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by GIANDO-72

Riassunto
DIRITTO INTERNAZIONALE
B. CONFORTI
______________________________________________________

INTRODUZIONE

1. DEFINIZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE


− Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati.
− Si tratta di un complesso di norme che nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano
al di sopra di ogni stato.
− il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca
perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il diritto
internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e viene
continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali.
− E' pertanto opportuno distinguere la definizione formale (nel senso che crea obblighi e
diritti per gli Stati) da quella materiale (nel senso che regola i rapporti interindividuali, cioè
interni alle singole comunità statali).
− Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale
privato. In realtà bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso
ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il diritto internazionale privato è formato da
quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va
applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto privato
straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge 218/95.
2. PRODUZIONE, ACCERTAMENTO E ATTUAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Anche nell'ordinamento internazionale troviamo tre funzioni: 2. la funzione di accertamento del
diritto 3. la funzione di attuazione coattiva delle norme.
− La Funzione Normativa:
ƒ Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distinguere tra diritto internazionale
generale e diritto internazionale particolare, ossia tra le norme che si indirizzano a tutti
gli Stati e quelle che vincolano solo una ristretta cerchia di soggetti.
ƒ L'articolo 10 della Costituzione italiana fa riferimento alle norme di diritto internazionali
generalmente riconosciute.
ƒ Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formano nella comunità
internazionale attraverso l'uso. La caratteristica di questo tipo di norme è che, a
differenza degli ordinamenti interni, è la fonte primaria ed ha dato luogo ad uno scarso
numero di norme.
ƒ Possiamo trovare comunque norme strumentali (come quelle che regolano i requisiti di
validità ed efficacia dei trattati) e quelle materiali (che impongono direttamente obblighi
e riconoscono diritti).
ƒ Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sono invece i trattati (o patti,
accordi, convenzioni) che vincolano solo gli Stati contraenti. Il trattato è subordinato alla
consuetudine come il contratto è subordinato alla legge.
ƒ Al di sotto dei trattati troviamo un'altra fonte: i procedimenti previsti da accordi: essi
traggono la loro forza dai trattati internazionali che li prevedono e vincolano solo gli
Stati aderenti ai trattati stessi. In questa categoria rientrano molti atti delle

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organizzazioni internazionali, ossia delle varie associazioni fra Stati, come l'ONU, le tre
Comunità Europee etc.
ƒ In realtà le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi e lo strumento di
cui si servono è la raccomandazione, che non è vincolante, ma ha valore di mera
esortazione.
1. la funzione di accertamento giudiziario:
ƒ (arbitrato) nell'ambito della comunità internazionale prevale una funzione arbitrale, che
poggia sull'accordo tra le parti. Ciò che quindi è l'eccezione nel diritto interno, diventa la
regola nell'ordinamento internazionale.
2. la funzione di attuazione coattiva delle norme.
ƒ Per quanto attiene invece ai mezzi che vengono utilizzati per assicurare coattivamente
l'osservanza delle norme e reprimerne le violazioni, entriamo nella categoria delle forme
dell'autotutela (altra diversità dal diritto interno).
− Il diritto internazionale è vero diritto? Ci si chiede se il diritto internazionale sia in realtà
un vero diritto e quali argomenti si possano addurre per dimostrare la sua obbligatorietà. 3
strumenti:
ƒ il diritto internazionale deve passare attraverso i giudici interni che devono applicarlo e
quindi farlo rispettare;
ƒ l'articolo 10 della Costituzione italiana impegna al rispetto delle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute;
ƒ infine i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sono oggetto di una legge
ordinaria che ne ordina l'applicazione..
3. I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE (*)
− Se definiamo il diritto internazionale come il diritto della comunità degli Stati, bisogna
specificare cosa intendiamo per Stato,
− Stato-comunità: un insieme di individui che si stanzia su una porzione di superficie
terrestre ed è sottoposta a delle regole.
− Stato-organizzazione. è costituita dall'insieme di governanti, cioè degli organi che
esercitano sui singoli associati il potere di imperio.
− La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta allo Stato-organizzazione, allo
Stato-apparato.
− Sono infatti gli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionali,
sono loro i destinatari delle norme internazionali materiali e sono sempre loro che
rispondono per eventuali violazioni delle norme internazionali. Ovviamente, quando
parliamo di organi statali facciamo riferimento a tutti gli organi, sia quelli del potere centrale
che quelli del potere periferico.
− Lo Stato-organizzazione deve presentare però dei requisiti per poter essere considerato
tale:
ƒ Il primo è l'effettività del proprio potere su di una comunità territoriale. Pertanto la
qualifica di soggetto internazionale deve essere negata ai Governi in esilio, le
organizzazioni o fronti, o comitati di liberazione internazionale che abbiano sede in un
territorio straniero, dove hanno costituito una sorta di organizzazione di governo.
ƒ il secondo requisito è l'indipendenza o sovranità esterna. In tal senso non sono
soggetti del diritto internazionale gli Stati federati di Stati federali (perché, anche se
talvolta possono essere autorizzati dalla Costituzione federale a stipulare accordi con
Stati terzi, devono normalmente avere il consenso del Governo centrale), né le
Confederazioni che è un'unione fra Stati perfettamente indipendenti e sovrani, creata in
genere per scopi di difesa.

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ƒ Il requisito dell'indipendenza deve essere inteso in senso formale: è indipendente uno


stato il cui ordinamento è originario, cioè tragga la sua forza giuridica dalla propria
Costituzione e non da quella di un altro Stato.
− Quando ricorrono i due requisiti, l'organizzazione di governo acquista la qualità di soggetto
internazionale automaticamente: non è necessario il riconoscimento.
− Il riconoscimento, come anche il non-riconoscimento, è un atto meramente lecito che
attiene alla sfera della politica ma non producono conseguenze giuridiche. Generalmente
infatti il riconoscimento da parte degli Stati preesistenti serve per giudicare se il nuovo Stato
"meriti" o meno la soggettività per stipulare alleanze o altri rapporti.
− Quando si richiedono altri requisiti come quello che il nuovo Stato non debba costituire
una minaccia per la pace e la sicurezza per la pace, che il suo Governo goda del consenso
del popolo e che non violi i diritti umani, questi non sono necessari ai fini dell'acquisto
della soggettività internazionale, ma servono soltanto per valutazioni politiche degli altri
Stati per valutare se stringere rapporti d'amicizia.
− Sembra risolto anche il problema della soggettività del Governo insurrezionale: gli insorti
non sono soggetti del diritto internazionale e il Governo c.d. legittimo potrà prendere i
provvedimenti che reputa più opportuni (fatti salvi i movimenti di liberazione nazionale). Se
tuttavia i ribelli nel corso della guerra civile riescono a dare vita ad un'organizzazione di
governo che controlla effettivamente una parte del territorio, la personalità non può negarsi.
− Una parte della dottrina parla di una personalità limitata degli individui, perché destinatari di
molte norme e convenzioni che riconoscono loro diritti e poteri di azione. In realtà si
contesta anche la natura dei diritti e degli obblighi internazionali, perché destinatari delle
norme sarebbero sempre e solo gli Stati.
− Piena personalità bisogna poi riconoscere alle organizzazioni internazionali, ossia alle
associazioni tra Stati. La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha affermato:
"L'organizzazione internazionale è un soggetto di diritto internazionale, vincolato, in quanto
tale, da tutti gli obblighi che gli derivano da regole generali del diritto internazionale, dal
suo atto costitutivo e dagli accordi di cui è parte".

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PARTE PRIMA
LA FORMAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI

4. IL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE. LA CONSUETUDINE E I SUOI


ELEMENTI COSTITUTIVI
4.1 Le Consuetudini: norme generali del diritto internazionale che vincolano tutti gli
Stati. (*)
− Def: è un comportamento costante e uniforme tenuto dagli Stati, accompagnato dalla
convinzione dell'obbligatorietà del comportamento stesso.
− Due sono quindi gli elementi costitutivi: la diuturnitas (o meglio la "prassi") e l'opinio
iuris sive necessitatis. Questa impostazione cosiddetta "dualistica" non ha trovato
unanimità di consensi, ma è stata criticata per aver considerato il secondo elemento
come necessario.
− In altre parole, per potersi parlare di consuetudine basterebbe soltanto la prassi
costante e uniforme, perché altrimenti si ammetterebbe anche la consuetudine nata
dall'errore (opinio iuris).
− Tuttavia la prassi dei Tribunali internazionali e la giurisprudenza interna sembrano
orientati verso l'impostazione dualistica. Inoltre gli Stati, per evitare che la sola prassi
crei diritto, dichiarano che un comportamento che stanno tenendo è determinato da
mere ragioni di cortesia e non può essere considerato come capace di creare una norma
o addirittura una desuetudine.
− Quello che dobbiamo sottolineare è che, almeno al momento della formazione della
consuetudine, un comportamento non è sentito come giuridicamente vincolante, bensì
come socialmente dovuto. E se mancasse l'elemento della opinio iuris sarebbe
impossibile distinguere una consuetudine produttrice di norme giuridiche da un atto di
mera cortesia, di cerimoniale o da un mero "uso".
− L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamento di uno Stato sia
diretto a modificare o abrogare una determinata consuetudine attraverso la formazione
di una desuetudine, dal comportamento che costituisce invece un illecito
internazionale.
4.2 Tempo di formazione della consuetudine.
Non si presenta a soluzioni precise e univoche. Il tempo può essere più breve quanto più
diffuso un certo contegno tra i membri della comunità internazionale
4.3 Atti dello Stato formativi della consuetudine
Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organi statali e non solo i detentori del
potere estero. Possono concorrere pertanto non solo atti "esterni" degli Stati (trattati, note
diplomatiche, comportamenti in seno ad organi internazionali), ma anche atti "interni"
(leggi, sentenze, atti amministrativi), senza alcun ordine di priorità. Sicuramente un ruolo
decisivo è svolto dalla giurisprudenza interna, con particolare riguardo alle corti supreme.
4.4 Problema degli Stati nuovi
− Poiché le consuetudini creano diritto generale, vincolano tutti gli Stati,
indipendentemente dalla loro partecipazione alla sua formazione. Questo problema si è
posto con particolare riguardo per gli Stati nuovi che sono nati dal processo di
decolonizzazione: il diritto consuetudinario esistente si era formato in epoca coloniale
e rispondeva ad esigenze ed interessi del tutto contrastanti da quelli emergenti
(pensiamo ai settori del diritto internazionale economico, al diritto internazionale
marittimo).
− La soluzione del problema viene posta nei seguenti termini:

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− se la contestazione proviene da un singolo Stato ("persistent objector"), questa è da


considerarsi irrilevante. Non occorrerebbe neanche la prova dell'accettazione della
norma consuetudinaria perché altrimenti si configurerebbe come accordo tacito,
negando la stessa idea di diritto internazionale generale. Inoltre è stato dimostrato che
generalmente il persistent objector non rivendica l'inopponibilità nei suoi confronti
della norma, ma tenta di impedire la sua formazione o di negare che si sia formata.
− Se la contestazione, invece, proviene da un gruppo di Stati non può essere ignorata: in
tal caso non solo non è opponibile ai Paesi che la contestano, ma non si può neanche
considerare come norma consuetudinaria esistente.
4.5 La consuetudine come diritto spontaneo
4.6 Le consuetudini particolari (*)
− Le consuetudini particolari si riferiscono a quelle regionali o locali. La loro figura è
certamente da ammettersi e la sua applicazione più rilevante è fornita, più che dalle
norme a carattere regionale, dal diritto non scritto che può formarsi per modificare o
abrogare le regole poste da un determinato trattato: in altre parole, accade che le parti
che stipulano un accordo diano inizio ad una prassi che modifica le norme a suo tempo
pattuite.
− Anche questo tipo di consuetudini devono considerarsi un fenomeno di gruppo. Non
costituiscono consuetudini particolari, invece, i casi di uniformità di contegni tra un
certo numero di Stati non legati da trattato o da vincoli geografici o di altra natura.
4.7 Applicazione analogica del diritto consuetudinario
L'analogia è una forma di interpretazione estensiva, che consiste nell'applicare una norma
ad un caso che essa non prevede, ma i cui caratteri essenziali siano analoghi a quelli del
caso previsto. Nell'ambito del diritto consuetudinario, il ricorso all'analogia ha senso solo
con riguardo alle fattispecie nuove.
5. I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI
5.1 L'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia
− annovera tra le fonti del diritto internazionale i principi generali di diritto riconosciuti
dalle Nazioni civili. Secondo la comune interpretazione di quest'articolo, detti principi
si collocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e sarebbero
applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie applicabili al caso
concreto.
− Costituirebbero così, secondo questa impostazione, una sorta di analogia iuris,
esprimibile con principi come: ne bis in idem, nemo iudex in re sua, in claris non fit
interpretatio.
− In realtà esiste una notevole varietà di opinioni in merito: alcuni dicono che non si
trattano affatto di norme giuridiche internazionali, altri affermano la natura
integratrice, altri ancora li collocano al vertice della gerarchia delle fonti. Ma poi cosa
bisogna intendere con principi delle "Nazioni civili"?
5.2 Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili e giudici interni
ƒ devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli Stati
ƒ devono essere sentiti come obbligatori.
− Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di norme consuetudinarie
internazionali. Secondo una simile impostazione allora non sarebbero principi destinati
a colmare soltanto le lacune del diritto internazionale; il loro rapporto sarebbe invece il
normale rapporto tra norme di pari grado: la norma posteriore abroga quella anteriore e
la norma speciale deroga quella generale.

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− Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto


internazionale generale comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa, per
violazione dell'articolo 10: tale illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di
contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili.
6. ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE: I PRINCIPI
6.1 Principi costituzionali
− Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme consuetudinarie un'altra categorie
di norme generali non scritte: i principi.
− Si è così sostenuta l'esistenza di una serie di principi "costituzionali" dell'ordinamento
internazionale. Secondo il QUADRI, vigoroso sostenitore di questa teoria, i principi
costituirebbero le norme primarie del diritto internazionale, in quanto "espressione
immediata e diretta della volontà del corpo sociale".
− Tra questi principi esisterebbero quelli formali, che si limitano a istituire ulteriori fonti
di norme internazionali, e quelli materiali, che disciplinerebbero direttamente i rapporti
tra gli Stati.
− I principi formali sarebbero “consuetudo est serranda” e “pacta sunt serranda”. I
principi materiali potrebbero avere qualsiasi contenuto a secondo della materia che si
disciplina.
− Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruire principi materiali
indipendentemente dall'uso e ricostruirli fino alle estreme conseguenze, perché si
aprirebbe la strada all'abuso.
− Inoltre l'interprete interno, dovendo stabilire quali norme internazionali generali siano
da applicare in Italia ex art.10 Cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi
siano "imposizioni" in una determinata materia da parte delle forze dominanti nella
comunità internazionale.
6.2 Equità
− Si discute se l’equità sia fonte di norme internazionali definita come il comune
sentimento del giusto e dell'ingiusto.
− Si ritiene che a parte la c.d. equità secundum o infra legem, ossia la possibilità di
utilizzare l'equità soltanto come ausilio interpretativo e a parte quando un tribunale
internazionale sia espressamente autorizzato a giudicare ex aequo et bono, la risposta
deve essere negativa.
− Ovviamente sarà da escludere l'equità contra legem, contraria cioè a norme
consuetudinarie o pattizie, oltre che quella praeter legem, diretta a colmare le lacune
del diritto internazionale.
7. IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE
7.1 Norme Internazionali Generali Scritte
− Bisogna esaminare il problema se esistano o meno. E questo problema si pone
innanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni Unite.
− L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella comunità
internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il Trattato è l'unico strumento
per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto.
7.2 Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite
− L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che l'Assemblea Generale
intraprenda degli studi e faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del
diritto internazionale e la sua codificazione.
− A tali fini l'Assemblea ha creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere
alla preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a

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determinate materie, procedendo a studi, raccogliendo dati e predisponendo in tal


modo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi adottati e
aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi.
7.3 Convenzioni di codificazione e Stati Terzi
− Il primo problema che si pone è se, vista la codificazione e la ratifica, vincolano
soltanto gli Stati contraenti o anche gli Stati terzi?
− Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di codificazione come
corrispondenti al diritto consuetudinario generale e soprattutto nell'estenderli ai Paesi
non contraenti.
− Innanzitutto non si può riporre un'illimitata fiducia nei lavori della Commissione di
diritto internazionale delle Nazioni Unite, perché spesso ci può essere l'influenza
dell'interprete o anche di chi è chiamato a far parte della Commissione stessa.
− Inoltre gli Stati fanno quello che si fa sempre in sede di conclusione delle trattative per
la conclusione degli accordi internazionali: cercano di far prevalere i propri interessi,
le proprie convinzioni.
− Infine, l'art. 13 parla di "sviluppo progressivo" ma si rischia di far introdurre norme
che erano abbastanza incerte sul piano del diritto internazionale.
− Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno considerati come normali
accordi internazionali e quindi vincolano i soli Stati contraenti che li ratificano.
7.4 Ricambio delle norme codificate
− Un grosso problema si creerebbe al verificarsi del fenomeno del c.d. ricambio delle
norme contenute dall'accordo.
− Ammesso che l'accordo di codificazione sia coincidente con il diritto internazionale
consuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibile che in epoca
successiva il diritto consuetudinario subisca dei cambiamenti per effetto della mutata
pratica degli Stati.
− Si può anche verificare anche il fenomeno dell'invecchiamento dell'accordo di
codificazione man mano che gli interessi mutano e i rapporti si evolvono, come anche
dimostrato dal diritto dei trattati.
− Che succede allora? Innanzitutto questo fenomeno riconferma la tesi che a maggior
ragione i principi non si possono applicare agli Stati non contraenti, mentre per gli
Stati contraenti sarà necessario dimostrare che essi abbiano la volontà di derogare
all'accordo nella prassi, altrimenti si applica il diritto consuetudinario contenuto
nell'accordo.
8. LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL'ASSEMBLEA DELL'ONU
8.1 Dichiarazioni di principi emanate dall'Assemblea delle Nazioni Unite
− Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche il problema del valore
delle Dichiarazioni di principi emanate dall'Assemblea delle Nazioni Unite.
− Si tratta di dichiarazioni contenenti una serie di regole che talvolta riguardano i
rapporti tra Stati, ma spesso i rapporti interni alle varie comunità Statali, come i
rapporti dello Stato con i propri sudditi o con gli stranieri.
8.2 Carattere non vincolante delle Dichiarazioni
− Bisogna innanzitutto sottolineare che le Dichiarazioni non costituiscono un'autonoma
fonte di norme internazionali generali, poiché l'Assemblea generale delle Nazioni
Unite non ha poteri legislativi mondiali (tanto che si esprime mediante
raccomandazione, che ha valore di esortazione, non vincolante).
− Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante ai fini dello sviluppo
internazionale e al suo adeguamento alle esigenze di solidarietà e di interdipendenza.

