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entità se ne conosceva poco, sia dell'utilità che della portata. Dall'altro lato si tratta di un'esclusione generata da
motivazioni politiche, ovvero, ci fu una lobby fortissima dei produttori di hardware per escludere dalla brevettabilità i
software, ciò fu fatto perché la brevettabilità del software avrebbe dato al programmatore un potere economico
fortissimo, la macchina senza programma non serve a nulla, nessuno di noi comprerebbe un pc senza comprare anche
il sistema operativo, dunque per tutelare l'industria dell'hardware si è cercato di limitare il potere economico che la
privativa industriale avrebbe conferito al programmatore, il quale si ritrova senza uno strumento contrattuale forte
che può essere a fondamento di una negoziazione con il titolare dell'hardware, in quanto quest'ultimo riesce ad
accedere ai vari programmi di elaboratore in circolazione senza dover pagare una licenza di esclusiva, ma limitandosi
ad acquistare il sistema operativo.
Ad oggi però i programmi di elaboratore sono esplosi nella loro portata, si sono create professionalità altamente
elevate per la programmazione informatica e quindi i vari ordinamenti hanno cercato di correggere il tiro rispetto a
questa esclusione secca: in Italia resta un’esclusione visto che il CPI è del 2005 e continua a negare la natura di
invenzione ai programmi di elaboratore, è anche vero però che poi, alcune leggi speciali (anche a livello internazionale)
consentono delle deroghe, esistono dunque dei programmi che sono qualificabili come software e che sono
brevettabili. La deroga è consentita a quei programmi che servono per una razionalizzazione sulla gestione di certi
servizi. Esempio: se programmo un sistema operativo che serve ad uno studio legale per catalogare a livello informatico le
pratiche con l'automatismo nell'inserimento dei termini scadenzati per la redazione delle memorie difensive. Questo sistema
potrebbe essere oggetto di brevetto
La deroga viene concessa per i programmi che servono per risolvere un problema esterno al computer, ad esempio
potrei creare un sistema di elaborazione che consente ad un'apparecchiatura radiologica di contenere l'emissione di raggi X
durante la seduta con il paziente. Queste però sono tipologie settoriali, ristrette, che rappresentano un'eccezione ad un
divieto che anche il nostro ordinamento continua, a livello generale, a mantenere.
Quindi Facebook, ad esempio, non potrà essere brevettato perché non rientra tra le eccezioni indicate, ciò però non
significa che non vi sia una tutela per la Facebook Inc. e Zuckemberg che ha creato il sistema, la tutela sarà accordata
dal diritto d'autore in quanto si tratta di un'opera dell'ingegno.
Le Presentazioni Di Informazioni invece non sono brevettabili perché non risolvono un problema tecnico, ma
semplificano un procedimento per la visualizzazione di certe informazioni: il sistema tipico di presentazione delle
informazioni è PowerPoint.

 Passiamo ora all'elencazione delle ENTITÀ NON BREVETTABILI PER VOLONTÀ NORMATIVA. Tra queste entità
troviamo: metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e metodi di diagnosi
applicati al corpo umano o vegetale. I trattamenti chirurgici sono quei trattamenti sul corpo che impongono
l'invasione del corpo stesso, i trattamenti terapeutici invece, non sono invasivi e sono basati sulla previsione
di una terapia farmacologica, fisioterapica…da seguire. I metodi di diagnosi, invece, sono quelli che servono
per capire che sindrome/patologia affligge il paziente, esempio: analisi ematiche, di tessuto, ecc.; questi
consistono nel prelevamento di campioni e analisi biologica degli stessi.
Perché queste tre entità non sono brevettabili pure essendo invenzioni?
Sicuramente, se vi fosse un brevetto, vi sarebbe un diritto di esclusiva per l'inventore e solo lui potrebbe operare con
la nuova tecnica; in queste circostanze verrebbe leso il diritto alla salute che è costituzionalmente garantito, qui la
negazione della brevettabilità è frutto quindi di una scelta di politica del diritto.
Si noti che l'equiparazione a interventi sul corpo umano e animale non dipende dal fatto che “si è sposata causa
animalista”, la ratio sta nel fatto che spesso nelle sperimentazioni di un trattamento si parte da un corpo animale,
quindi se non fosse stata espressa questa previsione, si sarebbe potuto bypassare il limite sfruttando le tecniche che
si sperimentano sul corpo animale.
Varietà vegetali e razze animali, procedimenti essenzialmente biologici di produzione di animali o vegetali.
Con ciò si intende che non si può brevettare la creazione di una nuova razza, anche a livello vegetale, né i procedimenti
biologici di produzione di animali, come ad esempio la clonazione.
Perché queste tecniche non si possono brevettare?
Per disincentivare queste tipologie di sperimentazione; se il brevetto venisse concesso sì incentiverebbero questi
esperimenti. Quindi la negazione del brevetto discende da una questione etica, si vuole scoraggiare la creazione di
nuove razze in natura, ecc.

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Dunque dai limiti ontologici e di politica del diritto possiamo ricavare le informazioni necessarie per meglio qualificare
in positivo, cos'è un'invenzione. Iniziamo allora a capire in cosa consistono i requisiti di brevettabilità:
1. NOVITÀ: l’invenzione deve essere nuova, non compresa cioè nello stato della tecnica. Lo stato della tecnica
consiste nel patrimonio conoscitivo che in quel determinato settore della tecnica e fino a quel determinato
momento è conosciuto; in pratica è l'insieme delle conoscenze fino a quel momento acquisite in quel settore;
si tratta quindi di un'entità variabile nel tempo. L'invenzione per risultare nuova quindi non deve essere già
presente nello stato della tecnica, e non deve corrispondere ad una conoscenza già acquisita sino a quel
momento dallo stato della tecnica.
Cosa distrugge quindi la novità dell'invenzione?
Fondamentalmente abbiamo due elementi: le anteriorità e le pre-divulgazioni:
 Anteriorità: rappresentano un elemento distruttivo della novità in quanto costituite dalla presenza di
precedenti identici nello stato della tecnica. L’invenzione è già nota perché è già presente. Che sia un
prodotto o un procedimento, l’invenzione per cui si richiede il brevetto non risulta nuova in quanto
era già accessibile al pubblico visto che era già presente un prodotto dello stesso tipo o il
procedimento per cui si chiede la brevettazione. Il problema della valutazione della novità si pone
soprattutto quando l’invenzione per cui si richiede la brevettazione confligge con una non ancora
brevettata e quindi non immediatamente individuabile tramite la lettura del bollettino brevetti; è
possibile che l'inventore che ha chiesto l'abilitazione non sapesse che c'era già un'invenzione utilizzata
da altri, non brevettata e quindi non dichiarata apertamente attraverso l'inserimento in un bollettino
ufficiale; se l’anteriorità è costituita da un'invenzione non brevettata ma utilizzata, senza che ciò abbia
causato l’accessibilità al pubblico dell'invenzione stessa (non c'è stata una commercializzazione
dell'invenzione) l’anteriorità non distruggere la novità, ma consente al pre-inventore di proseguire
nell'utilizzo tutelandosi in pre-uso, è un po' la stessa disciplina vista per il marchio di fatto: se il pre-
inventore dimostra di aver utilizzato l’ invenzione precedentemente alla presentazione della domanda
di brevetto da parte del secondo, non potrà impedire il brevetto del secondo, ma continuerà a
mantenere il diritto di utilizzare l'inventiva nei limiti del pre-uso.
Se l’invenzione, invece, fosse stata resa accessibile al pubblico, allora l'anteriorità (anche se è costituita
da un'invenzione non brevettata) distruggerebbe la novità della seconda, perché:
accessibilità al pubblico = ricomprensione nello stato della tecnica
Al contrario, se la precedente invenzione non è neanche stata utilizzata dal pre-inventore, l’anteriorità
non distruggerà la novità e non darà neanche un diritto di utilizzo nei limiti del pre-uso dato che non
c'è stato al pre-inventore.
Il nostro ordinamento ha infatti recepito il principio, nel conflitto tra più inventori di una medesima
invenzione, il first to file e non quello del first to invent; prevale dunque chi per primo registra, non
chi per primo inventa. Se così non fosse, oggi Meucci sarebbe l'inventore del telefono, non Belle che
è stato il primo a presentare la domanda di registrazione.
Quindi la corsa alla presentazione della domanda di registrazione per il brevetto, soprattutto con
riferimento alle invenzioni, ha un’importanza fondamentale perché è la data certa conferita dalla
presentazione della domanda di brevetto che poi fa’ fede in caso di conflitto tra più inventori.
 Pre-divulgazioni: in questo caso l'invenzione non è che non è nuova perché identica ad un'altra già
entrata nello stato della tecnica, ma perché il segreto relativo all'invenzione stessa (o gli elementi
tecnici) è stato divulgato prima della presentazione della domanda di brevetto e quindi, di fatto,
l’informazione sull’invenzione e l’invenzione stessa sono entrate nel patrimonio conoscitivo.
La pre-divulgazione, affinché sia rilevante come elemento distruttivo della novità, deve essere una
pre-divulgazione idonea a far entrare l'invenzione nello stato della tecnica, in altri termini, se
inventiamo un prodotto e prima della presentazione della domanda andiamo a cena dalla nonna
novantenne e le raccontiamo i dettagli tecnici dell'invenzione, lei probabilmente non avrà le nostre
cognizioni tecniche, e probabilmente dopo cinque minuti non sarà in grado di ripetere ad un esperto
del settore i dati tecnici dell'invenzione che gli abbiamo rivelato, in questo caso la nostra rivelazione
non costituirà pre-divulgazione.
La pre-divulgazione è la diffusione delle notizie tecniche relative all'invenzione ad un pubblico che
possa recepirne la valenza, tanto da poter poi, a propria volta, riferire agli esperti di settore. Quindi

