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Invenzioni dei dipendenti

(art. 64 c.p.i.)
di LUIGI MANSANI

1. Quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un con-


tratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come
oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'in-
venzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore
di esserne riconosciuto autore.

2. Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e


l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto
di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di la-
voro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qua-
lora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’in-
venzione in regime di segreto, un equo premio per la determinazione del quale si
terrà conto dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribu-
zione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'orga-
nizzazione del datore di lavoro. Al fine di assicurare la tempestiva conclusione del pro-
cedimento di acquisizione del brevetto e la conseguente attribuzione dell'equo premio
all'inventore, può essere concesso, su richiesta dell'organizzazione del datore di lavoro
interessata, l'esame anticipato della domanda volta al rilascio del brevetto.

3. Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione


industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il dirit-
to di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del
brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione,
brevetti all'estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con dedu-
zione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti
dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il
diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'av-
venuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'op-
zione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corri-
spettivo dovuto.

4. Ferma la competenza del giudice ordinario relativa all'accertamento della sussisten-


za del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l'accordo cir-
ca l'ammontare degli stessi, anche se l'inventore è un dipendente di amministrazione
statale, alla determinazione dell'ammontare provvede un collegio di arbitratori, compo-
sto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi
due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale
competente dove il prestatore d'opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applica-
no in quanto compatibili le norme degli articoli 806, e seguenti, del codice di procedu-
ra civile.

5. Il collegio degli arbitratori può essere adito anche in pendenza del giudizio di accer-
tamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, ma, in tal
caso, l'esecutività della sua decisione è subordinata a quella della sentenza sull'accerta-
mento del diritto. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento.
Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal
giudice.

6. Agli effetti dei commi 1, 2 e 3, si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o
del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il
brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'ammini-
strazione pubblica nel cui campo di attività l'invenzione rientra.

BIBLIOGRAFIA:
GRECO, Lezioni di diritto industriale, Torino, 1948, p. 170 ss.; VERCELLONE, Le inven-
zioni dei dipendenti, Milano, 1961, p. 33 ss.; GRECO-VERCELLONE, Le invenzioni e i
modelli industriali, Torino, 1968; CORRADO, Nuovo trattato di diritto del lavoro, Pado-
va, 1971; UBERTAZZI, Profili soggettivi del brevetto, Milano, 1985; DI CATALDO, I bre-
vetti per invenzione e per modello, in Commentario al cod. civ. a cura di P. Schlesinger,
Milano, 1988; SENA, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, 3° ed., Milano,
1990, p. 202 ss.; DI CATALDO, Le invenzioni. I modelli, 2° ed., Milano, 1993; MANSANI,
La determinazione dell’equo premio spettante al dipendente inventore secondo la “for-
mula tedesca”, in Contr. e impresa, 1993, p. 720 ss.; GALLI, Problemi in tema di inven-
zioni dei dipendenti, in Riv. dir. ind., 1997, I, p. 19; PELLACANI, La tutela delle creazio-
ni intellettuali nel rapporto di lavoro, Torino, 1999; BARBUTO, Le invenzioni dei dipen-
denti. Questioni processuali, in Il Codice della proprietà industriale, a cura di L.C.
Ubertazzi, Atti del Convegno AIPPI di Milano del 5 febbraio 2004, Milano, 2004, p. 53
ss.; GALLI, Le invenzioni dei dipendenti nel progetto di codice della proprietà industria-
le, in Il Codice della proprietà industriale, a cura di L.C. Ubertazzi, Atti del Convegno
AIPPI di Milano del 5 febbraio 2004, Milano, 2004, p. 36 ss.; GUIDI, Commento agli
artt. 23 e 24 l.inv., in Commentario breve al diritto della concorrenza a cura di Ubertaz-
zi, 3° ed., Padova, 2004, p. 783 ss.; VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto indu-
striale, 5° ed., Milano, 2005, p. 379 ss.; RINALDI, Le invenzioni industriali e gli altri
prodotti dell’ingegno dei dipendenti e dei ricercatori universitari alla luce del nuovo
codice della proprietà industriale, in Riv. dir. ind., 2005, I, p. 432 ss.; FRANZOSI, Com-
mento all’art. 64, in Il codice della proprietà industriale, a cura di Scuffi, Franzosi, Fit-
tante, Padova, 2005, p. 334 ss.; BARTENBACH-VOLZ, Arbeitnehmererfindungen, 4° ed.,
Köln-Berlin-Bonn-München, 2006; LIBERTINI, I centri di ricerca e le invenzioni dei di-
pendenti nel codice della proprietà industriale, in Riv. dir. ind., 2006, I, p. 49 ss.;
GIAMBROCONO, L’Intellectual Premium - Un nuovo approccio alla determinazione

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dell’equo premio in materia di invenzione del dipendente, in Notiziario dell’Ordine dei
Consulenti in Proprietà Industriale, marzo 2007, p. 20 ss.; MANSANI, Invenzioni dei di-
pendenti e comunione: modifiche discutibili che complicano le cose, in Il dir. ind.,
2010, p. 525 ss.

1. In generale.

1.1. La materia delle invenzioni dei dipendenti è fra quelle in cui il c.p.i. e il d.
lgs. 13 agosto 2010, n. 131 (il “decreto correttivo”) hanno più profondamente
modificato la disciplina preesistente. Fra i principali punti oggetto di riforma pos-
sono infatti essere ricordati quelli relativi ai soggetti ai quali si applica la discipli-
na, all’insorgenza del diritto, agli effetti della concessione e della nullità del
brevetto, ai presupposti dell’invenzione “di servizio”, ai presupposti dell’in-
venzione “d’azienda” e ai criteri per la determinazione dell’equo premio, ai
presupposti delle invenzioni “occasionali” e alla natura del diritto del datore
di lavoro sul brevetto, alla competenza “arbitrale” a decidere sul quantum de-
beatur, alla competenza delle Sezioni specializzate in proprietà industriale anzi-
ché del giudice del lavoro.

1.2. Presupposto della disciplina è che nell’organizzazione d’impresa ricerca e


sviluppo costituiscono un dato normale, mentre il conseguimento di invenzioni
brevettabili è un risultato solitamente eccezionale e imprevisto. Se tuttavia, per
la natura o le caratteristiche dell’impresa, in essa viene svolta attività di ricerca
inventiva, l’ottenimento di invenzioni brevettabili viene ritenuto un risultato pre-
vedibile, che va però disciplinato al momento dell’assunzione del dipendente, at-
tribuendogli specificamente nel contratto di lavoro anche mansioni di ricerca in-
ventiva e prevedendo per esse una specifica retribuzione. In assenza di queste
condizioni, al dipendente pur adibito a compiti di ricerca e sviluppo che abbia
conseguito risultati inventivi brevettabili va riconosciuto un premio speciale ri-

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spetto all’ordinaria retribuzione, volto a remunerare l’imprevisto vantaggio eco-
nomico conseguito dall’impresa (LIBERTINI, 56). Se poi l’invenzione è stata con-
seguita dal dipendente in assenza di un nesso causale con il rapporto di lavoro,
l’impresa ha un diritto di opzione sul brevetto quando l’oggetto dell’invenzione
del dipendente rientra nel suo campo di attività.

1.3. La Relazione illustrativa del c.p.i. chiarisce che non si tratta di disposizioni
volte a tutelare il lavoratore contro l’espropriazione del suo apporto creativo, ma
ad assicurare protezione agli investimenti effettuati dall’impresa nella ricerca
applicata, in particolare per trasformare l’idea inventiva in un trovato brevettabi-
le e, quindi, in un prodotto o procedimento realizzabile su scala industriale. In
questa prospettiva, le disposizioni in tema di invenzioni dei dipendenti appaiono
dunque avere come principale finalità, al pari degli altri diritti di proprietà indu-
striale, la tutela dell’impresa e non dei suoi dipendenti o ausiliari. La norma di
cui all’art. 164.3 c.p.i., che attribuisce alle Sezioni specializzate in proprietà indu-
striale anziché al giudice del lavoro la competenza a decidere delle controversie
nelle materie disciplinate dall’art. 64 c.p.i., può essere letta come una conferma
di quest’impostazione.

1.4. Il dettato originario dell’art. 64.2 c.p.i. prevedeva che il diritto all’equo pre-
mio sorgesse solo al momento della concessione del brevetto (in ossequio al con-
solidato principio giurisprudenziale, enunciato dalla Corte di Cassazione fin dai
primi anni ’60 e ribadito senza incertezze e in molteplici occasioni per quasi mez-
zo secolo, secondo cui essa costituisce la condicio juris per l’insorgenza del di-
ritto: cfr. Cass. 5 giu. 2000, n. 7484, GADI, 2000, n. 4068; Cass. 13 apr. 1991, n.
3991, RDI, 1993, II, 345; Cass. 2 apr. 1990, n. 2646, GADI, 1990, n. 2470; Cass.
10 gen. 1989, n. 30, GADI, 1989, n. 2365; Cass. 16 gen. 1979, n. 329, RDI,
1980, II, 268; Cass. 5 ott. 1964, n. 2517, G.CIV., 1965, I, 1045; Cass. 27 giu.
1961, n. 1547, G.CIV., 1961, I, 1095) e che il premio andasse determinato tenen-

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do conto “dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto”,
chiarendo che la disciplina delle invenzioni dei dipendenti si applicava soltanto
alle invenzioni brevettate. Il legislatore del decreto correttivo dell’agosto 2010 è
intervenuto sul punto modificando la disciplina preesistente, e disponendo ora
che all’inventore spetta, “qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottenga-
no il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segreto, un equo premio per
la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza dell'invenzione, delle
mansioni”, ecc.. Nella Relazione illustrativa del decreto correttivo la modifica
viene giustificata con queste parole: “si interviene su una carenza del testo previ-
gente, riconoscendo l’equo premio per il dipendente non solo allorquando il da-
tore di lavoro decide di brevettare l’invenzione, ma anche qualora, per strategia
imprenditoriale opta per l’utilizzo dell’invenzione stessa in regime di segretezza
industriale”. La disinvoltura con cui si cerca di far passare come intervento su
“una carenza del testo previgente” la cancellazione di un principio avallato da
cinquant’anni di giurisprudenza costante della Suprema Corte appare obbedire al
tentativo di mascherare l’evidente travalicamento dei limiti della delega commes-
so nell’occasione dal legislatore delegato.

