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Óscar Colchado Lucio
ROSA COLTELLO
@ © Aníbal Jesús Paredes Galván – Editor, Editorial San Marcos, Lima, 2000
RISTAMPE
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E-MAIL info@edizionigoree.it
ISBN 978-88-89605-62-2
INDICE
Rosa coltello p. 3
Glossario p. 329
A José
A zia Anita
A Pepe Palacios
PREFAZIONE
di Rodja Bernardoni
XI
po terrorista. Ma il prezzo pagato dal paese sarà altissimo; alla fine
della guerra, durante la quale gli opposti schieramenti, come in
ogni conflitto interno, faranno del loro meglio per prodursi in un
campionario di violenze e atrocità via via sempre più raccapric-
cianti, si conteranno, tra morti e desaparecidos, circa settantamila
vittime; vittime che nella stragrande maggioranza dei casi saranno
persone di origine e lingua indigene. Dato, questo, che chiamando
in causa il ruolo marginale e subalterno della componente abori-
gena sia andina che amazzonica, ci conduce a una delle questioni
storico-sociali più drammatiche del Perù: la questione etnica.
Paese nel quale coesistono ed interagiscono ormai da secoli cultu-
re ed etnie differenti e dove gli individui di origine o ascendenza
amerindia costituiscono la quasi maggioranza della popolazione,
il Perù è tuttavia profondamente percorso da tensioni e conflitti
di matrice etnica e razziale alla cui origine si colloca l’ideologia
marcatamente razzista che sin dall’indipendenza ha caratterizzato
il pensiero delle classi dominanti e delle istituzioni. Visione che
con il passare degli anni ha finito per permeare ogni ambito della
vita civile e politica del paese, segnando in maniera inequivocabile
ogni aspetto della dialettica tra le differenti classi e le differenti
culture presenti sul suo territorio. Un modello ideologico che,
come possiamo evincere dalle cifre precedentemente citate, viene
durante il conflitto interno a essere ampiamente riprodotto, nono-
stante i loro proclami e i loro distinguo, sia da Sendero che dallo
stato. Numerosi studiosi non hanno esitato a paragonare l’impatto
che questi eventi hanno avuto sulla popolazione indigena con la
conquista spagnola. Di fatto, al di là delle ovvie analogie esistenti
tra la brutale condotta dei conquistatori e quella dei terroristi e
delle forze di sicurezza, lo shock che la guerra sucia, come è stata
ribattezzata, ha rappresentato per gli universi socio-antropologici
dei nativi presenta da un punto di vista antropologico e culturale
non poche affinità ed analogie con quello prodotto dall’invasione
XII
spagnola: episodi come gli omicidi, la militarizzazione delle zone
rurali andine, l’annientamento di interi villaggi e comunità, le
migrazioni e gli esodi di massa, la disarticolazione dei vincoli fami-
liari e comunitari delle società indigene della sierra e della selva,
hanno sovvertito e incrinato irrimediabilmente la percezione e
l’esperienza degli individui della loro realtà etico-filosofica e della
loro quotidianità, obbligandoli, per metabolizzarli e interpretarli,
a un immane sforzo adattativo ed ermeneutico. Così come avve-
nuto nei primi anni della conquista, l’estrema violenza ed il clima
di generalizzata paura che si sono abbattuti sulle popolazioni
civili si sono concretizzati in complessi fenomeni psicologici e
culturali, come la riattivazione e la riattualizzazione di credenze
di tipo messianico e millenaristico che hanno visto il recupero di
antichi miti incaici e l’affermarsi di culti e sette di matrice avven-
tista. Contemporaneamente si sono diffusi e si sono moltiplicati
fenomeni collettivi di tipo psicotico e paranoide che, a partire da
superstizioni e leggende locali e popolari, hanno portato all’ela-
borazione e alla ripresa di figure soprannaturali e minacciose
sulle quali poter trasferire ansie e paure; figure tra le quali senza
dubbio spicca il Pishtaco o Naqaq. Sorta di vampiro andino, che si
ciba del grasso e della carne delle sue vittime e alla cui presenza gli
abitanti delle zone di guerra hanno spesso attribuito le numerose
fosse comuni scoperte nel corso del conflitto, arrivando, in alcuni
casi al linciaggio di innocenti passanti.
Sono queste le premesse storiche e culturali dalle quali pren-
de le mosse lo splendido romanzo di Óscar Colchado Lucio,
Rosa Coltello, pubblicato per la prima volta nel 1997. Opera
che forse rappresenta uno dei tentativi più lucidi e complessi di
comprendere e rappresentare i drammatici eventi del conflitto
attuato all’interno del panorama letterario peruviano odierno.