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− Per quanto riguarda il diritto consuetudinario, le Dichiarazioni vengono in rilievo, ai


fini della sua formazione, in quanto prassi degli Stati, in quanto somma degli
atteggiamenti degli Stati che le adottano, e non come atti dell'ONU.
8.3 Le dichiarazioni come accordi
− Certe dichiarazioni o parti di Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordi
internazionali: sono quelle che non solo enunciano un principio ma in modo espresso e
inequivocabile ne equiparano l'inosservanza alla violazione della Carta.
− Tuttavia, poiché l'Assemblea non ha poteri interpretativi sovrani che vincolerebbero
tutti gli Stati a quella interpretazione, anche le Dichiarazioni restano delle mere
raccomandazioni, dal punto di vista della Carta.
− Hanno però carattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che le abbiano
approvate e vanno inquadrate come accordi in forma semplificata.
9. I TRATTATI. PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE E COMPETENZA A STIPULARE
9.1 Trattati normativi e trattati-contratto
− Una volta esaurito l'esame del diritto internazionale generale, possiamo passare a
quello del diritto internazionale particolare: i trattati. La terminologia usata per
indicare questa materia è assai vasta: accordo, trattato, patto, convenzione etc. Si parla
di Carta o Statuto per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, scambio di
note per l'accordo risultante dallo scambio di note diplomatiche etc.
− Def.: l'unione o l'incontro della volontà di due o più stati, dirette a regolare una
determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi.
− Anche i trattati possono dar vita sia a norme materiali, cioè a regole che direttamente
disciplinano i rapporti tra destinatari, imponendo obblighi o attribuendo diritti, sia a
norme formali o strumentali, che si limitano cioè ad istituire fonti per la creazione di
ulteriori norme. A questa categoria appartengono i trattati costitutivi di organizzazioni
internazionali, che oltre a disciplinare direttamente certi rapporti tra gli Stati membri,
demandano agli organi sociali la produzione di norme ulteriori.
9.2 Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati
− Come nel diritto interno i contratti sono subordinati alla legge, così i trattati
sottostanno alle consuetudini (pacta sunt servanda). Le Nazioni Unite hanno promosso
l'elaborazione della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, in vigore
dal 27.01.1980 e ratificata anche dall'Italia con legge 112/74.
− Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suo campo di applicazione
non tocca le regole meramente riproduttive delle norme consuetudinarie generali, che,
proprio perché generali, valgono per tutti gli Stati e per tutti i trattati.
− La Convenzione, invece, si applica unicamente ai trattati conclusi tra Stati dopo la sua
entrata in vigore per tali Stati. Ma occorre che gli Stati stipulanti un accordo siano gli
stessi della Convenzione o vale anche se alla conclusione del Trattato partecipano
anche Stati terzi? Generalmente si preferisce questa seconda interpretazione.
9.3 Libertà di scelta del procedimento di formazione del trattato.
− I modi di incontro della volontà degli Stati sono molto liberi nel diritto internazionale
in materia di forma e procedura.
− L'accordo si può perfezionare istantaneamente o al termine di complicate procedure.
Generalmente il procedimento formale o solenne vede la competenza assoluta del
Capo di Stato.
− Il trattato veniva negoziato degli emissari del Sovrano, definiti "plenipotenziari", in
quanto dotati di "pieni poteri", per la negoziazione. I plenipotenziari predisponevano il
testo dell'accordo e lo sottoscrivevano. Seguiva poi la ratifica da parte del Sovrano,

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con cui accertava se i plenipotenziari si fossero effettivamente attenuti al mandato


ricevuto. Alla fine, per portare la volontà del Sovrano a conoscenza delle controparti,
avveniva lo scambio delle ratifiche.
− Abbiamo quindi 4 fasi: negoziazione, firma, ratifica e scambio delle ratifiche.
− La fase di negoziazione
ƒ è tanto più complessa quanto più numerosi sono gli Stati che partecipano alla
negoziazione stessa.
− La firma
ƒ Il negoziato si conclude con la "firma" da parte dei plenipotenziari, ma questa non
comporta ancora nessun vincolo per gli Stati: ha solo valore di autenticazione del
testo predisposto.
− La ratifica (*)
ƒ La manifestazione della volontà dello Stato che si impegna si ha con la ratifica. La
competenza a ratificare è disciplinata dal diritto costituzionale di ogni Stato.
ƒ L'ordinamento italiano all'art. 87 dispone che il Presidente della Repubblica ratifica
i trattati internazionale, previa, quando occorre, l'autorizzazione delle Camere.
ƒ L'art. 80 specifica quali sono le materie per le quali è prevista l'autorizzazione e
deve essere data con legge: trattati che hanno natura politica, o prevedono
regolamenti giudiziari, o comportano variazioni del territorio nazionale o oneri alle
finanze, o modificazioni di leggi.
ƒ Questi due articoli devono essere letti con l'art. 89 Cost., secondo cui nessun atto
del Presidente è valido se non è controfirmato dal ministro proponente che se ne
assume la responsabilità.
ƒ Non sempre le Costituzioni moderne parlano di ratifica. Possiamo trovare anche i
termini come "approvazione", "conclusione" etc.
ƒ Alla ratifica inoltre si equipara l'adesione che si ha, nel caso di trattati
multilaterali, quando la manifestazione di volontà diretta a concludere l'accordo
proviene da uno Stato che non ha preso parte ai negoziati. Ovviamente sarà
necessario che il trattato sia "aperto", ossia che contenga una clausola di adesione.
− scambio delle ratifiche
ƒ Alla ratifica segue lo scambio delle ratifiche o il deposito delle ratifiche. Nel caso
di scambio, l'accordo si perfeziona istantaneamente. Nel caso di deposito, che è la
procedura normalmente seguita per i trattati multilaterali, l'accordo si forma tra gli
Stati depositanti. A volte si può prevedere che il trattato non entri in vigore finché
non si siano raggiunte un certo numero di ratifiche.
9.4 procedimenti particolari di formazione dei trattati
− Questa, abbiamo detto, è la procedura solenne. E' possibile però che gli Stati, godendo
di ampia libertà per la formazione degli accordi, scelgano un'altra forma. La più
diffusa è la forma semplificata, tanto che si parla anche di accordi informali.
− L'accordo che si perfeziona con questa procedura entra in vigore per effetto della sola
sottoscrizione del testo da parte dei plenipotenziari, attribuendo alla firma il valore di
piena e definitiva manifestazione di volontà.
− Ovviamente lo Stato dovrà attribuire questo potere ai plenipotenziari, si dovrà
specificare questo effetto della firma e si dovrà esprimere nel corso della negoziazione
che si intende attribuire questo valore alla firma.
− Rientrano nella categoria degli accordi in forma semplificata anche gli scambi di note
diplomatiche. In questa categoria rientrano tutti gli accordi che, in modo o in un altro,
gli organi dello Stato preposti alle relazioni con gli altri Stati, stipulano senza ricorrere
alla procedura della ratifica, impegnando definitivamente la responsabilità dello Stato.
La competenza a concludere gli accordi in forma semplificata, al pari della

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competenza a ratificare, è regolata dal diritto costituzionale di ciascuno Stato.


Tendenzialmente l'organo è l'Esecutivo.
9.5 Trattati conclusi in violazione di norme interne sulle competenze a stipulare
− Tendenzialmente si escludono sia visioni prettamente internazionalistiche, sia visioni
prettamente interne: gli accordi non sono né sempre validi, né sempre invalidi.
− Ripudiate tali situazioni estreme, la Convenzione di Vienna propone una soluzione
all'art. 46: il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato sia
stato espresso in violazione di una regola di competenza a stipulare del suo diritto
interno non può essere invocato da tale Stato come vizio del suo consenso, a meno che
la violazione non sia manifesta e non concerna una regola del suo diritto interno di
importanza fondamentale; una violazione è manifesta se è obiettivamente evidente per
qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la prassi abituale e in buona fede.
− Noi riteniamo che la violazione di norme interne di importanza fondamentale sia causa
di invalidità del trattato solo quando sull'accordo non si sia pronunciato uno degli
organi cui la Costituzione assegna un potere decisionale effettivo nel procedimento di
stipulazione.
− La parte in cui prevede la buona fede, invece, non sembra da seguire perché risente di
una condizione troppo "diplomatica" del diritto internazionale.
9.6 Accordi conclusi dalle regioni
Le regioni, procuratosi il previo assenso del Governo centrale, possono stipulare non solo
intese di rilievo internazionale, ma addirittura “accordi in senso proprio”, tali da
“impegnare la responsabilità dello Stato” non rientranti nel citato art. 80 della Costituzione
9.7 Accordi stipulati dalle organizzazioni internazionali (*)
− Nella prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degli accordi stipulati
dalle organizzazioni internazionali, sia fra loro, sia con Stati terzi.
− Probabilmente il potere di concludere trattati è da considerare la manifestazione più
saliente della personalità giuridica internazionale delle organizzazioni.
− Il Trattato istitutivo dell'organizzazione stessa deve disciplinare quali sono gli organi
competenti a stipulare e quale sia la competenza per materie.
− Una violazione grave delle norme statutarie sulla competenza a stipulare può
comportare l'invalidità dell'accordo. Poiché, però, le norme contenute nel Trattato
istitutivo sono modificabili dalla consuetudine, la competenza a stipulare può anche
risultare da regole consolidatesi nella prassi dell'organizzazione, purché si tratti di
prassi certa, ossia seguita dagli organi e accettata dagli Stati membri e sempre che non
ci sia un organo giudiziario incaricato di vegliare sul rispetto del trattato.
10. INEFFICACIA DEI TRATTATI NEI CONFRONTI DEI TERZI E INCOMPATIBILITÀ
10.1 Inefficacia dei Trattati nei confronti di Stati terzi
− La caratteristica del diritto pattizio è che fa legge tra le parti e solo tra le parti. Se il
trattato contiene una clausola di adesione, cioè è aperto, altri Stati, che non hanno
partecipato ai negoziati, vi possono comunque aderire a pieno titolo mediante una loro
dichiarazione di volontà. In tal modo la posizione degli Stati aderenti non differirà
giuridicamente da quella degli Stati originari, se non per il semplice fato che non
hanno partecipato alla formazione dell'accordo.
− Può verificarsi, però, che la clausola di adesione manchi e che la convenzione crei
diritti in suo favore o obblighi a suo carico. Anche in questo caso sarà necessario
dimostrare che gli obblighi e i diritti siano in qualche modo accettati dallo Stato: cioè
che il trattato contenga in qualche modo un'offerta e dallo Stato terzo provenga
un'accettazione, il che determinerà quel incontro di volontà che è caratteristico

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dell'accordo. Fuori da questi casi non potrà che applicarsi il principio di inefficacia dei
trattati nei confronti degli Stati terzi, non contraenti.
− Le parti possono anche impegnarsi in un contratto a favore di Stati terzi, che quindi
risulti vantaggioso per questi Stati non contraenti. Ma tali vantaggi, finché non si
trasformano in diritti attraverso la partecipazione del terzo all'accordo in uno dei modi
indicati, possono essere sempre revocati dalle parti contraenti. Le parti contraenti se
vogliono negare al terzo i vantaggi pattuiti non hanno bisogno di stipulare un
successivo trattato, ma possono negarli in determinati casi e riconoscerli in altri.
− L'art. 34 della Convenzione di Vienna sancisce, come regola generale, che un trattato
non crea obblighi o diritti per un terzo Stato senza il suo consenso. La stessa regola
vale per un obbligo. Ma mentre il consenso nel primo caso si presume fino a prova
contraria, nel secondo caso deve essere manifestato. Nel caso in cui i contraenti creino
dei vantaggi per lo Stato terzo, possono revocare quando vogliono il "diritto" accettato
dal terzo, a meno che non ne abbiano previamente stabilita in qualche modo
l'irrevocabilità.
10.2 Incompatibilità tra norme internazionali
− Ovviamente un trattato può essere modificato o abrogato da un trattato successivo fra
gli stessi contraenti, cosa succede se i contraenti dell'uno e dell'altro trattato
coincidono solo in parte?
− Si cerca di trovare la soluzione nei principi di successione dei trattati nel tempo e
quello dell'inefficacia dei trattati nei confronti di terzi:
− Fra gli stati contraenti di entrambi i trattati, prevale l'accordo successivo;
− Nei confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei trattati, restano invece integri,
nonostante l'incompatibilità, tutti gli obblighi che da ciascuno di essi derivano.
− Lo Stato contraente di entrambi si troverà, in poche parole, a dover scegliere a quali
impegni tenere fede e rispondere di inadempimento per degli altri.
− La Convenzione di Vienna è orientata in tal senso, ma all'art. 41 precisa che due o più
parti di un trattato non possono concludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure
nei loro rapporti reciproci, quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale,
oppure pregiudica la posizione delle altre parti contraenti oppure è incompatibile con
la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme.
− L'espressione "non possono" è molto ambigua, ma si ritiene che non figuri una causa
di invalidità dell'accordo (perché la disposizione non si colloca nell'ambito delle cause
di invalidità), ma illiceità e responsabilità internazionale.
11. LE RISERVE NEI TRATTATI
11.1 La riserva (*)
− indica la volontà dello Stato di non accettare certe clausole del trattato o di accettarle
con alcune modifiche, oppure secondo una determinata interpretazione (c.d. riserva
interpretativa).
− Così facendo tra lo Stato autore della riserva e gli altri Stati contraenti, l'accordo si
forma solo per la parte non investita dalla riserva, mentre il trattato resta integralmente
applicabile agli altri Stati.
− Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali, soprattutto quello
stipulati da un numero rilevante di Stati.
− Nei trattati bilaterali, lo Stato che non vuole assumere certi impegni deve solo proporre
alla controparte di non includerli nel testo.
− L'istituto della riserva, allora, serve a facilitare la larga partecipazione degli Stati ai
trattati multilaterali.

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− Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità di apporre riserve doveva


essere tassativamente concordata nella fase di negoziazione e quindi doveva figurare
nel testo del trattato predisposto dai plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non aveva
altra alternativa se non quella di ratificare il trattato.
− Due erano i modi per i quali era possibile apporre riserve:
ƒ o i singoli Stati dichiaravano al momento della negoziazione di non voler accettare
alcune clausole,
ƒ oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà di apporre riserve al momento
della ratifica o dell'adesione, e in tal sede ogni Stato valutava se avvalersi o meno
di tale facoltà. In quest'ultimo caso era comunque necessario che il testo
specificasse quali clausole potevano essere oggetto di riserva.
− Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 della Corte Internazionale
di Giustizia affermò che una riserva può essere anche formulata all'atto della ratifica,
anche se la relativa facoltà non è espressamente prevista nel testo del trattato purché
essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato; purché, in altre parole, essa
non riguardi clausole fondamentali e caratterizzanti l'intero trattato, altrimenti non si
configurerebbe neanche l'accordo.
− Il parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della Convenzione di Vienna,
nella quale è codificato il principio che una riserva può essere sempre formulata
purché non sia espressamente esclusa dal testo del trattato e purché non sia
incompatibile con lo scopo e l'oggetto del trattato medesimo. Se la riserva non è
prevista dal testo del trattato e nessuno la contesta entro dodici mesi dalla notifica della
riserva stessa alle altri parti contraenti, essa si intende accettata.
− Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non solo confermato quanto disposto,
ma ha anche portato innovazioni, riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno
Stato formuli le riserve in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva
ratificato il trattato, purché nessuna delle altre parti contraenti sollevi obiezioni contro
il ritardo.
− La tendenza più innovatrice si ricava dalla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti umani: se lo Stato formula una riserva inammissibile (perché espressamente
esclusa dal testo o perché contraria all'oggetto o allo scopo del trattato), tale
inammissibilità non comporta l'estraneità dello Stato stesso rispetto al trattato, ma
l'invalidità della sola riserva che si avrà per non apposta.
− Bisogna però osservare che la giurisprudenza della Corte europea riguarda solo la
Convenzione europea dei diritti umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati è
prematura.
11.2 Competenza a formulare le riserve nell’ordinamento Italiano
− Quando alla formazione della volontà dello Stato concorrono più organi, può darsi che
l'apposizione di una riserva sia decisa da uno, ma non dagli altri. Cosa succede se il
Governo non tiene conto di una riserva decisa dal Parlamento o formula una riserva
che il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche verificati in Italia e le
opinioni dottrinali in merito sono svariate. Alcuni ritengono che il Governo possa
apporre riserve, in quanto gestore dei rapporti internazionali, mentre la tesi opposta,
muovendo da posizioni più garantiste e dalla necessità della collaborazione tra i due
organi, sostiene che il governo non possa apporre riserve non volute dal Parlamento.
− A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto due principi costituzionali
cardine: la formazione e manifestazione della volontà dello Stato e la responsabilità
del Governo dall'altra. Sotto il primo profilo una riserva è valida sia che venga
formulata solo dal Parlamento, sia solo e autonomamente dal Governo.

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− Tuttavia se il Governo decide di discostarsi in tema di riserve da quanto deliberato in


Parlamento, rischierebbe il ricorso dell'organo legislativo ai meccanismi della messa in
gioco della responsabilità governativa.
− Siccome per il diritto internazionale è irrilevante la responsabilità del Governo, ma si
preoccupa della formazione della volontà dello Stato, la riserva resta comunque valida,
tranne nel caso in cui la riserva fosse contenuta nella legge di autorizzazione e di cui il
Governo non tenga conto in cui si verificherebbe una violazione grave del diritto
interno e dovrà ritenersi che lo Stato non resti impeganto per detta parte se e finché il
Parlamento non revochi espressamente o implicitamente la riserva.
12. L'INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI
12.1 Metodo obbiettivistico e subbiettivistico di interpretazione
− Oggi si tende ad abbandonare il metodo c.d. subiettivistico, in base al quale si
renderebbe in ogni caso necessaria la ricerca della volontà effettiva delle parti come
contrapposta alla volontà dichiarata.
− Si deve attribuire al trattato il senso che è fatto palese dal suo testo, che risulta dai
rapporti di connessione logica tra le varie parti del testo. In questo senso i lavori
preparatori assumono un ruolo importante di sussidio, potendosi ad essi ricorrere in
presenza di un testo ambiguo e lacunoso.
− La Convenzione di Vienna si pronuncia a favore del metodo obiettivistico,
pronunciandosi sull'interpretazione agli artt. 31-33. Il trattato deve essere interpretato
in buona fede, secondo il significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel
loro contesto e alla luce dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso.
− I lavori preparatori sono un mezzo supplementare di integrazione, da usare quando il
testo è particolarmente oscuro o porta ad un risultato assurdo e irragionevole.
− Valgono per l'interpretazione dei trattati anche le regole che la teoria generale ha
elaborato per l'interpretazione delle norme giuridiche. Ci riferiamo alle regole
sull'interpretazione restrittiva o estensiva, come quella che tra i diversi significati
occorre scegliere quello più favorevole alla parte più onerata o al contraente più
debole.
− L'interprete può ricorrere ad un'interpretazione estensiva o anche all'analogia.
12.2 Interpretazione unilateralistica.
− La Convenzione di Vienna non avalla interpretazioni unilateralistiche dei trattati. Si
deve pertanto escludere che una norma contenuta in un accordo internazionale, a meno
che ovviamente non disponga essa stessa in tal senso, possa assumere significati
differenti a seconda dello Stato contraente al quale, o all'interno del quale, debba
applicarsi.
− Due regole sono significative: una è quella dell'art. 33 che, nel caso di testi non
concordanti redatti in più lingue ufficiali, impone un'interpretazione che comunque
concili tutti i testi. L'altra è quella dell'art. 31 che è la regola favorevole al metodo
obiettivistico. Non si applicano però le norme interpretative del diritto interno agli
Stati.
13. LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI
13.1 Successione fra stati e mutamenti di sovranità
− Il problema della successione nei trattati si pone quando uno Stato si sostituisce ad un
altro nel governo di un territorio. E' o non è vincolato dai trattati stipulati dal suo
predecessore e in vigore in quel territorio?

