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Laboratoire italien

Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Introduzione

Romain Descendre e Fabio Frosini

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1040 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Bibliothèque Diderot de Lyon

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Romain Descendre e Fabio Frosini, « Introduzione », Laboratoire italien [Online], 18 | 2016, Messo online
il 06 dicembre 2016, consultato il 13 dicembre 2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1040

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Introduzione 1

Introduzione
Romain Descendre e Fabio Frosini

1 1. L’approssimarsi dell’ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci può


costituire l’occasione per fare un bilancio delle ultime acquisizioni della ricerca sul suo
pensiero. In particolare, il 2017 si colloca – da una prospettiva italiana – all’interno di un
ciclo caratterizzato da una chiarissima e per molti aspetti sorprendente ripresa di
interesse per Gramsci. L’avvio di questo ciclo può essere indicativamente fissato tra la
fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, e simbolicamente
riassunto in due fatti che, non casualmente, sono di natura scientifica e non direttamente
politica. Ci riferiamo alla fondazione, nel 1991, della International Gramsci Society e
all’avvio, nel 1990, del progetto per l’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci 1.
2 Questi due importanti avvenimenti sono, come si è detto, non casualmente segnati da una
spiccata caratterizzazione scientifica, prima e più che politica. Essi, infatti, a loro volta
sono leggibili come reazioni a ciò che accadde nel decennio – o più precisamente nel
quindicennio – precedente, vale a dire al progressivo scioglimento del PCI dall’eredità
ideale racchiusa nel nome di Gramsci. Questo passaggio, che si disloca in realtà lungo tutti
gli anni Settanta e che nel decennio seguente conosce un’accelerazione che lo rende
evidente agli occhi del pubblico più ampio, si lega a sua volta a quella che, in un convegno
recente, è stata felicemente definita “la crisi del soggetto”2, cioè la crisi e per molti versi
dissoluzione di quella forza organizzata – il partito politico di massa – che nel quarto di
secolo precedente era riuscito a essere protagonista della modernizzazione della società
italiana.
3 Tale crisi produsse ripercussioni e si manifestò a numerosi livelli e nelle forme più varie 3.
Nel campo degli studi gramsciani, e dato che Gramsci, sopratutto negli anni Sessanta e
Settanta, era stato uno degli ancoraggi più forti dell’elaborazione teorica all’interno del
PCI4, ciò si manifestò principalmente in un drammatico e rapido scemare di interesse,
fatto, questo, segnalato dalla quasi assenza di pubblicazioni di rilievo nel corso degli anni
Ottanta5. International Gramsci Society ed Edizione nazionale sono pertanto da
contrastare su questo scenario, che può essere riassunto in un decennio «a luci spente» 6.
Entrambi questi progetti reagiscono a tale stato di cose, prendendo atto dell’avvio di una

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stagione nuova, che interpretano in modi non del tutto identici ma neanche
incompatibili.
4 L’idea di una International Gramsci Society sorge nel momento in cui, anche grazie ai
crescenti contatti internazionali degli studiosi italiani, si fa evidente la discrepanza tra la
condizione di oblio in cui Gramsci è costretto nella Penisola e la «straordinaria
diffusione»7 dell’interesse per lui, sopratutto negli ambienti linguistici anglofono e luso-
ispanofono. Chi registrava questo fatto nel 1987, Valentino Gerratana, aggiungeva anche
che l’aspetto più interessante di questa diffusione era il suo carattere «del tutto
spontaneo»8, a sottolineare l’assenza di un “soggetto” organizzato capace di farsi
promotore di questa diffusione e di indirizzarla. L’International Gramsci Society sorse
dunque all’intersezione tra questo interesse diffuso e l’aspirazione a dargli una forma;
aspirazione che, per le ragioni dette, si propose fin dall’inizio nella forma della libera
associazione tra studiosi, simpatizzanti e interessati, sparsi in tutto il mondo. La base
internazionale e associativa della IGS caratterizzò pertanto in modo del tutto nuovo la sua
natura rispetto alle precedenti esperienze di studio e ricerca in campo gramsciano, e ne
determinò in modo forte la vocazione, caratterizzandola anche rispetto al progetto di una
Edizione nazionale degli scritti. La IGS era (ed è) infatti un’esperienza nella quale l’auto-
organizzazione di gruppi di studiosi in varie parti del mondo ridefinisce profondamente il
carattere “politico” dell’interesse per il pensatore sardo. Questo carattere non è
cancellato, forse è anzi addirittura esaltato dalla natura “orizzontale” dell’associazione;
ma allo stesso tempo è reso impossibile il collegamento tra IGS e partiti politici
determinati.
5 Diversa è l’origine del progetto dell’Edizione nazionale. Esso nasce nel contesto della
Fondazione Istituto Gramsci, che fin dall’inizio ne è stata il centro di coordinamento e di
impulso. Il presupposto ideale dell’intero progetto può essere messo a fuoco se si pensa al
carattere di una Edizione nazionale, stabilita con decreto del Presidente della Repubblica
per quegli autori che sono considerati particolarmente rappresentativi della cultura
dell’intera “nazione”. La replica alla fine del nesso tra PCI e ricerca gramsciana, e
successivamente alla fine dello stesso PCI e alla serie delle successive trasformazioni di
ciò che ne è risultato, è stata pertanto, da questo versante maggiormente “istituzionale”,
la volontà di trasformare Gramsci in un “classico” della cultura italiana, allo stesso titolo
di Dante, Machiavelli, Galilei, Vico, Leopardi, Manzoni. Anche in questo caso, come in
quello della IGS, la politicità del lavoro su Gramsci non è neutralizzata, ma spostata su un
altro livello. Infatti la determinazione di quali siano i punti di riferimento “fondanti” di
una cultura nazionale possiede una rilevanza politica di fondo, dato che incide sulle
grandi scelte ideali che si riassumono nella costituzione di un “modello” da proporre per
l’educazione delle nuove generazioni.
6 2. Riassumendo, potremmo dire che l’ultimo venticinquennio della ricerca su Gramsci in
Italia è raffigurabile come una lenta “risalita” verso la superficie, a partire da un
improvviso sprofondamento creatosi per la fine di un intero ciclo della storia nazionale.
Questa “risalita” è oramai da qualche anno giunta al suo termine, e si può dire che oggi si
procede di nuovo in piena luce. Di questo fatto si possono qui elencare alcune cause, solo
in parte fortuite. Anzitutto, occorre precisare che l’attività della IGS Italia (cioè della
sezione italiana della IGS) e quella della Fondazione Istituto Gramsci si sono, almeno a
partire dall’inizio degli anni Duemila, spesso incrociate e sovrapposte. Le numerose
collaborazioni ne sono la testimonianza9; ma più in particolare i cicli di seminari
organizzati a partire dal 2001 dalla IGS Italia, prima sul Lessico dei «Quaderni del carcere»,

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quindi su La storia dei «Quaderni del carcere» (quest’ultimo è tutt’ora in corso), sono legati a
una prospettiva di “ritorno ai testi” e di rinnovamento dello studio di Gramsci su basi più
rigorosamente storico-critiche, la quale rinvia direttamente (e fatte salve le divergenze su
aspetti particolari) allo spirito dell’Edizione nazionale.
7 In questo modo, sia nell’ambito della IGS Italia, sia in quello dell’Edizione nazionale si
sono venute formando nuove generazioni di studiosi di Gramsci, le quali hanno accolto
come esigenza fondamentale quella «provvista di scrupoli metodici» e quell’«abito di
severa disciplina filologica» che egli attribuiva a sé stesso come eredità dei suoi «studi
universitari»10. Del contributo dato da queste giovani generazioni esistono testimonianze
in varie pubblicazioni11; ma più in generale questa nuova stagione si riflette in un volume
– Le parole di Gramsci, del 200412 – che raccoglie i risultati del già ricordato seminario sul
lessico dei Quaderni, e nel monumentale Dizionario gramsciano 1926-1937 del 2009 13, che
comprende 626 voci di 59 collaboratori. In queste due pubblicazioni le generazioni si sono
intrecciate e sovrapposte, e il mondo degli studi su Gramsci ha potuto constatare di prima
mano a quali risultati il nuovo approccio poteva condurre, in termini non solamente di
una nuova capacità di storicizzare e contestualizzare14, ma di adottare il criterio del
«ritmo del pensiero», da Gramsci additato nei Quaderni del carcere come chiave di accesso
per una ricostruzione realistica del pensiero di Marx, applicandolo allo stesso Gramsci 15.
8 In questo senso, di una ricostruzione diacronica del pensiero di Gramsci nei Quaderni del
carcere, in modo da ritrovarne il significato di opera in fieri, non conclusa, aperta verso un
“mondo” con il quale il pensiero del prigioniero costantemente si misura, la grande
discontinuità è stata rappresentata dalla pubblicazione dell’edizione critica nel 1975,
nella quale il curatore, Valentino Gerratana, restituiva i “quaderni” secondo l’ordine nel
quale furono effettivamente scritti. Tuttavia il modo in cui quella edizione poteva essere
effettivamente valorizzata e trasformata in una base di studio che conducesse anche oltre
di essa, è stato mostrato dal libro L’officina gramsciana, pubblicato nel 1984 da Gianni
Francioni16. Grazie all’Officina, la “filologia gramsciana”, nella parte che riguarda i
Quaderni, ha ricevuto una solida fondazione metodologica, e sulla base di ciò è stata
prodotta una prima serie di ipotesi ermeneutiche, successivamente riviste e aggiornate 17,
che sono ora alla base della nuova edizione critica dei Quaderni del carcere, in corso di
pubblicazione nell’ambito dell’Edizione nazionale18.
9 Il lavoro all’Edizione nazionale ha più in generale prodotto una svolta filologica molto
marcata in tutto l’ambito dello studio di Gramsci. Anche nel caso dell’epistolario e degli
scritti giornalistici e politici, si sono sviluppate competenze nuove e specifiche, spesso
appannaggio di generazioni nuove di studiosi, che stanno rivoluzionando in buona parte
l’immagine che i precedenti tentativi editoriali ci avevano consegnato19. Anche su questo
terreno, dunque, il lavoro su Gramsci ha avuto importanti ricadute sul piano della
formazione di una nuova generazione di ricercatori.
10 3. Quella che abbiamo proposto di raffigurare come una lenta “risalita” verso la
superficie, può anche essere vista come la preparazione “di lunga lena” delle condizioni
alle quali un eventuale “ritorno” di Gramsci nella cultura italiana non debba riproporsi
nei termini di una fragile e passeggera “moda”. Il lavoro di studio testuale, lo sviluppo di
nuovi strumenti filologici ed ermeneutici, la diffusione di un approccio che prende le
mosse dalla storicizzazione e dalla contestualizzazione: tutto ciò rappresenta un argine
rispetto ad attualizzazioni estemporanee, ma non rifiuta la sfida dell’“attualità”. Intende
semmai proporne una modalità criticamente avveduta, capace di andare oltre gli
stereotipi negativi o positivi.

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11 Ma questo lavoro non avrebbe potuto avere il successo e il riscontro che sta avendo20, se
non si fosse incontrato, a un certo punto, con un fenomeno di diversa origine e di altra
natura. Ci riferiamo al “ritorno” di Gramsci in Italia attraverso l’introduzione e spesso la
traduzione di numerosi testi di autori appartenenti a correnti di studio sviluppatesi
sopratutto in ambito anglofono, ma in luoghi geograficamente anche molto diversi, e che
vanno dagli studi culturali a quelli subalterni e postcoloniali, dalla teoria del discorso a
quella delle relazioni internazionali, dalla riflessione sul nuovo ruolo degli intellettuali ai
dibattiti sulla società civile e la funzione dell’“egemonia”. In tutti questi casi – e in altri
ancora – il pensiero di Gramsci ha svolto un ruolo centrale, spesso combinandosi con
approcci anche assai distanti, come l’analisi foucaultiana del potere, dei processi di
“soggettivazione” e delle strategie discorsive, e più in generale nozioni tratte
dall’arsenale del decostruzionismo e del postmodernismo21. L’arrivo, negli ultimi anni, in
Italia di questi autori e di queste tematiche ha generato a sua volta una sorta di
ritraduzione di Gramsci nella lingua di origine: di un Gramsci, beninteso, filtrato
attraverso ottiche assai distanti da quelle del suo originario “storicismo assoluto”.
12 A sua volta, questa irruzione di tematiche gramsciane di tipo del tutto nuovo, rispetto alle
vecchie questioni che tradizionalmente giravano intorno all’analisi del suo pensiero, ha
favorito una nuova diffusione di interesse presso ambienti intellettuali italiani che
tradizionalmente erano avversi allo storicismo, con tentativi, a nostro avviso discutibili,
di “provincializzare” – su questa fragile base – tutta la tradizione critica italiana 22. Non è
questa la strada che a nostro avviso va percorsa, se non altro, perché porre la questione in
tal modo equivale a produrre due campi reciprocamente impermeabili a qualsiasi tipo di
scambio. Riteniamo invece che sussista l’occasione concreta per una riaffermazione di
una prospettiva “gramsciana” in buona parte nuova rispetto a quella degli anni classici
della sua fortuna in Italia, ma che nasca non da ibridazioni nascenti da letture
necessariamente distanti e superficiali, ma esattamente dal contrario di ciò: da un uso
degli strumenti nel frattempo messi a punto e dei risultati raggiunti dalla nuova ricerca
italiana. Solo così un dialogo può diventare possibile, e la questione dell’“attualità” del
pensiero di Gramsci essere formulata nuovamente.
13 4. Il numero di «Laboratoire italien» che qui si presenta costituisce un contributo in
questa direzione, in un momento nel quale alcuni segnali concreti di un ritorno di
interesse per il pensiero di Gramsci nella cultura francese iniziano a manifestarsi 23.
Questo fascicolo, in concreto, aspira a essere una mediazione per il pubblico francese
delle acquisizioni alle quali la ricerca italiana su Gramsci è giunta negli ultimi venticinque
anni, e di cui si è ampiamente parlato nelle pagine precedenti.
14 Con questo obbiettivo in mente, abbiamo individuato tre assi lungo i quali selezionare i
nostri interlocutori e costruire un indice. Nella prima sezione – «Philologie» – abbiamo
raccolto una documentazione pressoché completa e aggiornata sullo stato di
avanzamento dell’Edizione nazionale; nella seconda sezione – « Outils » – il lettore
troverà alcuni contributi su temi e aspetti del pensiero di Gramsci, riletti alla luce delle
acquisizioni di merito e di metodo più recenti; la terza sezione – « Bilan » – ospita infine
un’ampia panoramica complessiva di Giuseppe Vacca, che fa il punto sulle più
significative interpretazioni di Gramsci prodottesi in Italia negli ultimi anni.
15 La prima sezione è aperta da un amplissimo contributo di Gianni Francioni, nel quale il
curatore della nuova edizione critica del magnum opus gramsciano, i Quaderni del carcere,
fa il punto sul proprio quarantennale (il suo primo contributo risale al 1977) lavoro di
ricerca sulla struttura, lo statuto e la datazione dei testi che compongono i Quaderni.

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Questo testo può considerarsi il più accurato e definitivo che Francioni abbia dedicato a
questo argomento, e si colloca direttamente a ridosso della pubblicazione del secondo
volume della nuova edizione dei Quaderni, che apparirà nel 2017 e conterrà i Quaderni
miscellanei. In esso tutte le questioni relative al processo materiale di scrittura, alla
struttura e alla datazione dei manoscritti del carcere sono affrontati in modo esaustivo,
tanto da potersi dire che questo saggio rappresenta una riscrittura del libro L’officina
gramsciana, qui già precedentemente menzionato. Il saggio di Francioni è affiancato da
uno di Giuseppe Cospito, nel quale si ricostruiscono le ricerche e le discussioni che hanno
condotto alla proposta di realizzare una nuova edizione critica dei Quaderni, si esaminano
le caratteristiche che la differenziano rispetto alla precedente, di V. Gerratana, e si
prende posizione su tutti i punti controversi legati a questa scelta. Di grande utilità è
l’appendice del saggio di Cospito, che presenta l’ordinamento definitivo della nuova
edizione critica e la più aggiornata ipotesi di datazione di tutte le note dei Quaderni.
16 Completano la sezione due saggi, di Maria Luisa Righi e di Eleonora Lattanzi,
rispettivamente dedicati all’edizione degli Scritti 1910-1926 e a quella dell’Epistolario. Nel
suo contributo Righi ricostruisce in dettaglio le due precedenti edizioni degli scritti pre-
carcerari di Gramsci, la prima, realizzata tra il 1954 e il 1971, e la seconda, avviata nel
1980 e interrotta (con il volume dedicato agli scritti del 1919-1920) nel 1987. Entrambe
queste edizioni presentano limiti oramai più che evidenti: il carattere spesso trascurato
della trascrizione, peraltro non riscontrata sugli originali dal curatore della seconda
edizione; la presenza oggi accertata di numerosi apocrifi e di altrettanti testi mancanti; la
tendenza a normalizzare e rendere omogenea la lingua di Gramsci. Sono in parte
questioni di dettaglio, ma il loro complesso è destinato a rivoluzionare in buona parte
l’immagine che oggi abbiamo, sopratutto del giovanissimo giornalista socialista. È il caso
della sua ricca e variegata attività come critico musicale, un tratto quasi del tutto
misconosciuto nelle precedenti edizioni, e che oggi, invece, ci presenta una personalità
decisamente più originale e anticonformista, con tratti di netto “avanguardismo”,
rispetto a quella finora accettata24.
17 L’articolo di Eleonora Lattanzi sull’epistolario fa il punto su di una situazione complessa,
fittamente intricata e fino a oggi (con una sola eccezione: l’epistolario tra Gramsci e
Tatiana Schucht del 1926-1935)25 trattata in maniere molto distanti dai criteri scientifici
di edizione. Ciò che finora era disponibile erano infatti solamente le lettere di Gramsci,
mentre i volumi già apparsi dell’epistolario (che coprono il periodo 1910-novembre 1923)
«dimostrano quanto il reinserimento della corrispondenza nella trama originaria e la
restituzione del dialogo fra i corrispondenti siano necessari per la ricostruzione della
biografia di Gramsci e concorrano a demolire certezze lungamente sedimentate». La
difficoltà presentata dal reperimento di originali prodotti in circostanze, periodi e luoghi
assai diversi (tanto che in diversi casi essi sono andati perduti e si è dovuto fare ricorso
alle trascrizioni esistenti) non ha però impedito di individuare numerose nuove lettere,
che contribuiranno anche in questo caso a precisare e a innovare in modo sostanziale la
nostra immagine di Antonio Gramsci.
18 La seconda sezione del fascicolo è dedicata a fare il punto su alcuni dei temi nuovi (o sulle
nuove declinazioni di temi già presenti in precedenza), per come sono emersi nelle
ricerche italiane degli ultimi decenni. Abbiamo qui un contributo di Romain Descendre e
Jean-Claude Zancarini su uno dei concetti che negli ultimi tempi ha conosciuto gli
sviluppi critici maggiormente innovativi, quello di “traducibilità”, uno di Chiara Meta sul
rapporto di Gramsci con il pragmatismo e le avanguardie dei primi del Novecento, uno di