Autore di grande fama ed abilità narrativa, Colchado Lucio, che
arriva alla prova di questo romanzo dopo la pubblicazione di tre
XIII
raccolte di racconti, Cordillera Negra (1985), Camino de Zorro
(1987) e Hacia el Janaq Pacha (1989) e la fortunata serie di libri
per l’infanzia incentrata sul personaggio di Cholito, riesce a dare
vita ad un testo di grande spessore e significato; un testo che pur
non rinunciando a farsi strumento di denuncia e critica sociale e
politica riesce ad appassionare e coinvolgere il lettore sin dalle
primissime pagine, catturando la sua attenzione ed assorbendolo
completamente nella narrazione. Già durante i primi anni della
guerra sucia riuscire a trovare una maniera adeguata per poter
narrare eventi così drammatici senza rinunciare alle qualità più
strettamente artistiche del testo letterario è stata una delle grandi
sfide affrontate dagli scrittori peruviani. Tanti sono stati i registri e
gli stili con cui i vari autori si sono misurati con questo problema:
il realismo magico, la narrativa storica, la scrittura allegorica, la
narrativa poliziesca. Alcuni, come lo scrittore Mario Vargas Llosa,
fautori della completa autonomia e indipendenza dell’arte, hanno
optato per un approccio più ellittico e allusivo, che pur affron-
tando le questioni del presente, cerca di mascherare e mimetiz-
zare il più possibile, all’interno dell’opera, riferimenti a episodi e
avvenimenti concreti della contemporaneità. Altri, tra cui Óscar
Colchado Lucio, hanno invece preferito, per ragioni biografiche,
estetiche o ideologiche, mettere la realtà socio-politica peruvia-
na, in tutta la sua complessità e problematicità, al centro della
loro prassi scritturale. Scelta questa che trova i suoi antecedenti
nel modello narrativo indigenista: tradizione di scrittura che,
in special modo a partire dalla seconda decade del Novecento,
ha costituito il principale strumento per articolare la critica e la
denuncia delle estreme condizioni di sfruttamento e di emargina-
zione delle società amerindie contemporanee all’interno del Perù
e al tempo stesso per progettare un modello di nazione meno
discriminatorio e intollerante. Caratteristiche che, con l’evoluzio-
ne e la maturazione dell’estetica del movimento, trovano la loro
XIV
massima espressione nell’opera di artisti come Ciro Alegría e José
María Arguedas, Eleodoro Vargas Vicuña e Manuel Scorza, in
cui all’aspetto più propriamente politico e rivendicativo si affian-
ca un vigoroso processo di rivalutazione e rilancio degli aspetti
etici, filosofici e culturali delle società indigene che, soprattutto
in Arguedas, non saranno visti più come suggestivi retaggi di un
passato ormai concluso, ma come un patrimonio di valori poten-
zialmente universali in grado di modificare e arricchire la nostra
Weltanschauung occidentale.
Prendendo le mosse dal magistero di questi autori, Colchado
Lucio riesce, come dicevamo, a confezionare, con estrema abilità
e originalità, un libro nel quale la ricercatezza stilistica e formale
e l’analisi storico-politica si sposano con i ritmi ed i tempi del
grande romanzo, dando vita ad un’opera ricca di pathos ed epici-
tà; un testo estremamente stratificato e profondo i cui molteplici
significati difficilmente si esauriscono a una prima lettura.
Operazione nel compiere la quale l’autore è aiutato da una
estrema conoscenza e padronanza delle tecniche e dei ritmi nar-
rativi; padronanza e conoscenza che, oltre alla sua solidissima
formazione letteraria, sono dovute, per sua stessa ammissione,
all’influenza esercitata su di lui dalla nonna e dalla madre, entram-
be grandissime narratrici orali. Ed è proprio dall’oralità e dai suoi
repertori espressivi e tematici che questo romanzo trae forse le
sue più grandi qualità e i suoi aspetti più curiosi e interessanti. La
narrazione, che si sviluppa lungo tre sequenze diegetiche princi-
pali, si svolge, infatti, in due differenti mondi: quello dei vivi, che
coincide con la realtà storica dell’autore, e quello dei morti, spazio
mitico e magico dove Colchado Lucio dispiega con copiosità di
dettagli il patrimonio simbolico e iconografico delle società indi-
gene andine, mutuato dalla tradizione narrativa orale.
La vicenda si apre durante gli ultimi anni del conflitto:
alla notizia della morte del figlio Liborio, membro di Sendero
XV
Luminoso, la contadina Rosa Wanka, da tutti conosciuta come
Rosa Coltello, muore di crepacuore. Giunta nell’aldilà, la donna
scopre che per raggiungere il Janaq Pacha, sorta di paradiso della
tradizione religiosa indigena a lei destinato, e ritrovare l’anima del
figlio e del resto dei membri della sua famiglia, dovrà compiere un
lungo viaggio purificatore nei differenti mondi dell’oltretomba.