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− La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati: per effetto di
cessione o conquista, sotto la sovranità dello Stato esistente oppure si costituisce uno
Stato nuovo e indipendente.
13.2 Convenzione di Vienna del 1978 sulla successione dei trattati.
Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata una Convenzione di codificazione,
predisposta dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite e firmata a
Vienna nel 1978.
13.3 Successione dei trattati localizzabili
− Un principio pacifico per la dottrina e la prassi in materia di successione, enunciato
anche dalla Convenzione, è quello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce
ad un altro nel governo di una comunità territoriale è vincolato dai trattati o dalle
clausole di un trattato localizzabile, cioè che riguardano l'uso di determinate parti di
territorio, conclusi dal predecessore.
− In questa categoria rientrano i trattati che istituiscono servitù attive o passive nei
confronti degli Stati vicini, la concessione in affitto di parti del territorio, i trattati che
prevedono la libera navigazione dei fiumi e simili.
− La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che è comune a tutte le altre
ipotesi in cui il diritto internazionale ammette la trasmissione dei diritti e degli
obblighi pattizi. Tale limite consiste nelle non trasmissibilità degli accordi che abbiano
un prevalente carattere politico, che siano cioè strettamente legati al regime vigente
prima del cambiamento di sovranità.
13.4 Successione dei trattati non localizzabili
− Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior parte. Per questo tipo di
accordi la prassi risulta assai confusa anche perché sempre più spesso la successione
nei trattati del predecessore è regolata mediante accordi tra lo Stato subentrante e le
altre parti contraenti dei precedenti trattati.
− La regola fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non
localizzabili è quella della c.d. tabula rasa: lo Stato che subentra nel governo di un
territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi
dal suo predecessore. La prassi depone in tal senso.
− La Convenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione dalla
situazione di ogni altro Stato che subentri nel governo di un territorio. Mentre per la
prima assume come regola fondamentale quella della tabula rasa, per la seconda
sceglie la regola opposta della continuità dei trattati. Un simile trattamento
differenziato non trova però corrispondenza nel diritto consuetudinario.
13.5 Ipotesi di mutamento di sovranità
− Distacco di parti di territorio
ƒ Il principio della tabula rasa si applica anzitutto nell'ipotesi del distacco di una
parte del territorio di uno Stato.
ƒ Può darsi che la parte di territorio distaccatasi si aggiunga al territorio di un altro
Stato preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco
cessano di avere vigore con riguardo al territorio distaccatosi e si estendono invece
automaticamente gli accordi vigenti nello stato che acquista il territorio.
− Secessione
ƒ Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più Stati nuovi
(secessione).
ƒ Anche in questo caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano
di avere vigore con riguardo al territorio che acquista l'indipendenza. La prassi
relativa agli Stati sorti dalla decolonizzazione ha suggellato tale tendenza.

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L'applicazione del principio della tabula rasa agli Stati nuovi formatisi per distacco
è integrale per quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dal predecessore e
vigenti nel territorio distaccatosi.
ƒ Tali trattati potranno continuare a vivere solo se rinnovati attraverso un apposito
accordo con la controparte.
ƒ La stessa cosa vale per i trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati che non
prevedono la partecipazione, mediante adesione, di Stati diversi da quelli originari:
anche in questa ipotesi sarà necessario un nuovo accordo con tutte le controparti.
ƒ Per i trattati multilaterali aperti, il principio della tabula rasa subisce un
temperamento. Lo Stato di nuova formazione può, anziché aderire, procedere alla
c.d. notificazione di successione: con tale atto la sua partecipazione retroagisce al
momento dell'acquisto dell'indipendenza. In altre parole, mentre l'adesione ha
effetto ex nunc, la notificazione di successione ha carattere retroattivo.
13.6 Smembramento
− Affine all'ipotesi della secessione è il caso dello smembramento. Mentre la secessione
non implica l'estinzione dello Stato che la subisce, la caratteristica dello
smembramento sta proprio nel fatto che uno Stato si estingue e sul suo territorio si
formano due o più Stati nuovi.
− L'unico criterio idoneo a distinguere le due ipotesi è quello della continuità o meno
dell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dello smembramento è da
ammettere quando nessuno degli Stati residui abbia la stessa organizzazione di
governo, lo stesso regime.
− Ai fini della successione nei trattati, lo smembramento deve essere assimilato al
distacco. Si applica il principio della tabula rasa, temperato però dalla regola che per i
trattati multilaterali aperti prevede la facoltà di procedere ad una notificazione di
successione.
13.7 L'incorporazione e la fusione
− Opposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sono l'incorporazione e la
fusione.
− La prima si ha quando uno Stato, estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato; la
seconda quando due o più Stati si estinguono tutti e danno vita ad uno Stato nuovo. La
distinzione è molto sottile e bisogna pertanto riferirsi all'organizzazione di governo che
risulta dall'unificazione.
− All'incorporazione si applica la regola della mobilità delle frontiere dei trattati. I
trattati dello Stato che si estingue cessano di avere vigore, mentre al territorio
incorporato si estendono i trattati dello Stato incorporante. Per i trattati dello Stato
incorporato vale, ancora una volta, il principio della tabula rasa.
− Lo stesso principio regola i casi di fusione: lo Stato sorto dalla fusione, sempre che sia
effettivamente stato nuovo e che non presenti condizioni di continuità per quanto
riguarda l'organizzazione di governo, nasce libero da impegni pattizi.
− Un'eccezione al principio della tabula rasa sia nell'ipotesi di incorporazione che di
fusione, deve ammettersi quando le comunità statali incorporate o fuse, pur
estinguendosi come soggetti internazionali, conservino un notevole grado di
autonomia nell'ambito dello Stato incorporante o nuovo, quando si instauri un vincolo
di tipo federale. In tal caso la prassi si è orientata nel senso della continuità degli
accordi.
13.8 Mutamento di governo

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− Un problema di successione nei trattati si pone anche nel caso si verifichi un


mutamento di governo nell'ambito di una comunità statale, senza che il territorio
subisca ampliamenti o diminuzioni.
− Quando il mutamento avviene per vie extralegali e si instaura un regime radicalmente
diverso, si deve ritenere che muti la persona di diritto internazionale (proprio perché lo
Stato soggetto di diritto internazionale si identifica con l'apparato di governo).
− Opera anche qui il principio della tabula rasa o si ha una successione del nuovo
Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore? La prassi sembra orientata in
questo secondo senso, eccezion fatta per i trattati incompatibili con il nuovo regime.
13.9 Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale
− Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti localizzabili. Secondo la
prassi più recente (smembramento dell'URSS e della Cecoslovacchia) il debito deve
essere equamente ripartito tra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i
soggetti creditori.
14. CAUSE DI INVALIDITA' E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI
14.1 Cause di invalidità (*)
− Le cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono molto simili a quelle previste dal
diritto dei contratti, ma la categoria è allargata dalle cause tipiche del diritto
internazionale. La disciplina è contenuta da norme ad hoc e dalle consuetudini che
costituiscono i principi generali di diritto.
ƒ errore essenziale, previsto dall'art. 48 della Convenzione di Vienna, è un fatto,
una situazione che lo Stato supponeva esistente al momento in cui è stato concluso
il trattato e che costituiva una base essenziale del consenso di questo Stato.
ƒ dolo, previsto all'art. 49, comprende anche l'ipotesi della corruzione dell'organo
stipulante (art. 50).
ƒ violenza, che può essere fisica o morale, prevista all'art. 51.
− Cause di estinzione. Il trattato si estingue per una delle seguenti ipotesi:
ƒ condizione risolutiva
ƒ termine finale
ƒ denuncia
ƒ recesso
ƒ inadempimento di controparte
ƒ sopravvenuta impossibilità di esecuzione
ƒ abrogazione ( totale o parziale, espressa o per incompatibilità) mediante accordo
successivo tra le parti
14.2 violenza sullo Stato
− Tra le cause di invalidità rientra anche la violenza esercitata sullo Stato nel suo
complesso. L'art. 52 infatti dispone che è nullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia
stata ottenuta con la minaccia o l'uso della forza in violazione dei principi della Carta
delle Nazioni Unite.
− Si evince facilmente che viene bandito l'uso della forza, ma si ritiene che si tratti della
forza armata, perché nella prassi non ci sono elementi che facciano comprendere
pressioni di altro genere (come le pressioni politiche ed economiche ancorché illecite
che ci sono spesso).
− La violenza sullo Stato è da configurare come causa d'invalidità dei trattati entro limiti
ristretti. Il problema dei trattati ineguali non si risolve sul piano della validità. Si
interpretano in modo equo i trattati in cui la parte non ha un ampio margine di potere
contrattuale, e in modo restrittivo le clausole particolarmente favorevoli agli Stati più
forti.

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14.3 Clausola rebus sic stantibus (*)


− Il trattato si estingue in tutto o in parte se mutano le circostanze esistenti al momento
della stipulazione, purché si tratti di circostanze essenziali, senza cui i contraenti non
avrebbero trattato.
− Per l'antica dottrina è una condizione risolutiva tacita, perché venivano meno le
circostanze a cui si subordinava l'efficacia del trattato.
− Se è espressa, non si creano problemi perché si configura come condizione stabilita
dalle parti.
− Se, invece, non è espressa, la situazione è più delicata: si riconosce tuttavia che il
trattato si estingua solo se le circostanze mutate costituivano la "base essenziale del
consenso dele parti" (art. 62 Convenzione di Vienna). Questo principio sembra essere
la negazione della consuetudine secondo cui pacta sunt servanda.
14.4 Effetti della guerra sui trattati (*)
− Ci si chiede se la guerra sia causa di estinzione o sospensione dei trattati. La regola
classica era orientata nel primo senso.
− La prassi moderna, invece, propone molte eccezioni e temperamenti: si nega l'effetto
estintivo della guerra per i trattati multilaterali, ma la giurisprudenza tende a
considerare estinte quelle convenzioni incompatibili con lo stato di guerra.
− Tuttavia bisogna verificare di volta in volta se la guerra abbia determinato un
mutamento radicale delle circostanze esistenti al momento del trattato (rebus sic
stantibus).
14.5 Automatica operatività delle cause di invalidità e di estinzione.
− Una volta che si è verificata la causa di estinzione o di invalidità, questa opera
automaticamente o è necessario un atto formale di denuncia? Il problema è molto
controverso in dottrina:
− certe cause (termine finale, abrogazione da parte di un accordo successivo etc.)
operano automaticamente.
− altre cause di invalidità e di estinzione (che sono la maggior parte, come i vizi della
volontà o il mutamento sopravvenuto delle circostanze) operano in modo automatico
secondo alcuni, dopo un formale atto di denuncia notificato agli Stati contraenti
secondo altri, resta in vigore finché non si accerta in modo imparziale la causa di
invalidità o estinzione secondo altri ancora.
− Tendenzialmente si esclude l'automaticità quando la causa invalidante o estintiva
consista in fatti difficili da provare o di dubbia interpretazione.
− Denuncia
ƒ Lo scopo della denuncia consiste nella manifestazione della volontà di uno Stato di
sciogliersi una volta per tutte dal vincolo contrattuale.
ƒ La denuncia produce la cessazione del vincolo? La denuncia vincola alla
disapplicazione, ma deve provenire dagli organi competenti a manifestare la
volontà dello Stato sul piano dei rapporti internazionali.
ƒ A tali fini, bisognerà guardare la Costituzione dei singoli Stati: in generale è
l'Esecutivo, ma esistono anche forme di collaborazioni tra Parlamento e Governo.
ƒ Gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla denuncia dello Stato. In caso di
disaccordo sull'effettiva insorgenza della causa di invalidità o estinzione, il trattato
entra in una fase di incertezza sul piano del diritto internazionale.
− Procedura prevista dalla Convenzione di Vienna per far valere l'invalidità e
l'estinzione (artt. 65-68)
ƒ Notifica scritta della pretesa dello Stato agli altri paesi contraenti
ƒ Se, trascorso un periodo non inferiore a tre mesi salvi i casi di urgenza, non
vengono presentate obiezioni, lo Stato può definitivamente dichiarare che il
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Trattato è invalido o estinto, con atto comunicato alle altre parti, sottoscritto dal
Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dal Ministro degli Esteri, o comunque
da una persona munita di pieni poteri in tal senso.
ƒ se invece vengono presentate obiezioni, si cerca una soluzione della controversia
con mezzi pacifici. La soluzione deve pervenire entro 12 mesi
ƒ se passano i 12 mesi inutilmente, si mette in moto una procedura conciliativa che
fa capo ad una commissione formata nell'ambito delle Nazioni Unite che sfocia in
una decisione non obbligatoria, ma esortativa. La pretesa all'invalidità o estinzione
resta paralizzata in perpetuo. I giudici interni non sono mai vincolati e costretti alla
paralisi.
15. LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI: LE NAZIONI UNITE
15.1 Premessa
− non contengono solo regole materiali, ma anche regole strumentali o formali, che
istituiscono cioè ulteriori procedimenti o fonti di produzione di norme.
− Generalmente il compito delle organizzazioni internazionali non è quello di emanare
norme, ma di facilitare la collaborazione tra Stati membri, mediante
raccomandazioni, cioè atti che hanno scarso valore giuridico perché non sono
vincolanti, ma hanno solo valore di esortazione.
− Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere, a seconda dei loro
Statuti, prese a maggioranza o maggioranza qualificata, ma spesso è richiesta
l'unanimità. Recentemente si è affermata la pratica del consensus, che consente
nell'approvare una risoluzione senza una votazione formale, ma con una dichiarazione
(non contestata, ma concertata) dal Presidente dell'organo che attesta l'accordo tra i
membri.
15.2 L'Organizzazione delle Nazioni Unite
− Fondata dopo la seconda guerra mondiale al posto della Società delle Nazioni, la
Conferenza di San Francisco ne elaborò la carta nel 1945. La Svizzera non ne fa parte.
L'art. 7 della sua carta disciplina i suoi organi principali:
ƒ Assemblea generale: ha quasi tutte le competenze (tende a coincidere con la stessa
organizzazione), ma non ha alcun potere vincolante; sono rappresentati tutti gli
Stati e tutti hanno pari diritto di voto.
ƒ Consigli di sicurezza: composto da 15 membri, di cui 5 a titolo permanente [USA,
Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina] che godono anche del diritto di veto. Si
occupa di questioni attinenti al mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale.
ƒ Consiglio economico e sociale: i suoi membri vengono eletti dall'Assemblea
generale per tre anni ed insieme al
ƒ Consiglio di amministrazione fiduciaria è subordinato all'Assemblea generale, di
cui deve seguire le direttive.
ƒ Corte internazionale di giustizia: formata da 15 giudici, ha la funzione di
dirimere le controversie tra Stati, ma ha anche una funzione consultiva (pur
essendo i pareri dei giudici né obbligatori, né vinvolanti su qualsiasi questione
giuridica).
ƒ Segretariato nominato dall'Assemblea generale su proposta del consiglio di
sicurezza, è l'organo esecutivo.
− Le materie di competenza sono vastissime, tanto che è più facile sottolineare che
esulano dalla sfera di competenza dell'organizzazione le questioni interne di uno Stato.
Le aree che le spettano possono essere raggruppate in tre categorie:
ƒ mantenimento della pace;

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ƒ sviluppo delle relazioni amichevoli tra Stati fondatori sul principio di eguaglianza
dei diritti e autodeterminazione dei popoli;
ƒ collaborazione in campo economico, sociale, culturale e umanitario.
− La sua attività principale consiste nell'emanazione di raccomandazioni e nella
predisposizione di progetti di convenzione (soprattutto per l'Assemblea generale che
non è organo legislativo, ma foro di discussione). L'organizzazione è dotata, in rari
casi, anche di poteri vincolanti nei confronti degli Stati membri.
− Secondo l'art. 17 della Carta, l'Assemblea generale ha il potere di ripartire tra gli Stati
membri:
ƒ le spese dell'organizzazione (con una decisione presa a maggioranza di 2/3)
ƒ può esprimere una decisione vincolante sulle modalità e termini per la concessione
dell'indipendenza ai territori sotto dominio coloniale.
− Decisioni vincolanti del consiglio di sicurezza
ƒ Sono previste da talune disposizioni rispetto alla minaccia alla pace, alle violazioni
della pace e agli atti di aggressione.
ƒ Gli artt. 41 e 42 distinguono le misure implicanti e quelle non implicanti l'uso della
forza.
ƒ Il Consiglio può intraprendere azioni di tipo bellico contro uno stato.
ƒ L' art. 41 dispone che il Consiglio di sicurezza decide quali misure non implicanti
l'uso della forza armata debbono essere adottate dagli Stati membri contro uno
Stato che minacci o abbia violato la pace e indica siffatte misure a titolo
esemplificativo, l'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle
comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio e altre e la
rottura delle relazioni diplomatiche.