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Giancarlo Schirru sulla linguistica, uno di Alessio Gagliardi in cui si fa il punto


storiografico sull’interpretazione gramsciana del fascismo, uno di Fabio Frosini sul
rapporto tra autocensura e analisi politica del mondo attuale nel Quaderni e uno di Pierre
Girard su Gramsci e Vico.
19 Il saggio di Romain Descendre e Jean-Claude Zancarini ricostruisce la genealogia del
concetto di traducibilità. Centrale e potente, questo strumento euristico fa la sua
apparizione nei Quaderni pur essendo il risultato di un processo che li precede e che, lungi
dall’essere lineare, va capito nella sua complessità e storicità. Vanno considerati in
particolare il dibattito sull’esperanto nel gennaio 1918, la metafora della rivoluzione
come “traduzione” del pensiero marxista nella realtà, o ancora la “traduzione” in Italia
dell’esperienza russa attraverso i consigli di fabbrica. Nei Quaderni la metafora diventa
l’elemento centrale di una completa rifondazione del marxismo, elaborata fin dai primi
Appunti di filosofia, strumento di emancipazione teorica e politica dalla stessa esperienza
russa. Il saggio evidenzia l’importanza, in questa impresa, di alcuni testi considerati come
fondamentali, non solo di Karl Marx (Tesi su Feuerbach e Sacra famiglia) ma anche di
Antonio Labriola. Due momenti si rivelano decisivi: i mesi di ottobre e novembre 1930,
quando il ripensamento del marxismo a partire dall’idea di traduzione serve sia a
combattere gli schematismi che conducono a vedervi una divisione artificiale del reale tra
noumeni economici e apparenze ideologico-politiche (Croce), sia ad allontanarlo da ogni
riduzione dogmatica a logica astratta o esperanto teorico (Bucharin); e l’anno 1932,
quando la nozione di traducibilità permette di pensare la «riduzione» di tutte le filosofie
«a momento della vita storico-politica» e di ridefinire la filosofia della praxis come unità
radicale di teoria e pratica.
20 Nel suo contributo Chiara Meta ricostruisce la fitta trama di corrispondenze e influenze
che unisce Gramsci a quella che si può chiamare, con un termine volutamente ampio, la
“cultura pragmatistica”, cioè a quella serie di elementi teorici che, tra Italia, Francia e
Inghilterra, tra la fine del secolo XIX e il principio del XX, percorrono l’epistemologia, la
psicologia, la teoria della storia e la riflessione sullo statuto della scienza e della realtà
economica, e a cui ad esempio neanche un filosofo come Benedetto Croce fu estraneo.
Questa cultura rappresenta, per il Gramsci del periodo che va almeno fino al 1917, un
punto di riferimento essenziale, una sorta di vocabolario e di grammatica, che egli
liberamente utilizza – senza remore di tipo “puristico” e senza preoccuparsi di alcuna
ortodossia – per esprimere ciò che maggiormente gli sta a cuore, vale a dire le questioni
che ruotano attorno alla lotta del proletariato per la sua emancipazione.
21 Il contributo di Giancarlo Schirru su linguistica e filosofia della praxis si profila su di uno
sfondo caratterizzato dalla tendenza a considerare o il marxismo di Gramsci – in quanto
attento alle sovrastrutture – un marxismo “occidentale”, e dunque la sua linguistica in
accordo con questo tipo di marxismo “spurio”, ovvero, in modo più radicale, il suo
preteso marxismo come una sottile crosta che maschera la vera natura del suo pensiero,
consistente in una linguistica di tipo idealistico e liberale. Queste due tesi, che hanno a
lungo dominato la discussione, sono entrambe rigettate, in favore di un ragionamento che
per un verso rintraccia le origini della linguistica marxista di Gramsci nel pensiero di
Antonio Labriola, per un altro mostra come la linguistica rappresenti un punto di
incontro e poi di contatto permanente di Gramsci con la discussione sovietica, in
particolare sul terreno socio-linguistico, in relazione alla costituzione multinazionale
della Russia e poi della federazione sovietica: una discussione viva proprio nel periodo in
cui Gramsci soggiornò a Mosca. Su queste basi, Gramsci spinge il marxismo verso territori

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ancora inesplorati, e lo fa fissando – nota Schirru – un nesso preciso tra la logica di Hegel
e l’economia politica, quando afferma che la filosofia della praxis è uguale a Hegel
+ Davide Ricardo. Il significato di questa singolare “equazione” è, secondo Schirru, il
modo in cui Gramsci interpreta il celebre passo di Marx, nel Poscritto alla seconda edizione
del primo libro del Capitale, sul “rovesciamento” della dialettica di Hegel. Secondo
Gramsci, il “rovesciamento” va compiuto non liquidando come “falsa” e “alienata” tutta
la realtà, per cui la riappropriazione dell’“essenza” umana consisterebbe in un’inversione
radicale (è ciò che è accaduto nel marxismo – che è stato maggioritario – della
“reificazione” e della “alienazione”). Al contrario, tale “rovesciamento” consiste nel
riconoscimento della “traducibilità” di logica hegeliana ed economia politica di Ricardo,
per cui la prima possiede un carattere “realistico” e la seconda un elemento “logico”, cioè
“razionale”. Il rovesciamento è dunque una “traduzione”, che spinge a riconoscere
l’elemento di “razionalità” contenuto dentro il mondo presente, elemento che va,
mediante successive traduzioni, appropriato dalla classe operaia e sottratto al controllo
del capitalista.
22 Il titolo del contributo di Alessio Gagliardi, Tra rivoluzione e controrivoluzione, entra
immediatamente nel merito della discussione storiografica attuale sul fascismo e sul
modo in cui il modello interpretativo da Gramsci messo a punto nei Quaderni del carcere
(ma con importanti anticipazioni nei testi anteriori) si può proficuamente inserire in essa.
In una situazione – quella attuale – caratterizzata dalla crisi del paradigma antifascista
classico, del fascismo – e più in generale dei fascismi – la storiografia tende oggi a mettere
in luce le potenzialità innovative, la presa di massa, la spinta modernizzatrice, la capacità
di produrre una “religione” politica di tipo nuovo. Ma in realtà queste caratteristiche
sono già tutte presenti nel modello ermeneutico che Gramsci mette a punto in carcere. Il
fascismo appare a Gramsci «sempre più un fenomeno irriducibile alla sola dimensione
economica, risultato certamente del dominio borghese ma non privo di margini di
autonomia, capace di mettere in campo modalità di gestione del potere all’altezza dei
problemi posti dalla società di massa e in forte discontinuità con il liberalismo
ottocentesco e con il giolittismo. Per comprendere in profondità i caratteri peculiari del
fascismo, Gramsci mette a punto alcune categorie di analisi che costituiscono in alcuni
casi chiavi di lettura per la più generale interpretazione della storia d’Italia o per le
dinamiche di cambiamento delle moderne società capitalistiche».
23 Il testo di Fabio Frosini si sofferma sul rapporto, che viene considerato essenziale per la
comprensione dei Quaderni del carcere, tra autocensura e analisi politica del mondo
attuale. Che nella scrittura carceraria di Gramsci fosse presente una qualche forma di
autocensura, è un fatto registrato immediatamente, fin dalla prima edizione dei Quaderni.
Più di recente esso è stato considerato, sopratutto in relazione alle lettere, come un vero e
proprio “codice” di “decifrazione” delle comunicazioni tra Gramsci e il proprio partito (al
quale le missive spedite da Turi giungevano attraverso la catena formata da Tatiana
Schucht e Piero Sraffa). In questo contributo tale approccio è ripreso e precisato, nel
senso di mostrare come le analisi del mondo contemporaneo presenti nei Quaderni sono
tutte collegate a un progetto politico di ripensamento della strategia politica del PCI. In
particolare, si analizza il nesso tra analisi e strategia in relazione a ciò che Gramsci
chiama «americanismo e fordismo». Di questa categoria si mostra il nesso con tutta
l’indagine sulla crisi e trasformazione sul parlamentarismo, dunque sull’affermarsi di una
società “corporativa” anche fuori dell’Italia fascista, e sulla genesi di una forma nuova di

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politica, in cui le masse sono completamente organizzate e attivamente presenti dentro le


organizzazioni che lo Stato ha creato per poterle controllare.
24 Il saggio di Pierre Girard su Gramsci e Vico chiude la sezione del fascicolo. In questo
contributo, dopo una ricognizione critica dello status testuale (i riferimenti di Gramsci a
Vico sono pochi e apparentemente poco significativi), l’autore indica due direttive di
ricerca. Anzitutto, egli propone una ricostruzione del modo in cui Vico e la sua
“immagine” giungono fino a Gramsci, attraverso una intricata vicenda di mediazioni,
riproposte e interpretazioni, che passa principalmente per l’Italia e la Francia e giunge
fino a Georges Sorel, cioè a un punto molto vicino a Gramsci. In secondo luogo – e qui è il
nocciolo di questo studio – si tenta una comparazione funzionale tra il tipo di intervento
realizzato da Vico dentro il sistema di riferimenti culturali della sua epoca, e quello che
Gramsci mette in opera nei Quaderni. Su questo piano, secondo Girard si rivelano delle
sorprendenti analogie, perché «la mathesis universalis critiquée par Vico chez Descartes
a le même statut que “l’économisme”, le fatalisme, le “déterminisme” constamment
critiqués par Gramsci dans son interprétation du marxisme». In questo senso, sia tenendo
presente il carattere fortemente pratico, cioè etico e politico, della filosofia vichiana, sia
ponendo mente a una serie di analogie tra Gramsci e Vico (la nozione di filologia,
anzitutto, ma anche il rifiuto di un metodo universale, ecc.), «on pourrait peut-être
considérer l’entreprise des Quaderni comme l’application de la méthode de Vico au cas
particulier de l’Italie, et cela pour en faire également un diagnostic, permettant de
discerner les lignes d’une action politique possible».
25 La terza sezione di questo fascicolo ospita, come detto, un saggio di Giuseppe Vacca
intitolato Les études récentes sur Gramsci en Italie. In esso si ripercorrono in forma
panoramica le discussioni più recenti, nelle quali la pubblicazione di nuovi documenti, o
le nuove edizioni di documenti già noti, si intrecciano con una discussione critica che, sia
pure tra molte oscillazioni e divergenze interpretative, presenta una caratteristica
comune che si può sintetizzare in due punti, rispettivamente di metodo e di merito. Sul
primo terreno, si registra l’affermazione della diacronia come punto-chiave irrinunciabile
per intendere il pensiero di Gramsci in ogni momento della sua vita. Il “sistema” di
categorie adottato da un pensatore che, in modi e forme diverse, fu sempre a contatto con
la storia del suo tempo in un’attitudine attiva, volta all’intervento e al progetto
strategico, non può essere compreso se si pretende di irrigidirlo in un blocco
autosufficiente, ma neanche se lo si scioglie nel succedersi di “occasioni” e “casi” sempre
nuovi. Sul piano della teoria, in Gramsci sussiste una tensione tra persistenza e
innovazione, che va affrontata con delicatezza e prudenza. Sul piano del merito, l’insieme
dei contributi esaminati da Vacca hanno «tous à l’esprit que Gramsci fut “un théoricien
de la politique mais surtout [...] un praticien politique c’est-à-dire un combattant”, et que
c’est “dans la politique qu’il faut rechercher l’unité de [sa] vie : son point de départ et son
point d’arrivée”»26. Ma, allo stesso tempo, «Les auteurs dont nous nous occuperons
partagent aussi la conviction que la figure de Gramsci “transcende la simple histoire” du
Parti communiste italien et représente “un nœud, de pensée autant que d’action, dans
lequel tous les problèmes de notre temps sont présents et se mêlent”»27.
26 5. Nel 1997, dando alle stampe una parziale raccolta degli scritti da lui dedicati a Gramsci,
Valentino Gerratana poneva ad exergo dell’introduzione una celebre definizione di Italo
Calvino: «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire» 28. In
questo modo Gerratana, che in quel momento guardava all’intera vicenda della fortuna di
Gramsci a partire da una svolta (il 1989) che gli sembrava decisiva e definitiva,

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Introduzione 9

interponeva tra il presente e quel passato un singolare diaframma critico. La classicità di


un autore, intesa come sempre rinnovata capacità di parlare a nuove generazioni, è
infatti un’idea ingannevolmente chiara. Essa mette sì al riparo il testo da una perdita di
contatto con il presente, ma lascia del tutto impregiudicato il modo in cui questo contatto
si possa ogni volta rinnovare. L’idea – che è presente nel testo di Calvino e che compare,
in definitiva, anche in quello di Gerratana – è che il “classico” è quel luogo del tempo
presente che non si lascia ridurre a questa dimensione, pur essendone integralmente una
parte; e che questo rapporto tra “classico” e “presente” non può essere completamente
spiegato. Ma mentre per Calvino, la classicità è quella zona di “gratuità” che si conserva
entro una rete coerente di relazioni funzionali, per Gerratana, la forma di una possibile
“classicità” di Gramsci doveva partire – in modo ben più drammatico – dalla sua
«insofferenza [...] per la mancanza di sobrietà e di ordine intellettuale»29, mentre era
diventata indispensabile una «lettura selettiva dei Quaderni», perché «Gramsci da solo non
regge»30.
27 Le considerazioni che abbiamo svolto all’inizio di questa Introduzione, sulla trasformazione
di Gramsci in un “classico” della cultura italiana, contengono anche queste inflessioni.
Sottoporre gli scritti del capo del Partito Comunista d’Italia alla lente d’ingrandimento di
un dizionario di più di seicento voci, o passarlo per il sottile crivello ecdotico di una
“edizione nazionale”, vuole pertanto dire certamente l’avvio di una stagione, nella quale
la sua “eredità” è oramai considerata patrimonio dell’intera umanità; ma anche, allo
stesso tempo, implica il riconoscimento del fatto che la “presenza” di Gramsci nel mondo
attuale è un elemento innegabile ma anche “irriducibile” a una presenza piena,
immediata. È con questa doppia consapevolezza, che questo fascicolo di «Laboratoire
italien» è stato progettato e approntato.
28 A questo proposito vorremmo però spingerci più oltre, e ricordare che l’avvio di questa
nuova fase della fortuna di Gramsci, se ha preso le mosse dall’idea di una sua possibile
“classicità”, sta però producendo risultati che in qualche modo – questa è la nostra
impressione – la rimettono almeno in parte in discussione, perché riaprono un dialogo di
Gramsci con la nostra contemporaneità, che è di carattere più diretto e immediato. Se
queste nuove ricerche hanno, nel loro complesso, dato un primo risultato, esso può infatti
essere riassunto in due questioni strettamente intrecciate. Da una parte, è apparso in
tutta la sua evidenza il carattere intrinsecamente politico del pensiero di Gramsci:
“politico”, nel senso di un pensiero che sempre, anche nei Quaderni del carcere, intende
essere una ipotesi di elaborazione strategica attuale e che, pertanto, trova nella “pratica”
non un oggetto sul quale “riflettere” ma una parte essenziale di sé in quanto “pensiero”.
29 In secondo luogo, si è chiarito in che misura Gramsci sia un uomo dei “tempi nuovi”: un
uomo, cioè, che intuisce le straordinarie trasformazioni che il mondo stava subendo come
conseguenza di dinamiche europee e mondiali che avevano trovato nella Grande guerra
un punto di annodamento e in qualche modo anche di “catastrofe”, nell’antico senso
drammatico di una “rivelazione” che porta a conclusione una vicenda. Quando scriveva i
Quaderni, Gramsci era convinto del fatto che i contenuti e le forme della politica stessero
conoscendo un “rivolgimento” fortissimo, e che questo rivolgimento avrebbe avuto,
presto o tardi, ripercussioni in tutti gli aspetti e i momenti della vita. In sintesi, egli
riteneva che – come conseguenza della “catastrofe” bellica – un’intera nuova fase della
storia mondiale si stesse aprendo, nella quale l’apporto “individuale” (inteso
letteralmente, e anche come individualità “nazionale”) sarebbe stato destinato a passare
in secondo piano, rispetto alla dimensione di “piano”, di “pianificazione” e

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Introduzione 10

“razionalizzazione”, e di produzione di sempre nuovi e più organici “conformismi”. Ma


Gramsci era convinto – e questa sua convinzione ne fa spiccare la posizione all’interno del
mondo dei regimi totalitari – che questo nuovo “livello” della politica creasse possibilità
prima impensabili per una reale democratizzazione dell’intera vita sociale, proprio nel
momento in cui approfondiva enormemente la penetrazione della politica nella vita
privata, sia in forme aperte, come i controlli polizieschi e amministrativi, sia in forme
larvate e striscianti, come la nuova e organizzata presenza della “cultura” in quanto
funzione di “controllo” e non più solamente di espressività individuale.
30 La compresenza di questi due aspetti – aumento del controllo e aumento delle
potenzialità di democratizzazione – era motivata per Gramsci dal fatto che solamente
dando una “forma” all’iniziativa politica delle masse popolari, le classi dominanti
potevano riuscire a “neutralizzare” gli esiti della loro iniziativa31. A partire dal
riconoscimento di questa dialettica, prende forma nei Quaderni del carcere la messa a
punto di una serie di categorie – egemonia, rivoluzione passiva, crisi organica,
intellettuali, rapporti di forze, “analisi delle situazioni”, “traducibilità dei linguaggi” – il
cui insieme può fornire valide indicazioni per un’analisi critica anche del mondo attuale,
se è vero che la questione della “democrazia” non ha perso la propria attualità, né la
politica ha smesso di contenere dentro di sé spinte contrastanti e in ultima analisi
inconciliabili.

