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Centro e periferia

di Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:
in Storia dell’arte italiana, I. Materiali e problemi,
1. Questioni e metodi, a cura di Giovanni Previtali,
Einaudi, Torino 1979, 1981, 1994

Storia dell’arte Einaudi 2


Indice

1. Periferia e provincia 5
2. Il caso italiano 6
3. La «Storia» del Lanzi 8
4. Storia artistica e distribuzione geografica 13
5. Città capitali e città suddite 17
6. Concorrenza e società civile 22
7. Gli squilibri territoriali 25
8. Questioni di lunga durata 26
9. La dislocazione dei centri artistici 30
10. Le città comunali 32
11. Centri di innovazione e aree di ritardo 34
12. Periferizzazione e declassamento 36
13. Vasari 38
14. Fine del policentrismo e nascita della «terza
maniera» 48
15. Un caso esemplare: l’Umbria 49
16. Riflusso e ritardo in periferia 52
17. Ritardo periferico o ritardo di metodo? 54
18. Periferia come scarto 56
19. La resistenza al modello 60
20. Modello e nuovo paradigma 61
21. L’alternativa di Avignone 64
22. Le regioni di frontiera 66

Storia dell’arte Einaudi 3


Indice

23. L’esilio del Lotto 68


24. Urbino e Barocci 71
25. Il Seicento e il Settecento 72
26. Centro e periferia, persuasione e dominazione 74
27. La dominazione simbolica 76
28. La dinamica delle opere 79
29. La dinamica degli artisti 81
30 La dinamica dei committenti 84
31. La Chiesa dopo Trento 87
32. I conti con l’Europa 89

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1. Periferia e provincia.

Periferia, o provincia? Forse è meglio parlare di peri-


feria, termine piú neutro, meno carico di implicazioni
valutative. Ma anche l’apparente neutralità del termine
«periferia» non è priva di trabocchetti. È stato un geo-
grafo a scrivere, a proposito dell’opposizione paradig-
matica centro/periferia, che quest’ultimo termine va
inteso come un’«allegoria nello stesso tempo spaziale e
politica»1. Ma qual è il peso rispettivo di questi ele-
menti? In quale sistema s’inseriscono di volta in volta
le coppie, piuttosto complementari che antitetiche, cen-
tro/periferia?
Queste domande, evidentemente cruciali per i geo-
grafi, potrebbero esserlo altrettanto per gli storici del-
l’arte2. Ma c’è il rischio di sentirsi dare la risposta un po’
disarmante contenuta nelle parole di Sir Kenneth Clark:

La storia dell’arte europea è stata, in larga misura, la sto-


ria di una serie di centri da ciascuno dei quali si è irradiato
uno stile. Per un periodo piú o meno lungo questo stile ha
dominato l’arte del tempo, è divenuto di fatto uno stile inter-
nazionale, che al centro era uno stile metropolitano e dive-
niva sempre piú provinciale quanto piú raggiungeva la peri-
feria. Uno stile non si sviluppa spontaneamente in un’area
vasta. È la creazione di un centro, di una singola unità da cui

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proviene l’impulso, che può essere piccola come la Firenze del


xv secolo o grande come la Parigi dell’anteguerra, ma che ha
la sicurezza e la coerenza di una metropoli3.

Se il centro è per definizione il luogo della creazione


artistica, e periferia significa semplicemente lontananza
dal centro, non rimane che considerare la periferia sino-
nimo di ritardo artistico, e il gioco è fatto. Si tratta, a
ben vedere, di uno schema sottilmente tautologico, che
elimina le difficoltà anziché cercare di risolverle. Pro-
viamo invece ad accogliere i termini «centro» e «peri-
feria» (e i relativi rapporti) nella loro complessità: geo-
grafica, politica, economica, religiosa – e artistica. Ci
accorgeremo subito che ciò significa porre il nesso tra
fenomeni artistici e fenomeni extrartistici sottraendosi
al falso dilemma tra creatività in senso idealistico (lo spi-
rito che soffia dove vuole) e sociologismo sommario. Ma
la rilevanza di uno studio del genere non è soltanto
metodologica. Considerato in una prospettiva poliva-
lente il rapporto tra centro e periferia apparirà ben
diverso dalla pacifica immagine delineata da Sir Ken-
neth Clark. Non di diffusione si tratta, ma di conflitto:
un conflitto rintracciabile anche nelle situazioni in cui
la periferia sembra limitarsi a seguire pedissequamente
le indicazioni del centro. E in un’età di imperialismi e
di subimperialismi, in cui anche le bottiglie di Coca-Cola
si configurano come segno tangibile di vincoli non solo
culturali, il problema della dominazione simbolica, delle
sue forme, delle possibilità e dei modi di contrastarla,
ci tocca inevitabilmente da vicino4.

2. Il caso italiano.

Per uno studio del nesso centro/periferia in campo


artistico, l’Italia appare un laboratorio privilegiato. Per

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molte ragioni: anzitutto, geografiche. Ricordiamo subi-


to i dati piú appariscenti: la lunghezza della penisola; il
rapporto tra il perimetro delle coste e la superficie; la fre-
quenza delle insenature; la presenza di due catene mon-
tuose trasversale l’una, longitudinale l’altra – come le
Alpi e gli Appennini; l’abbondanza di valli e di valichi.
Questi elementi hanno configurato un paesaggio quanto
mai contraddittorio e diversificato. Una relativa facilità
di scambi con paesi lontani è stata accompagnata da
comunicazioni scarse e difficoltose tra zone interne
magari vicinissime. (Ancora oggi, del resto, è piú facile
andare in treno da Torino a Digione che da Grosseto a
Urbino).
Questa contraddizione è stata accentuata, anziché
smorzata, dalla storia della penisola fin dalla tarda anti-
chità. La presenza di una fitta rete di strade romane e
di una quantità eccezionale di centri urbani, la spacca-
tura politica della penisola fin dalla guerra greco-gotica,
hanno esaltato la diversificazione da un lato e l’abbon-
danza delle comunicazioni dall’altro. Fin da allora la pro-
duzione artistica in Italia era destinata a fare i conti con
una fortissima tendenza al policentrismo, non solo: un
policentrismo consapevole, caratterizzato il piú delle
volte da molteplicità e non da mancanza di contatti. Si
trattò del resto di contatti spesso più subiti che cercati:
basta pensare agli imperatori d’Oriente e a quelli del
Sacro Romano Impero, ai califfi arabi e ai re franchi, agli
invasori ungari e ai pirati normanni. Ripensare la fisio-
nomia della produzione artistica italiana dal punto di
vista dei rapporti tra centro e periferia – sia pure sof-
fermandosi soprattutto sulla pittura, molto meno sulla
scultura, e quasi per nulla sull’architettura – significa
dunque ripensare, intera, la storia d’Italia.

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3. La «Storia» del Lanzi.

«E veramente – scriveva il Lanzi – la storia pittori-


ca è simile alla letteraria, alla civile, alla sacra». La gran-
de sistemazione proposta dal Lanzi è, per il discorso che
c’interessa, un punto di partenza obbligato: se non altro
perché per primo egli si distaccò dal venerando schema
imperniato sulle biografie degli artisti per adottarne uno
diverso, storico-geografico, che rifletteva le sue preoc-
cupazioni di curatore della galleria granducale. Con la
sua Storia pittorica il Lanzi si era proposto esplicitamen-
te di fornire un corrispettivo della Storia del Tiraboschi:
«Questo bel tratto di Paese [l’Italia] ha già, mercè del
Cav. Tiraboschi, la storia delle sue lettere; ma desidera
ancora quella delle sue arti». Ciò implicava, ai suoi
occhi, l’individuazione di un criterio ordinatore coe-
rente e adeguato alla materia:

una qualche distinzione di luoghi, di tempi, di avvenimen-


ti, che ne divisi l’epoche e ne circoscriva i successi; tolto via
quest’ordine, ella [la storia pittorica] degenera, come le
altre, in una confusione di nomi piú conducente a gravar la
memoria che a illustrare l’intendimento.

Dove trovare questo filo conduttore?

Non si può [...] imitare i naturalisti, che, distinte per atto


di esempio le piante in piú o in meno classi, secondo i vari
sistemi di Tournefort o di Linneo, a ciascuna classe facil-
mente riducono qualsisia pianta che vegeti in ogni luogo,
aggiugnendo a ciascun nome note precise, caratteristiche e
permanenti. Conviene, a fare una piena istoria di pittura,
trovar modo da allogarvi ogni stile per vario che sia da tutti
gli altri; né a ciò ho saputo eleggere miglior partito che tes-
sere separatamente la storia di ogni scuola. Ne ho preso
esempio da Winckelmann, ottimo artefice della storia anti-

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ca del disegno, che tante scuole partitamente descrive quan-


te furono nazioni che le produssero. Né altramente veggo
aver fatto nella sua storia de’ popoli Mr. Rollin...5.

Solo le scuole, dunque, forniscono un criterio di clas-


sificazione immune da rigidità o da schematismi, tale da
poter «tessere una storia piena come l’Italia la deside-
ra». La ricchezza della storia pittorica italiana non è
riducibile all’individuazione delle maniere o alla narra-
zione delle biografie dei capiscuola. Ma di quali scuole
precisamente si trattava?
La geografia dell’Italia pittorica si precisò con len-
tezza nella mente del Lanzi. Il progetto originario pre-
vedeva due volumi, che avrebbero dovuto ricalcare la
divisione di Plinio in Italia superiore e inferiore:

Nel primo volume io pensai di comprendere le scuole


[...] dell’Italia inferiore; giacché in essa le rinascenti arti
ebbero piú presto maturità; e nel secondo le scuole dell’I-
talia superiore, la cui grandezza apparve piú tardi.

Ma solo il primo volume fu dato alle stampe, nel


1792: esso comprendeva due scuole considerate «prin-
cipali», la fiorentina e la romana, piú altre due, la sene-
se e la napoletana, considerate «come adjacenze delle
primarie»6. Nella dedica a Maria Luisa di Borbone,
granduchessa di Toscana, il Lanzi avvertiva che la lavo-
razione, già avanzata, del secondo volume, era stata
interrotta «né può riassumersi cosí presto». Ma le suc-
cessive rielaborazioni, destinate a sfociare nella terza,
definitiva, edizione del 18o9, sostituirono all’iniziale
bipartizione un’opera piú ampia e complessa, divisa in
cinque volumi (piú un sesto volume di indici)7. A cia-
scun volume corrispondeva (con un’eccezione impor-
tante, come vedremo subito) una delle scuole principa-
li. Tale suddivisione s’ispirava esplicitamente a quella

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formulata al principio del Seicento da monsignor Aguc-


chi, che di scuole, però, ne aveva menzionate soltanto
quattro (lombarda, veneta, toscana e romana) ricalcate
a loro volta sulle quattro «maniere de gli antichi» (atti-
ca, sicionia, asiatica e romana)8. Di «ordini, classe o
vogliam dire schole» aveva parlato Giulio Mancini, pre-
scindendo però da considerazioni di ordine geografico,
per distinguere i principali indirizzi stilistici presenti a
Roma attorno al 16209. E prima ancora, nel 1591, il pit-
tore G. B. Paggi aveva visto operare in Italia «tre famo-
se scuole di pittura, in Roma, in Firenze, e in Venezia»;
e di «virtuosa scuola» aveva discorso, a metà del Cin-
quecento, il Cellini10.
Nel definire le scuole pittoriche italiane il Lanzi s’in-
seriva dunque in una discussione che durava ormai da
piú di due secoli. In questo arco di tempo il numero delle
scuole riconosciute era via via cresciuto, sia perché cen-
tri già esistenti avevano assunto una posizione di primo
piano (Bologna, Genova) sia perché la reazione munici-
palistica del Seicento aveva cercato di sostituire, nel-
l’ambito della letteratura artistica, un quadro policen-
trico all’immagine sostanzialmente monocentrica trac-
ciata dal Vasari. La novità del Lanzi consisteva nell’a-
ver affiancato alle maggiori una ricca costellazione di
scuole minori: in tutto, quattordici, compreso il Pie-
monte «che senz’avere successione di scuola sí antica
come altri Stati, ha però altri meriti considerabili per
esser compreso nella storia della pittura»11. Ne risulta-
va un quadro molto piú articolato di quelli precedenti:
la novità maggiore era rappresentata forse dalle cinque
scuole (modenese, parmense, mantovana, cremonese,
milanese) in cui veniva scomposta la generica etichetta
di «scuola lombarda». Eppure si trattava pur sempre di
un quadro fortemente squilibrato dal punto di vista geo-
grafico.
Partiamo da una considerazione brutalmente quanti-

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tativa. Nell’edizione del 1809 della Storia pittorica la


parte del leone spettava, com’era prevedibile, alle scuo-
le maggiori (esclusa quella lombarda, per la ragione appe-
na detta): fiorentina (300 pp.), veneta (293), romana
(28o), bolognese (214). A notevole distanza seguivano:
la milanese (98 pp.), la napoletana (85), la genovese
(73), la senese (70), la ferrarese (64). Ancora piú distac-
cate la parmense (46), la cremonese (45), la piemontese
e sue adiacenze (38), la modenese (35), la mantovana
(25). In altre parole, la parte dedicata ai pittori dell’I-
talia meridionale – quella «scuola napoletana» che fin
dal progetto originario del Lanzi figurava come appen-
dice della scuola romana – costituiva non piú di un ven-
tesimo del totale: 85 pagine su piú di 16oo complessive.
Per spiegare uno squilibrio cosí appariscente bisogna
ricordare anzitutto che il Lanzi non si recò mai nel
Regno né nelle isole. Il suo scrupolo di conoscitore, che
lo indusse a perlustrare anche zone meno ovvie come il
Friuli (per non parlare di Genova o della Lombardia) per
formulare il piú possibile giudizi di prima mano, si arre-
stò apparentemente di fronte alle difficoltà e alle fatiche
di un viaggio a sud di Roma. Di questa situazione d’in-
feriorità il Lanzi era il primo a essere consapevole. Nel-
l’intervallo tra la seconda edizione in tre volumi (Bassa-
no 1795-96) e la terza, definitiva (Bassano 18o9) egli
cercò di entrare in possesso di informazioni piú ampie e
attendibili sulla scuola napoletana. Il 13 giugno 1801
scriveva da Bassano all’amico Bartolomeo Gamba:

Vorrei avere o da lui [il cavalier Lazara] o da lei qualche


buon libro della pittura napoletana e siciliana piú recente;
giacché nulla ho veduto dopo Dominici12.

Ma queste ricerche non ebbero troppo successo: e il


Lanzi si trovò a scontare i ritardi dell’erudizione pitto-
rica meridionale. La sua unica fonte d’informazione per

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la scuola napoletana rimase il De Dominici (Vite dei pit-


tori... napoletani, Napoli 1742-43), con l’aggiunta, per
la Sicilia, o meglio per Messina, delle Memorie de’ pit-
tori messinesi apparse a Napoli nel 1792 sotto il nome
dello Hackert, ma redatte in realtà da un erudito loca-
le, il Grano. Dal De Dominici il Lanzi volle prendere
le distanze con una vera e propria stroncatura, in cui un
isolato e generico apprezzamento positivo suonava iro-
nico perché accompagnato da una serie di critiche net-
tissime:

La recente Guida o sia Breve descrizione di Napoli desi-


dera in questa voluminosa opera [del De Dominici] «piú
cose, miglior metodo, meno parole». Si può aggiungere,
rispetto ad alcuni fatti piú antichi, anche miglior critica, e
verso certi piú moderni meno condiscendenza. Nel rima-
nente Napoli ha per lui a luce una storia pittorica assolu-
tamente pregevole pe’ giudizi che presenta sopra gli artefi-
ci, dettati per lo piú da altri artefici, che col nome loro ispi-
rano confidenza a chi legge. Se l’architettura e la scultura
vi stian bene ugualmente, non è di questo luogo muoverne
questione13.

Le Memorie de’ pittori messinesi, d’altra parte, dovet-


tero ispirare al Lanzi una diffidenza perfino maggiore,
visto che le notizie ch’egli ne trasse furono scrupolosa-
mente relegate in nota.
In conclusione, il capitolo sulla scuola napoletana
prende in considerazione soltanto due centri, Napoli e
Messina. Gli accenni ai pittori operanti nel Regno al di
fuori di Napoli (Cola dell’Amatrice, Pompeo dell’Aqui-
la, G. P. Russo da Capua, Pietro Negroni) sono pochi e
generici. Viene auspicata un’opera sui pittori siracusa-
ni, e in genere sulla Sicilia. La Sardegna e la Corsica non
sono neppure ricordate.

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4. Storia artistica e distribuzione geografica.

I diciannove ventesimi della Storia pittorica sono dun-


que dedicati all’Italia centro-settentrionale. Qui non
mancavano al Lanzi né una conoscenza diretta delle
fonti primarie, né un apparato ampio e attendibile di
fonti secondarie. Nel corso della sua trattazione egli
s’imbatté tuttavia in un problema di ordine, diciamo
cosí, tassonomico, ch’egli discusse soprattutto in rap-
porto alla scuola romana e alla scuola lombarda. Riguar-
do alla prima egli scriveva:

Piú volte ho udito fra’ dilettanti della pittura muovere


il dubbio se scuola romana dicasi per abuso di termini, o con
quella proprietà con cui la fiorentina, la bolognese e la
veneta si denomina14.

Coloro che a Roma avevano «insegnato, o anche dato


tuono alla pittura» erano stati infatti, con l’eccezione di
Giulio Romano e del Sacchi, «artefici esteri». Ciò non
costituiva, agli occhi del Lanzi, una difficoltà,

perciocché a Venezia furono similmente esteri Tiziano di


Cadore, Paol di Verona, Jacopo da Bassano; ma perché sud-
diti di quel dominio si contan fra’ Veneti; essendo questo nel
comune uso un vocabolo che comprende i nativi della capi-
tale e della Repubblica. Lo stesso vuol dirsi de’ pontifici. Oltre
i nativi di Roma, vi venner maestri da varie città suddite, i
quali insegnando in Roma han continuata la prima successio-
ne, e in qualche modo anche han tenute le prime massime15.

L’appartenenza o meno a una determinata scuola


sembra dunque legata a considerazioni politiche, come
la provenienza da «città suddite» della capitale. In realtà
l’atteggiamento di Lanzi è piú complesso. Da un lato,
l’esclusione, anche se giustificabile da un punto di vista

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geografico-politico, risulta di fatto formulata sul terre-


no stilistico:

molto meno le ascrivo [a Roma] quegli che in lei vissero


esercitando tutt’altro stile; siccome fece, per darne un esem-
pio, Michelangiolo da Caravaggio16.

Dall’altro, alcune città suddite di Roma nel momen-


to in cui Lanzi scrive, hanno dato vita in passato a scuo-
le autonome:

non segno i confini di questa scuola con quei dello stato


ecclesiastico; perché vi comprenderei Bologna e Ferrara e
la Romagna, i cui pittori ho riservati ad altro tomo. Qui
considero con la capitale solamente le provincie a lei piú
vicine, il Lazio, la Sabina, il Patrimonio, l’Umbria, il Pice-
no, lo stato d’Urbino, i cui pittori furono per la maggior
parte educati in Roma, o da maestri almeno di là venuti17.

Dunque, i due criteri, quello stilistico e quello poli-


tico, spesso coincidono, perché ogni scuola presuppone
un centro, che è un centro anche politico. Talvolta però
divergono, perché esistono centri artistici che sono stati
in passato centri politici, e ora non lo sono piú. In altre
parole, la geografia pittorica e la geografia politica del-
l’Italia nel momento in cui Lanzi scrive, non sono sem-
pre sovrapponibili. In questi casi il criterio determi-
nante è, per il Lanzi, quello stilistico. Si vedano le affer-
mazioni, particolarmente nette, a proposito del Pie-
monte:

i Novaresi, i Vercellesi e alcuni del Lago Maggiore [...] che


furono prima di questa epoca, nacquero, vissero, morirono
sudditi di altro Stato; e per le nuove conquiste non piú
divennero torinesi di quel che divenisser romani Parrasio e
Apelle dal momento che la Grecia ubbidí a Roma. Per tal

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ragione [...] ho considerati costoro nella scuola milanese; a


cui, quantunque non fossero appartenuti per dominio, si
dovrebbon ridurre per educazione, o per domicilio, o per
vicinanza. Questo metodo ho tenuto finora; avendo io per
oggetto la storia delle scuole pittoriche, non degli Stati18.

In un caso, tuttavia, il Lanzi è costretto a confessa-


re che tale metodo è inadeguato. Arrivato al momento
di esporre «i princìpi e i progressi della pittura nella
Lombardia», che «fra quelle d’Italia è la meno cognita»,
il Lanzi rileva come «la sua storia pittorica dovesse
distendersi con un metodo affatto diverso da tutte le
altre». Ciò è dovuto all’assenza di un centro unificato-
re, una capitale:

La scuola di Firenze, quelle di Roma, di Venezia e Bolo-


gna, possono riguardarsi quasi come altrettanti drammi,
ove si cangiano ed atti e scene, che tali sono l’epoche di ogni
scuola; si cangiano anche attori, che tali sono i maestri di
ogni nuovo periodo; ma la unità del luogo, ch’è una mede-
sima città capitale, si conserva sempre; e i principali attori
e quasi protagonisti sempre rimangono se non in azione,
almeno in esempio [...]. Diversamente interviene nella sto-
ria della Lombardia, che ne’ miglior tempi della pittura divi-
sa in molti domíni piú che ora non è, in ogni Stato ebbe
scuola diversa da tutte le altre, e contò epoche pur diver-
se; e se una scuola influí nello stile dell’altra, ciò non inter-
venne o sí universalmente, o in un tempo cosí vicino che
un’epoca istessa possa convenire a molte di loro. Quindi
infino dal titolo di questo libro ho io rinunziato al comun
modo di favellare, che nomina scuola lombarda, quasi ella
fosse una sola.

Certo, qualcuno ha creduto di poter dare il nome di


scuola lombarda ai seguaci del Correggio, individuan-
done le caratteristiche: «ma limitata cosí la scuola, ove
riporremo noi i Mantovani, i Milanesi, i Cremonesi, i

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tanti altri che, nati pure in Lombardia e quivi fioriti, e


oltre a ciò educatori di molta posterità, meritano pur
luogo fra’ Lombardi?»19.
Alla consueta immagine di un centro maggiore incon-
trastato subentra questa volta un’immagine policentri-
ca. Ma la diversificazione tra le diverse scuole lombar-
de, su cui il Lanzi insiste contro il «comun modo di
favellare», scaturisce dalle divisioni politiche del passa-
to. La preminenza assegnata alle determinazioni stili-
stiche fa intravedere un nesso, non risolto dal Lanzi, tra
«storia delle scuole pittoriche» e «storia degli Stati»,
adombrato dal fatto che i centri artistici da lui presi in
considerazione furono anche, in un momento almeno
della loro storia, centri di potere politico.
In conclusione, la galassia pittorica italiana descritta
dal Lanzi appare dominata da quattro pianeti piú impor-
tanti, le «città capitali»: Firenze, Roma, Venezia, Bolo-
gna. Solo in rarissimi casi una delle «capitali» è riuscita
a diventare un sole, a unificare artisticamente l’intera
penisola:

Giotto cosí fu in esempio agli studiosi per tutto il seco-


lo xiv, come di poi Raffaello nel sestodecimo, e i Carracci
nel seguente; né so trovare in ltalia una quarta maniera che
abbia fra noi avuto seguito quanto queste tre20.

Ma si tratta di periodi eccezionali. Di regola, le «città


capitali» sono quelle che riescono a imporre un’egemo-
nia artistica durevole sulle «città suddite» dei rispetti-
vi Stati. Quando ciò non si verifica, come nel caso della
Lombardia, ci troviamo di fronte a una costellazione di
pianeti di seconda grandezza. È chiaro che il termine
«capitale» è usato in un’accezione artistica, non politi-
ca: nel 18o9, quando il Lanzi dava alle stampe l’edizio-
ne rivista della Storia, Milano era capitale del regno d’I-
talia, e tutti gli altri centri delle scuole lombarde da lui

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descritte (con l’eccezione di Cremona) erano stati sedi


di corti fino a un passato piú o meno recente. Infine,
abbiamo una miriade di satelliti (le «città suddite») gra-
vitanti, in posizione del tutto subordinata, attorno ai
pianeti di prima e seconda grandezza:

Ha, è vero, ogni capitale il suo Stato, e in esso deon ricor-


darsi le varie città e le vicende di ognuna; ma queste sono d’or-
dinario cosí connesse con quelle della metropoli che facil-
mente si riducono alla stessa categoria, o perché gli statisti
hanno appreso l’arte nella città primaria, o perché in essa
l’hanno insegnata, come nella storia della veneta scuola si è
potuto vedere, e i pochi ch’escon fuor d’ordine non alterano
gran fatto la unità della scuola e la successione de’ racconti21.

Basterà ricordare, a questo proposito, i due casi, in


un certo senso opposti, di Jacopo Bassano e di Verone-
se. Il primo

era limitato d’idee, e perciò facile a ripeterle; colpa anche


della sua situazione; essendo verissimo che le idee agli arte-
fici e agli scrittori crescono nelle grandi metropoli, e sce-
mano ne’ piccoli luoghi22.

Il secondo, invece, da Verona

passò prima a Vicenza, e quindi a Venezia. Era il suo talen-


to naturalmente nobile, elevato, magnifico, ameno, vasto;
e niuna città di provincia potea fornirlo d’idee proporzio-
nate a tal genio come Venezia23.

5. Città capitali e città suddite.

Si potrebbe dire che nella Storia del Lanzi la perife-


ria è presente soltanto sotto forma di zona d’ombra che

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Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

fa risaltare meglio la luce della metropoli. Rozzezza o


mancanza d’idee caratterizzano i pittori delle città sud-
dite, che il Lanzi sbriga generalmente subito prima di
passare ai generi pittorici minori. In una delle sue infre-
quenti formulazioni di carattere generale, egli scriveva,
a proposito di un pittore periferico seguace del Marat-
ta, il fermano Ubaldo Ricci:

Comunemente non oltrepassa la mediocrità; condizione


assai solita de’ pittori che vivono fuor delle capitali, senza
stimoli di emulazione e senza dovizia di buoni esempi24.

