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DISPENSA

TEOLOGIA ECUMENICA E TEOLOGIE NELL’ECUMENE


dalle lezioni della Prof.ssa Sansone e dalla bibliografia consigliata.

INTRODUZIONE
Bibliografia: Testo base Neuner tratta tutti i temi trattati nel corso; Burigana è aggiornato sul
dialogo ecumenico.
Teologia ecumenica e teologia nell’ecumene. Come mai queste due Qualificazioni?
Per teologia ecumenica intendiamo una teologia che sia al di sopra delle diverse confessioni
cristiane, che attinge alle fonti comuni senza farsi condizionare dalle dottrine particolari delle
varie chiese.
Teologia dell’ecumene chiama in causa l’ecumene, è un fare teologia tenendo presente il
cristianesimo nella sua unità, dobbiamo avere presente davanti a noi tutto il mondo cristiano. I
temi oggetto di dissenso metteranno così di fronte le varie prospettive.
Noi cercheremo soprattutto di tematizzare la dimensione teologica dell'ecumenismo, per
abbozzare il contributo della teologia all'unificazione della cristianità. Naturalmente la sola
teologia non può riuscire a realizzare la comunione delle chiese, ma può cercare di fare chiarezza
dottrinale, nonché delineare la storia delle divisioni tra le chiese e i tentativi di superarle.
L’obiettivo del corso si muove a partire da un’espressione magisteriale di Unitatis
Redintegratio1, il corso intende mettere a disposizione degli allievi le chiavi ermeneutiche con
cui accostare letture e maturare un raffronto teologicamente fondato, con le articolazioni della
fede nelle diverse confessioni cristiane. Uno studio ragionato avendo come referente critico la
teologia cattolica e i suoi dati di fede, consente di conoscere, ed accostare consapevolmente, le
molteplici istanze derivanti da altri percorsi della riflessione teologica.

STORIA DEL CONCETTO E MOTIVAZIONE ALL'ECUMENISMO


La parola greca oikumène deriva da oikeo (abitare), e quindi in ultima analisi da oikìa (casa).
A partire dal quinto secolo avanti Cristo, il termine ecumene designa tutta la terra abitata
dall'umanità, o l'intera umanità, in contrapposizione alle regioni inabitate della terra.
In seguito alle conquiste di Alessandro Magno nel quarto secolo avanti Cristo, il concetto
ebbe una limitazione: esso circoscriveva il mondo ellenizzato, di lingua greca.
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UR, 1: «Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio
ecumenico Vaticano II. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane
propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli
del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso (1). Tale
divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la
più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura».
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Il termine assume quindi una chiara coloritura politica.
Fu così creato il passaggio per poter trasferire il concetto all'impero romano. Ecumene era il
territorio dell'impero, il suo esso dominava l'imperatore.
Ecumene, indica il luogo di dominio dell’impero greco-romano.
Nella LXX il termine ecumene rende vari concetti ebraici presi, principalmente, dall'ambito
del mondo, della terra e soprattutto del paese abitato.
Nel Nuovo Testamento il termine ecumene non compare molto spesso, probabilmente a
causa della sua coloritura politica.
Quando compare, compare con una doppia valenza: positiva e negativa.
Nell'apocalisse indica la signoria di Satana su tutto il mondo.
Quando invece in Matteo si dice che il regno di Dio deve essere annunciato in tutta l'ecumene
con tale termine si indica il campo d’azione della chiesa, il luogo in cui essa vive ed annuncia la
Buona Novella.
Nella versione italiana del NT viene tradotto il termine greco ecumene con altri termini: Mt
24,14 si parla di mondo; Lc 1,1 parla di terra; abbiamo poi tutti gli uomini, gli uomini.
Secondo i Padri il termine mantiene un valore politico ma assume anche valore religioso,
viene ad indicare tutta la terra che doveva essere raggiunta dal vangelo di Cristo.
Il termine si collega al senso della cattolicità, l’universalità del vangelo e l’universalità della
Chiesa.
Per i padri, la chiesa appariva come il nuovo ecumene, il cosmo santificato dal vangelo, i
cristiani erano le genti dall’ecumene, i pagani erano coloro non raggiunti dal vangelo. Ecumene
non è tutta la umanità, ma quella umanità raggiunta dal vangelo.
Al tempo stesso, il termine diventa con i padri una caratteristica della Chiesa (sinonimo di
cattolicità) e caratteristica del mondo raggiunto dal vangelo di Cristo; per i padri la chiesa
appariva come il nuovo ecumene (secondo il significato greco), i cristiani le genti dell’ecumene.
Il termine entra nel linguaggio ufficiale della Chiesa con l'inizio dei Concili.
Nel Concilio di Nicea Costantino afferma, all'atto della sua convocazione nel 325, che il
concilio si riuniva abbracciando tutta l’ecumene, a salvezza del corpo dell'intera ecumene. Nel
Concilio successivo di Costantinopoli nel 381, verrà ripreso l'uso linguistico e si parlerà del
concilio di Nicea come di un concilio Ecumenico.
Nel secolo VI questo appellativo di ecumenico fu pure motivo di dissenso tra la chiesa di
oriente e quella di occidente.
Fin dall'inizio quindi, tra Roma e Costantinopoli, abbiamo avuto sempre divergenze, anche
per il concetto di ecumenico.

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Per la chiesa di Occidente era ecumenico soprattutto (senso qualitativo) tutto ciò che
corrispondeva a verità, rappresentando la ortodossia autentica, attendibile, che vale per tutti.
Per la chiesa d’Oriente era ecumenico soprattutto (senso quantitativo) tutto ciò che era
creduto dall’ecumene, dalla chiesa apostolica, di cui il patriarcato di Costantinopoli era il
legittimo successore. Da qui l’appellativo di Ortodossi. C’era la loro pretesa di essere una istanza
vincolante. La Chiesa d'oriente in realtà si intendeva ecumenica nel senso dell'impero,
dell’imperium, e quindi in primo luogo riconosceva al vescovo della capitale dell'impero una
preponderanza, vi era implicita una pretesa di giurisdizione sulla Chiesa universale, legando il
concetto di ecumenico prima di tutto al patriarcato di Costantinopoli e la sua pretesa di essere
istanza vincolante e veritativa.
L’Occidente dal canto suo teneva fermo il suo ritenersi chiesa apostolica, e credeva
ecumenico ciò che si credeva come verità e basato sui testi scritturistici.
In oriente si ha soprattutto una concezione giurisdizionale dell'essere ecumenico.

SVILUPPO DEL TERMINE ECUMENICO, COME MISSIONE.


Il pietismo dei protestanti del XVII-XVIII secolo metteva a base l’influenza sociale del
cristianesimo e la esperienza spirituale individuale. All’interno del pietismo si sviluppa la
dimensione universale della missione. La chiesa è chiamata alla missione universale, e occorre
superare i confini della chiesa territoriale, per raggiungere popoli di altra lingua e altra cultura.
Ciò che unisce tutti i cristiani è l’essere tutti battezzati e non il territorio quindi.
Il pietismo ruppe i confini delle chiese regionali protestanti, ed ebbe un modo di riflettere
universale, mondiale.
La missione partita dalla Danimarca, si pose il compito di diffondere la vera, viva conoscenza
di Dio in tutto il mondo, e di ricostruire un'unica Chiesa universale formata da tutti i fedeli rinati
in Cristo, indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale cristiana, nazionale e di
razza.
Qui venne riscoperta all'interno del protestantesimo una dimensione mondiale e l'ordinamento
delle chiese regionali venne aperto verso la Chiesa universale
L'iniziativa svedese delle chiese riformate fece passare in seconda linea i problemi di ordine
dottrinale e attuava una forma di ecumenismo pratico: lavorare insieme e pregare insieme al di la
di quelli che sono i principi dottrinali, per l'unione di tutti battezzati in Cristo

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ECUMENE ED UNIFICAZIONE DELLA CRISTIANITÀ.
Questi impulsi dovuti al pietismo non ebbero grandi riscontri immediati.
In ambito tedesco, francese svedese solo molto più tardi, con la prima conferenza mondiale di
Stoccolma del 1925 si parla di ecumenismo come di unione della cristianità, non solo sul piano
pratico, ma si sente la esigenza di unità dottrinale, si tende a realizzare la chiesa una e santa. Si ci
apre alla percezione che ecumenismo significa lavorare per l’unità della chiesa.
Questa definizione nata in ambiente protestante viene ripresa dal Concilio Vat II, che nel testo
sull’ecumenismo parla proprio di unità dei cristiani quale termine ultimo di ogni pensiero ed
azione della Chiesa che cerchino di realizzare l'unità e la comunità dei cristiani, che professano
l'unico signore (Unitatis Redintegratio n. 4).
Questo nuovo significato del termine ecumene si impose dopo la seconda guerra mondiale
con la fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC).

UN CAMBIO ECUMENICO DI PARADIGMA?


Recentemente, si è cercato di introdurre uno spostamento terminologico, col quale si estende
il concetto di Ecumene fino a ricomprendere anche la relazione con le religioni non cristiane Si
parla di ecumenismo anche in ambito più ampio quindi, in termini di dialogo interreligioso.
Ma noi ci fermiamo all’ecumenismo inteso come dialogo e unità delle confessioni cristiane.
In senso tecnico, la diversità tra cristiani è cosa diversa della diversità delle religioni.
Si parla di altra religione quando si intende parlare di confessioni all’esterno dell’unica
tradizione del cristianesimo.
Si parla di altri cristiani quando ci si interessa di altre confessioni della stessa tradizione
cristiana.
Oggi molti intendono infatti parlare di ecumenismo come di comunione tra tutte le chiese, le
religioni, e le culture, tra donne e di uomini, alla ricerca di giustizia e di pace universale in cui è
comune l'impegno per la salvaguardia del creato

LA MOTIVAZIONE ALL'ECUMENISMO: IL MANDATO RICEVUTO DA GESÙ.


Il brano biblico che classicamente fonda il movimento ecumenico è la preghiera da Dio di
Gesù riportata dalla testimonianza del Vangelo di Giovanni: tutti siano una cosa sola (Giovanni
17,21). La preghiera per l'unità di tutti i credenti sembra qui essere una delle principali richieste
di Gesù, e il centro della sua preghiera: ut unum sint.
Il cammino ecumenico non è un fatto opzionale per salvaguardare la pacifica convivenza delle
varie confessioni, ma è la natura stessa della chiesa che lo richiede. Gv 10,16 afferma che ho
altre pecore che non sono di questo ovile, anche esse devo condurre….
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Gv 17,21 preghiera sacerdotale, Gesù prega affinchè tutti i credenti siano uno come egli è uno
con il Padre. L’unità della chiesa non può essere raggiunta solo con l’impegno umano, ma è
dono dello Spirito, è iniziativa dall’alto. Lo spirito è spirito di comunione, di unità. Gv 12
afferma che quando sarà elevato da terra attirerò tutti a me. L’unità della chiesa è frutto dello
spirito di comunione. Gli uomini hanno il compito di mantenerla nella fedeltà all’origine.
Della Chiesa primitiva questa convinzione venne ripresa nel credo e nel simbolo, e tradotta
nell'affermazione secondo la quale l'unità è segno essenziale della Chiesa, e come tale è tra le
note della chiesa.
La Chiesa ha bisogno di comunione, non perché essa è utile desiderabile o piacevole, ma
perché la comunione viene all'essenza della sua vita. Anche il concilio Vaticano secondo ha
ripreso questo è idea quando afferma che proprio a causa della divisione, anche alla Chiesa
cattolica diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità proprio
nella realtà della vita (UR n.4).
Proprio perché l'unità della Chiesa appartiene alla sua essenza, la Chiesa cristiana non può
abituarsi alla divisione che contraddice l'intenzione fondante di Gesù e la propria essenza.
Anche sul piano della credibilità e responsabilità di fronte al mondo, è certo, che le chiese non
riescono a trasmettere un'immagine credibile finché la divisione della cristianità non sia superata,
dato che danneggia profondamente la credibilità dell'annuncio cristiano.
La divisione confessionale è corresponsabile per buona parte della scristianizzazione della
vita pubblica; l'unità della cristianità è quindi al servizio della credibilità delle chiese e del loro
annuncio.
C’è una unità ontologica sul piano dell’essere che non trova riscontro nella vicenda storica. È
questo il grande scandalo storico. C’è uno scarto tra ciò che la chiesa è e quello che mostra di
essere.
Sul piano dell’essere abbiamo una sola chiesa. Sul piano della visibilità storica abbiamo la
prospettiva del già e non ancora. La unità di fondo non è ancora visibile sul piano storico, se non
collaborando con lo spirito affinchè l’unità si possa raggiungere. Non bisogna mai abituarsi alle
divisioni, ma neanche abituarsi alle eresia. Non ci può essere un buonismo che dice che tutto va
bene, che l’importante è lavorare nella vigna del Signore, ognuno a modo proprio….Occorre
invece appianare le divisioni, interrogarsi su cosa le produce, e attuare tentativi di comunione col
desiderio di raggiungere l’unità, senza cedere alla tentazione di mantenere acute le divisione o
cadere nel sincretismo.

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BREVE PERCORSO STORICO DELLA CHIESA
Come mai queste divisioni tra cristiani?
La storia del cristianesimo ha registrato varie divisioni.
Spesso motivi confessionali si legano in modo quasi inscindibile a motivi politici e sociali.
Naturalmente c'è anche il problema dei centri di potere che tentano di non mettere in
questione lo status quo. La divisione tra le chiese non sono sorte solamente per motivi teologici,
ma certamente anche questioni dottrinali hanno condotto ad essa. La divisione tra le confessioni
è spesso politica e di potere, non solamente dovuta all'amore per la verità.
Ciò significa che la riflessione teologica non può realizzare la da sola l'unificazione della
cristianità, ma significa anche che le questioni teologiche hanno avuto il loro peso; infatti tutte le
chiese si trovano d'accordo nel ritenere che l'unità non può essere ottenuta a spese della verità
Storicamente, le verità fondamentali delle confessioni cristiane che assumono carattere
vincolante sono state proclamate nei primi grandi concili.
Nei primi secoli, troviamo i pilastri della nostra fede. I concili sono stati resi necessari da tutto
il travaglio che li ha preceduti dal punto di vista dottrinale, di varie scuole di pensiero, e le verità
sono state affermate progressivamente nei diversi Concili, con lo scopo di fare chiarezza e di
fissare storicamente le verità di fede . I concili assumono allora valenza fondamentale per il
cristianesimo. Si fa chiarezza da un punto di vista ufficiale sui contenuti fondamentali della fede.
Le correnti di pensiero che la pensavano in maniera diversa, numerosamente sorte in quel
periodo, a volte si sottomettevamo, a volte mantengono la loro posizione.
La prima grande divisione è del 451, si ebbe al Concilio di Calcedonia, che si pone contro
Eutiche, e si stacca la Chiesa d’Africa.
Il concilio di Nicea del 787 si occupa del culto delle immagini. Su questa tema iniziano le
divisioni con l’Oriente che poi porteranno nel 1054 alla divisione.
Il concilio di Trento, qualche secolo dopo, cerca di affrontare i problemi della Riforma, ma
anche qui si consuma la divisione con le chiese luterane.
Col concilio Vat I si afferma la infallibilità del Papa, e il concilio afferma il suo ruolo di guida
e pastore per tutta la chiesa. Anche qui, la Chiesa d'Occidente vede lo staccarsi di alcuni vetero-
cattolici che non accettano la infallibilità del papa
Anche il Concilio Vat II ha visto lo staccarsi dei Lefevriani.
Si vede quindi una storia frastagliata nella Chiesa da innumerevoli divisioni.
Quali possono essere le ragioni delle divisioni?
- l’eresia.
- lo scisma.

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L’eresia significa scelta, il termine greco e il significato originario significano appunto
accentuare una verità a scapito di altro. In ambito cristiano si parla di negazione consapevole di
una verità affermata dal magistero della chiesa.
Lo scisma è strettamente legato al magistero pietrino. Can 751 del nuovo codice di diritto
canonico afferma che scismatico è chi rifiuta la sottomissione al romano pontefice o alla
comunione dei fedeli a lui soggetti.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, oggi, lo scisma è con le chiese ortodosse. Eresia con
le chiese riformate.

I GRANDI SCISMI: LE CHIESE D’ORIENTE E D’OCCIDENTE SI SEPARANO


Le chiese sono sempre attraversate da scismi, pensiamo ai primi 7 concili ecumenici, nascono
per chiarire i temi e le deformazioni createsi intorno alle eresie; concili accettati sia da orientali
che cattolici.
Tra la fine del terzo e l’inizio del quarto secolo l’impero romano venne diviso in impero
romano d’oriente e impero romano d’occidente. Questa divisione ebbe ripercussioni ecclesiali.
Chiesa ed impero sono sempre in stretta dialettica. L’impero romano d’occidente cadde sotto
l’urto dei barbari che premevano alle sue frontiere, i nuovi regni barbarici diedero origine alla
società medioevale e poi alle nazioni e agli stati che si formarono gradualmente nell’Europa
occidentale. L’impero occidentale era maggiormente in vista per via del grande commercio
economico. L’impero romano d’oriente sopravvisse invece, con la sua organizzazione, il suo
diritto, la sua raffinata eredità culturale.
L’unica chiesa cristiana, che agli inizi del quarto secolo aveva acquistato la libertà e che dalla
fine del quarto secolo era sostanzialmente chiesa di stato, conobbe due storie separate, in
occidente e in oriente.
La chiesa in occidente sarà impegnata a evangelizzare le popolazioni germaniche.
La chiesa d’oriente si troverà anch’essa in una situazione di sempre crescente subordinazione
nei confronti del potere imperiale, anche per il fatto che la leadership di tale chiesa era passata da
Alessandria a Costantinopoli, che grazie al can. 28 del concilio di Calcedonia vide riconosciuto
in Oriente il suo primato di onore nei confronti dei patriarchi di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme. 2 La chiesa di Costantinopoli è fondata da S. Andrea, patrono del monachesimo. Il
monachesimo è la forma principale infatti anche i vescovi uscivano dai monaci, sempre.

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Dall’enciclopedia Treccani: «Più celebre fu il 28, nel quale al vescovo di Costantinopoli si conferisce il diritto di
ordinare i metropoliti delle provincie del Ponto, dell'Asia e della Tracia. Con questo canone lo stato dei patriarcati
stabilito dal concilio di Nicea veniva cambiato; ai tre patriarcati di Roma, Alessandria e Antiochia si aggiungeva
quello di Costantinopoli. Si pretendeva giustificare l'innovazione col fatto che Costantinopoli, sede dell'Impero e del
senato, doveva essere esaltata anche nel campo ecclesiastico, essendo la nuova Roma. I legati di Leone, assenti dalla
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Fra la chiesa d’occidente e quella d’oriente per lungo tempo i contatti resteranno difficili. Gli
ostacoli nelle comunicazioni, le differenze di lingua porteranno queste due chiese a percepirsi
come reciprocamente estranee. Questa dolorosa estraneazione porterà, dopo lo scisma acaciano e
alla grande crisi all’epoca del patriarca Fozio nel IX secolo alle scomuniche reciproche dell’anno
1054 (anno preso in riferimento dello scisma, preceduto però da piccoli altri scismi), data alla
quale si fa ascendere l’attuale stato di separazione. I fattori non teologici, di ordine linguistico,
economico, politico, etnico, culturale, devono essere considerati assai più decisivi, che non i
fattori dottrinali.
Leone IX è il papa dello scisma. L'occasione prossima è data da una lettera che, nel 1053,
l’arcivescovo Leone di Acrida, in Bulgaria, scrive al vescovo di Trani, nella Puglia Bizantina.
Nella lettera si critica la prassi romana e latina: si dichiarano i latini mezzo giudei e mezzo
pagani, in quanto osservano il precetto degli azzimi, del digiuno sabbatico nella quaresima; a ciò
si aggiungeva la condanna del celibato latino. Il vescovo di Trani informa della lettera il vescovo
di Roma. Dietro i due vescovi stanno Roma e Costantinopoli.
In risposta, papa Leone IX scrive una lettera al vescovo di Costantinopoli Michele (1043-
1058). La lettera di risposta è scritta dal cardinale Umberto di Silvacandida, che conosce il
greco, ma è molto impulsivo. Nella lettera Roma, in risposta, condanna il patriarca. La lettera è
infarcita di riferimenti pseudo-isidoriani sul primato di Roma. È portata a Costantinopoli da una
delegazione pontificia, composta anche da Umberto di Silvacandida.
A Costantinopoli la delegazione viene accolta male, per cui le viene impedito persino di
celebrare. Il 27 aprile del 1054 muore Leone IX, mentre la delegazione è a Costantinopoli. Così
Umberto, il 16 luglio 1054, depone sull'altare di Santa Sofia la scomunica al patriarca di
Costantinopoli: ci si chiede se lo scisma sia stato valido visto che Leone IX era morto già da
mesi e, dunque, mancava l’autorità del Papa sotto la quale Umberto avrebbe dovuto agire.
Alla bolla di scomunica non viene dato un peso eccessivo: continuano i rapporti tra Roma e
Costantinopoli.
Nel 1054 dopo lo scisma d’oriente il papa Gregorio VI manda legati all’imperatore e anche a
Lucio III patriarca di Costantinopoli, per ristabilire l’unità. Nella lettera di Gregorio VI si
giustifica il primato di Pietro alla luce del dato biblico.

seduta in cui il canone fu sancito, protestarono immediatamente. Leone, richiesto di approvarlo dai Padri, da
Marciano, da Pulcheria e da Anatolio, non solo non l'approvò, ma in una lettera a Pulcheria "per autorità del b.
Pietro apostolo, con definizione generale" cassò e annullò tutto ciò che nei canoni calcedonensi fosse contrario ai
canoni di Nicea (Patrol. Lat., LIV, 1000). La predetta questione del canone 28 ritardò la risposta del papa alla
domanda presentatagli dal concilio per ottenere l'approvazione della definizione di fede. Sull'inizio del 453
Marciano scrisse a Leone meravigliandosi che le chiese d'Oriente non avessero ancora ricevuto alcuna sua lettera
per rimuovere il dubbio, da molti nutrito, circa l'approvazione del concilio da parte del papa; perciò Leone (21
marzo 453) indirizzò ai vescovi già presenti in Calcedonia una lettera, nella quale esplicitamente approvava ciò che
intorno alla fede era stato definito in quel sinodo, e scrisse analogamente all'imperatore Marciano e a Pulcheria».
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La chiesa romana, fondata da Pietro, che conservava le spoglie dell'apostolo che li aveva
trovato il martirio, è madre e capo di tutte le altre chiese particolari. Di fatto anche la chiesa
romana va intesa come chiesa particolare.
Il Papa invia truppe per aiutare i bizantini mentre combattevano con i turchi, ma in realtà per
fondare un possedimento nell’Oriente. Il desiderio dell’unità è sempre inficiato dal volere
prevalere l’uno sull’altro.
Le crociate non fecero che allargare il fossato fra oriente ed occidente, in quanto gli orientali
furono vittime di spoliazioni e di vessazioni da parte dei “crociati” occidentali, soprattutto
allorché nel 1204 la quarta crociata fu dirottata alla presa di Costantinopoli e si concluse con
l’instaurazione di un impero latino e di un patriarcato latino nella stessa Costantinopoli (1204-
1261). I crociati della IV crociata erano per lo più dei carcerati dei quali interessava poco il
cristianesimo; fecero delle razzie per arricchirsi personalmente. Verranno profanate le sacre
specie, il trono del patriarca di Costantinopoli.
D'altra parte, più avanti, al Concilio di Firenze, la chiesa d'oriente chiederà aiuto alla chiesa
d'Occidente contro le invasioni dei turchi. Ci saranno tentativi di comunione tra le due chiese, ma
saranno votati al fallimento. Nel concilio di Firenze la chiesa orientale manda i vescovi. Il
concilio di Firenze emana decreti di comunione ed unione con la Chiesa d'oriente, unione ma le
vicende politiche impediscono di ristabilire l’unità.

STORIA DEL MOVIMENTO ECUMENICO.


La nascita del movimento ecumenico avviene, come detto, in ambiente protestante. Non
perché siano più bravi rispetto alla chiesa cattolica, ma perché la loro situazione ecclesiale era
critica. Non riconoscendo una unità che potesse tenere unite le chiese protestanti (come per la
Chiesa cattolica Roma) si andava incontro ad una frammentazione, si creavano delle chiese
territoriali, delle Chiese regionali, ognuna col suo capo, con la sua dottrina. Ciò comportava
ripercussioni in campo politico, sociale ed economico. Tutta questa frammentazione creava
problemi enormi per la convivenza. Si pensò quindi che appellarsi al cristianesimo, che parla di
unità e comunione, avrebbe potuto riportare la pace e armonia sociale che ormai non c’erano più.
Non c’è inizialmente una riflessione sulla Chiesa come interesse per l'unità di dottrina da
condividere, ma erano interessi politici e sociali che spingevano a garantire la pacifica
convivenza, spinta iniziale per il fermento ecumenico.
Come data di inizio di tale movimento si assume generalmente la Conferenza Missionaria
Internazionale di Edimburgo (1910), da qui nasce la storia del Movimento Ecumenico.
L’assemblea era numerosa, per 10 giorni si riunirono 1335 delegati.

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La composizione non era equilibrata dal punto di vista confessionale; non erano presenti né
cattolici, né ortodossi, che non erano stati nemmeno invitati. La chiesa anglicana partecipò solo
quando fu assicurato che non si sarebbero discusse questioni dogmatiche.
Nel 1910 ad Edimburgo, in Scozia, abbiamo quindi una conferenza missionaria che diede vita
e spinta iniziale al movimento ecumenico.
Già con il pietismo era sorto in campo protestante un interesse missionario. L'ideale
missionario aveva portato nel secolo XIX cristiani di matrice protestante in stretto contatto, in
cui era vivo l'ideale missionario predominante sulle affermazioni dogmatiche e quindi sulle
tradizioni confessionali. L'ideale di unità crebbe in questi circoli ispirati ai movimenti di
risveglio. I protestanti fecero esperienza del grande scandalo della divisione cristiana, e nel
campo della missione nacque e inizia il movimento ecumenico vero e proprio, dapprima come
ecumenismo pratico, solo in seguito si teorizza anche come movimento dottrinale. L'ideale del
lavoro missionario era di fare crescere in ogni paese non cristiano un'unica indivisa Chiesa di
Cristo. Da questo iniziale fermento poco dottrinale, e molto pratico, sorse successivamente anche
un interesse dottrinale. L'idea dell'unità di tutti i cristiani in ogni dove, che sarà più tardi la
formula dell'ecumenismo, fu stabilita proprio in questa occasione.
Il movimento ecumenico venne a svilupparsi come conseguenza del movimento missionario.
Nell’Europa Occidentale l’azione missionaria cercò di fare presa sulle popolazioni dei centri
industriali. Nelle Americhe, in Africa, in Australia, in Asia si adoperò a mantenere viva la fede
nelle schiere degli immigrati. I missionari furono i primi ad avvertire la tragedia delle divisioni
tra le chiese.
L’inizio del Movimento Ecumenico, si compie così sul fronte protestante e senza alcuna
partecipazione della Chiesa Cattolica.
La conferenza del 1910 rappresentò l’apice e al tempo stesso il risultato degli incontri
precedenti. John R. Mott fu a capo della prima delle commissioni preparatorie e divenne capo
della Commissione di continuazione. Egli aveva la capacità di intuire le potenzialità dei giovani;
fu un viaggiatore infaticabile.
Il rapporto steso a conclusione della Conferenza poté affermare: «l’Ideale presente alla mente
della grande maggioranza dei missionari è che sia finalità di tutta l’azione missionaria quella di
impiantare presso ogni nazione non-cristiana una sola e indivisa chiesa di Cristo».

NASCITA DELLE CONFERENZE ECUMENICHE.


Prima che il movimento ecumenico si desse, nel CEC, una struttura istituzionale, si strutturò
come ecumenismo intraconfessionale (protestante). Infatti chiese di uguale confessione si
unirono in federazioni ecclesiali e mondiali per promuovere una propria comunione mondiale.
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A ciò si devono le iniziative per promuovere organismi di collaborazione. La Conferenza
missionaria mondiale del 1910 ad Edimburgo, non volle trattare problematiche di fede e azione,
ma si propose come tavolo di studio dell'ecumenicità.
Per far fronte a queste esigenze vennero programmati due tronconi di riflessione dottrinale
che dessero vita ad altrettante conferenze ecumeniche delle Chiese: fede e costituzione e vita e
azione; dietro vi è una linea di pensiero comune perché il primo troncone riguarda un aspetto
legalistico delle chiese, mentre il secondo mette in evidenza il livello missionario tra le chiese,
approntato a livello pastorale.

MOVIMENTO “FEDE E COSTITUZIONE”


Il missionario americano Charles Brent (1862-1929), vescovo della chiesa episcopale nelle
Filippine, appartenente alla comunione anglicana, rimase scosso dall’avvenimento di
Edimburgo. Brent propose una conferenza composta da rappresentanti di tutte le comunità
cristiane del mondo intero, che confessassero Cristo come Signore e Salvatore, con il fine di
esaminare le questioni che rientrano nell’ambito della fede e della struttura della chiesa di Cristo.
Nel 1910 era stata la chiesa anglicana a porre, come condizione per la sua partecipazione ad
Edimburgo, che non si discutesse di fede e struttura della chiesa. Dieci anni dopo era la stessa
Conferenza di Lamberth a discutere il problema dell’episcopato storico. La chiesa di Roma
respinse l’invito a collaborare a Fede e Costituzione; non vi parteciparono nemmeno le chiese
evangeliche tedesche; le chiese ortodosse vi presero parte.
A differenza delle Conferenze missionarie, alle quali prendevano parte i pionieri dell'attività
missionaria, Fede e Costituzione venne gestita dalle chiese come tali, che vi mandarono propri
delegati.
La prima conferenza di Fede e Costituzione (Faith and Order) si svolse a Losanna
nell’agosto 1927, con lo scopo dichiarato di confrontare fra loro le dottrine delle diverse chiese,
al fine di evidenziare ciò che le univa e ciò che le divideva, e specialmente di enucleare i “punti
fondamentali” in comune. La conferenza affrontò questi temi:
1. La vocazione all’unità
2. Il messaggio delle chiese al mondo: il Vangelo
3. La natura della chiesa
4. La comune confessione della fede
5. Il mistero della chiesa
6. I sacramenti
7. L’unità della chiesa e il rapporto delle chiese con essa

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Una conclusione fondamentale fu il riconoscimento che la fede in Cristo ci unisce e che esiste
un’unica chiesa di Cristo: una, santa, universale e apostolica, la cui unità deve comunque essere
resa anche visibile.
A Losanna nel 1927 la conferenza mette a confronto le varie impostazioni di chiese, ed
elabora un modello che possa valere per tutti.
Una seconda conferenza dello stesso movimento venne tenuta dieci anni dopo, nel 1937,
ad Edimburgo. Vi vennero affrontati i temi della grazia, della chiesa, della relazione fra
Scrittura e Tradizione, fra Parola di Dio e tradizioni cristiane, della comunione dei santi, dei
sacramenti e ministeri, dell’unità della chiesa nella vita e nel culto. Mentre veniva riaffermato il
primato della grazia e l’assoluta libertà di Dio, si richiamò anche la piena responsabilità
dell’uomo.
Questa assemblea si prefigge il fine di “ricercare scientificamente ciò che divide e ciò che
unisce. L’elemento che unisce va approfondito, quello che divide va superato”. Fu questo il
principio fondante il cammino ecumenico successivo.

MOVIMENTO VITA E AZIONE (LIFE AND WORK)


Il movimento Vita e Azione (Life and Work), il cui principale animatore fu l’arcivescovo
luterano di Uppsala, Nathan Söderblom (1866-1931), si prefisse di contribuire all’unificazione
del mondo cristiano promuovendo la collaborazione fra le chiese nel campo dell’azione sociale,
continuando così la linea del “cristianesimo sociale”. Il movimento vita e lavoro nato a
Stoccolma nel 1925 inizia la collaborazione dei cristiani nell’opera di giustizia e pace, dando
vita, in Svezia, una forma di unità più su basi pratiche che dottrinarie.
Söderblom aveva svolto un grande ruolo a favore della pace in occasione della prima guerra
mondiale, in un momento nel quale i cristiani e teologi delle diverse chiese si erano lasciati
accecare da esaltazioni nazionalistiche e bellicistiche.
Dopo la guerra erano restati risentimenti profondi, che dividevano i rappresentati delle chiese,
anche sul problema della responsabilità della guerra stessa. Söderblom propose, alla “Lega
mondiale per un’attività di amicizia delle chiese”, un piano per la costituzione di un “Consiglio
ecumenico”. Le trattative procedettero stentatamente ma fu possibile tuttavia costituire un
movimento che si denominò “Cristianesimo pratico”.

Nonostante tutte le difficoltà, la prima grande assemblea mondiale di questo movimento


potè riunirsi a Stoccolma nel 1925. Il motto fu: “l’azione unisce”. Nelle commissioni si
discussero i seguenti temi:

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1. Il dovere della chiesa verso il mondo alla luce del piano di Dio
2. La Chiesa ed i problemi economici
3. La chiesa e la questione sociale
4. La chiesa e le relazioni internazionali
5. La chiesa e l’educazione
6. Metodi di collaborazione
L’idea che caratterizzò la conferenza di Stoccolma fu che “la dottrina divide, il servizio
unisce”.
La grande crisi economica del 1929, l’affermarsi dei totalitarismi, le minacce di guerra ormai
incombenti sull’umanità, contribuirono a cambiare il clima della seconda grande assemblea,
che venne tenuta a Oxford nel 1937. Dall’ottimismo e dalla speranza si era passati alla paura e
all’incertezza.
L’assemblea di Oxford non si sottrasse al dovere di affrontare i problemi posti dall’esistenza
di stati assoluti e totalitari, e dichiarò inconciliabili con il vangelo il nazionalismo e il razzismo.
Il primo compito della chiesa, nei confronti dello Stato, ovunque essa si trovi, è di essere
Chiesa. Ad Oxford il motto fu: "la Chiesa deve essere Chiesa".

BILANCIO COMPLESSIVO
L’eredità lasciata da queste grandi conferenze internazionali a tutto il movimento ecumenico è
proprio quella dell’affermazione della dignità di ogni persona, oggetto dell’amore di Dio, e della
necessaria solidarietà di tutto il genere umano. I due movimenti Fede e Costituzione e Vita e
Azione, pur seguendo due linee indipendenti, ebbero sempre coscienza, che la linea perseguita
dall’uno doveva essere integrata da quella perseguita dall’altro. La collaborazione nel servizio
comune al mondo esigeva una più seria riflessione sulle basi dottrinali comuni, e viceversa la
riflessione teologica rimandava ad una testimonianza e ad un servizio comuni.

FONDAZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE (CEC)


I due movimenti fede e costituzione e Vita e Azione fanno da promotore alla fondazione del
Consiglio ecumenico delle chiese.
“Fede e Costituzione” e “Cristianesimo pratico” riconobbero che i problemi affrontati erano
in sostanza strettamente interdipendenti. Molti delegati operavano ormai in entrambi i
movimenti.
Divenne chiaro che la vita e la dottrina non si potevano separare l'una dall'altra.
La proposta di unificare entrambi i movimenti e di fondare un Consiglio Ecumenico delle
Chiese trovò di conseguenza adesione generale.
13
Nel 1937 decisero di unirsi per costituire insieme il “Consiglio ecumenico delle chiese”.
L’impegno dell’unità dei cristiani sempre in ambito protestante assunse sempre volume più
ampio. I due movimenti nominarono un comitato comune che, nel 1938 a Utrecht, elaborò lo
statuto del “Consiglio ecumenico delle chiese”. Ginevra venne scelta come sede. La prima
assemblea e la costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese ebbe luogo nel 1948 ad
Amsterdam.
Esso diede luogo a tutta una serie di conferenze.