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affinché vi sia pre-divulgazione è necessario che il nostro soggetto interlocutore, che poi tradisce il
segreto, abbia le capacità cognitive per far sì che si possa definire l'invenzione come entrata nello stato
della tecnica, dunque dovrebbe trattarsi di un esperto di settore o di un soggetto in grado di riferire
informazioni agli esperti di settore.
Il nostro ordinamento ha cercato di proteggere l'inventore contro il rischio della divulgazione infedele,
cioè la pre-divulgazione fatta dal collaboratore tenuto al segreto e che ha violato il segreto stesso. Si
parte infatti dal presupposto che l’inventore non compie pre-divulgazione distruttiva della novità se
confida ai propri collaboratori obbligati, ad esempio, da contratto al mantenimento del segreto.
Il problema si pone quando il soggetto che possiede l'informazione, perché ad esempio fa parte del
team dell'inventore, tradisce il segreto, divulgando l’informazione prima della presentazione della
domanda di brevetto, a terzi; in questo caso il nostro ordinamento ha cercato di attribuire uno
strumento di protezione all'inventore conferendogli un periodo di grazia: se l'inventore subisce la pre-
divulgazione nei 6 mesi precedenti la presentazione della domanda di brevetto la pre-divulgazione
non rileva, si deve però dimostrare che questa è stata commessa a danno dell'inventore. L'inventore
dovrà quindi dimostrare di essere stato tradito da un collaboratore infedele, che per danneggiarlo ha
venduto a terzi l’informazione, o comunque l’ha diffusa a terzi in modo da distruggere la novità e da
impedirgli la registrazione.
Quindi se l'inventore subisce il furto dell’informazione o la condotta pregiudizievole di un
collaboratore infedele, deve poi attivarsi entro 6 mesi per presentare la domanda di brevetto, se
invece resta inerte, la pre-divulgazione distruggerà la novità della sua invenzione.
Si precisa poi che non costituiscono pre-divulgazione le presentazioni del prototipo alle mostre e alle
fiere ufficiali del settore, questo, perché tali fiere servono agli imprenditori per verificare il grado di
apprezzamento del prototipo ed evitare quindi di incorrere in ingenti spese per produrre in serie
un'invenzione che poi non sarà apprezzata. Affinché non si possa parlare di pre-divulgazione è però
necessario che l'esibizione avvenga nelle fiere e nelle mostre indicate in quel determinato settore
come quelle autorizzate per la presentazione del prodotto
2. ORIGINALITÀ O ATTIVA INVENTIVA: Quand'è che l'invenzione originale, cioè frutto di un'attività inventiva?
Lo è quando risulta non evidente allo stato della tecnica. Questa è la differenza con la novità, per la novità
infatti valutiamo la non comprensione nello stato della tecnica, ovvero il fatto che l’invenzione non sia già
stata acquisita dallo stato della tecnica.
La non evidenza deve essere valutata da un esperto del settore. Il giudizio di non evidenza richiede di analizzare
il settore di riferimento (chimica, fisica, meccanica) poi di individuare l'esperto medio del settore (non il genio
che è l'unico in grado di capire certe cose, ma neanche più scarso), e infine metterci nella prospettiva di
quest'ultimo per capire se quel trovato si possa valutare come non banale, non routinario, frutto di uno sforzo
intellettuale che non poteva essere compiuto da chiunque perché si è giunti ad un risultato che non era
scontato ottenere. Con l'attività inventiva, in pratica, si premia lo sforzo intellettuale per la realizzazione di un
trovato non banale in quanto non realizzabile da chiunque perché frutto di uno sforzo intellettuale non nella
disponibilità di chicchessia.
Nota: le invenzioni di routine e sono quelle non originali, a cui qualsiasi esperto sarebbe potuto pervenire
La giurisprudenza individuato alcuni indizi di non evidenza:
a) Mano felice: è il colpo di fortuna o meglio il colpo d'ingegno, cioè il fatto che l'inventore sia arrivato a
quel risultato al primo colpo, nonostante altri abbiano tentato in anni di studi, di giungere al medesimo
obiettivo. In pratica il nostro soggetto riuscito a risolvere in poco tempo un problema che affliggeva
gli esperti del settore da molto tempo. Questa mano felice dimostra l'ingegno che imprime al trovato
attività inventiva, dimostra che l'inventore è andato dove altri non sono riusciti ad arrivare.
b) Il problema è avvertito in modo pesante da molto tempo: è strettamente legato alla mano felice.
Maggiore è il grado di percezione del problema che quell'invenzione risolve e più probabile la non
evidenza dell'invenzione stessa.
c) Valore economico dell'invenzione: è rappresentato dalla potenziale commerciabilità dell'invenzione,
quest'indizio però è il più contestato perché valuta l'originalità del peso economico, spostando così i
temi della questione, infatti il “guizzo” non è legato al valore economico, ed inoltre il valore economico

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è valutabile ex-post, nel nostro caso però l'analisi va fatta ex-ante dato che si tratta di valutare i
requisiti della brevettabilità.
Dunque molti lo ritengono sbagliato come requisito ed inoltre, come già detto, non è detto che il
guizzo sia basato sul peso economico, infatti io potrei risolvere un problema vessatissimo con un
trovato che da un punto di vista economico magari non costa nulla.
Quindi non è detto che si profonde tanto impegno solo per realizzare un trovato che costa molto, si
potrebbe anche profondere un impegno pazzesco Per un trovato che costa poco, dunque la non
evidenza prescinde dal valore economico.
Esistono poi degli indizi di evidenza, cioè indizi che possono far presupporre che l'invenzione sia
un'invenzione routinaria: ad esempio, il fatto che il problema non se lo sia mai posto nessuno, magari
è vero che l'invenzione risolve un problema ed è dunque qualificabile come invenzione, ma se il
problema non è mai stato avvertito da nessuno come tale, probabilmente non è un problema rilevante
e dunque probabilmente l'attività svolta dall'inventore per risolvere quel problema non è
considerabile attività inventiva. Il fatto che nessuno avverta il bisogno, già ex-ante di avere un trovato
del genere per risolvere quel certo problema, fa presupporre la non originalità dell'invenzione, visto
che nessuno l’acquisterebbe o la vorrebbe, dato che risolve un problema teoricamente esistente, ma
che concretamente non è percepito da nessuno
Lezione 20
3. LICEITÀ: ha una formula leggermente diversa rispetto a quella usata per il diritto di marchio, il marchio lecito
è quello non contrastante con legge, ordine pubblico e buon costume, nel diritto brevettuale il requisito di
liceità si riferisce alla non difformità ad ordine pubblico e buon costume; non compare la legge: questa
mancanza ha una ratio logica, il requisito della liceità è un requisito di brevettabilità, non di utilizzabilità
dell’invenzione, è quindi un requisito che viene preso in considerazione al fine di rilasciare una sorta di patente,
che di per sé non autorizza il titolare del brevetto all’utilizzazione dell’invenzione brevettata, il brevetto serve
fondamentalmente per far conseguire la privativa nell’ipotesi in cui poi effettivamente l’utilizzazione sia
autorizzata, per godere di una priorità nel caso di conflitto tra più soggetti che rivendicano la paternità
dell’invenzione, ma non dà di per sé l’autorizzazione all’utilizzazione, alla commercializzazione e alla
realizzazione in serie del prodotto stesso oggetto di brevetto; ecco perché la legge non compare. Potrebbero
esistere trovati suscettibili di brevetto, anche se non concretamente utilizzabili per volontà normativa in un
certo momento (esempio: le armi possono essere brevettate, ma non è detto che si possano commercializzare). La
brevettazione però, di per sé, è consentita perché potrebbe comunque far conseguire un dato tecnico in un
determinato settore che potrebbe un domani consentire di utilizzare il trovato.
4. INDUSTRIALITÀ: è un requisito peculiare dei brevetti, l’invenzione deve risultare industriale. L’invenzione è
considerata atta ad avere un’applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in
qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola.
La distinzione tra fabbricabilità e utilizzabilità richiama quella tra invenzione di prodotto e invenzione di
procedimento. Con utilizzabilità si può capire facilmente cosa si intende: il procedimento deve poter essere
utilizzato per raggiungere un determinato risultato, risolvendo attraverso questo iter un problema che il
settore della tecnica avvertiva fino a quel momento come irrisolto. Alcuni parlano dell’utilità dell’invenzione
come un requisito implicito che è in un certo senso corrispondente all’industrialità, in realtà però le nozioni
non vanno confuse, è infatti vero che utilità=industrialità se si parla di invenzioni di procedimento, però l’utilità
risulta un concetto diverso quando andiamo a riempire di contenuto la nozione di fabbricabilità che è tipica
dell’invenzione di prodotto: qui l’industrialità viene considerata come la fabbricabilità del prodotto.
Cosa si intende per fabbricabilità?
Questa è una nozione che evoca la riproducibilità, ciò però non implica necessariamente la riproducibilità in
serie, è possibile anche che il prototipo venga replicato con esemplari che includono profili artigianali (che
sono dicotomici rispetto ai profili seriali, cioè della riproduzione seriale), però quantomeno bisogna che vi sia
l’idoneità alla replicazione, cioè l’idoneità alla riproduzione di esemplari ulteriori rispetto al prototipo, se il
prototipo non è replicabile, allora non è industriale perché non ha una destinazione industriale (non può
essere fabbricato ulteriormente)

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Perché il requisito dell’industrialità è un requisito fondamentale?


Perché nell’ottica della caduta in pubblico dominio è necessario che il trovato possa essere replicato, infatti se
il tutto si basasse solo sullo sfruttamento dell’unico prototipo, potrebbe verificarsi l’ipotesi che, scaduto il
termine della privativa, il prototipo non sia più utilizzabile perché usurato.
In sostanza quindi si vuole cercare di tutelare l’interesse della collettività e poter sfruttare il contributo al
progresso che questa invenzione ha concorso a realizzare; motivo per cui quando l’inventore richiede il rilascio
del brevetto, deve anche descrivere in maniera sufficiente i dettagli tecnici dell’invenzione.
La SUFFICIENTE DESCRIZIONE è considerata da alcuni autori come una sorta di quinto requisito di brevettabilità, in
realtà non lo è, però resta comunque un elemento fondamentale perché la domanda di brevetto possa essere
considerata ricevibile dall’Ufficio Brevetti e Marchi; quindi potremmo dire che costituisce una sorta di pre-requisito,
visto che senza esso l’Ufficio Brevetti Marchi non è tenuto a valutare la sussistenza dei reali requisiti di brevettabilità.
Quindi la descrizione è fondamentale per la caduta in pubblico dominio, l’inventore deve perciò rilasciare indicazioni
specifiche del percorso che ha seguito per arrivare all’invenzione, in modo che chiunque in quel settore della tecnica
possa replicare il trovato.