Bontà del clima; mecenatismo; emulazione; buoni


esempi: queste sono, secondo il Lanzi, le caratteristiche
delle metropoli atte a stimolare le arti. A esse si sono
aggiunte, nell’età piú recente, una piú diffusa cultura
artistica, e l’esistenza delle accademie. Si tratta di un
elenco tradizionale, se si eccettuano gli ultimi due ele-
menti, legati a una situazione specifica, sostanzialmen-
te settecentesca. Ma il tema dell’emulazione tra gli arti-
sti, largamente presente nella letteratura precedente (si
pensi al Vasari) si carica nel Lanzi di implicazioni nuove.
Rileggiamo, per intenderle, le ragioni che avevano spin-
to il Lanzi a scrivere la sua Storia pittorica:

ogni cosa par che il consigli; il trasporto de’ príncipi per le


belle arti; la intelligenza di esse distesa a ogni genere di per-
sone; il costume di viaggiare reso su l’esempio de’ grandi
sovrani piú comune a’ privati; il traffico delle pitture dive-
nuto un ramo di commercio importante alla Italia; il genio
filosofico della età nostra, che in ogni studio abborrisce
superfluità e richiede sistema25.

Le pitture sono divenute dunque un ramo del commer-


cio: anche per esse valgono i principî della concorrenza. Si
veda la pagina che conclude la sezione sulla scuola romana:

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Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Cosí, cresciuti i sussidi, estesa la coltura in ogni ceto


civile, la quale in altri tempi era ristretta in pochi, l’arte
prende un nuovo tuono, animata anche dall’onore e dal-
l’interesse. L’uso di esporre in pubblico le pitture alla vista
di un popolo, che fa giustizia alle buone, e ne fa talora riti-
rare a forza di sibili le malcomposte; i pubblici premi dati
a’ piú meritevoli di qualunque nazione essi sieno, e accom-
pagnati da’ componimenti de’ letterati e da festa pubblica
in Campidoglio; lo splendore de’ sacri tempii confacente ad
una metropoli della Cristianità, il quale con le arti si man-
tiene, e scambievolmente mantiene le arti; le commissioni
lucrose che vengon di fuori e abbondano in città, per la
generosità di Pio VI [...]; l’esempio continuo de’ sovrani
[...]; queste cose tengono in perpetuo moto e in gara lode-
vole gli artisti e le scuole loro...26.

«Onore» e «interesse»; «gara lodevole» e «sussidi»;


«pubblici premi» e «commissioni lucrose». Sull’impor-
tanza delle «pubbliche gare» per lo sviluppo dell’arte in
Atene aveva insistito il Winckelmann in quella Storia
delle arti del disegno presso gli antichi esplicitamente richia-
mata dal Lanzi, anzi presa a modello della Storia pittori-
ca per il suo ordinamento27. Ma l’insistenza sull’«inte-
resse» come motore dello sviluppo artistico non è
winckelmanniana. Si è tentati di legarla all’ipotetica let-
tura di un’opera che siamo abituati a inserire in un’or-
bita culturale lontanissima da quella dell’abate Lanzi:
l’Essay on the History of Civil Society di Adam Ferguson
(1767). Di esso apparve a Vicenza nel 1791-92 una tra-
duzione italiana – Saggio sopra la storia della società civi-
le – condotta sulla base di una precedente traduzione
francese, e debitamente munita di una licenza di stam-
pa del Sant’Uffizio veneziano28.
Le tracce di una possibile lettura di questa traduzio-
ne di Ferguson da parte del Lanzi sono, come vedremo,
esigue. Certo è che, nella Storia pittorica, l’importanza

Storia dell’arte Einaudi 19


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

della concorrenza è fortemente sottolineata: sia nel


senso di emulazione tra artisti, sia nel senso di emula-
zione tra committenti. Perché, ad esempio, si hanno in
determinati periodi concentrazioni di artisti – pittori o
letterati – di eccezionale livello, come il «secolo di Leone
X»? Il Lanzi comincia col dare una risposta di tipo tra-
dizionalmente accademico:

io son d’avviso che i secoli sian formati sempre da certe


massime ricevute universalmente e da’ professori e da’
dilettanti; le quali incontrandosi in qualche tempo ad esse-
re le piú vere e le piú giuste, formano a quella età alquanti
straordinari professori e moltissimi de’ buoni.

Ma la frase che segue, di timbro ben diverso, anche


se presentata come un’aggiunta suona piuttosto come
una spiegazione alternativa:

Aggiungo però che questi felici secoli non mai sorgono


se non v’è un gran numero di príncipi e di privati che
gareggino in gradire e ordinare opere di gusto: cosí vi s’im-
piegano moltissimi; e fra il loro gran numero sorgono sem-
pre certi geni che dan tuono all’arte29.

Una riprova di tutto ciò è data, secondo il Lanzi, dalla


«storia della scultura in Atene, città ove la magnificenza
e il gusto andavan del pari»: il richiamo immediato è,
anche qui, a Winckelmann – ma non si può non ricorda-
re la pagina di Ferguson sul lusso nel suo rapporto con il
progresso delle arti30.
È chiaro che l’insistenza sulla pluralità dei commit-
tenti pone implicitamente un problema politico: un prin-
cipato assoluto è favorevole allo sviluppo delle arti al
pari di una repubblica? Il Lanzi sembra essersi posto un
problema del genere nella prima edizione (1792) della
Storia, a proposito di Siena:

Storia dell’arte Einaudi 20


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Dopo che Cosimo I spogliò i Senesi di una libertà ch’es-


si avrian ceduta con men dispetto a qualunque altra italica
nazione che alla fiorentina, decaddero in Siena le arti non
solamente perché queste sieguono d’ordinario la fortuna
civile delle Città; ma perché due terzi de’ cittadini in tale
occasione cangiaron suolo, ricusando di viver sudditi ov’e-
rano nati liberi31.

Nella terza edizione (1809) il passo era formulato


piú prudentemente in questi termini:

Venne finalmente l’anno 1555, nel quale Cosimo I spo-


gliò i Senesi dell’antica lor libertà. Essi l’avrian ceduta con
men dispetto a qualunque altra nazione che alla fiorentina;
onde non è da stupire se due terzi de’ cittadini in tale occa-
sione cangiaron suolo, ricusando di viver sudditi di sí abbo-
minato nimico32.

In questo modo il nesso libertà – fortuna civile – pro-


sperità delle arti, proposto nella prima edizione, veniva
cancellato. Tra le due formulazioni si era inserito Napo-
leone, il «nuovo Alessandro» cui il Lanzi, alla fine del-
l’edizione del 18o9, rendeva laconicamente omaggio.
L’accento, discreto ma eloquente, alla libertà, aveva
un timbro molto winckelmanniano. Nella Storia delle
arti del disegno, la sua opera maggiore, egli aveva scrit-
to per esempio che «la libertà fu la principal cagione de’
progressi dell’arte [greca]». «È un principio favorito del
sig. Winckelmann – annotava a questo punto il curato-
re della traduzione italiana (Roma 1783) C. Fea – che
la libertà abbia sempre avuta una grandissima influenza
sulla perfezione delle arti; ma il ragionamento, e la sto-
ria provano sovente l’opposto...»33. A quanto pare il
Lanzi si sentiva su questo punto, almeno nel 1792, piú
vicino alle idee del Winckelmann che a quelle del Fea.
Ma nel richiamo alla «fortuna civile» non si può esclu-

Storia dell’arte Einaudi 21


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dere un’eco del Saggio di Ferguson. Nel capitolo vii


della parte III, intitolato Della storia delle arti, si legge:

La immaginazione ed il sentimento, l’uso dell’intelletto


e delle mani non sono invenzioni di alcuni uomini partico-
lari. Il florido stato delle arti è il segnale della interna feli-
cità politica di un popolo, anziché una prova di lumi altron-
de avuti, ovvero una superiorità naturale di talenti e d’in-
dustria34.

«Il florido stato delle arti è il segnale della interna


felicità politica di un popolo», scriveva Ferguson; «le
arti [...] seguono d’ordinario la fortuna civile delle città»
dichiarava Lanzi (salvo poi, come abbiamo visto, cor-
reggere l’intero passo). Si potrebbe congetturare che
anche l’espressione «società civile» che ricorre nell’in-
troduzione alla Storia pittorica, nella parte dedicata ai
metodi dei conoscitori («la natura, per sicurezza della
società civile, dà a ciascuno nello scrivere un girar di
penna che difficilmente può contraffarsi o confondersi
del tutto con altro scritto») costituisca una traccia della
lettura di Ferguson: soprattutto perché qui la «società
civile» non è la comunità umana organizzata della tra-
dizione aristotelica ma, piú precisamente, la società bor-
ghese – una società fondata sulla fiducia reciproca, deri-
vante in primo luogo dalla difficoltà di falsificare le
firme apposte ai contratti commerciali35.

6. Concorrenza e società civile.

Se si insiste sulla possibilità, comunque non provata,


di una lettura di Ferguson da parte di Lanzi, è perché
essa potrebbe dar conto di un tema che ricompare piú e
piú volte nelle pagine della Storia pittorica, e a cui non
si è dato generalmente il rilievo che merita. L’esistenza

Storia dell’arte Einaudi 22


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

di una committenza molteplice, e quindi di un mercato,


influisce, abbiamo visto, in maniera positiva sulla pro-
duzione artistica. Ma questa è per Lanzi soltanto una
faccia della medaglia. Egli vede infatti il rischio, deplo-
revole, che per far fronte alle committenze e battere la
concorrenza un artista sia indotto a risparmiare sul
tempo, o sui materiali. L’attenzione del Lanzi agli aspet-
ti artigianali, manuali del fare pittorico assume a questo
punto risonanze singolarmente moderne. Per allontana-
re dal Correggio la taccia tradizionale di avarizia egli non
esita a rompere vistosamente il tono stilistico dominan-
te della Storia inserendo un minuzioso elenco di paga-
menti, che culmina in quest’affermazione:

Ogni sua pittura è condotta o in rame, o in tavole, o in


tele assai scelte, con vera profusione di oltremare, con lac-
che e verdi bellissimi, con forte impasto e continui ritoc-
chi, e per lo piú senza tor la mano dalla opera prima di aver-
la al tutto finita; in una parola senza niuno di que’ rispar-
mi o di spesa, o di tempo, che usarono poco meno che tutti
gli altri36.

Soprattutto il risparmio di tempo, la «velocità», pare


al Lanzi una pratica diffusa e condannabile. Troppi pit-
tori seguono le orme del Vasari, che «il piú delle volte
antepose la celerità alla finitezza», richiamandosi alla
pittura, compendiaria degli antichi: ma il passo di Plinio
su Filosseno Eretrio, commenta Lanzi, parla di pitture
in cui la velocità di esecuzione era accompagnata dalla
perfezione. Invece il metodo moderno basato sul «mec-
canismo», sul «tirar via di pratica»,

quanto è vantaggioso all’artista, che cosí moltiplica i suoi


guadagni, altrettanto è nocivo all’arte, che per tal via urta
necessariamente nel manierismo, o sia alterazione del ver037.

Storia dell’arte Einaudi 23


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Il punto di discrimine è rappresentato dai veneti, e in


particolare da Giorgione, che «sdegnò quella minutezza,
che rimaneva ancora da vincersi; e a lei sostituí una certa
libertà, e quasi sprezzatura, in cui consiste il sommo del-
l’arte». In questo modo, lavorando «non tanto d’impa-
sto, quanto colpeggiando o di tocco» i veneti si sono atti-
rati dagli stranieri l’accusa di aver ceduto a

una celerità che abborraccia, che sdegna freno di regole, che


non finisce il lavoro presente per ansietà di passar presto
ad altro lavoro, e cosí ad altro guadagno38.

Da quest’accusa il Lanzi assolve Tiziano, di cui dice


che «nel perfezionare i suoi lavori si sa che durava fati-
ca grande, e che avea insieme premura grande di nascon-
dere tal fatica», e Veronese, in cui la celerità era accom-
pagnata da «somma intelligenza»: ma critica la mancan-
za di diligenza di Tintoretto, i quadri che sembrano
abbozzi di Palma il Giovane dovuti alle troppe commis-
sioni, la rapidità divenuta incuria del Piazzetta, per con-
cludere, a proposito del cremonese Giuseppe Bottani:

Il lettore può oggimai aver notato nel corso di questa


istoria che lo scoglio piú fatale alla riputazione de’ pittori
è la fretta. Pochi sono che possano far presto e bene39.

La «società civile» analizzata da Rousseau e da Fer-


guson è la società borghese basata sulla concorrenza.
Non si vuol caricare di troppe implicazioni l’accenno iso-
lato del Lanzi alla «società civile»: certo è però ch’egli
sottolineò sia gli effetti propulsivi della concorrenza
sullo sviluppo della pittura, sia il dilagare del «mecca-
nismo» a danno della qualità dei prodotti causa la cre-
scente commercializzazione dell’attività artistica.

Storia dell’arte Einaudi 24


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

7. Gli squilibri territoriali.

Questa rilettura della Storia del Lanzi condotta sul


filo dei rapporti tra centro e periferia ha fatto emerge-
re due ordini di problemi irrisolti, e, come si vedrà,
interdipendenti. Dal punto di vista geografico, lo squi-
librio tra la parte dedicata all’Italia centro-settentrionale
e quella dedicata all’Italia meridionale e alle isole. Dal
punto di vista storico-genetico, l’importanza decisiva
attribuita alla concorrenza non solo tra artisti ma tra
committenti – e quindi un nesso non chiarito tra centri
di potere (politico, o di altro tipo) e centri di elabora-
zione artistica. Con questi problemi (anche se posti in
termini inevitabilmente un po’ diversi) ci troviamo a
fare i conti ancora oggi.
Cominciamo dalla questione geografica. È stato rile-
vato autorevolmente che tra Cinquecento e Settecento,
fra Tasso e Metastasio, passando per Marino e Gravi-
na, si determina nell’ambito della cultura letteraria ita-
liana un pieno equilibrio tra Nord e Sud40. Si ricorderà
invece quanto diverso e sbilanciato fosse il quadro trac-
ciato dal Lanzi. È lecito chiedersi se questa distorsione
di cui il Lanzi stesso, come abbiamo visto, era consape-
vole, sia tutta da attribuire alla povertà e inattendibilità
delle sue fonti d’informazione sull’Italia meridionale,
nonché alla mancanza di indagini dirette.
Che la pittura del Regno e delle isole sia ancora in
grandissima parte da scoprire, è indubbio. Altrettanto
indubbio è che la perdurante trascuratezza della storio-
grafia artistica nei confronti di questa parte d’Italia vada
ascritta a una situazione riassumibile nel termine «que-
stione meridionale»41. E tuttavia – per anticipare una
conclusione che apparirà ovvia – le auspicabili ricerche
sulla pittura meridionale non potranno porre in luce una
rete di centri artistici paragonabile a quella del Centro e
del Nord d’Italia. In questo senso, è lecito dire che la

Storia dell’arte Einaudi 25


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

distorsione presente nella Storia pittorica del Lanzi riflet-


te in sostanza una distorsione, o meglio la distorsione che
caratterizza la storia (non solo pittorica) d’Italia.
Abbiamo parlato di una conclusione ovvia. Ma la
distribuzione geografica dei centri artistici italiani non
è ovvia. Varrà la pena di analizzarla.
Proviamo a considerare i centri artistici italiani come
una specie di club. Quali erano le condizioni per iscri-
versi a questo club? e quando si chiusero le iscrizioni?
Fuor di metafora: perché i centri artistici italiani sono
stati, storicamente, certi e non altri? e quando (e per-
ché) cessarono di emergere centri nuovi?
Per rispondere bisognerà partire da molto lontano.
L’antichità e la persistenza dei centri urbani è infatti
una delle caratteristiche piú evidenti della storia della
penisola. Secondo il Sereni, su un campione di 8000 cen-
tri piú di un quarto (2684) risulta fondato in età roma-
na o preromana, un po’ meno di un terzo tra l’viii e il
xii secolo, e meno di un ottavo nel periodo posteriore
al xiv secolo42. Ma questo dato quantitativo, di per sé
impressionante, ne nasconde un altro, qualitativo, anco-
ra piú denso di conseguenze per la storia, anche artisti-
ca, italiana: e cioè che un contrasto fondamentale tra i
centri urbani della penisola si era già delineato nel corso
del i secolo a. C.43.

8. Questioni di lunga durata.

In questo periodo si verificarono infatti due proces-


si paralleli ma di segno diverso. Dopo la fine della guer-
ra sociale (88 a. C.) un gran numero di contadini impo-
veriti del Centro-Sud tendeva ad abbandonare le cam-
pagne per riversarsi su Roma. La classe dirigente roma-
na dovette perciò vedere con favore le massicce inizia-
tive di ricostruzione e di rinnovamento edilizio attuate

Storia dell’arte Einaudi 26


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dai municipi ex alleati. Anche se una consapevole poli-


tica di assorbimento della manodopera disoccupata
attraverso l’edilizia sembra da escludere, il risultato fu
comunque quello di alleggerire la pressione migratoria in
direzione di Roma. Antichi centri si ampliarono, cin-
gendosi di mura, e numerose comunità uscirono dallo
stato tribale per passare a una vita associata di tipo
urbano. Queste iniziative municipali si verificarono in
tutto il Centro-Sud, con l’eccezione (significativa, per
motivi che vedremo) della fascia centrale dove si erano
avuti in passato insediamenti etruschi: l’Etruria, e parte
dell’Umbria odierna.
All’incirca nello stesso periodo si venne attuando la
colonizzazione romana della Gallia cisalpina. Anch’essa
fu accompagnata dalla fondazione di centri urbani, ma
secondo modalità molto diverse da quelle del
Centro-Sud. Non solo perché il numero dei nuovi cen-
tri fu di gran lunga minore, ma soprattutto perché la loro
fondazione avvenne secondo un vero e proprio piano
regolatore, che implicava una riorganizzazione del terri-
torio, la costruzione di opere idrauliche e cosí via44. Da
un lato, quindi, una sorta di «urbanizzazione selvaggia»
gestita dai singoli municipi; dall’altro, un’urbanizzazione
regolata e pianificata da Roma. In definitiva, diversi, e
diversamente equilibrati, rapporti tra città e campagna.
Anni fa, esponendo in maniera piú precisa una sua
vecchia idea, il Salvatorelli sostenne che di storia d’Ita-
lia in senso proprio si poteva cominciare a parlare fin dal
i secolo a. C., e precisamente dalla guerra sociale, segui-
ta dalla concessione della cittadinanza romana agli ita-
lici45. Le considerazioni esposte or ora portano ulteriori
elementi a favore di questa tesi. La storia d’Italia, cosí
povera di rivoluzioni, sarebbe nata dunque sotto il segno
di una rivoluzione vittoriosa a metà.
Con questo non si vuol dire, evidentemente, che la
questione meridionale sia cominciata allora. È vero però

Storia dell’arte Einaudi 27


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

che lo squilibrio fondamentale che caratterizza la storia


della penisola (e senza il quale essa sarebbe stata diver-
sa da quella che è stata ed è) ha le sue lontanissime radi-
ci nelle divergenti vicende del i secolo a. C. I rivolgi-
menti e i traumi successivi poterono alterare questo
squilibrio, non cancellarlo.
Alla fine dell’evo antico la rete dei centri urbani ita-
liani presentava dunque un aspetto duplice: nel Cen-
tro-Sud (con l’eccezione dell’Etruria e di parte dell’o-
dierna Umbria) una maglia fittissima, nel Nord un reti-
colato molto piú rado. La resistenza dei due settori, già
allora fortemente indeboliti, allo sconvolgimento che
seguí, fu oltremodo diversa. Per convincersene, basterà
esaminare la carta delle diocesi italiane all’inizio del
secolo vii. Come si sa, le sedi vescovili coincidevano di
fatto con altrettanti centri urbani: la distruzione o lo
spopolamento di questi ultimi comportava, dopo un
periodo di tempo spesso assai lungo, o il trasferimento
della diocesi a un centro contiguo, o la sua soppressio-
ne. Per questi motivi, un esame delle diocesi soppresse
fornisce una serie di indicazioni assai significative.
Ciò che salta agli occhi è l’entità del fenomeno: su
232 diocesi esistenti all’inizio del secolo vii, 106 (com-
prese 3 incerte) furono soppresse. Quasi la metà, dun-
que. Va notato che le diocesi trasferite da un centro in
rovina a un centro contiguo di recente fondazione (da
Luni a Sarzana, per esempio, o da Roselle a Grosseto)
non sono state incluse tra quelle soppresse: il quadro dei
centri scomparsi o ridotti a villaggi risulta quindi appros-
simato per difetto. Ma accanto all’entità del fenomeno
colpisce la sua distribuzione geografica. Delle 106 dio-
cesi soppresse, 15 appartenevano al Nord, 42 al Centro,
49 (quasi la metà) al Sud e alle isole. Il reticolo urbano
piú fitto risultò dunque il piú fragile. È vero che, nono-
stante la falcidia avvenuta, il numero delle diocesi meri-
dionali rimase elevatissimo: ma si trattava, e si tratta

Storia dell’arte Einaudi 28


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

ancor oggi, di diocesi spesso piccolissime, coincidenti


con località d’importanza spesso trascurabile.
Ben diversa resistenza oppose invece il reticolo urba-
no comparativamente piú rado del Nord (e di parte del
Centro). Scomparvero, certo, o decaddero gravemente,
centri litoranei o semilitoranei come Aemonia, Aquileia,
Altinum, Vicohabentia, maggiormente esposti alle inva-
sioni: ma il quadro complessivo non subí modificazioni
troppo gravi. Si potrebbe tracciare su questa base una
linea congiungente Roselle (o, se si vuole, Grosseto)
Chiusi, Perugia, Ancona. A sud di questa linea imma-
ginaria, un mezzo cimitero di antichi centri urbani46; a
nord, una serie di città colpite talvolta in maniera gra-
vissima, ma quasi mai definitiva. Corfinium o Marru-
vium, a differenza di Bologna o Piacenza, non doveva-
no risorgere piú. Dietro questa dicotomia traspare (tran-
ne qualche divergenza nella fascia comprendente il Lazio
settentrionale e l’Umbria meridionale) l’opposizione che
si era venuta determinando, nel i secolo a. C., tra gli
insediamenti urbani nelle varie parti della penisola.
La diversa sorte di Bologna o Piacenza rispetto a
Corfinium o Marruvium si spiega naturalmente alla luce
della storia italiana successiva. Ora, il punto è proprio
questo. Proviamo a fare un salto di alcuni secoli. Dopo
il Mille, in tutta Italia c’è una rinascita delle città. Ma
nel giro di un secolo le vicende del Centro-Nord da un
lato, e del Sud dall’altro, divergono ancora una volta.
All’Italia dei Comuni si contrappone un’Italia feudale.
Lo sviluppo autonomo delle città meridionali si arresta:
Amalfi, per ricordare solo un caso esemplare, decade.
Palermo prospera e si rafforza, ma perché è sede di una
corte. Al panorama che si andava profilando, analogo a
quello riccamente policentrico dell’Italia centro-setten-
trionale, ne subentra uno del tutto diverso, caratteriz-
zato dallo schiacciamento delle città minori a danno
delle metropoli. Si è soliti attribuire questa svolta deci-

Storia dell’arte Einaudi 29


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

siva a fattori esogeni: la conquista normanna prima, il


dominio svevo poi. Ma le spiegazioni del tipo «invasio-
ne degli hyksos» sono sempre semplicistiche. La geo-
grafia dell’Italia comunale invita piuttosto a riflettere sul
peso determinante che poterono avere elementi piú
profondi e piú antichi. L’area di diffusione dei Comu-
ni coincide largamente, infatti, con quella parte d’Italia
in cui il reticolo urbano di origine romana o preromana
era risultato piú resistente. Si tratta, è vero, di una
coincidenza imperfetta: se sovrapponiamo le due aree,
rimane fuori una fascia dell’Italia centrale, a sud della
zona Roselle (Grosseto)-Chiusi-Perugia-Ancona, dove
pure si svilupparono città comunali come Orvieto o
Viterbo. Ma proprio questa fascia di non-coincidenza è
significativa, perché rinvia ancora una volta a una dico-
tomia piú antica: il contrasto tra le due parti della peni-
sola emerso nel i secolo a. C. Piú di mille anni dopo, quel
contrasto agiva ancora.