Guidata dallo spirito del suo vecchio cane Wayra, Rosa partirà
allora per il suo pericoloso cammino. Percorso lungo il quale
incontrerà gli esseri soprannaturali del folclore andino e nume-
rose anime che, raccontandole le loro storie e le circostanze delle
loro morti, le mostreranno, storia dopo storia, la dolorosa realtà
di un Perù sprofondato nella violenza e nella paura. Modello nar-
rativo che, come potrà facilmente notare il lettore italiano, nono-
stante l’ambientazione e la massiccia presenza di un immaginario
e di un sistema etico e morale di matrice andina, è qui fortemente
influenzato da quello della Commedia dantesca. Ai frammenti
in cui la protagonista racconta in prima persona il suo viaggio
ultraterreno, si alternano, attraverso un processo di decronologiz-
zazione, le altre due storie: quella di Liborio, sorta di eroe mitico
la cui nascita è ammantata dal mistero, che si colloca nel passato
e di cui un narratore onnisciente ci racconta la riluttante adesio-
ne del protagonista alla sovversione fino alla sua ineluttabile e
annunciata morte; e quella di Mariano Ochante, uno dei capi delle
ronde di contadini organizzate dai militari che, ferito a morte dai
terroristi, ricostruisce, durante la sua agonia e i suoi deliri, la lunga
storia di massacri e violenze della guerra a cui ha partecipato ed
a cui ha assistito.
All’intreccio ed alla sovrapposizione dei piani narrativi cor-
risponde, a livello stilistico, un intrecciarsi e un accavallarsi di
norme linguistiche eterogenee, sia dal punto di vista lessicale, sia
da quello sintattico e grammaticale. Il peculiare impasto linguisti-
co, con cui si esprimono quasi tutti i personaggi di origine popo-
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lare del romanzo e che riproduce le reali dinamiche linguistiche
di queste zone dove lo spagnolo e la lingua quechua convivono
e si intrecciano, ne è un chiaro esempio. Questa parlata, come il
lettore potrà rendersi conto, è essenzialmente caratterizzata dal-
l’ibridazione, in gradi e intensità diversi, della lingua di base con il
quechua. Contaminazione che lungo il testo affiora e si manifesta
in vari modi: per quanto riguarda il vocabolario, nei numerosi ter-
mini usati per denominare e indicare cose o concetti che rivestono
un ruolo speciale o che esprimono un particolare stato d‘animo di
chi parla, o impiegati, quando la parola quechua viene affiancata
al suo omologo in spagnolo, per ribadire un’idea o una afferma-
zione. Mentre per quanto riguarda gli aspetti sintattici e gramma-
ticali, essa si manifesta in una serie di modificazioni e alterazioni
della norma linguistica standard, come per esempio il peculiare
uso del doppio genitivo, le frequenti inversioni dell’ordine della
frase e le costruzioni arzigogolate che appaiono soprattutto nelle
parti narrate in prima persona dai personaggi.
Come già detto, Rosa Coltello è un testo fortemente indebitato
con l’oralità e le sue forme espressive. Debito che, oltre che sul
modo di esprimersi dei singoli personaggi e sul repertorio icono-
grafico e immaginativo usato dall’autore, risulta evidente dalla
struttura generale dell’opera. Già da una prima lettura, infatti,
salta subito all’occhio come il testo possieda il respiro e il ritmi
tipici di una performance orale. Caratteristica che è stata ben indi-
viduata e sfruttata dal gruppo teatrale Yuyachkani nel ricavare da
Rosa Coltello vari monologhi e che risulta ben evidente da alcuni
aspetti della scrittura e del suo organizzarsi. È questo il caso delle
numerose formule fisse che ricorrono lungo tutto il testo, scanden-
do la narrazione e caratterizzando le parlate dei vari protagonisti,
dell’abbondante ricorso a onomatopee e esclamazioni, e dell’uso
di una punteggiatura ricca di pause e di incisi che riproducono
le inflessioni, le sinuosità e le esitazioni della voce e che riescono
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a dare al lettore la chiara e netta percezione della presenza tra le
righe della viva parola del narratore. Procedimento che infonde
al tradizionale rapporto tra chi legge e gli eventi narrati una sfu-
matura di intimità e di immediatezza che fa sì che difficilmente ci
si possa sottrarre alla magia ed al fascino di questo libro, e tanto
meno alla palpabile e a volte dolorosissima carica di umanità che
deborda dalle sue pagine e dai suoi personaggi.
Rosa Coltello, oltre a essere un romanzo stupendamente scritto
e costruito, è senza dubbio, infatti, una di quelle rare opere che,
spalancando una finestra sulla barbarie e sulla follia congenite a
ogni forma di fanatismo e dogmatismo, ci obbligano a riflettere
su di noi e sul nostro mondo e a mettere in discussione molte
delle nostre idee e delle nostre convinzioni; una di quelle opere,
insomma, dalla cui lettura ognuno di noi non potrà che emergere
un poco cambiato e forse, chissà, un poco più saggio.
XVIII
ROSA COLTELLO
LA MORTE?
La morte sarà proprio come la vita?
«È più leggera, figlia mia»
Ci saranno i piccoli sirguillos che cantano tra le foglie
grandi in agosto?
Ci sono. «E mucche che pascolano in immense pianu-
re».
Ora stavo salendo lungo le pendici del Changa, leggera
leggera come il vento.
Per di qua? Da questi luoghi passeranno i morti?
«Per di là, figlia mia, da dove si dice per sempre addio alla
vita».