Quando si parla di brevetto, si distingue tra:


 DIRITTO AL BREVETTO: è il diritto ad ottenere il brevetto
 DIRITTO DI BREVETTO: è il diritto all’utilizzo in esclusiva che discende dal brevetto
Il primo riguarda quindi la fase antecedente alla concessione da parte dell’Ufficio Brevetti e Marchi della privativa, il
secondo invece sorge nella fase successiva, e cioè quando il brevetto viene rilasciato e si va a guardare all’ampiezza
dell’esclusiva.
Chi ha il diritto di brevetto? Chi ha il diritto alla presentazione della domanda di brevetto?
Sicuramente l’inventore, inoltre si ritiene che questo abbia diritto al brevetto, se dotato di capacità di agire, cioè non
viene detto espressamente ma lo si può desumere dai principi generali dell’ordinamento, infatti, ad esempio, un
minore deve essere autorizzato dal giudice tutelare, e comunque l’autorizzazione cadrà poi sul tutore che esercita per
conto del tutelato i diritti a lui spettanti.
Spesso però l’inventore non è il soggetto che in autonomia e nel proprio scantinato si diverte a fare esperimenti per
arrivare ad una certa soluzione, oggi è più plausibile l’ipotesi secondo la quale l’invenzione viene resa possibile da un
lavoro di squadra e soprattutto da un’attività di ricerca che viene commissionata e finanziata, quindi spesso l’inventore
non è autonomo nella propria attività di ricerca. Quindi la maggior parte delle ipotesi prevede che l’invenzione sia
un’invenzione di équipe, o comunque realizzata all’interno di una struttura che è finanziata a svolgere attività di
ricerca. Se prendiamo in considerazione queste due ipotesi allora dobbiamo arricchire quanto detto in tema di diritto
alla presentazione della domanda di brevetto:
Se l’invenzione è un’invenzione di squadra il diritto al brevetto spetta a tutti i partecipanti (Si ritiene che regolamenti
queste ipotesi la disciplina sulla Comunione), c’è una co-titolarità del diritto a cui conseguirà anche una co-titolarità al
diritto di brevetto.
Quando si parla di brevetti inoltre, si deve distinguere tra:
 Diritto morale al riconoscimento della paternità dell’invenzione: è il diritto ad essere riconosciuti inventori,
e quindi il diritto a fare sì che il proprio nome venga affisso sul trovato
 Diritto allo sfruttamento economico dell’invenzione: è il diritto patrimoniale a godere dei risultati economici
dell'invenzione
Nel caso di un'invenzione di squadra, il diritto morale spetterà a tutti membri del team e, nel caso in cui non ci si trovi
nell’ipotesi dell’invenzione dei dipendenti, anche il diritto allo sfruttamento viene condiviso.
Si noti che il diritto morale è un diritto intrasmissibile, il diritto allo sfruttamento economico dell’invenzione invece si
può trasmettere e vendere, ciò perché spesso l’inventore non ha le attrezzature per creare poi una riproduzione in
serie e sfruttare appieno le potenzialità dell’invenzione.
La seconda ipotesi di cui parlavamo è quella dell’invenzione che avviene all’interno di una struttura che è finalizzata
istituzionalmente alla ricerca e spesso l’inventore è un dipendente di questa struttura.

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In questo caso come si regolamentano il diritto al brevetto e il diritto di brevetto? Se l’invenzione viene realizzata
all’interno di un laboratorio di un’azienda che finanzia la ricerca nei propri laboratori perché mira alla risoluzione di
certi problemi tecnici, a chi spetta il diritto al brevetto? Chi godrà del diritto di brevetto?
Il nostro ordinamento distingue a seconda delle mansioni svolte dal lavoratore subordinato inventore e le ipotesi prese
in esame dal nostro legislatore sono tre:
A. INVENZIONE DI SERVIZIO: è quella realizzata da un dipendente che tra le proprie mansioni nel contratto di lavoro
ha quella di svolgere attività di ricerca inventiva, ed è quindi retribuito a tale scopo, cioè la sua retribuzione annua
prende già in considerazione lo sforzo intellettuale che profonde nell’esercizio della propria attività professionale.
Questa retribuzione verrà perciò corrisposta a prescindere dal fatto che raggiunga o meno il risultato.
Se l’attività porta al risultato sperato (invenzione) a chi spetta il diritto alla presentazione della domanda di
brevetto? Il titolare del diritto al brevetto è il datore di lavoro e sarà sempre lui, una volta conseguito il brevetto, a
maturare il diritto di sfruttamento economico in esclusiva, al lavoratore, in questo caso, non spetta nulla se non il
diritto morale al riconoscimento della paternità dell’opera, questo diritto spetta infatti sempre all’inventore reale,
cioè colui o coloro che hanno materialmente conseguito risultato.
B. INVENZIONE D’AZIENDA: è quella realizzata da un dipendente che non ha una retribuzione commisurata all’attività
inventiva perché l’attività di ricerca inventiva non è oggetto principale della sua prestazione, ha altre mansioni e
l’attività di ricerca è valutata come attività secondaria e dunque non concorre alla determinazione di una
retribuzione specifica. Supponiamo però che il dipendente svolga comunque attività di ricerca e giunga al risultato,
in questo caso a chi spetta il diritto alla presentazione della domanda di brevetto?
Questa spetta sempre al datore di lavoro, perché comunque anche se il dipendente non era tenuto a svolgere come
attività principale quella di ricerca, l’ha svolta sfruttando attrezzature e risorse messe a disposizione dal datore di
lavoro, è dunque un’incidenza della struttura aziendale che ha permesso al dipendente di arrivare a quel risultato,
in pratica, quindi, è come se il datore avesse contribuito in qualità di finanziatore, ed è in ragione di ciò che si
giustifica il fatto che il diritto al brevetto spetta ad esso e di conseguenza anche il diritto allo sfruttamento
economico dell’invenzione. In questa fattispecie però l’inventore non è stato retribuito fino a quel momento per
l’attività inventiva di successo che ha espletato, perciò avrà diritto ad un equo premio, cioè un’indennità integrativa
che dovrà compensarlo per l’attività svolta e che ha avvantaggiato in termini economici il datore di lavoro.
In genere esiste un contenzioso piuttosto acceso sulla determinazione di questo equo premio, dato che il nostro
ordinamento non stabilisce criteri per quantificarlo; parla solo di un equo premio che in caso di mancato
raggiungimento di accordo tra datore di lavoro e lavoratore, dovrà essere rimesso nella sua quantificazione ad un
collegio di arbitratori. Dato che altri ordinamenti, viceversa, prevedono questi criteri, si tende a copiarli tramite
un’analisi comparatistica, e il criterio a cui ultimamente si è ricorsi più frequentemente è quello stabilito
dall’ordinamento tedesco, la c.d. FORMULA TEDESCA, la quale prevede che l’equo premio sia quantificabile nel
prodotto ottenuto moltiplicando il valore dell’invenzione per un coefficiente che rappresenta la percentuale
determinata dalla componente inventiva appartenente al dipendente, rispetto alla struttura aziendale, cioè si cerca
di quantificare quanto nella realizzazione dell’invenzione abbia inciso la componente umana (ingegno del dipendente)
rispetto alla componente economica della sovrastruttura, delle risorse, dei laboratori, delle attrezzature date dal
datore di lavoro. Ovviamente, più l’invenzione necessiterà, per la sua realizzazione, di strumentazioni altamente
sofisticate, maggiore sarà la percentuale dell’incidenza della sovrastruttura economica, viceversa, maggiore sarà
stata la richiesta di intelletto rispetto, ad esempio, a scarse materie prime e scarse attrezzature, maggiore sarà la
percentuale di incidenza della componente umana.
Il valore dell’invenzione invece come si quantifica?
I tedeschi usano un criterio presuntivo, cioè si prende in considerazione la ROYALTY VIRTUALE (RV), si considera
quindi quanto pagherebbe un terzo per poter ottenere un diritto personale di godimento sull’invenzione.
C. INVENZIONE OCCASIONALE: è l’ipotesi più di scuola (è difficile che si concretizzi): questa è quella che realizzata da
un dipendente fuori dai luoghi di lavoro, (quindi senza l’incidenza della sovrastruttura economica del datore di
lavoro), fuori dagli orari di lavoro, in locali personali, e l’invenzione realizzata è comunque pertinente con l’attività
di impresa esercitata dal datore di lavoro.
Nota: se l’invenzione non avesse a che fare con l’attività del datore di lavoro, non si porrebbe alcun problema visto
che in quel caso l’invenzione sarebbe totalmente appannaggio dell’inventore.