9. La dislocazione dei centri artistici.

Queste contraddizioni di lungo (o lunghissimo) perio-


do vanno tenute presenti se vogliamo capire la disloca-
zione geografica dei centri artistici italiani. Tra essi tro-
viamo infatti molti centri di origine romana o preroma-
na: ma ciò non costituisce una condizione necessaria (e
tanto meno sufficiente) per l’ammissione al club di cui
parlavamo piú sopra. Basta pensare a Venezia o a Fer-
rara per rendersi conto che dobbiamo cercare in altra
direzione. L’essere stati sede di diocesi, allora? È pro-
babile che questa debba essere considerata una condi-
zione pressoché necessaria, nel senso che è difficile tro-
vare un centro artistico italiano che non sia stato anche
sede vescovile. Le eccezioni, come Saluzzo o Fabriano
solo tardivamente divenute sedi vescovili, sono pochis-

Storia dell’arte Einaudi 30


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

sime: quanto ai monasteri, si tratta di centri sui generis,


caratterizzati dall’assenza di una periferia relativa. Ma
certo non si tratta di una condizione sufficiente: i cen-
tri di diocesi che non hanno avuto una parte di rilievo
nella storia artistica della penisola sono innumerevoli –
da Sarsina, a Numana, alla miriade di centri vescovili
minori del Mezzogiorno.
È nell’ambito dei centri di diocesi, dunque, che
dovremo cercare di regola i centri artistici italiani. Ma
quali elementi (storici, s’intende, non formali) defini-
scono questo sottoinsieme?
Procediamo per scarti successivi. Prendiamo anzi-
tutto in esame i centri scomparsi o decaduti (e non piú
risorti) dopo l’inizio del secolo vii. Tra essi, nessuno (con
la possibile eccezione di Aquileia) può essere definito
centro artistico in senso proprio. Il campo dell’indagine
si restringe immediatamente. Proviamo allora a passare
in rassegna le sedi vescovili istituite dopo il secolo vii.
È possibile identificare una fase di intensa riorganizza-
zione della geografia ecclesiastica italiana che comincia,
nel Sud, fin dai secoli xi e xii, e nel Centro-Nord, dopo
la metà del secolo xiv47. Tuttavia, nessuna delle sedi
vescovili istituite dopo queste date può ambire alla qua-
lifica di centro artistico. Come si vede, la rosa dei pos-
sibili candidati continua a restringersi. Se continuiamo
questa manovra a tenaglia, arriviamo alla seguente con-
clusione: che le iscrizioni al club dei centri artistici ita-
liani, aperte in linea di principio a tutte le sedi vescovi-
li, si chiusero alla fine dell’xi secolo. Dopo questo perio-
do, le nuove sedi – si trattasse di Alessandria o di Livor-
no, di Carpi o di Prato, di Foggia o di Civitavecchia –
trovarono le porte sbarrate.
A questo punto abbiamo circoscritto fortemente le
condizioni cronologiche necessarie all’ammissione: ma
non abbiamo ancora identificato le condizioni sufficien-
ti. In altre parole: i centri artistici italiani corrispondo-

Storia dell’arte Einaudi 31


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

no tutti ad altrettante sedi vescovili esistenti alla fine del


secolo xi; ma non è vero il reciproco. Perché Andria,
Matelica, Venosa, Taranto (per citare alcuni nomi di
sedi scelte a caso) non riuscirono a diventare centri arti-
stici nel senso pieno del termine?
Ciò che ci consente finalmente di decifrare le coor-
dinate geografiche e cronologiche dei centri artistici ita-
liani è la decisiva contrapposizione tra le due Italie –
quella comunale e quella feudale – che emerge per l’ap-
punto nel corso del secolo xi. Nell’Italia centro-setten-
trionale (a parte i casi sui generis di Venezia e, ovvia-
mente, di Roma) i centri artistici s’identificano con le
città che svilupparono un’intensa vita comunale – tutte,
senza eccezione, sede di diocesi48. Nell’Italia meridio-
nale, a parte l’eccezione di Messina, con le città poi
soffocate dal centralismo normanno-svevo (Amalfi, Bari)
e con le città sedi di corte (Palermo, Napoli). La fron-
tiera tra queste due Italie artistiche – policentrica l’una,
oligocentrica l’altra – ricalca quella emersa nel i secolo
a. C. e mai cancellata dalle vicissitudini posteriori.

10. Le città comunali.

È chiaro che sottolineare l’importanza decisiva delle


città comunali nello sviluppo dell’arte italiana non signi-
fica riproporre divagazioni retoriche di sapore ottocen-
tesco sul libero comune, rustico e non. Ciò che conta ai
nostri occhi è anzitutto la presenza simultanea in una
serie di centri urbani di un potere comunale e di un
potere vescovile, talvolta alleati, piú spesso in contrasto,
che diedero luogo a una duplice, alternativa commit-
tenza, laica ed ecclesiastica, di durata non episodica. In
secondo luogo, l’esasperata tensione municipalistica,
esplosa in età comunale con particolare violenza ma
destinata a durare molto piú a lungo, che costituí una

Storia dell’arte Einaudi 32


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

spinta fortissima alla diversificazione artistica. Da un


lato, dunque, una situazione di potenziale concorrenza
all’interno dei singoli centri; dall’altro, l’esistenza di
una situazione analoga tra centri diversi. Ciò significa
che ci muoviamo, ancora oggi, nell’ambito del modello
concorrenziale delineato dal Lanzi. Anche per noi, infat-
ti, la presenza o meno di una situazione di concorrenza
tra artisti e tra committenti è indice di una tendenza o
meno all’innovazione artistica. Ci guarderemo bene dal-
l’identificare senz’altro innovazione e qualità – col che
ricadremmo nella tautologia riscontrata nelle parole di
Kenneth Clark citate all’inizio. È indubbio, però, che
le condizioni che tendono a favorire l’innovazione arti-
stica si verificano di regola nei cosiddetti centri. I cen-
tri artistici, infatti, potrebbero essere definiti come luo-
ghi caratterizzati dalla presenza di un numero cospicuo
di artisti e di gruppi significativi di committenti, che per
diverse motivazioni – orgoglio familiare o individuale,
desiderio di egemonia o brama di salvezza eterna – sono
pronti a investire in opere d’arte una parte delle loro ric-
chezze. Quest’ultimo punto implica, evidentemente,
che il centro sia un luogo in cui affluiscono quantità con-
siderevoli di surplus da destinare, eventualmente, alla
produzione artistica. Inoltre, potrà essere dotato di isti-
tuzioni di tutela, educazione e promozione degli artisti,
nonché di distribuzione delle opere. Infine, conterà un
pubblico ben piú vasto di quello dei committenti veri e
propri: un pubblico non omogeneo, certo, ma diviso in
gruppi, ognuno dei quali potrà avere abitudini percetti-
ve e criteri di valutazione suoi propri, che potranno tra-
dursi in attese e richieste specifiche.
Si tratta, come si vede, di una definizione quanto mai
generica – ma, nello stesso tempo, storicamente restrit-
tiva. Non si vede, infatti, come sia possibile, per esem-
pio, rintracciare una pluralità di committenti nell’ambito
di un monastero alto-medievale, tale da provocare con-

Storia dell’arte Einaudi 33


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

flitti paragonabili a quelli che opposero talvolta, anche


sul terreno delle scelte artistiche, vescovo e capitolo49.
Ma è chiaro che le nozioni di «centro» e «periferia»
hanno, se riferite all’Europa monastica, tutt’altro signi-
ficato rispetto a quello attribuibile a esse per i secoli
posteriori al Mille. Inoltre, la definizione che abbiamo
proposto implica che la nozione di centro esclusivamen-
te artistico è contraddittoria. Centro artistico potrà esse-
re soltanto un centro di potere extrartistico: politico e/o
economico e/o religioso. Pertanto, la mera presenza, o
addirittura la concentrazione di opere d’arte in una
determinata località non basta a fare di quest’ultimo un
centro artistico nel senso anzidetto. I castelli, le ville o
i santuari potranno eventualmente essere considerati
proiezioni fisiche nel territorio di un potere politico,
economico, religioso situati altrove.

11. Centri di innovazione e aree di ritardo.

Se il centro tende a configurarsi come il luogo del-


l’innovazione artistica, la periferia, correlativamente,
tende a configurarsi (anche se non sempre) come il luogo
del ritardo. Di questo fenomeno – certo il piú frequen-
te, nei rapporti tra centro e periferia – proviamo a deli-
neare una sommaria tipologia. È possibile distinguere un
ritardo plurisecolare, come nel caso della produzione
artistica detta «popolare», spesso elaborata da contadi-
ni per i contadini; un ritardo plurigenerazionale, come
nel caso di prodotti eseguiti da artisti professionisti, sí,
ma per una clientela contadina; e un ritardo di pochi
anni, che però viene avvertito come traumatico perché
coincide con momenti e situazioni caratterizzati da subi-
tanee svolte del gusto. Avremo cioè, rispettivamente,
prodotti come culle o cucchiai decorati, letti, cassoni,
tessuti di vario genere, oggetti d’uso costruiti dagli stes-

Storia dell’arte Einaudi 34


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

si fruitori50, cicli di affreschi dipinti da botteghe di pit-


tori itineranti, impegnati nella decorazione di oratori
campestri o di pievi di piccole cittadine; oppure opere
di pittori rinomati che di colpo si trovano respinte ai
margini del mercato artistico.
Prendiamo un prodotto contadino, sia esso un uten-
sile o un oggetto liturgico. Le forme fondamentali si
basano su un repertorio limitato (spirali, cerchi, stelle
ecc. variamente combinati) che rimane pressoché immu-
tabile per secoli, al punto che alcune di esse sembrano
risalire addirittura al periodo neolitico. In questo ambi-
to la vischiosità, la persistenza tipologica sono partico-
larmente forti. Se ci volgiamo invece ai prodotti degli
ateliers itineranti, per esempio quelle squadre di artisti
operose nel Vercellese attorno al 1450-70 cui si deve tra
l’altro la decorazione pittorica dell’oratorio di San Ber-
nardo a Gattinara51, vediamo che essi riprendono con
minime variazioni modelli risalenti magari agli ultimi
decenni del Trecento. Come esempio del terzo tipo si
potrà ricordare quanto scriveva il Vasari a proposito di
alcuni dipinti del Perugino per la chiesa della Santissi-
ma Annunziata a Firenze:

Dicesi che quando detta opera si scoperse, fu da tutti i


nuovi artefici assai biasimata; e particolarmente perché si
era Pietro servito di quelle figure che altre volte era usato
mettere in opera: dove tentandolo gli amici suoi dicevano,
che affaticato non s’era, e che aveva tralasciato il buon
modo dell’operare o per avarizia o per non perder tempo.
Ai quali Pietro rispondeva: Io ho messo in opera le figure
altre volte lodate da voi, e che vi sono infinitamente pia-
ciute: se ora vi dispiacciono e non le lodate, che ne posso
io? Ma coloro aspramente con sonetti e pubbliche villanie
lo saettavano.
Onde egli, già vecchio, partitosi da Fiorenza e tornato-
si a Perugia, condusse alcuni lavori a fresco nella chiesa di

Storia dell’arte Einaudi 35


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

san Severo [...]. Lavorò similmente al Montone, alla Frat-


ta, e in molti luoghi del contado di Perugia52.

Ai diversi livelli che abbiamo schematicamente distin-


to corrispondono dunque diversi gradi di vischiosità (e
una correlativa maggiore o minore possibilità di data-
zione). Non sarà arrischiato concludere che in una situa-
zione di autoconsumo artistico come quella dei contadi-
ni la spinta all’innovazione sia praticamente nulla. In una
situazione di semimonopolio come quella in cui opera-
vano i pittori itineranti vercellesi della metà del Quat-
trocento, ci si poteva servire tranquillamente di modelli
in certi casi assai antichi, senza correre il rischio di delu-
dere le attese di un pubblico che non aveva alcuna pos-
sibilità di confronto. In una situazione di concorrenza
come quella di Firenze attorno al 1505, è la critica eser-
citata dai «nuovi artefici» colleghi e rivali che spinge il
Perugino a lasciare (sia pure non definitivamente) la città
per il contado umbro. Non possiamo parlare in questo
caso di «ritardo periferico» in senso proprio: ma è in
periferia che il pittore è costretto a rifugiarsi per poter
continuare a lavorare e a ricevere commissioni per una
produzione che al centro non soddisfa piú.

12. Periferizzazione e declassamento.

Altre volte, invece, è lo spostamento materiale delle


opere dal centro alla periferia – geografica e/o sociale –
a far intravedere che quest’ultima viene identificata con
un gusto artistico ritardatario. Si prenda il caso del pul-
pito della Cattedrale di Cagliari, scolpito da un maestro
Guglielmo tra il 1159 e il 1162 per la Cattedrale di Pisa,
e trasportato in Sardegna allorché in Pisa venne inau-
gurato, nel 1312, il pulpito di Giovanni Pisano. Un’i-
scrizione in versi venne apposta a ricordare l’evento:

Storia dell’arte Einaudi 36


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Castello Castri concexit


Virgini Matri direxit
Me templum istud invexit
Civitas Pisana53.

Il nuovo pubblico a cui veniva indirizzato il pulpito


era quello della colonia pisana stabilita a Cagliari, nel
quartiere alto dominato da Castel di Castro. Nei pressi
di quest’ultimo, simbolo e fulcro del dominio pisano, era
stata costruita la nuova cattedrale. Il vecchio pulpito
della Cattedrale di Pisa doveva dunque configurarsi,
per la colonia toscana, come una venerabile reliquia
della terra d’origine, un riferimento a un patrimonio cul-
turale comune, uno strumento d’identificazione e di
aggregazione. Va rilevato inoltre che allorché il pulpito
venne trasferito si andava precisando una grave minac-
cia per l’avvenire della dominazione pisana, poiché il
pontefice aveva concesso al re d’Aragona l’investitura
del reame di Sardegna. Ma non è senza significato che
il rinsaldamento simbolico dei vincoli culturali con la
madrepatria avvenisse attraverso l’invio di un’opera vec-
chia di centocinquant’anni: alla colonia veniva pur sem-
pre attribuito un gusto piú arretrato di quello della
metropoli.
Altri casi del genere, sia pure meno clamorosi,
mostrano che quest’interpretazione non si basa su una
petizione di principio. Tra Cinque e Settecento i polit-
tici trecenteschi vengono allontanati dalle piú celebri
chiese di Siena e relegati in remoti oratori o pievi di
campagna: quello di Pietro Lorenzetti, già al Carmine,
finisce a Sant’Ansano a Dofana. Talvolta il declassa-
mento è piuttosto sociale che geografico, come nel caso
dell’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti, che dalla
sala del Concistoro del Palazzo Pubblico passa a «una
stanza [...] accanto alla cucina dove sogliono pranzare i
donzelli». In tal modo, un’opera che era stata commis-

Storia dell’arte Einaudi 37


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

sionata da Francesco monaco di San Galgano, camer-


lengo della Biccherna, finiva con l’essere fruita, anziché
dai governanti senesi, a cui era stata originariamente
destinata, da un pubblico socialmente infimo54. Capita,
in altre parole, che monumenti, arredi e opere del pas-
sato a un certo momento vengano ceduti o gettati in un
canto come vestiti smessi. Una raccolta sistematica di
questo tipo di testimonianze sarebbe quanto mai rive-
latrice dei mutevoli rapporti che intercorsero storica-
mente tra i singoli centri e le rispettive periferie.
Quanto detto fin qui mostra a sufficienza che il nesso
centro/periferia non può essere visto come un rapporto
invariabile tra innovazione e ritardo. Si tratta, al con-
trario, di un rapporto mobile, soggetto a brusche acce-
lerazioni e tensioni, legate a modificazioni politiche e
sociali, oltre che artistiche. Varrà la pena di analizzare
a questo proposito il panorama tracciato da Vasari, dato
che nelle Vite egli fornì un modello canonico, destinato
a pesare e a durare, della periferia come ritardo.

13. Vasari.

Per Vasari, l’unica possibilità per un artista nato ed


educato in provincia e quella di venire a contatto con il
centro: solo cosí potrà entrare nel gioco dell’innovazio-
ne e del progresso. La vocazione egemonica che era
stata propria di Firenze fin dalla fine del Duecento verrà
assunta dal secondo decennio del Cinquecento, da
Roma. E a Roma, spinti da una specie di inarrestabile
tropismo, tendono artisti di ogni parte d’Italia che si
sono resi magari vagamente conto di quello che c’è nel-
l’aria. Cosí il Parmigianino, che

venuto in desiderio di veder Roma, come quello che era in


sull’acquistare e sentiva molto lodar l’opere de’ maestri

Storia dell’arte Einaudi 38


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

buoni, e particolarmente quelle di Raffaello e di Michela-


gnolo, disse l’animo e disiderio suoi ai vecchi zii55.

Cosí Niccolò Soggi, che:

... sentendo che a Roma si facevano gran cose, si partí di


Firenze, pensando acquistare nell’arte e dovere anco avan-
zare qualche cosa...56.

O ancora Pierino da Vinci, il quale

... adunque, mentre che cosí si portava, piú volte e da


diverse persone aveva udito ragionare delle cose di Roma
appartenenti all’arte e celebrarle, come sempre da ognuno
si fa, onde in lui s’era un grande desiderio acceso di veder-
le, sperando d’averne a cavare profitto, non solamente
vedendo l’opere degli antichi, ma quelle di Michelagnolo,
e lui stesso allora vivo e dimorante in Roma57.

Ciò vale anche per Giovanni da Udine, che, mentre era


a Venezia con Giorgione «a imparare l’arte del disegno»,

sentí tanto lodare le cose di Michelangelo e Raffaello, che


si risolvé di andare a Roma ad ogni modo58.

O per Battista Franco che

... avendo nella sua prima fanciullezza atteso al disegno,


come colui che tendeva alla perfezione di quell’arte, se ne
andò di venti anni a Roma; dove, poiché per alcun tempo
con molto studio ebbe atteso al disegno, e vedute le manie-
re di diversi, si risolvé non volere altre cose studiare né cer-
care d’imitare, che i disegni, pitture e sculture di Michela-
gnolo59.

Di fronte alle rivelazioni romane, artisti già affermati

Storia dell’arte Einaudi 39


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

ripudiano la loro prima educazione e ricominciano da


capo. Anche questo, dell’artista già celebre che ridi-
venta discepolo una volta scoperta la buona maniera, è
un topos ricorrente in Vasari: un esempio celebre è quel-
lo di Raffaello che veduto il cartone della Battaglia di
Cascina di Michelangelo fece ciò che

un altro che si fusse perso d’animo, parendogli avere insi-


no allora gettato via il tempo, non arebbe mai fatto, ancor
che di bellissimo ingegno...

e cioè

smorbatosi e levatosi da dosso quella maniera di Pietro per


apprender quella di Michelagnolo, piena di difficultà in tutte
le parti, diventò quasi, di maestro, nuovo discepolo, e si sforzò
con incredibile studio di fare, essendo già uomo, in pochi mesi
quello che arebbe avuto bisogno di quella tenera età che meglio
apprende ogni cosa, e dello spazio di molti anni60.

Il medesimo topos, con espressioni analoghe quali


«smorbarsi» di una precedente educazione, o «di mae-
stro divenir discepolo», si ritrova nella vita del Garofa-
lo che, giunto a Roma

... restò quasi disperato non che stupito nel vedere la gra-
zia e la vivezza che avevano le pitture di Raffaello, e la
profondità del disegno di Michelagnolo. Onde malediva le
maniere di Lombardia, e quella che avea con tanto studio
e stento imparato in Mantoa; e volentieri, se avesse potu-
to, se ne sarebbe smorbato. Ma poiché altro non si poteva,
si risolvé a voler disimparare, e, dopo la perdita di tanti
anni, di maestro divenire discepolo61.

Il maledire le maniere di Lombardia evoca le


«bestemmie di Lombardia» con cui si chiude il Dialogo

Storia dell’arte Einaudi 40


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

della lingua di Machiavelli, a testimonianza di una con-


cezione altrettanto monocentrica – tanto piú palese
quando si consideri che la vita del Garofalo era nelle
intenzioni del Vasari destinata a fare

brievemente un raccolto di tutti i migliori e piú eccellenti


pittori, scultori ed architetti che sono stati a’ tempi nostri
in Lombardia...82.

Né il caso è isolato perché, parlando col Vasari, Giro-


lamo da Carpi

... si dolse piú volte d’aver consumato la sua giovanezza ed


i migliori anni in Ferrara e Bologna e non in Roma, o altro
luogo dove averebbe fatto senza dubbio molto maggiore
acquisto63.

A Roma dunque si arriva da Parma, da Firenze, da


Venezia, da Mantova o da Ferrara, e chi, avendola cono-
sciuta, è costretto ad abbandonarla, ne soffre profonda-
mente, come Polidoro da Caravaggio che a Messina...

sempre ardeva di desiderio di rivedere quella Roma, la quale


di continuo strugge coloro che stati ci sono molti anni, nel pro-
vare gli altri paesi64.

o come il Garofalo a Ferrara che

nel fare delle quali opere ricordandosi alcuna volta d’avere


lasciato Roma, ne sentiva dolore estremo, ed era risoluto per
ogni modo di tornarvi65.

L’immagine della provincia è quanto di piú lontano


si possa immaginare da quella, prestigiosa e stimolante,
del centro. Un caso estremo è quello della Calabria,
patria di Marco Cardisco, di cui il Vasari scrive:

Storia dell’arte Einaudi 41


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Ma se quando noi veggiamo in qualche provincia nasce-


re un frutto che usato non sia a nascerci ce ne maraviglia-
mo; tanto piú d’uno ingegno buono possiamo rallegrarci,
quando lo troviamo in un paese dove non nascano uomini
di simile professione66.

Non sempre la provincia è questa plaga desolata dove


la pianta degli artisti non alligna: ma quando anche ve
ne siano, sarà bene che non vi restino a lungo perché
essa manca di esempi, di emulazione, di concorrenza,
vale a dire di alcuni degli elementi fondamentali per lo
sviluppo dell’innovazione. Arezzo, patria del Vasari, si
trova in tali condizioni. Per Giovan Antonio Lappoli è
questo un

luogo ove non poteva anco da per sé imparare, ancor che


avesse l’inclinazione della natura67;

né diversamente il Montorsoli considera Perugia, ove


il soggiornare non gli è di alcun ausilio («non faceva
per lui e non imparava»), o Daniele Ricciarelli, Vol-
terra, dove si avvede

... non aver [...] concorrenza che lo spignesse a cercar di sali-


re a miglior grado, e non essere in quella città opere né anti-
che né moderne dalle quali potesse molto imparare68.

Non solo Arezzo, Perugia o Volterra: anche Siena è


considerata una provincia poco stimolante agli occhi del
Vasari, che racconta come Sodoma

... non trovando concorrenza per un pezzo in quella città


vi lavorasse solo: il che se bene gli fu di qualche utile, gli
fu alla fine di danno; perciocché quasi addormentandosi
non istudiò mai69.

Storia dell’arte Einaudi 42


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Dello stesso avviso è il Beccafumi che, sempre secon-


do Vasari,

... non aveva maggior disiderio che d’imparare e conosce-


va in Siena perder tempo70.

e cosí saranno Bologna e Ferrara, nel caso del Vignola


o in quello, già citato, di Girolamo da Carpi.
Si tratta di casi in cui l’artista – a detta del Vasari –
avrebbe quasi sempre preso coscienza della situazione.
Altrove egli si limita a notare che l’artefice di cui parla,
se avesse avuto la possibilità di uscire dalla sua provin-
cia, avrebbe fatto cose straordinarie (impossibili appun-
to per chi rimanga in periferia). Cosí a proposito di
Luca de’ Longhi che

se fusse uscito di Ravenna [...] sarebbe riuscito rarissimo71.

o di un gruppo di scultori lombardi il cui limite è addi-


rittura di aver lavorato a Milano:

... Ma se in quel luogo fusse lo studio di quest’arti, che è


in Roma e in Firenze, arebbono fatto e farebbono tuttavia
questi valentuomini cose stupende72.

Particolarmente duro da ammettere per il Vasari è il


caso di chi deliberatamente non si muove, come Cola
dell’Amatrice, provinciale volontario:

... il quale senza curarsi di veder Roma o mutar paese, si


stette sempre in Ascoli,

mentre

costui non arebbe fatto se non ragionevolmente, se egli


avesse la sua arte esercitata in luoghi, dove la concorrenza

Storia dell’arte Einaudi 43


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

e l’emulazione l’avesse fatto attendere con piú studio alla


pittura, ed esercitare il bello ingegno, di cui si vede che era
stato dalla natura dotato73.

Del resto la sfida costituita dalle opere dei grandi non


conduce automaticamente all’emulazione. In certi casi
l’artista «sfidato» si tira indietro perché non si sente
capace di tanto. Cosí il Franciabigio che

non volle mai uscir di Firenze; perché avendo vedute alcu-


ne opere di Raffaello da Urbino, e parendogli non esser pari
a tanto uomo né a molti altri di grandissimo nome, non si
volle metter a paragone di artisti cosí eccellenti e rarissimi74.

O Morto da Feltre, che avrebbe avuto in animo di


abbandonare le grottesche che erano la sua specialità per
darsi alla figura:

E poiché era venuto in questo desiderio, sentendo i


romori che in tale arte avevano Lionardo e Michelagnolo per
li loro cartoni fatto in Fiorenza, subito si mise per andare a
Fiorenza; e vedute l’opere, non gli parve poter fare il mede-
simo miglioramento che nella prima professione aveva fatto:
là onde egli ritornò a lavorare alle sue grottesche75.

Altri non rinuncia, ma rimanda il confronto, come


Pierino da Vinci che

andò dunque in compagnia di alcuni amici suoi, e veduta


Roma e tutto quello che egli desiderava, se ne tornò a
Firenze; considerato giudiziosamente, che le cose di Roma
erano ancora per lui troppo profonde, e volevano essere
vedute e immitate non cosí ne’ principj, ma dopo maggior
notizia dell’arte76.

La emulazione tra gli artisti e gli stimoli che possono

Storia dell’arte Einaudi 44


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

venire dalle attese del pubblico sono, secondo il Vasari,


molle fondamentali del progresso artistico. Ora, la man-
canza di termini di confronto e la facile soddisfazione del
pubblico fanno sí che gli artisti in provincia siano meno
stimolati. È quello che accade a Donatello a Padova:

... essendo per miracolo quivi tenuto e da ogni intelligente


lodato, si deliberò di voler tornare a Fiorenza, dicendo che,
se piú stato vi fosse, tutto quello che sapeva dimenticato si
avrebbe, essendovi tanto lodato da ognuno; e che volentieri
nella sua patria tornava per esser poi colà di continuo bia-
simato, il quale biasimo gli dava cagione di studio, e con-
seguentemente di gloria maggiore77.

Donatello – secondo il Vasari – sapeva che a Padova


gli mancava lo stimolo della critica; altri lo ignoravano,
come il Sodoma a Siena che non trovando concorrenza
vi si addormentava, o come gli emiliani Bartolomeo da
Bagnacavallo, Amico Aspertini, Girolamo da Cotigno-
la e Innocenzo da Imola, che

... non attesero all’ingegnose particolarità dell’arte come si


debbe. Ma perché in Bologna in que’ tempi non erano pit-
tori che sapessero piú di loro, erano tenuti da chi governa-
va e dai popoli di quella città, i migliori maestri d’Italia78.

Né differente è la sorte di Marco Cardisco a Napoli:

Peroché non avendo emulazione né contrasto degli arte-


fici nella pittura, fu da que’ signori sempre adorato, e delle
cose sue si fece con bonissimi pagamenti sodisfare79.

La funzione svolta dai committenti è quindi strategi-


camente decisiva. E della committenza napoletana il Vasa-
ri dà, nella vita di Polidoro, un’immagine ben piú negati-
va di quella or ora citata. Polidoro, arrivato a Napoli,

Storia dell’arte Einaudi 45


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

essendo quei gentiluomini poco curiosi delle cose eccellen-


ti di pittura, fu per morirvi di fame80,

per cui

... veggendo poco stimata la sua virtú, deliberò partire da


coloro che piú conto tenevano d’un cavallo che saltasse, che
di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive81.

