

13
Óscar Colchado Lucio

giorni muore della gente. Ora che sta andando là lo potrà


vedere con i suoi occhi.
– Sarà così di sicuro – ha detto, ha sospirato e subito ci
ha salutato augurandoci buona fortuna.
Su, lungo lungo il fianco della montagna, io e Wayra ci
siamo incamminati per quel luogo roccioso, mentre nella
mia mente appariva ben chiara l’immagine del mio povero
figlio impegnato in questa guerra che pare non dover mai
finire.

14
Rosa Coltello

AI PIEDI del Rasuhuilca, tra le alture di Iquicha, con le


dita intorpidite dal freddo, mettevi in funzione l’arma,
Liborio, sorpreso dalla facilità del suo uso. Nella montagna
di fronte si trovava Julcamarca. Da là? Da quegli spaventosi
luoghi desolati, pieni di valloni, ruscelli e continui smotta-
menti provocati dagli huayco, veniva la compagna Angicha,
l’addetta alla vostra istruzione? Una bellezza la ragazza. Non
smettevi di ammirarla, mentre l’odore di polvere da sparo ti
dava la nausea.
Poi ti saresti abituato, compagno, poi avresti dovuto
anche mangiarla per farti ribollire il sangue.
Non staccavi gli occhi dalle sue belle trecce al vento, dalle
sue labbra del colore delle more di fiume, dai suoi occhi
neri, un po’ a mandorla.
Ora avreste visto come si sparava appoggiandola sopra la
gamba quando si stava in ginocchio.
Sospettosi i morochucos e gli huantinos reclutati di recen-
te guardavano quando lei faceva le dimostrazioni.
Anche fabbricare bombe era facile, proprio come impa-
stare formaggio, compagni.
E sorrideva, mentre voi la assecondavate con grandi risa-
te: Accidenti quanto era spassosa la compagna.

15
Óscar Colchado Lucio

SOLO IERI, sei arrivato all’accampamento, ed ecco che


stai già imparando ad essere un guerrigliero. Per tutta la
notte hai ricordato il tuo incontro con il compagno Santos
due settimane fa nella valle di Ayahuarkuna, proprio sotto il
ponte di pietra degli Inca che si trova tra Huanta e
Ayacucho.
Eri andato a Huanta, alla festa del Signore di Maynay, a
vendere quel piccolo gregge di montoni che con tanta fatica
avevi comprato in tanti posti differenti: Chushi, Ocros,
Cangallo, Quinua, Pacaycasa, Huamanguilla.
È lì, alle bancarelle della festa che vendevano cibo, quan-
do ti eri appena servito un bel piatto di puka piccante e
bevevi la tua bella chicha, contento di aver concluso i tuoi
affari, che sono apparsi quei due uomini della Guardia
Civile in divisa.
– Liborio? Liborio Wanka?
– Signorsì, signori, in che cosa posso servirvi?
Ti hanno chiesto i documenti. Solo la cedola del tuo
libretto militare, ce l’avevi, piegata con cura nel taschino
della tua camicia.
Dopo averla osservata attentamente, uno di loro ti ha
detto:

16
Rosa Coltello

– Ci devi accompagnare. Sei in arresto.


– Io, taitas?
– Sì, tu, perché vendi bestiame rubato.
No, papitos, avevi le tue ricevute, le avresti mostrate
loro.
Hai provato a cercare la bustina di plastica che era nella
tua bisaccia
Non te lo hanno permesso. Che andassi con loro, subito,
poi in cella si sarebbe visto.
Allora hai dovuto marciare davanti a loro, pregando a
bassa voce l’illa, il piccolo toro di pietra che a mo’ di meda-
glione portavi ollcao al collo, chiedendogli che ti aiutasse nel
caso ci fossero stati dei problemi.

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Óscar Colchado Lucio

GLI UOMINI in divisa ti portano dritto lungo una via


dove c’è una macchina che li sta aspettando: un’auto rossa
un po’ vecchiotta.
– Già pronti, cumpas? – dice vedendoli un uomo di circa
trent’anni che sta al volante, e fuma.
– Sì, andiamo. – Rispondono gli altri mentre ti fanno
salire.
La macchina dopo essere partita a tutta velocità imbocca
l’uscita del villaggio per la strada che va ad Ayacucho. Ti
spaventi.
– Come, taitas, non mi portate in carcere?
– Sì, ma a quella di Huamanga – ti dicono –. Non qui.
Senza il coraggio di rispondere, emetti solo un sospiro di
rassegnazione, intanto guardi gli alti e frondosi eucalipti che
costeggiano la strada. Di sfuggita vedi anche, attraverso lo
specchietto retrovisore, le alte torri della chiesa madre che
con gli occhi dei loro campanili sembrano seguirti.

18
Rosa Coltello

MONTI BRULLI in lontananza. Fichi d’india qua e là,


molles e ginestre e, lontano dalla strada, alcuni campi di
grano.
Poi. Huishqus che volano e volano sotto il cielo azzurro e
la macchina che si ferma ad Ayahuarkuna, neanche a metà
strada da Huamanga. Ti fanno scendere. La macchina pro-
segue oltre sulla strada costeggiata da cabuyas.
Sei pallido e silenzioso. Qualcuno ti avrà accusato di esse-
re un terrorista? Ti avrebbero forse ucciso? Perché ti hanno
fatto scendere in un luogo così desolato?
E prima che tu possa chiederlo, uno di loro, dandoti una
pacca sulle spalle, ti dice:
– Non ti spaventare, compagno, non ti faremo niente.
Siamo guerriglieri dell’esercito popolare ed è il compagno
Santos, paesano tuo, che ti vuole parlare.
– Compagno Santos? Ti fermi a pensare.
– Meglio conosciuto come Nieves Collanqui – chiarisce
l’altro.
Alla fine te ne rendi conto. E comprendi che ti trovi di
fronte a dei guerriglieri. Sì, guerriglieri del Partito Comunista
del Perù Sendero Luminoso.

19
Óscar Colchado Lucio

GIÙ NEL campo di mais che fioriva in riva al fiume i


pappagalli si sgolavano strillando, dondolandosi sulle canne
che oscillavano con il venticello birichino che passeggiava
per quei luoghi.
In alto: il taita Intip, allegro, che rideva come un giraso-
le.
Dovevi fare attenzione, Liborio, ascolta Santos, il coman-
dante, che parla in mezzo a quel circolo di uomini armati
seduti in mezzo al campo di mais. Sì, dovevi fare attenzione,
amico, la guerra popolare era cominciata già da un po’. Lo
sapevi che Medardo, Mallga, Damián e altri giovani che
hanno frequentato con te la scuola popolare di Illaurocancha
si erano già uniti alla lotta? Certo che lo sapevi, amico.
Mancavi solo tu. Che cosa aspettavi? Il partito in questa
congiuntura aveva urgente bisogno della volontaria collabo-
razione degli huajchas, dei suoi figli più illustri, compagno…
Ti gratti la testa. Pensi. Hai combattuto con te stesso per
tante notti nel dubbio se unirti o no alla guerriglia. Hai
paura per tua madre, che è ormai vecchia e potrebbe amma-
larsi, e della quale avresti dovuto smettere di prenderti cura
o della quale ti saresti dovuto dimenticare se tu avessi scelto
la rivoluzione. Le tue continue assenze dal villaggio per que-

20
Rosa Coltello

stioni legate ai tuoi affari ti hanno sempre fornito un buon


pretesto per disertare a volte le riunioni nella scuola popola-
re diretta da Mario Buitrón, il maestro. Ma ormai non lo
puoi più fare. Ci sono esigenze e minacce da ogni parte.
Guarda, senti di nuovo la voce di Santos, anche il mio taita
era come te: un commerciante. Andava di villaggio in villag-
gio per vendere e comprare bestiame. Fino a quando, final-
mente, non ha potuto comprarsi dei pezzetti di terra. A quel
punto è nato il problema con quello, un potente, che era
ormai padrone di quasi tutta la regione. Per difendersi legal-
mente ha dovuto vendere un toro ed evitare così che gli
portassero via il suo piccolo terreno. Il toro è finito nelle
mani dei giudici e così ha perso il suo campo. Poco dopo
sarebbe morto in modo strano e poco chiaro, ucciso da un
colpo d’arma da fuoco. Mia madre allora ha dovuto arran-
giarsi come ha potuto per crescere me e i miei fratelli… Ma
ora basta, basta storie tristi, compagno. Il passato deve esse-
re spazzato via con la storica lotta che il nostro popolo ha
deciso di intraprendere nel presente. Era così o non era così,
compagno Liborio? Tu ti agiti, ti spaventi. Sarà così sicura-
mente, compagno, rispondi timidamente. Tuttavia, gli sguar-
di di Santos e degli altri ti chiedono più decisione. Allora tu
ti affretti e precipitosamente rispondi imprimendo una certa
sicurezza alla tua voce, Sì compagni, sarà così, per davvero.

21
Óscar Colchado Lucio

QAR! QAR! Qar! Qar! Qar!


Una sagoma di grosso animale, come quella di un lama,
mi è passata accanto sfiorandomi, facendomi quasi cadere.
Mi avrebbe fatto precipitare nel vuoto se non era per Wayra
che si è lanciato verso l’alto abbaiando come quando da vivo
cercava di prendere al volo una colomba. Sputando fiamme,
si è persa in fondo al precipizio.
Wayra si è fermato sul bordo.
– Ti voleva far cadere quella jarjacha – ha detto tornando
indietro –, bisogna fare più attenzione.
Lasciandoci alle spalle quello spaventoso pendio, siamo
sbucati più avanti in una pampa dove defluiva l’acqua che
scendeva dalle montagne. Sembrava la pampa di Huinllurca
del mio villaggio dove i giovani giocavano a palla nel periodo
della festa dell’acqua. Ci siamo seduti un momento a riposa-
re sull’erba verde, sopportando per un po’ l’intenso freddo
che faceva, ascoltando il vento chiacchierone che fischiava
nelle nostre orecchie.

22
Rosa Coltello

UN UCCELLO dal cielo è arrivato volando nel momento


in cui riprendevamo il nostro viaggio. Wayra e io siamo
rimasti ad osservare in silenzio. Poi, quando è arrivato più
vicino, abbiamo potuto vedere che era una colomba bianca,
splendente, che è venuta a posarsi davanti a noi su un’enor-
me roccia.
– Wayra! – ha detto –. Sono riuscito a ottenere la mia
salvezza a spese, perdonami, di Téodulo Huarca, l’anima
che hai liberato da me sul mucchio di sassi. Io sono il cuchi
che lo stava attaccando, ti ricordi? Ormai ho impregnato
con il mio spirito peccatore il suo. D’ora in avanti, sarà lui
che andrà in giro a cercare una vittima. Sono venuto solo per
ringraziarti per quella volta che mi hai aiutato ad attraversa-
re il Wañuy Mayu quando piangendo sono entrato nel
mondo delle ombre.
– Domingo! – ha esclamato Wayra – Accidenti!, sei tu! A
dire il vero ci addolora quello che hai fatto, ma d’altronde
cosa ci possiamo fare noi se questa è la volontà dei nostri dèi.
Guarda questa signora che mi stava chiedendo proprio di te.
Non la riconosci? È Rosa, Rosa Coltello, quella che in vita è
stata tua moglie.

23
Óscar Colchado Lucio

La colomba è rimasta muta per un attimo, lo stesso è suc-


cesso a me. Ecco, cominciavo a capire perché quella voce mi
era sembrata tanto familiare. Era Domingo. Chi poteva pen-
sarlo.
Finalmente, tornando in sé, l’uccello è venuto a posarsi
sulle mie spalle.
– Rosa! Moglie mia! Che felicità! Ti amo! Vorrei rimane-
re con te oggi stesso, ma il Padre mi reclama. Devo volare su
nei cieli. Là pregherò per te, amore mio, perché anche tu
possa entrare nelle regioni celesti, dove insieme potremo
vivere per sempre.
– Sì, Domingo – gli ho detto molto emozionata –, vai
subito. Io ti raggiungerò.
In quell’istante qualcosa come una forza superiore sem-
brò trascinarlo verso l’alto. Risplendendo come se fosse una
stella si è perso.
Commossa, mi sono messa in ginocchio sull’erba e ho
elevato le mie preghiere al Creatore, affinché lo ricevesse nel
suo santo regno, così come aveva fatto con mio figlio.
– Ora sono due le anime benedette che pregheranno per
te nel Janaq Pacha – ha detto Wayra soddisfatto.

24
Rosa Coltello

PENSIEROSA, per quello che avevo visto, avanzavo


insieme al mio buon allko. Ricordavo gli anni passati accan-
to a mio marito. Quanto era stato comprensivo quando
aveva accettato di sposarmi pur sapendo che portavo dentro
di me una creatura che non era sua. Le fatiche che abbiamo
condiviso seminando, raccogliendo ed allevando i nostri
animali.
Ero tutta presa da questi pensieri, quando improvvisa-
mente Wayra mi ha riportato alla realtà.
– Guarda dietro – mi ha detto –. Un’anima feroce ci sta
seguendo. Nascondiamoci prima che ci raggiunga.
Era vero, girandomi ho visto che dietro a noi avanzava
un’anima con aspetto di donna, veloce veloce, come se ci
stesse fiutando. In tutta fretta, abbiamo girato dietro ad una
svolta e uscendo dal sentiero siamo scesi a nasconderci tra i
cespugli di puyó che più in basso crescevano belli alti for-
mando un piccolo bosco.
L’anima feroce, dopo essersi lasciata alle spalle la curva, è
apparsa di fronte ai nostri occhi in cima al sentiero. Portava
un vestito nero e si avvolgeva con una mantella dello stesso
colore che le copriva metà del volto. La tesa inclinata del suo

25
Óscar Colchado Lucio

cappello non le doveva permettere di vedere davanti a sé ma


solo per terra.
Come se avesse saputo dove ci eravamo nascosti, ha
cominciato a venire dritta dritta nella nostra direzione.
Abbiamo dovuto correre per un bel po’ tra i puyós per
risalire più avanti di nuovo sul sentiero.
Quando ci siamo girati a guardare, anche l’anima dannata
risaliva, ma con molta difficoltà. La tesa del suo cappello, a
quanto pareva, non le permetteva neanche di guardare verso
l’alto. Risaliva tutta piegata come se un enorme peso le faces-
se curvare le spalle.
– Oggg! Oggg! – ruggiva.
Noi ci siamo arrampicati al di sopra del sentiero e ci
siamo nascosti tra dei piccoli arbusti spinosi disseminati sul
pendio.
Dopo che con grande difficoltà ha raggiunto nuovamente
il sentiero, il dannato ha guardato da una parte e dall’altra
cercando di localizzarci.
– Oggg!Oggg!
Non ha mai cercato di guardare verso l’alto, solo ai lati.
Non vedendoci, pensando sicuramente che ci fossimo
allontanati troppo, veloce veloce ha continuato nella direzio-
ne in cui stavamo andando prima.
Sollevati abbiamo sorriso vedendolo allontanarsi, e nel
frattempo scendevamo di nuovo sul sentiero.

26
Rosa Coltello

– PILLIK! PILLIK! – è passato un pillik volando veloce-


mente sulle nostre teste dopo un bel tratto di camminata.
– Shoooq! Shooq! – dietro di lui un chuseq è passato
come se lo seguisse.
Di sicuro, annunciavano qualcosa quegli uccelli notturni
del malaugurio.
– Guarda – mi ha detto Wayra, allarmato –. Sta arrivando
una jarjacha, forse la stessa che ha cercato di buttarti di
sotto. Stai tranquilla, non ti succederà niente.
Allora ho guardato dove mi indicava e ho visto che dal-
l’alto della montagna scendeva un lama con due teste ballan-
do al ritmo della musica che suonava con il suo violino un
uomo che lo seguiva vestito con poncho, cappello, e llan-
ques.
– Quello spirito – mi ha detto Wayra, riferendosi all’uo-
mo, – non è di un morto. È l’anima di qualche persona viva
che sta per morire. Non temere, non ci farà niente, e meno
che mai il mostro che è dominato dalla musica.
La jarjacha è passata accanto a noi senza smettere di bal-
lare. Ho visto il suo corpo pieno di piaghe, rognoso, tra i
ciuffi di lana sporca che ciondolavano come stracci.

27
Óscar Colchado Lucio

L’uomo passando accanto a noi si è fermato, rivolgendoci


un leggero inchino, senza interrompere la musica.
Allontanandosi, la bestia lo ha minacciato:
– Aspetta e vedrai. Dietro di me c’è il sindaco, contro di
lui non potrai fare niente.
– Che venga pure – gli ha risposto lo spirito dell’uomo
vivo –, farò ballare anche lui.
Quando finalmente l’animale è sparito dalla nostra vista,
l’uomo si è rivolto a noi.
– Avevo perso la strada – ha detto –, ma ora so che
andando in questa direzione arriverò al Wañuy Mayu, e da là
al mondo dei vivi, dove mi aspetta il mio corpo per dirmi
addio. Presto sarò di ritorno in questi luoghi, solo che forse
allora senza il mio strumento.
E ha guardato il suo violino, il suo bel violino.
– Di dove sei, Buon uomo? – gli ha chiesto Wayra.
– Di Ayrabamba – ha detto – un fondo agricolo di
Ayacucho.
– Lo conosco – ho detto – so che qualche tempo fa i
compagni l’hanno incendiato e hanno fatto saltare con la
dinamite varie macchine.
– Sì – ha detto l’uomo –, anche se quella volta io ero
assente. Mi avevano ingaggiato per suonare a Occobamba,
dalle parti di Andahuaylas, ora sono in mano ai sinchi, accu-
sato di essere un terrorista. Hanno detto che oggi all’alba mi
uccideranno e bruceranno i miei resti…
In quel momento, proprio quando stava parlando, si è
affacciata improvvisamente da uno sperone di roccia la stes-
sa anima dannata che poco prima io e Wayra avevamo fatto

28
Rosa Coltello

perdere arrampicandoci sopra al sentiero. Quando ci ha


scoperti, veloce veloce si è diretta verso di noi, Oggg! Oggg!,
ruggendo.
– Non preoccupatevi – ci ha detto l’uomo alzando il suo
violino, notando la nostra agitazione –. La faremo ballare.
Deve ballare!
E prima che ci arrivasse vicino, tirando fuori con l’archet-
to note allegre dalle corde:
– Balla! – le ha ordinato.
– Ballare? Chi? Io? – ha detto l’anima confusa.
– Sì, tu, balla – ha ripetuto il musicista facendo vibrare
con ancora più forza le corde del suo strumento.
Ha cercato di resistere, ma ascoltando la melodia allegra
di quel carnevale ayacuchano che forse le ricordava il suo
villaggio finalmente si è decisa.
– Ah… perché sei chi sei ballerò – ha detto – perché la
verità la verità è che… beh a me in vita piaceva molto il
ballo.
E ha danzato facendo varie giravolte, facendo schioccare
le falde del suo vestito.
– Adesso sì, andatevene – ha detto mentre si allontanava
–, sta per arrivare il governatore, con lui non potrai fare
niente. Con ogni probabilità vi divorerà.
– Non importa! – ha risposto l’ayrabambino – Che venga
pure! Farò ballare anche lui.
E ci ha consigliato di non allontanarci fino a quando non
fosse passato, secondo quanto diceva, il più pericoloso di
tutti. Dopo ha detto che saremmo potuti andare via tranquil-

29
Óscar Colchado Lucio

li, perché poco più in là, superata questa montagna,


Auquimarca era vicina.
Era appena scomparso il dannato quando, Shall! Shall!
abbiamo udito un rumore di catene. Quest’altro, che avan-
zava su di un trono di fuoco sopra una portantina sostenuta
da quattro galli rossi, sputava fiamme dagli occhi e dalla
bocca.
– Cerco la mia salvezzaaaaaaa! – gridava –. Ora vi divo-
rerooooooò!
Io mi sono spaventata. Avrei voluto correre via. Ma Wayra
ed il violinista mi hanno calmato.
– Ah! Dice che si deve salvare proprio con noi – lo ha
preso in giro quello cominciando a suonare con entusiasmo.
Subito ha ordinato –: Balla!
Il dannato si è fermato. Ha teso l’orecchio. Ha resistito
senza ballare. È rimasto così per un bel po’.
– Se non fosse per quell’allko con quattro occhi ti divo-
rerei – ha minacciato.
– Balla – ha insistito l’uomo –. Non puoi prendermi.
Il dannato si tratteneva e si tratteneva. Sembrava che stes-
se lottando con se stesso. La musica era sempre più conta-
giosa. Alla fine si è deciso. Scendendo dal trono, ha ballato
sopra la portantina, Shall! Shall!, facendo risuonare le cate-
ne con le quali era legato.
Dopo, quando la musica è diminuita, si è allontanato,
muto, come se si vergognasse. Di corsa se lo sono portato via
i galli giù per la discesa.
– Ballate anche voi! – Ha detto dopo l’ayarabambino,
ridendo, cambiando la sua musica con una di quelle del mio

30
Rosa Coltello

villaggio. Non potendo trattenermi, ho ballato, facendo


varie giravolte, allegra, vedendo che Wayra faceva lo stesso.
– Grazie, buon uomo – dicendo quando poco più tardi ci
siamo salutati.
– Addio Signora! Addio allko!

31
Óscar Colchado Lucio

ERA QUASI L’ALBA, e stava nevicando su Auquimarca


quando siamo arrivati.
A metà montagna si apriva un fenditura che sembrava
essere l’entrata.
Decisi, stavamo per entrare, quando in quel preciso
momento abbiamo udito una voce che sembrava provenire
da molto lontano e risuonava tra le nuvole.
– Monte Auquimarca! Monte Auquimarca dormiglione!
– Yau! Ha risposto subito una voce dalla vetta tra il
rumore di un palpitare d’ali.
– Vedi una donna con un allko davanti alla tua porta?
– Sì li sto vedendo monte Rasuhuilca inquieto!
– Li farai passare entrambi?
– Lei sì, il suo huallqui no!
– Proprio questo ti stavo per dire! L’allko spaventerà i
tuoi animali! Non lo vedi che ha quattro occhi?
– Sì, soprattutto le mie viscacce e i miei cervi! Non lo
lascerò entrare!
– Yau!
I monti hanno smesso di conversare. Noi che ascoltavamo
di nascosto, abbiamo visto uscire improvvisamente dalla

32
Rosa Coltello

coltre di foschia della vetta un falco bianco avvolto in un’au-


ra azzurra che veloce scendeva verso di noi.
Rimanendo sospeso in aria, con uno sbattere d’ali velocis-
simo, come un colibrì, ha parlato:
– Tu, donna, puoi passare se vuoi nel mio regno dove
vivono i tuoi genitori, parenti e compaesani; ma ti avverto
non puoi rimanere per sempre lì. Il tuo posto non è questo,
ma quello che ti indicherà Taita Rumi, il Padre o Signore
delle Pietre, là a Chavín de Huantar, vicinissimo a dove
nasce il fiume Marañón. E tu allko – ha detto rivolgendosi a
Wayra –, non puoi entrare. Alla madre Volpe non piacereb-
be la tua presenza, nemmeno ai miei cervi, nemmeno alle
mie viscacce dai baffi argentati. Capisci?
Demoralizzati, Wayra e io ci siamo guardati. Allora ho
detto all’allko:
– Mi aspetterai? Ho molta voglia di vedere i miei genito-
ri, di abbracciarli; tuttavia cercherò di non tardare troppo.
Che dici?
– Vai, Rosa – ha risposto di buon grado –. Io aspetterò.
Mi troverai in giro da queste parti quando uscirai.
Riconoscente, ho accarezzato la sua morbida testolina
con tanto affetto.
Il padre Auquimarca è volato proprio in quel momento
verso la cima e io, decisa, sono entrata nella montagna.

33
Óscar Colchado Lucio

PIÙ DI una settimana di preparazione ormai, Liborio.


Ora sai maneggiare con facilità la pistola, la carabina, il Fal
e ormai sai anche preparare i «formaggi russi», quelle bombe
casalinghe con dentro filo di ferro e chiodi, di cui parlava la
compagna Angicha. Stamattina, più di ogni altro giorno,
hanno preteso non poco da voi facendovi correre con le armi
in pugno, ordinandovi di buttarvi corpo a terra e di mettere
l’arma sul cavalletto.
Terminato l’addestramento, vi dedicate subito dopo a
smontare l’arma, a pulirla e a rimontarla imparando a cari-
carla. I pampinos sono ancora un po’ impacciati. Le nuove
reclute anche peggio.
Più tardi, la comandante, dopo avervi fatto intonare can-
zoni rivoluzionarie, vi dà una spiegazione politica: la terra,
diceva, aveva tardato quindicimila milioni di anni, compa-
gni, per arrivare alla luce che era il Partito Comunista del
Perù diretto dal pensiero guida del compagno Gonzalo, che
così si chiama, già lo sai, il capo supremo di Sendero
Luminoso. Durante l’impero inca c’erano stati alcuni tiranni
e per questo avevano perso contro gli spagnoli. Per la prima
volta noti che ha il volto duro, asciutto, chiuso, e nei suoi
occhi uno strano bagliore di durezza e salda convinzione.

34
Rosa Coltello

Poi questi altri, gli spagna e i loro discendenti, continua, si


sono impadroniti delle terre dei nativi, fino a quando nel
1980 un sole rosso non ha illuminato il pianeta, e quello era
il Partito, che avrebbe iniziato il lungo cammino di liberazio-
ne. Perchè nella Cina di Mao Tse Tung, lo sapevate?, era
durato venti anni; qui sarebbe continuato fino alle sue ulti-
me conseguenze per consolidare la Repubblica Popolare di
Nuova Democrazia sulle rovine del Perù attuale. Avreste
abbattuto, compagni, il capitalismo burocratico e il semi-
feudalesimo. Ah, cazzo, questo sì che non lo riesci proprio a
capire. Lei sembra accorgersene e per questo si affretta a
puntualizzare; su questi termini, compagni, che per alcuni di
voi sono sconosciuti, a poco a poco, vi daremo delle spiega-
zioni a mano a mano che passeranno i giorni. Anche libri vi
avrebbero dato da leggere. Due ore dopo termina la riunio-
ne inneggiando al Partito Comunista del Perù, al compagno
Gonzalo e alla guerra popolare.

35
Óscar Colchado Lucio

È NOTTE. Dentro la caverna state preparando la cena.


Solo mezz’ora fa è arrivato un plotone con il compagno
Santos. Sono stati tre giorni fuori per portare a termine
un’operazione. Si sono comportati da consumati esperti. Voi
nuovi siete rimasti con Angicha.
Attorno al fuoco che brucia tronchi e rami secchi due
donne e un uomo stanno arrostendo pezzi di carne secca di
lama, tossendo di tanto in tanto per il fumo. La caverna è
grande. Sembra la galleria di una miniera, dove entrano,
belle stipate, le trenta persone che siete, tra uomini e donne.
Caverna naturale, ingrandita, con la forza delle braccia dai
compagni. Ce ne sono anche altre più piccole dove conser-
vate le munizioni, armi, viveri, medicine e dove persino si
dorme. Ben nascosto questo accampamento, situato in un
vallone, con rocce che nascondono i tunnel e soprattutto
con quegli arbusti dal fitto fogliame i cui rami pendono
sopra le entrate. Anche la paja brava5 cresce alta da queste
parti.
Alcuni di voi conversano appena fuori dalla caverna,
avvolti dai loro ponchos, fumando e servendosi un cicchetto

5 Panicum prionitis. Graminacea sempreverde dallo stelo particolarmente alto.


6 Acquavite di vino peruviana.

36
Rosa Coltello

di pisco6 che passa di mano in mano per sopportare il freddo


– un freddo che penetra fin dentro alle ossa –, mentre aspet-
tano che arrivi la loro porzione di carne arrostita, con qual-
che patata. Non ci sono né sale né peperoncino.
Qui dentro quelli appena arrivati non fanno che parlare,
tra lo spaventato e il divertito, dei fatti dell’ultima azione che
si è svolta a Secllas, nell’attacco al posto di polizia che si dice
abbiate completamente raso al suolo con la dinamite, con lo
scopo di far ritirare definitivamente la guardia civile dal
luogo. «Meno male, dice Carla, che ci ha appoggiato la gente
di Sarquincha dandoci cavalli freschi e aspettandoci nei din-
torni nel caso ci fosse stato un contrattacco che fortunata-
mente non c’è stato». Il compagno Santos, mentre fuma, non
presta attenzione al racconto della compagna, ma sembra
concentrato su altri pensieri. Chi sta molto attenta alla con-
versazione è Angicha. Girandosi dice a voi nuove reclute,
Aspettate solo un po’, farete presto la vostra esperienza di
combattimento, vi voglio proprio vedere allora. Voi ridete
approvando; ma, lei, torna a fare attenzione a Carla che dice
di essere contenta di non aver subito perdite. «Ne siamo
usciti fuori solo con qualche graffio», fa sapere.

37
Óscar Colchado Lucio

DENTRO AD Auquimarca si apriva un nuovo cielo, pro-


fondo, color porpora, dove brillava il sole della mattina
(forse lo stesso che splendeva fuori) e si respirava aria pura,
fresca, che veniva da quella bellissima campagna verso la
quale io mi avvicinavo camminando su una verde prateria.
Più avanti si alzavano dolci colline coperte da rigogliosi
pascoli, dove lama, alpaca e vigogne si vedevano come se
fossero stati delle nuvole.
Mentre stavo avanzando tra i frutteti, in mezzo ai quali
scorrevano mormoranti ruscelli, una musica ha fatto irruzio-
ne sulla scena facendo volar via gli uccellini in tutte le dire-
zioni. In quel momento ha fatto la sua comparsa un gruppo
di ballerini, che bevevano chicha e lanciavano guajidos, fra
castagnole che hanno iniziato ad esplodere nel cielo lascian-
do nuvolette di fumo. Avrei voluto nascondermi, ma non ho
potuto.
– Signora! Venga, Venga, non si nasconda! – mi hanno
gridato.
Non ho avuto altra scelta che rimanere lì ferma, ad aspet-
tarli.
Sono riuscita a riconoscere, tra parenti e compaesani,
molte persone.

38
Rosa Coltello

– Andiamo, doña Rosa, si unisca alla festa! – hanno detto


venendo a salutarmi e ad abbracciarmi senza chiedermi
quando ero morta. Mi hanno offerto della chicha. Poi don
Mauricio Chapilliquén, un compaesano che era morto molti
anni fa, offrendomi il suo braccio, mi ha invitato ad unirmi
agli altri per entrare nella huayllashada. Ma mi sono rifiutata
con delicatezza, dicendo loro che ero in cerca della mia
mamma e del mio papà, e che mi dessero invece informazio-
ni su dove potessi trovarli. Si sono consultati fra di loro. Alla
fine una che era stata una mia nipote, mi ha detto:
– Dietro quel monticello, alle pendici di un bosco di
eucalipti, li potrà trovare, zia.
– Grazie – le ho detto – chissà che dopo non vi raggiunga
insieme a loro.
– Sì zia, venga pure – mi ha risposto la stessa ragazza –
noi stiamo andando alla fattoria degli auki a raccogliere
kusais, quelle patate grandi, giallognole. Faremo una pacha-
manca per festeggiare la nascita dei cuccioli della cerva shilpi
rinri. Venga, e porti i miei zii.
Ringraziando di nuovo la ragazza, ho iniziato ad allonta-
narmi, e nel frattempo loro sono ritornati alla loro danza,
muovendosi al ritmo di tinyas, quenas e flauti di Pan.

39
Óscar Colchado Lucio

– FIGLIA MIA, di quale malattia sei morta?


Buttando da parte il suo lavoro di filatura, era corsa ad
abbracciarmi la mia mamma, con quale emozione, con quale
affetto.
Varie donne, che stavano pascolando con lei un gregge di
pecore dalla lana bianchissima, si sono avvicinate anche loro
a darmi il benvenuto.
– Di dolore, mamma, di dolore sono morta.
È stato allora che piangendo le ho raccontato del mio
Liborio, delle sue sofferenze in quella guerra e del viaggio
che avevo dovuto intraprendere verso Chavín de Huantar, la
radice del mondo come mi aveva detto il padre
Auquimarca.
– E chi è stato il padre di tuo figlio? Qualcuno dei nostri
compaesani?
– È stato Pedro Orcco, mamma – le ho detto –, il dio
montagna del nostro villaggio.
– Del wamani?
– Sì, il wamani.
– E come sarebbe successo, figlia?
Allora le ho raccontato che dopo che lei e il mio papà
erano morti nel terremoto di quell’anno, è successo che io,

40
Rosa Coltello

che iniziavo ad essere una signorina, vedendo che i ragazzi e


perfino gli uomini adulti mi venivano dietro, quelli facendo-
mi la corte e quegli altri offrendosi di lasciare le loro mogli e
sposarsi con me, ed essendo cosciente del fatto che le donne
mi guardavano piene di invidia e gelosia, decisi di andarme-
ne dal villaggio e di andare a vivere nella nostra capanna
della jalca, mamma, dove mi occupai di far pascolare le
nostre pecore e quelle di alcune persone che me le affidaro-
no in cambio di cibo. Lì vivevo solo io, in compagnia dei
nostri cani. Di notte dormivo con un coltello a portata di
mano, ben conficcato in una croce disegnata sul pavimento,
proprio come una volta avevo sentito dire che era buono per
scacciare gli spiriti maligni.
– E anche le cattive intenzioni degli uomini, figlia mia.
– Sì, proprio così. Proprio come dice lei, mamma, non
solo mi servì per scacciare gli spiriti maligni, ma anche per
tenere a freno gli uomini che cercarono varie volte di abusa-
re di me, come Lorenzo Taipe, uomo sposato, con quattro
figli, al quale puntai il coltello in mezzo al petto facendolo
indietreggiare tutto impaurito proprio quando stava per
entrare nella capanna. O come Pajla Bolo, figlio di un possi-
dente di Ocros, al quale ho puntato il coltello alla gola quan-
do una volta trovandomi da sola nella campagna cercò di
farmi salire a forza sul suo cavallo. Da allora, gli uomini mi
guardarono con un misto di timore, ammirazione e rispetto.
La gente smise di chiamarmi Rosa Wanka e mi dette il
soprannome Rosa Coltello.
– E questa storia del wamani?, ancora non me l’hai rac-
contata – ha detto dopo, quando ci stavamo dirigendo a

41
Óscar Colchado Lucio

cercare mio padre, che volevo tanto abbracciare prima di


andarmene.
– Ah!, sì… beh, una notte di tempesta quando ero a letto
e stavo cominciando ad addormentarmi, nonostante i tuoni
che facevano tremare la mia piccola capanna, ho sentito una
voce d’uomo che mi chiamava dall’esterno. Velocemente
afferrai il coltello e mi avvicinai in punta di piedi alla porta.
Spiai attraverso la fessura, e, stupita dal silenzio dei miei
cani, che era quasi come se non ci fossero, vidi in mezzo alla
notte nera, illuminato dal breve balenare dei lampi, un uomo
alto, robusto, con una pelle di condor sopra la testa, vestito
con una giubba e dei pantaloni di vigogna, con ai piedi delle
ojotas, che mi parlava con dolcezza da fuori come se mi stes-
se vedendo.
«Aprimi, figlia mia. Sai già chi sono, vero? Prima butta
via il tuo coltello. L’acciaio mi fa male».
E vedendo la sua barba bionda, i suoi capelli lunghi fino
alle spalle, non dubitai più del fatto che chi mi stava dando
quell’ordine era il taita Pedro Orcco, il dio montagna che
offriva protezione al nostro villaggio. Desiderosa di ubbidire
al suo comando e anche molto innamorata, scagliai lontano
il coltello e lo lasciai entrare. I miei cani con gli occhi spalan-
cati, erano come pietrificati.
– E dopo che hai avuto rapporti con lui, non cercò di
stregarti? Di portarti dentro la montagna?
– Sì, voleva che andassi a vivere dentro con lui, nel suo
palazzo. Io avevo paura e lo supplicai che mi lasciasse vivere
nella mia bella capanna, con i miei animali, che non mi por-
tasse via subito. Tuttavia in quei giorni mi veniva dietro

42
Rosa Coltello

dietro Domingo, che avevo avvertito che ero già promessa


all’Orcco, e che forse avrei avuto un figlio da lui. Mi credeva
e non mi credeva, e ad ogni modo mi disse che si sarebbe
preso cura del bambino quando sarebbe nato. E così è stato.
Tempo dopo avrei avuto un figlio anche da lui: il mio picco-
lo Simón.
– E Pedro Orcco non ti punì per questo, figlia mia? Gli
dèi sono vendicativi.
– Solo una volta in sogno mi apparve, arrabbiato, dicen-
domi che a me personalmente non avrebbe fatto niente
perché portavo un figlio suo nel mio ventre, ma che per
colpa mia tutto il villaggio avrebbe sofferto una punizione. E
davvero, quell’anno fu un anno pessimo, non ci furono piog-
ge e gli animali non si riprodussero come in altri anni.

43
Óscar Colchado Lucio

FINALMENTE ho potuto abbracciare il mio povero


padre! Stringendo forte il suo cappello è corso verso di me
appena mi ha riconosciuta.
La mia mamma e io ci eravamo lasciate alle spalle una
pampa bella verde, piena di vigogne e un bosco di ontani.
Sbucando in una radura lo abbiamo visto vicino a molte
persone, che secondo quanto dicevano, si stavano godendo
una sfida tra gli dèi montagna che si trovavano in visita ad
Auquimarca.
– Figlia mia, figlia mia, finalmente sei arrivata! –. Diceva
mentre si inginocchiava congiungendo le mani in ringrazia-
mento a taita Wari Wiracocha.
Io non ho voluto in quel momento privarlo della sua gioia
dicendogli che ero solo di passaggio. Il cuore mi doleva già
abbastanza al pensiero che avrei dovuto lasciarli per seguire
i disegni della Provvidenza.
Abbiamo parlato poco poco. È stato allora che ha saputo
di come ero arrivata. Gli è dispiaciuto molto che Wayra non
fosse potuto entrare. Lo ricordava con grande affetto, per-
ché fu proprio lui a farlo arrivare a casa quando era piccoli-
no.
Subito dopo, mi ha portato a conoscere gli jirkas.

44
Rosa Coltello

Gli dèi erano là, alcuni facevano la lotta, mentre altri, in


disparte, conversavano chi accarezzando una volpe, chi un
cervo e chi una viscaccia.
– Quello là, quello più robusto che sta cercando di far
cader l’altro, è il Rasuhuilca e il suo avversario, il Jarhuarasu,
che porta legata attorno ai fianchi una fionda d’oro. Quello
che guarda sorridendo, con le braccia incrociate, è l’Apu
Salkantay. E quello alto, con i capelli bianchi, che sta accan-
to a lui, è il Huascarán.
Quelli che conversavano da una parte erano, a quanto
pare, montagne minori e tra loro c’erano anche delle donne,
come la Picota e la Emicha di Ayacucho, delle quali si diceva
dalle loro parti che fossero montagne particolarmente feroci;
ma lì sembravano tranquille, con indosso gonne colorate e
scialli. Emicha teneva tra le braccia una piccola viscaccia e
rideva di gran gusto di tanto in tanto alle battute che a quan-
to pare le stava facendo l’Acuchimay.
Improvvisamente, il Jarhuarasu è caduto a terra in malo
modo messo al tappeto dal Rasuhuilca in mezzo a un coro di
risate. Imbarazzato, quello si è tirato suo ostentando un sor-
riso.
– Prova con me, prova con me – lo ha sfidato l’Apu
Salkantay andando a misurarsi con il Rasuhuilca. Ma, pro-
prio in quel preciso istante, è comparso un falco che poco
dopo si è posato sulla huaylla. Quando ha assunto sembian-
ze umane, tutti lo hanno riconosciuto come il Qoropuna.
Tutto cerimonioso, ha dato la mano ha tutti i wamani che si
sono avvicinati per salutarlo.

45
Óscar Colchado Lucio

Come il Huascarán, il Qoropuna aveva i capelli bianchi,


ma era meno corpulento.
Stanchi di ammirare la signorilità di quegli dèi dall’aspet-
to di guerrieri, io, mia madre e mio padre ci siamo messi,
tutti e tre, a passeggiare tra gli alberi della foresta dove una
grande baraonda di fringuelli pareva darci il benvenuto.
Momenti veramente graditissimi sono stati quelli che
abbiamo passato tutti presi a rivivere i nostri ricordi, mentre
nella radura continuava a svolgersi la sfida tra i wamani.

46
Rosa Coltello

TI PIACCIONO proprio tanto le labbra socchiuse come


un fiore che ha Angicha, Liborio; i suoi seni piccoli, dritti,
sotto la camicetta; le sue piccole trecce raccolte dietro, così
come le usano le ragazze delle alture di Huanta, anche se lei
è un’universitaria, da quello che sei riuscito a sapere. È pro-
prio la sua semplicità quella che ti piace più di tutto. Solo
due notti fa vi ha raccontato qualcosa della sua vita. I suoi
genitori erano piccoli proprietari terrieri nel loro villaggio, e
facendo un grande sforzo la mandarono a fare le scuole
superiori ad Ayacucho. Quando stava frequentando l’ultimo
anno all’istituto Guamán Poma de Ayala fu reclutata per far
parte di Sendero Luminoso dallo stesso Abimael Guzmán, o
compagno Gonzalo, che era professore all’università e un
alto dirigente comunista. È stato così che organizzò scioperi
con i suoi compagni contro la dittatura di Morale Bermúdez.
Vi raccontava ridendo: andavamo di istituto in istituto, li
facevamo uscire tutti per protestare contro quell’undici che
volevano fosse il voto minimo per essere promossi. Quando
arrivavano i poliziotti li affrontavamo lanciando pietre men-
tre gridavamo slogan per insultarli.
Una volta entrata all’università aveva fatto del lavoro poli-
tico nei dintorni di Huamanga, soprattutto nella vallata del

47
Óscar Colchado Lucio

Pongora, dove aiutò a creare il Fronte dei Piccoli Agricoltori.


Là ci sono la mia figlioccia e il mio padrino e la mia madrina,
vi ha confidato divertita, e per il mio compleanno, che già si
avvicina, vediamo se mi accompagnate. Mi hanno detto che
ammazzeranno maiale, montone, galline… e voi, tutti allegri,
non dimentichi, signorina, di portarci. E lei, abbassando in
modo terribile gli occhi, non signorina, compagna.

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Rosa Coltello

GLI ALTRI russano accanto a te. Tu sei sveglio, ti giri di


continuo, senza poter conciliare il sonno. Non è il freddo a
tenerti sveglio, e nemmeno la tosse secca, che a volte si sente,
della sentinella che cammina là fuori sopportando le trafittu-
re della neve che, come una leggera polvere, starà cadendo a
quest’ora coprendo i burroni e i monti. Non dormi perché il
tuo pensiero è fisso sulla comandante Angicha, donna ammi-
revole, che ha un che di colomba e un che di fiera, da quello
che sei riuscito a vedere. Come colomba, pensi, ti ricorda
Hildacha, la dolce ragazza che amasti quando eri piccolo e
che proprio a quell’età morì cadendo in un burrone mentre
seguiva le sue capre.
Anche una fiera, a volte, sembra la comandante, soprat-
tutto quando vi dà l’ordine di fare il passo del leopardo, o di
gettarvi pancia a terra, o quando vi dà lezioni di politica. Il
suo viso si fa teso, il suo sguardo sembra passare attraverso
gli alberi, le colline, le montagne.
Santos, invece è più freddo, sereno, dà l’impressione di
non soffrire e di non sentire niente. Come se tutto fosse
come dovrebbe essere, esattamente così gli piace guardare le
cose. È più riflessivo e molto cauto con le parole. Pensa
molto prima di parlare.

49
Óscar Colchado Lucio

Entrambi sono i comandanti della cellula. Lei, a quanto


pare, la comandante militare e lui quello politico.
Ora che ti sta prendendo il sonno, appare Angicha con la
sua anima di uccello, quella che ti piace. Come se stesse
uscendo da una foschia, la vedi che ti chiama, sorridendoti,
facendoti dei cenni, con la sua divisa da combattimento. Sta
salendo su un pendio argilloso, scivolando di tanto in tanto,
impugnando il suo fucile. In alto il cielo con poche nuvole.
E tu, lì, in fretta in fretta, allunghi il passo.

50
Rosa Coltello

– ROSA? ROSA Coltello?


Tre ombre sono apparse sul sentiero, sotto la luna, men-
tre stavo attraversando una gola, dopo aver capito con ama-
rezza e rabbia che Wayra non mi stava aspettando all’uscita
di Auquimarca.
La fenditura della montagna si era chiusa dietro di me
appena ho detto addio ai miei genitori, piangendo.
– Rosa? Sei tu?
Le ombre hanno avanzato, e io ho potuto vederle meglio:
donne, erano. Avevano tutta la testa shucalpita da una man-
tella nera che sembrava un velo. I loro vestiti lunghi, svasati,
che fluttuavano al di sopra del terreno senza far vedere i
piedi, erano dello stesso colore.
Anime dannate, probabilmente, e nel dirlo ho avuto
paura. Ma ormai non c’era modo di scappare. È così ho
semplicemente avanzato senza rispondere loro.
La luna, che proprio in quel momento iniziava ad alzarsi
sempre più in alto sulla cordigliera, ha rischiarato per bene
il sentiero, illuminando i loro volti che a me sono sembrati
familiari.
– Doña Francisca, non sarà per caso lei? – ho detto tanto
per dire rivolgendomi a una di loro.

51
Óscar Colchado Lucio

Le donne sono entrate in agitazione quando hanno udito


la mia voce, assicurandosi così che proprio io ero.
– Sono proprio io, ragazza mia – dicendo è venuta ad
abbracciarmi quella che avevo nominato. Quando si è avvi-
cinata l’ho riconosciuta meglio. Davvero era doña Francisca,
che morì durante il terremoto proprio lo stesso anno dei
miei taitas. Un’altra era doña Juana Rojas, che viveva passato
il ponticello di Puyopampa e che morì riempiendosi di pia-
ghe per colpa del wiku. E, la più anziana, mia cugina
Claudina, che chiamavo zia quando era viva, perché quando
io ero ancora una bambina, lei era già una donna matura.
– Come avete fatto a riconoscermi? – ho chiesto appena
abbiamo finito di abbracciarci.
– Sapevamo che saresti arrivata, e per questo eravamo
pronte a vederti apparire.
– Lo sapevate? – mi sono sorpresa – e come?
– Il tuo cane Wayra ci ha avvisato quando due gatti neri
lo stavano portando via lungo il sentiero.
– E chi erano quei gatti neri?
– Dio solo lo sa, ragazza mia, forse demoni…
Mi è venuta una profonda tristezza e un gran senso di
abbandono.
– Ma non abbatterti. Arriverai da Taita Rumi, ragazza
mia, con le nostre indicazioni.
– Grazie, mamitas. E voi… voi dove andate?
– Noi stiamo andando a Illaurocancha a prendere un
compaesano che sta per morire. Avremmo accompagnato
anche te fino a questi luoghi, ma ti sei consumata così rapi-

52
Rosa Coltello

damente… e poi abbiamo saputo che Wayra ti avrebbe gui-


dato.
– Voi allora siete le anime del…
– Sì le Anime del Giudizio, quelle incaricate di portare i
vivi nel mondo dei morti.
– E chi porterete allora da Illaurocancha?
– La sua anima di Mariano Ochante, ragazza mia, che
prima di morire sta raccogliendo i suoi passi.
– Quella di don Mariano Ochante? Lo yana uma?
– Sì, proprio la sua.
Erano loro, i senderisti, quelli che avevano creato la catti-
va fama di yana uma, testa nera, di don Mariano Ochante,
perché prima come rondero semplice, poi come loro capo, è
stato contro di loro in quei gruppi armati che i cachacos
hanno organizzato sotto il nome di Difesa Civile, facendo a
volte combattere, famiglia contro famiglia, compaesano con-
tro compaesano. Recentemente i senderisti l’hanno ferito a
morte e, come vedi, sembra che la sua anima abbia già ini-
ziato a camminare.
– Vieni, andiamo a pregare il Gran Gápaj, il nostro dio,
perché ti guidi lungo un buon sentiero, ragazza mia – ha
interrotto i miei pensieri doña Francisca, portandomi per
mano verso un rialzo del terreno da dove mi ha indicato la
Croce di Katarpón o Katachilla, che in quel momento brilla-
va con forza nel cielo. Le altre donne che stavano dietro a
noi, si inginocchiarono anche loro accanto a noi.
La Zaramama, la Cocamama, le Sette Caprette7, e il Cervo
con il suo cucciolo, hanno cominciato, lì davanti ai nostri
7 Le Pleiadi.

53
Óscar Colchado Lucio

occhi come a palpitare nel firmamento, affacciandosi sicura-


mente per ascoltare le nostre suppliche.

54
Rosa Coltello

… AH, CHE CACCHIO, stanno già cantando i galli e


non mi vuole proprio venire sonno… Sarà già l’alba di sicu-
ro… o forse sarà che gli animali si sono svegliati con il
Ratatatatatata! delle mitragliatrici che viene giù dal basso,
dal fiume, dal posto di guardia dei soldati e dei repubblicani
che difendono il ponte ricostruito dopo che lo hanno fatto
saltare in aria i senderos… Solamente per paura, i cachacos
sparano in aria durante la notte… Hanno paura che i terru-
cos li attacchino di sorpresa, come già è successo altre
volte… da qui, da questa casa di doña Ricardina che tutti
credono abbandonata, qualche notte vedo che passano dal
versante qui di fronte gli insorti che vengono dalla direzione
di Cuzco, facendosi luce con un lampada all’acetilene quan-
do la notte è molto scura o c’è un po’ di nebbia… Da lì
attraversano il fiume Pampas… Quando scendono durante
il giorno, i cachacos se ne rimangono buoni dentro la loro
base, non escono… Solo a volte si guardano da fronte a
fronte, da sole a sole, e piazzano le loro bandiere sfidando-
si… Queste forze combinate, dell’esercito e della polizia,
sono quelle che ora controllano tutte queste zone… Sono
circa quaranta uomini quelli che vivono nell’accampamen-
to… Sono stati loro che mi hanno obbligato a fare l’appello

55
Óscar Colchado Lucio

tutte le sere di quei pochissimi che rimangono a


Illaurocancha… solo vecchi, come me, donne e bambini…
Da quando mi hanno sparato i senderos sono nascosto qui…
che credano pure che sono morto, è meglio… ormai non
voglio più sapere niente di nessuno… Anche se presto forse
morirò… La ferita si sta infettando sempre di più, e la febbre
sale e scende, sale e scende… Se non fosse per doña Emilia
Achaunco sarei già morto… È lei quella che mi aiuta portan-
domi da mangiare e dei medicinali e che si occupa persino
dei miei animali, che sono soli e che sicuramente in qualsiasi
momento se li possono prendere i cachacos o i terrucos…

56
Rosa Coltello

– E COSÌ TU sei Mariano Ochante, no?, dicendo così mi


hanno sparato addosso due colpi i terrucos mentre io mi
buttavo a terra da buon rondero quale io sono, buon cono-
scitore dell’uso delle armi, che ha ricevuto addestramento
dal comandante Huayhuaco in persona, un civile a capo
delle ronde che si faceva chiamare così là al campo di Oreja
de Perro… Tuttavia, uno dei proiettili mi ha colpito sullo
zigomo sinistro facendomi perdere conoscenza… Questo lo
abbiamo già sistemato, avranno sicuramente detto vedendo-
mi immobile, buttato a terra, col viso che mi grondava san-
gue… Prima mi avevano inviato un biglietto che diceva che
volevano parlare con me il tal giorno nel tal posto, che non
mi avrebbero fatto del male; ma non sono andato, ricordan-
domi di quello che avevano fatto ad un capo rondero di
Santa Rosa, al quale dopo aver promesso di risparmiargli la
vita, dopo avergli scucito come collaborazione scarpe e
vestiti per un intero plotone, gli hanno sparato vigliaccamen-
te. Perciò non ci sono andato… Finché, quel giorno si sono
presentati improvvisamente a casa mia, rischiando di imbat-
tersi nella pattuglia delle «linci», che quasi ogni giorno passa
da qui per controllare queste zone… Non mi hanno dato
tempo di fare nulla. Erano quattro senderisti che portavano

57
Óscar Colchado Lucio

alla cintura granate e coltelli e nel quipe le armi. Prima che


potessi rispondere se ero Mariano Ochante o no, mi hanno
sparato… e se ne sono andati lasciando in terra accanto a me
un cartello che diceva, come quello del rondero di Santa
Rosa: «così muoiono i cani yana uma, traditori». Ed era fir-
mato Partito Comunista del Perù…

58
Rosa Coltello

MA QUELLO che non sono arrivati ad immaginare è


stato che il proiettile aveva solo sbattuto contro l’osso, meno
male, anche se è rimasto comunque conficcato, scivolando
poi verso l’interno dove ancora si trova… Se fosse successo
in tempi tranquilli sarei potuto andare a Pomabamba, dove
fino a poco tempo fa c’era un medico. Ormai non c’è più
neanche il presidio sanitario. I senderos lo hanno fatto salta-
re con la dinamite… andare oltre è rischioso. Tutti i sentieri
sono sorvegliati, se non dai cachacos, dai senderos… Se mi
vedono i cachacos così come sono messo con questa ferita,
sono capaci di dirmi che sicuramente sono un terruco che è
andato a compiere qualche azione durante la notte e che lì
mi hanno ferito… con questa accusa mi possono persino far
sparire. Agiscono così con ogni sospettato… Allo stesso
modo, se mi vedono i senderos anche loro mi finiranno… in
ogni modo, sono fregato da tutte e due le parti… solo in
questo rifugio mi sento al sicuro… Ho supplicato doña
Emilia che non informi nessuno del mio nascondiglio… Ieri
mi stava raccontando che alcune donne e bambini dei villag-
gi dei dintorni mi stavano venendo a cercare per registrar-
si… Tutte queste persone sono costantemente controllate,
interrogate. Se cercano di nascondersi o di non presentarsi i

59
Óscar Colchado Lucio

cachacos vanno e le uccidono… Ci sono piccoli borghi dove


i mariti della donne sono nella guerriglia. Loro allora devono
dire che non li vedono, che ormai più niente le lega a loro…
se per caso i cachacos vengono a sapere che uno di loro è
tornato e che non è stato denunciato da sua moglie, a colpi
di baionetta o di calcio di fucile la fanno fuori per quanto i
suoi bambini si abbraccino a lei e si inginocchino, piangano
e preghino chiedendo clemenza… Ah, cazzo, in che modo
spaventoso mi brucia e mi martella la faccia… continua ad
esser gonfia… Quell’impacco di erbe che mi ha messo doña
Emilia Achahuanco me l’ha sfiammata ben bene per qualche
giorno. Ma ora sento di nuovo il bruciore e un prurito accan-
to alla ferita. Non posso nemmeno grattarmi perché mi
prude dentro. Starò marcendo forse, perché a volte esce del
pus con un odore nauseante.