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Vista l’esistenza di questa pertinenza il datore di lavoro avrà sicuramente un interesse allo sfruttamento di quel
trovato, così in questo caso il diritto alla presentazione della domanda di brevetto spetta al lavoratore (visto che
l’invenzione è stata realizzata fuori dall’ambiente di lavoro e senza l’incidenza della sovrastruttura economica messa
disposizione del datore), però il fatto che il datore di lavoro vanti un interesse in quanto l’invenzione è pertinente con
la sua attività, l’ordinamento riconosce allo stesso un diritto di prelazione sullo sfruttamento dell’invenzione, quindi
il diritto di brevetto. A parità di condizioni perciò il datore di lavoro dovrà essere preferito rispetto a terzi nella
concessione del diritto personale di godimento; ha quindi una prelazione legale.
Negli altri ordinamenti c'è una classificazione più ristretta di queste tre ipotesi (A, B e C), in particolare non compare
l'invenzione di servizio. Ad ogni modo, perfino nel nostro ordinamento, a livello giurisprudenziale non è semplice
capire, nell'analisi dei contratti di lavoro, se l'attività inventiva rientra tra le mansioni principali o tra quelle
secondarie; cioè, a lato pratico, la distinzione tra invenzioni di servizio e invenzioni di azienda non è semplice, e
questo perché spesso i contratti hanno formule molto vaghe, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti assunti
anche con finalità di ricerca, non è facile tracciare una linea di demarcazione tra attività posta come aspetto
centrale della prestazione lavorativa e attività viceversa collaterale, secondaria.
Da un punto di vista pratico però, riuscire a pervenire alla fattispecie corretta è fondamentale per capire quale delle
due discipline applicare e quindi se al dipendente spetta o meno l’equo premio.
Ancora più specifica è poi l'ipotesi presa in considerazione dal nostro ordinamento circa le invenzioni dei dipendenti
universitari, quindi di un'istituzione che è naturalmente vocata all'attività di ricerca; in questo caso il problema
riguarda i ricercatori universitari. Questi ricercatori hanno una regolamentazione ancora più particolare perché se
giungono al risultato (e l'attività è sicuramente chiamata a questo), il diritto alla presentazione della domanda di
brevetto, spetta al ricercatore, contrariamente a quanto si potrebbe pensare applicando la disciplina esposta finora.
I ricercatori infatti, hanno sì un inquadramento all'interno dell'università, ma non sono in tutto e per tutto equiparabili
al lavoratore subordinato, in quanto si tratta di un rapporto di dipendenza particolare così si giustifica la differenza
rispetto al subordinato vero e proprio, il ricercatore infatti entra nel rapporto lavorativo mediante un concorso, e
dunque si tende a riconoscergli una certa professionalità. È anche vero però che l'università con la dotazione delle
proprie strutture consente al ricercatore di svolgere la sua attività inventiva e giungere al risultato. Quindi il diritto alla
domanda di brevetto spetta al ricercatore, ma l’università ha una prelazione, nel caso non lo faccia valere,
concederebbe al ricercatore la facoltà di trasferire il diritto di brevetto a terzi, concederlo in licenza a terzi o cederlo a
terzi. L'università ha diritto ad una percentuale del ricavato economico che andrà in favore del ricercatore; tale
percentuale non può essere inferiore al 30% e non superiore al 50%, la percentuale precisa sarà determinata da
ricercatore e università in una trattativa privata.
Le cose cambiano se l'università è finanziata, nella sua attività di ricerca, da un terzo: in questo caso è possibile che il
finanziatore esterno sia un benefattore che finanzia solo per il gusto di allocare i propri risparmi affinché enti vocati
alla ricerca possano sostenere i propri ricercatori per raggiungere un certo risultato; in questa fattispecie la disciplina,
in caso di raggiungimento del risultato, non cambia.
Se invece finanziatore finanzia per avere un tornaconto economico in caso di raggiungimento del risultato, allora il
contratto di finanziamento indicherà come si distribuiranno le risorse economiche che dovessero giungere come
ricavato dallo sfruttamento dell'invenzione stessa; è quindi possibile che al ricercatore vada ancora meno perché poi
l'università deve girare parte dell'utile conseguito al terzo finanziatore; addirittura, in alcuni casi, nel contratto di
finanziamento è previsto che il diritto alla presentazione della domanda di brevetto venga accordato al finanziatore
esterno, in modo che sia egli a brevettare l'invenzione. Quest'ultimo caso accade spesso nel settore farmaceutico.
Ad ogni modo, chi ha diritto alla presentazione della domanda di brevetto deve presentarsi all'Ufficio Italiano Brevetti
e Marchi con il trovato, la sufficiente descrizione, l’imitazione del procedimento (se non si tratta di un'entità materiale)
e chiedere che l'invenzione venga brevettata. L'ufficio rilascia una certificazione che dà una data certa (in alcuni casi
segna anche i minuti) e a quel punto “la palla passa” all'Ufficio Brevetti e Marchi che dovrà verificare la sussistenza dei
requisiti. È previsto però un termine di 18 mesi prima che quella domanda di brevetto venga inserita nel BOLLETTINO
DEI BREVETTI, prima cioè che venga resa pubblica.
Perché questo termine così lungo?
Per consentire al depositante di correggere il tiro, cioè di terminare la propria attività di verifica ed eventualmente
correggere la domanda, affinarla, indicare ad esempio un utilizzo migliore che si è scoperto continuando nei test di
verifica, ecc.

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Perché questo termine è così importante?


Perché siccome si tende a correre alla presentazione della domanda di brevetto per prendere la priorità, spesso si
presenta la domanda subito dopo aver terminato il primo test di verifica, quando magari alcuni aspetti devono ancora
essere affinati. Quindi l'inventore può, nei 18 mesi successivi, modificare ed integrare la domanda.
Non la può cambiare del tutto, non può cioè cambiare l'oggetto dell'invenzione; questo viene precisato per evitare
che qualcuno porti un qualcosa di diverso, rispetto all'oggetto per cui si era fatta domanda, per avere la priorità di una
data che non corrisponde a quella in cui il soggetto ha effettivamente raggiunto il risultato per il quale chiede poi la
brevettazione successivamente.
Decorsi i 18 mesi si chiude la possibilità di effettuare integrazioni, la domanda viene resa pubblica e l'Ufficio Brevetti
e Marchi valuta la sussistenza dei requisiti di brevettabilità, nel caso, poi, in cui questi dovessero sussistere, allora verrà
concesso il brevetto che avrà durata di 20 anni, i quali inizieranno a decorrere dalla presentazione della domanda. Se
dovesse trascorrere un periodo ancora più lungo per l'autorizzazione all'utilizzo dell'invenzione è possibile, tramite il
certificato di complementarietà, allungare il termine per evitare che l'inventore si veda mangiato parte del ventennio
da lungaggini procedimentali che non dipendono da lui; può quindi chiedere l'integrazione dei 20 anni aggiungendo
tutto quel periodo in cui risulta sospesa l'utilizzazione del prodotto brevettato per ragioni amministrative.
Se viceversa l'Ufficio Brevetti e Marchi non dovesse riconoscere la brevettabilità dell'invenzione, l’inventore può
impugnare questo provvedimento di fronte alla COMMISSIONE DEI RICORSI, cioè una commissione tecnica composta
da magistrati e professori universitari del settore.

Come nel caso del marchio anche l'esclusiva concessa dal brevetto ha dei LIMITI:
Se l'invenzione è di prodotto è vietato l'utilizzo di quel prodotto in qualsiasi modo ottenuto; questa è un'impostazione
tradizionale che fa sì che sia vietato al terzo di cercare di replicare quel prodotto anche attraverso percorsi realizzativi
alternativi rispetto a quello indicato dall'inventore. Quindi si può dire che la privativa sul prodotto copre il prodotto
comunque ottenuto, a prescindere dal percorso utilizzato.
Inoltre, siccome nella sufficiente descrizione si deve indicare l'uso a cui il prodotto è destinato, per l'impostazione
tradizionale si ritiene che il prodotto sia, nel ventennio del monopolio, irrealizzabile da terzi anche nel caso in cui questi
dovessero accorgersi della possibilità di un utilizzo diverso. In altri termini i terzi non possono utilizzare quello stesso
prodotto, coperto dall'esclusiva, neanche per utilizzi diversi.
Mentre sul discorso della copertura del prodotto in qualsiasi modo ottenuto vi è concordia di opinioni, sulla copertura
di ogni possibile uso, anche quello non contemplato dall'inventore, vi è un acceso dibattito; molti infatti ritengono che
questo frustri l'attività di sperimentazione altrui: cioè, se io mi accorgo che con quello stesso prodotto risolvo altri
problemi, perché non dovrei sfruttare questa scoperta? L'altro non ci ha pensato. Si ritiene quindi che in questo caso
l'impostazione tradizionale estenda troppo l’esclusiva, dato che viene premiato un ingegno che da quel punto di vista
è risultato limitato. Oggi si tende quindi ad avere un'impostazione più permissiva rispetto a quella tradizionale e in
particolare, proprio con riferimento a queste ipotesi, si è coniato un termine, quello di invenzione di traslazione, cioè
quella che prende spunto da un'invenzione già nota e magari protetta da brevetto altrui, che però rispetto a quella
nota viene in qualche modo traslata in un altro settore, o in un altro contesto.
La decisione di applicare queste impostazioni oppure quella tradizionale dipende dai singoli Uffici Brevetti e Marchi di
competenza.
Nell'invenzione di procedimento invece, essendo oggetto di privativa il procedimento, se questo porta alla
realizzazione di un certo prodotto, l’impostazione tradizionale vuole che la privativa riguardi solo il procedimento,
pertanto se un terzo realizza lo stesso prodotto utilizzando un procedimento diverso non lede la privativa altrui; se
l'inventore vuole una privativa sul prodotto, deve presentare una domanda di brevetto anche per questo e sostenere
quindi costi amministrativi superiori.
Nota: il brevetto sul prodotto è più dispendioso di quello sul procedimento proprio perché oltre al prodotto copre
anche il procedimento