Quello di Napoli è presentato come un caso limite, ma


anche la Roma quattrocentesca, con i suoi cospicui inve-
stimenti artistici, appare a Vasari espressione di un gusto
arretrato e periferico:

Se papa Eugenio IV, quando deliberò fare di bronzo la


porta di san Piero in Roma, avesse fatto diligenza in cer-
care d’avere uomini eccellenti per quel lavoro; siccome nei
tempi suoi arebbe agevolmente potuto fare, essendo vivi
Filippo di Ser Brunellesco, Donatello e altri artefici rari;
non sarebbe stata condotta quell’opera in cosí sciagurata
maniera, come ella si vede ne’ tempi nostri. Ma forse inter-
venne a lui come molte volte suole avvenire a una buona
parte dei principi che o non s’intendono dell’opere, o ne
prendono pochissimo diletto. Ma se considerassono di
quanta importanza sia il fare stima delle persone eccellen-
ti nelle cose pubbliche per la fama che se ne lascia, non
sarebbono certo cosí trascurati né essi né i loro ministri;
perciocché chi s’impaccia con artefici vili e inetti, dà poca
vita all’opere e alla fama: senza che si fa ingiuria al pubblico
e al secolo in che si è nato, credendosi risolutamente da chi
vien poi, che se in quell’età si fossero trovati migliori mae-
stri, quel principe si sarebbe piuttosto di quelli servito, che
degl’inetti e plebei82.

Lo stigma del provincialismo appare particolarmen-


te evidente in un papa come Sisto IV, bersaglio tradi-

Storia dell’arte Einaudi 46


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

zionale della polemica politica e culturale fiorentina.


Secondo il Vasari, il pontefice, preferendo Cosimo
Rosselli a Botticelli, al Ghirlandaio, a Signorelli, al
Perugino, avrebbe mostrato la propria incompetenza
dando prova di preferire i colori vistosi e costosi di
Cosimo alle ingegnose invenzioni degli altri:

perciocché que’ colori, siccome si era Cosimo imaginato,


a un tratto cosí abbagliarono gli occhi del papa, che non
molto si intendeva di simili cose, ancoraché se ne dilet-
tasse assai, che giudicò Cosimo avere molto meglio che
tutti gli altri operato. E cosí fattogli dare il premio,
comandò agli altri che tutti coprissero le loro pitture dei
migliori azzurri che si trovassero e le toccassino d’oro,
acciocché fussero simili a quelle di Cosimo nel colorito e
nell’esser ricche. Laonde i poveri pittori, disperati d’ave-
re a soddisfare alla poca intelligenza del Padre Santo, si
diedero a guastare quanto avevano fatto di buono83.

Per intendere il sapore del passo, sarà opportuno


richiamare un altro aneddoto, che il Vasari inserí nella
vita di Michelangelo a proposito del Menighella,

pittore dozzinale e goffo di Valdarno, che era persona pia-


cevolissima, il quale veniva talvolta a Michelagnolo, che gli
facessi un disegno di san Rocco o di santo Antonio per dipi-
gnere a’ contadini. Michelagnolo, che era difficile a lavo-
rare per i re, si metteva giú lassando stare ogni lavoro, e gli
faceva disegni semplici accomodati alla maniera e volontà
come diceva Menighella: e fra l’altro gli fece fare un model-
lo d’un Crocifisso, che era bellissimo, sopra il quale vi fece
un cavo, e ne formava di cartone e d’altre mesture, ed in
contado gli andava vendendo, che Michelagnolo crepava
dalle risa; massime che gl’intraveniva di bei casi: come con
un villano il quale gli fece dipignere san Francesco, e dispia-
ciutogli che il Menighella gli aveva fatto la veste bigia, che

Storia dell’arte Einaudi 47


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

l’arebbe voluta di piú bel colore, il Menighella gli fece in


dosso un piviale di broccato, e lo contentò84.

Il passo ha un evidente valore di topos, anche se l’e-


sistenza storica del Menighella è accertata. Ma questo
non c’interessa, qui. Importa piuttosto notare che agli
occhi del Vasari i gusti della clientela contadina del
Menighella, che ordina quadri con i santi tipici della
devozione rurale (san Rocco, sant’Antonio, san France-
sco) e ama i colori squillanti e vistosi, coincidono con le
predilezioni di un papa come Sisto IV, di cultura e for-
mazione fratesca, legato a un ambiente attardato – per
Vasari, s’intende – come quello della Roma quattrocen-
tesca. Periferia sociale e periferia geografica ancora una
volta si sovrappongono.

14. Fine del policentrismo e nascita della «terza maniera».

Un’operazione radicale, dunque, quella compiuta da


Vasari. Una situazione come quella che era venuta allo-
ra emergendo in Toscana – uno stato assoluto su base
regionale, caratterizzato dalla subordinazione e spolia-
zione dei vari centri a vantaggio della capitale – veniva
proiettata nel passato: il ruolo di Siena o di Pisa veniva
sminuito, quello di Pistoia, Volterra o Lucca cancellato,
Arezzo si salvava per carità di patria. Ma questa proie-
zione del presente sul passato, o se si vuole questo ade-
guamento (che era poi uno schiacciamento) del passato
sul presente non era, come abbiamo visto, limitato alla
Toscana. A distanza di qualche decennio Vasari tirava
le somme di un processo che all’inizio del Cinquecento
aveva provocato una duplice cesura, politica e artistica,
nella storia della penisola, riducendo drasticamente il
policentrismo precedente a vantaggio di pochi centri in
grado di conservare una certa autonomia. Gli anni del

Storia dell’arte Einaudi 48


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

primo Cinquecento che, come si ricorderà, vedono la


subitanea periferizzazione del Perugino, costretto a
lasciare Firenze dalle polemiche dei «nuovi artefici»,
sono anni decisivi, in cui sta nascendo e già imponen-
dosi un nuovo paradigma, «la terza maniera che noi –
scrive il Vasari – vogliamo chiamare moderna»: quella
di Leonardo, Giorgione, del «graziosissimo Raffaello
da Urbino» e del «divino Michelagnolo Buonarroti»
che «fra i morti e’ vivi porta la palma, e trascende e
ricuopre tutti». La «terribile» varietà e la ricchezza
della «terza maniera» fa apparire d’un tratto antiquata
quella «bellezza nuova e piú viva» che avevan comin-
ciato a usare il Francia bolognese e il Perugino, e dimo-
stra «lo errore» di coloro che «nel vederla corsero come
matti [...] parendo loro che e’ non si potesse giammai far
meglio»85.
È proprio l’imporsi di quella «terza maniera» ad
accompagnare un processo di ristrutturazione della geo-
grafia artistica italiana – processo che il Vasari registra
e contribuisce ad accentuare proiettandolo nel passato.

15. Un caso esemplare: l’Umbria.

Seguiamo questa vicenda attraverso un caso esem-


plare, quello dell’Umbria. Centri come Perugia, Gubbio,
Foligno, Todi, Assisi, Montefalco, Spoleto, Orvieto,
che tra il Duecento e il Quattrocento avevano avuto una
produzione artistica complessa e diversificata, sono stati
a lungo vittime dell’ottica centralizzatrice di Vasari, al
punto che solo da qualche decennio la pittura umbra
anteriore al Perugino è diventata oggetto di analisi spe-
cifiche86. Ma nel corso del Cinquecento questo panora-
ma cosí vario tende sempre piú all’uniformità e alla ripe-
tizione. L’innovazione sembra diventare privilegio e
caratteristica di pochi centri maggiori.

Storia dell’arte Einaudi 49


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Un elemento significativo di questa situazione è la


fedeltà a una formula. Si veda la fortuna di un quadro
come l’Incoronazione della Vergine di Domenico Ghir-
landaio. Dipinta nel 1486 per gli Osservanti di San
Girolamo presso Narni, essa venne imitata piú volte
per espressa volontà dei committenti: nell’Incoronazio-
ne della Vergine della chiesa dei Riformati di Montesan-
to in Todi, che lo Spagna si era impegnato a fare «pic-
tam de auro cum coloribus et aliis rebus ad speciem et
similitudinem tabulae factae in Ecc. Sancti Jeronymi de
Narnia», e che fu terminata nel 1511; nell’Incoronazio-
ne dipinta dal medesimo Spagna per i francescani di
Trevi, e in quella confezionata da Jacopo Siculo nel
1541 per la chiesa dell’Annunciata presso Norcia87.
Un altro fenomeno caratteristico è il costituirsi di
dinastie locali, particolarmente avvertibile a partire dalla
seconda metà del Quattrocento. Il meccanismo sembra
piú o meno questo. All’inizio c’è la costituzione di una
bottega familiare in cui lavorano padre e figli. I prodotti
di questa bottega sono dapprima abbastanza aggiorna-
ti, e si appoggiano a formule e schemi recenti che cono-
scono un grande successo. Il capo della bottega può
avere una esperienza abbastanza larga dovuta a viaggi,
a una formazione fuori del paese o all’alunnato presso
un pittore forestiero attivo nel luogo. Cosí il soggiorno
a Norcia di Niccolò da Siena ha potuto influenzare il
sorgere degli Sparapane o di Domenico da Leonessa88.
La dinastia degli Sparapane comincia la sua carriera
dipingendo sull’iconostasi della chiesa di San Salvatore
a Campi (presso Norcia) la Madonna col Bambino, santi
e storie della vita di Cristo lasciandovi data e paternità:
«Questo laurero a pinto Johani de Sparapane et Anto-
nio suo figliolo da Norscia 1464». In seguito, l’utilizza-
zione dei cartoni e del repertorio formale del capomae-
stro diviene il consueto modus operandi della bottega,
secondo una procedura che poteva assicurare la soprav-

Storia dell’arte Einaudi 50


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

vivenza di certi schemi addirittura per generazioni. È


appunto il caso degli Sparapane di Norcia o degli Ange-
lucci di Mevale89. Via via che passa il tempo cresce lo
iato tra la ripetizione di modi e formule, divenuti ormai
arcaici, e la produzione dei grandi centri. Queste dina-
stie erano impiegate da singoli committenti per dipinti
votivi, da confraternite o anche da comunità paesane;
poteva avvenire che all’ombra di un santuario o di un
luogo di pellegrinaggio si stabilisse una dinastia di arti-
sti, come quella dei Lederwasch che a Tamsweg nel Sali-
sburghese furono di padre in figlio addetti alla produ-
zione artistica per lo splendido Santuario di San Leo-
nardo, e la cui casa, attigua alla chiesa, si visita ancora.
In un primo tempo questa proliferante pittura peri-
ferica, legata a una committenza socialmente omogenea,
non presenta ancora i caratteri nettamente ritardatari
che assumerà in seguito, quando il solco tra centro e
periferia si sarà allargato. Essa mostra anzi una piú
vasta propensione e disponibilità agli investimenti arti-
stici da parte di gruppi sociali che fino ad allora si erano
scarsamente impegnati in questo senso. Varrebbe la
pena di tracciare una mappa delle decorazioni eseguite
nel corso del Quattrocento, con chiari intenti edifican-
ti, per chiese od oratori campestri: per limitarsi a qual-
che caso piemontese tra i molti, si pensi a Domenico
della Marca d’Ancona che affresca l’abside della chiesa
di Santa Maria di Spinariano presso Ciriè90, a Giaco-
mino da Ivrea, attivo in Canavese e nella Valle d’Aosta
intorno alla metà del secolo91, a Giovanni Massucco che
lavora nel Monregalese92. L’installarsi in provincia di
artisti come Domenico della Marca d’Ancona, prove-
nienti da località remote, magari altrettanto periferiche,
si accentua nel corso del Cinquecento: Jacopo Santori
di Giuliana, presso Palermo, meglio conosciuto come
Jacopo Siculo93, opera tra Umbria e Sabina; sempre in
Sabina sono attivi, nella prima metà del secolo, i vero-

Storia dell’arte Einaudi 51


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

nesi Lorenzo e Bartolomeo Torresani; in Basilicata,


nello stesso periodo, troviamo Simone da Firenze94.
Parallelamente, pittori rinomati vengono sospinti o riso-
spinti dal centro in periferia, perché incapaci di regge-
re il passo delle proposte dei «nuovi artefici» e del con-
seguente mutamento del gusto e delle attese del pub-
blico. A parte il caso già ricordato del Perugino che da
Firenze deve riparare al Montone e alla Fratta, abbia-
mo il percorso non dissimile di Signorelli, o, preceden-
temente, quello di Antonio da Viterbo che, dopo aver
lavorato a Roma a imprese importanti come gli affreschi
di Santa Francesca Romana, viene risospinto nell’agro
viterbese dall’attività dei pittori umbri e fiorentini chia-
mati da Sisto IV, riducendosi a dipingere a Corchiano95.

16. Riflusso e ritardo in periferia.

I fenomeni che abbiamo elencato, e cioè: a) la costi-


tuzione di dinastie locali con il conseguente perpetuar-
si, attraverso l’uso di cartoni e disegni, di certi schemi;
b) lo stabilirsi in periferia di artisti di lontana prove-
nienza che non si erano imposti né nei rispettivi paesi
di origine, né nei centri artistici piú importanti; c) il
rifluire in periferia di artisti già celebri messi in crisi dai
mutamenti stilistici in atto, configurano un processo di
periferizzazione che relega molte regioni italiane in una
condizione di subalternità culturale destinata a prolun-
garsi nel corso dei secoli successivi. L’affermarsi dello
stato assoluto a base regionale, il soffocamento delle
autonomie locali e l’accentuata stratificazione gerarchi-
ca della società hanno avuto conseguenze importanti sul
piano artistico.
Data l’assenza di indagini quantitative su scala regio-
nale e la grande scarsità, rispetto al periodo preceden-
te, di indagini sugli artisti «provinciali», ci rifaremo

Storia dell’arte Einaudi 52


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

all’eccellente volume Ricerche in Umbria96, che analizza


i risultati di una vasta inchiesta sulla pittura del Seicento
e Settecento in un’area dell’Umbria meridionale. Cer-
cheremo di riassumere gli elementi significativi che
emergono da essa e che ci sembrano avere un valore al
di là dell’ambito locale.

a) Nel Sei e Settecento la regione è ormai parte inte-


grante dello Stato della Chiesa: di conseguenza la
provincia tende ad adeguarsi alla metropoli da cui
dipende, ricevendone gli impulsi attraverso le
committenze di un certo numero di personaggi
legati in diversi modi alla capitale. Occorre però
far attenzione a non considerare l’area provincia-
le come un ampliamento puro e semplice della
situazione dominante nel centro di influenza. È
possibile infatti trovare accanto a presenze scon-
tate delle testimonianze rare ed estravaganti;
b) il processo di rifeudalizzazione ha importanti con-
seguenze all’interno della regione, per quanto
riguarda sia il mutamento dei committenti, sia i
tipi di richieste. La domanda di opere d’arte si
addensa nella città e si dirada nel contado (salvo
eccezioni e casi particolari). Essa tuttavia conti-
nua dove esistono aree di piccola proprietà o
forme associative di proprietà collettiva, mentre
cessa nella zona di latifondo;
c) le opere inviate in periferia dagli artisti del cen-
tro hanno un gusto piú severamente liturgico di
quelle che i medesimi artisti approntano per la
metropoli;
d) mentre nel Seicento c’è una relativa capacità della
provincia di reagire all’incontro con la cultura
metropolitana, o sintonizzandosi o elaborando
varianti, nel Settecento avviene che «le pale giun-
gono da Roma in provincia come un prodotto spe-

Storia dell’arte Einaudi 53


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

cializzato e privo ormai di concorrenza, talora fino


a mobiliare con “pezzi” perfettamente affiatati l’in-
tera batteria di altari di una chiesa o a trasformare
le navate in gallerie della coeva pittura romana»97.

Su questa immagine di dipendenza resa incondiziona-


ta e irreversibile dalla divisione del lavoro e dei ruoli
all’interno dello stato potrà arrestarsi la riflessione sulla
«periferia come ritardo». A questo stadio non è piú il pro-
blema del ritardo a configurarsi, quanto quello della domi-
nazione simbolica su cui avremo modo di ritornare.

17. Ritardo periferico o ritardo di metodo?

Ma se non tutti i ritardi sono periferici, come mostra


il caso del Perugino cacciato dal centro verso la perife-
ria, non tutte le periferie sono ritardatarie. Supporre il
contrario significherebbe far propria una visione unili-
neare della storia della produzione artistica che da un
lato crede possibile identificare una linea di progresso
(comunque motivata dal punto di vista ideologico) e
dall’altra taccia automaticamente di ritardo ogni solu-
zione diversa da quella proposta dal centro innovatore.
In tal modo si finisce per cercare nell’arte della perife-
ria quegli elementi, quei canoni, quei valori che sono
stati stabiliti basandosi per l’appunto sui caratteri delle
opere prodotte al centro. Nel caso poi che si riconosca
l’esistenza di canoni diversi, essi vengono esaminati
esclusivamente in base al paradigma dominante, con un
procedimento che porta facilmente a giudizi di deca-
denza, di corruzione, di caduta di qualità, di rozzezza
ecc. Questo è stato il caso per esempio della pittura
bolognese o della pittura umbra del Trecento, ridotte
per molto tempo al rango di rozze e mediocri imitazio-
ni dell’arte fiorentina o senese.

Storia dell’arte Einaudi 54


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Scriveva nel 1855 Jacob Burckhardt:

Apparentemente indipendenti [da Giotto] rimasero solo


gli inabili. Tra i settentrionali, i bolognesi dovettero esse-
re nel modo piú assoluto e totalmente esclusi dall’influen-
za della scuola fiorentina. Ma la loro attività e abilità pit-
torica nel xiv secolo è spaventosamente maldestra e insi-
gnificante. Il piú antico di essi, Vitale, un contemporaneo
di Giotto, in un quadro della Pinacoteca di Bologna
(Madonna in trono con due angeli del 1320) è almeno dolce
e aggraziato alla maniera senese, cosí che ci si ricorda di
Duccio. Gli altri, per metà giotteschi, per la maggior parte
sono cosí scarsi nelle loro opere su tavola, che a Firenze di
loro non sarebbe il caso di far parola. E lo stesso modo di
procedere, la stessa assenza di talento rimane il contrasse-
gno della scuola fin oltre la metà del xv secolo98.

E Bernhard Berenson nel 19o8 a proposito della pit-


tura umbra prima del Perugino: «Nelli was and remains
an idiot»99. Lo stesso Berenson intitolava nel 1918 un
saggio dedicato all’orvietano Cola Petruccioli A Sienese
little Master in New York and elsewhere il che, come
notava R. Longhi,

dice abbastanza sia sul basso grado assegnato all’artista, sia


sulla sua supposta incondizionata sudditanza alla scuola
senese. Era allora infatti in gran voga l’ossessiva esaltazio-
ne per i prodotti senesi di tutto il Trecento e la istantanea
subordinazione a essi di tutto ciò che in qualche modo li ras-
somigliasse. [...]. Una specifica cultura pittorica orvietana
nella seconda metà del Trecento sembrava inammissibile:
che dico, impensabile. Eppure essa era esistita100.

Identificare senz’altro la periferia col ritardo signifi-


ca, in definitiva, rassegnarsi a scrivere eternamente la
storia dal punto di vista del vincitore di turno.

Storia dell’arte Einaudi 55


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

18. Periferia come scarto.

Persino Giorgio Vasari, elaboratore e sostenitore di


un modello storiografico monocentrico, ammette la pos-
sibilità di una elaborazione autonoma da parte della
periferia. La sfida dell’emulazione può essere in certe
circostanze determinante per attingere grandi risultati.
È sotto il segno dell’emulazione che si compie la for-
mazione del Mantegna:

la concorrenza ancora di Marco Zoppo bolognese, e di


Dario da Trevisi, e di Niccolò Pizzolo padoano, discepoli
del suo adottivo padre e maestro, gli fu di non piccolo
aiuto e stimolo all’imparare101.

Similmente l’affermazione artistica di Galasso è


vista come una sorta di risposta municipale al succes-
so in Ferrara di un pittore «stranio» come Piero della
Francesca:

Quando in una città, dove non sono eccellenti artefici,


vengono forestieri a fare opere, sempre si desta l’ingegno a
qualcuno che si sforza di poi, con l’apprendere quella mede-
sim’arte, far sí che nella sua città non abbiano più a veni-
re gli strani per abbellirla da quivi innanzi e portarne le
facultà; le quali si ingegna di meritare egli con la virtú e di
acquistarsi quelle ricchezze che troppo gli parsono belle ne’
forestieri. Il che chiaramente fu manifesto in Galasso fer-
rarese: il quale veggendo Pietro dal Borgo a San Sepolcro
rimunerato da quel duca dell’opere e delle cose che lavorò,
e oltre a ciò onoratamente trattenuto in Ferrara; fu per tale
esempio incitato, dopo la perdita di quello, di darsi alla pit-
tura talmente, che in Ferrara acquistò fama di buono ed
eccellente maestro102.

La presenza di una forte emulazione può addirittura

Storia dell’arte Einaudi 56


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

permettere di modificare la situazione subalterna di


un’area provinciale. Avviene infatti che

... cominciando un solo molti si mettono a far concorrenza


di quello; e tanto si affaticano, senza veder Roma, Fioren-
za, o altri luoghi pieni di notabili pitture, per emulazione
l’un dell’altro, che si veggiono da loro uscir opere maravi-
gliose. Le quali cose si veggiono essere avvenute nel Friuli
particularmente, dove sono stati a’ tempi nostri (il che non
si era veduto in que’ paesi per molti secoli) infiniti pittori
eccellenti, mediante un cosí fatto principio103.

In qualche rara occasione «mediante un cosí fatto


principio» possono dunque nascere «opere meraviglio-
se», «senza veder Roma, Fiorenza». Nel seguito del
discorso il Vasari finisce però per smorzare i giudizi del
tutto positivi dati nel proemio e per limitare a piú ripre-
se (rispetto a Tiziano, al Beccafumi ecc.) l’opera del
Pordenone. Quella specie di miracolo che aveva per-
messo la nascita fuori dal centro di «opere maraviglio-
se» non si spingerà fino a fare della periferia un luogo
alternativo al centro; nel sistema vasariano non c’è spa-
zio per soluzioni di questo tipo.
Di fatto è questo un caso che si è puntualmente e a
più riprese presentato; oltre che luogo di ritardo la peri-
feria ha potuto essere sede di elaborazioni alternative.
Questa affermazione richiede un breve chiarimento
terminologico: diverso e alternativo non sono sinonimi;
non tutte le variazioni sono definibili come alternative,
come scarti. Utilizziamo quest’ultimo termine nella par-
ticolare accezione di «spostamento laterale improvviso
rispetto a una traiettoria data» che si usa per esempio
parlando di certi movimenti dei cavalli: lo scarto è,
insomma, una specie di «mossa del cavallo», e l’uso di
questo termine consente di evitare espressioni connota-
te negativamente quali «deviazione» o simili. Nell’am-

Storia dell’arte Einaudi 57


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

bito dei fatti artistici si può intendere per «traiettoria


data» la lingua artistica corrente.
Formule come «lingua» o «linguaggio artistico» sono
entrate talmente nell’uso che la loro natura metaforica si
è pressoché cancellata. Di fatto l’analogia tra lingua in
senso proprio e lingua artistica è tutt’altro che pacifica,
e per di piú zoppicante104. Se nonostante tutto ci servi-
remo di termini come codice e lingua, lo faremo con la
consapevolezza di introdurre metafore che, piú che risol-
vere un problema, lo pongono. Nonostante tutto ciò che
è stato autorevolmente scritto sulla «grammatica» del lin-
guaggio artistico, non siamo attualmente in grado di
distinguere in maniera rigorosa tra «variazioni» e «scar-
ti», tra prestiti lessicali e strutture sintattiche. Ció che
conta tuttavia è che una distinzione del genere, anche se
diversamente formulata, era presente a un pubblico di
intenditori in una data situazione storica. Questo inten-
deva infatti il Vasari quando, a proposito del Pontormo,
scriveva:

Né creda niuno che Jacopo sia da biasimare, perché egli


imitasse Alberto Duro nell’invenzioni, perciocché questo
non è errore, e l’hanno fatto e fanno continuamente molti
pittori: ma perché egli tolse la maniera stietta tedesca in
ogni cosa, ne’ panni, nell’aria delle teste e l’attitudini; il che
doveva fuggire, e servirsi solo dell’invenzioni, avendo egli
interamente con grazia e bellezza, la maniera moderna105.

Per Vasari la contrapposizione tra «maniera» e «inven-


zioni» è netta: la «maniera moderna» è perfettamente
in grado di assimilare le invenzioni dei tedeschi. L’er-
rore del Pontormo, nell’ottica normativa del Vasari, è
stato di abbandonare le forme tipiche della «maniera
moderna», per assumere la «maniera stietta tedesca». A
noi le «invenzioni», cioè le composizioni, possono appa-
rire elementi piú profondi e caratterizzanti di uno stile

Storia dell’arte Einaudi 58


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

che non i panni, l’aria delle teste o delle attitudini. Ma


questo, qui, poco importa. L’essenziale è che il Vasari
distinguesse tra elementi che potevano essere impune-
mente mutuati e altri che non potevano esserlo senza far
saltare il quadro di riferimento.
Nel caso del Pontormo si trattò dunque di un vero e
proprio «scarto». Non fu, come è noto, un fenomeno
isolato. In uno scorcio fulminante Roberto Longhi acco-
stò al «manierismo» del Genga, del Beccafumi, del
Rosso e del Pontormo, l’opera dell’Aspertini,

vero nodo di comunicazione spirituale fra quei moti del cen-


tro e quelli affini del nord d’Italia; altrettanto importante
insomma per intendere la improvvisa diserzione dal «classi-
cismo cromatico» di Giorgione e di Tiziano giovane da parte
di un gruppo di veneti e soprattutto friulani bresciani vicen-
tini trentini e cremonesi nel corso del secondo decennio106.

I protagonisti di questa guerriglia anticlassica opera-


no in situazioni eccentriche, o si servono di armi impor-
tate da una cultura periferica come quella tedesca. Tale
almeno essa appariva al Vasari, che notava sarcastica-
mente:

... sono le cere di tutti que’ soldati fatti alla tedesca con arie
stravaganti, ch’elle muovono a compassione chi le mira
della semplicità di quell’uomo, che cercò con tanta pacien-
za e fatica di sapere quello che dagli altri si fugge e si cerca
di perdere, per lasciar quella maniera che di bontà avanza-
va tutte l’altre, e piaceva ad ognuno infinitamente. Or non
sapeva il Puntormo che i Tedeschi e Fiaminghi vengono in
queste parti per imparare la maniera italiana, che egli con
tanta fatica cercò, come cattiva, d’abbandonare?107.