In basso, sulla sponda sinistra del fiume Pampas, bagnato
dalle ultime luci della sera, si trovava Illaurocancha, il mio
villaggio, con le sue casette con i tetti di tegole, i muri bian-
chi, incendiate dalla luce rossa del sole.
Avevo ancora le narici impregnate dell’odore tiepido,
dolciastro, dei campi di fave che ondeggiavano sulle pendici
dei monti con i loro fiorellini bianchi e neri accarezzati dal
vento. E nel mio sguardo c’era ancora il volo frettoloso delle
pernici, che frugavano, pigolavano alla ricerca del nido
nascosto tra le fronde.
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4 L’Inti Raymi è la festa incaica del sole che viene celebrata tradizionalmente a
giugno. Riscoperta nel corso del secolo passato è oggi una delle maggiori attrazio-
ni del Paese.
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dronirsi poi delle loro armi. Così anche tu sei uscito pieno di
coraggio, pensando che alla fine avresti dimostrato ad
Angicha che non ti importava niente della morte se la dove-
vi affrontare per lei e per il Partito.
La notte era fresca. In alto, nel cielo, nello spazio che i
nuvoloni neri permettevano di vedere, delle stelle paffute
risplendevano, come delle polpe fatte di luce, augurandovi
buona fortuna. Guardandole, hai baciato il tuo llullo piccolo
toro, l’illa di pietra che porti sempre ollcao al collo. Gli chie-
di che preghi gli dèi di aiutarti ora che ne hai così tanto
bisogno.
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MA NON cadi.
Ferito alla gamba, sopportando il dolore, continui a cor-
rere per qualche isolato in mezzo all’oscurità della strada.
Un dolore intenso, come quello di una stilettata, ti fa con-
trarre e portare la mano sulla ferita. Senti il sangue caldo,
appiccicoso, che ti scende lungo la gamba. L’acqua della
pioggia che sta bagnando i tetti, inzuppa i tuoi vestiti e fa
luccicare l’asfalto. In quel momento ti incroci con quelli del
contenimento, che stanno scappando, Eri ferito, compagno?
Ti avrebbero aiutato. E quando due di loro cercano di cari-
carti in spalla, si sente la sirena di una macchina della polizia,
e contemporaneamente la luce dei fari illumina il muro della
cantonata. Immediatamente, la macchina entra nella strada
lastricata dove vi trovate voi. Scappate! Correte, compagni!,
dici. E loro con un balzo si sparpagliano, lasciandoti là. Per
un soffio riesci ad appoggiarti ad un pilastro che sporge da
un muro. Con il corpo ben appiattito, senza respirare, lo
sguardo fisso, invocando tutti gli dèi, vedi passare davanti a
te, a tutta velocità, la macchina della polizia, che qualche
isolato più avanti viene ricevuta frontalmente, dal lancio di
bombe e granate, per mano di quelli del contenimento.
Cerchi di avanzare ma il tuo corpo collassa su se stesso.
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– ... perché era uno spione, sì, perché era uno spione lo
abbiamo ucciso...
– ... Vargas Llosa14 ha incoraggiato Huayhuaco e...
– ... ci hanno lanciato razzi dagli elicotteri...
– ... García Pérez gli ha dato la sua pistola...
– ... lui era d’appoggio, non era un combattente...
– ... non fare la femminuccia, diceva il tenente, spara...
– ... comitati popolari, ossia dittature di gruppo...
– ... sono stati fatti fuori in più di ottanta, questa è la
verità...
– ... le tappe della guerra di guerriglie...
– ... con l’azione di Lucanamarca, gli abbiamo dato una
lezione, ha detto...
– ... delle ronde? Sì, io, Edilberto Huarhua...
14 Si tratta del noto scrittore peruviano Mario Vargas Llosa che durante quegli
anni è stato uno degli esponenti di punta del pensiero neo-liberista e conservatore
peruviano, trovandosi più volte a collaborare con i governi di quel periodo; per-
corso che nel 1990 lo ha portato ad essere il candidato della destra per le elezioni
presidenziali.
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alcuni massi, sono solo riusciti a far saltare via pezzi di roc-
cia, ferendo un soldato alla spalla.
Al coperto, i toches hanno risposto al fuoco. Voi avete
continuato a sparare ai morti, riempiendoli sempre più di
piombo, affinché i vostri avversari non potessero avvicinarsi
a recuperare le armi dei loro compagni. Ma uno di loro,
incitato a quanto pare dai suoi capi, si è arrischiato. E quan-
do è saltato fuori per afferrare l’arma, dopo essersi avvicina-
to di nascosto facendo il passo del leopardo, un colpo di
Angicha gli ha perforato la gamba. Senza mollare il fucile,
urlando di dolore, si è trascinato come ha potuto al riparo
dietro alle rocce vicine dove è stato aiutato dai suoi compa-
gni.
Le due esplosioni che sono seguite – dinamite lanciata da
voi con la fionda li ha fatti fuggire giù verso il fondo del
vallone.
– Viva la guerra di guerriglie! Cazzo! – avete gridato tutti
trionfanti, mentre Samuel, esultante, correva ad impadronir-
si del fucile che l’altro morto impugnava, non prestando
ascolto all’ordine di Angicha di non scendere giù.