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Rosa Coltello

LA NOTTE è finita. Ancora brilla nel cielo la stella del


mattino, il cuchi pisthag. Albeggiava e io mi trovavo sola e
abbandonata in mezzo a due sentieri che si incrociavano.
Dagli indizi, quello doveva essere il luogo dove, secondo
quanto mi avevano detto le Anime del Giudizio, avrei incon-
trato Taita Rumi, il Padre o Signore delle Pietre, che mi
avrebbe indicato il cammino da seguire nel mio viaggio.
In basso, eretto in mezzo al versante che declinava verso
il vallone, si vedeva il tempio cerimoniale di Chavín de
Huantar, ricostruito per mano dei cristiani. «Prima, ragazza
mia, lo stesso dio Wari Wiracocha, nella forma del Lanzón,
era colui che indicava il cammino. Ora è Taita Rumi per il
fatto che gli dèi si sono trasferiti verso i ghiacciai che sono
più a nord».
Mi trovavo senza dubbio, quindi, nel luogo dove si univa-
no il cielo e la terra; ma non c’era Taita Rumi. Che fare? Mi
sono inginocchiata e mi sono messa a pregare guardando i
sentieri. Quello di sinistra era in pianura, ampio, con fiori
che crescevano ai lati, e dal quale si poteva vedere più avan-
ti un getto d’acqua che si precipitava giù come un torrente.
Quello di mezzo, che era la prosecuzione della strada da
dove ero arrivata, era un sentiero ordinario, di quelli norma-

61
Óscar Colchado Lucio

li che in tutti i posti collegano i villaggi. A destra, ce n’era


uno stretto, come una mulattiera. Saliva tra i cespugli e sem-
brava che lì terminasse.
Ho deciso di prendere il sentiero più grande, più che
altro per l’acqua; poiché una sete terribile mi tormentava
proprio in quel preciso istante. Ho avanzato e avanzato e
quando sono arrivata mi sono resa conto, con mia grande
delusione, che il getto si trovava dall’altro lato di un abisso.
Anche se scoraggiata, ho continuato ad avanzare. Faceva
un caldo soffocante e guardando in lontananza si vedeva
vibrare l’aria come se stesse bollendo.
Quei fiori simili alle rose a poco a poco sono rimasti alle
mie spalle lasciandomi il loro aroma piccante nel naso.
Nessun uccello volava in quel cielo dai bagliori rossastri,
metallico, neanche un huishqu.
Il sentiero continuava in discesa. Più avanti si apriva su
un pianoro verde circondato da sagome di montagne.
L’odore umido dell’erba e un rumore di acqua che scorreva,
che in seguito ho creduto di sentire, mi hanno dato il corag-
gio di andare avanti quando ormai stavo pensando di ritor-
nare al punto di partenza in attesa di qualche miracolo.
Ed ecco che, già più in basso, affacciandomi da una spor-
genza, ho potuto vedere un fiume dalle acque nere, che
scorrevano all’impazzata.
Desiderosa di bere quell’acqua anche se torbida, ho
cominciato tutta rincuorata a correre rincuorata rincuorata.

62
Rosa Coltello

LA NOTTE illuminata solo dalle stelle che luccicano in


un cielo nero. I cani che abbaiano dall’altro lato del fiume,
agitati come quando presagiscono qualcosa. E voi, i nuovi,
che avanzate avanzate verso la vostra prima esperienza di
combattimento sentendo che il sangue vi offusca i sensi.
Se tua madre sapesse, Liborio, in cosa sei coinvolto,
pensi, che cosa direbbe? A questo punto lei starà già senten-
do la tua mancanza, nervosa, preoccupata per il tuo ritardo.
Sicuramente si consumerà gli occhi guardando in cima
all’Ayán, da dove scende in mezzo agli eucalipti il sentiero
che arriva da Ocros. Saresti andato a trovarla chiedendo
permesso al Partito se fossi uscito sano e salvo dalla batta-
glia. Allora l’avresti abbracciata forte con le tue lunghe brac-
cia, baciandole la fronte; ma non le avresti confidato ancora
niente del tuo impegno nella guerra, e non sarebbe nemme-
no venuta a sapere che ora hai un altro nome: Túpac, per i
tuoi compagni
Siete più di settanta – spalleggiati da combattenti di base
di Rasuhuilca – e vi state avvicinando al villaggio di Quinua
ad attaccare il posto di polizia. Non troppo lontano da lì si
trova la pampa con l’obelisco che ricorda la sconfitta degli
spagnoli per mano del generale Sucre. «Tuttavia, i più gran-

63
Óscar Colchado Lucio

di sconfitti, ha detto il compagno Santos una notte, sono


stati proprio i nativi, perché i creoli vincitori e i loro eredi ci
sfruttano nello stesso modo ancora oggi». Con la lotta dei
compagni ora, pensi, sarebbero cambiate le cose?
Su indicazione dei comandanti, vi siete divisi in tre unità:
di attacco, di contenimento, e di ritirata. Tu ti trovi, su deci-
sione di Angicha, nel gruppo di attacco comandato da lei e
da Santos e che assumerà posizioni di tiro di fronte alla guar-
nigione di polizia.
Sei un poco nervoso. Il tuo corpo trema leggermente. Tiri
fuori un quartino di rum che porti nel quipe e te ne scoli la
metà. Ah, senti che ti conforta e ti riscalda. Impugni con
forza il vecchio fucile a pallettoni che ti hanno dato e tenti di
raggiungere gli altri del tuo gruppo.
Dietro di te, facendosi coraggio l’un l’altro, camminano i
più giovani e inesperti del contingente, comandati da Carla.
Sono armati solo di fionde, coltelli, machetes, picche e «for-
maggi russi». Hanno ordine di attaccare dalle retrovie lan-
ciando i «formaggi».
Un certo Yoni, che era arrivato quando stava facendo
buio con un gruppo di otto miliziani di San Miguel, è stato
incaricato del contenimento.
Avete già superato i primi boschi di eucalipti, il vento si è
calmato e i cani hanno smesso di agitarsi dall’altra parte del
fiume.
Angicha avanza davanti a voi, un poco china, con la
mitraglietta pronta, evitando i tappeti di foglie per non fare
rumore. Si gira verso di voi: allerta, compagni, dovete met-
tervi i vostri passamontagna. Devi coprirti, Túpac, anche se

64
Rosa Coltello

solo con il tuo fazzoletto; non devi mostrare il viso, è perico-


loso. Anche lei si alza il collo del maglione fino agli occhi.
Quegli occhi a mandorla che ti fanno impazzire a quel
modo.
Le sagome delle case sono già di fronte a voi. Più avanti
ancora si snoda la strada piena di scalinate di pietra. Strisciate
in quella direzione cercando di piazzarvi nella posizione di
fuoco migliore.

65
Óscar Colchado Lucio

I DUE agenti che sono di sentinella al portone cadono


colpiti dai cecchini, mentre un altro gruppo tira candelotti di
dinamite accesi dentro il presidio, e le esplosioni si susseguo-
no una dopo l’altra, in una confusione di spari e grida:
– Causachum la lotta armata!
– Causachum!
I poliziotti che stavano dormendo all’interno, passando
da un sogno a un incubo, non sanno quello che sta succe-
dendo. Pensano che sia arrivata la fine del mondo: vedono
fiamme, sentono esplosioni, suoni metallici e urla da ogni
parte. E quando corrono gridando verso la strada, vengono
colpiti, i primi, mentre nel frattempo gli altri si rendono
conto di essere sotto attacco. Sono i terrucos, cazzo!, grida-
no. E rispondono al fuoco sparando all’impazzata.
Il sergente Flores cerca di guidare una sortita per conqui-
stare un’altra postazione di tiro, ma non appena fa alcuni passi
in avanti è raggiunto dagli spari, e cade con il petto che gronda
sangue. Uno dei poliziotti si ricorda della radio. Corre a chia-
mare il comando della Zona di Emergenza di Huamanga; ma,
per sua grande sfortuna, non funziona: la batteria è scarica.
Il vostro assedio si stringe sempre di più. Santos, dal cam-
panile della chiesa, grida, dà ordini guidando l’attacco.

66
Rosa Coltello

Calma! Dice a quelli del contenimento, non accendete i can-


delotti a meno che non li vediate uscire di corsa; potreste
uccidere i nostri! E grida anche agli agenti chiedendo loro di
arrendersi: Non siamo venuti per uccidere, vogliamo solo
che ci consegnate le armi!
Ma gli agenti continuano a difendersi, fino a quando non
capita loro la disgrazia definitiva; le loro stesse granate
esplodono all’interno del presidio, facendoli saltare in aria in
molti.
Una scheggia ti ha colpito al braccio aprendoti una ferita
all’altezza del gomito. Proprio mentre sei lì che vuoi conti-
nuare a sparare il sangue invade l’otturatore del fucile e
blocca il funzionamento dell’arma. Imprecando ripieghi
verso il gruppo di contenimento, e cerchi una benda per
fermare il sangue. Gli altri continuano ad attaccare.
L’esplosione delle granate ha provocato sconcerto tra gli
assediati; tuttavia il tenente Pereyra, approfittando del fumo
che ha coperto tutto, è riuscito a fuggire con alcuni uomini.
La ferita al tuo braccio non è grave fortunatamente. Hai
usato un pezzo di stoffa come laccio emostatico e il sangue
ha smesso di uscire.
Sta già spuntando il giorno e un elicottero di appoggio
delle forze di polizia sta volando alto in direzione di
Huamanga. Dentro, gli agenti che sperano di essere salvati,
sparano ancora e ancora. Ma, per vostra fortuna, per voi che
siete rimasti a bocca aperta, passa oltre, senza che i suoi
occupanti si accorgano delle fiammate e delle esplosioni lì in
basso, e nemmeno della nuova bandiera che sventola sul-
l’asta del posto di polizia.

67
Óscar Colchado Lucio

UNA VOLTA preso il posto di polizia e fatti prigionieri


gli agenti, vi dedicate a bruciare materassi e documenti.
Sequestrate, in nome del popolo, tutto quello che trovate:
divise, ghette, kepi, ponchos impermeabili, tende e armi
(mitragliette, fucili, pistole). Alcune ragazze ed alcuni ragaz-
zetti inesperti portano fuori in fretta e furia una cassa metal-
lica chiusa con un lucchetto e cercano di aprirla in ogni
modo per sapere che cosa contiene. Uno di loro suggerisce
di aprirla con una bomba. Allora la fanno esplodere, facen-
do così saltare le munizioni che conteneva e facendo rimane-
re solo i bossoli. Angicha entra, in fretta, con il viso annerito,
andiamo via! Più veloce! Grida. Ma loro hanno trovato
un’altra cassa chiusa e la trascinano come possono per por-
tarsela via.
Nella tasca di una delle guardie morte, avete trovato un
foglio macchiato di sangue. È il messaggio che l’uomo ferito
è riuscito a scrivere prima di morire: «Cara Julia, sento che
mi sto dissanguando. Ti voglio bene, ti amo. Per favore
prenditi cura dei miei figli».
Poco prima di abbandonare il villaggio distribuite tra gli
abitanti una parte dei viveri che avete saccheggiato nei nego-
zi, dopo aver rinchiuso i padroni nell’ufficio postale: botti-

68
Rosa Coltello

glie di latte, bottigliette di gazzosa, saponi, pacchetti di


zucchero, caffé, buste di pane, scatolame… di tutto, di tutto,
cercando faticosamente di mantenere l’ordine durante il
saccheggio.
Divisi in due gruppi, dopo aver obbligato due camionisti
a trasportarvi, vi allontanate in tutta fretta dal villaggio. Un
gruppo, il più numeroso, al comando di Santos, si dirige
verso Macachacra, sulla strada per Huanta, portando con sé
tre agenti prigionieri che dopo aver rapato e spogliato delle
divise libereranno in aperta campagna.
L’altro gruppo formato in gran parte da combattenti mili-
tanti, si dirige verso la vallata del Pongora, sulla strada per
Huamanga, portandosi dietro il morto: Yoni, il comandante
del reparto di contenimento, e la compagna Edith – impor-
tante dirigente del Partito che è venuta a dare una mano –
che è gravemente ferita e ha bisogno di urgenti cure medi-
che. Questo secondo gruppo lo guida Angicha e tu sei
l’unico dei nuovi a cui lei ha ordinato di accompagnarli,
La vallata del Pongora, pensi, era a un passo dalla capita-
le del dipartimento. Non sarebbe stato pericoloso muoversi
in quelle zone?
Angicha sembra indovinare i tuoi pensieri: non ti devi
preoccupare, compagno, lì c’è gente che vi avrebbe protetto;
Non ti ricordi, ti dice, che vi ho raccontato che lì ci sono
perfino i miei padrini? Tu sorridi, Ah compagna, eri proprio
coraggiosa.

69
Óscar Colchado Lucio

– JOOP, SIGNORA! Non beva quell’acqua!


La voce è venuta dall’alto, dal sentiero.
L’uomo che ha gridato l’avvertimento, di statura normale,
con il poncho e il cappello, è sceso correndo lasciando i suoi
animali da soma sul pendio.
Spaventata ho aspettato che arrivasse vicino a me.
– Lo sa? – mi ha detto –. Quell’acqua è l’acqua dell’oblio.
La bevono solamente le anime che ritornano alla vita e si
reincarneranno di nuovo. Se lei la beve si troverà trasforma-
ta in una pianta o in un animale qualsiasi, senza memoria di
niente. Continui il suo cammino che la sete le passerà.
Dopo averlo ringraziato, gli ho chiesto di Taita Rumi.
«Non so niente, mi ha detto, se non l’ha visto è perché le ha
lasciato scegliere il suo destino. Deve continuare ad andare
avanti; qui nessuno può ritornare sui propri passi».
Allora mi sono messa a piangere. L’uomo si è commos-
so.
– Andiamo, non pianga. Io l’aiuterò ad attraversare i
fiumi che le mancano. Dopo, potrà continuare il suo viaggio
da sola. Mi aspetti solo un momento. Vado a legare le mie
bestie.

70
Rosa Coltello

Corse su verso quelle mule irrequiete che cercavano di


disfarsi del loro carico strusciandosi contro le rocce.
Avvolgendomi nel suo poncho, mi ha aiutato ad attraver-
sare il fiume.
– E lei, Dove sta andando? – gli ho chiesto.
– Ad Auquimarca, signora – mi ha risposto con una luce
gioiosa negli occhi –. Ho già scontato la mia pena nel Ukhu
Pacha fortunatamente. Finalmente, potrò riunirmi con i
miei. Ma, la sa una cosa?, più felici di me sono le anime che
sto portando con le mie mule.
– Anime? Non sono fagotti quelli che sta portando?
– È cenere, signora. Quando arriverò al crocevia di Taita
Rumi, la spargerò al vento, e allora voleranno colombe bian-
che verso il Janaq Pacha. Anche quelle anime hanno già
scontato la loro pena, ma la loro destinazione è il cielo.
Dopo un po’, vedendomi preoccupata, mi ha detto:
– Non abbia paura, signora, c’è gente che passando pro-
prio da questa strada è arrivata lo stesso al Janaq Pacha. La
clemenza del Gápaj è grande. Non abbia paura.
Le sue parole mi hanno dato conforto e ho confidato nel
fatto che il mio Liborio e Domingo stessero intercedendo
per me nella regione celeste.
– E com’è l’Ukhu Pacha, il mondo di dentro? – ho
domandato atterita.
– Non è uguale per tutti, mamita, si apre in maniera dif-
ferente per ognuno. Io sono stato in un posto dove ci si
doveva sedere sopra pietre roventi. Poi sono passato nella
casa delle tenebre. Per un altro periodo sono stato tra coltel-
li e oggetti taglienti. Sono anche stato nella casa del ghiaccio.

71
Óscar Colchado Lucio

Sempre sorvegliato dai demoni delle malattie. Ma gliel’ho


già detto, si presenta in modi differenti a seconda dei pecca-
ti, e da quello che vedo sul suo volto, lei non deve averne
molti.
L’ho ringraziato per questo.
– Ed è molto lontano, dopo aver superato i fiumi?
– Sì, ancora un po’. Prima passerà per il Tutayaq Ukhuman
dove si trovano le malpas, le anime di coloro che sono morti
quando erano ancora guaguas.
Il mio cuore ha palpitato. Il mio Shimuquito, ho pensato,
si troverà forse là?
Desiderosa di scoprirlo, ho affrettato il passo veloce velo-
ce accanto a lui.

72
Rosa Coltello

IL FIUME successivo scendeva da alcuni monti, al di qua


di una catena di ghiacciai. Le sue acque erano rosse, sulle
sue sponde non c’erano alberi, e nemmeno erba. Solo pietre
enormi, azzurrine, ai lati.
– Questo è il Yawar Mayu, signora. Non è acqua quella
che trasporta, è sangue. Attraversa tutti i luoghi della terra e
sfocia nel Marañón, il mare di fuoco, nelle viscere stesse
dell’Ukhu Pacha, proprio come il fiume precedente e quello
successivo.
– Mare di fuoco? – sono rabbrividita.
Le pietre sbattendo tra di loro nell’acqua, spinte dall’im-
petuosa corrente, facevano tum! tum! tum!
Il sangue degli uomini che si uccidevano tra di loro si dice
che fosse, e anche delle madri che versandolo ci donano la
vita.
Un po’ più in su, sempre su quella stessa sponda, c’era un
uomo accucciato, con il cappello che gli copriva la faccia,
tutto preso a far sgocciolare il sangue di un gatto appena
pishtato, nelle acque del fiume. Non si accorgeva nemmeno
che noi, più in basso, lo osservavamo.
– E perché mai starà facendo una cosa del genere?, lo
sa?

73
Óscar Colchado Lucio

– Perché durante le sue vicissitudini sulla terra, ora che


sta tornando alla vita, le anime malvagie non gli facciano del
male. Quel gatto è di Taita Rumi. L’ho visto non molto
tempo fa che aveva fatto prigioniero, con un altro gatto, un
piccolo cane nero, che poi è stato salvato da una muta di
cani.
Sarà stato Wayra?, ho detto tra me e me. E ho pregato il
Gran Gápaj di prendere accanto a sé la mia povera bestioli-
na.
– Conosco anche quell’uomo – mi ha detto –. Si è danna-
to per via di un crimine che ha commesso. Per pagare il suo
delitto ha dovuto raccogliere ogni singola pietra che la sua
vittima ha fatto cadere nei valloni, fiumi, lagune e, forse,
anche nel mare stesso.
Prima che ci vedesse, abbiamo cambiato direzione, cer-
cando un posto adatto per attraversare.
Più giù, il fiume si faceva più stretto. Lì, grazie al suo
aiuto, sono potuta passare.
Il sentiero proseguiva in discesa lungo un pendio pieno di
pietrisco sotto un cielo in fiamme.

74
Rosa Coltello

SUL FONDO di un burrone, riflettendo il sole come un


nastro luminoso, scorreva il Wakay Mayu, il fiume del dolo-
re.
Nemmeno le sue acque, come quelle dei fiumi preceden-
ti, si potevano bere.
– Quelle che scorrono sono lacrime, signora, quelle che
versano le madri per i loro figli. Nel suo percorso passa per
il Tutayaq Ukhuman prima di sfociare nel Marañón.
In quel momento mi sono ricordata quello che consiglia-
rono nel mio villaggio quando morì la mia guagua: «Non
piangere per il tuo piccolo Simón, Rosa; perché in queste
stesse acque amare e salate che spargiamo devono poi
bagnarsi le povere anime dei bambini».
Aiutandomi ad attraversare quel fiume, che sulla superfi-
cie, per fortuna, era pieno di pietroni bianco-azzurrognoli,
mi ha accompagnato, evitandomi di fare un passo falso, per
un buon tratto.
Più avanti cominciava una pampa desertica.
– Adesso sì, signora, devo tornare indietro, prima che le
mie mule si sleghino.
Congiungendo le mani, ho ringraziato quell’uomo. Ho
sospirato profondamente vedendolo allontanarsi.

75
Óscar Colchado Lucio

COM’È TREMENDO questo sogno che mi sopraffà


ancora e ancora… ho anche la schiena tutta bagnata, madida
di sudore freddo… Dovrò cambiarmi questa camicia. Non
mi venga una polmonite… Ah destino infame, a che punto
siamo arrivati… Io direi che i mali di questo villaggio li ha
portati tutti Nieves Collanqui insieme con il maestro e con
quegli altri forestieri che gironzolavano qua attorno… Anche
se, questo è vero, presto o tardi, con loro o senza di loro,
qualche insurrezione ci sarebbe stata anche da queste parti,
come sta succedendo in tutta la zona di Ayacucho e negli
altri dipartimenti. Persino nella stessa capitale dove ogni
giorno muoiono poliziotti, politici, imprenditori; stando a
quanto dice la radio. Ci sono poi i tralicci dell’alta tensione
che vengono fatti saltare e le autobomba… Nieves Collanqui
era di Andahuaylas. Nonostante fosse orfano di padre, sua
madre poté fargli ricevere un’istruzione. Finite le superiori
andò sulla costa in cerca di lavoro… arrivò a Chimbote e
cominciò a lavorare nella pesca… Diventò dirigente sindaca-
le e promosse fermate, scioperi, proteste contro il governo
militare d’allora, che aveva ordinato l’incarcerazione, la per-
secuzione, e l’assassinio dei rivoltosi. Così ha raccontato lui
stesso… Forse è stato fuggendo dai militari che è finito qua,

76
Rosa Coltello

anche se lui diceva di no… diceva che era per guarire da un


problema ai bronchi che era venuto a vivere in montagna,
seguendo le indicazioni del medico… per un periodo visse
anche nella stessa Andahuaylas. Poi improvvisamente comin-
ciò a frequentare questi posti… Girava voce che fosse inte-
ressato alla Filucha, una ragazza analfabeta, ignorante, e
molto più giovane di lui… dopo poco, è finita che celebra-
rono il rimaykiku, il matrimonio secondo le nostre usanze…
andarono a vivere a Ukhu Mayo, in un pezzo di terra di pro-
prietà del suocero… costruì una capanna, piantando alcuni
pali e coprendola con paglia di jalca… a noi comuneros8 ci è
sembrato strano che un uomo come lui abituato alle como-
dità della città potesse ambientarsi così facilmente alla vita di
campagna, soprattutto al lavoro… ma ci siamo sbagliati:
cominciò a vestirsi come noi: con il poncho, il cappello di
lana e gli llanques… Non voleva sedersi su una sedia, prefe-
riva stare in terra, o su un mattone di adobe… e chacchava.
Le sue guance erano quasi sempre rigonfie per la sua palla di
coca… Ma quello che ci sorprese ancora di più fu che un suo
amico, che di tanto in tanto veniva a trovarlo da Andahuaylas,
un biondino chiamato Mezziche, era diventato ancora più
contadino di lui… Di quell’uomo si diceva che fosse un dot-
tore… A Lima c’erano il suo papà e i suoi fratelli che erano,
come lui, dottori… che una volta vennero a Andahuaylas
perché lo volevano riportare a Lima, ma lui si oppose… si
sposò, proprio come Nieves Collanqui, con una ragazza
povera, contadina… Anche i suoi vestiti erano quelli di un
8 Abitanti delle comunità agricole della zona andina all’interno delle quali vige un
complesso sistema di collettivizzazione delle risorse e dell’attività lavorativa e so-
ciale.

77
Óscar Colchado Lucio

comunero; nonostante i suoi abiti, era comunque evidente


che fosse un uomo istruito, per quanto lui cercasse una vita
modesta… Quando era ospite in una casa, rifiutava il letto,
le coperte, e le lenzuola che qualche possidente gli offriva.
Chiedeva di poter dormire in terra… Se gli davano una pelle
pulita, ben curata, rifiutava anche quella… Chiedeva che
gliene dessero una sporca, una qualsiasi… Devono essere
proprio matti questi due, dicevamo noi… Ma entrambi sem-
bravano intendersi molto bene… E così come Nieves
Collanqui aveva mobilitato i pescatori di Chimbote contro il
governo militare; Mezziche, allo stesso modo, dette dei bei
grattacapi qualche anno prima ai grandi proprietari terrieri
e alla polizia, guidando le occupazioni di terre a Cocharcas,
Ongoy, Andarapa, Tiobamba e in altri luoghi… Oggi dicono
che sia il secondo o il terzo uomo più importante di Sendero,
qualcosa del genere… Ma Nieves Collanqui è ormai morto.
Defunto…

78
Rosa Coltello

NEL PERIODO in cui il tale Mezziche spuntava di tanto


in tanto da queste parti dicendo di aver da proporre qualche
affare o arrivando di notte perché nessuno lo vedesse, la
gente parlava già del putiferio che stavano combinando al
sud i rivoltosi… Qua vicino, nel fondo agricolo Ayazarca,
c’era la novità che avevano ammazzato il proprietario terrie-
ro, Benigno Medina del Carpio, e il suo fattore… qualcuno
qui del villaggio disse di averli visti passare in piccoli gruppi,
una o due volte, in alto, dalla puna, con le armi in pugno e
con i quipe in spalla, che si muovevano appena… mezzo
intirizziti dal freddo… avemmo paura di vederli comparire
qui ad Illaurocancha in qualsiasi momento… Già allora
Nieves Collanqui si assentava spesso spesso, e rimaneva via
due o tre settimane… quando chiedevamo di lui, la sua
mogliettina ci diceva che era partito per la montagna per
prendere la coca da vendere a Ocros o a Pomabamba, o che
si trovava dalle parti di Huancavelica a lavorare nelle minie-
re… Ma io sospettavo già che fosse implicato in ben altre
cose da quando lo vidi quella volta a Cochapampa, quando
andai a dare il sale al mio toro, riunito là in quella puna deso-
lata dove finiscono le terre della comunità, in una piccola
capanna di pastori abbandonata, con Mezziche, Mario

79
Óscar Colchado Lucio

Buitrón, il maestro della nostra scuola, e un prete con l’aria


da straniero che in realtà non era più prete, ma professore da
vari anni all’Università di Huamanga, secondo quanto lui
stesso ci raccontava, chiamato Jaime… Quest’uomo, con la
scusa di insegnare a leggere a noi comuneros analfabeti, o
accompagnando alcuni ingegneri che ogni tanto spuntavano
a fare delle misurazioni da queste parti, si guadagnò a poco
a poco la fiducia di questa comunità e delle altre, confinan-
ti… A volte si metteva a giocare a calcio con i ragazzi o ci
insegnava cose nuove come quella di fare da mangiare con
una cucina solare, che lui faceva utilizzando degli specchi e
sfruttando la luce del sole… Ci aiutava, oltretutto, nei lavori
comuni come la marchiatura dei nostri animali o la pulizia
dei canali d’irrigazione, ai quali partecipavano anche le altre
comunità… Tutto questo gli fece conquistare la nostra fidu-
cia, a tal punto che anche durante le assemblee interveniva
come uno qualsiasi di noi… A volte veniva addirittura inca-
ricato di gestire alcune cose in rappresentanza della comuni-
tà… In qualche occasione, d’accordo con il maestro Mario
Buitrón, faceva venire degli studenti universitari da Ayacucho,
che a loro volta portavano in dono libri usati per la scuola e
trovavano sempre una scusa per organizzare delle serate: la
festa della Mamma, l’anniversario della scuola o altro anco-
ra… Ed era allora che dopo lo spettacolo, se già l’opera non
era di per sé politica, iniziavano a fare i loro discorsi mostran-
doci la nostra arretratezza per colpa, secondo loro, del
governo e dei latifondisti, e dandoci idee e coraggio per
organizzarci, tutti noi contadini, e lottare così per i nostri
diritti… Quella volta che erano riuniti a Cochapampa è stata

80
Rosa Coltello

l’ultima volta che vidi quel Jaime, e anche Mezziche… Per


paura che mi scoprissero non mi mossi dal mio nascondiglio
fino a quando non se ne andarono. Era molto tardi e stava
per fare notte. Nieves Collanqui e il maestro si diressero
verso Illaurocancha. Gli altri due andarono in direzione di
Ayrabamba… Tempo dopo noi del villaggio abbiamo saputo
che Nieves Collanqui, con il nome di compagno Santos,
stava guidando una delle colonne di Sendero Luminoso nelle
alture di Huanta. Avevano portato lo scompiglio nella regio-
ne, uccidendo proprietari terrieri, assaltando posti di polizia,
giustiziando autorità governative… Da parte sua Mario
Buitrón faceva funzionare nel villaggio una scuola popolare
dove ha conquistato la maggior parte dei giovani, e tra loro
alcuni di animo molto nobile come Medardo, Damián e la
Mallga… Mi ricordo che una volta che mi ero ubriacato
arrivai a una delle loro riunioni e volli ascoltare quello che
stavano dicendo… Mi dissero di andarmene, di ritornare
quando fossi stato sobrio… Io mi offesi e minacciai di
denunciarli, sicuramente state tramando qualcosa contro la
comunità, gli dissi, per questo non volete che vi ascolti. Voi
siete dei sovversivi… Allora mi minacciarono con un’arma,
dicendomi di fare molta attenzione prima di aprire la bocca
perché altrimenti avrei visto cosa mi sarebbe successo… Da
quella volta ho preso in antipatia Mario Buitrón…

81
Óscar Colchado Lucio

UN COMMANDO di cinquanta sinchi ha circondato la


casetta che si trova a La Compañía, in fondo alla vallata, al
di là del distretto di La Laguna, dove vi stavate riposando,
dopo il funerale del compagno Yoni e altre preoccupazioni
come quella di prendersi cura di Edith. Un giovane medico
venuto dalla città si stava occupando di lei, dal giorno
prima.
Mentre voi riposavate, un contadino dei dintorni allarma-
to era arrivato in taxi al comando della stazione della
Guardia Civile di Huamanga ad avvertire che aveva visto un
uomo armato vicino al fiume, vicino ad un orto seminato a
cavolo cappuccio, cavolfiori e lattuga, Sicuramente sono
terrucos, dicendo, perché quell’uomo è uno sconosciuto.
Immediatamente il comandante ha impartito ordini ai suoi
subalterni. Saranno forse stati gli stessi che hanno attaccato
il presidio di Quinua? Saranno davvero così temerari?, ha
riflettuto mentre si preparava, Perché erano venuti da queste
parti? Si grattò la testa, ancora perplesso. Aveva appena
mandato varie pattuglie al vostro inseguimento, ma in altre
direzioni, soprattutto dalle parti dei lontani villaggi di
Acobamba e anche lungo la strada di Mayochurcampa,
verso Huancayo.

82
Rosa Coltello

Ora i sinchi avevano circondato la casa lungo un ampio


perimetro. Facendo il passo del leopardo, si avvicinavano
lentamente.
I campi di mais erano silenziosi. La luna biancheggiava
come un formaggio e sembrava spruzzare calce sopra la
campagna.
Solo qualche minuto prima, quando tutti russavano
immersi in un sonno profondo, tu, sentendo che ti si stava
agitando lo stomaco, eri uscito fuori dalla casa a fare i tuoi
bisogni. Joop!, ti ha detto Mañuco, la sentinella, infilato tra
i rami di un albero, vecchio, di altezza normale, ben avvolto
nel suo poncho, con la sua mitraglietta in mano, che stava
fumando. Tu gli hai fatto un segno facendogli capire che
stavi andando a fare i tuoi bisogni. E ti sei addentrato nel
campo di mais, pensando a quanto era stata allegra la con-
versazione e ai cicchetti che vi eravate bevuti dopo il pranzo
in onore di Angicha. A lei è dispiaciuto di non aver potuto
onorare l’invito dei suoi padrini per il suo compleanno nel
piccolo borgo di Chajo, non troppo lontano da lì, a causa
della vicinanza della casa alla strada e, inoltre, perché non si
poteva fare una festa, compagni, avendo avuto un morto
recente e una compagna in condizioni critiche.

83
Óscar Colchado Lucio

TI STAVI TIRANDO su i pantaloni, dopo aver fatto i


tuoi bisogni, quando proprio in quel momento hai visto che
qualcosa come un’ombra si stava nascondendo dietro un
albero. Sei rimasto immobile aspettando di vedere cosa
sarebbe successo. Ed è successo che, di lì a poco, è comin-
ciata la sparatoria. Una scarica di fucile ha abbattuto Mañuco
facendolo huicapeare come un uccellino dall’albero dal quale
faceva la guardia, cadendo a terra, morto. Come in un sogno,
vedevi come gli uomini in divisa saltando fuori dai canali di
irrigazione, da dietro i cespugli o dagli alberi, circondavano
in un attimo la casa tirando granate e sputavano raffiche di
proiettili dalle canne dei loro mitra, urlando come dannati.
– I sinchi! – esclami riconoscendoli solo adesso, vedendo
che hanno appena fatto saltare la porta e una parte della
casa. E vedi come in mezzo al fumo, all’incendio, alla polve-
re, delle figure corrono lanciando grida di dolore e rabbia,
alcune con le armi in pugno. Riconosci il biondo Jaime che
si ferma improvvisamente e urla ai sinchi: Uscite fuori codar-
di! Venite a combattete allo scoperto! Vari colpi di proiettile
gli fanno mollare l’arma e stramazzare al suolo. Due o tre di
quelli che correvano sono stati anche loro fatti fuori. Alcuni
sono stati presi prigionieri.

84
Rosa Coltello

Non guardi più. Ti giri da una parte e dall’altra cercando


da dove poter scappare. Alla fine ti decidi e corri in mezzo
al campo di mais. Ma il rumoroso pigolare di una pernice,
che vola via spaventata al tuo passaggio, ti tradisce. Senti
degli spari dietro di te e gente correre in lontananza. Anche
voci.
– Inseguiamolo!
– Non lasciamocelo scappare!

85
Óscar Colchado Lucio

MENTRE CORRI lungo i fianchi di un piccolo monte


spruzzato di fichi d’india e pietraie, dopo esserti lasciato alle
spalle i campi orlati di pacaes pensi alla boscaglia che c’è
dall’altra parte, con canneti e acquitrini formati dalle infil-
trazioni del fiume, dove difficilmente ti potranno trovare i
tuoi inseguitori se riesci a rifugiartici. Cerchi di allungare il
passo, ma con così tanta sfortuna, che improvvisamente sci-
voli e cadi sul terreno argilloso bagnato dalla luna. Intontito
ti alzi e zoppicando un poco continui a correre sentendo di
tanto in tanto spari alle tue spalle. Finalmente, ti lasci dietro
il piccolo monte ed entri nella boscaglia in mezzo al gracidio
dei rospi.
Nascosto in mezzo alla boscaglia, con i vestiti umidi per
le frustate dei rami carichi di rugiada, aspetti immobile di
vedere se appaiono i tuoi inseguitori. Come un rospo salta il
tuo cuore. Le tue tempie battono con forza. In quel preciso
momento hai una brutta sensazione e ti viene da piangere
pensando alla tua Angicha. Sarà forse morta? Chissà chi si
sarà salvato? Come l’avranno saputo i sinchi?… Smetti di
pensare ora che hai sentito delle pietre rotolare giù dal
monte e che la luce potente di un riflettore portatile ispezio-
na la macchia dall’alto. Senti la voce di uno dei sinchi che dà

86
Rosa Coltello

l’ordine di setacciarla. Per tua grande sfortuna, vedi che tre


o quattro di loro vengono esattamente nella direzione in cui
ti trovi. E se gli tendessi un’imboscata?, pensi impugnando
saldamente la pistola piuttosto vecchia che porti sempre
infilata nel cinturone, ne uccideresti uno o due, ma alla
lunga gli altri ti farebbero fuori. Avanzi ancora un po’ cer-
cando di non fare rumore. Per la fretta finisci dentro un
acquitrino e scopri più avanti che anche il terreno inizia a
essere cedevole. È impossibile tornare indietro. Gli uomini
si stanno chiamando tra di loro. Sparano per metterti paura.
Ti dovevi arrendere, ti grida uno, che sapevano che ti trova-
vi là, dovevi uscire con le mani in alto e non ti sarebbe suc-
cesso niente. Ti sposti in mezzo a dei canneti dove la terra è
ancora più molle, a tratti affondi fino alle ginocchia. Due, tre
riflettori stanno ora illuminando senza sosta dappertutto, e
gli uomini non la smettono di gridare che ti dovevi arrende-
re, sempre sparando.
Hai attraversato il canneto, mentre loro ancora non sono
usciti dalla boscaglia, ed entri in un posto pieno di totora.
Oltrepassando il canneto di totora, pensi, c’è spazio libero
per correre e nascondersi nelle pieghe delle montagne o in
fondo a qualche vallone.
Proprio quando stai pensando a questo, fai un passo falso
e affondi fino al collo. Huy! Questo posto è una grande
palude. Gli altri, a quanto pare, hanno trovato le tue impron-
te e ora sì che ti stanno rintracciando come si deve. Senti le
loro voci che si dirigono verso di te. Ti viene il panico pen-
sando che ti troveranno indifeso, a sguazzare in questo fango
che tenta di inghiottirti, senza poter trovare un punto d’ap-

87
Óscar Colchado Lucio

poggio solido. Ti spareranno senza fare una piega. Taita


wamani Pedro Orcco, preghi tra te e te, aiutami, salva que-
sto tuo povero figlio…
– Merda! Questa è una merda! – grida uno dei cachacos
che è sprofondato fino alla vita quando dopo che è uscito dal
canneto ha cercato di avanzare dal lato della totora.
Illuminandolo con la torcia, due dei suoi compagni si sbriga-
no ad aiutarlo.
– Non deve essere lontano il jijuna – dice uno di loro
puntando la luce esattamente sulle canne di totora che ti
nascondono appena. Trattenendo il fiato immergi per lo
spavento la testa sotto il fango. Il fascio di luce devia legger-
mente. Riemergi per un istante, riprendi fiato e torni ad
immergerti. Uno sparo ti fa credere che ti abbiano fatto sal-
tare la testa. Ma non è così. Senti invece la voce ruvida di un
sinchi:
– Quella totora si è mossa, signor tenente!
Fortunatamente per te, che ormai non resisti più, la totora
che si è mossa per un’improvvisa raffica di vento si trova
dall’altro lato. Loro sparano come matti, fino a quando non
si fermano.
– Se non è già affogato, sicuramente l’abbiamo centrato.
Andiamocene!
La tortura finisce quando senti che si allontanano.
– Grazie, taita wamani – sospiri –, chi se non tu ha potu-
to muovere quelle fronde con le sue mani di vento?
Poco dopo, aiutandoti con la totora, ormai quasi senza
forze, riesci ad arrivare più avanti dove il terreno diventa più
duro.

88
Rosa Coltello

Senti i sinchi che si allontanano fischiando e fischiando


tra di loro.

89
Óscar Colchado Lucio

QUASI ACCUCCIATA, sbandando come un’ubriaca,


avanzavo su una duna, gli occhi socchiusi, sotto una canico-
la che schiacciava. Era già molto tempo che camminavo da
quando avevo salutato quel buon mulattiere.
Mi ero appena lasciata alle spalle una pampa ghiaiosa
dove c’erano dei cactus enormi che formavano quasi un
bosco, e che assumendo improvvisamente forma umana, mi
hanno tagliato la strada quando ho cercato di tornare indie-
tro, disperata per non aver trovato il Tutayaq Ukhuman e
vedendo che il deserto si allargava sempre di più fino a toc-
care i limiti dell’orizzonte.
Allungando le loro braccia dalle irte spine, hanno cercato
di prendermi, gridando: Afferratela! Afferratela! Spaventata,
ho iniziato a correre nella direzione di prima, cadendo e
rialzandomi, sentendo le loro risate burlone, Guardati dal
tornare indietro! Guardati dal tornare indietro!
Così, ho dovuto per forza proseguire, convinta di quello
che aveva detto quel mulattiere: «Qui nessuno può tornare
sui propri passi, signora».
E ora che avanzavo affondando in queste sabbie vergini,
con questo sole ormai bianco da quanto ardeva, si doveva
vedere nelle mie pupille un tizzone piccolino che minacciava

90
Rosa Coltello

di crescere e incendiare il mio corpo. Più avanti l’arenile


proseguiva interminabile.
Improvvisamente alzando lo sguardo, ho visto, come in
un sogno, spuntare in lontananza l’immagine sfuocata di un
cavaliere, con il suo cavallo che avanzava come impazzito.
Non ci hanno messo molto ad avvicinarsi e allora ho
potuto vedere meglio: l’uomo, come se fosse stato moribon-
do, si abbracciava penosamente al collo dell’animale.
Mordendo il freno, schiumando dalla bocca, ormai quasi
davanti a me, la povera bestia è stramazzata, disarcionando
l’uomo.
Sono corsa a prestargli aiuto, ma era ormai alla fine.
Con la bocca riarsa, gli occhi spenti, ansimando, mi ha
chiesto se conoscevo il Yawar Mayu. Gli ho detto di sì, che
venivo proprio da lì.
– È ancora lontano?
– Non molto – gli ho risposto per fargli coraggio.
Ha scosso la testa, rassegnato.
– Ormai no – ha detto –, ormai non potrò più salvar-
mi…
Per lo sforzo, la sua pancia si gonfiava e si comprimeva, si
gonfiava e si comprimeva… e aveva chiuso gli occhi. Accanto
a lui, in ginocchio, mentre gli facevo aria con il cappello,
guardando il suo viso dalla fitta barba, ho finito per ricono-
scerlo.
– Lei non è don Jacinto Ricse, taita?
Ha aperto gli occhi con grande fatica e ha cercato quasi
di alzarsi, ma il peso della sua testa lo ha sopraffatto.
– Sì – ha mormorato appena –, e lei chi è?

91
Óscar Colchado Lucio

Gli ho detto il mio nome, e un sorriso dolce ha illuminato


il suo viso. Ha richiuso gli occhi e ora parlava come se fosse
con qualcuno dentro ad un suo sogno: per trovare la sua
salvezza, a quanto pare, doveva assaggiare le acque di tutti i
fiumi della terra e ormai gli mancava solo il Yawar Mayu.
– Ma alla fine, come vede, ho fallito, come ho fallito nella
vita.
Pampino lo chiamavamo perché era discendente dei
morochucos di Cangallo. Fratello minore di don Evaristo
Ricse, che hanno ucciso i militari della base di «Los Cabitos»
la prima volta che hanno raso al suolo Illaurocancha. Alto,
bianco, un bel ragazzo era da giovane, il Pampino. Si è spo-
sato con Emilia Achahuanco e hanno avuto come figlio
Damián che ora fa parte dei distaccamenti degli insorti nella
selva di Ayacucho.
– E che cosa sa di mia moglie, signora? È viva?
– Sì, don Jacinto, è viva, ancora.
– E mio figlio? Il mio Damián?
– Lui è già un giovanotto, don Jacinto, un buon giova-
ne.
Ha sorriso con soddisfazione.
– E lei, don Jacinto, come è morto? Da quando se ne è
andato a Huancavelica in cerca di lavoro nelle miniere, nes-
suno ha più saputo nulla di lei. Sua moglie e suo figlio hanno
sofferto molto.
– Caddi, mamay, durante il tragitto… Uno spirito malva-
gio, in forma di mulinello d’aria, mi fece cadere nell’abisso…
E per colmo dei mali, cadendo la mia testa sbatté contro una
roccia sporgente e si staccò dal mio corpo, finendo nel

92
Rosa Coltello

fiume. Molto tempo passai lamentandomi sulle sponde,


vedendo il mio corpo decapitato e senza sapere come recu-
perare la mia testa dalle acque. Fino a quando ad un viaggia-
tore, che si era fermato a dormire in una grotta là vicino,
apparvi in sogno, e lo supplicai che raccogliesse la mia testa
dal letto del fiume, che così mi sarei salvato. «Io non posso,
gli ho detto, perché sono uno spirito, invece, un umano sì
che potrebbe»… Ed ecco che l’uomo si immerse e la tirò
fuori… Avevo pensato che così mi sarei salvato, che ormai
avrei potuto incamminarmi verso Auquimarca, o verso il
Janaq Pacha, a seconda del volere degli dèi. Ma no, altri pec-
cati, pare che dovessi ancora pagare, e per questo… dove-
vo… Agghh!
Proprio allora ha avuto uno spasmo ed è diventato rigido.
E a poco a poco il suo corpo ha iniziato a diventare traspa-
rente e a dissolversi, innalzandosi come vibrante aria calda,
fino a sparire del tutto.
La stessa cosa stava sicuramente succedendo anche al
cavallo, perché quando mi è venuto in mente non ne era
rimasta la minima traccia.
Pensando che forse sarebbe rinato sotto forma di volpe,
lupo, montone o qualsiasi altro animale, ho ripreso il mio
viaggio.

93
Óscar Colchado Lucio

… CON UNA cattiva notizia stamattina è arrivata doña


Emilia Achahuanco portandomi una zuppa cashqui per cola-
zione… Dice che i suoi animali di doña Corina sono entrati
nel mio bel campo di grano ai piedi de La Colpa e hanno
fatto un disastro… Ah che cacchio, è triste arrivare alla vec-
chiaia e non avere a chi appoggiarsi… Peggio ancora se si è
ammalati… Neanche doña Antolina, la guaritrice, è più in
vita. Lei era quella che ci aiutava più di tutti… Ah, taitito, la
mia vita è sempre stata piena di sofferenze… Ero ancora
bambino quando il mio taita ci portò a vivere nella tenuta
agricola Pomacocha… Lui lì era affittuario… Per un pezzet-
tino di terra che gli dettero da coltivare per sé, doveva lavo-
rare quasi tutti i giorni della settimana per la tenuta… La
cosa più grave era che se saltava un giorno di lavoro gli veni-
vano scalati anche tutti gli altri giorni della settimana in cui
aveva lavorato… Così se ne accumulavano tanti che nemme-
no lavorando ogni sabato e ogni domenica gli bastava il
tempo per adempiere ai suoi obblighi… Io e la mia mamma
eravamo quelli che alla fine lavoravamo nel pezzo di terra
destinato al nostro mantenimento… Ancora piccolo ero
allora, ma anche così dovevo lavorare lo stesso. Si trattasse
di strappare erbacce, di rigirare le zolle o di aiutare la mia

94
Rosa Coltello

povera madre a spingere avanti il tiro dei buoi quando lei


non ne poteva più… Ma non solo mio padre aveva l’obbligo
di lavorare per la tenuta. Anche noi… A turno con gli altri
affittuari ognuno di noi doveva prestare servizio come
pongo… A me mi mandavano a pascolare il bestiame e mia
madre, a occuparsi della stalla delle mucche… Vedendo,
mio padre, che erano più i tormenti che pativamo che i
benefici ottenuti, decise che appena terminato il raccolto di
mais saremmo tornati al nostro villaggio a cercare in qualche
modo di tirare avanti, seminando la poca terra che avevamo
e allevando i nostri animali… Ma il padrone della tenuta si
rifiutò di darci la libertà con la scusa dei debiti di lavoro di
mio padre… Se volevamo andarcene, dovevamo rimanere
per lo meno per un altro anno, secondo lui… e gli offrì in
affitto il frutteto che possedeva nella tenuta di Tarapucro…
era un temple, un luogo molto caldo, anche se abbastanza
generoso di arance e chirimoyas9… la masseria era graziosa,
e il padrone ci dette il permesso di occupare alcune stanze…
Ci sentimmo soddisfatti della nostra fortuna… il lavoro non
sarebbe stato molto duro. C’erano solo da togliere le erbacce
che per il prolungato abbandono avevano ricoperto le pian-
te, potarle e irrigarle regolarmente… Tutta entusiasta mia
sorella che viveva a Llakores, venne con suo marito e i suoi
figli ad abitare con noi… Quello che proprio non riuscivamo
a capire era perché il posto fosse così, completamente
abbandonato, anche se le piante continuavano a dare frut-
9 Annona Cherimola o Cherimoya. Pianta tipica dell’altopiano andino che produ-
ce un frutto molto dolce della grandezza di una mela dalla polpa biancastra e dai
semi neri e duri simili a quelli dell’anguria.

95
Óscar Colchado Lucio

ti… Presto scoprimmo la verità… quel maledetto uomo ci


aveva mandato in un posto dove nessuno voleva andare…
una zona infestata da una zanzara che faceva venire la mala-
ria… Dopo una settimana dal nostro arrivo contraemmo la
malattia… Prima la prese mio padre, poi si sentì male mia
madre… e poi ci ammalammo tutti, con febbre alta… Tra
tutti noi io ero l’unico che anche se mi trascinavo potevo
portar loro l’acqua quando deliravano divorati dalla sete…
In pochi giorni morirono a uno a uno… Quando sono morti
tutti, come un ubriaco, con il corpo che mi spingeva da una
parte all’altra, cominciai ad allontanarmi da quella valle
maledetta… Trascinandomi come potevo, mi ricordo che
avanzavo… Con quella sete che mi tormentava… Se trovavo
del fango, avidamente, me lo portavo alla bocca per assor-
birne l’umidità… Per la fame, mangiavo disperatamente le
erbe o i rami che le mie mani tremanti afferravano… A un
certo punto, non so se svenni o se mi addormentai…
Quando i miei occhi si aprirono dopo non so quanto tempo,
il sole tremolava sulle vette… detti nuovamente inizio al mio
faticoso avanzare… ormai stavo svenendo… Improvvisa-
mente, come in un sogno, intravidi confusamente un alleva-
mento di pecore… insistei nel cercare di andare avanti…
Dei cani si misero a fare chiasso quando si accorsero di me…
e quando ormai stavo per perdere di nuovo conoscenza, vidi
delle ombre che correvano verso di me… Erano i pastori che
venivano a soccorrermi…

96
Rosa Coltello

… AL MIO villaggio, fui accolto dal mio padrino…


Allau, piccolo orfanello, dicendo mi ricevette… Lo aiutavo
nel lavoro dei campi e a pascolare quei pochi animali che
aveva. Ero un giovanotto ormai, e mi innamorai… mi inna-
morai di una ragazza che si chiamava Cristina, figlia di una
persona nel cui campo andavo a lavorare come minka per
puro interesse… Lei mi corrispondeva… Qualche volta dan-
domi un colpetto sulle spalle e ridendo allegramente, mi
diceva, Andiamo… Dove? le chiedevo io… Al fiume stupi-
done, mi rispondeva… Così giocando e parlando, i nostri
corpi si univano… Quando andammo io e il mio padrino a
parlare con i suoi genitori per rendere il tutto ufficiale, si
sono rifiutati categoricamente dicendo che ero un povero
calapacho e che non ero degno della loro figlia. Per la rabbia
me ne andai per un periodo a vivere sulla puna, come man-
driano, contrattato dal padre di don Jacinto Ricse. Passai
lassù vari anni solo in compagnia dei miei cani… Quando
tornai a vivere giù al villaggio, Cristina aveva ormai un mari-
to e mi fidanzai con una donna vedova, Lorenza, che mi
ripagò mettendosi con un altro… Da allora sono solo… e…
Ah, che cacchio, i cani dell’altro versante stanno abbaian-
do!… Quando abbaiano così, tutti agitati, è perché sta arri-

97
Óscar Colchado Lucio

vando un gruppo di persone… forse saranno i morocos o


forse saranno i terrucos! Ah taitito! Speriamo che se ne stia-
no alla larga… non voglio avere problemi di nuovo…

98
Rosa Coltello

IL PARTITO ha deciso che verrà messo a ferro e fuoco il


carcere di Ayacucho per liberare i suoi militanti, reclusi alcu-
ni dall’inizio della lotta armata e altri, invece, più recente-
mente, come nel caso di Angicha, Edith e il medico che la
curava, fatti prigionieri dalla polizia nella vallata del
Pongora.
Di questa decisione del comando superiore sei appena
venuto a conoscenza durante una riunione segreta alla quale
hai partecipato a Cochapampa, dopo due mesi di licenza
concessa dal partito per andare a trovare tua madre e fare
alcuni preparativi per la semina approfittando della stagione
delle piogge.
Abbracciandoti, tua madre ha pianto il giorno in cui sei
arrivato, vestito di stracci, affamato, e tutto pieno di spine,
dicendo, Un terruco sei diventato, figlio mio. Asciugandole
le lacrime con un fazzoletto, le hai risposto:
– Non terruco, mammina, guerrigliero.
– Perché, figlio mio? Perché?
– Per cercare giustizia per i poveri, mammina; per que-
sto.
– Ti uccideranno, figlio mio; e morirò anche io.