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Sono poi consentiti degli USI LECITI DEL BREVETTO ALTRUI e adesso vedremo alcune ipotesi:
1) Utilizzo dell'invenzione per uso privato, non commerciale e non economico. Questa è una locuzione piuttosto
ambigua, infatti è difficile pensare che un'invenzione che ha chiaramente una vocazione industriale possa
essere utilizzata a fini meramente privati, tant'è che resta più che altro un’ipotesi di scuola
2) Utilizzo dell'invenzione altrui ai soli fini di sperimentazione. Ad esempio, si sta cercando di risolvere un
problema diverso e serve sfruttare quell'invenzione perché in qualche modo strumentale per realizzare
un’altra invenzione. L'attività però deve essere meramente sperimentale perché se avesse finalità commerciali
o economiche non sarebbe più utilizzo lecito. È difficile però che qualche ricercatore svolga un’attività solo per
il gusto di sperimentare, senza poi sfruttare in alcun modo risultato ottenuto
3) Eccezione Galenica. Riguarda i farmaci e ci dice che è un uso lecito del brevetto altrui la realizzazione
estemporanea di un farmaco sulla base di una ricetta medica. Ad esempio, anziché acquistare l'Aulin, ci si
presenta in farmacia con la ricetta del nostro medico che dice che dobbiamo assumere 5 mg di Nimesulide
uniti a 2mg di acido acetilsalicilico e chiediamo al farmacista di creare il farmaco sulla base del dosaggio che
corrisponde a quello dell'Aulin, ma realizzato in modo estemporaneo dal farmacista stesso. Anche questa
ipotesi oggi è scarsamente frequente perché sono poche le farmacie dotate del laboratorio per la creazione
estemporanea del prodotto farmacologico, oggi tutti tendono a prendere il farmaco preconfezionato.
Nota: il farmaco generico non rientra in questa ipotesi ed è commercializzabile solo quando scade il brevetto
del farmaco basato su quel principio attivo
Si noti che la durata del brevetto (20 anni) tende a disattendere le aspettative della collettività, oggi 20 anni è un
periodo talmente lungo in alcuni settori della tecnica che è utopistico immaginare che la collettività abbia ancora
interesse 20 anni dopo la realizzazione di un trovato allo sfruttamento dello stesso. Spesso il trovato viene superato
già l'anno successivo, quindi, è stata sì mantenuta l'impostazione tradizionale, ma questa stride molto con l'accelerata
che la tecnica avuto in determinati settori.
Lezione 21
Tutto ciò che non rientra negli usi leciti del brevetto altrui integra la contraffazione (violazione di un diritto di proprietà
industriale, di un diritto titolato). In altri termini la contraffazione rappresenta l'indebito utilizzo dell'invenzione altrui.
Questa è la sua definizione tipologica ed evoca la fattispecie dell'utilizzo della medesima invenzione; il problema è che
spesso si verificano delle fattispecie più ambigue, dove non c'è l'utilizzo dell'invenzione altrui giuridicamente
considerata, ma magari di un trovato che è ad essa sovrapponibile, che però presenta degli elementi differenziali. In
pratica si escogita un trovato simile ma non identico, e quindi si deve capire se questa similitudine integra
contraffazione o meno.
Quand'è che un trovato è simile a quello coperto da privativa industriale, tanto da integrare, se utilizzato, la
contraffazione?
Si devono guardare gli elementi principali, si parla infatti di contraffazione per equivalenti, cioè l'illecito integrato
dall'imitazione del trovato altrui, coperto da privativa nei suoi elementi principali, nonostante la presenza di alcuni
elementi differenziali, però secondari.
Come si può verificare in concreto se vi è contraffazione per equivalenti?
Attraverso quello che la giurisprudenza ha coniato come triple test, cioè si verifica se il secondo trovato ha: la stessa
funzione del primo (1^ test), la svolge nello stesso modo (2^ test), raggiunge lo stesso risultato (3^test).
Se due trovati hanno la stessa funzione, la svolgono nello stesso modo e raggiungono lo stesso risultato, non importa
che siano stati inseriti degli elementi differenziali (chiaramente secondari), si parla di contraffazione per equivalenti.
Questo ci porta a riflettere su una questione contigua, cioè il fatto che un conto è individuare la violazione di un diritto
di proprietà industriale titolato nella riproduzione di un trovato che raggiunga lo stesso risultato, svolgendo la stessa
funzione e nello stesso modo, e quindi copiando l'idea inventiva altrui, un conto è invece immaginare che un altro
soggetto utilizzi il trovato di partenza (quello coperto dal brevetto altrui), per risolvere problemi diversi e raggiungere
obiettivi diversi, rispetto ai quali ha però bisogno di sfruttare l'invenzione di partenza.
In questo caso, il problema è quello delle INVENZIONI DIPENDENTI, cioè quelle che dipendono dall'utilizzo di
un'invenzione principale, che risulta strumentale rispetto a quella che stiamo cercando di sperimentare, realizzare…
Spesso un trovato serve per poterne ottenere un altro che ne rappresenta l’evoluzione, in questo caso si parla di
invenzione di perfezionamento; a volte un trovato serve perché all'inventore dà l’input per applicare quello stesso

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trovato ad un contesto diverso e in questo caso si parlerà di invenzione di traslazione, cioè adotto il trovato in un
contesto diverso e mi accorgo che serve a risolvere un problema diverso in un settore della tecnica diverso, a volte ci
si accorge che dalla miscela di due trovati diversi si ottiene un risultato ulteriore, non preso in considerazione, in questo
caso parleremo di invenzioni di combinazione, se ad esempio mi accorgo che combinando due farmaci coperti da
brevetto altrui, curo una patologia completamente diversa da quella presa in considerazione singolarmente dal titolare
del brevetto dei singoli farmaci che ho mischiato.
Si discute molto sul fatto che si possa o meno brevettare l'invenzione dipendente e se questa rappresenti quindi una
contraffazione dell'invenzione principale oppure no.
Se prendiamo in esame quanto detto a proposito dell'invenzione di prodotto: la privativa copre il prodotto comunque
ottenuto, se però ci si accorgesse che il prodotto serve a qualcosa di diverso rispetto a quello a cui aveva pensato
l'inventore (è il caso dell'invenzione dipendente)? Se la combinazione con un'altra cosa dà un risultato ulteriore? Tutti
questi risvolti ulteriori del trovato sono coperti dalla privativa originaria o no?
A livello interpretativo no, e questo perché viene risolto un altro problema, in un altro settore della tecnica, oppure
anche nello stesso. Se così non fosse, l'inventore si prenderebbe il merito per usi che in realtà non ha scoperto e
creerebbe quindi un monopolio indebito in favore di un soggetto che non era arrivato con lo sforzo del proprio ingegno
a quella soluzione. Quindi non si può pensare che il brevetto principale assorba tutte le conseguenze possibili,
sperimentali, non più a lui imputabili e che dovessero verificarsi nell'attività di ricerca altrui. Si ritiene quindi che vi sia
spazio per le invenzioni dipendenti. Negare la brevettabilità delle invenzioni dipendenti significherebbe scoraggiare
l'attività di ricerca, perché ormai quasi tutta l'attività di ricerca parte dal punto di arrivo di un altro, è cioè portata allo
sviluppo e all'evoluzione dei risultati fino a quel momento e in quel determinato settore raggiunti.
VEDIAMO ORA COME SI ESTINGUE IL DIRITTO DI BREVETTO:
Ipotesi ordinaria è il decorso del termine, infatti la privativa dura vent'anni e non è rinnovabile, quindi con la scadenza
del ventennio il diritto decade.
Oltre a questa ipotesi, che potremmo definire fisiologica, si ricade anche in caso di mancata o insufficiente
utilizzazione dell'invenzione. La mancata e l’insufficiente utilizzazione sono due ipotesi diverse, ma prese in
considerazione nella stessa causa in quanto condividono lo stesso presupposto. La mancata utilizzazione è integrata
dall'ipotesi che l'invenzione non sia per niente utilizzata. L’insufficiente utilizzazione invece evoca l'idea che ci sia stato
un utilizzo, ma che questo sia stato minimo. La giurisprudenza, con minimo utilizzo, intende un utilizzo privato,
esclusivamente interno alla propria impresa, in altri termini non c'è stata una commercializzazione dell'invenzione o
comunque un’esportazione della stessa al di fuori delle mura aziendali dell'attività di impresa di quel determinato
imprenditore che ha maturato il diritto di brevetto.
Perché la mancata o insufficiente utilizzazione dell'invenzione comporta l'estinzione del diritto di brevetto?
(si noti che questa si misura nel arco temporale di 3 anni consecutivi)
Perché si ritiene che la prenotazione dell'esclusiva, da parte dell'inventore, sia stato un atto puramente emulativo nei
confronti del concorrente, dato che se non utilizza l'invenzione significa che non ne aveva interesse e che l’ha
brevettata solo per evitare a terzi di usarla. Ma se il brevetto è una forma di monopolio e in quanto tale rappresenta
un'ipotesi eccezionale e quindi da giustificare solo in presenza di certi presupposti, è chiaro che non possa giustificarsi
se il presupposto è solo quello di impedire a terzi di giungere allo stesso risultato e sfruttare realmente quel trovato.
Quindi non si può utilizzare lo strumento del brevetto solo per impedire a terzi di raggiungere lo stesso risultato, e
questo lo si presuppone quando per 3 anni e titolare del brevetto non fa nulla per esercitare l'invenzione.
È chiaro che questa inerzia deve risultare volontaria, cioè non deve essere una situazione subita dal titolare del
brevetto. Se c'è una mancata o insufficiente utilizzazione per causa non imputabile al titolare del diritto non si decade:
ad esempio, se per 3 anni ho atteso e non ottenuto l'autorizzazione da parte dell'autorità competente a sfruttare
quella determinata invenzione, non può la lungaggine procedimentale delle autorità competenti gravare sul titolare.
Quest'ultima è però un'ipotesi semplice da comprendere, il problema si ha invece quando si hanno cause interne
all'impresa del titolare del brevetto, che però non sono state volontariamente innescate dallo stesso: in questi casi è
possibile che il titolare voglia utilizzare il brevetto, ma non lo può fare perché ad esempio versa in uno stato di crisi
che non gli consente di investire quanto necessario per poter produrre più esemplari oltre al prototipo grazie al quale
ha ottenuto il brevetto.

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Se la mancata utilizzazione dipende da cause interne all'attività ma non volontarie qual’è l’orientamento prevalente?
In questi casi c'è almeno un minimo grado di controllo sulle varie circostanze avverse, ed è proprio questo minimo
grado di controllo a fare la differenza tra questa fattispecie e quella in cui invece non c'è; in questo caso quindi, la
mancata utilizzazione dovrà essere giudicata idonea a far decadere dal diritto di brevetto.
A questa ipotesi se ne aggiungono altre, ad esempio, si decade dal brevetto quando per motivi di sicurezza nazionale
lo Stato espropria l'invenzione al titolare del brevetto.
Proprio come il diritto di marchio, anche il diritto di brevetto può essere oggetto di circolazione. Spesso l'inventore
non è un soggetto che ha capacità di impresa, quindi i mezzi di circolazione del brevetto servono per fare in modo che
l’invenzione possa poi essere sfruttata a livello imprenditoriale da chi ha capacità e risorse necessarie per la produzione
in serie e la commercializzazione dell'invenzione stessa.
Si noti che può essere oggetto di circolazione sia il diritto di brevetto, che il diritto al brevetto. Viceversa è
intrasmissibile il diritto morale al riconoscimento della paternità dell'invenzione. Se si concede il diritto alla
presentazione della domanda di brevetto, avremo che il brevetto sarà intestato ad un certo soggetto, ma l'invenzione
porterà il nome dell'inventore.
Quando si parla di eventi circolatori ci si riferisce fondamentalmente al trasferimento o alla concessione di un diritto
di godimento.
Il trasferimento può avere diverse forme giuridiche: compravendita, donazione, permuta, successione per mortis
causa.
Quando invece si parla di concessione del diritto di godimento, ci riferiamo alla LICENZA che concede il diritto allo
sfruttamento economico del trovato. Ovviamente la licenza è a tempo determinato e non può durare più del brevetto.
Sia il trasferimento che la licenza sono contratti a forma libera (ad esempio, si possono fare in forma orale, con stretta
di mano), la quale però al tempo stesso, impone la forma scritta a regularitatem (come il marchio).
Le licenze possono essere:
a) ESCLUSIVE: riguardano solo il soggetto licenziatario (soggetto al quale è concessa la licenza), con la privazione
del diritto di sfruttamento economico dell'invenzione anche in favore del titolare del brevetto, dunque solo
licenziatario può sfruttare l'invenzione, neanche il titolare del brevetto la può più sfruttare
b) NON ESCLUSIVE: ci sono più licenziatari, oppure un licenziatario che concorre nell'utilizzo dell'invenzione
insieme al titolare del brevetto
Nel caso del trasferimento, se questo assume la forma della compravendita, verrà pagato dall'acquirente il
corrispettivo; nel caso della concessione di una licenza, invece, il licenziatario pagherà un canone periodico per lo
sfruttamento dell'invenzione, definito royalty