Aveva già raccolto l’arma e stava per tornare indietro,
quando degli spari provenienti dall’altro lato del vallone lo
hanno raggiunto. Si è accasciato afferrandosi il petto con
disperazione, ha girato su se stesso ed è caduto di lato sulla
terra polverosa che, assetata, ha cominciato a bere il suo
sangue.
Due membri delle retroguardie dei sinchi erano stati i
responsabili degli spari, ed erano poi scappati a tutta veloci-
tà, tra i cactus. Miguel e Julio, coperti dal vostro fuoco, si
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poco. Di questi tempi ormai gli dèi non facevano più mira-
coli. Adesso si doveva credere solo nelle masse, il nostro
unico vero dio, alle quali ci si doveva consacrare con enorme
fede e devozione. Lo avresti poi capito meglio quando fosse-
ro penetrati in te i sacri principi della rivoluzione.
Tuttavia, tu non avevi finito di sfogarti e, dimenticandoti
della stima che avevi per lui, per la prima volta ti sei azzar-
dato a contraddirlo:
– E le masse faranno anche piovere, compagno?
Antolino Páucar e Mallga si sono huajallati di gusto.
Questo ha fatto un po’ arrossire Santos che alla fine si è
stretto nelle spalle.
Urpay in quel momento aveva in braccio la piccola vigo-
gna. Tu ti sei avvicinato a lei.
– E adesso – le hai detto contrariato – che latte le darai?
Avrebbe visto in seguito. Di qualche mucca o capra che
avrebbe trovato sul cammino forse.
Con timore hai guardato verso i monti e ti sei raccoman-
dato dentro di te che non succedesse niente né a te né ai tuoi
compagni.
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– IL MARAÑÓN!
Finalmente ho visto questo fiume, cosparso di fiamme,
che scorre furiosamente facendo tremare la terra.
Veramente sembrava un mare di fuoco. Non si vedeva
l’altra sponda. Fumo e fiamme dappertutto.
Immobili sull’orlo del precipizio, osservavamo come in
un sogno, quella gente che gridava in mezzo alle fiamme e
più avanti, immobili sul quel mare, senza che le acque li tra-
scinassero via, avvolte dal fumo, c’erano altre persone con lo
sguardo fisso su quelli che bruciavano. «Quelli sono la fred-
dezza», mi ha detto Wayra. Ma io non ho capito cosa volesse
dirmi con questo.
– Scendiamo – mi ha fatto segno andando un po’ di tra-
verso lungo il declivio per cercare un punto da dove scende-
re, aspettandosi di sicuro che io lo seguissi. Ma visto che io,
spaventata, non ho fatto neanche un passo, si è girato per
dirmi:
– Non avere paura. Ti ho già detto che il Marañón non è
che la Yacu Mama, il grande serpente che percorre gli spazi
infiniti dell’oceano, del cielo e della terra. Attraverso di lei,
si arriva anche al Janaq Pacha. Vieni, sbrigati, dobbiamo
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ni, come lei rimasero lì perplessi, senza sapere cosa fare. Alla
fine pensando che suo figlio sarebbe arrivato insieme agli
assalitori, corse attraverso il ponticello del vallone verso il
bosco di eucalipti che crescevano sull’altura, vicino al cimi-
tero, dove erano corsi i ronderos, per vederli spuntare.
Ma quelli della Difesa Civile erano lungi dal supporre che
gli aggressori avevano circondato il villaggio e che la colonna
che si avvicinava attraverso un passo, formando due file,
dall’altro lato del cimitero, era solo una parte degli assedian-
ti. Circa cento contadini delle basi di appoggio di Víctor
Fajardo accompagnavano il plotone di quasi quaranta com-
battenti.
Edilberto Huarhua incaricò Mariano Ochante di andare
a chiedere aiuto ai militari, ad Ocros o a Vilcashuamán o alle
pattuglie itineranti che giravano lì attorno, il più in fretta
possibile. Senza perdere neanche un minuto, Mariano
Ochante corse verso il fondo del vallone.
Dal monte lei riuscì a vedere come Edilberto Huarhua
organizzava la gente. Alto, scheletrico, la sua giacca marrone
di panno di lana sembrava incendiarsi con il sole rosato del-
l’alba. «Hanno poche armi, gli sentì dire, bisogna affrontarli
all’inizio solo con le fionde perché consumino i loro proiet-
tili, poi attaccheremo con i fucili».
– Viva la guerra popolare! Morte agli yana uma!
Correndo a perdifiato, alzando un gran polverone, supe-
rato il cimitero, i senderos si stavano dirigendo con determi-
nazione, brandendo le loro armi, verso il piccolo monte
occupato dai ronderos.
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21 Acacia farnesiana: albero ornamentale della famiglia delle acacie dai fiori mol-
to simili a quelli della mimosa.
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Marcelino, che forse era già stato informato delle tue idee
da Angicha e pensando che forse tu avessi influenzato
Mallga, ha detto:
– Forse, compagna, ma è molto difficile. In ogni caso non
ci sarebbe molta differenza con quello che si imporrebbe
con la Repubblica Popolare di Nuova Democrazia.