99
Óscar Colchado Lucio

– Meglio la morte, mammina, che questa condizione


miserabile, Non ti stanchi mai di soffrire?
L’ombra del monte Pedro Orcco, tuo padre, sembrava
allungarsi verso di te, come per darti il benvenuto. Taita, gli
hai detto mentalmente, Mi aiuterai? Mi proteggerai? A feb-
braio quando la sua testa è avvolta dalle nuvole si diceva che
stesse parlando con il dio Wari Wirakocha. Parla anche al
Gran Gápaj, hai aggiunto, affinché mi illumini.
Un giorno, quando in pensiero per la sorte di Angicha,
per le sofferenze che forse stava patendo, aravi da solo la
terra, sono spuntati dall’alto, dalla puna, quattro uomini,
prudenti, proprio nel momento in cui il cielo si stava facen-
do buio e stava arrivando la tempesta.
Avvolti nei ponchos, impugnati i loro fucili, sono arrivati
dove ti trovavi. Erano Santos e tre nuovi compagni, che non
conoscevi. Volevano parlare con te. Era meglio andare nella
tua capanna.
Lì ti avrebbero poi informato che si trovavano a Pujas,
Buenavista, Chumbes, Umaru e altri luoghi vicini per dare
nuovo slancio alle scuole popolari. Ma che ora c’era da por-
tare a termine una missione urgente, compagno, ed era la
conquista del carcere di Ayacucho che il Partito aveva appe-
na ordinato. Cosa per la quale facevano affidamento sulla
tua partecipazione.
Non hai potuto evitare che un leggero brivido ti percor-
resse il corpo.

100
Rosa Coltello

AYACUCHO. 7.30 di sera. Il cielo preannuncia tempe-


sta.
Abbandonando il boschetto di molles, eucalipti e canneti
che cresce ai piedi della chiesa di Quinuapata il plotone di
cui fai parte, comandato da Santos, si dirige verso una casa
dall’apparenza umile che si alza sulle pendici della monta-
gna.
Quello che vigila lì intorno, con la mitraglietta sotto il
poncho, veloce si avvicina a quello che conduce il gruppo e
gli dice a bruciapelo:
– Puka
– Piccante – gli risponde l’altro a bassa voce.
Dentro, lo stesso nervosismo sta accalorando sicuramente
gli animi. Un certo Lucho recrimina a un compagno chiama-
to Flavio: perché cercava pretesti per non entrare in azione?
Non si rendeva forse conto, compagno, che se il Piano fosse
fallito, la reazione avrebbe con tutta probabilità assassinato
i combattenti, le masse, e i prigionieri che avrebbero appli-
cato il piano all’ora stabilita, trovandosi poi a fare i conti con
la sorpresa della nostra assenza? Lei è di destra, compagno,
un miserabile, che non ha preparato niente, che non ha pre-

101
Óscar Colchado Lucio

visto niente. E se non voleva guidare le azioni le avrebbe


guidate lui, compagni.
Il problema era che ancora non erano arrivate le armi e i
camion. E quel Lucho incolpava di questo Flavio. Quello ha
continuato ancora a parlare, mentre questo, senza interrom-
perlo, lo guardava con un lampo di rancore negli occhi: Lei
vuole boicottare l’azione solo perché nell’assemblea è stata
bocciata la sua tesi secondo la quale con l’assalto al peniten-
ziario si stavano mettendo a rischio le vite dei compagni
prigionieri, quando lei sa benissimo che sono stati invece
proprio loro che ci hanno rimproverato di non stare facendo
niente per liberarli. Quello che io penso è che hai paura,
compagno, paura di morire in azione…
Erano ormai quasi le otto di sera, e continuava ad andare
avanti la requisitoria. Proprio in quel momento, hanno bus-
sato alla porta: erano i compagni che portavano le armi
dentro a dei sacchi. Hanno chiesto scusa per aver tardato,
avevano avuto molti problemi, ma ora siamo qui. Tra di loro
hai riconosciuto Carla e il suo giovane marito Jesús. Subito
hanno cominciato a distribuire le armi; ma, per colmo dei
mali, erano sporche, piene di terra, appena dissotterrate. In
fretta e furia, vi siete messi a pulirle, mentre veniva fatto
l’appello dei plotoni e dei reparti. Solo in venti avreste par-
tecipato all’operazione. Ma, in compenso, avreste potuto
contare su gruppi di appoggio all’interno della stessa città,
soprattutto studenti delle superiori e universitari, ai quali
solo alcune ore prima lo avevate fatto sapere, per evitare
interferenze da parte dei servizi segreti della polizia. Anche
la gente dei quartieri poveri avrebbe dato una mano, «com-

102
Rosa Coltello

pagni coerenti e decisi che in seguito sarebbero stati fatti


entrare nella lotta». Loro avrebbero percosso lamiere, spara-
to fuochi di artificio, gridato slogan e fatto tutto il necessa-
rio, in punti equidistanti della città, per creare confusione e
simulare un attacco di massa. Alcuni reparti avrebbero attac-
cato in quello stesso momento il presidio della guardia civile,
quelli della polizia investigativa, e quello dell’esercito; per
farli rimanere trincerati, impedendo loro di uscire, mentre il
commando avrebbe portato a termine la sua missione.
Dopo che sono arrivati i camion e prima di partire per il
combattimento, Lucho vi ha arringato: Compagni, tutti vi
eravate impegnati di fronte al compagno Gonzalo e al
Partito, rinsaldati nell’invincibile ideologia del marxismo-
leninismo-maoismo-pensiero guida, coscienti che la nostra
partecipazione alla guerriglia avrebbe rafforzato la lotta
armata. Il sangue versato eroicamente feconderà la rivolu-
zione. Assumiamo i nostri posti di combattimento, svolgia-
mo bene il nostro compito. Il piano del Partito sarebbe stato
un folgorante successo, una tappa gloriosa della guerra di
guerriglie…
Alla fine, già sul punto di partire, ha detto: Combattenti,
diamoci un abbraccio da compagni e partiamo che ormai è
ora!
Immediatamente dopo esservi abbracciati, avete varcato
la porta e siete usciti. Tu ti sentivi coraggioso, come si sarà
sentito quella volta taita Cáceres quando dal monte
Acuchimay si lanciò con i suoi montoneros sulla caserma di
Santa Catalina, di Huamanga, dove si era acquartierato un
distaccamento cileno, che lui aveva fatto fuggire per impa-

103
Óscar Colchado Lucio

dronirsi poi delle loro armi. Così anche tu sei uscito pieno di
coraggio, pensando che alla fine avresti dimostrato ad
Angicha che non ti importava niente della morte se la dove-
vi affrontare per lei e per il Partito.
La notte era fresca. In alto, nel cielo, nello spazio che i
nuvoloni neri permettevano di vedere, delle stelle paffute
risplendevano, come delle polpe fatte di luce, augurandovi
buona fortuna. Guardandole, hai baciato il tuo llullo piccolo
toro, l’illa di pietra che porti sempre ollcao al collo. Gli chie-
di che preghi gli dèi di aiutarti ora che ne hai così tanto
bisogno.

104
Rosa Coltello

LE TORRETTE del carcere sono già state fatte saltare


con la dinamite e i corpi delle guardie repubblicane che
difendevano l’entrata fatti a pezzi, quando voi, dando inizio
all’operazione soccorso, siete corsi verso le celle, dopo esser-
vi impadroniti delle chiavi, e tra il fumo e il polverone vi
davate da fare aprendo i cancelli per far scappare sia i dete-
nuti politici che quelli comuni.
Esattamente alle 11.30 di notte era iniziato l’attacco. Il
vostro gruppo ha appoggiato il plotone di sfondamento,
all’interno del quale Lucho ha svolto il ruolo più pericoloso:
dopo avere acceso una carica di dinamite, ha avanzato come
un temerario lungo la stradina che conduceva alle porte del
penitenziario. Arrivato all’angolo, si è diretto di corsa a posi-
zionare l’esplosivo sulle porte. Vedendolo, le guardie hanno
cercato di fermarlo, ma lui è riuscito nel suo obiettivo.
Allora, sparando all’impazzata, sono riusciti a ferirlo. Ma a
loro volta sono stati colpiti da voi. A terra e sanguinante,
Lucho ha cercato di allontanarsi dal posto, trascinandosi
come poteva; ma in quel momento c’è stata l’esplosione che
ha scosso tutta la città e ha aperto una breccia nel muro del
penitenziario e che ha piegato verso il basso uno degli spio-
venti del tetto.

105
Óscar Colchado Lucio

– Viva la lotta armata! Libertà ai compagni!


Dai tetti vicini i cecchini, armati di Fal, sparavano per
uccidere contro i poliziotti che si trovavano all’interno del
carcere, nello stesso momento in cui un terzo gruppo, sotto
il comando di Carla, faceva saltare in aria la parte posteriore
della torretta numero uno, insieme con il poliziotto che la
occupava.
Più di cinquanta detonazioni di cariche di dinamite e
l’incessante crepitare delle mitragliette hanno fatto tremare
Ayacucho.
Nel carcere, c’era una grande confusione quando voi siete
entrati sparando alle guardie, che sono cadute, una dietro
l’altra, contorcendosi sul pavimento. Alcuni assalitori entra-
vano dal retro scalando le pareti. In fondo si vedevano
risplendere le fiammate degli spari. Era tutto un gridare, un
dare ordini, un correre, un crepitare di mitra, un esplodere,
un denso odore di polvere da sparo…
Mentre, un gruppo saccheggia il magazzino delle armi e
delle munizioni, tu hai appena aperto le sbarre dietro alle
quali si trovano le prigioniere e aiuti ad uscire Angicha ed
Edith, tra le altre, quando ormai erano sul punto di asfissia-
re per il fumo e il polverone. Ad Angicha porgi la tua pisto-
la. Lei sussurra un qualche ringraziamento e si lancia fuori in
strada gridando, Viva il compagno Gonzalo! Viva la rivolu-
zione! Subito prendi posizione per coprire la fuga di quelli
che scappano, che escono tutti di corsa, euforici, calpestan-
do i cadaveri di guardie, secondini, e assalitori sparsi in qua
e là che bagnano il pavimento con il loro sangue. Con dolo-
re riconosci il corpo morto, con la mitraglietta Star stretta in

106
Rosa Coltello

mano, di Eduardo, il medico che ha curato Edith nella val-


lata del Pongora.
Vedendo che quasi tutti sono fuggiti, anche tu corri die-
tro all’ultimo gruppo, portandoti via la mitraglietta di
Eduardo; ma non ti accorgi che una delle guardie, sdraiata
sul marciapiede, ti ha appena visto tutto sfuocato, come in
un sogno. Alzando con un enorme sforzo la mano insangui-
nata che stringe una pistola, facendo un ultimo sforzo prima
di cadere definitivamente a terra morto, preme il grilletto e,
Pam! Parte il colpo e ti prende.

107
Óscar Colchado Lucio

MA NON cadi.
Ferito alla gamba, sopportando il dolore, continui a cor-
rere per qualche isolato in mezzo all’oscurità della strada.
Un dolore intenso, come quello di una stilettata, ti fa con-
trarre e portare la mano sulla ferita. Senti il sangue caldo,
appiccicoso, che ti scende lungo la gamba. L’acqua della
pioggia che sta bagnando i tetti, inzuppa i tuoi vestiti e fa
luccicare l’asfalto. In quel momento ti incroci con quelli del
contenimento, che stanno scappando, Eri ferito, compagno?
Ti avrebbero aiutato. E quando due di loro cercano di cari-
carti in spalla, si sente la sirena di una macchina della polizia,
e contemporaneamente la luce dei fari illumina il muro della
cantonata. Immediatamente, la macchina entra nella strada
lastricata dove vi trovate voi. Scappate! Correte, compagni!,
dici. E loro con un balzo si sparpagliano, lasciandoti là. Per
un soffio riesci ad appoggiarti ad un pilastro che sporge da
un muro. Con il corpo ben appiattito, senza respirare, lo
sguardo fisso, invocando tutti gli dèi, vedi passare davanti a
te, a tutta velocità, la macchina della polizia, che qualche
isolato più avanti viene ricevuta frontalmente, dal lancio di
bombe e granate, per mano di quelli del contenimento.
Cerchi di avanzare ma il tuo corpo collassa su se stesso.

108
Rosa Coltello

Proprio allora, sollevando lo sguardo vedi improvvisamente


un uomo in piedi di fronte a te, uno sconosciuto vestito in
maniera strana: con giubba e pantaloni di vigogna, barba e
capelli lunghi, senza armi e cose del genere, che ti dice por-
gendoti la sua schiena, Andiamo, afferrati al mio collo!
Ubbidisci. E mentre lui avanza portandoti a spalla per una
stradina scura e deserta, la stessa dove qualche giorno prima
era fallito un tentativo di fuga dei guerriglieri prigionieri, ti
sembra di essere portato da un uomo che cresce e cresce e le
cui spalle vanno allargandosi. L’uomo continua a correre
come se non stesse portando alcun peso. Finalmente, arriva
al luogo da dove sta partendo l’ultimo degli autocarri prepa-
rati per la fuga. In mezzo alle esplosioni che ancora si sento-
no, in fretta i compagni, tra cui anche Angicha, ti aiutano a
salire. Senti un grande sollievo quando il tuo corpo rotola sul
pavimento del cassone. Solo l’uomo che ti ha portato non è
salito. Rimane fermo, con le mani sui fianchi, guardandoti
mentre ti allontani. Tu ti sporgi dal portellone dicendogli
che corra, che salga. Lui fa un gesto che tu non capisci. E
quando ormai il camion inizia a prendere velocità, gli
domandi urlando il suo nome. «Pedro» ti risponde prima di
voltarsi e allontanarsi a passi lenti nell’oscurità di una strada.
Pedro? Ti metti a pensare. Qualche isolato più avanti il
camion si ferma per un momento. Sale su un gruppo di circa
dieci persone, tra i quali riconosci Santos ed Edith.
Il camion parte a tutta velocità in mezzo all’acquazzone.
Esce dalla città fra gli spari sempre più sporadici che ancora
si sentono. Ancora stupito, chiedi ad Angicha, mentre ti sta
bendando la ferita, Perché il compagno Pedro che ti ha por-

109
Óscar Colchado Lucio

tato lì non era salito? Pedro? arriccia il naso lei, sorpresa,


non conosceva nessun Pedro tra i compagni, e tu sei arrivato
da solo, quasi trascinandoti, non ti ha portato nessuno.
Allora qualcosa come un fremito ti scuote: sarà forse stato
Pedro Orcco? Il taita dio montagna? Gli altri intonano una
canzone rivoluzionaria.

110
Rosa Coltello

COME UNA PIETRA sotto il sole stavo stesa nel deserto,


senza potermi muovere, con il corpo collassato su quelle sab-
bie ardenti, senza neanche le forze per trascinarmi. Tutto il
deserto sembrava essere sul punto di esplodere per la forza di
quelle lance di fuoco che scendevano giù da quel cielo di sale.
Sentivo un terribile calore che mi entrava dalla nuca verso il
cervello, che sentivo già in fiamme. Forse sparirò come don
Jacinto Ricse, ho pensato spaventata. Improvvisamente, non
so come, è comparso di fronte a me un piccolo puquial dalle
acque trasparenti, cristalline. Come potevo, allora, a gattoni,
ho cercato di arrivarci. Però, più io avanzavo, più il piccolo
puquial sembrava ritirarsi e ritirarsi. Ci ho messo allora mag-
giore impegno e, in breve, ho creduto di essere arrivata sulle
sue sponde. Avidamente allora ho immerso le mia labbra
riarse, e, invece che nell’acqua, mi sono resa conto con ama-
rezza, di aver affondato i miei denti nella sabbia. Quando mi
sono pulita la faccia e ho guardato con i miei occhi appanna-
ti, ho visto di nuovo, là in fondo, il piccolo puquial. In quel
momento è apparsa in lontananza una muta di cani, che
abbaiavano, correndo verso di me. Pensando che fosse un’al-
tra allucinazione, abbandonandomi del tutto, sono rimasta
immobile, sentendo che stavo per svenire.

111
Óscar Colchado Lucio

– ROSA! ROSA! Svegliati – ho sentito che mi parlavano


come se stessero abbaiando – Bevi dal mio orecchio, mi
senti?
Come in un sogno ho creduto di riconoscere la voce di
Wayra. Sentivo le palpebre pesanti quando ho aperto gli
occhi. Sfocata, ho visto la mia bestiolina, ferma dinanzi a me.
Dietro di lui, un branco di cani mi guardava in silenzio.
Inclinando la sua testolina, si è steso accanto a me chie-
dendomi di bere l’acqua con la quale aveva riempito l’orec-
chio.
Con che avidità l’ho bevuta quell’acqua bella fresca, cri-
stallina, sentendo che mi restituiva le forze, che mi rinfran-
cava.
– Grazie, Wayra mio, grazie papay – dicendo l’ho abbrac-
ciato forte stringendomelo al petto, e mi sono seduta. Anche
lui, allegro, agitava la coda, mi leccava le mani, la faccia,
abbaiando gioiosamente.
Gli altri cani, abbaiando, parlando a Wayra nella loro
lingua a quanto pare, hanno iniziato ad allontanarsi, a poco
a poco, trotterellando.
– Vanno in cerca dei loro padroni – mi ha detto Wayra
–, per soccorrerli come io ho soccorso te.

112
Rosa Coltello

– Ma tu mi hai abbandonata, Wayra, lo hai dimenticato?


– gli ho detto con un po’ di risentimento.
– È stato Taita Rumi – mi ha detto –. Il signore delle
Pietre, che me lo ha impedito, sicuramente per far sì che tu
ti perdessi. Questi saranno i suoi piani. Forse devi soffrire
ancora di più prima di arrivare al Janaq Pacha.
– Passando da qua, credi che arriverò?
– Arriverai, donna, se non me lo impediscono un’altra
volta gli dèi.
Rincuorata dalle sue parole, mi sono alzata decisa a
seguirlo ovunque mi avesse condotto.

113
Óscar Colchado Lucio

… MENO MALE, che non si sono fermati… Hanno solo


chiesto, a quanto pare, di me… La gente ha detto che sicura-
mente sono morto, perché ormai non mi hanno più visto da
quando sono stato attaccato da degli sconosciuti… Taita
Dio!, circa cinquanta terrucos hanno detto che erano…
Prima sono stati dalle parti di Ocros dove hanno acciuffato
due agenti e li hanno portati nella piazza. Là li hanno solo
rapati, non li hanno uccisi… Prima, il sergente, avvisato da
un ragazzino, è riuscito a scappare… A quei poliziotti che
hanno rapato si dice che abbiano detto, Se volete andate pure
ad avvisare i vostri colleghi, che vi aspetteremo qua… Poi,
mettendosi le divise che hanno trovato nel posto di polizia, si
sono diretti ad Ayrabamba… Prima, in verità, hanno fatto
domande alla popolazione circa certe persone… Loro già li
conoscono, a quanto si dice, perfino i loro soprannomi…
Allora sono andati a prendere uno che ogni volta che si ubria-
ca picchia sua madre… Portandolo in piazza hanno chiesto a
tutto il villaggio, Cosa dite, lo ammazziamo?… La gente ha
detto, No, se picchierà ancora sua madre sì; ma per ora che
sia perdonato… Va bene hanno detto i terroristi, per ora che
sia solo frustato; ma se mancherai ancora di rispetto a tua
madre, sai già quello che ti capiterà. Noi siamo qui vicino,

114
Rosa Coltello

sappiamo tutto. Non credere che quando ce ne andremo non


ritorneremo più, no; fai attenzione… Quando sono arrivati
ad Ayrabamba si dice che la primissima cosa che hanno fatto
è stato chiedere dell’amministratore… Ma lui non si trovava
nel villaggio, ma era andato più in alto, impegnato a vaccina-
re una mucca… Quando sono andati ad avvertirlo che degli
agenti lo cercavano urgentemente, ha detto, Questi maledetti
vengono sicuramente a prenderci qualcosa e oltretutto vor-
ranno pure che gli facciamo una festa, digli che non ci sono…
Allora gli hanno detto che erano molti e che sembravano più
terrucos che agenti e che avevano avvertito che non doveva
aspettare che lo andassero a cercare perché la cosa si sarebbe
messa male… A quel punto l’uomo si è spaventato e ha man-
dato a dire che sarebbe subito sceso giù… Appena è arrivato
l’hanno acciuffato. Nella piazza hanno chiesto a tutti, come si
comportava quell’uomo con loro… Quelli della cooperativa
che soffrivano pensando che l’avrebbero ucciso, hanno
dichiarato che era un buon uomo, che si comportava bene
con loro… Allora gli hanno detto, senti, la gente di qua dice
che ti comporti bene, che non ci sono lamentele nei tuoi con-
fronti. Se è così, continua pure, lavora onestamente per il
bene di tutti e avrai il nostro appoggio… Poi sono venuti da
queste parti e, a quanto pare, si dirigono a Ccajamarcca o lì
vicino, andandosene dalle parti del Ukhu Mayo, per evitare
che li scoprano gli elicotteri da combattimento, che li cercano
per «affumicarli» come strombazzano i truppakuna… Solo
dall’aria dicono che i militari possono infliggergli delle perdi-
te, perché per quanto riguarda le operazioni di terra sembra
che gli scontri si svolgano alla pari…

115
Óscar Colchado Lucio

SULLA STRADA dei Libertadores scappate fino all’al-


tezza del chilometro 23. Là abbandonate il camion e decide-
te di fare «Il salto all’indietro»; cioè, ritornare a Huamanga
per un’altra strada, per confondere i vostri inseguitori che
proseguiranno oltre cercandovi in luoghi più lontani. Avete
deciso stando a quanto dicono di applicare la tattica «del
cane e della lepre» come consigliava Ho-Chi-Min nel suo
manuale del guerrigliero, e che ha dato buoni risultati ai
combattenti vietnamiti contro gli yankees.
Ma ci sono problemi durante la fuga che si fa di volta in
volta più difficile: tu sei ferito, con un proiettile nella gamba,
e un’infezione che ti sta annientando con il passare delle ore.
Ahi, merda quanto ti fa male, cazzo! I tuoi compagni ti tra-
sportano in quirma, quella barella artigianale che portano a
turno, scendendo lungo ripidi pendii e tortuose mulattiere,
avanzando di notte e nascondendosi di giorno. E così, in
questo modo, arrivate a Laramate, alle propaggini della cor-
digliera e sulle sponde del fiume Cachi, dove precedente-
mente i compagni avevano reclutato molte persone. La
compagna Carla è di un villaggio vicino: Buenavista, verso la
cui casa si stanno dirigendo vari compagni per rifugiarsi.
Angicha, che aveva un familiare a Pihuán, ha deciso di por-

116
Rosa Coltello

tarti lì affinché si prendano cura di te. Lei e Santos con un


piccolo gruppo si sono fatti carico di trasportarti.
Non sai come, ma tua madre è arrivata fino a questo
luogo situato in piena puna. I compagni si sono quasi infasti-
diti; tuttavia hanno chiuso un occhio. Mamita, le hai detto
vedendola, divorato dalla febbre, torna a casa, guarirò, non
piangere; e anche se muoio devi rallegrarti perché così devo-
no morire i runa: lottando per il loro popolo. Lei ha versato
le sue lacrime, inconsolabile. Proprio quel giorno, la sera,
quando cominciava a fare notte, è arrivato l’emissario di
Angicha accompagnato da un uomo alto, magro, bianchic-
cio, con dei sottili baffetti biondi, che avevi visto una sola
volta ad Illaurocancha che parlava con Santos, lo stesso che
oggi si presentava come Anselmo. Era medico, e ha iniziato
a visitarti quando sentivi ormai di trovarti sull’orlo dell’inco-
scienza.
Il giorno dopo, quando tua madre ha deciso di portarti a
tutti i costi a Huamanga per farti curare, Anselmo si è oppo-
sto.
No, ha detto, lo ucciderete, gli estrarrò subito il proiettile
e guarirà con le iniezioni e le pastiglie che gli darò. Bisogna
solamente portarlo in un luogo più nascosto affinché riposi
tranquillo e si rimetta. È stato così che ti hanno trasferito in
una piccola capanna nascosta che era in fondo al vallone,
dove, dopo l’operazione, ti hanno affidato alle cure di tua
madre e della padrona della capanna: una guaritrice. Prima
di allontanarsi Angicha si è chinata sopra di te. Ti ha guar-
dato con un misto di tristezza e affetto, e dopo averti dato
un bacio sulla guancia, ti ha detto, Guarisci presto, Liborio,

117
Óscar Colchado Lucio

che ti aspetta il tuo posto di combattimento. E a te, con un


sorriso forzato, l’unica cosa che ti è venuta in mente è stata
la parola d’ordine per l’assalto del carcere di Huamanga, e le
hai risposto, Puka piccante, compagna!

118
Rosa Coltello

DOPO SOLO due giorni fortunatamente la febbre ha


iniziato a scendere. A parte le medicazioni che ti ha pratica-
to Anselmo, ti hanno fatto molto bene i rimedi a base di erbe
che doña Antolina, la guaritrice, ti ha dato da bere. Anselmo,
pensi ora, nel silenzio di una nebbiosa metà mattinata in
assenza di tua madre e della guaritrice che sono uscite lì
attorno a raccogliere pannocchie tenere. Anselmo, le sue
mani delicate stavano diventando dure, forse più che per i
ferri del mestiere per le armi e la dinamite che maneggiava.
Ma, e Jaime? E il medico Eduardo? E quelli che hai cono-
sciuto durante l’attacco al carcere di Ayacucho? C’era chi
portava occhiali, orologi e anelli. Ed erano bianchi, quasi
biondi, alcuni. Non erano contadini. Sembrava che covasse-
ro rancore nei confronti di quelli della loro stessa casta che
erano al governo. E Santos? E Angicha? Anche loro erano
mistis, anche se si travestivano da contadini o lo erano stati
un tempo. Continuavano a credere ancora agli dèi monta-
gna? Alla Pachamama, a Wiracocha? Sembrava proprio di
no. Neanche agli dèi cristiani forse, perché alcune volte li
avevi sentiti parlare male dei preti e perfino del Papa, dicen-
do di quest’ultimo che invocava la pace e nel frattempo
benediceva le armi degli autori di genocidi. Loro stavano

119
Óscar Colchado Lucio

guidando la rivoluzione adesso; ma, fino a che punto la rivo-


luzione avrebbe coinvolto i nativi? Oppure era solo per
deporre i bianchi capitalisti come dicevano e poi loro sareb-
bero stati i nuovi governanti, senza che i runa avessero voce
in capitolo nella direzione di quel governo? Ci vorrebbe,
pensi, un governo nel quale noi nativi puri avessimo il pote-
re una volta per tutte, senza essere di nuovo solo di sostegno
agli altri. A questo punto sì, cacchio, che ti entusiasmi, tor-
neremmo a ballare senza vergogna le nostre danze, invece di
quei balli stranieri; parleremmo di nuovo il runa simi, la
nostra lingua; adoreremmo senza paura dei preti gli dèi nei
quali ancora crediamo. Solo se questa era la posta in gioco
valeva la pena di combattere; altrimenti, per quale ragione?
Perché altri bianchi continuino a farci vivere come piace a
loro? Sì, avresti parlato di questo con Angicha. Forse sareb-
be stata d’accordo con te.

120
Rosa Coltello

ORA STAVAMO iniziando a scendere con Wayra verso


una spaventosa gola chiusa tra due montagne di pura roccia
viva. Sentiero stretto e ghiaioso, disseminato di pinnacoli
acuminati che, come delle lance puntavano verso il cielo. Un
vento improvviso ha sferzato con forza le rupi.
– Fai attenzione – mi ha detto Wayra –. Cammina appog-
giandoti bene alle pareti del baratro perché questo vento
facendo un mulinello shucucuy può farti cadere sul fondo,
dove scorrono le acque del Marañón che entrano dentro alla
terra.
– Il Marañón?
E la terra tremava, davvero.
– Sì, perché è la stessa Yacumama, la terribile serpe
amaru, le cui acque diventano fuoco all’interno. Ascende al
cielo e di notte la puoi vedere come il fiume bianco, e duran-
te gli acquazzoni come il fulmine.
«Un’altra delle amaru è la Sachamama, ha aggiunto, che
uscendo dalla terra cammina eretta, come un tronco, e poi
ascende al cielo trasformandosi nell’arcobaleno. Lei e la
Yacumama percorrono i tre mondi: quello di sopra, questo
qua, e quello di dentro».

121
Óscar Colchado Lucio

Un’imboccatura aperta di traverso sulla montagna è


apparsa improvvisamente dinanzi a noi.
– Da qui – mi ha detto Wayra –. Da qui si entra nell’Ukhu
Pacha.
E ho sentito il mio corpo che tremava.

122
Rosa Coltello

DENTRO ERA molto buio. Si sentiva qualcosa che sem-


brava un vento che piangeva, prigioniero, perché non poteva
uscire dalle spaccature della terra.
Ho toccato le pareti di quell’ampia caverna lungo la quale
avanzavamo strusciando i piedi, saggiando il terreno, per
non inciampare o cadere nel vuoto. Quando ho portato alla
bocca per assaggiarla una gocciolina d’acqua che mi era
colata sulle dita ho sentito che aveva un gusto rugginoso,
salato e acido.
A poco a poco i miei occhi si sono abituati all’oscurità e
riuscivo ormai a vedere per lo meno le sporgenze della volta
e delle pareti.
Più avanti, siamo sbucati in un luogo molto strano: uno
spazio aperto, illuminato come da bagliori di luna, con mon-
tagne, valloni e alberi che sembravano bruciati.
– Qui inizia la vallata della condanna – ha detto Wayra,
proprio nel momento in cui si è sentito un parrh! parrh!, un
rumore di ali in mezzo alle pietre, che mi ha fatto voltare
spaventata.
– Non ti spaventare – ha cercato di rassicurarmi –.
Questo svolazzare è quello delle malpas, i bimbi che stanno
gattonando tra le pietre. Questo è il Tutayaq Ukhuman, dove

123
Óscar Colchado Lucio

avevi così tanta voglia di arrivare. Più avanti si trova il


Supayhuasi e il mare di fuoco.
Non so che cosa mi prese per via del nervosismo.
– Il mio Shimuquito, aiutami a cercarlo, Wayra. Credi
che lo troverò?
– È molto difficile – ha risposto –. I loro visini sono quasi
tutti uguali. Ora vedrai.
Così dicendo è andato avanti perché lo seguissi. Faceva
molto freddo in quel luogo, come se fossimo vicino a un
ghiacciaio.
Io l’ho seguito leggera leggera, vedendo più in basso una
laguna punteggiata di totora, all’interno della quale si trova-
vano, shsh!, come delle formiche, dentro l’acqua o sulle rive,
una gran quantità di neonati.
Tutti calapachos, con le loro alucce consunte, ormai quasi
senza piume, quegli angioletti che gattonavano sulle rive
piene di sassi, succhiavano i chungos, quelle pietre rotondeg-
gianti, come se fossero dei seni di donna.
– Loro sono quelli che non ce l’hanno fatta nemmeno ad
attaccarsi al seno delle loro madri – mi ha indicato Wayra.
Ansiosa di riconoscere il mio figlioletto mi sono avvicina-
ta al posto dove si trovavano quelli più grandicelli. Questi
sentendo i miei passi, hanno iniziato a gattonare disperata-
mente, ferendosi con le pietre, fino ad entrare in quelle
acque bianche, schiumose, che venivano dal Wakay Mayu e
si raccoglievano qua per continuare sicuramente a scorrere
verso il Marañón.
L’acqua doveva essere estremamente gelida, perché quel-
le creaturine tremavano, facendo sbattere, qualcuna di loro,

124
Rosa Coltello

le gengive nude, senza denti, mentre sguazzavano disperate


per mantenersi a galla, cercando di arrivare all’altra sponda,
dove ai piedi di un monte che circondava parte della laguna
stava ammucchiata la maggior parte di loro.
– Simóooooon! figliomiooooo!… Sono tua madre! – ho
gridato con tutte le mie forze, sperando che mi riconoscesse
e venisse verso di me.
Ma è stato inutile, nessuno si è mosso.
Facendo il giro della laguna mi sono diretta allora verso
quel mucchio di rocce dove stavano tutti, camminando
piano piano per non spaventarli. E prima che si buttassero
di nuovo in acqua, mi sono potuta avvicinare a sufficienza
per poter guardare il loro visino, constatando con tristezza
che era vero quello che mi aveva detto Wayra: erano tutti
esattamente uguali, a eccezione della grandezza. Mi guarda-
vano di sbieco, come gli uccellini, come se non pensassero a
niente.
Dopo che si sono gettati in acqua, Wayra è venuto accan-
to a me, silenzioso, con le orecchie basse, come se non aves-
se il coraggio di dirmi che dovevo rassegnarmi.
Piangendo ho cominciato ad allontanarmi da quel posto,
seguita da vicino dalla mia bestiolina.

125
Óscar Colchado Lucio

NON AVEVAMO avanzato molto, quando in quel preci-


so momento:
– Donnng!
Il suono sordo di una campana che veniva dal monte ci ha
fatto voltare. E abbiamo potuto vedere stupiti che filtrando
attraverso quell’aria nero-bluastra che circondava tutto quel
luogo, un raggio di luce dorata scendeva dalla profondità di
quel cielo, attraverso il quale adesso stava salendo, spedita,
una bella colomba bianca, come trascinata da quella luce.
Qualche istante dopo, la colomba era scomparsa e il raggio
di luce si era dissolto.
– È un malpa che si è appena salvato – mi ha detto Wayra
– rendiamo grazie al taytacha Dio che ha appena preso un
nuovo giardiniere per il suo regno.
– E come si è salvata quella piccola anima, Wayra?
– Sicuramente avrà trovato tra le rocce lo huatu, la corda
del battaglio della campana del Janaq Pacha, e per sua fortu-
na lo avrà tirato ottenendo la sua salvezza.
– E quelli che non la trovano, Wayra, rimangono per
sempre a soffrire quaggiù?

126
Rosa Coltello

– A volte si trasformano in folletti o ichic ollco, e tornano


sulla terra a combinare guai o a dare fastidio ad altri bambi-
ni.
– Credi che il mio piccolo Simón si sia salvato?
– Chissà! Forse avrai fortuna e nel Janaq Pacha lo trove-
rai.
Sapevo che erano parole per consolarmi, ma dentro di me
ho ringraziato Wayra di tutto cuore.
La discesa continuava ancora, e mentre stavamo avanzan-
do, un wanchaco, uno di quegli uccelli con il petto rosso e le
ali nere, è passato volando sopra le nostre teste in direzione
della laguna.
– Credevo che in questi luoghi non ci fossero uccelli – ho
detto.
– È un nuovo malpa che è appena arrivato – ha detto
Wayra –. È in questo modo che arrivano le piccole anime.
Non appena si appollaiano vicino alla laguna, il freddo fa
rattrappire le loro ali e non possono più volare. È allora che
prendono di nuovo la loro forma umana.
In lontananza, obliquamente alla montagna lungo il cui
vallone camminavamo, si apriva un’altra caverna. Un’altra
nera bocca che ci avrebbe inghiottito.

127
Óscar Colchado Lucio

… ALALAU! Che freddo, caspita!, nemmeno queste tre


o quattro coperte con cui mi sono avvolto mi riscaldano…
Prima la febbre che non mi abbandonava mai e ora anche i
brividi… Doña Emilia è andata in cucina a far bollire l’ac-
qua, perché me la metta ai piedi dentro una bottiglia. Per
vedere se mi riscaldo un po’… Proprio lei mi ha detto che
oggi è stato il suo pichcay di Rosa Coltello… Le poche per-
sone che sono rimaste nel villaggio dice che siano andate al
fiume a lavare i vestiti della defunta e che abbiano preparato
ogni tipo di cibo per offrirlo alla sua anima… Stanotte
veglieranno i suoi vestiti… Di dolore per suo figlio è morta
la poveretta… Covava rancore contro di me in questi ultimi
tempi a causa delle denunce che ho fatto contro i terroristi
di fronte ai rappresentanti del governo e per il contributo
che io stesso ho dato nell’inseguirli per ucciderli… è che tra
i sediziosi c’era suo figlio, Liborio, o Túpac, come lo chiama-
vano i senderos… Poveretta, io di lei ho sempre avuto tanta
stima… è stata una donna che ha sofferto molto… orfana sin
da giovanissima. Lei da sola doveva lavorare per mantenersi,
sia pascolando i suoi animali che coltivando il suo pezzettino
di terra… E dopo che è morto anche suo marito, Domingo
Pariona, ha sofferto molto allevando i suoi due figli, dei

128
Rosa Coltello

quali uno è morto in tenera età, lasciandola sola con Liborio


per la sua rovina… Mi ricordo di quella volta che l’avvisaro-
no che suo figlio era morto durante l’attacco dei terrucos al
carcere di Ayacucho… La poveretta, sembrava impazzita,
affittò una bestia e, senza preoccuparsi di nient’altro, si è
diretta sulla strada per Chumbes… Mi sembra di vederla
ancora, con i capelli scarmigliati, la sua mantella che svento-
lava, perdersi tra gli eucalipti della sua casa di doña María
Huachoca… Quelli sono stati anni terribili… beh, forse ora
anche di più, anche se ormai ci siamo quasi abituati… A
quei tempi come ci facevano rabbrividire le notizie che arri-
vavano da ogni parte di tralicci della rete elettrica fatti salta-
re, di deragliamenti di treni, di ponti fatti saltare, di esplo-
sioni di cariche di dinamite e di interruzioni di corrente nelle
città durante il coprifuoco… di luminarie a forma di falce e
martello sui fianchi delle montagne fatte con taniche incen-
diate… di morti di sotto-prefetti, sindaci, poliziotti… di
attacchi a rappresentanti locali del governo… delle centinaia
di sinchi che il governo aveva distaccato nella zona di emer-
genza… Allora andava di moda Edith Lagos. A volte per
radio dicevano che era già caduta o che stava per cadere…
Lo stesso dicevano di Abimael Guzmán, il presidente
Gonzalo come lo chiamano… ma lei cadde veramente, mesi
dopo la sua fuga dal carcere di Ayacucho… Lo so perché io
stesso ebbi l’opportunità di vedere il suo cadavere… Fu
poco tempo dopo che queste zone erano state dichiarate
Zona Liberata dai senderos…

129
Óscar Colchado Lucio

CIRCA DIECI giorni sei rimasto a curarti in quella caset-


ta in fondo alla valle di Pihuán, e sei venuto a sapere che
dalle parti di Laramate e Buenavista i sinchi avevano fatto
perquisizioni casa per casa, facendo prigionieri alcuni conta-
dini innocenti accusati di essere delle persone sospette più
che altro perché erano, alcuni di loro, parenti o conoscenti
di Carla.
Siccome non vedevi l’ora di riunirti con i tuoi compagni
sulle alture del Rasuhuilca, hai convinto tua mamma a torna-
re a Illaurocancha, dimostrandole che l’accampamento vici-
no al ghiacciaio era un luogo sicuro e che difficilmente la
polizia sarebbe arrivata fin lì.
Indossato il tuo poncho e il tuo cappello, portando la tua
bisaccia con provviste e con la mitraglietta a tracolla, hai
salutato la tua vecchietta a un crocicchio. L’hai vista allonta-
narsi piangendo, ben avvolta nella sua mantella nera, in
groppa al cavallo che aveva affittato per venire.
Con tanto dolore nel cuore, sentendoti ancora debole,
passo dopo passo, hai iniziato a salire lungo le nebbiose pen-
dici, mentre dentro di te ti raccomandavi al tuo taita, il dio
wamani, perché trasformato in condor, falco o aquila, vigi-
lasse sul viaggio di tua madre.

130
Rosa Coltello

ERA NOTTE ormai quando i tuoi compagni ti hanno


visto arrivare all’accampamento, tremando per il freddo, con
quel vento gelido, sibilante, che voleva sradicare dalla base i
ciuffi d’erba. Dentro la caverna sembravano essere in riunio-
ne, attorno ad un fuoco. Angicha è stata quella che si è sor-
presa più di tutti e la prima che ti ha abbracciato e dato il
benvenuto. È stato Santos quello che ti ha detto, Ma Túpac,
avresti dovuto riposarti ancora un po’. Non avresti dovuto
venire così, convalescente, avresti potuto peggiorare. Tu gli
hai spiegato che volevi tornare in azione, che a Pihuán avevi
contato le ore in attesa di riunirti di nuovo con loro.
Facendoti un poco di spazio per sederti, si sono rallegrati
della tua decisione, avvertendoti di occuparti ancora della
tua salute prima di prendere parte alle operazioni che stava-
no pianificando in base ad una nuova direttiva che era appe-
na stata emanata dai comandanti supremi. Era necessario
trasferirsi nelle zone confinanti con l’Apurímac per conti-
nuare con i sabotaggi e passare ad una nuova tappa della
lotta armata: inizio della creazione di basi d’appoggio ed
espulsione delle autorità reazionarie. A tale scopo avrebbero
avuto il comando il compagno Santos, come esperto della
zona, e Angicha. Carla sarebbe rimasta nella zona nord di

131
Óscar Colchado Lucio

Huamanga, mentre Edith e Omar sarebbero tornati a dirige-


re le azioni nella Regione Principale, che comprendeva
Ayacucho, Huancavelica e Apurímac. C’è stato uno che ha
fatto autocritica e ha detto che, con tutto il rispetto per i
compagni, lui chiedeva la sua espulsione dal Partito, perché
aveva deciso di ritirarsi dalla lotta armata, e che era onesto
nel confessare che ultimamente gli era venuta una gran
paura della morte; che non poteva evitarlo, compagni, e che
oltretutto gli mancavano sua moglie e le sue figlie. Era di
Chuschi, proprio del villaggio dove si è dato inizio alla lotta
armata nell’ottanta, bruciando le urne e tutto il materiale che
era arrivato per le elezioni presidenziali. Lo chiamavano
Lucas, perché ormai, da tempo, diceva che sua moglie era
diventata mezza matta da quando lui era entrato nella guer-
riglia, ma tutti lo prendevano solo come pretesto per poter
abbandonare la lotta, e per questo, di presa in giro in presa
in giro, hanno cominciato a chiamarlo «loco»10 e poi
«Lucas», e non più Javier, come lo chiamavano all’inizio. A
brutto muso, dopo aver discusso tra di loro, i comandanti gli
hanno detto, In nessun modo puoi abbandonare il Partito,
compagno, perché questo significa tradimento, e tu sai che
il tradimento si paga con la vita. Nessun miliziano può rifiu-
tare il suo contributo di sangue alla rivoluzione. E non si può
neanche permettere che uno si metta a fare la femminuccia
o che cerchi di salvarsi la pelle ora che è urgente attraversare
fiumi di sangue per conquistare l’altra sponda.
10 Matto.

132
Rosa Coltello

E per quanto riguardava la famiglia, lo sapevate bene, qui


la famiglia era il Partito, poiché siamo uniti dalla stessa
causa, tutto il resto lo avevamo lasciato alle spalle… Tuttavia,
vedendolo molto abbattuto e subodorando che avrebbe
potuto disertare in qualsiasi momento, gli hanno detto, Ti
meriti la morte, Lucas, ma comprendiamo che ci stai male.
Ti offriamo un’opportunità dandoti una licenza per un po’
di tempo. Ritorna al tuo villaggio e svolgi un ruolo di appog-
gio fino a che non starai meglio. Va bene, ha detto entusia-
sta, potrei dare appoggio logistico, compagni, raccogliendo
cibo, vestiti, e approvvigionamenti per le colonne guerriglie-
re che passeranno da quelle parti. Faremo così, gli hanno
detto, ma non ti dimenticare che ti controlleremo. Lo sai
ormai: il Partito ha mille occhi e mille orecchie.

133
Óscar Colchado Lucio

QUELLA NOTTE, parlando della faccenda di Lucas,


dopo che lui era andato a dormire in una caverna più in alto,
Omar ha avvertito i comandanti di zona che era urgente far
penetrare più profondamente nel contingente l’ideologia del
marxismo-leninismo-maoismo-pensiero Gonzalo; far capire
alla gente che la vita non gli apparteneva, apparteneva al
Partito. Che si dovevano forgiare dei veri rivoluzionari per
ottenere quelle «legioni di ferro» che esige la nostra guida.
Si doveva far loro giurare di impegnarsi per la rivoluzione
mondiale. Il sangue ci rende più forti, compagni, non ci fa
del male. Bisognava imparare, lì c’era l’esempio del compa-
gno Túpac, che non avevi aspettato di essere guarito per
correre ad unirti alla lotta. Che quello era importante, che
così doveva essere… Le parole di Omar, quell’uomo enorme
con la testa piccola, ti hanno dato il coraggio per iniziare una
conversazione su quei numerosi interrogativi che ti eri posto
in quei giorni in cui eri stato malato, sul destino dei nativi in
questa rivoluzione, poiché, come potevi vedere, lo stesso
Omar era bianco, «Huancaino, figlio di mistis ed ex-profes-
sore dell’università di Huamanga», secondo quanto avevi
sentito dire.

134
Rosa Coltello

Dopo che ha finito di parlare hai chiesto la parola. Te l’ha


concessa, sbadigliando, perché era già molto tardi. Le braci
del fuoco che vi aveva un po’ scaldato si stavano spegnen-
do.
– E alla fine di questa guerra, compagno – hai detto –,
saremo noi comuneros contadini, o meglio, noi nativi a
governare questo Paese?
A questo, cercando una posizione migliore per il suo
corpo appoggiato contro la parete della caverna, ti ha rispo-
sto, No, compagno, la classe dirigente sarebbe stata diceva
quella operaia, alleata ovviamente con quella contadina,
seguendo l’ideologia del Partito Comunista. Questa si chia-
ma, ti ha spiegato, dittatura del proletariato e tendeva alla
costruzione del socialismo: un nuovo Stato senza sfruttati e
sfruttatori… E perché, compagno, gli hai chiesto, notando
che gli sguardi degli altri erano puntati su di te, perché il
Paese avrebbe dovuto essere guidato dagli operai, se noi
contadini poveri eravamo la maggioranza in questo Paese e
anche gli stessi operai che stavano nelle città erano quasi
tutti runa che erano emigrati? A questo c’è una spiegazione,
ha detto, scrollandosi di dosso il sonno che lo stava vincen-
do, avvolgendosi attorno al collo una sciarpa, il fatto era,
Túpac, che la classe operaia o proletaria era la più emargina-
ta, quella che non disponeva d’altro che della forza delle sue
braccia; mentre il contadino, anche se con solo un pezzetti-
no di terra, era un proprietario o, se non lo possedeva, aspi-
rava ad averne uno, trasformandosi così in una forza borghe-
se, in una forza che tendeva alla proprietà privata, che era
proprio ciò che loro, i rivoluzionari, volevano far sparire.

135
Óscar Colchado Lucio

Allora quando tutti hanno pensato che te ne saresti rimasto


zitto, tu hai replicato, noi nativi, non aspiriamo, compagno,
al possesso di un nostro terreno proprio, per ognuno, ma di
tutto quello che hanno tolto i bianchi invasori, o per meglio
dire, gli spagna. Bene, compagno, ti ha detto Omar, ma oggi
la lotta non era degli indios, o nativi come dicevi tu, contro i
bianchi, perché diceva non c’erano più né indios puri né
bianchi puri, e se c’erano era solo in piccolissima parte. Ora
c’erano miscugli di differenti razze; cioè, a parte il bianco e
l’indio, anche i cinesi e i negri. E l’unica via d’uscita per
questo Paese, compagno, era un governo per meticci, socia-
lista naturalmente. È vero che la maggior parte sono meticci,
hai detto, ma tra di loro, ce n’è una grande maggioranza che
ha un’anima india, ed eri sicuro che sarebbero stati felici di
appartenere ad una nazione di ayllus contadini e operai,
dove si tendesse al lavoro collettivo, come all’epoca dei
nostri antenati. Ma è impossibile tornare all’epoca del
Tahuantinsuyu, compagno, è intervenuto Santos, seduto
accanto ad Edith, che aveva lo sguardo fisso a terra come se
ti stesse ascoltando attentamente, viviamo in un’epoca
moderna, differente. Non è tornare al passato, hai replicato,
perché i nostri usi comunitari noi nativi non li abbiamo mai
perduti. È che fino ad oggi stiamo solamente resistendo alle
imposizioni dei bianchi che vogliono cancellare tutto quello
che è nostro… Ma, Liborio, ti ha parlato Angicha, pronun-
ciando il tuo nome proprio, intervenendo anche lei nella
conversazione, va bene che si possano riattivare nelle campa-
gne gli ayllus come dici tu, o più propriamente le comunità
contadine come si chiamano oggi, ma nelle città, come credi

136
Rosa Coltello

che sarebbe possibile? Nello stesso modo, mamita, le hai


detto. Sarebbero stati messi in funzione degli ayllus operai,
come avevi già detto, all’interno dei quali ci sarebbero potu-
ti essere forse ayllus, di calzolai, di carpentieri, di meccanici,
o di qualsiasi altra cosa, secondo i propri gusti e le proprie
abilità. E così come negli ayllus contadini, si aiuterebbero
l’un l’altro, si presterebbero soccorso, vivendo come una
famiglia, dividendosi i guadagni, Non eravate d’accordo?…
Omar ha sorriso di buon grado. Non sarebbe male, compa-
gno, non sarebbe male, ti ha detto, ma dovevi tener conto
che oggi come oggi non si produceva solo per il consumo
interno, ma che si doveva pensare anche a produrre per
esportare in altri Paesi. Anche questo si poteva fare, hai
detto. Come? Ti hanno chiesto. Allargando l’organizzazione
aylluruna, compagni, a tutte le regioni del Paese, facendo sì,
per esempio, che determinati ayllus producessero una sola
cosa in grande quantità. D’altra parte, hai aggiunto, anche
all’interno dello stesso Paese, i prodotti della città potrebbe-
ro essere scambiati con i prodotti della campagna… Edith,
che era rimasta in silenzio, ha finalmente aperto bocca, Non
è male quello che pensi, Túpac, potrebbe essere così, perché
no?… questo ti ha incoraggiato ancora di più. Una volta che
noi nativi fossimo stati al governo, avremmo recuperato i
nostri usi, la nostra lingua e la nostra religione. Saremmo
tornati ad adorare, senza paura dei cristiani, la Pachamama,
gli Jirkas, il dio Fulmine e, chi può dirlo, forse anche il dio
Sole… Si dovrebbe riflettere su questa specie di socialismo
magico che proponi, compagno, è intervenuto di nuovo
Omar con un leggero sorriso ironico, ma dobbiamo prima

137
Óscar Colchado Lucio

pensare alla conquista del potere; perché, lo sai molto bene,


senza di esso tutto è solo un’illusione. E beh, ha detto, rivol-
gendosi a tutti, credo che sia ora di dormire compagni, dob-
biamo alzarci all’alba.

