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Il copione personale e trans-personale

“The latest incarnation of Oedipus, the continued romance of The Beauty and the Beast, stands this
afternoon on the corner of Forty-second Street and Fifth Avenue, waiting for the traffic light to
change” Joseph CAMPBELL, in The Power of the Mith, 1988.

Il copione personale e trans-personale (dal familiare all’antropologico) è una riflessione


pluridisciplinare di achille miglionico (prima parte)

Premessa: migrare humanum est

L’Europa è teatro di una immigrazione senza precedenti, che ricorda la cosiddetta “alluvione
immigratoria” dell’Argentina . Tutti i rappresentanti del genere Homo non sono mai stati fermi,
ammettiamolo. Marvin Harris, l’antropologo del materialismo culturale, ha un incipit suggestivo nel
libro Our Kind (1989) : ”In principio era il Piede”. In fondo tutto partì da lì, dal piede. La
ominazione è partita dalla stazione eretta (Homo erectus) e dalla capacità di corsa bipede. Il
movimento migratorio “volontario” è caratteristica di genere Homo. Già l’erectus aveva colonizzato
il mondo una prima volta. Camminando. Il Logos venne solo dopo e stravolse la Natura, con Noi, l’
Homo sapiens.
La storia umana va quindi letta come storia di migrazioni. Il concetto stesso di invasioni (es.
“invasioni barbariche”) va ri-tradotto in quello di migrazioni più o meno forzose. Dagli anni Ottanta
tutto è diverso nella Europa post-coloniale. Non si immaginava che il “sistema” europeo divenisse
uno dei maggiori centri attrattori del fenomeno immigratorio, da gran parte del mondo. Un solo
esempio: dal 1990 un quarto della popolazione albanese è migrato altrove. Chi lavora come
professionista d’aiuto in Puglia, vera regione di frontiera, lo vive nell’operato quotidiano : “La
migrazione è un fatto sociale globale” (Lia Lombardi, 2007). La ricerca di risorse di sopravvivenza,
la anomala distribuzione mondiale di risorse, ma anche la illusione di “Eldoradi” consumistici,
diffusa in ogni dove dalla mediocrazia che tutto e tutti raggiunge, hanno richiamato - come Pifferai
Magici - masse di bisognosi pronti ai lavori meno agevoli. P.e. nuove esigenze della società
europea, avara nel procreare e spiccatamente longeva, hanno determinato un flusso migratorio al
“femminile” (badanti dall’Est Europeo, collaboratrici domestiche, ecc.), che ha finito per
controbilanciare la precedente “ondata maschile” dei magrebini, che solo successivamente si
facevano raggiungere dalle famiglie (Lia Lombardi, 2007).
Quando si parla tra culture “diverse” – anche nella professione d’aiuto – è facile sentirsi dire: “da
noi si fa così... da voi si fa così...” Questo da noi, da voi… - con evidente alterazione timbrica da
contaminazione analogica - è alla base di integrazioni, talora di fusioni e confusioni, talora di
incomprensioni etniche: “Chez nous…Chez vous…”, “Da noi si usa così... Da voi si fa così...”.
Anche tra cittadini di centri limitrofi emergono differenze linguistiche, dialettali e di costumi per
cui si ascolta un orgoglioso “da noi...”. Il senso umano ed interumano della “differenza” aleggia
persino nelle comunità ristrette (conventi, collegi, caserme, scuole, luoghi di lavoro ecc.). E' la
ricerca stessa di identità a determinare ciò, e si oppone (ma alla fine integra) alla spinta centripeta
che porterebbe alla fusione al gruppo.

 Ogni mese in Camerun - ha spiegato l’etnopsichiatra Roberto Beneduce - si celebrano ancora


oggi processi contro stregoni, nei quali il giudice, mescolando linguaggio giuridico napoleonico a
termini suggeriti dal suo perito - stregone anch’egli - accusa di stregoneria qualcuno su denuncia
della presunta vittima (es. una donna che ha subito aborto). Così in processi in Mali, in SudAfrica,
in Congo ecc. “Una logica complessa, giocata tra chez nous e chez vous, tra da noi e da voi, tra una
Giustizia di derivazione occidentale ed una ‘culturale’…”
La stregoneria in Camerun e altrove (in ispecie in Africa subsahariana e centrale) diviene una
categoria morale oltre che eziologica in diverse culture - come lo era per noi presso la
“Inquisizione” (dal XIII sec.) e la “Inquisizione Spagnola”, istituita in Spagna pochi anni prima
della scoperta delle Americhe, ove avrebbe mietuto altre vittime. Beneduce riporta molti esempi di
interventi anche “gerarchici” di magia per cui - è ammessa dagli africani stessi questa “ossessione”
- se ritengo di aver ricevuto una “fattura” cerco di contrastarla con una maggiore ecc. in una
escalation di interventi operati - a finale incerto - da stregoni di differente potenza (e costi,
immaginiamo). Se il perito del giudice, in Camerun e altrove, è uno stregone, ciò significa che
questi è ammesso nella realtà forense di tutti i giorni. E il giudice stesso, alzando le spalle, spiega
all’antropologo o allo straniero bianco: “Sì ma da noi (chez nous) è così…”
La stessa Lex romana prevedeva la magia. Si ricordi che, quando Apuleio - autore latino
dell’Asino d’oro - dovette autodifendersi dall’accusa di magia “nera”, in un processo di magia,
ammise, nella Apologia, che aveva fatto uso solo di magia “bianca” (da “buon” cultore dei misteri
di Iside e Osiride). Nell’antica Roma la defixio, che era assimilata al veneficium (avvelenamento),
era un sistema sicuro per mandare a morte una persona: una lamina di piombo (legata a Saturno, dio
dei morti) con il nome ed il genere di morte che si augurava al malcapitato, si arrotolava e
trapassava con un chiodo, per poi seppellirla in luoghi ritenuti in diretto contatto con l’oltretomba.
Così si immaginava che ferite o mutilazioni inferte a una immagine (statuina di cera o di argilla, il
“doppio” del malcapitato) ledessero veramente la persona reale: come nei riti vudù, che nelle
Antille sono stati importati dall’Africa nera, con gli schiavi .

E con nuove ed eterogenee “masse” giungono anche disperati devianti. La cronaca nera di cui siano
protagonisti gli stranieri ingenera accessi di xenofobia negli europei e comunque li induce a
formulare maggiori misure di sicurezza intrasistemiche.
E’ necessario aprire ogni sapere professionale al nuovo, all’imprevisto, al diverso-da-noi, uscendo
dallo schema “europocentrico” che caratterizza anche la migliore e rispettosa delle formazioni.

• La psicoanalisi, la psichiatria, la psicologia, ogni metodologia di diagnosi ed intervento, risultano


inevitabilmente etnocentriche nel confronto con il diverso-da-noi ed hanno dovuto sviluppare
aspetti interfacciali nel confronto con culture diverse: si pensi alla ricerca di Geza Roheim (di cui si
parlerà successivamente), alla etnopsicanalisi sviluppata recentemente presso il “Centre Georges
Deveraux”, centro di sostegno psicologico alle famiglie immigrate nel distretto parigino di Seine-
Saint Denis; si pensi alla etnopsichiatria ed alla psichiatria transculturale dell’ultimo trentennio, alla
attività del Centro Frantz Fanon di Torino, sorto nel 1996, che offre psicoterapia e counselling a
cittadini stranieri con il tramite dei “mediatori etnoclinici”(R.Beneduce, 2001) .

• L’analisi transazionale per la natura relazionale della transazione - ponte “gianico” tra
intrapsichico ed interpersonale - e per la genesi decisamente “culturale” dei concetti berniani di
genitorizzazione e di copione, si presta in maniera versatile all’incontro con la dimensione
antropologica.

Gli urti epistemologici, infatti, alla solidità dell’edificio psicoanalitico - ricordiamolo - vennero
precocemente e proprio dalle ricerche sul campo condotte da antropologi come Margaret Mead
(1901-1978), moglie di Gregory Bateson, che cominciarono a dubitare non tanto della esistenza
dell’Edipo ma della non-applicabilità universale di taluni princìpi freudiani a tutte le culture: ogni
società andava studiata in sé (ne nacque il culturalismo ed il relativismo culturale). Nessun
antropologo ha peraltro seriamente messo in dubbio l’esistenza di un inconscio . Persino
l’etnocentrismo, va ribadito, non è necessariamente razzismo, come ebbe a formulare
provocatoriamente Claude Lévi-Strauss (attirandosi gli strali dei detrattori perbenisti), ma un vettore
intrinseco ad ogni cultura finalizzato alla autoconservazione.
Per superare l’etnocentrismo non basta fare proclami “politicamente corretti” o colmi di quel
“buonismo” mediatico, che poi confermano aspetti non-ok del “copione culturale” italiano.
All’utente classico si affianca oggi un utente “diverso” perché non inquadrabile nel nostro retroterra
culturale. Ciò che in un europeo bianco sarebbe diagnosticabile come un “delirio di possessione
diabolica” (patologia paranoide grave anche a livello prognostico) può essere, in un soggetto
nigeriano, una disfunzione assai meno grave, in quanto essa va inquadrata nel mondo spirituale di
appartenenza ove l’animismo è la regola: un esempio per tutti viene dall’operato
dell’etnopsichiatra/antropologo Roberto Beneduce il quale ha approfondito molto, con il suo gruppo
di ricerca ed intervento, a Torino, un modello di “possessione”, il Mami Wata, tra le donne
nigeriane che vivono in Piemonte. Ignorare può comportare danni da intervento disinformato. Gli
uomini recano con sé nel bagaglio la propria cultura ed il Mami Wata va conosciuto anche fuori
della regione ove è stato descritto, anche per comprendere la apparente ‘tendenza’ di certe etnie alla
prostituzione e la integrazione già digerita di tendenze occidentali, quali il consumismo.

Il Mami Wata è spirito delle acque, quasi sempre femminile (Wata è deformazione dell’inglese
water) che è andato ad arricchire il politeismi africano: Mami Wata ha volto dai tratti femminei,
indoeuropei, pelle bianca (!), capelli lisci, e neri; si palesa come donna-sirena o donna-serpente che
“ostenta bellezza e ricchezza e che affligge, arrecando morte e malattia, coloro che…trasgrediscono
le sue …proibizioni.” (Beneduce). Il Mami Wata è culto comunitario delle regioni del Golfo di
Guinea sino alla Rep. Democratica del Congo (qui si chiama Mamba Muntu). Fa riflettere come la
nuova dea mutua chiaramente tratti occidentali “consumistici” (la dea ed i suoi seguaci amano auto,
vestiti lussuosi, case confortevoli ecc.) e per sua natura fa adepti con una territorialità senza confini.
Il culto è collegato ad un tenebroso ed autoctono ciclo di bambini-spiriti (Ogbanje o returning
children) o Abiku (“born to die”), bambini destinati a nascere più volte nel ventre della madre per
poi morire ciclicamente in tenera età o prima della adolescenza; collegato è il mito delle donne-
pesce, “figlie” di Mami Wata, amanti della bella vita e del benessere (Li Uwa è una che vuole
“divorare” il mondo). Le adepte di Mami Wata sono per natura ambivalenti, spiriti delle acque
intrappolate in corpi e costretti tra i vivi, “come un terzo genere che si scaglia contro le nostre
categorie” mentali, dice Beneduce. Esse sono contemporaneamente:
donne anche malate, oggetto di diagnosi psicopatologiche (episodi psicotici);
 donne anche immigrate, prese nelle trappole identitarie dell’ essere come il bianco, imprigionate
in processi di mimesi sociale ed economica;
 anche adepte di confraternite, donne che hanno avuto esperienza di possessione, che hanno
partecipato a rituali e necessitano di rituali da hoc, per “guarire”.