Né si trattava solo di pregiudizio italocentrico del


Vasari, come mostra l’atteggiamento del Dürer verso

Storia dell’arte Einaudi 59


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

la cultura figurativa italiana, durante i suoi viaggi a


Venezia.
Nel caso del Pontormo la scelta in direzione perife-
rica si accompagna, come emerge dal suo Diario oltre che
dai racconti del Vasari, a una vera e propria autoesclu-
sione materiale dal consorzio degli amici e colleghi pit-
tori. In altre situazioni ci troviamo di fronte a casi di una
periferizzazione subita e patita, oppure deliberatamen-
te accettata. Ma il problema non si esaurisce nei casi di
resistenza individuale che, di fronte a un centro che non
lascia spazio alla diversità, riescono a trovare sbocco, o
anche solo una possibilità di sopravvivenza, nell’area
periferica. Esso va visto in termini piú vasti, fino a
comprendere i casi in cui lo «scarto», l’alternativa, l’op-
posizione rispetto a certi modelli siano atteggiamenti
prevalenti in un’intera area.

19. La resistenza al modello.

Nella ricostruzione della Cattedrale di Chartres,


distrutta da un incendio nel giugno 1194, un ignoto
maestro utilizzò soluzioni nettamente innovatrici, uni-
ficando e standardizzando i supporti, riducendo al mas-
simo la tridimensionalità delle pareti con l’eliminazione
dei matronei e l’attenuazione di ogni accenno alla
profondità, creando insomma un modello di schermo
bidimensionale che aprí la strada verso quell’involucro
diafano destinato ad avere eccezionali applicazioni
nell’Île de France nel corso del Duecento. Ma un certo
numero di architetti, operosi tra la Borgogna, il bacino
lemanico e la valle del Rodano, non accettarono questa
soluzione e ne proposero altre, o piuttosto (se trascu-
riamo le differenze contingenti), un’altra. Di fronte a
questa situazione gli storici dell’architettura continua-
rono per generazioni a parlare di ritardo; solo in tempi

Storia dell’arte Einaudi 60


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

relativamente recenti ci si accorse che non di ritardo si


trattava, ma piuttosto di coerente resistenza108.
È evidente che resistenza e ritardo sono fenomeni
ben diversi, attivo l’uno, passivo e subordinato l’altro.
La soluzione degli oppositori a Chartres non era d’al-
tronde meramente legata a modelli piú antichi: si trat-
tava piuttosto dell’elaborazione, estremamente origina-
le, di una sorta di seconda parete leggera e traforata
posta dinanzi all’altra, che consentiva un recupero per-
cettivo degli effetti della parete tridimensionale. Di
fronte all’innovazione chartriana questa proposta alter-
nativa tentava di conservare, trasformandoli, elementi
che la nuova soluzione invece eliminava. Grazie alla
centralità che l’Île de France venne ad assumere sul
piano politico, economico e culturale, fu il modello di
Chartres a prevalere.

20. Modello e nuovo paradigma.

Ora se ritorniamo in Italia, e precisamente a Firen-


ze agli inizi del Trecento, ci troviamo di fronte a solu-
zioni di resistenza, di proposte alternative, e finalmen-
te di periferizzazione delle alternative, che possono
avere qualche punto in comune con il caso della resi-
stenza a Chartres.
Le soluzioni impostate da Giotto in campo pittorico
avevano avuto un valore anche piú dirompente di quel-
le avanzate dal maestro di Chartres. Con Giotto infat-
ti era sorto a Firenze un nuovo paradigma che aveva
bruscamente alterato la situazione, relegando di colpo ai
margini della galassia artistica chi a esso non aderiva.
Usiamo l’espressione «nuovo paradigma» mutuando-
ne l’accezione dalla storiografia della scienza109 per indi-
care l’emergere di un linguaggio non solo nuovo, ma tal-
mente prestigioso da imporsi come normativo e tale da

Storia dell’arte Einaudi 61


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

esercitare un’azione inibitoria su coloro che, per una


ragione o per l’altra, ne sono esclusi. Una efficace descri-
zione dell’azione che un nuovo paradigma può avere è
data da Vasari quando parla dell’effetto sconcertante
che le opere romane della «terza maniera» ebbero su
coloro che per la prima volta le vedevano:

... chi muta paese o luogo, pare che muti natura, virtú,
costumi, ed abito di persona, intanto che talora non pare
quel medesimo, ma un altro, e tutto stordito e stupefatto.
Il che poté intervenire al Rosso nell’aria di Roma, e per le
stupende cose che egli vi vide di architettura e scultura, e
per le pitture e statue di Michelagnolo, che forse lo cava-
rono di sé: le quali cose fecero anco fuggire, senza lasciar
loro alcuna cosa operare in Roma, Fra Bartolomeo di San
Marco e Andrea del Sarto110.

La prima conseguenza che ebbe a Firenze e in Tosca-


na sugli inizi del Trecento l’imporsi del paradigma giot-
tesco fu quella di periferizzare un buon numero di arti-
sti e, addirittura, di antichi centri111. In un primo tempo
coesistette tuttavia a Firenze, assieme a Giotto e ai giot-
teschi di piú stretta osservanza, un gruppo di pittori ete-
rodossi che, pur accettando alcuni elementi basilari delle
proposte di Giotto – il che li salvò dal rischio di una
immediata periferizzazione – divergevano su alcuni
punti dal nuovo paradigma e, per esempio, tentavano di
portare avanti le esperienze espressive che erano state
di Cimabue. Questa dissidenza fu dapprima tollerata;
ma presto le cose cambiarono, come mostra con evi-
denza la situazione fiorentina intorno al 1340-50 se la
si confronta con quella attorno al 1310-1320.
Verso il 1340-5o dopo la morte di Giotto la sua visio-
ne continuava a condizionare talmente i pittori fioren-
tini allora operanti in città, che l’ortodossia giottesca
non solo dominava, ma respingeva qualsiasi alternativa

Storia dell’arte Einaudi 62


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

alla sua linea. Dai primi del secolo agli anni ’20 la pit-
tura fiorentina invece presenta uno spettacolo tutt’altro
che unitario e accanto ai giotteschi di stretta osservan-
za («Maestro della santa Cecilia», Pacino di Bonaguida,
Jacopo del Casentino) c’erano casi di aperta dissidenza
portati avanti da maestri («Maestro di Figline», Lippo
di Benivieni, Buffalmacco, «Maestro del Codice di san
Giorgio», ecc.) che tentavano un’apertura verso i modi
piú apertamente gotici o un recupero delle antiche ten-
denze espressive e patetiche112.
Si tratta di un episodio di «resistenza a Giotto» da
parte di un gruppo di pittori che, pur ritenendo certi
aspetti fondamentali della lezione giottesca, non solo
non intendono rinunciare alla ricerca espressiva della
fine del Duecento, ma ne sostengono l’attualità. È quin-
di chiaro che non si tratta di ritardo o di attaccamento
a un modello superato, quanto di una proposta alterna-
tiva che intende mostrare quali sviluppi si possano trar-
re da certe premesse di cui si scorge tutta la fecondità.
Per certi aspetti la situazione si potrebbe paragonare a
quella degli architetti che operano nel senso della «resi-
stenza a Chartres» e che proclamano l’attualità di un
sistema derivato dal «muro spesso» anglonormanno113.
Quando in un centro si impone un sistema di forme
e di schemi che riceve l’appoggio di un potente gruppo
di committenti e che pertanto finisce col determinare le
domande e le attese del pubblico, i «diversi» debbono
piegarsi o espatriare verso situazioni culturali meno
determinanti. È proprio quando le tendenze «irregola-
ri» vengono meno a Firenze che cessano le notizie sul-
l’attività di Buffalmacco nella città e cominciano le men-
zioni di questo pittore in altri centri114. Buffalmacco, che
rappresenta una linea «scartante» rispetto a quella di
Giotto, sarà dunque costretto nel corso del terzo decen-
nio del Trecento a lasciare il centro piú prestigioso per
lavorare ad Arezzo, Pisa, Bologna; analogamente una

Storia dell’arte Einaudi 63


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

fronda espressionistica potrà trovare accoglienza e svi-


luppo a Pistoia115. Va ricordato a questo punto il quadro
geografico di questa vicenda, una

... Italia municipale, non regionale, che è esistita per seco-


li, indomita, troppo vigorosa e aspra per essere selvatica-
mente paga di sé, per potersi chiudere nel suo guscio, ma
troppo anche per accettare una docile subordinazione poli-
tica o letteraria alla regione o alla nazione116.

Politica, letteraria o artistica; quest’ultima produzio-


ne è infatti una componente importante dell’identità
municipale cosí gelosamente custodita. La periferia che
fornisce all’eventuale «scarto» una base territoriale non
è mai una periferia amorfa o indifferenziata, al contrario.

21. L’alternativa di Avignone.

Tra questi pittori di fronda uno, il Maestro del Codi-


ce di san Giorgio, dovette cercare un punto d’appoggio
ad Avignone117. Parlare di Avignone, nel Trecento sede
della corte papale, come di una periferia, è evidente-
mente un assurdo e un controsenso. Tuttavia occorrerà
intendersi sul significato dei termini: se la rilevanza eco-
nomica, politica, religiosa subitamente assunta dalla città
provenzale è indiscutibile, per un certo tempo essa rima-
se, dal punto di vista dell’arte, di chi se la pigliava. Per
la pittura si trattò di italiani, senesi o fiorentini come
Simone Martini o il Maestro del Codice di san Giorgio:
ma l’assenza di una tradizione in qualche modo vinco-
lante favorí lo svolgersi di una pittura assai lontana dai
canoni e dagli schemi abituali nei maggiori centri italia-
ni. L’eccezionale fortuna e il personalissimo linguaggio
di un artista viterbese, in qualche modo eccentrico e di
nascita e di cultura, come Matteo Giovannetti, pittore

Storia dell’arte Einaudi 64


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dei papi per oltre un ventennio, può trovare cosí una


spiegazione. Alcune soluzioni da lui proposte non sareb-
bero certamente state accettate là dove fosse stata ope-
rante una forte tradizione. Ne è una conferma il fatto
che gli «scarti» di Matteo Giovannetti, i quali ebbero
ottima accoglienza nella nuova capitale papale e un rile-
vante impatto europeo118, siano stati in seguito occulta-
ti da una tradizione storiografica sorta e sviluppatasi a
Firenze, portata ad accettare e a celebrare norme e cano-
ni diversi e piú ortodossi. Il nome stesso del pittore
viterbese disparve fino alla fine dell’Ottocento e, anche
quando fu ritrovato negli archivi vaticani, le opere del
Giovannetti non mancarono di suscitare profonde dif-
fidenze119.
In effetti alla luce delle consuetudini artistiche di
Firenze e di Siena le soluzioni avignonesi rappresenta-
no delle varianti sostanziali; la simmetria, l’equilibrio,
la coerenza delle figurazioni, l’impaginazione delle
scene, le arie e i volti dei personaggi, subiscono modifi-
cazioni sensibili, addirittura distorsioni destinate a
diventare però, come ormai generalmente si ammette,
un punto di partenza per la pittura del gotico interna-
zionale.
Questi «scarti», che fornivano alla pittura europea
un’apertura verso l’avvenire, sono stati possibili ad Avi-
gnone per diverse ragioni, e in primo luogo per il muta-
re dei committenti e del pubblico. Intorno al 1340-50 la
fisionomia della corte papale è profondamente trasfor-
mata rispetto agli inizi del secolo. Il papa e la maggio-
ranza dei cardinali provengono dalla Francia meridio-
nale, il pubblico che ha accesso al palazzo è quanto mai
eterogeneo; gli artisti stessi operano in condizioni diver-
se da quelle allora consuete in Italia. Le équipes che lavo-
rano sotto la direzione di Matteo Giovannetti com-
prendono toscani di varia origine (senesi, lucchesi, are-
tini, fiorentini), viterbesi, parmensi, piemontesi, pro-

Storia dell’arte Einaudi 65


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

venzali, lionesi, inglesi, tedeschi120. La rete dei riferi-


menti disponibili, infine, include esempi gotici di mae-
stri della Francia del Nord o d’Inghilterra, e una cultu-
ra figurativa occitanica, in grave declino dopo la guerra
contro gli albigesi, ma pur sempre esistente. Tutti que-
sti elementi fanno di Avignone in quegli anni un caso di
«doppia periferia» artistica: nel tramonto della cultura
occitanica i punti di riferimento sono la pittura dell’Ita-
lia centrale e il disegno gotico del Nord.

22. Le regioni di frontiera.

Non si tratta di un fenomeno isolato. In diversi


momenti le regioni di frontiera italiane si sono trovate
in situazioni analoghe: e la condizione di «doppia peri-
feria» propria a queste marche di confine poté addirit-
tura stimolare la nascita di aree-cerniera, luogo d’incon-
tro di culture diverse e punto di partenza di esperienze
originali. Era stato questo il caso del Piemonte alpino nel
primo Quattrocento, ai tempi del ducato di Amedeo
VIII, quando, grazie all’incrociarsi di artisti di diversa
origine culturale (Italia, Borgogna, alto Reno) quest’area
divenne un haut lieu del gotico internazionale.
Per molti centri e regioni italiane, da Roccaforte
Mondoví a Ripacandida in Basilicata, il linguaggio
tardo-gotico rappresentò un ultimo momento di inte-
grazione, di omogeneità, di partecipazione su un piede
di parità alla produzione artistica. Ciò che venne dopo
non ebbe, per molto tempo, un’autorevolezza parago-
nabile: solo quella che Vasari chiama la «maniera moder-
na», la cui accettazione o meno segnò una prima linea
di discriminazione tra centri e periferie, diede luogo a
un nuovo paradigma che mise definitivamente fuori
gioco l’antico. Le prime formulazioni rinascimentali
avevano invece coesistito, senza effetti paralizzanti, con

Storia dell’arte Einaudi 66


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

quelle tardo-gotiche121. Ma proprio l’allargamento del


fossato tra centro e periferia all’interno della penisola
rese possibile il costituirsi dell’Italia come centro arti-
stico rispetto a una periferia europea.
Ancora una volta nel Piemonte occidentale si mani-
festa un altro caso di «scarto» che trae profitto dalla
situazione di «doppia periferia» della regione. È quello
di Defendente Ferrari che rielabora, in forme che avran-
no una notevole eco nell’area alpina122, elementi di diver-
sa origine, provenzali, fiamminghi, renani, lombardi,
proponendo modelli significativamente distanti dai para-
digmi che stavano ormai diffondendosi in tutt’Italia.
Questa distanza non è dovuta all’ignoranza o all’infor-
mazione tardiva sugli avvenimenti artistici fiorentini o
romani. Opere di Raffaello, come la Madonna d’Orléans
(ora a Chantilly) avevano circolato in Piemonte: il duca
Carlo II che la possedeva ne aveva addirittura fatta ese-
guire nel 1507 una copia (perduta) da Martino Span-
zotti; le copie superstiti, fatte da Defendente o da Gio-
venone, mostrano a sufficienza la diffusione del proto-
tipo. Piú tardi, ma prima del 1564, una copia del Giu-
dizio di Michelangelo sarà dipinta sulle mura della
Madonna dei Boschi di Boves123. Il cammino di appa-
rente rigoticizzazione seguito da Defendente non è dun-
que il prodotto di un ritardo periferico, ma piuttosto di
uno scarto deliberato, nella cui scelta ha un peso indi-
scutibile il carattere devozionale di gran parte della sua
produzione. Ma proprio su questo piano si rivela l’in-
treccio di arcaismo e novità che cosí spesso caratterizza
la faticosa elaborazione delle alternative periferiche. L’i-
scrizione che accompagna il Commiato del Cristo dalla
Madre suona infatti:

Tu che conte(m)pla del viso lo perspicace et acuto pote-


re nel deifi | co simulacro del sacrato intuito destina el vivo
radio et ne la | mente sigilla quanto in ver de la dilecta matre

Storia dell’arte Einaudi 67


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

pare che con summa hu | militate la inefabile sapientia cle-


mentissimamente si exhibischa et | con quale gratia la mater-
na compassione al coresponder si monstra | con affanato cor-
doglio (resultante et maiore) per la memoria | del parato
suplicio che nel cuore fixamente | inpresso teneva conside-
rato bene124.

Ciò che viene proposto al riguardante non è dunque


la reazione immediata e quasi fisiologica di fronte all’im-
magine sacra, ma una proiezione ben piú complessa.
L’antivedente memoria di Maria, che scorge nel futuro
il supplizio del figlio, viene additata come modello alla
memoria del riguardante. Le «istruzioni per l’uso», for-
mulate in una lingua ricca di latinismi, invitano un pub-
blico verosimilmente clericale a leggere compiutamente
le implicazioni psicologiche dell’immagine.
Puntualmente la devozione neogotica di Defendente
Ferrari lo porterà a fiancheggiare le ricerche di taluni
manieristi125. Di fatto réculer pour mieux sauter sembra
essere un elemento ricorrente nell’elaborazione dello
scarto periferico. Convergono in questo senso da un
lato, le attese del pubblico e dei committenti, dall’altro
la volontà di aggirare una situazione senza uscita imboc-
cando vie lontane nel tempo e nello spazio.

23. L’esilio del Lotto.

Si dànno anche casi in cui la ricerca di un’alternati-


va si traduce fisicamente nell’esilio. Prendiamo l’esem-
pio canonico di Lorenzo Lotto. Quasi tutta la sua vita
trascorse fuor di Venezia, e fuor di Venezia si trova la
maggior parte dei suoi dipinti: a Treviso, a Bergamo e
nelle valli bergamasche, nelle città, nei borghi e nei
paesi posti lungo le coste e su per i colli delle Marche,
da Ancona a Recanati, a Fermo, a Jesi, a Cingoli, a

Storia dell’arte Einaudi 68


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Monte San Giusto, a Loreto, dove il pittore morì riti-


rato in convento.
Certo, Bergamo attorno al 1515 non poteva esser
considerata una periferia. L’attività in loco di Loren-
zo Lotto andrà considerata semmai parte della pene-
trazione della cultura figurativa veneta in una città
che fino a pochi anni prima aveva visto lavorare Bra-
mante, Filarete, Amadeo. D’altra parte a Venezia
verso quest’epoca, come già a Firenze negli anni
1310-20, non si era ancora imposto un unico paradig-
ma. Su questo sfondo va vista la decorazione della
Cappella Suardi a Trescore, nelle valli bergamasche
(1524)126. Qui moduli iconografici arcaizzanti (il Cristo-
vite o la sequenza narrativa in cui, come in un Sacro
Monte, la vicenda si svolge in tante stazioni, palazzi,
logge, prosceni) vengono sottoposti a un’audace riela-
borazione naturalistica. Dalle dita di Cristo si dipar-
tono i tralci che inquadrano martiri, confessori, pro-
feti, padri della Chiesa. I due piani della rappresenta-
zione, quello storico (le scene della vita e del martirio
delle sante) e quello metastorico (la vigna di Cristo
vanamente assaltata dagli eretici) sono sovrapposti,
entrambi prospetticamente inquadrati, ma radical-
mente distinti nelle proporzioni. Ancora una volta la
proposta alternativa presuppone un uso spregiudicato
di elementi decisamente arcaici di cui vengono viste le
potenzialità innovatrici.
A Venezia tutto questo non sarebbe stato, evidente-
mente, possibile; ma anche un’opera come la pala dei
Carmini che non presentava effetti cosí sconcertanti
appariva a Ludovico Dolce «di queste cattive tinte [...]
assai notabile esempio». Giudizio sprezzante che segui-
va, quasi come un’esemplificazione, il ragionamento
messo in bocca all’Aretino in cui si insisteva sulle con-
venzioni da rispettare nell’uso dei colori:

Storia dell’arte Einaudi 69


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

È vero che queste tinte si debbono variare, et aver pari-


mente considerazione ai sessi, alle età et alle condizioni. Ai
sessi ché altro colore generalmente conviene alle carni d’una
giovane et altro ancora d’un giovane; all’età, ché altro si
richiede a un vecchio et altro pure a un giovene; et alle con-
dizioni, ché non ricerca a un contadino quello che appar-
tiene a un gentiluomo127.

La reazione negativa di un ambiente di committenti


e di critici orientati verso Tiziano è testimoniata dalla
scarsità delle opere fatte – a intervalli di lunghi anni –
per Venezia. La piú straordinaria è la paletta di San
Zanipolo, dipinta per un convento amico presso il quale
aveva a lungo soggiornato, mentre, come scrive il Lanzi,
che pur aveva apprezzato «i nuovi partiti di tavola» in
cui il Lotto era stato «de’ primi e de’ più ingegnosi»,

la sua declinazione si può conoscere fin dal 1546, epoca


scritta nel quadro di San Jacopo dell’Orio128.

Quest’opera fu eseguita durante l’ultimo soggiorno


del Lotto a Venezia. Aveva lasciato Treviso dove, dice-
va, «non guadagnava da spesarmi», e cercava di soprav-
vivere adeguandosi al gusto e ai modelli di Tiziano, ren-
dendoli piú spogli e devoti.
Chiusa questa parentesi, e lasciata definitivamente
Venezia per le Marche, Lotto ritroverà a Loreto, lonta-
no dai modelli incombenti, la libertà espressiva che farà
apparire cosí moderna l’incompiuta Presentazione di
Gesú al Tempio129.
Dopo Bergamo sono dunque le Marche a concedere
al Lotto uno spazio per la sua pittura. Una regione tra-
dizionalmente legata a Venezia, almeno nella fascia
adriatica, per cui i pittori veneziani avevano lavorato fin
dal Trecento, ma che nel corso del Cinquecento perde
gradatamente la sua importanza politica ed economica.

Storia dell’arte Einaudi 70


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Ciò significa che gli esempi piú moderni del Lotto tro-
veranno qui un luogo di libertà, non di avvenire e che
la sua linea non avrà continuatori né propagandisti, se
non in qualche episodio locale e molto limitato130.

24. Urbino e Barocci.

Qualche anno dopo la morte del Lotto, Federico


Barocci lasciava nel pieno del successo Roma per ripa-
rare precocemente e precipitosamente in patria, in una
Urbino declinante. A farlo fuggire sarebbe stata, nella
versione dei biografi, la malattia, seguita a un tentativo
di avvelenamento. Non si può escludere che dietro que-
sto gesto ci fossero motivazioni piú complesse131: certo
è che la fuga fu definitiva. Per decenni il Barocci, crea-
tore di sacre immagini ammirate da san Filippo Neri,
vegliardo dispeptico ricercato da duchi e cardinali,
instancabile disegnatore attento al naturale, pittore
intellettuale che cercava nell’accordo musicale il model-
lo di quello cromatico, continuò ossessivamente a inse-
rire nei suoi quadri l’immagine di Urbino posta a raffi-
gurare quella «città di Gerusalemme in veduta» accom-
pagnata dal «magnificentissimo palagio» del duca a sug-
gello delle piú diverse scene evangeliche.
Questa scelta a favore di una città destinata a un’or-
mai prossima emarginazione parve al Bellori una vera e
propria diserzione:

Dirò di piú quello che parrà incredibile a raccontarsi: né


dentro, né fuori d’Italia si ritrovava pittore alcuno, non
essendo gran tempo che Pietro Paolo Rubens il primo
riportò fuori d’Italia i colori, e Federico Barocci, che avreb-
be potuto ristorare e dar soccorso all’arte, languiva in Urbi-
no, non le prestò aiuto alcuno132.

Storia dell’arte Einaudi 71


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

L’esule periferico assume questa volta le vesti del sal-


vatore mancato. In uno spirito forse non dissimile si è
supposto che un’affermazione di Lotto in patria avrebbe
avviato «l’arte veneziana (e forse non l’arte soltanto) [...]
in direzione del Rembrandt e non del Tintoretto»133.

25. Il Seicento e il Settecento.

Nel Seicento gli scarti periferici assumono forme


meno drammatiche e vistose. Con l’avanzare della
ristrutturazione politica ed economica la situazione
tende a stabilizzarsi, ribadendo lo iato che si è aperto nel
secolo precedente tra centro e periferia. Ridotti gran-
demente il numero e l’autonomia degli antichi centri
municipali, si vengono a imporre codici differenziati,
validi gli uni per la metropoli, gli altri per la provincia.
Cosí in una periferia sottomessa e rassegnata le possibi-
lità dello scarto diminuiscono di molto134. E tuttavia le
opere abruzzesi del Tanzio, quelle marchigiane del Gen-
tileschi, il ritorno del Bassetti a Verona, di Niccolò
Musso a Casale Monferrato e, fra tutti memorabile,
quello dello stesso Tanzio – che allora scarta decisa-
mente rispetto al Morazzone e al contesto lombardo –
in Valsesia, sono da leggersi in questa chiave. Un qua-
dro come l’«ex voto proletario» di Tanzio con i conta-
dini di Camasco stretti attorno al «Divvo Rocho in
Adversis Intercessori», riprende la tradizione degli sten-
dardi processionali, fin da quello del Foppa a Orzinuo-
vi, indicando con chiarezza come il vecchio fondo devo-
zionale della provincia potesse divenire un riparo per i
naturalisti della diaspora romana. Si tratta di una resi-
stenza destinata a prolungarsi nel tempo.
Il piú bel ritratto di gruppo del Settecento italiano,
I canonici di Lu di Pier Francesco Guala, è immerso
nella penombra di una chiesa monferrina, l’armata dei

Storia dell’arte Einaudi 72


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

gueux del Ceruti cresce sui muri delle ville del Brescia-
no. Esiste in provincia, almeno in una certa provincia
disposta agli investimenti simbolici, una committenza
relativamente indipendente nelle scelte dai dettami
della metropoli.
La ripresa della tradizione municipale costituisce uno
dei fatti centrali della cultura settecentesca. Di questo
rinnovato fervore di ricerca le Lettere Pittoriche raccol-
te dal Bottari, quindi aumentate e ripubblicate dal
Ticozzi, forniscono piú di un esempio. «A Cento – scri-
ve l’Algarotti a un suo corrispondente veneziano – io vi
so ben io dire che avreste trovato dove puntare il vostro
occhialino»135. Luigi Crespi, che incoraggia la pubblica-
zione di descrizioni e guide locali, biasima le descrizio-
ni dell’Italia allora piú diffuse per non aver nominato
Volterra, Cortona o Pescia, e lamenta l’assenza di scrit-
ti sulle città delle Romagne:

Così fosse stato fatto delle pitture di tante città della


Romagna che i molti valenti professori che vi fiorirono, non
rimarrebbero tutt’ora in buona parte incogniti, e le tante
belle operazioni loro non sarebbero o state disperse, o tut-
tavia neglette con danno notabile delle rispettive città, de’
professori e delle famiglie, ma sarebbero state, e tuttora
sarebbero, nella dovuta stima conservate, ammirate, e da’
viaggiatori visitate!
Ha ella, per esempio, cognizione d’un certo Cristofano
Lanconello? di un Gio. Batista Bertuccio? d’un Palmeg-
giani?136.