138
Rosa Coltello

DOPO AVER attraversato la galleria, buia come quella


precedente, Io e Wayra siamo sbucati in un posto ampio, in
penombra, dove c’erano degli alberi contorti, cresciuti in
modo orribile. Là abbiamo visto dei mostri con la testa di
donna e corpo di mula che, spronati da uomini con delle
fruste, scendevano giù carichi di legna, quasi come se voles-
sero sedersi a ogni passo per il peso eccessivo, e facevano
scintille con i loro zoccoli sulle pietre. Quegli animali spa-
ventosi, erano, stando a quanto diceva, le ninamulas, gli
spiriti delle donne che convivevano con i preti.
– E dove la portano tutta quella legna, Wayra? – gli ho
chiesto.
– Non è legna – mi ha risposto –. Sono serpenti. Li utiliz-
zano a questo scopo per ravvivare le fiamme del mare di
fuoco.
Mi ero appena ripresa dallo stupore dopo la risposta di
Wayra, che proprio in quel momento:
– Waq! Waq! Waq!…
È passata sopra di noi una testa volante, una waqwa. Nei
villaggi, quella testa che appartiene ad una strega o ad una
moglie infedele, vola sopra i campi nel silenzio della notte,
facendo risplendere sotto la luce della luna la sua scarmiglia-

139
Óscar Colchado Lucio

ta chioma, dirigendosi verso un cimitero o verso un vallone


in cerca d’acqua per placare la sete che la tormenta.
Il suo grido improvviso ci aveva fatto rabbrividire. Ci
eravamo ormai ripresi e ci accingevamo a proseguire, quan-
do pure dei topi, usciti da non si sa dove, hanno iniziato ad
attraversarci la strada facendoci saltare sopra delle pietre.
– Sono hutchkas – ha detto Wayra osservandole bene –,
spiriti di fratelli che convivono tra di loro. Corrono come
matti perché si ritrovano prigionieri dentro quel corpo così
piccolo. Vorrebbero liberarsi ma non possono. Sono schifati
dal loro stesso odore.
Mi sono ricordata di Felipe Uchasara e di sua sorella
Caracciola che vivevano alle porte del villaggio, andando
verso la puna dove avevano i loro terreni. «Andatevene, in
questa casa vive la hutchka», li avevano ammoniti gli anziani
del villaggio. E loro hanno capito. Loro malgrado, hanno
dovuto andarsene, non si sa in quale villaggio, in che posti,
portandosi dietro il peso delle loro coscienze.
C’erano anche jarjacha in questi luoghi. Prendendo a
morsi i loro corpi rognosi e piagati, correvano all’impazzata,
gridando come tacchini, jall! jall! jall!… quegli animali
erano, a quanto sapevo io, gli spiriti dei genitori che avevano
convissuto con i propri figli, dei nonni con i loro nipoti, e
degli zii con i loro nipoti, e perfino delle madrine e dei
padrini con i loro figliocci. Tra quelle jarjacha ci saranno
sicuramente state doña Severina e suo figlio, che vivevano
appena passato il ponte di Puyopampa, molti anni fa, laggiù
al mio villaggio di Illaurocancha. Varie volte li sorpresero a
letto insieme. Doña Valentina Diestra raccontava che quan-

140
Rosa Coltello

do facevano così, si accoppiavano, il ragazzo si vedeva per


un po’ com’era e poi a momenti lo si vedeva trasformato in
un lama, con zampe sopra al letto, che sputava fuoco…
Spaventati quando hanno saputo che tutto il villaggio era al
corrente dei loro rapporti proibiti, e senza il coraggio di
separarsi, sono morti bevendo del veleno. Noi abbiamo
dovuto fare delle offerte ai wamanis perché placassero la
loro ira e non ci inviassero qualche castigo.
Mentre stavamo avanzando su delle rocce, si intravedeva
in lontananza una boscaglia, abbiamo visto passare volando
all’indietro uno stormo di uccelli.
– Sono biocochos – ha spiegato Wayra –, così volano gli
uccelli di questi luoghi.
In uno spiazzo di quella pietraia, ci siamo imbattuti in
tantissime persone sgozzate, con corpi e teste che mallmava-
no cercando di trovarsi le une con le altre. Quando una testa
e un corpo riuscivano a ritrovarsi, la testa, facendo una
smorfia spaventosa e scuotendo i capelli impiastricciati di
terra e sudore, a volte gridava:
– No, questo non è il mio corpo! Dov’è il mio corpo!
Impauriti, noi siamo passati facendoci tutti da un lato,
facendo ben attenzione a non inciamparci.
– Questi che abbiamo appena visto sono i nákaq o squar-
tatori – mi ha detto Wayra –, streghe e stregoni che si ciba-
vano di carne e grasso umani.
Lasciandoci alle spalle le rocce, ci siamo avvicinati a quel-
la boscaglia piena di acquitrini.
Latrati di cani feroci si sentivano in lontananza.

141
Óscar Colchado Lucio

Quasi immediatamente, abbiamo sentito un forte calpe-


stio come se delle persone stessero correndo verso di noi in
mezzo all’acquitrino. Si udiva chiaramente che chaplac! cha-
plac! chaplac!, risuonavano nell’acqua. Immobili ci siamo
nascosti dietro a dei cespugli. I latrati ora si sentivano più
dall’altro lato, e meno forti.
Trattenendo il respiro, abbiamo visto passare accanto a
noi due uomini in divisa, cenciosi e malconci, con gli scarpo-
ni pieni di fango. Sembravano fanti di marina della zona di
emergenza.
– Dai, saliamo sopra uno di questi guarangos11 – ha detto
uno di loro –, lassù saremo in salvo.
Con grande fatica, lamentandosi per le punture delle
spine, sono riusciti come potevano ad arrampicarsi sull’albe-
ro e a rimanere seminascosti tra le foglie. Noi, proprio ai loro
piedi in mezzo alla fitta boscaglia, li osservavamo, senza che
loro per niente se ne rendessero conto, guardando in lonta-
nanza, preoccupati dei cani.

11 Caesalpinia spinosa. Arbusto spinoso.

142
Rosa Coltello

– QUEGLI ALLKO, non ci lasceranno mai in pace, –


abbiamo sentito che poco dopo si dicevano –. Finiranno per
farci a pezzi un giorno o l’altro.
– E la cosa peggiore è che sono guidati dagli ollkaiwa,
che cercano di entrare dentro al nostro corpo per salvarsi
dalla loro condanna e lasciarci dentro la loro melanconia e il
loro senso di colpa.
– Senso di colpa che già abbiamo – ha commentato l’al-
tro – da quando abbiamo ucciso, là nella nostra base navale
di Ancón, i cani che oggi ci inseguono.
– Chi poteva sapere che li avremmo uccisi – sì è cruccia-
to il suo compagno –, se erano i nostri animali da compa-
gnia, le nostre care bestioline, che rimpiazzavano il fratello
minore, la madre, la fidanzata che erano lontani.
– È vero, ci davano il calore di una famiglia, tenerezza,
affetto.
– Il mio era tutto lanuginoso, grassottello, uggiolava
come una cagnetta e non come un cagnolino, al punto che
mi venivano dubbi sul fatto che fosse un maschietto; ma
quando gli controllavo le palline, erano proprio là, belle
grosse.

143
Óscar Colchado Lucio

– Io lo tenevo sempre tutto bello pulito, ben curato e


perfino cosparso di talco e profumato.
– E io sacrificavo persino il mio «rancio» per mantenerlo
cicciottello e ben nutrito.
– Eh, sì, facevamo a gara tra noi reclute a chi teneva
meglio la sua besitiolina.
– «Abbiatene cura – ci raccomandò l’ufficiale “Camión”
la volta che ce li consegnarono –, vedrete poi come vi saran-
no utili una volta cresciuti per le operazioni contro la sovver-
sione».
– Dopo che ci avevano fatto il culo durante le esercitazio-
ni, facendoci sopportare la fame per vari giorni, facendoci
avanzare lungo interminabili montagne di sabbia, morendo
di sete, la mia più grande consolazione era tornare alla base
e abbracciare il mio cagnolino.
– Anche per me, amico, soprattutto dopo quelle prove
che a me facevano abbastanza cacare sotto, come quella di
attraversare piccoli burroni tra le scogliere camminando
sopra una corda, con altre ai lati per afferrarsi, e scogli più
in basso sui quali si infrangevano le onde; o aspettare corpo
a terra le granate che ci tiravano e scappare prima che esplo-
dessero, o quando, coltello in pugno, dovevamo saltare sul
fuoco, attraversare in equilibrio una corda tesa su una fossa
piena di escrementi (ahhh! che schifo!) e arrivare al bordo
della pozza dove c’erano dei gatti e ucciderli a mani nude,
tenendo il coltello tra i denti. E ancora di più, dovevamo
avanzare, ricordi?, fino ad un’altra pozza piena di sangue di
cane e farci il bagno, poi guardarsi allo specchio e lanciare

144
Rosa Coltello

grida di coraggio come se la tua stessa immagine fosse quel-


la il nemico.
– Tutte quelle prove in realtà erano sopportabili; ma l’ul-
tima, quella che doveva definitivamente renderci pronti per
la guerra, sì che ci scioccò sul serio.
– Sì, hai ragione. «Tutti in riga con il proprio cane! – mi
ricordo che ordinò l’ufficiale – Avete cinque minuti, pumas!
Scattare, per l’ultima volta!». Tutti corremmo al canile, e
immediatamente ci mettemmo in riga aspettando di vedere
quale sarebbe stato l’ordine.
– E l’ordine sciagurato è stato che dovevamo posizionare
i nostri animali a cinquanta passi davanti a noi, tornare alla
nostra posizione, ricevere il pugnale che ti porgevano, avan-
zare verso il tuo animale, sventrarlo e tornare indietro por-
tando il suo cuoricino palpitante tra i denti.
– Non c’era modo di disubbidire all’ordine. Tutti gli uffi-
ciali erano lì che ci guardavano.
– Io piangendo dentro di me, amico, mollai subito la
coltellata alla mia bestiolina, con tutte le mie forze, perché
non soffrisse. Non dimenticherò mai i suoi occhi sorpresi e
pieni di rancore mentre stava agonizzando.
– Porca troia, anche a me prese una disperazione enor-
me, come se avessi appena ucciso mio padre o mia madre.
– E la cosa peggiore è stata che non finì lì. Ti ricordi che
dopo misero della musica e guai a chi non avesse ballato e
non fosse sembrato allegro?
– Certo. Sarà per questo che poi, ad Accomarca, dopo
averli rinchiusi in tre capanne, averli bersagliati con raffiche
di fuoco incrociato con le mitragliette e aver lanciato granate

145
Óscar Colchado Lucio

sui cadaveri dei sessanta e passa comuneros che avevamo


arrestato, tra uomini, donne e bambini, accusandoli di essere
terrucos, abbiamo incendiato senza pensarci due volte le
capanne e ci siamo messi tranquillamente a fare una pacha-
manca con i loro animali e abbiamo iniziato a bere e a balla-
re con la musica a tutto volume di un mangiacassette.
– E anche nel vallone di Balcón, ti ricordi? Anche se
quella volta erano terrucos autentici quelli che facemmo
fuori.
– Sì, peccato che tornando verso la nostra base, cadem-
mo a Erusco, nell’imboscata guidata dallo stesso Abimael
Guzmán, dove, appoggiati da almeno un centinaio di comu-
neros di Cayara, Huancaraylla e Llusita, fecero saltare il
camion sul quale viaggiavamo.
– Si, amico, ma… ascolta, ascolta, Peña, non sono latrati
questi che porta il vento?… sembra che i cani abbiano ritro-
vato la nostra pista.
– Sì, riconosco chiaramente i latrati di Capitán e
Montonero, i nostri cani, mischiati a quelli di quella male-
detta muta capeggiata da quegli ollkaiwa. Meglio scappare.
Credo che per davvero stiano venendo da questa parte.

146
Rosa Coltello

PER PAURA che ci scoprissero gli ollkaiwa, Wayra e io


ci siamo infilati alla cieca in posti dove c’erano spine di
tankar kishka, sapendo che quei demoni le temono.
In lontananza li abbiamo visti passare poco dopo, di fron-
te ad un branco di allko, che annusavano le tracce dei fuggi-
tivi. Due erano gli ollkaiwa. Li ho riconosciuti solo allora.
Era vero, erano proprio così come si diceva: metà cani, dalla
cintola in sù, e metà uomini dalla cintola in giù.
– Loro sono quelli che fanno piovere nelle zone dove
abitano – ha detto Wayra –, perché ogni volta che guardano
il cielo con i loro occhi lacrimosi si scatenano piogge torren-
ziali.
Calcolando che ormai non ci avrebbero più sentiti, abbia-
mo ripreso il nostro viaggio osservando come più avanti la
boscaglia si facesse ancora più fitta.

147
Óscar Colchado Lucio

… LA PIAZZA di Vilcashuaman? Quel luogo dove un


tempo si trovavano il centro del potere e la residenza dell’in-
ca Pachacútec?… Accidenti! stavo sognando. I terroristi
l’attaccavano e gli agenti cadevano huicapeando come pulci-
ni feriti dalle beccate di un’aquila… Doveva essere stato
sicuramente così quella volta che i terrucos l’attaccarono
uscendo dai loro nascondigli in mezzo alle rovine… sono
riuscito a vedere qualche traccia di quella sanguinosa batta-
glia quando mi sono fermato lì con l’autobus mentre mi
dirigevo ad Andahuaylas per andare a vendere vari sacchi di
fave… Enormi macchie di sangue e resti umani ovunque…
Il commissariato era completamente distrutto, ancora fuma-
vano le macerie… Tre agenti erano stati fatti a pezzi a colpi
di bazooka, a quanto hanno detto… In elicottero avevano
trasportato in condizioni molto gravi vari poliziotti, e anche
tre cadaveri, tra i quali quello del sottotenente Molero,
comandante del posto di polizia… I terroristi, secondo quel-
lo che raccontava la gente lì riunita, erano scappati con un
camion portandosi via i feriti e alcuni cadaveri… Era stagio-
ne di piogge intense e io ritornavo da Andahuaylas… dalla
radio dell’autobus abbiamo saputo noi passeggeri che i rivol-
tosi avevano attaccato già anche Huanta, che avevano lascia-

148
Rosa Coltello

to la città senza luce elettrica e parlavano di morti in lunghi


combattimenti di due o tre ore… Che c’era un altro gruppo
che aveva circondato Huamanga con l’intenzione, dicevano,
di «circondare le città dalla campagna»… ma che era stato
respinto dai sinchi e dai llapan atic, corpi speciali della poli-
zia… Parlavano tantissimo della compagna Edith, così come
di un’altra, chiamata Carla, e di Omar che avevano guidato
l’attacco… E allora abbiamo anche saputo che quelli che
avevano guidato l’attacco a Vilcashuamán erano stati Angicha
e Santos… L’autobus sul quale viaggiavo era uno di quelli
della Cooperativa di Trasporti Carmen Alto e mi ricordo che
quando ormai eravamo vicini a Toccto ci intercettò un grup-
po di incappucciati, armati di mitragliette… Tantissimo ci
spaventammo noi… Chiesero al conducente la lista dei pas-
seggeri e a noi che ci identificassimo con i nostri documenti
personali… Quella volta io mi ero dimenticato di portarli e
non avevo niente da mostrare… mi innervosii… Me li sono
dimenticati, signori, dissi… mi guardarono male… E perché
stai tremando, cazzo! Mi urlarono… perquisirono i miei
sacchi… Dopo si consultarono tra di loro… e poi, avvicinan-
dosi, uno di loro mi disse, Per questa volta ti risparmiamo,
fai più attenzione la prossima… Quello che mi aveva parlato
così aveva un passamontagna rosso e potei riconoscerlo dal
suo aspetto e dalla sua voce, che anche se distorta, non mi
ingannava. Liborio era, suo figlio di Rosa Coltello… Ossia
siccome mi aveva riconosciuto per questo mi risparmiò…
Non successe lo stesso con una signora che avevano sulla
loro lista, che fecero scendere immediatamente… Dopo tira-
rono fuori dei volantini e chiesero un contributo spontaneo.

149
Óscar Colchado Lucio

È per la lotta armata dicevano mentre li distribuivano… A


quella signora che fecero scendere, una parente di un sinchi,
dopo averla fatta inginocchiare le spararono un colpo.
Questo successe appena riprendemmo il viaggio.

150
Rosa Coltello

LUNGO UN sentiero costeggiato da menta e puylloshas,


spaventando le tortore che si aggiravano tra i campi di grano,
siete entrati quella mattina di buonora ad Illaurocancha,
qualche ora dopo aver fatto saltare con la dinamite due
ponti: quello di Toccto, che portava ad Ayacucho, e quello
sul fiume Pampas, sulla strada per Andahuaylas.
Eravate all’incirca cento, tra masse e combattenti – uomi-
ni, donne e bambini – voi che avete fatto il vostro ingresso
nel paese. La maggior parte era gente di posti vicini come
Pujas, Umaru, Buenavista, Llakores, Cceraorko, Pajonal,
Ayrabamba. Inneggiando e agitando i vostri machetes, asce,
aste, coltelli, bastoni, lacci cocobolo, carabine, fucili, e perfi-
no mitragliette, vi siete avvicinati alla piazza, alcuni coperti
con passamontagna, sciarpe, fazzoletti e altri, gli estranei,
con il viso scoperto.
Angicha e Santos si sono occupati di distribuire i gruppi.
Alcuni sarebbero andati a dipingere scritte sui muri, altri a
posizionare la bandiera comunista sull’asta della scuola, due
sul campanile della chiesa a suonare la campana e la maggior
parte a battere il villaggio, casa per casa, per convocare tutti
per un’assemblea popolare.

151
Óscar Colchado Lucio

Mentre tu ti dirigevi con un compagno verso il campanile,


ti sembrava ancora di sentire dentro alle orecchie il fracasso
della caduta dei ponti, che faceva tremare la terra, con tutta
l’acqua che schizzava in aria.
Ferma su un piccolo muro della piazza, con la sua mitra-
glietta a tracolla, Angicha si è rivolta alla moltitudine di
ponchos, lliclas e cappelli:
– Cari compagni, fratelli di Illaurocancha, l’abbattimento
di due ponti che abbiamo fatto prima di venire qua, simbo-
leggia la distruzione della vecchia società, della società
decrepita, dove fino ad oggi hanno governato i ricchi, i
potenti, quelli che il povero contadino e il povero operaio li
hanno sempre fatti morire di fame, sprofondandoli nella più
assoluta povertà e nell’analfabetismo. Noi, compagni,
distruggeremo quella vecchia società per costruirne una
nuova dove non ci sia più fame né miseria e dove tutti potre-
mo essere uguali: la società socialista, compagni, la Repubblica
Popolare di Nuova Democrazia, diretta dalla nostra guida, il
compagno Gonzalo, faro della rivoluzione mondiale…
Interrompendola sono partiti i vostri applausi, i suoi
accompagnatori, mentre il resto del villaggio era rimasto
immobile, in silenzio, muto, senza fare niente.
– Viva il compagno Gonzalo!
– Vivaaa!
– Morte a Belaúnde!
– Morteee!
E mentre continuavano gli applausi e si urlavano altri
slogan, voi, i senderos, braccio in alto, agitavate le vostre
armi. Sull’asta più alta della scuola sventolava dolcemente la

152
Rosa Coltello

bandiera rossa con la falce e il martello. In lontananza, sopra


i tetti, volavano stormi di colombe.
– Le strade e i ponti, inoltre, compagni, – ha di nuovo
alzato la voce Angicha –, servono solo per far passare le mac-
chine dei ricchi, i camion dei commercianti, gli autobus delle
aziende; e cioè, quindi, per coloro che accumulano le loro
ricchezze spremendo il povero contadino. A noi, compagni,
che non ne abbiamo, non ci servono ricchezze. Nella nuova
società che a partire da oggi costruiremo, i prodotti non
avranno fini di lucro. Non serviranno ad arricchire solo alcu-
ni, ma saranno al servizio di tutti. Qui impareremo a condivi-
dere tutto. Non produrremo per vendere, ma solo per il
nostro consumo. Lasceremo le città isolate, compagni, fotte-
remo i capitalisti…
Di nuovo i vostri applausi e adesso sì, anche quelli della
gente, piano piano, e con un po’ di paura.
Una nuvola passeggera inizia a coprire il sole e il giorno si
rabbuia leggermente.
Dopo che Angicha ha finito di parlare tra i viva e gli urrà!
di tutti, è salito sul muretto uno degli incappucciati che lascia-
va intravedere come qualcuno degli altri, solo gli occhi e la
punta del naso.
– A partire da adesso, compagni – ha parlato senza che
nessuno lo presentasse –, così come ha detto la compagna
Angicha, per volontà dei suoi diletti figli e di tutto il popolo
peruviano sollevato in armi, Illaurocancha, ha il privilegio,
prima ancora di molte altre comunità, di far parte del nuovo
stato, essendo stata dichiarata a partire da questo preciso

153
Óscar Colchado Lucio

istante dal suo Esercito Guerrigliero Popolare: Zona


Liberata!, sotto il diretto governo del Presidente Gonzalo.
E tutti i senderos inneggiavano, agitando le loro armi:
– Causachum il presidente Gonzalo!
– Causachum!
E per festeggiare, un candelotto di dinamite è esploso in
un angolo della piazza, dove non c’erano persone, spaven-
tandone molte, che hanno cercato di disperdersi.
No, non dovevate scappare, compagni, quel candelotto di
dinamite serviva per dare allegria e non per altro.
La gente ha recuperato la calma, e l’uomo è tornato al suo
discorso: A partire da oggi, ha continuato, dovevano ascolta-
re con attenzione, era importante; quelli che avevano rico-
perto cariche istituzionali erano destituiti, la rivoluzione
avrebbe nominato i suoi propri rappresentanti, compagni. E,
a proposito, il vicegovernatore12 era li? Sì, era proprio lì: don
Aurelio Huilcahuari era, che alzando la mano ha detto con
voce tremante, Lui, anche se di Acción Popular, il partito di
governo, non era contro di voi, signori, e se volevate che
rinunciasse, io rinuncio, non ci sarebbero stati problemi.
Rispondendo a questo, l’incappucciato ha detto che
andava bene, che rinunciasse così, volontariamente; ma che
facesse molta attenzione a non fare il provocatore o a met-
tersi dalla parte dei sinchi quando sarebbero arrivati. Se
qualcuno non era d’accordo con le politiche che avrebbero
imposto, gli sarebbe stato portato rispetto; anche se, comun-
que, avrebbe dovuto andarsene, senza portarsi via niente.
12 Nell’originale, teniente-gobernador. Carica conferita ad honorem ad una perso-
na i cui compiti sono quelli di rappresentare il Presidente della Repubblica e il
potere esecutivo nella sua giurisdizione.

154
Rosa Coltello

Poi ha chiesto dell’agente municipale, don Edilberto


Huarhua, che era un aprista13. Non era presente. Riprendendo
allora il suo discorso, l’incappucciato ha rivolto un appello
ai giovani illaurocanchinos che ancora non erano nell’eserci-
to guerrigliero popolare perché entrassero a farne parte il
prima possibile, perché la rivoluzione aveva bisogno urgen-
temente, compagni, della partecipazione dei suoi figli più
valorosi nelle trincee luminose del popolo insorto in armi…
Nuovi cori di viva e applausi lo hanno interrotto:
– Viva la rivoluzione, compagni! Viva la gioventù illauro-
canchina!
– Vivaaa!
Don David Janampa, presidente della comunità, ha chie-
sto la parola e ha detto che lui avrebbe offerto i suoi due
figli, Diomedes e Micaela, perché entrassero a far parte dei
distaccamenti. I compagni hanno applaudito.
Alla fine, Mario Buitrón, il maestro, ha fatto un elogio
degli insorti. Si è congratulato con il presidente della comu-
nità e ha chiesto al villaggio di Illaurocancha di celebrare
quell’avvenimento con una festa popolare, perché si doveva
accogliere con allegria, anche in mezzo alla guerra, la ditta-
tura del proletariato, che in questo storico giorno si inaugu-
rava nel nostro amato Illaurocancha, compaesani.
Un’altra volta applausi e cori di viva. E per la sorpresa di
tutti, l’incappucciato si toglie la maschera di lana e la gente,
riconoscendo Nieves Collanqui, e dopo essersi ripresa dallo
stupore, applaude a più non posso mentre lui agita il suo Fal
in atteggiamento trionfale.
13 Membro del partito politico populista APRA.

155
Óscar Colchado Lucio

– DOBBIAMO superare questa boscaglia – mi ha detto


Wayra quando ci stavamo addentrando in un posto dall’in-
tricata vegetazione, da dove si vedeva in lontananza, al di
sopra delle fronde, un intenso bagliore in mezzo a quella
luce quasi lunare che ci illuminava.
– E quella luce? – gli ho chiesto.
– È del Marañón – mi ha detto – del mare di fuoco. Non
aver paura, non ti succederà niente se sei con me.
Questo ha detto. Tuttavia io non ho smesso di tremare.
Alla nostra destra si alzava un’alta e lunga catena montuo-
sa, che biancheggiava come fosse stata fatta dello stesso
materiale della luna.
– E quella montagna, Wayra?
– Su quella montagna ci sono le qoljolias, le viscere dei
ghiottoni, che rotolano, ferendosi sopra le pietre, e si muovo-
no da sole come se fossero corpi viventi. Ci sono anche, infi-
late con la testa in un buco, le donne che hanno volontaria-
mente abortito i loro bambini. Altri penitenti sono quelli che
portano sulla schiena pesanti massi mentre si arrampicano
verso la vetta. Massi che non smettono mai di trasportare.
«C’è chi lavora scavando tunnel, scavando la terra, per
ampliare le gallerie e le sale del Supayhuasi».

156
Rosa Coltello

– È vero che a quelle anime danno dei sandali di ferro


perché lavorino fino a quando non si consumano?
– È vero, anche se ad alcune li danno d’oro e ad altre di
bronzo. Dall’altro lato di quella montagna passa il Marañón,
ancora senza fiamme. Durante le ore di riposo, i dannati
vanno a lavare i loro vestiti sulle sue rive. C’è un gran bruli-
chio di persone laggiù. Piangono per la loro sorte e ricorda-
no la loro famiglia e la loro terra. Mentre lavano i panni,
approfittano a volte di qualche disattenzione dei loro guar-
diani per grattare in fretta e di nascosto, con delle pietre
ruvide, i loro sandali, per consumarli più in fretta. Quando
questo succede, sono salve.
Nella penombra di questa fitta boscaglia, vedevamo,
mentre ci facevamo strada con difficoltà, dei rettili che stri-
sciavano sulla terra paludosa. Un sordo battere d’ali di enor-
mi pipistrelli si è alzato sopra i rami che scricchiolavano.
Uomini che avevano cessato di essere umani e stavano assu-
mendo l’aspetto di bestie come ombre attraversavano quei
terreni paludosi. Più avanti un guazzabuglio di grugniti,
ansiti, sciabordii in mezzo al gracidare dei rospi ci ha fatto
fermare.
– Perché strillano tanto quelle bestiole? Per cosa soffro-
no?
– Non sono rospi, come forse starai pensando – mi ha
risposto Wayra –, sono voci di persone che soffrono per il
gelo delle acque che allagano questi canneti. Affina il tuo
udito e ascolta.
Dandogli retta, mi sono messa ad ascoltare. Era vero.
Voci di persone erano, che parlavano in mezzo ad una gran-

157
Óscar Colchado Lucio

de confusione. Ci dovevano essere anche dei rospi che gra-


cidavano perché a volte coprivano le parole delle persone.

158
Rosa Coltello

– ... CI DICEVANO cahacos rubagalline, miserabili, pre-


potenti...
– ... per una strada di Ayacucho, certo...
– ... conservava a casa sua il teschio del comandante...
– ... l’eccidio dei comuneros di Runguyocc...
– ... ha parlato del cretinismo parlamentare della sini-
stra...
– ... è durato l’attacco. Dopo abbiamo camminato sem-
pre di notte...
– ... in preda alla rabbia: proprio lì ha organizzato una
pattuglia...
– ... durante il giorno ci tenevano nascosti dentro delle
grotte...
– ... Spara, compagna, spara, le ho urlato...
– ... tredici componenti ben armati e con dei passamon-
tagna...
– ... era hoxista anche se lo negava...
– ... abbiamo ucciso tre ingegneri e il conducente...
– ... campagna il principale teatro delle operazioni...
– ... tutti in fila e con le mani...
– ... la lotta tra le due linee, compagno...
– ... la sua responsabilità nel massacro dei penitenziari...

159
Óscar Colchado Lucio

– ... ma alla ragazza sono presi i nervi e...


– ... noi yana uma con il nostro comandante
Huayhuaco...
– ... prima contro Belaúnde, poi contro García...
– ... poi abbiamo teso un’imboscata ai soldati... a me...
– ... a Uchuraccay dopo il massacro dei giornalisti...
– ... gli ha tagliato entrambe le orecchie, sezionandogli...
– ... basta sentimentalismi! Ha detto la compagna...
– ... aprista Melgar con lenti affumicate... Pércovich e
Mantilla...
– ... la linea opportunista della destra...
– ... fosse comuni a Pucayacu, a Pomatambi, Accomarca,
Cayara...
– ... tu ti chiami Ruth, è il tuo nome di battaglia...
– ... e anche se ci stavamo congratulando, lei piangeva...
– ... ho acceso la miccia con tanta paura ma...
– ... il generale Noel, capo della zona di emergenza...
– ... chiedevano soldi in nome dei terrucos...
– ... il Comitato Centrale lo ha appoggiato completamen-
te...
– ... tirate giù quel cencio rosso! Ha detto il tenente...
noi...
– ... narcotrafficante, Huayhuaco?... io no...
– ... abbiamo violentato le terrucas, poi abbiamo tirato le
granate...
– ... i comandanti regionali, ha detto il presidente
Gonzalo...
– ... la sacra famiglia ad Ayacucho...

160
Rosa Coltello

– ... perché era uno spione, sì, perché era uno spione lo
abbiamo ucciso...
– ... Vargas Llosa14 ha incoraggiato Huayhuaco e...
– ... ci hanno lanciato razzi dagli elicotteri...
– ... García Pérez gli ha dato la sua pistola...
– ... lui era d’appoggio, non era un combattente...
– ... non fare la femminuccia, diceva il tenente, spara...
– ... comitati popolari, ossia dittature di gruppo...
– ... sono stati fatti fuori in più di ottanta, questa è la
verità...
– ... le tappe della guerra di guerriglie...
– ... con l’azione di Lucanamarca, gli abbiamo dato una
lezione, ha detto...
– ... delle ronde? Sì, io, Edilberto Huarhua...

14 Si tratta del noto scrittore peruviano Mario Vargas Llosa che durante quegli
anni è stato uno degli esponenti di punta del pensiero neo-liberista e conservatore
peruviano, trovandosi più volte a collaborare con i governi di quel periodo; per-
corso che nel 1990 lo ha portato ad essere il candidato della destra per le elezioni
presidenziali.

161
Óscar Colchado Lucio

EDILBERTO HUARHUA aveva detto? Edilberto


Huarhua? Di Illaurocancha era. Senza sapere nemmeno
perché, l’ho chiamato tutta emozionata:
– Don Edilberto! Don Edilberto!
E, come per incanto, tutta quella confusione è finita d’im-
provviso. Immediatamente, si è sentito, ploc! ploc! ploc!, un
rumore come di rospi che si buttavano in acqua.
– Andiamo – ha detto Wayra –, anche se fosse la stessa
persona che hai conosciuto, ormai non potresti riconoscerla.
Avanziamo.
È stato così che abbiamo ripreso la nostra marcia sul quel
terreno tutto poggi e buche, dove l’acqua in alcuni punti mi
arrivava alle ginocchia, e a Wayra quasi lo ricopriva tutto
mentre in altri c’era solo un po’ di umidità. Il posto era sal-
mastro, e secondo la mia guida, poco più avanti c’era una
palude. Appena oltrepassata quella palude, diceva, finiva la
boscaglia. Dovevo metterci un po’ di buona volontà, pazien-
za, e presto saremmo usciti di lì.
Scansa e scansa le zone allagate, siamo arrivati ad un
punto dove, veramente, la terra cedeva sotto i nostri passi.
Era una terra nera, fangosa. Wayra avanzava davanti a me,

162
Rosa Coltello

tastando tastando le zone più o meno solide da dove dovevo


passare.
Superando alcuni canneti di totora è apparsa la palude,
grande, enorme, come una laguna, Ishshsh!, venivano a galla
delle bollicine, come se sotto ci fosse qualcuno che respira-
va. Fermi immobili, siamo rimasti a guardare sospettando
che qualcosa sarebbe uscito fuori da lì. Ed ecco che, un atti-
mo dopo, lamentandosi e sospirando, sono emerse delle
teste gocciolanti di fango, qua e là. Una di loro ha comincia-
to a parlare con una voce roca, pastosa, in mezzo ad un
vento che faceva scricchiolare la boscaglia:
– Io, Mañuco Julca, di Uchuraccay, meglio conosciuto
come l’iquichano, non mi pento di avere ucciso terrucos a
bizzeffe, a colpi d’ascia, a colpi di machete, quando questi,
dopo essere arrivati alla tenuta San Antonio e aver ammaz-
zato a botte i padroni, obbligavano noi contadini a metterci
in riga ogni giorno per fare degli esercizi, e solo perché uno
di noi disse, Io facendo esercizi non guadagno nulla, ho
moglie e figli, ho bisogno di lavorare; solo per questo e per-
ché uscì dalla fila per andare al suo campo, successe che lo
presero i terrucos, Non cercare di far insorgere gli altri,
dicendo; e per punizione, dissero, legandolo ad una pietra,
vicino alla casa comune, gli appesero sul petto varie cariche
di dinamite e lo fecero saltare in aria.
Per questo quella notte stessa, chiamandoci l’un l’altro
con ululati di cane, infuriati ci riunimmo noi comuneros e ci
mettemmo d’accordo per vendicare la morte del nostro
compagno. Tutti, proprio tutti, circondammo la masseria
dove riposavano i senderos e li ammazzammo.

163
Óscar Colchado Lucio

Dopo che quell’uomo ha detto questo, un’altra ombra ha


alzato la sua testa gocciolando melma:
– Sei una testa nera, Iquichano, un traditore e un bugiar-
do! Sono stati i militari e i tuoi padroni che ti hanno infilato
nelle loro masnade per combatterci. La punizione che abbia-
mo inferto al tuo paesano è stata solo un pretesto per aizzare
il resto della gente e portare a compimento i tuoi neri piani
per servire i tuoi padroni…
– Basta! Queste sono calunnie! Chi sei? – ha sbuffato il
primo cercando di togliersi il fango dagli occhi.
Altre teste, mugghiando come se stessero soffocando,
hanno iniziato ad emergere.
– Proprio uno di quelli – ha risposto l’altro – che fecero
piovere proiettili sul tuo corpo nella valle di Aranjuay quan-
do stavi guidando i sinchi.
– Tu? Tu mi hai ucciso?
– Sì, io, Toribio Nina, combattente di appoggio nella
colonna che guidava la compagna Carla…
– Maledetto!, adesso vedrai!
– Sì, avvicinati! Vedi quelli che si stanno sollevando
attorno a te?… sono comuneros di Chaca, che per colpa tua
i sinchi spazzarono via…
E mentre ci allontanavamo spaventati, sentivamo che
sguazzavano nel fango, ansavano, si maledicevano, lottava-
no…

164
Rosa Coltello

DOPO AVER dichiarato Illaurocancha zona liberata, mi


ricordo che i senderos se ne andarono dicendo che sarebbero
tornati presto per stabilirsi lì definitivamente… L’agente
municipale don Edilberto Huarhua, tornando da Ocros
dove era stato, e venendo a sapere quello che era accaduto,
tornò immediatamente in quel villaggio, che è la capitale del
distretto, a denunciare i fatti alle autorità e a chiedere loro
garanzie urgenti… Ma quando arrivò, scoprì che ad Ocros il
posto di polizia era stato fatto saltare con la dinamite, l’uffi-
cio postale bruciato e il sindaco e un commerciante giustizia-
ti… Don Edilberto quando tornò disse che nonostante tutto
quello che era accaduto la gente di Ocros si era rifiutata di
sottomettersi… Le famiglie più importanti erano fuggite ad
Andahuaylas o Huamanga… e la presa di potere degli uomi-
ni di Abimael Guzmán non si era verificata… Qui anche noi
dobbiamo resistere, disse, non è giusto che vengano ad
imporci ideologie estranee! Come i Pokras e i Chancas, i
nostri antenati, che lottarono fino alla fine prima di essere
sottomessi dagli Inca, nello stesso modo anche noi dobbia-
mo lottare, e concluse inneggiando all’Apra… tuttavia, sono
stati molto pochi quelli che gli dettero ascolto. La maggior
parte di noi era confusa e spaventata… Quando i senderos

165
Óscar Colchado Lucio

tornarono dopo una settimana, erano già informati di quello


che aveva detto don Edilberto… Subito, lo catturarono in
molti e lo trascinarono fino alla piazza. Lo cosparsero di
benzina perché lo avrebbero bruciato, così dissero… Ci fu
un grande scompiglio nel villaggio, piagnucolii di donne e di
bambini… Qui non c’è posto per sentimentalismi, compa-
gni! Ha ruggito uno che chiamavano Omar, alto e quadrato,
con la testa piccola, il Partito è inflessibile con gli spioni e i
traditori. Non perdona. Basta piagnistei!… Don Edilberto
Huarhua, che all’inizio aveva opposto resistenza lottando
con i suoi aguzzini, placò un po’ la sua aggressività e tutto
pallido e tremante negò di essere andato fino ad Ocros per
sporgere denuncia, che lui era andato solo per valutare la
possibilità che i suoi figli potessero studiare lì, che sicura-
mente erano tutte calunnie dei suoi nemici, perché non c’era
nessuna prova che lui fosse andato a denunciarli… Questo
fece dubitare i senderos… Quando Santos si consultò con il
villaggio per decidere se giustiziarlo o meno, tutti gridammo
no, che gli fosse data un’altra opportunità, che nessuno
aveva prove contro di lui… Un po’ controvoglia lo lasciaro-
no andare, anche se non si salvò dall’essere rapato e dal
ricevere dieci frustate ben date sulla schiena… Poi ci avver-
tirono tutti di fare molta attenzione, perché il Partito aveva
mille occhi e mille orecchie… e ora che i sinchi si sarebbero
sicuramente fatti vedere, dovevamo tenere bene a mente tre
regole d’oro: primo, di fronte a quello che vedevamo essere
ciechi, secondo, se sentivamo qualcosa, eravamo sordi; e poi,
eravamo muti… Accidenti! Ha iniziato a piovere… fuori i
pichuchankas si staranno nascondendo tra le fronde degli

166
Rosa Coltello

eucalipti e gli altri uccellini staranno cercando riparo tra i


cespugli di puyò e menta… Un vento forte soffia come se
volesse far saltare via le tegole… e quest’infiltrazione?…
Ufff! non l’avevo vista… sta bagnando tutta la parete… non
appena guarirò dovrò ripararla, prima che rovini la casa…

167
Óscar Colchado Lucio

… SPAVENTATO per quello che era successo a Don


Edilberto Huarhua, l’ex vicegovernatore, don Aurelio
Huilcahuari, abbandonò Illaurocancha solo pochi giorni
dopo, lasciando in custodia le sue cose un po’ qui e un po’
là, abbandonando le sue belle terre… Quando i senderos
tornarono, dopo aver creato nuove basi d’appoggio nei pae-
selli vicini, si sistemarono nella casa comune… Santos pose
l’amministrazione del villaggio sotto il controllo di un comi-
tato popolare… e Angicha si incaricò di formare la milizia…
La prima decisione fu quella che noi comuneros dovevamo
coltivare solo una giornata di terra per famiglia… che sareb-
bero poi cinquecento metri… coltiveremo solo per mangia-
re, disse, che non rimanga niente per la città… questa la
chiamavano la «tattica della raccolta delle messi»… e nean-
che potevamo vendere i nostri animali… mangiateli voi,
dicevano, perché venderli; nutritevi invece di vendere…
Proibirono anche che comprassimo prodotti nelle città, a
meno che non fossero sale o zucchero… Qui ci sono uova,
c’è latte, carne, formaggio; c’è di tutto, ci dicevano… e ci
ordinarono di costruire dei silos per immagazzinare il cibo…
Perché quando fossero arrivati i cachacos non trovassero
niente… Persino i vestiti proibirono che arrivassero dalla

168
Rosa Coltello

città… dissero che avrebbero portato dei tessitori affinché


producessero della tela e ci potessimo vestire… tra di noi
non doveva esserci nemmeno commercio… i commercianti
sono dei ladri, dicevano… Don David Janampa fu eletto
responsabile della milizia… All’inizio cominciammo a lavo-
rare in minkas con le altre comunità… Qualche giorno lavo-
ravamo ad Illaurocancha, e qualche giorno a Cceraorko,
Umaro, Llakores, Pujas, Buenavista e in posti più sperduti.
Ayrabamba, Pajonal, e dintorni… Erano molte persone
quelle che si mobilitavano… Cominciammo a ripulire le
zone disboscate, a preparare i terreni per la semina, a ripara-
re i recinti… In molti lavorammo controvoglia, un po’ per
paura, solo per non attirare troppo l’attenzione… e siccome
non potevamo coltivare più di cinquecento metri, il resto dei
campi si stava inaridendo… c’erano persone che volevano
andare via, altre che si erano unite a noi… Si viveva nel timo-
re, pensando che prima o poi sarebbero potuti arrivare i
cachacos… C’erano giorni in cui quelli della milizia, compo-
sta principalmente da giovani, andavano nei villaggi sopra
Andahuaylas: Ongoy, Chicmu, Pacucha e Chiara, Acosvinchos
e nella selva del fiume Apurímac a fare conquiste pacifi-
che… quando ritornavano, a volte accompagnati da Edith
che era dislocata soprattutto in quei posti, convocavano il
consiglio e lì ci aggiornavano… tutti ci riunivamo… Una
volta arrivarono portando alcuni capi di bestiame… dissero
di averli confiscati nella fattoria comune di uno dei villaggi e
che li avevano distribuiti a tutte le comunità, e che quando
noi avremmo fatto la raccolta, avremmo ricompensato quei
villaggi che ci davano quello che avevano… Certe notti arri-

169
Óscar Colchado Lucio

vavano, di passaggio, capi di gruppi armati che operavano in


zone lontane, armati di grandi fucili, mitragliette, bombe,
carabine e pistole… Parlavano dei loro progressi, di come
avrebbero organizzato le cose, sensibilizzavano la gente… A
volte menzionavano un certo Marx, Lenin, ma non capiva-
mo bene chi fossero questi signori… Più di tutti parlavano
di un cinese che si chiamava Mao e del presidente Gonzalo,
del quale ci mostravano la loro foto su dei fogli grandi… I
bambini avevano con sé un quaderno dove facevano loro
annotare la storia della rivoluzione cinese e perfino i ventuno
saluti che ogni rivoluzionario a quanto pare doveva imparare
a memoria senza sbagliarsi… Durante le assemblee dicevano
alla gente di fare molta attenzione a come si comportava…
che sarebbero stati processati i violentatori, gli adulteri, gli
abigei, i ladri e gli spioni… Come successe davvero quando
poi si formarono i comitati popolari nelle basi di appog-
gio…

170
Rosa Coltello

LA PRIMA morte che vedemmo da queste parti, in appli-


cazione della giustizia popolare, come dicevano, è stata quel-
la di José Villantoy, che aveva rubato una radio e del denaro
in un borgo di Chiara facendosi passare per un senderista…
infranse una delle regole che diceva: «Non toccare né un filo
e né uno spillo che appartengano al popolo per profitto per-
sonale»… lo acciuffarono e lo portarono in piazza… in molti
denunciarono di essere stati anche loro vittime dei suoi
furti… I comandanti, seduti accanto ad un tavolo sopra il
quale avevano sistemato la bandiera rossa con falce e martel-
lo, parlarono a lungo dell’urgenza di dare un castigo esem-
plare per liberare la nuova società dalle nere abitudini,
dicevano, del capitalismo… Dopo aver chiamato a votare,
emisero la sentenza: doveva essere giustiziato… Allora lo
legarono a un palo… Micaela, la figlia di don David Janampa,
che insieme a suo fratello Diómedes faceva ormai parte della
colonna dei sovversivi, fu designata per eseguire la senten-
za… la ragazza era sconcertata, pallida e nervosa, quando le
passarono la pistola, No, io non posso, compagni, disse, José
è come un membro della mia famiglia, abbiamo studiato
insieme a scuola… Andiamo, compagna, le disse Angicha,
devi farlo; è necessario temprare lo spirito per la guerra.

171
Óscar Colchado Lucio

Non lo vedi che è un traditore? Che ha infranto le regole del


nostro Partito?... sì ma non posso, ha balbettato lei… Omar
si è avvicinato infuriato, Giustizialo!, le disse, è un ordine, e
gli ordini del Partito si eseguono… Micaela, con l’arma in
mano, si mise a piangere… Allora, José Villantoy, alzando il
suo cinereo viso di moribondo, Spara, Mica, le disse, chiudi
gli occhi e spara, dimenticati che siamo stati amici!… Non
posso, non posso, diceva lei… Angicha, a spintoni, la mise
molto vicino al ragazzo… Andiamo, spara!, le ordinò…
anche qualcuno del villaggio la incoraggiò, Spara, Micaela,
spara!… lei allora alzò l’arma e sparò… Santos chiese degli
applausi… In molti applaudimmo solo per seguire gli altri…
In quel preciso momento Micaela cadde a terra svenuta…
prendendola in braccio, don David Janampa se la portò
via…

172
Rosa Coltello

… IN UN’ALTRA occasione portarono due uomini accu-


sati di abigeato e uno di essere una spia… Tutti nudi e con
le mani legate dietro alla schiena li avevano fatti arrivare…
A forza di scampanate convocarono l’assemblea popolare…
agli abigei, non avendo potuto provare le accuse, furono
date solo cinquanta frustate e li lasciarono liberi… L’altro
invece sì lo circondarono per ucciderlo, perché era, diceva-
no, un cane che non meritava di vivere… gli infilarono d’un
colpo il coltello nella gola, di punta… il sangue è schizzato
fuori con un fiotto arcuato… L’uomo, con la disperazione
della morte, afferrò il manico e con un strattone se lo sfilò…
e dette un fendente a vuoto, che per poco non ha preso la
pancia del senderista Omar, che lo aveva trafitto con il col-
tello… L’uomo si è messo a correre inseguito dai miliziani,
quelli con una sassata lo hanno fatto cadere, vicino al ponte;
poi, a bastonate lo hanno ucciso…

173
Óscar Colchado Lucio

… MA QUELLO che successe a Vilma Huarhua fu


diverso… Questo successe quando un giorno arrivò a
Petronillo Cocrise un foglietto dove gli si dava tempo settan-
tadue ore per abbandonare il villaggio senza portarsi via
niente e prima che ritornassero i firmatari che erano quelli di
Sendero Luminoso… In quei giorni non c’erano i capi e
neanche i responsabili del comitato popolare. Erano assenti
per portare a termine azioni di sabotaggio e di annientamen-
to, stando a quanto dissero… Quando seppe questa cosa, a
sua moglie venne un attacco di nervi… Lei voleva andarsene
via il prima possibile, aveva molta paura… Allora Petronilo
le disse, Ma se noi non abbiamo fatto niente, se ce ne andia-
mo penseranno che abbiamo qualche colpa… devo sapere
prima perché ci cacciano… Ascolta, le ha detto, abbiamo
settantadue ore. Dammi la metà del tempo per risolvere
questo problema. Se in questo lasso di tempo non ho fatto
niente, ce ne andiamo immediatamente… Prese il suo bel
cavallo e se ne andò immediatamente a cercarli sulla strada
di Ayrabamba… Domandando domandando arrivò vicino
all’accampamento dove si trovavano… Le sentinelle veden-
dolo lo fermarono, che cosa voleva, cosa faceva da quelle
parti… Lui spiegò che era una questione urgente, personale,

174
Rosa Coltello

che voleva parlare con i comandanti… fu così che poté par-


lare con Santos e Angicha… Mostrandogli il biglietto, gli
disse che voleva sapere quale era il motivo per il quale gli
davano quella scadenza, se io non ho fatto niente contro di
voi, non capisco… Ah, sì?, gli dissero sorpresi, Ti è arrivato
questo?… si consultarono tra di loro, poi Santos gli disse,
tornatene indietro tranquillo, dacci queste settantadue ore
di tempo per capire la faccenda, poi ti diremo quello che
devi fare… e davvero, prima dello scadere del tempo, un
plotone scese giù dalle alture e arrestò immediatamente
Vilma Huarhua, sua cugina, e Justino Vilca… quello che era
successo era, e non si sa come possano averlo saputo i sende-
ros, che Justino Vilca si era offerto di pagare un toro a Vilma
se questa avesse lasciato il biglietto e si fosse impegnata a
cedergli, dopo che Petronilo e la sua famiglia se ne fossero
andati, il terreno che confinava con i suoi campi, visto che
essendo Vilma la loro unica parente l’avrebbero lasciato a
lei… e pensando che sicuramente Sendero non sarebbe
durato molto, perché già si mormorava che di fronte al falli-
mento delle forze di polizia e delle loro unità anti-terrorriste
– i sinchi e i llapan atic – le forze armate si sarebbero incari-
cate della lotta alla sovversione… Sendero aveva davvero
mille occhi e mille orecchi. Petronilo non sapeva come, ma
la cugina era lì di fronte a lui, che confessava… Vilma
Huarhua, che era vedova, mezz’ora prima dormiva profon-
damente nella sua capanna con i suoi tre figlioletti minori,
che si erano svegliati urlando per il fracasso della porta e la
confusione dei cani quando i terroristi erano entrati… Vilma
fu trascinata per i capelli fino alla piazza… il pianto dei suoi

175
Óscar Colchado Lucio

bambini accompagnò i suoi gemiti… Dopo il processo che


le fecero fu finita con sette pugnalate, senza prendere in
considerazione le suppliche di Petronilo, affinché la perdo-
nassero, che non sapeva che si trattava di lei… in quello
stesso momento un altro gruppo portò fino a lì trascinando-
lo Justino Vilca… Legato a una colonna lo lasciarono tutta
la notte… Il giorno seguente, dopo che Angicha lesse da un
quaderno le confessioni dell’accusato fu chiesto alla gente
riunita nella piazza di votare a favore o contro la sua morte;
solo per fare una prova, sicuramente, perché già si sapeva
che lo avrebbero ucciso… Tutti avevamo ben presente che
per colpa sua avevano ucciso Vilma Huarhua ed erano rima-
sti tre orfani… e credemmo che fosse giusto che dovesse
pagare per le sue colpe… la maggioranza di noi alzò la
mano. Allora slegarono Justino, lo misero a pancia sotto e
Omar gli si mise a cavalcioni con un pugnale in mano.
Damián e Diómedes lo aiutarono a immobilizzare il condan-
nato… e vedemmo come gli conficcò il pugnale nella nuca…
e come schizzò il sangue… una bambina gridò in modo orri-
bile, facendo arrabbiare Omar… Silenzio, cazzo!, disse, non
deve piangere nessuno!… Justino Vilca supplicava,
Uccidetemi con un proiettile, taitas, non mi fate soffrire
così!… e visto che le grida si moltiplicarono, Santos si vide
obbligato a tirare fuori la sua pistola e a sparargli in testa…
l’altro scalciò un poco, poi rimase rigido…

176
Rosa Coltello

PROPRIO PER portarsi avanti con la disposizione «crea-


re zone guerrigliere in funzione delle basi di appoggio»
succedeva che vi assentaste spesso spesso da Illaurocancha.
Questa volta stavate tornando dopo una settimana che era-
vate lontani. Vi trovavate sulle alture della provincia di
Víctor Fajardo, ancora molto lontani dalla tanto agognata
casa. Prima sareste passati da Accomarca, Llocllapampa e
Cayara per consegnare ai compagni commissari parte degli
esplosivi che stavate trasportando.
Solo ieri avete attaccato l’installazione di Minas Canarias,
dove dopo aver sbaragliato le guardie ed esservi impadroni-
ti delle loro armi, avete confiscato per la rivoluzione, per
usare le parole di Santos, sessantamila candelotti di dinamite
dalla polveriera della miniera. Per la prima volta dopo molto
tempo, non ci sono stati atti di crudeltà contro il nemico.
Alle guardie avete solo rapato la testa, avvertendole, però,
che se non avessero rinunciato a continuare a far parte delle
forze reazionarie non si sarebbero salvati la prossima volta.
Di curare l’unico che è rimasto ferito durante l’assalto si è
offerta Angicha. Dopo avergli bloccato l’emorragia, lo ha
bendato. Magari fosse sempre così, hai pensato, quando
ancora erano fresche nella tua memoria le esecuzioni fatte

177
Óscar Colchado Lucio

nelle basi di appoggio e in altre comunità e che non appro-


vavi assolutamente perché le consideravi molto crudeli e
disumane. Avevi visto tagliare la lingua alle due spie, cavare
gli occhi ai traditori e ammazzare alcune persone di fronte ai
loro genitori o ai loro figli. «È la massa quella che oltrepassa
i limiti, compagno», si era giustificato Santos quando gli hai
fatto notare che era sufficiente sparare ai colpevoli invece di
farli soffrire tanto. «Non si può tenerla a freno se ha voglia
di vendicarsi» ha aggiunto. Ma non è assolutamente riuscito
a convincerti.
Questa volta sono stati circa cinquanta combattenti della
forza principale, tutti militanti, nessuno di appoggio, quelli
che hanno attaccato. Finita l’azione, dopo esservi spartiti le
attrezzature, vi siete divisi in quattro plotoni per fuggire in
differenti direzioni dalle pattuglie di sinchi che vi stavano
cercando per mare e per terra. Un gruppo, sotto il comando
di Carla, si è diretto verso le rive del fiume Cachi, tra
Ayacucho e Huancavelica. Un altro al nord di Apurímac e
Cuzco, sotto il comando di Edith. Un terzo, guidato da
Omar, verso la zona di Huamanga. E voi, circa tredici, con
Angicha e Santos come comandanti, tutti laceri e shillpicen-
ciosi, morti di stanchezza, fame e sete, verso le sponde del
fiume Pampas, tra Ayacucho Andahuaylas.
Vi stavate inerpicando lungo un costone di roccia cercan-
do di guadagnare il piccolo altopiano più in alto, dove si
trovava la laguna di Wachwacasa. Vi eravate raggruppati da
poco, dopo che da un elicottero da combattimento vi aveva-
no tirato addosso delle granate e raffiche di mitra mentre

178
Rosa Coltello

stavate avanzando nascosti tra le fratte del vallone, senza


fortunatamente infliggervi delle perdite.
Quando ormai credevate scongiurato il pericolo ed erava-
te sul punto di guadagnare la cima, la voce allarmata di uno
del gruppo di contenimento, vi ha messo in allerta: attenti!
attenti! I sinchi, compagni, voi avete guardato verso il fondo
della gola che vi stava indicando, senza vedere niente. Ma i
comandanti vi stavano già ordinando di tenere pronte le
armi e gli esplosivi e prendere velocemente posto dietro le
rocce.