NOTE
1. L’idea di fondare la International Gramsci Society fu lanciata per la prima volta nel
1987, in occasione del convegno Modern times. Gramsci e la critica dell’americanismo (cfr. Per
un’associazione internazionale di studi su Gramsci – The International Gramsci Society, in Modern
times. Gramsci e la critica dell’americanismo, Atti del convegno internazionale, Roma,
20-22 novembre 1987, a cura di G. Baratta e A. Catone, Milano, Diffusioni ’84, 1989,
pp. 484-486) e ripresa nel convegno Gramsci nel mondo (cfr. Gramsci nel mondo, Atti del
Convegno internazionale di studi gramsciani, Formia, 25-28 ottobre 1989, a cura di
M. L. Righi, Roma, Fondazione Istituto Gramsci, 1995). Per l’Edizione nazionale degli
scritti di Antonio Gramsci, cfr. «IG Informazioni. Trimestrale della Fondazione Istituto
Gramsci di Roma», 2, 1992, che raccoglie i materiali di un seminario organizzato
dall’Istituto Gramsci di Roma su questo progetto. Il seminario fu organizzato da G. Vacca;
in esso tennero relazioni G. Francioni, M. Ciliberto, F. De Felice, L. Mangoni, V. Gerratana;
alla successiva discussione parteciparono anche N. Badaloni, S. Caprioglio, G. Vacca,
R. Martinelli, D. Ragazzini, R. Medici, L. Borghese, J. A. Buttigieg, L. Canfora, L. Paggi e
M. Mustè.
2. Se ne vedano gli atti in La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli anni Settanta e
Ottanta, a cura di G. Vacca, Roma, Carocci, 2015.
3. In ambito filosofico si veda l’importante volume Crisi della ragione. Nuovi modelli nel
rapporto tra sapere e attività umane, a cura di A. G. Gargani, Torino, Einaudi, 1979.

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Introduzione 11

4. Questa centralità fu a sua volta il frutto di una complessa operazione politico-culturale


realizzata da Togliatti all’interno del PCI e nel rapporto tra questo e gli intellettuali di
sinistra in Italia. Cfr. F. CHIAROTTO, Operazione Gramsci: alla conquista degli intellettuali
nell’Italia del dopoguerra, Milano, Mondadori, 2011. Sull’attività di Togliatti come editore di
Gramsci, ciò che costituì la “base” per quella “operazione”, cfr. Togliatti editore di Gramsci,
a cura di C. Daniele, Introduzione di G. Vacca, Roma, Carocci, 2005 (Annali della
Fondazione Istituto Gramsci, XIII).
5. Cfr. G. LIGUORI, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche. 1922-2012, nuova
edizione riveduta e ampliata, Roma, Editori Riuniti, 2012, cap. VIII.
6. È il titolo del capitolo cit. alla nota precedente: Dieci anni «a luci spente» (1978-1986).
7. V. GERRATANA, Gramsci nel mondo, «Emigrazione Filef», XIX, 8-9, 1987, p. 5
8. Ibidem.
9. Spicca in questo senso la co-organizzazione del convegno del 2007 Gramsci le culture e il
mondo (cfr. Gramsci le culture e il mondo, a cura di G. Schirru, Roma, Viella, 2009). Nel 2017 è
previsto lo svolgimento, a Roma, di un convegno internazionale co-organizzato da IGS-
Italia e Fondazione Istituto Gramsci, dal titolo Egemonia e modernità. Il pensiero di Gramsci in
Italia e nella cultura internazionale.
10. Lettera di A. Gramsci a T. Schucht del 3 agosto 1931, in A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere
1926-1935, a cura di A. Natoli e C. Daniele, Torino, Einaudi, 1997, p. 750.
11. Cfr. sopratutto Valentino Gerratana «filosofo democratico», a cura di E. Forenza e
G. Liguori, Roma, Carocci, 2011 e Domande dal presente: studi su Gramsci, a cura di L. Durante
e G. Liguori, Roma, Carocci, 2012.
12. Le parole di Gramsci, a cura di F. Frosini e G. Liguori, Roma, Carocci, 2004.
13. Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di G. Liguori e P. Voza, Roma, Carocci, 2009.
14. In questo senso è esemplare il convegno organizzato nel 2007 a Bari e Turi dalla
Fondazione Istituto Gramsci su Gramsci nel suo tempo. Cfr. Gramsci nel suo tempo, a cura di
F. Giasi, Roma, Carocci, 2008.
15. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di
V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 419. La frase intera è la seguente: «La ricerca del
leit-motiv, del ritmo del pensiero, più importante delle singole citazioni staccate». Cfr. in
questa direzione G. COSPITO, Il ritmo del pensiero. Per una lettura diacronica dei «Quaderni del
carcere» di Gramsci, Napoli, Bibliopolis, 2011.
16. G. FRANCIONI, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni del carcere»,
Napoli, Bibliopolis, 1984.
17. Cfr. in particolare G. FRANCIONI, Proposte per una nuova edizione dei «Quaderni del carcere».
(Seconda stesura), «IG Informazioni. Trimestrale della Fondazione Istituto Gramsci di
Roma», 2, 1992, pp. 85-186; ID., Come lavorava Gramsci, in A. GRAMSCI, Quaderni del carcere.
Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni, vol. I, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, 2009, pp. 21-60. Per una puntualizzazione attuale sullo status
quaestionis cfr. G. COSPITO, L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere, in questo fascicolo.
18. L’edizione dei Quaderni è diretta da Francioni. Finora ne è stato pubblicato il primo
volume: A GRAMSCI, Quaderni del carcere; vol. I: Quaderni di traduzioni (1929-1932), 2 tomi, a
cura di G. Cospito e G. Francioni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2007.

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Introduzione 12

19. Oltre al primo volume dei Quaderni del carcere, sono stati ad oggi pubblicati: A. GRAMSCI
, Epistolario; vol. I: Gennaio 1906-dicembre 1922 , a cura di D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto
Voghera e M. L. Righi, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2009; vol. II: Gennaio-
novembre 1923, a cura di D. Bidussa, F. Giasi e M. L. Righi, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, 2011; A. GRAMSCI, Scritti 1910-1926; vol. II: Scritti 1917, a cura di L. Rapone, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana, 2015. Sono stati inoltre pubblicati, in 18 volumi, nel
2009, i Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni, cit.
Quest’ultima edizione non fa parte direttamente dell’Edizione nazionale, ma ne
accompagna il progetto. Segnaliamo infine la recentissima pubblicazione del primo
volume di Documenti dell’Edizione Nazionale: A. GRAMSCI, Documenti 1. Appunti di
glottologia 1912-1913, a cura di G. Schirru, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016.
20. Un indice di questo successo è, ex contrario, il moltiplicarsi, negli ultimi anni, nel
panorama italiano di libri scandalistici e sensazionalistici (tra loro peraltro assai
diseguali, per serietà e impegno), dedicati, più che al pensiero di Gramsci, ad aspetti della
sua vicenda carceraria, riletta attraverso la chiave di lettura del complotto e del
tradimento. Cfr., tra tutti, F. LO PIPARO, I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il
labirinto comunista, Roma, Donzelli, 2012; L. CANFORA, Gramsci in carcere e il fascismo, Roma,
Salerno, 2012; ID., Spie, Urss, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Roma, Salerno, 2012; G. FABRE,
Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato, Palermo, Sellerio, 2015. Rattrista peraltro
constatare che fra la messe dei libri italiani dedicati a Gramsci in questi ultimi anni,
l’unico a essere stato tradotto e diffuso in Francia sia quello, del tutto campato in aria, di
Lo Piparo. Questo numero di «Laboratoire italien», così come il numero di «Actuel Marx»
citato infra (nota 23), intende contribuire a riequilibrare in una direzione scientificamente
valida le pubblicazioni gramsciane in lingua francese.
21. Una tematizzazione di questo processo di ibridazione si può vedere ad es. in Gramsci
and Foucault. A Reassessment, ed. by D. Kreps, Farnham and Burlington (VT), Ashgate, 2015.
22. Alludiamo a P. CAPUZZO, S. MEZZADRA, Provincializing the Italian Reading of Gramsci, in The
postcolonial Gramsci, ed. by N. Srivastava and B. Battacharya, New York etc., Routledge,
2012, pp. 34-54.
23. Si vedano in questo senso il Colloque international: La « Gramsci Renaissance » . Regards
croisés France-Italie sur la pensée d’Antonio Gramsci, Parigi, 22-23 marzo 2013, co-organizzato
dalla Fondation Gabriel Péri, dalla Fondazione Istituto Gramsci e dal Centre d’Histoire des
systèmes de pensée moderne (http://www.gabrielperi.fr/152.html), e i due seminari che
si svolgono da più anni all’École normale supérieure di Lione (Lire les ‘Cahiers de prison’
d’Antonio Gramsci, a cura di R. Descendre e J.-C. Zancarini, http://triangle.ens-lyon.fr/
spip.php?rubrique453 ) e all’École des hautes études en sciences sociales (L’anthropologie
politique et Antonio Gramsci, a cura di R. Ciavolella e G. Rebucini, http://
enseignements-2014.ehess.fr/2014/ue/607/ ). Un primo risultato di questi seminari è il
recente numero monografico di «Actuel Marx» (57, 2015) dedicato al pensiero di Gramsci
e curato da R. Descendre, R. Ciavolella e J.-C. Zancarini. Da segnalare inoltre la recente
sintesi di uno studioso che da più di quarant’anni non ha mai cessato di dedicarsi al
pensiero di Gramsci: A. TOSEL, Étudier Gramsci, Paris, Kimé, 2016.
24. L’immagine del giovane Gramsci è stata peraltro già sottoposta a una radicale
revisione nel volume di L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal
socialismo al comunismo (1914-1919), Roma, Carocci, 2011. Rapone è anche il curatore del già
citato secondo volume degli Scritti 1910-1926, dedicato al 1917 e pubblicato nel 2015.

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Introduzione 13

25. A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, cit.


26. La citazione è tratta da P. TOGLIATTI, Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci
(appunti), in ID., La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, a cura di
M. Ciliberto e G. Vacca, Milano, Bompiani, 2014, p. 1121.
27. Per la citazione cfr. ivi, pp. 1188-1189.
28. V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. XI. La
definizione è tratta da I. CALVINO, Perché leggere i classici, in ID., Perché leggere i classici,
Milano, Mondadori, 1991, pp. 11-19. Il saggio era stato pubblicato con il titolo Italiani, vi
esorto ai classici, in «L’Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58-68.
29. V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di metodo, cit., p. XXVI.
30. Ivi, pp. XXIII-XXIV.
31. Cfr. G. VACCA, Introduzione: La lezione del fascismo, in P. TOGLIATTI, Sul fascismo, Roma-
Bari, Laterza, 2004, pp. XV-CLXVI, qui XCVII.

AUTORI
ROMAIN DESCENDRE
Professeur d'études italiennes et d’histoire de la pensée politique à l’École normale supérieure de
Lyon et membre honoraire de l’Institut universitaire de France. Il codirige le pôle « Pensée
politique et sciences sociales » de l’Unité mixte de recherche Triangle (CNRS, UMR 5206) et il est
membre du LabEx ‘CoMod’. Ses travaux portent principalement sur l’histoire de la pensée
politique italienne. Derniers ouvrages parus : A politização do mundo, Campinas - São Paulo,
Editora Unicamp, 2015; Giovanni Botero, Della ragion di Stato, edizione critica a cura di P.
Benedittini e R. Descendre, introduzione di R. Descendre, Torino, Einaudi, 2016 ; Id., Delle cause
della grandezza della città, a cura di R. Descendre, Roma, Viella, 2016. Depuis 2012 il anime à l’ENS
de Lyon, avec J.-C. Zancarini, le séminaire « Lire les Cahiers de prison d’Antonio Gramsci ». Il a
dirigé, avec R. Ciavolella et J.-C. Zancarini, le dossier « Antonio Gramsci », Actuel Marx, 57,
premier semestre 2015.

FABIO FROSINI
Chercheur en Histoire de la philosophie à l’Université d'Urbino. Il est directeur de la Ghilarza
Summer School - Scuola internazionale di studi gramsciani, membre de la commission scientifique
pour l’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, du comité garant et du comité scientifique
de la Fondazione Istituto Gramsci de Rome et du comité de direction de l’International Gramsci Society
- Italia. Ses intérêts de recherche vont de l’histoire de la philosophie de la Renaissance à celle du
marxisme, principalement italien. Parmi ses publications : Gramsci e la filosofia. Saggio sui
“Quaderni del carcere”, Rome, Carocci, 2003 (Prix international “Giuseppe Sormani” 2004, Turin) ;
La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci, Rome,
Carocci, 2010 ; Vita, tempo e linguaggio (1508-1510). L Lettura Vinciana - 17 aprile 2010, Florence,
Giunti, 2011 ; Maquiavel o revolucionário, São Paulo, Ideias & Letras, 2016.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Introduction

Romain Descendre et Fabio Frosini


Traducteur : Livia Di Ianni

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1042 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Romain Descendre et Fabio Frosini, « Introduction », Laboratoire italien [En ligne], 18 | 2016, mis en
ligne le 25 novembre 2016, consulté le 13 décembre 2016. URL : http://
laboratoireitalien.revues.org/1042

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Introduction 1

Introduction
Romain Descendre et Fabio Frosini
Traduction : Livia Di Ianni

1 1. L’approche du quatre-vingtième anniversaire de la mort d’Antonio Gramsci peut être


l’occasion de faire un bilan des dernières acquisitions de la recherche sur sa pensée. En
particulier, l’année 2017 se situe – dans une perspective italienne – à l’intérieur d’un cycle
caractérisé par un très clair regain d’intérêt pour Gramsci, d’ailleurs étonnant sous
certains aspects. Le début de ce cycle peut être approximativement fixé entre la fin des
années quatre-vingt et le début des années quatre-vingt-dix du siècle passé, et
symboliquement résumé par deux faits qui, ce n’est pas un hasard, sont de nature
scientifique et non directement politique. Nous parlons de la fondation, en 1991, de
l’International Gramsci Society et du lancement, en 1990, du projet pour l’Édition
nationale des écrits d’ Antonio Gramsci1.
2 Ces deux événements importants sont, comme on l’a dit, d’abord marqués par une forte
caractérisation scientifique, plus que politique, ce qui n’est pas fortuit. Ils sont en effet, à
leur tour, lisibles comme des réactions à ce qui advint dans la décennie précédente – ou
plus précisément lors des quinze dernières années –, c’est-à-dire l’éloignement progressif
du Parti communiste italien (PCI) de l’héritage idéal que désignait le nom de Gramsci. Ce
passage, qui se répartit en réalité tout au long des années soixante-dix et qui, dans la
décennie suivante, connaît une accélération qui le rend évident aux yeux d’un public plus
large, se relie également à ce qui, dans un colloque récent, a été bien défini comme “la
crise du sujet”2, c’est-à-dire la crise et, à bien des égards, la dissolution de cette force
organisée – le parti politique de masse – qui, dans le quart de siècle précédent, avait
réussi à être l’acteur principal de la modernisation de la société italienne.
3 Une telle crise produisit des effets et se manifesta à différents niveaux et sous les formes
les plus variées3. Dans le domaine des études gramsciennes, étant donné que Gramsci,
surtout dans les années soixante et soixante-dix, avait été l’un des plus forts ancrages de
l’élaboration théorique interne au PCI4, cela se manifesta principalement par une
dramatique et rapide diminution d’intérêt, ce fait étant signalé par la quasi-absence de
publications d’importance au cours des années quatre-vingt5. L’International Gramsci