16. ISTITUZIONI SPECIALIZZATE DELLE NAZIONI UNITE


16.1 Accordi di collegamento tra ONU e Istituti specializzati
− In campo economico e sociale troviamo tutta una serie di organizzazioni internazionali
sia a carattere universale sia a carattere regionale. Alcune si chiamano istituti
specializzati (o istituzioni specializzate) delle Nazioni Unite perché ad esse
subordinate e da esse controllate.
− Il collegamento tra le istituzioni specializzate e le Nazioni Unite nasce da un accordo
che, dal lato dell'ONU, è negoziato dal Consiglio economico e sociale e approvato
dall'Assemblea generale. Il contenuto si ricollega ad uno schema tipico che prevede:
ƒ scambio di rappresentanti;
ƒ osservatori;
ƒ documenti;
ƒ consultazioni in caso di necessità;
ƒ coordinamento dei rispettivi servizi tecnici;
ƒ impegno dell'istituto specializzato a prendere almeno in esame le raccomandazioni
dell'ONU.
− Un'altra caratteristica è l'applicabilità delle norme della carta che si occupano degli
Istituti e che li sottopongono, entro certi limiti, al potere di coordinamento e controllo
dell'ONU, tanto che l'art. 58 abilita l'Assemblea e il Consiglio economico e sociale ad
emanare raccomandazioni al fine di coordinare i programmi e le attività degli Istituti
specializzati.
− Anche gli Istituti specializzati emanano di solito raccomandazioni, oppure
predispongono Progetti di Convenzione. In alcuni casi emanano, a maggioranza,
decisioni vincolanti per gli Stati membri o decisioni che diventano vincolanti se entro
un certo periodo gli Stati non provvedono a ripudiarle.

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− Queste decisioni sono inquadrate tra le fonti previste da accordo, cioè dall'accordo
istitutivo della relativa organizzazione.
16.2 FAO ( Food and Agricultural Organization)
Creata nel 1945, tra i suoi organi: Conferenza (composta da un delegato di ogni Stato
membro) che si riunisce ogni due anni in sessione ordinaria, il Consiglio (composto da 18
membri scelti dalla Conferenza) e il Direttore generale. L'istituzione ha il compito di
ricerca e informazione alla promozione ed esecuzione di programmi di assistenza tecnica e
aiuti nel campo agricolo e alimentare.
16.3 ILO (International Labor Organization)
Creata dopo la prima guerra mondiale, è composta dalla Conferenza generale, formata da
4 delegati per ogni Stato, di cui 2 rappresentano il Governo e 2 rispettivamente i datori di
lavoro e i lavoratori. Le funzioni consistono nell'emanazione di raccomandazioni e nella
predisposizione di progetti di convenzione multilaterale in materia di lavoro. I progetti di
convenzione, approvati con la maggioranza dei 2/3, vengono comunicati agli Stati membri
che restano liberi di approvarli o meno, ma hanno l'obbligo di sottoporli entro un certo
periodo agli organi competenti per la ratifica e di fornire notizie al direttore generale sulla
sorte da essi subita.
16.4 UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization)
Si propone la diffusione della cultura, la promozione dello sviluppo dei mezzi di
educazione all'interno degli Stati membri e l'accesso all'istruzione. I suoi organi sono:
Conferenza generale, Comitato esecutivo e Segretario.
16.5 ICAO (International Civil Aviation Organization)
Si occupa del traffico aereo, dei servizi di comunicazione legati ai segnali di terra, zone
d'atterraggio etc. E' composta da un'Assemblea, in cui ogni Stato possiede un solo voto e
un Consiglio di 21 membri scelti dall'Assemblea. Le sue disposizioni si chiamano
standards internazionali o pratiche raccomandate.
16.6 WHO (World Health Organization)
Organizzazione mondiale della sanità che si preoccupa di adeguare tutti i popoli al livello
più alto possibile di salute.
16.7 IMO (International Maritime Organization)
Si occupa di garantire la sicurezza dei traffici marittimi.
16.8 ITU (International Telecomunication Union), WMO (World Metereological
Organization), UPU (Universal Postal Union)
16.9 IMF (International Monetary Fund), IBRD (International Bank for Reconstruction
and Development), IFC (International Finance Corporation) IDA (Internationale
Development Association)
− Il fondo monetario internazionale e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo
Sviluppo furono creati nel 1994 con gli accordi di Bretton Woods.
− E' presente un Consiglio di Governatori che è l'organo deliberante, ma le sue delibere
non vengono prese in base al principio uno stato/un voto, ma secondo le quote di
capitale sottoscritte e quindi con il peso determinante dei Paesi più ricchi e in
particolare degli USA.
− Si propone la collaborazione monetaria internazionale, la stabilità dei cambi,
l'equilibrio delle bilance dei pagamenti e della concessione di prestiti a breve termine.
La Banca, invece, concede mutui agli Stati membri per investimenti produttivi a tasso
di interesse variabile (a lungo termine).
16.10 IFAD (International Fund for Agricultural Development)

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Contribuisce allo sviluppo, sotto forma di aiuti, dell'agricoltura dei Paesi più poveri con
deficit alimentari notevoli.
16.11 WIPO (World Intellectual Property Organization)
Si occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale.
16.12 UNIDO (United Nations Industrial Development organization)
Dal 1979 è diventato un istituto specializzato a cui competono funzioni di tipo operative
e non normative.
16.13 IAEA (International Atomic Energy Agency)
Sovrintende lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell'energia atomica,
ma non è un istituto specializzato.
16.14 WTO (World Trade Organization)
− Del tutto indipendente dalle Nazioni Unite, vi fanno parte 135 stati. E' composta da
una Conferenza ministeriale, dal Consiglio Generale e dal Segretariato con a capo un
direttore generale.
− Fornisce un forum per lo svolgimento dei negoziati relativi alle relazioni
commerciali multilaterali e tendenti alla globalizzazione del mercato. Tra i più
importanti negoziati, ricordiamo il GATT, in tema di liberalizzazione dei commerci
internazionali.
− In seno a questa organizzazione vale il principio della clausola della nazione più
favorita, ossia dell'automatica estensione a tutte le parti contraenti delle concessioni
fatte a una di esse, sui dazi doganali e le tasse ed imposte su importazioni ed
esportazioni. Può emanare decisioni vincolanti a maggioranza di 3/4 della
Conferenza ministeriale o del Consiglio Generale sull'interpretazione delle norme.
− Ha anche un ruolo fondamentale sulla risoluzione delle controversie nascenti dagli
accordi che ad essa fanno capo.

17. LE COMUNITA' EUROPEE E L'UNIONE EUROPEA


17.1 CEE, CECA ed EURATOM
− sono le organizzazioni internazionali più dotate di poteri decisionali nei confronti degli
Stati che ne fanno parte. Possono emettere atti vincolanti.
− Si tratta di tre organizzazioni distinte a cui appartengono 15 Stati. La CECA fu creata a
Parigi nel 1951, CE (CEE) ed EURATOM nel 1957 con i trattati di Roma. Nonostante
siano separate, hanno organizzazioni comuni.
− La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata in maniera rilevante
modificata da una serie di trattati: l'Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo nel
1986 e il Trattato sull'Unione Europea (Maastricht 1992) che hanno introdotto una
forte integrazione tra gli Stati membri, azioni comuni in ambito di politica estera e
cooperazione degli Stati nel settore della giustizia e degli affari interni. Significative
modifiche sono state inoltre introdotte in materia di cittadinanza europea, nel
rafforzamento del potere del Parlamento e l'unione monetaria (specie con la creazione
della BCE e della moneta unica).
17.2 Cittadinanza europea
− Delle tre organizzazione sicuramente la CEE è la più importante, poiché investe
tutta la vita economica e sociale degli Stati membri. Così, mentre la CECA si
occupa del mercato comune nel settore carbosiderurgico e l'EURATOM nel settore
dell'energia atomica, la CEE sovrintende la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali. Queste rappresentano le 4 libertà fondamentali
dell'Europa e servono per assicurare la libera concorrenza.

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− La maggior parte delle norme del trattato sono ELASTICHE, GENERICHE E


PROGRAMMATICHE
− Si discute sulla natura giuridca delle Comunità Europee: si tratta di vere e proprie
organizzazioni internazionale (visto che ci sono organi con vari poteri) o embrioni di
Stati federali (per la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno)?
17.3 Struttura dell’Unione Europea
− Commissione
ƒ composta da individui e non Stati che non ricevono istruzioni dai governi nazionali
di appartenenza.
ƒ Nella CECA la Commissione è l'organo decisionale effettivo, emana atti vincolanti
che formano la legislazione comunitaria. Il Consiglio ha solo poteri consultivi.
ƒ Nella CEE ed EURATOM vale, invece, il contrario: è il Consiglio l'organo
deliberante, mentre la Commissione ha solo poteri di iniziative ed esecutivi.
− Consiglio.
ƒ E' l'organo che rappresenta i 15 Stati membri e presieduti a turno per 6 mesi.
ƒ Di solito ne fanno parte i ministri.
ƒ Nella CECA ha funzioni prettamente consultive, nella CEE emana gli atti più
importanti della legislazione comunitaria decidendo, secondo i casi, a maggioranza
o all'unanimità.
− Parlamento Europeo.
ƒ Dal 1979 è composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri eletti a
suffragio universale diretto.
ƒ Non è l'organo legislativo della comunità, ma il Trattato di Maastricht gli ha
conferito certi poteri di partecipazioni alla funzioni legislativa. Svolge una
funzione di controllo politico sulle altre istituzioni, mediante l'esame dei rapporti
che gli altri organi sono tenuti a sottoporgli (tranne la Corte di Giustizia).
ƒ Troviamo inoltre procedure di COOPERAZIONE e CODECISIONE. La prima si
applica in materia di trasporti, fondo sociale europeo, ricerca e sviluppo
professionale e l'ultima parola spetta al Consiglio (se il Consiglio è unanime può
anche andare contro il parere del Parlamento in seconda lettura). La procedura di
codecisione si applica nelle materie di circolazione delle persone, libertà di
stabilimento e circolazione di servizi.
ƒ Il Parlamento può bloccare l'azione del Consiglio con una decisione adottata a
maggioranza assoluta dai suoi membri.
− CORTE DEI CONTI. Svolge funzioni di controllo delle entrate e uscite della
Comunità.
− (*) CORTE DI GIUSTIZIA. Veglia sul rispetto dei Trattati e può essere anche adita
dai cittadini europei.
17.4 Legislazione comunitaria
− Da questo quadro, si riesce a capire che in realtà l'organo legislativo è il Consiglio e
che la legislazione comunitaria si caratterizza per essere generica e programmatica.
Tra gli atti vincolanti possiamo trovare:
− DECISIONI: non hanno portata generale ed astratta, ma concreta. Può indirizzarsi sia
ad uno Stato membro, sia ad un individuo, sia ad un'impresa che opera nel territorio
comunitario. Acquistano efficacia non con la pubblicazione, ma con la notifica al
destinatario.
− DIRETTIVE: vincolano lo Stato al risultato da raggiungere, lasciando la scelta di
forma e mezzi nella competenza degli organo nazionali. La direttiva dovrebbe
enunciare principi e criteri generali, ma oggi è sempre più dettagliata, tanto che la

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scelta dello Stato si limita solo alla forma giuridica interna della norma (cioè se
scegliere una legge o un atto amministrativo).
− REGOLAMENTI: hanno portata generale obbligatoria in tutti i suoi elementi ed è
direttamente applicabile. Si tratta di norme generali ed astratte che gli Stati devono
applicare.
17.5 Relazioni esterne alla CE (*)
− Come tutte le organizzazioni internazionali, le Comunità Europee hanno la capacità di
concludere accordi internazionali.
− La competenza è così ripartita: spetta alla Commissione per i negoziati; al Consiglio,
previa consultazione o, in certi casi, previo parere conforme del Parlamento, per la
manifestazione di volontà diretta ad impegnarsi.
− (*) La Corte di Giustizia può dare un parere sulla compatibilità dell'accordo con le
disposizioni del Trattato. Gli accordi stipulati diventano una categoria di atti
comunitari con efficacia vincolante.
− Tra gli accordi troviamo:
ƒ Convenzioni di Associazione che istituiscono un'associazione caratterizzata da
diritti e obblighi reciproci, azioni in comune e procedure particolari
ƒ Accordi commerciali, cioè di politica commerciale comune.
− In questi casi la competenza esclusiva è della Comunità e gli Stati membri non
possono stipulare da soli accordi nelle stesse materie.
− Negli accordi misti possono partecipare sia la Comunità sia gli Stati membri. Se uno
Stato stipula da solo l'accordo senza autorizzazione del Consiglio l'accordo resta
valido, ma si ha violazione del diritto comunitario o causa l'invalidità? Il problema è
ancora aperto.
− (*) La Corte di Giustizia ritiene che esiste un parallelismo tra competenze interne ed
esterne comunitarie: in tutte le materie in cui la Comunità ha, in base al Trattato,
competenza ad emanare atti di legislazione comunitaria, ha anche implicitamente
competenza a concludere accordi con Stati terzi.
− Una volta che la competenza sia stata esercitata all'interno delle Comunità in una
determinata materia, la competenza esterna diventa esclusiva rispetto a quella degli
Stati membri.
− Ne consegue che gli Stati restano liberi di stipulare accordi internazionali finché la
Comunità non abbia legiferato, ma poi perdono tale libertà.
18. IL CONSIGLIO D'EUROPA e L’OSCE
18.1 Consiglio d’Europa
− Dopo la seconda guerra mondiale furono create due organizzazioni: l'OECE
(Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) e l'OCSE (Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), e il Consiglio d'Europa (comprendente
40 Stati).
− Lo scopo di quest'ultimo è quello di conseguire una più stretta unione fra i suoi
membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro
comune patrimonio e di favorire il loro progresso economico e sociale.
− E' composto da:
ƒ COMITATO DEI MINISTRI, composto dai ministri degli Esteri
ƒ ASSEMBLEA CONSULTIVA, composta da rappresentanti dei Parlamenti
nazionali
ƒ SEGRETARIATO (con a capo un segretario generale)
− Predispongo testi di convenzione in materie giuridiche (diritto e procedura penale)

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18.2 La convenzione europea dei diritti dell'uomo


− Fu firmata a Roma nel 1950. Contiene due generi di norme: uno a carattere sostanziale
(in cui è offerto il catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali) e una a carattere
procedurale.
− E' composta da tanti membri quanti sono gli Stati, con un mandato di 6 anni.
− Fino al 1998 svolgeva funzioni istruttorie e di conciliazione sui ricorsi che venivano
presentati sulla violazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente. I ricorsi
erano presentabili da Stati, individui e gruppi di individui.
− Nel 1998 vi fu una riforma: il Comitato dei ministri decide a maggioranza dei 2/3 se
c'è stata violazione e pone un termine entro cui è necessario eliminarla. Questo
sicuramente è un intervento di carattere politico più che giuridico.

19. LE RACCOMANDAZIONI DEGLI ORGANI INTERNAZIONALI


19.1 Effetto della liceità delle raccomandazioni
− Le raccomandazioni sono l'atto tipico delle Nazioni Unite. Non sono vincolanti e per
questo non si possono inserire tra le fonti del terzo tipo e ci si chiede se siano del tutto
improduttiva di effetti giuridici.
− Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. EFFETTO LICEITA': non commette
illecito lo Stato che segue una raccomandazione, andando contro ad impegni già
assunti con accordo o contro il diritto consuetudinario.
− Tale effetto è da ammettere solo nei rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle
raccomandazioni legittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degli organi
del trattato).
− Manca però un organo incaricato di giudicare la legittimità della raccomandazioni o
quelli che l'abbiano approvata senza riserva. Per gli Stati che hanno votato contro o si
siano astenuti, l'effetto liceità è da escludersi.
− Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattati istitutivi di
organizzazione internazionali fa sì che sia illecito il comportamento di uno Stato che
rifiuti di osservare tutta una serie di raccomandazioni. Questa impostazione non è da
condividere perché le raccomandazioni non sono vincolanti e la caratteristica dell'atto
consiste proprio nella funzione esortativa.
20. LA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI
20.1 Gerarchia e rapporti tra consuetudine e accordo
− Norme consuetudinarie (compresi i principi generali di diritto comuni agli
ordinamenti)
− Trattati (obbligatorietà riposta nella consuetudine pacta sunt servanda)
− Fonti previste da accordi (gli atti delle organizzazioni internazionali)
− La consuetudine è molto flessibile, poiché può essere derogata da una fonte inferiore,
nei limiti in cui la consuetudine lo consente. Oggi si parla sempre più di un gruppo di
norme cogenti (ius cogens).
− L'art. 53 della Convenzione di Vienna sancisce la nullità di qualsiasi trattato che, al
momento della sua conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto
internazionale generale.
− Con norma imperativa del diritto internazionale generale si intende una norma
accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo insieme, come
norma a cui non si può apportare nessuna deroga e che non può essere modificata se
non da una norma di diritto internazionale generale dello stesso carattere.
− Il trattato quindi non può derogare le norme cogenti del diritto internazionale.

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− L'art. 64 stabilisce che se una norma imperativa di diritto internazionale generale è in


contrasto con un trattato, questo diventa nullo e si estingue.
− Ma cos'è il diritto cogente? La Convenzione di Vienna non lo dice, né la dottrina riesce
a trovare un criterio di riferimento. Si fa leva sull'art. 103 della Carta dell'ONU: in
caso di contrasti tra gli obblighi contratti dagli Stati membri delle Nazioni Unite con il
presente Statuto e gli obblighi da esse assunti in base a qualsiasi altro accordo
internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente statuto. Oggi il rispetto
della Carta è considerato fondamentale.