179
Óscar Colchado Lucio

ANNUSANDO l’aria gelata che sale lungo il pendio e


che fa ondeggiare l’erbetta bruciata dal freddo, sono appar-
si tre cani poliziotto, tenuti al guinzaglio dalle avanguardie
dei sinchi e dalla loro guida.
Gli animali muovevano le loro teste guardando con fero-
cia da una parte e dall’altra. A volte, si fermavano e annusa-
vano il terreno.
Li avete lasciati avanzare per un bel tratto aspettando di
averli sotto tiro, nonostante la visibilità non fosse buona. Tu,
a pancia in giù dietro un parapetto di roccia, seguendo le
istruzioni di Angicha, puntavi il primo cane aspettando il
momento opportuno per sparare il primo colpo.
Dopo poco sono apparsi i primi uomini del corpo princi-
pale della pattuglia. All’ordine di Angicha, avete fatto parti-
re le prime raffiche, che sono rimbombate tra le montagne,
facendo schizzare fuori dalle loro tane le viscacce e le mof-
fette.
Un cane e due poliziotti sono caduti a gambe all’aria tra i
cespugli, per poi rimanere stecchiti come dei pupazzi.
Santiago e Santos avevano ucciso i due sinchi, mentre gli
altri, che hanno sparato al grosso della pattuglia, dietro ad

180
Rosa Coltello

alcuni massi, sono solo riusciti a far saltare via pezzi di roc-
cia, ferendo un soldato alla spalla.
Al coperto, i toches hanno risposto al fuoco. Voi avete
continuato a sparare ai morti, riempiendoli sempre più di
piombo, affinché i vostri avversari non potessero avvicinarsi
a recuperare le armi dei loro compagni. Ma uno di loro,
incitato a quanto pare dai suoi capi, si è arrischiato. E quan-
do è saltato fuori per afferrare l’arma, dopo essersi avvicina-
to di nascosto facendo il passo del leopardo, un colpo di
Angicha gli ha perforato la gamba. Senza mollare il fucile,
urlando di dolore, si è trascinato come ha potuto al riparo
dietro alle rocce vicine dove è stato aiutato dai suoi compa-
gni.
Le due esplosioni che sono seguite – dinamite lanciata da
voi con la fionda li ha fatti fuggire giù verso il fondo del
vallone.
– Viva la guerra di guerriglie! Cazzo! – avete gridato tutti
trionfanti, mentre Samuel, esultante, correva ad impadronir-
si del fucile che l’altro morto impugnava, non prestando
ascolto all’ordine di Angicha di non scendere giù.
Aveva già raccolto l’arma e stava per tornare indietro,
quando degli spari provenienti dall’altro lato del vallone lo
hanno raggiunto. Si è accasciato afferrandosi il petto con
disperazione, ha girato su se stesso ed è caduto di lato sulla
terra polverosa che, assetata, ha cominciato a bere il suo
sangue.
Due membri delle retroguardie dei sinchi erano stati i
responsabili degli spari, ed erano poi scappati a tutta veloci-
tà, tra i cactus. Miguel e Julio, coperti dal vostro fuoco, si

181
Óscar Colchado Lucio

sono lanciati giù verso il vallone ad inseguirli, senza smettere


mai di sparargli.
Tutti hanno pianto per la morte del giovane combattente,
«gran militante del Partito», come ha detto Santos. Si era
distinto durante la presa del carcere di Ayacucho organiz-
zando la gente dei quartieri poveri, dei quali era il dirigente,
perché distraessero le forze dell’ordine nel momento in cui i
commando stavano attaccando. Nell’ultimo periodo, quan-
do si era unito alla lotta, la cattiva sorte si era accanita contro
di lui. Era appena passato un mese, che la sua compagna, la
compagna Zulma, responsabile politico-militare della pro-
vincia ayacuchana di La Mar – dove si mormorava che si
trovasse a combattere anche il presidente Gonzalo –, era
stata arrestata sulla strada per Macachacra, nella provincia
di Huanta, con la sua figlioletta di otto mesi, che è stata affi-
data a forza ad alcuni contadini affinché la crescessero. Lei,
dopo averla violentata, l’hanno gettata da una jeep in un
burrone insieme con altri due compagni. Oltre tutto hanno
tirato loro addosso anche delle granate facendoli completa-
mente a pezzi. Ora Samuel, ha detto Santos nel suo discorso,
riposa in pace, compagno, sotto il cielo che tu hai rivestito di
aneliti e speranze, e che noi, che rimaniamo in mezzo al rim-
bombante fragore della rivoluzione, faremo avverare i tuoi
sogni.
Dopo aver sepolto il compagno caduto ai piedi di una
puya immensa che si stagliava come un monumento, vi siete
preparati per allontanarvi. Proprio allora, Miguel e Julio,
che sono rimasti a fare la guardia nel caso di un possibile
ritorno dei sinchi, sono spuntati portando prigioniero la

182
Rosa Coltello

guida, che avevano trovato, hanno detto, nascosto in una


fenditura del vallone, e che era un contadino di Ocros, come
lui stesso e alcuni che lo conoscevano hanno detto.
– I sinchi mi hanno obbligato, papacitos – ha detto met-
tendosi in ginocchio, supplicando. – Hanno minacciato di
uccidere mia moglie e i miei due figli se non li avessi portati
dove mi avevano chiesto. Per questo, per liberarmi di loro,
mi sono nascosto nel vallone pensando di fuggire dopo.
Allora Angicha gli ha detto che andava bene, gli avrebbe-
ro risparmiato la vita; ma che ora avrebbe dovuto lottare
come combattente. E gli ha passato un fucile vecchio perché
potesse difendersi. Il suo nome era Antolino Páucar e molto
presto sarebbe diventato tuo amico.

183
Óscar Colchado Lucio

SICURI ORMAI che i sinchi non vi stavano seguendo,


con la fame e la sete che vi tormentavano le viscere, voi vi
siete finalmente avvicinati alla laguna di Wachwacasa, dove
pensavate di trovare alcuni challwa e pesci gatto con i quali
nutrirvi.
Davanti a te avanzava Angicha, livida per il freddo, che a
volte scivolava con i suoi scarponi sulla terra ghiaiosa disse-
minata di ichu. Tu ammiravi, facendo finta di niente, il suo
formidabile posteriore, ben fasciato dai suoi jeans, soprattut-
to quando si piegava per aiutarsi nelle salite più ripide, affer-
randosi alla paja brava o ai piccoli arbusti rinsecchiti, com-
pletamente spogli, che abbondavano lungo quel pendio.
Quasi completamente piegato per il peso del fucile e per
le attrezzature che portavi nel quipe, masticavi di gusto l’ul-
tima foglia di coca che ti era rimasta.
Dietro di te c’era Urpay, la pasña di quindici anni che era
stata reclutata a Cceraorko. «Compagna dacci tua figlia per
la rivoluzione» avevano detto alla madre, una donna umile.
«Ancora, compagni, è molto giovane; ha appena quindici
anni». «Ma, compagna, guarda quei due maqtillos, hanno
solo tredici anni e sono già con noi». Alla fine era stata
Paulina quella che era riuscita a convincerla, promettendole

184
Rosa Coltello

che l’avrebbe sempre tenuta al suo fianco, come in effetti era


poi stato. Graziosa era la ragazza, alcuni compagni le aveva-
no già messo gli occhi addosso, specialmente Medardo e il
Pampino. Ma tu non avevi occhi che per quella bellezza
della tua comandante, che aveva appena messo il calcio del
fucile a terra, appoggiandosi leggermente sull’arma per ripo-
sarsi un po’. Inizia a scherzare con te, come fa ogni volta che
è di buonumore, Uh, Liborio, andavi troppo lento! che
pigro che eri! ti fa piacere sentire il tuo nome sulle sue lab-
bra fresche, come frutti succosi, che vorresti mordere. Ma
non sempre ti chiama Liborio. Quasi sempre ti chiama
Túpac, soprattutto quando siete nel bel mezzo dello svolgi-
mento di qualche azione.
Più avanti, con un leggero vantaggio su di voi, stanno
marciando gli altri, parlando di tanto in tanto, ansiosi di
arrivare alla laguna. Sulle vostre teste è appena passata grac-
chiando una veladora, uccello della puna delle dimensioni di
un piccione, bianca, con le zampe gialle, e la testa e il collo
neri. Guardi il cielo; nuvole leggere che non minacciano
pioggia si spostano pigre.
D’un tratto, la quiete della puna si rompe, quando si sen-
tono due spari che esplodono come tuoni amplificati dal-
l’eco delle montagne innevate. Vi gettate pancia a terra per
mimetizzarvi tra la paja brava che è alta e ondeggia al vento,
pensando che dall’alto, da qualche elicottero, vi stiano attac-
cando. In quel momento, sghignazzando nervosamente, si
alza il Pampino, che spavento, amici, non erano toches, ma
solo spari dei compagni cacciatori.

185
Óscar Colchado Lucio

Vi ricordate allora che tre del gruppo, Julio, Medardo e


Paulina, sono scesi giù nel burrone in cerca di alcune vigo-
gne che Mallga ha assicurato di aver visto correre giù.
Speriamo che abbiano avuto fortuna, dite. Se fosse stato così
avreste avuto presto qualcosa da mettere nello stomaco.
Tutti felici, vi affacciate tutti a guardare giù dal dirupo.
Invece dei cacciatori, avete visto molto lontana, su un’al-
tura che poggiava sulla montagna di fronte, la figura agile e
snella di una splendida vigogna, che di qua e di là, allarmata
dagli spari, muoveva la sua testolina rotondeggiante emet-
tendo dei fischi.
– È il capo branco – ha detto Antolino Páucar, appog-
giandosi con il suo quipe ad una roccia.
Un altro fischio, e ora sì, il branco è comparso uscendo
dal fondo del burrone, in fila, trotterellando, per perdersi
subito dietro la piega di un monte. Gli spari erano cessati.

186
Rosa Coltello

SUDATI, ANSIMANDO, i compagni sono spuntati tra-


scinando una vigogna morta. Paulina portava nella sua
coperta una piccola vigogna, appena nata, un cucciolo del-
l’altra.
Quando l’ha messa a terra poteva a malapena stare in
piedi la wakchita, le sue piccole gambe tremavano come se
stessero per cedere. È stato allora che ti sei arrabbiato, con
grande sorpresa di quelli che contenti festeggiavano perché
finalmente avrebbero mangiato un poco di carne con tutta la
fame che avevano.
– Non avreste dovuto prenderla – hai detto – ora, per
colpa di quella bestiola, gli dèi della montagna, gli Apus, ci
puniranno. Le vigogne, così come i cervi e le viscacce, sono
i figli prediletti dei monti, della pachamama, delle cochas.
Loro permettono che noi le cacciamo, che utilizziamo la loro
carne, la loro lana, il loro grasso; ma non che le prendiamo
vive e nemmeno che le alleviamo. Gli dèi vanno in collera.
Puniscono con siccità, con terremoti…
Angicha e alcuni senderisti mistis sono rimasti sorpresi
dalla tua ira. Santos è intervenuto. Non ti alterare, compa-
gno, ti ha detto, forse quello che dicevi era vero. Non era
contrario alle tue credenze, ma forse stavi esagerando un

187
Óscar Colchado Lucio

poco. Di questi tempi ormai gli dèi non facevano più mira-
coli. Adesso si doveva credere solo nelle masse, il nostro
unico vero dio, alle quali ci si doveva consacrare con enorme
fede e devozione. Lo avresti poi capito meglio quando fosse-
ro penetrati in te i sacri principi della rivoluzione.
Tuttavia, tu non avevi finito di sfogarti e, dimenticandoti
della stima che avevi per lui, per la prima volta ti sei azzar-
dato a contraddirlo:
– E le masse faranno anche piovere, compagno?
Antolino Páucar e Mallga si sono huajallati di gusto.
Questo ha fatto un po’ arrossire Santos che alla fine si è
stretto nelle spalle.
Urpay in quel momento aveva in braccio la piccola vigo-
gna. Tu ti sei avvicinato a lei.
– E adesso – le hai detto contrariato – che latte le darai?
Avrebbe visto in seguito. Di qualche mucca o capra che
avrebbe trovato sul cammino forse.
Con timore hai guardato verso i monti e ti sei raccoman-
dato dentro di te che non succedesse niente né a te né ai tuoi
compagni.

188
Rosa Coltello

MA LA collera dei wamani doveva essere molto grande.


Non eravate ancora arrivati sulle sponde della laguna,
dove avreste riposato e arrostito la vigogna, quando le picco-
le formazioni nuvolose che avevate visto all’inizio hanno
iniziato a scurirsi sempre di più coprendo il sole, mentre
soffiava un vento gelido che fischiava in mezzo alla paja
brava facendovi tremare; così che avete dovuto avvolgervi
più volte con i vostri ponchos o con i vostri mantelli, affer-
rando rapidamente il cappello per evitare che vi volasse via.
– Toc! toc! toc! – ballonzolando sopra i cappelli ha
cominciato a venire giù una grandinata, coprendo in un atti-
mo tutta la campagna di neve. L’arcobaleno, con il suo corpo
di serpente dai sette colori, si è teso in cielo da una parte
all’altra.
– Non ve lo avevo forse detto? – hai mormorato.
In un attimo, la tempesta si è scatenata in tutta la sua
forza, riempiendo il terreno di llocla, che scorrevano ovun-
que mentre in quell’acqua rossa che allagava l’ichu voi cor-
revate, chaplac! chaplac! chaplac!, verso le rovine di un
tambo, accanto alla laguna, cercando di proteggere le armi e
gli esplosivi.

189
Óscar Colchado Lucio

Santos, che era davanti a te insieme con Medardo e


Angicha, si è girato a guardarti, dicendo:
– Cose della natura, compagno. Non ci si deve allarmare.
Passerà.
Ma Antolino Páucar e Mallga concordavano con te sul
fatto che gli dèi fossero arrabbiati.
I tuoni e i fulmini minacciavano di tirar giù il cielo che era
diventato nero nero oscurando la terra. Ammassati in un
angolo, sotto una piccola tettoia di paglia che qualche viag-
giatore aveva messo tra le mura piene di crepe del tambo,
guardavate con crescente spavento come i fulmini cadevano
vicini bruciacchiando l’erba. A un certo punto avete visto
chiaramente in un bagliore che è durato alcuni istanti alzarsi
sopra un ghiacciaio e sfumando verso il cielo, lo spaventoso
volto della dimensione di una montagna di un uomo terrifi-
cante, che ha allungato i suoi tentacoli verso il tetto sotto il
quale vi rifugiavate, riducendolo a un cumulo di ceneri
fumanti.
– Taita Dio! – siete saltati voi, alcuni cercando un nuovo
rifugio, altri inginocchiandosi a pregare. Allora tu, strappan-
do dalle mani di Urpay la piccola vigogna, sei corso dispera-
tamente, scivolando quasi sul fango, verso la laguna, rivolto
verso il ghiacciaio hai fatto la tua offerta:
– Padre jirka! Taita! Figlio di Pedro Orcco sono. Guarda
l’illa che porto ollcao al collo. Perdona taitay, ecco qua la tua
bestiola.
Così dicendo, hai deposto al suolo la piccola vigogna che
è rimasta lì tremante e sei corso di nuovo dove erano i com-
pagni.

190
Rosa Coltello

Un attimo dopo, ha iniziato a poco a poco a calmarsi la


tempesta, a schiarirsi il cielo e a spuntare uno spicchio di
sole che ha fatto biancheggiare il ghiacciaio. La wakchita
non c’era più. Era scomparsa.
Spaventati vi siete allontanati da quel posto, dimentican-
dovi persino della vigogna che avevate cacciato. Sul ghiac-
ciaio volava maestoso un falco bianco.
Nonostante tutto quello che era accaduto, hai sentito
Santos esprimere le sue perplessità ad Angicha. E più di ogni
altra cosa ti ha fatto male quando lei gli ha risposto:
– Anch’io penso che quell’apparizione sia stata un effetto
ottico. Il bagliore del fulmine forse, o le nuvole magari.
Cacchio, anche il suo modo di pensare era quello di un
misti.

191
Óscar Colchado Lucio

CI AVVICINAVAMO al Supayhuasi, avanzando attraver-


so un’oscura galleria dopo esserci lasciati alle spalle gli
acquitrini e la boscaglia.
All’entrata di guardia, avevamo incontrato la Sachamama,
la gigantesca Amaru di sette colori, alla quale Wayra ha par-
lato latrando, senza che potessi capire niente. I suoi occhi
brillavano come pietre preziose mentre lo ascoltava.
Immediatamente si è tesa verso l’alto e suap!, si è catapulta-
ta in alto con grande forza, perdendosi velocemente in quel
cielo nero, senza stelle, lasciandoci così via libera.
In fondo alla galleria si sono aperti di fronte ai nostri
occhi enormi stanzoni, scalinate, colonne, illuminati con
lampade, vetri e specchi. Alcuni ometti con un gran testone,
lunghe orecchie appuntite, ventri prominenti, gambe torte
come delle pinze, ci osservavano dalle gradinate, appoggiati
a dei lunghissimi bastoni dalle punte ramificate con degli
uncini alle estremità.
– Sono anchanchos – ha detto il mio fedele accompagna-
tore – in superficie amano trasformarsi in animali per spa-
ventare le persone e procurargli la morte.
Sono bastati pochi latrati furiosi di Wayra, perché si spa-
ventassero e corressero via.

192
Rosa Coltello

Ci stavamo avvicinando al salone dove si trovava il


Lanzón. In mezzo a quell’antro si innalzavano alberi dai
tronchi lisci e dai fiori rossi, simili ai pisonay, sui quali ger-
mogliavano spiriti differenti, come quello della malaria che
era un nano con il naso deforme. Un po’ più lontana passeg-
giava la fiera chiamata huanay ccahuari che con il suo sguar-
do pietrifica i viventi, come si dice che nell’antichità abbia
fatto con due dei fratelli Ayar. C’era anche il sacha runa,
l’uomo della selva che attacca nei luoghi solitari e divora gli
uomini. Il camacari, il demone che produce la follia, stava
seduto rigido sul ramo di un albero. Lì gironzolava anche il
puñuy, demone del sonno, che sulla terra viene invocato
quando non si riesce a dormire o per chiedergli di non farci
morire durante il sonno. Il piñacuy o demone dell’ira si aggi-
rava anche lui da quelle parti. Il dolore o soncco nanay,
immobile ci osservava con il suo sguardo languido. Il dio
delle sepolture o tanccaray, quello che riuniva le anime quan-
do si organizzavano loro delle cerimonie, parlava con un
altro spirito che ci dava le spalle.
Poi, passando, ci siamo trovati di fronte alle massicce
mura di pietra di un palazzo che risplendeva di bagliori di
fiamme che si vedevano attraverso le aperture delle finestre
e della grande facciata.
Degli uomini giganti, gli huari, facevano la guardia all’en-
trata.
Wayra si è avvicinato abbaiando per parlare con loro. E
di nuovo non ci ho capito niente, come era successo con la
Sachamama.

193
Óscar Colchado Lucio

L’allko e io siamo entrati direttamente da un corridoio da


cui, in fondo, sembrava provenire quella luce intensa.
Siamo sbucati in un immenso salone dove si intersecava-
no tutte le gallerie. Al centro si trovava un patio circolare
pieno di anime che pregavano inginocchiate. Al centro di
quel circolo, al quale si accedeva scendendo una gradinata,
si ergeva un altare d’argento. Le travi della volta erano d’oro
e di bronzo erano le alte colonne circolari dei corridoi.
– Quelle anime aspettano il Lanzón – mi ha detto Wayra
–. Non avere nessun timore. Tutti gli esseri della terra vor-
rebbero essere divorati da Lui. Perché solo entrando in Lui
si trova la vera pace e la vita infinita; la gioia di essere seme,
luce, musica, colore.
Davvero, quelle anime avevano il volto luminoso come in
estasi per una felicità annunciata.
– Anche noi entreremo in Lui? – ho detto senza smettere
di tremare.
– No. Di fronte a lui si presentano solo le anime che
prima si sono purificate nel mare di fuoco.
– Anche io dovrò purificarmi nel mare di fuoco, Wayra?
– Questo lo sa Lui solamente.
– Chi è veramente il Lanzón? Lo sai?
– Lo stesso Wari Wiracocha. In lui si uniscono il passato,
il presente e il futuro. I tre pachas dell’universo…
Mentre Wayra mi stava dicendo questo, improvvisamente
la luce si è spenta e non sì è sentito più nessun rumore, come
se si fosse spento il mormorio del mondo. Un fulmine ha
attraversato il salone accompagnato dal fragore di un tuono
che ha fatto tremare le fondamenta del palazzo. Hanno sfol-

194
Rosa Coltello

gorato gli occhi del dio nell’oscurità e i sudditi, dopo aver


urlato di gioia, hanno elevato preghiere in quechua, pieni di
euforia. Si accingevano ad entrare nella felicità infinita.
Dagli occhi del dio proveniva un bagliore che illuminava
le zone intorno all’altare. E in uno sfolgorio di luci che si è
prodotto proprio in quel momento, abbiamo visto come si
lanciavano nell’abisso della sua bocca, avide, le anime eufo-
riche. L’enorme viso si trasformava da umano, in quello di
un puma, di un condor, di un serpente amaru.
Quando di nuovo si sono accese le luci, il salone era
vuoto e silenzioso.
Noi, riprendendoci dallo stupore e pieni di energia,
abbiamo abbandonato quel patio desolato per dirigerci
lungo un corridoio, verso il mare di fuoco.

195
Óscar Colchado Lucio

… MOSCHE! Ahi! Cacchio!… mentre dormivo, tre


mosche si erano infilate dentro la ferita… Taita Dio!
Speriamo che non siano mosche della putrefazione15… Sta
aumentando il cattivo odore, mi ha detto nei giorni scorsi
doña Emilia…e gli è rincresciuto di non avere del creosoto.
Fa bene, ha detto… Ha lavato bene la ferita e, come altre
volte, ci ha messo sopra gocce di foglie di sampablo16… poi
mi ha applicato impacchi tiepidi di orecchio di lepre17…
Speriamo che questa febbre sia dovuta al proiettile incastra-
to qui e non al progredire della putrefazione… Se muoio,
chi mi seppellirà, taita Dio. In questo villaggio dove ormai
non è rimasto nessuno… Beata la compagna Edith che al
suo funerale fu accompagnata da quasi diecimila persone ad
Ayacucho, secondo quanto ho sentito alla radio… Vidi il suo
cadavere ad Andahuaylas, appoggiato sul sedile davanti di
quella camionetta dell’esercito… Era coperto da un lenzuo-
lo, pieno di sangue… Hanno dato varie versioni della sua
morte… Una di queste diceva che era caduta durante un

15 Sarcophaga carnarìa: mosca che depone le uova nella carne in putrefazione.


16 Sampablo: nome popolare che nelle Ande indica la primula officinale (primula
veris).
17 Plantago lanceolata: tipo di pianta officinale.

196
Rosa Coltello

combattimento con la polizia e che, i suoi compagni, duran-


te la loro fuga, lasciarono il corpo coperto appena con della
paja e che i cachacos lo trovarono… Altre affermavano che
era stata catturata ferita e che i poliziotti l’avevano torturata
prima di trafiggerla con una baionetta… È accaduto durante
la stagione della puspa, quando si vedevano ormai arrivare le
prime piogge… E qui, ad Illaurocancha, vivevamo ormai il
socialismo, come affermavano i compagni, ancor più rassicu-
rati dalla solidarietà di massa dimostrata dal popolo ayacu-
chano alla comandante guerrigliera caduta in combattimen-
to… Solo allora seppi che di cognome faceva Lagos e che
Edith era il suo vero nome e non uno pseudonimo… E men-
tre le colonne combattenti andavano avanti nella loro tattica
di «battere la campagna», secondo quanto ci spiegavano;
questo significa, ripulirla da qualsiasi elemento che non
fosse Sendero Luminoso e la classe contadina, i responsabili
dei comitati popolari convocavano noi, centinaia di contadi-
ni delle differenti basi di appoggio, a lavorare nella Allpachaca
– che è stata la tenuta agricola dell’Università e che Sendero
aveva occupato poco prima – per coltivare collettivamente le
terre… Siamo stati anche in altri fondi abbandonati nel
basso Pampas, i cui padroni erano stati messi in fuga da
Sendero… così come era successo a molti funzionari e impie-
gati dello Stato… Molti ingegneri furono uccisi per inter-
rompere le opere che stavano eseguendo.

197
Óscar Colchado Lucio

OLTRE AL compagno Santos, che rappresentava l’auto-


rità del Presidente Gonzalo nella zona, c’erano anche dei
commissari di sicurezza e di produzione… La squadra di
indottrinamento e giustizia, come la chiamavano, era forma-
ta da Angicha, Medardo e Paulina… Quest’ultima era l’in-
caricata di trovare una soluzione ai vari problemi che si
verificavano all’interno della Zona Liberata. Aveva un carat-
tere forte e riusciva a fare in modo che le persone obbedis-
sero sempre alle sue disposizioni… Lei faceva sposare le
persone… La cerimonia di matrimonio la celebrava durante
le assemblee. Le coppie esprimevano lì il proprio impegno a
servire meglio la rivoluzione… Chi voleva separarsi si rivol-
geva a lei per ottenere l’autorizzazione… Proibì il «vida
michiq» o incontro di giovani, per cantare, ballare e cercare
di fidanzarsi, adducendo che quelle usanze erano antiche e
solo un pretesto perché i ragazzi e le ragazze facessero delle
orge… Dissero che molti adulteri recidivi li aveva fatti giu-
stiziare… Interveniva anche in altre questioni, come quando
ha detto a Nicolás Poma che la smettesse di preoccuparsi
per la carica che ricopriva nella celebrazione della festa della
Madonna della Candelora che ormai si stava avvicinando e
si impegnasse di più nel dare il suo contributo alla rivoluzio-

198
Rosa Coltello

ne… Ma Nicolás si allarmò: e noi del villaggio cosa avremmo


detto? Non eravamo mai venuti meno alla tradizione… Cose
di questo genere iniziarono ad infastidirci sempre di più…
Abbiamo saputo che quelli di Huancasancos si erano stufati
da quando i compagni avevano annunciato che avrebbero
paralizzato i lavori di costruzione della strada verso Lucanas
e la costa. Questo significava che non avrebbero più potuto
commerciare in lana e bestiame… Anche dalle parti di
Huanta raccontavano che gli iquichanos erano scontenti per
il divieto che avevano imposto di vendere i loro prodotti alla
fiera di Lirio… Una volta quando, bandiera rossa in testa,
noi illaurocanchinos andammo ad Ayrabamba a chiedere
una parte del bestiame che i capi guerriglieri aveva destinato
a noi, ci fu quasi una ribellione degli ayrabambinos che si
rifiutavano di consegnarci il bestiame, dicendo che per alle-
varli avevano fatto molta fatica…Quasi ci linciano, a noi
delegati… Dovette ritornarci lo stesso Santos a parlare con
loro e fargli capire che presto noi illaurocanchinos avremmo
fatto arrivare parte del nostro raccolto di mais e che doveva-
mo imparare a dividerci tutto. Che il socialismo era così… A
me sembrava pericoloso. La gente cominciava a disilluder-
si…

199
Óscar Colchado Lucio

SULLA cordigliera di Pumakahuanca, a metà strada tra


Canaria e Illaurocancha, vicino al passo di Tocctocasa, circa
venti combattenti, tra uomini, donne e bambini, si stanno
addestrando correndo con le armi in pugno. I wambrachas
– ragazzini tra i dieci e i tredici anni che avete appena reclu-
tato nelle comunità vicine –, per non rimanere indietro,
corrono a perdifiato, sudati sudati, dietro ad Angicha. A
volte lei ti guarda facendo finta di niente e ti sorride perfino.
Sembra che tu le ispiri un po’ di simpatia. Scherza sempre
con te. Tuttavia, non hai la più pallida idea di come parlarle
di quello che senti, di come esprimerle i tuoi sentimenti. Lei,
una ragazza istruita; tu, un ignorante, quali potrebbero esse-
re le parole più appropriate? Ci pensi e ci ripensi durante la
notte rigirandoti, senza riuscire a dormire. Insomma, ci avre-
sti pensato dopo, ci avresti pensato dopo… Rifletti anche
sulla guerra, sulla rivoluzione. Omar non ha più ripreso in
esame le tue teorie. Sembrava che non gli interessasse.
Neanche Angicha e Santos hanno detto più niente e, peggio
ancora, ti avevano appena dimostrato di non credere negli
spiriti delle montagne, né in altri dei, nonostante fossero
originari di quelle zone. Cosa potevi aspettarti dagli altri,
allora? Da quelli nati nelle città grandi e nella capitale, come

200
Rosa Coltello

Anselmo il dottore per esempio? Era ormai chiaro che la


loro religione era la politica. Non avevano altri dèi all’infuo-
ri dei loro leader e delle masse. La natura era solo natura
nelle loro teste. Non avrebbero mai potuto accettare che le
cochas, le montagne, i fiumi, fossero vivi. Che anche nelle
pietre stesse vivessero gli spiriti. No, no, questo non lo
avrebbero capito. Come non avrebbero neanche creduto al
ritorno di quell’inca-dio la cui testa, secondo i nostri nonni,
era sepolta a Cuzco e si stava ricomponendo fino ai piedi. E
che una volta completo avrebbe rivoltato il mondo metten-
dolo sottosopra. Allora la notte sarebbe diventata giorno e
quelli che ora soffrono avrebbero gioito; quelli che oggi gioi-
scono avrebbero sofferto. Quei momenti si stavano già
vivendo con il Pachacuti: il gran cambiamento, la rivoluzio-
ne. Solo che questa rivoluzione era dei mistis e non dei nati-
vi. Era urgente che se ne appropriassero, allora. Forse gli dèi
avrebbero permesso che tu la guidassi, deviandola da questo
scontro tra mistis poveri e mistis ricchi. A quanto pare gli dèi
stavano già prendendo parte alla guerra. Non era stato forse
Pedro Orcco, il dio montagna, che ti aveva aiutato durante
l’attacco al carcere di Ayacucho? Avresti continuato quindi a
combattere insieme con i compagni, per acquisire ancora
esperienza e orientare poi la rivoluzione dalla parte dei runa,
perché alla fine, al momento della vittoria, fossero i nativi
stessi gli unici detentori del potere…Vediamo, avresti condi-
viso questi pensieri con tutti i compagni che ti fossero sem-
brati ricettivi alle tue idee e che avessero credenze come le
tue. E pensavi a Mallga, a Diómedes e a sua sorella Micaela,
a Damián, ad Antolino Páucar e a quei wambrachas che sta-

201
Óscar Colchado Lucio

vano imparando a essere dei combattenti e che tu stesso


avevi reclutato qualche giorno prima. Per il momento, si
doveva continuare a stare agli ordini dei comandanti che
avevano deciso di sospendere provvisoriamente il ritorno ad
Illaurocancha fino a quando non fossero stati studiati bene i
passi da fare da lì in poi, perché erano stati informati dalla
radio che Belaúnde Terry aveva appena autorizzato l’inter-
vento dell’esercito nella lotta contro la sovversione con lo
scopo, si diceva, di spazzarla via una volta per tutte. Nel
frattempo vi sareste messi a lavorare in queste zone alla
costruzione di un accampamento, ampliando grotte e fendi-
ture.
Inoltre, eravate anche stati informati che la compagna
Carla, fatta prigioniera dai sinchi alcune settimane prima a
Huanta, era stata dichiarata scomparsa. Solo ora avevi sapu-
to che il suo cognome era Cutti, ossia, quindi, «colui che
cambia, che gira, che capovolge». Non era anche quello un
altro segno degli dèi che il Pachacuti era iniziato per i nati-
vi?

202
Rosa Coltello

È VENUTA doña Emilia a portarmi da mangiare. Ha


ucciso il suo bel pollo la poveretta. Era tutta felice era, per
avermi trovato un po’ migliorato… Lei guarirà, don Mariano,
mi ha detto; non bisogna perdere la speranza… la mia bella
offerta anche ho fatto al taita montagna e ho acceso la mia
bella candela alla Madonna della Candelora. Anche se i santi
cristiani sono una cosa diversa, anche loro fanno miracoli…
Ah, doña Emilia, bene o male lei mi aiuta, altrimenti cosa ne
sarebbe di me… Mi è riconoscente per quella volta che sal-
vai Damián, suo figlio, quando lo stavano per fucilare i sol-
dati… Arrivarono a Illaurocancha per fare fuori in un modo
o nell’altro tutti i senderos… Un contingente di cinquanta
morocos a piedi, appoggiati da quattro elicotteri da combat-
timento dell’aviazione dell’Esercito, iniziò un’operazione di
tipo commando… Dagli elicotteri, pensando sicuramente
che qui ci fossero tutti i membri della colonna che comanda-
vano Santos e Angicha, iniziarono un bombardamento a
tappeto e mitragliarono tutta la piazza prima di atterrare…
Altre pattuglie, lanciandosi col paracadute, circondarono le
principali vie d’accesso al villaggio… Don David Janampa,
come responsabile della milizia, e Mario Buitrón furono
dell’idea di opporre resistenza, ma per la paura nessuno gli

203
Óscar Colchado Lucio

prestò attenzione e anche loro dovettero scappare, insieme


con altri delegati del comitato popolare… A gambe levate li
vidi correre e perdersi nel vallone… Delle donne solo Rosa
Coltello riuscì a scappare… Si salvò, perché il nome di suo
figlio era sulla lista nera dei morocos…

204
Rosa Coltello

DALL’ALTO di Arraypata, a metà strada dalla cima di


Pedro Orcco, Rosa Coltello potè vedere che i soldati si sparpa-
gliavano per il villaggio mentre si sentivano raffiche di mitraglia-
trice. Vide alcune pattuglie catturare quelli che in ritardo cerca-
vano di scappare. Le campane della piccola chiesa iniziarono a
suonare convocando tutta la popolazione ad un’assemblea. Le
porte delle case che rimanevano chiuse venivano sfondate a
pedate e con i calci dei fucili. E così vide che entravano nella
sua, dopo aver buttato giù il portone. Le campane smisero di
suonare, ma gli spari aumentavano. Le venne paura, tanta
paura. Quel giorno era domenica e per questo quasi tutte le
persone erano nelle loro case. In altri giorni, ad altre ore avreb-
bero trovato pochissime persone, perché sarebbero stati tutti
nei loro campi o a occuparsi dei loro animali. «Ah, mio figlio,
Ah il mio Liborio, speriamo che non gli venga in mente di farsi
vedere da queste parti. Taita Pedro Orcco, proteggilo».
Alcuni andarono in piazza di loro spontanea volontà e
altri furono trascinati con la forza, a spintoni e pedate.
Sarà stato quasi mezzogiorno, e la mattina era ancora
fredda e leggermente nuvolosa.
Poco dopo, quando tutti furono portati nella sala comu-
ne, si cominciarono a sentire le urla.

205
Óscar Colchado Lucio

… DI ESSERE TERRORISTI ci accusavano tutti… Chi


sono i capi! Parla terruco di merda… così dicendo ci punta-
vano asce, machetes, coltelli, alla gola. Un tipo biondo con i
baffi e un altro tipo mezzo zambo, tutti e due molto alti,
erano quelli che comandavano… Se avessimo dichiarato, se
avessimo raccontato chi erano i capi, dissero, forse ci avreb-
bero liberato, altrimenti saremmo morti tutti… Accanto a
me c’erano Eleuterio Tomayconza con sua moglie e vedendo
che lei piangeva lui le disse, Non piangere, mamita, non
abbiamo fatto niente, non ci faranno niente… È stato pro-
prio allora che lo colpirono con il machete sulla testa e sulla
schiena… Sì, cazzo, ti faremo ancora altre carezze, dicendo-
gli risero… Sanguinando, l’uomo continuava a parlare a sua
moglie, lentamente, Non piangere, mamita, chiariremo tutto
con questi signori… Tutte le donne e i bambini che aggrap-
pati alle loro madri urlavano, li fecero mettere in riga di
fronte alla parete… Noi uomini ci buttarono a terra.
Eravamo una sessantina… Ci prendevano a calci sulle costo-
le, sul viso, con i loro scarponi… alcuni erano ricoperti di
sangue… Le donne svenivano… Pale di fico d’india piene di
spine ci misero sulla schiena, minacciando di ballarci sopra…
Io non resistei più… Io parlerò, signori, dissi, io non sono

206
Rosa Coltello

comunista. Con la forza mi hanno coinvolto in questa cosa…


Senderisti sono quello e quello, dicendo li indicai, i capi non
ci sono… Solo suo figlio di doña Emilia non accusai… Sarà
perché la vidi che con i suoi occhi doña Emilia mi supplica-
va, immobile accanto a Leonida Ricse… Dopo di me, don
Edilberto Huarhua, anche, iniziò a confessare, appoggian-
domi nell’accusa di sette o otto della milizia… noi e gli altri
siamo stati solo di appoggio, abbiamo detto, perché per
forza ci hanno fatto partecipare… Don Edilberto Huarhua
alla fine arrivò a denunciare persino il suo nipote di sangue,
Diómedes, figlio di sua sorella e di don David Janampa che
non se n’era andato con gli altri perché stava male di salu-
te… Ma Diómedes, chiamato Ollantay dai suoi amici, poi
riuscì a scappare, per un pelo, e fu lui che avvertì i terrucos
di quello che qui era successo, mettendoli al corrente del
fatto che don Edilberto e io li avevamo denunciati…

207
Óscar Colchado Lucio

PASSATO MEZZOGIORNO, Rosa vide che i militari


facevano uscire le donne, le più giovani, tra cui Clara
Tincopa e Leonida Ricse. Anche Anita Chapilliquén che era
incinta e Rosalia Janampa, una bambina di dodici anni.
Trascinandole le portarono dietro a dei cespugli, e lì le vio-
lentarono. Lei, piangendo, sentiva le loro grida che venivano
su dal fiume.
Poco dopo, a spintoni e colpi di calcio di fucile, vide che
facevano uscire vari uomini, tra loro don Evacho Ricse,
padre di Leonida Ricse, don Feliciano Tomayconza, don
Felipe Huamán e vari ragazzi.
Una volta arrivati sull’orlo di un piccolo precipizio, alla
fine di un campo di mais, li fucilarono. Per gli spari, gli itte-
ri18 volarono sull’altra sponda del fiume, spaventati, facendo
luccicare il loro piumaggio nero al sole. Lei non ebbe più il
coraggio di guardare, quando stavano tirando su di loro
delle granate facendo saltare le rocce in pezzi, e facendo
alzare dal terreno enormi funghi di polvere.
Le case di David Janampa e Mario Buitrón furono brucia-
te. Ancora si alzavano alte le fiamme quando lei li vide
andarsene portando via galline e tacchini dai cortili.
18 Agelaius. Uccello della famiglia delle icterida.

208
Rosa Coltello

QUELLA MATTINA vi trovavate occupati in differenti


attività nella grotte di Pumakahuanca: gli uomini ampliando
le caverne a colpi di piccone e sbarre di ferro. Le donne
sgranando con la cenere, per fare il mote, il poco grano – e
unico alimento – che avevate da mangiare. I wambras, cer-
cando legna o sterpaglia nei paraggi.
Eravate presi da queste occupazioni, quando improvvisa-
mente avete visto spuntare le sentinelle che vi chiamavano
gridando, tra le fratte che nascondevano l’accampamento.
Portavano un uomo che doveva essere ferito o morto, per-
ché lo stavano portando in due.
Quando Julio e Miguel lo hanno depositato a terra, lo
avete riconosciuto. Era Ollantay, con il viso tumefatto, quasi
irriconoscibile; il collo della camicia e il poncho impregnati
di sangue.
Che cosa diavolo gli era successo? Chi era stato, compa-
gno? Alla domanda, ha sollevato un poco il viso, e le lacrime
lo hanno sopraffatto.
No, no dice che non piangeva per quello che gli era suc-
cesso, ma per i morti del nostro villaggio, compagni.
Allora ha raccontato tutto quello che era successo ad
Illaurocancha. Coi calci del fucile avevano rotto la testa a

209
Óscar Colchado Lucio

tutti i morocos, e quando li portavano via per essere fucilati,


e in fondo al campo di mais, al momento degli spari, prima
che toccasse a lui, si era lanciato nel vallone. E sicuramente
mi avranno creduto morto laggiù sul fondo, compagni; ma
lui, alzandosi, era scappato prima che scoppiassero le grana-
te.
Stava male, molto male, forse proprio qui sarebbe finito
tutto per lui, compagni.
Ed era vero, si era dissanguato troppo, e per quanto
abbiate cercato di curarlo con quello che avevate, era morto
dopo quasi mezz’ora proprio quando gli stavate facendo una
trasfusione di plasma.
Tra sayllas e quenwales avete sepolto Diómedes Janampa,
sotto un cielo azzurro azzurro, spruzzato di leggeri batuffoli
di nuvole bianchissime. Micaela, sua sorella, appoggiata
sulla spalla di Angicha, piangeva in silenzio ascoltando il
discorso del compagno Santos che, tra il commosso e l’irato,
giurava in nome della rivoluzione che il sangue versato di un
figlio del popolo sarebbe costato molto caro ai traditori e
agli assassini…
Quassù in alto c’era un bel sole; ma, giù in basso, che
copriva le valli, la nebbia somigliava a un lago immenso o a
un mare plumbeo.

210
Rosa Coltello

– IL MARAÑÓN!
Finalmente ho visto questo fiume, cosparso di fiamme,
che scorre furiosamente facendo tremare la terra.
Veramente sembrava un mare di fuoco. Non si vedeva
l’altra sponda. Fumo e fiamme dappertutto.
Immobili sull’orlo del precipizio, osservavamo come in
un sogno, quella gente che gridava in mezzo alle fiamme e
più avanti, immobili sul quel mare, senza che le acque li tra-
scinassero via, avvolte dal fumo, c’erano altre persone con lo
sguardo fisso su quelli che bruciavano. «Quelli sono la fred-
dezza», mi ha detto Wayra. Ma io non ho capito cosa volesse
dirmi con questo.
– Scendiamo – mi ha fatto segno andando un po’ di tra-
verso lungo il declivio per cercare un punto da dove scende-
re, aspettandosi di sicuro che io lo seguissi. Ma visto che io,
spaventata, non ho fatto neanche un passo, si è girato per
dirmi:
– Non avere paura. Ti ho già detto che il Marañón non è
che la Yacu Mama, il grande serpente che percorre gli spazi
infiniti dell’oceano, del cielo e della terra. Attraverso di lei,
si arriva anche al Janaq Pacha. Vieni, sbrigati, dobbiamo

211
Óscar Colchado Lucio

scendere. Il fuoco brucia in proporzione ai peccati e tu non


devi averne molti.
Così dicendo, tastando tastando il terreno, ha iniziato a
scendere. Rassegnata, fidandomi delle sue parole, l’ho imita-
to, afferrandomi forte forte a delle tayanquitas, facendo
attenzione a non scivolare su quel terreno argilloso.
Preoccupata dal fatto che Wayra mi stava lasciando troppo
indietro, ho allungato il passo aiutandomi sempre con quei
piccoli arbusti. Anche giù, sul fondo, a ridosso del declivio,
c’erano delle fiamme e quella gente cercava di liberarsi dal
fuoco tentando di afferrarsi alle pietre per risalire da questa
parte; ma erano inutili i loro sforzi, perché le onde, furiose,
agitate, finivano per sbatterli contro gli scogli e per riportar-
li, svenuti, in mezzo alle acque, dove cominciavano di nuovo
a gridare e a sbracciare, disperati.
Io ero ancora a metà del declivio e ho visto Wayra già
sulla riva, immobile sopra le pietre, che ululava verso le
acque che crepitavano.
Improvvisamente, ho sentito che mi girava la testa in
quello spaventoso luogo in cui mi trovavo. Spaventata, ho
cercato di reggermi con entrambe le mani ad una tayanca;
ma ho cominciato a scivolare e a scivolare. Ho lanciato un
grido tremendo quando ho sentito che la piantina si rompe-
va e io cadevo nell’abisso.
– Wayraaaaaa!

212
Rosa Coltello

… NON SOLAMENTE a Illaurocancha i morocos fecero


una strage. Anche ad Ocros, a Chumbes, a Cceraorko, a
Pajonal… Tutta la famiglia Ñaupa, di Ocros, accusata di
essere senderista, fu fucilata… I mistis chiesero all’esercito
che nominasse nuove autorità locali perché quelle preceden-
ti erano fuggite da quando era cominciato tutto quel macel-
lo… Così fecero, e i nuovi rappresentanti del governo giura-
rono fedeltà alla democrazia di fronte alla bandiera peruvia-
na promettendo di credere solo in essa e non in simboli
stranieri e ci fu una sfilata di studenti, per la gioia dei milita-
ri… Ad Illaurocancha, nel frattempo, subito il giorno dopo
che se n’erano andati i soldati, vedemmo arrivare un distac-
camento di sinchi che ci dissero che venivano ad occuparsi
della popolazione… Io mi sentii sollevato al loro arrivo, per-
ché la notte prima non avevo potuto dormire per paura che
tornassero i compagni che mi avrebbero potuto fare un pro-
cesso popolare per le mie denunce… Avevo pensato di scap-
pare, ma prima ero andato a vedere don Edilberto Huarhua,
che mi tranquillizzò un po’ dicendomi che quello che dove-
vamo fare invece di scappare era organizzare la resistenza…
Per uccidere, uccideranno solo alcuni di noi, don Mariano,
mi disse, non tutti; inoltre, io so usare le armi perché da

213
Óscar Colchado Lucio

ragazzo ho fatto il soldato… E veramente questo gli fu utile


perché i sinchi, che fortunatamente quello stesso giorno arri-
varono, lo nominassero poi capo delle ronde contadine o
Fronte di Difesa Civile di tutta la zona… Ci prepararono,
allora, per affrontare i terrucos facendoci un mese di adde-
stramento al quale hanno partecipato seicento contadini di
sette comunità dell’alto Pampas che si sono riuniti qui, occu-
pando le abitazioni vuote e la sala comune… A gruppi tutti
dovevamo uscire di pattuglia, prevalentemente la notte,
armati di machete, huarakas e con della coca e delle sigarette
per sopportare il freddo e il sonno… chi non andava di pat-
tuglia veniva arrestato… Qualsiasi senderista che riconoscia-
te o sconosciuto che vediate da queste parti lo dovete acciuf-
fare e portare al posto di polizia di Ocros, ci diceva il tenen-
te, e aggiungeva, i terrucos sono ladri, abigei, assassini;
vogliono impadronirsi dei vostri bei campi, dei vostri begli
animali; in più vogliono instaurare il comunismo e questo
significa che non ci sarà più libertà; vi faranno lavorare come
schiavi e vi toglieranno anche i vostri figli… e per questo era
necessario, diceva, respingerli, combatterli…

214
Rosa Coltello

DI SANTOS e del suo gruppo non sapevamo nulla.


Sembrava che li avesse inghiottiti la terra… Tuttavia sette
senderisti del contingente che era stato di Edith, unici
sopravvissuti di un attacco a Vischongo – dove elicotteri da
combattimento avevano spazzato via quasi tutta la colonna
–, erano arrivati proprio alle porte del villaggio, nel posto
chiamato Hualgayoc, alla casa di Nemesio Carhuapoma,
tutti affamati e con i vestiti pieni di spine di cardo… Nemesio
Carhuapoma, caritatevole com’era, gli aveva offerto formag-
gio, mais tostato, e latte tiepido, dando poi loro delle pelli e
dei ponchos perché riposassero in un angolino… Ma qual-
cuno di sicuro li aveva visti ed era andato ad avvisare i sinchi
che immediatamente misero al corrente noi ronderos ordi-
nandoci di agire, sottolineando che finalmente avrebbero
visto se eravamo in grado di difendere il nostro villaggio o
no… acquavite con polvere da sparo ci dettero da bere, mi
ricordo, per il coraggio, dicendo… Poi, quando facemmo
irruzione nella casa, Nemesio Carhuapoma lo portammo
fuori a pedate, Perché non hai dato ascolto ai signori sinchi?
dicendogli, Perché hai dato cibo e riparo ai terrucos?… Ma
lui sosteneva che non aveva mai sentito parlare di questi
ordini, che era stato via varie settimane… Beh, lui lo rispar-

215
Óscar Colchado Lucio

miammo perché era la prima volta, ma i senderos – ragazzi


tra i quindici e i sedici anni per la maggior parte –, prima che
potessero reagire li prendemmo prigionieri e legati a degli
alberi grandi dove dopo averli processati incolpandoli delle
nostre sofferenze, a pedate, pugni, con pietre e con bastoni
li ammazzammo, più imbestialiti che mai perché ci avevano
minacciato e ci avevano chiamato traditori… Poi conse-
gnammo i cadaveri ai sinchi, quando uscirono dai loro
nascondigli da dove avevano assistito al massacro… avvici-
nandosi, con la mitraglietta a tracolla, ci dissero, allegri e
sorridenti, Così è giusto che uccidiate questi cani… Si con-
gratularono con noi e come premio ci dettero sul posto ogni
tipo di cibo: soia, zucchero semiraffinato, olio, farina, ripe-
tendo quello che erano soliti dire in altre occasioni quando
facevano distribuzione di viveri, che il presidente Belaúnde
ci stava dando quelle belle cosine per farci mangiare… A me
stava già passando la sbronza e stavo iniziando ad avere un
po’di rimorso, ricordando soprattutto che tra i senderisti
c’erano due ragazze carine e coraggiose che sono morte
insultandoci… Nemesio Carhuapoma fu arrestato sul
posto… dopo due giorni il suo cadavere comparve gettato
sul fondo del vallone, dove stavano svolazzando gli huishqu…
Dopo un mese esatto, quando ormai eravamo ben addestra-
ti, dopo aver formato una base civile e aver nominato i
responsabili delle ronde per ognuna delle sette comunità
presenti, i signori sinchi ci salutarono, dicendo che avevano
fiducia nel fatto che ci saremmo saputi difendere dai sende-
risti e consigliandoci di restare uniti, con uomini armati che
vigilassero in continuazione, mentre gli altri avrebbero colti-

216
Rosa Coltello

vato i campi… Dissero che si sarebbero assentati solo per


alcuni giorni, perché dovevano compiere una missione nella
provincia di La Mar, dove erano richiesti urgentemente… se
ci fosse stato qualche problema dovevamo tener a mente che
pattuglie dell’esercito e della Fanteria della Marina stavano
battendo continuamente le zone rosse e questa in special
modo… Quando se ne andarono, vedemmo sulle pareti del
posto di polizia la scritta che avevano tracciato a grandi let-
tere:

Noi sinchi ritorneremo


una notte di gelata
e te terruco uccideremo
per aria, per mare, per terra

217
Óscar Colchado Lucio

– CHE POSTO sarà mai questo? – ho detto tutta inton-


tita tornando in me dopo lo svenimento nel vedere che mi
trovavo da sola a un crocicchio, in pieno sole, in mezzo ad
un gran silenzio.
– Ti trovi all’incrocio dei sentieri da dove si scende
all’Ukhu Pacha o si sale ai cieli – ho sentito una voce accanto
a me, come se quel masso avesse parlato – Questo è il
Pachapa Sapin, la radice del mondo.
Impaurita mi sono alzata e ho visto che veramente quel
masso mi stava parlando. Era enorme, con la sommità bian-
ca, più grande di una casa.
– Taita Rumi – ho detto alla fine riconoscendolo. – Padre,
signore delle pietre, Come sono potuta ritornare qui?
Dall’alto, dove appena si poteva distinguere come una
specie di viso scolpito, ha parlato soffiando fuori le parole,
come se pesassero, con un fumo azzurro che usciva da quel-
la fenditura che doveva essere la sua bocca.
– Ti ha portato la Pachamama.
– La Pachamama?
Allora mi sono ricordata delle offerte che le facevamo al
mio villaggio seppellendo il cuore ancora vivo e pulsante di
un lama. «Anche lei sa mangiare, sa bere diceva il wamanero

218
Rosa Coltello

don Felipe Uchasara, i suoi capelli sono i prati, la lana degli


animali; ha anche il latte e partorisce patate, oca19, tutti i
semi che le diamo partorisce».
– E che aspetto ha la Pachamama, padre?
– Forse non l’hai vista che fila sulla luna durante la notte?
È proprio lei.
Senza rispondergli, ho annuito con la testa. Poi con un
tono supplichevole, ho detto:
– Taita Rumi, Potresti dirmi per dove si arriva al Janaq
Pacha?
– Non te lo dovrei dire – mi ha detto. – Non sei mai stata
a Chuyas alla festa del Yachacuy, per conoscere il cammino
che dopo morta avresti dovuto intraprendere. Ma, vieni, te
lo indicherò: prosegui a destra, per quel piccolo sentiero che
si perde tra quella boscaglia. Vedi?
– Sì, taita.
– Da quella strada, si distingue che spunta in alto un
monte a forma di ushno e più lontano un ghiacciaio. Prosegui
in quella direzione.
– Grazie, taita.
Proprio in quel momento mi sono ricordata che le Anime
del Giudizio mi avevano parlato di quel piccolo monte a
forma di altare.
Prima di allontanarmi, mi è venuto in mente di chiedergli
del sentiero centrale, quello che non conduceva né all’Ukhu
né al Janaq Pacha. Dove portava, Padre Rumi?
19 Oxalis tuberosa, dal quechua oqa. Pianta erbacea perenne la cui radice è un
tubero commestibile.