2. Il primo comma (l’invenzione “di servizio”).

Dall’esame del testo della legge emerge che perché l’art. 64.1 sia applicabile oc-
corre che ricorrano contemporaneamente le seguenti condizioni:

(a) che l’impresa svolga, in tutto o in parte, attività di ricerca inventiva;

(b) che il dipendente sia adibito, per la totalità o parte delle sue mansioni, allo
svolgimento di tale attività;

(c) che le sue mansioni di ricerca inventiva risultino specificamente e inequi-


vocabilmente dal contratto di lavoro;

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(d) che, oltre alla normale retribuzione (come prevista dal contratto collettivo, se
applicabile), al dipendente sia attribuita una congrua retribuzione aggiuntiva,
specificamente destinata a compensare lo svolgimento di attività di ricerca in-
ventiva che può dar luogo a risultati brevettabili.

Il contratto di lavoro deve prevedere con chiarezza che l’attività di ricerca ogget-
to della prestazione lavorativa richiesta al dipendente non è quella prodromica o
utile al conseguimento di soluzioni inventive, ma (in tutto o in parte) quella spe-
cificamente indirizzata a raggiungere invenzioni brevettabili (Cass. 5 nov.
1997, n. 10851, GADI, 1997, n. 3759; Cass. 6 mar. 1992, n. 2732, GADI, 1992,
n. 2745; Cass. 23 mag. 1991, n. 5803, GADI, 1991, n. 2602; CORRADO, 232 ss.;
GALLI, Le invenzioni, 38). La congruità della retribuzione aggiuntiva non va
determinata ex post alla luce del valore economico dell’invenzione conseguita,
ma avendo riguardo al momento dell’assunzione del dipendente, tenendo conto -
anche in via comparativa con quella attribuita ad altri dipendenti ricercatori - del-
le mansioni affidategli, del ruolo svolto nella struttura di ricerca dell’impresa e
della retribuzione ordinaria corrisposta. Fermo restando che un surplus retributi-
vo solo nominale ed irrisorio non potrà essere ritenuto congruo (Cass. 6 mar.
1992, n. 2732, GADI, 1992, n. 2745; Cass. 2 apr. 1990, n. 2646, GADI, 1990, n.
2470), va tenuto in considerazione che, essendo la retribuzione aggiuntiva ogget-
to di contrattazione individuale, il dipendente è in grado di valutare se essa sia
per lui soddisfacente, in particolare ove la stipulazione del contratto di lavoro av-
venga con l’assistenza delle rappresentanze sindacali e l’accordo chiarisca che la
corresponsione del surplus retributivo specificamente destinato a compensare lo
svolgimento di attività di ricerca inventiva preclude l’attribuzione dell’equo pre-
mio di cui all’art. 64.2. Il diritto di brevettare l’invenzione (così come peraltro
nel caso di invenzione d’azienda) sorge in capo al datore di lavoro a titolo origi-
nario ed autonomo, così che la domanda di brevetto che sia depositata dal lavo-

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ratore o il brevetto che ne sia scaturito potranno essere oggetto di rivendica ai
sensi dell’art. 118 c.p.i., mentre i diritti eventualmente concessi a terzi sulla do-
manda o sul brevetto dovranno essere considerati acquisiti a non domino (VAN-
ZETTI-DI CATALDO, 381). Quantunque l’equo premio spetti anche in relazione al-
le invenzioni brevettabili ma per le quali il datore di lavoro ha scelto lo sfrutta-
mento in regime di segreto, il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzio-
ne sorge solo rispetto alle invenzioni brevettate dal datore di lavoro, dovendosi
quindi escludere che il dipendente possa azionarlo per ottenere il deposito del
brevetto.

3. Il secondo comma (l’invenzione “d’azienda”).

3.1. I presupposti per l’applicazione dell’art. 64.2 sono ricavabili a contrariis da


quelli dettati perché sia applicabile l’art. 64.1, e dunque consistono essenzialmen-
te nell’assenza nel contratto di lavoro dell’affidamento al dipendente di mansioni
di ricerca inventiva o di una retribuzione specifica per lo svolgimento di
quell’attività di ricerca. La giurisprudenza (peraltro antecedente all’entrata in vi-
gore del c.p.i.) si è consolidata nel ritenere che in assenza anche di una soltanto
di queste condizioni l’invenzione sia qualificabile come d’azienda (nel senso che
si ha invenzione d’azienda in assenza di una voce specifica della retribuzione
destinata a compensare l’attività di ricerca inventiva cfr. Cass. 26 gen. 2006, n.
1285, RDI, 2007, II, p. 93 ss., con nota di FRANCHINI STUFLER; Cass. 19 lug.
2003, n. 11305, GADI, 2003, n. 4485; Cass. 6 nov. 2000, n. 14439, ivi, 2001, n.
4201; Cass. 21 lug. 1998, n. 7161, ivi, 1999, n. 3867; Cass. 5 dic. 1985, n. 6117,
ivi, 1985, n. 1852; Cass. 16 gen. 1979, n. 329, ivi, 1979, n. 1128; hanno invece
affermato la sussistenza del diritto all’equo premio del dipendente inventore, in-
dipendentemente dalla presenza di una retribuzione specifica, per il solo fatto
dell’assenza di una specifica previsione contrattuale volta a definire le sue man-
sioni come volte al conseguimento di risultati inventivi brevettabili, Cass 5 nov.

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1997, n. 10851, cit.; Cass. 6 mar. 1992, n. 2732, cit.; Cass. 23 mag. 1991, n.
5803, GADI, 1991, n. 2602).

In particolare, anche se il dipendente è un ricercatore, o addirittura il soggetto po-


sto a capo della struttura di ricerca, e lo svolgimento di attività di ricerca inventi-
va è previsto nel contratto come sua unica o principale mansione, il diritto
all’equo premio spetterebbe per il solo fatto dell’assenza di una specifica retribu-
zione volta a compensarla in via aggiuntiva. Questa soluzione è stata criticata in
dottrina (GALLI, Le invenzioni, 38, e già GRECO, 170), sottolineandosi in modo
convincente che quando lo svolgimento di attività di ricerca (che in un’industria
mai è fine a se stessa, ma sempre volta al conseguimento di soluzioni brevettabi-
li) costituisce l’oggetto esclusivo delle prestazioni dovute dal lavoratore, deve
concludersi che la retribuzione sia interamente volta a remunerare la ricerca in-
ventiva, rendendosi superflua una retribuzione aggiuntiva obbediente al medesi-
mo fine.

3.2. Come si è anticipato, l’intervenuta concessione del brevetto ha cessato di es-


sere condicio juris per l’insorgenza del diritto all’equo premio, che potrà ora es-
sere attibuito al dipendente inventore anche ove l’invenzione non sia stata brevet-
tata, ma sia stata utilizzata in regime di segreto. Non v’è dubbio che il concetto
di invenzione utilizzata in regime di segreto non coincida con la più ampia nozio-
ne di informazioni segrete di cui all’art. 98 c.p.i.. Quest’ultima disposizione si ri-
ferisce infatti a informazioni e esperienze aziendali, tecnico-industriali e commer-
ciali (oltre che a dati elaborati per l’autorizzazione alla messa in commercio di
prodotti chimici, farmaceutici o agricoli), indipendentemente dal fatto che esse
presentino un carattere inventivo. D’altro canto, la lettera della legge novellata e
la Relazione illustrativa rendono chiaro che l’equo premio può essere attribuito
solo in relazione ad invenzioni che sarebbero validamente brevettabili, ma in
relazione alle quali il datore di lavoro “per strategia imprenditoriale” abbia optato

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per l’attuazione in regime di segreto in luogo della brevettazione. E un’ulteriore
conferma del fatto che il diritto all’equo premio può sorgere soltanto se la solu-
zione tecnica individuata dal dipendente inventore presenta i requisiti di brevetta-
bilità giunge dal dettato dell’art. 77.1.c) c.p.i., non toccato dal decreto correttivo,
ove si precisa che la declaratoria di nullità del brevetto ha effetto retroattivo, ma
non pregiudica i pagamenti già effettuati ai sensi degli articoli 64 e 65 a titolo di
equo premio, canone o prezzo.

E’ allora evidente che, al di là dell’ipotesi appena menzionata, nessun premio


può essere corrisposto in realazione ad un’invenzione oggetto di un brevetto
invalido o non concesso e che, alla stessa stregua, il premio dev’essere negato
anche quando la soluzione tecnica mantenuta in regime di segreto non avreb-
be potuto dar luogo alla concessione di un valido brevetto.

Infine, nessun premio è dovuto quando il trovato sia divenuto di pubblico do-
minio, anche ove l’invenzione fosse stata brevettabile e la predivulgazione sia im-
putabile al datore di lavoro, dal momento che l’utilizzo di essa in regime di segre-
to è espressamente indicato come condizione necessaria perché il diritto all’equo
premio possa sorgere, e la scelta fra brevettare il trovato, utilizzarlo in regime di
segreto o renderlo di pubblico dominio spetta esclusivamente al datore di lavo-
ro (MANSANI, Invenzioni dei dipendenti, 527).

3.3. Ulteriori presupposti dell’azione volta ad ottenere la corresponsione


dell’equo premio sono anzitutto il mancato decorso della prescrizione che, co-
me è stato chiarito dalla giurisprudenza – cfr. Cass. 19 lug. 2003, n. 11305, cit. –
è quella decennale ordinaria e non viene interrotta in costanza di rapporto di lavo-
ro. Prima del decreto correttivo, poiché il diritto sorgeva solo con la concessione
del brevetto, non vi era incertezza sul fatto che la prescrizione iniziasse a decor-
rere da quel momento. E la situazione non è mutata oggi nell’ipotesi in cui il da-

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tore di lavoro decida di depositare una domanda di brevetto (e lo ottenga) avente
ad oggetto l’invenzione raggiunta dal dipendente. Se invece opta per il regime di
segreto, secondo la lettera della legge il diritto all’equo premio sorge quando l’in-
venzione viene utilizzata nell’impresa, e dunque è da quel momento che il termi-
ne prescrizionale inizia a decorrere. Il datore di lavoro deve tuttavia essere posto
nelle condizioni di operare una scelta consapevole sulla “strategia imprenditoria-
le” più opportuna da intraprendere, così che non appare sufficiente che l’inven-
zione sia attuata dal dipendente nell’esercizio delle sue mansioni, ma occorre che
questi la comunichi ufficialmente al datore di lavoro, mettendolo nelle condi-
zioni di decidere se brevettarla, attuarla in regime di segretezza industriale o ren-
derla di pubblico dominio. In quest’ultima ipotesi non sorgerà evidentemente al-
cun diritto; se invece verrà intrapresa la strada della brevettazione, il diritto sor-
gerà come si è detto al momento della concessione della privativa (e da quella da-
ta inizierà a decorrere la prescrizione); se infine la scelta effettuata dal datore di
lavoro sarà quella di attuare l’invenzione in regime di segreto, il diritto all’equo
premio sorgerà nel momento in cui quella decisione viene resa operativa in seno
all’impresa a seguito della comunicazione del raggiungimento dell’invenzione
effettuata dal dipendente, adottando le misure necessarie per mantenere il segre-
to, e contemporaneamente scatterà il termine prescrizionale.