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PARTE SECONDA
IL CONTENUTO DELLE NORME INTERNAZIONALI

21. IL CONTENUTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE COME INSIEME DI LIMITI


ALL’USO DELLA FORZA INTERNAZIONALE ED INTERNA DEGLI STATI
− Il contenuto del Diritto Internazionale attuale (in riferimento naturalmente alle norme
materiali) è vastissimo. Tuttavia possiamo senz’altro affermare che si snodi intorno ad un
filo conduttore: insieme di limiti all’uso della forza da parte degli Stati. Forza intesa sia
esternamente che internamente.
− Per forza esterna si intende la forza di tipo bellico ovvero qualsiasi atto che implichi
operazioni militari.
− Definire invece la forza interna è cosa meno semplice dato che consiste nel potere di
Governo esplicato sugli individui e sui loro beni. Possiamo sintetizzare che il potere di
Governo sia costituito da qualsiasi intervento concreto di organi statali, sia avente esso
stesso natura coercitiva sia in quanto suscettibile di essere coercitivamente attuato.
22. LA SOVRANITÀ TERRITORIALE
− La prima e fondamentale norma consuetudinaria in tema di delimitazione del potere di
governo dello Stato è quella della sovranità territoriale: ad ogni Stato è riconosciuto il diritto
di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla comunità territoriale.
− Correlativamente ogni Stato ha l’obbligo di non esercitare in territorio altrui il proprio
potere di governo, ossia di non svolgervi con i propri organi azioni di natura coercitiva o
comunque suscettibili di essere coercitivamente attuate.
− In linea di principio oltre ad essere esclusivo il potere di governo è anche libero. In linea di
principio perchè, nato come assoluto, è andato via via restringendosi con l’affermazione del
Diritto Internazionale moderno. Ad esempio notevoli eccezioni rilevano a proposito del
trattamento di certi stranieri (come agenti diplomatici ecc.). Altri importanti limiti sono
quelli che perseguono valori di giustizia e solidarietà tra i popoli.
− Per quanto riguarda l’acquisto della sovranità territoriale vale il criterio della effettività
del potere di governo. La prassi sembra ancor oggi sostanzialmente orientata nel senso che
l’effettivo e consolidato esercizio del potere di governo su di un territorio comunque
conquistato comporti l’acquisto della sovranità territoriale.
23. L’EROSIONE DEL C.D. DOMINIO RISERVATO E IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI
23.1 Dominio riservato (*)
− Nel corso degli anni si è andato progressivamente erodendo il cosiddetto dominio
riservato (o competenza interna) dello Stato espressione con cui si intende appunto
indicare le materie delle quali il Diritto Internazionale sia consuetudinario che pattizio
si disinteressa e rispetto alle quali lo Stato è conseguentemente libero da obblighi.
23.2 Movimento convenzionale a favore dei diritti umani (*)
− Per quanto riguarda l’ambito dei diritti umani la tendenza è quella di promuovere la
tutela dell’individuo ovunque esso si trovi (v. le Convenzioni internazionali in materia
di cui si è parlato).
− In particolare il diritto consuetudinario indica il divieto delle cosiddette “gross
violations” ossia le violazioni gravi e generalizzate ti taluni diritti, categoria cui si è
soliti riportare quelle pratiche di governo particolarmente disumane ed efferate
(apartheid, genocidio, tortura ecc.). Tra le norme consuetudinarie sui diritti umani va
anche collocato il principio di autodeterminazione dei popoli.
− Numerosi sono i limiti che la sovranità territoriale di uno Stato incontra in ambito
economico. Questi limiti non derivano comunque da norme consuetudinarie ma da
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norme pattizie. I rapporti economici tra i Paesi in sviluppo ed i Paesi industrializzati


debbono essere convenzionalmente regolati.
− Infine molto importante è il problema relativo agli usi “nocivi” del territorio. Secondo
la Convenzione di Stoccolma gli Stati avrebbero il diritto di sfruttare come meglio
credono il territorio con l’obbligo però di non recare danno agli altri Stati.
− La convenzione non ha carattere vincolante e non recita una norma consuetudinaria.
Semmai possiamo dire che si va affermando la prassi secondo la quale lo Stato che si
trovi in un imminente pericolo di recare danno a terzi è obbligato di informare questi
terzi perchè possano provvedere. Tuttavia è diffuso il ricorso a trattati specifichi che
tagliano alla radice il problema stabilendo quali attività non possano essere esercitate o
a quali condizioni ecc.
24. LA PUNIZIONE DEI CRIMINI INTERNAZIONALI
25. I LIMITI RELATIVI AI RAPPORTI ECONOMICI E SOCIALI. LA PROTEZIONE
DELL’AMBIENTE
26. IL TRATTAMENTO DEGLI STRANIERI
26.1 Attacco dello straniero con la comunità territoriale
− Due sono i principi fondamentali in materia di trattamento degli stranieri.
− Il primo principio prevede che allo straniero non possano imporsi prestazioni, e più in
generale non possano richiedersi comportamenti che non si giustifichino con un
sufficiente “attacco” dello straniero stesso con la comunità territoriale.
− In particolare non potranno applicarsi sanzioni penali se non di fronte a reati che
dovunque siano stati commessi presentino un qualche collegamento con lo Stato
territoriale e i suoi sudditi, salvo che si tratti di reati particolarmente efferati, come tali
idonei a turbare la coscienza dell’individuo medio e quindi collegati, in un certo senso,
con qualsiasi comunità territoriale (cosiddetto principio dell’universalità della
giurisdizione penale che copre anche i crimina juris gentium ovvero i crimini contro la
pace e la sicurezza dell’umanità).
− Si badi, infine, che lo Stato “può” ma non “deve” punire e nemmeno ha l’obbligo di
estradizione dell’individuo verso lo Stato che intenda punirlo (a meno che ciò non sia
previsto da un accordo).
− Il secondo principio prevede il principio dell’obbligo di protezione dello straniero
secondo il quale lo Stato deve predisporre misure idonee a prevenire e a reprimere le
offese contro la persona o i beni dello straniero, l’idoneità essendo commisurata a
quanto di solito si fa per tutti gli individui (sudditi quindi compresi) in uno Stato civile,
cioè in uno Stato “il quale provveda normalmente hai bisogni di ordine e sicurezza
della società sottoposta al suo controllo”.
− Chiamasi diniego di giustizia l’eventuale illecito delle Stato in questa specifica
materia.
26.2 Protezione degli investimenti degli stranieri
− Per quanto riguarda la protezione degli investimenti stranieri occorre fare una sintesi
tra le posizioni dei Paesi in sviluppo, tendenzialmente favorevoli all’assoluta libertà
dello Stato territoriale, e le posizioni dei Paesi industrializzati, tendenzialmente
favorevoli alla massima protezione degli investimenti stranieri.
− Circa l’espropriazione e nazionalizzazione di beni stranieri nessuno dubita
dell’assoluta libertà dello Stato di operarle. L’unica importante questione riguarda
l’indennizzo che secondo la corrente di pensiero prevalente sarebbe dovuto.

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− E’ da notare come l’indennizzo venga corrisposto nei modi più vari (es. accordi di
compensazione globale) e che non si possa parlare di illecito internazionale qualora
l’indennizzo non sia corrisposto in ottemperanza di un accordo.
26.3 Rispetto dei debiti pubblici
− A questo stesso tema si riallaccia il problema del rispetto dei debiti pubblici contratti
con gli stranieri dallo Stato predecessore (nei casi di distacco, smembramento ecc.). La
dottrina classica era favorevole alla successione ma il nuovo indirizzo tende a seguire i
principi valevoli per la successione dei trattati ovvero ammette la successione nei
debiti localizzabili.
26.4 Ammissione ed espulsione degli stranieri
− Nessun limite è previsto dal Diritto Internazionale per quanto concerne l’ammissione e
l’espulsione degli stranieri essendo valida in pieno la norma sulla sovranità territoriale
la quale comporta la piena libertà dello Stato di stabilire la propria politica nel campo
dell’immigrazione, permanente o temporanea che sia, e di ordinare a stranieri, o gruppi
di stranieri, di abbandonare il proprio territorio.
− Nel caso dell’espulsione questa deve avvenire con modalità che non risultinoi
oltraggiose nei confronti dello straniero, e che al medesimo straniero debba concedersi
un lasso di tempo ragionevole per regolare i propri interessi ed abbandonare il Paese.
L’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o
trattamenti crudeli, disumani o degradanti obbliga gli Stati a no estradare o espellere
una persona verso Paesi in cui questo rischia di essere sottoposta a tortura.
− L’art. 8 prevede il rispetto della vita privata quando l’espulsione comporterebbe una
ingiustificata e sproporzionata rottura dell’unità famigliare.
− Tuttavia ciò non esclude che tale materia sia oggetto di accordi e quindi diversamente
regolata (convenzioni di stabilimento).
− Le norme contenute negli Artt. 52 ss. del trattato CE mirano ad una quasi totale
parificazione tra cittadini e stranieri nell’ambito dell’area comunitaria e con riguardo ai
sudditi degli stati membri
− La “cittadinanza europea” prevede di circolare liberamente nell’ambito dell’Unione
Europea, di partecipare alle elezioni locali del Paese in cui risiede e di votare per i
rappresentanti del Parlamento Europeo.
− Nel caso in cui uno Stato non rispetti le norme sul trattamento degli stranieri, lo Stato
cui lo straniero stesso appartiene può esercitare la cosiddetta “protezione diplomatica”.
Questa consiste nella difesa sul piano internazionale del suo suddito: esso potrà agire
con proteste, minacce di contromisure contro lo Stato territoriale, proposte di arbitrato
o, quando è possibile, ricorso ad istanze giurisdizionali internazionali, al fine di
ottenere la cessazione della violazione ed il risarcimento a del danno causato al proprio
suddito.
− Fermo restando che per arrivare a questo debbono essersi esaurite tutte le procedure
che lo straniero ha a disposizione nell’ambito dell’ordinamento dello Stato territoriale
secondo la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni.
− Inoltre, siccome lo Stato non agisce come rappresentante o mandatario dell’individuo,
può sempre rinunciare.
− Va notato che l’istituto della protezione diplomatica è oggetto di contestazioni,
limitatamente ai rapporti economici facenti capo a stranieri, da parte degli Stati in
sviluppo. Questi si rifanno alla dottrina Calvo secondo la quale le controversie in tema
di trattamento degli stranieri sarebbero esclusiva competenza dei Tribunali dello Stato
locale (e questi paesi introducono spesso nei contratti con imprese straniere questa
clausola).

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− La protezione diplomatica può essere esercitata a favore di un individuo o di una


persona giuridica come una società commerciale. In quest’ultima ipotesi rileva il
problema della sua nazionalità. Gli indirizzi della dottrina sono essenzialmente due:
uno che guarda allo Stato dove si trova la sede principale e l’altro che guarda alla
nazionalità della maggioranza dei soci. La prima ipotesi è la più accettabile.
27. IL TRATTAMENTO DEGLI ORGANI STRANIERI, PARTICOLARMENTE DEGLI
AGENTI DIPLOMATICI
27.1 Immunità diplomatica
− Particolari limiti alla potestà di governo nell’ambito del territorio sono previsti dal
diritto consuetudinario per quanto riguarda gli agenti diplomatici. Essi si concretano
nel rispetto delle cosiddette immunità diplomatiche che riguardano gli agenti
diplomatici presso lo Stato territoriale e accompagnano l’agente dal momento in cui
esso entra nel territorio di tale Stato per esercitarvi le sue funzioni fino al momento in
cui ne esce.
− Le immunità riguardano gli agenti diplomatici accreditati presso lo Stato territoriale e
accompagnano l’agente nel momento in cui esso entra nel territorio di tale Stato per
esercitarvi le funzioni fino al momento in cui ne esce.
− La presenza dell’agente è, come quella di qualsiasi straniero subordinata alla volontà
dello Stato territoriale che esplica attraverso il gradimento (che precede
l’accreditamento) e, per quanto riguarda l’espulsione, attraverso la cosiddetta consegna
dei passaporti e l’ingiunzione a lasciare, entro un certo tempo, il Paese.
− Le immunità diplomatiche sono le seguenti:
ƒ Inviolabilità personale: l’agente diplomatico deve essere innanzitutto protetto
contro le offese alla sua persona mediante particolari misure preventive e
repressive. L’inviolabilità personale consiste anche e soprattutto nella sottrazione
del diplomatico straniero a qualsiasi misura di polizia (fermo, arresto ecc.).
ƒ Inviolabilità domiciliare: intendendosi per domicilio sia la sede della missione
diplomatica sia l’abitazione privata dell’agente diplomatico.
ƒ Immunità dalla giurisdizione penale e civile: bisogna distinguere fra atti compiuti
dal diplomatico in quanto organo dello Stato e atti da lui compiuti come privato.
Nel primo caso tali atti non sono a lui imputabili bensì al suo Stato e non possiamo
neanche parlare di vera e propria immunità (cosiddetta immunità funzionale). Nella
seconda ipotesi invece esiste una vera e propria immunità processuale nel senso
che il diplomatico finché esplica la sua funzione non può essere processato.
ƒ Immunità fiscale: sussiste solo per le imposte dirette personali.
27.2 Persone a cui spettano le immunità diplomatiche
− Ci siamo sempre riferiti a agenti diplomatici. In questa categoria vanno compresi i capi
missione, tutto il personale diplomatico delle missioni, le famiglie degli agenti e di
coloro che fanno parte di questo personale.
− Le suddette immunità spettano anche ai Capi di Stato, di Governo e ai Ministri quando
si recano all’estero in forma ufficiale. Per qualsiasi altro organo statale il Diritto
Internazionale non prevede nessuna immunità salva quella funzionale.
27.3 Immunità e crimini internazionali
− L’immunità della giurisdizione ratione personae (immunità personale) copre qualsiasi
atto e dunque anche a eventuali crimini internazionali commessi dall’individuo al
quale spettano le immunità diplomatiche.
27.4 Consoli e altri organi statali
− I consoli non godono delle immunità personali salvo l’archivio consolare che mantiene
l’inviolabilità.
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28. IL TRATTAMENTO DEGLI STATI STRANIERI


28.1 La non ingerenza
− Il principio più classico e conosciuto è quello della “non ingerenza negli affari di altri
Stati” ma la cui vera portata non è altrettanto chiara e circoscritta.
− Si tratta essenzialmente di un principio giuridico spesso di mera propaganda politica e
che negli ultimi tempi ha perso molto della originaria autonoma sfera di applicazione.
− Oggi le regole più importanti sono costituite dai limiti alla forza internazionale degli
Stati e gli interventi di questi ultimi diretti a condizionare le scelte di politica interna e
internazionale di un altro Stato (si pensi alle misure di carattere economico).
− Nel principio di non ingerenza non rientrano le manifestazioni di condanna o di critica
del sistema politico o del regime economico, sociale ecc. di uno Stato straniero (a parte
la norma consuetudinaria che impone di vietare la preparazione di atti di terrorismo
diretti altri Stati).
28.2 Giurisdizione sugli Stati stranieri (*)
− Un problema interessante in tema di trattamento degli Stati stranieri è se questi siano
assoggettabili alla giurisdizione civile dello Stato territoriale. Il Diritto Internazionale
classico era favorevole alla cosiddetta immunità assoluta. Oggi, grazie alla
giurisprudenza italiana e belga si è verificata un’inversione di tendenza verso quella
che si è chiamata “immunità ristretta o relativa”.
− Secondo tale teoria l’esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata
agli atti jure imperii (quelli mediante i quali si esplica la funziona pubblica dello Stato)
mentre per gli atti jure privatorum (cioè a carattere privatistico) non sussisterebbe.
Uno dei campi in cui tale distinzione rileva maggiormente è quello del lavoro in
particolare riferimento al lavoro presso ambasciate ecc.
− Dove è piuttosto difficoltoso stabilire quali aspetti del rapporto di lavoro stesso siano
da considerare per classificarli come pubblicistici o privatistici. Secondo la
“Convenzione europea sull’immunità degli Stati” se il lavoratore ha la nazionalità
dello Stato straniero che lo recluta, l’immunità sussiste in ogni caso; se il lavoratore ha
la nazionalità dello Stato territoriale, o quivi risieda abitualmente pur essendo cittadino
di terzo Stato, e il lavoro deve essere prestato nel territorio, l’immunità è esclusa.
− L’immunità della giurisdizione civile sopra esposta si applica anche agli enti
territoriali e alle persone giuridiche pubbliche.
− L’esecuzione forzata su beni di Stati esteri può considerarsi ammissibile solo se è
esperita su beni non destinati ad una pubblica funzione .
− Le Corti di uno Stato, anche nei giudizi tra parti private, non possono controllare la
legittimità internazionale o interna di leggi, sentenze ed atti amministrativi stranieri
che in un modo o nell’altro vengano in rilievo nei giudizi medesimi (dottrina dell’Act
of State).
29. IL TRATTAMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
29.1 Immunità dei funzionari internazionali
Per quanto riguarda il trattamento dei funzionari delle organizzazioni internazionali non
esistono norme consuetudinarie che impongano agli Stati di concedere loro particolari
immunità, e tanto meno le immunità diplomatiche; sicché solo mediante convenzione
lo Stato può essere obbligato in tal senso.
29.2 Protezione dei funzionari internazionali

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Lo Stato nel cui territorio opera ufficialmente un funzionario internazionale che non abbia
la sua nazionalità è tenuto a proteggerlo con le misure preventive e repressive previste
dalle norme consuetudinarie sul trattamento degli stranieri.
Oltre in capo allo Stato esiste un obbligo di protezione anche in capo all’Organizzazione
cui il medesimo soggetto appartiene? Allo stato attuale la risposta è affermativa ma
solo per il risarcimento dei danni ad essa arrecati e non quelli arrecati all’individuo in
quanto tale.
29.3 Immunità delle organizzazioni dalla giurisdizione civile
Nei limiti in cui gli Stati stranieri sono immuni dalla giurisdizione civile dello Stato
territoriale lo sono anche le Organizzazioni internazionali.
30. IL DIRITTO INTERNAZIONALE MARITTIMO. LIBERTÀ DEI MARI E CONTROLLO
DEGLI STATI COSTIERI SUI MARI ADIACENTI
30.1 Codificazione del diritto internazionale marittimo
− Nella materia del Diritto Internazionale Marittimo esistono quattro convenzioni
adottate a Ginevra nel 1958: la convenzione sul mare territoriale e la zona contigua,
quella sull’alto mare, sulla pesca e conservazione delle risorse biologiche dell’alto
mare, sulla piattaforma continentale.
− Inoltre nel 1982 è stata firmata a Montego Bay una nuova convenzione per la
ricodificazione del Diritto Internazionale Marittimo (ben 320 articoli) che nonostante
non sia ancora entrata in vigore ha fatto si che molte sue norme innovative siano state
accettate da tutti i Governi
30.2 Libertà dei mari e suo significato.
− Il principio classico della “libertà dei mari” significa che il singolo Stato non può
impedire e neanche soltanto intralciare l’utilizzazione degli spazi marini da parte degli
altri Stati.
− L’utilizzazione degli spazi marini incontra il limite che consiste nella pari libertà altrui.
In contrapposizione al principio della libertà dei mari si è sempre manifestata la
pretesa degli Stati ad assicurarsi un certo controllo delle acque adiacenti alle proprie
coste.
− Nascono così i concetti di
− mare territoriale: zona sottoposta in tutto e per tutto al regime del territorio dello Stato;
− piattaforma continentale: parte del fondo e sottosuolo marino, che costituisce il
prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene a a profondità costante
prima di precipitare negli abissi;
− zona economica esclusiva: estesa fino a 200 miglia marine dalla costa: tutte o quasi le
risorse della zona, non solo quelle del fondo e del sottosuolo ma anche quelle delle
acque sovrastanti sono considerate di pertinenza dello Stato costiero.
31. IL MARE TERRITORIALE E LA ZONA CONTIGUA
31.1 Sovranità dello stato costiero sul mare territoriale
− Il mare territoriale è sottoposto alla sovranità dello Stato costiero così come la
terraferma. L’acquisto della sovranità è automatico. L’art. 1 della prima Convenzione
di Ginevra lo definisce così:
− “La sovranità dello Stato si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne,
a una zona di mare adiacente alle coste denominata mare territoriale”. In base ad un
principio da ritenersi ormai consolidato e sancito anche nella Convenzione di Montego
Bay il mare territoriale può estendersi fino ad un massimo di 12 miglia dalla costa.
31.2 Zona contigua