Tu e Mallga vi siete guardati, e avete preferito tacere.
Angicha era pensierosa.
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23 Colocasia esculenta. Tubero simile alla patata che cresce nella selva tropicale
dell’America del Sud.
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28 Graminacea infestante.
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GLOSSARIO
ACHACHAY: Che paura! Che spavento!
ALALAU!: Che freddo!
ALAYMOSCA: pietra granitica.
ALLAU:Poveretto, povero
ALLAUCHI: Poveretta
ALLKO: Cane.
AMANCAE o AMANCAY: Pianta selvatica dai fiori gialli.
AMARU: Serpente mitologico o serpente di grandi dimensioni.
AMAUTA: Nell’antico Perù incaico: maestro, saggio, filosofo o pen-
satore
ANCHANCHO: demoni che si trasformano in animali.
ARADO (Aratro): costellazione che corrisponde in parte alla cintura
di Orione.
ASHANINKA: popolazione della foresta peruviana.
ATATAU: Che schifo!
AUKI: Spirito della montagna: gerarchicamente inferiore rispetto al
Wamani.
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AYLLU: comunità andina di origine incaica che raggruppa coloro
che vivono e lavorano su uno stesso territorio e sono uniti da
vincoli di sangue, religione, usi, costumi etc etc.
BIOCOCHO: uccello mitico che vola alla rovescia
CACHACO: Dispregiativo di poliziotto.
CACHI CACHIS: Elicotteri
CALAPACHO: nudo, senza vestiti. Usato anche in senso figurato
e dispregiativo con il valore di «morto di fame», «straccione» o
«con le pezze al culo».
CASHQUI: Zuppa di patate, con uovo, menta e fette di formaggio
fresco.
CASHMI: Cagnolini che si distinguono per l’arcata dentale superiore
sporgente.
CAUSACHUM: Viva!
CAVILLACA: Dea vergine che ingerendo un frutto, che in realtà
ero lo sperma del Dio della Luna, Coniraya, rimase incinta. Alla
nascita del bambino la dea riesce con uno stratagemma a scoprire
il padre. Profondamente imbarazzata dal basso rango di Coniraya
tra gli dèi del cielo ella in seguito si trasforma in roccia insieme
al figlioletto.
CHICHA: bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del mais.
CHACCHAVA: da «chacchaba». Imperfetto del verbo «chacchar»:
indica il tradizionale modo con cui le popolazioni andine consu-
mano la foglia della coca, masticandola e raccogliendola in una
palla nel cavo nella guancia. Si aggiunge, a scopo cerimoniale o
divinatorio, una piccola quantità di calce, per attivare l’alcaloide
responsabile del suo effetto psicotropico.
CHALLWA: pesce.
CHANKA: Etnia guerriera della zona compresa tra i fiume Pampas
ed Apurímac.
CHASCA: La stella Venere.
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CHICLAYO: zucca CHUSEQ o CHUSHAQ: Uccello di cattivo
auspicio.
CHINCHAY: Ozelot
CHUNGO: Pietra rotonda usata come mortaio per macinare semen-
ti vari.
COCAMAMA: Madre Coca, personificazione della pianta della
coca.
COCHA: Lago, laguna, specchio d’acqua.
COCOBOLOS: arma da lancio composta da una laccio alle cui estre-
mità sono assicurate due sfere. Comunemente conosciute anche
come «boleadoras» o «bolas».
CORONA CASHA: pianta spinosa appartenente alla famiglia delle
acacie.
CUCHI: maiale.
CUCHI PISHTAG: nome con cui viene chiamato il pianeta Venere,
perché all’ora in cui solitamente esso sorge nelle comunità andine
si è soliti uccidere i maiali in preparazione di feste e celebrazioni
varie
CUMPAS: Compagni. I membri di Sendero Luminoso.
CUSHMA: Antica veste incaica ampia e lunga senza maniche
ESPAÑA: spagna, termine dispregiativo per indicare gli spagnoli e
i loro discendenti
GÁPAJ: Il Creatore
GARAMATISH: fiore di campo delle ande.
GUAGUA; parola onomatopeica che indica il neonato perché ne
riproduce il pianto.
GUAJIDO: Grido vibrante ed energico
GUARANGO: Caesalpinia spinosa. Arbusto spinoso.
GÜERGOCH: uccello notturno di cattivo augurio
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HARAVEC: Poeta dell’antico impero Incaico.
HUACA: Oggetto o luogo sacro, Divinità.
HUAJALLARE: Da «huajallar»: ridere, sbellicarsi.
HUAJCHA: Orfano, abbandonato.
HUALLQUI: compagnia, compagno, accompagnatore,guida
HUARAKA: Fionda.
HUATU: Nodo
HUAYCO: frana. Smottamento.
HUICAPEARE: da «huicapear» capovolgersi, fare una capriola. Il
verbo descrive il modo in cui cade a terra una «huicapa», bastone
di legno lanciato in aria per raccogliere i frutti che si trovano
troppo in alto sugli alberi.