Il problema delle adepte di Mami Wata è correlato anche al fenomeno di facile prostituzione delle
nigeriane in Europa: donne Igbo, Yoruba, Ibo, Edo ecc. La prostituzione religiosa (ierogamia) non
era estranea alla cultura greca antica (la praticavano p.e. sull’Acrocorinto le sacerdotesse di
Artemide).

Oggi - dunque - non si può prescindere dal discorso sulla Cultura e la inter-Cultura . La prima metà
del Novecento si è dedicata alla indagine dell’intrapsichico, la seconda metà del Novecento si è
focalizzata sull’interpersonale delineando utili teorie della comunicazione (G. Bateson e scuola di
Palo Alto, E.Berne e l’analisi transazionale, I. Eibl-Eibelsfeldt e l’etologia umana ecc.) e dei sistemi
(Ludwig Von Bertalanffy e Teoria Generale dei Sistemi). Questo secolo si apre come si è chiuso il
precedente: sull’interesse antropologico, non più inteso come un qualcosa che richiede un lungo e
faticoso viaggio per contattare “popoli allo stato di Natura” . Oggi basta girare l’angolo della strada
e si incontra il mercato nordafricano, o la costellazione di negozi cinesi che prima si vedevano solo
nei film statunitensi. Allora non fa meraviglia se anche nella sala d’aspetto del nostro studio privato
vi è una donna con il velo islamico o un nigeriano che ci attendono, anzi che attendono il nostro
“aiuto”.

Lo studio dell’Uomo: il Sistema Curatore/Curando tra emico ed etico.

Perché invitare lo psicoterapeuta o il counsellor a riflessioni antropologiche? Non solo per la fase
storica che stiamo vivendo. Lo studio dell’antropologia, studio della specie umana in toto, dal
versante biologico a quello culturale,

“...è prezioso per chiunque progetti di esercitare una professione in un campo interessato alla
dimensione culturale dell’esistenza umana. Una cultura consiste nei modi socialmente acquisiti di
pensare, sentire ed agire dei membri di una particolare società. Le culture mantengono la propria
continuità attraverso il processo di trasmissione di cultura…La trasmissione di cultura indica il
processo con cui la cultura viene trasmessa da una generazione all’altra, la diffusione indica
quello con cui la cultura viene trasmessa da una società all’altra…”

Questa è esattamente l’area di intervento di ogni professionista d’aiuto. Marvin Harris (1927-2001),
nel suo trattato di Antropologia Culturale, ci ricorda, oltre la trasmissione di cultura e la diffusione,
anche il processo di resistenza alla diffusione. Poi Marvin Harris introduce un chiarimento che
avvicina l’antropologo ancor di più al nostro ruolo di professionisti d’aiuto in una società
“complessa”:

“Gli esseri umani possono descrivere i loro pensieri e comportamenti dal proprio punto di vista. Di
conseguenza, nello studio delle culture umane si deve chiaramente indicare se viene esposto il
punto di vista della popolazione indigena facente parte di un dato gruppo sociale o quello
dell’osservatore. Rispettivamente si tratta di punti di vista emici o etici…” .

Emico è il punto di vista intrasistemico (“Mi faccio Pigmeo per comprendere i Pigmei” oppure
“intervistare e raccogliere vissuti ed esperienze dei Pigmei”); l’etico è percepibile dal di fuori del
sistema osservato, è il punto di vista extra-sistemico. Ma qui nasce la difficoltà comune alla
ricerca antropologica e scientifica in genere: il problema della impossibile “neutralità” rispetto
all’osservato - che è circolarmente anche un osservatore (sia esso un cliente di Manhattan di fronte a
Berne oppure una tribù Bororo del Brasile studiata da Claude Lévi-Strauss). Non per niente si sono
sviluppate nelle varie metodologie di intervento psicoterapeutico opportune strategie che
contrastassero aspetti emici in favore di quelli etici: per esempio la supervisione diretta (attraverso
lo specchio nel caso dell’intervento psicoterapeutico sul sistema-famiglia) o indiretta.

“Le versioni, emica ed etica della realtà spesso differiscono considerevolmente, benché vi sia di
solito un certo grado di corrispondenza fra esse.” (M.Harris)

In realtà, a causa della natura circolare della comunicazione, aspetti emici di natura
controtransferale (= di natura psicologica e culturale) complicano ancora di più qualunque
rapporto tra “osservato” ed “osservatore” e colpiscono in pari misura sia lo psicoterapeuta-
counsellor sia l’antropologo: se ne era ben accorto Claude Lévi-Strauss il quale, in Tristi Tropici
(1963) e altrove, ammise che taluni aspetti di una tribù brasiliana gli muovevano “simpatia” ed altri
“antipatia”, anzi quasi lo disgustavano. In effetti è difficile studiare il “cannibalismo” di un
criminale o di una tribù senza contemplare interferenze emiche personali (contaminazioni di natura
controtransferale). Ed è altrettanto vero che i fenomeni emici, se gestiti - alla pari degli eventi
controtransferali in psicoterapia -, finiscono per favorire l’osservazione. L’analisi dei sogni o di un
delirio in setting psicoterapeutico, l’analisi di un mito in un villaggio Huichol in un setting
antropologico, pongono gli stessi problemi e le stesse risoluzioni di problemi. E’ ravvisabile una
inclinazione emica anche nella capacità degli psicoterapeuti di attivare il canale empatico e quindi
favorire l’alleanza di lavoro (individuata da Berne): qualunque alleanza di lavoro in qualunque
sistema Curatore/Curando . D’altronde non sono lo stesso medico o psicoterapeuta assai più vicini
di quanto suppongano alla struttura di pensiero ed azione di uno sciamano o di un curandero? E’
vero: “La magia dello stregone bianco è potente”, ammettevano guaritori tradizionali di ogni dove.
Ma nel mondo si cura da sempre e da prima dell’avvento scientifico-tecnologico, con la medicina
tradizionale. Medicina tradizionale e medicina ufficiale p.e. coesistono in Messico tra la
popolazione Huichol. Così la la medicina sciamanica non va rifiutata sic et simpliciter da un punto
di vista etnocentrico (pregiudizio/contaminazione emici, di stampo occidentale) e mono-etico (“non
funziona mai e non può funzionare”); va invece inquadrata emicamente (la gente ci crede da secoli
ed attiva alleanza terapeutica con maggiore semplicità) ed eticamente (per esempio
inaspettatamente “funziona”).

 E’ noto che Claude Lévi-Strauss assistette di persona alla "sorprendente" (per un europeo
occidentale) efficacia di una terapia simbolica: si trattava di una danza che "sembrò" agire sulla
evoluzione di un parto distocico. L'antropologo francese si interrogò a lungo - come aveva fatto
prima di lui lo scettico Franz Boas (1858-1942) – su come fosse possibile che una
“rappresentazione cantata o una bambola” potessero agire sul “corpo” e guarirlo realmente. Ed
aveva ammesso (interrogandosi in termini di cervello e mente, come Freud): “L’ efficacia
simbolica consisterebbe appunto in questa proprietà induttrice di cui, le une rispetto alle altre,
sarebbero dotate strutture formalmente omologhe, edificabili, con materie prime differenti, ai
differenti stadi del Mondo vivente: processi organici, psichismo inconscio, pensiero riflesso” (in
Antropologia strutturale I, 1958, p. 226).

Quando il sofferente si riferisce a categorie diagnostiche diverse da quelle del terapeuta,


quest’ultimo ha da rivedere il proprio modo di percepire e “costruire”. La relazione d’aiuto ha un
suo valore intrinseco di “guarigione” di ordine “culturale”: una dimensione che tutti avvertiamo
come presente in ogni nostro atto professionale d’aiuto.

 Il gesuita Eric de Rosny (n. 1930), autore di un libro Gli occhi della mia capra (Les yeux de ma
chèvre, ed. 1981), insegnava negli anni Cinquanta in un liceo africano (Camerun) “affamato di
europeità: Voltaire ecc “: allora la medicina tradizionale non era proprio presa in considerazione
ma, quando un liceale fu “impossessato” da un “genio dell’acqua”, dinanzi alla impossibilità di
aiutarlo con la medicina europea, scelse di iniziarsi alla medicina tradizionale. Un libro coraggioso
che rivela un mondo latente. E de Rosny divenne un po’ nganga (stregone) .
La relazione e la capacità di instaurare una relazione sarebbe - e questo non desta meraviglia nello
psicoterapeuta di qualunque formazione - il primum movens di una possibile “induzione” di
processi di autoguarigione, insiti in ogni individuo. D’altronde la Natura non poteva aspettare la
nascita della cultura scientifica (come per far nascere i suoi figli non ha atteso i ginecologi): l’
autoriparazione è ubiquitariamente presente a livello organismico. Da un punto di vista psichico lo
stesso sogno è un tentativo di autoterapia (che può fallire, come tutti). La stessa tecnica di
decontaminazione, ricordava Novellino anni fa in una lezione, attiva un processo di
autodecontaminazione, già presente nell’uomo. C’è tanto da imparare tra emico ed etico.

“ Oltre agli aspetti emici, etici, mentali e comportamentali, tutte le culture condividono un modello
universale”, concludeva l’antropologo Marvin Harris.

Il legame di ogni contraddizione o antinomia è l’uomo nel suo gruppo di appartenenza,


cominciando dal primo gruppo, la famiglia. Questo ci ricorda la analogia freudiana tra “sogno quale
mito individuale” e “mito quale sogno collettivo”. Anche noi professionisti d’aiuto facciamo
“altalena” tra dentro e fuori, tra emico ed etico:
• tra empatia (che è una capacità emica di “mettersi nei panni di”, di “sintonizzarsi” sull’Altro-da-
me) e ascolto attivo (capacità etica);
• tra controtransferale (emico) e transferale (etico);
• tra “mappa” del cliente e mappe in nostro possesso, mai smarrendo - speriamo - un modello
universale di riferimento.

E’ come se oggi al terapeuta, per esprimere la propria indagine e prassi professionale, fosse
richiesto di essere anche un pochino antropologo del “privato”, dell’individuo ; un terapeuta in
grado di differenziare aspetti emici (vissuti, sogni, narrazioni personali, opinione e credenze
copionali individuali, gruppali, familiari…) dagli aspetti etici osservati. Così il copione ha una
parte narrata (emica) ed una osservabile a livello di output comportamentale (etico).
Persino la differenza tra messaggio di controcopione (messaggio interno) e spinta (versante
comportamentale della controingiunzione e quindi osservabile dall’esterno) è più facile
considerando il primo un aspetto emico ed il secondo un aspetto etico dello stesso fenomeno
copionale.