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− Lo Stato ha anche il diritto di esercitare poteri di vigilanza doganale in una zona


contigua al mare territoriale. Questa zona, inizialmente fissata in massimo 12 miglia di
larghezza, estesa a 24 dalla convenzione di Montego Bay, trova invece, secondo il
Diritto Internazionale consuetudinario un limite funzionale e non spaziale. Lo Stato
sarebbe cioè legittimato a prevenire e reprimere il contrabbando nelle acque adiacenti
alle sue coste ma senza “vincoli numerici”.
− La presenza costruttiva è la tesi secondo cui la nave che abbia contatti costa,
particolarmente nel caso di trasbordo di merci su imbarcazioni dirette verso la costa, è
come se si trovasse negli spazi sottoposti al potere di governo dello Stato costiero.
31.3 omissis
31.4 Limite interno del mare territoriale. (*)
− Per quanto riguarda il limite interno del mare territoriale l’art. 3 della Convenzione di
Ginevra fissa il principio della linea di bassa marea come base per la misurazione.
All’art. 4 introduce poi la possibilità di derogare a tale principio con il sistema delle
“linee rette”.
− Secondo questo sistema la base per la misurazione si ha congiungendo i punti
sporgenti della costa in linea retta e non seguendone le sinuosità.
− Nel caso di una baia, se i punti estremi sono distanti fino a 24 miglia si congiungono e
le acque della baia sono considerate “interne”. Altrimenti si traccia una linea retta di
24 miglia all’interno della baia.
− Le baie sono considerate le insenature che penetrino in profondità nella costa e
precisamente le insenature la cui superficie sia almeno eguale o superiore a quella di
un semicerchio avente per diametro la linea di entrata.
31.5 Poteri dello Stato costiero nel mare territoriale.
− I poteri che spettano allo Stato costiero sono in linea di principio gli stessi esercitati
nell’ambito del territorio ma con alcuni limiti peculiari:
− diritto di passaggio inoffensivo secondo il quale ogni nave straniera (navi militari
comprese e sottomarini in superficie) può attraversare, in maniera continua e rapida, il
mare territoriale se non reca pregiudizio alla pace e al buon ordine dello Stato costiero;
− se il passaggio non è inoffensivo, lo Stato può prendere tutte le misure atte ad
impedirlo. Eccezionalmente lo Stato costiero può anche chiudere al traffico per motivi
di sicurezza (manovre militari) purché pubblicizzi adeguatamente la chiusura e non
effettui discriminazioni tra le navi diversa nazionalità.
− Il diritto di passaggio è maggiormente tutelato negli stretti che, non superando
l’ampiezza di 24 miglia, sono costituiti intermante da mari territoriali degli Stati
costieri.
− Quando gli stretti uniscono zone di mare in cui la libertà di navigazione è assicurata, le
navi hanno un diritto di passaggio di transito, che non può essere intralciato o sospeso;
inoltre gli stretti medesimi possono essere sorvolati, a differenza di quanto avviene nel
mare territoriale, ed attraversati da sottomarini anche senza l’obbligo di navigare in
superficie.
− La giurisdizione penale non può esercitarsi in ordine a fatti puramente interni alla
nave straniera che cioè non turbino in alcun modo il normale svolgimento della vita
della comunità territoriale.
32. LA PIATTAFORMA CONTINENTALE. LA ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA
32.1 Possibilità di sfruttamento delle risorse marine
− In seguito alla seconda guerra mondiale, la tecnologia iniziò a permettere lo
sfruttamento di risorse marine diverse dalla semplice ittica (minerali, idrocarburi ecc.).

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32.2 Piattaforma continentale


− Secondo un’altra delle Convenzioni di Ginevra, largamente riproduttiva del diritto
consuetudinario, lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della
piattaforma, intesa come quella parte del suolo arino contiguo alle coste che costituisce
il naturale prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene ad una
profondità costante (circa 200m) per poi precipitare negli abissi.
− Il diritto sulla piattaforma continentale ha natura funzionale. Lo Stato non può cioè
esercitare in modo generico il suo potere di governo sulla piattaforma ma solo per
sfruttarne le risorse.
− Poiché la dottrina sulla piattaforma, facendo leva sulla conformazione geografica,
risulta in certi casi iniqua (es. Perù e Cile che ne sono sprovvisti). L’iniquità è stata in
larga misura superata dall’introduzione della zona economica esclusiva che comporta
comunque l’assegnazione allo Stato delle risorse del fondo marino fino a 200 miglia
dalla costa.
32.3 Delimitazione della piattaforma continentale tra stati contigui o frontisti
− Altro problema è la delimitazione della piattaforma di due Stati che si fronteggiano o
tra stati contigui. Salva diversa volontà delle parti si ricorre al criterio
dell’equidistanza. In tal caso si traccia una linea i cui punti siano equidistanti dai punti
delle rispettive linee di base del mare territoriale.
− Nel caso della delimitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord, il
criterio dell’equidistanza non è imposto dal diritto internazionale consuetudinario con
la conseguenza che la delimitazione può essere effettuata soltanto mediante uin
accordo tra gli stati interessati che deve ispirarsi a principi di equità.
− Negli ultimi anni ai poteri dello Stato costiero sulla piattaforma continentale si sono
venuti sovrapponendo quelli esercitati nell’ambito della zona economica esclusiva la
quale può estendersi fino a 200 miglia dalla linea di base del mare territoriale. I poteri
consistono nell’attribuzione esclusiva di tutte le risorse economiche della zona, sia
biologiche che minerali.
− Per gli Stati diversi da quello costiero nella zona economica esclusiva è ammessa la
navigazione, la posa di cavi sottomarini, e il sorvolo.
− Per quanto riguarda la piattaforma continentale che geologicamente si estende oltre
200 miglia è ammessa la giurisdizione da parte dello Stato costiero secondo la
Convenzione di Montego Bay. Tuttavia una parte di ciò che lo Stato ricava in tale zona
deve essere versata alla costituenda Autorità internazionale dei fondi marini.
− Per i Paesi in sviluppo la zona economica esclusiva costituisce una sorta di “sequestro
conservativo” dato che spesso non hanno i mezzi necessari a goderne.
33. IL MARE INTERNAZIONALE E L’AREA INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI
33.1 Libertà del mare internazionale
− Negli spazi marini situati oltre la zona economica esclusiva cessa ogni tutela degli
interessi degli Stati costieri. Il mare internazionale è l’unica zona in cui trova ancora
applicazione il vecchio principio della libertà dei mari.
− Tutti gli Stati hanno eguale diritto a trarre dal mare internazionale le risorse che questo
è in grado di offrire. Naturalmente, trattandosi spesso di risorse esauribili, non è
ammissibile che gli Stati se ne approprino a loro arbitrio.
33.2 Sistema dello sfruttamento parallelo
− Questo problema è stato affrontato nella Convenzione di Montego Bay con la
costituzione dell’Autorità internazionale dei fondi marini destinata a presiedere allo
sfruttamento delle risorse del fondo e del sottosuolo del mare internazionale in modo
che tutto avvenga nell’interesse dell’umanità. Quest’ultimo obiettivo verrebbe

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raggiunto dividendo ogni area da sfruttare in due parti uguali, l’una attribuita allo Stato
che l’ha individuata e l’altra direttamente sfruttata dall’Autorità.
− Il problema è che l’Autorità non è ancora operativa. Come debbono comportarsi allora
gli Stati? Non sembra accettabile l’ipotesi secondo la quale lo sfruttamento di tali
risorse sia congelato fino alla istituzione dell’Autorità. Dobbiamo concludere che vada
ammesso purché nell’interesse dell’umanità.
34. LA NAVIGAZIONE MARITTIMA
34.1 Nazionalità della nave
− Il principio generale è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato
di cui ha nazionalità: lo Stato di bandiera o Stato nazionale ha diritto all’esercizio
esclusivo del potere di governo sulla comunità navale e esercita siffatto potere
attraverso il comandante (considerato come organo dello Stato).
− La convenzione di Montego Bay prevede una serie di obblighi a carico dello Stato
della bandiera, consistenti nella tenuta di un registro marittimo, nel quale siano inseriti
i dati relativi alle navi, e nell’adozione di tutte le misure, in materia di costruzione
delle navi, di condizioni del lavoro dell’equipaggio, di segnali di bordoi ecc. necessarie
per assicurare la sicurezza della navigazione.
− Vediamo ora le eccezioni che tale principio incontra allorché una nave si avvicini alle
coste di un altro Stato:
ƒ Acque internazionali. La nave pirata, che commette atti di violenza contro le altre
navi ai fini di preda o altri fini non politici, può essere catturata da qualsiasi Stato e
sottoposta a misure repressive.
ƒ Diritto di visita. Una nave di guerra che incontri in alto mare una nave mercantile
non può fermarla a meno che non abbia seri motivi per sospettare
o Cha lave pratichi la pirateria
o Che la nave pratichi la tratta degli schiavi.
o Che dalla nave partano trasmissioni radio o televisive rivolte al grande
pubblico e non autorizzate
o Che la nave non abbia nazionalità di alcuno stato
o Che la nave pur battendo bandiera straniera o rifiutandosi di issare la bandiera,
abbia in realtà la stessa nazionalità della nave da guerra.
o Se i sosptetti si rivelano in fondati la nave medesima dev’essere indennizzata
per qualsiasi perdita o danno.
ƒ Lo Stato nel cui territorio è in corso una guerra civile può visitare e catturare
qualsiasi nave che si proponga di recare aiuto (in armi o armati) agli insorti.
ƒ Zona economica esclusiva. Lo Stato costiero può visitare e catturare navi e relativo
carico per infrazioni alle proprie leggi sulla pesca o allo sfruttamento delle risorse
sottomarine.
ƒ Mare territoriale. Rilevano i principi già analizzati del diritto di passaggio
inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero dei fatti
puramente interni alla nave.
34.2 Diritto di inseguimento
− Le navi da guerra o comunque destinate a servizi pubblici possono inseguire una nave
straniera che abbia violato le loro leggi purché l’inseguimento sia continuo e abbia
avuto inizio almeno nelle acque contigue al mare territoriale. Se la nave inseguita entra
nelle acque territoriali di un altro Stato l’inseguimento cessa.
− Presenza costruttiva. La nave straniera, che pur mantenendosi in acque internazionali,
partecipi a traffici illeciti che altre navi o imbarcazioni svolgano in spazi marini
sottoposti al potere di governo dello Stato costiero, può essere catturata da
quest’ultimo. La teoria è applicata in materia di repressione del contrabbando e copre
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soprattutto i casi in cui dalla nave straniera le merci di contrabbando vengano


trasbordate su imbarcazioni dirette alla costa.
34.3 Bandiere ombra
− Per quanto riguarda la nazionalità delle navi occorre che tra queste e lo Stato che
concede la bandiera esista un legame sostanziale (genuine link).
− Convenzione ONU selle condizioni di immatricolazione delle navi richiede che alla
proprietà della nave partecipi un numero di cittadini dello Stato di immatricolazione
“sufficiente” per assicurare a quest’ultimo il controllo effettivo sulla nave, o che
l’equipaggio sia formato per una quota “soddisfacente” da cittadini o residenti abituali
nello stato di immatricolazione.
35. LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO
35.1 Generalità
− La lotta all’inquinamento marino non può non fondarsi su una stretta cooperazione
internazionale. Ecco perchè la Convenzione di Montego Bay dedica all’argomento più
di quaranta articoli che impegnano gli stati a collaborare fra loro e con le
organizzazioni internazionali competenti per la formulazione di regole e norme a tutela
dell’ambiente marino, a tenersi reciprocamente informati sui dati scientifici relativi
all’inquinamento, a predisporre programmi comuni di lotta, ad assistere i Paesi in
sviluppo sul piano scientifico e tecnico e così di seguito.
− Tuttavia nella prassi non vi sono elementi che inducano ad affermare l’esistenza di
obblighi particolari in materia in capo agli Stati. La problematica è molto simile a
quella che già abbiamo affrontato al riguardo degli inquinamenti su terraferma. Al
contrario, per quanto riguarda il diritto convenzionale numerose sono gli accordi
stipulati in materia.
35.2 Poteri dello stato della bandiera e dello Stato costiero
− Ad imporre divieti ed a comminare sanzioni saranno lo Stato della bandiera e, nelle
zone sottoposte a giurisdizione nazionale, lo Stato costiero (per prevenire
inquinamento delle sue acque interne e territoriali).
− Questo potrà esercitare il proprio potere sulle navi altrui solo per prevenire o reprimere
attività inquinanti delle proprie acque interne o territoriali.
− E’ ammesso l’intervento eccezionale su una nave altrui in acque internazionali per
prendere le misure strettamente necessarie ad impedire o attenuare i danni derivanti da
un incidente già avvenuto.
36. GLI SPAZI AEREI E COSMICI
36.1 Navigazione aerea
− Sono due i principi fondamentali: il primo è che la sovranità dello Stato si estende allo
spazio atmosferico sovrastante il suo territorio e le acque territoriali; il secondo è che
fuori da questa ipotesi lo spazio aereo sia libero all’utilizzazione da parte di tutti gli
Stati.
− E’ inoltre invalsa nella prassi la cosiddetta “zona di identificazione”, zona che si
estende anche per centinaia di miglia nello spazio sovrastante all’alto mare intorno alle
coste. Gli aerei che attraversano queste aree hanno l’obbligo di farsi identificare.
− Per quanto riguarda la navigazione cosmica ad essa è applicabile per analogia il
principio sulla libertà di sorvolo degli spazi nullius dato che non avrebbe senso parlare
di “sorvolo” del territorio.
− Circa le risorse dello spazio, in particolare riferimento all’utilizzabilità in ambito di
radio-telecomunicazioni, vige il principio della libertà con il consueto limite del
rispetto delle pari libertà altrui.

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37. Le regioni polari (*)


− Le regioni polari non sono soggette alla sovranità di alcuno Stato nonostante i vari tentativi
in tal senso (teoria dei settori). L’Antartide è stato internazionalizzato con il trattato di
Washington del 1959. Principi fondamentali del trattato sono il divieto di ogni attività
militare e la libertà di ricerca scientifica.
− Il regime internazionale dell’Antartide, essendo previsto da un trattato, vincola solo le parti
contraenti.

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PARTE TERZA
L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL’INTERNO DELLO STATO

38 L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO STATALE AL DIRITTO INTERNAZIONALE


38.1 Quali sono i mezzi di applicazione di una norma internazionale?
− operatori giuridici e in particolare gli organi statali (per mezzo delle norme giuridiche);
− accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma da parte dei giudici)
− Non si può dire che il diritto internazionale debba essere applicato a tutti i costi
all'interno dello Stato perché il diritto interno deve poter difendere certi valori
costituzionali, sacrificando, se necessario, il diritto internazionale.
− Tuttavia la difesa dei valori interni non deve avvenire ad ogni costo, perché sono
importanti anche valori internazionalistici (come la collaborazione e la solidarietà
internazionale).
38.2 Monismo e dualismo
− Troviamo irrilevanti le teorie dei monisti (che ritengono che il diritto statale trova
fondamento nel diritto internazionale) e dei dualisti (che sostengono che l'ordinamento
statale è originario ed è netto e separato da quello della comunità degli Stati) perché ci
interessa sapere come si applicano le norme internazionali e come queste si coordino
con quelle interne.
38.3 Procedimenti di adattamento
− Procedimento ordinario avviene mediante norme (costituzionali, legislative,
amministrative) che si distinguono da quelle statali solo per il motivo per cui vengono
emanate.
− Le norme internazionali vengono riformulate all'interno dello Stato.
− Nei procedimenti speciali, la norma internazionale non viene riformulata all'interno
dello Stato: gli organi con funzioni normative ordinano l'osservanza della norma
internazionale.
− Il costituente, il legislatore o l'organo amministrativo operano con rinvio alla norma
internazionale (come del resto obbliga l'art. 10 Cost.), dando diretta applicazione nello
Stato della norma internazionale.
− Di solito è infatti con legge che si dà ordine di esecuzione di un trattato.
− Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con il procedimento ordinario ci si
trova ad interpretare e riformulare con provvedimento interno la norma.
− L'interprete si trova di fronte ad una norma identica a quella statale, tranne che per il
motivo che l'ha ispirata. Applicherà la norma interna e terrà conto di quella
internazionale ispiratrice solo in casi di interpretazione dubbia.
− Ma se il diritto internazionale di evolve? Se interviene una desuetudine o una norma
abrogatrice? In casi del genere ci troviamo, quindi, di fronte a problemi di applicazione
ed è per questo che si preferisce il procedimento speciale.
− In questi ultimi si ha un semplice rinvio e il centro dell'applicazione della norma
internazionale si sposta dall'interprete al legislatore. Il giudice potrà commettere errori
di interpretazione della norma internazionale, ma l'errore si circoscriverà al caso
concreto e non a tutte le fattispecie.
− Il procedimento ordinario è però necessario in altri casi: quando la norma
internazionale non è direttamente applicabile ("self-executing"), ma necessita di
un'attività integratrice da parte degli organi statali.

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− In Gran Bretagna generalmente si usa il procedimento ordinario e, una volta introdotta,


la norma internazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesi invece
preferiscono il procedimento speciale.
38.4 Norme self-executing e non self-executing
− La norma non self-executing si può avere in due casi:
ƒ quando la norma attribuisce facoltà agli Stati;
ƒ quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve esecuzione perché mancano
gli organi predisposti o le procedure indispensabili per la sua applicazione.
− Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing, ma noi crediamo che
si ha self-executing quando, in caso di sospensione o di mancata obbligazione o
difficoltà di applicazione della norma internazionale, si debba ricorrere a procedure di
conciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle controversie.
− E' ancora self-executing quando la norma internazionale contiene una "clausola di
esecuzione" che preveda che gli Stati adotteranno tutte le misure di ordine legislativo o
d'altro genere per dare effetto alle sue disposizioni.
− Invece quando nonostante la clausola di esecuzione, ci sono norme effettivamente non
self-executing ed impegnano lo Stato a prendere i provvedimenti legislativi ed
amministrativi appropriati, si può parlare di non self-executing.
38.5 Sfera di applicazione della norma internazionale
− L'adattamento con rinvio comporta difficoltà nell'individuare la sfera di applicazione a
causa della formulazione delle norme (soggetti, rapporti, enti).
38.6 Rango delle norme internazionali introdotte nell’ordinamento interno.
− tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti, corrisponde al procedimento
(ordinario o speciale) di adattamento: se all'adattamento provvede il legislatore
costituzionale, la norma avrà rango costituzionale; se è il legislatore ordinario (trattati)
avrà rango di legge ordinaria.