HUISHQU: Avvoltoio
HUTCHKA: topo.
HUYALLA: Erba, prato
HUYALLASHADA: danza di gruppo
ICHU: Paja Brava. Erba della puna
ILLA: Idolo di pietra con forma animale o vegetale, che è utilizzato
per attrarre la buona fortuna e come protezione per il bestiame.
ILLAPA: Il fulmine.
INTI: Sole
JALCA: altopiano tipico delle Ande.
JANAQ PACHA: Mondo di sopra. Cielo. Equivalente andino del
paradiso
JARJACHA: Demone dalla forma di un lama a due teste che sputa
fiamme in cui si trasformano i colpevoli di incesto.
JIJUNA: Figlio di puttana abbreviazione dell’espressione hijo de una
gran puta.
JIRKA: Dio montagna: Wamani, Apu, Orcco.
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KANTUTA: Cantua Buxifolia. Fiore sacro degli inca ed attualmente
fiore simbolo del Perù.
KATACHILLA: Costellazione della Croce del Sud
KILLA: Luna.
KOREKENKE: Phalcoboenus megalopterus, Uccello rapace di
colore bianco e nero, appartenente alla famiglia dei falconidi.
Considerato sacro dagli Inca, le sue piume campeggiavano sullo
stemma imperiale incaico.
KOYLLUR MAYU : letteralmente fiume di stelle. La Via lattea.
KUICHI: dio dell’arcobaleno
EL LANZÓN: Monolito a forma di coltello che si trova all’interno
del centro monumentale di Chavín de Huantar che rappresentava
una divinità dal corpo umano e dalla testa felina
LLANQUE: sandali di cuoio o di fibra vegetale indossati dagli indi-
geni e dai contadini di alcune zone del Cile e del Perù.
LLICLA: Coperta usata dalle donne.
LLOCLA: violento corso d’acqua che si forma dopo la pioggia: tor-
rentello.
LLULLO: Bebè.
MACAHUISA: Dio Aymara figlio della Divinità Pariacaca. Nel rac-
conto mitico egli viene incaricato dagli altri dei, che in cambio del
loro impegno ad abbandonare il monoteismo e dedicarsi al culto
della Pachamama hanno deciso di aiutare gli Incas a consolidare
il loro dominio, di sbaragliare i loro nemici. Compito che egli
esegue trasformandosi in pioggia e spazzando via gran parte delle
comunità rivali.
MALLMANO: da «mallmar», muoversi, fremere, brulicare.
MALPAS: Le anime dei bambini piccoli che dopo la loro morte,
secondo le credenze andine, devono dimorare in una specie di
limbo fino a quando non riescono ad ottenere la salvezza.
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MAQTILLO: Ragazzo. Diminutivo di Maqta: uomo giovane.
MINKA: Lavoro collettivo gratuito. Il termine, come nel caso che qui
ci interessa, indica anche il lavoratore che vi partecipa.
MISTIS: Termini con cui nelle Ande si indicano le persone apparte-
nenti alle classi dominanti o di etnia non india: padrone, signore,
potente.
MONTONEROS: da «montón», «mucchio»; bande armate di con-
tadini.
MOROCO: recluta o dispregiativo di soldato.
MOTE: piatto a base di grano sgranato, tritato e poi lessato.
NINAMULA: letteralmente mula di fuoco
ÑUJCHU: Salvis Revoluta. pianta medicinale dai fiori rossi.
ÑUSTA: Principessa inca.
OLLCAO: participio passato del verbo «ollcar» essere legato, essere
appeso.
OLLKAIWA: Essere mitologico, metà cane e metà essere umano.
OJOTAS: vedi Llanques.
OQUE: bruno
PACAE o PACAY: Inga Brachyptera. Albero frondoso appartenente
alla famiglia delle mimosoidee
PACHA: mondo, terra. Concetto centrale della cosmogonia quechua
che indica la coesistenza delle tre dimensioni spaziali del «qui»,
del «sopra», e del «sotto», e di quelle temporali rappresentate dal
presente, dal passato e dal futuro.
PACHACÚTEC (Inca): Nono Inca dell’impero. Il suo nome signifi-
cava «riformatore» «riorganizzatore».
PACHAMAMA: Madre terra.
PACHAMANCA: Modo di cuocere la carne sottoterra, scavando
una fossa nel terreno nella quale vengono inserite delle pietre
arroventate sulla fiamma viva.
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PASÑA: ragazza.
PICHICAY: Cerimonia funebre.
PICHUCHANKA: Passero andino
PILLIK: Uccello augurale
PISHTATO: da «pishatado», sgozzato. Participio passato del verbo
«pishtar»: sgozzare.
PISONAY: erithrina. Più comunemente conosciuta come albero del
corallo per i suoi fiori rossi
POKRA: Gruppo etnico guerriero insediato nei dintorni di Huamanga
che combatté contro gli Incas all’epoca della loro espansione.