Occorre poi, come si è detto, che l’invenzione in relazione alla quale l’equo pre-
mio viene domandato abbia dato luogo alla concessione di un valido brevetto,
nel caso in cui il datore di lavoro opti per la brevettazione, ovvero che essa pre-
sentasse i requisiti necessari per dar luogo alla concessione di un valido brevet-
to, ove invece la strada scelta sia quella della sua utilizzazione in regime di segre-
to. Se viene seguita la strada della brevettazione, la concessione del brevetto farà
sorgere la presunzione di validità della privativa, superabile attraverso l’accerta-
mento, anche in via incidentale, della sua nullità. Se invece l’invenzione viene

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sfruttata in regime di segreto, la sussistenza dei requisiti di brevettabilità dovrà
necessariamente essere oggetto di accertamento giudiziale, in assenza di accordo
fra le parti. E’ tuttavia evidente che, in mancanza di un testo brevettuale in cui
l’invenzione sia compiutamente rivendicata e descritta, accertare - per di più a
notevole distanza di tempo dal suo raggiungimento - se essa fosse dotata del re-
quisito della sufficiente descrizione, oltre che di novità, attività inventiva e degli
altri presupposti di validità richiesti dalla legge, costituisce un esercizio presso-
ché impossibile e inevitabilmente arbitrario.

E’ dunque necessario che il dipendente inventore, nella comunicazione che è


tenuto a fare al datore di lavoro dell’avvenuto conseguimento dell’invenzione,
descriva compiutamente ciò che intende debba formarne oggetto. E sarà a
quel documento, e se del caso ai successivi eventuali ordini di servizio elaborati
dall’impresa al fine di dare attuazione interna all’invenzione e di mantenere il se-
greto su di essa, che occorrerà far riferimento per valutare se il trovato fosse su-
scettibile di dar luogo alla concessione di un valido brevetto, e dunque all’insor-
genza del diritto all’equo premio (MANSANI, Invenzioni dei dipendenti, 528).

Infine, occorre che non vi siano state rinunce, transazioni o cessioni del diritto,
e che sia decorso il termine di sei mesi dalla cessazione del rapporto entro il qua-
le, ai sensi dell’art. 2113 c.c., esse possono essere impugnate dall’ex dipendente.
Tali atti non possono peraltro consistere, a pena di nullità, in semplici quietanze
liberatorie, vale a dire in generiche rinunce all’esercizio dei diritti spettanti al la-
voratore, ma devono espressamente concernere i diritti oggetto di rinuncia, tran-
sazione o cessione, e così menzionare esplicitamente il diritto di cui all’art. 64, 2°
comma, c.p.i. nonché recare – almeno secondo l’interpretazione più rigorosa –
l’elencazione completa dei titoli brevettuali a cui tali diritti ineriscono.

3.4. L’equo premio che va corrisposto al dipendente inventore ha natura inden-


nitaria e non retributiva (ciò che rileva anche al fine del suo trattamento fiscale)

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e può consistere sia in una somma corrisposta una tantum, sia in una royalty da
applicarsi al fatturato o agli utili conseguiti dall’impresa datrice di lavoro attra-
verso lo sfruttamento economico, diretto o indiretto, dell’invenzione brevettata.
Com'è detto nella Relazione al c.p.i., “l'equo premio non costituisce il corrispetti-
vo della tecnologia che l'impresa attuerà nell'ambito delle sue strutture produtti-
ve (dato che il corrispettivo di tale tecnologia è costituito dalla retribuzione pre-
vista nel contratto) ma è e rimane un'indennità straordinaria”. L’ammontare del
premio va determinato tenendo conto di questi fattori: importanza dell'invenzio-
ne; mansioni svolte dal dipendente inventore; contributo ricevuto dall'organiz-
zazione del datore di lavoro; retribuzione percepita dal dipendente inventore.
Sul punto, la norma è stata profondamente modificata dal c.p.i., seguendo le indi-
cazioni della dottrina e della giurisprudenza, rispetto al precedente art. 23, 2°
comma, l. inv., nel quale veniva indicato come unico criterio soltanto la “impor-
tanza dell’invenzione”. Come si è detto, il c.p.i. ha introdotto nel testo della nor-
ma anche gli altri criteri delle mansioni svolte, del contributo ricevuto e della re-
tribuzione percepita, specificando che quello dell’importanza dell’invenzione an-
dava inteso come “importanza della protezione conferita all'invenzione dal bre-
vetto”. Eliminata la regola secondo cui la brevettazione costituisce condicio juris
per l’insorgenza del diritto all’equo premio, il legislatore del decreto correttivo ha
conseguentemente reintrodotto, quanto al primo criterio, la più generica espres-
sione di “importanza dell’invenzione”, senza far più riferimento al vantaggio eco-
nomico conseguito dall’impresa attraverso la protezione brevettuale.

Prima dell’introduzione del c.p.i. la dottrina (già VERCELLONE, 33 ss., e poi so-
prattutto MANSANI, La determinazione dell'equo premio, 720 ss.) aveva suggerito
di fare ricorso anche nel nostro Paese alla c.d. “formula tedesca”, vale a dire ai
criteri dettati nelle “Direttive relative al pagamento di un corrispettivo per le in-
venzioni di dipendenti privati” emanate nel 1959 dal Ministero federale del lavo-

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ro tedesco e successivamente aggiornate. In base a quella formula, il valore
dell’invenzione che funge da base di calcolo del premio viene ridotto in misura
percentualmente più o meno ampia a seconda della posizione ricoperta dal dipen-
dente nell’impresa e del grado di autonomia avuto nella posizione e soluzione del
problema tecnico. La formula ha così costituito, anche nel nostro Paese, il meto-
do comunemente adottato per determinare il valore dell’equo premio nelle consu-
lenze tecniche disposte dai giudici nell’ambito delle controversie aventi ad ogget-
to richieste di corresponsione del premio, ed anche la Suprema Corte ha afferma-
to a più riprese la legittimità e l’opportunità di ricorrere a quello strumento (cfr.
Cass. 21 lug. 1998, n. 7161, cit.; Cass. 2 apr. 1990, n. 2646, cit.). L’intento del
legislatore è dunque stato di recepire nel testo dell’art. 64 c.p.i. le soluzioni ac-
colte nella pratica e che avevano ricevuto l’avallo della giurisprudenza di legitti-
mità. Tuttavia, il fatto che i criteri indicati non coincidano integralmente con
quelli oggetto della “formula tedesca” e l’assenza di ogni indicazione sul modo in
cui essi vadano applicati sollevano diversi problemi, che peraltro possono essere
risolti ritenendo che il legislatore abbia fatto propria la posizione assunta dalla
giurisprudenza nel giudicare opportuno avvalersi dei criteri dettati dalla “formula
tedesca” per il calcolo dell’equo premio, ma si sia astenuto dallo specificare nel
dettaglio il metodo di calcolo da seguire nel fare applicazione di quei criteri.

3.5. La circostanza che il c.p.i. facesse riferimento all’importanza (ovviamente


economica) della protezione conferita all'invenzione dal brevetto rendeva chia-
ro che la base di calcolo doveva essere costituita dal vantaggio economico arreca-
to all’impresa dal fatto che l’invenzione conseguita avesse potuto formare oggetto
di brevettazione, attribuendo così un’esclusiva sul trovato al datore di lavoro.
Una conferma al riguardo giunge dalla Relazione al c.p.i., ove l’equo premio vie-
ne definito come “indennità straordinaria derivante dal fatto che (quel)la tecno-
logia, essendo stata validamente brevettata, abbia conferito al datore di lavoro

13
un effettivo vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti dando origi-
ne ad un quid pluris di redditività aziendale alla quale è giusto che partecipi il
dipendente”. Una simile soluzione appariva coerente non solo con il principio -
ora abbandonato - secondo cui la concessione del brevetto era condicio juris per
l’insorgenza del diritto all’equo premio, ma soprattutto con l’assunto che sta alla
base della riforma introdotta dal codice, vale a dire che se uno sviluppo delle tec-
niche utilizzate dall’impresa è considerato un risultato normale e prevedibile, il
conseguimento di un’invenzione brevettabile costituisce invece un evento ecce-
zionale ed imprevisto, salvo che sia il frutto dell’attività di ricercatori impiegati
(e dunque retribuiti) a quel fine.

Il fatto che per definire la base di calcolo dell’equo premio si faccia ora riferi-
mento “all’importanza dell’invenzione”, anziché “all'importanza della protezione
conferita all'invenzione dal brevetto” come nel testo del c.p.i. previgente, appare
trovare la sua ragion d’essere semplicemente nell’esigenza di eliminare una con-
traddizione terminologica all’interno della norma, senza che però si sia inteso
modificare il significato dell’espressione originaria e le ragioni sistematiche che
la sorreggevano. In effetti, come si è visto, anche nel nuovo sistema l’equo pre-
mio continua ad essere corrisposto solo a fronte del raggiungimento, da parte del
lavoratore, di una soluzione inventiva brevettabile che assicura all’impresa un
vantaggio economico derivante dal fatto di poter beneficiare in esclusiva del tro-
vato, o per effetto dello jus excludendi garantito dalla privativa brevettuale con-
cessa su di esso, o in conseguenza del suo sfruttamento in regime di segreto.
Muovendo da questa prospettiva può dunque non stravolgersi l’impianto preesi-
stente (così da ridurre il rischio di censure di legittimità costituzionale della rifor-
ma), ritenendo che anche ora il montante su cui calcolare l’equo premio vada in-
dividuato nel vantaggio economico derivato all’impresa dal fatto di poter av-
valersi in esclusiva del trovato (brevettato o sfruttato in regime di segreto) in-

14
ventato dal dipendente, e non in un astratto valore assoluto dell’invenzione, la
cui determinazione, disancorata da dati obiettivi, inevitabilmente porterebbe a so-
luzioni incerte, contraddittorie e inique.