La particolarità del diritto brevettuale è che esiste l'ipotesi della Licenza Obbligatoria: ci sono cioè delle ipotesi in cui
il titolare del brevetto è obbligato a concedere il diritto in licenza a terzi, la licenza quindi non sarà frutto di
un'autonomia negoziale, di una volontà del titolare del brevetto di lucrare attraverso la riscossione della royalty.
Quand'è che questo accade?
Ovviamente tale licenza impone un obbligo a carico del titolare del brevetto e il diritto da parte di un terzo.
L'ipotesi principale di licenza obbligatoria è quella legata alla mancata o insufficiente utilizzazione dell'invenzione: se
alla scadenza dei 3 anni l'invenzione non dovesse essere stata sfruttata, o lo fosse stata ma in modo insufficiente,
scatta la licenza obbligatoria, cioè, se c'è in circolazione qualche soggetto interessato a ricevere in licenza il diritto allo
sfruttamento economico dell'invenzione, il titolare del brevetto è obbligato a concedere la licenza. Questo strumento
permette al titolare di non decadere, è però necessario che vi sia un aspirante licenziatario, infatti la licenza
obbligatoria si innesca solo se l'aspirante licenziatario dimostra di aver cercato di convincere, nel periodo precedente
al decorso dei 3 anni, il titolare del brevetto a concedergli la licenza.
Perché questa ipotesi è importante?
Perché con essa l'ordinamento tenta di proteggere la privativa, è infatti una sorta di “ultima spiaggia” per il titolare
del brevetto. In pratica gli si impone di concedere a terzi lo sfruttamento dell'invenzione (dietro pagamento di una
royalty ovviamente), pena la decadenza del diritto di brevetto.
Nella licenza obbligatoria, l'aspetto più discusso è ovviamente la quantificazione della royalty: è previsto che in caso
di contrasto tra le parti, sarà un Collegio di Arbitratori composto da personalità tecniche del settore a stabilire il
corrispettivo.

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Altra peculiarità del diritto brevettuale è l’esistenza dell'ipotesi di Licenza di Diritto: il titolare del diritto di brevetto
può voler concedere la licenza, però non trova aspiranti licenziatari. La licenza di diritto prevede la possibilità di offrire
al pubblico la licenza del proprio brevetto, attraverso forme di pubblicità mediate dall'Ufficio Brevetti e Marchi, si apre
così una finestra temporale entro la quale gli interessati possono far pervenire la loro proposta di licenza, ovvero le
condizioni economiche a cui sarebbero disposti a stipulare un contratto di licenza
Nota: la condizione economica potrebbe essere proposta anche dal titolare del brevetto con una formula del tipo:
“Sono disposto a cedere in licenza il mio brevetto, a queste condizioni economiche”
In entrambi i casi le condizioni proposte non sono vincolanti ma possono essere negoziate. Questo istituto non è
praticamente mai stato usato nel nostro ordinamento; in genere si predilige la trattativa privata

Sinora abbiamo parlato della disciplina del brevetto come privativa per invenzioni industriali, per cui si richiede una
demarcazione formale con la brevettazione; si noti però che non è obbligatorio brevettare l'invenzione.
Se non si brevetta, bisogna capire come si potrà proteggere l'esclusiva: lo si potrà fare solo mediante il SEGRETO e con
tutti i limiti che questo comporta.
Il pregio del segreto, rispetto al brevetto, è quello di essere maggiormente estendibile, cioè se non viene violato non
incontra il limite temporale dei vent'anni, può durare anche per sempre, basta pensare ad esempio alla formula della Coca-Cola.
Esistono formule contrattuali che cercano di proteggere il segreto, con la conseguenza che una violazione espone il
contraente alle varie conseguenze che il diritto civile prevede, prima fra tutte l'obbligo del risarcimento del danno.
È anche vero che esistono formule contrattuali per lo sfruttamento economico del trovato protetto dal segreto da
parte di terzi: questo significa che l'inventore che non ha brevettato potrebbe comunque cercare di sfruttare
economicamente, in via indiretta (ricevendo una royalty), l’invenzione con un contratto che concede l'utilizzo dello
stesso ad un terzo, senza però che questo si configuri come una licenza di brevetto (dato che il brevetto non c'è).
La prassi industriale ha coniato dei moduli contrattuali che si fondano sulla circolazione della conoscenza (Circolazione
Di Informazioni Tecniche) su determinati trovati non coperti dal brevetto, quindi che non si configurano come licenze
di brevetto, ma come contratti che consentono la circolazione del know-how (conoscenza tecnica).
I contratti di know-how vengono indicati con l'acronimo NDA (Non Disclosure Agreements): sono contratti di
riservatezza e sono molto importanti perché consentono di ridurre il rischio della violazione del segreto anche quando
volutamente si fa uscire l’informazione secretata dalla propria azienda per poter sfruttare economicamente,
attraverso la concessione a terzi del diritto di godimento dell'invenzione, i proventi economici dell'invenzione stessa.
Lezione 22
Il diritto brevettuale non si esaurisce nella protezione accordata all'invenzione, esso infatti estende la propria area di
operatività anche a fattispecie che si affiancano alle invenzioni e degne di tutela, anche se questa risulterà attenuata
rispetto a quella cordata per l'invenzione. Si tratta di fattispecie che sono frutto di un'attività di ingegno di un certo
soggetto che deve ricevere protezione per lo sforzo e l'estro profuso nella realizzazione di determinate entità.
All'invenzione perciò si affiancano i cosiddetti MODELLI DI UTILITÀ e DISEGNI INDUSTRIALI.
1) MODELLI DI UTILITÀ: non sono invenzioni, ma sono comunque elementi che pur non costituendo nuovi
prodotti o nuovi procedimenti, conferiscono a un prodotto già esistente una specifica efficacia, o una comodità
funzionale. Quindi in pratica si lavora su un prodotto già esistente per renderlo più comodamente utilizzabile
o per attribuirgli un’efficacia specifica (renderlo più utile per un qualcosa di particolare)
Per molto tempo si è ritenuto che il modello di utilità fosse una sorta di piccola invenzione, come se fosse quindi
anch'esso frutto di un'idea inventiva, però in piccolo, senza che si arrivasse realmente alla soluzione nuova di un
problema tecnico. In realtà, venne poi preferita a questa distinzione quantitativa tra modelli di utilità e invenzioni, una
distinzione qualitativa, cioè il problema non è quello di trovare soluzione ad un piccolo problema o ad un grande
problema, la differenza è qualitativa perché non c'è la creazione di un prodotto, non si risolve un problema tecnico,
questo è già risolto: in questo caso si consente di progredire con riferimento a quel prodotto in termini di utilità. Il
quid novi che viene impresso dall’ideatore del modello di utilità incide sull'utilità stessa del prodotto, non sulla sua
estetica, e proprio quest'ultima specificazione va fatta perché ci permette di distinguere tra modelli di utilità e disegni
industriali.
I modelli di utilità sono anch'essi coperti dal diritto brevettuale e la privativa a cui possono aspirare è definita
BREVETTO, solo che questa, per distinguersi da quella delle invenzioni, ha una durata inferiore, pari a 10 anni e una
volta scaduta il modello di utilità cade in pubblico dominio.

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Quali sono i REQUISITI DI BREVETTABILITÀ?


1) novità: intesa come nel brevetto
2) originalità: è una sorta di requisito che va a coincidere con la definizione stessa di modello di utilità, cioè
l'originalità e la presenza del presupposto della specifica efficacia o della comodità funzionale, questa nozione
quindi si sovrappone a quella di modello di utilità.

2) DISEGNI INDUSTRIALI: differiscono dai modelli di utilità perché l'autore non inventa niente, non imprime a
qualcosa di già esistente un’utilità particolare, ma realizza un disegno (che sarà la base per la produzione di
un’entità materiale tangibile), che si distingue per un particolare gradiente estetico. L’Industrial Design è il
campo che oggi viene definito di erezione per opere d’arte applicate all'industria, è cioè il campo in cui
troviamo determinati beni e prodotti che hanno un valore estetico talmente alto da poter essere considerati
di per sé delle opere d'arte, a prescindere dalla destinazione industriale; quindi frutto dell'ingegno votato ad
imprimere un valore artistico ad un prodotto che ha fondamentalmente natura industriale.
Esempio: una poltrona, con una forma talmente peculiare ed esteticamente apprezzabile da diventare oggetto di protezione da
parte del diritto brevettuale
In questo caso però, allontanandoci in modo ancora più sensibile dall'invenzione che è la fattispecie principe rispetto
alla quale si è posto un problema di creazione di una privativa ad hoc chiamata brevetto, la protezione accordata
all'autore del disegno industriale non sarà compendiata in una privativa definita brevetto, si parla infatti di
REGISTRAZIONE DEL DISEGNO INDUSTRIALE, che resta comunque una privativa, dura 5 anni ed è rinnovabile fino ad
un massimo di 25 anni.
Quali sono i REQUISITI DI REGISTRAZIONE?
1) novità: come nel brevetto
2) carattere individuale: è l'impressione di diversità che l'utilizzatore informato deve ricevere nel momento in
cui guarda quella forma (disegno). Con diversità si intende la percezione di qualcosa di effettivamente distante
rispetto acciò che in quel determinato settore siamo abituati a vedere. L'osservatorio di riferimento è quello
dell'utilizzatore informato, cioè un soggetto che abbia a che fare in maniera abbastanza abituale con quel
prodotto, se si considerasse come osservatorio di riferimento il consumatore medio si rischierebbe di allargare
troppo l’area delle opere che possono essere protette da queste privative, che portano a dei monopoli che
non possono che avere carattere eccezionale e quindi bisogna evitarne una divulgazione indebita
Esempio: il titolare di un mobilificio si può considerare un utilizzatore informato per quanto riguarda la valutazione del
carattere individuale dei complementi d'arredo
Nell'ambito del disegno industriale oggi si pone un problema di coordinamento: fin dall'analisi del diritto della
concorrenza, abbiamo visto nella forma l'istituto che più degli altri si presta ad una lettura trasversale; visto che proprio
la forma è protagonista della tutela accordata con riferimento al disegno industriale, sicuramente bisogna capire qual
è il problema di coordinamento.
Tra diritto della concorrenza e diritto brevettuale, abbiamo visto che se la forma è brevettabile allora prevale il diritto
brevettuale, quindi, se un soggetto ha realizzato un prodotto con una forma utile, tale da rendere quel prodotto un
modello di utilità, oppure con una forma ornamentale di particolare rilevanza estetica che possa essere protetta come
disegno industriale, potrò al massimo richiedere la privativa offerta dal diritto brevettuale.
Questo tipo di coordinamento è abbastanza semplice.
Quando si parla di forma però, la situazione si complica nel momento in cui entra in ballo il diritto dei marchi, e
soprattutto il diritto d'autore: in particolare il problema del coordinamento con il diritto d'autore si avverte oggi in
maniera pressante, in ragione della recente modifica della legge sullo stesso, avvenuta nel 2001, con riferimento alle
opere dell'industria al design.
Perché c'è un problema di coordinamento con il diritto dei marchi?
Esiste il cosiddetto Marchio di Forma, però c'è tutta una serie di eccezioni che portano alla riduzione del campo di tale
marchio. In particolare, tra le eccezioni, abbiamo una forma che dà valore sostanziale al prodotto, cioè quella che è
talmente peculiare e apprezzata a livello estetico da risultare l'elemento determinante del comportamento economico
del consumatore. Quando parliamo di forme estetiche, se queste sono carine, ma non tali da orientare il
comportamento economico del consumatore, si possono registrare come marchio, in caso contrario prevarrà la
disciplina brevettuale. Quindi non si può registrare come marchio una forma che potrebbe conferire al disegno la
qualifica di disegno industriale, altrimenti si disattenderebbe la natura determinata (in termini di tempo) della tutela