219
Óscar Colchado Lucio

– Non lo so – ha risposto. – In quella direzione si incam-


minano coloro che credono agli dèi cristiani.
Dicendo così ha cominciato a muoversi quella gigantesca
mole che era, a camminare per la pampa facendo scricchio-
lare il terreno, oscurandolo con la sua ombra.

220
Rosa Coltello

«ILLAUROCANCHA e i suoi alleati saranno ridotti in


polvere. Vendicheremo la morte dei nostri compagni cadu-
ti», avevano detto quelli del Comitato Centrale del Partito
Comunista del Perù, Sendero Luminoso.
Rosa Coltello sentì il primo colpo di dinamite che esplose
nei monti vicini come se si trattasse di cariche messe in serie.
Per prime le sentinelle, erano cadute attaccate di sorpresa:
sul versante nord, Miguel Saune; sul versante ovest, Abel
Huacre Alanya, e Pedro Malaspina sul versante sud.
Aveva piovuto all’alba e i sentieri erano pieni di fango.
Aveva appena fatto giorno e lei si trovava già sul terrazzo
coperto a tirare fuori i chicchi conservati nei vasi. Da una
fessura vide i ronderos che passavano correndo per la strada,
affrettandosi, facendo risuonare i loro llanques, chaplac!
chaplac! chaplac! In un attimo si scatenò una grande confu-
sione nel villaggio. La gente gridava:
– Arrivano i terrucos! Ci attaccano!
Spaventata, scese dalla terrazza e uscì a vedere.
Chiamandosi tra di loro nervosamente, i ronderos si prepara-
vano per la difesa. Le donne, i bambini e gli anziani si spar-
pagliarono, andando alcuni dietro ai combattenti; altri a
nascondersi o a fuggire verso il fondo del vallone. Solo alcu-

221
Óscar Colchado Lucio

ni, come lei rimasero lì perplessi, senza sapere cosa fare. Alla
fine pensando che suo figlio sarebbe arrivato insieme agli
assalitori, corse attraverso il ponticello del vallone verso il
bosco di eucalipti che crescevano sull’altura, vicino al cimi-
tero, dove erano corsi i ronderos, per vederli spuntare.
Ma quelli della Difesa Civile erano lungi dal supporre che
gli aggressori avevano circondato il villaggio e che la colonna
che si avvicinava attraverso un passo, formando due file,
dall’altro lato del cimitero, era solo una parte degli assedian-
ti. Circa cento contadini delle basi di appoggio di Víctor
Fajardo accompagnavano il plotone di quasi quaranta com-
battenti.
Edilberto Huarhua incaricò Mariano Ochante di andare
a chiedere aiuto ai militari, ad Ocros o a Vilcashuamán o alle
pattuglie itineranti che giravano lì attorno, il più in fretta
possibile. Senza perdere neanche un minuto, Mariano
Ochante corse verso il fondo del vallone.
Dal monte lei riuscì a vedere come Edilberto Huarhua
organizzava la gente. Alto, scheletrico, la sua giacca marrone
di panno di lana sembrava incendiarsi con il sole rosato del-
l’alba. «Hanno poche armi, gli sentì dire, bisogna affrontarli
all’inizio solo con le fionde perché consumino i loro proiet-
tili, poi attaccheremo con i fucili».
– Viva la guerra popolare! Morte agli yana uma!
Correndo a perdifiato, alzando un gran polverone, supe-
rato il cimitero, i senderos si stavano dirigendo con determi-
nazione, brandendo le loro armi, verso il piccolo monte
occupato dai ronderos.

222
Rosa Coltello

Lei vide come la Difesa Civile iniziava il suo attacco lan-


ciando pietre su pietre con le sue huaraka, sfruttando il
vantaggio di trovarsi su un terreno sopraelevato. I senderos
hanno risposto lanciando i «formaggi russi» e sparando con
le loro armi di lunga e breve gittata.
I ronderos vedendo i loro uomini cadere affogati nel san-
gue, non ebbero altra scelta che attaccare anche loro con le
armi da fuoco.
I proiettili fischiavano rimbalzando sulle rocce, infilando-
si negli alberi, staccando foglie, in mezzo al polverone e al
fumo delle bombe artigianali.
Lei corse a rifugiarsi lontano in mezzo a delle pareti roc-
ciose. Da lì vide gli insorti e i ronderos che si affrontavano
all’arma bianca, assalendosi a colpi di lancia e machete.
Morti e feriti andavano spargendosi sull’altura, con i loro
capelli che si scompigliavano per il leggero vento che saliva
dai frutteti di chirimoyas e arance sotto a Maraybamba.
Vide come i ronderos feriti venivano finiti a colpi d’ascia
o di picca, e alcuni gettati nel vallone. Vide anche come dalle
parti alte del villaggio, scendevano plotoni di senderisti che
sbarravano la strada a quelli che cercavano di fuggire. Allo
stesso modo, quelli che correvano verso il basso venivano
intercettati dai membri di base che gettando via le pelli di
montone o i rami con cui si mimetizzavano, gli tagliavano la
strada pugnalandoli contro le pareti rocciose, senza ascoltare
le suppliche delle loro vittime, che inginocchiandosi, le mani
congiunte, gli chiedevano clemenza.
– Non mi uccidere, Rosendo – sentì vicino al suo rifugio
tra le rupi, – io sono tuo padre, non lo hai mai saputo, solo

223
Óscar Colchado Lucio

oggi te lo dico; taita Dio mi sta guardando da lassù, mi è


testimone.
– Peggio ancora se sei stato mio padre – sentì una voce
roca, stentata e ansimante –. Ora capisco perché sono stato
così sfortunato per tutta la mia vita.
Percepì un rumore come quello di un vaso che si rompe
e un grido fece raggelare l’intero vallone; poi vide un uomo,
con una lancia in pugno, che correva verso il villaggio.

224
Rosa Coltello

VELOCE VELOCE stavano salendo in quel preciso


momento verso Illaurocancha, alla testa di duecento ocrosi-
nos, i membri di una pattuglia di fanti di marina capitanati
dall’ufficiale di battello «Camión». Un contadino di nome
Mariano Ochante, in maniera del tutto casuale, ha intercet-
tato la land rover sulla quale viaggiavamo, per dirci che più
di cento terroristi stavano attaccando il suo villaggio e che
avevano urgentemente bisogno di aiuto.
Dopo aver ordinato alla Difesa Civile di Ocros di accom-
pagnarci, mentre quelli del posto di polizia raccoglievano
rinforzi nelle zone vicine, noi ci siamo messi in marcia. Già
da diversi giorni stavamo battendo varie aree della zona
rossa con una gran voglia di entrare in azione, ed ecco che ti
dicono che la festa era proprio qui vicino, con tutta la voglia
che avevano di uccidere terrucos, cazzo.
Non contento dei rinforzi che avrebbe fatto arrivare la
polizia, l’ufficiale si mette in contatto radio con la base di
«Los Cabitos» di Huamanga; Papà Charly! Papà Charly!
Papà Charly!, chiama in mezzo al rumore roco e sibilante
dell’apparecchio… Prego! Identificatevi! Passo!, si sente
che rispondono… Qua qua, papero, qua qua! Qui, Camión,
Papà Charly! Passo!… Dopo la parola d’ordine e l’identifi-

225
Óscar Colchado Lucio

cazione, si sente che rispondono, Perfetto, ti ascolto Camión!


Passo!… E dopo aver comunicato le sue esigenze e aver dato
indicazioni esatte sul luogo dove ci trovavamo, l’ufficiale
chiude, e allora sì, sfregandosi le mani, sorridente, dice a noi
fanti, Siamo a posto miei pumas, stanno arrivando, ed esce
fumo dalla sua bocca per il freddo che fa.
Sul pendio a metà strada dalla cima, vedete in alto in una
fenditura, la sagoma di un uomo armato, come se ci stesse
aspettando senza paura, quel rotto in culo. Fermi tutti!,
vedevamo?, l’ufficiale indicandolo con un dito, era una sen-
tinella? E il capo dei ronderos di Ocros, tutto serio lui, no
signor capo, è solo un fantoccio; li lasciavano sempre i sen-
deros per confondere, a guardare meglio quel fucile non era
fucile, solo un semplice bastone. E l’ufficiale, dopo aver
guardato con il suo binocolo, diventando tutto rosso, Ah
cazzo, terrucos di merda, volevano ingannarvi, eh? Dall’altro
lato della montagna si sentono in quel momento esplosioni e
fucilate, Quelli sì che erano loro, signore, parla con un viso
spaventato Mariano Ochante, se avevano vinto stavano forse
eseguendo delle punizioni, chi lo sa. L’ufficiale si volta
improvvisamente. Osserva i volti bellicosi e smaniosi dei
ronderos che levano in aria machete, asce, lance, coltelli,
cocobolos, e fucili a retrocarica. Li fa mettere sull’attenti e
subito dà istruzioni. Noi pumas prepariamo le armi.

226
Rosa Coltello

LEI AVREBBE visto più tardi, quando tre uomini incap-


pucciati la conducevano alla piazza, come alcuni ronderos –
gli ultimi ad arrendersi dopo un feroce inseguimento tra le
case, gli orti, i campi, tra il latrato dei cani e lo schiamazzo
di galline, porcellini d’india, maiali – venivano trascinati
verso l’atrio della chiesa dove si trovavano gli altri prigionie-
ri, sdraiati per terra, con le mani dietro la testa.
Dopo aver consultato la lista di nomi che avevano, i pri-
gionieri appena arrivati furono massacrati a colpi di machete
e coltellate, mentre le loro case venivano incendiate e fatte
saltare con la dinamite.
Don Edilberto Huarhua lo torturararono prima di ucci-
derlo.
Prima gli puntarono un coltello affilatissimo sul collo,
Così tu sei il capo di queste teste nere, no? Traditore yana
uma, cazzo, come un cane morirai… Poi con un corda lega-
ta al collo iniziarono a strangolarlo, fino a quando non perse
conoscenza. Si svegliò quando gli stavano tagliando il collo.
Ma invece di gridare, sputò in faccia ad uno dei suoi boia. E
lui lo uccise riempiendolo di pugnalate.
Subito dopo uccisero quattordici persone, prendendole
dal gruppo in cui era lei. Alcune di quelle persone erano:

227
Óscar Colchado Lucio

Leonor Barrientos, una ragazza che a volte avevano visto


passeggiare mano nella mano con un sinchi. Anche Juan
Alayza, che aveva partecipato ad Ocros ad operazioni anti-
terroristiche essendo un soldato in congedo. Cirilo
Domínguez, suocero di un poliziotto che era distaccato ad
Acovinchos. Uccisero anche Dionisa Achahuanco, commer-
ciante e balia; Mañuco Ricse, padrone dell’unico negozio di
generi alimentari prima che Illaurocancha fosse dichiarata
zona liberata, per aver dato del cibo a una pattuglia che ulti-
mamente era passata dall’altura. I coniugi Pedro Huacre e
Virginia Huaroto, che erano stati avvisati da Sendero per
aver tentato di appropriarsi di un gregge di montoni di
Simón Ticona.
Dopo quel massacro, rivolgendosi a quelli che stavano
sdraiati per terra con le mani dietro la testa e anche a quelli
che erano in piedi – ordinò a questi ultimi di buttarsi pancia
a terra –, Santos dette l’ordine ai bambini dagli undici ai
tredici anni, di farsi carico delle esecuzioni. Con la pistola
che tremava nelle loro mani spararono. Due colpi per uno
alla nuca, hanno messo fine alla vita dei prigionieri e alla
paura dei wambras.
Dopo quell’azione, Santos ordinò ai presenti di applaudi-
re, minacciandoli di far fare loro la stessa fine se non lo
avessero fatto. Gli abitanti del villaggio, che vedevano tutto
come se si trattasse di un incubo, come se avessero perso il
senno, applaudirono. Angicha, salendo su un rialzo, disse a
voce alta: «Villaggi di Illaurocancha, Chumbes, Pujas,
Buenavista e tutti gli altri alleati, ritornate ai vostri campi,
non continuate ad accalcarvi qui, il Partito ha già avuto la

228
Rosa Coltello

sua vendetta per il sangue versato dei suoi compagni…».


Bandiere rosse e scritte con la falce e martello furono poi
lasciate dappertutto.
Poi lei vide come si riunivano nel piccolo cortile dietro
alla scuola e dopo aver chiamato i loro militanti si prepara-
rono per ritirarsi dal villaggio.
Poco dopo salirono lungo il pendio degli Alayza cantan-
do. La maggior parte di quelli che cantavano con maggior
fervore erano bambini.
Il testo cambiato di «Addio terra di Ayacucho»20 veniva
cantato in coro dagli adulti:

Addio monti di Illaurocancha


se ancora vivremo
qui ritorneremo
come oggi

Poi si levò la musica di alcuni strumenti come quenas,


flauti di Pan, flauti.
Le case incendiate continuavano a consumarsi tra i pianti
e la desolazione.
Lei non riuscì a riconoscere suo figlio. Rimase col dubbio
se fosse venuto oppure no. Ad ogni modo, era chiaro che lui
non voleva incontrarla. L’ultima volta che era venuto, le
aveva detto, Mamita, fai come se fossi morto, dimenticati di
me, io appartengo interamente alla rivoluzione.
20 Famosissimo huayno, tipo di composizione musicale, nel quale si parla del
dolore dell’emigrante che deve dire addio alla propria patria. Durante la guerra
tra Sendero Luminoso e lo stato, è diventata la canzone simbolo dei profughi di
guerra.

229
Óscar Colchado Lucio

VEDETE, VEDETE, compagni? grida Santos che ha


appena scoperto i fanti di marina alla testa di duecento ron-
deros che avanzano per sbarrarvi la strada quando stavate
ormai per guadagnare la vetta.
Tu, impugnato saldamente il tuo Fal, togliendoti il passa-
montagna di lana che ti soffoca per il calore accumulato
durante la salita, corri a prendere il tuo posto, secondo le
indicazioni che danno i comandanti, Dovevate prendere
posizione, compagni, avrebbero visto i miserabili cani del
governo e le masnade nere quanto costava caro spargere il
sangue dei rivoluzionari. Il sole si sta velocemente nascon-
dendo dietro i monti, sgocciolando la sua pallida luce sulle
pendici. Angicha si muove da una parte all’altra dando ordi-
ni, Omar, Julio, Miguel, pronti alla testa dei loro plotoni,
Avanti combattenti! Coraggio miliziani! adesso avrebbero
visto quei miserabili yana uma.
Nazaro Huayta, di Cayara, armato di una fionda, è stato
quello che ha dato inizio all’attacco lanciando pezzi di pietra
più grandi della testa di un cristiano, prima che si sentisse il
primo sparo. Due pietre lanciate da Nazario Huayta, una
dietro l’altra, hanno fatto centro spaccando alcune teste.
Hanno risuonato raffiche di fucile da entrambi gli schiera-

230
Rosa Coltello

menti e sono esplose bombe artigianali e granate lanciate


con fionde da una parte e dall’altra.
Le esplosioni, la polvere e il fumo coprivano tutto. I com-
battenti si sfregavano gli occhi, tossivano, avanzando per
assalirsi come due branchi di leoni. Tu sparavi con la tua
pistola, e hai appena centrato in mezzo agli occhi un fante di
marina, che huicapeandosi come una gallina quando le tirano
il collo, cade a terra. Il primo «base» che ha affondato la sua
picca nella gola di un rondero è stato Mariano Alanya, di
Accomarca, Huajeee!, ha gridato pieno di gioia come quan-
do ubriaco durante le feste del suo villaggio aveva la meglio
nelle risse. Poi, tirando fuori la sua arma in mezzo al sangue
che schizzava dal collo del moribondo, si è scontrato all’ar-
ma bianca con il figlio di quello che era accorso, in ritardo,
in sua difesa. Anche le donne senderiste, come uomini com-
battevano, da pari a pari con il nemico, attaccando con i
machetes e dando pugnalate, gridando in continuazione,
inneggiando con le loro voci squillanti alla Repubblica
Popolare di Nuova Democrazia. I bambini senderisti si
attaccavano alle gambe dei ronderos, facendoli cadere, men-
tre altri li attaccavano con lance, machete o coltello. Un
fante di marina molla la sua mitraglietta ancora fumante
colpito da una sassata, e quando riesce ad estrarre la sua
pistola è circondato da varie donne. Rimane lì dubbioso con
l’arma in mano, senza sapere se sparare o arrendersi; ma un
colpo d’ascia gli spacca in due la faccia. Uno dei suoi com-
pagni che lo voleva aiutare arriva tardi e sente che una picca
gli si è appena conficcata nella schiena, facendolo saltare con

231
Óscar Colchado Lucio

un grido spaventoso. Corre per un po’con la lancia attaccata


alla schiena e cade a terra.
Tu avanzi sparando, calpestando corpi agonizzanti che
cercano di afferrarti per le gambe e urlano quando salti
sopra di loro.
L’ufficiale della marina, uno quasi rosso, è stato ferito. Si
afferra la spalla con una smorfia di dolore. Un gruppo di
senderisti corre a finirlo. Reagendo in tempo, con gli occhi
che fanno scintille, li spazza via con la sua mitragliatrice, nel
frattempo accorrono in suo aiuto tre fanti.
Un rondero si lancia su di te per darti un colpo di mache-
te. Per un pelo riesci a schivarlo, ma inciampi e cadi. È allo-
ra che l’uomo alza nuovamente la sua arma e lascia cadere il
colpo, solo che lo fa a vuoto perché con l’agilità di un gatto
ti sei rotolato velocemente sul terreno e, prima che possa
attaccare di nuovo, Urpay gli ha già sparato con la sua pisto-
la alla schiena. Ti rialzi, ringrazi la ragazza con un gesto e
corri dove vari «basi» hanno appena circondato un fante di
marina. Inginocchiandosi, l’uomo piagnucola che non lo
uccidano: lui era l’unico figlio di genitori anziani. Ah, sì?, I
miliziani si prendono gioco di lui, e loro non li avevano
forse? Atatau, amico, Aj! così muscoloso e prestante e pian-
gi come una femminuccia? sei colpi d’ascia lo hanno ridotto
a una poltiglia sanguinolenta.

232
Rosa Coltello

ORMAI I fanti di marina e i ronderos sbandati stavano


fuggendo terribilmente spaventati, quando proprio in quel
momento, per vostra grande sfortuna, si sente l’avvicinarsi di
vari elicotteri, mentre, contemporaneamente, dai monti vici-
ni appaiono i poliziotti del posto di polizia di Ocros con altri
civili reclutati per affrontarvi. Questo vi fa piombare nello
sconcerto. I comandanti rendendosi conto del pericolo,
ordinano gridando, scappate compagni, in direzioni diffe-
renti per evitare l’accerchiamento. La maggior parte di voi si
lancia verso il fondo del vallone, verso il fiume, dove, a quan-
to pare, si apre la più grande via di fuga. Quelli del conteni-
mento si vedono obbligati a rimanere nella zona alta per
coprire la vostra ritirata. I fanti di marina e i ronderos che
fuggivano, incoraggiati dall’arrivo dei rinforzi, tornano sui
loro passi e si lanciano anch’essi alla carica.
Saldi nella vostra posizione di contenimento, Santos e un
gruppo di combattenti – tra i quali ti trovi anche tu – li rice-
vete con raffiche di mitra, premendo il grilletto tante volte
da surriscaldare la canna, dovendo così cambiare veloce-
mente i caricatori.
Il crepitare delle raffiche è terribile, incessante, e voi a
rimanere lì, inneggiando alla lotta armata. Tu non eri nel

233
Óscar Colchado Lucio

gruppo di contenimento, ma prendendo la mitraglietta di


Mario Buitrón che è morto davanti ai tuoi occhi prima che
arrivassero gli elicotteri, avevi deciso di sostituirlo.
Adesso solo cinque di voi sono riusciti a ripararsi dietro
ad un’altura, dopo che avete visto cadere Paulina, Micaela,
Julio, Miguel e il Pampino. Omar e Santos sono feriti, accan-
to a te. Il primo con vari proiettili nella pancia il secondo con
la gamba spappolata. Omar ti sembra pallido come non mai,
non per la paura, ma per tutto il sangue che sta perdendo.
Dice di avere sete, molta sete. Gli elicotteri, dopo aver para-
cadutato gli uomini de «Los Cabitos» che si uniscono agli
altri aggressori, dall’alto stanno mitragliando e tirando gra-
nate a quelli che scappano lungo il vallone.
Santos e Omar, chiedono a te, a Mallga e a Medardo di
scappare mentre cercate di aiutarli portandoli a spalla.
Entrambi hanno il volto pieno di sudore Omar chiede a
Mallga di aiutarlo a togliersi la camicia. Poi prendendo il suo
fucile dice energicamente:
– Ora sì, andatevene, capito? prima che sia troppo
tardi…
– Sì – lo appoggia Santos, prendendo il fucile di Medardo
e dandogli la sua mitraglietta –, fuggite compagni la rivolu-
zione ha bisogno di voi. Valgono di più tre vivi che cinque
morti. Fuggite! È un ordine! – Perde la pazienza.
Allora voi, con un salto, impugnate saldamente le armi,
nascondendovi tra le asperità della collina e le cabuyas, fug-
gite giù lungo il pendio, acquattandovi acquattandovi per
non essere visti da quelli che attaccano via terra.

234
Rosa Coltello

Ormai non riesci più a sentire la conversazione tra Santos


e Omar:
– Cerca di non svenire, compagno – dice Santos –. Siamo
vivi e bisogna continuare a combattere fino all’ultimo.
– Sì – dice Omar con voce debole, mentre tampona con
la sua camicia il sangue che sgorga abbondantemente dal suo
corpo che si mescola con la terra diventando fango –, anche
se mi manca l’aria e le forze anche…
– Mistica, Omar! Su! Pensa al Partito! – dice Santos cer-
cando di tirarsi su con le braccia e la gamba sana, mentre
l’altra continua a dissanguarsi.
Omar ansima, sente che gli si annebbia la vista. Santos si
dispera:
– Dimmi qualcosa, cazzo! non cedere!
E la voce debole come un sussurro:
– Che cosa ti posso dire?
– Qualsiasi cosa, su, fatti coraggio! su!
– Mi sarebbe… piaciuto dire addio – dice Omar con la
voce spezzata facendo una smorfia che cerca di essere un
sorriso – … alla mia fidanzata huamanguina… che… che ho
lasciato per seguire… quest’altro destino…
– E io – dice Santos, sentendo che le sue poche forze lo
abbandonano – avrei voluto abbracciare per l’ultima volta
mia figlia Natalí… che mi starà aspettando nella mia casetta
di…
Ha interrotto le sue parole quando i soldati di un elicot-
tero, che li avevano appena scoperti, stavano per bombarda-
re il posto.

235
Óscar Colchado Lucio

Omar è riuscito ad allungare la mano per imbracciare il


suo Fal, ma gli è caduto quando cercava di puntarlo verso
l’alto. Santos, buttandosi di schiena, ha puntato sul velivolo,
che volava molto basso.
– I miei proiettili ormai non lo raggiungeranno – ha detto
Omar tra i rantoli. – Forse i tuoi sì, compagno…
Santos non lo ha più udito, perché aveva appena sparato.
Proprio in quel momento ha sentito che un’esplosione lo
alzava in aria in mezzo ad una nuvola di polvere e che all’im-
provviso tutto spariva.

236
Rosa Coltello

IN LONTANANZA ho scorto il monte a forma di ushno,


dopo una lunga camminata seguendo quel sentiero che mi
aveva indicato Taita Rumi e che all’inizio temevo che si per-
desse lì vicino, magari appena superate quelle piccole mac-
chie di rovi.
In fondo, quasi toccando con la sua cresta altissima il
cielo, si poteva distinguere il picco di una montagna di neve.
Ora sì che ero sicura di essere vicino a Chuyas.
Lungo il tragitto, per prima cosa sono dovuta scendere in
una vallata popolata dai trilli di ogni specie di uccellini che
allegri saltavano tra le fronde. Tra quei boschi scorrevano
rumorosi ruscelli dalle acque limpide, fluide, cristalline,
scintillando alla luce rossiccia della sera. Scendevano da
quelle vette dalle nevi perenni sulle quali, secondo quanto
mi avevano detto le Anime del Giudizio, si trovava l’imma-
gine scolpita del Gran Gápaj.
– Khuya yacu! Acqua d’amore! – dicendo ho bevuto da
quelle fresche acque diafane, fino a dissetarmi completa-
mente; sentendo che mi rinvigorivano, che mi riempivano di
coraggio.
Poi ho proseguito su su per il pendio fino ad arrivare in
un posto dove c’erano spine sparse a terra per tutta l’am-

237
Óscar Colchado Lucio

piezza del piccolo sentiero che serpeggiava tra le pareti roc-


ciose e i pendii. «Quelle spine sono di corona casha, ragazza
mia, mi avevano detto le Anime del Giudizio, ci si deve pas-
sare sopra scalzi, senza paura, per purificarsi dai peccati».
Allora, perché la mia penitenza fosse più completa, mi sono
genuflessa, e ho iniziato a camminare così, sulle ginocchia,
sentendo le bucature non troppo forte fortunatamente. Si
poteva sopportare. «Il dolore è proporzionato ai peccati, c’è
chi neanche lo sente».
Proseguiva il cammino di risalita, con erbe belle verdi che
tappezzavano il terreno. Tutta quella zona era punteggiata di
garamatish che profumavano l’aria e che io raccoglievo.
Ormai sulla vetta dell’ushno, ho visto tre pietre color piom-
bo, erette come statue, sotto un cielo color gaggia21. Di fronte
brillava la montagna di neve, dove, davvero, tra la strana sfu-
matura di ombre azzurrine e dei raggi del sole della sera, si
poteva osservare chiaramente profilata sulle pendici del rilievo
maggiore della cima, la figura di un puma con le fauci spalan-
cate, con le appuntite orecchie da gatto schiacciate all’indie-
tro, con le enormi ali da condor spiegate e con le sue minac-
ciose grinfie come teste di serpenti. «I suoi occhi, ragazza mia,
sono lampi: la sua voce il tuono; la sua urina, la pioggia».
Commossa davanti ad una tale visione, mi sono prostrata
baciando la terra, pregando:

Dio Puma, dio Condor, dio Serpente


che tutti uniti formate Wiracocha

21 Acacia farnesiana: albero ornamentale della famiglia delle acacie dai fiori mol-
to simili a quelli della mimosa.

238
Rosa Coltello

che regna su tutti i luoghi;


in alto, in basso, di qua;
che sempre sia fatta, Padre,
la tua eterna volontà
l’unica che fiorisca
nell’infinito Wiñaypacha

Dopo aver pregato mi sono diretta alle pietre togliendomi


la mantella. «Devi far finta di voler prendere quelle pietre,
ragazza mia, raccomandandoti a loro».
Avvolgendo la prima, mi sono stesa a terra e ho fatto
come se la volessi sollevare, dicendo: «Sollevo questa pietra
per il dio Wari Wiracocha nella sua forma di Condor». E ho
deposto un mazzo di fiori. Subito dopo togliendomi le scar-
pe, ho fatto tre giri intorno alla pietra, chiedendole che mi
aiutasse a salire al Janaq Pacha. Poi mi sono rivolta all’altra
pietra. L’ho avvolta nella mia mantella come l’altra, e ho
detto: «Sollevo questa pietra per il dio Puma, il corpo del
Padre qui sulla terra». Ho lasciato un mazzo di garamatish e
anche stavolta ho girato tre volte intorno ad essa. Alla fine
ho fatto lo stesso con il dio Serpente, recitandogli la preghie-
ra che sapevo.
Emozionata mi sono poi incamminata verso il ghiac-
ciaio.
Dopo una lunga camminata, senza intoppi fortunatamen-
te, stavo finalmente già salendo sulle sue pendici. Più in alto
si scorgeva una cascata da dove scendeva l’acqua in un rivo-
lo serpeggiante. Chinandomi, ho bevuto. E ho continuato a
salire fino a quando non ho incontrato una parete di roccia

239
Óscar Colchado Lucio

sulla quale ci si doveva arrampicare anche con difficoltà se si


voleva continuare a salire. Il posto era scivoloso a causa del-
l’umidità e dei funghi. Mi sono decisa e l’ho fatto, anche se
dopo ero sfinita.
Nonostante fossi arrivata dove cominciava la neve, non
sentivo freddo. Proprio in quel momento, è comparsa
improvvisamente, seminascosta dal manto nevoso, una scali-
nata di pietra intagliata. Ho provato allegria per quella sco-
perta. Magari mi potesse condurre fino alla cima, pensando.
Certo, più in alto la scalinata continuava interminabile e, a
quanto pareva sgombra di neve, come un sentiero facilmen-
te percorribile. Tuttavia, dopo poco che stavo avanzando,
una valanga quasi mi ha seppellito e mi sono salvata per un
pelo. Ma sono andata avanti e avanti con tanta fede nel
cuore.
Ormai le ombre della notte stavano oscurando la terra e
io continuavo a salire, passo dopo passo, rinfrancandomi
rinfrancandomi
Ormai vicina alla vetta, ho visto che una nuvola nascon-
deva la figura del Gran Gápaj, mentre le scale lungo le quali
stavo salendo diventavano di neve, e più avanti, di nuvole,
finché non mi sono resa conto che stavo camminando lungo
l’atoj ñan, o sentiero della volpe, un sentiero di nuvole che
staccandosi da un versante della cima, mi portava, con leg-
gere sinuosità, verso il Janaq Pacha, nel momento in cui,
sospettose, uscivano ad illuminare la terra alcune stelle lon-
tane.

240
Rosa Coltello

… QUELLA VOLTA dopo lo scontro con i terrucos,


venne il generale Noel in persona, capo della zona di emer-
genza a verificare quello che era successo… Gli chiedemmo
prima che ripartisse sull’elicottero che lo aveva portato, che
mettesse urgentemente un posto di polizia nel nostro villag-
gio, perché in qualsiasi momento potevano tornare di nuovo
i senderos e fare fuori i pochi di noi che erano rimasti…
Allora l’uomo ci dette una buona notizia dicendoci che inve-
ce del posto di polizia, avrebbe ordinato di installare una
base antiterrorista, con truppe dell’Esercito o della Fanteria
della Marina, perché controllassero non solo Illaurocancha
ma anche le altre comunità vicine. E per questo aveva già
visto che il posto migliore per un accampamento, sarebbe
stato giù in basso, lungo le pendici del monte, vicino al
ponte Pampas, dove c’era spazio per far atterrare gli elicot-
teri, e che sarebbe servito anche per fare controlli ai viaggia-
tori e ristabilire i contatti tra Apurímac, Cuzco e Ayacucho…
E veramente mantenne la sua promessa prima che lo man-
dassero via dall’Esercito o se ne andasse lui, non so bene,
accusato di aver ordinato l’uccisione di otto giornalisti ad
Uchuraccay e di tante altre morti che si erano fatte più fre-
quenti da quando si era installato l’Esercito in queste zone…

241
Óscar Colchado Lucio

E siccome non era neanche lontanamente una protezione


per i contadini, l’Esercito cominciò a commettere abusi con-
tro comuneros innocenti. Rase al suolo interi villaggi che non
avevano niente a che vedere con Sendero, facendo sparire
tutti gli abitanti, rubando tutte le loro cose, mangiando tutto
il loro cibo… Il ministro della Guerra si dice che fosse del-
l’opinione che per annientare la sovversione si dovessero
uccidere indistintamente senderisti e non senderisti. Di ses-
santa sospetti che fossero stati eliminati, aveva detto, per lo
meno uno sarebbe sicuramente stato un terruco… Aveva
anche consigliato al governo di far venire consulenti della
Marina argentina, visto che loro erano diventati degli esper-
ti nel far scomparire i sovversivi dal loro Paese… Il recluta-
mento per formare le ronde contadine fu intenso… Io,
nonostante la mia età abbastanza avanzata, venni inviato in
un contingente di questa zona nella vallata del fiume
Apurímac, nella provincia di La Mar, dove la Fanteria della
Marina ci ha fatto un corso d’orientamento militare sull’uso
delle armi e degli esplosivi… Una volta a settimana organiz-
zavano l’operazione «rastrellamento», durante la quale noi
ronderos, a centinaia, cercavamo i sovversivi in villaggi,
monti e valli… Elicotteri mimetici dell’esercito, autoblindo
e pattuglie appiedate, facevano altrettanto… Stavano facen-
do la guerra totale ad Ayacucho, ma nient’altro che una
«guerra sporca», come avrebbero detto poi alla radio, per-
ché i veri senderisti non si facevano vedere… Si mormorava
che si stessero rifugiando in quelli che qualcuno chiamava
«accampamenti di ritirata» sia nella selva del fiume Apurímac
che in quella di Tingo María e in quelle di tutta la regione

242
Rosa Coltello

dello Huallaga dove, stando a quanto dicevano, si facevano


pagare dei tributi dai narcotrafficanti e compravano armi da
loro. I militari si grattavano ancora la testa pensando a come
catturare Abimael Guzmán e il suo esercito… Ma porca
puttana, dicevano, se almeno ci sfidassero quei delinquenti
comunisti, ma non osano quei gran codardi… Tuttavia
uscendo di tanto in tanto dai loro nascondigli, i terrucos ten-
devano imboscate alle pattuglie dell’esercito causando loro
gravi perdite o attaccavano villaggi organizzati in ronde di
autodifesa… Così, mentre si scoprivano fosse comuni con i
morti che l’Esercito e la Polizia avevano provocato a
Pucayacu, Soccos, Pomatambo, Parcco, Accomarca, Cayara
e in altri posti, anche i senderisti continuavano a massacrare
villaggi interi, come a Lucanamarca, Huancasancos,
Sacsamarca, Cochas, Marcas, Iribamba e in molti altri luoghi
ancora… E nelle città continuavano ad assassinare poliziotti,
funzionari di stato, ad incendiare fabbriche, a provocare
blackout a Lima e in altre importanti città, e allo stesso
tempo, a ordinare alla gente di aderire agli scioperi armati
che indicevano, sia per protestare contro qualcosa che per
cercare di impedire le elezioni municipali o presidenziali…
Non avendo avuto successo in queste ultime azioni, si mise-
ro anche a eliminare sindaci e vicegovernatori di differenti
distretti e province dei dipartimenti di Huánuco, Ancash,
Puno, Pasco, Cuzco, oltre che a quello di Ayacucho e
Apurímac… Erano impegnati, si diceva, a passare a un’altra
tappa della loro lotta armata: «Incendiare la prateria», come
veniva detto nei volantini, che consisteva nell’accerchiamen-
to delle città e della capitale, soprattutto, con battaglioni del

243
Óscar Colchado Lucio

loro esercito popolare che avrebbero condotto attacchi


diretti contro le forze armate… ma quella situazione non
sembrava tuttavia essere molto prossima… perché l’Esercito
peruviano era ancora forte, e più ancora con l’appoggio, che,
si diceva, stavano dando sotto banco gli Stati Uniti, con la
scusa di combattere il narcotraffico… io mi fermai a vivere
come rifugiato politico per un bel po’ di tempo in posti
come Pichiwilca, Palmapampa, Rinconada Baja, Triboline…
A Oreja de Perro partecipai alle operazioni che conduceva il
comandante Huayhuaco, un civile a cui lo stesso presidente
García Pérez, che era succeduto a Belaúnde, aveva regalato
la sua pistola quando gli aveva sentito dire che lui con i suoi
montoneros o montucos – come venivamo chiamati noi ron-
deros – avrebbe fatto sparire Sendero in pochi mesi… Anche
Vargas Llosa, quell’uomo che Belaúnde aveva incaricato
tempo prima di indagare sulla morte dei giornalisti ad
Uchuraccay, sentimmo che si congratulava con Huayuaco
alla radio… Lui si era dimostrato entusiasta soprattutto
quando si sono offerti di darci le armi… perché fino ad allo-
ra noi stessi stavamo fabbricando i nostri fucili con tubi
galvanizzati e manici di legno, che chiamavamo «Pezzi d’ar-
tigianato»… In seguito poi, quando sono nate voci sul fatto
che Huayhuaco prima fosse stato un narco, iniziammo a per-
dere appoggi e noi in molti ci siamo allontanati… Così, sono
tornato in questo mio villaggio, immediatamente dopo che
sono arrivato, un capitano dell’esercito che si faceva chiama-
re «Lince», mi nominò vicegovernatore contro la mia volon-
tà, perché io quello che volevo fare era riposare e dimenti-
carmi di tutto… Mi minacciò quando volli rifiutare… Per

244
Rosa Coltello

via di questo, il mio lavoro è consistito nell’informare dell’ar-


rivo di estranei, fare tutte le sere l’appello delle persone del
villaggio e avvisare di ogni movimento sospetto… Fino a
quando non sono arrivati i senderos e mi hanno sparato…
Per questo ora non ne voglio sapere più niente… A volte
sento che vengono i soldati a controllare con i propri occhi…
Sparano due o tre brevi raffiche, fanno la loro comparsa, e
ordinano di suonare le campane a distesa…

245
Óscar Colchado Lucio

QUANDO UN PO’ QUI e un po’ là stavate fuggendo


dalle masnade del Governo, voi tredici combattenti del plo-
tone che tu e Mallga comandavate dopo la morte di Santos
e la dispersione della forza principale durante l’attacco a
Illaurocancha, il Partito vi ha fatto arrivare l’ordine, dopo
avervi perso di vista per moltissime lune, di dirigervi verso
gli accampamenti di ritirata nella selva del fiume Apurímac,
al confine tra i dipartimenti di Cuzco e Ayacucho, dove avre-
ste ricevuto istruzioni precise per continuare la lotta.
Prima di dare una risposta al compagno che, identifican-
dosi con un piccola placca di bronzo che voi già conosceva-
te, era venuto a portarvi il messaggio e che si offriva di farvi
da guida, tu e Mallga, in una riunione separata che avete
avuto con i compagni del plotone, avete deciso di obbedire
a tale ordine, perché in quel momento, dato lo stretto con-
trollo che sulle comunità esercitavano le forze armate e quel-
le della polizia, era difficile continuare a sensibilizzare le
masse contadine – nonostante aveste raccolto grandi entu-
siasmi – sul tema della formazione di un esercito di soli
nativi e con un programma di chiaro taglio tahuantinsuyano
che voi pensavate di applicare nel caso foste stati alla fine
vittoriosi. Antolino Páucar, che era un mezzo stregone, aveva

246
Rosa Coltello

detto una notte osservando attraverso un fazzoletto il per-


corso della luna, che dopo cinquecento anni di dominazione
spagnola stava arrivando il Pachacuti, e sarebbe questa volta
spettato ai nativi godere pienamente dell’epoca che si
approssimava. Ripeteva ancora la stessa cosa mentre osser-
vava di nuovo le macchie nel corpo della Mama Killa.
Mentre stavate discutendo, le due ragazzine che erano
con Urpay, Marcelina di dodici anni e Florencia di tredici, si
erano sforzate di mantenere l’aria grave, nascondendo il riso
che stava per avere la meglio mentre osservavano Yanahuara,
il wambra di soli dieci anni che attento, con lo sguardo fisso,
ascoltava la conversazione, e aveva smesso di pulire con il
suo coltellino – che portava sempre legato su un fianco
durante le marce – le scanalature piene di terra della sua
pistola.
È accorgendovi di questo anche voi, dell’innocenza e
della mancanza di maturità dei bambini, che sareste arrivati
alla conclusione che per ora non c’era altra alternativa che
quella di tornare a far parte del Partito e continuando a
imparare dai compagni senderisti l’arte di fare la guerra e di
comandare e di capire soprattutto che era sugli wambrachab
che poggiavano le basi della nuova rivoluzione che doveva
appartenere esclusivamente ai nativi, e che voi li avreste for-
mati lentamente, senza fretta.
Così, con quella decisione, avete chiuso la riunione.

247
Óscar Colchado Lucio

È STATO COSÌ che subito il giorno dopo avete comin-


ciato il viaggio verso l’estremità orientale della provincia di
La Mar, verso le selve dove si rifugiava la maggior parte dei
contingenti senderisti.
Avete avanzato prima per la puna di Huata, dove per un
pelo non vi siete scontrati con una pattuglia di soldati, quan-
do dopo esservi fermati stavate facendo bollire delle patate
in una capanna abbandonata di pastori. È stato Yanahuara
che vi ha avvertito in tempo. Stava facendo pipì dietro la
capanna, quando ha visto spuntare in lontananza come fan-
tasmi un gruppo di cachacos così malconci che quasi si tra-
scinavano, debolissimi. A quanto pareva, già da giorni in
preda alla fame e alla sete sicuramente.
Afferrando le vostre cose e lasciando le patate mezze
crude, siete scappati. Le raccomandazioni che tante volte vi
aveva fatto Angicha durante l’addestramento, ancora risuo-
navano nella vostra mente: «Quando il nemico avanza è
meglio arretrare, quando riposa lo si deve pungolare; se è
stanco lo si deve attaccare e quando si ritira, inseguirlo». A
proposito, che cosa ne sarà stato di lei, della tua signorina?
L’avevi sognata tante volte, e sempre nei tuoi sogni lei finiva
per confondersi con Hilda, la pasña che veniva al pascolo

248
Rosa Coltello

con te ai tempi della tua infanzia e alla quale piaceva mettere


granelli di zucchero nella fessurina della sua bocca dell’illa
piccolo toro che porti sempre al collo e che hai trovato ai
piedi del Pedro Orcco, la montagna, che sicuramente ti avrà
fatto un regalo visto che era tuo padre. «Questo illa farà sì
che il bestiame della comunità sia abbondante» diceva lei,
tutta allegra, accarezzando la piccola scultura naturale di
pietra, più piccola di un dito mignolo. Ormai non ricordavi
più molto bene il viso della dolce Hilda, ma ogni volta che
volevi farlo ti bastava immaginare Angicha da piccola, ed
eccola lì la tua pastorella. Anche se ultimamente, visto il
tempo passato senza vederla – e senza sapere se era ancora
viva dopo l’attacco ad Illaurocancha –, anche il viso di
Angicha si andava facendo più evanescente.

249
Óscar Colchado Lucio

PRIMA SIETE ARRIVATI a Mayapu, facendovi strada


tra l’intricata vegetazione e sopportando il calore soffocante.
Per potervi nutrire avete dovuto chiedere «collaborazione»
in nome della lotta armata ai commercianti di cacao, caffè e
coca.
Un venerdì sera siete sbucati a Canayre, navigando sul
fiume con una zattera costruita dalla guida con il vostro
aiuto. Un tempo era stato barcaiolo sul fiume Mantaro.
Appena siete sbarcati, alcuni uomini armati di fucile –
all’apparenza combattenti guerriglieri –, si sono presentati
nel nome del Partito Comunista del Perù e vi hanno chiesto
i documenti. Ma la guida identificandosi attraverso la sua
propria parola d’ordine e il distintivo che portava, vi ha pre-
sentato a loro.
Quando hanno saputo chi eravate, sono venuti a darvi la
mano e ad abbracciarvi, Benvenuti, compagni.
Quella notte avete pernottato in una casa abbandonata. Il
giorno dopo, la gente del posto era in subbuglio: diciotto
guerriglieri venuti da Ancón hanno detto che le truppe del-
l’Esercito acquartierate a Silvia, li inseguivano. La gente che
non voleva essere vittima della repressione, ha deciso di fug-
gire; alcuni a Villa Mejorada e altri a Villa Progreso, all’inter-

250
Rosa Coltello

no della selva, guidati da un giovane chiamato Leopoldo.


Anche alcune persone del villaggio che erano nascoste nella
boscaglia sono fuggite.
In una radura in mezzo alla selva, dopo esservi lasciati alle
spalle sentieri bloccati con tronchi e trappole di due metri di
profondità coperte da rami, c’era l’accampamento guerri-
gliero. Tre uomini svolgevano il loro turno di guardia con le
carabine a tracolla quando siete arrivati. C’erano anche un
piccolo campo sportivo e delle case costruite con tronchi e
rami. Oltre a quelli c’era un gruppo di circa dieci persone,
tra uomini e donne, a cui siete stati presentati. Una ragazza
ha attirato la tua attenzione: indossava la divisa da combatti-
mento come gli altri: un maglione leggero, nero, pantaloni
verde oliva, scarponi, oltre a delle fibbie per le armi.
Sorridente si è tirata giù il collo del maglione che le copriva
la faccia quasi fino agli occhi, e per un pelo non sei caduto a
terra per l’allegria riconoscendola: era Angicha, che ti ha
abbracciato con moltissimo affetto.

251
Óscar Colchado Lucio

«L’ANIMA buona che va a incontrare il dio Wari


Wiracocha, per prima cosa attraverserà il fiume bianco. Da
lì proseguirà lungo il sentiero del cervo, alla cui estremità si
trova la Chacana o il gran ponte sopra il mondo. Lì si trova
Dio».
Mentre mi stavo chiedendo in mezzo alla grande regione
del Janaq Pacha, da dove sarei potuta arrivare al Koyllur
Mayu, il grande fiume latteo che vediamo dalla terra, un
enorme condor, che riluceva nell’oscurità della notte, mi ha
fatto capire che lo stesso Gápaj, il Creatore del mondo, Wari
Wiracocha, stava guidando i miei passi. «Grazie, Padre; gra-
zie, Taita, ora so che è tuo volere condurmi al tuo fianco».
Così dicendo, io avanzavo, quasi fluttuando, per quei sentie-
ri illuminati da una luce argentea, lungo i quali scorrazzava-
no cervi, caprette, alpaca e vigogne. Lì brillava anche l’Ara-
tro, che io avevo visto tante volte dalla terra. Poco più
avanti ho potuto vedere immobile come un’ombra con i suoi
occhi brillanti, la Yacana, quel lama che dicono che a volte
scende a mezzanotte, senza che nessuno lo senta o lo veda, a
bersi l’acqua del mare; perché se non si bevesse di tanto in
tanto quell’acqua, il mondo ne sarebbe sommerso. La stella

252
Rosa Coltello

Yutu o pernice è passata volando vicino ai miei piedi, in


silenzio.
Quando ho alzato gli occhi per seguire il volo del grande
condor, dopo essere riuscita ad avvistare quell’ampio fiume
pallido, come un mare calmo, orlato da ginestre, kantutas e
amancaes, l’ho visto immobile lassù in alto, le ali aperte, oltre
il Koyllur Mayu, che illuminava il mondo nella forma della
grande Croce del Sud.
Piena di felicità, ho visto improvvisamente apparire, cor-
rendo in quei campi dall’odore di ginestra, Wayra, il mio
allko nero, con la sua lingua di fuori anche in quella regione
silenziosa. Allau! stava venendo sicuramente la mia bestioli-
na ad aiutarmi ad attraversare le acque bianchissime della
Yacu Mama, che con i suoi occhi scintillanti di grande ser-
pente che percorre i tre mondi, mi stava mettendo alla prova
oggi che mi trovavo nel regno degli dèi.
– Ero venuto qui ad aspettarti, Rosa – mi ha detto quan-
do è arrivato, leccandomi la mano –, sapevo che prima o poi
saresti arrivata.
– Mi hai lasciato sola – gli ho detto abbracciandolo –. Mi
sei mancato tanto Wayra.
– È stata la volontà degli dèi che ci ha fatti separare; ma
ormai ci sei, ormai sei nella grande regione; ora ti aiuterò a
passare il fiume all’altro lato del quale ti sta aspettando il
Taita.
– Grazie,Wayra; grazie mio buon allko. Allora mi ha
detto che afferrandomi saldamente alla sua coda dovevo
cercare di non staccarmi da lui, perché stavamo per attraver-
sare quelle acque lattee camminando sopra un ponte della

253
Óscar Colchado Lucio

grandezza di un capello. Lui sarebbe andato davanti e io


dietro.
– Non temere – mi ha detto –, il ponte resisterà al tuo
peso: ormai devi esserti completamente purificata con tutte
le sofferenze che hai patito.
Su questa sponda della Yacu Mama, all’ombra delle gine-
stre e delle kantutas, molti cani dormivano in attesa dei loro
padroni.
Quando ormai stavo camminando con Wayra sopra il
sottilissimo ponte, ho potuto constatare con gioia che resi-
steva con tutta tranquillità al mio peso. In realtà a me sem-
brava di stare camminando solamente sull’aria.