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 2

Society et l’Édition nationale vont donc à l’encontre de ce scénario, qui peut être résumé
comme une décennie « toutes lumières éteintes »6. Ces deux projets réagissent à un tel
état des choses en prenant acte du début d’une nouvelle étape, qu’ils interprètent de deux
façons qui ne sont certes pas parfaitement identiques mais qui ne sont pas non plus
incompatibles.
4 L’idée d’une International Gramsci Society naît au moment où, grâce également aux
contacts internationaux croissants des chercheurs italiens, la discordance devient
évidente entre l’oubli dans lequel Gramsci est plongé dans la Péninsule et
l’« extraordinaire diffusion »7 de l’intérêt qu’il suscite, surtout dans les domaines
linguistiques anglophones, lusophones et hispanophones. Celui qui enregistrait ce fait en
1987, Valentino Gerratana, ajoutait aussi que l’aspect le plus intéressant de cette diffusion
était son caractère « totalement spontané »8, soulignant ainsi l’absence d’un “sujet”
organisé capable de se faire le promoteur de cette diffusion et de la diriger.
L’International Gramsci Society apparut donc à l’intersection entre cet intérêt diffus et
l’aspiration à lui donner une forme ; aspiration qui, pour lesdites raisons, se proposa dès
le début sous la forme de la libre association entre chercheurs, sympathisants et
personnes intéressées, éparpillés dans le monde entier. La base internationale et associative
de l’IGS caractérisa donc de façon tout à fait novatrice sa nature par rapport aux
précédentes expériences d’étude et de recherche dans le domaine gramscien, et en
détermina fortement la vocation, lui donnant aussi une caractéristique propre par
rapport au projet d’Édition nationale des écrits. L’IGS était (et est encore) en effet une
expérience dans laquelle l’auto-organisation de groupes de chercheurs dans différentes
parties du monde redéfinit profondément le caractère “politique” de l’intérêt pour le
penseur sarde. Ce caractère n’est pas effacé, peut-être même est-il exalté par la nature
“horizontale” de l’association ; mais en même temps, la liaison entre l’IGS et des partis
politiques déterminés est rendue impossible.
5 L’origine du projet de l’Édition nationale est différente. Il naît dans le contexte de la
Fondazione Istituto Gramsci, qui, dès le début, en a été le centre de coordination et
d’impulsion. L’idée présidant à l’ensemble du projet peut être mise en lumière si l’on
pense au caractère même d’une Édition nationale, établie par décret du président de la
République, pour les auteurs qui sont considérés comme particulièrement représentatifs
de la culture de la “nation” tout entière. La réponse à la fin du lien entre PCI et recherche
gramscienne, et, par la suite, à la fin même du PCI et à la série des transformations
successives de ce qui en est issu, a donc été, par un mouvement principalement
“institutionnel”, la volonté de transformer Gramsci en un “classique” de la culture
italienne, au même titre que Dante, Machiavel, Galilée, Vico, Leopardi, Manzoni. Là
encore, comme pour l’IGS, la valeur politique du travail sur Gramsci n’est pas neutralisée
mais déplacée sur un autre plan. En effet, le fait de déterminer quels sont les points de
repères “fondateurs” d’une culture nationale possède une importance politique de fond,
étant donné que cela influe sur les grands choix idéaux qui se résument dans la
constitution d’un “modèle” à proposer pour l’éducation des nouvelles générations.
6 2. En résumant, on pourrait illustrer les vingt-cinq dernières années de recherche sur
Gramsci en Italie comme une lente “remontée” à la surface, à partir d’un effondrement
soudain créé par la fin d’un cycle entier d’histoire nationale. Depuis quelques années,
cette “remontée” est désormais terminée, et l’on peut dire qu’aujourd’hui on avance à
nouveau en pleine lumière. De cet état de fait, nous pouvons ici énumérer certaines
causes, qui ne sont qu’en partie fortuites. Il faut tout d’abord préciser que l’activité de

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 3

l’IGS Italia (c’est-à-dire de la section italienne de l’IGS) et celle de la Fondation Institut


Gramsci se sont, du moins à partir du début des années 2000, souvent croisées et
superposées. Leurs nombreuses collaborations en sont le témoignage9 ; mais plus
spécifiquement, les cycles de séminaires organisés à partir de 2001 par l’IGS Italia, d’abord
sur Le lexique des Cahiers de prison, puis sur L’histoire des Cahiers de prison (ce dernier étant
encore en cours aujourd’hui), sont liés à une perspective de “retour aux textes” et de
renouvellement de l’étude de Gramsci sur des bases plus rigoureusement historiques et
critiques, qui renvoient directement (si on laisse de côté les divergences sur des aspects
particuliers) à l’esprit de l’Édition nationale.
7 De cette façon, tant dans le cadre de l’ IGS Italia que dans celui de l’Édition nationale, de
nouvelles générations de chercheurs sur Gramsci se sont formées, qui ont adopté comme
exigence fondamentale ces « provisions de scrupules méthodologiques » et cette
« habitude de sévère discipline philologique » que Gramsci s’attribuait à lui-même comme
un héritage de ses « études universitaires »10. Diverses publications11 témoignent de la
contribution donnée par ces jeunes générations ; mais plus généralement, cette nouvelle
étape se reflète dans un volume – Le parole di Gramsci12, de 2004 – qui rassemble les
résultats du séminaire susmentionné sur le lexique des Cahiers, et dans un dictionnaire
monumental, le Dizionario gramsciano 1926-1937 de 2009 13, qui compte 626 articles de
59 collaborateurs. Dans ces deux publications, les générations se sont entrelacées et
superposées, et le monde des études sur Gramsci a pu constater de première main à quels
résultats la nouvelle approche pouvait mener, en termes non seulement de nouvelle
capacité à historiciser et à contextualiser14, mais aussi à adopter le critère du « rythme de
la pensée », désigné par Gramsci dans les Cahiers de prison comme clef d’accès pour une
reconstruction réaliste de la pensée de Marx, en l’appliquant à Gramsci lui-même 15.
8 Dans ce sens, celui d’une reconstruction diachronique de la pensée de Gramsci dans les
Cahiers de prison de façon à en retrouver le sens d’œuvre en devenir, non terminée, ouverte
vers un “monde” avec lequel la pensée du prisonnier se confronte constamment, la
grande rupture a été représentée par la publication de l’édition critique en 1975, dans
laquelle l’éditeur scientifique, Valentino Gerratana, restituait les “cahiers” selon l’ordre
dans lequel ils furent effectivement écrits. Cependant, la façon de valoriser et
transformer effectivement cette édition en une base d’étude qui porterait même au-delà
de celle-ci, a été démontrée par le livre L’officina gramsciana, publié en 1984 par Gianni
Francioni16. Grâce à l’Officina, la “philologie gramscienne”, dans la partie qui concerne les
Cahiers, a reçu une solide fondation méthodologique, et sur cette base une première série
d’hypothèses herméneutiques ont été produites, révisées et mises à jour par la suite 17,
hypothèses qui sont maintenant à la base de la nouvelle édition critique des Cahiers de
prison, en cours de publication dans le cadre de l’Édition nationale18.
9 Le travail de l’Édition nationale a plus généralement produit un tournant philologique
très marqué dans l’ensemble des études gramsciennes. Dans le cas de la correspondance
et des écrits journalistiques et politiques, des compétences nouvelles et spécifiques ont
été développées, lesquelles sont souvent l’apanage de nouvelles générations de
chercheurs, en train de révolutionner en bonne partie l’image que les précédentes
tentatives éditoriales nous avaient livrée19. Sur ce terrain, donc, le travail sur Gramsci a
eu d’importantes retombées sur le plan de la formation d’une nouvelle génération de
chercheurs.
10 3. Ce que nous avons proposé de représenter comme une lente “remontée” vers la surface
peut aussi être vu comme la préparation “de longue haleine” des conditions déterminant

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Introduction 4

un éventuel “retour” de Gramsci dans la culture italienne sans que ce dernier se situe à
nouveau dans le cadre d’une “mode” fragile et passagère. Le travail d’étude textuelle, le
développement de nouveaux outils philologiques et herméneutiques, la diffusion d’une
approche qui part de l’historisation et de la contextualisation : tout cela représente un
frein par rapport aux actualisations approximatives, sans pour autant se dérober au défi
de l’ “actualité”. Il s’agit tout au plus d’en proposer une modalité critiquement fondée,
capable d’aller au-delà des stéréotypes négatifs ou positifs.
11 Mais ce travail n’aurait pas pu avoir le succès et les retombées qu’il a actuellement 20 s’il
ne s’était pas confronté, à un moment donné, à un phénomène d’origine et de nature
différentes. Nous faisons référence au “retour” de Gramsci en Italie à travers
l’introduction et souvent la traduction de nombreux textes d’auteurs appartenant à des
courants d’étude qui se sont développés surtout en langue anglaise, mais aussi dans des
lieux géographiquement très différents, et qui vont des études culturelles aux études
subalternes et post-coloniales, de la théorie du discours à celle des relations
internationales, de la réflexion sur le nouveau rôle des intellectuels aux débats sur la
société civile et la fonction de l’“hégémonie”. Dans tous ces cas de figure – et dans
d’autres encore –, la pensée de Gramsci a joué un rôle central en se mêlant souvent aussi à
des approches très éloignées, comme l’analyse foucaldienne du pouvoir, des processus de
“subjectivation” et des stratégies discursives, et plus généralement de notions tirées de
l’arsenal du déconstructionnisme et du postmodernisme21. Au cours de ces dernières
années, l’arrivée en Italie de ces auteurs et de ces thématiques a elle-même engendré une
sorte de retraduction de Gramsci dans la langue d’origine : d’un Gramsci, bien entendu,
filtré à travers des optiques très éloignées de son “historicisme absolu” d’origine. À son
tour, cette irruption de thématiques gramsciennes de type complètement nouveau, par
rapport aux anciennes questions qui, traditionnellement, tournaient autour de l’analyse
de sa pensée, a favorisé un nouveau regain d’intérêt auprès des milieux intellectuels
italiens qui, en principe, étaient opposés à l’historicisme, avec des tentatives, à notre avis
discutables, de “provincialiser” – sur cette base fragile – toute la tradition critique
italienne22. Ce n’est pas, selon nous, la voie qu’il faut emprunter, notamment parce que
poser la question de cette façon équivaut à produire deux domaines réciproquement
imperméables à toute sorte d’échange. Nous pensons en revanche que subsiste une
occasion concrète pour la réaffirmation d’une perspective “gramscienne” en bonne partie
nouvelle par rapport à celle des années classiques de sa gloire en Italie, mais qu’elle
repose non sur des hybridations naissantes de lectures nécessairement distantes et
superficielles, mais qu’il faut la penser exactement à l’inverse de tout cela, à savoir en
partant d’un usage des outils entre-temps mis au point et des résultats atteints par la
nouvelle recherche italienne. De cette façon seulement, un dialogue peut devenir possible
et la question de l’“actualité” de la pensée de Gramsci peut être formulée de façon neuve.
12 4. Le numéro de “Laboratoire italien” que nous présentons ici constitue une contribution
dans cette direction, à un moment où certains signaux concrets d’un regain d’intérêt pour
la pensée de Gramsci dans la culture française commencent à se manifester 23. Ce numéro
aspire à être une médiation, pour le public français, des acquis auxquels la recherche
italienne sur Gramsci est arrivée dans les vingt-cinq dernières années, et dont nous
venons de parler.
13 En gardant à l’esprit cet objectif, nous avons identifié trois axes le long desquels
sélectionner nos interlocuteurs et construire un sommaire. Dans la première section
– “Philologie” –, nous avons rassemblé une documentation presque complète et mise à

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 5

jour sur l’état d’avancement de l’Édition nationale ; dans la deuxième section – “Outils” –,
le lecteur trouvera certaines contributions sur des thématiques et des aspects de la
pensée de Gramsci, relus à la lumière des acquis les plus récents ; la troisième section
– “Bilan” – accueille enfin une vue d’ensemble globale de Giuseppe Vacca, qui fait le point
sur les plus significatives interprétations de Gramsci produites en Italie ces dernières
années.
14 La première section commence par une très ample contribution de Gianni Francioni, dans
laquelle l’éditeur de la nouvelle édition critique du magnum opus gramscien, les Cahiers de
prison, fait le point sur son propre travail de recherche (ininterrompu depuis quarante
ans : sa première contribution remonte à 1977) sur la structure, le statut et la datation des
textes qui composent les Cahiers. Ce texte peut être considéré comme le plus
définitivement abouti de tous ceux que Francioni a consacrés à ce sujet, et il est publié
presque en même temps que le deuxième volume de la nouvelle édition des Cahiers, qui
sortira en 2017 et qui contiendra les cahiers dits miscellanei (miscellanées). Dans ce texte,
toutes les questions relatives au processus matériel d’écriture, à la structure et à la
datation des manuscrits de prison sont affrontées de façon exhaustive, si bien qu’on peut
dire que cet essai représente une réécriture du livre L’officina gramsciana, mentionné ci-
dessus. L’essai de Francioni est accompagné de celui de Giuseppe Cospito, qui reconstruit
les recherches et les discussions qui ont conduit à la proposition de réaliser une nouvelle
édition critique des Cahiers, examine les caractéristiques qui la différencie de la
précédente, celle de V. Gerratana, et prend position sur tous les points controversés liés à
ce choix. L’appendice de l’essai de Cospito est particulièrement utile : il présente
l’organisation définitive de la nouvelle édition critique et l’hypothèse la plus à jour sur la
datation de toutes les notes des Cahiers.
15 Deux essais complètent la section, ceux de Maria Luisa Righi et d’Eleonora Lattanzi,
respectivement dédiés à l’édition des Scritti 1910-1926 et à celle de l’ Epistolario
(correspondance). Dans sa contribution, Righi reconstruit en détail les deux éditions
précédentes des écrits précarcéraux de Gramsci, la première, réalisée entre 1954 et 1971,
et la deuxième, lancée en 1980 et interrompue (avec le volume dédié aux écrits de
1919-1920) en 1987. Ces deux éditions présentent des limites désormais plus
qu’évidentes : le caractère souvent négligé de la transcription, d’ailleurs non vérifiée sur
les originaux par l’éditeur de la deuxième édition ; la présence aujourd’hui certaine de
nombreux apocryphes et d’autant de textes qui manquent ; la tendance à normaliser et
rendre homogène la langue de Gramsci. Ce sont en partie des questions de détail, mais
leur ensemble est destiné à révolutionner en bonne partie l’image que nous avons
aujourd’hui du journaliste socialiste, surtout dans sa jeunesse. C’est le cas de son activité
riche et diversifiée de critique musical, un aspect presque entièrement méconnu des
éditions précédentes, et qui aujourd’hui nous présente à l’inverse une personnalité bien
plus originale et anticonformiste que celle qui était admise jusqu’à présent, avec des traits
d’“avant-gardisme” très nets24.
16 L’article d’Eleonora Lattanzi sur la correspondance fait le point sur une situation
complexe, densément enchevêtrée et jusqu’à aujourd’hui traitée de façon très éloignée
des critères d’édition scientifique (avec une seule exception : la correspondance entre
Gramsci et Tatiana Schucht de 1926-1935)25. Jusqu’à présent, seules les lettres de Gramsci
étaient en effet disponibles, alors que les volumes de correspondance déjà parus (qui
couvrent la période 1910 - novembre 1923) « démontrent combien la réinsertion de la
correspondance dans sa trame originaire et la restitution du dialogue entre les

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Introduction 6

correspondants sont nécessaires pour la reconstruction de la biographie de Gramsci et


concourent à démolir des certitudes sédimentées depuis longtemps ». La difficulté à
trouver des originaux écrits dans des circonstances, périodes et lieux très divers (à tel
point qu’à différentes occasions ils ont été perdus et qu’on a dû avoir recours aux
transcriptions existantes) n’a cependant pas empêché d’identifier de nombreuses
nouvelles lettres, qui contribueront aussi à leur tour à préciser et à innover de façon
substantielle notre image d’Antonio Gramsci.
17 La deuxième section du numéro fait le point sur certaines thématiques nouvelles (ou sur
les nouvelles déclinaisons de thématiques déjà présentes précédemment), telles qu’elles
sont apparues dans les recherches italiennes des dernières décennies. Nous avons ici les
contributions de Romain Descendre et de Jean-Claude Zancarini sur un concept ayant
connu ces dernières années les développements critiques parmi les plus innovants, celui
de “traductibilité” ; de Chiara Meta sur le rapport de Gramsci avec le pragmatisme et les
avant-gardes du début du vingtième siècle ; de Giancarlo Schirru sur la linguistique ;
d’Alessio Gagliardi qui fait historiographiquement le point sur l’interprétation
gramscienne du fascisme ; de Fabio Frosini sur le rapport entre autocensure et analyse
politique du monde actuel dans les Cahiers ; enfin de Pierre Girard sur Gramsci et Vico.
18 L’article de Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini reconstruit la généalogie du
concept de traductibilité. Cet outil heuristique, central et puissant, fait son apparition
dans les Cahiers tout en étant le résultat d’un processus qui les précède et qui, loin d’être
linéaire, doit être compris dans sa complexité et son historicité. Il faut retenir en
particulier le débat sur l’espéranto en janvier 1918, la métaphore de la révolution comme
“traduction” dans le réel de la pensée marxiste, ou encore la “traduction” en Italie de
l’expérience russe à travers les conseils d’usine. Dans les Cahiers, la métaphore devient
l’élément central d’une refondation complète du marxisme, élaborée dès les premiers
Appunti di filosofia, outils d’émancipation théorique et politique par rapport à l’expérience
russe elle-même. L’essai souligne l’importance, dans cette entreprise, de certains textes
considérés comme fondamentaux, non seulement de Karl Marx (les Thèses sur Feuerbach et
La Sainte famille) mais aussi d’Antonio Labriola. Deux moments se révèlent décisifs : les
mois d’octobre et de novembre 1930, quand la refondation du marxisme à partir de l’idée
de traduction sert d’un côté à combattre les schématismes qui conduisent à y voir une
division artificielle du réel entre noumènes économiques et apparences idéologico-
politiques (Croce), et d’un autre côté à l’éloigner de toute réduction, forcément
dogmatique, à une logique abstraite ou à un espéranto théorique (Boukharine) ; et l’année
1932, quand la notion de traductibilité permet de penser la « réduction » de toutes les
philosophies « à un moment de la vie historique et politique » et de redéfinir la
philosophie de la praxis comme une unité radicale de la théorie et de la pratique.
19 Dans sa contribution, Chiara Meta reconstruit la dense trame de correspondances et
d’influences qui unit Gramsci à ce qu’on peut appeler, par une expression volontairement
large, la “culture pragmatiste”, c’est-à-dire à cette série d’éléments théoriques qui, entre
Italie, France et Angleterre, à la fin du XIXe et au début du XXe siècle, traversent
l’épistémologie, la psychologie, la théorie de l’histoire et la réflexion sur le statut de la
science et de la réalité économique, et à laquelle, par exemple, même un philosophe
comme Benedetto Croce ne fut pas étranger. Pour le Gramsci de la période qui va au
moins jusqu’en 1917, cette culture représente un point de repère essentiel, une sorte de
vocabulaire et de grammaire qu’il utilise librement – sans qu’aucun “purisme” ne le
freine et sans qu’il ne se soucie d’aucune orthodoxie – pour exprimer ce qui importe le