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accordata. Quindi la forma che può essere oggetto di marchio è a metà strada tra quella di particolare ornamentalità
e gradevolezza che porta alla classificazione nel campo dell'industrial design e quella banale, meramente ripetitiva del
prodotto considerato (in questo caso mancherebbe la capacità distintiva).
Un problema invece quasi irrisolvibile, per volontà normativa, è quello del coordinamento con la legge sul diritto
d'autore: fino al 2001 tale legge non comprendeva in maniera espressa tra le opere dell'ingegno tutelabili dal diritto
d'autore le opere dell'industria design. La dottrina aveva però cercato lo stesso di trovare un collegamento, perché
nell'industrial design si va a proteggere un disegno che ha natura creativa, e dato che la creatività era il presupposto
che rappresentava l'elemento in comune delle entità prese in considerazione dalla legge sul diritto d'autore, molti
sostenevano che anche le opere dell'industrial design, in quanto creative, dovevano essere protette dal diritto
d'autore. Il problema ovviamente era che diritto d'autore e diritto brevettuale sono disciplinati in modo diverso. Il
diritto d'autore è un diritto della personalità, ed inoltre conferisce un'esclusiva maggiore da un punto di vista
temporale: tutta la vita dell'autore più 70 anni post mortem.
Dunque il problema era molto forte, ricondurre la fattispecie dell'industrial design sotto l’egida della legge nel diritto
d'autore, avrebbe significato aumentare in maniera rilevante e significativa la durata dell'esclusiva.
Prima del 2001 si riteneva che alcuni disegni industriali potessero rientrare tra le fattispecie protette dal diritto
d'autore, ma potevano rientrarvi solo se fosse stata effettivamente dimostrata la creatività alla base dell'opera e
soprattutto la natura scindibile del profilo artistico rispetto a quello industriale, cioè si doveva dimostrare che
quell’opera potesse avere un rilievo artistico a prescindere dalla sua vocazione industriale, l'opera quindi doveva
essere di per sé considerabile come un'opera d'arte.
Nel 2001, sulla base della necessità di recepire alcune direttive comunitarie volte all'armonizzazione dei Paesi Stati
Membri, la legge sul diritto d'autore del 1941 è stata modificata inserendo espressamente l'industrial design
nell'elenco delle opere dell'ingegno protette dal diritto industriale, con la precisazione che i disegni industriali sono
sottoposti alla legge sul diritto d'autore se l’opera industriale ha carattere creativo e valore artistico; non si fa alcun
riferimento al precedente requisito di scindibilità. La legge così formulata ha permesso il cumulo di tutele per le opere
del disegno industriale, cioè le opere d'arte applicate, ovvero quelle che hanno una vocazione industriale, nonostante
il valore artistico.
Tutto ruota intorno alle definizioni da dare ai due presupposti:
A) carattere creativo: è l'elemento che serve a definire l'opera dell'ingegno come tale. È presente in tutte le
opere dell'ingegno, sia che si tratti di opere d'arte in sé per sé (libri, quadri…) sia che si tratti di invenzioni. Il
carattere creativo quindi è dimostrato dal fatto che l'opera deve essere frutto dell'ingegno umano di un
soggetto
B) valore artistico: è il parametro più difficile da valutare in quanto la legge non ne dà una definizione. Oggi si
ritiene in modo prevalente che il valore artistico di un'opera di industrial design sia presente quando è possibile
qualificare il prodotto come un'opera d'arte che prescinde dalla sua destinazione industriale. In altri termini,
se noi apprezzassimo quella poltrona come un'opera d'arte in sé per sé e fossimo disposti a mettercela in
camera senza che serva qualcosa e la usassimo solo perché è bella da vedere, non ci facessimo sedere nessuno
e dunque la inserissimo nel nostro arredamento solo per il gusto di guardarla, potremmo affermare che l'opera
di industrial design ha valore artistico, dato che la componente artistica è apprezzabile a prescindere
dall'utilizzo cui è destinata all'opera stessa come opera industriale.
Si dovrebbe dimostrare quindi che il consumatore sia pronto a comprare quel prodotto, anche se non dovesse
mai utilizzarlo per la sua finalità industriale, ma solo per il gusto di averlo nella propria disponibilità e poter
godere della sua bellezza.
Questa interpretazione però porta a problemi applicativi dato che si lega ad una valutazione ex-post. Questa
impressione di predominio del profilo artistico rispetto a quello industriale la si può verificare solo quando il
prodotto è commercializzato. Non è una valutazione che si può fare ex-ante, cosa che l'interprete preferirebbe
per poter capire quale disciplina applicare.
Ecco perché alcuni ritengono preferibile immaginare che non si vada tanto a guardare l'orientamento del
consumatore, ma a quanto, da un punto di vista artistico, quella forma rompa con la tradizione, quanto cioè
risulti innovativa, anche se ciò non dovesse orientare il comportamento del consumatore.
Si tratterà quindi di una valutazione di esperti, di addetti ai lavori, sulla capacità di quella forma di far fare un
salto qualitativo a livello estetico rilevante, in quel determinato settore.

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In questo caso la valutazione può essere fatta subito, appena si vede il primo prototipo, e non ex-post. Il
problema qui è che, anche se questo criterio cerca di essere oggettivo, contiene sicuramente degli elementi
soggettivi, in quanto si tratta di fare una valutazione, sì di rottura rispetto al sistema standard, ma questa
rottura sarà tanto più apprezzata da quanti rileveranno la gradevolezza estetica della forma rispetto ad altri;
la gradevolezza estetica però è evidentemente un giudizio soggettivo.
Inoltre, nonostante queste novità siano state introdotte in un'ottica di armonizzazione dei diritti interni a livello
comunitario, questa armonizzazione in realtà è mancata perché non tutti i paesi si sono adeguati, o meglio, hanno
inserito le opere dell'industrial design nel diritto d'autore, ma questo poi è disciplinato in modo diverso nei vari paesi
UE (dal punto di vista di modelli di tutela e di durata). Tutto ciò porta ad una sorta di disincentivo al commercio
intracomunitario perché, le opere nel momento in cui entrano nel mercato europeo rischiano di essere protette in
maniera diversa a seconda del paese in cui vengono più commercializzate; quindi lo stesso potrebbe essere tutelato
in Italia in modo generoso (tutta la vita più 70 anni) potrebbe ricevere un trattamento peggiore in un paese straniero,
dove l'opera potrebbe essere replicata in un periodo di tempo più avvicinato
Lezione 23
Analizziamo ora alcuni aspetti marginali comuni che riguardano sia il diritto dei segni distintivi sia quello brevettuale:
stiamo parlando dei PROFILI PROCESSUALI-SANZIONATORI.
Da un punto di vista processuale, per ora ci siamo solo resi conto di quanto sia difficile quantificare il danno, abbiamo
preso atto del fatto che si possa esperire attraverso l'azione di contraffazione una richiesta di risarcimento dei danni
e abbiamo visto quali criteri sono stati oggi codificati dal CPI per la quantificazione del danno.
Cerchiamo di capire ora quali azioni possono essere effettivamente esperite, al di là della contraffazione, dai titolari
di privative industriali e da soggetti che presumono di vantare diritti di proprietà industriale. La contraffazione è
l'azione a tutela di un diritto titolato di proprietà industriale, tuttavia non è detto che tutti i diritti di proprietà
industriale siano titolati; in questo caso non si parlerà di azione di contraffazione ma di un'azione volta a far accentuare
la violazione del diritto di proprietà industriale. Il titolare di un marchio di fatto non potrà quindi esperire l'azione di
contraffazione, ma potrà comunque esperire un'azione per far accertare la violazione del diritto di proprietà
industriale che vanta sul marchio di fatto precedentemente utilizzato.
Dedurre un diritto non titolato è più difficile che dedurne uno titolato, quindi a livello di onere della prova sarà più
gravoso agire per la tutela di un diritto non titolato. Perché?
Perché nell'azione di contraffazione si gode di una serie di presunzioni, cioè c'è una data certa che il titolare del diritto
potrà utilizzare a proprio vantaggio, e poi non ha l’onere di dover provare la sussistenza del diritto stesso; cioè se
agisco per contraffazione per tutelare il mio marchio, avrò il vantaggio di non dover provare che il mio è un marchio
perché dotato di capacità distintiva, perché ha le caratteristiche per poter essere qualificato come marchio…
Perché si presume che questo tipo di verifica sia già stata fatta dall'ufficio preposto a rilasciare la privativa, e a
procedere alla registrazione del marchio stesso.
Il titolare di un diritto non titolato che agisce contro una presunta violazione, invece, deve partire dal fornire la prova
preliminare della sussistenza dei requisiti fondanti il suo diritto. Quindi in questo secondo caso si devono provare quei
requisiti e quei presupposti che in presenza di una privativa si danno per scontati perché già esaminati da un ufficio a
ciò preposto. Questo non significa però che nell'azione di contraffazione non possono essere causa di contestazione
alcuni requisiti, in particolare c'è un requisito comune a brevetti e marchi che potrebbe essere rimesso in discussione
perché l'analisi preventiva dell'Ufficio Brevetti e Marchi non può risolvere definitivamente la questione: è il requisito
della novità. Nell'azione di violazione, andrebbero invece ridiscussi tutti i requisiti, ecco perché questo procedimento,
rispetto alla contraffazione, è più tortuoso.
Azione di contraffazione e azione di violazione, non sono però le uniche azioni che possono essere prese in
considerazione quando parliamo di diritto brevettuale e di diritto dei segni distintivi, esiste anche l'azione di nullità.
Quando una registrazione o un brevetto sono nulli?
Quando mancano i requisiti per conseguirli, l'assenza di uno di questi rende il brevetto o la registrazione nulli. Chi
ritiene che manchi uno di questi requisiti può esperire l'azione di nullità; ovviamente la legittimazione è assoluta,
chiunque vi abbia interesse può esperirla, tuttavia bisogna verificare che chi esperisce l'azione ha un interesse ad agire
e non lo fa solo per il gusto di promuovere la legalità. Ci deve quindi essere un interesse concreto, che può essere
presente in ognuno di noi, ma che dobbiamo poter dimostrare.