254
Rosa Coltello

AD AYACUCHO?… Il Presidente della Repubblica?…Il


Signor Governo?… E cosa diavolo è venuto a fare?… Ma
guarda! Anche a Illaurocancha viene?…Quello che è appe-
na arrivato è lui?… Quello col completo e la fascia sul
petto?… E gli altri?… Chi sono gli altri?… I suoi mini-
stri?… Uno è Huayhuaco, con il suo «pezzo di artigianato»
ben stretto, sta marciando accanto a lui… Anche il generale
Noel… Lo saluta toccandosi il berretto… Fa il suo discorso
il presidente… La sua testa smette di essere quella di una
persona e diventa quella di un lama… Forse una jarjacha?…
Sputa fiamme mentre parla… Ah, porca puttana, quanta
gente è venuta ad ascoltarlo… da Onqoy, Chicmu,
Ayrabamba, Pacucha, Ocros, Chumbes, Parcco… e conti-
nuano ad arrivare da ogni parte con bandierine e cartelli…
Cosa dicono?… Viva il presidente Gonzalo! Viva la guerra
popolare!… Il lama non è più un lama… quello che parla
ora è Abimael dicono… Un uomo con la barba è… Agita la
sua bandiera rossa e dietro di lui un sole rosso è appena
esploso come una granata… Ah, Dio! quasi mi raggiungono
quelle schegge… E qui sta parlando nuovamente il Signor
Governo… Vari volti conosciuti lo stanno applaudendo…
Angicha, vestita da ñusta e con il suo fucile in spalla…

255
Óscar Colchado Lucio

Santos vestito da pescatore che ogni tanto si afferra il volto,


come se gli facesse male un dente… Liborio con sua mamma
doña Rosa Coltello in un angolo stanno arrostendo ciccioli
di maiale… Omar ed Edith in un angolo della piazza stanno
appostati… Vicino a loro ci sono dei miliziani con le loro
brave mitragliette e con delle granate in mano… Huayhuaco
cammina per il tetto di una casa chiamando un huishqu che
vola molto in alto… Il presidente continua a parlare dal bal-
cone del Municipio… Ora sorride… La gente è aumentata,
Shshsh!, sembrano più che altro delle formiche… Vogliono
avvicinarsi ancora e ancora per dargli la mano… L’uomo si
spaventa… La pressione della folla è così tanta che fa trema-
re l’intero edificio… e, Ecco! lo fanno crollare… Si alza un
grande polverone e un grande urlio… Lì c’è l’uomo con la
barba che dicono sia Abimael… Lamentandosi, con il volto
insanguinato sta uscendo da sotto le macerie… Angicha e
Santos sono corsi ad aiutarlo… Omar, Edith e tutto il loro
gruppo corrono, anche loro con una barella per prestargli
soccorso…Huayhuaco in un angolo ride tenendosi la pan-
cia… E il presidente?, Il Signor Governo?… Eccolo lì che si
sta sollevando in volo come un palloncino, con il suo bel
completo e con la sua fascia… Il cielo è bluastro, punteggia-
to di stelle. La gente sta correndo perché a quanto pare
atterrerà dall’altro lato del Pedro Orcco, dalle parti di
Pirurirca, in quella direzione… Tutti corrono… Anch’io…
Che ce la faccia o no, sento che mi fa male tutto il corpo, sto
correndo… Distribuirà viveri, vestiti, dicono… Ha passato
un monte, un altro monte. Sta scendendo verso il ponte
Pampas… gli uomini della Marina che sorvegliano la zona si

256
Rosa Coltello

buttano pancia a terra e cominciano a fare il passo del leo-


pardo credendo che sia il nemico… Il presidente dall’alto li
insulta, fa dei gesti che gli altri non capiscono… È caduto in
acqua… Fa il bagno tutto allegro… Noi siamo ormai arriva-
ti dove è lui… Vogliamo viveri, vestiti, armi!, gli gridiamo…
si solleva in volo un’altra volta… Il vento lo porta nella dire-
zione di Pampas… Saliamo lungo le pendici di Ocros, tra
fichi d’india, cabuyas, e cactus… Stanchi stanchi arriviamo a
Huamanga… e nella piazza d’armi lo troviamo un’altra volta
a tenere banco… imperturbabile, non si altera nemmeno
quando gli dicono che i terroristi stanno scendendo da
Acuchimay e dal monte La Picota… Anche i suoi ministri lo
avvertono del pericolo, gridando, cercando di non cadere
dal campanile della cattedrale… Il presidente continua a
parlare… Cosa dice?… Che sono avvenuti fatti deplorevoli
e che per questo motivo era lì con i suoi ministri?… Che è
venuto a dare il suo pieno appoggio a coloro che lottano
contro il nemico interno? La gente gli grida che vuole vesti-
ti, viveri, armi… In quel momento Huayhuaco, dondolando-
si attaccato alla fune del batacchio, fa suonare la campana
della cattedrale con un rumore che ci assorda tutti… In quel
preciso momento cominciano le esplosioni delle bombe e
l’attacco dei guerriglieri… E di nuovo il presidente si solleva
in volo come un pupazzo illuminato… Fluttuando, mezzo
inclinato, trascinato dal vento, si allontana, si allontana…
Non sappiamo dove finirà… esausti proseguiamo per monti,
spaventosi valloni, ghiacciai, immensi fiumi, chiedendo e
richiedendo a quelli che incontriamo se lo hanno visto…
Stiamo scendendo verso gli arenili della costa… Lucertole

257
Óscar Colchado Lucio

verdi e gechi spaventati scorrazzano dappertutto…


Improvvisamente compaiono delle luci in lontananza… una
città è… Ma quale città?… Lima, sento che dicono, con voce
flebile, morti di sete come me… In pochissimi ormai siamo
rimasti, tutti cenciosi, magri, sudati… E ora?… Cos’è suc-
cesso agli altri?… Non c’è nessuno con me… Io sto entran-
do nella città tutto solo… Aha!, Così questa è Lima, no? Ah,
porca puttana, questi palazzi che si perdono tra le nuvole…
Anche auto dappertutto, quante… E quello che dirige il
traffico non è Abimael?… Mi strizza l’occhio… Io corro
lungo una stradina… Non sia mai che i suoi uomini cerchino
di farmi fuori… Ah, cavolo! tutte le luci si sono spente
improvvisamente… Si sentono spari ed esplosioni di
bombe… La gente grida, si disperde… i terroristi stanno
conquistando la città dicono… E davvero, lì vedo qualcuno
con cappuccio e mitraglietta… E il presidente?… Dove sarà
in realtà?… Per guardare a bocca aperta la città mi sono
dimenticato di lui… Nel suo palazzo sarà, chi può saperlo…
Dove sarà?… Un camion pieno di poliziotti è appena arriva-
to… Io sono all’angolo di una piazza che ha un monumento
dove un uomo, tutto pomposo, monta il suo cavallo… La
Piazza San Martín forse, di cui sempre parlavano i miei com-
paesani che avevano visitato Lima… Immobile, senza muo-
vermi, mi ritrovo a guardare… Delle bombe fanno saltare in
aria gli agenti… Altri agenti stanno arrivando… e anche
soldati con delle auto verdi… L’uomo del monumento è
sceso giù e… tutti i soldati si mettono ai suoi ordini…
Marciando si perdono lungo un’ampia strada, mentre quello
gli fa marcare il passo… Liberi, i terroristi cominciano a

258
Rosa Coltello

saccheggiare i negozi e ad incendiare i palazzi… io corro


lungo una strada per paura di essere riconosciuto da qualcu-
no. In quel momento, una granata esplode davanti a me
facendo in mille pezzi il marciapiede, sollevando un polvero-
ne… Spaventato mi fermo, tremando, senza sapere come
quei pezzi di cemento non mi abbiano ferito… quando
comincia a schiarirsi l’aria davanti a me, lo vedo davanti a me
il presidente, riverso sopra il marciapiede, pieno di sangue…
Vari soldati arrivano di corsa ad aiutarlo… Improvvisamente
non so proprio come, compare doña Emilia Achahuanco
con un cestino di frutta sul braccio, e grida all’uomo che
ormai si sta riprendendo, Prendi, serviti, visto che tu non ce
ne hai dati!… e gli scaraventa una banana sulla faccia…
l’altro, smettendo di lamentarsi, la raccoglie da terra e si
siede tutto affamato a sbucciarla… impastata di sangue e
altro e se la mangia di gran gusto… I soldati lottano con
doña Emilia perché vogliono arrestarla… Io mi avvicino a
difenderla, Che vigliaccheria, dicendo, fare i prepotenti così
con una povera donna?… Ma mi impaurisco vedendo che
gli spaventosi occhi, assassini, di uno dei soldati biancheg-
giano guardandomi in malo modo… Mi viene una gran
fifa… Faccio finta di niente girandomi a guardare dall’altra
parte del ponte… Ed è proprio allora che sento che alle mie
spalle risuona uno sparo… e che cado a terra come un sacco
di patate…

259
Óscar Colchado Lucio

– COMPAGNA ANGICHA – le hai detto avvicinandoti


quando guardava tra la boscaglia gli elicotteri da combatti-
mento dell’Esercito che erano passati bassi bassi, sorvolan-
dovi, e ora erano molto lontani e voi da soli, più indietro
rispetto agli altri combattenti –, Non so proprio come par-
larle di quello che prova il mio cuore…
Il tuo cuore ti batteva all’impazzata nel petto, pieno di
agitazione. Era febbraio e la pioggia veniva giù a torrenti.
Tenevi la testa bassa come se avessi commesso qualche delit-
to. Guardavi i tuoi llanque, che si erano salvati dall’essere
sostituiti dagli scarponi da combattente, e che adesso ti face-
vano sentire più umile che mai.
Lei si è voltata. Il suo viso avvampava per il calore della
sera. Indossava un giubbino attillato, a maniche corte, tenu-
to in tensione dai suoi seni piccoli, belli duri, come due
succose arance del temple. Jeans stinti, ben aderenti alle
cosce, che la slanciavano, aveva scarpe e non gli scarponi o
quei grossi anfibi di altre volte. Ben calzato nel suo cinturo-
ne, il calcio della sua pistola scintillava in quella giornata
senza nuvole, splendente.
– Cosa c’è Liborio? Di cosa si tratta? – Ha incrociato le
braccia facendo la parte di quella che non aveva capito.

260
Rosa Coltello

Un barlume di speranza si è acceso nel tuo cuore:


«Liborio», sì, ti aveva chiamato Liborio e non Túpac o com-
pagno Túpac come faceva quasi sempre.
– In tutto questo tempo che ho passato senza vederla,
non ho pensato che a lei, mamita.
Lei ha sorriso leggermente, a quanto pare compiaciuta;
ma subito dopo ha assunto un’aria grave.
Molto lontani si vedevano, azzurini, gli spaventosi picchi
di una montagna, così acuminati da sembrare dei denti. Ma
qui, in questa selva, il panorama si faceva più dolce con quel
cielo che sembrava essere sul punto di cadere giù da quanto
era azzurro. Era venuto il sereno dopo che era piovuto a
catinelle per tutta la notte e per parte della mattinata.
– Siediti, parliamone.
Attorno a voi, cresceva rigogliosa la huaylla, come nei
pascoli di giugno nella tua terra.
Si è seduta. Ti sei seduto.
– Cosa vuoi dirmi? – La sua voce era dolce. Questo ti ha
dato coraggio.
– Che come mai prima d’ora il mio cuore la sta amando,
mamita; spaventosamente innamorato di te sono.
Lei ha sbattuto le ciglia varie volte. Le sue lunghe ciglia
hanno palpitato come ombre sui suoi occhi. Le sue guance
si sono fatte rosse come mele. Non l’avevi mai vista così
bella.
Ha sospirato leggermente.
– Anch’io ho sempre pensato a te, Liborio. Tuttavia,
credo che un combattente debba dare più importanza alla

261
Óscar Colchado Lucio

lotta che all’amore. Il dovere deve venire prima di ogni altra


cosa. La dedizione alla causa deve essere totale.
– Allora si deve aspettare la fine della guerra perché tu mi
ami, compagna?
Ha sorriso.
– Non così tanto, forse; ma, a volte…
– A volte cosa, mamay?
– A volte con tutte queste responsabilità ci dimentichia-
mo anche di amare… Ma più che questo, Túpac, tu non sai
le cose spaventose che mi hanno fatto quei maledetti sinchi
prima che mi rinchiudessero nel carcere di Huamanga…
– Non me lo raccontare, mamacha, pensando anche a
questo ho sofferto tanto. Ma tu non ne hai avuto colpa.
Ha fatto un profondo sospiro.
Siete rimasti in silenzio per alcuni istanti. E come per
farle forza e darti coraggio le hai messo la tua mano sulla
spalla. Lei era come se fosse assente e non ha fatto niente per
toglierla. Dopo, ha finito per prendertela, stringendo con le
sue dita tiepide le tue che bruciavano di passione. In un
attimo le hai trasmesso tutto il tuo ardore e lei ti ha sorriso,
sì, ti ha sorriso quando l’hai abbracciata completamente. E
quando sì è chinata sopra di te, hai cercato di baciarla; ma
lei, tenera, ha nascosto il viso, facendoti cadere sul volto i
suoi neri capelli scarmigliati. Un secondo dopo, stesi sopra
la huaylla soffice e fresca, tu succhiavi la carnosa fragola
delle sue labbra, accarezzavi impazzito i suoi turgidi seni e
infilavi il tuo duro desiderio tra le sue cosce.
Uno stormo di pappagalli è passato strillando sopra le
vostre teste e non molto lontano da lì, tra l’intricata vegeta-

262
Rosa Coltello

zione, un falco bianco che era venuto dalle Ande schiacciava


con ferocia al suolo una colomba; taita Wiracocha, forse, che
fecondava la Pachamama.

263
Óscar Colchado Lucio

DA LÌ, da Villa Progreso, voi controllavate le zone vicine


che facevano parte della Ritirata: Nazángaro, Selva de Oro,
Cerro Verde, e José Olaya. Lì le terre che prima erano pro-
prietà privata, erano state distribuite ai contadini in parti
uguali, a parte i lotti di terra che venivano coltivati e sfrutta-
ti per mezzo di lavori collettivi.
Marcelino e Angicha erano i comandati della così detta
Colonna n. 3 che operava in quella zona. A parte quelli che
erano arrivati con te, la maggior parte era gente nuova.
Pochissimi ne rimanevano di quella forza principale che si
muoveva tra i confini di Ayacucho e Apurímac. Alcuni ave-
vano disertato dopo lo scontro di Illaurocancha; altri aveva-
no chiesto una licenza o erano fuggiti a causa della repressio-
ne.
Nell’accampamento facevate esercizi alle sei di mattina,
ben registrati su un quaderno, nome per nome. Più tardi
c’era l’addestramento, l’appello e una colazione abbastanza
povera preparata in tre grandi pentole. A volte durante i
pasti vi raccontavate come eravate arrivati nel Partito o le
vostre vite private. Così, c’era uno che si chiamava Adrián
che, stando a quanto raccontava, era stato un poliziotto e
che era entrato nella guerra abbandonando sua moglie e i

264
Rosa Coltello

suoi due figli. C’era anche una donna grassa, di più di


trent’anni, che aveva preso parte alla guerra perché suo figlio
si era offerto come combattente; lei aveva un marito e degli
altri figli che se ne erano rimasti nel loro pezzetto di terra a
San Francisco. C’erano anche varie ragazze che fino a poco
prima studiavano nella scuola superiore di Huanta e sei
bambini dai dieci anni in giù, tra i quali si trovava
Yanahuara.
Durante il giorno, tutti eravate occupati: alcuni nei campi,
altri a caccia, a occuparsi degli animali, o a fare la guardia.
Di notte se non progettavate azioni per mantenere il con-
trollo delle zone, dove funzionavano molto bene i comitati
del Partito, ricevevate lezioni di politica. A volte c’erano
delle discussioni che duravano fino all’alba, come per esem-
pio durante quelle notti in cui discutevate del narcotraffico.
Marcelino diceva che era falso che il Partito fosse appoggia-
to dai narcos. Che questo lo diceva il governo per screditarvi,
ma che nemmeno potevate combatterli, perché i nostri con-
tadini vivono della coca, compagni, e quelli, i narcos, com-
pravano le loro coltivazioni. Approfittando di questo,
aggiungeva, con la scusa di eliminare i trafficanti di coca, i
governi del Perù e degli Stati Uniti si erano messi d’accordo
per far arrivare i «terribili» marines, soldati yankee che si
erano fatti le ossa durante la guerra del Vietnam, con lo
scopo di eliminarvi. Ma l’unica cosa che stavano cercando di
fare, compagni, tanto il ministro degli interni quanto i suoi
consulenti yankee, era trovare la propria tomba in mezzo alla
selva.

265
Óscar Colchado Lucio

Discutevate anche dei rivoluzionari tupacamaristi. Quelli


erano a quanto pare dei revisionisti, non sapevano e non
capivano cos’era il processo di una lotta sociale in una
repubblica in grave crisi. Túpac Amaru aveva detto al fun-
zionario Areche: «Entrambi siamo responsabili: tu perché
sei un oppressore, e io perché mi sono ribellato»; ma non
per questo quelli del MRTA22 potevano prendere il suo
nome come una bandiera di lotta, lui era stato un elemento
esemplare che aveva capitanato una rivolta di classe al suo
tempo e non un semplice riformista.
Mallga gli ha chiesto che cosa sarebbe successo se Túpac
Amaru avesse vinto quella volta. Di sicuro avrebbe organiz-
zato gli indios secondo il modello del Tahuantinsuyu, ha
risposto, ma già solo per quello avrebbe avuto dei problemi;
avrebbe dovuto eliminare o espellere tutti gli uomini di razza
bianca, o sottomettere i meticci che erano contaminati dal
pensiero occidentale.
– E il Partito Comunista del Perù non è contaminato da
quel pensiero, compagno? – Ti sei azzardato a chiedergli.
– È innegabile visti i tempi – ti ha risposto –, ma il pen-
siero Gonzalo, compagno, ha ideato per il nostro Paese
un’ideologia adeguata alla nostra realtà, proprio come ha
fatto il compagno Mao nella Cina rivoluzionaria.
– E non è possibile organizzarsi alla maniera degli inca?
– È tornata alla carica Mallga.

22 Movimiento Revolucionario Túpac Amaru: organizzazione terroristica peru-


viana di stampo marxista che a partire dal 1984 si dichiara insorta.

266
Rosa Coltello

Marcelino, che forse era già stato informato delle tue idee
da Angicha e pensando che forse tu avessi influenzato
Mallga, ha detto:
– Forse, compagna, ma è molto difficile. In ogni caso non
ci sarebbe molta differenza con quello che si imporrebbe
con la Repubblica Popolare di Nuova Democrazia.
Tu e Mallga vi siete guardati, e avete preferito tacere.
Angicha era pensierosa.

267
Óscar Colchado Lucio

IL PROBLEMA che stavate affrontando in questi giorni


era che non c’era quasi niente da mangiare. Da varie settima-
ne ormai non mangiavate altro che semplice pituca23 e riso. I
bambini piangevano e due di loro, Nemesio e María, si sono
ammalati e sono morti. E visto che c’erano altri bambini
malati, un gruppo, sotto il comando di Marcelino, ha deciso
di portarli a San Juan de Mantaro da un guaritore chiamato
Fidencio Taulli. Prima di partire, Marcelino ti si è avvicinato
accompagnato da Angicha per comunicarti in via confiden-
ziale che il Partito ti incaricava di sostituirlo al comando
militare fino al suo ritorno che sarebbe avvenuto dopo due
o tre settimane. Angicha avrebbe continuato ad esercitare il
comando politico e Mallga, che aveva appena accettato,
avrebbe assunto il comando della logistica, in sostituzione
del compagno responsabile che sarebbe anche lui partito.
Porca puttana!, non hai saputo neanche cosa rispondere. La
notizia ti ha colto alla sprovvista; ma hai dovuto accettare.
Gli ordini erano ordini, compagno, e non si discutevano. In
fondo, ti rallegravi: tu e Mallga avevate bisogno di imparare
ancora per costruire con il tempo l’esercito che sognavate.

23 Colocasia esculenta. Tubero simile alla patata che cresce nella selva tropicale
dell’America del Sud.

268
Rosa Coltello

Avresti pensato a come convincere Angicha, che a quanto


pareva, stava iniziando a simpatizzare con le tue idee.
Per poterti rendere del tutto identificabile come coman-
dante, ti hanno passato una piccola placca di bronzo, che tu
ormai conoscevi, e che recava incisa da una parte una stella
e dall’altra una scritta che faceva riferimento all’inizio della
lotta armata.

269
Óscar Colchado Lucio

HAI SAPUTO poi da Angicha che vi trovavate in quel


posto, non solo per controllare e proteggere le zone vicine,
ma anche perché più all’interno, dove la boscaglia era più
fitta e quasi impenetrabile, a cinque ore di cammino, era
situata Nuova Pechino, dove si trovavano i principali capi
del Partito; ed era vostro dovere far sì che per nessuna ragio-
ne al mondo da lì arrivassero le masnade del Governo.
Sorpreso hai chiesto se anche il presidente Gonzalo si trova-
va là. Ha mosso la testa in segno di assenso e ha aggiunto con
voce flebile: e il resto dei suoi comandanti, compagno.
È stato per quello che a partire da quel giorno ti sei messo
a proteggere la zona con maggior impegno. Hai ordinato di
posizionare allarmi con fili e barattoli di latta nei dintorni e
di scavare fosse profonde con dinamite, chiodi e pietre den-
tro, coperti con dei rami. Hai disposto, allo stesso modo, che
i bambini, a turni, arrampicati sugli alberi più alti, tenessero
sotto sorveglianza i dintorni con l’aiuto di un binocolo. È
stato così che siete riusciti ad interrompere varie volte
l’avanzata dei soldati, come quella volta che Florencia e
Yanahuara sono arrivati di corsa ad avvisarvi che si avvicina-
vano degli «uma chukus», perché avevano visto chiaramente
i loro berretti neri.

270
Rosa Coltello

Immediatamente, voi avete preso i vostri posti per tender-


gli un’imboscata. Per questo, alcuni si sono arrampicati sugli
alberi e altri, mimetizzati, hanno aspettato tra i cespugli.
Adrián, l’ex poliziotto, dopo aver guardato con il binocolo,
ha avvisato via radio che, a quanto pareva, i nove che aveva
contato sarebbero passati esattamente dal posto in cui voi li
aspettavate nascosti.
Al momento opportuno, quando li avete visti comparire
nella radura, Mallga ha azionato le cariche di dinamite e li ha
fatti saltare in aria.
Senza capire quello che era successo, i sopravvissuti
hanno tentato di cercare riparo. Ma voi li avete finiti facendo
piovere su di loro il fuoco dei vostri fucili e delle vostre
mitragliatrici.
Dopo aver verificato che non se n’era salvato neanche
uno, avete proceduto a raccogliere le armi, oltre che gli
impermeabili, gli scarponi, e i maglioni delle vostre vittime,
tutti insanguinati. Alcuni combattenti hanno cercato di
prendere alcuni indumenti disputandoseli, tra cui Damián e
Medardo, che sono arrivati persino a picchiarsi, colpendo
uno di loro l’altro con il calcio della sua arma.
Tu e Angicha li avete seriamente redarguiti quella sera
minacciandoli di farli espellere dal Partito se i dissidi fossero
continuati, perché non era un segreto per nessuno che le
loro liti erano dovute essenzialmente all’amore che entrambi
provavano per Urpay, che era ormai una donna fatta e non
più la bambina che prima era protetta da Paulina.
Loro hanno fatto autocritica giurando in nome del Partito
e della rivoluzione, compagni, che avrebbero corretto la loro

271
Óscar Colchado Lucio

linea nera e si sarebbero dedicati con più fervore alla causa,


lasciando che fosse la stessa compagna a decidere chi doveva
accettare.

272
Rosa Coltello

QUALCHE VOLTA quando i soldati passavano lontani


dall’accampamento voi, piano piano, li seguivate nascosti
nella boscaglia, e raggiungevate quelli che rimanevano indie-
tro per coglierli di sorpresa. Tappandogli la bocca davate
loro una coltellata nella schiena e li trascinavate tra la vege-
tazione.
Dopo averli sgozzati, piantavate le loro teste su qualche
tronco, in modo che quando i loro compagni fossero tornati
indietro a cercarli, si sarebbero spaventati trovandoli concia-
ti così. E invece di trovare il coraggio per venirvi a cercare e
vendicarsi, alcuni di loro piangendo, si allontanavano dal
posto più velocemente che potevano, spaventati ancor di più
dai rumori della selva e dalle vostre grida che imitavano
quelle delle fiere.
Qualche giorno dopo, ascoltavate divertiti alla radio i
comunicati ufficiali del Comando Congiunto delle Forze
Armate che indicavano come disertori gli uma chuku che
erano stati vostre vittime.
È per questo motivo che raramente venivano da quelle
parti le pattuglie dell’Esercito o della Fanteria di Marina.
Avevano paura. Neanche gli animali che allevavate per man-
giare si azzardavano a toccare per quanto affamati che fosse-

273
Óscar Colchado Lucio

ro. Se uccidevano un montone o una mucca, tu ordinavi


immediatamente che una pattuglia li seguisse lungo lungo la
boscaglia fino a quando non avessero ucciso almeno uno di
loro, per mettere poi sul cadavere un cartello che diceva;
«Eccovi serviti, miserabili, per aver mangiato il nostro
bestiame. Viva la lotta armata!».
A volte quando vi mancavano viveri, medicine o vestiti,
inviavi un plotone di otto o dieci uomini a fare posti di bloc-
co sulle strade, fermando qualsiasi auto e obbligando gli
occupanti a dare il loro contributo alla causa. Chiedevate
anche i documenti e uccidevate coloro che per caso si trova-
vano nella lista nera che vi passava il Partito.
In accordo con il pensiero dei re inca, hai emesso l’ordi-
nanza che nelle zone che controllavate, i compagni commis-
sari facessero rispettare l’ama sua, non rubare; l’ama kella,
non essere pigro, e l’ama llulla, non essere bugiardo.

274
Rosa Coltello

E MENTRE tu e Mallga, con l’approvazione di Angicha,


facevate aggiunte e modifiche a modo vostro alle leggi e alle
ordinanze del Partito, vi è arrivata la cattiva notizia, dopo
varie settimane di assenza, che Marcelino e il gruppo che
guidava erano stati fatti fuori a San Juan de Mantaro dalla
Fanteria di Marina e dalla Difesa Civile che li avevano sor-
presi mentre dormivano.
Per questo e a causa di alcune diserzioni da «La Ritirata»
per la fame e per le malattie di alcuni gruppi di appoggio e
più che altro per urgenti questioni che dovevano essere
affrontate, il Partito aveva convocato una Giunta di
Emergenza per tutti i comandanti, alla quale, secondo quan-
to ti ha comunicato Angicha, tu eri chiamato a partecipare.
A Nuova Pechino? hai detto sorpreso, sentendoti mezzo
cinese. Sì, compagno, a Nuova Pechino.

275
Óscar Colchado Lucio

BAGNATI DA quella luce intensa sotto la quale ovunque


era giorno e scompariva la notte, siamo arrivati sull’altra
sponda. Poco prima, a mano a mano che avanzavamo, io
avevo sentito, stupita, una trasformazione all’interno del mio
corpo: mi sentivo più leggera. Allo stesso tempo osservavo
come le rughe della mia pelle, si andavano stendendo, e il
mio corpo si faceva sempre più florido. Sorpresa ho comu-
nicato a Wayra quello che mi stava succedendo. «Non ti
allarmare, mi ha detto, stai ritornando ad essere quella che
sei in realtà: qualcuno che ha sempre abitato questi luoghi e
che tuttavia se ne è dimenticato».
Ho creduto che stesse scherzando, ma a mano a mano che
ci avvicinavamo alla riva, veramente, quei luoghi mi erano
sempre più familiari e conosciuti, come se li avessi percorsi
da sempre.
Ma è stato vedendo il mio volto, il mio corpo completa-
mente giovani e folti i miei capelli, nelle acque di specchio
del grande fiume celeste che ho cominciato a ricordare qual-
cosa, nel momento stesso in cui Wayra, indovinando i miei
pensieri, mi diceva:
– Riconosciti, Non sei forse Cavillaca, la bellissima dea
che una volta ha vissuto sulla terra all’epoca degli inca?

276
Rosa Coltello

– Sì, sì, ora me lo ricordo; ma Wayra, dopo ho vissuto nei


cieli, Perché allora sono tornata sulla terra? Che cosa è suc-
cesso?
– Ora te ne ricorderai: quando vivevamo nella casa divi-
na, tu, io e altre divinità, chiedemmo al Gran Gápaj di torna-
re a vivere per un periodo sulla terra, non come dèi, ma
come semplici mortali, perché volemmo fare quell’esperien-
za. Lui inizialmente si rifiutò dicendo che avremmo sofferto
e che inoltre avremmo dimenticato tutto; ma noi ci eravamo
incapricciati e di fronte alla nostra insistenza accettammo.
Fu così che alcuni di noi si sono incarnati in piante, in ani-
mali o in umani. A me per puro caso toccò nascere come
allko e di abitare con te. Poi quando mi è toccato disincar-
narmi sono rimasto ad aspettarti per fare ritorno insieme. E
ora sono quello che sono, Guardami!
Improvvisamente, Wayra, cessando di essere un animale,
si è trasformato in un bel giovane: il Dio del Vento, figlio di
Huampu, Signore dell’Aria. E mentre mi guardava sorriden-
do, nella mia mente si faceva sempre più chiarezza.

277
Óscar Colchado Lucio

… ACCIDENTI!, MI ero addormentato… solo sonno mi


prende adesso… Che impressione!… Ho sognato che i ter-
roristi prendevano Lima… Meno male che è stato solo un
sogno… Sarà venuta doña Emicha?… Nel sonno ricordo
come se mi avesse parlato, che mi diceva qualcosa… Ah, sì!,
lì mi ha lasciato un bella infusione e della mazamorra24… Ma
non mi va adesso… Ah, Santo Dio! di nuovo sto sentendo
delle fitte dentro la mia ferita… Vediamo, guarderò allo
specchio… no, no, meglio di no… dicono che è male guar-
darsi le ferite allo specchio, che le infetta… Ah, Santo Dio,
Angelo Custode!, penso di star marcendo… Chiaramente
sento come mi mallmano vermi sulla faccia… E allora,
mamita Candelora, neanche il creosoto che ci ho dato può
fermarlo?… Quanto sarà costato a doña Emicha trovare
questo medicamento, e sembra che lo faccia apposta… Ah
taita Pedro Orcco!, aiutami, che la febbre mi sta addosso
notte e giorno e la mia testa sembra voler scoppiare…
Cercherò di addormentarmi o di pensare a qualche altra
cosa più bella, altrimenti impazzirò per la disperazione…
Speriamo che venga doña Emicha presto… un po’ mi distrae
con le sue chiacchiere… anche se a volte mi porta cattive
24 Piatto popolare a base di mais.

278
Rosa Coltello

notizie… come ieri che mi ha raccontato che aveva sentito


alla radio che i senderos avevano ucciso cinquanta ronde-
ros… Gli hanno teso un’imboscata, dicono, quando attra-
versavano con delle zattere il fiume Apurímac… e a Tingo
María hanno fatto altrettanto con nove poliziotti… Stanno
cercando di far saltare le elezioni municipali che non mi
ricordo se è domani o dopodomani Ahum! che sonno che
ho…

279
Óscar Colchado Lucio

FACEVA CALDO a Nuova Pechino. Un forte solleone


picchiava tanto che non si poteva sopportare. Mezz’ora
prima era venuta giù una pioggia torrenziale. Ancora gli
alberi stavano gocciolando, tra il vocio delle ara e dei mitu25
e alle grida delle scimmie urlatrici che si rincorrevano tra le
fronde.
Grasso, con gli occhiali, di statura media, sfoggiando
un’abbondante barba è comparso di fronte a tutti i delegati
il presidente Gonzalo. Portava una maglia color crema,
aperta, una camicia celeste e dei pantaloni color piombo più
o meno. Sembrava di buon umore nonostante i suoi movi-
menti un poco lenti. Ha salutato con la testa in mezzo ai
vostri applausi entusiasti.
Dopo avervi rivolto brevi ed emozionate parole di benve-
nuto, ha preso posto tra i principali comandanti guerriglieri.
Molto attento e con il mento appoggiato su una mano, ha
ascoltato i rapporti dei capi e dei responsabili dei fronti e
delle colonne guerrigliere, tra i quali quelli di Angicha.
Tutti erano molto allegri. Riferivano di vittorie militari e
della grande crescita del Partito negli ultimi tempi. Ma i capi
25 Crax Mitu, uccello della famiglia dei gallinacei dal piumaggio scuro tipico
della foresta amazzonica.

280
Rosa Coltello

hanno chiesto che ci si profondesse di più su quella che


hanno chiamato critica o autocritica. Tu ascoltavi affascina-
to, a bocca aperta, capendo pochissimo quelle parole diffici-
li che a volte pronunciavano; tuttavia, ti rendevi conto chi
aveva ragione e chi sembrava sbagliare anche nelle discussio-
ni che sono seguite dopo. Così, uno dei delegati del sud, per
esempio, ha parlato di una serie di errori e della mancanza
di qualità e capacità di fuoco di un numero considerevole di
capi di plotoni e di colonne. E quello che ha criticato più di
tutto è stato il fatto che mancasse una maggiore preparazio-
ne politica dei militanti delle basi di appoggio soprattutto,
aggiungendo che questo aveva permesso che ci fossero stati
alcuni disertori e che fossero comparse delle spie e che fos-
sero anche aumentati i fronti di Difesa Civile, manipolati dai
militari. Un altro, appoggiandolo, ha detto che era necessa-
rio sospendere temporaneamente le esecuzioni, perché que-
sto aveva creato disagio in alcune comunità contadine, favo-
rendo vendette, istigate dai sinchi e dai Fanti della Marina.
Ma a questo, con tua grande delusione, hai visto come il
presidente Gonzalo si è opposto, perché secondo quanto
diceva, Disgraziatamente, è una barriera indispensabile con-
tro i traditori e una dimostrazione di forza del Nuovo Stato,
compagni.
Dopo c’è stato un altro, di nome Daniel, che ha detto,
Compagni, una cosa che mi preoccupa davvero è la mancan-
za di un’infrastruttura minima per portare avanti la guerra, e
soprattutto per i combattenti che hanno responsabilità fami-
liari e si ammalano. Non è forse vero che un combattente
con una buona alimentazione può dare di più, può durare di

281
Óscar Colchado Lucio

più e può continuare a lottare per la gloria della rivoluzione?


Vediamo, Cosa faceva il presidente Mao quando marciavano
verso le montagne di Ching Kang?, Non è forse vero che si
preoccupava dei loro vestiti, della roba da mangiare e anche
di dar loro qualche soldo?… Faccio presente questo proble-
ma perché sono convinto che una grande guerra abbia
urgentemente bisogno di un’infrastruttura; per esempio, un
compagno che è caduto ultimamente, il compagno Marcelino
della zona est della regione principale. Lascia due figli anco-
ra piccoli che vivono a Huancavelica e sono malati. Loro
chiedono al Partito se può fare qualcosa e se non si dà una
risposta che soddisfi immediatamente le loro richieste, Che
impressione, che idea avranno del Partito?…
A queste parole di protesta e anche un po’ pessimiste, in
mezzo al gran silenzio che si era fatto, il presidente ha rispo-
sto:
– Compagno, la linea ideologica e politica decide ogni
cosa. Mao insegna che quando la linea del Partito è corretta,
abbiamo tutto. Se non abbiamo uomini, dice, li avremo; se
non abbiamo fucili, li troveremo, e se non abbiamo il potere
lo conquisteremo. Il nuovo Stato non è uno Stato paternali-
sta, né assistenzialista. La sofferenza temprerà in quei bam-
bini la fede nelle proprie forze…
Ti distrai osservando un poco i landes di Nuova Pechino,
casupole mimetizzate nella boscaglia, in un vallone profon-
do, con tetti di lamiera coperti con radici di arbusti. C’erano
anche delle grotte vicine e persino un sotterraneo debita-
mente camuffati.

282
Rosa Coltello

Ora aveva preso la parola un ragazzo con i capelli castani


e lo sguardo un poco addormentato che ha detto che avreb-
be fatto una denuncia, ed era questa: lui denunciava la messa
in discussione dei capi da parte di Flavio, militante che era
stato comandante anni prima nella città di Ayacucho e che
era stato degradato a base per indisciplina, che circa un mese
prima, in compagnia di altri compagni aveva bevuto alcune
birre a Huanta – dove Flavio lavorava come impiegato delle
poste – e in stato di ebbrezza aveva detto, Voi vedete tutto,
presidente Gonzalo. Era un dio o cosa? Ora non vuole più
che lo chiamino presidente Gonzalo, ma dottor Gonzalo e
che dentro il Partito esisteva questo problema perché tutti
accettavano come una norma il saluto più che come un’abi-
tudine. Flavio aveva detto inoltre che lui era stato tra gli
iniziatori dell’ILA, ero stato sul campo e anche nella trincea
tre mesi e ora, Cosa sono? Niente!, saranno forse loro, quel-
li del Comitato Centrale, che andranno a combattere?… Il
ragazzo ha terminato la sua denuncia dicendo che il Partito
doveva fare attenzione a quell’uomo e che meglio ancora,
una volta per tutte, doveva decretare la sua espulsione, che
non dovevano dimenticare che vari anni prima aveva tentato
di boicottare la fuga dei compagni dal carcere di Ayacucho…
Quando lo hai sentito dire quest’ultima cosa ti sei ricordato
in quel momento che proprio Flavio si chiamava quel com-
pagno con il quale Lucho – quello morto in quell’azione –
aveva discusso qualche attimo prima dell’operazione.
Negli interventi che sono seguiti c’è stato più ottimismo.
Hanno parlato dei buoni risultati che stava dando l’amplia-
mento delle operazioni guerrigliere nel creare nuove

283
Óscar Colchado Lucio

Ayacucho. Compagni, ha detto Gonzalo, abbiamo coperto


un raggio d’azione che va da una frontiera all’altra, dal-
l’Ecuador alla Bolivia e al Cile; ma abbiamo anche sviluppa-
to il lavoro nella frangia della selva e lo abbiamo svolto
anche sulla fascia costiera e contemporaneamente lo abbia-
mo incrementato nelle città. Oggi quello che possiamo dire
è che abbiamo centinaia di comitati popolari e molteplici
basi. Ma allo stesso modo diceva che era necessario applica-
re la contro-restaurazione delle zone nelle quali il vecchio
potere era stato restaurato, specialmente al sud di Ayacucho
e ai suoi confini con Apurímac. Era urgente tornare a stabi-
lire lì il Nuovo Potere, per passare subito alla quarta tappa
della lotta armata, quella dell’equilibrio strategico, con una
guerra di movimento, nella quale si sarebbero spostate gran-
di colonne combattenti che avrebbero facilitato l’espansio-
ne.
Era urgente anche che si nominassero capi regionali al
nord e a oriente. Uno di loro era caduto durante un’azione
e l’altro si era congedato. Angicha è stata nominata coman-
dante regionale d’oriente e un tale Florencio è stato assegna-
to al nord. Tu hai provato tanto dolore sapendo che non
avresti più combattuto accanto alla tua warmicha, ma non
potevi farci niente; perché come diceva lei: gli ordini erano
ordini. Tuttavia, hai confidato nel fatto che ci sarebbe potu-
to essere qualche modo, forse più avanti, di continuare insie-
me la guerra. Hanno detto che Angicha sarebbe stata sosti-
tuita nella sua zona da una certa Carolina, che non era pre-
sente.

284
Rosa Coltello

Durante i giorni che rimanevano, avete abbondantemente


parlato dell’insurrezione armata nella città. Gli scioperi, le
assemblee e le marce dovevano portare, a quanto hanno
detto, il marchio della classe, non quello dell’opportunismo.
Che si doveva spazzare via implacabilmente il revisionismo e
l’opportunismo di Izquierda Unida26. Si sarebbero intensifi-
cate, allo stesso modo, le esecuzioni di tutti coloro che rap-
presentavano i partiti politici tradizionali. Si doveva, inoltre,
riprendere la politica di fuga dalle carceri. I compagni pri-
gionieri, condannati o non condannati, tra i quali il compa-
gno Remigio, aspettano che il Partito faccia qualcosa, com-
pagni.
Il terzo giorno è terminata la riunione di emergenza di cui
ha parlato Angicha, ma alla fine è risultata essere un con-
gresso. Il presidente Gonzalo si è incaricato di chiuderlo.
Nel suo discorso ha chiesto di intensificare i combattimenti
fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati, compagni,
anche a costo della propria vita. Qualcuno si è emozionato
quando ha detto, Starò personalmente con voi negli avam-
posti della lotta. Credo che ormai sono guarito dai mali di
cui soffrivo. Starò nella prima linea di fuoco, imparando dal
compagno Mao. Il mio posto è nell’ardente fuoco del com-
battimento rivoluzionario.
Tra cori di viva e ovazioni, sono stati pronunciati i vari
nomi dei leader guerriglieri morti, tra cui quelli della coman-
dante Edith Lagos, di Omar e di Nieves Collanqui, compa-
gno Santos.

26 Sinistra unita. Partito politico.

285
Óscar Colchado Lucio

Concluso il Congresso, alcuni si sono fermati ancora per


una serie di riunioni di lavoro con Gonzalo. Anche Angicha
si è fermata. Ti ha comunicato che prima di viaggiare nelle
regioni dell’Alto Huallagas dove doveva operare, sarebbe
venuta per riunirsi con te all’accampamento, per portarti le
disposizioni specifiche del Partito. Avrebbe anche visto se
c’era la possibilità che il Partito autorizzasse la tua presenza
nella zona dove la distaccavano. Abbracciandoti forte ti ha
salutato, eludendo le tue labbra, giocherellona, scompiglian-
dosi i capelli e il sorriso sul tuo viso, per lasciarsi baciare
proprio all’ultimo momento.

286
Rosa Coltello

QUANDO WAYRA, tutto contento di essere ritornato


quello che era, trasformato in una raffica di vento stava
volando, a quanto ha detto, per rincontrarsi con suo padre il
Signore dell’Aria, io camminando sulle sponde della madre
dei fiumi, sono arrivata dove tre ragazze lavavano le loro
bellissime chiome nelle acque.
– Cavillaca! – si sono rallegrate vedendomi e sono corse
ad abbracciarmi. Le ho riconosciute. Erano Killa, Koyllur e
Zaramama.
Loro conoscevano già la mia storia e prima una poi l’altra
mi hanno chiesto cosa si provava ad essere mortali. Ridendo
e scherzando hanno ascoltato il mio racconto.
Su mia richiesta, ci siamo poi dirette verso i giardini della
gloria che si vedevano poco distanti da lì. Ho manifestato
loro il mio desiderio di sapere se lì si trovava il mio piccolo
Simón, il mio figlio piccolo che ho avuto sulla terra.
Koyllur, che teneva stretto in mano il suo immancabile
lanternino, mi ha detto:
– Là tra quei boschi di ginestra ho visto un gruppo di
bambini che giocavano, se non è lì forse sarà dietro a quegli
alberi di pisonay dove ce n’è un altro gruppo.

287
Óscar Colchado Lucio

– Perché vuoi vederlo? – ha chiesto Killa lisciandosi la


sua chioma d’argento – Non ti riconoscerà ora che sei un
altro essere. Sulla terra sarai stata pure sua madre, ma qui
ormai non sei più niente per lui. Chissà quante volte si sarà
reincarnato, quante madri avrà avuto.
Aveva ragione. Sarà stato per quello che ormai non senti-
vo più come prima quel disperato desiderio di vederlo, di
abbracciarlo. Sembrava piuttosto che ci fosse solo curiosità
in me.
E siccome Killa e Koyllur si sono ricordate che a quell’ora
dovevano illuminare la terra dall’altro lato del fiume bianco,
mi hanno salutato. E solo Zaramama mi ha accompagnato.
Sentivamo vicino l’aroma penetrante delle ginestre, i cui
fiori gialli mi allietavano lo sguardo. Più avanti, gli alti fiori
dei pisonay sembravano fiammeggiare sotto la luce bianca,
intensa del Janaq Pacha.

288
Rosa Coltello

QUANDO SONO riuscita a riconoscere il mio bambino,


mentre giocava rotolandosi con un ozelot chinchay27 per la
gioia degli altri bambini che saltellavano lì attorno, non sono
riuscita a trattenermi e mi sono avvicinata a chiedergli se mi
riconosceva.
Mi ha guardato per un attimo smettendo di giocare con
l’ozelot.
– Non so chi tu sia – mi ha detto – Perché me lo chiedi?
– Sono stata tua madre sulla terra – gli ho detto pensando
che mi avrebbe prestato attenzione.
– Ah, sì? – mi ha detto svogliatamente – E in quale vita
sarebbe stato?
E prima che potessi rispondergli, se ne è andato corren-
do, tra le risate delle altre guagua, dietro alla bestiola che gli
stava sfuggendo.
Non potevo più chiedergli delle sue sofferenze nel
Tutayaq Ukhuman, e nemmeno come fosse arrivato ai giardi-
ni del Gran Gápaj. Non importava. Contenta di averlo visto,
mi sono allontanata con Zamarama.

27 Leopardus pardalis. Conosciuto anche come gattopardo Felino maculato delle


dimensioni più o meno simili a quelle di un gatto tipico del continente america-
no.

289
Óscar Colchado Lucio

… COME?… COSA dice?… Un giapponese vuole esse-


re presidente?… Accidenti!… E mi dice che lei non ha
parlato?… e chi allora?… quell’albero forse?… il wancha-
co?… oh, il wanchaco petto rosso ha parlato… Quest’anno
sarà un buon anno, dica?… Guardi, fioriscono proprio bene
le patate… Anche le pernici aumentano nei campi di grano…
Le tortore che si bagnano sotto la pioggia grugano nei campi
di mais pieni di pannocchie… Mamma? Mi sente?… sta per
arrivare l’acquazzone da Aitumanga… mi passi il poncho…
vado a prendere il nostro vitellino prima che le acque del
vallone se lo trascinino via… anche il mote… le patate sec-
che… si bagneranno… Salga sul tetto prima che sia troppo
tardi… Mamma?… Mamma?… Dove se n’è andata?…
Verso il ponticello di Puyopampa forse?… Oh! e quelle
donne in nero, che se ne stanno in silenzio laggiù, Cosa
fanno?… sono state lì ad attendermi dietro al muro fatto di
pani di terra, no?… In che modo spaventoso si sono shucal-
pite le teste con la loro mantella nera, come un velo fune-
bre… Anime in pena saranno, chi può dirlo, Achachay!…
Oh! Laggiù in lontananza, dopo il ponte, stringendo una
candela accesa in mezzo alla pioggia che qui non arriva, don
Edilberto Huarhua mi sta facendo segno di scappare, di

290
Rosa Coltello

allontanarmi da quelle vecchie che, rasenti al muro, avanza-


no come se non volessero farsi vedere… Don Edilberto non
è già morto?… Accidenti! Un’esplosione senza rumore vedo
che lo fa saltare in pezzi, e il suo poncho colorato, ridotto a
brandelli è appena caduto davanti a me… reeech!, i vecchi
eucalipti si piegano sotto un vento improvviso… ormai la
pioggia sta anche qui arrivando e il cielo si fa nero nero…
ma un raggio di luna riesce a filtrare e fa biancheggiare un
pezzo di strada… Le sagome nere arrivano lungo il lato in
ombra, sotto gli spioventi delle case, come se fluttuassero sul
selciato… indietreggio indietreggio… ci sono pozze dapper-
tutto… non importa… mi metterò a correre.

291
Óscar Colchado Lucio

INDIETRO! INDIETRO!, grido a quelle donne veden-


do che mi accerchiano, grugnendo… con le loro scheletriche
mani contratte ad artiglio, con le unghie lunghe, mi sbarrano
la strada da ogni lato… Una di loro, la più vecchia, grida,
Mettetegli una corda attorno al collo! Sbrigatevi prima che
scappi!… Prima che possa fare qualcosa, sento che un cap-
pio mi si chiude intorno alla gola… trasformato improvvisa-
mente in un gattino bianco faccio resistenza per non essere
portato via, vecchie grandissime jijunas, dicendo tra me e
me… ma anche loro si sono trasformate in gatti, gatti neri
che, rizzando il pelo, saltano e mi graffiano soffiando in
maniera spaventosa, con i loro occhi accesi come carboni
ardenti… anch’io le graffio… c’è una battaglia tra miagolii e
lamenti che sembrano quelli di persone… fino a quando non
riescono a sopraffarmi… Nuovamente trasformate in donne,
mi stanno trascinando come se fossi un agnellino… oltrepas-
siamo il ponte tra l’ululato doloroso dei cani di doña
Severina… mi stanno portando verso la piazza…

292
Rosa Coltello

…PIAZZA? SEVERINA?… Accidenti che sogno ho


appena fatto!… Sogno?… È stato un sogno questo?… No,
cacchio!, ora che me ne rendo conto, non è stato un sogno…
sono le Anime del Giudizio quelle che sono venute per me…
Ne sono sicuro!… Porca puttana!, e hanno appena preso
prigioniero il mio spirito… Devo raggiungerle prima che mi
portino nell’altra vita!… La mia mazza, cavolo!… Dove dia-
volo è?… Eccola lì finalmente, che ce la faccia o no ho ini-
ziato a correre!… con il mio corpo che mi vuole trascinare
da una parte e dall’altra… Speriamo che non mi prenda un
colpo d’aria c’è molto vento… Ecco quelle grandissime…
meno male che vanno piano, presuntuose… Ormai manca
poco… qualche saltello in più e le raggiungo… Finalmente!
Ora sì!… A mazzate e a insulti alla fine le ho fatte sparire…
e anche il mio spirito… Ma dov’è andato? … Sarà tornato
nel mio corpo?… Sicuramente… visto che mi sento già più
in forze… Accidenti!…

293
Óscar Colchado Lucio

AL TUO RITORNO da Nuova Pechino ti sei convinto


ancora di più che la rivoluzione doveva appartenere esclusi-
vamente ai nativi.
Il giorno che Angicha è arrivata a Villa Progreso per pas-
sare il comando a Carolina prima di partire per l’Alto
Huallaga, ha fatto una riunione con te e con Mallga di sera.
Seduti sull’erba in mezzo a una radura, Angicha dava
ragione alle vostre teorie. Aveva sfogliato una rivista specia-
lizzata in temi andini e aveva trovato una recensione di una
cronaca dell’amauta indio Guamán Poma che l’aveva affasci-
nata, compagni. Anche lui come Marx parlava di cinque età
che il genere umano aveva percorso. Solo che queste – quel-
le che analizza Marx: comunismo primitivo, schiavismo, etc.,
non erano le stesse che postulava l’altro. Le età di cui parla-
vano i nostri padri inca erano altre, durante le quali ogni
volta, dopo un certo periodo di tempo che poteva durare
cinquecento o mille anni, si sarebbe prodotto un pachacuti
per cancellare ogni traccia di corruzione, di degrado morale,
di malvagità, dando luogo ad una nuova epoca, di uomini
puliti, puri…
– È vero, mamita – l’hai interrotta, con il cuore che ti
danzava per la gioia che lei stesse capendo queste cose e

294
Rosa Coltello

persino insegnandovene alcune –, è vero. Ora se i compagni


del Partito ci daranno il loro appoggio nella lotta per la
nostra liberazione, senza pretendere di guidarci, con grande
gioia, lo accetteremo; altrimenti, con nostro grande dispiace-
re, dovremo lasciarli da parte o toglierceli di torno, così
come loro vogliono fare con i tupacamaros, dicendo che non
è ammissibile il trionfo di due rivoluzioni.
– Loro capiranno, non vi preoccupate – ha detto Angicha
– io stessa mi incaricherò di convincerli. Parlerò con il
Presidente in persona e con quelli del Comitato Centrale.
Ma prima, dimmi Liborio, Quali aspetti del Congresso non
ti sono piaciuti o non ti hanno convinto? Quali critiche
potresti muovere in proposito?
– Quello che ti posso dire, compagna – hai risposto –, a
parte il fatto di essermi convinto che continuando con que-
sta lotta noi nativi solo serviremo come appoggio per i nuovi
padroni che alla fine ci governeranno, più buoni di quelli
attuali forse, ma pur sempre padroni, è che i massacri di
massa di gente povera, umile, per mano degli stessi compa-
gni che li accusano di essere le masnade della reazione, non
mi sembrano giusti; perché in fin dei conti loro non hanno
colpa, mamay. Per salvare la loro vita o quella dei loro figli
ci denunceranno, obbligati con la forza dai militari, veden-
dosi senza uscita, presi tra due fuochi. Mi sembra che ci sia
anche molto fanatismo nei confronti dei cinesi. Forse la tat-
tica militare sarà molto utile, ma l’organizzazione politica
deve essere un’altra, come ho già detto più volte.
Sì, sì, avevi ragione, è intervenuta di nuovo Angicha; tut-
tavia, la nostra dirigenza non era così dogmatica né settaria

295
Óscar Colchado Lucio

come pensavi, ti saresti accorto come questo sarebbe stato


discusso appassionatamente; ma per il momento, non conve-
niva ancora sollevare obiezioni, perché l’avevano appena
informata che Flavio, il militante di base che come tu ricor-
davi era stato messo in discussione durante il congresso,
stava capitanando un gruppo ribelle, una linea nera, compa-
gni, in opposizione alla linea rossa del Partito, chiamata
Comitato delle Basi del PCP; non era una linea dialettica, ma
traditrice e revisionista, che stava cospirando contro la lea-
dership unica del presidente Gonzalo e l’intera dirigenza del
Comitato Centrale, sostenendo che questi decidevano tutto
facendo orecchie da mercante di fronte al clamore delle
masse, stavano per provocare una diserzione all’interno del
Partito, compagni. Vi ha mostrato un volantino dove si con-
gedavano e ringraziavano il popolo ayacuchano per aver
appoggiato la lotta per quasi un decennio, e concludevano
rivolgendosi al governo con una citazione del presidente
Mao: «Voi combattete alla vostra maniera e noi alla nostra;
combattiamo quando possiamo e ce ne andiamo quando
non possiamo».
Erano pericolosi, molto pericolosi, secondo Angicha,
avrebbero potuto provocare uno sbandamento delle masse e
l’abbandono della lotta. Per questo, prima di partire per
l’Alto Huallaga, l’avresti accompagnata, Liborio, a compiere
una missione a Huanta?
– Che missione, compagna?
L’eliminazione, così diceva, di quel traditore che, secondo
il servizio di intelligenza del Partito, aveva fatto uccidere due

296
Rosa Coltello

settimane prima il compagno Paúcar, rappresentante della


direzione del Partito in quella zona.
Hai accettato. Non era Angicha la tua warmi forse?

297
Óscar Colchado Lucio

SOLO CHE a Huanta è cominciata la rovina per entrambi.


Flavio, l’uomo che dovevate eliminare, era malato, ricove-
rato all’ospedale. Nessuno tra la popolazione sapeva delle
sue attività sovversive. Aveva fatto tutto nel più assoluto
segreto. Angicha, in accordo con la strategia che avevate
pianificato, sarebbe stata l’incaricata di eliminarlo.
Travestita da infermiera, nascondendo la pistola nel cami-
ce bianco, ha avanzato decisa lungo il corridoio, mentre tu
l’aspettavi fuori, pronto ad entrare in azione quando fosse
stato necessario.
Quando si è trovata di fronte il traditore, che in quel
momento dormiva, lei ha alzato l’arma, ma non ha potuto
sparare perché le si è inceppata. Nervosa, è uscita per chie-
derti la tua pistola, senza sapere che l’uomo, con il click! del
grilletto, si era svegliato pieno di spavento. Quando è entra-
ta nuovamente, ha lanciato un grido d’aiuto riconoscendola,
prima di essere crivellato di colpi. Allarmati sono accorsi i
poliziotti e una pattuglia di fanti della Marina che stavano
facendo la ronda lì intorno.
Disarmato, non sapevi più cosa fare. Avresti voluto corre-
re verso Angicha, ma avevi appena visto che era stata cattu-
rata dagli uomini della Marina. Con dolore nel tuo cuore,

298
Rosa Coltello

piangendo per la tua warmicha, sei corso verso il mercato


per confonderti in quel labirinto.
Alla radio hai sentito, mentre facevi ritorno alla conca di
Apurímac, che Angicha era una delle dirigenti più ricercate
degli ultimi tempi, cosa che già sapevi; ma ciò che ha attirato
la tua attenzione è stato quando quello che stava dando le
notizie ha detto che era stata fidanzata con Páucar, prima
dell’inizio della lotta armata, cosa che era risaputa da molti
ayacuchani. Páucar era stato suo professore all’Università.
Accidenti, questo non lo sapevi, e nemmeno c’era stata l’op-
portunità che te lo raccontasse, Ma l’aveva amato fino all’ul-
timo? Ti aveva utilizzato solo perché tu la aiutassi a vendi-
carsi? Non la credevi capace. Volevi credere che fosse venu-
ta per compiere quella missione di cui l’aveva incaricata il
Partito e non a vendicarsi per il suo amore. Ora pregavi solo
dentro di te gli dèi, perché ti dessero la forza e l’opportunità
di liberarla come quella volta a Huamanga.
Così, con questi pensieri, sei arrivato a Villa Progreso
dopo vari giorni di viaggio, evitando di incontrarti con i
militari o le ronde. Lì, senza ricevere ordini dalla dirigenza,
mentre Carolina era stata convocata a una riunione di
comandanti locali, tu hai deciso di trasferire tutta la colonna
verso Cayara, a solo un giorno di viaggio da Illaurocancha,
per inaugurare la contro-restaurazione e le prime zone libe-
rate esclusivamente dei nativi.
Una volta a Cayara, avete intuito che per imprimere
un’accelerazione alle operazioni avevate urgente bisogno di
dinamite e di altri esplosivi, motivo per il quale avete deciso
di assaltare Minas Canaria.