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Introduction 7

plus à ses yeux, à savoir les questions qui tournent autour de la lutte du prolétariat pour
son émancipation.
20 La contribution de Giancarlo Schirru sur « linguistique et philosophie de la praxis » se
profile sur un fond caractérisé par la tendance consistant soit à considérer le marxisme
de Gramsci – en tant qu’il est attentif aux superstructures – comme un marxisme
“occidental”, et donc à voir sa linguistique en accord avec ce type de marxisme “impur”,
soit, de façon plus radicale, à considérer ce prétendu marxisme comme une fine croûte
qui masque la vraie nature de sa pensée, à savoir une linguistique de type idéaliste et
libéral. Ces deux thèses, qui ont longtemps dominé la discussion, sont toutes les deux
rejetées en faveur d’un raisonnement qui, d’une part, retrace les origines de la
linguistique marxiste de Gramsci dans la pensée d’Antonio Labriola, et d’autre part,
montre comment la linguistique représente un point de rencontre et ensuite de contact
permanent de Gramsci avec la discussion soviétique, particulièrement sur le terrain
sociolinguistique, en relation avec la constitution multinationale de la Russie puis de la
fédération soviétique : une discussion vive justement à l’époque où Gramsci séjourna à
Moscou. Sur ces bases, Gramsci pousse le marxisme vers des territoires encore inexplorés,
et il le fait – remarque Schirru – en fixant un lien précis entre la logique de Hegel et
l’économie politique, lorsqu’il affirme que la philosophie de la praxis équivaut à Hegel
+ David Ricardo. La signification de cette singulière “équation” est, selon Schirru, la façon
dont Gramsci interprète le célèbre passage de Marx, dans la postface de la seconde édition
du livre premier du Capital, sur le “renversement” de la dialectique de Hegel. Selon
Gramsci, ce “renversement” doit être effectué non pas en liquidant toute la réalité
comme “fausse” et “aliénée”, ce pourquoi la réappropriation de l’“essence” humaine
consisterait en une inversion radicale (comme cela s’est produit dans le marxisme – qui a
été majoritaire – de la “réification” et de l’“aliénation”). Au contraire, ce “renversement”
consiste dans la reconnaissance de la “traductibilité” de la logique hégélienne et de
l’économie politique de Ricardo, en vertu de laquelle la première possède un caractère
“réaliste” et la seconde un élément “logique”, c’est-à-dire “rationnel”. Le renversement
est donc une “traduction” qui pousse à reconnaître l’élément de “rationalité” contenu
dans le monde présent, un élément qui, par traductions successives, doit être approprié
par la classe ouvrière et soustrait au contrôle capitaliste.
21 Le titre de la contribution d’Alessio Gagliardi, Tra rivoluzione e controrivoluzione, entre
immédiatement au cœur de la discussion historiographique actuelle sur le fascisme et sur
la façon dont le modèle interprétatif mis au point par Gramsci dans les Cahiers de prison
(mais avec d’importantes anticipations dans les textes antérieurs) peut s’y insérer
fructueusement. Dans une situation – comme celle que nous vivons actuellement –
caractérisée par la crise du paradigme antifasciste classique, du fascisme et plus
généralement des fascismes, l’historiographie a tendance aujourd’hui à mettre en
évidence les potentialités novatrices, l’impact sur les masses, l’élan modernisateur, la
capacité à produire une “religion” politique de type nouveau. Mais en réalité, ces
caractéristiques sont déjà toutes présentes dans le modèle herméneutique que Gramsci
met au point en prison. Le fascisme apparaît à Gramsci « de plus en plus comme un
phénomène irréductible à la seule dimension économique, résultat certainement de la
domination bourgeoise mais non privé de marges d’autonomie, capable de mettre en
œuvre des modalités de gestion du pouvoir à la hauteur des problèmes posés par la
société de masse et en forte discontinuité avec le libéralisme du XIXe siècle et le giolittismo.
Pour comprendre en profondeur les caractéristiques particulières du fascisme, Gramsci

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 8

met au point des catégories d’analyse qui constituent dans certains cas des clés de lecture
pour l’interprétation plus générale de l’histoire italienne ou pour les dynamiques de
changement des sociétés capitalistes modernes. »
22 Le texte de Fabio Frosini s’arrête sur le rapport, considéré comme essentiel pour la
compréhension des Cahiers de prison, entre autocensure et analyse politique du monde
actuel. Que dans l’écriture carcérale de Gramsci soit présente une certaine forme
d’autocensure est un fait qui a été acquis immédiatement, dès la première édition des
Cahiers. Plus récemment, ce fait a été considéré, surtout concernant les lettres, comme un
véritable “code” de “déchiffrage” des communications entre Gramsci et son propre parti
(auquel les missives envoyées depuis Turi arrivaient à travers la chaîne formée par
Tatiana Schucht et Piero Sraffa). Dans cette contribution, une telle approche est reprise et
précisée, pour montrer comment les analyses du monde contemporain présentes dans les
Cahiers sont toutes liées à un projet politique de réexamen de la stratégie politique du PCI.
Y est en particulier analysée la relation entre analyse et stratégie dans le cas de ce que
Gramsci appelle « américanisme e fordisme ». Est mis en évidence le lien qu’entretient
cette catégorie avec toute l’enquête sur la crise et la transformation du parlementarisme,
donc sur l’affirmation d’une société “corporative” y compris en dehors de l’Italie fasciste,
et sur la genèse d’une nouvelle forme de politique où les masses sont complètement
organisées et activement présentes à l’intérieur des organisations que l’État a créées afin
de pouvoir les contrôler.
23 L’essai de Pierre Girard sur Gramsci et Vico clôt la deuxième section du dossier. Dans
cette contribution, après une reconnaissance critique du status textuel (les références de
Gramsci à Vico ne sont pas nombreuses et apparemment peu significatives), l’auteur
indique deux directions de recherche. D’abord, il propose une reconstruction de la façon
dont Vico et son “image” parviennent jusqu’à Gramsci, à travers une histoire enchevêtrée
de médiations, de repropositions et d’interprétations qui passe principalement par l’Italie
et la France et arrive jusqu’à Georges Sorel, à savoir une référence très proche de
Gramsci. Deuxièmement – et c’est ici le cœur de cette étude –, l’auteur tente une
comparaison fonctionnelle entre le type d’intervention réalisée par Vico dans le système
de références culturelles de son époque, et celle que Gramsci met en œuvre dans les
Cahiers. Sur ce plan, d’après Girard, se révèlent de surprenantes analogies, parce que « la
mathesis universalis critiquée par Vico chez Descartes a le même statut que
“l’économisme”, le fatalisme, le “déterminisme” constamment critiqués par Gramsci dans
son interprétation du marxisme ». C’est pourquoi, en tenant compte du caractère
fortement pratique, c’est-à-dire éthique et politique, de la philosophie de Vico, et en se
remémorant une série d’analogies entre Gramsci et Vico (la notion de philologie, tout
d’abord, mais aussi le refus d’une méthode universelle, etc.), « on pourrait peut-être
considérer l’entreprise des Quaderni comme l’application de la méthode de Vico au cas
particulier de l’Italie, et cela pour en faire également un diagnostic, permettant de
discerner les lignes d’une action politique possible ».
24 La troisième section de ce dossier est constituée d’un article de Giuseppe Vacca intitulé
Les études récentes sur Gramsci en Italie. Il retrace sous forme panoramique les discussions
les plus récentes, dans lesquelles la publication de nouveaux documents, ou les nouvelles
éditions de documents déjà connus, se mêlent à une discussion critique qui, bien que
sujette à de nombreuses oscillations et divergences interprétatives, présente une
caractéristique commune que l’on peut synthétiser en deux points, respectivement de
méthode et de fond. Sur le premier point, on enregistre l’affirmation de la diachronie

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Introduction 9

comme point-clé incontournable pour comprendre la pensée de Gramsci dans tous les
moments de sa vie. Le “système” de catégories adopté par un penseur qui, sous des façons
et formes différentes, a toujours été en contact avec l’histoire de son temps dans une
attitude active, tournée vers l’intervention et le projet stratégique, ne peut être compris
ni en prétendant le figer dans un bloc autosuffisant, ni en le dissolvant dans la succession
des “occasions” et des “cas” toujours nouveaux. Sur le plan de la théorie, il subsiste chez
Gramsci une tension, entre persistance et innovation, qu’il faut traiter avec délicatesse et
prudence. Sur le plan du fond, l’ensemble des auteurs examinés par Vacca ont « tous à
l’esprit que Gramsci fut “un théoricien de la politique mais surtout [...] un praticien
politique c’est-à-dire un combattant”, et que c’est “dans la politique qu’il faut rechercher
l’unité de [sa] vie : son point de départ et son point d’arrivée” »26. Mais, en même temps,
« Les auteurs dont nous nous occuperons partagent aussi la conviction que la figure de
Gramsci “transcende la simple histoire” du Parti communiste italien et représente “un
nœud, de pensée autant que d’action, dans lequel tous les problèmes de notre temps sont
présents et se mêlent” »27.
25 5. En 1997, en faisant imprimer un recueil partiel de ses écrits consacrés à Gramsci,
Valentino Gerratana plaçait en exergue de son introduction une célèbre définition d’Italo
Calvino: « Un classique est un livre qui n’a jamais fini de dire ce qu’il a à dire » 28. Ainsi
Gerratana, qui à ce moment-là regardait toute l’histoire de la fortune de Gramsci à partir
d’un tournant (1989) qui lui semblait décisif et définitif, interposait entre le présent et ce
passé-là un singulier diaphragme critique. Le caractère classique d’un auteur, compris
comme une capacité toujours renouvelée de parler à de nouvelles générations, est en effet
une idée trompeusement claire. Elle met certes le texte à l’abri d’une perte de contact
avec le présent, mais elle laisse ouverte la façon dont ce contact peut à chaque fois se
renouveler. L’idée – qui est présente dans le texte de Calvino et qui apparaît, en
définitive, aussi dans celui de Gerratana – est que le “classique” est un lieu du temps
présent qui ne se laisse pas réduire à cette dimension, bien qu’il en fasse intégralement
partie ; et que ce rapport entre “classique” et “ présent” ne peut pas être complètement
expliqué. Mais tandis que pour Calvino, le caractère classique est cette zone de “gratuité”
qui se maintient dans un réseau cohérent de relations fonctionnelles, pour Gerratana, la
forme d’un possible “caractère classique” de Gramsci devait partir – de façon bien plus
dramatique – de son « intransigeance [...] vis-à-vis du manque de sobriété et d’ordre
intellectuel »29, alors qu’était devenue indispensable une « lecture sélective des Cahiers »,
parce que « Gramsci tout seul ne tient pas »30.
26 Les considérations que nous avons faites, au début de cette Introduction, sur la
transformation de Gramsci en un “classique” de la culture italienne, contiennent aussi ces
inflexions. Soumettre les écrits du chef du Parti communiste d’Italie à la loupe d’un
dictionnaire de plus de six cents articles, ou les passer au peigne fin de la philologie
textuelle d’une “édition nationale”, signifie donc certainement l’avènement d’une
nouvelle étape dans laquelle son “héritage” est désormais considéré comme patrimoine
de l’humanité entière ; mais cela implique aussi, en même temps, la reconnaissance du
fait que la “présence” de Gramsci dans le monde actuel est un élément indéniable mais
aussi “irréductible” à une présence pleine, immédiate. C’est avec cette double conscience
que ce numéro de Laboratoire italien a été conçu et élaboré.
27 À ce propos, nous voudrions cependant aller plus loin et rappeler que le lancement de
cette nouvelle phase de la fortune de Gramsci, s’il est bien parti de l’idée qu’il pouvait
devenir un “classique”, est pourtant en train de produire des résultats qui d’une certaine

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Introduction 10

façon – selon nous – la remettent au moins en partie en discussion, parce qu’ils ouvrent à
nouveau un dialogue, entre Gramsci et notre contemporanéité, qui a un caractère plus
direct et plus immédiat. Si ces nouvelles recherches ont, dans leur ensemble, donné un
premier résultat, il peut être résumé par deux questions étroitement liées l’une à l’autre.
D’un côté, est apparu de façon évidente le caractère intrinsèquement politique de la
pensée de Gramsci : “politique” dans le sens d’une pensée qui compte toujours, même
dans les Cahiers de prison, être une hypothèse d’élaboration stratégique actuelle et qui, de
ce fait, trouve dans la “pratique” non pas un objet sur lequel “réfléchir” mais une partie
essentielle d’elle-même en tant que “pensée”.
28 Deuxièmement, on a éclairci dans quelle mesure Gramsci est un homme des “temps
nouveaux” : c’est-à-dire un homme qui pressent les transformations extraordinaires que
le monde était en train de subir, conséquence des dynamiques européennes et mondiales
qui avaient trouvé dans la Grande guerre un point de contact et en quelque sorte aussi de
“catastrophe”, dans le sens ancien et dramatique d’une “révélation” qui conduit à la
conclusion d’une histoire. Lorsqu’il écrivait les Cahiers, Gramsci était convaincu du fait
que les contenus et les formes de la politique étaient en train de connaître un très grand
“bouleversement”, et que ce bouleversement allait avoir, tôt ou tard, des répercussions
dans tous les aspects et les moments de la vie. En résumé, il estimait – comme
conséquence de la “catastrophe” de la guerre – que toute une nouvelle phase de l’histoire
mondiale était en train de s’ouvrir, dans laquelle l’apport “individuel” (à comprendre
littéralement, mais aussi comme individualité “nationale”) allait être destiné à passer au
second plan, par rapport à la dimension du “plan”, de la “planification”, de la
“rationalisation” et de la production de “conformismes” nouveaux et toujours plus
organiques. Mais Gramsci était convaincu – et cette conviction démarque sa position à
l’intérieur du monde des régimes totalitaires – que ce nouveau “niveau” de la politique
créait des possibilités auparavant impensables pour une réelle démocratisation de toute la
vie sociale, précisément au moment où il approfondissait par ailleurs énormément la
pénétration de la politique dans la vie privée, tant ouvertement, sous forme de contrôles
policiers et administratifs par exemple, que de façon larvée et insidieuse, avec la présence
nouvelle et organisée de la “culture” comme fonction de “contrôle” et non plus
seulement d’expression individuelle.
29 La coexistence de ces deux aspects – augmentation du contrôle et augmentation des
potentialités de démocratisation – était motivée pour Gramsci par le fait que ce n’est
qu’en donnant une “forme” à l’initiative politique des masses populaires que les classes
dominantes pouvaient réussir à “neutraliser” les résultats de leur initiative31. À partir de
la reconnaissance de cette dialectique, prend forme dans les Cahiers de prison la mise au
point d’une série de catégories – hégémonie, révolution passive, crise organique,
intellectuels, rapports de forces, “analyse des situations”, “traductibilité des langages” –
dont l’ensemble peut aussi fournir des indications valables pour une analyse critique du
monde actuel, s’il est vrai que la question de la “démocratie” n’a rien perdu de son
actualité et que la politique n’a pas cessé de contenir en elle des poussées contradictoires
et, en dernière analyse, inconciliables.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 11

NOTES
1. L’idée de fonder l’International Gramsci Society fut lancée pour la première fois en
1987, à l’occasion du colloque Modern times. Gramsci e la critica dell’americanismo (voir « Per
un’associazione internazionale di studi su Gramsci. The International Gramsci Society »,
dans Modern times. Gramsci e la critica dell’americanismo, Atti del convegno internazionale,
Rome, 20-22 novembre 1987, G. Baratta et A. Catone éd., Milan, Diffusioni ’84, 1989,
p. 484-486), et reprise dans le colloque Gramsci nel mondo (voir Gramsci nel mondo, Atti del
Convegno internazionale di studi gramsciani, Formia, 25-28 octobre 1989, M. L. Righi éd.,
Rome, Fondazione Istituto Gramsci, 1995). Pour l’Édition nationale des écrits d’ Antonio
Gramsci, voir IG Informazioni. Trimestrale della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, 2, 1992,
qui rassemble les éléments d’un séminaire organisé par l’Istituto Gramsci di Roma sur ce
projet, sous la direction de G. Vacca et avec les interventions de G. Francioni, M. Ciliberto,
F. De Felice, L. Mangoni, V. Gerratana ; N. Badaloni, S. Caprioglio, G. Vacca, R. Martinelli,
D. Ragazzini, R. Medici, L. Borghese, J. A. Buttigieg, L. Canfora, L. Paggi et M. Mustè ont
participé aux débats qui ont suivi.
2. On peut en trouver les actes dans La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli
anni Settanta e Ottanta, G. Vacca éd., Rome, Carocci, 2015.
3. Sur le plan philosophique, voir l’important volume Crisi della ragione. Nuovi modelli nel
rapporto tra sapere e attività umane, A. G. Gargani éd., Turin, Einaudi, 1979.
4. Cette centralité fut à son tour le fruit d’une opération politico-culturelle complexe
réalisée par Togliatti au sein du PCI et dans les relations entre ce dernier et les
intellectuels de gauche en Italie. Voir F. CHIAROTTO, Operazione Gramsci : alla conquista degli
intellettuali nell’Italia del dopoguerra, Milan, Mondadori, 2011. Sur l’activité de Togliatti
comme éditeur de Gramsci, qui constitue la base de cette opération, voir Togliatti editore di
Gramsci, C. Daniele éd., Introduction de G. Vacca, Rome, Carocci, 2005 (Annali della
Fondazione Istituto Gramsci, XIII).
5. Voir G. LIGUORI, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche. 1922-2012, nouvelle
édition revue et augmentée, Rome, Editori Riuniti, 2012, chap. VIII.
6. Titre du chapitre cité à la note précédente : « Dieci anni “a luci spente” (1978-1986) ».
7. V. GERRATANA, « Gramsci nel mondo », Emigrazione Filef, XIX, 8-9, 1987, p. 5.
8. Ibidem.
9. Voir notamment la coorganisation du colloque de 2007, Gramsci le culture e il mondo
(G. Schirru éd., Rome, Viella, 2009). En 2017 doit se tenir à Rome un colloque international
coorganisé par IGS-Italia et la Fondazione Istituto Gramsci, intitulé Egemonia e modernità. Il
pensiero di Gramsci in Italia e nella cultura internazionale.
10. Lettres de A. Gramsci à T. Schucht du 3 août 1931, dans A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere
1926-1935, A. Natoli et C. Daniele éd., Turin, Einaudi, 1997, p. 750.
11. Voir Valentino Gerratana « filosofo democratico », E. Forenza et G. Liguori éd., Rome,
Carocci, 2011, et Domande dal presente : studi su Gramsci, L. Durante et G. Liguori éd., Rome,
Carocci, 2012.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 12