Il vantaggio economico derivante all’impresa dal fatto di poter beneficiare in


esclusiva dell’invenzione costituisce dunque la base di calcolo per determinare
l’ammontare dell’equo premio. Si tratta del valore attuale del beneficio economi-
co netto che potrà essere conseguito nell’arco temporale dell’esclusiva, determi-
nato calcolando i maggiori flussi di cassa derivati dallo sfruttamento esclusivo
della tecnologia oggetto dell’invenzione fino al momento in cui il calcolo viene
effettuato, da capitalizzare fino alla cessazione dell’esclusiva (coincidente con la
data di scadenza del brevetto nel caso in cui il datore di lavoro abbia optato per la
brevettazione, e con il venir meno del segreto ove invece sia stato deciso di attua-
re l’invenzione in regime di segretezza), secondo un tasso che tenga conto anche
della prevedibile obsolescenza delle tecniche che ne formano oggetto. Il valore
sarà dunque pari al corrispettivo ottenuto dall’impresa nel caso di cessione defini-
tiva a terzi del brevetto o del know-how brevettabile segreto, mentre compren-
derà, nel caso in cui il brevetto o il know-how restino di titolarità dell’impresa, sia
l’ammontare delle royalties maturate e maturande per effetto di contratti di li-
cenza, sia i maggiori profitti arrecati all’impresa dall’esclusiva (che potranno
consistere sia nel maggior utile industriale netto derivante dalla vendita dei pro-
dotti o servizi che incorporano la tecnologia brevettata o sfruttata in regime di se-
greto; sia nei risparmi di costi derivanti dallo sfruttamento di quella tecnologia,
come nelle invenzioni di procedimento; o ancora nei risparmi conseguenti al ve-
nir meno della necessità di versare royalties o altri corrispettivi per avvalersi di
tecnologie alternative).

Ove invece l’invenzione, quantunque brevettata o brevettabile, non sia stata


sfruttata economicamente dall’impresa (né appaia poterlo essere in futuro), per

15
effetto di carenze obiettive del trovato che ne rendono poco conveniente l’attua-
zione, o comunque di scelte di opportunità assunte dall’impresa, il valore dell’in-
venzione ai fini dell’applicazione del calcolo dell’equo premio dovrà ritenersi
nullo, salvo che l’impresa sia riuscita a maturare risparmi di costi per effetto del
suo sfruttamento.

Nel caso in cui l’invenzione costituisca un perfezionamento di tecniche già note,


andrà calcolato il solo maggior utile derivante dallo sfruttamento del trovato; ana-
logamente, ove l’invenzione riguardi un dispositivo non venduto singolarmente
ma unitamente ad un prodotto più complesso, occorrerà scorporare dall’utile
complessivo maturato attraverso la vendita del prodotto la parte di esso imputabi-
le al dispositivo inventato dal dipendente.

3.6. Il fatto che il legislatore indichi fra i fattori per determinare l’ammontare
dell’equo premio anche le mansioni svolte dal dipendente inventore ed il contri-
buto ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro non può avere altro signifi-
cato se non che il valore economico dell’invenzione (da determinarsi secondo
quanto si è detto nel precedente paragrafo) dovrà essere oggetto di una riduzione
percentuale in base all’incidenza di quei fattori, in ossequio ai principi che tro-
vano applicazione nella “formula tedesca”. E poiché la norma non specifica in
che misura debba essere operata quella riduzione, appare opportuno avvalersi del
metodo di calcolo indicato dalla “formula tedesca” (sull’opportunità di continua-
re a fare ricorso alla formula dopo l’entrata in vigore del c.p.i., VANZETTI-DI CA-
TALDO, 382). Al riguardo, invero, le previsioni della “formula tedesca” sono più
articolate, in quanto il criterio del contributo ricevuto dall’organizzazione del da-
tore di lavoro è scisso in due fattori, che tengono conto del contributo ricevuto sia
nella posizione del problema oggetto della soluzione inventiva, sia nell’individua-
zione di quella soluzione.

16
In particolare, secondo la “formula tedesca” EP = V x P, l’equo premio (EP) è il
risultato dell’applicazione al valore economico (V) di un fattore proporzionale
(P), che a sua volta è la risultante di tre fattori: posizione del problema, che mi-
sura l’iniziativa avuta dal dipendente nella individuazione del problema tecnico
(con attribuzione di un punteggio da 1 a 6 al crescere del grado di autonomia); so-
luzione del problema, che misura l’iniziativa avuta dal dipendente nella soluzio-
ne del problema tecnico (punteggio da 1 a 6 al crescere del grado di autonomia);
e mansioni svolte e posizione occupata dal dipendente (indice che attribuisce
un punteggio da 1 a 8, al decrescere del rilievo della posizione occupata dal di-
pendente inventore). I tre punteggi vanno sommati, così da ottenere una somma
da 3 a 20. Alla somma ottenuta si applica una tabella di conversione:

(a)+(b)+(c 3 4 5 6 7 8 9 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 20
) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Fattore % 2 4 7 1 1 1 1 2 2 3 3 4 5 6 7 8 9 10
0 3 5 8 1 5 2 9 7 5 3 2 1 0 0

Nella riga in basso è indicata la percentuale del valore economico che va attribui-
ta al dipendente in base alla somma dei tre indici del fattore di partecipazione.

3.7. Possono a questo punto essere precisati i metodi di calcolo dei tre indici che
determinano il fattore di partecipazione. Con riguardo alla posizione del proble-
ma, i valori da 1 a 6 vanno così attribuiti:

(1) il management dell’impresa ha prospettato al dipendente il problema tecnico


con l’indicazione diretta del metodo per affrontarlo;

(2) come il valore 1, ma senza l’indicazione diretta del metodo per affrontare il
problema tecnico;

17
(3) il dipendente ha raggiunto l’invenzione senza che il management dell’impresa
gli abbia prospettato il problema tecnico, ma grazie al fatto di aver acquisito, in
virtù della sua appartenenza all’impresa, le conoscenze necessarie delle lacune e
delle esigenze, senza averle individuate lui stesso;

(4) come il valore 3, con la differenza che è il dipendente ad aver individuato la-
cune e esigenze;

(5) il dipendente si è posto da solo il problema tecnico, che attiene alle sue man-
sioni lavorative;

(6) come il valore 5, con la differenza che il problema tecnico non attiene alle
mansioni del dipendente.

Per quanto attiene alla soluzione del problema, le seguenti tre possibilità devono
essere prese in considerazione:

(a) la soluzione è stata raggiunta dal dipendente grazie ad uno sforzo di riflessio-
ne normale nella sua professione;

(b) la soluzione è stata raggiunta avvalendosi di precedenti lavori e conoscenze


dell’impresa;

(c) l’impresa ha fornito al dipendente i mezzi di ausilio tecnico necessari per il


raggiungimento della soluzione.

Se tutte e tre queste condizioni si verificano, sarà attribuito il valore 1, se tutte e


tre difettano, il valore 6. Se una sola condizione si verifica solo in parte, sarà at-
tribuito il valore 5; se una condizione si verifica interamente o due solo in parte,
il valore 4; se tutte e tre le condizioni si verificano solo in parte, o una interamen-
te e un’altra solo in parte, il valore 3; se si verificano due condizioni interamente,
ovvero una interamente e due in parte, il valore 2; se si verificano due condizioni
interamente e una solo in parte, il valore 1,5.

18
Infine, per quanto attiene alle mansioni svolte e alla posizione occupata nell’im-
presa dal dipendente inventore, il valore 1 sarà attribuito ai direttori generali
della ricerca; il 2 a direttori generali Ricerca & Sviluppo (R&S) o a direttori di
gruppi di ricerca; il 3 a responsabili di laboratorio, ingegneri e chimici impiegati
nel settore della ricerca; il 4 a dipendenti con mansioni direttive in settori tecnici
e produttivi non di ricerca e a ingegneri o chimici impiegati nel settore R&S; il 5
a tecnici di istruzione superiore con capacità di risolvere problemi costruttivi o di
processo; il 6 a tecnici di laboratorio, quadri subalterni e in generale a dipendenti
che hanno una discreta preparazione tecnica; il 7 a dipendenti con un modesto li-
vello di specializzazione tecnica, come lavoranti di laboratorio o operai specializ-
zati; l’8 a dipendenti senza alcuna specializzazione, come operai semplici, mano-
vali, magazzinieri, apprendisti.

3.8. Come si è detto, il valore economico V coincide con il vantaggio economico


maturato dall’impresa per il fatto di poter beneficiare in esclusiva dell’invenzione
brevettabile conseguita dal dipendente, e dunque con il maggior utile industriale
netto ad essa arrecato da quell’esclusiva. Nel precedente paragrafo 3.4 si sono in-
dicati alcuni criteri che possono essere utilizzati per arrivare alla determinazione
del maggior utile conseguito dall’impresa. Com’è stato segnalato (GIAMBROCO-
NO, 20), si tratta di metodi spesso complessi e di non agevole applicazione, il che
ha indotto l’Autore appena citato a proporre un criterio di determinazione
dell’equo premio alternativo alla “formula tedesca”, non avente come base di cal-
colo il valore economico dell’invenzione ma la retribuzione del dipendente, muo-
vendo dall’assunto che “chiunque operi nel reparto tecnico di un’azienda con
qualsiasi mansione” sarebbe “pagato per inventare”, mentre solo una ridottissima
percentuale dei contratti di lavoro prevederebbe l’attività inventiva come mansio-
ne del dipendente e la farebbe oggetto di retribuzione specifica. Una simile rico-
struzione appare tuttavia discostarsi troppo radicalmente dal dettato della legge e

19
dall’orientamento giurisprudenziale consolidato che il legislatore della riforma ha
inteso recepire perché possa essere adottata come criterio di calcolo alternativo a
quello ampiamente sperimentato, avallato dalla giurisprudenza e in fondo recepi-
to dal legislatore della “formula tedesca”.

Riguardo alla difficoltà di determinazione dell’utile netto arrecato dalla brevetta-


zione può peraltro segnalarsi che essa è stata ampiamente rilevata anche
nell’esperienza tedesca, nella quale l’utile netto, in assenza di altre indicazioni,
viene stimato in misura pari al 10% del fatturato. Va ancora notato che secon-
do la formula tedesca il maggior utile comunque calcolato va ridotto in base ad
una tabella che abbatte a scaglioni i valori più elevati, onde evitare che, per le in-
venzioni che arrecano un notevolissimo vantaggio economico all’impresa, l’am-
montare del premio possa eccedere in misura irragionevole la maggior retribuzio-
ne teorica che il dipendente avrebbe potuto ottenere se inquadrato come ricercato-
re.