LE ASSEMBLEE GENERALI DAL 1948 AL 1983


Amsterdam 1948
Come detto, la prima assemblea e la costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese ebbe
luogo nel 1948 ad Amsterdam. Tema dell'Assemblea: “Disordine del mondo e disegno di Dio”.
Vi presero parte 161 chiese di 44 paesi. I delegati erano 502. Era assente la chiesa cattolica,
come pure la chiesa ortodossa russa, mentre vi prendeva parte la chiesa di Grecia e il patriarcato
ecumenico di Costantinopoli. Il clima socio-politico è la guerra fredda, il conflitto in Corea e il
riarmo. Il tema venne trattato in 4 sezioni:
1. La chiesa nel piano di Dio;
2. Il piano di Dio e la testimonianza della Chiesa;
3. La chiesa di fronte al disordine della società;
4. La chiesa ed il disordine internazionale.
Nel 1948 si pone in questione quale sia il rapporto del C.E.C. con le chiese che lo
compongono. L’assemblea di Amsterdam rispose affermando che: “il Consiglio ecumenico
delle chiese è un’associazione fraterna di chiese, che riconoscono Nostro Signore Gesù
Cristo come Dio e Salvatore”. Questa affermazione è importantissima, è una formulazione di
compromesso.
La risposta della Chiesa cattolica nei confronti del movimento ecumenico fu l’istruzione
Ecclesiae catholica (20 dicembre 1949). In essa il movimento ecumenico è definito “frutto dello
Spirito Santo” ed il lavoro per la riunificazione viene definito come “dovere della Chiesa”.
Le chiese, con la fondazione del Consiglio ecumenico, ebbero una piattaforma
istituzionalizzata per la collaborazione e lo scambio.

14
Evaston 1954
Non vi furono progressi particolari. La maggioranza degli ortodossi come la chiesa cattolica
se ne stette in disparte. Il tema fu “Gesù Cristo speranza del mondo”. Le chiese partecipanti
furono 161; i delegati 502. Il clima socio-politico era la guerra fredda, il conflitto in Corea e il
riarmo. Questa Assemblea sottolineava l’importanza dell’evangelizzazione: “senza il vangelo il
mondo è privo di senso, ma senza il mondo il vangelo è privo di realtà. (...)
L’evangelizzazione è il luogo in cui la chiesa scopre se stessa nella sua vera profondità e
apertura all’esterno. (...) Spesso le nostre parole sono state impotenti perché non sono state
tradotte in opere di carità, compassione e identificazione (service, compassion, identification)”.

New Delhi 1961


Insieme ad Amsterdam è la più importante assemblea generale.
A New Delhi sono accolte nel C.E.C., la chiesa ortodossa russa e una serie di altre chiese
d’oriente. Le chiese partecipanti sono 197, i delegati sono 577. Partecipa anche il patriarca di
Mosca. Il motto fu “Gesù Cristo-Luce del mondo”.
La confessione cristologica si amplia in quella trinitaria: “Il C.E.C. è una associazione
fraterna di chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le
Scritture e si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria del solo
Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo”. Da questo momento in poi per aderire al C.E.C. bisogna
accettare la sostanza dei dogmi trinitari e cristologici.3
È importante la conferenza di Nuova Delhi perchè parla del Consiglio ecumenico, come
unione di chiese che credono in Cristo, e si approva una descrizione dell’unità a livello locale,
specificando una serie di elementi, sono tre:
adesione alla stessa fede,
unico battesimo ed eucarestia condivisa,
reciproco riconoscimento dei membri e dei ministeri per rendere possibile una reciproca
comunione.
Ciononostante, il convegno afferma che non si può arrivare alla unità dei cristiani
sacrificando le identità delle singole chiese.
L’apertura trinitaria apre le porte alla chiesa ortodossa. La chiesa ortodossa entra prima nel
Consiglio Ecumenico. Ancora oggi la chiesa cattolica non fa parte del Consiglio.
New Delhi fu una pietra miliare del movimento ecumenico. Contemporaneamente avvenne
un'apertura completamente inattesa: Papa Giovanni XXIII aveva annunciato il Concilio

3
Si sottolinea il riferimento trinitario e cristologici per i riferimenti alle chiese nestoriane, copte...
15
Ecumenico, cosa che risveglio anche in seno alla chiesa cattolica le speranze e le attese proprio
per l'ecumenismo della chiesa.
A New Delhi per la prima volta, cinque osservatori ufficiali cattolici vennero inviati ad
un'assemblea generale del Consiglio ecumenico: un segno che ebbe grande risonanza.

Uppsala 1968
Aveva come motto “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
I delegati erano 704, le chiese aderenti 235. Le chiese ortodosse formavano il gruppo
confessionale numericamente più consistente. La Chiesa cattolica aveva inviato 14 osservatori.
Si creò una forte polemica tra orizzontalisti e verticisti, ossia tra coloro che consideravano
l'ecumenismo in modo primario come contributo mondiale per una società giusta, e coloro che
chiedevano come punto centrale l'unità della Chiesa e la consideravano ancorata al piano
salvifico di Dio. “Quello che capita agli uomini in una parte del mondo riguarda tutti. (...)
Diventiamo ogni giorno più coscienti del fatto che l’ordine economico attuale esercita una
violenza permanente su numerose persone, in modo diretto o indiretto. Se non reagiamo, noi
partecipiamo a questa violenza”. Uppsala fu determinata in buona parte dai disordini sociali che
portarono in modo esplosivo alle rivolte studentesche del 1968.
L'impegno mondiale ed universale della cristianità fu espresso teologicamente con il concetto
di cattolicità, che veniva liberato dalle ristrettezze confessionali, e si sottolineava che la
cattolicità faceva parte delle notae ecclesiae dei segni distintivi della chiesa in quanto tale e non
era una caratteristica propria solamente di una confessione per distinguersi dalle altre.
Si sente l'esigenza di parlare al convegno di conciliarità, si parla di comunità conciliare di
chiese locali, che si possono unire attraverso concili, unione di Chiese che suppone una diversità
riconciliata. Pur tenendo fermi i pilastri fondamentali delle singole chiese, si possono ammettere
le diversità secondarie (ministeriali, liturgiche….). Si parla di Tradizione con T maiuscola, che è
il Depositum fidei che ci viene in eredità dagli apostoli, e di tradizioni con T minuscola, sono il
modo di trasmettere proprio delle varie chiese, di questa unica tradizione. È la tesi di Congar
sulla Tradizione. Ferma restando la Tradizione, sul piano ecumenico possiamo lasciare che le
tradizioni facciano il loro corso. Il problema sta nel salvaguardare i principi fondamentali,
lasciando che questi principi vadano scanditi e incarnati dalle varie culture, dalle varie chiese.

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Nairobi 1975
Per la prima volta un assemblea generale del C.E.C. si svolge in terra d’Africa: Tema: “Gesù
Cristo libera e unisce”. I delegati erano 676, le chiese aderenti erano 285, la chiesa cattolica era
rappresentata da 17 osservatori. Temi fondamentali furono: il superamento dei contrasti razziali,
la discriminazione della donna, il rilievo dato ai diritti umani.
A Nairobi venne modificato lo statuto del C.E.C. con la precisazione del fine dell’unità. Nella
riflessione sui modelli dell'unità il concetto di comunione conciliare doveva esprimere l'unità
della cristianità e la varietà delle chiese.
In questa tensione di unità e molteplicità il modello conciliare sembrò essere quello che
maggiormente rendeva credibile parlare di ecumenismo dell'unica chiesa di cristo. Si parla di
chiese a carattere sinodale.

Vancouver 1983
Il tema “Gesù Cristo la vita del mondo”. I delegati furono 817, le chiese aderenti 301.
I partecipanti nordamericani ed europei, sia dell’Est che dell’Ovest, davano la massima
importanza al disarmo, mentre i delegati del Terzo Mondo ponevano il problema della giustizia
al di sopra di quello della pace.
L’avvenimento dominante di Vancouver non furono i documenti approvati, ma la
celebrazione comune della cena svolta per la prima volta in una assemblea generale. La
celebrazione si svolse sotto la presidenza del primate anglicano. Gli ortodossi ed i cattolici vi
presero parte con la preghiera, ma non si accostarono alla comunione.
Durante l’Assemblea si organizza una veglia per il 50° di Hiroshima e Nagasaki.

L’IDENTITÀ DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE (CEC)


Il carattere ecclesiale
Nella sua fase di strutturazione si ripetè continuamente che il C.E.C. è un consiglio di chiese e
non una chiesa. Soderblom nel 1919 ne avrebbe delimitato i compiti in questi termini:
“Questo Consiglio ecumenico delle chiese non dovrebbe essere dotato di un potere esteriore,
bensì otterrebbe sempre maggiore influsso a misura che fosse capace di intervenire con
un’autorità spirituale. Esso non dovrebbe parlare ex cathedra, bensì dalle profondità della
coscienza cristiana”.
Con la dichiarazione di Toronto fu dichiarato che il C.E.C. non è una chiesa, né una super-
chiesa.

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Le Strutture
Possono essere membri del C.E.C. solo le chiese, non le persone singole, le associazioni o i
movimenti. L’accettazione avviene tramite l’assemblea generale, se almeno i due terzi delle
chiese-membri sono d’accordo.
La suprema istanza del C.E.C. è l’Assemblea generale, che si riunisce ogni 7 anni in
Conferenza. L’assemblea generale elegge il presidente e il comitato centrale.
Il comitato si riunisce una volta l’anno. La struttura è di fatto leggera perché ha sempre una
varietà di chiese che sono diverse.
La sede è a Ginevra; questa città è svizzera e consente una neutralità anche in periodo di
guerra.

IL RAPPORTO DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE CON LA CHIESA CATTOLICA


Fino al Concilio Vaticano II l’atteggiamento di Roma verso il C.E.C. è stato poco amichevole.
Questa situazione muta dopo la pubblicazione dell’Unitatis Redintegratio e con l’attività del
Segretariato per l’Unità dei cristiani. Prima si chiama Segretariato, poi Pontificio consiglio per
l’unità dei Cristiani.
Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani rappresenta uno di quegli
Organismi operativi operanti in ambito cattolico a livello di Chiesa universale.
Il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani assolve il suo compito in due direzioni:
presenza all’interno della Chiesa cattolica per promuovere lo spirito e l’azione ecumenica e la
promozione fraterna di relazioni, di dialogo teologico, di preghiera comune. Il dicastero rende
presente all’interno della Curia romana la preoccupazione ecumenica.
Nel 1965, prima della chiusura del Concilio, viene costituito il Gruppo misto di lavoro tra la
Chiesa Cattolica Romana e Consiglio Ecumenico delle Chiese, che continua oggi a svolgere la
sua funzione di collaborazione e di ponte tra la Chiesa cattolica e il CEC, esaminando le
possibilità di dialogo e di collaborazione. Esso, dovendo limitarsi a esaminare i problemi comuni
e comunicare i risultati alle autorità competenti, non ha alcun potere deliberativo.

Durante l’assemblea di Uppsala la comunanza di rapporti si stabilì nel modo più intenso. Un
rappresentante del Vaticano, p. Tucci, affermò che le difficoltà di natura ecclesiologica per un
ingresso della Chiesa di Roma nel C.E.C. non parevano costituire un ostacolo insormontabile.
Ad oggi, esistono dei documenti di convergenza (cf. Battesimo, Eucaristia, Ministero,
B.E.M.....), ma la Chiesa cattolica non è inserita istituzionalmente nel C.E.C.

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Il B.E.M. è tra i documenti più importanti che nasce dal Movimento Ecumenico delle Chiese.
È un documento non sottoscritto dalla Chiesa cattolica ma ha un plauso dalla stessa chiesa. È un
documento di convergenza tra i sacramenti del Battesimo, dell’Eucaristia e del Ministero,
approvato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese. È importante ed è di convergenza tra le chiese
del Consiglio.
Di fronte al movimento ecumenico nascente ed alle richieste sempre più stringenti di
prenderne parte la chiesa cattolica dichiarava la consapevolezza di essere la vera ed unica chiesa
di Cristo e considerava necessario che le altre chiese coronassero il loro cammino verso l’unione
con la vera Chiesa.
La partecipazione dei cattolici alle assemblee internazionali del movimento ecumenico resta
proibita per parecchi anni sulla base dell’enciclica Mortalium Animos. Questa proibizione venne
ancora ribadita in occasione dell’Assemblea di Amsterdam del 1948.
Solo l’anno seguente venne pubblicata l’istruzione del S. Officio Ecclesia Catholica
(20.12.1949) nella quale, per la prima volta, il movimento ecumenico è riconosciuto come frutto
dello Spirito. Da questo momento è possibile organizzare incontri interconfessionali sotto la
sorveglianza del vescovo diocesano o della santa sede. Da questo momento in poi i delegati
cattolici prenderanno parte alle sedute del Consiglio ecumenico delle Chiese, come uditori.

APERTURA ECUMENICA COME FINE DEL CONCILIO VATICANO II


Il concilio Vaticano II dietro un lavoro di rinnovamento teologico, aperto in campo
protestante, e in alcuni ambienti cattolici fin dalla fine dell'800. Alla fine dell'800 c'è un fermento
ecumenico anche in campo cattolico. Ma perché a quell'epoca?
Dopo Trento, l'atteggiamento del cattolicesimo e difensivo della propria dottrina, della propria
autonomia; è un atteggiamento cd. unionista: l'unità si può ricomporre solo col ritorno alla
Chiesa cattolica. In questo contesto, diventa emblematica della prospettiva cattolica la parabola
del figliol prodigo.
In questo contesto vige il modello ecclesiologico istituzionale giuridico, vige un forte
Cristomonismo con oblio della dimensione trinitaria pneumatologia. La Chiesa, in Europa, per
difendersi dall'ingerenza del potere civile si incentra tutta sulla dimensione istituzionale, non si
fa riferimento allo spirito alla dimensione trinitario. Bellarmino dirà che la Chiesa è una società
perfetta.
Con i movimenti di rinnovamento ecclesiale nati in Germania, a Tubinga, si propone un
modello di Chiesa che valorizza la funzione l'azione dello spirito. La Chiesa è creatura dello
spirito, che è ecumenico, è spirito di comunione. La riscoperta teologica di tutti questi aspetti
ecclesiali verso la fine dell'ottocento ha ricadute sul piano ecumenico.
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Se si enfatizza questo modello di istituzione perfetta, da essa si può essere soltanto dentro o
fuori. Se se ne parla in termini di mistero, invece, si aprono aspetti nuovi per la prospettiva
ecumenica.
Il magistero ancora mantiene una posizione riservata sul lato ecumenico della Chiesa
cattolica, diventando solo prerogativa di pochi teologi. In altri paesi europei nascono movimenti
ecumenici di rilievo. Abbiamo un contributo in area francese soprattutto dalla teologia nouvelle
di Congar, che parla della Unam Sanctam quale prerogativa della Chiesa di Cristo, su basi
fortemente scritturistiche. I movimenti di rinnovamento, nonostante le difficoltà iniziali daranno
un influsso notevole per il risveglio della prospettiva ecumenica della Chiesa
In ambito cattolico, la svolta ecumenica vera e propria si ha solo col concilio Vaticano II.
Il lungo travaglio degli anni precedenti trovò piena realizzazione nella stagione inaugurata dal
Concilio Vaticano II. L’intenzione di “aggiornare” la Chiesa e “restaurare l’unità dei cristiani” fu
l’intento che mosse Giovanni XXIII fin dal primo annuncio del Concilio del 25.12.1959.

Fase preparatoria al Concilio Vaticano II


Il Concilio fu preceduto da una fase “preparatoria” iniziata il 17/05/1959 con una vasta
consultazione di vescovi, superiori degli ordini religiosi, facoltà ecclesiastiche e dei dicasteri
della curia romana. Si noti bene che le risposte in ordine al tema dell’unità facevano riferimento
alla prospettiva unionistica del “ritorno”.
L’arcivescovo Lorenz Jäger propose al card. Bea l’istituzione da parte cattolica di un
organismo di esperti che fosse ufficialmente responsabile del dialogo ecumenico. Questo
organismo prese forma giuridica di Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Card. Bea, Sermo
introductorius Em.mi Cardinali Praesidis, 14 novembre 1960: «Il Segretariato dunque non ha
solamente un “compito informativo”, ma gli spetta di preparare le materie che riguardano l’unità
dei cristiani e che perciò sembra opportuno proporre al Concilio».

Istituzione del Segretariato per l’Unità dei Cristiani


Il motu proprio Superno Dei nutu istituiva il Segretariato per l’Unione dei Cristiani, con il
fine di coordinare tutto ciò che potesse far riferimento al problema dell’unità dei Cristiani da
proporre e portare al Concilio. La presidenza del nuovo Segretariato fu affidato al card. Agostino
Bea.
Vennero compilati tre progetti che riguardavano il problema dell'unità dei cristiani.
Il primo, elaborato dalla commissione teologica, costituiva il cap. XI dello schema De
Ecclesiae.

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Il secondo era stato elaborato dalla commissione per le Chiese Orientali e portava il titolo: De
Unitate Ecclesiae: Ut omnes unum sint.
Il terzo era stato preparato dal Segretariato per l’Unione, con il titolo: De unione favorenda
inter Christianos.

Esito dei progetti


Di questi progetti soltanto il secondo giunse alla discussione in aula nel corso della I sessione
(26-29 novembre 1962). Alla luce dei suggerimenti dei padri conciliari, un secondo progetto,
risultante dalla sintesi dei tre precedenti, venne redatto da una commissione mista, nella quale al
fianco dei rappresentanti del Segretariato per l’Unione, elevato a commissione conciliare,
sedevano membri della Commissione Teologica e di quella delle Chiese Orientali.
Approvato dal Papa venne diffuso in aula nel corso della II sessione (18-27 novembre 1963).
Il 20 novembre 1964 il decreto sull’ecumenismo (Unitatis Redintegratio) fu approvato con 2054
placet contro 64 non placet. Il giorno seguente in sessione pubblica riceveva l’adesione
plebiscitaria di 2137 voti contro 11 e veniva promulgato insieme alla costituzione Lumen
Gentium sulla Chiesa e al decreto Orientalium Ecclesiarum sulle chiese orientali cattoliche.

Il Concilio Vaticano II apre le porte al Movimento ecumenico


L’interesse di Giovanni XXIII per il cammino ecumenico non si spense mai. Nel XV
centenario della morte di S. Leone Magno, Giovanni XXIII scrive una lettera enciclica dal titolo
Aeterna Dei (11 novembre 1961), nella quale ricorda la grande considerazione che S. Leone
aveva nei confronti dell’unità della Chiesa. L’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII apre il Concilio
Vaticano II al quale vengono invitati, osservatori della Chiesa ortodossa, ma il Patriarcato
ecumenico in una lettera del 10 ottobre 1962 diede risposta negativa. Il rifiuto da parte degli
Ortodossi non incise in senso negativo sulla presenza di altri osservatori cristiani ai quali venne
riconosciuto lo status di delegati delle rispettive Chiese.

Giovanni XXIII, Allocuzione, 13 ottobre 1962: «La nostra gradita presenza qui e la
trepidazione che vibra nel cuore mio di sacerdote, la trepidazione dei miei diretti collaboratori e
ne sono certo anche vostra, consentono di dirvi che mi arde nell’animo il proposito di lavorare e
di soffrire, perché si avvicini l’ora in cui per tutti si compirà la preghiera di Gesù nell’ultima
cena».

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Fu il Concilio Vaticano II (1962-1965) a segnare l’apertura definitiva della Chiesa cattolica
verso l’ecumenismo. Il concilio ridisegnò il ruolo primario dei vescovi senza far dipendere in
modo diretto e subordinato il loro ministero dalla funzione primaziale del Romano Pontefice.
Questa scelta aprì ad una visione ecclesiale nuova, di Chiesa fondata sulla communio, sul
concetto biblicamente fondato di “popolo di Dio”.
L’Osservatore Romano del 26/27 gennaio 1959 afferma: «Per quanto riguarda la celebrazione
del Concilio Ecumenico, esso, nel pensiero del Santo Padre, mira non solo alla edificazione del
popolo cristiano, ma vuole essere un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità, a cui
tante anime oggi anelano, da tutti i punti della terra». Il fine ecumenico attribuito al Concilio
andava preparato gradualmente. L’assenza della Chiesa Cattolica dal Movimento Ecumenico
aveva fatto trascurare la costituzione di organismi sovraconfessionali che si occupassero delle
questioni legate alle relazioni con le altre Chiese.
In tema ecclesiale si venne a creare il clima favorevole per affrontare il tema dell’Unità dei
cristiani al quale il Concilio Vaticano II dedicò uno specifico decreto che già nel titolo annuncia
l’aspirazione ed il fine che lo muove “Unitatis Redintegratio” (Il ristabilimento dell’unità).
Il recupero dell’unità è proclamata come principale intento del Concilio Vaticano II: «Il
ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro
concilio ecumenico Vaticano II» (U.R. n.1).
La ricerca per fondare il dialogo con le altre chiese deve diventare parte della formazione
teologica, perché la ricerca comune aiuta il dialogo reciproco. Quanto era stato coraggiosamente
e silenziosamente preparato nel corso dei decenni precedenti, trovò modo di esprimersi
pienamente nella nuova stagione aperta dalla convocazione del Concilio Vaticano II.

Trent’anni prima del Concilio Vaticano II


Lo spirito ecumenico aveva cominciato a farsi sentire in alcuni ambienti contemplativi e
teologici cattolici, prima ancora che venisse recepito a livello ufficiale. Basti ricordare l’Abbé
Paul Couturier, ideatore della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ed iniziatore del
gruppo ecumenico che si riunirà prima in Svizzera dal 1936, poi alternativamente a Taizé e nella
Trappa di Dombes.

Ecumenismo preparato dalla scuola dei Padri


Il domenicano Yves Congar fu membro della Conferenza cattolica per le questioni
ecumeniche e della commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II.

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Dell’Unitatis Redintegratio, Congar scrisse nel 1965: “nessuno di noi, soltanto tre anni fa,
avrebbe potuto immaginare che essa sarebbe diventata tale ed avrebbe raccolto consensi
unanimi”.

La Unitatis Redintegratio nel quadro della nuova ecclesiologia inaugurata dalla


Lumen gentium.
L’enciclica Mystici Corporis (1943) aveva sottolineato l’identità tra la Chiesa fondata da
Cristo e la Chiesa cattolica. L’enciclica di Pio XII richiama, sin dall’inizio, un legame di naturale
sviluppo fra la dottrina esposta e quanto è contenuto nelle fonti della divina Rivelazione e dalla
Tradizione della Chiesa. L’espressione “Corpo mistico di Cristo”, scrive, “scaturisce e quasi
germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella sacra Scrittura e nei santi Padri” (M.C.
n. 13).
C’è una discontinuità tra Unitatis Redintegratio e la Mistici Corporis, letti alla luce della LG.
Nella LG e UR troviamo il subsistit che precedentemente non c’era. Per cui nella prima
enciclica, M.C. il corpo mistico di Cristo e la Chiesa cattolica sono viste come la stessa cosa, c’è
una linea di uguaglianza come se una cosa coincidesse totalmente con l’altra e in realtà
escludesse ogni altra formazione ecclesiale.
Questa impostazione fu rielaborato perché nello schema del De Ecclesia del Concilio c’erano
due asserti in contrapposizione: in una parte si voleva affermare che la chiesa di Cristo sussiste
nella Chiesa cattolica romana, per cui la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica romana. Inoltre si
affermava che molti elementi di santificazione si possono trovare altrove. Sembra presente
un’aporia, grazie a questo periodo elaborarono LG e UR così per come possiamo leggere.
Pio XII morì nell’ottobre del 1958, lo stesso mese venne eletto al soglio pontificio Angelo
Giuseppe Roncalli. Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annuncia la convocazione di un Concilio
Ecumenico.
L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II è un’ecclesiologia che coniuga l’unità e la pluralità
della Chiesa. Dimensione primaziale del primato papale e dimensione conciliare del collegio
apostolico. Questa dialettica è palese in due documenti: il decreto Unitatis Redintegratio e la
Costituzione dogmatica Lumen gentium.
In sintesi questi due documenti sviluppano una nuova impostazione ecclesiologica.

Visione ecclesiologia della Lumen Gentium


Nella Lumen gentium la riflessione teologica si porta su posizioni inclusiviste (non
esclusivista). «L’unica vera Chiesa fondata da Cristo sussiste (subsistit) nella Chiesa cattolica»
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(LG 8). Non si parla più in termini di “est”, di identità, ma in termini di “subsistit”, che sussiste
in essa, ma non in modo esclusivo, poiché essa può sussistere in altre chiese.
I padri conciliari affermano che Cristo si può servire delle comunità separate come «strumenti
di salvezza» (LG 8), in questa luce va letto Unitatis Redintegratio n. 3. «Quelli infatti che
credono in Cristo e hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa
comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica». Lo spirito non è dunque una proprietà
riservata della Chiesa, ma c'è la presenza anche inconsapevole di esso, nelle altre religioni o
chiese o comunità ecclesiali.
Nella prospettiva di un dialogo ecumenico rinnovato, ciò è importante. C'è un'apertura più o
meno autocentrata nel dialogo ecumenico, in base al modello ecclesiologico che ci sta dietro.
Ai teologi cattolici viene riconosciuto il compito di porre in evidenza il principio della
«gerarchia della verità» cioè «un ordine o gerarchia nella verità della dottrina cattolica, in
ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana» (Unitatis Redintegratio
n. 11).
Nell’ecclesiologia che esce dal Concilio Vaticano II, quindi, ogni singola comunità cristiana è
come un punto che si pone in cerchi concentrici più o meno vicini alla Chiesa cattolica, cioè a
dire in base a quanti elementi di santificazione e verità esse abbiano conservato.
Al cerchio più stretto appartengono le Chiese ortodosse perché «quantunque separate, hanno
veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia,
per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli» (UR 15).
Nel seguente cerchio appartengono le Chiese della Riforma che vengono definite «comunità
ecclesiali» e non mai Chiese, (UR 22) unite alla Chiesa cattolica per il battesimo e la fede in
Cristo.

Chiesa Cattolica
Chiesa Ortodossa
Chiesa della Riforma

Nel contesto della LG ne esce un modello di Chiesa rinnovato:


- dimensione sacramentale. La Chiesa è sacramento. È una realtà visibile che riporta a una
realtà invisibile. È vero che si valorizza anche la dimensione istituzionale, ma che ha un senso in
quanto richiama una realtà invisibile, e senza di essa non avrebbe senso.

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Non c'è quindi identificazione tra Chiesa terrena e Regno di Dio, ma c'è un rinvio a una realtà
superiore, non è perfettamente sovrapponibili a ciò a cui rinvia, in prospettiva del già e non
ancora. Non c'è una società perfetta.
- Concezione di Chiesa come popolo di Dio. Nel concilio Vaticano secondo si riprende il
senso biblico teologico della Chiesa proposto da Cipriano. In LG 4 non c'è più la prospettiva
piramidale, ma la comunità ecclesiale è rappresentata come popolo di Dio, in cui si distinguono i
vari ministeri, prospettiva circolare quindi, che si basa sul sacerdozio comune dei fedeli . C'è il
triplice ufficio di Cristo in tutti i fedeli. Accento di questo popolo di Dio c'è il ministero ordinato,
ma viene specificato che esso è per il governo della Chiesa. La nozione di popolo è importante
perché più favorevole rispetto a una immagine di Chiesa intesa come corpo di Cristo. Al corpo o
si appartiene o no, se estratti dal corpo si è morti. La nozione di popolo ci dà invece il senso di
una appartenenza differenziata. Essa permette di comprendere in modo corretto la nozione di
Chiesa.

SCHEMA DELLA UNITATIS REDINTEGRATIO


Nota storica: Il Decreto Conciliare Unitatis Redintegratio era stato preparato dal Segretariato
per l’Unione dei Cristiani. Fu votato dall'Assemblea plenaria il 21 novembre 1964, con 2.137
voti favorevoli e solo 11 contrari.
Alcuni Criteri di lettura: 1) Non si parla mai di ecumenismo sotto forma di concetto o
definizione dottrinale. Esso è tenuto presente sotto la forma detta «movimento ecumenico»; 2) il
Decreto sottolinea la dimensione storica del problema ecumenico, qui intesa come questione da
sempre presente nella vita della Chiesa: fin dall’età apostolica; 3) la terza osservazione riguarda
il linguaggio che è proprio del Decreto: si abbandona l’uso dei concetti di scisma ed eresia. La
diversità che separa viene ora presentata come «comunione non piena, non perfetta» e i cristiani
fra di loro divisi si affermano come «fratelli separati»; 4) non si parla più di invito al ritorno, non
c'è più un atteggiamento unionista, esclusivista, ma si parla di impegno nuovo, comune, per
cammino comune sotto l'azione dello spirito Santo.

Il decreto conciliare è diviso in tre parti:


1) Fondamenti teologici dell'ecumenismo, che coincidono anche con le altre chiese.
2) Si esprimono le varie modalità dell'ecumenismo.
3) Valutazione delle altre chiese.s

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Proemio
1. nel proverbio, si riconosce che l'unità ed unicità della Chiesa si impone nella volontà del
suo fondatore. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte
comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo.
Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e
camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione non solo si
oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia
la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Il Signore dei secoli
(....) in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei
cristiani tra loro separati, l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione.
Anche tra i nostri fratelli separati è sorto per grazia dello Spirito Santo un movimento che
si allarga di giorno in giorno per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani (ecumenismo
dei protestanti). Questo sacro Concilio, (...) intende ora proporre a tutti i cattolici gli aiuti,
gli orientamenti, e i modi, con i quali possano essi stessi rispondere a questa vocazione e a
questa grazia divina.

Cap. I, Principi cattolici dell’Ecumenismo


2. Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidò al
collegio dei dodici l’ufficio di insegnare, governare e santificare. Tra di loro scelse Pietro,
sopra il quale, dopo la sua confessione di fede, decise di edificare la sua Chiesa; a lui
promise le chiavi del regno dei cieli e, dopo la sua professione di amore, affidò tutte le sue
pecore perché le confermasse nella fede e le pascesse in perfetta unità, mentre egli
rimaneva la pietra angolare e il pastore delle anime nostre in eterno.
3. In questo numero si parla dei fratelli separati, battezzati, che sono in una certa comunione
con la Chiesa Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il
battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta con la Chiesa
cattolica. Giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a
ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente
riconosciuti quali fratelli nel Signore. Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che
è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza.
Le chiese separate hanno delle carenze (non si parla di difetti) , mancano di qualcosa, ma
non sono prive di significato o peso, hanno dei beni, anche se la pienezza dei mezzi di
salvezza sussiste nella Chiesa cattolica (il subsistit è in LG e qui nella UR).

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4. Per «movimento ecumenico» si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a
promuovere l’unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le
circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che
non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono
più difficili le mutue relazioni con essi. I movimenti ecumenici partono da ciò che ci
accomuna, e non da ciò che ci divide.
I fedeli cattolici nell’azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di
sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose
della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con
sincerità e diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa
famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara
della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli.

Cap. II. Esercizio dell’Ecumenismo


7. Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell’unità
nasce e matura dal rinnovamento dell’animo, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno
esercizio della carità.
«Vi scongiuro dunque – dice l’Apostolo delle genti – io, che sono incatenato nel Signore,
di camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e
dolcezza, con longanimità, sopportandovi l’un l’altro con amore, attenti a conservare
l’unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Ef 4, 1-3).
8. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e
pubbliche per l’unità dei cristiani, devono essere considerate come l’anima di tutto il
movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale. In
alcune speciali circostanze, come sono le preghiere che vengono indette «per l’unità» e
nelle riunioni ecumeniche, è lecito, anzi, desiderabile, che i cattolici si associno nella
preghiera con i fratelli separati. Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo
molto efficace per impetrare la grazia dell’unità e costituiscono una manifestazione
autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: «poiché
dove sono due o tre adunati nel nome mio, ci sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
Tuttavia non è permesso considerare la «communicatio in sacris» come un mezzo da usarsi
indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani. Circa il modo concreto di
agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida
prudentemente l’autorità episcopale del luogo.

27
11. Dal n. 7 fino al n. 11 si suggeriscono le vie con cui realizzare l'ecumenismo: conversione
interiore, preghiera comune, conoscenza e dialogo reciproci, cooperazione. Nel mettere a
confronto le dottrine, esiste una gerarchia. Al n. 11 viene qui esplicitato il principio di
gerarchia delle verità. Questo principio ha dato molto impulso al dialogo ecumenico. Nel
dialogo ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa, nell’investigare con i
fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e
umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o « gerarchia »
nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento
della fede cristiana. Così si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa fraterna
emulazione, tutti saranno spinti verso una più profonda cognizione e più chiara
manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo.

Cap. III. Chiese e comunità ecclesiali separate da Roma


13. Rivolgiamo ora il nostro pensiero alle due principali categorie di scissioni che hanno
intaccato l’inconsutile tunica di Cristo. Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la
contestazione delle forme dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi,
per la rottura della comunione ecclesiastica tra i patriarchi orientale e la sede romana. Le
altre sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa di quegli eventi che
comunemente sono conosciuti con il nome di Riforma.
16. Disciplina con gli orientali; fin dai primi tempi le Chiese d’Oriente seguivano discipline
proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. Una certa diversità di usi e
consuetudini, non si oppone minimamente all’unità della Chiesa, anzi ne accresce la
bellezza e costituisce un aiuto prezioso al compimento della sua missione perciò il sacro
Concilio, onde togliere ogni dubbio dichiara che le Chiese d’Oriente, memori della
necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline,
come più consono al carattere dei loro fedeli e più adatte a promuovere il bene delle anime.
19. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente. Bisogna riconoscere che tra queste
Chiese e la chiesa Cattolica vi sono divergenze, non solo di carattere storico, sociologico,
psicologico e culturale, ma soprattutto nell’interpretazione della verità rivelata.
22. Col sacramento del battesimo, l’uomo è veramente incorporato a Cristo e rigenerato per
partecipare alla vita divina. Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che
vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Tuttavia il battesimo, è
soltanto l’inizio, che tende all’acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto esso è
ordinato all’integra professione di fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della
salvezza, quale Cristo l’ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica.
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Altri documenti conciliari
Oltre alla LG interessano per l'ecumenismo anche altri documenti conciliari, SC e la DV.
La Sacrosantum Concilium rimette al centro la scrittura. Anche la Dv da un primato alla
scrittura. Il concilio risponde così alle problematiche sollevate in ambito protestante. Il primato
della rivelazione mette in relazione tradizione e scrittura.
Viene esplicitata così la sottomissione del magistero alla scrittura. La tradizione è anch'essa
giudicata dalla scrittura
GS e Dignitatis Umanae parlano di presenza dello spirito al di là dell'appartenenza
istituzionale alla Chiesa cattolica. C'è il diritto alla libertà religiosa.
Nel decreto Ad Gentes, si incoraggia la collaborazione dei cristiani nelle nuove chiese, in
terra di missione, per lavorare insieme, indipendentemente dall'appartenenza confessionale delle
chiese cristiane.
Col concilio Vaticano secondo abbiamo quindi l'inizio dell'ecumenismo anche in ambito
cattolico.4

Sviluppi dell’ecumenismo dopo il Concilio e il Direttorio Ecumenico del 1993


Il Segretariato per l’Unità dei cristiani non termina il proprio ruolo con la fine del concilio.
Diventa una istituzione stabile e verrà chiamato Pontificio consiglio per l’unità dei Cristiani.
Il Nuovo Direttorio ecumenico (D.E.) emanato nel 1993 dal Pontificio Consiglio, succede al
direttorio ecumenico emanato dal segretariato, e si può considerare come lo sviluppo del
Concilio Vaticano II. Questo documento segna la normativa applicativa dell'ecumenismo
esplicitato dal concilio.
Il n. 18 del D.E: può essere letto in sinossi con U.R. 3.
D.E. 18: «Fin dagli inizi della Chiesa avvennero scissioni. Successivamente si manifestarono
dissensi più gravi e alcune Chiese in oriente non si trovarono più in comunione con la sede di
Roma e con la Chiesa di Occidente. Più tardi, in Occidente, divisioni più profonde causarono il
formarsi di altre comunità ecclesiali».
U.R. 3: «In questa Chiesa, una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni,
condannate con gravi parole dall’Apostolo (1Cor 1, 11); ma nei secoli posteriori sono nati
dissensi più ampi e, comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione con la Chiesa
cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti».