12. Le parole di Gramsci, F. Frosini e G. Liguori éd., Rome, Carocci, 2004.


13. Dizionario gramsciano 1926-1937, G. Liguori et P. Voza éd., Rome, Carocci, 2009.
14. Colloque organisé en 2007 à Bari et Turi par la Fondazione Istituto Gramsci sur
Gramsci nel suo tempo. Voir Gramsci nel suo tempo, F. Giasi éd., Rome, Carocci, 2008.
15. Voir A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, édition critique de l’Istituto Gramsci,
V. Gerratana éd., Turin, Einaudi, 1975, p. 419. La phrase entière est la suivante : « La
ricerca del leit-motiv, del ritmo del pensiero, più importante delle singole citazioni
staccate ». Voir, dans cette direction, G. COSPITO, Il ritmo del pensiero. Per una lettura
diacronica dei « Quaderni del carcere » di Gramsci, Naples, Bibliopolis, 2011.
16. G. FRANCIONI, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei « Quaderni del carcere »,
Naples, Bibliopolis, 1984.
17. Voir en particulier G. FRANCIONI, « Proposte per una nuova edizione dei “Quaderni del
carcere” (Seconda stesura) », IG Informazioni. Trimestrale della Fondazione Istituto Gramsci di
Roma, 2, 1992, p. 85-186 ; ID., « Come lavorava Gramsci », dans A. GRAMSCI, Quaderni del
carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, G. Francioni éd., vol. I, Rome, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, 2009, p. 21-60. Pour un éclaircissement actuel sur le status
quaestionis, voir G. COSPITO, « L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere », dans ce
dossier.
18. L’édition des Cahiers est dirigée par G. Francioni. Jusqu’à présent, seul le premier
volume est paru : A. GRAMSCI, Quaderni del carcere ; vol. I : Quaderni di traduzioni (1929-1932),
2 tomes, G. Cospito et G. Francioni éd., Rome, Istituto della Enciclopedia italiana, 2007.
19. Hormis le premier volume des Quaderni del carcere, sont parus jusqu’à aujourd’hui les
ouvrages suivants : A. GRAMSCI, Epistolario ; vol. I : Gennaio 1906-dicembre 1922 , D. Bidussa,
F. Giasi, G. Luzzatto Voghera et M. L. Righi éd., Rome, Istituto della Enciclopedia italiana,
2009 ; vol. II : Gennaio-novembre 1923, D. Bidussa, F. Giasi et M. L. Righi éd., Rome, Istituto
della Enciclopedia italiana, 2011 ; A. GRAMSCI, Scritti 1910-1926 ; vol. II : Scritti 1917,
L. Rapone éd., Rome, Istituto della Enciclopedia italiana, 2015. Ont en outre été publiés en
18 volumes, en 2009, les Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti,
G. Francioni éd., ouvr. cités. Cette édition ultime ne fait pas partie directement de
l’Édition nationale, mais en accompagne le projet. Signalons enfin la publication récente
du premier volume de Documents de l’Édition nationale : A. GRAMSCI, Documenti 1. Appunti
di glottologia 1912-1913, G. Schirru éd., Rome, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016.
20. Un indice de ce succès est a contrario la multiplication, ces dernières années, dans le
panorama italien, de livres à scandale ou sensationalistes (du reste assez inégaux quant à
leur professionnalisme et à leur engagement) traitant, plus que de la pensée de Gramsci,
des aspects événementiels de sa vie carcérale, relus à travers le prisme du complot et de
la trahison. Voir, entre autres, F. LO PIPARO, I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il
labirinto comunista, Rome, Donzelli, 2012 ; L. CANFORA, Gramsci in carcere e il fascismo, Rome,
Salerno, 2012 ; ID., Spie, Urss, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Rome, Salerno, 2012 ; G. FABRE,
Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato, Palerme, Sellerio, 2015. On constate avec regret
que parmi la masse d’ouvrages italiens consacrés à Gramsci ces dernières années, le seul
qui ait été traduit et diffusé en France soit celui, totalement dénué de fondement, de
Lo Piparo. Ce numéro de Laboratoire italien, tout comme celui d’Actuel Marx cité infra
(note 23), entendent contribuer à redonner une direction scientifique valide aux
publications gramsciennes en langue française.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 13

21. On peut trouver une mise en évidence de ce processus d’hybridation par exemple
dans Gramsci and Foucault. A Reassessment, D. Kreps éd., Farnham and Burlington (VT),
Ashgate, 2015.
22. Nous pensons à P. CAPUZZO et S. MEZZADRA, « Provincializing the Italian Reading of
Gramsci », dans The postcolonial Gramsci, N. Srivastava et B. Battacharya éd., New York,
etc., Routledge, 2012, p. 34-54.
23. Voir à ce sujet le colloque international : La « Gramsci Renaissance » . Regards croisés
France-Italie sur la pensée d’Antonio Gramsci, Paris, 22-23 mars 2013, coorganisé par la
Fondation Gabriel Péri, la Fondazione Istituto Gramsci et le Centre d’Histoire des
systèmes de pensée moderne (http://www.gabrielperi.fr/152.html), et les deux
séminaires qui se déroulent depuis plusieurs années à l’École normale supérieure de Lyon
(Lire les « Cahiers de prison » d’Antonio Gramsci, R. Descendre et J.-C. Zancarini éd., http://
triangle.ens-lyon.fr/spip.php?rubrique453) ainsi qu’à l’École des hautes études en
sciences sociales (L’anthropologie politique et Antonio Gramsci, R. Ciavolella et
G. Rebucini éd., http://enseignements-2014.ehess.fr/2014/ue/607/ ). Un premier
aboutissement de ces séminaires est le récent volume monographique d’Actuel Marx (57,
2015) sur la pensée de Gramsci, dirigé par R. Descendre, R. Ciavolella et J.-C. Zancarini.
Signalons en outre la récente synthèse réalisée par un chercheur qui, depuis plus de
quarate ans, n’a jamais cessé de se consacrer à la pensée de Gramsci : A. TOSEL, Étudier
Gramsci, Paris, Kimé, 2016.
24. L’image du jeune Gramsci a en outre déjà été soumise à une révision radicale dans
l’ouvrage de L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al
comunismo (1914-1919), Rome, Carocci, 2011. L. Rapone a également dirigé le second
volume, cité plus haut, des Scritti 1910-1926, consacré à l’année 1917 et paru en 2015.
25. A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, ouvr. cité.
26. La citation est tirée de P. TOGLIATTI, Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci
(appunti), dans ID., La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, M. Ciliberto
et G. Vacca éd., Milan, Bompiani, 2014, p. 1121.
27. Pour la citation, voir ivi, p. 1188-1189.
28. V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di metodo, Rome, Editori Riuniti, 1997, p. XI. La
définition est extraire de I. CALVINO, Perché leggere i classici, dans ID., Perché leggere i classici,
Milan, Mondadori, 1991, p. 11-19. Le texte a été publié, sous le titre « Italiani, vi esorto ai
classici », dans L’Espresso, 28 juin 1981, p. 58-68.
29. V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di metodo, ouvr. cité, p. XXVI.
30. Ivi, p. XXIII-XXIV.
31. Voir G. VACCA, « Introduzione : La lezione del fascismo », dans P. TOGLIATTI, Sul fascismo
, Rome-Bari, Laterza, 2004, p. XV-CLXVI (p. XCVII).

Laboratoire italien, 18 | 2016


Introduction 14

INDEX
Mots-clés : Gramsci Antonio, interprétation, politique, diachronie, philologie, théorie
Keywords : politics, theory, philology, diachrony

AUTEURS
ROMAIN DESCENDRE
Professeur d'études italiennes et d’histoire de la pensée politique à l’École normale supérieure de
Lyon et membre honoraire de l’Institut universitaire de France. Il codirige le pôle « Pensée
politique et sciences sociales » de l’Unité mixte de recherche Triangle (CNRS, UMR 5206) et il est
membre du LabEx ‘CoMod’. Ses travaux portent principalement sur l’histoire de la pensée
politique italienne. Derniers ouvrages parus : A politização do mundo, Campinas - São Paulo,
Editora Unicamp, 2015; Giovanni Botero, Della ragion di Stato, edizione critica a cura di P.
Benedittini e R. Descendre, introduzione di R. Descendre, Torino, Einaudi, 2016 ; Id., Delle cause
della grandezza della città, a cura di R. Descendre, Roma, Viella, 2016. Depuis 2012 il anime à l’ENS
de Lyon, avec J.-C. Zancarini, le séminaire « Lire les Cahiers de prison d’Antonio Gramsci ». Il a
dirigé, avec R. Ciavolella et J.-C. Zancarini, le dossier « Antonio Gramsci », Actuel Marx, 57,
premier semestre 2015.

FABIO FROSINI
Chercheur en Histoire de la philosophie à l’Université d'Urbino. Il est directeur de la Ghilarza
Summer School - Scuola internazionale di studi gramsciani, membre de la commission scientifique
pour l’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, du comité garant et du comité scientifique
de la Fondazione Istituto Gramsci de Rome et du comité de direction de l’International Gramsci Society
- Italia. Ses intérêts de recherche vont de l’histoire de la philosophie de la Renaissance à celle du
marxisme, principalement italien. Parmi ses publications : Gramsci e la filosofia. Saggio sui
“Quaderni del carcere”, Rome, Carocci, 2003 (Prix international “Giuseppe Sormani” 2004, Turin) ;
La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci, Rome,
Carocci, 2010 ; Vita, tempo e linguaggio (1508-1510). L Lettura Vinciana - 17 aprile 2010, Florence,
Giunti, 2011 ; Maquiavel o revolucionário, São Paulo, Ideias & Letras, 2016.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Un labyrinthe de papier (introduction à la


philologie gramscienne)
Un labirinto di carta (introduzione alla filologia gramsciana)
A labyrinth of paper (introduction to Gramscian philology)

Gianni Francioni
Traducteur : Thérèse Manconi, Martin Ringot et Jean-Claude Zancarini

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1053 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Gianni Francioni, « Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) », Laboratoire
italien [En ligne], 18 | 2016, mis en ligne le 06 décembre 2016, consulté le 12 décembre 2016. URL :
http://laboratoireitalien.revues.org/1053

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 1

Un labyrinthe de papier
(introduction à la philologie
gramscienne)
Un labirinto di carta (introduzione alla filologia gramsciana)
A labyrinth of paper (introduction to Gramscian philology)

Gianni Francioni
Traduction : Thérèse Manconi, Martin Ringot et Jean-Claude Zancarini

NOTE DE L'AUTEUR
Texte de la conférence prononcée le 14 novembre 2014 à l’ENS de Lyon (dans le cadre du
LabEx CoMod et du « Séminaire Pensée politique italienne : Lire les “Cahiers de prison”
d’Antonio Gramsci [3] », animé par R. Descendre et J.-C. Zancarini au sein du laboratoire
Triangle). J’ai utilisé une partie de mes contributions antérieures : G. FRANCIONI, L’officina
gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei ‘Quaderni del carcere’, Naples, Bibliopolis, 1984 ;
« Proposte per una nuova edizione dei ‘Quaderni del carcere’ », IG Informazioni. Trimestrale
della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, 2, 1992, p. 85-186 ; « Il bauletto inglese. Appunti
per una storia dei ‘Quaderni’ di Gramsci », Studi storici, XXXIII, 1992, p. 713-741 ; « Nota al
testo », dans Quaderni di traduzioni (voir infra, note 7), p. 835-898 ; « Come lavorava
Gramsci », dans Edizione anastatica dei manoscritti (voir infra, note 8), vol. I, p. 21-60 ;
« L’officina dei Quaderni. Problemi di filologia gramsciana », dans Marx e Gramsci. Filologia,
filosofia e politica allo specchio, a cura di A. Di Bello, Naples, Liguori, 2011, p. 3-13. J’ai
corrigé et actualisé le texte et j’ai ajouté les notes.

1 1. La première édition des Cahiers de prison, publiée, entre 1948 et 1951, en six volumes
thématiques1, avait voulu donner au travail de Gramsci une forme qui puisse lui assurer le
maximum de lisibilité. Sous la direction de Felice Platone et la supervision de Palmiro
Togliatti, presque toutes les notes à rédaction unique et celles ayant connu une seconde

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 2

rédaction que Gramsci avait confiées à ses manuscrits avaient été regroupées dans les
volumes selon une idée bien précise de partition disciplinaire ; il y avait également les
premières rédactions de certaines notes tandis que d’autres textes étaient totalement
exclus2. Cette édition contribua très certainement de manière fondamentale à la diffusion
de la pensée de Gramsci. Toutefois, elle laissait entendre au lecteur que Gramsci en prison
avait écrit des livres (sur le matérialisme historique et Croce, sur les intellectuels, sur le
Risorgimento, etc.). L’édition critique établie par Valentino Gerratana, en 19753, modifia
fortement cette image en mettant la “forme cahier” au premier plan.
2 Gerratana avait pour intention de « reproduire le texte des Cahiers de la façon dont ils
ont été rédigés par Gramsci, de sorte que rien d’extérieur ne s’interpose entre ce texte et
le lecteur »4. Dans son édition ne sont cependant publiés que 29 cahiers ; il n’y a pas les
cahiers de traduction, à l’exception de quelques traductions de Marx, publiées en annexe,
parce que, selon l’éditeur scientifique, les traductions « se situent clairement en dehors
du plan de travail que Gramsci s’était fixé » et ne sont qu’« un exercice pour se détendre
et un entraînement mental utiles pendant une certaine période »5. Les cahiers ont été
numérotés de 1 à 29, sur la base de la date du début de leur rédaction, fixée
conjoncturellement, sans distinction entre cahiers miscellanei (c’est-à-dire mélangés,
composés de notes de caractère varié) et cahiers monographiques, en indiquant pour
chaque cahier l’année ou les années de composition (et en nommant A, B, C, D les cahiers
où ne figurent que des traductions). En outre, Gerratana a parfois déplacé des blocs de
notes faisant partie de certains cahiers quand l’ordre réel de la rédaction ne lui paraissait
pas correspondre à la succession effective des pages ; c’est le cas pour les Cahiers 4, 7 et
10. En revanche, pour d’autres cas où cette non-correspondance se vérifie (comme par
exemple dans les Cahiers 8 et 14), Gerratana n’a pas reconstruit la diachronie du texte et
il s’est contenté de transcrire les manuscrits tels quels. Il a enfin donné aux notes de
Gramsci – qui, dans les manuscrits, sont précédées du signe §, mais ne sont pas
numérotées – une numérotation progressive qui recommence à 1 pour chaque cahier.
3 Toutefois, dans cette seconde édition aussi, les cahiers apparaissaient encore comme des
textes que Gramsci aurait rédigés presque comme des livres à publier : il s’agissait là de
l’une des conséquences des interventions éditoriales de Gerratana (normalisation des
graphies, à laquelle s’ajoutait le développement tacite – fréquent mais non systématique –
des très nombreuses abréviations, le fait que les variantes n’étaient pas toujours
signalées, un silence presque total sur les corrections, les ratures ou les hésitations de
l’auteur), qui avait appliqué les critères d’édition de l’éditeur Einaudi. La nouvelle édition
critique, entamée en 2007, avec les Cahiers de traductions6, évite toute uniformisation,
maintient les différentes traces d’incertitude et d’insatisfaction de Gramsci (en
particulier, dans les traductions), développe entre crochets angulaires les abréviations et
elle n’intervient que de manière très sobre, sur les majuscules, la ponctuation ou sur des
lapsus calami évidents. Entretemps, une édition anastatique des manuscrits, parue en 2009
7
, a permis aux lecteurs d’accéder aux cahiers dans toute leur dimension “physique”.
Mais, comme nous allons le constater, le problème éditorial des Cahiers de prison ne se
limite pas à la restitution la plus fidèle possible des manuscrits.
4 Entre le 8 février 1929 et la moitié de l’année 1935, et peut-être même jusqu’au début
de 19378 (jusqu’en novembre 1933 dans une cellule de la Maison pénale spéciale de Turi,
ensuite dans une chambre de la Clinique Cusumano de Formia et enfin dans la Clinique
« Quisisana » de Rome), Gramsci écrit plus de deux mille annotations et effectue quelques
traductions de l’allemand et du russe. Tout cela est livré dans trente-trois cahiers