39 ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO


39.1 Natura speciale del procedimento di adattamento al diritto consuetudinario
− In Italia l'adattamento avviene a livello costituzionale ex art. 10.
− Questa norma prevede un procedimento di adattamento speciale o con rinvio. Il
Costituente ha affermato la sua volontà di adattamento automatico, completo e
continuo. Le norme internazionali valgono all'interno dello Stato se e finché vigono
nell'ordinamento internazionale.
− Il PERASSI ha sostenuto la tesi della trasformazione permanente del diritto
internazionale in diritto nazionale. Una legge ordinaria che viola il diritto
internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 10 Cost.
− Problema: posto che hanno rango costituzionale, che rapporto hanno le norme
internazionali con la Costituzione?
− In concreto non ci sono molte possibilità di conflitto tra norme internazionali generali
e norme costituzionali perché si ha una differenza di competenze.
− La Costituzione regola i rapporti tra lo Stato e i suoi organi; il diritto consuetudinario
internazionale regola i rapporti tra organi, stranieri e Stati stranieri.
− Tuttavia è possibile che si verifichino dei conflitti riguardo la Domestic Jurisdiction:
un esempio può essere fornito dalle immunità giurisdizionali degli agenti diplomatici,
degli Stati e delle organizzazioni internazionali dalla giurisdizione civile. Queste
immunità e la conseguente impossibilità di convenire in giudizio gli individui o gli enti
che ne beneficiano, paralizza o no la tutela giudiziaria dei diritti ex art. 24 Cost.?

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− La soluzione al problema si ravvisa nella possibilità dei giudici di disapplicazione la


norma internazionale che violi i principi fondamentali garantiti dalla Costituzione.
40 L'ADATTAMENTO DEI TRATTATI E DELLE FONTI DA ESSO DERIVATE
40.1 Ordine di esecuzione del trattato (*)
− La Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamento dei Trattati.
− Il Quadri, con un'interpretazione un po' forzata, ha tentato di farli rientrare nella
previsione dell'art. 10, facendo leva sulla consuetudine "pacta sunt servanda".
− Il Costituente però si è limitato a parlare di diritto internazionale generale e non anche
del diritto internazionale particolare: oggi, inoltre, si stipulano fin troppi trattati e farli
assurgere a rango costituzionale significherebbe facilitare i raggiri e le revisioni delle
norme costituzionali senza le procedure previste dalla Carta fondamentale.
− Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine di esecuzione. Generalmente
lo si dà con legge ordinaria, ma nulla vieta che possa essere anche un atto
amministrativo.
40.2 Valore del trattato in mancanza dell’ordine di esecuzione
− La giurisprudenza ritiene che se è stato stipulato un trattato, ma ancora non è
intervenuto il provvedimento che ne ordini l'applicazione, non si può pretenderne
l'osservanza e poco importa la responsabilità degli organi nazionali sul piano
internazionale per violazione degli obblighi contratti.
40.3 Rango dei trattati nel diritto interno
− Da questa impostazione si capisce facilmente che neanche la giurisprudenza avalla la
tesi che un trattato abbia qualcosa in più rispetto alla legge sul piano della gerarchia
delle fonti. Se l'ordine di esecuzione viene dato con legge, il trattato sarà parificato alla
legge: si applicheranno le normali regole di successione delle leggi nel tempo, seppure
con alcuni temperamenti:
− PRESUNZIONE DI CONFORMITÀ delle norme interne al diritto internazionale: se
la legge posteriore è ambigua, deve essere interpretata in modo da consentire allo Stato
il rispetto degli obblighi assunti in precedenza.
− La legge posteriore prevale se vi è una chiara indicazione della volontà del legislatore
di contravvenire agli impegni internazionali assunti. Una volta che il trattato abbia
acquisito validità formale nello Stato, è sorretto da una duplice volontà normativa: la
volontà di rispettare gli impegni assunti e la volontà di regolare quella materia, così
come è disciplinata dal trattato.
− Non sembra perciò ammissibile un'abrogazione o modifica da parte della norma
posteriore per una semplice incompatibilità con il trattato. La volontà di derogare con
legge posteriore può essere esplicita o implicita. In quest'ultimo caso si ritiene che
l'oggetto dell'obbligazione e quello della norma interna debbano coincidere
perfettamente: sia per materia, sia per i soggetti destinatari della regolamentazione.
− Il trattato si ritiene una norma speciale ratione materiae.
− Una volta che la norma internazionale è stata immessa nell'ordinamento con legge
ordinaria, non si discosta da questa per quanto riguarda il controllo di costituzionalità.
41 L'ADATTAMENTO AL DIRITTO COMUNITARIO
41.1 Adattamento dell’ordinamento italiano
− Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzione con legge ordinaria.
− Pertanto non solo hanno acquistato forza giuridica le norme del Trattato, ma
automaticamente acquistano la stessa forza, via via che vengono emanate, le norme dei
regolamenti comunitari.
41.2 Diretta applicabilità dei regolamenti comunitari

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− L'art. 249 del Trattato espressamente prevede che i regolamenti siano direttamente
applicabili in ciascuno degli Stati membri. Il regolamento è così una fonte normativa
non prevista dalla Costituzione, ma che non comporta una violazione della Carta
fondamentale, per effetto della previsione all'art.11 che ammette limitazioni alla
sovranità nazionale.
− La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda la forza formale dei
regolamenti stessi: creano diritti ed obblighi, indipendentemente da un provvedimento
di adattamento ad hoc.
− Tuttavia, con ciò non si vuol dire che i regolamenti siano self-executing anche per il
loro contenuto, poiché possono esserci regolamenti incompleti o che, per avere
applicazione, hanno bisogno di essere integrati.
− Per i regolamenti che lasciano ampi margini di discrezionalità alle autorità statali è
necessaria una legge di attuazione.
41.3 Adattamento alle direttive e alle decisioni comunitarie
− Le direttive e le decisioni comunitarie non sono, invece, direttamente applicabili, ma
hanno bisogno di una legge di adattamento ad hoc (che sia legge ordinaria, decreto
legislativo o decreto legge).
− In genere questo adattamento è eseguito mediante procedimento ordinario: è senza
rinvio e il provvedimento interno ne riformula il contenuto.
− La direttiva pone un obbligo di risultato, lasciando libertà di mezzi e di forma. Quali
effetti costituiscono un corollario dell'"obbligo di risultato" e quindi si producono
subito e quali sono condizionati a "forme e mezzi" e si producono solo dopo l'atto ad
hoc?
− Le direttive creano tre effetti c.d. "diretti".
ƒ quando il giudice interpreta una norma interna su una materia disciplinata da una
direttiva, tale interpretazione deve avvenire alla luce della direttiva.
ƒ se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la sua interpretazione è
vincolante.
ƒ se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza un atto di esecuzione
necessario, gli individui possono farla valere davanti al giudice.
− Quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato (c.d. effetti verticali) e
non anche nelle controversie tra individui (c.d. effetti orizzontali): la direttiva fa
nascere degli obblighi a carico dello Stato e lo Stato risponde del ritardo o della non
attuazione della direttiva.
− Questa tesi viene per lo più accettata, ma è anche criticata perché frutto di
un'interpretazione troppo letterale: il fatto che a rispondere sia lo Stato, se ad esempio
una direttiva crea dei diritti nei confronti del lavoratore dipendente, il dipendente della
pubblica amministrazione potrà chiamare a rispondere lo Stato per la non attuazione,
ma il lavoratore privato non potrà dir nulla contro il suo datore privato. Il risarcimento
dei danni può essere dovuto nei casi di non attuazione di direttive che attribuiscono
diritti.
41.4 Adattamento agli accordi conclusi dalla comunità
− Deve riconoscersi anche efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri sempre
che tali accordi contengano norme complete.
41.5 Rango delle norme comunitarie con le leggi ordinarie
− La Corte costituzionale ha assunto pareri contrastanti.
− Nel 1964 riteneva che i trattati (ricevendo applicazione con legge ordinaria) sono di
pari grado con la legge e pertanto possono essere abrogati o modificati da leggi
successive.

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− Nel 1975 ha ritenuto che la violazione del diritto comunitario ad opera delle leggi
ordinarie costituisca violazione dell'art. 11 Cost., che stabilirebbe una prevalenza del
diritto comunitario sul diritto interno.
− Nel 1984, invece, ha ribadito la prevalenza del diritto comunitario, ma anche che
questo e il diritto interno si devono coordinare secondo le ripartizioni di competenza
volute dal Trattato istitutivo della comunità.
− Oggi vige il principio della automatica inapplicabilità della norma interna difforme da
parte del giudice ordinario, senza bisogno di ricorrere agli altri organi di giustizia
costituzionale.
41.6 Rapporti con le norme costituzionali
− La partecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principi costituzionali.
− Se è vero che i trattati e le norme comunitarie possono essere sottoposte ad un
controllo di conformità con la Costituzione, è anche vero che tale controllo debba
essere condotto cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole norme materiali della
Costituzione, cioè quelle che tutelano i diritti fondamentali dei cittadini e non di quelle
strumentali (che disciplinano la formazione della legge e l'organizzazione dei poteri
dello Stato).
− L'ordine interno e quello europeo costituiscono due sistemi separati e distinti, anche se
fra loro coordinati.
42 L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E LE COMPETENZE DELLE
REGIONI
− Il problema delle regioni sorge quando il diritto internazionale tocca le materie che la
Costituzione riserva alla competenza regionale. Si ritiene che ad immettere il diritto
internazionale nel nostro ordinamento sia il potere centrale. Tuttavia questo comporta dei
problemi, visto che la Costituzione riserva determinate materie alla competenza esclusiva
delle regioni con conseguente impossibilità di interferenza da parte dell'ordinamento
centrale.
− Innanzitutto si può dire che, in linea di principio, se la legge regionale è in contrasto con una
norma del diritto internazionale di qualsiasi tipo, vincolante per il nostro ordinamento, è
costituzionalmente illegittima.
− Le regioni, pur essendo dotate di una sorta di autonomia, non sono soggetti del diritto
internazionale, perché è sempre lo Stato centrale (che ha poteri sovrani) che decide se
assumere o meno obblighi internazionali.
− All'inizio, il legislatore e la Corte Costituzionale sostenevano che tutto ciò che era del diritto
internazionale rientrava nella materia degli "affari esteri" ed era di competenza esclusiva
dello Stato centrale.
− Tuttavia nelle materie riservate alla competenza delle regioni, in caso di inerzia di queste
ultime, lo Stato non poteva sostituirsi, rischiando quindi di essere chiamato a rispondere per
carenze od omissioni non sue.
− Successivamente si mutò orientamento: le regioni venivano "delegate" dal potere centrale a
partecipare all'attuazione e specificazione dei diritto internazionale. Dopo molteplici
critiche, la tesi oggi sostenuta è che la Corte riconosce la competenza autonoma ed
originaria delle Regioni nelle loro materie di competenza. Lo Stato centrale può sostituirsi
non solo in caso di inerzia, ma anche di urgenza o esigenze di uniformità sorrette
dall'interesse nazionale, oppure quando una sua disposizione risulti direttamente attuativa
della norma comunitaria e necessaria al proseguimento della finalità attuativa.

41
by GIANDO-72

PARTE QUARTA
LA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE SUE CONSEGUENZE

43 IL FATTO ILLECITO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI: L'ELEMENTO


SOGGETTIVO
44.1 Responsabilità degli Stati sul piano internazionale
− Il compimento di un fatto illecito internazionale comporta la responsabilità degli Stati
sul piano internazionale.
− Nel 1953 la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha presentato
un progetto di codificazione che ha visto luce nel 1996.
− Nel 1980 fu approvato un Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, ma che si
limitava a disciplinare l'origine della responsabilità (ossia gli elementi dell'illecito).
− Nel 1996 il Progetto fu completato con l'aggiunta delle conseguenze dell'illecito e con
una parte relativa alla risoluzione delle controversie.
− La caratteristica è che si considerano i principi sulla responsabilità come valevoli in
linea di massima per la violazione di qualsiasi norma internazionale, mentre prima
venivano individuati soltanto alcuni tipi di violazione (ad esempio delle norme sul
trattamento degli stranieri) e i danni arrecati venivano risarciti sulla base della
responsabilità Aquiliana.
44.2 Elemento soggettivo dell’illecito
− L'elemento soggettivo è lo Stato come soggetto di diritto internazionale, ossia lo Stato-
organizzazione: il fatto illecito deve consistere in un comportamento di uno o più
organi (azione od omissione) attribuibile allo Stato e il comportamento deve essere
illecito, antigiuridico.
− Con Stato-organizzazione intendiamo tutti coloro che partecipano all'esercizio del
potere di governo nell'ambito di uno Stato. Pertanto non solo l'esecutivo, il legislativo
e il giudiziario, ma anche gli organi territoriali e le altre persone a cui è attribuibile la
potestà di governo. Non è ipotizzabile la violazione di norme internazionali attraverso
la semplice emanazione di leggi o altre norme di portata astratta.
− In dottrina si discute sulla responsabilità dello Stato quando l'organo commette
un'azione internazionalmente illecita avvalendosi della sua qualità, nell'esercizio delle
sue funzioni, ma in violazione di una norma del diritto interno.
− Ad esempio è configurabile la responsabilità dello Stato nel caso di azioni illecite
commesse da organi di polizia che contravvengono agli ordini ricevuti? Sarebbero
attribuibili allo Stato, o risponderebbe il singolo poliziotto?
− Qualcuno ritiene lo Stato responsabile, qualcun'altro configura la responsabilità del
singolo individuo che l'ha commessa, qualcun'altro ancora ravvisa la responsabilità
dello Stato nella misura in cui non ha predisposto i mezzi idonei per evitare la
violazione.
44.3 C.d. responsabilità dello stato per atti di privati
− Viene concordemente esclusa la responsabilità dello Stato per atti dei privati che
danneggiano individui, organi o Stati stranieri. Non esiste la responsabilità di gruppo,
dell'orami antica dottrina germanica, ma lo Stato risponderà solo quando non abbia
disposto le misure per prevenire l'illecito altrui.
44 L'ELEMENTO OGGETTIVO (*)
44.1 Antigiuridicità del comportamento dell’organo statale
− Il secondo elemento del fatto illecito è l'antigiuridicità, cioè l'elemento oggettivo. Si ha
violazione di un obbligo internazionale quando un fatto di tale Stato non è conforme a
ciò che è imposto dal predetto obbligo.

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by GIANDO-72

− Il Progetto distingue i crimini e i delitti internazionali e poi fa una distinzione tra


violazioni di obblighi di mezzi e di risultato.
− Le prime consistono in un comportamento determinato, le seconde, lasciano libero lo
Stato nella scelta dei mezzi per raggiungere il risultato previsto. La differenza è
importante per determinare il tempus commissi delicti.
44.2 Cause escludenti l'illiceità (*)
− CONSENSO DELLO STATO LESO
ƒ Come nel diritto penale, non è illecito una violazione commessa con il consenso
dell'avente diritto. Questo non vale però nei casi di violazione di una norma dello
ius cogens.
ƒ Il consenso dello Stato deve essere unilaterale, e varrà la disciplina del consenso
viziato.
− AUTOTUTELA
ƒ Questa ipotesi è riferibile alla legittima difesa e consiste nel compimento di azioni
dirette a reprimere l'illecito altrui.
ƒ Sono azioni in sé illecite, ma che se vengono attivate in risposta ad un illecito
altrui, perdono il carattere dell'antigiuridicità.
ƒ Tra le forme di auto-tutela abbiamo la rappresaglia e la ritorsione, oltre che l'auto-
tutela collettiva e individuale.
− FORZA MAGGIORE E CASO FORTUITO
ƒ Il verificarsi di una forza irresistibile o di un evento imprevisto, al di là del
controllo dello Stato, che rende materialmente impossibile adempiere all’obbligo.
− STATO DI NECESSITÀ
ƒ Consiste nell'aver commesso il fatto per evitare un pericolo grave, imminente e
non volontariamente causato.
ƒ La dottrina non ha molto da discutere quando lo stato viene invocato nel caso in
cui il pericolo riguardi la vita dell'individuo-organo. Si ha invece qualche
incertezza quando la necessità si riferisce allo Stato nel suo complesso e quando c'è
di mezzo un interesse statale.
ƒ La dottrina però è concorde nel ripudiare la tesi che prevede la invocabilità di
questa scusante per un diritto di conservazione dello Stato.
ƒ Pertanto lo stato di necessità è invocabile solo quando:
o il fatto era l'unico modo per proteggere un interesse essenziale contro un
pericolo grave e imminente non volontariamente causato, e
o il fatto abbia leso gravemente un interesse essenziale dello Stato nei confronti
del quale esisteva l'obbligo.
ƒ In ogni caso non può essere invocato:
o se l'obbligo non deriva da una norma imperativa del diritto internazionale
generale
o se lo Stato ha contribuito a creare lo stato di necessità.
ƒ Il problema è che non è mai stato chiarito cosa debba intendersi con interesse
essenziale o vitale dello Stato.
− RACCOMANDAZIONI DI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
ƒ Queste, abbiamo visto, producono il c.d. effetto liceità e fanno sì che lo Stato che
segue la raccomandazione dell'organizzazione (ovviamente non viziata) non
commette illecito.
− RISPETTO DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI DI UNO STATO
ƒ Ad esempio la pena di morte, prevista dalla Costituzione di uno Stato, non produce
illiceità internazionale.
45 GLI ELEMENTI CONTROVERSI: COLPA E DOLO

43
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45.1 Tipi di responsabilità


− Sono tre i tipi di responsabilità che si possono configurare: per colpa, dolo e
responsabilità oggettiva.
− Per il dolo, nulla quaestio: si configura l'intenzione di nuocere e di violare la norma.
− La responsabilità per colpa, invece, si verifica quando l'autore dell'illecito ha
commesso il fatto con negligenza, trascurando di adottare le misure necessarie per
prevenire il danno. Ovviamente si distingue, come nel diritto penale, tra colpa lieve e
grave.
− La responsabilità oggettiva può essere di due tipi:
ƒ relativa (strict liability): sorge per effetto del solo compimento dell'atto illecito,
ma l'autore può invocare una causa di giustificazione consistente in un evento
esterno che gli ha impedito il rispetto della norma. La responsabilità è aggravata e
produce uno spostamento dell'onere della prova dalla vittima dell'illecito al suo
autore.
ƒ assoluta: questo tipo di responsabilità non ammette cause di giustificazione. E'
prevista per attività particolari o socialmente dannose e possono essere collegate a
sistemi di assicurazione obbligatoria.
− Il dibattito sulla responsabilità è sempre stato molto vario: Grozio considerava la
responsabilità dello Stato (violazione delle norme sul trattamento degli stranieri e più
in particolare sulle offese arrecate da privati a individui, organi e Stati stranieri) per
colpa.
− Nel XX secolo, Anzilotti sostiene la natura oggettiva della responsabilità
internazionale. Oggi vige un sistema c.d. "residuale": lo Stato risponde di qualsiasi
violazione del diritto internazionale da parte dei suoi organi, purché non dimostri
l'impossibilità assoluta (cioè non da lui provocata) di rispettare l'obbligo.
− Se esaminiamo la giurisprudenza delle Corti internazionali (Corte comunitaria e Corte
europea dei diritti umani) ci si rende conto che un'indagine sul dolo o la colpa non è
mai stata condotta.
46 LE CONSEGUENZE DEL FATTO ILLECITO INTERNAZIONALE: L'AUTOTUTELA
INDIVIDUALE E COLLETTIVA
46.1 Inquadramento delle conseguenze dell'illecito
− Oggi si ritiene che le conseguenze dell'illecito consistono in una nuova relazione
giuridica tra lo Stato offeso e lo Stato offensore, discendente da una norma secondaria
(diversa da quella primaria, cioè quella violata).
− Vi sono pareri discordi in dottrina:
ƒ ANZILOTTI ritiene che le conseguenze dell'illecito siano il diritto dello Stato
offeso a pretendere e l'obbligo dello Stato offensore a fornire un'adeguata
riparazione che dovrebbe ripristinare la situazione quo ante e risarcire il danno
subito.
ƒ AGO sostiene che nella norma secondaria rientrano le conseguenze giuridiche
autonome dell'illecito e quindi anche i mezzi di autotutela (rappresaglie e
contromisure). Dal fatto illecito nascerebbe per lo Stato offeso il diritto di chiedere
la riparazione e il diritto di ricorrere a contromisure coercitive aventi il precipuo ed
autonomo scopo di infliggere una punizione allo Stato offensore.
ƒ KELSEN ribadisce l'inutilità di costruire le conseguenze dell'illecito in termini di
diritti/obblighi alla riparazione, ma l'unica conseguenza immediata è il ricorso alle
misure di autotutela e la riparazione sarebbe solo eventuale e dipenderebbe dalla
volontà dello Stato offeso e offensore di evitare l'uso della coercizione e ricorrere
ad un accordo o all'arbitrato [concezione fortemente imperativistica del diritto].