Utile Corr. Mil. €


< 0,3 - 0,3
0,3 - 0,5 0,9 0,48
0,5 - 1 0,8 0,88
1-2 0,7 1,58
2-3 0,6 2,18
3-4 0,5 2,68
4-5 0,4 3,08
5-6 0,35 3,43
6-8 0,3 4,03
8 - 10 0,25 4,53
>10 0,2 -

Nella colonna di sinistra è indicato l’utile netto in milioni di Euro, nella colonna
centrale il moltiplicatore correttivo e in quella di destra il risultato dell’operazio-
ne. Se ad esempio l’utile è di 1,4 milioni di Euro, si va a leggere nella colonna di
destra il valore corrispondente allo scaglione di 1 milione di Euro (0,88) e a que-

20
sto si somma il prodotto dell’eccedenza (0.4) per il moltiplicatore applicabile
(0,7); il risultato sarà 0,88 + (0,4 x 0,7 = 0,28) = 1,16 milioni di Euro.

3.9. La somma ottenuta attraverso l’abbattimento a scaglioni in base alla tabella


appena illustrata non costituisce la base di calcolo immediata su cui applicare
il fattore di partecipazione P. Se così fosse, infatti, si arriverebbe all’assurda so-
luzione secondo cui l’impresa dovrebbe trasferire al dipendente (allorché si tratti
di un soggetto non qualificato e che non ha ricevuto alcun aiuto dall’impresa) il
100% dell’utile da essa maturato attraverso lo sfruttamento dell’invenzione. Se-
condo la “formula tedesca”, della somma ottenuta in base ai meccanismi di calco-
lo sopra indicati andrà corrisposta al dipendente inventore una percentuale com-
presa fra il 12,5% e il 33%, con la precisazione che un tasso del 20% viene con-
siderato il valore normale. Questa percentuale può variare in considerazione di
molteplici fattori: in particolare, il tasso sarà ridotto se l’invenzione non ha carat-
tere pionieristico o particolarmente innovativo, se è attuata su una produzione in
grande serie, se la protezione giuridica di cui gode è meno elevata (ad esempio se
è tutelata in base ad un brevetto dipendente). Nel caso di brevetti per modello
anzichè per invenzione il tasso è ridotto della metà. Infine, ove l’invenzione sia
raggiunta da una pluralità di coinventori varrà, fino a prova contraria, la presun-
zione che il loro contributo inventivo sia stato identico, con la conseguenza che
l’equo premio spetterà a ciascuno di essi pro quota in identica misura.

3.10. Meno agevole è l’interpretazione dell’espresso riferimento, fra i criteri da


utilizzarsi per la determinazione dell’equo premio, alla “retribuzione percepita
dall’inventore”, in quanto si tratta di un parametro estraneo alla “formula tede-
sca”. Poiché, come si è visto in precedenza (§ 2), è escluso ogni sindacato ex post
sulla congruità della retribuzione specifica attribuita allo svolgimento di attività
di ricerca inventiva (fermo restando che un surplus retributivo solo nominale ma
nella sostanza irrisorio impedisce l’applicazione del 1° comma dell’art. 64), il cri-

21
terio appare essere dettato dall’esigenza di ricondurre a maggiore equità situazio-
ni che, attraverso un’applicazione rigorosa del principio della specifica retribu-
zione, finirebbero col penalizzare eccessivamente l’impresa. Si pensi all’ipotesi –
pure menzionata in precedenza – in cui il dipendente inventore sia stato assunto
per svolgere mansioni di ricerca inventiva ed abbia ricevuto una retribuzione con-
gruamente superiore a quella fissata dai contratti collettivi, tuttavia non imputata
specificamente al conseguimento di risultati inventivi; o ancora al caso in cui
l’impresa abbia già corrisposto al dipendente inventore premi o altre gratifiche
per il raggiungimento di invenzioni brevettabili. Benché in questi casi - con i ca-
veat di cui si è detto in precedenza - sorga in linea di principio il diritto all’equo
premio, appare ragionevole che dall’ammontare da corrispondere siano detratte
le maggiori somme (non comprese nella retribuzione ordinaria) già versate
dall’impresa al dipendente per il raggiungimento dell’invenzione o, più in ge-
nerale, per lo svolgimento di attività di ricerca inventiva, onde evitare che il
dipendente finisca complessivamente col ricevere più di quanto gli è dovuto. La
questione sarà ovviamente più delicata nel caso in cui quelle maggiori somme
non siano direttamente ed univocamente imputabili ai risultati conseguiti, e nep-
pure alle mansioni inventive svolte, ma siano riconducibili a queste ultime solo
attraverso il raffronto fra la retribuzione percepita e quella corrisposta a dipen-
denti non ricercatori di pari livello, nella stessa impresa o in imprese concorrenti.

3.11. Un esempio può chiarire i meccanismi di determinazione dell’equo premio


secondo quanto si è detto in precedenza. Si immagini un direttore di laboratorio
di un’impresa farmaceutica - che non riceveva una specifica retribuzione per lo
svolgimento delle attività di ricerca cui era preposto - che ha inventato un nuovo
farmaco, avvalendosi delle indicazioni ricevute dall’impresa anche sulle metodo-
logie di ricerca da seguire. La soluzione è stata raggiunta avvalendosi di prece-
denti conoscenze dell’impresa e utilizzando i mezzi tecnici di questa, con uno

22
sforzo di riflessione che era normale attendersi dal dipendente. Il maggior utile
maturato dall’impresa grazie allo sfruttamento in esclusiva del trovato è stimabile
in 20 milioni di Euro. Per il conseguimento dell’invenzione al dipendente è stata
già corrisposta una gratifica di 5.000 Euro. Il fattore di partecipazione P è 5
(1+1+3), cui corrisponde una percentuale del 7%. Il valore di 20 milioni di Euro
va abbattuto a 4,53 per i primi 10 milioni e a 2 per gli altri 10, per un totale di
6,53 milioni. Applicando il tasso normale del 20% si arriva ad un valore V di
1.306.000 Euro, che diventano 91.420 applicando il fattore di partecipazione. Da
questa somma, che costituisce l’equo premio EP, andranno detratti i 5.000 Euro
già ricevuti.

3.12. Resta ancora da dire del fatto che l’ottenimento del brevetto o la sua utiliz-
zazione in regime di segreto rilevano ora come presupposto per il conseguimento
dell’equo premio anche qualora avvengano in capo agli “aventi causa” del dato-
re di lavoro. La modifica, introdotta dal decreto correttivo, ed alla quale non vie-
ne fatto alcun cenno nella Relazione illustrativa, appare volta a chiarire un princi-
pio peraltro già pacifico, vale a dire che il diritto all’equo premio non viene meno
ove la domanda di brevetto o i diritti sull’invenzione non brevettata siano ceduti
dal datore di lavoro a terzi, fermo restando che l’equo premio può essere richiesto
dal lavoratore solo al suo datore di lavoro, e nel caso di cessione a terzi del diritto
di sfruttamento esclusivo dell’invenzione costituirà una quota del corrispettivo
maturato attraverso quella cessione.

3.13. Di non agevole comprensione sono infine il dettato della disposizione intro-
dotta dal decreto correttivo alla fine dell’art. 64.2 c.p.i. (“Al fine di assicurare la
tempestiva conclusione del procedimento di acquisizione del brevetto e la conse-
guente attribuzione dell'equo premio all'inventore, può essere concesso, su ri-
chiesta dell'organizzazione del datore di lavoro interessata, l'esame anticipato
della domanda volta al rilascio del brevetto”) e le ragioni sottostanti alla sua in-

23
troduzione, sottaciute dalla Relazione illustrativa (in argomento cfr. MANSANI, In-
venzioni dei dipendenti, 528 s.).

Anche se mai nel codice si parla di “acquisizione del brevetto” e di un procedi-


mento ad essa relativo, deve ritenersi che il legislatore si riferisca al procedimen-
to di concessione del titolo, e che la fattispecie prevista dalla norma sia analoga a
quella disciplinata dall’art. 120.1 c.p.i., secondo il quale “se l’azione di nullità o
quella di contraffazione sono proposte quando il titolo non è stato ancora con-
cesso, la sentenza può essere pronunciata solo dopo che l’Ufficio italiano brevet-
ti e marchi ha provveduto sulla domanda di concessione, esaminandola con pre-
cedenza rispetto a domande presentate in data anteriore”. In base alla norma ap-
pena richiamata, l’Ufficio è tenuto ad effettuare l’esame anticipato della domanda
una volta che gli sia stata comunicata la pendenza del giudizio avente ad oggetto
il brevetto non ancora concesso. Nell’ipotesi disciplinata dall’art. 64.2, invece,
l’esame anticipato può essere effettuato dall’Ufficio solo su richiesta “dell’orga-
nizzazione del datore di lavoro interessata” (altra espressione singolare: l’art.
64.2 fa riferimento alla “organizzazione” del datore di lavoro allorchè prende in
esame il contributo che il lavoratore ha ricevuto dall’organizzazione aziendale
per il conseguimento dell’invenzione, ma in questo caso non v’era ragione per ri-
ferirsi a quegli elementi organizzativi e non parlare semplicemente di richiesta
del datore di lavoro).

La disposizione introdotta dal decreto correttivo sembra peraltro destinata ad ave-


re scarso rilievo pratico. A quanto si legge nella Relazione illustrativa, la finalità
dell’esame anticipato della domanda di brevetto sarebbe di “assicurare la tempe-
stiva conclusione del procedimento di acquisizione (rectius: di concessione) del
brevetto e la conseguente attribuzione dell'equo premio all'inventore”: se infatti
la domanda di brevetto è stata depositata, la concessione del titolo resta condicio
juris per l’insorgenza del diritto all’equo premio. Tuttavia, alla concessione del

24
brevetto non può certo dirsi che “consegua” automaticamente l’attribuzione del
premio: perché questo venga assegnato al dipendente inventore occorrerà infatti
anzitutto che sia accertato in giudizio il diritto di quest’ultimo a conseguirlo (vale
a dire che alla fattispecie si applichi il secondo e non il primo comma dell’art.
64), e in secondo luogo che sia determinato l’ammontare del premio. E, complice
anche la procedura arbitrale per la determinazione del quantum introdotta con
l’entrata in vigore del codice della quale si dirà più avanti, si tratta di un giudizio
lungo e complesso, che normalmente richiede un laborioso contraddittorio tecni-
co.