Di più. Il professionista d’aiuto è chiamato ad operare oggi in una società non solo “complessa” ma
anche multi-etnica per cui culture e subculture comportano talora titanici contrasti tra multi-emico e
multi-etico.
Tra gli argomenti descritti in analisi transazionale post-berniana due suggeriscono l’apertura
immediata ad una visione antropologica: il Genitore Culturale di Pearl Drego ed il Sistema di
Riferimento schiffiano. Entrambi i fenomeni si inscrivono nel grande capitolo del copione.

Come anticipavano correttamente (e profeticamente in un certo qual senso) C. Moiso e M.


Novellino (p.67, 1982) “secondo l’estensione ed il numero di individui che ne condividono gli
assunti di base (e il destino) il copione si può classificare come culturale, subculturale, familiare,
individuale”.
E’ giunto il momento di dire di più.

“Alla ricerca del Copione perduto”

In “Ciao!”… e poi? Berne, già dalle prime pagine, non nasconde il disegno ambizioso di inoltrarsi
nella terra degli interrogativi inquietanti, quelli che sono “alla base del vivere umano”. Berne, alla
pari di Freud e Jung, non è estraneo alla antropologia e cita con disinvoltura testi classici e testi
moderni. Prima di Berne molti studiosi si erano accorti che nelle vicende umane vi sono schemi
comportamentali caratterizzati da ripetitività e spesso distruttività. Freud aveva notato che ci sono
cose e fatti, potenzialmente auto-eterodistruttivi, che si ripetono nella trama di vita delle persone ed
aveva parlato di coazione a ripetere. Lo stesso Berne individua la caratteristica coattiva del
copione, anzi è da lì che parte nella sua intuizione del copione psicologico (1966).

 Il copione psicologico berniano di per sé è sotto l’influenza della dea greca della necessità
Ananke come la chiama Freud. In linguaggio psicoanalitico, esso è guidato dalla coazione a
ripetere. Berne correla la coazione a ripetere alla voce non “stentorea” ma “seduttiva” del dèmone
(p. 235 ed. it., 1972) e non crede, come Freud, che dietro ci sia una spinta prettamente “biologica”.
Il dèmone, è una voce più proto-culturale, “seduttiva”, un fare di sfida relazionale che il bambino
prova già sul “seggiolone” versando “la pappa sul pavimento con gli occhi che brillano di gioia
aspettando di vedere cosa faranno i genitori” (p.11, 1972). Chiarisce l’apparente incongruenza tra
biologico e culturale in nota (7, p.264) : “…il dèmone, l’impulso, è un impulso dell’Es. Ma
fenomenologicamente, il dèmone è vissuto come una voce (o più precisamente la voce del dèmone
del genitore) impressa nel bambino. Parlando per l’Es del genitore, parla anche per l’Es del
genitore”. Il c.d. Bambino pazzo del genitore introiettato è una forma meno sottile e più eclatante
di dèmone (7, p.264). Si tratterebbe quindi di contenuti programmatici a trasmissione
prevalentemente culturale, contro i quali usare rimedi culturali . “Il rimedio contro i demoni sono
sempre state le parole magiche”(Berne, p. 235, 1972).

Il copione è ridondante, si ripete. Ripetitività. E che dire degli anonimi compositori di miti che
costellano la storia e le culture di ogni dove? Ripetitività. E dei cantori o drammaturghi di ogni
epoca che descrivono strade quasi obbligate degli uomini? Ripetitività. I pazienti stessi, poi, talora
vengono a consulto manifestando intuizioni del genere (“Dottore, ci sono cose nella mia vita che si
ripropongono tali e quali ed io sembra non posso farci nulla…”) .

• Che il copione psicologico possa essere funzionale o disfunzionale Berne lo aveva visto subito e,
cogliendo una analogia discutibile con il tavolo da gioco parlava di individui che mostrano un:

Copione “perdente” o “distruttivo” (secondo C. Moiso e M. Novellino, 1982), caratterizzato da


“sconfitte” intermedie e finali (sino al più tragico di tutti l’“amartico” );
Copione “vincente”, o “costruttivo”, (secondo C. Moiso e M. Novellino, 1982), insomma “a lieto
fine”;
 Copione “banale” o “improduttivo” (secondo C. Moiso e M. Novellino, 1982), in cui le persone
non manifestano solo che talune potenzialità, limitando la propria crescita e le opportunità; gli
obiettivi sono raggiungibili ma con grande spreco di risorse e conflittualità.

Non è un caso che Berne sia colpito dal lavoro di Joseph Campbell, noto per i lavori di mitologia
comparata sul Monomito presentato nell’ Eroe dai mille volti (1949). L’intuizione “antropologica”
è forte in lui. Il copione “psicologico” è “individuale” o “personale” e non è solo psicologico in
quanto l’individuo non può essere studiato fuori del nesso relazionale e sociale (micro-
macrosociale). Il copione personale, ergo, per la sua natura esistenziale e referenziale, si pone alla
osservazione pluridisciplinare tra psicologia evolutiva, psicopatologia e antropologia culturale.

Né sono sfuggiti a Berne lo studio di Gregory Bateson sul ‘gioco’, The Message ‘This is Play’
(1956) e l’opera di Huizinga. Berne ha letto Homo Ludens (1938) dell’olandese Johan H. Huizinga,
lo “storiografo della cultura” che i nazisti non erano stati capaci di zittire, neanche con la
deportazione in un lager per ostaggi. La caratteristica più significativa del “gioco” - in Huizinga - è
di essere un atto libero, almeno per l’uomo adulto. Inoltre il gioco si differenzia dalla vita normale
come lo scherzo dalla cosa seria, anche se a volte esso viene preso molto sul serio. Il Gioco crea
Cultura, ne è uno dei motori più attivi . Egli considera la cultura come un sistema in cui tutti gli
elementi interagiscono tra di loro: economia, politica, diritto, usi e costumi, arte. Anche lui, come fa
Campbell per i miti, usa un metodo comparativo. Per comprendere il significato di eventi storici e
culturali bisogna conoscere la storia e le culture precedenti, così la pensa Huizinga. Tale
convinzione lo obbliga a lavorare su periodi di grande durata, progettando strutture su vasta scala
temporale. Forse Huizinga cerca quanto altri storiografi il copione storico dell’Uomo, senza
riuscirvi, però in Homo Ludens apprezziamo una “enorme costruzione di antropologia culturale
fondata sull’etnografia, la psicologia storica, la sociologia, la linguistica, lo studio del folklore
ecc., ovvero un’analisi globale del ruolo dei miti e della immaginazione mondiale, del gioco come
principio universale del divenire della cultura umana. Non a caso il nome di Huizinga è stato
accostato a quello di M. Mauss e di C. Lévi-Strauss” (E. Galavotti, 2005) .

La psicoanalisi, già dagli albori, si era trovata ad affrontare temi antropologici solo apparentemente
distanti dallo studio del singolo. S. Freud, affascinato dalla linea evolutiva
magia>>>religione>>>scienza, esposta da J.G.Frazer (in Totemism and Exogamy, 1910) ed ora
rivisitabile, si spinse a scrivere Totem e Tabù (1912-13). Berne si sofferma sulla integrazione tra
psicoanalisi e antropologia operata da Geza Roheim, studioso che, scappato da Budapest per
sfuggire ai nazisti, si era rifugiato in USA.

• Vale la pena di sottolineare che Roheim, da antropologo di impostazione psicoanalitica, propose


“un paradigma di teoria psicoanalitica sociale in grado di confrontarsi con il tema della differenza
culturale, pur mantenendo una dimensione universalistica della psiche umana” . I tempi erano
cambiati. Freud aveva aderito al paradigma evoluzionistico in antropologia sviluppando la
“ricapitolazione” filogenetica e fornendo una analogia tra il pensiero “primitivo” ed il pensiero
“infantile”, tra nevrosi ossessiva e formazioni rituali con particolare riferimento alla organizzazione
totemica ed ai relativi tabù o sistemi di divieto/regolamentazione sociale (ma non c’era secondo
Freud identità tra nevrosi e tabù, come qualcuno ritiene, ma solo “concordanza”).

Roheim, l’unica antropologo ad essere stato in analisi (con Ferenczi), fu mandato “sul campo”, tra
gli Aranda, in Australia, grazie agli interventi di Freud, Ferenczi stesso e la principessa Marie
Bonaparte. Ne venne fuori una pubblicazione su “Totemismo australiano”. Negli USA scrisse la
sua opera più famosa “Psicoanalisi e Antropologia” (1950), letta da Berne e citata in “Ciao!”… e
poi?.

Concetto centrale in Roheim è il “trauma ontologico” concepito “come il modo di intervento della
cultura sullo sviluppo libidico del bambino attraverso divieti e gratificazioni” della agenzia
educativa. Il concetto di Roheim travalica i ristretti confini dell’individuo avulso dalla società e
visto come monade, e appare più vicino al concetto di copione trans-personale, culturale .
La tabella che segue (tratta e migliorata da una ns. pubblicazione del 1996, TA Papers: Tribute to
Eric Berne) sintetizza le fonti da cui ha attinto l’opera berniana, citando in taluni casi una
pubblicazione che in particolare abbia riconoscibile attinenza con il concetto di copione, per
ammissione dello stesso Berne. Per “le basi berniane del copione psicologico” si suggerisce di
leggere l’esaustivo ed omonimo paragrafo in Novellino M. (2004).

RADICI DEL PENSIERO BERNIANO

ANALISI DEL PROFONDO


Sigmund FREUD (Opera omnia)
Paul FEDERN
Edoardo WEISS
W. FAIRBAIRN
Erik H. ERIKSON (Childhood and Society, 1950; Identity and the Life Cycle, 1959)
C.G. JUNG (Psychological Types, 1946 ma Opera Omnia)
ADLER (Individual Psychology, in The World of Psychology, 1963.)