4
ma ancora oggi la Chiesa cattolica non è entrata nel CEC, anche se è presente con i propri delegati nei convegni
ecumenici.
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Oltre a queste pubblicazioni ufficiali del Pontificio consiglio, abbiamo poi tutta una serie di
raccolte specifiche che non hanno valore dogmatico, ma di indirizzo, dove emerge l'impegno
serio da parte di tutti di raggiungere punti di convergenza.
La separazione è vista ora come patologia, malattia della Chiesa di Cristo.
In tutto questo, nel 1968 l'autorità delle diverse chiese firmano un accordo sui testi biblici, con
duplice impegno:
- la Bibbia è l'unica scrittura del dato di fede, nessuna confessione può rivendicarne diritti di
esclusività.
- Occorre tradurre testi sacri nelle lingue moderne, mediante un lavoro interconfessionale. Ne
verrà fuori la traduzione interconfessionale (TOV).
Nel 1978 si costituisce un libro di preghiera interconfessionale, per tutto il popolo di Dio.
Negli anni a seguire, si sviluppa la teologia ecumenica, teologia che oltrepassa le singole
confessioni cristiane, che attinge al dato biblico e patristico, andando a prima delle divisioni.
Si fa strada l'idea di conciliarità.

Paolo VI e Giovanni Paolo II


Anche Paolo VI si espresse nei confronti degli osservatori con toni di sincera gratitudine: «Vi
diciamo, dunque, ancora una volta: grazie di aver accolto il nostro invito, grazie di essere venuti;
grazie per la vostra presenza alle sedute del Concilio. Siate certi del nostro rispetto, della nostra
stima, del nostro desiderio di stringere con voi, il nostro Signore, i migliori rapporti possibili. Il
nostro atteggiamento non nasconde alcuna insidia, non cede ad alcuna intenzione di dissimulare
le difficoltà per un’intesa completa e definitiva; non teme la delicatezza della discussione, né la
sofferenza dell’attesa».
Dopo la morte di Paolo VI, Giovanni Paolo II continua l’opera di apertura della Chiesa
Cattolica al Movimento Ecumenico. Nella sua prima lettera enciclica Redemptoris Hominis (4
marzo 1979) afferma: «Senza voler dare una risposta particolareggiata possiamo dire che
abbiamo lavorato con perseveranza e coerenza, ed insieme con noi si sono impegnati anche i
rappresentanti di altre chiese e di altre comunità cristiane e di questo siamo loro sinceramente
obbligati».

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LE CHIESE ORTODOSSE SEPARATE DALLA CHIESA DI ROMA.
Abbiamo già ricordato che lo scisma d'oriente segna la separazione dalla Chiesa di Roma da
parte delle chiese ortodosse.
Lo scisma di Costantinopoli consumato allorché Umberto, delegato papale, il 16 luglio 1054,
depone sull'altare di Santa Sofia la scomunica al patriarca di Costantinopoli, in realtà ha origine
in un processo più antico, che ha visto fin dai primi secoli il separarsi lento e inesorabile della
Chiesa d'oriente rispetto alla Chiesa d'Occidente
Le crociate non fecero che allargare il fossato fra oriente ed occidente, in quanto gli orientali
furono vittime di spoliazioni e di vessazioni da parte dei “crociati” occidentali, soprattutto
allorché nel 1204 la quarta crociata fu dirottata alla presa di Costantinopoli e si concluse con
l’instaurazione di un impero latino e di un patriarcato latino nella stessa Costantinopoli (1204-
1261). I crociati della IV crociata erano per lo più dei carcerati dei quali interessava poco il
cristianesimo; fecero delle razzie per arricchirsi personalmente. Verranno profanate le sacre
specie, il trono del patriarca di Costantinopoli.
D'altra parte, più avanti, al Concilio di Firenze, la chiesa d'oriente chiederà aiuto alla chiesa
d'Occidente contro le invasioni dei turchi. Ci saranno tentativi di comunione tra le due chiese, ma
saranno votati al fallimento. Nel concilio di Firenze la chiesa orientale manda i vescovi. Il
concilio di Firenze emana decreti di comunione ed unione con la Chiesa d'oriente, unione ma le
vicende politiche impediscono di ristabilire l’unità.
Il tema del Filioque fa da sfondo teologico ad una divisione divenuta ormai inesorabile che
affonda le sue radici sul tema del primato.

Vediamo la struttura della Chiesa ortodossa.


La Chiesa ortodossa rispetto alla Chiesa cattolica dà molta importanza alla Chiesa locale (si
parla qui di Chiesa locale e non di Chiesa particolare).
Per Chiesa universale si dovrebbe indicare, nella prospettiva orientale, un concetto teologico,
non concreto. In Occidente invece se ne è fatta una centralizzazione nella Chiesa di Roma, e ciò
ha creato profondi problemi con l'oriente.
L'oriente non vuole questo accentramento, e piuttosto una struttura che vede un insieme di
chiese locali adunate tra loro come comunione di chiese sorelle, che indicano come capo
invisibile Cristo. Sono guidate in modo conciliare dall'episcopato di Costantinopoli, che richiama
solo per certi aspetti la centralità del Papa.
Si parla di primato: anche in Oriente si parla di primato, ma mentre per la Chiesa cattolica il
primato e riferito era portato a una persona, il Papa, nelle chiese ortodosse e riferito a una Chiesa
locale. Inoltre, il primato è inteso più in senso onorifico che giuristituzionale.
31
In oriente abbiamo le cosiddette chiese autocefale, indipendenti l'una dall'altra, ma in
relazione tra loro.
Quando si celebra, da noi si fa riferimento al vescovo locale, mentre da loro si fa riferimento
al capo della Chiesa locale.
Fa differenza, rispetto alla Chiesa cattolica, il fatto che ognuna delle chiese locali ortodosse
hanno da se stesso il diritto di scegliersi il proprio capo, il proprio vescovo, mentre da noi il
vescovo ci viene dato dall'alto, dal centro, da Roma.
In oriente, è la comunità che sceglie il proprio capo, la propria guida s'emerge dal basso.
Nella Chiesa dei primi secoli era la comunità scegliersi il vescovo.
È la comunità a imporre l'elezione dei sinodi regionali.
Ma le chiese ortodosse non sono tutte a autocefale.
È di competenza del Concilio ecumenico (riunione di tutti i vescovi delle chiese locali)
rendere una Chiesa autocefala, o del sinodo episcopale, o di una chiesa madre.
Il concetto di Chiesa madre è importante per la Chiesa ortodossa, ciò fa problema
ecclesiologico per noi.
Per Chiesa madre noi intendiamo la Chiesa universale, non una comunità locale, si parla di
maternità della universale Chiesa di Cristo rispetto ai fedeli, ma i di una Chiesa locale rispetto ad
un'altra Chiesa locale.
Per Chiesa madre gli ortodossi intendono qualcosa di diverso, qui è una Chiesa locale che può
generare altre chiese. Per noi le chiese locali vengono generate dalla Chiesa universale, in
comunione con Cristo.
In oriente, abbiamo anzitutto quattro Patriarcati storici di Gerusalemme, Antiochia,
Alessandria e Costantinopoli. Esse sono chiese locali ortodosse autocefale.
Tale Comunità di Chiese riconosce un primato d'onore alla sede patriarcale di Costantinopoli
(autodefinitosi "ecumenica" nel sinodo arbitrale del 587, dopo l'autopromozione gerarchica nel
Concilio di Calcedonia del 451, nonostante le proteste degli altri Patriarcati).
Gli ulteriori cinque Patriarcati moderni (serbo, russo, bulgaro, rumeno e georgiano)
invece non sono generalmente riconosciuti de jure, ma solo de facto. Sono anzitutto i quattro
patriarcati.
Abbiamo poi le chiese autonome (dette Chiese semicefale), che hanno un po' di autonomia
parziale, perché vengono nominati i loro rappresentanti tramite controllo delle chiese autocefale,
ma hanno possibilità di avere una propria legislazione.
Comunemente autocefalo viene tradotto con autogoverno, ma in realtà significa con un
proprio capo. Kephalé significa "testa, capo" in greco antico.

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Dunque,autocefalo vuol dire "con un proprio capo", mentre autonomo vuol dire "con una
propria legislazione", ma non con un proprio capo. Nomos, in greco, significa infattilegge.
Dunque autocefalia implica una indipendenza maggiore rispetto ad autonomia.
Infine, abbiamo le Chiese ortodosse della diaspora, nate da chi perseguitato è fuggito dalle
sue comunità in altri territori.
Quindi riassumendo abbiamo:
 Patriarcati dell'antica pentarchia:
Gerusalemme (Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme)
Antiochia (Chiesa greco-ortodossa di Antiochia)
Alessandria (Chiesa greco-ortodossa di Alessandria)
Costantinopoli (Chiesa greco-ortodossa di Costantinopoli)
Roma (Scismata)
 Patriarcati moderni:
Patriarcato di Mosca (Chiesa ortodossa russa)
Patriarcato di Sofia (Chiesa ortodossa bulgara)
Chiesa ortodossa georgiana
Chiesa ortodossa serba
Chiesa ortodossa rumena
 Le altre Chiese nazionali autocefale:
Chiesa ortodossa di Cipro
Chiesa ortodossa greca
Chiesa ortodossa polacca
Chiesa ortodossa albanese
Chiesa ortodossa ceca e slovacca
Chiesa ortodossa in America (autocefalia accordata dal patriarcato di Mosca ma non accettata
dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli)
 Chiese autonome (semicefale):
Chiesa ortodossa del Monte Sinai (sotto il patriarcato di Gerusalemme)
Chiesa ortodossa finlandese (sotto il patriarcato di Costantinopoli)
Chiesa ortodossa estone (chiesa semi-autonoma sotto il patriarcato di Mosca)
Chiesa ortodossa apostolica estone (sotto il patriarcato di Costantinopoli) (autonomia accordata
dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ma non riconosciuta dal patriarcato di Mosca)
Chiesa ortodossa giapponese (sotto il patriarcato di Mosca)
Chiesa ortodossa cinese (sotto il patriarcato di Mosca) - sostanzialmente defunta
Chiesa ortodossa lettone (sotto il patriarcato di Mosca)
Chiesa ortodossa ucraina (sotto il Patriarcato di Mosca)
Metropolia dell'Europa occidentale (sotto il patriarcato di Mosca) (Giurisdizione non universalmente
riconosciuta)
Arcivescovado ortodosso di Ocrida (sotto il patriarcato serbo ortodosso di Belgrado)

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Ci sono quindi, nella Chiesa ortodossa, più chiese autocefale, ma il primato di onore e
assegnato alla Chiesa di Costantinopoli, non c'è qui un accentramento di potere giurisdizionale
come è da noi per quanto riguarda la Chiesa di Roma.
I diritti del patriarcato di Costantinopoli sono: prendere iniziative importanti per tutta la
Chiesa ortodossa, convocare i sinodi pan.ortodossi, assegnare autonomia o autocefalia ad altre
chiese, oppure il patriarcato, consacrare il crisma (santo Myron) per tutte le chiese ortodosse,
presiede nelle celebrazioni comunitarie, è istanza di Appello tra le chiese ortodosse.

CHIESA CATTOLICA E CHIESA ORTODOSSA IN DIALOGO.


Le chiese ortodosse si sono a autoproclamata così, perché ritengono di essere rimaste fedeli
alla Chiesa primitiva, la Chiesa Apostolica. Stessa cosa ritiene per se stessa la Chiesa cattolica.
Fin da subito, si è iniziato a contendere il primato di governo e/o di onore tra i due patriarcati
antichi, con l'intento di prevaricare l'altro. È il peccato di superbia quello che divide: perché voi e
non noi?
C'è in ognuna la pretesa di superiorità sull'altra.
Fin dagli anni 20 gli ortodossi prima di noi hanno avviato il dialogo ecumenico, dando una
impronta trinitari al dialogo ecumenico nato in ambiente protestante.
In oriente, la concezione di Chiesa come mistero è rimasta molto forte, mentre in Occidente
c'è stata soprattutto una istituzionalizzazione della Chiesa, in opposizione alla società civile, con
la quale competeva per il controllo della società.
Gli occidentali sono stati da sempre più portati al fare, gli orientali più alla contemplazione.
Il problema teologico fa da sfondo alle problematiche politiche, per giustificare le divisioni
ormai nate tra le due chiese, e verte sul tema del filioque.
Nel credo Niceno-Costantinopolitano si parla dello Spirito che viene attraverso il Figlio. Solo
in seguito, in Occidente, la processione dello Spirito è detta dal Padre e dal Figlio. Questa
impostazione in oriente non è stata mai accettata, c i accusano di duplice principio o origine dello
Spirito.
Nel II° Concilio di Lione, si appiana il dissidio: lo spirito, viene detto, procede dal padre e dal
figlio, non come due principi o spirazioni, ma come un solo principio e spirazione. L'origine
rimane il Padre, il Figlio ridona al padre lo spirito che ha ricevuto.

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LE CHIESE UNIATE.
Nel 451 viene celebrato il concilio di Calcedonia, per chiarire la questione delle due nature
umana e divina di Gesù . Ciò che viene definito come dogma a Calcedonia non è altro che una
riflessione teologica del vescovo di Roma. Dal punto di vista teologico viene stabilito che in
Cristo le due nature (umana e divina) convivono senza confusione, immutabili, indivise,
inseparabili.
Vengono emanati anche molti canoni, quello che a noi interessa è il Canone XVIII.
È un canone che ha segnato la storia della Chiesa fino ad oggi, nel quale prendendo atto che
Roma ha avuto riconosciuti nel passato dei privilegi in quanto città imperiale, per lo stesso
motivo anche Costantinopoli la nuova Roma, ha diritto a godere dei medesimi privilegi di Roma.
Non si mette superiore a Roma, ma si equipara a Roma. Ma Roma non deve i privilegi al fatto
che era città imperiale ma per il martirio di Pietro e Paolo. Di conseguenza, afferma il Concilio, i
vescovi metropoliti delle diocesi del Congo, dell’Asia, della Tracia e inoltre i vescovi delle parti
di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacralissima sede di
Costantinopoli.
Abbiamo qui due ingiustizie: una nei confronti di Roma e una nei confronti delle altre sedi
orientali, soprattutto i patriarcati di Alessandria e Antiochia. Chi soffrì di più inizialmente fu la
sede di Alessandria con tutte le sue sedi suffraganee, a tal punto che dopo Calcedonia abbiamo il
secondo grande scisma definito lo scisma delle chiese non ortodosse, cd. chiese monofisite.
Quest’ultima terminologia è impropria. Queste chiese non rifiutavano il dettato teologico di
Calcedonia, le due fiusis in Cristo, ma solo il canone XVIII. È ingiusto quindi chiamarle Chiese
monofisite, perché esse non accettavano solo il can. XXVIII, mentre accettavano il dettato
teologico di Calcedonia.
Tutte queste chiese oggi sono chiese cattoliche di rito orientale, sebbene abbiano una loro
autonomia e legislazione, c’è un Codice di Diritto Canonico per le Chiese Orientali, ma ciò che
soprattutto le distingue e caratterizza e la sopravvivenza di una propria liturgia. Queste Chiese
sono quindi relativamente autonome, sono dette chiese uniate, perché sono in comunione con
Roma.
Esse hanno due specifiche libertà ed autonomie:
- Convocano propri concili quando vogliono.
- Nominano i vescovi che vogliono, la chiesa romana si limita a approvare la nomina.
L’ecclesiologia di queste chiese rispetta la Tradizione. Sono chiese gerarchicamente
strutturate, nelle quali i monaci sono la fonte da cui provengono i vescovi, unici celibi.

35
Queste comunità orientali riconoscono il valore dei Sacramenti, anche se talvolta il numero
cambia, e venerano la Vergine ed i Santi. Ma differiscono notevolmente nella liturgia,
patrimonio che definisce l’identità e la specificità di queste chiese. Il rito liturgico per queste
chiese si identifica con una identità popolare.
Nel corso dei secoli, chi più tardi, chi prima, queste chiese si uniranno alla chiesa di Roma
(verranno perciò dette Chiese uniate). Ciò che permane profondamente è la diversità della
liturgia. Se dapprima si è cercato di pretendere che esse assumessero tutte le tradizioni liturgiche
della Chiesa latina, solo col concilio Vaticano secondo si è fatto loro l'invito di riprendere le loro
tradizioni orientali originarie.
Dopo il concilio di Lione, Ferrara e Firenze, ed i tentativi di riconciliazione tra la Chiesa di
Roma alla Chiesa di Costantinopoli, tutti falliti, i cattolici, con l'intento di ricondurre a Roma
alcune di esse ortodosse, appunto le chiese monofisite, considerarono queste chiese come terra di
missione, con l'intento di convincerle a riconoscere l'autorità del Papa.
Tra queste Chiese uniate, oggi cattoliche di rito orientale, dobbiamo certamente ricordare:
la Chiesa giacobita, spesso definita Chiesa siriana-occidentale perché insediata nella parte
occidentale dell’Eufrate. È questa una Chiesa monofisita, di cui il fondatore è Giacomo,
vescovo anch’esso monofisita che organizzò un clero ben compatto già alla sua morte,
costituito da 2 patriarchi, 27 vescovi, 10.000 preti. La Chiesa giacobita non ha mai avuto un
buon rapporto con lo Stato, al punto da essere quasi una chiesa clandestina. Oggi conta circa
200.000 fedeli sparsi nel nord dell’Iraq, in Libano, in Siria, a Cipro. Altri sono presenti nelle
Indie e si arriva a circa un milione di fedeli;
la Chiesa armena, saldamente strutturata ed organizzata, nata dallo Stato e da esso favorita.
È diventata presto Chiesa nazionale. La religione unisce tutti i membri della nazione. Il clero
è numeroso e colto. Questa Chiesa è divisa in due patriarcati, che si contendono l’autorità.
Conta circa 4.000.000 di fedeli;
la Chiesa maronita, da San Marone, monaco asceta di Antiochia nel IV sec., che fonda
questa chiesa sull’organizzazione monastica: il monastero svolge un’importante azione di
guida. Oggi sono uniati e tutti sono sottoposti alla giurisdizione di un patriarca di tutta
l’Antiochia e di tutto l’Oriente;
la Chiesa copta, quella degli antichi egiziani convertiti. Attualmente comprende tutti i
cristiani indigeni d’Egitto. Il loro primate è il patriarca di Alessandria, detto Papa. Notevole
instabilità per la minoranza rispetto ai musulmani, e sono tra i tre ed i cinque milioni;

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la Chiesa etiopica, che ha avuto legami con il patriarcato di Alessandria fin dalle origini.
Così si trovò separata da Bisanzio e da Roma. Il numero dei sacerdoti secolari non è inferiore
a quello dei monaci, ma l’importanza è minore. Il sacerdozio è ereditario: esiste una classe
chiusa, poco colta, molto rituale. Conserva alcune pratiche giudaiche, come ad es. la
circoncisione, è vietato l’uso della carne di maiale e si celebra il sabato e la domenica. Conta
tra i sette ed i nove milioni;
le Chiese delle Indie, che vantano origini apostoliche (in s. Tommaso apostolo). Da ricordare
tra queste la Chiesa siro-malabarica e quella siro-malancarese. Generalmente i cristiani di
queste chiese si chiamano cristiani di s. Tommaso. Fino al XVI sec. queste chiese non si
sentirono mai separate dall’ortodossia romana o bizantina. I portoghesi cercarono di farle
rientrare nell’obbedienza a Roma. La Chiesa malancarese è sorta da uno scisma all’interno
della Chiesa malabarica.
La Chiesa orientale ortodossa, non ha accettato tutto questo, accusando la Chiesa cattolica di
proselitismo. Il problema delle chiese uniate costituisce ancora oggi un grosso problema per la
riconciliazione tra Oriente ed Occidente.

LA CHIESA ORTODOSSA RUSSA.


La Chiesa ortodossa russa (in russo: Русская Православная Церковь), o Patriarcato di
Mosca (in russo: Московский Патриархат), è una Chiesa ortodossa autocefala, guidata dal
Patriarca di Mosca e di tutte le Russie e in piena comunione con le altre Chiese ortodosse.
Occupa il quinto posto nel dittico ortodosso, dopo il Patriarcato di Costantinopoli, il Patriarcato
greco-ortodosso di Alessandria, la Chiesa greco-ortodossa di Antiochia e la Chiesa greco-
ortodossa di Gerusalemme.
Un autore interessante che parla dell'ambito russo della Chiesa ortodossa è Aleksej
Stepanovič Chomjakov (Mosca, 13 maggio 1804 – Ivanovskoe, 5 ottobre 1860), un laico,
poeta, filosofo e teologo russo, tra i maggiori teorici del movimento slavofilo. Si occupò di
teologia unicamente nel trattato La Chiesa è una (1838), mentre il resto della sua produzione
ecclesiologica lo troviamo nello scritto polemico contro cattolici e protestanti: La chiesa Latina e
il protestantesimo; entrambi lingua francese.
Egli appartiene alla diaspora russa. La sua importanza è che ha dato una impostazione alla
ecclesiologia russa a partire dalla sua esperienza ecclesiale in quell'ambiente russo. Nell'epoca di
forte rinascita della Chiesa russa, Chiesa istituzionale sociale, egli elabora la teoria della
subornos.
Chomjakov propone una esaltazione della Chiesa ortodossa che ai suoi occhi rappresentava
un vero e proprio organismo sociale che si opponeva all'individualismo del mondo moderno.
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Il cristianesimo consisteva nell'«identità di unità e libertà che si manifesta nella legge
dell'amore spirituale», ma la Chiesa cattolica - osservava Chomjakov mutando arbitrariamente il
simbolo niceno, si pose fuori dalla legge dell'amore, sciogliendo così anche il primitivo legame
di libertà e di unità presente nella comunità cristiana, conservato invece nella Chiesa ortodossa.
Tale organica comunità liberamente formata dal convincimento interiore dei suoi membri è
definita da Chomjakov sobornost, parola del resto ricorrente nella tradizione ortodossa, che
Chomjakov considera una traduzione del greco καθολικός, che perciò non poteva spettare alla
Chiesa di Roma, nella quale i fedeli sono soggetti a un'esteriore obbedienza ai dettami del papa e
della gerarchia ecclesiastica.
Proprio perché ogni autorità è per sua natura «qualcosa di esterno», nella chiesa concepita da
Chomjakov non esiste il principio di autorità. La fede è un dono della Grazia, concesso una volta
per tutte dallo Spirito all'intera comunità e non a suoi singoli membri, e perciò nessuno, al di
fuori della tradizione ecclesiale interiormente accettata, può essere custode e interprete delle
verità divine. Tale chiesa le conosce immediatamente, in quanto organismo vivente di verità e di
amore.
Nel 1848 i patriarchi ortodossi, in risposta all'enciclica di Pio IX In Suprema Petri Apostoli
Sede, avevano congiuntamente affermato che né i patriarchi, né i concili potevano introdurre
innovazioni in materia di ortodossia della fede, che veniva invece garantita dall'intera comunità
dei fedeli. Da questa affermazione, che era in armonia con le sue idee, Chomjakov traeva la
conferma che i concili dovevano essere approvati dall'intera comunità ecclesiale e che pertanto
non poteva esistere una chiesa docente distinta da una chiesa discente. Tutta la chiesa è docente e
in essa non esiste autorità oltre Cristo.
Nella Chiesa ortodossa vige, secondo Chomjakov, lo spirito della sobornost di una
comunione libera e organica tra tutti i fedeli. La parola sobornost' equivale a cattolicità, cioè
all'«unità nella molteplicità», definizione che forse Chomjakov trasse dalla Einheit in der
Vielheit del teologo capo della scuola di Tubinga Johann Adam Möhler, che la formulò nel
1825 nel suo libro L'unità della Chiesa o il principio del cattolicesimo.
Gli ideali di Khomyakov ruotavano attorno al termine sobornost , essendo la parola slava
equivalente di cattolicità e che pertanto trovava nel Credo di Nicea il suo fondamento,
liberamente tradotto come "solidarietà" o "sinfonia". Khomyakov vedeva nella sorta di
comunismo russo delle obshchina un perfetto esempio di sobornost. La stragrande maggioranza
dei contadini russi mettevano la loro terra in proprietà comunale all'interno di una comunità di
pace, che ha agito come un governo di paese e una cooperativa.

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In riferimento alla Chiesa, Chomjakov afferma che lo Spirito santo ha concesso il dono della
grazia a tutti gli ortodossi e perciò in una tale comunità non può essere accettata alcuna autorità:
«la Chiesa non è autorità, perché non è autorità Dio e non è autorità Cristo», che sono presenti
nella Chiesa, mentre l'autorità è sempre «qualcosa di esterno». In simile contesto, non ha
nemmeno senso porsi il problema dell'autorità delle Scritture, perché il loro autore è la Chiesa
stessa e la loro autenticità è garantita dalla coscienza collettiva dei fedeli.
Al concetto di sobornost, inteso come cattolicità, essenza stessa della Chiesa di Cristo, si rifà
il teologo Ekdokimov, allorché parla della Chiesa quale mistero di comunione aperto al mondo
intero, ideale quindi è la conciliari età delle chiese, chiese che vivono in comunione conciliare,
senza sacrificare la loro identità. Per Ekdokimov la sobornost è la cattolicità interiore della
Chiesa, intesa come comunione, che la fa essere una in Cristo, di cui è il corpo, e diversa intorno
al Cristo, in una Pentecoste continua che illumina ogni persona con una medesima fiamma
(dinamica tra unità è diversità). L'unità non è uniformità, ci vuole una giusta tensione tra l'unità
nella diversità nello spirito del Cristo.
La Sobornost diventa così un modo per esprimere le dimensioni trinitario della Chiesa.
I nostri autori cercano di fare un discorso ampio, che accomuni tutte le chiese ortodosse, pur
avendo di mira la Chiesa russa.
Lo stesso capo della scuola di Tubinga Johann Adam Möhler aveva affermato il discorso
sulla Chiesa in prospettiva teologico-utilitaria. L'unità della Chiesa è guidata, garantita, dallo
spirito Santo, che garantisce la comunione ecclesiale, in quanto lo spirito è invisibile. Sul piano
della invisibilità storica, lo spirito si rende visibile attraverso il ministero episcopale. Tale
ministero, appare come una istanza pneumatologia quindi. Il ministero rinvia allo spirito di
Cristo.
Dal canto suo, invece, Chomjakov si rifà si alla scuola di dubbi, ma non valorizza abbastanza
il ruolo visibile del vescovo e quindi del ministero ordinato, centrando la sua riflessione sul
sensus fidelium. Il Vangelo di Crist per Chomjakov non può essere custodito solo da una
persona, come è per i cattolici e il loro papsalismo. Il vescovo è solo espressione della comunità,
quindi la verità del Vangelo non è prerogativa di una sola persona, ma non è neppure possibile
accettare la posizione dei protestanti che nel loro individualismo regionale hanno voltato le
spalle alla sobornost. Sia gli uni che gli altri sono in difetto.
Il modello pneumatologico Chomjakov metteva però in secondo piano l'aspetto
cristologico.
L'aspetto cristologico-trinitario permette la continuità tra noi, la Chiesa e Cristo, la Chiesa è
una realtà teandrica, proseguimento nella incarnazione di Cristo.

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Il concilio Vaticano secondo ha messo in luce sia l'aspetto visibile che quello invisibile della
Chiesa, cercando un equilibrio delle due prospettive, attenzionando sia lo spirito quale fattore
invisibile, che è la istituzione, quale fattore visibile (istituzione intesa come aspetto cristologico
della Chiesa, continuazione della incarnazione, corpo di Cristo). Con una ripresa della
prospettiva cristologica, cambia il ruolo del vescovo: non è più solo istanza visibile del ministero
secondo lo spirito, ma è visto come successore di Pietro, perno della istituzione che ha
fondamento cristologico.

LA RIFORMA E I SUOI ESITI PER LA CHIESA D’OCCIDENTE


La frattura tra occidente ed oriente rappresentò un grave vulnus per la cristianità. La chiesa
d’oriente conservò anche dopo la separazione della chiesa d’occidente la fede e la struttura
ecclesiale dei primi secoli, ma restò in un grave stato di subordinazione rispetto alle autorità
statuali. La Chiesa d’occidente grazie all’accentuazione del primato papale, acquistò una nuova
indipendenza delle autorità statuali.
Per molti secoli, all’interno della Chiesa d’occidente, era stata invocata una riforma della
Chiesa, in fide et in moribus, in capite et in membris. Ciò preparò quella che dev’essere
considerata la più grave lacerazione del tessuto della Chiesa d’occidente, la lacerazione della
Riforma.
Movimenti laicali, da cui alcuni, come i valdesi, erano stati condannati, mentre altri erano
stati accolti portando a un notevole rinnovamento ecclesiale (francescani e altri ordini
mendicanti). Quest’aspirazione fatta sentire nei concili all’inizio del XV secolo ed era stata fatta
propria dal papato. Il concilio di Basilea aveva anche preso tutta una serie di decisioni in ordine
alla riforma della chiesa.
Di fatto nessuna riforma adeguata poté essere messa in atto, l’accumularsi di tutta una serie di
fattori, formarono una miscela esplosiva, nella quale personalità come Lutero, Zwingli e
Calvino, agirono da detonatori. Lutero è stato agostiniano.
Lutero, Calvino, Enrico VIII e Zwingli sono i quattro pilastri della Riforma ecclesiale pur
rimanendo Lutero il pilastro portante.
I motivi teologici, con la centralità del principio della giustificazione per grazia mediante la
fede e con l’appello diretto alla Scrittura come ultima autorità della fede, svolsero un ruolo molto
più determinante di quanto non fosse accaduto nella separazione con l’oriente. La vicenda del
protestantesimo lacera l’Europa, e la lacerazione trova i suoi fondamenti ultimi in motivi
teologici e di principio.

40
Lutero e la rivolta protestante
Nato a Eisleben il 10 novembre 1483, Lutero morì nella stessa città il 18 febbraio 1546.
Lutero studiò filosofia e diritto all’università di Erfurt. Nel 1505, conseguito il dottorato, per
assolvere a un voto entrò nel convento degli Agostiniani di Erfurt. Ordinato sacerdote due anni
dopo, nel 1508 fu chiamato a Wittemberg e v’insegnò etica, dogmatica ed esegesi. Nel 1510
venne inviato a Roma per questioni interne all’ordine. Dopo un periodo di sereno fervore Lutero
cadde in uno stato d’inquietudine. Nel 1517, meditando su un passo di Rm 1, 17 «il giusto vivrà
per fede» comprende che la giustizia della Scrittura non allude all’intervento con cui Dio premia
i giusti e punisce i peccatori, ma parla dell’atto con cui Dio copre i peccati di quanti si
abbandonano a Lui attraverso la fede. Cerca di entrare in dialogo con questo versetto. Se Dio
salva, non per le opere ma per la fede, è sottointeso che le opere non servono a niente ma ancor
più che se le mie opere non mi salvano, che senso ha la volontà? L’unica volontà esistente è
quella di Dio.
Inizia così per Lutero una prospettiva pessimista della giustificazione.
Il rapporto alla visione teologica del danno provocato dal peccato originale possiamo fare le
seguenti distinzione:
o per Lutero è danno irreversibile, l'uomo da solo non può più salvarsi, la grazia e la salvezza è
puro dono di Dio, senza che l'uomo la meriti con delle proprie azioni. Mentre per i cattolici la
grazia divina ci trasforma e ci attrae verso Dio, abilitando l'uomo a compiere azioni
meritorie, per Lutero la grazia è qualcosa di esterno che ci riveste e ci fa giusti agli occhi di
Dio.
o Per gli ortodossi orientali come è per i cattolici, di fronte al problema del peccato originale si
sottolinea di più la forza della grazia trasformante di Dio, che agisce sul danno provocato dal
peccato originale, rinnovando l'uomo.
Da questo punto di vista, Lutero sembra ossessionato dal problema di trovare il Dio della grazia
l'immagine che ne ha è quella di un Dio che punisce, l'uomo sembra responsabile di questa ira di
giustizia, a causa della concupiscenza. È lontana l'immagine del Dio misericordioso.
Nel 1514, nella cosiddetta esperienza della torre, Lutero capì che la giustificazione non è esito
di esercizi penitenziali, ma la grazia di Dio è puro dono gratuito, che ci viene elargita
dall'assoluta libertà di Dio. Gli atti umani non hanno incidenza alcuna per l'ottenimento di questa
grazia, e non meritano la salvezza.
La grazia viene dalla fede, solo dalla fede. La fede non è un'opera nuova da sostituire alla
penitenza, è atto di fiducia in Dio e nella sua grazia, che la dona.

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Noi dobbiamo credere in Dio. Ma la fede non è solo credere a delle proposizioni dogmatiche,
come avveniva nella Chiesa cattolica. La fede è credere in Dio è salva, è avere fiducia nella sua
grazia che ci dà la salvezza.
Per noi cattolici invece la fede è molto più fiducia passiva, era relazione, è corrispondenza di
opere con un personale alla rivelazione donata da Dio.
Per noi cattolici inoltre la grazia è qualcosa che ci penetra, e ci trasforma dal di dentro, per
inabitazione dello spirito Santo, che ci avvicina a Dio e ci abilita alle opere buone.
Per Lutero la grazia è solo un abitus esteriore dell'uomo, è altra dall'uomo, è superficiale, è un
rivestimento, senza che per essa avvenga in noi alcuna trasformazione interiore.
Sul piano ecclesiologico, abbiamo in Lutero solo un movimento discendente, di Dio che si dona
all'uomo, dona la sua grazia, e non anche come è per noi, un movimento ascendente.
Nella prospettiva luterana, le opere non avrebbero alcuna incidenza!
Ed allora, la Chiesa che ruolo ha? I ministeri che ruolo hanno?
C'è una implicazione ecclesiologica nelle sue affermazioni.
Vengono fuori i tre pilastri della riforma Luterana:
o Sola Scriptura: la Scrittura contiene tutte le verità rivelate da Dio e s’interpreta da se stessa,
non ha bisogno della tradizione e del magistero5.
o Sola Fide: apparentemente per Lutero la natura umana dopo il peccato originale +
intrinsecamente corrotta, l’uomo ha perso la sua libertà, ogni opera anche buona è peccato.
Dio tuttavia, senza cancellare i peccati attribuisce all’uomo i meriti e la santità di Cristo.
o Sola Gratia: poiché fra l’uomo e Dio si dà un’immediatezza reale, Lutero rifiuta ogni
mediazione esterna istituita dall’uomo non opera di Dio, e perciò priva di valore salvifico. I
sacramenti si riducono a battesimo ed eucaristia, la confessione è utile ma non necessaria
(Confessio Augustana n.25).
Lutero si scaglia contro la Chiesa. Perché?
Egli si scaglia soprattutto contro le indulgenze. Ma in che senso?
Nella tesi numero 71 e gli dice che chi parla contro le indulgenze è da riprovare. Ma al contempo
afferma che la indulgenze non può essere comprata, né tanto meno elargita dalla Chiesa. Essa è
solo esito della fede, della fede in Dio, e solo da lui viene elargita.
Lutero reagisce così a forme inaccettabili di abusi posti in essere dalla Chiesa di Roma in quel
periodo. Partendo da qui, Lutero esaspera l'opposizione alla istituzione ecclesiale, portandola
anche su altri campi dottrinali.
Lutero viene accusato dal vescovo Alberto, che invia le sue discussioni a Roma.