E’ peraltro evidente che il datore di lavoro non avrà di regola alcun interesse ad
affrettare i tempi di instaurazione di un giudizio nei suoi confronti, così che con-
dizionare al suo esclusivo impulso l’esame anticipato della domanda significa di
fatto condannare la norma appena introdotta a trovare applicazione solo in rarissi-
me ipotesi, in cui il datore sia già orientato a risolvere la questione in via stragiu-
diziale e attenda solo la decisione dell’Ufficio riguardo alla concessione del bre-
vetto. Se la finalità perseguita dal legislatore era di evitare che il protrarsi del pro-
cedimento di concessione del brevetto rallenti i tempi di instaurazione del giudi-
zio volto al conseguimento dell’equo premio, essa avrebbe potuto essere raggiun-
ta più efficacemente assoggettando anche le azioni volte al conseguimento
dell’equo premio alla disciplina di cui all’art. 120.1 c.p.i., che invece è rimasta
inalterata.

4. Il terzo comma (l’invenzione “occasionale”).

4.1. La norma riproduce, con poche ma significative eccezioni, il testo del previ-
gente art. 24 l. inv. Il testo attuale non limita più l’applicazione della disposizione
all’ipotesi in cui l’invenzione sia stata raggiunta in una “azienda privata”, parlan-
dosi ora al riguardo in generale di “campo di attività del datore di lavoro”, così da
comprendere anche i dipendenti di imprese ed enti pubblici. Si è quindi di fatto

25
ritornati alla situazione anteriore all’entrata in vigore della l. 18 ottobre 2001, n.
383, il cui art. 7.1.a) aveva eliminato dal testo originario dell’art. 24 l. inv. le pa-
role “o dell’amministrazione pubblica”. L’opportuna abrogazione, disposta
dall’art. 246.1.g) del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, dell’art. 34 del d.P.R. 10 gen-
naio 1957, n. 3, dedicato alle invenzioni dei dipendenti pubblici, ha consentito di
superare i problemi di coordinamento che quella norma continuava a sollevare
(sui quali cfr. ampiamente GALLI, Le invenzioni, 42 ss.). Un’ulteriore modifica
consiste nell’aver qualificato il diritto del datore di lavoro come diritto di opzione
e non di prelazione, come invece avveniva nel testo dell’art. 24 l. inv. La termi-
nologia adottata in passato era peraltro stata criticata dalla dottrina pressoché
unanime (VERCELLONE, 158 s.; DI CATALDO, I brevetti, 195; SENA, 9; GALLI,
Problemi, 34; VANZETTI-DI CATALDO, 384), la quale aveva rilevato che il datore
di lavoro ha il diritto di ottenere il trasferimento del brevetto, ovvero la licenza
esclusiva o non esclusiva su di esso, anche ove il dipendente intenda sfruttarlo di-
rettamente, e per di più a condizioni meno remunerative di quelle che potrebbero
essere offerte da terzi, visto che dal valore di mercato dei diritti trasferiti o con-
cessi deve essere comunque detratta una somma corrispondente al valore degli
aiuti ricevuti dal datore di lavoro per il conseguimento del brevetto.

4.2. I presupposti per l’applicazione della disciplina delle invenzioni “occasiona-


li” hanno avuto rare occasioni di essere affermati dalla giurisprudenza, che si è
invece quasi esclusivamente occupata di distinguere fra le ipotesi dell’invenzione
d’azienda e quella di servizio. In effetti, è assai infrequente nella pratica che
un’invenzione brevettabile sia raggiunta da un dipendente in situazioni diverse da
quelle dettate dal primo e dal secondo comma dell’art. 64 c.p.i. Perché infatti
l’invenzione possa essere ritenuta raggiunta non “in esecuzione e nell’adempi-
mento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego”, occorre che il suo
conseguimento sia avvenuto in modo del tutto estraneo alla prestazione lavora-

26
tiva, in assenza di qualsiasi nesso causale con il rapporto di lavoro, pur aven-
do ad oggetto tecniche che rientrano nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa
(così Cass. 6 mar. 1992, n. 2732, GADI, 1992, n. 2745, ove in nota ulteriori cita-
zioni).

Non è invece necessario che l’invenzione sia stata raggiunta attraverso attività
condotte al di fuori dell’orario di lavoro, essendo sufficiente il suo conseguimen-
to in pendenza del rapporto di lavoro. Il fatto che l’oggetto del trovato non sia
congruente con l’ambito di attività cui il dipendente è preposto non è sufficiente
per escludere l’applicazione della norma: occorrerà ancora valutare se essa rientri
nel più vasto oggetto dell’impresa datrice di lavoro, salva l’ipotesi in cui la sua
attività sia fortemente diversificata, caso in cui occorrerà fare riferimento al ramo
in cui il lavoratore è impiegato (VANZETTI-DI CATALDO, 384). L’elemento discre-
tivo può essere individuato nella possibilità per il dipendente di essere comunque
stato influenzato, nella scelta del tema di ricerca, da dati, informazioni, scelte
strategiche, scientifiche o culturali interni all’impresa (o anche del gruppo di cui
essa fa parte, ove se ne sia fatta portatrice).

4.3. Un’ulteriore modifica introdotta nel codice che risolve dubbi interpretativi
sollevati dal testo previgente riguarda il termine trimestrale per l’esercizio del
diritto di opzione, che adesso decorre dalla data del ricevimento, da parte del da-
tore di lavoro, della comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di
brevetto, e non più dalla comunicazione “del conseguito brevetto”. In questo mo-
do, il datore di lavoro, se esercita l’opzione in quanto interessato allo sfruttamen-
to esclusivo del brevetto, avrà la possibilità di intervenire nell’eventuale fase
d’esame compiendo le scelte più opportune, senza essere costretto ad attendere
passivamente il rilascio del titolo, magari in forma modificata a seguito dei rilievi
sollevati dall’esaminatore. La norma tuttavia non indica quando il dipendente in-
ventore abbia l’onere di effettuare la comunicazione. L’interpretazione più coe-

27
rente con il testo della disposizione dovrebbe essere nel senso che la comunica-
zione va effettuata non appena il deposito è avvenuto: soluzione che tutela più ef-
ficacemente il dipendente contro il rischio di una predivulgazione da parte del da-
tore di lavoro, ma impedisce a quest’ultimo di prendersi cura della redazione del
brevetto, con possibili riflessi irrimediabilmente negativi sull’ambito di tutela ac-
cordata e sulla stessa validità del titolo. In ogni caso, visto che la norma espressa-
mente dispone che il diritto di opzione può riguardare anche la facoltà di chiedere
brevetti all’estero per la medesima invenzione, deve ritenersi che la comunicazio-
ne sia tardiva, con conseguenze risarcitorie per il dipendente, allorché avvenga a
meno di tre mesi dalla scadenza del termine per invocare la priorità unionista, o
addirittura dopo la sua scadenza.

E’ poi controverso se il dipendente abbia l’onere di depositare il brevetto, e pri-


ma del deposito di evitare di attuare condotte che possano minarne la validità, co-
me ad esempio la divulgazione dell’invenzione (in questo senso DI CATALDO, I
brevetti, 196), così che gli sia preclusa la scelta di rendere il trovato di pubblico
dominio (in senso contrario VANZETTI-DI CATALDO, 385). Altro problema aperto
è se gli atti di disposizione a terzi del brevetto o del dirittto di depositarlo da
parte del dipendente siano validi ed efficaci (salvi gli obblighi risarcitori nei con-
fronti del datore di lavoro, e naturalmente gli effetti della trascrizione), o se inve-
ce la fattispecie possa essere assimilata a quella della brevettazione del non aven-
te diritto, con possibilità per il datore di lavoro di esercitare, anche nei confronti
del terzo avente causa dal dipendente, l’azione di rivendica ex art. 118 c.p.i. (così
GALLI, Problemi, 35). Nel caso di rifiuto del dipendente di trasferire o concedere
i diritti opzionati, il datore di lavoro potrà ottenere una sentenza costitutiva ex art.
2932 c.c..

4.4. Oggetto del diritto di opzione può essere o il trasferimento dei diritti sul bre-
vetto – normalmente ancora allo stato di domanda – ovvero l’acquisizione di una

28
licenza, esclusiva o non esclusiva, su di esso, nonché la facoltà di domandare pro-
tezione all’estero della medesima invenzione nel termine in cui la prima domanda
può essere invocata come priorità. Nel comunicare al dipendente inventore l’eser-
cizio del diritto di opzione il datore di lavoro dovrà dunque precisare se intende
rendersi cessionario del brevetto o acquisire una licenza (esclusiva o non
esclusiva) su di esso, e per quali Stati, oltre ad offrire il prezzo o il canone do-
vuto. L’intesa si perfezionerà con l’accettazione del dipendente; in caso di disac-
cordo sull’offerta, e del mancato raggiungimento di un’intesa a diverse condizio-
ni, sarà necessario adire l’autorità giudiziaria o la procedura arbitrale di cui al
quarto comma. Nel caso in cui il diritto di opzione non venga esercitato entro il
termine di tre mesi dalla comunicazione, o abbia ad oggetto solo la concessione
di una licenza non esclusiva, o non riguardi certi Paesi, il dipendente inventore
potrà sfruttare direttamente o indirettamente l’invenzione per la parte rimasta
inoptata, o trasferire i diritti su di essa a terzi, anche in costanza del rapporto di
lavoro e senza che ciò possa configurare una violazione dell’obbligo di fedeltà di
cui all’art. 2105 c.c. (GRECO-VERCELLONE, 243).

4.5. Tralasciando l’ipotesi della licenza, oggetto del diritto di opzione è dunque
l’acquisto dei diritti sul brevetto, che di norma sarà ancora allo stato di domanda,
dal momento che il diritto va esercitato entro tre mesi dalla comunicazione
dell’avvenuto deposito. Se la protezione non è stata estesa all’estero, oggetto del
diritto di opzione può essere anche la facoltà di chiedere brevetti all’estero sulla
medesima invenzione (normalmente avvalendosi della priorità unionista), facoltà
che altrimenti resterà in capo al dipendente inventore. Se invece una o più do-
mande di concessione del brevetto all’estero sono state già depositate, oggetto
dell’opzione potrà essere anche l’acquisto dei diritti su uno o più di quei brevetti,
anch’essi normalmente allo stato di domanda.