CIBERNETICA & NEUROSCIENZE


Norbert WIENER (Cybernetics, 1948)
W. PENFIELD
Ludwig von BERTALLANFY (The Theory of Open Systems in Physics and Biology, 1950)

ANTROPOLOGIA

S. FREUD ( Moses and Monotheism, 1939)


Otto RANK (The Mith of the Birth of The Hero, 1910)
G. ROHEIM, (Psicoanalisi ed Antropologia,1950)
J. FRAZER (Opera Omnia)
J. CAMPBELL (The Hero With A Thousand Faces, 1949)
G. BATESON (The Message ‘This is Play’, 1956)
J. HUIZINGA (Homo Ludens, 1938)

Con la distinzione tra piano di vita e corso di vita, Eric Berne cominciò a riflettere sul copione
psicologico quale “modello del destino umano” (con la “d” minuscola) da contrapporre alla
“magia” del Destino (con la “D” maiuscola). L’ineluttabile delle vicende umane, il “doveva finire
così”, l’inatteso che poi in fondo era atteso, uscivano dal calderone informe del Fato greco-romano,
del Qadar (la predestinazione islamica) e di altre forme istituzionali di pensiero che negano il
“libero arbitrio”, per divenire oggetto di speculazione scientifica, di previsione non del “certo”
bensì “dell’altamente probabile”. L’analisi del Copione è una griglia di lettura applicabile ad
individui e sistemi, che facilita il compito diagnostico e prognostico ai terapeuti e counsellor (di
ogni formazione) fornendo loro un potente strumento di osservazione ed intervento
preventivo/curativo a carattere longitudinale. Il Copione è il concetto più sistemico di Berne in
termini di interazioni sociali. Quando scatta la interazione con l’Altro/gli Altri, l’avere un copione
impone di “recitare” un qualcosa che non è un qualcos’altro. E sulla scena può essere osservato.
L’Uomo è pluri-ruolo ed impersona molti attori contemporaneamente: alcuni suoi ruoli sono di
protagonista, altri di co-agonista, altri ancora di importanza minore (ma non secondaria) sino al
ruolo di semplice comparsa.

Già Berne lo aveva previsto (p. 119, 1972). Oggigiorno si ritiene che tra autonomia e limiti
copionali vi sia un continuum ad andamento dinamico. Nessuno è fermo staticamente in un punto
tra gli estremi; noi ci muoviamo sul continuum in un dinamismo che è sottoposto alla azione dei
fattori stressanti (gli stressor). Eventi di particolare carattere usurante possono farci oscillare verso
la non-okness del copione anche quando ne siamo sufficientemente autonomi ed allora ci sentiamo
come “risucchiati” dal polo copionale (“risucchio copionale”, lo chiamiamo da quando un cliente ce
lo descrisse così). Chi è “imprigionato” nello schema di vita è polarizzato in una situazione di non-
autonomia.

COPIONE ------------------------------ AUTONOMIA

In definitiva: Il copione personale si delinea come un piano di vita personale, concepito e deciso
nella prima infanzia in base alle influenze parentali e sociali, e successivamente dimenticato o
rimosso, che limita l’autonomia individuale. Ha una componente inconscia (il Protocollo o scena
primaria) ed una larga parte preconscia.

Con lo sviluppo storico della analisi transazionale psicodinamica (C. Moiso e M. Novellino ne sono
i promotori e per questo vincitori di due distinti Premi Eric Berne) ed il susseguente recupero della
dimensione inconscia, va sottolineato l’aspetto transferale dell’agito copionale. Il copione
psicologico è un dramma transferale, se si recupera l’inconscio berniano (che è sovrapponibile
all’inconscio freudiano). Non a caso Novellino (2004), parlando di copione, allude all' Io
transferale.

Berne (1961): “…Il copione [psicologico] appartiene al regno dei fenomeni di transfert, cioè è un
derivato, o più propriamente un adattamento di reazioni ed esperienze infantili; esso però non si
occupa semplicemente di una reazione di transfert o situazione di transfert; è un tentativo di
ripetere in forma derivata un interno dramma transferale, spesso suddiviso in atti, esattamente
come i copioni teatrali, che sono dei prodotti artistici intuitivi dei drammi primitivi dell’infanzia.
Dal punto di vista operativo il copione è un complesso insieme di transazioni che per sua natura
tende a ripetersi ciclicamente...” (pp.101-102). Ricordiamo la sequenza di sviluppo del copione
secondo Berne

Protocollo>Decisione>Palinsesto>Tornaconto

Il protocollo è una versione arcaica del dramma edipico, rimossa negli anni successivi; sono le
esperienze drammatiche originarie sulle quali si basa il copione; dunque è inconscio.
Berne classificò i copioni non-ok in rapporto al tempo: Mai (Tantalo), Sempre (Aracne),
Finché/Prima (Eracle/Giasone), Poi/Dopo (Damocle), Quasi/Prova e Riprova/Più e più volte
(Sisifo), Indeterminato (Filemone e Bauci).
• Solo il Mito di Ulisse/Odisseo è vincente (Clarkson): egli rinuncia alla immortalità (onnipotenza)
per fare rientro ad Itaca (accettare limiti Adulti).

Tali miti dell’umanità, che la cultura occidentale sembra voler dimenticare, costituiscono ancora un
prezioso punto di riferimento anche se oggi vanno “tradotti” dinanzi ad una cultura sempre più
depauperata dalla mediocrazia e dalla decadenza della istituzione scolastica. Il copione è per
definizione “personalizzato”. Noi, nell’analisi ad personam di copione, già suggerimmo il concetto
di mito personale nella genesi del copione, accostando il mito in particolare al protocollo (pag.145-
154, Miglionico A. e Novellino M., 1993). Da notare come nelle formazione del copione il
linguaggio prevalente delle origini sia analogico-metaforico (come nel sogno). V. Formazione del
copione: figura tratta da A. Miglionico, Mito e Linguaggio metaforico nel Copione (1994).

Abbiamo così ricordato e arricchito il concetto di copione personale. Ma noi non introiettiamo
unicamente i messaggi e comportamenti dei nostri diretti caregiver. Noi introiettiamo attraverso i
genitori, conviventi, istruttori, amici, associati ecc. anche il Genitore Culturale della nostra
comunità. Così si perviene al concetto di copione trans-personale.

Il copione personale e trans-personale


Il copione personale e trans-personale (dal familiare all’antropologico) di achille miglionico
(seconda parte)

Il Genitore Culturale. Transfert e controtransfert culturale.

Già Berne aveva sottolineato la tendenza transgenerazionale dei copioni ed aveva intitolato
“Trasmissione della Cultura” un paragrafo avanzato (1972, p.242). Qui prendeva in esame
informazioni, ascendenti e discendenti, di un copione familiare Ok: ben un secolo di “parata
familiare”, descritta in base a materiale antropologico, storico e genealogico di una famiglia X.

Ma le famiglie non vivono da sole e sono calate in una realtà sociale di ampiezza variabile. Carlo
Moiso (1996) ha analizzato lo sviluppo dello stato dell’Io Genitore nelle componenti G0 (Genitore
psicobiologico), G1 (Genitore oggettuale), G2 (Genitore parentale), G3 (Genitore Sociale), G4
(Genitore individuato eticamente e culturalmente): la visione di Moiso non è in contrasto con il
diagramma a cipolla degli Stati dell’Io (A. Miglionico & M. Novellino, 1991, 1993, 1998).
L’introduzione di Genitore Culturale si deve alla Pearl Drego, analista transazionale dell'India .
L'A. riprende la descrizione di Berne di cultura di gruppo con:
1. aspetti tradizionali (group etiquette o Etiquette); in fondo aspetti Genitoriali della Cultura
considerata;
2. aspetti tecnici, razionali (technical culture o Technicalities); in fondo aspetti Adulti della Cultura
aggregante;
3. aspetti emozionali (group character o Character); in fondo aspetti Bambini della Cultura.

Una mamma europea accudisce il piccolo con modalità tecniche differenti da quelle di una mamma
boscimane !kung: la cultura tecnica della pediatria europea non consente il precoce raddrizzamento
della colonna vertebrale del lattante come fanno i !kung (senza per altro cagionare dismorfismi del
rachide paventati da taluni medici); il divezzamento non avviene al principiare della deambulazione
del piccolo ma con lo spostamento sul dorso ecc. Questo è aspetto T (come allevare, come cacciare
o pescare, come prendere la metro ecc.). Ma nel fare questo e cantare una ninna-nanna le mamme
esaminate osservano anche un aspetto tradizionale di trasmissione culturale (aspetto E) e soddisfano
un aspetto emozionale (aspetto C). La Cultura di una Organizzazione di profitto (es. Microsoft,
Fiat…) o non di profitto (es. WWW, Intervita…) determina la missione (mission) della stessa e
descrive un GC da accettare per chi vi lavora all’interno.

Nella pratica sciamanica, medica o psicoanalitica ci sono aspetti culturali E-T-C. Se i rituali
dominano una pratica, l’aspetto T diminuisce rispetto alla grossa quota di aspetti E e C.
Sintetizzando la Drego: Etiquette-Technicalities-Character sono aspetti rispettivamente Genitoriali,
Adulti e Bambini della cultura di gruppo e tali stati dell'Io della cultura concorrono alla formazione
del Genitore Culturale di un certo gruppo antropico o popolazione.
Il Genitore Culturale viene rappresentato graficamente con ellissi. Il Genitore Culturale viene
dunque introiettato nel G2 ed influenza con l'ombra culturale (cultural shadow) anche G1: in pratica
la linea evolutiva del Genitore. Alcuni stereotipi culturali, risultanti dalla internalizzazione di
modalità culturali di risposta, sono contenuti dalla Drego in G1 (ove, si ricorda, sono depositate
classicamente anche le decisioni di copione psicologico). Una evidenza ulteriore che il copione
“personale” è più del semplice “psicologico”: questa culturizzazione nasce con noi e con
l’apposizione del nostro “nome”.

• Il Genitore Culturale (GC) interviene a strutturare il Sistema di Riferimento ed influenza più o


meno massicciamente il processo di copione dell’individuo e del gruppo culturale di appartenenza.
• Il Genitore Culturale (GC) non è necessariamente unico in quanto vi possono essere gerarchie di
GC, un GC1, GC2 ecc. non propriamente coincidenti: cioè gerarchie sistemiche di subculture
inserite in culture di più vasta portata (per esempio la subcultura cristianocopta, in Egitto, rispetto
alla cultura islamica dominante; la subcultura ebraica o islamica, nell’Unione Europea, rispetto alla
cultura cristianocattolica dominante ecc.).
• I vari GC di un megasistema sociale (come USA, UE o Russia) non sono sempre (anzi quasi mai)
coincidenti fra di loro ed ingenerano nel cittadino più o meno gravi conflitti intraegoici tra GC
discordanti: le impasse culturali.

• La pratica della infibulazione ( ) alle bambine, trapiantata in Europa, ha posto problemi alla Lex
europea di derivazione romana più della pratica della circoncisione, presente in più religioni. ( )
L’impasse culturale non è correlato al livello di istruzione: un ginecologo egiziano operante in Italia
non aveva alcun impasse culturale quando propose pubblicamente di praticare la infibulazione in
cliniche appositamente individuate al fine di evitare “rischi igienici e infezioni”, aderendo sic et
simpliciter ad un aspetto E inaccettabile nella Europa dei Lumi, ove egli ha a lungo studiato.
Generalmente chi immigra in una società più grande e dissimile tenderà a conservare usanze e
costumi etnici quanto più la comunità immigrata è coesa e non è dispersa e quanto più gli aspetti
Genitoriali sono compatibili con la Legge dominante.