5
Cf. 1Pt circa «nessuna interpretazione privata della Sacra Scrittura».
42
Nel 1520 a Roma si concluse il processo a Lutero, che viene interrogato, con la
promulgazione della bolla Exsurge Domine. Lutero risponde con tre opere:
1. Alla nobilità cristiana della nazione germanica;
2. De captivitate babilonica ecclesiae praeludium;
3. De libertate christiana.
Nell’ottobre 1520 Lutero brucia il Codice di diritto canonico e la bolla Exsurge Domine. Il 3
gennaio 1521 la bolla Docet Romanum Pontificem scomunicò Lutero.
Dalle tesi di Lutero venivano fuori altre problematiche che lo contrapponevano alla Chiesa
cattolica:

La riforma luterana come riforma dogmatica


L’istanza di riforma che prende campo con Lutero non è solo riforma di tipo morale, ma
anche riforma dogmatica, che apre nuovi orizzonti teologici: “in fide et in moribus, in capite et in
membris”.
Ciò che da ogni parte si chiedeva nella Chiesa è la riforma secondo lo spirito del Vangelo, dei
costumi della vita del clero, della gerarchia ecclesiastica.
È su questo sfondo che sorge e si afferma la Riforma luterana, che però non era, nella sua
radice più profonda, una riforma morale quanto una riforma dogmatica. La Riforma luterana
concentrò, infatti la sua attenzione e il suo dibattito su svariati temi della dottrina cristiana:
La questione delle indulgenze. Fin dal 1507 Giulio II aveva dato inizio ai lavori per la
costruzione della nuova basilica di San Pietro, aveva concesso un’indulgenza a modo di giubileo,
a chi offrisse elemosine per l’impresa, l’iniziativa era stata ripetuta nel 1514 da Leone X. In
Germania la questione si complicava: Abalberto di Brandemburgo, arcivescovo di Magdeburgo e
amministratore apostolico della vicina Halberstandt era stato eletto vescovo di una terza diocesi,
Magonza, sul Reno (il titolare di questa diocesi aveva il privilegio di partecipare all’elezione
imperiale). Per entrare in possesso di questa carica doveva sborsare alla Camera Apostolica un
ingente somma di cui non disponeva. La famiglia Fugger (banchieri) anticipò i 29.000 ducati che
egli doveva pagare a Roma; il vescovo ottenne la facoltà di far predicare le indulgenze, le
elemosine sarebbero state devolute per metà a Roma e per metà alla famiglia Fugger. La
predicazione, non senza eccessi, fu svolta dal domenicano Johannes Tetzel; a lui si attribuisce la
frase: «Appena la moneta cade nella cassetta delle elemosine, l’anima è liberata dal Purgatorio».
Reagendo agli abusi Lutero la vigilia di ogni santi del 1517 inviò ad Alberto di Brandeburgo una
lettera invitandolo a prendere posizione contro gli abusi concessi alle indulgenze; e insieme a 95
tesi sulle indulgenze invitandolo ad una decisione.

43
Nel 1515 Leone X fece sottoporre ad esame le asserzioni sulle indulgenze e intimò Lutero a
presentarsi a Roma. Lutero fu dispensato dal viaggio a Roma e poté essere interrogato ad
Augursta nell’ottobre 1518 dal Card. Caietano.
Sulla incidenza della grazia.
Sulla fede quale via per ottenere la grazia giustificante. Ciò finiva per rendere indipendenti i
fedeli dalla istituzione ecclesiastica, perché rendendo superflue le opere meritorie, si rendeva
superfluo anche accostarsi ai sacramenti i quali, non essendo opere che ci migliorano, che ci
fanno guadagnare la grazia, e ci meritano la salvezza, non dovevano essere più praticate.
Sul ruolo del Papa e dei ministri ordinati. Essendo superflui i sacramenti, né veniva meno
l'autorità.
La dottrina della giustificazione, ossia l’atto con cui, in forza della redenzione operata da Gesù
Cristo a vantaggio di tutti gli uomini, la Grazia trasforma l’uomo, liberandolo dallo stato di
peccato e conducendolo alla giustificazione a essere cioè giusto davanti a Dio. Il problema si
complicò quando sotto il nome di predestinazione, la questione investì non solo il rapporto tra
azione divina giustificatrice e libertà umana, ma anche il rapporto tra libertà umana e divina.
Lutero impugna il valore dell’intera tradizione ecclesiastica fino a negare la funzione della
Chiesa. La giustificazione per mezzo della fede toglie ogni valore alle cosiddette opere
meritorie. Al di fuori dalla fede queste opere non fanno che aggiungere peccato a peccato: le
buone opere non possono quindi salvare nessuno. Nel De Servo arbitrio Lutero afferma che non
si può ammettere nello stesso tempo la libertà divina e quella umana. Il libero arbitrio è escluso
dall’onnipotenza di Dio. «Paolo dichiara in piena e con piena autorità (Rm 3,21ss): “ora –però-
indipendentemente dalla legge, è stata manifestata una giustizia di Dio, attestata dalla legge e dai
profeti, vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti i credenti; poiché
non v’è distinzione; difatti tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio e son giustificati
gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Gesù Cristo, il quale Dio ha
prestabilito come propiziazione mediante la fede nel suo sangue”. Tutte queste parole sono
altrettanti colpi di fulmine contro il libero arbitrio. In primo luogo: la giustizia di Dio –egli dice-
è manifestata senza la legge. Egli distingue la giustizia di Dio e la giustizia della legge. Infatti la
giustizia della fede vien dalla grazia, senza la legge. Questa espressione “senza legge” non può
che significare una cosa sola: la giustizia cristiana sussiste senza le opere della legge, di modo
che le opere della legge non servono affatto ad ottenerla».6

6
Risposta di Erasmo da Rotterdam, De libero arbitrio
«Supponiamo dunque che in un certo senso sia vero ciò che (...) Lutero asserisce, cioè che qualunque cosa sia da
noi fatta non è opera del libero arbitrio ma della pura necessità, cosa v’è di più inutile che divulgare questo
paradosso ai profani? Supponiamo parimenti vero, in un certo senso, ciò che Agostino ha scritto in qualche parte:
“Dio opera in noi il bene e il male e in tal modo rimunera in noi le sue stesse azioni buone così come punisce,
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Sul principio della sola scrittura: non c'è più bisogno della mediazione della Chiesa né per
elargire la grazia, né per interpretare la scrittura, né per divulgarla. Essa va letta da soli, e da soli
può essere capita. Il concilio di Trento enfatizza invece il ruolo del magistero e della tradizione a
discapito della scrittura.
Sulla autorità del magistero: scompare qualsiasi autorità della Chiesa istituzione per quanto
riguarda l'interpretazione della scrittura, la fede e la morale. I concili con i loro dogmi diventano
superflui, non servono dogmi vincolanti.
Sul numero e la valenza dei sacramenti. Anche in questa materia vige il principio della sola
scrittura. Si respinge la tradizione, valgono solo i sacramenti direttamente attribuibili a Cristo,
quindi l'eucaristia e il battesimo, un po' meno la penitenza.

La riforma luterana come riforma politica.


Dopo la scomunica, Lutero si dedica alla traduzione in lingua tedesca del nuovo testamento.
La traduzione da lui proposto risulterà eccellente, essa rimane ancora oggi un punto di
riferimento per le chiese protestanti.
Lutero si fece promotore anche di un nuovo ordinamento liturgico tedesco.
Per la formazione del popolo e dei pastori protestanti egli pubblicò il piccolo e il grande
catechismo.
La sua dottrina, successivamente, trovò terreno fertile per proliferare e radicalizzarsi nelle
terre della Germania. Fino ad allora, Lutero non aveva mai affermato che la Chiesa è una
istituzione superflua, ma dopo la scomunica, si cominciò a estremizzare la sua posizione, fino a
mettere in discussione la fondazione storica della Chiesa, ed il ruolo del ministro ordinato.
All'inizio della riforma, Lutero non aveva mai pensato di escludere la Chiesa, eppure si
raggiunsero successivamente tali affermazioni.

parimenti in noi, le sue cattive”; se lasciassimo circolare fra il popolo un tale asserto ciò basterebbe per aprire ad
innumerevoli mortali una larga porta all’empietà perché il popolo ha uno spirito lento, imprevidente, malizioso
(...). Quale peccatore potrebbe sostenere, in simili condizioni una lotta continua e faticosa con la sua carne? Quale
malvagio si impegnerebbe per correggere la propria vita?».
«A mio avviso si poteva benissimo riconoscere l’esistenza del libero arbitrio pur evitando quella fiducia eccessiva
nei nostri meriti e quegli altri inconvenienti intravisti da Lutero (...). Ora, siccome nell’azione umana ci sono tre
parti: l’inizio, lo sviluppo ed il compimento, essi concedono alla grazia i due estremi momenti e non fanno
intervenire il libero arbitrio che nel momento dello sviluppo. Così due cause concorrono alla stessa azione, cioè la
grazia divina e la volontà umana; ma la grazia è la causa principale, la volontà è la causa secondaria che non può
nulla senza la principale mentre questa, cioè la grazia, è autosufficiente così come il fuoco brucia per virtù sua
naturale, benché Dio sia la causa essenziale che sottintende l’azione del fuoco e senza la quale il fuoco perderebbe
tutta la sua efficacia se essa venisse a mancargli».

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Lo stesso Lutero prese le distanze da queste posizioni estreme, e moderò i toni della
controversia, riprese successivamente a sottolineare l'importanza della Chiesa antica, come
istituzione che poteva difendere la riforma dal disordine che si andava creando sul piano pratico
politico e sociale.
Per lo stesso fine, cominciò a chiedere aiuto ai principi tedeschi per salvaguardare
l'evoluzione della riforma delle singole terre del regno.
Da questo momento in poi egli divenne convinto sostenitore della Chiesa come comunità
ecclesiale, e istituzione visibile della Chiesa, riportandola alla sua vera immagine che rivedeva
nella Chiesa primitiva. C'è una comunità nel luteranesimo, quindi, divisa dalla Chiesa cattolica, e
non è vero che essi negano la dimensione visibile della Chiesa. Inoltre, la Chiesa luterana
mantiene l'istituzione episcopale.

Le chiese luterane
Lutero voleva riformare la Chiesa cristiana, non voleva in nessun modo di vivere la cristianità
o addirittura fondare una nuova chiesa, che si richiamasse a lui.
Era necessaria una riforma della Chiesa ai tempi di Lutero, ma da Lutero in poi si aprì la
strada per forti spinte che estremizzarono l'opposizione e che portarono ad una rottura totale.
Anche all'interno delle singole chiese luterane non c'era uniformità, esse chiesero ognuna
aiuto ai vari principi locali, si andarono creando così le chiese regionali prive di criteri unificanti,
oggettivi, validi per tutti; questo a causa della forte ingerenza dei principi locali, a cui Lutero si
appellerà per salvare la istituzione ecclesiale come comunità incarnata nel territorio.
Cosa succede allora?
Lutero aveva cercato di usare le divergenze interne alle chiese regionali, perché le divisioni
che erano nate nei territori rischiavano di portare disordine sociale, poiché le varie chiese
luterane intraprendevano un cammino tutto proprio.
La costruzione di proprie strutture e comunità ecclesiali avvenne attraverso molti passi. La
confessione di Augusta dell'anno 1530 vi gioca un ruolo chiave.
La Dieta di Augusta fu una seduta della Dieta del Sacro Romano Impero avvenuta nella città
tedesca di Augusta. Vi furono diverse sessioni, ma le tre sedute durante il periodo della Riforma
e le guerre religiose che ne derivarono, tra l'imperatore cattolico Carlo V e la protestante Lega di
Smalcalda (La Lega di Smalcalda fu una lega difensiva di principi protestanti del Sacro Romano
Impero) nei primi anni del XVI secolo, sono particolarmente degni di nota.
Alla Dieta di Augusta Melantone, luterano, affermò su l'incarico di Lutero tutti i principi
condivisi dalle Chiese luterane.

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La pace di Augusta fu una pace di religione stipulata il 25 settembre 1555 tra l'imperatore
Carlo d'Asburgo, chiamato Carlo V, e la Lega di Smalcalda, un'unione di principi protestanti del
Sacro Romano Impero, presso la città imperiale di Augusta. Questa pace sancì ufficialmente la
divisione di fatto della Germania tra cattolici e luterani.
La Confessione di Augusta, detta anche Confessione augustana, è la prima esposizione
ufficiale dei princìpi del protestantesimo che sarà poi detto luterano, redatta nel 1530 da Filippo
Melantone per essere presentata alla dieta di Augusta (città del Sacro Romano Impero) alla
presenza di Carlo V. A tutt'oggi è considerata uno dei testi base delle Chiese protestanti di tutto il
mondo e fa parte del Liber Concordiae luterano. Il testo integrale si divide in due parti
concettuali distinte: Articoli sulla fede - Articoli sulla riforma degli abusi.
Vi vengono esplicitati i temi su cui tutte le chiese luterane si trovano d'accordo: ministero di
Cristo, trinità, ministero della predicazione, il dono della grazia.
Vengono poi indicati i temi secondari su cui verte la separazione: il rifiuto del calice ai laici,
la richiesta del celibato per i sacerdoti, il deprezzamento della messa e della confessione, il
potere temporale dei vescovi, i voti religiosi, il deprezzamento della messa e della confessione.
Su tutte queste cose secondarie, tutte le chiese luterane potevano discutere per ricostituire l'unità
tra loro, nel frattempo si chiedeva di tollerare la prassi sorta nel frattempo nelle varie chiese.
Ma la proposta di Melitone con la Confessio Augustana non fu accettata, e le divisioni a
livello locale sia acuirono. Si crearono una miriade di chiese luterane e riformate.
Le chiese luterane, considerate nel loro insieme, venivano a costituire nel territorio europeo il
terzo gruppo, oltre i cattolici e gli ortodossi.
Le chiese luterane si svilupparono soprattutto in Europa settentrionale.
Si formarono chiese luterane anche nelle terre di missione dove andarono.
Per quanto riguarda le attività ecumeniche, i protestanti sono stati i primi a parlare di
comunione tra loro, ma non nel senso di ecumenismo istituzionalizzato, con esponenti comuni,
congressi e incontri, ma si parlò all'inizio di ecumenismo personalizzato.
La prospettiva protestante infatti ammette che la Chiesa di Cristo possa essere frammentabile,
allorché voglia rispondere alle esigenze pratiche dei vari territori. Ciò non fa problema sul piano
ecclesiologico protestante, l'importante è credere tutti nella Chiesa di Cristo, che si costituisce
così in modo diversificato.
Per quanto riguarda i sacramenti, l'importante, ciò che conta, è la fedeltà alla istituzione, ossia
che vengano celebrati così come la scrittura li descrive, ma non si vuole imporre nessuna
ecumenicità dei riti, uniformità dei riti, anzi la pluralità e diversità non fa problema ma è un dato
positivo.

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Solo nel XIX secolo anche in campo protestante, anzi prima di tutto in campo protestante, si
prende coscienza della problematica ecumenica, e si parla di ecumenismo per proprio. Nel 1947
Le chiese luterane si unirono in federazione, è proprio da essa partirono forti impulsi per
l'unificazione della cristianità.
Questa apertura ecumenica nel luteranesimo divenne mezzo di moltissimi dialoghi a livello
mondiale. È qui che viene sviluppata l'idea dell'unità come “ diversità riconciliata”. Fondando la
comunione ecumenica luterana, si riconoscono basi comuni condivise, nonostante le diversità, e
questa impostazione regge fino a oggi.
I riti rimangono diversi, anche la impostazione ecclesiale rimane diversa (c'è chi mantiene
l'episcopato e chi no). Il principio di diversità significa ricchezza della varietà, che non è mai
contrapposizione
Questa comunione delle chiese luterane lancia un messaggio chiaro anche alla Chiesa
cattolica, che lo fa proprio solo con il concilio Vaticano II.

PROTESTANTESIMO RIFORMATO.
La riforma protestante, nei luoghi dove attecchì, si sviluppò in modo indipendente da Lutero.
Il protestantesimo non è una realtà monolitica, ma frammentata. In questa storia, le comunità
locali acquistarono una maggiore indipendenza e un maggior significato, soprattutto in Svizzera,
specialmente a Zurigo con il riformatore Zwingli e Ginevra con Giovanni Calvino.
Nel 16º secolo si enfatizzava la Chiesa universale dal punto di vista cattolico, identificandola
con la Chiesa di Roma.
Nel protestantesimo riformato si enfatizza di contro la Chiesa locale, comunità tutte diverse
l'una dall'altra per culto e tradizione. Ciò procura problemi sociali e teologici

ULRICO ZWINGLI E LA RIFORMA DI ZURIGO


Già dal XV sec. la Svizzera cerca con ogni modo di attuare una indipendenza dei propri
territori dall’Impero, e si arriverà alla Pace di Westfalia del 1648 alla separazione giuridica della
Svizzera dall’Impero, separazione iniziata de facto già dalla dieta di Worms del 1495. Gli stati
territoriali della Svizzera si erano fin da allora confederati in cantoni.
Il potere civile nelle città e nei paesi si interessava direttamente alla vita della Chiesa. Aveva
provveduto fin dal XIV sec. ad eliminare il fenomeno della mano morta (sono il complesso dei
beni della Chiesa, che essendo proprietà di un ente, non si trasmettono mai per causa di morte e
assai raramente per atto tra vivi, sfuggendo alle relative imposte), non tollerava tribunali stranieri
nelle faccende interne, i tribunali ecclesiastici erano pertanto competenti per questioni spirituali.

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Questa vigilanza politica sulla Chiesa sarà fondamentale per lo sviluppo della Riforma in
Svizzera.
La Riforma si attuerà in quelle città dove ci saranno dei riformati nei consigli comunali, che
decideranno con loro di introdurre la riforma. In altri luoghi dove il potere politico rimarrà
cattolico, la predicazione sarà vietata e la riforma non si estenderà.
Un altro fattore di cui si deve tenere conto è lo spirito dell’Umanesimo presente in Svizzera,
che influì sullo spirito rinnovatore della riforma in Svizzera. Anche Zwingli primo riformatore
svizzero sarà compenetrato dello spirito dell’umanesimo e grande amico di Erasmo.
Per questi motivi culturali e politici la riforma si attuerà nei cantoni Svizzeri diversamente che
in Germania, sebbene sorta contemporaneamente non ne fu direttamente influenzata.
La riforma di Zwingli e della Svizzera sono molto più che per Lutero la questione di un
umanista ed un evento politico.

La vita e la riforma di Zwingli.


Nacque nel 1484. Frequentò le scuole di Basilea e Berna, e all’università di Vienna segue la
corrente umanista. Poi ancora all’università di Basilea dove studia San Tommaso e Aristotele.
Diventa tomista, mentre Lutero era occamista.
Viene ordinato sacerdote e parroco di Glarus.
Comincia una forte critica degli abusi ecclesiastici e delle forme grossolane e superstiziose
della pietà popolare. Insiste sul valore unico e definitivo del’opera di Cristo (Cristocentrismo).
Ma non desiderava allora ad una rottura con la Chiesa di Roma, ma piuttosto sperava ad una
restaurazione della fede cristiana e una riforma graduale e pacifica della Chiesa.
Viene eletto vescovo di Zurigo nel 1518.
Da ora in poi Zurigo diventa la città della sua opera di predicatore, riformatore e statista.
Una crisi spirituale si avverte in lui solo nel 1519 quando guarito da una peste che lo aveva
colpito manifesta una nuova spiritualità tutta incentrata sul cristocentrismo.
La comprensione riformatrice di Zwingli è del tutto indipendente da quella di Lutero, sia nel
suo nascere che nel suo sviluppo, anche se porta per molti versi alle stesse critiche e conclusioni.
Zwingli aveva presa da se la via della riforma e non si sentì mai un discepolo di Lutero.
Nel 1522 inizia formalmente il movimento di predicazione di Riforma di Zwingli. I cittadini
avevano preso a non osservare più il precetto ecclesiastico del digiuno, per cui il riformatore
scrisse un trattato sulla libera scelta dei cibi. Il vescovo metropolita dal quale dipendeva
Zurigo reagì contro il trattato, ed allora Zwingli con altri sacerdoti della città chiesero la libera
predicazione del Vangelo ed il matrimonio dei preti. Si programmo una disputa pubblica, ma i
cattolici non si presentarono.
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Allora il Consiglio comunale approvò la predicazione di Zwingli e da allora in poi il
riformatore potè contare sull’appoggio della città e del clero secolare.
Successiva alla disputa non tenutasi a Zurigo è la stesura da parte di Zwingli delle sue 67 Tesi
che raccolgono tutto il suo pensiero riformatore, tendenzialmente cristocentrico. Si propone:
- La rimozione delle immagini sacre dalle Chiese.
- Vengono tolte le reliquie dalle Chiese
- Soppressione delle processioni
- Soppressione delle feste dei Santi.
- Viene eliminata la Cresima
- Viene eliminata la estrema unzione
- La messa perde il carattere di sacrificio
- I monasteri vengono chiusi e i loro beni incamerati dal Vescovo per i più poveri.
- Si sopprime la messa
- Il culto viene ordinato con estrema sobrietà.
Seguendo le direttive di Zwingli, il Consiglio comunale cerca di riorganizzare la città. Egli
affida al vescovo un posto eminente nella cittadina e ciò lo abilita a organizzare una riforma
sociale Fu creato un tribunale per le cause matrimoniali e per la osservanza dei costumi, che
costituì la prima forma di un controllo civile.
Il governo della Chiesa fu assunto totalmente dal Consiglio comunale. Furono costituite delle
autorità ecclesiastiche ma furono assoggettate all’autorità civile.
Alcuni cantoni della Svizzera si opposero all’opera di riforma portata avanti da Zwingli, si
unirono in Lega a difesa della loro fede cattolica, mentre i cantoni protestanti e la città di Zurigo
si univano a loro volta per fronteggiarli.
I cantoni cattolici attaccarono le milizie di Zurigo, sul campo cadde lo stesso Zwingli, e
Zurigo fu costretta ad accettare la pace nel 1531 che per il momento arrestò l’espansione della
Riforma nella Svizzera.

Il pensiero teologico di Zwingli


La teologia di Ulrico Zwingli è cristocentrica. Possiamo riflettere su di essa affrontando 4
punti, e vedremo che per ognuno di essi è preminente il riferimento a Cristo:
Rivelazione. Per Zwingli la Sacra Scrittura è testimonianza intorno a Gesù Cristo (perché
la Scrittura parla di lui) e di Gesù Cristo (egli cita la Scrittura e le da un valore
preminente).

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Soteriologia. Cristo è vita nostra nel senso della creazione e della redenzione: per mezzo
di lui gli uomini sono stati creati e redenti. L’immagine di Dio nell’uomo è stata restaurata
da Cristo. Zwingli esclude pure ogni altro mediatore tra Dio e l’uomo che non sia Cristo:
Maria, i Santi, ecc.. Per lui il cristianesimo è una filosofia di Cristo e per questo non
occorre dare peso alla giustificazione ex operibus. Il centro della dottrina cristiana è la
legge, in quanto espressione della volontà di Dio. Non interessa la volontà dell’uomo.
Ecclesiologia. Immensa è la distanza interiore spirituale tra la comunità civile e la
comunità cristiana; tuttavia nell’aspetto esteriore Zwingli era propenso a far coincidere le
due comunità. Questa identificazione derivava dal battesimo, amministrato a tutti i
cittadini indistintamente, gli stessi venivano istruiti ogni giorno mediante la spiegazione
pubblica della parola di Dio, e così tutti facevano parte almeno esteriormente della Chiesa.
Politica. A Zurigo la comunità civile aveva non assorbito, ma accolto in se la comunità
ecclesiastica, però chi teneva le redini era sempre il profeta Zwingli, che proclamava la
volontà di Dio nella vita politica ed economica della città.

Il pensiero di Zwingli è caratterizzato dal forte dualismo e contrapposizione di spirito al


corpo. Poiché Dio è spirito chi vuole levarsi a lui deve abbandonare dietro se tutto ciò che è
sensibile materiale. Le cerimonie possono avere un ruolo pedagogico e di stimolo delle persone,
per aprirle spiritualmente a Dio, ma non possono comunicare lo spirito. Di esse si deve a un certo
punto fare a meno. Si rifà al Vangelo di Giovanni 6,6: è lo spirito che dalla vita, la carne non
trova nulla. Ma dove mettiamo l'incarnazione?
Ciò si riflette sui sacramenti. Essi sono solo realtà visibili che rimandano a realtà invisibili,
con un valore simbolico. I sacramenti sono solo simbolo, segno, non segno efficace. Non
introducono nella grazia che annunziano.
Nel discorso in cui formula nel 67 tesi, ricorda i punti essenziali della sua riforma: il Vangelo
fonte primaria della fede; sono estranei alla scrittura il papato, il celibato, la intercessione dei
morti, gli ordine monacale, il fondamento teologico del ministero, la celebrazione della santa ce
ne ha solamente lo scopo di ricordare quanto Gesù ha fatto per l'umanità sulla croce. È ricordo
del sacrificio della croce, che rimane un evento passato: quindi è azione confessante della
comunità.
Il sacrificio di Cristo si è compiuto una volta per tutte, con valenza definitiva è permanente,
non ha senso per Zwingli parlare di ripetizione del sacrificio.
Bisogna rivedere il linguaggio usato dal riformatore.
Neanche noi parliamo di ripetizione del sacrificio di Cristo, ma parliamo di memoriale
dell'unico sacrificio di Cristo compiuto una volta per tutte.
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Poiché Cristo e asceso al cielo e siede alla destra del padre, egli non può essere
contemporaneamente nel pane del vino. Al posto della presenza reale egli ritiene una presenza
puramente simbolica nell'eucaristia: il pane significa il corpo di Cristo, il vino significa il suo
sangue. Specialmente il carattere sacrificale della messa andava incontro al rifiuto di Zwingli.
Contro il rifiuto della presenza reale della messa, Lutero si rivolse in vari scritti polemici. Qui
le loro impostazioni di fede di pensiero si scontrarono l'una contro l'altra. Il realismo
sacramentale di Lutero e lo spiritualismo di Zwingli non permisero alcun compromesso.
Lutero e Zwingli erano divisi su un ulteriore punto. Mentre Lutero considerava la Chiesa
cristiana basata solamente sul Vangelo, egli attribuiva potere secolare il compito di difendere
sulla base del Vangelo l'annuncio divino anche con mezzi politici, all'occorrenza anche con le
armi. Zwingli sostenne con passione la guerra, per aiutare il cammino del vero annuncio.

Giovanni Calvino (1509-1564) e la Riforma di Ginevra


Calvino è il terzo riformatore. Ma mentre la riforma di Zurigo non ebbe grande diffusione
quella portata avanti da Calvino ebbe un raggio mondiale. Anche in Sicilia, nei pressi di
Caltanissetta, era presente il calvinismo.
Possiamo distinguere diverse fasi della esperienza riformatrice di Giovanni Calvino, e ognuna
si svolge in un luogo diverso:
1) La prima è la fase della formazione al rigore mentale e alla rigidità disciplinare: Noyon -
Parigi. Giovanni Calvino nasce a Noyon, in Piccardia, nel 1509, e vive la sua fanciullezza in un
ambiente clericale. Il padre Gerardo è procuratore fiscale e segretario dell’arcivescovado e del
capitolo.
Calvino Studia a Noyon e poi a Parigi dal 1523 al 1528: qui completa gli studi secondari
presso il collegio La Marche (dove ebbe precettore, umanista e pedagogo, Mathurin Cordier) e
studia le «Artes Liberales» nel collegio Montaigu, ove si forma al rigore mentale e alla rigidità
disciplinare. In quegli anni vi dominava Nicola Beda, professore e rettore della facoltà di
teologia, rappresentante dell’ortodossia rigida e intransigente. Nel 1528 Calvino è magister
artium.
2) La seconda è la fase della formazione umanistica: Orleans - Bourges – Parigi. Nel 1528 il
padre gli fece abbandonare la teologia per la giurisprudenza: si reca prima a Orleans per studiare
diritto, poi va a Bourges per seguire il grande giurista italiano Andrea Alciati che insegna con
metodo umanistico. Si sviluppa il suo interesse umanistico alla scuola del luterano Mechiorre
Wolmar, con il quale studia il greco. A Parigi, dopo la morte del padre, si dedica essenzialmente
agli studi umanistici: greco ed ebraico per studiare la Sacra Scrittura.

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3) La terza è la fase della rottura con la Chiesa papista, in Francia. L’ambiente in cui Calvino
matura la sua decisione di riforma della Chiesa è quello dell’evangelismo francese (che tende ad
un ritorno puro al vangelo) e della propaganda luterana, che crea un movimento protestante in
Francia, mettendo in agitazione soprattutto l’università parigina. Va precisato che il motivo
fondamentale della decisione di Calvino non è una crisi personale come quella di Lutero, ma il
desiderio di riformare la Chiesa. Passando attraverso l’evangelismo riformista si distaccò dalla
chiesa papista.
Al tempo di Calvino, la Chiesa francese è già dipendente dal Re, è inserita nel sistema
monarchico. Non c’è già più il sistema del feudalesimo, superato già dall’assolutismo che vedeva
la Chiesa papista ormai incardinata nel sistema monarchico.
Il contesto di partenza da cui si veniva era determinato dalla situazione venutasi a creare
all’indomani della Pragmatica Sanzione di Bourges, del 1438, emanata da Carlo VII di Francia,
per regolare la disciplina della Chiesa di Francia, e riconosce in molti ambiti l’autonomia della
Chiesa davanti alle autorità dell’Impero, ma da qui in avanti la monarchia francese si incammina
sempre più verso un assolutismo completo, per arrivare al Concordato del 1506 in cui il Papa
riconosce alcune ingerenze del Re di Francia nella vita della Chiesa. Già al tempo di Calvino
l’assolutismo era imperante.
4) La quarta ed ultima fase è la fase itinerante. Resasi difficile la sua permanenza a Parigi,
Calvino comincia un pellegrinaggio alla ricerca di posti sicuri. Gira molto, infine si rifugia a
Basilea (1534), dove pubblicò nel marzo del 1536 l’Istituzione cristiana (Religionis Christianae
institutio), il testo fondamentale della riforma calvinista. Dopo un soggiorno a Ferrara, Calvino si
reca a Ginevra, dove conobbe Guillaume Farel, che lo prega di aiutarlo a salvare le sorti della
Riforma (fine luglio o inizio agosto 1536).

L’attività di Calvino a Ginevra. La situazione della città


La situazione politico-amministrativa della città di Ginevra ebbe il suo influsso nella
introduzione della Riforma. È il modello della cd. Città libera (è una città dell’impero
germanico, ma è anche indipendente politicamente dall’imperatore).
I poteri cittadini erano così divisi:
Vescovo, vero signore della città, ha un potere quasi assoluto sulla città, temperato però da
altri organi;
Organi amministrativi: Consiglio generale, Consiglio ordinario della città, Consiglio dei
Cinquanta (delle famiglie notabili);
I duchi di Savoia: sono i signori feudali rispetto al vescovo, in questa epoca c’è
Carlo III di Savoia.
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Si attua una sorta di dispotismo clericale, in cui è il Vescovo in cima alla scala sociale.
Le tappe della introduzione della riforma sono le seguenti:
1526 alleanza di Ginevra con Berna e Friburgo; la città (il vescovo) vuole liberarsi dalla
influenza dei Savoia (cattolici), fa allora alleanza con Berna e Friburgo che vogliono da parte
loro estendere la riforma.
1530 guerra di Carlo III di Savoia contro Ginevra;
Friburgo, cattolica, rompe l’alleanza nel 1534. La riforma è però ormai assicurata.

La prima attività di Calvino a Ginevra (1536-1538)


Calvino impegna tutti i sui sforzi per realizzare il suo ideale di riforma della Chiesa.
Dapprima come lettore di scrittura, come catecheta. Dal 1536 come vescovo di Ginevra, come
predicatore e pastore della Chiesa di Ginevra, tenta di organizzare la vita cristiana in base agli
Articoli della Istitutio Christianae Religionis concernenti l’organizzazione della Chiesa, i suoi
principi ispiratori e l'organizzazione della società, che sono presentati da Farel e da altri
predicatori al Consiglio, che li approva nel 1537.7
Questi articoli contengono:
le idee fondamentali sull’ordine comunitario (vigilanza sulla condotta dei fedeli da parte dei
capiquartiere che dovranno riferire al parroco per le misure disciplinari da prendere) e la
celebrazione della Cena del Signore (celebrazione solo la domenica, partecipazione ad essa
almeno una volta al mese, ma il Consiglio la riduce a quattro volte l’anno);
istruzioni per il canto dei salmi;
istruzione dei fanciulli, basata sul catechismo.
Calvino presentò al Consiglio una professione di fede, che vincolava tutti i ginevrini (anche il
Consiglio) alla disciplina della chiesa. Ciò significava per gli organi rappresentativi la perdita di
ogni autonomia e la sottomissione al Vescovo. Nasce così la lotta tra il potere civile ed
ecclesiastico a Ginevra: Calvino con Farel furono costretti ad abbandonare la città. Si diressero
verso Berna.

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L’opera più importante scritta da Calvino. Questo compendio della fede, fu stampato a Basilea dal ventisettenne
Calvino. Il punto centrale di questa opera è che Dio è l’unica volontà dell’universo. La nostra vita e la nostra
morte, dipendono esclusivamente da questa volontà onnipotente. Dio solo agisce. L’uomo non può dannarsi da
solo con la libera scelta del male; non sceglie: è salvato o dannato. La Chiesa, è resa visibile da una struttura
esteriore conforme alla Scrittura, dalla proclamazione del puro Vangelo, dall’amministrazione dei sacramenti come
furono istituiti da Cristo, senza aggiunte umane.

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L’intermezzo di Strasburgo (1538-1541)
Da Berna passano a Basilea. Calvino si trattenne a Basilea, mentre Farel parte.
Calvino è chiamato a Strasburgo, dove incontra il riformatore Martin Bucero, da cui verrà
influenzato. Grande influsso avrà su Calvino il suo Kirchenordnung del 1534, che era la magna
carta alla base della comunità di Strasburgo. Essa stabiliva gli Ordines della Chiesa di
Strasburgo, gli ordini (classi) sociali e i loro compiti. Nel 1541 i ginevrini richiamano Calvino.

La realizzazione del suo ideale a Ginevra (1541-1564)


Rientrato a Ginevra, col consenso dei Consigli della città, richiamato dallo stesso consiglio
per riportare ordine sociale, Calvino come Vescovo riesce a imporre alla città le Ordinanze
ecclesiastiche, che sono la magna carta della Chiesa ginevrina e della società.
La struttura essenziale della Chiesa Calviniana è fondata sul ministero nella Chiesa. Soltanto
il clero svolge i ministeri. Calvino ripete, quindi, lo stesso schema di Strasburgo, degli Ordines
sociali, secondo l’ottica dei ministeri.
Differenza tra Calvino e Lutero: mentre per Lutero c’è un sacerdozio comune che abilita tutti i
fedeli all’esercizio ministeriale, tutti hanno potere ministeriale, per Calvino solo l’autorità
ecclesiastica, basata sui ministeri, ha un controllo sul vivere della città, e in ogni ambito sociale,
si attua un dispotismo clericale.
Il ministero nella Chiesa Calviniana si esprime nei seguenti “ordines”:
1) I pastori (vescovi, preti), che hanno il compito di proclamare la Parola di Dio e di
amministrare i sacramenti. I tre pastori di Ginevra formano la Venerabile Compagnia dei
Pastori. In caso di divergenze si deve restare ancorati alla Scrittura. Ogni anno, poi, una
commissione di consiglieri cittadini deve visitare le parrocchie. I parroci venivano eletti
dalla cittadinanza. Manca la figura del vescovo come la intendeva la Chiesa di Roma
2) I dottori continuano il magistero di Cristo-Maestro. La distinzione con i pastori sta nel
fatto che, oltre a poter anch’essi proclamare la Parola ed amministrare i sacramenti, sono
gli esegeti della Scrittura, la cui dottrina è normativa, offrono un insegnamento per
preparare i preti e i fedeli.
3) Gli anziani vigilano sul comportamento dei fedeli e sull’osservanza della disciplina:
indagano e vigilano su tutto il modo di vivere della comunità (usi, costumi, abiti,
acconciature, ecc…), sulla pratica liturgica, sulle devozioni, sull’attaccamento alla dottrina
riformata. Erano in tutto dodici.
4) I diaconi hanno 2 compiti: distribuiscono al popolo le offerte dei fedeli, assistendo i più
poveri (primo compito) e amministrano i beni della Chiesa (secondo compito). Potevano
essere anche donne. Nella Cena il diacono aiuta il prete porgendo il calice alla gente.
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5) L’organo non ministeriale è il Concistoro. È un organo misto, formato da sei pastori e
dodici anziani laici. Il Concistoro indaga e vigila sulla coscienza religiosa della città, era un
vero Tribunale delle coscienze, irrogando pene civili-ecclesiastiche. Gli fu riconosciuto il
potere di scomunica. La scomunica a Ginevra era una vera e propria morte civile per chi vi
era colpito, nessuno più poteva avere contratti con lui, esclusione dall’acquisto e vendita
dei beni.