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 3

d’écolier (deux autres cahiers, que j’ai nommé 17bis et17ter, reçus par Gramsci peu avant
son départ de Turi et portant donc les signes liés à la prison – tampon, numérotation des
feuillets, visa du directeur –, ont été laissés sans la moindre note) 9.
5 De février 1929 jusqu’aux premiers mois de l’année 1932, Gramsci fait ses traductions et
prend des notes sur des sujets divers ; à partir d’avril 1932, il se consacre (sans pour
autant interrompre ses notes “mixtes”) à la constitution de cahiers « spéciaux » – c’est
Gramsci lui-même qui les nomme ainsi – de caractère monographique, dans lesquels une
partie de ce qu’il a déjà écrit est reprise et réélaborée dans une deuxième rédaction. Au
fur et à mesure qu’il utilise des notes pour les réorganiser dans les « spéciaux », Gramsci
biffe la première rédaction par de longs traits de plume diagonaux et croisés (une sorte de
grille, qui toutefois n’empêche pas la lecture). Mais ce travail demeure pour bonne part
incomplet.
6 Quand on les feuillette, les Cahiers de prison ressemblent à des manuscrits tout à fait
normaux. Qui plus est, ils ne présentent aucune difficulté de déchiffrage car la graphie,
ronde et régulière, est parfaitement claire, avec très peu d’effacements ou de ratures : un
cas rare d’écriture directement au propre. Nous savons par différents témoignages que la
façon de travailler de Gramsci était la même déjà au moment de son activité de
journaliste : il composait dans sa tête ses articles avant de les coucher sur le papier, au
dernier moment, sans hésitation ni regret. Cette façon de faire n’a pas changé au fil des
années. Gustavo Trombetti, le détenu de la prison de Turi qui, en 1933, a vécu au
quotidien avec lui puisqu’ils partageaient la même cellule, se souvenait, après plus de
quarante ans, que lorsqu’il était en prison, Gramsci lisait, écrivait, en faisant souvent les
cent pas dans sa cellule, « absorbé par ses pensées. Puis, soudain, il s’arrêtait, il écrivait de
nouveau quelques lignes sur son cahier et se remettait à marcher »10.
7 En réalité, il s’agit de pages faussement limpides, et les cahiers s’avèrent être un véritable
“labyrinthe de papier” dans lequel on se perd facilement. Gramsci travaille, en effet, sur
plusieurs cahiers en même temps, ou bien il reprend ceux de périodes précédentes pour y
ajouter de nouvelles notes dans les espaces blancs qui restent. Dans certains cas, il semble
qu’il commence à écrire à partir de la moitié d’un cahier, pour ensuite passer à la
première moitié. Parfois, dans une des pages du début, il renvoie à un texte qui se trouve
bien plus loin dans le cahier. Pour des raisons diverses (sur lesquelles nous reviendrons),
il y a des strates de superposition temporelle de son écriture qui traversent
horizontalement les cahiers et, par conséquent, des moments de la rédaction où le
passage s’opère non pas d’un cahier à l’autre, mais d’une note à l’autre situées dans deux
cahiers différents. Si on veut lire les cahiers en entier et à la suite, on est obligé dans la
plupart des cas d’accomplir un parcours qui ne correspond pas à la vraie chronologie de
leur rédaction, et la lecture procède par sauts en avant ou par soudains retours en arrière,
dans le temps comme dans l’analyse livrée par l’auteur. Il peut arriver de rencontrer un
passage contenant un concept important, parfaitement défini, avant un autre extrait dans
lequel le même concept est, non pas repris ou développé, mais à peine abordé, comme si
le temps qui passe avait rendu les formulations gramsciennes moins précises, plutôt que
mieux définies. De là, la nécessité de reconstruire préalablement la véritable structure et
l’histoire interne des manuscrits et de fournir au lecteur une boussole qui lui permette de
s’orienter. C’est seulement ainsi qu’on pourra saisir pleinement le “mouvement en avant”
qui donne leur substance aux cahiers, la naissance progressive des problèmes et des
concepts, l’assemblage des fils de la recherche.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 4

8 2. Commençons par une question concernant les cahiers en tant qu’objet : pourquoi
Gramsci, en prison, écrit-il sur des cahiers ? Ce choix ne fut pas le sien ; il dut subir une
décision des autorités carcérales. Gramsci, en effet, n’introduit pas une demande pour des
« cahiers » dans les premières lettres où il déclare ses projets de travail intellectuel, mais
bien pour des « feuilles de papier ». Par ailleurs, il ne semble pas qu’il ait jamais rempli de
cahiers après les années de sa scolarité et avant son arrestation. Certaines de ses
compositions scolaires ont été conservées, ainsi que quelques-uns de ses cahiers du lycée
(dans ce cas également, on pourrait dire qu’il s’agit d’un support papier imposé et non
choisi !) : ce qui est singulier, c’est que, d’un point de vue graphique, les cahiers du lycée
ressemblent beaucoup aux cahiers de prison (voir, par exemple, le cahier de physique de
l’année 1910-191111, dans lequel on remarquera le titre écrit en grand sur le f. 1r,
« Appunti di Fisica [Notes de Physique] », rappelant la façon dont il écrira le titre
« Appunti di filosofia [Notes de philosophie] » dans les Cahiers 4, 7 et 8 ; le soin porté à la
calligraphie des pages – avec le détail du t barré, sur lequel nous reviendrons ; l’écriture
ordonnée et régulière ; le recours au tilde (~) comme signe de séparation, fréquemment
utilisé dans les pages écrites en prison).
9 Nous ne disposons pas, en revanche, des manuscrits des textes qu’il a écrits en tant que
journaliste ; toutefois, ils ont dû être rédigés sur des feuilles volantes (inévitablement
destinées à être détruites après le passage en typographie). Nous avons un témoignage,
celui de Pia Carena (qui eut une relation sentimentale avec Gramsci de 1916 à 1922 et fut
sa secrétaire à l’Ordine Nuovo) sur le fait que Gramsci ne passait pas par des brouillons
mais composait directement l’article dans sa forme définitive : « Il allait et venait, il
réfléchissait, il mettait sur pied l’article comme une statue qui émergeait d’un coup. En
effet, quand il se mettait à écrire, ses articles n’avaient pas une rature, pas une correction.
Ils coulaient de source et ils avaient le mérite de la clarté et de l’efficacité » 12. De Turin à
Turi, la manière d’écrire de Gramsci ne change donc pas, même si le support matériel
change.
10 Ce sont encore des feuilles volantes (qui ont été conservées) pour les Note sul problema
meridionale e sull’atteggiamento nei suoi confronti dei comunisti, dei socialisti e dei democratici [
Notes sur le problème méridional et sur l’attitude à son égard des communistes, des socialistes et
des démocrates], écrites en 1926, avant son arrestation, et qui seront éditées par le Parti
communiste italien en janvier 1930, sous le titre Alcuni temi della questione meridionale [
Quelques thèmes de la question méridionale]13.
11 Mais il existe d’autres manuscrits de la période précédant l’incarcération qui attirent
notre attention. Il s’agit d’une centaine de fiches bibliographiques sur les sujets
littéraires, tirées d’une simple feuille partagée en 4 : fiches utilisées dans le sens vertical
avec, dans l’en-tête, le nom d’un auteur, suivi de l’indication de ses œuvres et, parfois (sur
le verso du feuillet), de citations de la littérature secondaire sur l’auteur en question14.
Ces fiches se réfèrent toutes aux deux premières années d’université à Turin (1911-1913),
même si nous savons que Gramsci a utilisé cette méthode de travail jusqu’en 1915-1916.
Un ami de cette période, Ezio Bartalini, a livré un témoignage important à ce point de
vue : « Il utilisait, pour l’étude systématique de la philologie, de petites fiches sur de
minces feuillets, et je n’arrivais pas à le persuader de les remplacer par des fiches
cartonnées, parce que leur épaisseur aurait occupé trop de place sur son bureau bien
étroit. Je vois encore ses doigts maigres passant prudemment sur les bords de ces feuillets
pour ne pas les froisser »15. Nous verrons bientôt que cette idée de “fichier” – typique du
travail philologique et académique – refera surface chez Gramsci prisonnier à Turi. En

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 5

attendant, gardons bien à l’esprit ceci : Gramsci n’était pas, par inclination, un “écrivain
de cahiers”.
12 3. Le 19 mars 1927, à la prison de San Vittore à Milan, Gramsci décrit, dans une lettre à sa
belle-sœur Tatiana Schucht, un programme de travail portant sur quatre sujets : « une
recherche sur les intellectuels italiens, sur leurs origines, leurs regroupements selon les
courants de la culture, leurs différentes pensées, etc. etc. » ; « une étude de linguistique
comparée » ; « une étude sur le théâtre de Pirandello et sur la transformation du goût
théâtral italien » ; « un essai sur les romans-feuilletons et le goût populaire en
littérature »16. Il ne dit pas ici de quelle façon il pense écrire sur ces sujets, mais il le fait
comprendre quelques jours plus tard, le 27 mars, quand il adresse au juge d’instruction du
Tribunal militaire de Milan une instance pour « pouvoir avoir en permanence dans sa
cellule une plume, de l’encre et une centaine de feuilles de papier pour écrire des travaux
à caractère littéraire ». Toutefois, malgré l’avis favorable du magistrat, cette autorisation
ne lui est pas accordée17.
13 Le 23 mai 1927, dans une lettre à sa belle-sœur, Gramsci semble avoir abandonné son
programme de travail établi dans la prison de Milan : « Étudier pour de bon, je crois que
cela m’est impossible, pour de nombreuses raisons, non seulement psychologiques mais
aussi techniques […]. Je suis vraiment décidé à faire de l’étude des langues mon
occupation prédominante »18. De toute évidence, les « raisons techniques » font allusion à
l’impossibilité de disposer de « feuilles de papier ». Un an après, la situation n’a pas
changé : « J’étudie, je lis, dans les limites de mes possibilités, qui ne sont pas très grandes.
Un travail intellectuel systématique n’est pas possible, par manque de moyens
techniques »19.
14 Le 4 juin 1928, Gramsci est condamné par le Tribunal spécial de Rome à 20 ans, 4 mois et
5 jours de réclusion. Le 19 juillet, il arrive à la Maison pénale de Turi, dans laquelle il doit
initialement partager une chambrée avec cinq autres détenus politiques. Le 13 août, il
charge son frère Carlo d’introduire une instance auprès du « ministère compétent, au
nom de ma famille (de maman et de toi) » pour que lui soit attribuée une cellule
individuelle : « Ajoute que mon travail intellectuel passé me fait ressentir fortement la
difficulté qu’il y a pour étudier et lire quand on est dans une chambrée […] et demande, si
je suis seul, qu’on m’autorise à pouvoir avoir du papier et de l’encre pour me consacrer à
quelques travaux de caractère littéraire et à l’étude des langues »20. L’instance, adressée le
25 août par la mère de Gramsci à Mussolini, reçoit immédiatement une réponse positive
en ce qui concerne le transfert dans une cellule individuelle21 ; quant à la permission
d’écrire en cellule, elle n’est pas accordée avant la lettre que Gramsci écrit à Tatiana en
date du 29 janvier 192922. « 8 février 1929 », c’est la date que Gramsci peut indiquer dans
l’en-tête du Cahier 1 (qu’il intitule, logiquement, Premier cahier et dans lequel il enregistre
la liste des seize « sujets principaux »23 qui constituent le programme de travail auquel il
s’attellera dans les années à venir, avec toutefois quelques ajustements), alors que le jour
suivant, il peut informer sa belle-sœur : « J’écris déjà dans ma cellule. Pour l’instant, je ne
fais que des traductions, pour me refaire la main ; pendant ce temps, je remets de l’ordre
dans mes idées »24.
15 Le fait que Gramsci puisse garder des livres et écrire dans sa cellule ne représente pas – il
est utile de le préciser – une concession bienveillante de la part des autorités qui le
tenaient sous leur joug, mais bien l’exploitation d’une possibilité expressément prévue
dans les règlements carcéraux. Pour ce qui concerne la lecture de livres et de périodiques
par un détenu, Gramsci est tout d’abord soumis au Règlement général des établissements

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carcéraux et des maisons de redressement, publié le 15 juin 1891, alors qu’à partir du 27 juin
1931, c’est un nouveau Règlement pour les instituts de prévention et de peine qui entre en
vigueur. L’art. 269 du règlement de 1891 interdit aux condamnés de « recevoir des livres
et des journaux politiques », et accepte uniquement la réception et la lecture de « livres
pour lesquels ils auront reçu l’autorisation de la part de la direction », à condition que
livres et journaux « soient examinés, à chaque fois, par l’autorité judiciaire compétente et
soient introduits dans la prison selon les normes établies par les règlements ». L’art. 140
du nouveau règlement de 1931 abolit, par contre, toute exclusion de livres ou de journaux
politiques pour les condamnés : « Le directeur décide quels livres les détenus peuvent lire
et si la lecture doit se faire dans les locaux de la bibliothèque ou dans les cellules ou bien
dans d’autres lieux où les détenus peuvent rester en-dehors des heures de travail. Le
directeur peut permettre que les détenus lisent aussi d’autres livres et journaux ».
16 Ni le règlement de 1891, ni celui de 1931 n’établissent de limites temporelles ou
quantitatives pour les volumes que l’on peut garder dans la cellule. L’ancien et le nouveau
règlement renvoient, à plusieurs occasions, au règlement interne de chaque prison
(l’art. 323 de la norme de 1931 énonce : « Les règlements internes sont proposés par le
directeur, après consultation du Conseil de discipline, du directeur technique et de
l’agronome. Le juge de surveillance et le procureur général du Roi expriment un avis sur
ces règlements. Ils sont approuvés par le Ministre »). Le règlement interne de la prison de
Turi, en vigueur à l’époque, n’a pas été retrouvé et l’on ne peut donc affirmer s’il
contenait des dispositions quant aux livres dans les cellules. L’art. 140 de la loi de 1931
attribuait de toute façon au directeur un pouvoir discrétionnaire sur les autorisations en
termes de lecture de livres ou de journaux en cellule, si bien qu’il pouvait, de fait, imposer
des limites quantitatives. La limitation pouvait dont découler d’une pratique et pas
forcément d’une norme contenue dans un règlement. Quoi qu’il en soit, dans un rapport
remis à Piero Sraffa, après sa visite à Gramsci en prison, à Noël de l’année 1928, Tatiana
informe que « toutes les affaires du détenu » – « linge, livres, effets » personnels – « sont
mises dans le magasin de la prison. Dans sa cellule, le détenu ne peut avoir qu’un seul
change pour son linge et un nombre limité de livres »25.
17 Le travail de Gramsci, pendant les années passées à Turi, est donc organisé autour de
deux lieux : sa cellule et le magasin de la prison. Du magasin, où se trouvent tous les
objets lui appartenant – et, notamment, sa bibliothèque, rassemblée au fil du temps dans
des malles et des caisses –, il peut prendre ce qui lui sert et l’emporter dans sa cellule ;
mais il doit par la suite le rapporter au magasin pour pouvoir retirer autre chose (les
lettres de Gramsci contiennent beaucoup de détails sur le fonctionnement de ce “système
cellule-magasin”)26.
18 En ce qui concerne la disponibilité effective du matériel de travail dans la cellule, Gustavo
Trombetti, le camarade de prison qui fut le plus proche de Gramsci, a précisé, dans divers
témoignages, le nombre de livres qu’il était permis d’avoir : « Gramsci, tout comme nous
tous d’ailleurs, pouvait garder avec lui, en cellule, seulement quatre livres personnels,
plus les dictionnaires éventuels. Quand on voulait en consulter d’autres, on demandait à
aller au magasin, où chacun de nous avait déposé les livres qui dépassaient le nombre de
quatre, et ici, on en retirait autant qu’on en avait déposés, de manière à ce que dans la
cellule il y en ait toujours quatre »27.
19 Toutefois, Trombetti était arrivé à Turi en juin 1932, alors que le directeur était Vincenzo
Azzariti ; nous ne pouvons donc savoir si le nombre maximum de quatre volumes était
une règle déjà en vigueur dans les années précédentes ou si, justement, elle avait été

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introduite en 1932. Mais il devait tout de même y avoir une certaine obligation à ce
propos, comme on l’a vu en lisant le rapport de Tatiana, déjà à l’époque du premier
directeur que Gramsci rencontre à Turi, Giovanni Parmegiani ; et tout porte à croire que
ce critère ait été maintenu au cours des années suivantes.
20 Or, il est évident que, si une limite était fixée dans la prison de Turi pour les livres, il
devait y avoir une limite analogue aussi pour les cahiers. Un épisode d’avril 1933 rappelé
par Trombetti est éclairant à ce propos. Gramsci reçut la visite de l’inspecteur sanitaire
Filippo Saporito, envoyé à Turi par le ministère. « Un jour, il [Saporito] dit avoir prélevé
du magasin de la prison, là où Gramsci était tenu de déposer ses cahiers, l’un d’entre eux et,
après l’avoir lu, il en avait tiré ce jugement : “concepts incohérents”, “nébulosité”, “non-
sens”, etc. »28. Les cahiers, comme les livres, doivent donc rester dans le magasin de la
prison, et Gramsci peut en retirer de temps en temps.
21 Il vaut la peine de souligner que le dépôt des cahiers dans un magasin ouvrait la
possibilité d’un contrôle continuel du travail de Gramsci par les autorités. En premier lieu
par le directeur de la prison mais aussi, comme on vient de le voir, par d’éventuels
fonctionnaires du ministère, sans omettre la possibilité que des reproductions
photographiques soient envoyées à Rome pour être soumises à des regards
particulièrement vigilants et attentifs. Cette dernière supposition est autorisée par une
déclaration de Mussolini, transcrite par Yvon de Begnac dans ses Taccuini mussoliani
(« Carnets mussoliniens ») : « La culture italienne du fascisme ne hait pas l’avant-garde
des professeurs de lycée turinois. Cosmo, Augusto Monti, Antonicelli ne sont vraiment pas
des parvenus de la critique, de la narration, de la poésie. Mais tous se plaignent parce que
je préfère madame Sarfatti aux professionnels de la critique d’art. Tous protestent parce
que j’ai nommé Ada Negri à l’Académie italienne. Aurais-je dû mettre le bicorne sur la
tête des hermétiques ? Je lis les cahiers de notes des condamnés du tribunal spécial. Et je me
demande : qu’est-ce que notre culture réclame de différent de ce que le fascisme propose
aux révolutionnaires de bonne volonté ? »29 Il n’est pas possible de dater avec précision
cette déclaration : les entretiens de De Begnac avec Mussolini se déroulèrent à partir du
printemps 1934 et à cette date, Gramsci, qui n’est plus détenu en prison, n’était plus
obligé de déposer ses cahiers dans un magasin. Cependant, la phrase, qui contient
d’ailleurs une référence précise à la culture turinoise dans laquelle Gramsci s’était formé,
incite à penser que Mussolini avait lu précédemment en photocopie quelques cahiers
gramsciens.
22 La question du nombre de cahiers se relie, pour les aspects normatifs et réglementaires,
au problème des livres et des revues. Selon l’ancien règlement de 1891, « les détenus ou
personnes hospitalisées ne peuvent garder avec eux ni papier, ni plume, ni encre, ni
crayon. Seuls les premiers, soumis au régime de ségrégation en cellule continue, peuvent
y être exceptionnellement autorisés, moyennant la permission de l’autorité dirigeante,
s’ils sont condamnés, et de l’autorité judiciaire compétente, s’ils font l’objet d’une
enquête. Ce papier doit avoir un tampon spécial, les feuilles doivent être numérotées et
ne peuvent pas être utilisées pour la correspondance » (art. 325). C’est à cet article que
Gramsci fait une référence implicite dans ses instances pour obtenir l’autorisation
d’écrire dans sa cellule ; permission obtenue, comme on l’a dit, en janvier 1929. Le 8 mars
1929, le directeur Parmegiani informait justement le ministère qu’il avait dû adopter à
l’intention de Gramsci « les mesures consenties par l’article 325 du règlement carcéral en
vigueur, étant donné que ce dernier se trouvait en condition de pouvoir en bénéficier. Il
était seul, dans une bonne cellule, je lui fis donner une petite table et un tabouret ; je lui