Per il Crespi

tutto ciò che in qualche maniera può illustrare una città,


deve sempre manifestarsi, per eternare al possibile la memo-
ria di chi ne fu il promotore o il produttore [...]. Che se ciò
è pur vero di qualunque cosa virtuosa in generale [...] quan-

Storia dell’arte Einaudi 73


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

to piú si verificherà trattandosi delle tre arti nobilissime, di


pittura, scultura ed architettura, mercè le quali sole, può
dirsi che distinguonsi le città che vengono esse visitate da
dotti viaggiatori [...] e benché professate, per lo piú, da arte-
fici di oscuro e talvolta vile lignaggio, pur mercè di loro,
stima ed onore distinto da tutto il mondo eglino riscuoto-
no e ricevono?137.

Nello stesso senso si esprimono il Ratti e tanti altri


corrispondenti. Motivo ricorrente di questi discorsi è
l’esaltazione delle arti, che, «benché professate, per lo
piú, da artefici di oscuro e talvolta vile lignaggio», attrag-
gono sulle città l’attenzione di «dotti viaggiatori», «prin-
cipi intelligenti», «eruditi e studiosi», «dotti scrittori».
La ricostruzione storica della gloria delle piccole
patrie, siano esse Cento, Faenza, Forlí o Pescia, Corto-
na, Volterra, avviene negli stessi anni in cui si ricerca-
no le antiche tradizioni, preromane138 o medievali. Sem-
brava dunque aprirsi un nuovo spazio per la periferia:
ma questo non doveva avvenire che per certe aree piú
prospere. In gran parte d’Italia la situazione non con-
cederà alcun recupero139.

26. Centro e periferia, persuasione e dominazione.

Non è certo una novità affermare che le immagini


possano essere strumenti di persuasione e di domina-
zione, nel rapporto, mai pacifico, tra centro e periferia.
Talora, ove si tratterà di mettere in valore l’effige del
sovrano e delle sue insegne, sarà un impiego diretto: e
basti ricordare come Bonifacio VIII abbia utilizzato e
fatto utilizzare il proprio simulacro per sancire, da
Orvieto a Bologna ad Anagni, il dominio della Chiesa e
il proprio personale potere; come la statua equestre di
Azzone Visconti sovrastasse sudditi e fedeli dal sommo

Storia dell’arte Einaudi 74


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dell’altar maggiore di San Giovanni in Conca; come le


armi sulle porte delle città venissero dipinte e cancella-
te secondo il mutare di signoria, o come gli apparati per
le entrate trionfali sancissero il potere e la magnanimità
del signore. Molto frequentemente l’uso delle immagi-
ni può essere piú indiretto, entrando in un discorso poli-
tico piú generale: e anche qui gli esempi non mancano,
dalle imprese dei longobardi dipinte nel Palazzo di Teo-
dolinda a Monza, ai padri della Chiesa che Martino I
fece dipingere sui muri di Santa Maria Antiqua dopo il
Concilio laterano del 649 per combattere l’eresia mono-
telita appoggiata da Costantinopoli, fino alle scene del
Risorgimento dipinte da Cesare Maccari, Amos Cassio-
li e compagnia nella sala Vittorio Emanuele del Palazzo
Pubblico di Siena, o a episodi ancor piú prossimi a noi
di cui la produzione artistica del periodo fascista ci pro-
pone gran numero di esempi.
In altri casi si tratterà di decifrare gli scontri politi-
ci attraverso le cicatrici delle immagini, chiarendo come
un certo stile e certe formule di rappresentazione pos-
sano essere state imposte. La Ruthwell Cross o i capi-
telli di Santo Domingo de Silos hanno rivelato l’esi-
stenza di autentiche battaglie simboliche in cui, nel
corso del Medioevo, un nuovo stile, appoggiato da
un’autorità politica e religiosa, veniva imposto, contro
la resistenza di una cultura autoctona140.
L’adozione coatta di modelli stilistici e iconografici
provenienti dal centro, l’elaborazione al centro di codi-
ci stilistici differenziati validi gli uni per la metropoli,
gli altri per la periferia, il sacco dei beni simbolici del
paese sottomesso, il flusso dei migliori talenti dalla peri-
feria verso il centro e quello, in senso inverso, dal cen-
tro verso la periferia di prodotti ad alto potenziale sim-
bolico, sono forme ed episodi in cui si manifestano i
modi di dominazione. Nell’impossibilità di trattarne
diffusamente in modo organico si procederà attraverso

Storia dell’arte Einaudi 75


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

una sorta di enumerazione tipologica che permetta di


esemplificare casi e problemi.

27. La dominazione simbolica.

Per identificare alcuni aspetti significativi del rap-


porto di dominazione simbolica si potranno seguire, par-
titamente, le posizioni di alcuni elementi che compon-
gono il campo artistico: le opere, gli artisti, i commit-
tenti, il pubblico. Di tutti questi il pubblico fa figura di
elemento immobile nel continuo spostamento degli altri
tre, ma è al tempo stesso il meno studiato, e perciò il piú
inafferrabile; la nostra indagine sarà dunque condotta di
preferenza sugli altri, e, prima di tutto, sulle opere.
Possiamo distinguere qui varie situazioni che vanno dal
momento assolutamente negativo della distruzione,
autentico grado zero nella scala, all’invio dal centro verso
la periferia di opere di altissimo livello, passando attra-
verso fasi diverse.
Non staremo a insistere su quello che abbiamo chia-
mato il grado zero; grosso modo le distruzioni dovute al
conflitto centro-periferia possono essere di due tipi, o
discendenti direttamente dalla volontà di eliminare le
testimonianze della cultura dell’area sottomessa, o piú
indirettamente causate dal poco conto in cui vengono
tenuti nelle città suddite i prodotti della propria antica
cultura. Sono esempio del primo caso le distruzioni delle
antiche «delizie» ducali poste fuori delle mura di Fer-
rara dopo la devoluzione degli stati estensi alla Santa
Sede: radicale cancellazione delle testimonianze archi-
tettoniche dell’antico potere giustificata da uno storico
ferrarese col fatto che

il dispendio inutile che avrebbe sostenuto la Camera per


conservarle, e le fortificazioni delle mura naturalmente

Storia dell’arte Einaudi 76


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

opposte a simili delicatezze, non permettevan loro piú lunga


durata141;

dell’altro i lamenti sulla situazione del patrimonio arti-


stico delle città di provincia, tanto frequentemente
documentati nelle Lettere Pittoriche.
Discorso piú lungo merita la razzia dei beni simbolici.
Da Carlo Magno che porta da Ravenna ad Aquisgrana la
statua equestre del cosiddetto Teodorico, alle requisizio-
ni estese in tutta Europa per la costituzione del Musée
Napoléon142 a quelle hitleriane in vista della creazione del
supermuseo di Linz143, la storia di queste romanzesche e
avventurose rapine è largamente divulgata. Biblioteche
(come la Palatina di Heidelberg sottratta dopo la batta-
glia della Montagna Bianca dal duca di Baviera all’Elet-
tore palatino e donata quindi al papa, come segno di vit-
toria sui protestanti e di reverente sottomissione) raccol-
te d’arte, statue equestri, pale d’altare, ritratti, sculture
abbandonano i loro luoghi di origine per essere trasferiti
nelle capitali di cui occorre incrementare il primato sim-
bolico144. Il fatto si produce puntualmente nel corso del
processo di periferizzazione di molte regioni italiane dopo
la ristrutturazione cinquecentesca. Un caso esemplare è,
ancora una volta, quello di Ferrara, al momento dell’e-
stinzione della dinastia estense, e della devoluzione dello
stato alla Santa Sede. Scrive il Lanzi, evocando le conse-
guenze artistiche di questi avvenimenti:

Il cangiamento del governo fu a tempo di Clemente


VIII pontefice massimo, nel cui ingresso solenne operaro-
no per le pubbliche feste lo Scarsellino ed il Mona, scelti
come i pennelli piú abili a far molto in poco tempo. Furo-
no di poi impiegati vari pittori, e specialmente il Bambini
e il Croma, a copiar varie tavole scelte della città, che la
corte di Roma volle trasferite nella capitale; lasciandone a
Ferrara le copie e agl’istorici ferraresi i lamenti145.

Storia dell’arte Einaudi 77


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Tra i «lamenti» degli storici ferraresi gioverà ricor-


dare quello di Antonio Frizzi146:

Disgustoso a’ nostri cittadini riuscí il vedere l’A. 1617


spogliate le Chiese di molti de’ migliori quadri loro, di mano
de’ Dossi, dell’Ortolano, del Garofalo, del Carpi, del Tizia-
no, di Gio. Bellino, del Mantegna e d’altri piú insigni pit-
tori nazionali e forestieri, e sostituire a essi copie, stimabi-
li però, del Bononi, dello Scarsellino, del Bambini, del
Naselli e d’altri. Chi e dove li trasportasse non ci vien detto,
ma sappiamo che di simili preziosi nostri monumenti, e di
manoscritti, e d’anticaglie andaron molti, in diversi tempi,
ad arricchirne la capitale.

Girolamo Baruffaldi testimonia di queste spoliazio-


ni, scrivendo la vita di Giacomo Bambini, uno degli arti-
sti impiegati a copiare i quadri rapinati:

Nel tempo della devoluzione di questa città al governo


ecclesiastico, cioè l’anno 1598, era egli uno de’ professori
che in Ferrara operassero, e perciò come tale fu impiegato
a ricopiare varie preziose pitture di maestri eccellenti per
poterne mandare a Roma gli originali desiderati dalla corte
Pontificia che qui trovavasi. Di due certamente io posso
darne sicuro conto, e sono la tavola dell’Ascensione di Cri-
sto in s. Maria in Vado, e l’altro di s. Margherita nella chie-
sa della Consolazione. Quest’era dell’Ortolano, e l’altra di
Benvenuto da Garofalo147.

Valga quello di Ferrara come modello di una situa-


zione che si potrebbe suffragare con altri casi. Non
molto dissimili per esempio furono le conseguenze della
devoluzione alla Chiesa dei beni dei Della Rovere148.
Una ricerca di questi momenti negativi della storia arti-
stica italiana sarebbe ricca di insegnamenti sulle vicen-
de del rapporto centro-periferia; né andrebbero dimen-

Storia dell’arte Einaudi 78


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

ticate in questo contesto le colossali dispersioni di opere


d’arte di cui l’Italia è stata oggetto negli ultimi cento-
cinquant’anni.

28. La dinamica delle opere.

Di diverso tipo e grado può rivelarsi anche l’invio di


opere dal centro. Anche qui potremo distinguere vari casi.
Prendiamo per esempio quello di Massa Marittima
nel corso del Trecento. Le opere importate da Siena
furono qui uno strumento di penetrazione della cultura
senese prima del definitivo asservimento della città,
avvenuto nel 1336. I primi decenni del Trecento sono
interamente dominati dalle importanti commissioni arti-
stiche affidate ad artisti senesi: nel 1316 i signori Nove
del Consiglio di Massa fanno pressioni sull’Operaio del-
l’Opera di San Cerbone perché venga portata a compi-
mento la grande ancona per l’altar maggiore della Cat-
tedrale, ispirata al modello della Maestà di Duccio e cer-
tamente eseguita nell’atelier del grande artista senese.
Nel 1324, come indica un’iscrizione, l’Arca di san Cer-
bone, capolavoro della scultura gotica italiana, commis-
sionata da Perucius, Operaio della Cattedrale, fu ter-
minata dal maestro Goro di Gregorio, «de Senis»; qual-
che anno dopo, ma forse ancor prima della conquista
senese, viene eseguita la Maestà di Ambrogio Lorenzet-
ti, già in Sant’Agostino, ora in Palazzo Comunale.
Opere tra le piú significative dell’arte senese vengo-
no dunque eseguite per la ricca città mineraria di Massa
Marittima, che appare totalmente dominata da Siena
prima ancora che questa ne assuma il controllo politico
e che Agnolo di Ventura ne suggelli la conquista con il
nuovo apparato di fortificazioni. Diversamente da altri
centri, come Volterra e San Gimignano, l’opulenta
Massa Marittima, pur nell’ampiezza delle commissioni,

Storia dell’arte Einaudi 79


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

non conobbe mai una tradizione artistica autonoma e


subí un’egemonia culturale esterna imposta a colpi di
opere di eccezionale qualità, che anticipavano il domi-
nio politico. Se ci rifacciamo ai criteri di entrata in quel
club dei centri artistici italiani che abbiamo ipotizzato,
sarà significativo il fatto che i vescovi di Populonia fini-
scano per trovare a Massa una sede stabile solo agli
inizi del xii secolo, come accade a Grosseto (anch’essa
destinata a essere totalmente dominata dalla produzio-
ne artistica senese) dove i vescovi di Roselle si trasferi-
scono definitivamente solo nel 1138.
Prendiamo un altro caso di invio di opere sempre
rimanendo nel Trecento e sempre in area senese. Si trat-
ta questa volta non di una città importante e ricca come
Massa, ma di quello che è oggi un umile paesetto, Roc-
calbegna sulle falde dell’Amiata. La chiesa parrocchiale
conserva tre tavole di Ambrogio Lorenzetti di grande
qualità e questo ha indotto a interrogarsi sulle circo-
stanze che indussero uno dei massimi artisti del tempo
a creare un’opera di tale importanza per un borgo cosí
remoto149. La risposta sta probabilmente nel valore che
i senesi attribuivano al piccolo centro minerario, posto
alle frontiere meridionali dello Stato, che avevano acqui-
stato e rifondato alla fine del Duecento150. Il caso di que-
ste tavole va dunque visto in rapporto con la creazione
di una città nuova e con lo sforzo – che si concreta in
numerose agevolazioni – di farvi confluire dei cittadini
senesi, rispetto ai quali i prestigiosi dipinti di uno dei
sommi artisti di Siena dovevano funzionare come stru-
menti di identificazione e di aggregazione. Tutto ciò va
collegato alla moltiplicazione di opere e commissioni
artistiche, avvenuta nel corso del Trecento nelle città e
nei borghi della Maremma meridionale, da Grosseto a
Paganico, nella zona cioè di recente espansione senese.
In altri casi l’invio di opere rivela e ribadisce uno
stato di dipendenza culturale che può coincidere con una

Storia dell’arte Einaudi 80


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dipendenza economica o politica. Nella chiesa parroc-


chiale di Calvi in Corsica un grande polittico che orna
l’altar maggiore è firmato da Giovanni Barbagelata, «de
Janua» (un repertorio dei casi in cui il luogo d’origine
segue nella firma il nome dell’artista, confrontato con i
luoghi di destinazione delle opere potrebbe fornire indi-
cazioni assai utili). I documenti ci informano che il polit-
tico fu commissionato da due cittadini di Calvi, che lo
vollero eseguito a somiglianza di quello dipinto da Gio-
vanni Mazone nel 1465 per Santa Maria di Castello di
Genova151. Significativo è il prestigio esercitato dall’o-
pera piú antica (un caso analogo a quello delle copie fatte
sul modello del quadro del Ghirlandaio a Narni di cui
si è parlato) e il fatto che il prototipo sia genovese e che
della commissione venga incaricato un pittore genove-
se. In questo momento l’isola è politicamente ed eco-
nomicamente dominata da Genova, ma la subordina-
zione culturale può durare anche quando si interrompe
quella politica. Di ciò testimoniano in Sardegna gli invii
di opere pisane (sculture, polittici, campane)152 che con-
tinuarono anche quando l’isola fu stabilmente nelle mani
degli Aragonesi, ma non ancora lambita da quella cir-
colazione mediterranea «gotico - ispano - napoletana» di
cui conserva significativi documenti153. Questo ancora
documentano le opere pisane o genovesi frequenti in
Sicilia nel corso del Trecento, cosí come quelle venete
del Tre e Quattrocento nelle Puglie.

29. La dinamica degli artisti

Parallelamente alle opere, ma talvolta, come vedre-


mo, in senso opposto, possono muoversi gli artisti.
Occorrerà tuttavia distinguere le situazioni. L’esten-
dersi del dominio veneto non sembra per esempio aver
condotto a una sottomissione culturale generalizzata.

Storia dell’arte Einaudi 81


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Potremo utilizzare per la pittura negli stati di terrafer-


ma della Serenissima quanto è stato detto a proposito
della persistenza a Verona nel Settecento di una cultu-
ra letteraria locale:

È una tradizione letteraria municipale che quattro seco-


li di dominazione veneziana non riescono a ridurre confor-
me né tanto meno succube a quella della capitale Venezia
[...]. Ho detto che quattro secoli di dominazione veneziana
non riescono a piegare Verona, ma sia ben chiaro che non
ci fu mai, da parte di Venezia, il proposito di piegare...154.

Questo non significa che dal Cadore, dalle rive del


Brenta o dell’Adige non affluissero artisti a Venezia, ma
piuttosto che non vennero distrutte, al contrario, le
condizioni di un’attività locale.
In altri casi invece rimarranno in loco pittori di mode-
sta levatura, che potranno trovare lavoro nelle commis-
sioni di un pubblico non elevato. Un pittore corso come
Maestro Antonio di Simone di Calvi firmerà nel 1505
un polittico per la chiesa di Cassano (presso Calvi)155,
mentre come abbiamo visto per la parrocchiale di Calvi
il polittico dell’altar maggiore era richiesto a Genova.
Talvolta, mentre maestri locali attendono a certe pro-
duzioni tipiche – quale per esempio la pittura di soffit-
ti – le opere su tavola giungono da lontano. È un caso
che si presenta a Palermo nel Trecento quando «Mastru
Simuni pinturi di Curigluni», «Mastru Chicu pinturi di
Naro» o «Mastru Darenu» palermitano dipingono il sof-
fitto dello Steri, mentre Bartolomeo da Camogli o Nic-
colò da Voltri da Genova, Jacopo di Nicola, Turino
Vanni e tanti altri da Pisa inviano tavole e polittici per
chiese e oratori156.
Situazione tipica degli artisti delle aree periferiche
sarà quella di essere attirati dal centro politicamente ege-
mone. È questo il caso di Niccolò di Lombarduccio di

Storia dell’arte Einaudi 82


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Vico, uno dei maggiori artisti attivi in Liguria nel Quat-


trocento, che era originario della Corsica e per questo
appunto conosciuto come Niccolò Corso; o ancora del
geniale maestro Tuccio d’Andria «de Apulia» che dipin-
ge nel 1487 un trittico per la Cattedrale di Savona con
lo sposalizio di santa Caterina (i rapporti con il Medi-
terraneo occidentale furono probabilmente facilitati dal-
l’origine provenzale dei signori di Andria, i Del Balzo);
di altri artisti pugliesi come Reginaldo Piramo di Mono-
poli che illustra manoscritti a Napoli e a Venezia157; di
tanti calabresi, come il miniatore Cola Rapicano, l’ar-
chitetto Francesco Mormando, il pittore Marco Cardi-
sco, piú tardi, fra Sei e Settecento, di Mattia Preti o di
Francesco Cozza158; di siciliani come il messinese Ago-
stino, detto Sarrino a Genova nel 1400, o Pavanino da
Palermo nella seconda metà del secolo nel Salernita-
no159. Questo per non parlare dei due piú celebri emi-
granti siciliani, Antonello da Messina e Francesco Juvar-
ra. In questi due ultimi casi Venezia alla fine del Quat-
trocento e Torino agli inizi del Settecento forniscono
delle basi da cui i modelli proposti potranno avere una
diffusione italiana o addirittura europea.
Altre circostanze possono spingere gli artisti a pren-
dere la fuga in direzione opposta a quella del centro poli-
tico: è quanto accade, per esempio, a Pisa dopo la con-
quista fiorentina. Diversamente da quanto era avvenu-
to nei centri di terraferma occupati da Venezia, una gran
parte dei pittori pisani lascia la città e ripara a Genova.
Il loro numero è tanto rilevante che un’assemblea del-
l’arte dei pittori genovesi nel 1415 – dove su venti par-
tecipanti tre sono genovesi e ben nove pisani – decide
di modificare lo statuto della corporazione per favorire
i maestri forestieri che vengono a lavorare nella città160.
Un altro esempio da prendere in considerazione in
questa tipologia sommaria, sarà quello degli artisti che
dal centro si spostano verso aree che piú che periferiche

Storia dell’arte Einaudi 83


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

potrebbero chiamarsi subordinate. Lasciando da parte il


caso dei senesi che non solo mandano opere ma anche
vanno a lavorare nel corso del Trecento a Massa, a San
Gimignano, a Paganico ecc., degli esempi su vasta scala
vengono dall’attività dei veneziani nelle città di terra-
ferma tra Quattro e Cinquecento e dall’autentico rush
dei pittori lombardi in Liguria dopo che Genova si era
posta sotto la protezione viscontea nel 1421. Si tratterà
in quest’ultimo caso di assicurarsi le migliori commis-
sioni – e posizioni – in un centro che è economicamen-
te un gigante, ma culturalmente (e politicamente in que-
sto momento) un nano. Del resto il caso di Genova nel
Tre e nel Quattrocento è anomalo rispetto alla fisiono-
mia di centri artistici quali Firenze, Siena o Venezia: con
le massicce e ripetute penetrazioni di artisti stranieri,
pisani, piemontesi, lombardi, configura un caso di cen-
tro-relais dove si raccolgono e da cui vengono trasmes-
se e amplificate esperienze diverse.

3o. La dinamica dei committenti.

Restano i committenti. Anche qui nella casistica si


propone, come nel caso delle opere, un grado zero, quel-
lo del totale esautoramento di un gruppo di committenti.
Cosí avverrà a Casale Monferrato, quando Guglielmo
Gonzaga succede all’antica dinastia dei Paleologi e segna
con la sua politica la liquidazione di certi gruppi sociali
cittadini e di una tradizione pittorica che a essi si appog-
giava, tradizione che riprenderà poi, ma in direzione
affatto diversa161. Casi simili potranno presentarsi a
Urbino162 e in altri centri italiani.
Un diverso caso sarà quello dei committenti, prove-
nienti da un centro importante, che lasciano tracce del
loro passaggio in periferia. Sono vescovi, luogotenenti,
governatori, abati commendatarii che si compiacciono di

Storia dell’arte Einaudi 84


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

commissionare per la loro temporanea sede opere che


rivelino la loro origine, i loro viaggi, la loro elevata posi-
zione sociale e culturale. I frutti di questo zelo mecena-
tesco cadranno un po’ come meteore, fuor d’ogni con-
testo e d’ogni svolgimento o attesa locali. Sarà questo il
caso del ferrarese Philos Roverella che torna dal Conci-
lio di Trento nel 1545 alla sua diocesi di Ascoli Piceno
portandosi dietro uno degli artisti piú in vista della corte
del principe-vescovo di Trento: il friulano Marcello
Fogolino, cui chiede di decorare con scene bibliche il
proprio palazzo vescovile163. Non diverso – per la sua
extracontestualità – sarà il caso di chi, nativo di un’a-
rea periferica, assurga a grandi onori in una capitale,
come avviene a tanti prelati, medici, burocrati, giuristi
nel corso del Sei e del Settecento. Può accadere che
costui si preoccupi di inviare al paese natio una o piú
opere che testimonino del suo amor patrio, del suo gusto
avvertito, della sua riuscita sociale. Avviene cosí che
risiedendo a Cento come governatore intorno al 1636-37
uno spoletino, alto funzionario papale, frequenti assi-
duamente lo studio del Guercino, ne acquisti le opere,
ne faccia anche dono a una confraternita della sua
patria164.
Vi sono ancora altre situazioni: quella per esempio di
committenti periferici che attraverso le loro scelte testi-
moniano di una subordinazione culturale nei confronti
del centro. Un esempio tipico in questo senso, ed estre-
mamente sintomatico per strutture di tipo feudale come
quella della Calabria, è quello della committenza dei
Sangineto, signori di Altomonte165. Filippo di Sangine-
to trovandosi nel 1326 a traversare la Toscana al segui-
to di Carlo di Calabria, ordina il San Ladislao di Simo-
ne Martini e un polittico di Bernardo Daddi. Piú tardi
un membro della stessa famiglia, situandosi questa volta
a rimorchio delle scelte di Ladislao di Durazzo, ordinerà
a Napoli un polittico con storie della Passione all’ano-

Storia dell’arte Einaudi 85


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

nimo maestro detto di Antonio e Onofrio Penna. Nei


due casi le scelte dei Sangineto seguono quelle degli
Angioini di Napoli, nei due casi le opere commissiona-
te vengono a raccogliersi nella chiesa di Altomonte, sede
del potere feudale dove si ha una grande concentrazio-
ne di simboli culturali rispetto al deserto del territorio
circostante. La disparità nella distribuzione dei beni e
la loro eterogeneità denunciano una situazione non solo
periferica ma addirittura coloniale, che si ripeterà a Teg-
giano, il feudo dei Sanseverino che ai confini della Cam-
pania domina il Vallo di Diano, o a Galatina nel Salen-
to dove Raimondello Orsini del Balzo e sua moglie
Maria d’Enghien fondano e fanno decorare dalle piú
diverse équipes di pittori la chiesa-santuario di Santa
Caterina166.
Questa subordinazione culturale verso il centro si
può manifestare anche in committenti che appartengo-
no ad altri gruppi sociali. Assai significativo è quanto
avviene in una ristretta zona della montagna di Norcia
dove si incontra una singolare concentrazione di quadri
fiorentini tardo-gotici o rinascimentali, da Giovanni del
Biondo a Neri di Bicci, a Piero di Cosimo, a Filippino
Lippi. Tali presenze fitte e singolari, che finiscono per
comporsi in un contesto abbastanza omogeneo, si spie-
gano con il rapporto, prolungato nel tempo, tra un grup-
po di paesi di questa zona appenninica e Firenze, dove
i montanari umbri erano tradizionalmente impiegati
come facchini alla dogana167. I rapporti economici tra i
paesi di emigrazione periferici, e il luogo di lavoro cen-
trale, hanno dato luogo a una forma di sudditanza cul-
turale.
Un ultimo esempio verrà dalla Puglia, dove i centri
della costa adriatica sono segnati dalla concentrazione di
opere venete che vanno dal Tre al Cinquecento (sosti-
tuite poi dalla penetrazione di opere napoletane), che
accompagnano la presenza militare, politica, commer-

Storia dell’arte Einaudi 86


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

ciale di Venezia168. Ad acquistare opere venete sono


spesso ordini religiosi: il polittico di Jacobello di Bono-
mo del Museo di Lecce proviene dalla chiesa delle mona-
che benedettine di San Giovanni Evangelista di Lecce;
il San Pietro martire di Giovanni Bellini della Pinacote-
ca di Bari, dalla chiesa domenicana di Monopoli; Savol-
do e Pordenone dipingono quadri per la chiesa france-
scana di Terlizzi. Ma il prestigio di Venezia è grande in
tutti i gruppi sociali: e mentre Muzio Sforza, un lette-
rato di Monopoli, dedica un poema al Tintoretto, Loren-
zo Lotto riceve, il 16 giugno 1542, Alouise Catalano
mercante di Barletta, inviatogli da «li homine di Juve-
nazo» a ordinare un trittico per la loro chiesa di San
Felice169.