• Il caso della ragazza immigrata che intende sposarsi in Europa, secondo i costumi liberali appresi
localmente, opponendosi così al volere paterno che la vorrebbe soggetto inerte (oggetto) di una
decisione non sua (promessa di matrimonio, matrimonio combinato ecc.), è un buon esempio di un
impasse culturale (conflitto tra GC tradizionale e GC europeo). Ma non è detto che il più potente
GC europeo abbia la meglio sul GC tradizionale: la disobbedienza di una figlia ai dettami familiari
può comportare l’espulsione (non-appartenenza) del soggetto deviante dal GC tradizionale ma può
essere l’inizio di una vera e propria persecuzione familiare nei confronti del dissidente, sino alla
soppressione dello stesso.

• Nel film (di produzione tedesca e turca, 2003) di Fatih Akin La sposa turca la vicenda “turca” si
svolge in Germania (che conta notoriamente un elevato numero di immigrati turchi) ma il
commento triste alla vicenda viene da Istanbul, da una specie di “coro” di tragedia greca: i due GC
si parlano ma non si ascoltano. Lei, ventenne che non ama il modello islamico di donna, si sposa
“per finta” con un quarantenne per vivere senza i condizionamenti familiari ed essere finalmente
libera. In realtà il film dipinge il grave effetto di più impasse, infatti la trama è drammatica e
l’escamotage non funziona nel riequilibrare ciò che era squilibrato ab initio. L’impasse derivante
dallo scontro tra GC diversi (conflitto della cultura turcoislamica con la cultura tedesca) si
sovrastruttura su conflitti intraegoici, a livello di copione individuale, determinando una
inclinazione autodistruttiva nella coppia. Il film è una pesante rappresentazione del dramma di chi
non ha confini personali stabili (copione borderline di personalità di lui e lei) né confini culturali di
“sicurezza”. Naturalmente i due protagonisti non hanno i mezzi intellettivi del Nobel della
Letteratura Orhan Pamuk nel cercare di integrare le due culture antiche.

Il concetto di GC induce a pensare alla esistenza di un transfert e controtransfert culturale e quindi


antropologico.

Ogni Genitore può essere proiettato, anche quello Culturale.Il fenomeno è semplice e chiede solo di
essere esplicitato. Come nel transfert freudiano opera la proiezione e spostamento, così Carlo Moiso
(1983), partendo dal diagramma transazionale berniano (transazione di transfert o tipo I) ha
dimostrato a livello transazionale come venga proiettato non solo G2 (Transfert G2) ma anche G1
(Transfert G1+, G1-, G1+/-) . Senza il contributo di Moiso non sarebbe stato possibile comprendere
e trattare in analisi transazionale la psicopatologia marginale: transfert scisso dei borderline e
transfert grandioso dei narcisisti.
In campo culturale avviene la medesima cosa che accade nello studio dell’analista, quando parliamo
di transfert: noi, come il cliente sull’analista, proiettiamo la “maschera” culturale sull’Altro (Altro-
da-Me), a prescindere da come egli è effettivamente nella realtà e lo percepiamo genericamente
“negativo” oppure “positivo”. Qui la “maschera” non origina dalla nostra “psicostoria” bensì
origina dal nostro Genitore Culturale: dall’idea che la cultura (a noi inculcata) ha dell’ Altro-da-
Noi. Così un frate cappuccino e un monaco buddista si rivolgono in maniera stereotipatamente
pacifica anche a chi è minaccioso e non condivide i loro saperi (e diventano facilmente martiri).
Così un poliziotto tende a generalizzare un comportamento sospettoso e duro con chiunque venga
fermato ad un posto di blocco (e noi temiamo il peggio).
L’Altro diviene “amico” (Altro-come-Me/Noi) oppure “nemico” (Altro-diverso-da-Me/Noi) con
scontro di Sistemi di Riferimento e “lettura” fallace di non pericolosità o pericolosità; con risposte
semiautomatiche di non aggressività o di aggressività.

Valgano l’esempio filmico (comico entro certi limiti) di Mars attacks, oppure del film Guerra dei
Mondi, (quello degli anni Cinquanta) ove gli uomini, proiettando un “ingenuo” comportamento di
amicizia sull’Alieno, finiscono per essere soppressi.
Nel caso opposto, un transfert culturale negativo, immaginiamo il disagio che ci assale -
ammettiamolo in un periodo di terrorismo che è praticamente ininterrotto da trenta anni - ogni qual
volta che individuiamo un individuo vestito alla maniera araba, all’imbarco in aeroporto o a bordo
dell’aereo di linea. Il vissuto di pericolo incombente è stato vistosamente incrementato dagli eventi
dell’11 Settembre 2001 e dai rimedi adottati in contromisura nei porti ed aeroporti: infatti i
dirottamenti aerei prima del 2000 avevano altra evoluzione ed erano meno temuti degli attacchi
suicidi.

In entrambi i casi, prescindendo la risposta transferale (positiva o negativa) dalla conoscenza reale
dell’oggetto (=dell’Altro), si tratta per la precisione di transfert precostituito di tipo culturale. Il
transfert precostituito positivo o negativo, che riveste una certa importanza nell’analisi dei copioni
individuali, assurge a massima probabilità ed importanza nelle relazioni interculturali, inter-etniche.
Ma anche quando i comunicanti riconoscono la diversità dei propri Sistemi di Riferimento (v. dopo)
e quindi quando i soggetti cominciano a conoscersi e riconoscersi come individui (il sig. Antonio
Rossi conosce e riconosce Mr. James Brown) il rischio transferale non si esaurisce. Più appaiono
non collimanti opinioni e stili comportamentali più i Sistemi di Riferimento appaiono in collisione e
non integrabili se non a prezzo di perdere la propria identità culturale. Ecco che il transfert di tipo
culturale non è precostituito ma sempre transfert è.

“Ma che schifo! Quello mangia cavallette!”


”Sono degli incivili se applicano la pena capitale!”
“Noi sì che non siamo barbari…”
“Noi non siamo selvaggi come…” ecc.
Naturalmente, una volta ammesso il transfert culturale, esso evoca circolarmente anche il
controtransfert antropologico.

• R., commerciante algerino, ed S., neurologo italiano condividono alcuni amici. La comitiva nota
che entrambi si sono tagliati i capelli dal barbiere – “Ah, vi siete tagliati i capelli, eh?”,
commentano scherzosamente. La frase fa sorridere l’italiano ma l’algerino inaspettatamente scatta e
fa un salto indietro, come se si fosse contaminato di qualcosa: “Perché mi hai salutato con un
abbraccio?” protesta con lui. Grande è la rabbia controtransferale dell’italiano all’acting transferale
culturale dell’algerino: l’italiano, che si sente ferito dal disgusto dell’altro, pensa orgogliosamente
“ma guarda ‘sto cretino ora è lui ad avere schifo di me… a casa mia…!”. Il medico ricorda qualcosa
e si ferma. Non traduce il pensiero in azione (analisi di controtransfert culturale) e riflette “R. ha
timore di contaminarsi con i capelli di un infedele…Così gli hanno insegnato…” Non dice nulla e
alza le spalle con un sorriso. Che cosa ha ricordato in grado di fermarlo? Il fratello ha lavorato per
anni in Nord Africa e gli aveva raccontato la propria disavventura in occasione della morte cardiaca
di un collaboratore italiano: nessun locale lo aiutò a caricare la salma in quanto un islamico non
tocca il cadavere di un infedele. Il medico ricorda egli stesso che, in occasione di visita in Malesia
(islamizzata in alta percentuale), aveva subito la “umiliazione”, in un modernissimo ipermercato
della capitale, di essere accodato rudemente alla “cassa degli infedeli” ove le cassiere indossavano
guanti di lattice per non contaminarsi della carne non macellata secondo il costume musulmano.

Agganciarsi alla provocazione transferale dell’altro è una risposta controtransferale. Unica arma di
tolleranza è conoscere e situare gli eventi nelle giuste coordinate culturali.

Sistema di Riferimento o S.d.R

In effetti il S.d.R. schiffiano opera da filtro, come una interfaccia tra mondo esterno e interno e
confronta incessantemente dati del mondo esterno confrontandoli con quelli del mondo interno.
Quando il SdR è disfunzionale perde la caratteristica di adattabilità che è necessaria ad ogni
organismo ed opera con modalità di Procuste (non Adulta): invece di adattarsi attivamente al mondo
esterno adatta forzosamente le informazioni esterne allo schema interno, cioè al progetto copionale
non ok . Il Sistema di Riferimento descritto da Jaqui Schiff costituisce uno dei temi di maggiore
interesse antropologico della analisi transazionale e consente di innestare fattori culturali (appresi)
alle modalità precostituite di comportamento (fattori ereditati geneticamente).

In sintesi, integrando letteratura e nostre osservazioni:

il S.d.R. "è sia transazionale che psicodinamico" ;


 il S.d.R. è un sistema adattativo e di mediazione tra Io e ambiente esterno; si esprime
funzionalmente nella vita di relazione ;
il S.d.R. è legato al copione in azione in quanto ne recita quanto prescritto e ne consente e rinforza
la attuazione;
 il S.d.R. è legato nella genesi al copione e al mito protocollare di copione in quanto si struttura
dalle prime risposte sull' essere ("Chi sono?": protoconvinzioni e convinzioni di copione) e sul fare
("Che fare?": protodecisioni e decisioni di copione);
il S.d.R. è dettato e condizionato, come suggerisce la stessa Schiff, dallo stato dell'Io Genitore o,
per essere precisi, dai contenuti della Linea evolutiva dello stato dell'Io Genitore (G0-G1-G2) ;
il S.d.R., in quanto condizionato dal Genitore, è influenzato per tramite del G dal Genitore
Culturale e ciò lega il S.d.R. a fattori etnici e antropologici di grande interesse;
Il S.d. R. è correlato alla evidenza etologica e prossemica dello Spazio Personale.
Spazio Personale

Lo spazio si struttura attraverso la relazione tra le persone. Due persone sedute ad un bar attraverso
canali extraverbali definiscono la relazione e la relazione così definita definisce lo spazio tra i due
comunicanti: ciò accade anche per lo spazio interattivo tra professionista d'aiuto e cliente, tra i
partecipanti ad una partita di calcio, in un rito sciamanico. Se lo spazio interattivo è pre-codificato si
ha un rituale.
Dunque Spazio e Relazione si influenzano circolarmente.

• Già nel 1987, a partenza di lavori di Massey e Price, asserivamo che due individui comunicanti
interagiscono a mezzo dei rispettivi S.d.R. . C'è un rapporto antropologico tra S.d.R. e Spazio
Personale (S.P.). Lo S.P. è "un processo comportamentale di selezione e aggiustamento degli
elementi spaziali di una relazione che interessa almeno due soggetti, attivati in modo consapevole
ed inconsapevole e tale da favorire la congruità tra distanza, contenuto della relazione e contesto in
cui si svolge"

• In letteratura lo S.P. viene considerato da una parte come una distanza variabile di natura
esclusivamente relazionale; dall'altra come una sorta di "aureola del corpo", superficie onnipresente
ed indipendente dalle interazioni sociali, quasi una "bolla spaziale". Al solito si tende ad
estremizzare tra fattori appresi e fattori ereditari: ci sarà nel continuum l'una e l'altra cosa. E'
impossibile per altro negare lo S.P.: chiunque di noi riconosce fenomenologicamente l'imbarazzo o
il senso di invasione provati allorquando sperimentiamo situazioni ristrette di distanza sociale (in
ascensore, code di persone, folla in movimento, coabitazione, intrusioni ecc.). Molte risposte
aggressive scaturiscono da violazione di S.P. .
• Il S.d.R., nel modulare adattamenti (positivi o negativi) e stili comportamentali in risposta agli
stimoli interpersonali, ha probabilmente un peso notevole nel definire lo S.P. e partecipa a quella
sommatoria finale risultante dalla spinta centrifuga (rispetto al Sé) dell' istinto gregario e dalla
spinta opposta e centripeta (rispetto al Sé) di spacing behaviour, spinte cui è sottoposto
incessantemente ogni organismo evoluto. . Nelle relazioni simmetriche sono S.d.R. e S.P. a proporsi
in escalation.