La storia della Chiesa ginevrina


La storia della Chiesa ginevrina, che vede la realizzazione dell’ideale di Calvino dal 1541 al
1564 è distinta in due periodi:
Il periodo che va dal 1541 al 1555 è la fase della reazione: è caratterizzato dalla pressante
esigenza morale dei pastori e dalla reazione del partito della libertà contro Calvino. Nel
primo periodo troviamo un rigidissimo controllo delle autorità.
Il periodo che va dal 1555 al 1564 è, invece, la fase della accettazione dell’ideale. Nel
secondo periodo la grande creazione della Riforma è la scuola. Calvino attua una
organizzazione scolastica in tutti i suoi gradi: la scuola primaria, (una sorta di ginnasio) e la
scuola superiore, che culmina nella creazione dell’Accademia a livello universitario.
L’Accademia divenne presto il seminario europeo del calvinismo. In tal modo Calvino
divenne l’iniziatore di una nuova confessione cristiana che forma un preciso tipo di cristiano
e di uomo. L’impostazione della Chiesa ginevrina costituisce l’uomo prima ancora che il
cristiano. Questo ideali di fedele e di società civile-cristiana si fondava sulla dottrina
teologica riformata.
Alla sua morte, nel 1564, Calvino chiese che non venisse cambiato nulla. Il suo successore fu
Teodoro Beza.

La caratteristica della teologia calviniana


L’opera principale di Calvino è senz’altro L’istituzione della religione cristiana.
Calvino, insieme con Lutero, Zwingli rappresentano fondamentalmente un’unica teologia,
concorde negli elementi essenziali. Essi confermano egualmente i dogmi trinitari e cristologici
della Chiesa antica dei primi Concili, anche se ogni Riformatore, in questa unità di pensiero,
accentua più l’uno o l’altro elemento, dando così un carattere peculiare alla propria teologia.

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Possiamo tracciare tre punti principali della teologia di Calvino:
1) Primato della Scrittura: Anche Calvino, come gli altri due riformatori, riconosce
senz’altro, come fonte unica e completa per la fede e la dottrina, la Scrittura, cioè non c’è
Tradizione. Calvino, in particolare, sostiene che la Tradizione della Chiesa antica serve
solo per confermare le sue tesi esegetiche. Viene dato molto risalto allo Spirito Santo: come
agì sugli autori sacri, considerati amanuensi dello Spirito Santo, così lo stesso Spirito rende
attuale la testimonianza della Scrittura, ed agisce sui singoli fedeli. Non è accettata la
mediazione della Chiesa come Magistero, relegata nell’ambito di una testimonianza
unicamente umana.
2) Sovranità assoluta di Dio: Calvino prospetta una visione di Dio che è un sovrano libero ed
assoluto. Scopo della creazione è l’autoglorificazione di Dio. La storia della creazione è
vista in ordine alla glorificazione di Dio, sia nell’atto creativo che in quello redentivi.
Scopo della creazione è la conoscenza e rivelazione di dio. Scopo della redenzione è la
ricostruzione dell’immagine di Dio nell’uomo. Questa sovranità di Dio non è condizionata
da nulla, neanche dai meriti del credente: ecco la Predestinazione. Tutto, è previsto,
programmato, decretato da sempre. Dio chiama tutti alla salvezza con una vocazione
generale, che non include però ancora la salvezza. Poi c’è una vocazione speciale,
propriamente salvifica, secondo un libero decreto di Dio che dall’eternità ha predestinato
alcuni alla salvezza ed altri alla dannazione. Il tema della salvezza si lega quello del libero
arbitrio. Calvino negava il libero arbitrio per l'uomo non parla di libero arbitrio ma di servo
arbitrio. Si dovrebbe allora ammettere una doppia predestinazione? Il discorso di Calvino si
impallla. C'è in effetti una netta contraddizione tra l'estremo rigorismo richiesto al fedele e
la affermazione teologica per cui le opere, il suo arbitrio, i suoi meriti, non servono per la
salvezza, in quanto l'uomo non è libero e non può contribuire alla salvezza (sembra quasi
che si attui una strumentalizzazione della fede per garantire la pace sociale, e basta)
3) Concezione ecclesiologica: come punto di partenza c’è in Calvino una critica feroce alla
Chiesa di Roma, la cd. “Chiesa papista”. Ad essa Calvino contrappone la Chiesa ginevrina,
come visto organizzata secondo una struttura ministeriale. Per Calvino la Chiesa è il
numero universale degli eletti, dei salvati. Capo della Chiesa è solo il Cristo. Visibilmente
conta un gran numero di persone, ma non tutti sono salvati: la Chiesa visibile non coincide
con la vera Chiesa, che è invece la Chiesa invisibile.

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La Chiesa visibile, che si pone solamente al servizio della Chiesa invisibile, si rende presente
per mezzo delle 3 “note”:
o la pura predicazione del vangelo;
o l’amministrazione dei sacramenti;
o la disciplina e l’obbedienza alla Parola di Dio;
Proclamando la gloria di Dio Calvino afferma che la Chiesa è il luogo dove si fa presente la
gloria di Dio. La Chiesa è una fondazione dall'alto, è opera di Dio, prima di essere realtà umana
terrena. La vera Chiesa e per Calvino composta da i soli predestinati alla salvezza, soggetti
percepibili come tali solo dagli orci di Dio. Nessuno sa di appartenere realmente alla Chiesa
invisibile, la Chiesa redenta, poiché nessuno può sapere se persevera da nella fede fino alla fine.
Ma in questo non siamo d'accordo.
Per noi a prescindere dalle nostre capacità o atteggiamento interiore, in quanto battezzati
siamo certi e sicuri di essere membri del la vera Chiesa di Cristo. Si entra nella Chiesa in quanto
battezzati. La posizione di Calvino si pone allora contro la scrittura. Per Paolo sono santi tutti i
membri della Chiesa.
Per noi, non si parla di Chiesa visibile e di Chiesa invisibile, ma di Chiesa universale che si
rende visibile nella Chiesa locale. Per Calvino invece si pone l'attenzione sulla Chiesa locale che
è al servizio della Chiesa universale invisibile che solo Dio conosce.

Conclusioni sulla Teologia di Calvino.


Le differenze tra Lutero e Calvino sono poche, ma significative.
Calvino ammette un valore positivo alle opere come cause secondarie, determinate però
anch’esse da Dio. Non fa altro che mettere un po’ più in risalto il ruolo della libertà dell’uomo
rispetto a Lutero.
Viene poi accentuato maggiormente da Calvino il concetto di santificazione ontologica,
interiore.
Per Calvino l’uomo non è mai contemporaneamente giusto e peccatore (simul justus et
peccator), come per Lutero, per il quale l’uomo è giusto e peccatore perché la giustificazione
non è istantanea, ma progressiva.
Sui sacramenti Calvino ammette il pedo-battesimo, allora molto discusso.
Per quanto riguarda la Cena, sostiene una posizione media fra il realismo di Lutero con la
consustanziazione ed il simbolismo spiritualista di Zwingli (il pane ed il vino “significano”
Corpo e Sangue di Cristo).
Calvino si avvicina un po' più a noi.

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Pur affermando come Zwingli che Cristo ormai è glorioso in cielo, afferma che può esserci
una sua presenza per opera dello spirito nella Chiesa, nello spirito che agisce nella Chiesa, nel
pane e nel vino consacrati. Inserisce, infatti, un elemento pneumatologico: lo Spirito Santo
“unisce” il Cristo risorto al pane ed al vino. Il fedele, mangiando pane e vino (segni), si unisce al
Cristo glorioso. Questa unione del fedele col divino è pure opera dello Spirito quindi. Pane vino
non sono soltanto segni esteriori, simboli di un evento passato, ma segni che ci fanno entrare in
comunione reale spirituale con Dio durante la celebrazione.
La comunione avviene per mediazione dello spirito, che i fedeli assumono nella santa cena,
nel pane e nel vino in duplice specie. Mediante lo spirito Cristo entra intimamente in contatto
con le specie, e le specie con noi. Le specie fuori dal contesto della cena non vengono
riconosciute come tali, quando non c'è la celebrazione il pane e il vino sono solo tali. È la
transustanziazione che vengono negate, del pane e del vino nel corpo nel sangue di Cristo
permanentemente. Tutto è legato all'attimo della celebrazione, solo allora agisce lo spirito per
mezzo del pane e del vino. Con Calvino si parla di comunione reale, ma si esclude la presenza
locale.
Per Zwingli non c'era nemmeno questo, pane vino erano semplicemente simboli e modi per
ricordare ciò che aveva fatto Cristo in passato. Non avevano nessun valore reale sostanziale.

LE ATTIVITÀ ECUMENICHE.
Le varie chiese protestanti hanno da sempre avuto l'ispirazione a raggiungere un ecumenismo
è comunione tra le chiese.
Già Calvino tentò di riunire un concilio pan-protestante che potesse formulare una comune
dottrina, senza strutturare le singole chiese locali secondo un unico modello è senza uniformare
la dottrina.
Questo atteggiamento aperto fu già dall'inizio costitutivo per i protestanti riformati. Sia nella
confessione di fede che nella struttura ecclesiale ciascuna Chiesa era responsabile solo a livello
locale. Differenze anche grandi tra le chiese locali non erano viste come pericolo all'unità, se si
mantiene la fedeltà di fondo all'annuncio evangelico.
La coscienza dell'appartenenza comune e del necessario scambio, pur in una grande e
legittima pluralità, fu il punto di partenza per il tentativo di un reciproco riconoscimento delle
chiese e per lo sviluppo di strutture di unità.
Il movimento ecumenico nel secolo 20º, ha ripreso un'idea che si fondava in questa
concezione.
In tal modo dal protestantesimo riformato sono partiti importanti impulsi per il moderno
movimento ecumenico.
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Tra luterani e riformatori calvinisti, si è raggiunto un incontro.
Anche su punti specifici, si è tentato di mantenere gli equilibri delle varie posizioni, cercando
di declinare diversamente ciò che più divideva le due prospettive.
Ad esempio, si è allontanato il dualismo che vedeva spirito e materia in lotta tra di loro.
Si è detto che la cena non è solo memoria, ma si è venuto sempre più riconoscendone i segni
un po' di presenza reale di Cristo.
I luterani affermano la presenza reale, anche se non accettano la transustanziazione.
Per quanto riguarda il ministero episcopale, del protestantesimo riformato esso non viene
contemplato, ma non fa problema il fatto che altri lo abbiano, purché la predicazione sia fedele al
Vangelo. Ciò che interessa è mantenere l'unità delle singole chiese locali protestanti.
L'interesse all’ecumenismo è tale, che nella perdurante frammentazione diversità si attua un
vero e proprio sincretismo.
In verità, fin dal loro sorgere, le singole chiese protestanti regionali sono da sempre aperte a
differenze e diversità nelle varie chiese locali, conti soprattutto l'uniformità all'interno della
singola Chiesa locale. L'uniformità va cercata solo a livello locale. A livello sovra regionale le
singole chiese locali aspirano ad una forma conciliare di governo che unisca tutte le chiese locali.
Per loro la differenza tra le chiese locali non è un ostacolo alla comunione e al dialogo,
essendo da sempre aperti ad una diversità riconciliata. Ciò porta con sé il rischio di cadere in
forme di sincretismo, se non si tengono fermi alcuni punti fondamentali della dottrina.
Andrebbe infatti comunque salvaguardato il principio di gerarchia della verità.
Non basta salvaguardare l'ideale delle diversità riconciliate.
Troppe divergenze sulla santa cena non possono portare ad una reale comunione tra le chiese.
Non si può far finta di niente in forza di un pacifismo o irenismo sconsiderato.
Per le chiese riformate l'ecumenismo è più un movimento che salvaguarda interessi di ordine
sociale, di organizzazione sociale, che un movimento di incontro dottrinale e teologico tra le
varie chiese locali.
Ciò ha facilitato dunque una frammentazione molteplice nell'ambito protestante.

LA COMUNIONE ECCLESIALE ANGLICANA.


L’anglicanesimo ha preso il suo via in Inghilterra, ma rappresenta oggi una comunione
universale, diffuso in tutto il Commonwealth britannico. Anche il movimento ecumenico ha
ricevuto dall’anglicanesimo impulsi essenziali. L'Inghilterra con il colonialismo e poi con delle
emissioni, porta all'estero la propria cultura e la propria religione, nelle colonie anglicane,
portandosi dietro anche le divisioni: è la frammentazione che caratterizza la Chiesa d'Inghilterra.
In terra di missione sono sorte altre divisioni ulteriori.
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Dal punto di vista della Chiesa di Roma, l'anglicanesimo è stato l’ultimo scisma.
La causa scatenante dello scisma anglicano va ricollegata al mancato assenso da parte della
Chiesa di Roma alla richiesta di scioglimento del matrimonio di Enrico VIII (1491-1547).
Questo scioglimento era stato richiesto perché non aveva un figlio maschio cui lasciare il trono.
Enrico VIII, approfittando dello scontento che serpeggiava nelle file del clero anglicano contro
Roma, si rivolse all’arcivescovo Cranmer di Canterbury per ottenere il divorzio da Caterina
d’Aragona. Il divorzio era stato voluto per sposare Anna Bolena , una dama di corte, egli chiese
al Papa di dichiarare nullo il primo matrimonio (canonicamente c'erano gli estremi per dichiarare
nullo il precedente matrimonio, poiché Enrico si era sposato ancora giovane con la vedova del
fratello, Caterina d'Aragona, una simile cognazione nella canonisti che medievale era un
impedimento assoluto al matrimonio, e da esso non era stato dispensato). Il Papa nega questa
dichiarazione di nullità. Tommaso Cranmer, filoluterano, diviene vescovo di Canterbury, e
dopo due riunioni del clero tra marzo e maggio del 1533 dichiara nullo il matrimonio tra
Caterina ed Enrico e valido quello tra Enrico ed Anna. E ciò fu il pretesto che offrì al re la
possibilità di rivendicare la sovranità regia sulla Chiesa d'Inghilterra contro ogni possibile
ingerenza, soprattutto se proveniente dall’esterno.
Immediatamente dopo la scomunica fece approvare dal Parlamento (1533) una serie di leggi
che compromettevano irrevocabilmente i legami con Roma e asservivano il clero inglese alla
corona, inoltre sciolse i monasteri, confiscò i beni della chiesa. Enrico VIII si autoproclamò
“capo della chiesa inglese” con l’Atto di supremazia (imposto all’Irlanda nel 1541) approvato dal
Parlamento inglese che lo indicava come unico e sulla terra più alto capo della Chiesa
d'Inghilterra. Il re chiese ai vescovi il giuramento all'atto di supremazia, pena la morte.
L’anglicanesimo divenne per il re un importante strumento di centralizzazione dei poteri,
seguita alla riforma della chiesa, con la quale il re si appropriò di un terzo di tutta la proprietà
terriera inglese. Questo esproprio risollevò le casse dello stato inglese dalle spese belliche
sostenute durante la “guerra dei cento anni” contro la Francia.
Lo scisma anglicano non incontrò in Inghilterra alcuna forte resistenza da parte ecclesiastica
(fanno eccezione alcuni religiosi). Le vittime più illustri furono nel 1535 il cancelliere Tommaso
Moro ed il vescovo Fisher

Enrico VIII tra protestantesimo ed ortodossia


Enrico VIII aveva assicurato al clero e a tutti i fedeli che nulla della tradizione cattolica
sarebbe stato modificato, a livello sia dogmatico che sacramentale.

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In effetti, nelle questioni dottrinali, Enrico VIII in contrasto con la sua linea di politica
ecclesiale e la sua condotta personale, fu dichiaratamente di tendenze conservatrici, rimanendo
fedele alla tradizione della Chiesa antica.
Contro lo scisma luterano, schierandosi contro le istanze dei protestanti, egli difese il
settenario dei sacramenti, ed ottenne per questo dal Papa il titolo di difensore della fede. Negli
articoli del 1539, egli sostenne alcuni principi: la dottrina della transustanziazione,
l'obbligatorietà dei voti religiosi, il celibato dei sacerdoti, la confessione privata e la comunione
sotto una specie come legge divina, egli sostenne la venerazione di Maria e dei santi, proibì la
lettura privata della Bibbia e la celebrazione della messa in lingua volgare.
Enrico VIII si muove così tra il Protestantesimo e l’ortodossia cattolica, ma rimane nel’animo
cattolico convinto. Il Re emana un Catechismo per la Chiesa Anglicana, è il cd. Libro del Re,
per il necessario indottrinamento del popolo, rivisto dal Re stesso, di orientamento cattolico con
spunti propri della riflessione teologica di Enrico.
Come detto, quando nel 1538 Enrico VIII venne scomunicato, non gli venne infatti
combinata nessuna condanna per eresia, c'è solo uno scisma.
Enrico non fu mai un protestante, ne un riformatore. Rimase sempre cattolico, anche se
scismatico, anche se nel conflitto con Roma, sopprime i conventi e concede benefici giuridici ai
protestanti per averne l’appoggio, ma non fu mai protestante, anche se a seguito dei suoi
interventi, il Protestantesimo si affermò sempre più in Inghilterra.
 Edoardo VI, figlio di Enrico VIII diffonde la riforma anglicana in tutta l'Inghilterra,
avvicinandosi di più al protestantesimo, evolvendo nei suoi contenuti e nelle sue teorie. Nel 1549
venne pubblicato un nuovo rituale, il Book of Common Prayer, e nelle successive edizioni si
chiarì sempre meglio la sua tendenza: non solo introduzione della liturgia in volgare, ma
soprattutto soppressione di ogni frase che alludesse al carattere sacrificale della Messa. Nel 1553
venne pubblicato un nuovo simbolo in 42 articoli, di tendenze calviniste per quanto riguardava
la dottrina eucaristica: era però mantenuta la gerarchia episcopale.
 A Edoardo VI succede la regina Maria, detta la cattolica che cercò di ripristinare in tutta
l'Inghilterra la fede antica e l'unità con Roma. era sempre rimasta fedele al cattolicesimo e, salita
al trono, volle restaurare l’antica fede, con l’appoggio del cugino card. Pole, noto per le sue
tendenze concilianti. Abbiamo tre atti fondamentali della sua politica religiosa:
1. vengono eliminate le leggi anticattoliche emanate fino ad allora.
2. viene ripristinato il culto cattolico
3. Nel novembre 1554, venti anni dopo l’Atto di supremazia, insieme al card Pole,
ricevette la sottomissione dell’Inghilterra al Papa.

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Maria non riuscì però a guadagnarsi il favore popolare. L’opposizione politico-religiosa
indusse la regina a misure estreme, ed in cinque anni di regno vennero condannate a morte circa
trecento protestanti, numero proporzionalmente superiore a quello delle vittime fatte poi da
Elisabetta nel suo quarantennio di governo. Tale primato gli valse il nome di Maria la
Sanguinaria.
 A Maria succedette Elisabetta I. Con la sua intronizzazione l'era cattolica in Inghilterra
venne definitivamente conclusa. La divisione con Roma divenne definitiva e non ci sarà più
alcun riavvicinamento. Nel 1570 Elisabetta venne personalmente scomunicata dal Papa. Con
Elisabetta l'anglicanesimo si avvicina definitivamente al protestantesimo, guidato
dall'arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer.
In questa funzione egli lavorò per schiudere al popolo la scrittura. Preparando le azionari in
lingua volgare non che rituali specifici egli diede vita a una ristrutturazione della liturgia. La
liturgia viene semplificata e viene data centralità alla parola. Sotto il determinante influsso di
Cranmer anche la dottrina della Chiesa inglese fu fissata ufficialmente. Nel 1553 egli preparò 43
articoli di fede, approvati dal Parlamento che diventano vincolanti per la Chiesa anglicana e
hanno un carattere confessionale. Essi introducono definitivamente il luteranesimo e si passa al
protestantesimo in modo definitivo.
Ad esempio, condivide con Lutero la giustificazione solo per fede.
Da questo momento in poi non si parla più solo di scisma, ma anche di eresia per la Chiesa
d'Inghilterra.
Cranmer promosse anche l'organizzazione interna della Chiesa con l'una nuova legislazione.
Nel 1551 prepara una raccolta di diritto canonico. Conferisce alla Chiesa una organizzazione e
amministrazione sinodale, che prevede la partecipazione dei laici al governo della Chiesa, e
come rappresentanti nei sinodi diocesani.
Cranmer stesso cercò anche l'unificazione delle chiese protestanti, persuaso di poter arrivare
ad un accordo con le più varie correnti della riforma protestante. Sono tutti tentativi di
comunione, ma mai col cattolicesimo.
L'orientamento ecumenico della Chiesa inglese fu vivo fin da allora, è connaturale
all'anglicanesimo, ponendosi la Chiesa anglicana come via media tra il protestantesimo e il
cattolicesimo.
Mentre la dottrina è da considerare secondo l'interpretazione prevalente della tradizione
protestante, vengono invece mantenute la liturgia tradizionale e la successione del ministero,
includendo anche il ministero episcopale, il ministero tripartito della Chiesa (vescovo, sacerdote
e diacono), e la linea della successione episcopale.

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La Chiesa anglicana non mostra una prospettiva monolitica, vi entrano a far parte correnti
molto diverse. Essa rappresenta una comunione ecclesiale molto elastica, comprensiva di una
diversità riconciliata. La comprehensiveness significa comprensività, ampiezza, varietà. Correnti
diverse e asserzioni dottrinali che si escludono vicendevolmente vengono raccolte in comunione
nella anglicanesimo, sotto varie correnti ecclesiali che essi comprendono come un'unica Chiesa.
Oggi tutte queste correnti vengono perlopiù designate sotto il nome di due orientamenti:
- evangelicali. È l’ala sinistra, quella dei riformatori. Qui la liturgia ha meno importanza,
prevale il ruolo missionario e della parola, c'è un più diffuso spirito liberale, le attività per
l'azione pratica e l'impegno sociale sono preferite sulle affermazioni teoriche. Danno molta
importanza alla prassi ecclesiale, poca importanza ha i dogmi.
- anglocattolici. È l’ala destra, quella dei conservatori, che preferiscono mantenere il legame
con la Chiesa antica, giocano in essa un ruolo importante il servizio liturgico, il ministero che fa
parte dell'essenza della Chiesa e l'ininterrotto legame con la Chiesa antica.
L'anglicanesimo ha mantenuto la tripartizione del ministero, tutte e due le ali lo riconoscono,
con un diverso valore: per gli uni è essenziale, per gli altri è pragmatico.
Come considerano gli anglicani le altre comunità protestanti che non hanno il ministero
episcopale?
Al riguardo la teologia anglicana ha sviluppato tre proposte.
Gli anglocattolici che dando rilievo alla Chiesa antica e curano la liturgia sostengono
l'opinione che il ministero episcopale appartiene all'essenza (esse) della Chiesa, le comunità
senza di esso non possono essere riconosciute come chiese nel pieno senso.
Un altro gruppo afferma che la struttura gerarchica appartiene alla pienezza della Chiesa
(plenum esse) e l'introduzione del ministero episcopale nelle chiese che ne sono sprovviste
diventa condizione per una comunione ecclesiale piena.
Un terzo gruppo, gli evangelicali vede nel ministero ordinato di diaconi, sacerdoti e vescovi,
solamente una sperimentata forma organizzativa della Chiesa (bene esse) per cui all'interno della
comunione anglicana non può rinunciarsi a ciò, ma tuttavia non può essere imposta ad altre
chiese.
In posizione critica verso il liberalismo è l'individualismo teologico che caratterizzavano l’ala
evangelicale della Chiesa anglicana, è nato il movimento di Oxford, chiamato trattarianesimo,
da i trattati da esso elaborati. Il maggiore esponente fu John Henry Newman. Newman è
anglocattolico, le sue posizioni si avvicinano molto al cattolicesimo, venne guardato con favore
da Roma, si inizia un ravvicinamento che ebbe termine con la conversione di Newman al
cattolicesimo, per il quale i suoi lo considerarono un traditore.

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Per influsso della Chiesa calvinista nascono alcune divisioni all'interno della anglicanesimo,
nascono comunità ecclesiali nuove che si sganciano fondando delle proprie tradizioni. Nasce nel
1624 una nuova esperienza ecclesiale con George Fox, la cd. comunità dei quaccheri, Società
degli amici, accentua il valore che dalla luce interiore del lettore nella interpretazione della
Bibbia. Quaccheri significa tremolanti, nello spirito che fa tremare con la sua forza interiore il
cristiano che si impegna nella lettura e nello studio della Bibbia. È lo spirito Santo che in questo
modo conduce i fedeli alla missione. In questo modo, tutte le strutture ecclesiali, il ministero,
l'autorità dottrinale, ma anche i sacramenti, perdevano il loro significato.
Nel 1790 ad opera di John Wesley nasce un nuovo movimento, quello dei metodisti, attenti
alla conversione interiore presa a criterio della vita cristiana, la decisione personale per Cristo.
Dio non era più una idea astratta, ma un Dio che si rivela continuamente, che interviene nel
mondo, che manda i fedeli alla missione.

Le conferenze e il quadrilatero di Lambeth.


La comunione anglicana, con la sua particolare molteplicità, si mostra come una piccola
ecumene. Come comunione anglicana essa rappresenta la comunione delle Chiesa anglicana, che
non riconoscono nessun potere centrale e nessuna autorità vincolante sopra le singole chiese che
ne fanno parte. L'unità viene qui pensata solo come comunione.
In questo modo non è un caso e da questa Chiesa siano usciti decisivi contributi per il
movimento ecumenico.
Questa comunione di Chiesa anglicana e cerca di stabilire tra di esse una forte comunione, ed
ebbero importanza le conferenze di Lambeth.
Sono una serie di conferenze che hanno luogo circa ogni 10 anni. Ciascuna di esse è una
pietra miliare per la prosecuzione della comunione anglicana, anche se dal punto di vista del
diritto i documenti che vengono elaborati non hanno nessun valore vincolante per le singole
chiese ma sono solo di indirizzo.
La prima è del 1867 per un confronto comune. In essa si cercano di chiarire le diversità.
La più importante è quella del 1888, ci si apre a una visione ecumenica, ci si rende conto
dell'unità delle Chiesa anglicana, non solo comunione di Chiesa anglicana, ma comunione con
altre chiese. Questa conferenza fisso i quattro punti che sembravano necessarie sufficienti per
l'unità della Chiesa ecumenica che servissero come base per trattative di unione: il cosiddetto
quadrilatero di Lambeth. Con tutte le chiese che riconoscono questi quattro punti la comunione
anglicana si riconosce unita, con esse può esserci una unione:

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- La sacra scrittura. Contiene le indicazioni essenziali per la salvezza. Non dice tutto, lascia
spazio a verità contenute nella tradizione orale (la posizione di Tommaso) che avrebbero
rivelanza secondaria per la salvezza.
- Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, come riassunto sufficiente della fede cristiana.
- I sacramenti istituiti da Dio sono il battesimo e la santa cena.
- Ministero. Il ministero episcopale è riconosciuto da tutte le parti della Chiesa come portatore
della pienezza del mandato di Cristo e della sua autorità. Esso ha valore storico e va adattato alle
comunità locali (è un punto molto problematico: può anche non esserci? Può esserci o deve
esserci, ma il suo esercizio può essere adeguato alle situazioni?)

Le attività ecumeniche.
Per la sua connessione tra dottrina riformatrice e struttura episcopale, l'anglicanesimo per
natura e adatto ad ad adempiere ad una funzione di ponte tra le chiese. La Chiesa anglicana si
comprende come via Maria tra Roma e i riformatori.
La comunione anglicana non si considera come l'unica vera Chiesa e non contesta affatto alle
altre chiese il loro carattere ecclesiale, considerandole tutte famiglie di chiese all'interno
dell'universale Chiesa di Cristo.
Le varie chiese sono come i rami di un unico albero, essendo nate tutte dalla radice dell'antica
chiesa. La molteplicità dei rami non contraddice l'unità dell'albero. La pluralità e la
differenziazione persino in punti essenziali non distruggono l'unità della Chiesa. C'è molta
elasticità, possibilità di ammettere diversi modi ecclesiali e pertanto la Chiesa anglicana si presta
molto al dialogo ecumenico. Questo è un'attività sempre rilevante.

LE CHIESE LIBERE.
Con il concetto di chiese libere viene raggruppato un certo numero di comunità che in Europa
per lo più sono piccole dal punto di vista numerico. Sono chiese e comunità strutturate in modo
molto diverso. Tale denominazione è appropriata per chiarire alcune caratteristiche che sono loro
comuni.
Le chiese libere si comprendono perlopiù come comunità. Sono molto diverse tra loro. Tutte
però si sentono la vera eredità della riforma, riconoscono che la loro origine si trova soprattutto
nelle correnti radicali di sinistra protestante, cioè nei movimenti battisti.
Condizione fondamentale è che la fede cristiana nel Dio trinitario e la liturgia sono graditi a
Dio solamente se sono libere, cioè senza costrizioni. Ritengono che le scelte di fede sono
personali, la libera decisione dell'individuo e ciò che conta. Di contro, le altre chiese della
riforma impongono molte il pedobattesimo.
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Loro comune denominatore è quindi il fatto che non riconoscono il battesimo dei bambini.
Solo per gli adulti che hanno fatto una scelta libera, ci può essere vera fede e vero battesimo.
Questa è una prospettiva che vede interessati anche alcuni cattolici che la pensano così.
La libertà che caratterizza queste chiese e che esse reclamano si concretizza comunque in
modi diversi.
Molte di esse rifiutano il potere ecclesiale statale di stabilire quale sia la pena fede e la liturgia
ortodossa.
Le chiese libere sono chiese di minoranze, chiese che nascono da una decisione libera
cosciente del cristiano convertito, esse rifiutano il principio delle chiese popolari e delle chiese
che si procurano nuovi membri battezzando i neonati.
Essa si considerano come un fenomeno eccezionale, solo per pochi, e dunque la comunità dei
cristiani la comunità civile nella storia non coincidono mai.
Il concetto di Chiesa libera indica quindi prima di tutto il principio della libera volontà.
Si diventa membri di una Chiesa libera non per nascita, ma per personale convinzione, con
una autonoma decisione di fede. Una decisione di fede può solo trovare compimento dell'età
adulta.
La libertà si concretizza poi soprattutto nell'indipendenza di fronte allo stato. In questa
tradizione le chiese libere si pongono in modo critico di fronte a qualsiasi legame tra trono ed
altare, tra chiese società.
In tal modo la Chiesa libera è la controfigura della Chiesa nazionale, della Chiesa di Stato.
Questo è uno degli aspetti positivi: indipendenza della Chiesa di fronte allo stato, che non può
imporre una religione nel proprio territorio.
Ancora, l'aggettivo libere si può riferire ad una indipendenza nei confronti delle dottrine
dogmatiche e degli scritti confessionali. La religiosità va vissuta in modo individuale, come
esperienza vissuta, nell'incontro del singolo con il messaggio del nuovo testamento è con il
signore Gesù Cristo. La testimonianza piena dello spirito di fronte all'opinione pubblica sono
allora predominanti nei confronti di asserzioni dottrinali vincolanti. La fede deve prendere
soprattutto il cuore di ogni singola, nasce nell'intimo, non è quindi compresa nel senso di un
assenso intellettuale. Anche per questo, il ministero va liberalizzato, è visto in funzione di guida
della comunità.
Hanno molto vivo il senso della missione, della evangelizzazione. Anche noi siamo da loro
visti come soggetti da evangelizzare, perché battezzati anche noi da bambini, e quindi non
veramente convertiti alla fede.

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Nelle loro strutture le chiese libere sono per natura molto diverse. Generalmente la Chiesa
viene qui compresa come comunità locale, che è indipendente nella propria organizzazione e
nella propria confessione di fede. Vi sono riconosciute delle strutture sopra ordinate, per motivi
di utilità. Così le comunità locali che si autogestiscono si riconoscono in comunione l'una con
l'altra, senza che da questa unità possa scaturire un legame vincolante per le singole comunità.
Ci sono avvolte nelle comunità locali strutture ministeriali ufficiali, più per motivi di utilità e
di guida, che per necessità teologica. Carismi che operano in modo libero e parità di tutti i veri
fedeli determinano la struttura delle singole comunità locali, non tanto un ministero dotato di
autorità.
La disciplina interna è garantita da una struttura sinodale, alla quale tutti partecipano,
ministeri e laici.
Anche sul piano liturgico c'è molta libertà, essa deve essere piena espressione libera del
fedele.
In questi termini, il dialogo ecumenico diventa difficile. Anche con gli stessi luterani.
Manca l'idea, nelle chiese libere, di una Chiesa universale. Ciò che loro interessa e mantenere
l'ordine all'interno della comunità libera locale, tutto si risolve all'loro interno, senza alcuna
prospettiva ecumenica.
Abbiamo diverse tipologie di chiese libere:
Mennoniti, da Menno Simons, , nati nel 1499, le loro principali richieste sono il battesimo degli
adulti, il rifiuto del servizio militare e del giuramento allo Stato.
Battisti, hanno le loro radici nel puritanesimo inglese, si sviluppano come comunità dei santi che
si agonizzano indipendentemente dalla società nella vita fraterna, ciò che li unisce è il battesimo
degli adulti, e la rigorosa educazione dei bambini e dei giovani.
Metodisti, nati come critica alla Chiesa di Stato inglese che hanno trovato negli Usa la sua
diffusione. Per essi la giustificazione deve portare frutti di una vita santa, che vede il
coinvolgimento personale e il l'impegno sociale. Essi però ammettono il battesimo dei bambini,
la Chiesa loro ha una costituzione episcopale. Come tutte le chiese libere però non ha alcuna
pretesa di assolutezza.
I problemi principali nei confronti delle confessioni tradizionali sono nell'ambito
dell'ecclesiologia: essi rifiutano ogni sorta di Chiesa popolare e il riconoscimento del battesimo
dei bambini. Generalmente l'esperienza individuale è ciò che conta, l'aspetto personalistico
dell'esperienza di fede e di testimonianza della stessa, è più importante di ogni altra struttura o
asserzione ufficiale della Chiesa. L'esperienza di conversione e l'effusione dello spirito su ogni
singolo adulto si trovano talmente al centro che le discussioni sulla Chiesa e su un ministero
autoritativo passano decisamente in secondo piano.
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Il riconoscimento di asserzioni vincolanti o formularsi solo a fatica l'interno di queste comunità,
la libertà personale domina nei confronti della confessione di fede. Tutte queste chiese si
mostrano piuttosto scettiche nei confronti del consiglio ecumenico delle chiese CEC, poiché è
loro convinzione che nelle varie chiese popolari che fanno parte del CEC si sono fatto spazio
persone che non credono di cuore a Cristo, e che quindi non fanno veramente parte della Chiesa.