31. La Chiesa dopo Trento.

La ristrutturazione centralizzatrice e burocratica degli


Stati territoriali e la riorganizzazione della Chiesa dopo
il Concilio tridentino implicano, nel corso del Cinque-
cento, nuove forme di dominazione del centro sulla peri-
feria che si manifestano in un accresciuto processo di
tipologizzazione e di codificazione delle immagini170 e
delle architetture: processo che è sollecitato, ma nello
stesso tempo rivelato dal crescere della letteratura trat-
tatistica. In un periodo piú prossimo a noi, nella Ger-
mania guglielmina, un preciso regolamento imponeva
che nei centri di meno di cinquantamila abitanti gli uffi-
ci postali fossero in stile «Rinascimento tedesco», men-
tre le grandi città di piú di centomila abitanti dovevano
avere uffici postali romanici171. Ora, se la minuta casistica
dei trattati della Controriforma non prevedeva un ricor-
so differenziato agli stili storici, essa tendeva però a
costruire una tipologia gerarchica distinguendo e pre-
scrivendo soluzioni e registri particolari a seconda che la

Storia dell’arte Einaudi 87


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

chiesa fosse cattedrale, collegiata, parrocchiale, succur-


sale o monastica, e l’oratorio fosse o no destinato alla
celebrazione della messa. D’altra parte la costituzione di
luoghi deputati di formazione come le accademie, il cui
sistema si impone nel Settecento, ha un suo rilevante
peso specifico nell’assicurare un preciso controllo cultu-
rale. Tuttavia la codificazione della tipologia e la cen-
tralizzazione dell’insegnamento avranno anche effetti
opposti a quelli di una meccanica estensione di una sorta
di conformismo periferico, facilitando la circolazione di
esperienze internazionali e la conoscenza di un piú vasto
repertorio. Ne offre un esempio l’opera di Bernardo Vit-
tone, una delle piú grandi e geniali figure del Settecen-
to europeo, che, pur lavorando quasi esclusivamente
nella provincia piemontese, intento essenzialmente alla
costruzione di pievi di paesi e di oratori campestri, pro-
pone soluzioni innovatrici che dialogano con le piú avan-
zate esperienze europee.
Attraverso i mutamenti che si verificano nella forma-
zione degli artisti e nella circolazione delle informazio-
ni, il Settecento assiste a profonde modificazioni delle
strutture culturali, del loro funzionamento e addirittura
del loro quadro di riferimento geografico. L’inserirsi
della provincia piemontese nella problematica architet-
tonica dell’area alpina europea ne è un segno tangibile:
ma questa favorevole situazione non è generalizzabile.
Il 14 settembre 1755 un architetto periferico, certo
Lorenzo Daretti, scrive da Ancona al Vanvitelli per chie-
dergli l’autorizzazione a continuare la costruzione della
chiesa degli Agostiniani, e cosí umilmente si presenta:

Dopo il ritorno in questa città d’Ancona mia patria di


studi debolmente fatti sulla architettura, avendo occasione
di fare debolmente diverse picole fabriche, le quali anno
incontrato qualche sorte di compatimento...

Storia dell’arte Einaudi 88


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Risponde superbamente da Napoli l’architetto del


centro:

Incognito si rende a me il Suo nome, come ella stessa dice,


e molto piú incognita mi si rende la sua capacità nell’Archi-
tettura, mentre quando io venni in Ancona, niuno ve ne
ritrovai, anzi né pure nella Provincia. In questa città però
ritrovai un gran numero di desiderosi di apprendere questa
facoltà al mio studio; ma poi riconoscendone le difficoltà con
piú sano consiglio stimarono meglio seguitare il comodo, l’o-
zio e li divertimenti compresi, che darmi l’incomodo di sof-
frirli in casa mia a studiare; né d’allora a questa parte ho avuto
giammai notizia, che niuno siasi approfittato in questa diffi-
cilissima scienza, che tutte le altre scienze raccoglie172.

32. I conti con l’Europa.

Se nel Settecento l’arte e la cultura italiane avevano


conosciuto una larga circolazione europea, una volta
morti Piranesi e Canova nessun artista italiano vide piú,
per molto tempo, la sua opera assurgere in Europa al
rango di modello. Il momento successivo fu quello di
una lunga eclissi, che del resto già da tempo si annun-
ciava. Con la metà del Seicento si era chiusa un’età plu-
risecolare. Per una simbolica coincidenza lo stesso anno
(1665) in cui Poussin muore a Roma vede a Parigi il fal-
limento del progetto di Bernini per il Louvre. La crisi
profondissima della società italiana, e piú ancora la
debolezza della corte romana nel quadro complessivo
delle potenze europee impediscono ormai che un para-
digma artistico complessivo si imponga a partire dalla
penisola come era avvenuto in un passato non troppo
lontano, quando tale era il prestigio artistico ed extrar-
tistico di Roma, capitale della cristianità (e sia pure di
una cristianità cattolica di nome ma non di fatto) da assi-

Storia dell’arte Einaudi 89


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

curare il successo mondiale dei due paradigmi che qui si


erano, in conflitto, sviluppati. Fu questo il caso prima,
di Raffaello e di Michelangelo, piú tardi dei Carracci e
di Caravaggio: il paradigma apparentemente vittorioso
e la sua alternativa. Ciò non si ripete piú: potranno
emergere tutt’al piú codici settoriali come quello dei
«Vedutisti», legato alla posizione privilegiata che l’Ita-
lia aveva nel grand tour. Una riprova del perdurare di
questa situazione è data dalle vicende del paradigma
neoclassico. Se le sue radici erano italiane, solo in parte
i suoi protagonisti possono dirsi tali. Si ebbe anzi la
paradossale situazione di artisti stranieri operanti a
Roma abbastanza isolati dalla vita artistica locale del
presente, e intenti piuttosto a cercare nei monumenti del
passato le chiavi di un nuovo avvenire. Qui l’anglosviz-
zero Füssli elabora le premesse del suo stile visionario,
qui studiano e lavorano inglesi come Barry o Runci-
man, svedesi come Sergel, danesi come Abildgaard e poi
Thorvaldsen, americani come Benjamin West, svizzeri
come Abraham-Louis Ducros, francesi come Jacques-
Louis David. È a Roma che viene dipinto e per la prima
volta esposto al pubblico (1784) il manifesto della nuova
pittura, il Giuramento degli Orazi di David: ma qui, mal-
grado la curiosità suscitata, l’opera non ha che scarse
risonanze. Roma non è piú, in questo momento, il cen-
tro propulsore che era stata nel passato, né la si può defi-
nire un centro relais: piuttosto, una sorta di centro fan-
tasmatico dove si concentrano i desideri, le attese e i
progetti di tanti artisti stranieri. Appena un mese prima
della presa della Bastiglia, David non si rassegna a una
Parigi che gli appare periferica, e, incoraggiandolo a
rimanere in Italia, confessa all’allievo Wicar:

In questo povero paese sono come un cane buttato in


acqua contro la propria volontà, che annaspa per arrivare
alla sponda e non annegare173.

Storia dell’arte Einaudi 90


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

Se per gli stranieri l’Italia è un passato in cui si scor-


ge il futuro, il rapporto con l’antichità degli artisti ita-
liani di questo periodo è ben lungi dall’essere dramma-
tico e dirompente. Dopo la morte di Piranesi, che nella
ricognizione delle rovine romane e nelle Carceri aveva
creato prototipi di interpretazione sublime e visionaria
della colossale grandezza dell’antichità, nessun italiano
aveva saputo seguirne la strada. In un certo senso il para-
digma neoclassico finirà per guadagnare l’Italia solo di
rimbalzo, attraverso l’egemonia politica e militare prima
ancora che artistica della Francia napoleonica. Negli
anni della Restaurazione permangono ancora i differen-
ti centri regionali, rinforzati dalla presenza delle acca-
demie che avevano dato struttura istituzionale alle diver-
se scuole regionali, ma la loro tenuta è assai differen-
ziata. Parma o Modena, Lucca o Mantova sono ormai
definitivamente al rimorchio dei centri maggiori, Vene-
zia attraversa una crisi assai profonda che si prolun-
gherà per decenni, mentre Milano accanto a quello poli-
tico di capitale del Lombardo Veneto rafforza il suo
ruolo culturale. È a Milano, appunto, che viene a sta-
bilirsi il veneziano Francesco Hayez, Nestore impertur-
babile che dominerà il paesaggio artistico lombardo fin
dopo l’8o, ricevendo le commissioni dei patrioti lom-
bardi, i certificati di buona condotta dell’imperatore
d’Austria e le onorificenze del regno d’Italia. Torino
mantiene i suoi legami privilegiati con la Francia, ma in
un clima mortificato e bigotto dove un Gioacchino
Serangeli, dopo esser stato allievo di David e aver rice-
vuto dalla Convenzione l’incarico di incidere la grande
icona rivoluzionaria del Marat assassinato, finisce per
dipingere una Vergine che appare a san Bernardo per l’ab-
bazia di Hautecombe, ricostruita da Carlo Felice come
monumento dinastico sabaudo. Grazie alla presenza di
importanti colonie artistiche straniere, Roma, Firenze o
Napoli perpetuano rapporti ancora intensi con le cultu-

Storia dell’arte Einaudi 91


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

re transalpine, ma (analogamente a quanto avviene nella


lingua letteraria, come mostra il caso di Carducci) si
incontrano serie difficoltà a piegare i linguaggi artistici,
dove particolarmente forte è la permanenza di struttu-
re del passato, ai nuovi concetti e ai nuovi contenuti. Si
assiste nei centri italiani a una sorta di esaurimento dei
codici, a un’incapacità di rinnovarli.
In questa situazione di ritardo, di onnipresenti ipo-
teche del passato, si apre con l’unificazione politica il
problema dell’unificazione linguistica dell’arte italiana.
Il processo si avvertirà innanzitutto a livello tematico
con il moltiplicarsi e il diffondersi di una comune ico-
nografia patriottica che celebra la recente storia italia-
na, dalle imprese garibaldine alle guerre di indipenden-
za alle imprese coloniali, in cui si trovano impegnati arti-
sti di diverse origini culturali e geografiche: lombardi,
veneti, toscani, meridionali. Un’altra tematica unitaria,
non celebrativa ma critica, fu quella dell’inchiesta socia-
le: anche qui artisti di diversa origine si danno a illu-
strare le realtà nascoste e oscure del paese, cercando di
giungere a una sorta di inchiesta antropologica che pre-
senti gli aspetti peculiari, anche i piú oscuri, delle sin-
gole culture e regioni. Ma in entrambi i filoni il comu-
ne impegno tematico è accompagnato dalla ricerca di
una unificazione anche linguistica, solo parzialmente
soddisfatta dalla diffusa esigenza realistica. Si riaffer-
mano i particolarismi locali: da un lato i centri tradi-
zionali, come Venezia riemersa dopo una crisi di decen-
ni, Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli; dall’altro,
le regioni dimenticate, come l’Abruzzo di Michetti, che
si presentano per la prima volta alla ribalta.
Si precisano i rapporti con l’Europa: e si tratta, quasi
esclusivamente, di rapporti con gli artisti, i critici e i
mercanti che gravitano attorno ai Salons ufficiali, non
con i gruppi più avanzati e di punta. In un periodo di
urti di classe, di tensioni ideologiche, di lotte di para-

Storia dell’arte Einaudi 92


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

digmi quale fu l’Ottocento questa scelta è particolar-


mente grave. Quando l’emergere delle avanguardie
segnerà in Francia la crisi dell’arte dei Salons, molti
artisti, e addirittura molti centri artistici italiani, si tro-
veranno completamente emarginati. Un caso esemplare
è quello della scuola napoletana che, fiancheggiata e
incoraggiata a livello internazionale dai vari Goupil,
Fortuny, Meissonier, finisce per sparire dal panorama
artistico europeo. Le tappe di questa vicenda sono note:
dai limpidi paesaggi della scuola di Posillipo all’apertu-
ra dei Palizzi verso la Francia, dall’ambiguo realismo
simbolico di Domenico Morelli alla breve parentesi della
«scuola di Resina», per finire con il tocco impastato e i
lustrini del Mancini, artista dal grande successo europeo,
«occhio acutissimo, ma ineducabile». Non è difficile
ravvisare le cause degli incidenti di percorso e degli esiti
finali di questo progressivo slittamento: un aggiorna-
mento su esperienze francesi mal selezionate e male
intese, una perenne tendenza al compromesso tra realtà
e idealizzazione, verità e simbolo, una arrendevolezza
alle attese sia di un pubblico europeo di grosse disponi-
bilità finanziarie e di gusto facile, sia di mercanti inter-
nazionali alla ricerca di virtuosismi tecnici e di sfoggi di
mestiere. Il tutto nella cornice del crescente decadere
economico della città.
Gli equivoci di cui è intessuta questa vicenda sono
riassunti nella biografia di Vincenzo Gemito, in poten-
za uno dei grandi scultori europei del suo tempo. Con
straordinaria efficacia e immediatezza questi da un lato
rappresenta una galleria di pescatori, di scugnizzi, di
«malatielli», ricercando nel bronzo con virtuosismo gli
effetti dei capolavori ellenistici; dall’altro fa il ritratto
di Fortuny, ammira incondizionatamente Meissonier e
ottiene un gran successo ai Salons. La lunga crisi psico-
logica che lo tiene segregato per oltre vent’anni può
essere vista come lo sbocco del divario tra attese e rea-

Storia dell’arte Einaudi 93


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

lizzazioni, tra doti tecniche eccezionali e mancanza di


orizzonti stilistici adeguati. Per evitare di cadere nel
bozzettismo Gemito cerca un correttivo nella grande
tradizione: ma il suo tentativo disperato di rivaleggiare
con i bronzi ellenistici del Museo di Napoli ha un mar-
chio inconfondibile di autosegregazione provinciale. A
un eccezionale livello Gemito esemplifica l’allontanarsi
della cultura artistica napoletana dall’Europa moderna.
Roma e Milano divengono in breve i due centri ege-
moni: Roma è la sede delle principali istituzioni cultu-
rali del regno, a Milano nasce il primo mercato d’arte
italiano che fiancheggia, o addirittura promuove, l’e-
sperienza divisionista. Segantini e Pellizza da Volpedo
sono, verso la fine del secolo, pittori di piglio, livello e
problematica non provinciali, e quanto avvenne tra
Milano e Roma in questi anni di aspirazioni libertarie e
socialiste, di speranze vaste come quelle che premono
nel lento, imponente avanzare del Quarto Stato, il «gran-
de quadro» che chiude la pittura italiana dell’Ottocen-
to, ha segno e qualifica europei, piú forse di ciò che
seguirà quando a Milano, attorno al programma di Mari-
netti, il movimento futurista si proporrà di ricondurre
l’arte italiana nell’ambito delle esperienze piú moderne
dell’Europa, anzi di porla addirittura alla testa di que-
ste. In un certo senso il futurismo, figlio, al pari del
fascismo, di una industrializzazione ritardata174, può
essere visto come un caso esemplare di «scarto periferi-
co» e ciò può contribuire a spiegare il successo che ha
riscosso in Europa, specie laddove certe proposte e certi
atteggiamenti non erano piú possibili. La sua moderno-
latria ottimista e provocatoria era difatti immaginabile
solo in un paese in cui la rivoluzione industriale fosse
appena agli inizi175; la sintesi dinamica e dissonante di
esperienze europee recenti, magari contraddittorie (dal
pointillisme, all’espressionismo, al cubismo), impensabi-
le ove queste esperienze avessero conosciuto un organi-

Storia dell’arte Einaudi 94


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

co svolgimento. Si aggiunga a questo che i futuristi,


mentre proponevano una politica e un’azione di gruppo,
privilegiavano l’aspetto eroico e demiurgico dell’opera-
re artistico, rigettando nell’ombra la moderna proble-
matica delle «arti applicate» che pure era stata già da
alcuni in Italia correttamente intesa.
L’esaurimento della prima ondata futurista, lo spo-
starsi a Roma del centro del movimento, la breve sta-
gione della pittura metafisica alterano ancora la geogra-
fia dei centri artistici italiani. Il tentativo futurista di
creare un asse Milano-Roma fallisce. I decenni succes-
sivi, fino alla caduta del fascismo, vedono il risorgere di
tendenze municipali, piú o meno legate alle esperienze
europee: dai Sei torinesi al gruppo milanese di Corren-
te, dalla scuola romana di via Cavour alle esperienze soli-
tarie di Rosai a Firenze, di Morandi a Bologna. Il poli-
centrismo italiano si rivelava, ancora una volta, piú forte
di ogni tentativo accentratore.
Policentrismo o poliperiferia? Si potrebbe applicare
a questo dilemma un celebre passo di Lewis Carroll:

Se mi parli di «collina», – la interruppe la Regina, –


potrei mostrarti colline in confronto alle quali questa potre-
sti chiamarla vallata. – No, non potrei, – esclamò Alice [...].
Una collina non può essere una vallata. Sarebbe un con-
trosenso176.

Di fatto il problema della cultura italiana, non solo


figurativa, continua a essere in questo periodo quello del
rapporto con l’Europa. Questa Europa ha una capitale,
Parigi: ma si tratta di una capitale in larga misura fanta-
smatica, isolata da una storiografia non meno settaria di
quella vasariana.
Ma fare i conti con l’Europa significa, per l’Italia,
fare i conti col proprio passato. Con una tradizione cosí
prestigiosa irrimediabilmente alle spalle, è impossibile

Storia dell’arte Einaudi 95


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

non sentirsi periferici. L’uscire dalla periferia presup-


pone quindi il fare i conti con la tradizione, col museo.
E qui emergono le due proposte piú radicali, quella dei
futuristi e quella di De Chirico: bruciare il museo o
allontanarlo in una luce ironica e sublime.

1
Cfr. y. lacoste, Géographie du sous-développement, e partico-
larmente l’Avertissement critique et autocritique de la troisième édition,
Paris 1976.
2
Il recente e positivo moltiplicarsi delle indagini sul territorio, testi-
moniato dalle campagne per il rilevamento dei beni artistici e culturali
dell’Appennino emiliano promosse dalla Soprintendenza di Bologna, dal
rilevamento dell’Appennino pistoiese da parte della Soprintendenza di
Firenze, dalle ricerche sulla pittura del Sei e Settecento in Umbria a cura
di una équipe della facoltà di Magistero di Roma, e da numerose mostre
quali Arte in Calabria (Cosenza 1976), Arte a Gaeta (Gaeta 1976), Opere
d’arte a Vercelli e nella sua provincia (Vercelli 1976), Valle di Susa. Arte
e storia dall’xi al xviii secolo (Torino 1977), potrà permettere in avve-
nire indagini piú precise sui rapporti tra centro e periferia. È mancata
tuttavia in Italia per molto tempo una riflessione e una discussione sui
metodi, i limiti e le possibilità della geografia artistica, quale si svolge
in Germania da oltre un cinquantennio. Su ciò si veda: k. gerstenberg,
Ideen zu einer Kunstgeographie Europas, Leipzig 1922; d. frey, Die
Entwicklung nationaler Stile in der mittelalterlichen Kunst des Abendlan-
des, in «Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Gei-
stesgeschichte», xvi, 1938, pp. 1-74; p. frankl, Das System der Kun-
stwissensehaft, Brünn-Leipzig 1938, pp. 893-939; h. lehmann, Zur Pro-
blematik der Abgrenzung von Kunstlandschaften dargestellt am Beispiel der
Po Ebene, in «Erdkunde», xv, 1961, pp. 249-64; r. hausherr, Ueber-
legungen zum Stand der Kunstgeographie, in «Rheinische Vierteljahr-
sblätter», xxx, 1965, pp. 351-72; d. frey, Geschichte und Probleme der
Kultur und Kunstgeographie, in «Archaeologia Geographica», iv, 1965,
pp. 90-105; gli interventi di r. hausherr, g. von der osten, p. pieper
e altri, in Der Mittelrhein als Kunstlandschaft, in «Kunst in Hessen und
am Mittelrhein», 1969, Beiheft 9, pp. 38 sgg.; r. hausherr, Kunst-
geographie – Aufgaben, Grenzen, Möglichkeiten, in «Rheinische Vier-
teljahrsblätter», xxxiv, 1970, pp. 158-71 e il catalogo dell’esposizione
Kunst um 1400 am Mittelrbein, Frankfurt 1975, in cui i problemi della
geografia artistica sono visti in rapporto alle situazioni sociali e politi-
che, anziché stemperati in una mitica e unitaria Kunstlandschaft.

Storia dell’arte Einaudi 96


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

3
k. clark, Provincialism, «The English Association Presidential
Address», London 1962, p. 3.
4
Grande la fortuna della coppia centro/periferia nelle scienze
sociali, analizzata sia da chi, come e. shils (Center and Periphery. Essays
in Macrosociology, Chicago 1975) ha dato la preferenza a una sorta di
topografia del consenso, sia da chi (e se ne veda una rassegna in n.
mckenzie, Centre and Periphery: The Marriage of Two Minds, in «Acta
Sociologica», xx, 1, 1977, pp. 55 sgg.) ha invece messo l’accento sulla
conflittualità. d. chirot, in uno studio recente su una società periferi-
ca, la Valacchia (Social Change in a Peripherical Society. The Creation of
a Balkan Economy, New York 1976) ha d’altra parte rimesso in discus-
sione l’applicabilità del modello basato sulla sequenza di fasi economi-
che comunemente ammessa per le società periferiche. In questo senso
il problema potrebbe essere posto anche per la storia dell’arte.
5
l. lanzi, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti
fin presso al fine del xviii secolo, a cura di M. Capucci, 3 voll., Firen-
ze 1968-74, I, 5-7 (tranne in caso di indicazione diversa, le citazioni
dal Lanzi saranno d’ora in poi riferite senz’altro a questa edizione,
indicata come segue: lanzi, piú il numero del volume e quello della
pagina).
6
id., La storia pittorica della Italia inferiore o sia delle scuole fio-
rentina senese romana napolitana compendiata e ridotta a metodo..., Firen-
ze 1792, pp. 9 e 37.
7
Su questa edizione, apparsa a Bassano, si basa l’edizione critica
cit. di M. Capucci.
8
Cfr. g. p. bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni,
a cura di E. Borea, Torino 1976, p. 330.
9
Cfr. g. mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Maruc-
chi, Roma 1956, I, pp. 108 e seguenti.
10
Cfr. g. g. bottari e s. ticozzi, Raccolta di Lettere sulla Scultu-
ra, Pittura ed Architettura, VI, Milano 1822, p. 65; b. cellini, La Vita,
a cura di G. Davico Bonino, Torino 1973, pp. 469-70.
11
lanzi, I, 20.
12
Cfr. u. segrè, Luigi Lanzi e le sue opere, Assisi 1904, p. 179;
lanzi, III, 469.
13
lanzi, I, 455.
14
Ibid., 259.
15
Ibid., 26o.
16
Ibid.
17
Ibid., 261.
18
Ibid., III, 235.
19
Ibid., II, 185-86.
20
Ibid., I, 43.
21
Ibid., II, 185.