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La conseguenza della dichiarazione di nullità è l'estinzione della privativa. Nel caso del brevetto c'è però una
conseguenza meno drastica, è possibile che il brevetto nullo si converta, esiste quindi la cosiddetta conversione del
brevetto nullo, non esiste invece la conversione del marchio nullo.
Un brevetto per invenzione che dovesse essere dichiarato nullo, in cosa si può convertire?
Si potrebbe convertire in una privativa per un quid minus; se mancano i requisiti per la brevettabilità di un'invenzione,
potrebbero esserci quelli per la brevettabilità di quel trovato come un modello di utilità, o quelli per la registrazione
del disegno sotteso a quel trovato.
Nota: in genere quando si presenta all'Ufficio Brevetti e Marchi una domanda di brevetto per invenzione, in subordine
si chiede comunque che venga considerata, nell'ipotesi in cui l'ufficio dovesse ritenere non sussistenti requisiti di
brevettabilità come invenzione, la possibilità di brevettare come modello di utilità
È evidente invece che non ha senso parlare di conversione di un marchio nullo. Perché?
Nel marchio non esiste un quid minus. I segni distintivi sono chiamati ad individuare cose diverse, quindi non si può
pensare che il marchio si converta nella ditta o nell'insegna.
Abbiamo poi la possibilità di esperire un'azione di rivendicazione, questa è l'ipotesi in cui si lamenta la violazione del
diritto alla paternità dell'opera o del segno; si rivendica che il trovato, o il segno, sia proprio e non del soggetto che ha
richiesto e ottenuto la privativa. È evidente che in questo caso l'onere della prova è piuttosto gravoso perché bisognerà
dimostrare l'anteriorità sfuggita all'ufficio.

Aldilà delle tipologie di azioni, fondamentalmente si possono esperire le azioni di merito ed è possibile richiedere
un'anticipazione della tutela in via cautelare.
L'azione di merito è quella che mira ad ottenere (nel caso della contraffazione) l’inibitoria per far cessare la condotta
contraffattoria; tra l'altro si deve specificare che tipo di condotta si vuol far cessare, bisogna quindi indicare dove sta
contraffacendo la controparte, che azione vogliamo che venga interrotta (fabbricazione, commercializzazione…) e si
può anche chiedere la rimozione degli effetti che questa condotta può avere già prodotto (esempio: ritiro dei prodotti
già sul mercato).
Nota: l'azione di contraffazione, oltre a punire il produttore, può punire anche il commerciante che commercializza il
prodotto contraffatto perché si rende partecipe dell'illecito posto in essere
Spesso però le azioni hanno una durata talmente lunga che è necessario anticipare gli effetti della tutela di merito
attraverso mezzi cautelari.
Nelle azioni prese in considerazione, in particolare nell'azione di contraffazione, che tipo di
PROVVEDIMENTI CAUTELARI saranno RICHIESTI DALL'AUTORE?
Sicuramente si può chiedere l'INIBITORIA (che ricordiamo è anche un'azione di merito nel diritto brevettuale) e quindi
la cessazione della condotta in modo da paralizzare l'attività, che si presume essere contraffattoria, del concorrente
per tutto il tempo che servirà al giudice per arrivare alla sentenza.
In alcuni casi l'inibitoria cautelare potrebbe non bastare, questa infatti si limita ad impedire al contraffattore di
proseguire nell'attività contraffattoria, e ciò potrebbe non soddisfare pienamente l'attore perché è probabile che ci
siano dei prodotti già in circolazione; così l'altro tipico provvedimento cautelare che si richiede nelle situazioni di
questo tipo è il SEQUESTRO DELLA MERCE in circolazione e di quella presente nei magazzini pronta ad entrare in
circolazione.
Questo che tipo di sequestro è?
Fondamentalmente esistono due tipi di sequestro:
 SEQUESTRO CONSERVATIVO: è lo strumento cautelare che consente di garantire la fruttuosità del futuro
pignoramento. Serve per evitare che il debitore si disfi di quei beni su cui il creditore potrebbe far rivalere il
suo credito. È uno strumento di garanzia a tutela di un credito.
 SEQUESTRO GIUDIZIARIO: i beni sono sottratti alla disponibilità dell'originario disponente perché si contesta
la sua proprietà o il suo possesso; quindi c'è una contesa sulla proprietà o sul possesso e nell'attesa di capire
chi è il proprietario o possessore legittimo i beni non devono essere utilizzati, ecco perché compare la figura
del custode che ottiene la detenzione materiale dei beni, nell'attesa che il giudice risolva la disputa

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Date queste definizioni, possiamo dire che il sequestro che viene richiesto e concesso in un'azione di contraffazione
ha natura giudiziaria. Infatti, anche nei sequestri per contraffazione, viene in genere nominato un custode che detiene
la merce sequestrata finché non interviene la sentenza che delinea la controversia.
Oltre a questi due tipici strumenti di tutela cautelare (inibitoria e sequestro), si aggiunge la cosiddetta DISTENSIONE,
che è uno strumento più soft di tutela, è una sorta di sequestro indebolito, cioè non è vero e proprio sequestro perché
il presunto contraffattore non perde la disponibilità della merce, ma l'attore ottiene comunque che nella pendenza
del procedimento, un ufficiale giudiziario acceda alla sede dell'attività del presunto contraffattore per effettuare la
descrizione analitica di tutti i prodotti analizzati. È più soft perché non si arriva al sequestro, ma l'attore con questa
richiede che venga fatta una sorta di fotografia giuridica della situazione per evitare che nel corso del procedimento il
presunto contraffattore faccia sparire materialmente la merce di cui si presume la contraffazione.
Di tutti questi procedimenti cautelari, affinché la tutela possa essere concessa, è richiesto che l'attore dimostri la
sussistenza di due presupposti tipici dei procedimenti cautelari:
1) FUMUS BONI IURIS: è la sommaria fondatezza del diritto preteso, è una derivazione di fondatezza
approssimativa della bontà del diritto dedotto in giudizio
2) PERICULUM IN MORA: consiste nella dimostrazione del pericolo, che l'attore corre, di subire un danno grave
e irreparabile qualora dovesse attendere l'esito del giudizio di merito. Nei procedimenti di cui stiamo parlando
(azioni a tutela dei diritti di proprietà industriale), la giurisprudenza ritiene che il periculum in mora sia
scontato, automatico; questo rappresenta un'agevolazione per l'attore che non deve più dimostrarlo
Perché si è arrivati a questo orientamento?
Perché si incide su un fenomeno che ha una valenza sociale, gli anni che passano per riuscire a dare un giudizio di
merito nel nostro ordinamento, possono portare ad un disorientamento assoluto del consumatore. Quindi si può dare
per scontato che l'attesa, se non contrastata in qualche modo, porterà a condizionare il consumatore. Si è arrivati a
questo orientamento quindi per il risvolto che la contraffazione ha sulla clientela; il consumatore viene infatti sviato
nelle associazioni tra segno e imprenditore.

Si ricordi che lo sviamento della clientela è danno grave e irreparabile per qualsiasi imprenditore, è rappresentato
dalla perdita della propria posizione sul mercato, che avviene attraverso il calo del volume d'affari; è chiaro quindi che,
indipendentemente dal motivo a cui lo sviamento è dovuto, sia essa imputabile al comportamento economico del
consumatore, o alla fidelizzazione dello stesso, o ai collegamenti ideali che fa tra segni e prodotti, tra trovati e soggetti
autorizzati effettivamente a sfruttare quei trovati stessi, il danno grave e irreparabile in questi procedimenti deve
essere considerato in re ipsia (in se stesso).
Nota: in alcuni casi si può richiedere il sequestro anche prima di aver esperito l'azione di merito: in alcuni casi è
possibile addirittura ottenere il provvedimento cautelare inaudita altera parte (senza il contraddittorio del presunto
contraffattore). In questo caso l'interesse dell'attore sarebbe soddisfatto a dismisura, perché il provvedimento
cautelare concesso inaudita altera parte, permette di evitare il rischio che il presunto contraffattore faccia sparire la
merce contraffatta (ci sarebbe un blitz a sorpresa dell'ufficiale giudiziario); quindi tutti tendono a richiedere il
provvedimento di sequestro inaudita altera parte ante-causa.

Il procedimento di merito confermerà o meno il provvedimento cautelare e nel caso in cui si dovesse giungere ad una
sentenza di condanna, si dovrà indicare anche che tipo di sorte avrà la merce fino a quel momento sottoposta a
sequestro. Anche qui, come nel caso di concorrenza sleale è possibile richiedere la pubblicazione della sentenza.

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