299
Óscar Colchado Lucio

DOPO AVER avanzato per alture bianche, dove vedeva-


mo correre branchi di tarukas, io e Zaramama siamo scese su
una pianura verde dove pascolavano alpaca e vigogne.
Più avanti cominciava la campagna, piena di alberi da
frutta, sotto le cui fronde passeggiavano conversando uomi-
ni vestiti con cushma e piume di korekenke sulla testa.
Gruppi di donne, pasñas e maqtillos raccoglievano fiori di
ginestra sulle sponde di un torrente.
Erano gli inca che avevano abitato la terra. C’erano anche
nobili, sacerdoti, amauta, musicisti e poeti.
Aprendo le loro braccia come ali, alcuni volavano per-
dendosi sopra la foresta.
Tra quella gente, ho pensato di incontrare il mio Liborio,
sperando nel fatto che un tempo fosse appartenuto anche lui
a quella casta privilegiata.
– A cosa pensi? – mi ha detto la mia accompagnatrice, la
madre del mais o dea della fertilità.
– A Liborio, mio figlio, Mama Zara – Le ho risposto –;
anche a Domingo, che è stato mio marito.
Ha sorriso.

300
Rosa Coltello

– Ancora sono freschi i tuoi ricordi, ma passando dall’al-


tra parte del ponte dove abita nostro Padre, penserai sola-
mente come la dea che sei.
– Potrò influire sugli uomini che lottano giù in basso
sulla terra?
Ha sorriso ancora.
– Forse qualche volta quando sei stata qua ti sei dimenti-
cata di loro?
Non ho risposto. Ho affrettato solamente il passo, deside-
rosa di riunirmi con quella gente che, a quanto pareva, ci
aveva già visto, e stava dicendo qualcosa.

301
Óscar Colchado Lucio

… AH, CAZZO, ora si che sono fottuto… Di nuovo


quelle anime malvagie hanno appena preso il mio spirito…
L’ho visto proprio chiaramente nel mio sogno… Questa
volta, dopo avermi legato, mi hanno portato via trasportan-
domi su un lenzuolo bianco, afferrandolo per le estremità…
Oltre alle tre sagome nere, un’altra ce n’era: una color oque,
un uomo sicuramente, per la forza che dimostrava nell’affer-
rarmi… Per il freddo è stato che non ho dormito calapacho
come altre notti… ed è per questo che hanno potuto affer-
rarmi facilmente prendendomi per i miei vestiti… Ho visto
che mi hanno fatto entrare nella chiesa, or ora, Vado!, vado
cacchio… non posso rassegnarmi a morire così…

302
Rosa Coltello

… STO CORRENDO… il mio corpo che poco prima era


avvolto dalle coperte si sta raffreddando con il gelo di que-
st’alba… Ah, porca puttana, mi gira la testa, ho la nausea…
Devo arrivare alla chiesa costi quel che costi… attraverso il
ponte… i rospi stanno facendo un gran chiasso nel vallone…
le acque scendono giù rimbombando per la piena… un chu-
shaj ha appena gracchiato quasi sopra di me… Maledetto
uccello del malaugurio, chissà se starà annunciando la mia
morte… Attraverso la piazzetta, silenziosa, piena di picul-
lo28… il campanile della chiesa con il suo unico occhio sem-
bra fissarmi… arrivo all’atrio… mi lancio contro il porto-
ne… c’è il lucchetto… ci appoggio l’orecchio… non si sente
nulla… tutto tace là dentro… disperato, inizio a colpire il
lucchetto con una pietra… il rumore del ferro spaventa le
anime… speriamo che le faccia fuggire lasciando il mio spi-
rito… È appena saltato il gancio… apro completamente la
porta… La luna, che illumina con la sua luce bianca, rischia-
ra gran parte dell’entrata… Più in fondo è completamente
scuro… e anche così, alla cieca, io sto dando colpi di mazza
a vuoto, con la mazza che ho portato con me; gridando e

28 Graminacea infestante.

303
Óscar Colchado Lucio

offendendo… Mi ricordo improvvisamente che la Madonna


della Candelora è lì di fronte sul suo altare… mi punirà,
dicendo smetto di dare mazzate… e mi inginocchio a suppli-
carla che faccia tornare il mio spirito nel mio corpo, mi offro
di celebrare la sua festa il prossimo anno… Piangendo, senza
avere la certezza che le anime lo abbiano lasciato andare
come l’altra notte, esco… Il vento mi sferza la faccia… La
nausea mi assale… mi fa rimettere… il mio corpo brucia…
Mentre avanzo sento come delle voci che mi chiamano, risa,
sghignazzate… correndo voglio arrivare a casa mia… come
un ubriaco sbando da un lato e dall’altro… sto salendo sul
ponte… l’acqua che scorre in basso, impetuosa, risuonando
sulle pietre mi fa girare la testa… improvvisamente, proprio
quando con il mio corpo sto lottando, faccio un passo falso
e… Oh, Santo Dio!… cado giù nel vallone… le acque mi
avvolgono… lotto… annaspo… tiro fuori la testa… Ahi! Le
pietre mi colpiscono… Aggg!… L’acqua nella mia bocca, nei
miei orecchi… sento come se delle scintille saltassero nel
mio cervello… un manto nero mi copre… mi copre.

304
Rosa Coltello

STA PIOVIGGINANDO, dopo che ha piovuto tutta la


notte. I fiori rossi degli alberi di pisonay che sono sotto il
viale alberato, si accendono meravigliosamente tra le fronde
verdi, ora che noi pumas ci troviamo nel quartiere di Carmen
Alto ad Ayacucho, pattugliando la zona a bordo di un mezzo
blindato. L’ufficiale riceve una chiamata urgente dalla caser-
ma «Los Cabitos»: i terroristi stanno attaccando Minas
Canaria!
A tutta velocità avanza la camionetta per l’avenida Ramón
Castilla del quartiere di San Juan, dritti dritti alla caserma
dove i cachi cachi elicotteri ci stanno aspettando, pumas.
In fretta in fretta, una volta arrivati a «Los Cabitos», cari-
cano gli zaini, le mitragliatrici, le sacche con le granate, non
doveva mancare niente pumas, mentre Camión, l’ufficiale,
distribuisce ad ognuno di noi i giubbotti antiproiettile.
Tre elicotteri mimetici, con venti unità ciascuno delle
forze combinate dell’Esercito, della Marina e delle Forze di
Polizia, si sollevano in volo sulle dolci alture di Ayacucho,
facendo un gran rumore.
Ha smesso di piovigginare e in alto il cielo è celestino,
disseminato di nuvole che esplodono di bianchezza.

305
Óscar Colchado Lucio

In viaggio verso la miniera, con attenzione guardiamo dal


finestrino le pieghe delle Ande. Non sia mai che i sovversivi
si stiano muovendo da quelle parti.
– Quanti crede che siano i terrucos ufficiale? – chiede
Peña con il mitra appoggiato sulle cosce. L’ufficiale non lo
ascolta, sta dando alcune indicazioni al pilota. Jiménez
risponde:
– Hai paura? Sono circa cento. Non sarà tanto facile
come montarsi le terrucas nella caserma di Castropampa né
come uccidere civili disarmati nella valle.
Il resto di noi ride. Peña risponde:
– Coglione, se avessi un’altra volta a mia disposizione
quella bella terruca, la compagna Angicha, me la chiavo sul
campo di battaglia anche se mi stanno mitragliando.
Ridiamo a crepapelle. Dopo rimangono tutti in silenzio
guardando estatici dai finestrini, ma non guardano il paesag-
gio, stiamo ricordando la sera di un venerdì, varie settimane
prima.

306
Rosa Coltello

PORCA PUTTANA! La compagna Angicha era proprio


una bella gnocca. Altezza giusta, abbastanza snella, ma in
carne quanto bastava: seni belli sodi e labbra da mordere.
Dopo la sua cattura all’ospedale di Huanta l’hanno portata
alla caserma, dove eravamo tutti ansiosi di interrogarla, gli
ufficiali se la sono consumata e persino il comandante pare
che se la sia ripassata. Quando ce l’hanno data a noi, la
ragazza all’inizio sembrava una fiera spaventata. Si difendeva
a morsi e ad unghiate. Ma in diversi sono riusciti a sottomet-
terla.
Dopo averla violentata, l’hanno tenuta per quarantadue
ore completamente nuda. Subito dopo, sono seguiti gli
interrogatori, le torture. Per quanto le dessimo scosse elettri-
che sui seni, nella vagina, la terruca non parlava. Parla,
merda!, chi erano i comandanti a Huanta, a La Mar, dov’è
Abimael Guzmán, gli altri, i suoi luogotenenti, dove si è
tenuto il Congresso; ma non ha fiatato la cogliona. Uccidetemi,
codardi, non abbiate paura! Da altre celle arrivano delle
urla. Erano alcuni civili che venivano interrogati. Tutti di
razza meticcia; a quanto pare, contadini. Vari uomini, tre
donne e un bambino di quattordici anni che non smetteva di
piangere il frocietto da quando lo avevamo catturato.

307
Óscar Colchado Lucio

Per quanto sussulti la compagna Angicha dalla testa ai


piedi per le scosse elettriche, non confessa niente. Le metto-
no una baionetta sulla punta del naso, stava ascoltando?, ti
spaccheremo la testa in due, grandissima puttana! Dov’è
Gonzalo?, Chi ha ucciso Yangali, il sindaco di Huanta?
Ascaruz, quello di Huamanga?, Dove si nascondono gli altri
compagni?… Come in un sogno adesso sente le punte degli
scarponi che si conficcano nel suo costato. Finisce per sveni-
re. Quando torna in sé ci chiede dell’acqua, le sue labbra
sono riarse. È mentre riceve la tazza d’acqua che gli si sposta
leggermente la benda e vede in quel momento che dall’altra
stanza proviene un lago di sangue. Vede anche la tazza piena
di feccia dove galleggia qualcosa che assomiglia a degli escre-
menti. Anche così si decide a bere, ma il suo stomaco lo
rifiuta, le budella le si contraggono e vomita. Miserabili!,
grida e ci sputa quella gran puttana.
Il giorno dopo, gli altri civili vengono portati lontano per
essere giustiziati. La compagna Angicha, bendata, la faccia-
mo salire su un piccolo aereo per andare a gettarla nel mare
o nella selva, come con Lobatón, dice il comandante, nella
guerriglia del ’65.

308
Rosa Coltello

– COME DICE, ufficiale?


Eravamo già a Canaria, dovremmo prepararci.
Su tre punti equidistanti dall’insediamento minerario,
formando un triangolo per poterli accerchiare, quelli delle
forze combinate si lanciano col paracadute.
I cachi cachi elicotteri ritornano alla loro base per portare
in rinforzo gli llapan atic, unità anti-terroriste della Guardia
Civile.
Stiamo avanzando via terra, a ventaglio, per accerchiarli a
poco a poco. Comunisti di merda, guardate un po’ quanta
fatica ci stavano facendo fare; ma questo è quello che man-
cava a noi pumas dopo tutto, cazzo: azione. Ormai siamo
stanchi di uccidere solo vecchi e bambini. Chissà se questa
volta vi affronteranno invece di scappare come altre volte
quei froci.

309
Óscar Colchado Lucio

ABBIAMO già fottuto le sentinelle. Tardi se ne sono


accorti quei coglioni. Hanno cercato di fuggire per di là e
hanno sbattuto sui sinchi. Se ne sono andati dall’altra parte
e c’erano le linci dell’Esercito. Alla fine, qua noi della marina
li abbiamo spazzati via.
Quando i comunisti, affaccendati nel saccheggio dei
magazzini, della polveriera e nel tenere immobili i lavoratori,
se ne rendono conto, è troppo tardi. Noi militari, scendendo
dalle pendici, ci lanciamo all’assalto, lanciando urla feroci,
con la faccia imbitumata. I ribelli ripiegano dietro alle case
dell’accampamento e da lì rispondono al fuoco. Alcuni ter-
rucos lanciano candelotti di dinamite, disperati, inneggiando
alla lotta armata. Impassibili, li aspettiamo noi, decimandoli
con scariche abbondanti di mitra. Il maggiore che guida i
sinchis cade a gambe all’aria ferito da un proiettile e anche
due suoi subalterni cadono colpiti accanto a lui. Cazzo,
anche molti di noi, sono stati appena fregati dalle schegge di
quelle bombe casalinghe. Ma non è grave e, anche se insan-
guinati, possono continuare a combattere. L’ufficiale avendo
visto che i senderos hanno una maggiore potenza di fuoco,
mettendoci alla testa del commando degli uomini della
Marina ci conduce alla carica dicendoci a forza di insulti che

310
Rosa Coltello

dovevamo smettere di fare i froci, che dovevamo attaccare,


cazzo, nel frattempo quei bastardi delle linci e dei sinchi ci
avrebbero coperto sparando in alto, per farci avanzare dopo
che fosse esplosa la bomba fumogena che serviva da coper-
tura.
Merda, le raffiche dei mitra, gli spari dei fucili, le granate,
è un vero inferno, e quello che più temete è che i ribelli cer-
chino di far esplodere la polveriera, anche se sappiamo che
non lo faranno, cazzo, non lo faranno, perché salterebbero
in aria prima loro. Merda!, hanno appena colpito l’ufficiale
con due colpi. Questo ci fa imbestialire, e si lanciano come
un’alluvione a vendicare il loro capo.
Finalmente, riescono a circondare i cecchini, e prima che
li facciamo fuori finiscono per fare fuori tre uomini della
marina; ma i sinchi e le linci si sono portati avanti e i pochi
che resistono ora fuggono sentendo il ronzio dei cachi cachi
che stanno tornando con i rinforzi. Ma non andranno lonta-
ni i fuggitivi perché ormai i llapan atic stanno scendendo in
paracadute per circondare i dintorni.

311
Óscar Colchado Lucio

– CAVILLACA! Dove sei stata? – dicendo si sono avvi-


cinati a salutarmi quelli del gruppo più vicino – Non ti
abbiamo visto.
Accidenti, mi conoscevano. Ho detto loro che tornavo
dalla terra dove ero stata inviata dal Gran Gápaj.
– La terra? Oh! raccontaci raccontaci.
Ci siamo seduti per un bel po’. Ho raccontato loro come
era stata la mia esperienza. Erano ammirati e a volte rideva-
no.
– Anche voi qualche volta ci sarete stati – Ho detto loro.
Ma loro hanno affermato di non ricordarsene.
In quel momento, come uccelli dal luminoso piumaggio,
sono spuntati in lontananza degli uomini in gruppo. Un
haravec, alzando la sua quena, ha diffuso per tutto il luogo
una musica dolce, divina.
L’ho osservato con attenzione – mi sembrava di conoscer-
lo – mentre si stavano avvicinando a noi gli spiriti volanti.
Allora ho riconosciuto Domingo che ha continuato a suona-
re mentre mi avvicinavo.
Dopo, quando è finita la musica e quegli uomini si erano
fatti intorno a noi, avvicinandomi di più ho detto a Domingo
chi ero. Si è sorpreso. I suoi ricordi erano ormai molto lon-

312
Rosa Coltello

tani e a dire la verità, mi ha detto, non ricordo di essere stato


sulla terra, o forse credo di sì… io l’ho invidiato. Ormai non
rimaneva più niente nella sua mente delle sue sofferenze.
Oggi era uno spirito libero trasformato in musica.
In lontananza, nonostante la distanza, ho riconosciuto il
mio Liborio. Avanzava da solo, avvolto nel suo poncho, con
ai piedi degli llanque, non era allegro, aveva un’aria preoccu-
pata. Correndo sono andata ad abbracciarlo. Mi ha ricono-
sciuto! Rosa? Rosa Coltello?, mi ha detto, Figlio mio! dicen-
do l’ho abbracciato. So chi sei, oh dea Cavillaca, mi ha detto,
se non me lo avesse detto il Gran Gápaj non l’avrei mai sapu-
to. Lui te lo ha detto? Sì, madre. E dove vai?, mi sono infor-
mata. Sto tornando sulla terra, mi ha risposto, mi manda il
Padre a riordinare il mondo. Un pachacuti?, ho detto, Sì, è
necessario rivoltare il mondo. Non ha detto nient’altro, mi
ha abbracciato, mi ha dato un bacio sulla guancia ed è par-
tito.

313
Óscar Colchado Lucio

I SINCHI? Le linci? I fanti?


Hai appena ripreso conoscenza. Tutto intontito, senza
sapere né dove sei, né cosa fai. Cerchi di alzarti, ma non
puoi. La vista ti si annebbia e senti che ti gira la testa. Le tue
braccia sono distrutte, come se avessi ricevuto chissà quante
botte. E mentre ti trascini cercando di metterti in piedi, i
tuoi occhi, che iniziano a vedere più chiaramente, vedono
improvvisamente l’accampamento dei minatori e, più in qua,
lungo il pendio ravvisano la gran quantità di morti sparsi sul
terreno, tra guerriglieri e militari. È proprio allora che
improvvisamente ti ricordi tutto: venendo da Cayara, voi
siete arrivati a Canaria per assaltare la miniera. Per questo,
vi siete divisi in gruppi di dieci e avete preso posizione nel
magazzino degli attrezzi, in quello dei viveri e nella polverie-
ra. Prima, avete eliminato nella sua cabina il radio-operatore
quando stava trasmettendo l’SOS, senza sospettare che la
sua chiamata d’aiuto era stata ricevuta. Altri gruppi hanno
usato le loro armi per immobilizzare ottanta lavoratori e
centocinquanta dei loro familiari per alcune ore. Con la pre-
cisione di veri e propri commandos, siete penetrati nell’ac-
campamento, con le vostre armi ben strette in pugno, vestiti
di scuro e, alcuni di voi, incappucciati. Un gruppo aveva

314
Rosa Coltello

fatto saltare con la dinamite la casa del direttore, riducendo-


la in cenere, e altri hanno sfondato le porte del magazzino
degli attrezzi, da dove tiravano fuori picconi, pale, corde,
giacconi, lanterne, lampade a kerosene e altre cose. Un altro
gruppo ha fatto saltare con la dinamite il gruppo elettroge-
no, quello che dava elettricità a tutto l’accampamento.
Avevate già raccolto una gran quantità di dinamite da
portarvi via, impacchettato i viveri che avevate saccheggiato
dalla dispensa, e stavate ormai per ritirarvi, dopo aver radu-
nato i minatori facendo loro vedere che non avevate niente
contro di loro, quando proprio in quel momento è comincia-
ta la pioggia di fuoco dei militari.
Ora senti un dolore acuto al braccio, dopo esserti trasci-
nato a lungo per terra. Con grandissimi sforzi, riesci a met-
terti in piedi. Fai alcuni passi, barcollando. Hai paura di
cadere faccia a terra da un momento all’altro. Improvvisamente
alzi lo sguardo e scopri, impotente, cinque fanti di Marina
che con la mitraglietta in spalla si dirigono verso di te. Più in
basso c’è un labirinto di gente, tra minatori e militari, attor-
no a due elicotteri. Alcuni ufficiali medici dell’esercito stan-
no trasferendo dei feriti.
Cerchi di correre, ma le tue gambe non rispondono. Ti
senti come se fossi impastoiato. Uno dei fanti ti ordina di
fermarti tenendoti sotto tiro con il suo mitra. Tu alzi le mani
e ti consegni.

315
Óscar Colchado Lucio

CON UN fiore di kantuta nella mano, saliamo insieme io


e Zaramama sul ponte di luce da dove si accede alla dimora
degli dèi. Una musica di arpe e violini e una fragranza di rose
fresche ci hanno inebriato riempiendoci di felicità.
Dallo spazio infinito, ho sentito la voce del Gran Gápaj
che mi dava il benvenuto.
Contenti, esultanti, superandosi a vicenda, con le braccia
aperte, mi venivano incontro le huacas Macahuisa e Urpay
Huáchac; Intip con la sua faretra di frecce d’oro in spalla;
Kuichi con il suo scettro colorato stretto in pugno; Illapa che
lanciava con la fionda fiori di amancaes in aria, e la Chasca,
colei che illumina l’alba con la sua lunga e crespa chioma
sciolta, senza smettere di pronunciare il mio nome come
tutti gli altri:
– Cavillaca! Cavillaca!
Lasciando indietro Zaramama, anche io sono corsa
incontro ai miei fratelli, sentendo lo sguardo dolce e benevo-
lo del Creatore del Mondo, il suo leggero sorriso e l’amore
infinito con il quale mi riceveva di nuovo nel suo sacro
regno.

316
Rosa Coltello

ORMAI MANCA POCO per arrivare allo spaventoso


pendio dove ti giustizieranno insieme a dieci dei tuoi com-
pagni. Storditi avanzate senza nemmeno rendervi conto di
dove state andando. Antolino Páucar, che avevate infiltrato
nella miniera come operaio due settimane fa, lo hanno appe-
na ucciso sparandogli sul ciglio del sentiero, perché non
poteva avanzare al vostro ritmo, senza cadere di continuo. Ti
è rimasto impresso quello che ha detto quando ha visto
estrarre l’arma a uno dei fanti: «Uccidetemi, cazzo, per
ognuno di noi che muore ne sorgeranno due!». È stato allo-
ra che lo hanno crivellato di colpi.
Un colpo di calcio di fucile ti fa tornare in fila proprio
quando, come un ubriaco, ti trascini da una parte all’altra.
Medardo che facendosi passare per il figlio di Antolino era
venuto altre volte per organizzare insieme l’assalto, ti
abbraccia facendo un grande sforzo per non lasciarti cadere.
Cammina, costi quel che costi, Túpac, prima che ti sparino
una raffica di mitra. Sono circa dodici gli uomini della
Marina che vi scortano, sotto il comando di un ufficiale
bianco con i baffi che ha sostituito l’altro che è caduto in
combattimento.

317
Óscar Colchado Lucio

Il sole inonda i monti di una luce crepuscolare. Soffia un


vento freddo, gelato, e voi vi scaldate con le braccia, perché
la maggior parte di voi ha i vestiti stracciati.
Ormai avete camminato per circa tre chilometri. In lonta-
nanza si sentono degli spari a momenti. Poi tacciono. Il
llullo piccolo toro di pietra, quello che portavi appeso al
collo, a quanto pare ti è caduto, ormai non è più con te. Ti
stava abbandonando il taita Wamani? Chi lo sa. Forse la sua
volontà era questa. Ma riacquisti coraggio quando vedi vola-
re in alto, molto in alto, appena appena visibile tra le nuvole,
un enorme condor. Pedro Orcco? O lo stesso Wiracocha,
forse? Magari fosse uno dei due, pensi, anche se sembrava
più probabile che quella volta non ti saresti salvato. Ad ogni
modo, fai uno sforzo e avanzi, e ti viene voglia di vomitare
anche se non hai niente sullo stomaco. Mallga cammina
davanti a te. Ha i vestiti stracciati ed è scalza. Improvvisamente,
le viene in mente di intonare una canzone guerrigliera, quan-
do un colpo in testa la fa cadere molto vicina a te.

318
Rosa Coltello

ORA VI fanno uscire dal sentiero, e dovete dirigervi


verso una pendio ghiaioso, tra cactus spinosi, per infilare poi
dritti verso l’abisso della valle di Balcón. Tra le pietre si
affacciano con le teste agili alcune lucertole color piombo,
che spaventate subito scappano via.
Ancora più in là, da un buco seminascosto tra le rocce, un
ragazzino, un wambra, è appena uscito con una vecchia cara-
bina in pugno, senza rendersi conto che voi state avanzando
in mezzo ai cactus. Lo riconosci all’istante: è Yanahuara.
Vorresti gridargli di correre, di scappare; ma vorrebbe dire
comprometterlo ancora di più perché anche i soldati ormai
lo hanno visto e gli hanno appena intimato l’alt.
Yanahuara stupefatto sgrana gli occhi quando si gira e vi
vede.
Scuotendosi dallo stupore, alza improvvisamente la sua
arma e la punta sugli uomini della Marina. Ma prima che
possa fare qualsiasi cosa il wambracha, cade scuotendosi
come un pulcino mentre riceve vari colpi di fucile al petto e
alla gola. Gli uomini della Marina ridono come se nitrissero.
Uno di loro, con i capelli molto corti, arriva fino al piccolo
compagno e raccoglie la sua carabina. Prima di ritornare
indietro con la punta del suo scarpone lo rivolta. È morto!,

319
Óscar Colchado Lucio

grida, Morto stecchito! Per fare una prova, preme il grilletto


della carabina con la canna rivolta verso l’alto, e non esce
nessuno colpo. Gli altri sghignazzano rendendosi conto che
l’arma era scarica. Accidenti che furbone era il piccoletto,
dice l’ufficiale, vi ha preso in giro. Accidenti!
Ora che Mallga e Yanahuara sono caduti, pensi a Urpay e
a Damián. Sarebbero riusciti a scappare all’accerchiamento
dei verdi? Pensi di sì. Proprio per coprire la ritirata di
entrambi dall’unico posto che non era bloccato, tu sei cadu-
to quando ti è esplosa una granata molto vicino e ti hanno
raggiunto le schegge facendoti perdere conoscenza. Se loro
erano riusciti a mettersi in salvo, era certo che avrebbero
portato avanti la rivoluzione dei nativi. Taita Wiracocha,
dovevi fare il tuo miracolo, che loro vivano anche se tu mori-
rai!… Angicha? Che ne sarà stato della tua povera warmi?
Avevi fatto dei brutti sogni riguardo a lei. A volte si confon-
deva con Hilda, quella della tua infanzia, e tu ti allontanavi
e ti allontanavi dicendole che era morta. Anche su di lei
aveva fatto presa la rivoluzione dei runa. Disgraziatamente
l’hanno catturata, cavolo… e Rosa? Rosa Coltello? Allauchi
la tua mammina sarebbe morta di tristezza… Ma basta,
basta sofferenze, cazzo… siete appena arrivati al vallone di
Balcón quando ormai comincia a fare buio. Devi prepararti
a morire come un uomo, come un rivoluzionario, un vero
runa figlio del dio Wamani.

320
Rosa Coltello

CON GRANDE fatica sono arrivati i prigionieri in un


posto pieno di rocce e di paja brava sul bordo del precipizio.
Qui morirete maledetti, vedrete come là sul fondo gli avvol-
toi vi sparpaglieranno le budella, vi caveranno gli occhi, vi
ingoieranno la lingua, a meno che… si interrompe l’ufficiale
quando ormai noi fucilieri stiamo prendendo la distanza, a
meno che non ci mettiamo d’accordo, terrucos. Questi, inter-
rompendo il flusso dei loro pensieri, si guardano incuriositi,
dopo guardano direttamente negli occhi l’ufficiale. La
penombra della sera sembra schiarirsi un poco, come se
dietro ai monti il sole stesse emanando le sue ultime vampa-
te. La cosa era semplicissima, dal taschino della sua camicia
l’ufficiale estrae un pacchetto di sigarette e se ne accende
una, mentre noi rimaniamo in attesa con il calcio del fucile
mitragliatore poggiato a terra, Sì, semplice, bastava solo che
gli dessero un’informazione ed erano liberi. Dava la sua
parola, in quello stesso momento li avrebbe lasciati andare,
guerriglieri, solo dovevano dirgli dov’erano Abimael
Guzmán, quello che si faceva chiamare presidente Gonzalo,
e gli altri capi. Andiamo, dovevate avere un poco di fiducia,
sareste stati liberi oggi stesso e avreste potuto persino riscuo-
tere, se aveste voluto, la ricompensa milionaria che il gover-

321
Óscar Colchado Lucio

no elargisce per denunciare quegli assassini; sarete ricchi e


potrete mandare al diavolo tutte le vostre sofferenze.
Rimangono muti per qualche istante, si schiarisce la voce
uno di loro, sta per dire qualcosa, il suo nome di battaglia è
Túpac, stando a quanto ho annotato sul mio taccuino.
Ufficiale, rompe il suo silenzio il prigioniero, non doveva
perdere tempo, loro non sapevano niente, e anche se lo
sapessimo, non siamo dei traditori; non doveva che uccider-
li, che loro erano disposti a dare il loro contributo alla rivo-
luzione… Noi li conoscevamo ormai. Quei terro non parlano
mai per quanto li possano massacrare, ma l’ufficiale voleva
tentare, e ormai ha capito che non otterrà niente. Se a volte
dicono qualcosa è una balla, questo lo avete verificato quan-
do dopo averne catturati due o tre li abbiamo interrogati
separatamente; e poi, confrontandole, le loro risposte erano
completamente differenti.
Amareggiato, l’ufficiale ci ordina di mettere via i mitra e
di tirare fuori le granate. All’ordine di Oraaa, Cazzo! le lan-
ciamo sui terro. In mezzo al rumore dell’esplosione, vediamo
che saltano in aria braccia, teste, gambe andando a cadere
sul fondo dell’abisso. Ululando come lupi scendete il pen-
dio, Li abbiamo ridotti a una merda, dicendo. A metà strada
si fermano e stupefatti vediamo come in mezzo ai resti umani
una bellissima colomba bianca si alza in volo verso i ghiac-
ciai per perdersi poi in mezzo alle nuvole. E quello?, siamo
rimasti immobili, pensierosi. Allora arriva l’ufficiale arrab-
biatissimo che impreca, non dovevate fare le femminucce,
merde, dovevamo fare il controllo, cosa stavamo aspettando,
nessuno doveva rimanere vivo. Siamo scesi giù. I corpi muti-

322
Rosa Coltello

lati che ancora si muovono li finiamo con raffiche di mitra.


Ma, La colomba? Cazzo! vi dà da pensare. È uscita da qua,
dice Jiménez vicino ad un testa impastata di terra e sangue
che appena possiamo riconoscere: è di Túpac, quello che si
è rifiutato di denunciare i suoi capi.
Dato che avevamo portato picconi e pale, ci siamo messi
a togliere pietre fino a seppellire, o quasi, i resti.
Tutti tornano su in silenzio. Quando arriviamo al sentiero
cominciamo a fare qualche battuta. L’ufficiale, che continua
ad essere scocciato, ordina di formare una fila indiana, e a
passo lento, ci stiamo allontanando.

323
Óscar Colchado Lucio

LEI ERA completamente immobile nel cortile dietro alla


sua casa, vicino alle chiclayos, guardando il sentiero che veni-
va giù da Ayán, da dove erano soliti tornare quelli che erano
stati in viaggio. Per tre giorni di seguito aveva pianto la
pichuchanka sul tetto e sull’eucalipto vicino alla casa. Quello
era il segno che qualcuno sarebbe tornato da lontano o si
sarebbe ammalato. Forse qualcuno spunterà, pensava, por-
tandole notizie di suo figlio. Brutti sogni ha fatto ultimamen-
te e la candela che aveva acceso in mezzo a due rose, una
bianca e l’altra rossa, era bruciata male, e lo stoppino era
caduto dalla parte sinistra, verso la rosa rossa: cattivo segno,
suo figlio potrebbe forse essere morto. Le lacrime sgorgaro-
no dai suoi occhi in quel mezzogiorno in cui la huaylla bril-
lava di un bel verde, giù lungo il pendio, dove muggivano
delle mucche che i soldati conducevano verso il loro accam-
pamento.
Fu la sera di quello stesso giorno che l’ha saputo: Urpay
e Damián, che camminando nascosti in mezzo alla boscaglia
del vallone erano arrivati, glielo dissero, cercando il modo di
consolarla; ma lei cominciò a piangere e a domandare gri-
dando come, dove, era morto suo figlio…

324
Rosa Coltello

Riempiendo i loro quipe con un po’ di cibo se ne andaro-


no. Nascondendo sotto il poncho e la mantella i mitra. Se ne
andavano verso la selva centrale, verso la regione del Gran
Pajonal, secondo quanto avevano detto, dove avrebbero
cercato di convincere gli ashaninkas ad aderire alla loro
causa: la conquista del potere per mano dei nativi.
Quando scomparvero, lei rimase con lo sguardo fisso a
guardare la sera, sentendo che le si stava spegnendo il
cuore.
Tutta la notte pianse insieme insieme con il tuco, sentendo
in lontananza il grido dei güergoch nella notte scura. E prima
che facesse del tutto giorno, accompagnata dal canto di un
gallo mattiniero, si diresse verso Turuna, prendendo una
scorciatoia, in direzione di Minas Canaria, dove varie volte
aveva lavorato come minatore Domingo, suo marito, che poi
sarebbe morto per la malattia dei minatori.
Tutto il giorno camminò la poveretta, con i piedi piagati,
per monti, pampas e gole. Non parlò con nessuno lungo la
strada. Come uno spettro tutta avvolta nella sua mantella
nera, i pastori della puna, i viaggiatori e persino le pattuglie
di soldati e poliziotti la videro passare quasi come una son-
nambula, lontano lontano dai villaggi.

325
Óscar Colchado Lucio

ERA FEBBRAIO. Mese di piogge. Prima un vento gelato


scosse gli scarni alberi che si arrampicavano sui pendii vicini
a Minas Canaria, poi i tuoni esplosero qua e là nel cielo
nuvoloso, e proprio allora venne giù l’acquazzone, torrenzia-
le, tumultuoso. E lei dovette rifugiarsi in una grotta vicina,
in una vecchia galleria della miniera, sentendo impaurita il
sordo rumore dei pipistrelli che veniva dal fondo.
Di buonora, il giorno dopo, chiese a un minatore che
veniva dall’accampamento – che in lontananza si vedeva con
i suoi tetti di lamiera che scintillavano al sole – il luogo pre-
ciso dove si trovava il vallone di Balcón. Non ci vada, mami-
ta, le disse l’uomo con il casco giallo e il vestito beige, indo-
vinando chi fosse e cosa andasse a fare, piangerà molto, si
prenderà un dispiacere, non vada… Ma lei non era nella
condizione di poter accettare consigli. Salutandolo se ne
andò.
Gli huishqus, belli sazi, svolazzavano sul fondo del vallo-
ne quando arrivò. Con il becco sporco, di terra, recuperava-
no come potevano alcuni pezzetti di carne che non erano
stati del tutto sepolti. Da una parte e dall’altra si vedevano
brandelli di vestiti, schizzi di sangue sulle rocce, sulla paja;
ciocche di capelli, budella sparse come se fossero dei fili,

326
Rosa Coltello

pezzi di costole che biancheggiavano. E per quanto cercò


resti riconoscibili di suo figlio, non li trovò.

327
Óscar Colchado Lucio

PIANGENDO TORNÒ indietro lungo il sentiero, senza


guardare bene nemmeno dove stesse andando. La grandinata
la colse in mezzo alle montagne. Varie volte rotolò giù in posti
pieni di argilla, ma ormai non sentiva più nemmeno dolore.
Era come se fosse addormentata. Non aveva né fame né sete.
Quando finalmente sbucò nella piazzetta silenziosa di
Illaurocancha, ebbe un attacco di nervi, e iniziò a gridare e a
chiamare suo figlio, a strapparsi i vestiti e a lacerarsi la carne.
Proprio in quel momento spuntarono alcuni vecchi e donne
ad aiutarla, a darle dell’acqua, a farle dei massaggi, mentre lei
era in preda alle convulsioni e stringeva i denti sbavando, e poi
rimase rigida con il corpo che le si raffreddava. Spaventati,
doña Emilia Achahuanco, lo scemo Oga Pablo, il cieco Aurelio
Ricse e una bambina, la sua figlia di Eusebia Llajaruna, dopo
averla distesa su un poncho, la portarono a casa sua.
La luce del giorno era limpida e ancora piena di bagliori
quando la deposero sul suo letto. Doña Emilia le frizionò le
braccia con del timolo, le fecero annusare delle erbe affinché
riprendesse conoscenza, ma fu inutile. Sotto quel cielo senza
cielo di Illaurocancha, senza campane che annunciassero la
sua dipartita, gli occhi di Rosa Coltello si erano congelati per
sempre.

328
GLOSSARIO
ACHACHAY: Che paura! Che spavento!
ALALAU!: Che freddo!
ALAYMOSCA: pietra granitica.
ALLAU:Poveretto, povero
ALLAUCHI: Poveretta
ALLKO: Cane.
AMANCAE o AMANCAY: Pianta selvatica dai fiori gialli.
AMARU: Serpente mitologico o serpente di grandi dimensioni.
AMAUTA: Nell’antico Perù incaico: maestro, saggio, filosofo o pen-
satore
ANCHANCHO: demoni che si trasformano in animali.
ARADO (Aratro): costellazione che corrisponde in parte alla cintura
di Orione.
ASHANINKA: popolazione della foresta peruviana.
ATATAU: Che schifo!
AUKI: Spirito della montagna: gerarchicamente inferiore rispetto al
Wamani.

331
AYLLU: comunità andina di origine incaica che raggruppa coloro
che vivono e lavorano su uno stesso territorio e sono uniti da
vincoli di sangue, religione, usi, costumi etc etc.
BIOCOCHO: uccello mitico che vola alla rovescia
CACHACO: Dispregiativo di poliziotto.
CACHI CACHIS: Elicotteri
CALAPACHO: nudo, senza vestiti. Usato anche in senso figurato
e dispregiativo con il valore di «morto di fame», «straccione» o
«con le pezze al culo».
CASHQUI: Zuppa di patate, con uovo, menta e fette di formaggio
fresco.
CASHMI: Cagnolini che si distinguono per l’arcata dentale superiore
sporgente.
CAUSACHUM: Viva!
CAVILLACA: Dea vergine che ingerendo un frutto, che in realtà
ero lo sperma del Dio della Luna, Coniraya, rimase incinta. Alla
nascita del bambino la dea riesce con uno stratagemma a scoprire
il padre. Profondamente imbarazzata dal basso rango di Coniraya
tra gli dèi del cielo ella in seguito si trasforma in roccia insieme
al figlioletto.
CHICHA: bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del mais.
CHACCHAVA: da «chacchaba». Imperfetto del verbo «chacchar»:
indica il tradizionale modo con cui le popolazioni andine consu-
mano la foglia della coca, masticandola e raccogliendola in una
palla nel cavo nella guancia. Si aggiunge, a scopo cerimoniale o
divinatorio, una piccola quantità di calce, per attivare l’alcaloide
responsabile del suo effetto psicotropico.
CHALLWA: pesce.
CHANKA: Etnia guerriera della zona compresa tra i fiume Pampas
ed Apurímac.
CHASCA: La stella Venere.

332
CHICLAYO: zucca CHUSEQ o CHUSHAQ: Uccello di cattivo
auspicio.
CHINCHAY: Ozelot
CHUNGO: Pietra rotonda usata come mortaio per macinare semen-
ti vari.
COCAMAMA: Madre Coca, personificazione della pianta della
coca.
COCHA: Lago, laguna, specchio d’acqua.
COCOBOLOS: arma da lancio composta da una laccio alle cui estre-
mità sono assicurate due sfere. Comunemente conosciute anche
come «boleadoras» o «bolas».
CORONA CASHA: pianta spinosa appartenente alla famiglia delle
acacie.
CUCHI: maiale.
CUCHI PISHTAG: nome con cui viene chiamato il pianeta Venere,
perché all’ora in cui solitamente esso sorge nelle comunità andine
si è soliti uccidere i maiali in preparazione di feste e celebrazioni
varie
CUMPAS: Compagni. I membri di Sendero Luminoso.
CUSHMA: Antica veste incaica ampia e lunga senza maniche
ESPAÑA: spagna, termine dispregiativo per indicare gli spagnoli e
i loro discendenti
GÁPAJ: Il Creatore
GARAMATISH: fiore di campo delle ande.
GUAGUA; parola onomatopeica che indica il neonato perché ne
riproduce il pianto.
GUAJIDO: Grido vibrante ed energico
GUARANGO: Caesalpinia spinosa. Arbusto spinoso.
GÜERGOCH: uccello notturno di cattivo augurio

333
HARAVEC: Poeta dell’antico impero Incaico.
HUACA: Oggetto o luogo sacro, Divinità.
HUAJALLARE: Da «huajallar»: ridere, sbellicarsi.
HUAJCHA: Orfano, abbandonato.
HUALLQUI: compagnia, compagno, accompagnatore,guida
HUARAKA: Fionda.
HUATU: Nodo
HUAYCO: frana. Smottamento.
HUICAPEARE: da «huicapear» capovolgersi, fare una capriola. Il
verbo descrive il modo in cui cade a terra una «huicapa», bastone
di legno lanciato in aria per raccogliere i frutti che si trovano
troppo in alto sugli alberi.
HUISHQU: Avvoltoio
HUTCHKA: topo.
HUYALLA: Erba, prato
HUYALLASHADA: danza di gruppo
ICHU: Paja Brava. Erba della puna
ILLA: Idolo di pietra con forma animale o vegetale, che è utilizzato
per attrarre la buona fortuna e come protezione per il bestiame.
ILLAPA: Il fulmine.
INTI: Sole
JALCA: altopiano tipico delle Ande.
JANAQ PACHA: Mondo di sopra. Cielo. Equivalente andino del
paradiso
JARJACHA: Demone dalla forma di un lama a due teste che sputa
fiamme in cui si trasformano i colpevoli di incesto.
JIJUNA: Figlio di puttana abbreviazione dell’espressione hijo de una
gran puta.
JIRKA: Dio montagna: Wamani, Apu, Orcco.

334
KANTUTA: Cantua Buxifolia. Fiore sacro degli inca ed attualmente
fiore simbolo del Perù.
KATACHILLA: Costellazione della Croce del Sud
KILLA: Luna.
KOREKENKE: Phalcoboenus megalopterus, Uccello rapace di
colore bianco e nero, appartenente alla famiglia dei falconidi.
Considerato sacro dagli Inca, le sue piume campeggiavano sullo
stemma imperiale incaico.
KOYLLUR MAYU : letteralmente fiume di stelle. La Via lattea.
KUICHI: dio dell’arcobaleno
EL LANZÓN: Monolito a forma di coltello che si trova all’interno
del centro monumentale di Chavín de Huantar che rappresentava
una divinità dal corpo umano e dalla testa felina
LLANQUE: sandali di cuoio o di fibra vegetale indossati dagli indi-
geni e dai contadini di alcune zone del Cile e del Perù.
LLICLA: Coperta usata dalle donne.
LLOCLA: violento corso d’acqua che si forma dopo la pioggia: tor-
rentello.
LLULLO: Bebè.
MACAHUISA: Dio Aymara figlio della Divinità Pariacaca. Nel rac-
conto mitico egli viene incaricato dagli altri dei, che in cambio del
loro impegno ad abbandonare il monoteismo e dedicarsi al culto
della Pachamama hanno deciso di aiutare gli Incas a consolidare
il loro dominio, di sbaragliare i loro nemici. Compito che egli
esegue trasformandosi in pioggia e spazzando via gran parte delle
comunità rivali.
MALLMANO: da «mallmar», muoversi, fremere, brulicare.
MALPAS: Le anime dei bambini piccoli che dopo la loro morte,
secondo le credenze andine, devono dimorare in una specie di
limbo fino a quando non riescono ad ottenere la salvezza.

335
MAQTILLO: Ragazzo. Diminutivo di Maqta: uomo giovane.
MINKA: Lavoro collettivo gratuito. Il termine, come nel caso che qui
ci interessa, indica anche il lavoratore che vi partecipa.
MISTIS: Termini con cui nelle Ande si indicano le persone apparte-
nenti alle classi dominanti o di etnia non india: padrone, signore,
potente.
MONTONEROS: da «montón», «mucchio»; bande armate di con-
tadini.
MOROCO: recluta o dispregiativo di soldato.
MOTE: piatto a base di grano sgranato, tritato e poi lessato.
NINAMULA: letteralmente mula di fuoco
ÑUJCHU: Salvis Revoluta. pianta medicinale dai fiori rossi.
ÑUSTA: Principessa inca.
OLLCAO: participio passato del verbo «ollcar» essere legato, essere
appeso.
OLLKAIWA: Essere mitologico, metà cane e metà essere umano.
OJOTAS: vedi Llanques.
OQUE: bruno
PACAE o PACAY: Inga Brachyptera. Albero frondoso appartenente
alla famiglia delle mimosoidee
PACHA: mondo, terra. Concetto centrale della cosmogonia quechua
che indica la coesistenza delle tre dimensioni spaziali del «qui»,
del «sopra», e del «sotto», e di quelle temporali rappresentate dal
presente, dal passato e dal futuro.
PACHACÚTEC (Inca): Nono Inca dell’impero. Il suo nome signifi-
cava «riformatore» «riorganizzatore».
PACHAMAMA: Madre terra.
PACHAMANCA: Modo di cuocere la carne sottoterra, scavando
una fossa nel terreno nella quale vengono inserite delle pietre
arroventate sulla fiamma viva.

336
PASÑA: ragazza.
PICHICAY: Cerimonia funebre.
PICHUCHANKA: Passero andino
PILLIK: Uccello augurale
PISHTATO: da «pishatado», sgozzato. Participio passato del verbo
«pishtar»: sgozzare.
PISONAY: erithrina. Più comunemente conosciuta come albero del
corallo per i suoi fiori rossi
POKRA: Gruppo etnico guerriero insediato nei dintorni di Huamanga
che combatté contro gli Incas all’epoca della loro espansione.
PONGO: il pongo è il bracciante che, come il servo della gleba, si
trova a dover svolgere gratuitamente ed obbligatoriamente il pro-
prio lavoro presso la tenuta dove lavora.
PUKA PICCANTE: uno dei piatti tipici della cucina ayacuchana.
PUQUIAL: sorgente
PUNA: altopiano tipico della zona andina
PUSPA: stagione delle prime piogge.
PUYA o PUYÓ: Pianta ad alto fusto della famiglia delle bromeliacee,
delle quali, con i suoi dieci metri di altezza, rappresenta la specie
più grande.
PUYLLOSHA: pianta silvestre dai frutti simili a quelli dell’uva acer-
ba ma più piccoli e rotondi.
QUENA: flauto.
QUENWA: Polylepys. Albero che cresce nelle zone fredde. L’unico
albero esistente che può crescere oltre i quattromila metri di
altitudine.
QUIPE: sacca di tela da portare sulle spalle.
RONDERO: Membro delle ronde contadine; gruppi di contadini
armati e addestrati dalle Forze Armate per combattere i terroristi
di Sendero Luminoso

337
RUNAS: Gli uomini. Nome, analogamente a quanto avviene con altre
popolazioni amerindie, con cui i quechua designano se stessi.
RUNA SIMI: Lingua Quechua.
SAYLLA: Pianta di altura.
SHUCALPITO -A: da “Shucalpido -a” Coperto, avvolto. Participio
passato del verbo shucalpir; verbo dalla radice chiaramente
quechua suffissato e coniugato, però, come se fosse un verbo
spagnolo.
SHUCUCUY: Mulinello.
SHILLPI: cencioso.
SINCHI: Reparto della Guardia Civile peruviana specializzato in
azioni di anti-terrorismo.
SIRGUILLO: canarino selvatico. WAYRA: Vento.
SUPAYHUASI: Inferno. Da Supay (diavolo) e Huasi (casa, nascon-
diglio, tana).
TAHUANTINSUYU: letteralmente «Impero delle quattro parti»
era il nome ufficiale dell’entità statale Incaica.
TAITA: padre. Come nel caso dei suoi derivati «taitito» o «taytacha»
e degli equivalenti spagnoli «papito» e «padre», rappresenta una
formula di cortesia con cui ci si rivolge a persone più anziane o
degne di grande rispetto. Uguale funzione è svolta al femminile
dai termini «mamita» o «mamacha».
TAMBO: deposito di granaglie ed altre semenze situati lungo le
strade dell’antico impero incaico e presso i quali si approvvigio-
navano i funzionari imperiali per rifornire le proprie zone.
TANKAR KISHKA: Berberis Weberbauer Pianta spinosa ad uso
cerimoniale molto diffusa nelle ande.
TARUKA: Cervo
TAYANCA: Baccharis Buxifolia. Arbusto sempreverde che cresce
nelle pietraie o lungo i pendii.

338
TEMPLE: Valle calda della cordigliera andina
TERRUCO: terrorista
TINYA: Specie di tamburo.
TOCHES: Quechuizzazione della parola «Tombos», espressione
gergale per indicare i poliziotti.
TOTORA: pianta acquatica simile al giunco
TRUPPAKUNA: in originale «tropakuna», parola composta, forma-
ta dalla spagnolo «tropa» « ed il suffisso quechua «–kuna», con il
quale si forma il plurale.
TUCO: Gufo
TUTAYAQ UKHUMAN: Sorta di limbo andino riservato alle anime
dei bambini appena nati.
USHNO: monte a forma di altare.
URPAY HUÁCHAC: Moglie di Wiracocha. Dea protettrice degli
uccelli
YACANA: costellazione del Lama.
YACHACUY: Insegnare, addestrare, istruire. Qui indica il rito di
iniziazione sessuale di origine incaica celebrato come offerta nei
confronti della madre terra.
YANA UMA: Testa nera. Nome che veniva dato dai terroristi ai
soldati, per il fatto che indossavano un berretto nero e per altre
caratteristiche del loro vestiario.
YAU: salve, ciao.
YAWAR MAYU: Fiume di sangue
WAKCHITA:orfanella.
WAMANERO: Officiante del culto dei wamani.
WAMANI: Dio montagna.
WAÑUY MAYU: Fiume del dolore.
WARMI: Donna

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WIÑAYPACHA: Universo.
WIRACOCHA: Divinità principale della mitologia incaica.
WIKU: Malattia che colpisce le fasce muscolari e le ossa.
ZAMBO: tipo fisico risultante dall’unione di un genitore indio e di
uno negro.
ZARAMAMA: Divinità. Madre del mais.

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EDIZIONI GORÉE

NARRATIVA

COLLANA DIRITTI & ROVESCI


1. Alberto Manzi, E venne il sabato
2. Éveline Trouillot, Rosalie l'infame
3. Sindiwe Magona, Da madre a madre
4. Alberto Manzi, La luna nelle baracche
5. Farnoosh Moshiri, Bathhouse, una prigionia
6. Nieves García Benito, Di passaggio a Tarifa
7. Sindiwe Magona, Push-Push ed altre storie
8. Girolamo Santocono, Rue des italiens
9. Alberto Manzi, El loco
10. Héctor Tizón, Il vecchio soldato
11. AA. VV., Il vestito di velluto rosso
12. Jorge Medina García, Un paese in affitto
13. Jean-Loius Gaudet, Kewaydin, il soffio della saggezza
14. Tsitsi Dangarembga, La nuova me
15. Biyi Bandele, Nudo al mercato
16. Benjamin Zephaniah, Gangsta Rap
17. Mario Monteforte Toledo, Tra la pietra e la croce
18. Renato Prada Oropeza, I fondatori dell'alba
19. Braulio Muñoz, Alejandro e i pescatori di Tancay
20. Sindiwe Magona, Questo è il mio corpo!
21. Eduardo González Viaña, La ballata di Dante
22. Luis Bernardo Honwana, Abbiamo ucciso il cane rognoso
23. Mudrooroo, La ricetta del dottor Wooreddy per sopportare la fine del mondo
24. Luisa Valenzuela, Qui succedono cose strane
25. Braulio Muñoz, Quaderni peruviani
26. Oscar Colchado Lucio, Rosa Coltello

COLLANA I CALANCHI

1. Héctor Tizón, Cantare del profeta e del bandito


2. Alejandra Parada Escribano, Sono esausta!
3. Héctor Tizón, La casa e il vento
4. Luisa Valenzuela, Realtà nazionale vista dal letto

COLLANA INGRANDIMENTI

1. Jean-Louis Gaudet, Baraka, ovvero la Cinquecento fatata


2. Alberto Manzi, Gugù
3. I bambini di Phi-Phi Island
4. Ernesto Cardenal (a cura di), Sarebbe triste se non ci fosse l'arcobaleno
5. Muro Di Leo (a cura di), Sogni dal Kenia
POESIA

Letteratura delle civiltà indigene americane e africane

1. Rayen Kvyeh, Luna dei primi germogli


2. Sindiwe Magona (a cura di), Guguletu blues
3. José Luis Ayala, Muyu pacha / Tempo circolare
4. Aiban Wagua, Il pianto della terra
5. Ruperta Xuet Bautista, Realtà non necessaria
6. Rayen Kvyeh, Luna di cenere

Improvvisazione poetica

1. Giuliana Della Valle – David Mitrani (a cura di), Cuba improvvisa


2. Andrea Fantacci (a cura di), Altamante – Una vita all'improvviso
3. Paolo Zedda (a cura di), L'arte de is mutetus
4. Pietro Clemente (a cura di), Realdo Tonti. L'albicocco e la rigaglia

Classici della poesia

1. César Vallejo, Opera poetica completa (2 tomi)


SAGGI

1. Cinzia Fia (a cura di), Albanesi e kosovari e molti altri nella scuola di
Monteroni d’Arbia
2. Luciano Giannelli (a cura di), La ricchezza multiculturale del territo-
rio
3. Edoardo Balletta, Tu svástica en las tripas. Corpo e storia in Néstor
Perlongher

STORIE E IMMAGINI

1. Antonella Napoli, Volti e colori del Darfur


2. Miriam Makeba, La storia di Miriam Makeba.
ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
Stampato per conto
delle Edizioni Gorée
da Iacobelli s.r.l.
Frascati (RM)
nel mese di maggio 2009

Printed in Italy

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