Lo sviluppo di uno spazio personale viene dunque influenzato dall'apprendimento culturale, a


partenza di una dotazione genetica di specie.

A qualunque atto percettivo tra due persone scatta l'interazione: ad una stazione le persone si
riconoscono da lontano tra la folla di viaggiatori e si sorridono; due radioamatori lontanissimi
possono parlarsi ed è interazione. Comunque molte delle distanze che noi adoperiamo nella
interazione sono codificate geneticamente, come animali gregari, ma subiscono profonde influenze
culturali.

Per una persona di cultura araba la distanza tra maschi che anche non si conoscono o si conoscono
per la prima volta (per esempio un venditore ed il potenziale cliente in un mercato) è più ridotta
rispetto ad una situazione similare europea: in un mercato europeo di Parigi nessuno si sognerebbe
di toccare l'avventore ed è difficile che avvenga anche in un mercato di piena cultura mediterranea
per esempio in Sicilia o in Andalusia (ove eppure vi è stata la dominazione araba). Nel Nord Europa
ci si sente "invasi" nella interazione per gesti che nel bacino mediterraneo risultano rispettosi. Ma in
uno stadio, in discoteca, in manifestazioni pubbliche ecc. le distanze interindividuali sono quasi
azzerate ma accettate. Per quanto sono tollerabili distanze forzatamente ravvicinate? Quanto questo
possa contribuire ad accrescere tensione in alcune aggregazioni sociali questo è fatto riconosciuto.
Si veda una media di distanze interindividuali come suggerite dagli studi etologici, prossemici e
berniani in Miglionico A. (2000).
Il non-spazio, il non-luogo.

Abbiamo parlato dello spazio personale. Esiste uno spazio impersonale. Il non-spazio, Non-Luogo
(Non-Lieux) descritto dall’antropologo francese Marc Augé : sono spazi non-spazi metropolitani.
Divenuti spazi di incontro anonimo e trans-nazionale, trans-culturale. I non-spazi si rassomigliano
in tutto il mondo, nessuno vi abita e tutti si incrociano: per esempio autostrade, svincoli, aeroporti,
centri commerciali, campi profughi, mezzi di trasporto di massa. Sono prodotti della società della
surmodernità , che è incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in
posizioni circoscritte, da “curiosità” (il rudere romano nelle metro, la diligenza ottocentesca a Los
Angeles ecc.). I centri commerciali di capitali dell’emisfero boreale ed australe si rassomigliano
tutti e non sarebbero riconoscibili se non fosse per le scritte in lingua diversa. Il cibo è
multiculturale ma anche globalizzato. Hanno il loro vantaggio in quanto a pulizia, ergonomia,
illuminotecnica, arredamento, insonorizzazione (la massima possibile). Un viaggiatore di
qualsivoglia nazionalità, entrato nel non-luogo si ritrova in un ambiente tecnologico conosciuto e
quindi per certi versi “rassicurante” (ovviamente in caso di sindrome di astinenza da “metropolite”,
come la chiamò scherzosamente un amico). In questo senso possono lenire la solitudine, pur non
perdendo la ambivalenza che li caratterizza.
Forte è l’analogia tra spazio e non-spazio e tra spazio reale e spazio virtuale, cioè tra meatspace (da
meat=carne) e cyberspace (ciberspazio o spazio cibernetico). Il ciberspazio appare un non-luogo,
attraente relazioni e per certi versi “rassicurante” quanto il centro commerciale “reale”.

Il non-spazio, il non-luogo, a nostro avviso è l’opposto della agorà mediterranea che invece non
è/era trans-transazionale ma assicura la transazionalità: tentativi di agorà virtuale cercano di essere -
nella Rete informatica - le zone “chat”, zone che prescindono dalla conoscenza diretta, ove ci si può
mascherare o meno, ma ove le transazioni non decollano quasi mai dal rituale e passatempo
berniano. Dal non-spazio, non-luogo deriva possibilità di non-relazione, l’ individualismo solitario
(pur sempre consumistico, in quanto senza carte di credito non è possibile sopravvivere) che è
l’anticamera o della onnipotenza o della spinta autistica (“solo in compagnia”, come ragazzi in
comitive odierne ammettono).
L’osservazione psichiatrica segnala che soggetti giovani tendenzialmente psicotici (non definenti la
relazione, neganti la relazione) sempre più spesso si rifugiano nelle ore notturne navigando
afinalisticamente in Internet, invertendo il ritmo nictemerale (così si svegliano tardissimo, all’ora di
pranzo o dopo, negando doppiamente la relazione familiare).
Nel supermercato “reale” del centro commerciale ci si percepisce e la spinta relazionale è
consumistica, anzi iperconsumistica: se si “consuma” o si vuole “consumare” scatta la transazione
che fino ad allora è rimasta potenziale. Nel Web, nei negozi “virtuali”, nelle “chat”, non c’è
percezione sensoriale. Si vive la vita in ologrammi. Un sedicenne cita le sue frasi-tipo in chat: “Ehi,
sei tu, Nick?”/”Non ci si vede da molto”/”Ciao che fai?”/ “Tutto ok. E tu come stai?”/”Normale.
Lavoro, gioco”/”La solita menata”/”Ci si vede uno di questi giorni”/….

Nel non-spazio, sia non-luogo sia ciberspazio, le multinazionali, divenute sovranazionali, hanno
infinita possibilità di operare, sfondano - come dice Bauman - i confini degli Stati “controllori” per
entrare nella dilatata e globale “Terra di nessuno”, una specie di Patagonia dell’Ottocento, ove
isolarsi, fuggire, rendere anonime azioni personali e sociali. Anche il finanziamento terroristico e
parte delle attività mafiose, oramai sovranazionali anch’esse, passano per la Terra di Nessuno.

“Il capitale è riuscito a fuggire in una nuova ‘terra di nessuno’, dove quasi nessuna regola confina,
restringe o limita la libertà imprenditoriale. Il nuovo spazio in cui si muovono i nuovi affari
(globali) è, in base agli standard degli ultimi due secoli, pienamente e autenticamente
extraterritoriale. Si tratta di un vero e proprio ‘spazio esterno’, dal quale è possibile sferrare colpi e
incursioni mordi-e-fuggi…” (Bauman, p.71)
In effetti legge e fuori-legge coesistono nel non-spazio, soprattutto virtuale (ciberspazio), più a
favore del fuori-legge. Anche i capitali oggi possono migrare in virtuale in Web (furti e rapine
elettroniche, imprese dalle attraenti vetrine, Banche vere e Banche false ecc.) e ciò rende difficile ai
tutori dell’ordine risalire alle origini: per esempio il passaggio da denaro sporco (black money) a
denaro pulito (white money) passa attraverso infiniti intermedi (grey money), come suggeriscono
lavori di criminologi sui nuovi crimini commessi dall’alta finanza per Internet . La non-nazionalità
del ciberspazio vedrà sorgere e partire nuove agenzie di polizia privata (e virtuale) come fu la
statunitense Agenzia Pinkerton che inseguì Butch Cassidy sino in Patagonia, nella terra di nessuno?
Nei fumetti anticipatori la Agenzia Alfa (Nathan Never, Sergio Bonelli editore) opera negli
interstizi statali del futuro.

In definitiva sintetizzando i rapporti tra SdR, GC e Spazio Personale come in figura.

Ogni comportamento umano (ma ciò vale per ogni mammifero evoluto filogeneticamente e
culturalmente) può essere collocato tra i due estremi del continuum (1996)

COMPORTAMENTI PREDERMINATI ----------- COMPORTAMENTI ACQUISITI

Sulla sinistra del continuum si collocano i comportamenti prederminati, aculturali, programmati


geneticamente ed universalmente distribuiti tra le popolazioni umane (quei comportamenti descritti
dalla etologia umana di Eibl-Eibelsfeldt e dalla sua grammatica universale del comportamento).
Alla destra si colloca il comportamento puramente culturale (per esempio gli italiani si danno in
fase di saluto due baci sulle guance, partendo dalla guancia dx dell’altro; gli ispanoparlanti dalla
guancia sin. dell’altro; per cui uno spagnolo ed uno italiano si possono “scontrare” nel salutarsi; i
russi si salutano baciandosi sulla bocca ecc. ). Molti comportamenti sono intermedi (a prevalenza
sin. o prevalenza dx).

Copione trans-personale: dal copione familiare al copione antropologico

Sulla polivalenza dell’uomo inserito in una grande società, aveva riflettuto tra i primi il sociologo
statunitense di origine irlandese Alfred McClung Lee, nel 1966 (multivalent man) . A Lee
l’individuo appariva non “ad una dimensione”, come nella visione marcusiana, bensì “tipicamente
multidimensionale, inesauribilmente polivalente” in quanto sottoposto a pluralità di valori e
comportamenti. La società complessa è una arena per conflitti sulle interpretazioni della moralità
(da mores, costumi) in quanto la società ha una molteplicità di valori morali in conflitto; essa è
“enorme, complessa, mutevole e polivalente” ed i suoi membri non possono che essere
“polivalenti”.

“In una società dalla pluralità di valori, noi siamo pluralisticamente orientati…molti valori, molte
mentalità…”(p.6)

Assai interessante che Lee per descrivere la polivalenza non parte da grandi sistemi ma descrive un
cittadino qualunque che chiama Tom, di religione metodista. Così come Berne per descrivere il
copione individuale era partito dall’ipotetico Jeder.
Lee descrive la vita quotidiana di Tom e analizza vari livelli di mentalità e comportamenti cui
corrispondono modelli societari, modelli gruppali, modelli personali, e modelli dell’io (il livello più
occulto) .