29
Il legislatore del decreto correttivo è tuttavia intervenuto sul testo della norma, lì
dove disciplina l’acquisto da parte del datore di lavoro dei brevetti all’estero, “so-
stituendo al termine ‘acquistare’ il termine ‘acquisire’, allo scopo di descrivere
in maniera più corretta la procedura di deposito all’estero della domanda di bre-
vetto per invenzione industriale” (così la Relazione illustrativa). La disposizione
modificata, non indicando più come oggetto dell’opzione l’acquisto del brevetto
depositato all’estero, ma la facoltà di “acquisirlo”, sembrerebbe aver introdotto
una disciplina differente per i brevetti domandati ma non ancora concessi all’este-
ro rispetto a quelli italiani, stabilendo che solo per i primi oggetto dell’opzione
sia la facoltà di divenirne titolari una volta che il procedimento di concessione si
sia concluso (interpretazione che discende dal significato attribuito all’espressio-
ne “procedimento di acquisizione del brevetto” introdotta, sempre dalla recente
novella, all’art. 64.2, e precedentemente commentata).

Se così fosse, la modifica farebbe sorgere numerosi problemi, di non trascurabile


rilevo pratico (MANSANI, Invenzioni dei dipendenti, 530). Non essendosi ancora per-
fezionata la cessione, i costi della procedura di concessione e le scelte da compie-
re nel corso di essa, incluso il diritto di rinunciare alla domanda, dovrebbero in-
fatti rimanere in capo al dipendente inventore, il quale riceverebbe dal datore di
lavoro il corrispettivo offerto solo al momento della concessione del brevetto, sol-
levando la questione se il datore di lavoro possa sciogliersi dal vincolo o modifi-
care le condizioni d’offerta ove il brevetto non sia rilasciato, o sia concesso in
forma modificata. Un simile regime differenziato per i brevetti stranieri rispetto a
quelli italiani non avrebbe peraltro alcuna giustificazione e solleverebbe seri dub-
bi di costituzionalità, oltre a trascendere con ogni probabilità le stesse intenzioni
del legislatore. Osservato che meglio sarebbe stato lasciare le cose come stavano,
conviene dunque non attribuire alcun rilievo sostanziale alla modifica introdotta,
considerandola solo un’infelice scelta terminologica che lascia inalterata la porta-

30
ta della disposizione, da leggersi ancora come prevedente, in capo al datore di la-
voro, il diritto di acquistare i brevetti allo stato di domanda, siano essi italiani
o stranieri.

4.6. Quanto al corrispettivo che dovrà essere versato al dipendente (il decreto
correttivo ha opportunamente eliminato un refuso del testo previgente, ove si par-
lava di “corresponsione del canone del prezzo” anziché, come ora è stato chiarito,
“del canone o del prezzo”: espressione corrispondente a quella utilizzata al suc-
cessivo comma 4, ove appunto si parla di “diritto all’equo premio, al canone o al
prezzo”), si ritiene che il prezzo della cessione o il canone di licenza debbano ri-
flettere i valori di mercato.

In assenza di indicazioni da parte del legislatore e di principi giurisprudenziali


che possano servire da guida, non risulta agevole determinare come vada calcola-
ta la somma, da portare in deduzione, “corrispondente agli aiuti che l’inventore
abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione”. E’ in-
fatti evidente che una quantificazione del valore monetario di quegli aiuti risulte-
rebbe di fatto estremamente difficile, e spesso arbitraria. Una soluzione praticabi-
le potrebbe essere quella di applicare in via analogica gli appropriati parame-
tri della “formula tedesca”, muovendo dall’assunto che anche nel calcolo
dell’equo premio occorre tenere in considerazione gli aiuti ricevuti dall’impresa
per pervenire alla soluzione inventiva brevettata, i quali come si è visto sono va-
lutati attraverso i due indici relativi alla individuazione e soluzione del problema.
Poiché non appare invece pertinente, nella prospettiva dell’invenzione occasiona-
le, il parametro della posizione occupata dal dipendente nell’impresa, occorrerà
depurare da questo parametro il fattore di partecipazione, riducendolo alla som-
matoria dei soli due indici di cui si è detto. A questo fine, appare opportuno stabi-
lire una progressione lineare dei valori per attuare una conversione percentuale

31
del valore dell’invenzione in base a quai due indici, la cui somma può andare da
2 a 12.

Nella tabella che segue, calcolata la somma dei due indici secondo le regole espo-
ste al § 3.6, si leggerà nella linea inferiore la percentuale del valore dell’invenzio-
ne – in questo caso coincidente con il valore effettivo dell’invenzione – da corri-
spondere al dipendente inventore da parte dell’impresa che esercita il diritto di
opzione:

(a)+(b) 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Fattore % 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

L’ipotesi che la percentuale sia pari a zero è peraltro solo teorica, perché il caso
di complete indicazioni da parte dell’impresa sia del problema tecnico sia dei
mezzi di soluzione è estraneo alla definizione di invenzione occasionale. La per-
centuale da corrispondere sarà dunque, salve eccezioni, pari ad almeno la metà
del valore del brevetto, e di solito superiore al 70%. Ad esempio, se il dipendente
si è posto da solo il problema tecnico, che esorbita dalle sue mansioni lavorative,
raggiungendo la soluzione con uno sforzo di riflessione eccezionale alla luce del-
le sue mansioni, avvalendosi in parte di precedenti lavori e conoscenze dell’im-
presa nonché, sempre solo in parte, di mezzi tecnici dell’impresa, gli indici (a) e
(b) saranno pari rispettivamente a 6 e 4, così che il dipendente dovrà ricevere
l’80% del valore di mercato della cessione o della licenza.

4.7. L’ultima parte dell’art. 64.3 riproduce integralmente il precedente art. 24, 3°
comma, l. inv. stabilendo che il mancato pagamento “alla scadenza”, da parte
del datore di lavoro che ha esercitato il diritto di opzione, del “corrispettivo dovu-
to”, determina la risoluzione di diritto “dei rapporti costituiti con l’esercizio
dell’opzione”. La scadenza per il pagamento del prezzo o del canone di licenza

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sarà quella concordata fra le parti; in assenza di accordo sul corrispettivo dovuto
occorrerà attendere la decisione del giudice o del collegio arbitrale di cui al suc-
cessivo 4° comma. Nel caso di concessione in licenza del brevetto, occorrerà va-
lutare se il mancato pagamento di uno o più canoni periodici rivesta importanza
ai sensi dell’art. 1455 c.c.. Ove operi la risoluzione, il dipendente inventore dovrà
restituire le somme già corrisposte, salvo il risarcimento del danno. I diritti ac-
quisiti in buona fede da terzi aventi causa dal datore di lavoro resteranno co-
munque salvi ove il titolo sia stato trascritto anteriormente alla domanda di risolu-
zione (GRECO-VERCELLONE, 248).

5. La procedura arbitrale.

5.1. L’art. 25 l. inv. prevedeva che, in caso di disaccordo fra le parti circa il pre-
mio, il canone o il prezzo dovuti ai sensi degli artt. 23 o 24 l. inv., o sulle rispetti-
ve modalità, provvedesse “un collegio di arbitri, amichevoli compositori”, ovve-
ro, nel caso di dipendente statale, “una deliberazione insindacabile” del ministro
competente. C. Cost. 14 lug. 1977, n. 127, NLCC, 1978, 559, con commento di
TAVORMINA, e GADI, 1977, n. 891, aveva dichiarato incostituzionale – con rife-
rimento agli artt. 24 e 102, 2° comma Cost. – la norma nella parte in cui non rico-
nosceva alle parti la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria, e ove
stabiliva che la deliberazione del ministro fosse insindacabile e non impugnabile
ex art. 113 Cost., come peraltro già prevedeva l’art. 34 del d.p.r. 10 gen. 1957, n.
3. Ulteriori questioni sorgevano per il fatto che le controversie relative alle inven-
zioni dei dipendenti erano assoggettate al rito del lavoro: l’art. 808, 2° comma,
c.p.c., così come modificato dall’art. 4 della l. n. 533/1973, sottoponeva infatti
l’arbitrabilità delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. alla condizione che ciò
fosse previsto dai contratti o accordi collettivi, stabilendo inoltre la nullità di
clausole compromissorie attribuenti agli arbitri il potere di decidere secondo
equità o con lodo non impugnabile. La stessa l. n. 533/1973 prevedeva inoltre,

33
all’art. 5, la possibilità di decidere controversie in materia di lavoro con arbitrato
irrituale solo nei casi previsti dalla legge o dai contratti collettivi, e comunque
senza pregiudizio della facoltà delle parti di rivolgersi all’autorità giudiziaria or-
dinaria. Di conseguenza, un arbitrato instaurato ai sensi dell’art. 25 l. inv. poteva
essere solo facoltativo e secondo diritto, e rituale salve diverse previsioni conte-
nute nei contratti collettivi. Nella pratica, dopo la sentenza della Corte Costituzio-
nale quasi mai le parti hanno rinunciato ad adire l’autorità giudiziaria ordinaria
per deferire la causa ad arbitri.

5.2. Con una scelta assai discutibile, il legislatore, anziché cancellare la disposi-
zione di cui all’art. 25 l. inv. (ciò che avrebbe comunque lasciato aperta la possi-
bilità per le parti di deferire ad arbitri le controversie fra loro insorte, senza più i
limiti derivanti dalla natura della causa, ora non più assoggettata al rito del lavo-
ro), ha invece ritenuto opportuno prevedere una procedura arbitrale apparente-
mente obbligatoria per la determinazione del quantum, che può essere promossa
anche in pendenza del giudizio ordinario sull’an ma la cui esecutività viene diffe-
rita al momento dell’accertamento della sussistenza del diritto da parte del giudi-
ce, definita “arbitraggio” ancorché espressamente disciplinata dagli artt. 806 e ss.
c.p.c. in tema di arbitrato rituale (applicabili “in quanto compatibili”), stabilendo
inoltre che la decisione va assunta “con equo apprezzamento” e che se è “manife-
stamente iniqua od erronea” la determinazione è fatta dal giudice.