PONGO: il pongo è il bracciante che, come il servo della gleba, si
trova a dover svolgere gratuitamente ed obbligatoriamente il pro-
prio lavoro presso la tenuta dove lavora.
PUKA PICCANTE: uno dei piatti tipici della cucina ayacuchana.
PUQUIAL: sorgente
PUNA: altopiano tipico della zona andina
PUSPA: stagione delle prime piogge.
PUYA o PUYÓ: Pianta ad alto fusto della famiglia delle bromeliacee,
delle quali, con i suoi dieci metri di altezza, rappresenta la specie
più grande.
PUYLLOSHA: pianta silvestre dai frutti simili a quelli dell’uva acer-
ba ma più piccoli e rotondi.
QUENA: flauto.
QUENWA: Polylepys. Albero che cresce nelle zone fredde. L’unico
albero esistente che può crescere oltre i quattromila metri di
altitudine.
QUIPE: sacca di tela da portare sulle spalle.
RONDERO: Membro delle ronde contadine; gruppi di contadini
armati e addestrati dalle Forze Armate per combattere i terroristi
di Sendero Luminoso
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RUNAS: Gli uomini. Nome, analogamente a quanto avviene con altre
popolazioni amerindie, con cui i quechua designano se stessi.
RUNA SIMI: Lingua Quechua.
SAYLLA: Pianta di altura.
SHUCALPITO -A: da “Shucalpido -a” Coperto, avvolto. Participio
passato del verbo shucalpir; verbo dalla radice chiaramente
quechua suffissato e coniugato, però, come se fosse un verbo
spagnolo.
SHUCUCUY: Mulinello.
SHILLPI: cencioso.
SINCHI: Reparto della Guardia Civile peruviana specializzato in
azioni di anti-terrorismo.
SIRGUILLO: canarino selvatico. WAYRA: Vento.
SUPAYHUASI: Inferno. Da Supay (diavolo) e Huasi (casa, nascon-
diglio, tana).
TAHUANTINSUYU: letteralmente «Impero delle quattro parti»
era il nome ufficiale dell’entità statale Incaica.
TAITA: padre. Come nel caso dei suoi derivati «taitito» o «taytacha»
e degli equivalenti spagnoli «papito» e «padre», rappresenta una
formula di cortesia con cui ci si rivolge a persone più anziane o
degne di grande rispetto. Uguale funzione è svolta al femminile
dai termini «mamita» o «mamacha».
TAMBO: deposito di granaglie ed altre semenze situati lungo le
strade dell’antico impero incaico e presso i quali si approvvigio-
navano i funzionari imperiali per rifornire le proprie zone.
TANKAR KISHKA: Berberis Weberbauer Pianta spinosa ad uso
cerimoniale molto diffusa nelle ande.
TARUKA: Cervo
TAYANCA: Baccharis Buxifolia. Arbusto sempreverde che cresce
nelle pietraie o lungo i pendii.
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TEMPLE: Valle calda della cordigliera andina
TERRUCO: terrorista
TINYA: Specie di tamburo.
TOCHES: Quechuizzazione della parola «Tombos», espressione
gergale per indicare i poliziotti.
TOTORA: pianta acquatica simile al giunco
TRUPPAKUNA: in originale «tropakuna», parola composta, forma-
ta dalla spagnolo «tropa» « ed il suffisso quechua «–kuna», con il
quale si forma il plurale.
TUCO: Gufo
TUTAYAQ UKHUMAN: Sorta di limbo andino riservato alle anime
dei bambini appena nati.
USHNO: monte a forma di altare.
URPAY HUÁCHAC: Moglie di Wiracocha. Dea protettrice degli
uccelli
YACANA: costellazione del Lama.
YACHACUY: Insegnare, addestrare, istruire. Qui indica il rito di
iniziazione sessuale di origine incaica celebrato come offerta nei
confronti della madre terra.
YANA UMA: Testa nera. Nome che veniva dato dai terroristi ai
soldati, per il fatto che indossavano un berretto nero e per altre
caratteristiche del loro vestiario.
YAU: salve, ciao.
YAWAR MAYU: Fiume di sangue
WAKCHITA:orfanella.
WAMANERO: Officiante del culto dei wamani.
WAMANI: Dio montagna.
WAÑUY MAYU: Fiume del dolore.
WARMI: Donna
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WIÑAYPACHA: Universo.
WIRACOCHA: Divinità principale della mitologia incaica.
WIKU: Malattia che colpisce le fasce muscolari e le ossa.
ZAMBO: tipo fisico risultante dall’unione di un genitore indio e di
uno negro.
ZARAMAMA: Divinità. Madre del mais.
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EDIZIONI GORÉE
NARRATIVA
COLLANA I CALANCHI
COLLANA INGRANDIMENTI
Improvvisazione poetica
1. Cinzia Fia (a cura di), Albanesi e kosovari e molti altri nella scuola di
Monteroni d’Arbia
2. Luciano Giannelli (a cura di), La ricchezza multiculturale del territo-
rio
3. Edoardo Balletta, Tu svástica en las tripas. Corpo e storia in Néstor
Perlongher
STORIE E IMMAGINI
Printed in Italy