“Una persona mostra nel proprio comportamento l’idea che si è fatta dei suoi modelli di gruppo e
societari, in quanto essi le sono diventati abituali, in quanto ha imparato a considerarli appropriati
ed utili per un dato tipo di situazione. L’io impara a funzionare nei termini dei materiali culturali
di cui dispone, mescolandoli con caratteristiche e particolarità individuali” (p.33).
Appare evidente che un individuo è sottoposto all’influenza di un copione trans-personale che
interagisce con quello individuale: poniamo che il copione psicologico proprio, il personale,
appartenga al livello sistemico 1; al livello 2 si troverà il copione della famiglia originaria, che a sua
volta è contenuto sovra-sistemicamente ad un livello 3 dal gruppo di appartenenza ecc.
Non è difficile rendersi conto nella clinica e pratica quotidiana che un individuo non può essere
“inquadrato” e “trattato” fuori della propria rete di comunicazione, sostegno e scambio (che
oggigiorno si allarga sempre più): così nel lavoro psicoterapeutico o di counselling il professionista
d’aiuto ora focalizza comportamenti in linea con il copione individuale (livello 1), ora
comportamenti in linea con il copione familiare di origine (meta-livello 2), né può prescindere dai
dettami derivanti dal copione culturale/etnico e/o religioso di appartenenza (meta-livello 3). Anzi,
spesso è chiamato a agevolare l’auto-esplorazione e l’orientamento di un individuo in difficoltà
adattativa “acuta” (p.e. in un campo profughi od in un campo di accoglienza; ad un pronto soccorso
psichiatrico) oppure in conflitto di rete personale ed interpersonale.

Lara è italiana di madre certa e padre incerto (egiziano? o italiano, calabrese? C’è solo una foto
stinta a parlarne, dinanzi alla reticenza della madre che ha avuto una vita “sregolata” ed ha partorito
un’altra figlia, più piccola, con altro uomo sconosciuto).
Nella confusione identitaria, Lara ha sviluppato in adolescenza ed oltre fantasie compensatorie tipo
Mille e una notte, e dopo un periodo turbolento, durante il quale rischia di assomigliare alla madre
rifiutante e rifiutata, si unisce - “per evasione” - ad un uomo di etnia nordafricana, poco “praticante”
la religione. Si sposano dopo che lei - inseguendo il fantasmatico padre egiziano – ha aderito alla
fede islamica (ciò comporterà un rifiuto ulteriore da parte dei suoi, di fede cattolica). Quando viene
a consulto presenta umore depresso ed è in rischio dissociativo psicotico: le tante identità etniche e
religiose la fanno sentire egodistonica in rapporto a tutte le scelte di vita fatte. Lo psichismo sembra
subire scissioni rivenienti dal mondo personale (livello di copione personale da “Orfanella che
fantastica”) e provenienti dalla rete di convivenza (copione transpersonale).
“…Che mi sono sposata a fare con un marocchino? - esordio con contaminazione analogica e
rabbia mai espressa - Odio la sua famiglia di zoticoni…odio la mia famiglia…(contaminazioni
classiche) … Mia figlia mi critica perché non sembro araba per la pelle chiara e mi costringe a
truccarmi...Ma io sono veramente musulmana…non mi sono convertita così per gioco ma per
riflessione…No a me non piacciono i fondamentalisti ma sento dall’imam discorsi che non mi
piacciono, antieuropei e pericolosi quanto quegli scriteriati che si lasciano esplodere… Ed io
penso che l’Italia sta accogliendoci, perché tanto odio verso chi ci accoglie? Ma taccio, devo
tacere…Mio marito che è meno religioso di me ora fa vedere di esserlo nella comunità…(nuova
contaminazione analogica nella parola ‘comunità’) e mi dice di stare zitta quando siamo con gli
altri (musulmani)…No, nessuno mi prende per araba in comunità, qualcuno mi ha chiesto se ero
albanese…Sembro albanese, dottore? Dica lei…”
L’angoscia psicotizzante è fermata anche farmacologicamente e, quando si sente meglio, Lara
accede ai colloqui (etnopsichiatrici? psicoterapeutici? counselling? - lo ignora inizialmente il
professionista d’aiuto, fino a che non si rende conto di colludere, a livello controtransferale diadico
e antropologico, con il disturbo di identità culturale della cliente). Emergono nuovi contenuti e
livelli di processi, che vengono via via dipanati. Lara comprende e migliora. Il professionista
d’aiuto, analizzato il proprio controtransfert e quello antropologico, ha voluto confrontarsi anche
con un noto etnopsichiatra che opera a Torino, durante il proprio corso di perfezionamento in
antropologia medica: ora il suo lavoro si fatto più fluido. Lara rivela un giorno: “Ci ho riflettuto.
Dentro di me è come se ci sono due anime e due corpi diversi a cui tendo: una Lara biondo-
castana e chiara di pelle che vuole vestire alla europea ed una Lara egiziana, scura di pelle con
occhi mediorientali… Che fare? Anche se sto molto meglio la cosa mi fa piangere ancora…..”. La
grave impasse culturale si è attenuata ma perdura. Lara ora veste completamente alla musulmana e
non si trucca più da ‘araba’: sotto il velo traspare la pelle bianca ma ha imparato a dire alla figlia ed
al marito: “Ehi, non dimenticate che io sono una italiana di fede musulmana e non devo
trasformarmi in nient’altro che non sia io…”. E’ ancora in trattamento.

Dal caso di Lara si evincono spunti diagnostici e spunti terapeutici. Sono utili concetti come:
copione transpersonale; diagnosi di livello sistemico copionale; disturbo di identità culturale ed
impasse culturale…
Analizziamo i livelli di copione, cominciando dal copione familiare.
Ogni cultura possiede forme diverse di organizzazione domestica. La strutturazione della famiglia
dipende quindi direttamente dalla cultura di appartenenza e dal Genitore Culturale: così si
assicurava il passaggio del GC - e della cultura gruppale - a prescindere dalle capacità autonome dei
genitori (anzi si evitava che si autodeterminassero in senso educativo). Nella società industriale e
post-industriale le cose sono andate cambiando sino a che la famiglia appare sempre più isolata
dalle altre: nel passaggio dalla vita rurale (fattorie ecc.) a quella urbanizzata la famiglia estesa (v.
dopo) si è frammentata nelle famiglie nucleari ed il concetto di “esteso” nella mente di ognuno
(europei e americani di oggi) si confonde con il concetto di “parentado” che è un’altra cosa .
Qualunque sia l’organizzazione domestica e la cultura di appartenenza la famiglia ha un suo
funzionamento (più o meno “rigido” rispetto a GC, più o meno “elastico” rispetto al GC di
appartenenza): ciò dipenderà dai messaggi del GC, dalla natura religiosa (fonte), dalla potenza ecc.
Se il GC è tendenzialmente monolitico e non discutibile, una famiglia o è dentro una cultura e vi si
riconosce (essendone riconosciuta) o non vi appartiene. Se il GC emana norme che possono anche
subire modifiche condivisibili, la famiglia ha più margine di discrezionalità, tutto dipende dal peso
del “fattore cultura”.

Il caso giornalistico di Hina - a differenza di quello nostro di Lara - non è un caso in cui il soggetto
è stato preda di un impasse culturale e di conseguente disturbo di identità. E’ un caso finito in
tragedia (il famoso terzo grado dei giochi che portano all’obitorio, avrebbe detto Berne) e quindi
rimbalzato a lungo dai media. Qui il gioco transazionale giocato “culturalmente” dalla famiglia
pakistana abitante in Italia è quello di Ti Ho Beccato, con partenza da ruolo di Vittima (“Tu Hina ci
hai disonorati”) ed acting omicida dal ruolo di Persecutore. Il fatto: la ragazza pakistana Hina,
uccisa nell’agosto 2006 dal padre su istigazione dei di lui parenti (ne fu occultato anche il
cadavere), è stata “punita” per salvare l’onore della famiglia in rapporto ad un GC intransigente:
Hina ha “disobbedito” al GC antropologico ma il suo comportamento “di libera scelta del partner”
era in perfetta linea con la permissività del GC culturale societario (il nostro europeo).
Questo è un caso che, per essere compreso, richiede di distinguere non solo tra “copione familiare”
e “copione antropologico” in senso lato: qui il copione antropologico consta di due ulteriori livelli
(“copione etnico-religioso” DIVERSO dal “copione societario”). I contenuti contraddittori dei
messaggi dei GC sono stati da Hina “risolti” in un senso (quello societario) che è risultato
incompatibile e incomprensibile alla famiglia di Hina. Con esito paradigmatico e purtroppo tragico.
Ma non finisce qui.
Altra considerazione: la Lex societaria nostra si comporta diversamente dalla Shari’a, la legge
islamica religiosa e civile, e punirà i responsabili con una condanna penale per una “colpa” che non
sussiste affatto per il copione etnico-religioso (dal cui punto di vista: “il gesto andava fatto”, era un
dovere-diritto del padre) .

Il funzionamento di una famiglia dipende dalle capacità adattative di quella famiglia (dal suo
copione). Cioè i Rossi sono organizzati secondo la tipologia della famiglia europea (copione
culturale) ma il funzionamento specifico dei Rossi ai perturbanti interni ed esterni è funzione del
copione familiare.
Per il copione familiare, ricordiamo i concetti di Facciata familiare (“Noi Rossi siamo così!” quale
slogan da pronunciare all’interfaccia del sociale); il Mito familiare (“Noi Rossi siamo così…”, con
tono greve all’interno del sistema-famiglia); il Segreto familiare (per esempio ciò di cui nessuno
parla: violenza, violenza sessuale, tradimenti ecc.).
• La famiglia è base di attaccamento sicura Bowlby) e matrice di identità (Minuchin).
• In senso antropologico la famiglia nucleare (marito, moglie, figli) sembra essere ubiquitaria.
George Peter Murdock la riscontrò in ognuna delle 250 società studiate e la considerò “universale”
in quanto rispondente alle seguenti funzioni: sesso, riproduzione, educazione, sussistenza. Si
aggiunga che essa è protettiva della femmina durante la sua lunga gravidanza e del piccolo da
allevare per anni; essa è essenziale per la trasmissione della cultura (da noi sempre meno, con la
istituzione scolastica) e favorisce la distribuzione dei compiti e ruoli (da noi sempre meno).
Esistono forme alternative di organizzazione domestica (tra i Masai dell’A.O., tra i Fur del Sudan
ecc. ).
• Esiste la famiglia originata dal matrimonio monogamico (un marito, una moglie) e quella originata
dal matrimonio plurimo: la poligamia è diffusa nel 90% delle culture, sotto forma più di poliginia
(un marito con più mogli) che di poliandria (il contrario). I musulmani possono essere poligami-
poliginici ad esempio .
• Diffusa è stata, ma lo è ancora, la famiglia estesa – un gruppo domestico formato da fratelli e
sorelle, i loro consorti, figli e/o genitori e prole sposata. (come nella fattorie del Minnesota ecc., per
la richiesta di forza lavoro; in Africa presso i Batonga del Mozambico ecc. ). La famiglia
tradizionale cinese è di solito monogamica ed estesa, con una coppia più anziana che dirige i lavori
e combina matrimoni. Matrifocale è la famiglia con madre presente e padre no (diventa sempre più
presente da noi, per l’aumento dei divorzi).
• Circa la discendenza abbiamo famiglie patrilineari, matrilineari, ambilineari; circa la residenza
della nuova coppia, abbiamo famiglie patrilocali, matrilocali.