LA CHIESA VETEROCATTOLICA
La Chiesa veterocattolica è nata in reazione ai dogmi del concilio Vaticano I del 1870 sul
primato universale e l'infallibilità del papa..
Il contesto sociale ecclesiale in cui si svolse il concilio Vaticano del 1870 necessitava di una
reazione e di un rafforzamento dell'autorità ecclesiale di fronte a i mali della moderna società.
L'individualismo, il liberalismo, il desiderio ardente di libertà, e quindi l'ordinamento
democratico che ne seguiva nei nascenti Stati nazionali non si poteva ormai più impedire,
almeno nella Chiesa si doveva preservare l'ordinamento tradizionale monarchico, che si riteneva
voluto da Dio. L'infallibilità del papa e la sua supremazia universale servivano a questi scopi per
i cattolici.
Nel concilio, vengono formulati questi dogmi, anche se l'infallibilità venne associata a varie
condizioni. Tuttavia anche la definizione approvata che riduceva l'infallibilità illimitata, ha
trovato aspre critiche, sia all'interno del concilio che fuori, soprattutto dai padri di area tedesca,
mentre quasi tutti gli italiani si mostrarono favorevoli.
Alcuni padri si allontanarono dal concilio. Tra di essi il vescovo di Monaco Dollinger, che
vide nella formulazione del concilio messa in questione è distrutta per sempre dalla decisione del
concilio la vecchia impostazione della Chiesa. Il primato universale del Papa, secondo la sua
convinzione, sminuiva i vescovi nella posizione da loro avuta nel corso dei secoli e mai a loro
negata fin dall'antichità della Chiesa. Ore il Papa era diventato direttamente vescovo di ogni
singola diocesi. Ogni vescovo in realtà aveva ceduto al Papa ora regnante in modo assoluto tutti i
diritti che distinguono il ministero episcopale.
Veniva perso definitivamente il legame con la Chiesa antica degli apostoli.
Veniva così ribaltata la struttura fondativa della Chiesa antica voluta da Cristo.
L'infallibilità rappresenterebbe così una rottura radicale con la tradizione apostolica.
Con questo, la critica di Dollinger assumeva carattere dogmatico. Nell'aprile del 1871 e gli
venne scomunicato.

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Ai suoi sostenitori furono negati i sacramenti. I sacerdoti scomunicati, suoi sostenitori, non
poterono far altro che prestare a coloro che glieli chiedevano i servizi pastorali che la Chiesa
vaticana negava loro. Nell'arco di pochi anni da questa situazione di emergenza sorsero delle
comunità con una propria cura pastorale e propri ministri.
La divisione viene sancita definitivamente. Contro di essa comunque Dollinger protestò,
poiché non voleva dividere la Chiesa. Comunque il movimento andò oltre lo stato di necessità.
Il movimento veterocattolico promosse nel giro di pochi anni dopo la scomunica dei suoi
rappresentanti, una propria pastorale ordinaria inserita nel territorio con proprie comunità, e
cercò di collegarsi alla successione apostolica dotandosi di un vescovo, ordinato da un vescovo
di una Chiesa separata da Roma. Questa ordinazione è considerata dalla Chiesa romana valida,
anche se illecita.
Nel 1889 la Chiesa veterocattolica con varie altre chiese a costituzione episcopale al di fuori
dell'obbedienza romana si associò nell'unione di Utrecht.
L'idea di fondo della Chiesa veterocattolica è prima di tutto di conto il mare ininterrottamente
l'ordinamento e nella fedeltà alla dottrina della Chiesa antica, quindi di essere cattolica, ma con
l'eliminazione degli errori che hanno deturpato la Chiesa romana nel corso dei secoli.
Per molte cose i veterocattolici si sono avvicinati a ortodossi e anglicani.
Si rifiuta l'infallibilità del papa, la riscossione di stipendi per la celebrazione della messa, le
indulgenze, gli eccessi nella venerazione dei santi.
Anche per quanto riguarda il celibato dei ministri, esso venne condizionato ad una libera
decisione del singolo. In seguito è stato abolito del tutto accadde così che il clero della Chiesa
veterocattolica è perlopiù formato da sacerdoti che hanno lasciato la Chiesa cattolica romana a
causa dell'obbligo del celibato.
Per i veterocattolici , riconoscendo una Chiesa universale, l'idea dell'unità dei cristiani fu
costitutiva fin dall'inizio. Essi vogliono rimanere fedeli alla dottrina e all'ordinamento ecclesiale
della Chiesa antica, essi riconoscono in comunione con tutte le chiese che si sentono vincolati a
questo stesso fondamento. Soprattutto con gli ortodossi e le comunità anglicana comincia un
fervido riscontro, nelle conferenze tenute a Bonn nel 1874 e nel 1875. Ci fu un ampio consenso
sulla dottrina alla struttura della Chiesa antica e anche sulle questioni dogmatiche del filioque.
Eppure le chiese ortodosse si ritirarono quando videro che la comunità era destinata a
rimanere un piccolo gruppo.
Le riforme della Chiesa cattolica romana in occasione del concilio Vaticano secondo
corrispondono largamente alle istanze portate avanti dalle comunità veterocattoliche, pertanto si
ha attuato un riavvicinamento. Si aprono nuovi punti di dialogo con queste chiese.
Il concilio riafferma il ruolo dei vescovi nelle loro diocesi.
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Parla di porzione della Chiesa universale presente nella Chiesa locale.
Il problema che impedisce ai cattolici romani di avvicinarsi alle prospettive dei veterocattolici
non è di natura teologica, ma organizzativa, compreso il celibato e le ordinazioni delle donne.

TENTATIVI DI APERTURE ECUMENICHE.


LA CONCORDIA DI LEUENBERG

I tentativi di dialogo ecumenico sono sempre stati tanti. Di fondo c'è il desiderio di comunione
che non si è mai assopito tra le chiese e le comunità cristiane.
In ambiente protestante questo è stato un dato fondamentale, e si è quantomeno cercato
all'interno dell'ecumenismo protestante quale principio di unione all'interno del loro universo.
Il garante teologico di questi tentativi ecumenici fu Schleiermacher, nel 1821 scrisse che
secondo la sua opinione, sembrava non esserci alcuna barriera dogmatica tra le varie comunità
ecclesiali. Egli cercò di formulare la sua dogmatica in modo indipendente dalle diversità
confessionali.
Sulla base dogmatica qui stabilita, nel corso del 19º secolo furono concluse alcune unioni tra
luterani riformati, nelle quali le differenze confessionali furono superate condividendo vita di
fede e organizzazione. Si cercò di raggiungere forme di comunione sul piano almeno
amministrativo, pur mantenendo ognuna la propria confessione di fede, nello spirito della
moderazione della mitezza si potevano tollerare le differenze esistenti.
Sono unioni che guardano alle decisioni politiche riguardanti il territorio, quindi non da
ultimo vennero concluse sulla base di un calcolo politico.
I problemi più gravi rimangono sui temi della giustificazione, della predestinazione e la santa
cena.
Anche su questo si cercarono dei punti di convergenza.
Dal 1963 all'interno del CEC sono stati condotti dialoghi a livello europeo alle chiese luterane
e riformate che dovevano fornire un fondamento anche teologico alla crescita di questa
comunione.
L'obiettivo fondamentale da raggiungere era la comunione nella predicazione. Ci si accordò di
contentarsi di un consenso nella comprensione del dato dogmatico e sacramentale, e tollerare le
differenze nelle altre questioni. Era imprescindibile la celebrazione dei sacramenti così come
istituiti da Cristo e la fedeltà a quelle che sono le parole i gesti di Gesù nel nuovo testamento.
Ciò era sufficiente alla vera unità delle chiese. Le differenti tradizioni ecclesiali potevano essere
mantenute e non erano necessarie a questo scopo. Ciò che era secondario poteva quindi essere
adattato.

71
In questo clima, con questa moderazione fu possibile stabilire sul monte Leuenberg nel 1971
e nel 1973 una concordia delle chiese della riforma in Europa.
Questo testo traccia l'orizzonte all'interno del quale si è reso possibile la comunione delle
chiese della riforma. Vengono fissati alcuni punti specifici:
La comune origine nella riforma, presupposti diversi nella storia e comuni sfide nel presente.
Si delinea la comunione nella comprensione del Vangelo, cioè nella dottrina della giustificazione
e nella celebrazione dei sacramenti, cioè nel battesimo e nella santa cena, gli unici due
sacramenti riconosciuti. Si lavora con il Vangelo in mano per una comprensione del dato
scritturistico, si attinge direttamente alla fonte. Si guarda indietro alle divisioni, a ciò che ha
portato ad esse alle scomuniche reciproche lanciate che non corrispondono più all'odierna
situazione delle chiese della concordia. Altro punto fondamentale della concordia è il fatto che
vengono riconosciute le varie tradizioni che vedono notevoli diversità sia nella dottrina e nella
struttura della liturgia, e si afferma che queste differenze nelle comunità sono sentite come
importanti esse sono differenze e non possono essere viste come fattori di divisioni.
Su questa base le chiese vogliono ora collaborare nella testimonianze nel servizio, nella
predicazione. Si include il reciproco riconoscimento dell'ordinazione e della predicazione.
Si doveva così evitare che si realizzasse un ecumenismo solamente attraverso la riflessione
sul passato. Si doveva invece far sì che le chiese potessero ora affrontare insieme le sfide del
tempo della società.
Questo testo fu sottoposto alle chiese della riforma in Europa con la richiesta di esprimere il
loro consenso e di aderirvi. Nel 1994 si riunirono i rappresentanti di 65 chiese che avevano
aderito alla concordia ed accettarono quindi la comunione ecclesiale.
La concordia diventa così il modello del lavoro ecumenico degli anni successivi è importante
il modello che è stato sviluppato. Non si è tentato di formulare una nuova confessione comune
accettato da tutte le parti in causa. Nemmeno si sono mutate le confessioni di fede. Piuttosto si
sono voluti salvaguardare i due principi fondamentali con i quali noi oggi guardiamo la nostra
dottrina:
1. principio di diversità riconciliata: attraverso il confronto e il dialogo, il reciproco
riconoscimento, l'accoglienza reciproca.
2. La gerarchia delle verità: occorre fare discernimento, per capire cosa dobbiamo lasciare
cosa professare insieme.

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LA DICHIARAZIONE DI CONVERGENZA SU BATTESIMO, EUCARISTIA, E MINISTERO.
Un altro tentativo di aperture ecumeniche sorse all'interno della commissione Fede e
Costituzione. Nel 1982 viene approvato al Lima un documento al quale collaborarono tutte le
tradizione ecclesiali rappresentate nel CEC, circa 300 chiese.
Il testo è una dichiarazione di convergenza sui temi del battesimo, dell'eucaristia e del
ministero, che per le chiese riformate sono gli unici sacramenti.
Vengono riprese numerose acquisizioni dei dialoghi bilaterali. Vi partecipano gli ortodossi,
gli anglicani, i riformati, vi partecipa anche Kasper.
Vengono così trattati i temi sui quali si era rotta l'unità delle chiese e per secoli la separazione
si era mostrata inevitabile.
I punti controversi sui sacramenti sono risolti con un rimando alla Chiesa primitiva, al suo
ordinamento e alle sue decisioni dottrinali, considerando normative le decisioni da essa prese.
Viene fatto proprio così il punto di vista della tradizione ortodossa per la quale una unificazione
può avvenire solamente sulla base della Chiesa primitiva.
Questo dato vedeva più favorevole le chiese ortodosse, la Chiesa anglicana nella Chiesa
cattolica, trovò qualche resistenza nella Chiesa della riforma e nelle chiese libere.
Al Lima, oltre al testo di convergenza, fu abbozzata anche la liturgia di Lima, un rituale per la
celebrazione della cena del Signore che mettesse tutti d'accordo. La comunione formulata
teologicamente poteva quindi essere tradotta anche nella prassi liturgica. Fu così possibile
parlare di comunione è al tempo stesso renderla visibile nella celebrazione liturgica e realizzarla
praticamente.
Il documento di Lima e il testo ecumenico più fecondo che mai sia stato scritto, sul quale le
chiese in gran numero si sono espresse e confrontate.
Non ne sono state dedotte però conseguenze ufficiali. Lima è stata un'apertura del processo
teologico di avvicinamento e nel superamento delle controversie ma rimase mancante di
conseguenze sul piano ecclesiale.

IL PIANO FRIES-RAHNER.

Questi due teologi nel 1983 hanno presentato un piano per l'unificazione delle chiese, poiché
vedevano la mancanza di conseguenze sul piano ecclesiale dei consensi al livello teologico.
Essi si propongono di tenere conto dei risultati raggiunti a Lima per realizzare una
unificazione delle chiese che tenesse conto del ruolo della Chiesa primitiva.
Rimaneva però da stabilire quale pluralità è possibile tra le chiese che fanno parte di una
Chiesa unita.
Era questo il problema sul quale occorreva confrontarsi.
73
Tutte le chiese ammettevano una pluralità al loro interno. Quindi ci si chiede di partire dalla
domanda: fino a che punto accettare la pluralità? Nel rispondere a questa domanda, i due teologi,
nelle loro otto tesi sull'unificazione della cristianità, dissero chiaramente che era possibile una
comunione delle chiese solamente sulla base della comune fede: le verità fondamentali del
cristianesimo, espresse nella sacra scrittura, nel simbolo apostolico e niceno-costantinopolitano,
sono vincolanti per tutte le chiese parti dell'unica Chiesa futura.
La base della comunione ecclesiale è quindi la scrittura e la fede della Chiesa antica.
A partire da questo fondamento comune si può costruire una vera unità tenendo presente un
altro principio: tutto ciò che nelle altre chiese cristiane e accolto e non è in contrasto col dato
biblico, può essere accettato da tutte le altre chiese.
Anche se questo dato, affermato da altre chiese, non lo si accoglie nella propria Chiesa, non
per questo esso deve diventare fattore di divisione se è ammesso nell'altra Chiesa. Questa regola
fondamentale dovrebbe trovare applicazione nella relazione tra le chiese. Per una unificazione
non si può richiedere che tutti i partner formulino la fede insieme, né che ogni Chiesa particolare
accetti in modo positivo tutte le affermazioni di fede delle altre chiese particolari, elle dichiari
esplicitamente per sé accettabili. Fanno parte del patrimonio di quella Chiesa, se in accordo al
dato biblico, e pertanto non possono diventare fattore di divisione. Ho cioè bastare che ogni parte
si astenga da un giudizio negativo sulle affermazioni di fede delle altre confessioni.
I due teologi parlano al riguardo di un principio di astensione dal giudizio. Ciò basta per fare
spazio alla comunione.
È necessario riconoscere che la prassi propria di una confessione non è contraria al Vangelo e
per questo non può essere giudicata e rifiutata. Questo è certamente un giudizio e questo giudizio
e anche presupposto perché sia possibile una unificazione.
La tesi di fondo è che una unificazione non richiede affatto un consenso globale, che la
comunione delle chiese è possibile pur nel permanere delle differenze e che una convergenza
sugli articoli fondamentali della fede è necessaria e sufficiente per una unificazione delle chiese
cristiane.
A ben vedere, qui troviamo affermato il principio del concilio Vaticano secondo sulla
gerarchia delle verità, in base al quale è possibile una unificazione nelle verità centrali della
fede, anche se permangono ulteriori differenze, essendo sufficiente riuscire a raggiungere un
accordo nelle realtà centrali dell'annuncio cristiano ed accettare le differenze nelle altre questioni
di fede. È sottesa qui l'idea di una comunione dinamica che vuole sostituire quella di una unità
statica.

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Siamo di fronte quindi alla prospettiva della cosiddetta diversità riconciliata.
Il concetto di diversità riconciliata e teso a non sacrificare le identità confessionali e le forme
di pietà storiche delle singole comunità ecclesiali, a favore di unioni organiche ancora da
costituire, preservando le particolarità tradizionali, riconciliandole, però, le une con le altre.
Le diversità perciò non sono né cancellatene semplicemente conservate e mantenute invariate.
Piuttosto esse devono perdere il loro carattere di divisione.
La diversità riconciliata non significa pura coesistenza.
Alla riconciliazione appartengono il reciproco riconoscimento del battesimo e dei ministeri
ecclesiali, la realizzazione della comunione eucaristica e l'unità nella testimonianza e nel
servizio. Invece non si richiede che le chiese si unifichi no anche dal punto di vista
dell'organizzazione e della struttura, che tradizioni consolidate siano del tutto abolite e che si
costituisca una istituzione e struttura unitaria.
L'unità deve risultare dal fatto che le confessioni oggi esistenti superano gli ostacoli che le
dividono, revocano le loro reciproche condanne si riconoscono reciprocamente, non però perché
esse svaniscono in unità da costruire dal niente.
Così complesse, le chiese confessionali appaiono come forme dell’ecumene, come forme di
vita della comunione ecumenica, non sono in opposizione, ma sono portatrici e promotrici di una
pluralità vivente che rappresenta non un'opposizione all'unità ma il carattere variegato dell'unità
stessa.

I PROBLEMI TEOLOGICI DI FONDO


i problemi della controversia teologica tradizionale non riguardano i temi intorno ai quali si
fissa il centro della fede cristiana. Le chiese si trovano d'accordo sul centro del loro messaggio di
fede. Tutti confessano un'unica sacra scrittura, sono ampiamente unanimi nel ritenere vincolante
la Chiesa dei primi secoli, cioè la Chiesa indivisa dei martiri e dei confessori, prima dei concili, e
riconoscono i dogmi dei concili svolti dalla Chiesa antica.
Non ci sono motivi gravi di divisione da rendere impossibile la riconciliazione, le divisioni
nascono su fattori secondari, basterebbe poco per trovarvi convergenza.
I problemi tra le chiese non si muovono al livello del dato di fede, ma nella mediazione
ecclesiale. I problemi quindi sono di ordine ecclesiologico, non sul dato da credere, ma sulla
mediazione, sulla capacità di condurre i fedeli a Cristo, contestandosi reciprocamente di
comunicare la salvezza, di aprire all'umanità la via verso Cristo e dimostrare la retta via, quindi
di essere la vera Chiesa di Gesù Cristo. Dalla questione della vera Chiesa nacque il dissidio, ed
ogni uno volle fondare la propria pretesa e il proprio diritto ad essere la vera Chiesa.
Il nocciolo del problema ruota attorno all'autorità nella Chiesa: chi la esercita?
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I grandi temi della dottrina su Dio in Gesù Cristo avevano trovato risposta nella prima epoca
cristiana, non vennero quindi poste in questione ne dallo scisma tra oriente Occidente né al
tempo della riforma. Le questioni controverse sono altre, sono le questioni della mediazione,
dell'ecclesiologia, e della connessa dottrina sacramentaria, nate in quel tempo ed ancora aperte.
I problemi ecumenici si trovano quindi di conseguenza, soprattutto nell'ambito della dottrina
sacramentario e dell'ecclesiologia.

LA SCRITTURA, LA TRADIZIONE E LE TRADIZIONI.

Tutte le chiese cristiane fanno riferimento Gesù Cristo, come testimoniato nella sacra
scrittura. Essa è per tutti norma della fede e dell'azione, e viene considerata da tutte le chiese
ispirata dallo spirito Santo è parola di Dio.
E già dal dato biblico si evince che nel nuovo testamento abbiamo diversi modelli di Chiesa
differenti tra di loro, ma non contrastanti: Chiesa giovannea, chiesa Paolina, Chiesa pietrina,
Chiesa della diaspora, Chiesa gerosolomitana….. Partendo quindi dal dato biblico che non dà
alcuna uniformità delle chiese, va rivisto il confronto tra le chiese e risulta corretto il metodo
proposto da Rahner. Non occorre rivedere le prassi ecclesiali delle varie chiese, che nella loro
diversità costituiscono anzi una ricchezza, ma capire che il nuovo testamento ci offre diverse
forme modelli di chiese, e che non c'è una struttura unitaria di Chiesa. Il fatto stesso che ognuna
delle chiese si appelli alla scrittura per auto legittimarsi, si lega al fatto che il dato biblico si
presta a varietà di strutture ecclesiali. Se quindi ce conformità al dato biblico non c'è diritto di
rifiutare la diversità. Il problema invece sorgeva poiché ognuna di queste chiese si sentiva la
Chiesa autentica, ponendosi in contrasto con ogni altra forma di Chiesa.
Per quanto riguarda la interpretazione della scrittura, la Chiesa della riforma porta avanti
un'interpretazione quasi letterale del dato biblico, rifiuta la plurisemia della scrittura e i metodi
scientifici, il metodo storico-critico. Per Lutero la scrittura basta a se stessa, in quanto ispirata da
Dio, la verità è accolta nella fede, attraverso la predicazione (ma già la predicazione e una
tradizione, traduzione, del dato scritturistico).
Diversamente che per la sacra scrittura, le grandi dispute dell'epoca della riforma ruotavano
sempre e soprattutto attorno alla questione in che aspetto la dottrina e la prassi della Chiesa
antica si erano mantenute invariate e dove tardive invenzioni umane le avevano rimosse. I
riformatori non erano affatto contro la tradizione della Chiesa dei primi secoli, che si è
mantenuta fedele al dato biblico. Essi si mossero contro le tradizioni in contrasto rispetto a chiare
affermazioni della scrittura, cercarono di ristabilire la tradizione della Chiesa antica.
Il fatto poi che per i riformatori ogni fedele è in grado di cogliere il senso della scrittura,
poneva dei problemi di ordine pubblico. Di fronte ai disordini che la sua libera interpretazione
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provocava anche tra i riformatori, il concilio di Trento ha sottolineato l'importanza della
tradizione, che non è solo la tradizione della Chiesa antica, ma anche la tradizione viva della
Chiesa che opera nella storia. Anche questa deve essere considerata fonte della rivelazione.
Il concilio da alla scrittura un posto primario, ma essa non può essere pensata senza la
tradizione.
La parola di Dio è giunta a noi in libri scritti e tradizioni non scritte, ciò corrisponde anche
all'interpretazione ortodossa.
Ma su questo dato sia i cattolici sia gli ortodossi concordavano. Mentre però l'ortodossia fissa
la tradizione, almeno in via di principio, nella dottrina e nell'ordinamento della Chiesa antica e
considera vincolante la confessione di fede e l'ordinamento ecclesiale dei primi secoli, da parte
cattolica la tradizione è stata legata strettamente al ministero magisteri al punto di fondo c'è
quindi una profonda differenza di intendere la tradizione.
Dopo Trento si finì per sottolineare solo l'importanza del magistero, come forma indiretta
della rivelazione, in ambito cattolico. Il punto centrale dell'argomentazione cattolica si trovava
comunque nella difesa della tradizione manoscritta. Siamo di fronte ad una prospettiva giuridico-
istituzionale della tradizione. Questo ha portato alla dottrina della reciproca esclusività: quanto si
trova nella scrittura non si trova nella tradizione, quanto la tradizione contiene non c'è nella
scrittura. In ecclesiologia infatti parliamo di tradizione in senso ampio che comprende scritture
tradizione orale, è tradizione in senso stretto che fa riferimento alle verità rivelate che non sono
contenute nel testo scritto. Trento afferma questo, e questo dato lo ritroviamo anche al Vaticano
primo è Vaticano secondo
Nella teologia della riforma, al contrario, la tradizione è stata messa in strettissima relazione
ad una invenzione umana. La scrittura è stata considerata l'unico canale della parola di Dio,
testimone di quanto è originario, genuino, fondante, la tradizione invece come invenzione
posteriore. Poiché la scrittura era considerata sufficiente per la fede, contiene la rivelazione nella
sua totalità, non ci può essere una tradizione integrativa. Questo contrasto si è rafforzato quando
la Chiesa cattolica nella proclamazione dei due ultimi dogmi Mariani (1854 nel 1950) in
mancanza di testimonianze scritte turistiche dirette si richiamano alla tradizione come fonte della
rivelazione.
Negli anni immediatamente precedenti il concilio Vaticano II, fu chiaro a tutti, a prescindere
da qualsiasi atteggiamento controversistico che avrebbe potuto guidare il concilio di Trento, che
la scrittura stessa e il sedimento della predicazione, cioè della tradizione orale, e che quindi la
tradizione c'era già prima della scrittura.
La tradizione, così compresa è un processo che inizia già prima della scrittura e che ha reso
possibile la fissazione del canone delle scritture.
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La scrittura è nella tradizione, è a sua volta generato tradizione come evento della
predicazione: la sacra tradizione e la sacra scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e
comunicanti, ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente e tendono allo stesso fine.
Occorre comunque distinguere tra Tradizione con la T maiuscola e tradizioni con la t
minuscola. È la tesi di Congar sulla Tradizione. Ferma restando la Tradizione, sul piano
ecumenico possiamo lasciare che le tradizioni facciano il loro corso. Il problema sta nel
salvaguardare i principi fondamentali, lasciando che questi principi vadano scanditi e incarnati
dalle varie culture, dalle varie chiese.

LA DOTTRINA SUI SACRAMENTI


REALTÀ COMUNI E DIFFERENZE NELLA COMPRENSIONE DEL BATTESIMO.

Già il nuovo testamento descrive la realtà del battesimo con una pluralità di immagine di
concetti. C'è convergenza tra le varie realtà ecclesiali su molti punti di questo sacramento.
Anzitutto sulla realtà del sacramento, fondato da Cristo. Tutte sono d'accordo nel riconoscerlo
legittimo, c'è convergenza su molti punti, sui quali le grandi confessioni si trovano d'accordo: il
battesimo visto come perdono dei peccati, libera dal peccato originale, ci dona lo spirito Santo, è
visto come un sentimento che permette l'ingresso nella comunità dei credenti, per mezzo del
quale i battezzati sono inseriti nel popolo di Dio.
Se pur ci sono differenze confessionali nella dottrina sul battesimo, comunque esse, a
differenza di quelle sulla santa cena, non furono occasione di separazione tra le chiese.
Le controversie e le divergenze tra le chiese antiche e le chiese della riforma riguardano la
dottrina del battesimo in quanto riguardano la dottrina sacramentale in genere: il problema
dell'efficacia ex opere operato.
Il battesimo agisce automaticamente su di noi? È necessario sceglierlo nella fede? È un
problema questo che riguarda invero tutti i sacramenti.
Questo problema si lega il problema del battesimo dei bambini.
Grosse divergenze, fino a porre in discussione la validità del battesimo, si hanno solamente
con una frangia dei protestanti, "i battisti", che non riconoscono il nostro battesimo in quanto
rifiutano il battesimo dei bambini perché lo considerano un valido ed accettano solamente il
battesimo degli adulti: l'adulto deve scegliere liberamente con consapevolezza del battesimo,
presupposto del battesimo e la fede personale del battezzando.
Il problema quindi si sposta sul battesimo dei bambini, che vede accomunate le tre
confessioni maggiori (cattolici, protestanti, orientali) che invece lo praticano.
Il documento più importante in questo contesto è il documento di Lima.
In discussione si trova qui la relazione tra battesimo la fede.
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Battesimo la fede sono strettamente legati l'uno con l'altro: il battesimo e la confessione di
Gesù Cristo, la fede si esprime definitivamente nel segno del battesimo.
La sacra scrittura, il dato biblico, fonda entrambe le posizioni, non è dirimente della relazione
tra fede battesimo che si può esprimere in tre modelli:
- prima di tutto è la fede che conduce al battesimo, nel battesimo essa trova la sua espressione
più profonda; la fede quindi precede il battesimo è conduce adesso; accolto il messaggio
evangelico si decide se aderire o no.
- La fede è la conseguenza del battesimo; il battesimo in questo caso è espressione sintetica
del complesso cammino del diventare cristiani, che non è mai concluso; il battesimo segna
l'inizio di un cammino di fede.
- Battesimo ed esperienza di fede sono intrecciati; il battesimo è presentato come uno
illuminazione, che dona, comuni che risveglia la fede. La fede deve precedere il battesimo e
nello stesso tempo anche da esso scaturire.
Tutte queste affermazioni derivanti dal dato biblico trovano concordi le tre grandi tradizioni
ecclesiali. Per le chiese di tradizione battista ora come prima non è possibile riconoscere
fondamentalmente il battesimo amministrato all'interno delle chiese popolari. Il battesimo senza
una previa decisione di fede non sembra valido in questa prospettiva.
Sembra comunque un dato rilevante il fatto che anche le tradizioni ecclesiali maggiori
riconoscono il fatto che il battesimo è preceduto necessariamente dalla fede, che pone in essere
la base su cosa poggiare il sacramento, ossia la fede vissuta. Per quanto riguarda il battesimo dei
bambini, cattolici, luterani, ortodossi, lo fondano sulla fede professata dalla comunità che
partecipa al sacramento. Mentre per i battisti rimane necessaria la fede personale del
battezzando.
Su questo punto si cozzano l'uno con l'altro due diversi modelli della comprensione del
battesimo:
- per i riformatori battisti il battesimo è considerato come ratifica della fede, come
ricapitolazione del processo che caratterizza il venire alla fede.
- Per i cattolici, luterani, ortodossi, il battesimo è invece visto prima di tutto come dono di Dio
che ci precede, che precede la fede.
Entrambe queste posizioni portano comunque con se dei rischi opposti:
- per i battisti c'è rischio che l'atto di fede venga legato a una decisione libera dell'uomo che
oscuri il sacramento come dono.
- l'idea delle chiese antiche e del luteranesimo corre il rischio di separare il battesimo dalla
fede, considerandolo come un meccanismo automatico, un atto magico.

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Vero è che la problematica del battesimo dei bambini nelle chiese "popolari" è stata legata per
molti anni alla dottrina del limbo, che crea ancora oggi delle problematiche: il battesimo va fatto
subito per evitare che se il bimbo muore vada all'inferno, anzi nel limbo. Decenni di questa
prospettiva hanno evidenziato più l'aspetto negativo del battesimo (libera dal peccato) che quello
positivo (inserisce nella salvezza, lo fa membro del popolo di Dio).

Bisogna questo riguardo affermare che il battesimo dei bambini nelle tre grandi tradizioni
ecclesiali è comunque legittimo sempre e solamente all'interno di una comunità ecclesiale, che
sostiene la fede di chi non è ancora capace di una decisione, il bimbo, lo accoglie, e garantisce
che il bimbo cresca nella fede. La fede dei genitori, della comunità, del padrino e della madrina e
condizione per l'amministrazione del battesimo; senza essere il battesimo sarebbe da evitare.
Il motivo del fatto che le chiese cristiane riconoscono il battesimo reciproco dal punto di vista
della storia è legata alle prime controversie tra Cipriano di Cartagine e papa Stefano. Per
quest'ultimo, il fatto che anche al di fuori della vera chiesa venga invocato il nome del Dio trino
sul candidato gli sembrò più determinante di eventuali mancanze nella fede e nei poteri
ministeriali. Si riconosce infatti che anche lei non battezzati possono battezzare, se hanno la retta
intenzione di farlo nel senso della Chiesa. Alla base c'è il principio che il battesimo è opera di
Dio, non opera della Chiesa. Oggi, le grandi chiese riconoscono tutti coloro che sono stati
battezzati nella retta intenzione e con un l'uso dell'acqua e della retta formula battesimale
trinitaria.

LA CENA DEL SIGNORE


per quanto riguarda la cena del Signore le cose stanno diversamente. Sembra essere il
problema centrale dell'ecumenismo.
Per una comunione eucaristica ci sono tradizionalmente due problemi, di fronte ai quali le
chiese hanno percorso strade diverse: la questione della presenza reale e il carattere di sacrificio
della messa.
La presenza reale. Fin dai primi tempi la Chiesa ha celebrato la cena del Signore
consapevole che Cristo stesso è presente nel suo corpo e nel suo sangue. C'è credenza comune
fin dai primi secoli sul fatto che nella celebrazione è presente tutto l'avvento di Cristo. Anche le
chiese luterane hanno mantenuto questo credo. Anche per loro c'è la presenza reale.
Su cosa è stato bastato questo credo? Alla base c'è il concetto platonico dell'immagine che
vede nel pane e nel vino (immagine) l'immagine del corpo e del sangue di Cristo, che coincide
perfettamente con l'originario che è Cristo e la sua opera salvifica.

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Nel medioevo nascono problemi. Questo concetto dell'immagine cade di fronte alle nuove
speculazioni. Ora immagine in realtà, simbolo e realtà si separano l'uno dall'altra, l'immagine non
viene più compresa come simbolo reale, ma come rimando ad una realtà diversa. Non fu più
possibile comprendere nel simbolo la realtà, ma solamente rinviare qualcosa che rimaneva
estraneo al simbolo stesso. Segno realtà vengono separati.
Questo dato porta alle dispute eucaristiche medievali.
Fu necessario rivedere il linguaggio.
Dalla scolastica venne coniato il nuovo termine "transustanziazione". Questo termine esprime
l'affermazione di fede che pane e vino rimangono nelle loro forme fenomenica, ma che
comunque nella loro realtà più profonda, la sostanza, cambiano e diventano corpo il sangue di
Cristo, pur mantenendo la forma di pane e vino.
I riformatori rifiutarono la dottrina della transustanziazione.
Zwingli parla di simbolo, in cui segno è realtà sono separate l'una dall'altra. La cena del
Signore è solo un memoriale, un ricordo del comando del signore (fate questo in memoria di
me). La memoria però è ricordo di un assente, non di qualcuno che è presente in corpo e anima, è
solo un ricordo di ciò che lui ha fatto. La memoria riguarda il passato e non attua una presenza
reale di Cristo nell'oggi.
Anche Calvino separa il simbolo dalla realtà, dicendo che il pane e il vino “significano”
solamente il corpo il sangue di Cristo, e parla di memoria di Cristo, inteso come ricordo della sua
croce che ci ha salvato. Pur non mantenendo la dottrina della presenza reale, Calvino è più vicino
di Zwingli alla dottrina della presenza reale, affermando che durante la cena lo spirito Santo
prende il cuore della persona e lo lega Cristo. Quando la persona partecipa alla cena del Signore
in memoria del signore glorificato e ormai alla destra di Dio, essa partecipa nello spirito Santo
alla comunione con Cristo in Dio, una comunione spirituale. Questo però avviene in occasione
della ricezione del pane del vino, non nel pane e nel vino, che non vengono comunque
trasformati nel sangue e corpo di Cristo.
Mentre per i riformatori svizzeri c'è un problema teologico nella dottrina della
transustanziazione, per Lutero il problema è solo filosofico.
I luterani credono alla presenza reale. Ma Lutero rigetta il concetto di transustanziazione per
motivi filosofici e ha usato il concetto di consustanziazione.
Nel pane e nel vino sono veramente presenti il corpo il sangue di Cristo.
Il cambiamento avviene nella profondità della sostanza; ogni forma non può sussistere senza
la sostanza.