Storia dell’arte Einaudi 97


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

22
Ibid., 94.
23
Ibid., 105-6.
24
Ibid., I, 403. E si vedano anche le osservazioni su Piacenza, in
cui si dichiara che la mancanza di scuole locali è positiva per una città
secondaria (II, 254).
25
Ibid., 4.
26
Ibid., 431-32.
27
Ibid., 7.
28
Questa edizione manca nella bibliografia ragionata a cura di M.
Massi posta in appendice a a. ferguson, Saggio sulla storia della società
civile, a cura di P. Salvucci, Firenze 1973, che registra (p. 337) tradu-
zioni francesi, tedesche e svedesi dell’Essay, ma nessuna italiana.
29
lanzi, I, 283-84.
30
Cfr. ferguson, Saggio sopra la storia cit., II, pp. 222 sgg.
31
Cfr. lanzi, La storia pittorica della Italia inferiore cit., p. 179.
32
id., I, 245.
33
j. winckelmann, Storia delle arti del disegno presso gli antichi,
Roma 1783, II, p. 164 n.
34
ferguson, Saggio sopra la Storia cit., II, pp. 74-75.
35
lanzi, I, 15. Sul concetto di «società civile» vedi la voce di m.
riedel, Gesellschaft, bürgerliche, in Geschichtliche Grundbegriffe, a cura
di O. Brunner, W. Conze e R. Koselleck, II, Stuttgart 1975, pp.
719-800.
36
lanzi, II, 224.
37
lanzi, I, 14o e n. 2. Vedi anche s. settis, Qui multas facies pin-
git cito (Iuven. IX, 146), in «Atene e Roma», n. s., XV, 1970, pp.
117-21.
38
lanzi, II, 47-48.
39
Ibid., 70, 107, 89-90, 121-22, 168 e 200.
40
Cfr. c. dionisotti, Culture regionali e letteratura nazionale in Ita-
lia, in Lettere italiane, XXII, 1970, p. 142.
41
Cfr. g. previtali, Teodoro d’Errico e la «questione meridiona-
le», in «Prospettiva», ottobre 1976, n. 3, pp. 17-34; id., recensione
a l. g. kalby, Classicismo e maniera nell’Officina meridionale, ivi, gen-
naio 1976, n. 4, pp. 51-54; g. previtali, Il Vasari e l’Italia meridio-
nale, in Il Vasari storiografo e artista. Atti del Congresso nel IV cente-
nario della morte (Arezzo-Firenze, 2-8 settembre 1974), Firenze 1976,
pp. 691-99; id., La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame,
Torino 1978.
42
Cfr. e. sereni, Agricoltura e mondo rurale, in Storia d’Italia
Einaudi, I. I caratteri originali, Torino 1972, pp. 176-77.
43
Per quanto segue, cfr. e. gabba, Urbanizzazione e rinnovamento
urbanistici nell’Italia centro-meridionale del i secolo a. C., in Studi classi-
ci e orientali, XXI, 1972, pp. 73-112; id., Considerazioni politiche ed eco-

Storia dell’arte Einaudi 98


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

nomiche sullo sviluppo urbano in Italia nei secoli ii e i a. C., in Helleni-


smus im Mittelitalien, a cura di P. Zanker, Abh. d. Ak. d. Wiss. in Göt-
tingen, II, Göttingen 1976, pp. 317-26; c. violante, Primo contribu-
to a una storia delle istituzioni ecclesiastiche nell’Italia centrosettentrionale
durante il Medioevo: province, diocesi, sedi vescovili, in Miscellanea Histo-
riae ecclesiasticae, V (Colloque de Varsovie... sur la cartographie ecc.),
Louvain 1974, pp. 169-204.
44
Cfr. g. tibiletti, La romanizzazione della valle padana, in Arte e
civiltà romana nell’Italia settentrionale dalla Repubblica alla Tetrarchia,
Bologna 1964, I, pp. 27-36.
45
Cfr. l. salvatorelli, Spiriti e figure del Risorgimento, Firenze
1961, pp. 3-35; e vedi già id., L’unità della storia d’Italia, in «Pan», I,
1933-34, pp. 357-72.
46
L’espressione è di E. Sestan (si veda il rinvio bibliografico nel
paragrafo successivo).
47
Si vedano in proposito i volumi pubblicati delle Rationes deci-
marum.
48
Cfr. e. sestan, La città comunale italiana dei secoli xi-xiii nelle
sue note caratteristiche rispetto al movimento comunale europeo, in XI e
Congrès International des Sciences Historiques, Rapports, III, Stockholm
196o, pp. 75-95, in particolare p. 85.
49
Si veda per esempio quanto avviene a Losanna alla fine del xii
secolo, allorché il canonico Enrico «Albus», agendo a nome del capi-
tolo in quanto intendente della fabbrica, licenzia i maestri chiamati dal
vescovo Ruggero di Vicopisano: cfr. m. grandjean, La cathédrale de
Lausanne, Lausanne 1977, pp. 46 sgg.
50
Ma piú spesso da artigiani in strettissimo contatto con il pro-
prio pubblico. Cfr. s. ottonelli, L’artigianato ligneo nelle Valli Occi-
tane Piemontesi, in «Quaderni storici», 1976, n. 31, pp. 280 sgg.
51
Opere d’arte a Vercelli cit., p. 5.
52
Le opere di G. Vasari con nuove annotazioni e commenti di G.
Milanesi, Firenze 19o6, III, 586 sg. (le altre citazioni dalle Vite del
Vasari saranno d’ora in poi riferite a questa edizione, indicata come
segue: vasari, piú il numero del volume e quello della pagina).
53
«La città di Pisa mi donò a Castel di Castro, mi diresse alla Ver-
gine Madre e mi eresse in questo tempio»: d. scano, Storia dell’arte in
Sardegna dall’xi al xiv secolo, Cagliari-Sassari 1907, pp. 292 sg.
54
c. brandi, La Regia Pinacoteca di Siena, Roma 1933, pp. 135
sg. Per la pala del Carmine cfr. id., Ricomposizione e restauro della
Pala del Carmine di Pietro Lorenzetti, in «Bollettino d’Arte», xxxiii,
1948, pp. 68 sgg. Un caso interessante di opere divenute rapidamente
obsolete e perciò relegate in periferia è quello delle «armille» della
coronazione di Federico Barbarossa (oggi al Louvre e a Norimberga)
che l’imperatore mandò al Gran Principe Andrej Bogoljubskij a Vla-

Storia dell’arte Einaudi 99


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

dimir: cfr. a. buehler, Zur Geschichte der deutschen Reichskleinodien,


in «Das Münster», n. 27, 1974, pp. 4o8-9.
55
vasari, V, 221.
56
Ibid., VI, 18.
57
Ibid., 123.
58
Ibid., 550.
59
Ibid., 571.
60
Ibid., IV, 374.
61
Ibid., VI, 461.
62
Ibid., 457.
63
Ibid., 472 sg.
64
Ibid., V, 151.
65
Ibid., VI, 463.
66
Ibid., V, 211.
67
Ibid., VI, 5 sg.
68
Ibid., VII, 50.
69
Ibid., VI, 38o.
70
Ibid., V, 634.
71
Ibid., VII, 420.
72
Ibid., VI, 517.
73
Ibid., V, 214-15. Ma vedi f. zeri, La sortita anticlassica di Cola
dell’Amatrice, in Diari di Lavoro, Bergamo 1971, pp. 74 sgg.
74
Ibid., 198.
75
Ibid., 203.
76
Ibid., VI, 123.
77
Ibid., II, 413.
78
Ibid., V, 177.
79
Ibid., 212.
80
Ibid., 150.
81
Ibid., 151.
82
Ibid., II, 453 sg.
83
Ibid., III, 189.
84
Ibid., VII, 282.
85
Ibid., IV, 11-13.
86
Cfr. b. toscano, La fortuna della pittura umbra e il silenzio sui
Primitivi, in «Paragone», xvii, marzo 1966, n. 193, pp. 3 sgg. Senza
voler dare una bibliografia esauriente, che sarebbe assai lunga, degli
studi recenti sulla pittura trecentesca umbra, sarà opportuno ricorda-
re che sulla traccia della nuova apertura con cui R. Longhi ha affron-
tato il problema della cultura figurativa umbra di quel periodo nel corso
fiorentino 1953-54 (cfr. La pittura umbra della prima metà del Trecento
attraverso le dispense redatte da Mina Gregori del corso di Roberto Longhi
nell’anno 1953-54, in «Paragone», xxiv, luglio-settembre 1973, nn.
281-83, pp. 3 sgg.) si sono avuti negli ultimi anni interventi sempre piú

Storia dell’arte Einaudi 100


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

fitti, particolarmente da parte di M. Boskovits, P. P. Donati, G. Pre-


vitali, P. Scarpellini, B. Toscano, C. Volpe, F. Zeri, grazie ai quali la
situazione può essere valutata nella sua grande complessità.
87
c. b. cavalcaselle e j. a. crowe, Storia della pittura in Italia,
X, Firenze 19o8, pp. 83 sgg., nota 3 e p. 117 nota i.
88
b. toscano, Bartolomeo di Tommaso e Nicola da Siena, in «Com-
mentari», XV, n. s., 1964, pp. 37-51; vedi anche g. chelazzi dini,
Lorenzo Vecchietta, Priamo della Quercia, Nicola da Siena, in Jacopo della
Quercia tra Gotico e Rinascimento, Firenze 1976, pp. 203 sgg. Sul com-
porsi di un sistema di formule stilistiche da parte di certi maestri pro-
vinciali, sulla loro cristallizzazione e successiva chiusura verso nuovi
aggiornamenti, si vedano le osservazioni di F. Zeri a proposito di un
anonimo pittore umbro del Quattrocento, il «Maestro di Eggi», in Tre
Argomenti Umbri, in «Bollettino d’Arte», xlviii, 1963, pp. 40-45.
89
a. morini, Cascia. Chiesa delle Capanne in Collegiacone, in «Ras-
segna d’arte», IX, 1909, pp. 173-74; g. sordini, Gli Sparapane da Nor-
cia. Nuovi dipinti e nuovi documenti, in «Bollettino d’arte», iv, 1910,
pp. 17-28; a. morini e p. pirri, Una sconosciuta dinastia di artisti umbri,
in «Arte e Storia», 1911 e 1912; p. pirri, Di una tradizione pittorica in
Norcia, ivi, 1914, pp. 321-29; c. verani, Gli affreschi quattrocinque-
centeschi nella chiesa di Santa Maria Apparente a Capanne di Colle Gia-
cone presso Cascia, in «L’Arte», LXII, 1963, pp. 41-58 e 289-92.
90
a. moretto, Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, Saluzzo
1973, pp. 9 sgg.
91
a. lange, Notizie sulla vita di Giacomo da Ivrea, in «Bollettino
della Società piemontese di archeologia e di belle arti», xxii, 1968, pp.
98-102.
92
Cfr. a. raineri, Antichi affreschi nel Monregalese, Cuneo 1965;
g. romano, Documenti figurativi per la storia delle campagne nei secoli
xi-xvi, in «Quaderni storici», 1976, n. 31, pp. 134 sg. Sui molti cicli
tardo-gotici a carattere piú o meno popolareggiante, spesso commis-
sionati da comunità rurali o alpestri, confraternite, piccolo e medio
clero, localizzati nell’area alpina occidentale, eseguiti per lo piú da mae-
stranze itineranti che continuano a servirsi per un lungo periodo dei
medesimi schemi, si vedano: m. roques, Les peintures murales du
Sud-Est de la France, Paris 1961; e. brezzi, Precisazioni sull’opera di Gio-
vanni Canavesio. Revisioni critiche, in «Bollettino della Società pie-
montese di archeologia e di belle arti», xviii, 1964, pp. 35 sgg.; a. gri-
seri, Jacquerio e il realismo gotico in Piemonte, Torino 1965, passim; c.
gardet, De la peinture du Moyen Âge en Savoie, II, Annecy 1966; z.
birolli, Il formarsi di un dialetto pittorico nella regione ligure-piemonte-
se, in «Bollettino della Società piemontese di archeologia e di belle
arti», xx, 1966, pp. 115 sgg.; e. rossetti brezzi, Momenti della pittu-
ra piemontese, ivi, xxv-xxvi, 1972, pp. 35 sgg.; g. romano e a. f. pari-

Storia dell’arte Einaudi 101


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

si, catalogo della Mostra del Gotico nel Piemonte centro-occidentale,


Torino-Pinerolo 1972; g. romano, voce Giovanni Canavesio, in Dizio-
nario Biografico degli Italiani, XVII, Roma 1974, pp. 728 sgg.; Valle di
Susa cit.
93
cavalcaselle e crowe, Storia della pittura in Italia cit., X, pp.
112 sgg.; l. mortari, Opere d’arte in Sabina dall’xi al xvii secolo, Roma
1957.
94
a. rizzi, Un pittore rinascimentale in Lucania, Simone da Firenze,
in «Napoli Nobilissima», IX, 1970, pp. 11 sgg.; id., Altre opere luca-
ne di Simone da Firenze, in «Antichità viva», XV, 1976, n. i, pp. 11
sgg.
95
i. faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970, p. 19.
96
v. casale, g. falcidia, f. pansecchi e b. toscano, Ricerche in
Umbria, I, Treviso 1976.
97
Ibid., p. 44.
98
j. burckhardt, Der Cicerone, Basel 1855, p. 78o, riportato nel
Commento antologico alla fortuna critica del Trecento bolognese, in «Para-
gone», i, 1950, n. 5, p. 25.
99
b. berenson, The Central Italian Painters of the Renaissance, New
York - London 1909, p. v; cfr. toscano, La fortuna della pittura umbra
cit., p. 26, nota 7.
100
r. longhi, Tracciato Orvietano, in «Paragone», xiii, 1962, n.
149, p. 4.
101
vasari, III, 386.
102
Ibid., 89 sg.
103
Ibid., V, 103 sg.
104
Cfr. p. junod, Transparence et Opacité, Lausanne 1976, parti-
colarmente pp. 50-52 e 3o6-7.
105
vasari, VI, 270. Sul problema Pontormo-Dürer come è impostato
dal Vasari cfr. w. friedlander, The Anticlassical Style, in Mannerism and
Anti-Mannerism in Italian Painting, 2a ed. New York 1957, pp. 3 e 25; k.
hermann-fiore, Sui rapporti fra l’opera artistica del Vasari e del Dürer, in
Il Vasari storiografo e artista cit., pp. 701-15.
106
r. longhi, Officina ferrarese, in Opere complete di Roberto Lon-
ghi, V, Firenze 1956, p. 151.
107
vasari, VI, 267.
108
j. bony, The Resistance to Chartres in Early Thirteenth-Century
Architecture, in «The Journal of the British Archaeological Associa-
tion», xx-xxi, 1957-58, pp. 35-52.
109
Cfr. t. s. kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Tori-
no 1969.
110
vasari, V, 161 sg.
111
Cfr. p. p. donati, Per la pittura pistoiese del Trecento, I, in
«Paragone», xxv, 1974, n. 295, p. 5.

Storia dell’arte Einaudi 102


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

112
l. bellosi, Buffalmacco e il Trionfo della Morte, Torino 1974, p.
73. Per illuminare questo ambiente di fronda giottesca, cfr. c. volpe,
Frammenti di Lippo di Benivieni, in «Paragone», xxiii, 1972, n. 267, pp.
3-13 e Ristudiando il Maestro di Figline, ivi, XXIV, 1973, n. 277, pp. 3-23.
113
l. grodecki, Architettura gotica, Milano 1976, pp. 151 sgg.
114
bellosi, Buffalmacco cit.
115
donati, Per la pittura pistoiese del Trecento, I cit.; II, in «Para-
gone», xxvii, 1976, n. 321, pp. 3-15.
116
dionisotti, Culture regionali cit., p. 137.
117
Cfr. l. bellosi, Moda e cronologia. B) Per la pittura del primo
Trecento, in «Prospettiva», ottobre 1977, n. 11, pp. 14 sg.
118
Cfr. h. kreuter-eggemann, Das Skizzenbuch des «jaques
Daliwe», München 1964, particolarmente alle pp. 27, 44 e 65.
119
A proposito della decorazione della Cappella di San Marziale
nel Palazzo dei Papi scriveva E. Müntz, cui si deve il ritrovamento negli
archivi vaticani del nome di Matteo Giovannetti: «Dal punto di vista
dell’armonia del ritmo e dei canoni decorativi è impossibile immaginare
un insieme piú urtante, piú sgraziato». Sulla lunga riserva nei confronti
dell’opera avignonese del Giovannetti cfr. e. castelnuovo, Un pitto-
re italiano alla corte di Avignone, Torino 1961, pp. 54 sg. e 139 sg.
120
Sulle équipes internazionali al lavoro in Avignone cfr. ibid. e pas-
sim; e. kane, A document for the fresco technique of Matteo Giovannet-
ti in Avignon, in «Studies. An Irish Quarterly Review», inverno 1975.
121
Cfr. quanto osserva R. Longhi a proposito degli affreschi di
Andrea Delirio (Primizie di Lorenzo da Viterbo, in «Vita Artistica»,
1926) laddove denuncia «quell’antica confusione per cui un “interna-
zionalista” poteva essere posto sullo stesso piano di un “rinascimenta-
le”, o, con aggravante mentale, esser ritenuto, con pregiudizio evolu-
zionistico, passibile, anzi desideroso di volgersi alle forme del Rina-
scimento. In verità la divertita “composizione del mondo” degli “inter-
nazionali” bastava a se stessa, era una visione figurativa e perciò spi-
rituale in sé perfettamente completa, ed incapace, dico aliena dall’a-
spirare alla sintesi, alla profonda analogia naturalistica del cosiddetto
Rinascimento. Andrea Delirio avrebbe potuto vivere cinquant’anni
ancora, senza che il suo mondo artistico gli dovesse apparire fallace,
senza che il desiderio potesse sorgergli, insomma, di tramutarsi in
Lorenzo da Viterbo» (ora in Opere complete di Roberto Longhi cit., II.
Saggi e ricerche, Firenze 1967, I, p. 61).
122
Opere di Defendente o della sua bottega furono anche com-
missionate oltralpe: ve ne sono nella Cattedrale di Embrun, nella chie-
sa abbaziale di Hautecombe o nella Cattedrale di Saint-Claude nello
Jura (per quest’ultimo caso si veda a. chastel e a. m. lecoq, Le Réta-
ble de Pierre de la Baume à Saint-Claude, in «Monuments et Mémoires»,
Fondation Eugène Piot, lxi, 1977, pp. 165-204).

Storia dell’arte Einaudi 103


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

123
m. perotti, Il Giudizio michelangiolesco di Madonna dei Boschi
di Boves, in «Cuneo provincia granda», agosto 1964, n. 2.
124
Cfr. a. boschetto, La Collezione Roberto Longhi, Firenze 1971,
tav. 31.
125
Come si vede particolarmente in talune predelle della chiesa di
San Giovanni ad Avigliana. Cfr. l. mallè, Fucina piemontese: Sodoma
giovane, Gaudenzio, Defendente Ferrari, Gerolamo Giovenone, in «Bol-
lettino della Società piemontese di archeologia e di belle arti», n. s.,
viii-xi, 1954-57, pp. 63-64.
126
f. cortesi bosco, in I Pittori Bergamaschi, I. Il Cinquecento, Ber-
gamo 1975, pp. 49 e 56; id., La letteratura religiosa devozionale e l’ico-
nografia di alcuni dipinti di L. Lotto, in «Bergomum», lxx, 1976, n. 1-2,
pp. 3 sgg.
127
l. dolce, Dialogo della Pittura, in Trattati d’arte del Cinque-
cento, a cura di P. Barocchi, I, Bari 196o, p. 181.
128
l. lanzi, II, 53-54.
129
Ne scriverà B. Berenson (Lorenzo Lotto, London 1901, p. 236),
evocando Manet e Degas e qualificandola «perhaps the most “modern”
picture ever painted by an old Italian master».
130
Ibid., pp. 243 sgg.; g. fabiani, Un mancato allievo di L. Lotto,
Simone de Magistris, in «Arte cristiana», xliii, 1955, pp. 159 sg.; p.
zampetti, I pittori di Caldirola, relazione al Congresso C.N.R. di Sto-
ria dell’Arte, Roma 1978.
131
Cfr. il saggio introduttivo di a. emiliani nel catalogo della
Mostra di Federico Barocci, Bologna 1975, particolarmente pp. xxix sg.
132
bellori, Le vite cit., p. 32.
133
r. longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze
1946, p. 18.
134
Un intelligente ritratto-tipo del pittore provinciale tra Cinque
e Seicento si troverà nel saggio di b. toscano, Andrea Polinori o la pro-
vincia perplessa, in «Arte antica e moderna», 1961, n. 13-16, pp. 300
sgg. Sui problemi della selezione culturale quali si presentano a un pit-
tore provinciale che venga in contatto con un centro artistico impor-
tante si veda, per un periodo precedente, l’analisi condotta da F. Zeri
sulla pala con la Santa Famiglia, santi e angeli del Conservatorio di
Santa Maria degli Angiolini a Firenze, in Eccentrici fiorentini - II, in
«Bollettino d’Arte», xlvii, s. IV, 1962, p. 318. Per altre osservazioni
su analoghi problemi di acculturazione al principio del Cinquecento si
veda id., Una congiunzione tra Firenze e Francia. Il Maestro dei cassoni
Campana, in Diari di lavoro 2, Torino 1976, pp. 75 sgg.
135
g. g. bottari e s. ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scul-
tura ed architettura..., VII, Milano 1822, p. 66.
136
Ibid., pp, 94 sg.
137
Ibid., p. 77.

Storia dell’arte Einaudi 104


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

138
a. momigliano, Ancient History and the Antiquarian, in «Jour-
nal of the Warburg and Courtauld Institutes», xiii, 1950, pp. 285 sgg.
139
In Inghilterra la fine del Settecento è il momento del take-off
economico e culturale della Provincia. Cfr. f. d. klingender, Arte e
Rivoluzione Industriale, Torino 1972; t. fawcett, The Rise of the Engli-
sh Provincial Art, Oxford 1974.
140
m. schapiro, The Religious Meaning of the Ruthwell Cross, in
«The Art Bulletin», xxvi, 1944, pp. 232-45; id., From Mozarabic to
Romanesque in Silos, ivi, xxi, 1939, pp. 312-74, ora in m. schapiro,
Selected Papers. Romanesque Art, New York 1977, pp. 28 sgg.
141
a. frizzi, Memorie per la Storia di Ferrara, V, Ferrata 18o9, p.
64; cfr. anche e. riccomini, Il Seicento ferrarese, Milano 1969, p. 10.
142
c. gould, Trophy of Conquest. The Musée Napoléon and the
Creation of the Louvre, London 1965.
143
d. roxan e k. wanstall, The Jackdaw of Linz. The Story of Hil-
ler’s Art Thefts, London 1964.
144
e. müntz, Les annexions de collections d’art ou de bibliothèques
et leur rôle dans les relations internationales, in «Revue d’Histoire Diplo-
matique», viii, 1894, pp. 481-97; ix, 1895, pp. 375-93; x, 1896, pp.
481-508; w. treue, Kunstraub. Ueber die Schicksale von Kunstwerken
in Krieg, Revolution und Frieden, Düsseldorf 1957; h. trevor-roper,
The Plunder of the Arts in the Seventeenth Century, London 1970.
145
lanzi, III, 169.
146
frizzi, Memorie per la storia di Ferrara cit., V, p. 64.
147
g. baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, II, Ferrara
1846, p. 27.
148
a. emiliani, Gian Francesco Guerrieri da Fossombrone, Urbino
1958, p. 42.
149
e. carli, Dipinti senesi del Contado e della Maremma, Milano
1955, pp. 84 sgg.
150
w. m. bowsky, The Finance of the Commune of Siena 1287-1355,
Oxford 1970, pp. 25 sgg.
151
g. v. castelnovi, Giovanni Barbagelata, in «Bollettino d’Arte»,
xxxvi, 1951, pp. 211-24; f. alizeri, Notizie dei professori del disegno
in Liguria dalle origini al secolo xvi, II, Genova 1870, pp. 189 sgg.
152
c. maltese, Arte in Sardegna dal v al xviii secolo, Roma 1962.
153
Cfr. f. zeri, Perché Giovanni da Gaeta e non Giovanni Sagita-
no, in «Paragone», xi, 196o, n. 129, p. 53.
154
dionisotti, Culture regionali cit., p. 139.
155
g. moracchini, Trésors oubliés des églises de Corse, Paris 1959,
pp. 22 e 114 sg.
156
r. longhi, Frammento Siciliano, in «Paragone», iv, 1953, n. 47,
pp. 3 sgg.; f. bologna, Il soffitto della Sala Magna allo Steri di Palermo
e la cultura feudale siciliana nell’autunno del Medioevo, Palermo 1975.

Storia dell’arte Einaudi 105


Enrico Castelnuovo Il significato del ritratto pittorico nella società

157
m. d’elia, Catalogo della Mostra d’arte in Puglia dal tardo Anti-
co al Rococò, Bari 1964.
158
f. bologna, prefazione al catalogo Arte in Calabria, ritrovamen-
ti, restauri, recuperi, Cosenza 1976, pp. 6 sg.
159
f. abbate, La pittura in Campania prima di Colantonio, in Sto-
ria di Napoli, IV, I, Napoli 1974.
160
f. alizeri, Notizie cit., p. 210.
161
g. romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del manierismo
in una città padana, Torino 1970.
162
Cfr. le osservazioni di emiliani, Gian Francesco Guerrieri da Fos-
sombrone cit. e nell’introduzione al catalogo della Mostra di Ludovico
Barocci cit.
163
g. marchini, Un incontro imprevedibile: il Fogolino ad Ascoli
Piceno, in «Antichità viva», v, 1966, n. 1, pp. 3 sgg.
164
casale-falcidia-pansecchi-toscano, Ricerche in Umbria cit., p. 34.
165
f. bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli, Roma 1969,
pp. 173, 349; id., Prefazione a Arte in Calabria cit., p. 7.
166
a. antonaci, Gli affreschi di Galatina, Milano 1966.
167
a. fabbi, Artisti fiorentini sul territorio di Norcia, in «Rivista
d’Arte», xxxiv, 1959, pp. 109-22; id., Preci e la Valle Castoriana, Spo-
leto 1963.
168
r. cessi, Venezia, le Puglie e l’Adriatico, in «Archivio Storico
delle Puglie», viii, 1966, fasc. 1-4, pp. 53-59; m. s. calò, La pittura
del Cinquecento e del primo Seicento in terra di Bari, Bari 1969 .
169
p. giannizzi, Una pala dipinta da Lorenzo Lotto per la cattedrale
di Giovinazzo, in «Arte e Storia», xii, 1894, p. 91.
170
Cfr. s. marinelli, in La pittura a Verona tra Sei e Settecento, cata-
logo della mostra, Verona 1978, p. 35.
171
n. pevsner e altri, Historismus und bildende Kunst, München
1967, p. 89.
172
e. rufini, Ricerche sull’attività del Vanvitelli nelle Marche, in
«Atti dell’XI Congresso di Storia dell’Architettura. Marche, 6-13 set-
tembre 1959», Roma 1965, pp. 466 sg.
173
Lettera di David a Wicar del 14 giugno 1789. Riprodotta in d.
e g. wildenstein, Documents complémentaires au catalogue de l’œuvre
de Louis David, Paris 1973, pp. 27 sg.
174
g. moore barrington jr, Le origini sociali della dittatura e della
democrazia. Proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno,
Torino 1966.
175
m. schapiro, Nature of Abstract Art, in «Marxist Quarterly»
(New York), I, n. 1, gennaio-marzo 1937.
176
l. carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Spec-
chio, Torino 1978, p. 142.

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