La differenza tra copione culturale tradizionale, religioso e/o etnico, (meta-livello 3 ed oltre) sfuma
o aumenta a seconda dei casi, per cui definiremo il copione dal livello 3 in su con una unica
denominazione (pur specificando - come nel caso di Lara - ove essi non siano coincidenti): il
copione antropologico. Come possiamo definirlo?

Il copione antropologico, dettato dalla cultura dominante del gruppo di appartenenza, e


sottoposto alla influenza interculturale - quando il sistema osservato non è isolato - è l’insieme
dei messaggi rivenienti dal Genitore Culturale, che vanno a costituire un SdR condiviso e
difficilmente criticabile. Esso penetra nei piani di vita individuale e familiare permeandoli.

Trattandosi di sovra-sistemi o di grandi sistemi, inglobanti comunque molteplici sub-sistemi, il


copione antropologico è per sua natura derivabile ed analizzabile se si posseggono informazioni
specifiche sulle radici e fondamenti geostorici di una determinata cultura. E’ sufficiente, per il
nostro lavoro e per la nostra ricerca, conoscere e tenere presenti cultura e interculturalità .
L’intervento dei professionisti di aiuto non richiede di investigare i megasistemi ma solo di
correlarli all’individuo “di fronte a noi” in una metodologia ad imbuto rovesciato ove il “distillato”
è l’intervento sul “singolo” o sul “piccolo gruppo”.

Questo è un esempio “classico” dei nostri ma è incisivo. Anni fa fummo chiamati in un


supercarcere per intervenire su di un tunisino accusato di omicidio che stava attuando uno “sciopero
della fame”. Non sapevano che fare, il tunisino stava morendo di consunzione. Ebbene, non era
affatto uno sciopero della fame né un caso di anoressia secondaria a psicosi. Se il consulente già
dagli anni Ottanta non avesse avuto nozione alcuna del digiuno islamico che ricorre nel periodo del
Ramadan, sarebbe anch’egli caduto nell’errore: il nordafricano non beveva e non mangiava in
quanto dall’alba al tramonto, durante il Ramadan (Ramazan per i turchi) è fatto divieto assoluto di
portare qualunque cosa alle labbra (anche le sigarette). Oggi è bene conoscere molto di più della
religione islamica, data la diffusione, tra gli immigrati, della stessa. .

Va da sé che, come riconosciamo la cultura in ogni organizzazione (Miglionico A. & Coll., 2000),
così ogni sistema sovraindividuale implica il concetto di una propria differenziata “cultura” che
talora esprimono anche idiomi, dialetti o gerghi differenti. Ne deriva che il Copione Culturale è
multidimensionale e multiassiale se si considerano gruppi diversi ed i livelli sistemici diversi:
famiglia, banda, gang, associazioni, società segrete (esempio la Massoneria “occidentale”, o le
cosiddette “società segrete”dell’Oceania o gruppi di resistenza armati, gruppi di terroristi ecc.);
famiglia, clan, tribù, nazione; classi o strati sociali ( tipo India) ecc. Ma clan e tribù “naturali” sono
stati da noi sostituiti nella cultura metropolitana a livello urbanistico in condomini, isolati, quartieri
e rioni, città-satelliti, suburbio e tutti gli agglomerati urbani esprimono culture in molti tratti
divergenti anche quando limitrofe o con-fuse.

Un esempio paradigmatico di multiculturalità e babelismo in antropologia è la Buenos Aires della


citata “alluvione immigratoria” (dal 1880 in poi): nei conventillos, “piccoli conventi”, in realtà
degradati “casermoni” o “insulae” con spazi personali sovrapposti e promiscuità assicurata, venne a
crearsi un forzato meticciato culturale con diversi tentativi di lingue sabir , anche di sapore gergale
(per esempio il lunfardo era la lingua dei latrones detti anche los lunfardos e serviva anche per non
farsi comprendere dalla polizia; il calò era il gergo dei compadritos, protettori di prostituzione e
mezzi “guappi” di quartiere). Nel frattempo era chic parlare francese nella alta borghesia di Buenos
Aires e studiare inglese nei collegi di stampo anglosassone. Gli stessi gauchos della Pampa
argentina, in quanto andalusi, gallesi, cinesi o altro, costituivano un meticciato culturale e
linguistico diluito dagli spazi sconfinati: eppure condividevano e crearono una “comune” cultura
gaucha, che ha persino generato una letteratura romantica specifica .

Noi oscilliamo comportamentalmente nel continuum dei copioni, mai occupandovi una posizione
fissa.

Acting o agito antropologico

Abbiamo visto come la famiglia e la cultura di appartenenza siano matrici di identità. L’identità è il
risultato (non proprio negoziabile) tra spinte centrifughe e centripete rispetto al gruppo (micro e
macro). Il dissidio (e il suo opposto, l’integrazione) di culture è un dissidio/integrazione di identità.
A seguito di eventi transferali e controtransferali culturali, è possibile ipotizzare ogni tipo di acting:
essendo comunque veicolati da giochi transazionali ed essendo inquadrati in copioni culturali di
ampio respiro, gli acting possono variare come al solito dal primo grado, il più banale e narrabile, al
terzo grado, il più grave e di quelli che dominano le cronache e infangano la Storia.
 Si va dall’oltraggio isolato alle tombe di ebrei al linciaggio di un imputato extracomunitario solo
perché appartiene ad una etnia diversa; si va dal sequestro ed uccisione di un giornalista occidentale
alla “pulizia etnica” che hanno tentato i nazisti sugli ebrei, i serbi sui kosovari, gli Hutu sui Tutsi in
Ruanda (1994); e non mancano neanche le “persecuzioni religiose”, nei confronti dei buddisti e
monaci buddisti da parte della Cina, nei confronti dei missionari e clero cattolico ecc.

Ma l’agito può accadere in scala ridotta nelle nostre vite quotidiane, in tv e nello studio
professionale.

“Tom” è cambiato

Abbiamo citato la attualità dell’opera di Lee e del suo concetto di uomo polivalente che
c’introduceva ai livelli di copione. Il presupposto e limite del lavoro di Lee è che si riferisce al
cittadino, Tom, di una grande società complessa. Ma le cose cambiano e “Tom” stesso è cambiato.
Un tempo:

“Il globo era diviso negli spazi degli stati nazionali ed i territori non appartenenti a nessuno degli
spazi esistenti erano ‘terra di nessuno’ in attesa di essere annessi e incorporati. ‘Potere sovrano’ e
‘stato nazionale’ erano, a tutti i fini pratici, sinonimi.” (p.X, Bauman)

Oggi, dall’alto, abbiamo la globalizzazione, favorita dal web e dalla mediocrazia, promossa dallo
strapotere economico delle ex-multinazionali divenute sovranazionali (e quindi non più contenibili
dagli Stati, in soggezione e ricatto); e abbiamo dal basso, la diversità, - scrive Bauman. Entrambi i
vettori compromettono “una felice e duratura unione , il matrimonio tra stato e nazione”. Quando
il senso della nazione scema, lo stato promuove il patriottismo, ma si ha più un effetto a ‘sciame’ di
massa che un sentito e strutturato sentimento nazionale.

“Il venir meno dello stato nazionale e, in particolare, l’incombente divorzio tra stato e nazione cui
nessuna delle due parti è certa di sopravvivere, è un fenomeno locale, limitato ad un’agiata e
benestante parte del globo sazia e sopita dalla sua sicurezza reale o presunta…“

La sopravvivenza ed autoconservazione delle culture e delle società da esse espresse (anche la


nostra, all’interno della quale inevitabilmente “parliamo”) è oggi contrastata in varia misura da
fattori vecchi, nuovi e rigenerati (Bauman). Il futuro stesso degli Stati è stato “globalizzato” dal
problema ecologico che minaccia la sopravvivenza di tutti. Si impone una visione ecocentrica in
ogni approccio e disciplina umani.

“L’idea che la sopravvivenza dell’uomo sia un problema di economia e politica è un mito che
presuppone che l’uomo sia libero o potrebbe essere libero dalle forze della natura”, scriveva il
fondatore della bioetica, V.N. Potter, nel lontano 1970, richiamandosi alla urgenza di una
“saggezza biologicamente fondata” (biological wisdom).
L’interesse per la biosfera ed i rapporti uomo-biosfera non è però una novità nelle riflessioni
antropologiche (da Claude Lévi-Strauss a Roy Rappaport). Rappaport si allinea con il filosofo
britannico Stephen Toulmin, che a sua volta fa suo il contributo di Gregory Bateson: la scienza
postmoderna non può sostenere una osservazione “distaccata” (impossibile) ma solo “partecipe”
degli eventi naturali; essa ha da sottolineare l’interesse per i “contesti” e la visione olistica. Il
ritorno auspicato al Cosmos, e veicolato da un nuovo Logos, quale principio ordinatore del mondo ,
sarà la ecologia ed il rispetto etico dell’ambiente, della biosfera. “Se l’evoluzione umana e non,
deve continuare, l’umanità deve cominciare a pensare non solo al mondo, ma nell’interesse del
mondo, un mondo di cui non rappresenta che una parte molto speciale e nei cui confronti ha quindi
enormi responsabilità…Il Logos può raggiungere la coscienza nella mente umana e, per quanto ne
sappiamo, esclusivamente nella mente umana…L’umanità in questa concezione non è solo una
specie tra le specie ma rappresenta l’unico modo che il mondo ha di pensare a se stesso.” E’
compito della antropologia aiutare l’umanità a comprendere e realizzare “questa visione del suo
posto nel mondo”(p.208).
La visione ecocentrica non è nuova antropologicamente. La cultura mitologica e politotemica degli
aborigeni australiani (Aranda, Yolgnu ecc.) è ecocentrica. Tutta la visione cosmologica degli
Amerindi del Nord con il Grande Spirito (Wakanda o Wakan Tanga dei Sioux, Manitù degli
Algonchini, Manito dei Navajos, Orenda degli Irochesi) era centrato sulla natura e sulla sua
bellezza da contemplare in preghiera estatica.

La riflessione socioantropologica - per non parlare degli ecologi e della antropologia ecologica di
Rappaport - sembrerebbe suggerire un finale amartico al copione storico dell’ Homo sapiens, che da
“vincente” (dal Paleolitico-Neolitico) si starebbe trasformando in “perdente”. Noi siamo portati a
confidare sulle enormi doti di recupero dell’ Homo sapiens: fu Lui che - ridotto a gruppo in via di
estinzione, circa sessantamila anni fa - risalì dalla Great Rift Valley per irradiarsi nel mondo. Alla
abilità di cacciatore-tracker, di ingegnoso inventore di armi e utensili, aggiunse la risorsa “vincente”
e divenne l’unico Homo in grado di Logos, quel Logos che finì per farlo prevalere su tutti, quel
Logos che attraverso il linguaggio articolato-simbolico gli avrebbe consentito tutto quello che la
Natura non avrebbe mai previsto. Anche di curare, perché l’uomo non ammala solo di fisicità: di
metafora ammala e di metafora guarisce. E l'abbiamo già detto: “il rimedio contro i demoni sono
sempre state le parole magiche” (Berne, p.235, 1972).

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