5.3. Le ragioni di queste scelte possono rinvenirsi, come emerge dalla Relazione
al c.p.i., nella genesi della norma. Nella prima bozza del codice, infatti, era stata
prospettata la soluzione di accorpare le tipologie dell’invenzione d’azienda e di
servizio in un’unica fattispecie, distinta dall’invenzione occasionale, che avrebbe
dovuto abbracciare ogni invenzione conseguita nel tempo dedicato alla prestazio-
ne lavorativa e nella quale i diritti di natura patrimoniale derivanti dall'invenzione
avrebbero continuato ad essere attribuiti al datore di lavoro mentre al dipendente

34
inventore sarebbe sempre spettato un equo premio. Come venne rilevato da più
parti, inducendo il legislatore delegato ad abbandonare la soluzione avanzata, una
simile novellazione del sistema previgente, al di là di ogni considerazione di op-
portunità, si sarebbe risolta in una sostanziale abrogazione dell’invenzione di ser-
vizio, il che avrebbe sicuramente ecceduto i limiti della delega parlamentare. La
disposizione che attribuiva ad un collegio arbitrale il compito di determinare
l’ammontare dell’equo premio – che aveva una sua logica in un sistema nel quale
l’equo premio è sempre dovuto al dipendente inventore (salva l’ipotesi quasi di
scuola dell’invenzione occasionale) – non è però stata eliminata o modificata, no-
nostante la sua principale ragion d’essere fosse venuta meno una volta che la di-
stinzione fra invenzione d’azienda e invenzione di servizio è tornata ad essere
cruciale, costituendo il fulcro del contenzioso fra dipendente inventore e impresa
datrice di lavoro. E siccome l’accertamento dell’an è comunque demandato al
giudice ordinario, e la decisione assunta al riguardo costituisce il presupposto ne-
cessario per stabilire se occorra anche occuparsi del quantum, il sistema a doppio
binario tracciato dall’art. 64, 4° comma risulta inevitabilmente macchinoso e de-
fatigante, oltre a sollevare numerose questioni interpretative e di legittimità costi-
tuzionale. Né appare convincente l’apodittica affermazione addotta nella Relazio-
ne al c.p.i. per giustificarlo, vale a dire che la necessità di attendere l’esito del
giudizio sull’an “costituirebbe un inconveniente meno grave di quello connesso
ad una liquidazione diretta da parte del giudice, con la minore garanzia della
consulenza tecnica”.

5.4. Il “giudice ordinario” di cui parla il 4° comma è, ormai indiscutibilmente, ai


sensi dell’espressa previsione di cui all’art. 164.3 c.p.i. – che supera i rilievi
espressi da Cass. 24 gen. 2006, n. 1285, RDI, 2007, I, 93 – la Sezione specializ-
zata del tribunale territorialmente competente (circostanza che trova conferma
anche nella disposizione che attribuisce al Presidente di quella Sezione specializ-

35
zata il compito di nominare il terzo arbitro in caso di disaccordo fra le parti).
Trattandosi di diritti disponibili, in base alle norme generali in tema di arbitrato le
parti potranno, ove i contratti collettivi non lo vietino, deferire ad arbitri l’intero
contenzioso fra loro insorto, anche in relazione all’an.

5.5. La lettura del 4° comma dell’art. 64 lascebbe intendere che la competenza


degli “arbitratori” sia esclusiva, vale a dire che alle parti sia preclusa la possibi-
lità di ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria anche per la determinazione del
quantum. Tuttavia, l’arbitraggio ex art. 1349 c.c., come è stato affermato più
volte dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. 19 apr. 2002, n.
5707, DG 2202, 20 e DPS 2002, 22) è l’istituto in base al quale “le parti deman-
dano ad un terzo arbitratore l’incarico di determinare un elemento del negozio
già concluso e l’arbitratore ha l’unica funzione di collaborare, con efficacia co-
stitutiva, al perfezionamento del negozio già concluso”, mentre “con l’arbitrato
le parti tendono a conseguire un giudizio decisorio su una controversia in atto”.
E sottolinea il Supremo Collegio: “la diversità di funzione tra gli istituti dell’ar-
bitrato e dell’arbitraggio – composizione di una lite quanto al primo, integrazio-
ne del contenuto negoziale quanto al secondo – comporta che presupposto fonda-
mentale dell’arbitrato è l’esistenza di un rapporto controverso che, invece, difet-
ta del tutto nell’arbitraggio”. Nello stesso senso si veda già Cass. 29 apr. 1983,
n. 2949, ove ugualmente si rileva che l’arbitraggio è caratterizzato dal fatto che
all’arbitratore è affidato “l’incarico di determinare, di regola secondo equità,
uno degli elementi del negozio in formazione, non ancora perfezionato per la
mancanza di quell’elemento, cioè l’incarico di svolgere un’attività da cui esula
qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse”.

E’ allora evidente che l’incarico di stabilire l’ammontare dell’equo premio, ovve-


ro del canone o del prezzo dovuti all’inventore “occasionale”, essendo volto a di-
rimere attraverso una decisione la controversia insorta al riguardo fra le parti (de-

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cisione che, fra l’altro, richiede un’attenta e complessa valutazione delle circo-
stanze di fatto che stanno alla base dell’applicazione dei presupposti indicati al 2°
comma dell’art. 64), non può in alcun modo essere ricondotto alla figura dell’ar-
bitraggio, instaurando invece un arbitrato a tutti gli effetti. Com'è stato efficace-
mente affermato (BARBUTO, 66), “l’avere definito ‘arbitraggio’ un procedimento
che è estraneo al modello dell’art. 1349 c.c. e che è molto più vicino a quello de-
gli artt.806 e ss. c.p.c. sembra avere il solo scopo di eludere il divieto di un arbi-
trato obbligatorio (sia pure per il solo quantum)”: scopo che, evidentemente, non
può dirsi raggiunto, salvo incorrere nel medesimo vizio di costituzionalità eviden-
ziato da C. Cost. 14 luglio 1977, n. 127, cit.. Deve quindi ritenersi che l’art. 64,
4° comma, introduca un arbitrato facoltativo, regolato – come peraltro la stessa
norma afferma – dagli artt. 806 e ss. c.p.c. (FRANZOSI, 341; BARBUTO, 66; RINAL-
DI, 439).

5.6. Quanto alla natura dell’arbitrato, il fatto che la norma stabilisca espressa-
mente che il collegio “deve procedere con equo apprezzamento” fa ritenere che
dovrebbe trattarsi di arbitrato di equità. La modifica all’art. 808 c.p.c. (che stabi-
liva la nullità della clausola compromissoria autorizzante gli arbitri a pronunciare
secondo equità nelle controversie di cui all’art. 409 c.p.c.) apportata dal d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40 ed il fatto che i procedimenti relativi all’applicazione
dell’art. 64 c.p.i. non siano più disciplinati dal rito del lavoro consente di supera-
re le censure sollevate al riguardo (BARBUTO, 67; FRANZOSI, 343). Resta però il
fatto che l’art. 822 c.p.i. appare circoscrivere l’ipotesi dell’arbitrato secondo
equità, coerentemente a quanto dispone l’art. 114 c.p.c., alle sole ipotesi in cui le
parti lo abbiano concordemente richiesto, facendo sorgere il dubbio che un arbi-
trato ex lege come quello di cui si tratta possa essere deciso secondo equità e non
secondo diritto in assenza di un accordo al riguardo fra le parti. D’altro canto,
poiché la legge fissa i criteri in base ai quali vanno determinati il premio e il cor-

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rispettivo da versarsi all’inventore occasionale, una pronuncia arbitrale che si di-
scostasse da quei criteri per seguirne altri indicati come maggiormente risponden-
ti ad equità risulterebbe in realtà manifestamente iniqua ed erronea, con la
conseguenza che la parte interessata potrebbe ricorrere, ai sensi del 5° comma
dell’art. 64 c.p.i., al giudice competente (vale a dire quello che ha deciso o deci-
derà sull’an) per una diversa determinazione, secondo un meccanismo che, come
è stato rilevato (BARBUTO, 67), si ricollegherebbe all’orientamento giurispruden-
ziale – espresso peraltro in tema di effettivo arbitraggio – che prevede una simile
tutela nel caso di “rilevante sperequazione fra tra prestazioni contrattuali contrap-
poste” (Cass. 29 ago. 1995, n. 1970; Cass. 19 ago. 1992, n. 9564). Data invece la
natura arbitrale del procedimento di cui si tratta, e l’espressa previsione secondo
cui ad esso si applicano in quanto compatibili le norme degli artt. 806 e ss. c.p.c.,
potrebbe ritenersi (così BARBUTO, 67 s.) che la tutela di cui si è detto sia in realtà
preclusa, essendo disponibili solo i mezzi di impugnazione del lodo previsti da-
gli artt. 827 e ss. c.p.c.. La strada più sicura per superare le incertezze di cui si è
detto, e le conseguenze che possono produrre in punto di validità ed esecutorietà
della pronuncia emessa, appare dunque essere quella di cercare di evitare il ri-
corso alla procedura arbitrale, affidando al giudice ordinario – che normalmen-
te chiederà l’ausilio di uno o più consulenti tecnici – anche la determinazione del
quantum.

6. La presunzione che l’invenzione sia stata realizzata in costanza di rapporto


di lavoro.

Il 6° comma dell’art. 64 c.p.i. riproduce senza modifiche il testo del previgente


art. 26 l. inv., presumendo che l’invenzione sia stata realizzata in costanza di rap-
porto di lavoro ove la domanda di brevetto sia stata depositata dal dipendente in-
ventore entro un anno dalla cessazione del rapporto. In generale, perché la disci-
plina dettata dall’art. 64 c.p.i. trovi applicazione occorre che la parte decisiva

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dell’attività inventiva sia stata realizzata nel corso del rapporto di lavoro, essendo
irrilevante che il suo momento terminale sia avvenuto quando il rapporto è cessa-
to. La presunzione mira a facilitare la soluzione dei delicati problemi di accerta-
mento posti da quella regola, e a disincentivare il lavoratore dallo sciogliersi op-
portunisticamente dal rapporto non appena concepita l’invenzione, per poi meter-
la a punto e depositarla in proprio (VANZETTI-DI CATALDO, 380). L’opinione se-
condo cui si tratterebbe di una presunzione assoluta (VERCELLONE, 227) è rima-
sta isolata, e ad essa sono stati opposti argomenti convincenti dalla dottrina più
recente (UBERTAZZI, 26; SENA, 216; VANZETTI-DI CATALDO, 380; FRANZOSI,
344). Deve quindi ritenersi che il lavoratore possa superare la presunzione for-
nendo la prova di aver raggiunto l’invenzione autonomamente dopo la cessazione
del rapporto, anche se il deposito della domanda di brevetto è avvenuto a meno di
un anno di distanza dalla data di scioglimento del rapporto; di converso, il datore
di lavoro potrà provare che la parte essenziale dell’attività inventiva da cui è sca-
turito il trovato oggetto del brevetto è stata svolta allorché l’inventore era alle sue
dipendenze, anche se il deposito della domanda è avvenuto dopo un anno dalla
cessazione del rapporto di lavoro.

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