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La presenza di Cristo è presente nella sostanza del pane e vino, che non si annullano nella loro
sostanza rimanendo solo nella forma (come dicono i cattolici), ma alla sostanza del pane e del
vino si accomuna la sostanza di Cristo senza esservi annullata.
C'è un richiamo qui al mistero dell'unione ipostatica in Cristo, tra la natura-sostanza umana e
la natura-sostanza divina.
L'unità dei riformatori si è rotta proprio nella questione della presenza reale. Per la sua fede
nella presenza reale Lutero sacrificò la comunione con la riforma svizzera e la frattura fu
insuperabile.
Nella questione della presenza reale i due fronti sono tradizionalmente, da una parte, la
dottrina cattolica e luterana, e dall'altra, la concezione riformata.
I luterani e i cattolici nel documento l'eucaristia, sono riusciti a trovare una convergenza per
una formulazione comune: nel sacramento dell'eucaristia Gesù Cristo vero Dio e vero uomo è
pienamente presente con il suo corpo e con il suo sangue sotto il segno del pane del vino, c'è la
vera e reale presenza del signore nell'eucaristia. Nella cena eucaristica cade quel cambiamento
che è in mutazione, trasformazione, non è più irreversibile e rende pane vino cibo di vita eterna.
Qui il simbolo non è più compreso come un segno vuoto, ma come simbolo reale, che rende
la cosa ciò che essa è. Con questa affermazione di fondo comune di fede, sono superate le
tradizionali condanne.
Tuttavia rimangono alcuni problemi.
Il concetto della transustanziazione ha condotto, a partire dal concilio di Trento, a una diffusa
pietà del tabernacolo, alla adorazione del sacramento nelle specie consacrate fuori dalla
celebrazione, prassi sconosciuta alla Chiesa antica e non praticata nemmeno nelle chiese
ortodosse.
Al contrario le chiese della riforma nella loro comprensione della Santa cena si concentrano
sull'evento e considerano le specie al di fuori della comunione ampiamente irrilevanti. Per i
riformatori luterani, finita la celebrazione della santa cena, le specie ritornano a essere pane e
vino.
La messa come sacrificio. Su questo punto il problema è ancora più grosso rispetto a quello
della presenza reale. I riformatori fin da subito videro nella dottrina del sacrificio eucaristico
posta in questione l'unicità del sacrificio di Cristo sulla croce.
Se la messa e compresa come sacrificio che giustifica, messo in atto dalla Chiesa, allora
evidentemente il sacrificio di Cristo non basta. Viene in risalto il problema della giustificazione
per sola grazia o per i nostri meriti. Se la messa è sacrificio, allora l'uomo che pone quest'atto
può contribuire alla sua propria giustificazione. I riformati rifiutarono l'idea che la messa è una
ripetizione del sacrificio della croce tramite l'azione del sacerdote.
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Da parte sua il concilio di Trento respinse l'idea che la celebrazione della cena del Signore
fosse solo un ricordo verbale, una commemorazione, e non la reale attualizzazione del sacrificio
della croce che Cristo ha compiuto una volta per tutte.
Già il concilio di Trento tuttavia non presentava il sacrificio della messa come ripetizione o
completamento del sacrificio di Cristo, ma come attualizzazione, memoriale, ripresentazione,
dell'unico sacrificio di Cristo sulla croce.
La celebrazione della cena del Signore ripresenta l'unico sacrificio di Cristo che diventa
realmente presente, quindi non vi è solo un ricordo puramente intellettuale di esso. Nella
memoria liturgica, diventa presente quanto accaduto una volta per tutte, con una permanente
forza e un permanente significato per tutti tempi. Appare ormai chiaro a tutti attribuire la giusta
importanza e quello che fa il sacerdote celebrante: non sono i suoi atti che ci possono
giustificare, la giustificazione viene per Cristo, non per i nostri meriti.
Il calice ai laici. È un tema di dissenso anche se oggi è stato superato. Ai tempi della riforma
era un tema scottante, operato dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa riformata, mentre era
rifiutato solo dalla Chiesa cattolica.
Nella Confessione di Augusta, si riconosce da parte protestante come segno della vera Chiesa,
di rifiuto del calice ai laici sembra essere il primo e più grave abuso che si doveva eliminare
della Chiesa cattolica, in quanto operava una discriminazione tra sacerdoti e laici assente nel
Vangelo. La riforma ne faceva un dato dogmatico.
Il concilio di Trento respinse la richiesta generale del calice ai laici. L'accusa veniva respinta
con due ragioni:
- il diritto della Chiesa alla strutturazione concreta dei sacramenti.
- Sotto l'unica specie del pane, anzi in ogni suo frammento, si riceve il Cristo in modo
completo intatto, vi è presente tutto il Cristo in corpo sangue anima e divinità.
In generale il concilio di Trento, a differenza dei riformatori, considerando il calice ai laici un
problema non dogmatico, ma disciplinare.
Nel frattempo, era diventato un segno di distinzione tra i partiti ecclesiali, tanto che nei paesi
cattolici venne rifiutato a prescindere.
Nel tempo, questa differenza ha perso molta della sua importanza. Il rifiuto del calice ai laici
nella Chiesa cattolica non avviene più per motivi di principio. Anche in campo protestante ci si
accorse che il problema era solo di natura disciplinare Così, il concilio Vaticano II ha avuto
modo di affermare che la comunione al calice in determinate occasioni è consigliata e praticata.
Queste è quindi un problema superato

83
La comunione eucaristica e l’intercomunione.
Altra questione dibattuta riguarda la celebrazione in comune dell'eucaristia. Il problema
diventa il fine ecumenico per antonomasia, la divisione nella cena del Signore è vissuta con
dolore sempre maggiore. Il problema ancora non è stato superato. Ancora non si può
concelebrare insieme con le altre confessioni. Il rimando alla possibilità di una comunione
spirituale e di una reale presenza di Gesù anche nella sua parola sembra consolatorio.
Dietro cosa ci sta?
Ultimamente le chiese riformate propongono la intercomunione, che è cosa diversa della
concelebrazione. Ma questa pratica è stata rifiutata sia dai cattolici che dagli ortodossi. Celebrare
l'intercomunione significa celebrare l'eucaristia insieme, con la consapevolezza di mantenere
ognuno ha il suo punto di vista. Questa proposta è inaccettabile, ed è stata rifiutata da tutti, in
quanto occorre una partecipazione piena e consapevole nella celebrazione che si svolge. Non si
può rimanere a pensarla ognuno come vuole. I motivi si trovano prima di tutto nelle differenze
dottrinali in riferimento alla presenza reale e al carattere sacrificale della messa.
Con l’intercomunione si esprimerebbe una comunione che di fatto non c'è, se ognuno rimane
dal suo punto di vista. L’intercomunione più che aprire la strada, creerebbe ostacoli al
movimento ecumenico: si rischierebbero infatti, di smorzare quell’afflato per la comunione,
quella spinta per una vera comunione, che non si cercherebbe più.
Il concilio Vaticano II pone a base della comunione ecclesiale la celebrazione eucaristica. Il
sacramento dell'eucaristia è espressione è segno di una comunione a livello superiore. Ma il
concilio non concede niente alla intercomunione.
La Chiesa, secondo la comprensione cattolica, è il sacramento fontale, essa stessa si fonda nei
sacramenti a far sgorgare i segni sacramentali dal suo seno. La celebrazione comune della cena
del Signore e la comunione della Chiesa non si possono quindi separare l'una dall'altra. A causa
di queste convinzioni ecclesiologiche di fondo, secondo la costituzione cattolica non si può
celebrare l'eucaristia senza comunione ecclesiale: la comunione ecclesiale è presupposto della
comunione eucaristica. La comunione eucaristica è certamente anche un mezzo per favorire la
comunione ecclesiale, ma essa non può concedere nulla a una comunione che di fatto non c'è,
essa non può simulare l'unità tra le chiese.
Di fatto l'intercomunione non avviene.

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IL NUMERO DEI SACRAMENTI
Diciamo subito che mentre la tradizione ortodossa, cattolica e veterocattolica riconosce sette
sacramenti, i riformatori riconoscono solo quei sacramenti che vengono riconosciuti nel dato
biblico come istituiti direttamente da Cristo: battesimo e eucaristia.
Le chiese della riforma all'inizio cercarono di mantenere altri due sacramenti: ordine
penitenza, ma poi non furono più intesi come sacramenti in quanto non istituiti direttamente da
Cristo. Il concilio di Trento ha numerato i sette sacramenti e anatemizzato un computo diverso.
Ciò che conta è l'istituzione ad opera di Gesù.
Per i riformatori l'istituzione è intesa in senso stretto, quella riconducibile all'opera del Gesù
storico e documentata nella scrittura come tale.
Per i cattolici e ortodossi invece l'istituzione si fonda nell'opera salvifica di Cristo in croce,
nella risurrezione, nell'effusione dello spirito e nella missione degli apostoli. Per questo essa
può avere anche uno sviluppo post-Pasquale, in quanto opera degli apostoli e corrispondente
ad un comando di Dio (mandato divino).

IL MINISTERO ORDINATO
La questione del ministero ordinato tocca il centro della problematica ecumenica, qui le
differenze tra le chiese sono particolarmente chiare.
È la questione più dibattuta e di più difficile soluzione.
Il consiglio ecumenico delle chiese (CEC) nell'assemblea di Amsterdam del 1948 ha proposto
due famiglie ecclesiali fondate sul ruolo del ministro:
1. i cattolici, ortodossi, vetro cattolici, formano una famiglia che vede l'apostolicità della Chiesa
sottolineata dalla continuità visibile della Chiesa nella successione apostolica del ministero
episcopale. In questa prospettiva la Chiesa è apostolica perché il suo ministero si trova in una
successione ininterrotta, una catena di ordinazioni che arriva all'indietro fino agli apostoli
2. l'altra famiglia si chiama protestante, che vede l'apostolicità nella fedeltà all'annuncio
apostolico, per lo più come identità con la dottrina degli apostoli. La Chiesa è apostolica se
nel suo annuncio ed eventualmente anche nella sua vita, trasmette quanto essa ha ricevuto a
partire dagli apostoli. La successione apostolica è salvaguardata dalla fedeltà dottrinale.
Questa distinzione sulla base dell'esistenza del ministero (episcopale) si trova anche nella
riflessione cattolica. Il decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II (Unitatis
Redintegratio), dice che le chiese nate dalla riforma, specialmente per la mancanza del
sacramento dell'ordine, non hanno conservato la genuina ed integra sostanza (substantia) del
ministero eucaristico (UR 22). Il concilio lega così i due sacramenti: ministero ed eucaristia, e su
di essi poggia il riconoscimento ecclesiale.
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Questa posizione dei cattolici mette in discussione la sacramentalità dell'eucaristia celebrata
dai riformati. Al contrario, la Chiesa cattolica venne via via organizzata come Chiesa di clero,
considerata a partire dal ministero e dai suoi poteri sacramentali. Il ministero è così il fattore di
divisione nel dialogo ecumenico.

Il ministero e il popolo di Dio. Il punto di partenza del dialogo ecumenico deve essere la
dottrina della Chiesa. Il ministero è un servizio speciale all'interno del popolo di Dio. Punto di
partenza è la vocazione sacerdotale dell'intero popolo di Dio. Il documento di Lima a livello
bilaterale, afferma che la dottrina del sacerdozio comune di tutti battezzati e del carattere di
servizio dei ministeri nella Chiesa, costituisce attualmente per luterani cattolici un punto di
partenza comune.
Il ministero ordinato si trova nella Chiesa, non al di sopra di essa o separata da essa.
È il ministero che si capisce a partire dalla Chiesa, e non il contrario la Chiesa a partire dal
ministero.
Nel dato biblico e nella Chiesa primitiva riscontriamo che all'interno della comunità c'era una
uguaglianza fondamentale dei fratelli e sorelle, pertanto ogni dottrina del ministero ecclesiale
deve partire da questa comunanza è uguaglianza di tutti. Il ministro all'interno della comunità
rappresenta nel suo agire sacramentalmente Cristo alla comunità, e di fronte a Cristo rappresenta
il popolo redento.

Il ministero particolare e il suo mandato. Questa globale uguaglianza di tutti battezzati, in


relazione al loro essere cristiani, non significa che all'interno della comunità cristiana non vi
siano speciali funzioni, carismi e ministeri, intesi come servizi svolti alla comunità. Nella
testimonianza neotestamentaria ne abbiamo riscontri. Si sono formati speciali compiti
ministeriali nella comunità per il servizio, riservato a questi uomini col compito affidato con una
ordinazione. Ci sono responsabili della comunità che si collocano al suo interno non al di sopra o
in disparte da essa. Ciò viene riconosciuto anche dal protestantesimo, che vede il ministro
investito di un ministero speciale.
Cattolici e protestanti concordano nel fatto che non è una semplice delega dal basso ad
investirli di questo servizio, ma una istituzione, una ordinazione. Il ministero, quindi, anche nelle
chiese della riforma non si basa su una delega da parte della comunità. Il ministero non parla
solamente nel suo nome e come suo rappresentante, ma per incarico di Cristo.
Nella teologia cattolica il soggetto del ministero pastorale e spesso compreso come uomo dei
sacramenti. Il concilio di Trento assume questa prospettiva. Nel frattempo, questa posizione
contrapposta è stata ampiamente superata.
86
Nell'ambito della teologia evangelica questa funzione è invece passata in secondo piano, a
favore della predicazione.
Ma se ci sono accuse reciproche, le reciproche condanne erano frutto dei fondamentalismi
successivi.
Vero è che risalendo alla dottrina della Chiesa originaria, non c'è esclusione dell'una o
dell'altra prospettiva. Sia Trento che i riformatori non volevano escludere l'altra prospettiva ma
volevano solo porre attenzione ad una delle due prospettive.
Il concilio Vaticano, da questo punto di vista, non è riuscito a fare chiarezza sul dato che
contraddistingue il ministero ordinato. In LG 10 infatti si afferma che il ministero ordinato si
distingue dal ministero comune “essenzialmente e non solo per il grado”. Sembra quasi che si
voglia affermare una certa superiorità del ministro nei confronti della comunità. Piuttosto, per
noi, il ministero ordinato si distingue dal sacerdozio comune di tutti battezzati nel modo e non
nel grado di partecipazione al sacerdozio di Cristo. Il ministro non è più cristiano di ogni altro
battezzato. La critica dei riformatori si rivolge proprio contro la congettura di una differenza
sostanziale, cioè di un elevamento dello stato di grazia personale del sacerdote con l'ordinazione
e di una sua superiorità nei confronti degli altri battezzati. Non c'è una superiorità ontologica del
sacerdote, ma il sacerdozio ordinato si innesta nel sacerdozio comune di tutti battezzati.
Rimane incerta, dunque, questa espressione che si ritrova in un documento del concilio
(LG10). Il linguaggio usato è improprio.

Il concetto di sacerdote.
Nel comune parlare è uso parlare di ministero ordinato o di sacerdozio. Il concetto di
sacerdote è usuale nelle chiese ortodossa e cattolica, mentre nelle chiese della riforma si evita di
usarlo. Nelle chiese della riforma si parla pertanto di ministro ordinato.
Questa riluttanza della Chiesa della Riforma ha un dato fondamento biblico. Mai nel NT i
ministri, per distinguerli dai semplici fedeli, vengono chiamati sacerdoti. Certamente si parla di
presbiteri, di diaconi, di anziani, di profeti, la cui funzione particolare li abilita ad un servizio
ecclesiale.
Al contrario, il termine sacerdote, ha origini nel culto dell'AT, il sacerdote del Tempio.
Anche nelle altre religioni pagane c'è la figura sacerdotale, il sacerdote è visto come
intermediario tra Dio e l'umanità. In questi termini, anche il NT parla di un solo sacerdote,
Cristo. La prospettiva allora è quella che c'è un solo sacerdote, un solo mediatore, tra Dio e
l'uomo, Cristo.
Il termine sacerdote non era certamente adatto per i ministri ecclesiali: il pericolo di una
sovrapposizione di motivi non cristiani era elevato.
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I riformatori hanno rifiutato il concetto di sacerdote, quale mediatore. I ministri ordinati
partecipano in modo speciale, in forza di una funzione ecclesiale (così come tutti i fedeli)
all'unico sacerdozio di Cristo. Il ministro ordinato nella Chiesa non è quindi un nuovo
sacerdozio, ma la reale attualizzazione di quanto Cristo ha fatto una volta per tutte. In questa
concezione anamnetica è legittimo chiamare sacerdoti ministri.

L'ordinazione e la sua efficacia sacramentale. La trasmissione del ministero, avviene sia


per i cattolici, sia per i riformati, sia per gli ortodossi, con l'imposizione delle mani e con la
preghiera di ordinazione.
Il dato che ci divide è il carattere sacramentale, la sacramentalità. Nelle chiese cattoliche
la ordinazione è compresa come sacramento, mentre le chiese della riforma perlopiù rifiutano
tale comprensione in quanto per essi si può parlare di decremento solamente quando si può
dimostrare una immediata istituzione da parte del Gesù storico.
Se nelle chiese della riforma l'ordinazione generalmente non è compresa come sacramento,
con questo non si dice che essa sia senza importanza. Gli aspetti che la teologia riformata
attribuisce al ministero, coincidono per quanto riguarda il contenuto con quanto affermato dalla
parte cattolica.
Per entrambi, mediante l'atto di ordinazione, lo spirito Santo abilita per sempre con i suoi doni
colui che viene ordinato per il servizio della parola e del sacramento. Il ministero delle due
tradizioni non è solamente un impiego o l'assegnazione di un compito ecclesiale. Per entrambi la
costituzione della comunità è fondata sul ministero ordinato: senza di lui non c'è comunità.
Escludere la dimensione sacramentale del ministero ordinato, non significa pensarlo come eletto
dal basso, come un rappresentante del gruppo, un responsabile. Non è il gruppo che si sceglie la
guida. Anche i riformati riconoscono al ministero ordinato una scelta divina, anche per essi il
ministro ha la funzione di rendere presente Cristo, e di rappresentare davanti a nulla comunità.
Non è vero pertanto che i riformati non hanno un ministero ordinato, come se fosse solo un
leader del gruppo.
Le funzioni del ministero ordinato sono le stesse per entrambi.
Anche se c'è la libera interpretazione della scrittura, per i riformati il ministro ordinato alla
funzione di guida della comunità. Non si parla in ambiente protestante di Magistero, ma ogni
ministro ordinato è guida della comunità, col rischio però che in ogni comunità si facciano
percorsi individuali e divergente rispetto alle altre comunità.
Manca quindi un centro unificatore.
Ciò che divide le due prospettive è la comprensione del ministero come carattere
sacramentale.
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Secondo la comprensione cattolica l'ordinazione conferisce un carattere sacramentale,
incancellabile. Questa dottrina ha provocato il rifiuto dei riformatori. Per i cattolici, il ministero
ordinato rientra in quei sacramenti del carattere che attuano la trasformazione reale e indelebile
del soggetto. Sono il battesimo, la confermazione è l'ordinazione, sacramenti che nella prassi
ecclesiale non ammettono alcuna ripetizione, sono dati una volta per tutte.
Non di rado però alla dottrina del carattere, è stata connessa, in ambito cattolico, una pretesa
di superiorità del clero ordinato nei confronti dei laici, un carattere che trasforma l'ordinato e gli
idonea una superiorità ontologica nei confronti dei laici. Questo ha aperto le porte a una certa
clericalizzazione dell'ambiente cattolico, col pericolo del clericalismo.
In verità, la prassi che affonda la dottrina del carattere sacramentale, cioè l'unicità e
l'irripetibilità dell'ordinazione, è presente anche in ambito evangelico riformato. Anche per loro,
l'ordinazione è fondamentalmente un progetto di vita, immette l'ordinato in modo permanente nel
ministero. Anche per loro l'ordinato non può dare le dimissioni, rimane tale anche dopo, anche se
non svolge più questo ministero cogliere viene proibito l'esercizio.
Pertanto, superare il clericalismo, non significa non riconoscere il ministero istituito, ma si
evita di pensarlo come qualcosa sestante, un ceto superiore, al resto della Chiesa.

La successione apostolica. Come detto prima, la Chiesa cattolica e le chiese evangeliche


intendono l'apostolicità in due sensi diversi: per la Chiesa cattolica apostolicità significa fedeltà
alle origini. In questa prospettiva la Chiesa apostolica poiché il suo ministero si trova in una
successione ininterrotta che va dagli apostoli ai loro successori, i vescovi.
Al contrario le chiese evangeliche intendono l'apostolicità perlopiù come identità con la
dottrina degli apostoli.
La successione nel ministero episcopale, secondo la tradizione veterocattolica, nelle chiese
della riforma è stata spezzata del secolo 16º, e per questo defectus ordinis le chiese della riforma
hanno abbandonato la continuità con la Chiesa primitiva.
Anche il concilio Vaticano II non riconosce l'ecclesialità alle chiese della riforma, ma le
chiama comunità, non sono chiesti in senso pieno proprio perché difettano del carattere
dell'apostolicità.
Occorre fare però una differenza all'interno della confessione evangelica, tra chi ha mantenuto
e chi no il ministero episcopale.
Recenti ricerche hanno mostrato chiare convergenze anche in questa problematica. Speranze
per una riconciliazione si hanno sul come è vissuto il ministero ordinato. Anche in ambito
evangelico l'ordine è vissuto come da noi.

89
Anche in ambito evangelico le ordinazioni sono amministrata da persone già ordinate; in
questo modo, quindi, anche qui si può indicare un qualcosa di simile ad una catena nella
successione ministeriale, che risale fino ai riformatori, le cui ordinazioni all'interno della Chiesa
cattolica non sono mai state messe in dubbio. Anche in ambito evangelico si può quindi trovare
una catena di ordinazioni. La differenza sta in ciò: questa successione si trova non al livello
episcopale, ma al livello presbiterale. Infatti, nelle chiese evangeliche, dall'epoca della riforma
non si sono più avuti vescovi, ma pastori, cioè i ministri ordinati in modo non episcopale, e visto
che nessun vescovo ha aderito alla riforma, le ordinazioni sono state operate da presbitero a
presbitero.
La teologia evangelica argomenta richiamando le ordinazioni della Chiesa antica, dove i
vescovi e i sacerdoti erano uguali, il loro ministero era quindi unico e indiviso. Fino al terzo
secolo sarà così. Anche per i cattolici, d'altronde, fino al concilio Vaticano II l'episcopato è visto
come sacramentale, un titolo simile a quello dei cardinali; non era chiara infatti la considerazione
dei tre ordini del ministero. L'episcopato era un sacramentale che attribuiva una funzione
speciale al presbitero, una funzione di governo; non si parlava ancora di pienezza dell'ordine
ministeriale, né di gradi dell'ordine. Fino al concilio, la centralità del papa era superiore ad ogni
altra, ed ogni suo delegato era superiore ad ogni vescovo, anche nelle rispettive diocesi. Il
concilio mette in evidenza l'episcopato e la pienezza dell'ordine. Comincia parlare di gradi di
ordine e dar valore alle diocesi locali.
Dal punto di vista della teologia evangelica, quindi, i pastori perciò hanno l'unico ed indiviso
ministero, e quindi il diritto alle ordinazioni. Per loro, la pienezza del ministero è già del
presbitero. Nell'ambito della Chiesa evangelica, ci sono comunità che hanno mantenuto i
vescovi, e in esse il potere di ordinare spetta solo al loro, ci sono poi comunità che non hanno
mantenuto l'episcopato e che riconoscono la pienezza del ministero ha i ministri ordinati, al loro
affidano inoltre il potere di ordinare nuovi presbiteri. In questo caso si parla quindi di
successione presbiterale.
Il problema quindi non è se c'è o no il vescovo; il problema è se riconoscere un grado diverso
o solo una funzione diversa del presbitero. In ambito evangelico si parla di pastori regionali,
titolari di un ministero unico ed indiviso, e nulla toglie teologicamente che la pienezza del
ministero si possa considerare realizzato anche nel ministero del pastore.
Nella struttura delle chiese evangeliche, si sono create delle riunioni delle comunità locali in
ambito regionale, come chiese regionali, che richiamano per analogia le nostre diocesi, guidate
da un pastore regionale. Qui scatta una differenza con la struttura della Chiesa Cattolica. Per noi
la Chiesa locale è la diocesi. Per loro no: tutte le chiese locali sono comunità locali, poi
coordinate in ambito regionale dal pastore regionale.
90
Nella prassi però ci troviamo più vicini, perché nei fatti ogni nostra parrocchia è autocefala, e
il ruolo del vescovo è molto marginale.
Per noi c'è inoltre la visione della Chiesa come sacramento.
Rimane comunque aperta una possibilità interpretativa che riesca a superare i confini
tradizionali tra le confessioni.
Il riconoscimento reciproco dei ministeri e uno dei problemi principali per il dialogo
ecumenico. Soprattutto con le chiese evangeliche a costituzione episcopale il dialogo è molto
proficuo. Per promuovere una decisiva prassi di avvicinamento ecumenico sono stati sviluppati
vari modelli di soluzione:
1) i ministri ordinati in modo non episcopale dovrebbero ricevere l'ordinazione sacerdotale
nuovamente, per poter essere riconosciuti come ministri (è questa la linea conservatrice).
2) modello di una reciproca imposizione delle mani, all'interno di una liturgia comune di
riconciliazione: i rappresentanti episcopali delle chiese interessato si impongono reciprocamente
le mani. Questo gesto però può essere interpretato in modo ambiguo, come gesto di
riconciliazione oppure intenderlo come ordinazione, mantenendo ognuno le proprie convinzioni.
Questo modello tutelerebbe solo la forma ma non sia diverrebbe ad una interpretazione comune
del gesto.
3) modello dell'India meridionale, nel quale riconoscere reciprocamente tutti i ministeri delle
varie confessione fino a quel momento, ma con l'inizio dell'unione di compiere tutte le
ordinazioni in modo episcopale. È questo il modello più valido, nel quale chiese non episcopali
sono giunte ad una unione con la comunione anglicane.
Comunque sia, ognuno dei modelli proposti dovrebbe riuscire a giungere il reciproco
riconoscimento di tutti i ministeri delle confessioni; nessuno dovrebbe più non riconoscere il
ministero degli altri; questo riconoscimento sarebbe non solamente un evento istituzionale
giuridico, ma anche spirituale, nella prospettiva della diversità riconciliata. Va assunto in questo
tema il principio della "gerarchia delle verità": l'importante è riconoscere la pienezza del
ministero, il fatto che sia tripartito o unico ha un posto secondario.

QUESTIONE DEL PAPATO.


La questione del Papa è stata, nel corso della storia, l'unico segno unificante delle chiese non
romane, ma con l'entrata della chiesa cattolica nel movimento ecumenico la questione del papato
è divenuta ineludibile.
L’ecumene non può escludere la Chiesa di Roma, non solamente per il numero dei membri
della Chiesa cattolica, ma almeno come patriarcato d'Occidente Roma ha per la cristianità
universale un'importanza non trascurabile. È necessario riconoscerla.
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Nella Chiesa cattolica il papato è compreso come ministero dell'unità della Chiesa universale.
Già con la riforma gregoriana, Gregorio settimo cercò di centralizzare il potere della Chiesa nelle
mani del papato, che pretendeva pieni poteri nella Chiesa, sulle chiese locali, e su tutto
l'Ecumene, nonché sugli altri patriarcati. Il Papa accentrava su di sé tutti i poteri temporali e
spirituali dell'universo. Ciò era necessario per opporlo all'altra autorità temporale dell'impero:
l'imperatore. C'è un bisogno di riferimento della Chiesa, contro l'autorità civile centralizzata.
Contro una simile comprensione del papato le chiese non cattoliche hanno protestato; ciò
sembra essere la pietra di inciampo più grande tra le confessioni e il punto più difficile per un
avvicinamento ecumenico.
La protesta della Riforma contro il papato avvenne soprattutto con Lutero. La sua critica
divenne sempre più dura, essa era legata al fatto che il Papa non accettava il Vangelo, essendosi
interessato più del potere ossessivo e uniforme che dell'anima, e quindi è l'anticristo.
La riforma prese piede in molti territori dell'impero, e appariva in prima linea come un
movimento di allontanamento da Roma.
Ma proprio la diffusione delle chiese nate dalla riforma, che superarono i propri confini
tradizionali legati all'organizzazione in chiese territoriale, fece considerare diversamente anche in
ambito protestante il ministero del Papa. Si fece forte il problema per le chiese della riforma di
preservare la loro unità, in contesti che non comunicano tra di loro. Anche oggi, infatti, nelle
federazioni mondiali confessionali, né il CEC riescono ad assicurare le necessarie strutture
dell'unità. Ci sono chiese territoriali che pur avendo la stessa fede, si configura non diversamente
dalle altre. La diversità rischia di essere differenza. Ciò porta scompiglio sociale con passionale.
Si sente forte, anche in ambito protestante, il bisogno di un polo di aggregazione, forte, contro
ogni diversità.
Il catechismo evangelico degli adulti (1975) sottolinea che le chiese non romane fino ad ora
non hanno predisposto nessun modello convincente perché l'unità della Chiesa possa avere una
struttura visibile. Da allora in poi si reinterpreta il papato in un modo nuovo in ambito
protestante. Anche loro cercano il senso del valore del primato o un modello convincente perché
l'unità della Chiesa possa avere una struttura solida e universale.
Sta a Roma riuscire a presentare in modo convincente il papato come un servizio all'unità e
come segno dell'unità.
Il concilio Vaticano II apre questa prospettiva.
Il concilio Vaticano I aveva chiuso le porte all'apertura, soprattutto col dogma dell'infallibilità
del papa, sulla asserto che il Papa parla come pastore maestro di tutti i cristiani, ed è vincolante
per tutti.

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Il concilio Vaticano II ripropone il ministero universale del Papa in vista della comunione, in
un contesto ecclesiologico diverso, in cui la Chiesa è vista come sacramento di comunione; il
Papa è visto come garante dell'ecumenismo, promotore della totalità del cristianesimo, non per
omologarlo e informarlo della dottrina cattolica, ma per coordinarlo, nella libertà delle chiese
locali. A questo fine può servire il ministero d'unità nella Chiesa universale: il primato realizza la
sua missione aiutando le chiese ad ascoltarsi a vicenda, a crescere nell'amore e nell'unità e a
tendere insieme verso la pienezza della vita cristiana e della testimonianza cristiana al mondo.
In questa prospettiva si inserisce anche Giovanni Paolo II nella sua enciclica sull’ecumenismo
Ut unum sint. Il Papa rimanda alla prassi del primo millennio cristiano, durante il quale il papato
era strutturato in modo molto diverso che dopo la riforma gregoriana.
Per quanto riguarda la questione del papato, vediamo ora quale è la posizione della Chiesa
ortodossa. Facciamo riferimento ad un saggio di Mucci G. D. ''Collegialità episcopale,
infallibilità e primato nella teologia ortodossa contemporanea (con saggio bibliografico)'', in
Rassegna di Teologia, 19 (1978) 428-446.
Nel corso della storia, nella separazione tra oriente ed Occidente, gli orientali hanno rigettato
le pretese di Roma. La presa di Costantinopoli all'inizio della quarta crociata nel 1204, e
l'istituzione dell'impero latino nello stesso anno, furono interpretate dagli orientali greci come
rottura con la pentarchia della Chiesa primitiva, e quindi come mancanza contro l'ordine
costituito dalla Chiesa. Nella disputa del filioque si pose al centro la domanda se il Papa poteva
sollevare il diritto di mutare la confessione di fede formulata in modo vincolante da un concilio.
L'ortodossia tradizionalmente vede qui nelle pretese del Papa la distruzione del ministero
episcopale, dell'indipendenza delle chiese locali e quindi della costituzione della Chiesa antica.
La chiesa ortodossa non ha conosciuto nessun modello storico istituzionale di accentramento
politico del potere. Per la Chiesa ortodossa, non c'è alcun riferimento ad una qualche forma di
primato.
Se di primato si vuole parlare, esso non è visto in prospettiva giuridico-istituzionale, ma
misterico-comunione male. La chiesa ortodossa parla di primato di onore. Essi riconoscono il
primato di Pietro conferito da Gesù sugli altri apostoli, ma questo primato e di onore non
giuridico. Così è stato infatti interpretato dal collegio apostolico e nella Chiesa apostolica.
Inoltre, aggiungono gli ortodossi, bisogna sottolineare un altro dato: noi non possiamo porre
sullo stesso piano il collegio episcopale e quello dei 12. La funzione dei 12 e di Pietro al suo
interno è unico e irripetibile. Sono essi gli unici storici testimoni oculari di Gesù, i primi
destinatari dello spirito a Pentecoste, i primi missionari.

93
Nella Chiesa primitiva, il ministero apostolico coincideva con quello ordinato, gli apostoli
fondavano le prime comunità, le guidavano fino alla istituzione delle altre cariche a cui è affidato
il governo della comunità. Paolo imponeva le mani, costituiva presbiteri, e se ne andava.
Occorre quindi porre le debite distinzioni, molto importanti quindi poiché tra collegio
apostolico e collegio episcopale c’è si continuità, ma anche discontinuità, non c'è identità.
Unica e irripetibile è anche la funzione di Pietro all'interno del collegio apostolico.
Gli ortodossi preferiscono al riguardo parlare di primato della sede, e non della persona. È la
sede che presiede alla comunione

TEMATICHE SULLA GIUSTIFICAZIONE E SULLA CHIESA.

CONVERGENZA NELLA DOTTRINA DELLA GIUSTIFICAZIONE.