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− Noi crediamo che l'illecito non produca rapporti giuridici. La fase patologica del diritto
internazionale è poco normativa.
− Le misure di auto-tutela sono fondamentalmente dirette a reintegrare l'ordine giuridico,
cioè a far cessare l'illecito e a cancellarne gli effetti. Se lo Stato offensore ha l'obbligo
di porre fine all'illecito e cancellarne gli effetti, non lo deve fare in base ad un nuovo
rapporto o una nuova norma.
− L'altra forma di riparazione (risarcimento del danno) è prevista da un'autonoma norma
di diritto internazionale generale.
46.2 L’autotutela (*)
− La normale reazione all'illecito è l'autotutela: farsi giustizia da sé.
− Ne consegue una scarsa efficienza e credibilità dei mezzi internazionali di attuazione
del diritto.
− Il moderno diritto internazionale impone che l'auto-tutela non consista nella minaccia
o nell'uso della forza (art. 2 Carta delle Nazioni Unite e previsto anche dalla
consuetudine). L'unica eccezione è la risposta ad un attacco armato già sferrato (art. 51
della Carta): il diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva nel caso che
abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, rispettando il
principio di proporzionalità.
− Il divieto di uso della forza armata non ha altre eccezioni: né per proteggere la vita dei
propri cittadini all'estero, né per grosse violazioni dei diritti umani nei confronti dei
propri cittadini. Quando si parla di uso della forza, non rientra la forza interna nella
sovranità territoriale e nella normale potestà di governo di uno Stato sovrano.
46.3 Contromisure
− La fattispecie più importante di auto-tutela è la rappresaglia o contromisura. Consiste
in un comportamento che in sé sarebbe illecito, ma che diventa lecito in risposta ad un
illecito altrui. Lo Stato viola, a sua volta, gli obblighi che gravano su di lui.
Ovviamente esistono dei limiti alle contromisure:
ƒ PROPORZIONALITA' tra violazione e reazione. Non si deve trattare di perfetta
coincidenza tra le due violazioni, ma mancanza di sproporzione.
ƒ RISPETTO DEL DIRITTO COGENTE. Non si può violare il diritto cogente,
neanche quando si tratti di reazione per violazione dello stesso tipo. L'unica
eccezione è l'uso della forza per respingere un attacco armato.
ƒ RISPETTO DEI PRINCIPI UMANITARI. L'art. 50 del Progetto dispone anche
che a titolo di contromisura non possa essere compromessa in alcun caso
l'inviolabilità degli agenti, locali, archivi e documenti consolari e diplomatici.
ƒ PREVIO ESAURIMENTO DEI MEZZI PER UNA SOLUZIONE
CONCORDATA DALLA CONTROVERSIA (arbitrato, conciliazione, negoziato).
La contromisura tende a reintegrare l'ordine giuridico violato. Lo scopo afflittivo è
secondario.
46.4 Legittima difesa come forma di contromisura
46.5 La ritorsione
− si distingue dalla rappresaglia perché non consiste in una violazione di norma
internazionale, ma in un comportamento di inimicizia (come la tensione o la rottura dei
rapporti diplomatici o della collaborazione economica).
− Non è una forma di auto-tutela perché uno Stato potrebbe tenere questo
comportamento anche senza aver subito un illecito. Tuttavia, nella prassi dei rapporti
tra gli Stati, la ritorsione reagisce ad azioni di rilievo puramente politico e a violazioni
di diritto internazionale o ad entrambe contemporaneamente, perché in genere gli Stati
collaborano tra loro.
− E' difficile, nella ritorsione, distinguere tra motivazioni politiche e giuridiche, ma non
si può non considerarla una forma di auto-tutela quando le secondi sono presenti.
45
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46.6 L'auto-tutela collettiva


− consiste in un intervento degli Stati che non hanno subito nessuna lesione in risposta
ad una violazione dei diritti umani, obblighi erga omnes, crimini internazionali per i
quali tutti gli Stati possono considerarsi lesi.
− Non si può dire che ciascuno Stato abbia diritto di reagire con misure di auto-tutela in
caso di violazione in nome dell'interesse comune.
− Le norme consuetudinarie prevedono forme di intervento per Stati terzi in ordine a
specifici obblighi internazionali. Si presuppone una richiesta da parte dello Stato
aggredito.
− Per le norme consuetudinarie all'auto-tutela collettiva si può ricorrere per negare effetti
extraterritoriali agli atti di governo emanati in un territorio acquisito con la forza (per il
principio di autodeterminazione dei popoli) e nei casi di aiuti militari ai movimenti di
liberazione.
− Il diritto pattizio tende a limitare piuttosto che estendere l'esercizio dell'autotutela e
prevede la creazione di meccanismi internazionali di controllo che possono essere
messi in moto da ciascuno Stato contraente ma che comunque difettano di poteri
sanzionatori.
− Non esistono principi generali che consentano ad uno Stato di intervenire a tutela di un
interesse fondamentale della comunità internazionale o di un interesse collettivo (solo
singole norme consuetudinarie). E' auspicabile che si consolidi una tendenza verso
l'autotutela collettiva come iniziativa dei singoli Stati che agiscono in nome della
comunità internazionale nel suo complesso, ma che non sono esenti da atteggiamenti
arbitrari.
− Uno Stato può obbligarsi con trattato a non ricorrere a misure di autotutela o a
ricorrervi solo a certe condizioni. E' importante comunque sottolineare che deve essere
intesa come extrema ratio.
− La WTO subordina l'adozione di contromisure in caso di mancato rispetto delle
decisioni di carattere giurisprudenziale emesse in seno all'organizzazione,
all'autorizzazione dell'organo per la soluzione delle controversie.
− L'art. 51 del Progetto dispone che l'attacco armato come legittima difesa può essere
esercitato finché il Consiglio si sicurezza non abbia preso le misure necessarie per
mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
47 LA RIPARAZIONE (*)
48.1 Resitutio in integrum
− Essa integra innanzitutto l'obbligo della restituzione in forma specifica: far cessare
l'illecito e cancellarne, ove possibile, gli effetti.
48.2 soddisfazione
− Anche la soddisfazione è una forma di riparazione dei danni morali, dovuta per il solo
fatto che l'illecito sia stato commesso e a prescindere dalla richiesta di risarcimento dei
danni patrimoniali.
− Tra le diverse forme troviamo la presentazione di scuse, l'omaggio della bandiera o
altri simboli dello Stato leso, versamento di una somma simbolica. Se questi vengono
accettati dallo Stato leso, viene meno qualsiasi ulteriore conseguenza del fatto illecito e
il ricorso a misure di autotutela.
− L'unica forma di riparazione vera e propria è il risarcimento del danno prodotto
dall'illecito internazionale. Bisogna chiedersi se scaturisce da qualsiasi violazione
delle norme internazionali: per il danno agli stranieri, l'azione è automatica per il solo
fatto di produzione dell'illecito; per il danno agli Stati, si fa riferimento ai
danneggiamenti dovuti ad un'azione violenta (tranne la guerra) contro beni, mezzi e
organi dello Stato (distruzione di sedi diplomatiche, aeree...); per i danni alla funzione,
46
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si risarciscono i danni prodotti con la lesione degli individui che ricoprono la qualifica
di organo: bisogna però distinguere tra danni subiti dall'individuo e danni subiti
dall'organizzazione statale (danni alla funzione). In ogni caso sono risarcibili i danni
materiali.
48 LA RESPONSABILITA' PER FATTI LECITI
48.1 Responsabilità da attività pericolose ed inquinanti.
− Esiste una responsabilità per fatti leciti? Esiste nelle attività altamente pericolose ed
inquinanti.
− Qualcuno dice che si tratta di responsabilità oggettiva o senza illecito, quando è
chiamato a rispondere non solo delle attività dei suoi organi, ma anche degli individui
sottoposti al suo controllo.
− Si ha responsabilità oggettiva assoluta, anche quando il danno non si verifica (nel
diritto spaziale).
− La dottrina crede che sia meglio un sistema di responsabilità civile ed esistono
convenzioni in tal senso che però non riguardano la responsabilità internazionale, ma
di diritto interno.
49 LA SICUREZZA COLLETTIVA PREVISTA DALLE NAZIONI UNITE (*)
49.1 Azioni del Consiglio di Sicurezza a tutela della pace
− Nei rapporti internazionali è vietato l'uso della forza. Il Consiglio di sicurezza ha il
compito di mantenere la pace e l'ordine tra gli Stati e può utilizzare la forza ai fini di
polizia internazionale.
− Esso, una volta che ha accertato la violenza o la minaccia, può decidere le sanzioni da
applicare contro lo Stato (senza però usare la forza), come l'interruzione delle
comunicazioni o delle relazioni internazionali ed economiche.
− Prima però deve invitare lo Stato a prendere le misure provvisorie necessarie a non
aggravare la situazione.
− Il Consiglio gode di un larghissimo potere discrezionale nell'accertare una minaccia o
una violazione della pace, anche perché non è necessario l'uso della violenza bellica per
violare la pace.
− Nel diritto internazionale esiste una dichiarazione che elenca le diverse ipotesi di
aggressione, ma non incide sulle competenze del Consiglio. Dopo la caduta del muro di
Berlino, sono stati istituiti altri organi di carattere giurisdizionale ed è aumentata la
discrezionalità del Consiglio.
49.2 fasi
− Misure provvisorie
L'art. 40 prevede che il Consiglio può invitare le parti interessate ad ottemperare alle
misure provvisorie necessarie, ma esse non devono pregiudicare i diritti o la posizione
delle parti interessate. Le misure hanno natura preventiva (per non aggravare la
situazione) e non vincolante (si tratta pur sempre di un invito).
− Le misure non implicanti l'uso della forza
L'art. 41 prevede che il Consiglio può vincolare gli Stati membri dell'ONU a prendere
una serie di misure più blande (l'embargo, ad esempio) per lo Stato che abbia, secondo
il giudizio insindacabile dell'organo, violato o minacciato la pace.
− Le misure implicanti l'uso della forza
L'art. 42 prevede le ipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato colpevole di
aggressione, minaccia o violazione della pace internazionale oppure anche all'interno di
uno Stato (guerra civile). Il Consiglio, infatti, può eseguire azioni di polizia
internazionale, mediante delibere operative, con le quali non esorta, ma agisce
direttamente. Le modalità dell'azione del Consiglio di sicurezza si formano sulla base di

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accordi. Gli artt. 43 ss. non hanno mai ricevuto applicazione dal 1945. Il Consiglio è di
solito intervenuto in crisi internazionali o interne con misure militari. Ha creato le Forze
delle Nazioni Uniti (caschi blu), ma con compiti assai limitati per il mantenimento della
pace, ha aumentato l'uso della forza degli Stati membri, sia singolarmente, sia
nell'ambito delle organizzazioni regionali.
− (*) In ultimo esistono le c.d. pace-keeping operations, la cui caratteristica è la delega
del Consiglio in ordine sia al reperimento, attraverso accordi con gli Stati, sia al
comando delle Forze internazionali, che hanno compiti molto limitati. E' necessario il
consenso.

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PARTE QUINTA
L’ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI E LA SOLUZIONE DELLE
CONTROVERSE TRA STATI

50 L’ARBITRATO. LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA


50.1 La funzione giurisdizionale internazionale
− La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi natura arbitrale, essendo
ancorata al principio per cui un giudice internazionale, comunque costituito, non può
mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli
Stati parti di una controversia. Ed è proprio questo fatto che fa sì che si privilegi il
momento interno dell'applicazione del diritto internazionale.
50.2 Nozione di controversia internazionale
− Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionale una qualsiasi
controversia che riguardi i loro rapporti: ciò che importa è che siano d'accordo sulla
scelta e accettino come vincolante la sua decisione.
− Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente carattere arbitrale, poiché riposa
sulla volontà degli Stati.
− La controversia è un disaccordo su di un punto di diritto o di fatto, un contrasto, un
opposizione di tesi giuridiche
50.3 Arbitrato isolato (*)
− Il punto di partenza dell'evoluzione dell'istituto è l'arbitrato isolato.
− Esso si svolgeva solitamente in questo modo: sorta una controversia tra due o più Stati,
si stipulava un accordo (il c.d. compromesso arbitrale) con il quale si nominava un
arbitro (ad esempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale, si stabiliva
eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a rispettarne la sentenza
così emessa.
− L'istituto si è evoluto: per facilitare l'accordo, alla fine del secolo scorso, si è
cominciato a ricorrere a degli accorgimenti per l'instaurazione del processo: sono
comparsi i c.d. trattati generali di arbitrato (chiamati anche "non completi" per
distinguerli da quelli successivi "completi") e le clausole compromissorie.
− Questi obbligavano gli Stati a ricorrere all'arbitrato per tutte le controversie che
sarebbero sorte in futuro in ordine all'applicazione e all'interpretazione della
convenzione tra gli Stati stessi.
− Questi, quindi, creano soltanto un obbligo de contraendo, cioè l'obbligo di stipulare il
compromesso arbitrale.
− Nella seconda fase, con la fine della prima guerra mondiale, è stata creata la Corte
Permanente di Giustizia Internazionale all'epoca delle Società delle Nazioni, e poi, nel
1945, la Corte Internazionale di Giustizia.
− Si tratta di un corpo permanente di giudici, eletti dall'Assemblea generale e dal
Consiglio di Sicurezza. Resta comunque un tribunale arbitrale. In questa fase, compare
la figura della clausola compromissoria "completa" e del "trattato generale di arbitrato"
completo.
− Questi non si limitano a creare l'obbligo di stipulare il compromesso, ma prevedono
direttamente l'obbligo di sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale già
predisposto.
− Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionale internazionale va
sempre cedendo il passo ai mezzi diplomatici. Inoltre è necessario distinguere i
tribunali internazionali (destinati a risolvere le controversie tra Stati) dai tribunali
istituiti all'interno delle organizzazioni internazionali (che risolvono le controversie di
lavoro tra funzionari e l'organizzazione).

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− (*) Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settoriali che presentano
caratteristiche proprie: spicca, tra essi, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee
(con sede a Lussemburgo), che però si occupa a) dei ricorsi per violazione del Trattato
da parte di uno Stato membro, b) del controllo di legittimità sugli atti degli organi
comunitari e c) delle questioni c.d. pregiudiziali (esempio, quando un giudice interno
deve chiedere l'interpretazione del Trattato CE, ha il dovere di sospendere il processo e
di chiedere una pronuncia della Corte al riguardo).
− Nel 1988 è stato inoltre istituito il Tribunale di primo grado delle Comunità europee.
− La Corte europea dei diritti dell'uomo controlla il rispetto della convenzione europea
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali da parte degli Stati contraenti.

51 I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE


INTERNAZIONALI

− Questi mezzi si distinguono dai mezzi giurisdizionale di soluzione delle controversie


in quanto tendono soltanto a facilitare l'accordo delle parti: di conseguenza non hanno
carattere vincolante per le parti.
− L'accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati diretti tra le parti medesime, e
in genere sono il mezzo più utilizzato.
− Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifica l'intervento di uno Stato
terzo, o di un organo supremo di uno Stato o di un'organizzazione internazionale a
titolo personale. La differenza tra buoni uffici e mediazione è più teorica che pratica:
di solito con i primi ci si limita a indurre le parti della controversia a negoziare; nella
mediazione c'è invece una partecipazione più attiva del terzo alle trattative.
− Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di più all'arbitrato. Le
commissioni di conciliazione sono di solito composte da individui e da Stati ed hanno
il compito di esaminare tutti gli aspetti della controversia e formulare una proposta di
soluzione che le parti sono libere di accettare o meno.
− Le Commissioni di inchiesta, invece, hanno il compito di accertare il fatto. Il ricorso
alla conciliazione è sempre succedaneo del ricorso all'arbitrato, soprattutto nei trattati
multilaterali. Sempre più spesso è previsto come obbligatorio il ricorso alla
conciliazione, con la conseguente possibilità per uno degli Stati contraenti di dare
unilateralmente avvio alla procedura conciliativa.
− Ai mezzi diplomatici vanno riportate anche le procedure di soluzione non vincolanti
che si svolgono in seno alle organizzazioni internazionali.
− La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Stati membri hanno l'obbligo di
risolvere le loro controversie con mezzi pacifici.
− Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio di Sicurezza, che dispone di un
potere di inchiesta, da esercitare sia personalmente, sia per mezzo di un organo ad hoc,
come ad esempio un'apposita Commissione. Il Consiglio può anche sollecitare le parti
di una controversia a ricorrere ai mezzi e procedimenti pacifici. Il Consiglio può
rivolgere un invito generico o indicare uno specifico procedimento.

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