Nella dottrina della giustificazione, all'epoca della riforma le chiese percorsero strade
divergenti. Su questo tema sono state pronunciate le condanne più dure.
La dottrina della giustificazione infatti, per i protestanti, riformatori, ha grosse implicanze
teologica, è il centro della fede, è l’articulus stantis vel cadentis ecclesiae.
Lutero vide abbandonata nella chiesa cattolica la sana dottrina biblica della giustificazione,
sacrificata alle opere e alle disposizioni ecclesiastiche per ottenere salvezza (indulgenze), egli fu
costretto così ad allontanarsi da Roma.
La Chiesa romana, dal canto suo, vide messe in questione nella posizione assunta da Lutero,
la responsabilità umana personale e le conseguenze etiche dell'annuncio cristiano, dovette
rigettare la sua concezione. I riformatori accusano i cattolici di essersi allontanati dall'Vangelo in
cui si parla di giustificazione solo per fede, la chiesa romanica da importanza alle opere e
all'azione della Chiesa stessa.
 I riformatori insegnano la totale corruzione della natura umana, l'essere umano con il peccato
originale ha perso ogni capacità di compiere il bene morale di osservare i comandamenti di Dio.
La volontà umana è resa serva, può solo inclinare al male. La cattiva concupiscenza è parte
essenziale della natura umana, e l'essere umano è peccatore di per se. Non ci si riferisce prima di
tutto agli errori etici personali, ma al peccato originale quindi all'atteggiamento fondamentale
dell'essere umano, che di per sé vive in contrasto con Dio. Né è conseguenza la completa
passività dell'essere umano nella giustificazione. La giustificazione è esclusivamente opera di
Dio e permane in Dio, ogni collaborazione alla salvezza è esclusa. Ed inoltre, la giustificazione
non entra nell'essere umano, la grazia non lo trasforma dal di dentro, è un abitus esteriore,
l'uomo rimane peccatore, ma la giustizia di Dio gli viene imputata come giustizia esterna.
L'essere umano può prendere parte all'azione di Dio mediante la fede. La fede è solo fiducia
nella misericordia di Dio, che per amore di Cristo non tiene conto dei nostri peccati.
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 La Chiesa romana si esprime in modo opposto nel decreto sulla giustificazione del concilio di
Trento, che si mantiene integra fino ad ora, presentando una visione equilibrata del problema: la
natura umana non è totalmente corrotta. La libertà è la capacità di fare il bene sono molto
indebolite dal peccato originale, che si trasmette ad ogni uomo, ma non sono totalmente perse.
La concupiscenza, la cattiva inclinazione al male, non è peccato, finché la persona umana non ne
fa seguire peccati attuali. All'essere umano rimane anche sotto il peccato originale la capacità di
operare il bene, se toccato dalla grazia di Dio, che lo trasforma dal di dentro, rendendolo capace
di contribuire alla propria giustificazione. La grazia ricrea l'essere umano, non rimane al lui
esterna, ma cancella i peccati e lo fa essere un redento, un giustificato. La giustificazione non si
ottiene solo per fede, ma le opere che la grazia suscita sono utili alla salvezza. L'uomo
contribuisce così alla propria salvezza personale
Le discussioni teologiche hanno un risvolto ecclesiologico.
Il problema si sposta sul piano ecclesiologico.
La Chiesa acuta Lutero di avere del responsabilizzato i fedeli, e di avere tolto ruolo
significativo alle azioni ecclesiali, la Chiesa non ha capacità di mediare la salvezza. Ma come
farebbe l'uomo a credere nella misericordia di Dio se non gli venisse presentata dalla Chiesa?
Se si considerano le tre grandi chiese, possiamo affermare che il problema è anche di natura
antropologica: i protestanti e gli ortodossi stanno agli estremi, la posizione cattolica è una
posizione intermedia.
o Per i protestanti il peccato originale ha danneggiato irrimediabilmente l'uomo,
corrompendolo talmente che egli non può compiere azioni meritevoli. La grazia è solo
esterna, non trasforma dal di dentro
o Per gli ortodossi invece c'è una prospettiva ancora più ottimistica della nostra, l'incapacità
dell'uomo è più sfumata, è segnato dal peccato originale ma che fiducia nel genere umano,
che nonostante ciò può compiere del bene.
o Per la Chiesa romana cattolica si respinge la prospettiva protestante. Si riconosce pure che
tanto bene c’è anche tra i non cattolici, l'uomo non è incapace di compiere azioni buone. La
grazia rigenera l'essere umano, trasformandolo, restaurandolo, restituendogli la santità.
Come si vede, sia i protestanti che i cattolici parlano di concupiscenza, di grazia, di
giustificazione, ma con significati diversi.
Un importante contributo ecumenico alla dottrina della giustificazione è lo Studio sulle
condanne dottrinali. Gli autori hanno cercato di analizzare se le condanne, che hanno
contrapposto la Chiesa nel 16º secolo, riguardano ancora oggi la realtà ecumenica. Più che
cercare motivi di consenso, guardano al dato dottrinale e alle varie posizioni assunte dalle
confessioni.
95
Lo Studio sulle condanne dottrinali è riuscita a chiarire che le affermazioni della riforma sulla
giustificazione nascono dalla questione di cosa accade nel sacramento della penitenza, con la
confessione dei peccati e la formula di perdono nel nome di Cristo.
Per i protestanti, in alcune comunità manca la confessione personale dei peccati, che il rito
penitenziale comunitario; alcuni hanno mantenuto la confessione personale. La questione per
loro è ancora aperta, non hanno punti di convergenza tra di loro.
Al contrario, il decreto sulla giustificazione del concilio di Trento, ancora attuale, descrive il
processo della giustificazione come un processo dinamico, che a partire dal battesimo attraversa
tutto ciò lo sviluppo della vita cristiana, fino all'ultimo giudizio. La prospettiva cattolica non è
statica, puntuale, ma dinamica, si è giustificati a partire dal battesimo e poi intraprendendo il
cammino di salvezza liberi dal peccato originale.
Le due posizioni non sono in contrapposizione.
Tra i protestanti si riflette sulle parole del rito della riconciliazione, nel nome di Cristo data.
Tra i cattolici si crede che dal rito ci viene il perdono di Dio.
Afferma lo Studio sulle condanne dottrinali che nessuno può condannare e accusare di essersi
staccato dalla fede cristiana coloro che riconoscono la propria incapacità di rendersi giusti da
soli, e riconosce i propri limiti e confida nella grazia di Dio. Costoro danno il primato a Dio,
rispetto all'opera umana, riconoscono le opere buone come frutto soltanto della azione della
grazia.
Nella Riforma si scontrarono tra loro diversi procedimenti concettuali che diedero vita a due
orientamenti:
- la tradizione legata alla Chiesa antica, romana considera l'essere umano in se (prospettiva
ontica), descrivendo le grazie che sono concesse di volta in volta all'essere umano.
- L'altra corrente considera l'essere umano non definibile in sé, ma come colui che è di fronte
a Dio, in relazione con lui, ciò costituisce la sua esistenza, è un uomo peccatore, a cui però Dio
non imputa i peccati, e così giustificato.
Sono due posizioni non contrastanti, che in ambito cattolico ritroviamo entrambe. Sono due
orientamenti che non sono affatto opposti per noi.
Nessuno dei due orientamenti però cerca di escludere il primato della grazia. Lo Studio sulle
condanne dottrinali ha stabilito che secondo tutte due le tradizioni, la grazia e salvezza che non
si sostituisce all'agire umano, ma rende l'essere umano capace di una propria azione. Questa
grazia la si può solamente ricevere in dono, non guadagnare.
La polemica di Lutero si rivolgeva soprattutto contro l'idea che Cristo abbia fornito
soddisfazione solamente per il peccato originale, mentre per i peccati personali ognuno dovesse
da solo procurarsi la riconciliazione con le opere buone, i sacrifici e indulgenze.
96
Questa posizione, sostenuta certamente nel secolo 16º, venne rigettata anche per la Chiesa
cattolica dal concilio di Trento. Al contrario le affermazioni di Trento erano dirette contro
formulazioni esagerate dei riformatori, che facevano dell'essere umano un essere passivo, come
una cosa inanimata, come se non occorresse la sua collaborazione come se persistere nei peccati
fosse il migliore presupposto per l'azione di Dio, come se le opere umane fossero inutili.
Trento ha condannato l'affermazione che la giustificazione si ottiene "solo per fede". Fede qui
intesa come un a credere nella misericordia di Dio, un affidarsi con fiducia a Dio. L'assioma
della riforma "solo per fede" è determinato da un concetto globale di fede, che include la
speranza e l'amore. Quindi i protestanti inglobano speranza e amore nella loro visione di fede. Il
concilio di Trento invece usava un concetto più ristretto di fede, nel senso di fede come credere
per vero, e quindi fu portato a dire che non basta credere che Dio perdoni peccati per essere
giustificati, ma occorre anche avere un atteggiamento consapevole della speranza e della carità.
Anche per quanto riguarda un altro argomento, lo Studio sulle condanne dottrinali afferma
che la riforma, come la ricerca o ecumenica è riuscita a mostrare, chiedeva certamente opere
come frutto della fede. Infatti questa non può esserci senza le opere, anche se esse non operano la
salvezza, opere che vengono compiute dalla grazia e che scaturiscono da una fede matura. In
definitiva, la controversia su fede ed opere si delinea, quindi, come la controversia più inutile di
tutte.
Lo Studio sulle condanne dottrinali giunge a dire che non c'è più contrasto dottrinale tra
cattolici e protestanti.
I problemi si spostano sul versante ecclesiologico. I protestanti che accusano che nella prassi
cristiana ancora non ci siamo liberati da questo modo di pensare la salvezza della giustificazione:
che la salvezza sia legata alla gerarchia la struttura della Chiesa ora come prima pone ulteriori
condizioni per la salvezza che non sono conciliabili con la dottrina della giustificazione.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA DELLA CHIESA CATTOLICA E DELLA FEDERAZIONE LUTERANA


MONDIALE SULLA DOTTRINA DELLA GIUSTIFICAZIONE (AUGUSTA 31 OTTOBRE 1999).

L'evento più importante nell'ambito ecumenico-teologico è stata la firma della dichiarazione


comune sulla dottrina della giustificazione (GER), il 31 ottobre 1999 in Augusta.
Da anni, lo Studio sulle condanne dottrinali era stato sottoposto al Pontificio consiglio per
l'unità dei cristiani e alla Federazione mondiale luterana.
In un modo ufficiale si doveva dichiarare che le condanne reciproche del secolo 16º non
riguardavano più la controparte ecumenica e che quindi, non erano più di ostacolo alla
comunione tra le due chiese e non poteva legittimare la loro separazione.

97
La dichiarazione comune si sofferma all'inizio su una breve riflessione biblica e sulla
presentazione della tradizionale problematica ecumenica. Afferma che:
“Le interpretazioni e applicazioni contraddittorie del messaggio biblico della giustificazione
sono state nel XVI secolo una causa primaria della divisione della Chiesa d’Occidente, che si è
espressa anche con condanne dottrinali” n. 13.
“Le Chiese luterane e la Chiesa cattolica romana hanno ascoltato insieme la buona novella
proclamata dalla Sacra Scrittura, ciò che ha permesso loro (...) di pervenire ad una
comprensione condivisa della giustificazione” n. 14.
Successivamente, la dichiarazione comune continua, presentando la comune comprensione
della giustificazione:
“Insieme crediamo che la giustificazione è opera di Dio uno e Trino. (...) La giustificazione
significa che Cristo stesso è la nostra giustizia alla quale partecipiamo, secondo la volontà del
Padre, per mezzo dello Spirito Santo. Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma
soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da
Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a
compiere le buone opere” n. 15.
La dichiarazione comune afferma che: “si addiviene a un consenso nelle verità fondamentali
della dottrina della giustificazione” .n.40.
Non si è cercato nella GER di formulare un comune testo confessionale. Piuttosto ci si è
limitati a studiare le condanne dottrinali per vedere se esse riguardino la controparte odierna
oppure no, e se la riguardino in modo da giustificare una separazione tra le chiese. Si usò quindi
il metodo ecumenico già portato avanti nello Studio sulle condanne dottrinali.
La GER è giunta così alle conclusioni che la maggior parte delle condanne non è o non è più
pertinente e che si possono sopportare le differenze ancora esistenti nel linguaggio, nelle
formulazioni concrete all'interno di una chiesa.
Sia pure con alcune critiche resistenze in ambito evangelico, le chiese evangeliche sono
riuscite a ratificare la GER, per questo la federazione mondiale luterana ha potuto dichiarare il
grande consenso che rende possibile un discorso confessionale e ha ufficialmente accettato la
GER e stabilito che le condanne reciproche della controparte non sono pertinenti.
La firma solenne del documento si avrà in Augusta il 31 ottobre 1999, il giorno della riforma.
Questa firma non significa semplicemente l'unità tra le due chiese. Si è riusciti a superare le
condanne dottrinali nella dottrina della giustificazione, ma per quanto riguarda la dottrina dei
sacramenti e specialmente la problematica del ministero (in ultima istanza la dottrina del
ministero papale) non vi è ancora a livello ufficiale un accordo simile. La continuazione del
cammino di dialogo in questi ambiti tematici non sembra essere molto facile.
98
LA SACRAMENTALITÀ DELLA CHIESA, LA CHIESA COME SACRAMENTO.
Molte controversie nell'ecclesiologia sono connessi all'idea della sacramentalità della Chiesa.
Questa è una delle affermazioni fondamentali del Concilio Vaticano II in Lumen Gentium.
Da parte evangelica, questa affermazione è stata rifiutata quasi da tutti questa concezione
distruggerebbe l'immediatezza tra Dio e l'essere umano, sosterrebbe il principio nulla salus sine
ecclesiae senza la quale nessuno potrebbe ottenere la salvezza. La dottrina romana della Chiesa
come sacramento mette in questione il solus Christus , Cristo come unico mediatore, non c'è
alcuna mediazione umana nella salvezza e nell'opera di giustificazione che avviene solo per
grazia.
La critica protestante si rivolge a pieno titolo contro queste tendenze, ma occorre appurare se
queste tendenze siano legittimamente riportabili al concilio e se esse rappresentano la giusta
interpretazione dell'affermazione della sacramentalità della Chiesa.
Per noi cattolici la ecclesiologia ruota attorno alla nazione di Chiesa come sacramento. Ma
questo dato va correttamente interpretato. LG afferma infatti che: “La Chiesa è in Cristo come
sacramento…”. Origine e motivo della sacramentalità della Chiesa è Cristo stesso. Il “come…”
sta ad indicare che il sacramento per eccellenza è Cristo, Cristo è la luce delle genti e questa luce
di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumina tutti gli uomini annunziando il Vangelo ad ogni
creatura. La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè il segno è strumento dell'intima unione
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (LG 1).
Nel rifiuto e protestanti fanno di queste affermazioni c'è forse anche il pregiudizio su ciò che
sacramento. Il sacramento non è qualcosa di magico, come loro pensano che noi pensiamo.
Rifiutano quindi la Chiesa come sacramento, come appartenenza che è di per sé sola salva, in
base al principio sotteso del nulla salus sine ecclesiae.
Ma il concetto di sacramento va correttamente inteso. L'idea della Chiesa come sacramento ha
caratterizzato una nuova ecclesiologia, a partire dal Concilio Vaticano II, che ha compreso la
Chiesa in modo primario non come istituzione, ma come fondazione divina, sostenuta dallo
spirito Santo. La sacramentalità sottolinea l'azione di Dio che previene ogni attività umana.
Inoltre, la mediazione è vista sempre come partecipazione alla mediazione di Cristo, all'interno
del corpo mistico che è la Chiesa.
Ma non sempre stato così.
La concentrazione sui singoli segni sacramentali, al tempo della riforma, ha messo in secondo
piano questa prospettiva. Di conseguenza, la dimensione esterna, istituzionale della Chiesa, fu
sempre più sottolineata. La Chiesa avvenne prima di tutto compresa partire dalla sua
costituzione, dai suoi ministri, e dalle sue strutture; l'idea di corpo di Cristo fu interpretata nel
senso di una corporazione come unione giuridica.
99
Il confronto con la riforma rafforzò questa tendenza. La Chiesa non appariva quasi più come
realtà spirituale, ma quasi esclusivamente come societas perfecta. Una distinzione tra Cristo e la
Chiesa, tra chiesa e regno di Dio, non era più pensabile. Cristo e la Chiesa sembravano fondersi
insieme in un unico soggetto. Il peccato della Chiesa in questa concezione non era più pensabile.
La Chiesa fu compresa come continuazione dell'incarnazione, come Christus Prolungatus, che
ne continua l'esistenza terrena.
Questi eccessivi accentuazioni portarono alla rottura.
Il Vaticano II con la sua affermazione sulla sacra mentalità della Chiesa, ha cercato prima di
tutto di superare la riduzione della Chiesa all'istituzione e alla gerarchia. La Chiesa non viene più
compresa come Christus prolungatus, ma solamente come sacramento, come segno è strumento.
Ciò ha dato la possibilità di affermare che la Chiesa è un fenomeno reale e affermare la sua
santità e la sua peccaminosità nello stesso tempo.
La Chiesa è sacramento dello spirito di Dio all'opera. I confini dell'ecclesialità costituita non
coincidono con i limiti dell'azione dello spirito divino. La Chiesa non è il regno di Dio in terra.
Essa è però segno reale dell'amore di Dio.
Così il concilio, nella sacramentalità della Chiesa, ha ripreso aspetti fondamentali
dell'ecclesiologia legata alla riforma: essa è sacramento proprio come Chiesa peccatrice.
Il capitolo 8 della Lumen GEntium porta avanti l'analogia tra Cristo e la Chiesa, sono due
fenomeni simili ma non identici.
La Chiesa è sacramento in analogia Cristo, assimilata in Cristo, nella prospettiva del corpo
mistico, del Cristo totale. Il concetto di Sacramento qui è visto come segno visibile di una grazia
invisibile a cui rinvia, e a cui introduce.
La Chiesa rinvia oltre se stessa.

LA CHIESA DI CRISTO SUSSISTE NELLA CHIESA CATTOLICA


In base alle nuove affermazioni del concilio Vaticano II, oggi possiamo dire che la Chiesa di
Cristo esiste, anche se in forma imperfetta e in gradi diversi, anche nelle altre chiese e Comunità
ecclesiali.
Il Direttorio ecumenico, richiesto durante il Concilio e pubblicato in due parti, l'una nel 1967
e l'altra nel 1970 per l’applicazione dei principi conciliari, è stato rivisto nel 1993. Il Nuovo
Direttorio Ecumenico del 1993 al n.17 afferma che: «I cattolici conservano la ferma convinzione
che l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, “governata dal successore di Pietro
e dai vescovi in comunione con lui”. Essi confessano che la totalità della verità rivelata, dei
sacramenti e del ministero, dati da Cristo per l’edificazione della sua Chiesa e per il
compimento della missione che le è propria, si trova nella comunione cattolica della Chiesa».
100
Nell’ecclesiologia preconciliare non esistevano dubbi circa l’interpretazione dell’espressione
“la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica romana”. Pio XII sviluppò la teoria fondamentale
contenuta nell’enciclica Mortalium Animos di Pio XI con la lettera enciclica Mystici Corporis,
che è senza dubbio il documento più significativo sulla dottrina dell’appartenenza alla Chiesa.

La Mystici Corporis pone il principio fondamentale che:


1. Corpo mistico di Cristo
2. Chiesa di Cristo UNICA E MEDESIMA REALTÀ
3. Chiesa Cattolica Romana
Ancora con la Humani Generis sempre Pio XII nel 1950 affermava l’insegnamento
magisteriale ribadendo che: «Corpus Christi Mysticum et Ecclesiam Catholicam romanam unum
idemque esset».
Col Concilio Vaticano II le cose cambiano.
LG 8 afferma quanto segue: «Questa è l’unica Chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo
una, santa, cattolica e apostolica, e che il Salvatore nostro […] diede da pascere a Pietro […].
Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa
cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con Lui, ancorché al di
fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che,
appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità
cattolica».

Ma come si è giunti a questa formulazione?


Nel primo schema De Ecclesia, presentato dalla Commissione dottrinale presieduta dal card.
Ottaviani, veniva riproposta la dottrina della Mystici Corporis. La commissione teologica il 27
ottobre 1960 costituì una sottocommissione incaricata di sviluppare lo schema di base già
approvato. Al padre Witte fu affidata la parte riguardante il problema ecumenico. Lo schema fu
discusso durante la prima settimana del dicembre del 1962, l’accoglienza fu pessima tanto che fu
ritirato.
Tra il 1963 al 1964 fu notevolmente cambiato lo schema De Ecclesia; si giunse alla soluzione
di cambiare il testo affermando non più che la Chiesa di Cristo «é» la Chiesa cattolica, ma che
«sussiste» in essa. L’insegnamento è chiaro: la Chiesa di Cristo non ha confini stabiliti entro la
Chiesa cattolica romana, ma nello stesso tempo la Chiesa di Cristo sussiste pienamente nella
Chiesa governata dal Successore di Pietro e dal collegio dei Vescovi in comunione con il Papa e
non mai senza di lui. Ma viene esclusa la perfetta coincidenza.

101
Leggendo attentamente il n. 8 della LG, ci si può rendere conto che la Chiesa di Cristo che
sussiste nella Chiesa cattolica non è una chiesa ideale, ma è la Chiesa concreta che Gesù ha
affidato a Pietro e agli apostoli con il compito di custodirla, propagarla e governarla.
A tal proposito la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede «Mysterium
Ecclesiae» del 24 giugno 1973 afferma:
«Non possono quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come l a somma -differenziata
ed in qualche modo unitaria insieme- delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno facoltà di
pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser
soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità».
Il Direttorio generale del 1993 al n. 13 afferma che “la comunione si realizza concretamente
nelle chiese particolari, ognuna delle quali è riunita attorno al proprio Vescovo”.
Al n. 16 il direttorio del 1993 ricorda che, essendo la comunione un dono di Dio da accogliere
con gratitudine, i vescovi hanno il compito di favorire e salvaguardare la diversità che nelle loro
chiese particolari si manifesta come una dimensione della cattolicità della Chiesa.

Karl Barth: prospettive ecumeniche.


Barth, teologo evangelico, nacque a Basilea il 10 maggio 1886, morì nella stessa città il 10
dicembre 1968. Studiò nelle università di Berna, Berlino, Tubinga e Marburgo. Conclusi gli studi
accademici, l’attività pastorale lo portò a Ginevra e Safenwill.
Nel 1921 inizia la sua carriera accademica che lo vedrà professore di teologia della Riforma
prima a Gottinga ed in seguito a Munster e Bonn.
Il suo rifiuto a prestare il giuramento a Hitler gli costerà la cattedra.
Tornato in Svizzera insegnerà a Basilea fino al 1962.
L’opera che gli guadagna la scena è La Lettera ai Romani, del 1919, dove il teologo elabora
una interpretazione della lettera ai Romani. Così egli si esprime in una delle sue pagine:
“Il metodo storico-critico della indagine biblica ha la sua ragion d’essere: esso mira a una
preparazione, alla intelligenza del testo, che non è mai superflua. Ma se io dovessi scegliere fra
questo e l’antica dottrina della ispirazione, io adotterei decisamente la seconda: la sua validità è
più grande, più profonda, più importante, perché il compito che si propone è l’intelligenza stessa
del testo […]”.
Nel pensiero di Barth si possono individuare quattro momenti cruciali di sviluppo:
la formazione alla scuola della teologia liberale fino alla rottura con essa
il Römerbrief, cioè la "fase dialettica"
la fase di passaggio del Fides quaerens intellectum
la fase dogmatica matura della Kirchliche Dogmatik.
102
L’attività pastorale lo induce a valutare criticamente la teologia liberale. In critica alla
teologia liberale il nostro teologo parla di Dio come il “totalmente Altro” nei confronti dell’
uomo. È Dio ad avere l’iniziativa nel dialogo con l’uomo. Dio ha, per Barth, una precedenza
metafisica e gnoseologica. il contatto con la questione operaia, la povertà materiale e culturale
dei suoi parrocchiani, la difficoltà a trasmettere e insegnare il Regno di Dio... maturano in lui la
convinzione della abissale distanza tra la teologia liberale, che aveva imparato all'Università, e la
condizione esistenziale concreta della chiesa. Il Regno di Dio diventa una realtà "indicibile",
problematica, trascendente e che se agisce, agisce al di fuori delle capacità umane e delle
istituzioni storiche.
Il pensiero di Barth verrà in seguito influenzato dal danese Soren Kierkegaard, di modo che il
pensiero barthiano si può dire “dialettico”, teologia dialettica centrata sulla differenza tra Dio e
il mondo, Dio e la sua creazione ma non nel senso hegeliano del superamento sintetico degli
opposti (tesi-antitesi), ma in quello kirkegaardiano di dialettica come tensione inestricabile tra
essi.
Il termine "dialettica" sta ad indicare la tendenza di fondo di questa teologia per cui:
Dio e l'uomo si trovano in un rapporto statico-dualistico irriducibile, secondo una
dialettica di matrice kierkegaardiana, tra i due termini non c'è sintesi, ma solo contrasto e
differenza;
in virtù di questo, Dio stesso si manifesta all'uomo in termini dialettici, contraddittori,
paradossali, di Lui quindi non si può parlare mai in termini lineari, logici e definitivi;
di conseguenza l'esistenza stessa dell'uomo, la storia, il mondo sono immersi nella
paradossalità, nella problematicità, nel non-senso in un circolo chiuso che umanamente
non si può rompere.
Nella sua dialettica, Barth esprime soprattutto la sovranità di Dio.
Alla base del Römerbrief stanno due affermazioni su Dio "dialettiche" che attraversano tutto il
testo e che non trovano mai una conciliazione suprema:
1. Dio è "totalmente Altro" rispetto all'uomo, al mondo, alla storia, al tempo. Tra Dio e
mondo vi è una irriducibile e infinita "differenza qualitativa". L'uomo è perciò immerso
"a priori" in un circolo chiuso di peccato e problematicità che lo porta a porsi continue
domande senza trovare risposte definitive. L'uomo è posto in una crisi insolubile di cui è
consapevole, ma che non riesce a superare. Questa crisi apre uno spazio: dall'esistenza
emerge un interrogativo su una "origine" al di là del mondo e della storia in cui possano
superarsi tutte le contraddizioni, ma tale origine non è mai umanamente possedibile e
raggiungibile. Da questa considerazione di fondo seguono alcune conseguenze:

103
L'uomo è peccatore e luogo privilegiato della domanda su Dio (ma non trova
risposta).
Le conoscenze umane sono tutte relative, fallaci e deboli, la teologia non può fare
affermazioni "forti" su Dio, la fede è un salto indeducibile, uno spazio vuoto lasciato
all'iniziativa di grazia divina.
L'etica non può fondarsi sull'uomo, ma deve essere testimonianza del fallimento
dell'uomo nella dimensione del "sacrificio". La politica deve fuggire dagli estremismi
di rivoluzione e conservazione, perché entrambi finiscono con lo sfidare Dio e la sua
salvezza.
La religione corre costantemente il rischio del titanismo, di volere cioè raggiungere
Dio.
La chiesa si rivela spesso come il tentativo storico di "umanizzare Dio".
2. Dio può entrare in una indeducibile relazione di grazia con il mondo. Nonostante la sua
infinita trascendenza, Dio non rinuncia a entrare in relazione con l'uomo, a incontrarlo e
intervenire "tra i tempi" senza entrare "nel tempo". Ciò avviene in un atto indeducibile
che può partire solo da Dio stesso che è la grazia o l'elezione divina. Con quest'atto Dio,
nella sua assoluta libertà, fonda la fede nell'uomo permettendogli di uscire dalla sua
problematicità e facendogli scorgere un barlume di eternità. Il risultato è che la realtà
problematica e insensata del mondo acquisisce senso, si carica di un significato e diviene
"simbolo", "parabola", "testimonianza" di qualcosa che va oltre il mondo. Lo scorrere
indeterminato del tempo e la corruttibilità trovano una fissazione "simbolica" e un
significato. Le conseguenze sono molteplici.
L'uomo è "rinnovato" dalla fede in Dio e diviene "figlio" di Dio, pur senza
identificarsi con Lui, la speranza della fede getta una luce nuova sull'esistenza, pur
senza cancellare e annullare la condizione di peccato dell'uomo e quindi un suo
margine di libertà e scelta.
Le conoscenze acquisiscono significato alla luce di Dio, la teologia deve mettersi in
ascolto della rivelazione, rinunciare a speculazioni metafisiche troppo umane e saper
cogliere la "contemporaneità" che parla attraverso la Parola di Dio, la fede è
l'accettazione di un dono che viene da Dio, l'obbedienza accettata a una chiamata.
In campo etico occorre vivere come se noi fossimo Cristo, cioè amare il prossimo in
modo totalmente gratuito.
La chiesa non mira più ad affermare se stessa, ma rinvia oltre sé, divenendo simbolo
e testimonianza di una realtà trascendente.

104
Dopo la fase di passaggio, in cui rivede le sue critiche alla teologia liberale, Barth entra in
quella che viene indicata come la fase dogmatica.
Nel 1927 Barth pubblica il primo volume della Dogmatica Cristiana che nel 1932 diventerà
l’inizio della Dogmatica Ecclesiastica, opera di 13 volumi che impegnerà l'Autore per oltre
trent'anni.
In quest’ultima fase Barth sistematizza il suo pensiero.
Il teologo esprime soprattutto la sovranità di Dio all’opera.
Prima considera Dio come giudice, che condanna, nel secondo momento del suo pensiero non
pone più l'accento su questo, ma sulla benevolenza di Dio.
In questo senso, a partire dalla autorivelazione di Dio Uno e trino, lo pone al centro del suo
discorso teologico.
Considera Dio nella duplice dimensione ab intra e ab extra.
Dio fin dall'eternità è mistero di amore ab intra; con la creazione questo mistero di amore si
estende ab extra.
Barth interpreta l'opera salvifica come centrata su Gesù Cristo. Al centro dell'opera di
salvezza non c'è la Chiesa, ma Cristo. La Chiesa a sua volta è incentrata su Cristo stesso.
La sua ecclesiologia poggia quindi sulla cristologica.
Punto di arrivo di questa evoluzione del suo pensiero è l’elaborazione del metodo della
analogia. Non si tratta della analogia intesa come analogia entis, ma di una forma di analogia
che vuole esprimere la possibilità di una relazione tra uomo e Dio.
Il primo termine «analogia» presenta una sfumatura di significato diversa e intermedia
rispetto a "uguaglianza" (che implica coincidenza o identità) e a completa diversità (che implica
contraddizione o inconciliabilità), essa è corrispondenza o "accordo parziale". Se ci fosse
uguaglianza Dio cesserebbe di essere Dio e verrebbe meno la sua infinita differenza qualitativa
rispetto alla creatura. Se ci fosse totale diversità Dio sarebbe assolutamente inconoscibile e
contraddirebbe l'incarnazione di Cristo.
Il secondo termine «fidei» intende essere una contrapposizione al termine «entis». L'«analogia
entis» infatti era il modo in cui la Scolastica aveva definito il rapporto tra Dio e l'uomo: in questa
prospettiva si riteneva di poter dire qualcosa su Dio, sulla sua natura, sui suoi attributi, partendo
dall'essere degli enti creati (la natura). Barth, per i suoi presupposti rifiuta ovviamente questa
posizione e contrappone l'«analogia fidei». Con essa egli intende sottolineare il fatto che Dio non
si può conoscere mai a partire dalla natura creata, appunto a causa della infinita differenza
qualitativa che la separa da Dio, al contrario se conosciamo qualcosa su Dio è solo in virtù della
sua stessa auto-Rivelazione che possiamo accogliere solo nella fede, al di là delle categorie della
razionalità.
105
La analogia fidei poggia sul fatto che c'è una relazione di fondo che Dio stesso ha posto tra sé
e il mondo creato. Dio nella sua libertà ha posto una relazione con il mondo. Questa relazione è
interpretata nell'ordine della risposta. Ci sono due parti nella relazione: Dio ne è l'origine, pone la
relazione col mondo, e il mondo è chiamato a una risposta. La risposta dell'uomo diventa
determinante in questa relazione. C'è una partecipazione attiva da parte dell'uomo quindi.
Barth vede nel battesimo (che per lui non è un sacramento) la risposta dell'uomo a Dio, è il
battesimo che pone questa relazione, pone la risposta umana adeguata a un atto che viene da Dio
nello spirito Santo. Il battesimo è un atto etico. In questo il discorso Pneumatologico-trinitario si
intreccia con il profilo ecclesiologico.
Barth pone l'accento sul costituirsi della Chiesa come evento di grazia e di salvezza, in
riferimento a ciò che una volta è avvenuto in Cristo.
La chiesa è evento, non va considerata in modo stabile.
Barth vuole così liberare la ecclesiologia dalla staticità in cui la Chiesa è vista, avendo da
tempo perso la prospettiva pneumatologia; la Chiesa vista solo sotto il profilo giuridico-
istituzionale di societas perfecta, in prospettiva statica quindi.
Per Barth invece la Chiesa è evento di grazia, che accade continuamente nella storia.
Le sue considerazioni fondamentali sulla Chiesa, che riguardano anche il discorso ecumenico,
sono contenute nel suo saggio “La Chiesa”.

Dal saggio La Chiesa


Così afferma Barth nel suo saggio:
“La grande dispersione di forze spirituali e materiali nel campo missionario ci mostra
esservi non una, ma molte Chiese. E il fatto che queste Chiese siano spesso in conflitto fra loro,
rende ancor più difficile l’ascolto del loro messaggio, genera confusione in mezzo ai seguaci
superficiali, e aumenta le difficoltà dei veri seguaci”, 173.
“L’unità in se stessa, anche l’unità ecclesiastica, risente della natura umana decaduta e non
riconciliata […]. Il problema dell’unità della Chiesa non può essere una semplice aspirazione
all’unità ecclesiastica in sé […]. Se ci metteremo sulla via di una unità ecclesiastica in sé,
avremo contro di noi le forze del peccato e quelle della grazia, in maniera insuperabile”, 177.
“Il problema dell’unità della Chiesa deve corrispondere a quello del riconoscimento di Gesù
Cristo come capo e Signore concreto della Chiesa. Il bene dell’unità non deve essere separato
dal benefattore, nel quale essa è e si trova realmente fin dall’origine. Egli ci ha manifestato ciò
con la sua Parola e col suo Spirito. Solo nella fede in lui, la Chiesa può essere in mezzo a noi
una realtà”, 177.

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“Non si deve voler spiegare la pluralità delle Chiese come un necessario contrassegno della
Chiesa visibile, empirica, in contrapposizione alla Chiesa nella sua essenza, invisibile e ideale.
Non lo si deve fare perché questa differenziazione è estranea al Nuovo Testamento. […] Non si
deve però neppure voler spiegare la pluralità delle Chiese come uno sviluppo voluto da Dio,
ossia normale”, 178-179.
“Ricordiamoci […] che la Chiesa rappresenta quaggiù la figura del regno di Cristo nel
tempo che passa fra la sua ascensione e il suo ritorno; tempo in cui egli non è più presente in
mezzo ai suoi. […] Questo tempo è un tempo di incompiutezza, di prova e di miseria: e ciò si
rende evidente proprio nella pluralità delle Chiese, come pure nel peccato congenito e
quotidiano dei fedeli”, 181.
“L’unione delle Chiese è un affare troppo importante per essere il risultato di un movimento,
per quanto intelligente e prudente. E si può vedere nelle decisioni formali e nelle proclamazioni
dei vari organi del movimento ecumenico un’anticipazione di questo processo…
...in effetti, questi testi sono sprovvisti del carattere ecclesiale che dovrebbero avere, per
essere ascoltati e compresi dalle varie Chiese, con l’autorità della voce della Chiesa una e non
solo come buone risoluzioni umanitarie, che potrebbero essere state redatte anche da una
commissione delle Nazioni Unite”, 185- 186.
“Ogni singola Chiesa deve porsi la seguente domanda; concernente prima di tutto il
problema della sua vita: nella nostra Chiesa, quando noi seguiamo la nostra impostazione
teoretica, la nostra tradizione e confessione, nella posizione e nell’atteggiamento che assumiamo
di fronte alla realtà e ai problemi del mondo che circonda la Chiesa, siamo davvero in ascolto di
Cristo?”, 190.
A proposito della Chiesa Barth afferma che l'essere della Chiesa è l'evento in cui tutti gli
uomini sono posti insieme davanti il fatto della riconciliazione del mondo con Dio, avvenuta in
Gesù Cristo, quindi tutti sono sotto la grazia e il giudizio di Dio.
La Chiesa è la comunità vivente del Cristo vivente, una comunità dinamica di uomini che Dio
fa vivere nella sua grazia, e che guida per mezzo della parola e dello spirito in vista del suo
regno.
Questo evento (la Chiesa) si realizza una volta che la grazia è diffusa ed accolta dall'uomo.
Quindi non è vero che per i riformatori la Chiesa esiste solo quando si celebra; per Barth
invece, essa esiste come comunità in atto, è evento in atto, che se si celebra si rende visibile.
Non è vero neanche che per i riformatori la Chiesa è solo una realtà spirituale, perché si fa
ampiamente riferimento alla comunità, comunità di chiese come corpo di Cristo, in cui i cristiani
sono le sue membra, mediante il compimento della elezione eterna.
La Chiesa è quindi un evento posto Pasquale.
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La Chiesa è mistero, come assimilazione dei fedeli a Cristo attraverso lo spirito.
Barth parla al riguardo di Chiesa come corpo di Cristo, sottolinea (e qui viene ripreso da
Kung) che la Chiesa nasce in forza dell'evento della proclamazione della parola.
Ancora oggi, la Chiesa nasce dall'annuncio del Vangelo, nelle missioni. Ciò non mette in
dubbio il fondamento cristologico della Chiesa, perché l'annuncio di cui si proclama l'evento è
Cristo.
Il problema, soprattutto rispetto alla visione della Chiesa cattolica, e i maggiori contrasti,
nascono quando ci si chiede se attribuire o no alla Chiesa di Cristo la sua forma attuale. Per
Barth non è così!
Cristo ha voluto la Chiesa, il primato da parte di Pietro, ma non ha dato disposizione nei
dettagli. La configurazione istituzionale e strutturale della Chiesa può rinnovarsi attraverso le
contingenze storiche. E così è stato lungo il corso della storia.
C'è differenza quindi, per Barth, tra fondazione e fondamento della Chiesa.
Il Fondamento della Chiesa e ciò su cui essa poggia: Cristo!
La fondazione storica della Chiesa più che attribuirla a Cristo, va invece attribuita agli
apostoli.
È un dato fondamentale, che è stato oggetto di discussioni nel confronto con i protestanti.
In Barth questa distinzione è molto chiara, egli parla di fondamento cristologico della Chiesa,
e di struttura della Chiesa, secondo la prospettiva cattolica, che è contraria al disegno di Dio:
Barth in definitiva condanna la struttura gerarchica della Chiesa cattolica.
È questo il nocciolo del problema tra Barth e i cattolici.
Per Barth infatti il discorso ecclesiologico si lega con il discorso pneumatologico. La Chiesa è
interamente carismatica, tutta sotto l'azione dello spirito, della grazia, all'interno della quale
Barth vede la gerarchia come la pretesa della cattolicità di frapporre in mezzo, tra Dio e i fedeli,
il magistero.
È questa prospettiva di Barth che noi non accettiamo.
Al Concilio Vaticano II tutti i documenti conciliari che trattano della Chiesa e del problema
ecumenico (LG, UR) parlando di Chiesa come sacramento, salvano la posizione istituzionale e
strutturale gerarchica della Chiesa, salvandola dalla sua staticità, comprendendola invece come
mezzo per continuare la sua missione.
Cambiano i termini del discorso ma la sostanza non cambia: loro la chiamano "comunità" e
noi la chiamiamo "istituzione".
Essa mantiene l'unità della Chiesa, l'unità nella Chiesa, l'unità di dottrina, di indirizzo, cosa
che manca invece nella Chiesa protestante, divisa e frammentata in miriadi chiese locali, dove la
diversità è la differenza rischia di diventare divisione all'interno della stessa confessione.
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