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ai permis qu’il s’approvisionne à ses frais en encre, plumes, crayons et cahiers dûment
paginés et visés par moi-même »30 (l’apposition du tampon, tout comme la numérotation
des pages et le visa de la part du directeur, est donc une opération qui précède le moment
où le prisonnier reçoit le cahier). Comme on peut le voir, c’est Parmegiani qui décide de
concéder à Gramsci des cahiers et non des feuilles volantes, parce qu’il est plus facile
d’exercer un contrôle sur des cahiers et – étant donné que les pages sont numérotées – il
n’y a pas le risque qu’une feuille soit arrachée et puisse sortir de la prison. Par ailleurs,
Parmegiani trouvait excessif que l’instance pour pouvoir écrire dans la cellule ait été
envoyée par la mère de Gramsci à Mussolini lui-même : dans le rapport – déjà cité – que
fait Tatiana, après sa visite à Turi de décembre 1928, on peut lire que, lors d’une entrevue
avec cette dernière, Parmegiani « fit allusion à la demande d’Antonio pour avoir de quoi
écrire dans sa cellule et dit qu’il ne comprenait pas pourquoi Antonio n’avait pas adressé
la requête à lui, le Directeur, et qu’on verrait ce qu’on devait décider à ce sujet »31.
Parmegiani revendiquait donc son autorité exclusive en la matière.
23 Il faut remarquer que le règlement entré en vigueur en juin 1931 n’accueillait pas la
disposition de l’art. 325 de l’ancienne norme. On ne retira pas pour autant à Gramsci le
permis d’écrire dans sa cellule : les directeurs qui succédèrent à Parmegiani maintinrent
sa décision, en usant évidement de leur pouvoir discrétionnaire. Quant au nombre de
cahiers que Gramsci pouvait avoir avec lui en cellule, il semble tout à fait logique qu’il
entrait dans un calcul global avec les livres et les revues : autrement dit, entre matériel
imprimé et cahiers, le tout ne devait pas dépasser quatre ou – si l’on veut arrondir par
prudence – cinq éléments à la fois.
24 4. C’est dans ces limitations imposées par le régime carcéral que l’on trouve la raison de la
manière particulière que Gramsci adopte dans sa prise de notes, en travaillant en même
temps sur plusieurs cahiers ; dans certains cas, en les reprenant pour les compléter
parfois un certain temps après leur première utilisation. Le problème crucial des cahiers
gramsciens regarde donc leur chronologie. Le fait est que Gramsci ne numérote pas ses
propres manuscrits (une tentative dans ce sens, entamée en 1932 et concernant les
Cahiers 8, 9, 10, 11 et 16 – où il indique les numéros I, II, III, 1bis et 2bis –, est tout de suite
abandonnée) ; comme nous l’avons signalé, il travaille sur plusieurs cahiers en même
temps et il donne très peu d’indications temporelles explicites : à part la date du 8 février
1929 écrite au début du Cahier 1, l’avertissement « Cahier commencé en 1933… » sur le f. 1
v du Cahier 15, et l’indication « 1933. Miscellanea » sur la deuxième de couverture du
Cahier 17, dans les notes, il n’y a pas plus de dix autres allusions au moment où il écrit 32.
Cela dit, il convient aussi d’ajouter les annotations qui n’ont rien à voir avec la véritable
rédaction et qui apparaissent précédées par une date, dans les espaces blancs restants
dans certains cahiers : il s’agit de brouillons de lettres ou d’instances adressées aux
autorités, de listes de livres renvoyés hors de la prison, de mémentos de tout type 33. Voilà
tous les éléments directs de datation : toute autre donnée qu’on puisse exploiter dans ce
but ne contribue qu’indirectement à l’établissement de la chronologie.
25 Mais, heureusement pour nous, les éléments indirects sont nombreux (beaucoup d’entre
eux avaient été mis en évidence dans l’édition Gerratana). En premier lieu, la présence ou
non des signes liés à la prison – tampons, indications d’appartenance, numérotation des
feuilles, etc. – et des signatures des directeurs qui alternent permet d’effectuer une
division générale entre les cahiers de Turi (1-17 et A-D) et les cahiers de Formia (18-29,
dépourvus de tout signe), tout en tenant compte du fait que certains cahiers commencés à
Turi ont été achevés à Formia (Cahiers 10, 14, 16 et 17). On peut ensuite établir des

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scansions internes aux cahiers de Turi en se fondant sur la période pendant laquelle
chaque directeur de prison reste en charge. Ceci permet de définir des regroupements
chronologiques :
26 – cahiers Parmegiani (il est déjà directeur quand Gramsci arrive à Turi et il meurt le
16 mars 1929 : il signe les Cahiers 1, 2, 9, A, B, C) ;
27 – cahiers sans signature (ce sont les Cahiers 3, 4 et 7 – pourvus de signes liés à la prison,
mais non paraphés par le directeur – accordés à Gramsci pendant la direction de
G. Gualtieri, en fonction du 31 mai 1929 au 24 novembre 1930 (sa signature n’apparaît
jamais dans les cahiers) ;
28 – cahiers du substitut (ce sont les Cahiers 5, 6, 8, signés par un substitut non identifié de
Gualtieri) ;
29 – cahiers Azzariti (en fonction de la fin novembre 1930 à mars 1933 : il signe les Cahiers D et
10-16) ;
30 – cahiers Sorrentino (en fonction à partir du 18 mars 1933, il dirige encore la prison de Turi
lorsque Gramsci la quitte le 19 novembre de la même année : il signe les Cahiers 17, 17bis
et 17ter).
31 D’autres éléments indirects de datation sont fournis par des références contenues dans
les lettres de prison à des thèmes précis traités dans les cahiers (et inversement ; les
recoupements possibles, par exemple, entre le Cahier 8, le Cahier 10 et les lettres-comptes
rendus écrites par Gramsci entre avril et juin 1932 sur l’Histoire de l’Europe de Croce, sont,
à ce titre, exemplaires)34 ; par des sources – livres, périodiques, journaux – citées par
Gramsci (ou sinon citées, du moins identifiables avec certitude) qu’on peut considérer
comme contemporaines aux notes qui les utilisent ; par des renvois internes explicites
d’une note dans un cahier à une autre dans un autre cahier ; par des liens implicites entre
des notes de cahiers distincts qui traitent un même sujet ou qui s’y réfèrent (ce qui
permet d’établir des relations d’antériorité – ou de postériorité – logique d’écriture, et
donc de s’approcher au plus près, quand on dispose de la datation de la première note, du
délai temporel dans lequel se situe la seconde, ou inversement).
32 À cela s’ajoute la mise en évidence de moments précis d’“histoire interne” des Cahiers de
prison, comme par exemple le travail effectué entre le printemps et l’automne 1930, phase
de transition pour la formulation d’un programme pour l’histoire des intellectuels, qui
débouche, justement, sur la rédaction d’un plan systématique de travail, celui qui
inaugure le Cahier 835 (qui doit donc être daté – sur la base de nombreux indices
– novembre-décembre 1930 et non 1931, comme le proposait l’édition Gerratana)36 ; ou
encore, l’analyse de la modalité du dépouillement systématique de vieilles revues effectué
par Gramsci en 1930-1931, qui permet de situer dans le temps nombre de notes des
Cahiers 2, 3, 5, 6 et 737.
33 Même les caractéristiques externes des cahiers peuvent nous fournir quelques éléments
utiles pour la chronologie. D’un point de vue matériel, les cahiers gramsciens sont en
effet rapportables à des types38. À part les cas où le type est représenté par un seul
exemplaire – Cahiers 4, 10, 19 et D39 –, tous les autres peuvent être classés en huit groupes
(avec variations éventuelles de la couleur sur les couvertures ou sur les dos) :
34 1) Cahiers 1, 2, 9, A, B, C, produits par la maison Gius. Laterza & Figli de Bari (100 ff.) ;
35 2) Cahiers 3, 5, 6, 7, 8, eux aussi fabriqués par la maison Laterza (de 76 à 79 ff.) ;
36 3) Cahiers 11, 20, 21, 25, provenant de la Ditta Cugini Rossi de Rome (80 ff.) ;

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37 4) Cahiers 12, 13, 18, registres mis en vente par la Società Anonima Fratelli De Magistris de
Milan (30 ff.) ;
38 5) Cahiers 14, 15, 27, vendus par une papeterie de rue du Traforo à Rome, qu’on ne peut
identifier plus précisément (40 ff.) ;
39 6) Cahiers 16 et 26, produits eux aussi par la Ditta Cugini Rossi de Rome (36 ff.) ;
40 7) Cahiers 17, 17bis, 17ter, et Cahiers 28 et 29 (les deux derniers se différencient des
premiers uniquement par le format, légèrement plus petit) : il s’agit d’une variante du
type 1, se caractérisant par un nombre inférieur de pages et par quelques différences
menues dans les couvertures (40 ff.) ;
41 8) Cahiers 22, 23 et 24, eux aussi portant le timbre de la maison Laterza de Bari (48 ff.).
42 Ces données ne sont pas négligeables, même si évidemment on ne peut en déduire
l’hypothèse d’une contiguïté temporelle étroite entre les cahiers du même type, possible
dans certains cas (comme pour les six cahiers de type 1, qui constituent par ailleurs les
cahiers Parmegiani) mais certainement pas dans d’autres ; on ne doit pas non plus négliger
le fait que dans l’utilisation par Gramsci de certains cahiers du même type, il peut y avoir,
entre l’un et l’autre, un laps de temps parfois long. En effet, il est fort probable que
Tatiana Schucht ait acheté ensemble, à chaque fois, les cahiers identiques de l’extérieur
(c’est elle qui, pendant les années de Turi, veille à remettre ou à envoyer en prison tout ce
qui sert à son beau-frère pour écrire, et c’est certainement elle qui continue de s’en
charger aussi pendant les années de Formia) ; il est certain que Gramsci a eu, parmi ses
effets personnels conservés dans le magasin de la prison, plus de cahiers que ceux qu’on
lui a effectivement permis d’utiliser – après que ces cahiers ont reçu tous les signes
indiquant l’autorisation officielle de les employer – entre 1929 et 1933 (tout comme le
reste du matériel d’écriture que Tatiana lui a envoyé, mais qui n’a pas été accepté par la
direction de la prison : ce n’est pas un hasard si, dans une lettre du 21 mars 1932, Gramsci
lui écrit que les « bloc-notes » qu’il a reçus d’elle « ne peuvent pas être utilisés ») 40 ; il est
tout autant certain (comme on va le voir) que ces cahiers intacts – c’est le cas, pour n’en
citer qu’un, du Cahier 18, dépourvu du tampon de la prison et donc datant de Formia,
mais appartenant au même type 4 que les Cahiers 12 et 13, sûrement reçus et remplis à
Turi – ont pu suivre Gramsci à sa sortie de la prison de Turi, et qu’il les a retrouvés à
Formia.
43 5. Je dois ici ouvrir une parenthèse. Une autre preuve, décisive, de l’existence d’une
réserve de cahiers vierges dans le magasin est fournie par deux documents conservés à la
Fondazione Istituto Gramsci41. Il s’agit de deux listes, sans date, mais à mettre
certainement en relation avec le transfert des objets personnels de Gramsci au moment
où, le 19 novembre 1933, il quitte la prison de Turi (après avoir passé quelques jours dans
l’infirmerie de la prison de Civitavecchia, il est hospitalisé le 7 décembre, toujours en état
de détention, à la Clinique Cusumano de Formia). Ces documents ont été tous deux
rédigés par le gardien de prison que je désigne comme la “main δ”42.
44 Le premier document, intitulé « Liste des objets appartenant au détenu Gramsci Antonio
envoyés à celui-ci auprès de la Maison pénale de Formia », recense de nombreux objets
personnels, parmi lesquels : « Livres no 53, Revues 40 », « Cahiers écrits 4, idem en blanc 2,
Un paquet de revues non ouvert »43.
45 La deuxième liste a comme en-tête « Doct. Tatiana Schucht, Rue des Alpes no 2, Rome, Liste
des objets », et cite : « Livres no 119, Revues 59, Couvre-livres 3, Cahiers vierges no 21,
idem écrits 16, Caisse 1, Correspondance nombreuse »44.

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46 Le total des cahiers ainsi “déménagé” est de 20 écrits et 23 vierges (tenons compte que
Gramsci n’utilisera par la suite que 13 de ces cahiers vierges). Il convient de faire quelques
remarques.
47 1) Ces deux documents doivent avoir rempli la fonction de reçus, demandés par Gramsci
lui-même ou par Tatiana afin de contrôler que l’expédition de tout ce qui apparaissait sur
les deux listes ait bel et bien été faite, sans que rien ne soit soustrait (ce n’est pas un
hasard si, dans la première liste, chaque élément est coché au crayon). Ces deux
documents, avant d’être acquis par la Fondazione Istituto Gramsci, étaient conservés par
la famille Gramsci à Moscou : il ne s’agit donc pas de documents de prison au sens strict.
48 2) Les « Cahiers écrits 4 » du premier document sont « probablement ceux sur lesquels
[Gramsci] était en train de travailler »45 au moment de son départ de la prison de Turi.
49 3) Comme nous l’apprenons dans la lettre de Gramsci à Tatiana, écrite de Civitavecchia le
27 novembre 1933, dans le magasin de la prison de Turi il y avait encore, à ce moment-là,
une « grande caisse », « pleine de livres qui n’ont pour moi aucun intérêt urgent et que
j’aurais envoyés à la maison », « la petite malle anglaise que tu avais achetée à Milan »,
contenant des « livres qui m’intéressent encore pour mes recherches (si tant est que je
sois encore en état d’étudier) et qui, me semble-t-il, contient aussi du linge », ainsi que du
matériel divers, « de quoi confectionner deux colis ferroviaires, avec du linge et des
livres. Je ne sais pas quoi faire de tout ça. Faut-il le faire expédier à Civitavecchia pour le
faire encore voyager par la suite ? Les caisses, on peut les laisser à Turi pendant quelque
temps ; […] tu peux écrire à la direction de la prison de Turi en donnant des indications
pour l’expédition des colis ferroviaires et en les priant d’attendre pour les caisses » 46. Les
deux listes, donc, font certainement référence au matériel déjà préparé par Gramsci et
pas à celui encore à préparer47.
50 4) La deuxième liste qui nous intéresse semble contredire un témoignage précis de
Gustavo Trombetti (par ailleurs, toujours prudent et fiable dans ses autres déclarations) :
À l’improviste, arriva la nouvelle si attendue de l’acceptation par le ministère du
transfert de Gramsci dans la clinique de Formia. C’était le vendredi 17 novembre
1933 ; Gramsci devait partir le lundi suivant […] Le soir suivant (le samedi
18 novembre), quand depuis longtemps avait sonné la cloche du silence, on lui
communiqua que son départ avait été avancé de 24 heures, c’est-à-dire pour le
dimanche 19 au matin. Ainsi, vers 11 heures du soir, ils nous emmenèrent au
magasin où les détenus avaient leurs affaires personnelles, livres, valises,
vêtements, etc. ; là, nous devions remplir une valise que Gramsci allait emmener
avec lui et une malle qui serait ensuite expédiée à sa belle-sœur Tatiana à Rome. En
attendant qu’on nous emmène au magasin, Gramsci me fit part de son inquiétude
quant au sort de ses cahiers, au cas où le garde, qui était là pour contrôler tout ce
qu’on mettait dans ses bagages, ne laisserait pas passer ces écrits. Pour sûr, ils
auraient été perdus à jamais. Alors, nous nous mîmes d’accord en élaborant un petit
plan. Il allait, au bout d’un moment, engager une conversation en langue sarde avec
le gardien, qui comme lui était sarde, et, à l’instant convenu, quand Gramsci fit
exprès de se mettre entre lui et moi, je pris sur l’étagère le paquet de cahiers et je le
mis dans la malle, en prenant soin de le recouvrir tout de suite d’autres choses.
Ainsi, l’opération fut un succès, et Gramsci se tranquillisa. Une fois la malle remplie,
elle fut liée et plombée en présence de Gramsci et par la suite expédiée à Rome. 48
51 Il n’est cependant pas possible d’établir si la « malle » à la préparation de laquelle
assistent Gramsci et Trombetti était la « grande caisse » qui fut ensuite envoyée à Rome, à
Tatiana (peut-être la même « caisse » mentionnée dans la deuxième liste ?), ou la « petite
malle anglaise » (dont le contenu pourrait être celui qu’énonce le premier document). Par

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ailleurs, le « paquet de cahiers » dont parle Trombetti coïncide bien avec les
« 21 cahiers vierges » et les « 16 cahiers écrits » indiqués dans le second document (mais il
correspond moins bien aux quatre cahiers écrits, plus deux cahiers vierges, de la
première liste).
52 5) Mais pourquoi Gramsci et Trombetti auraient-ils dû recourir à un subterfuge alors que
le transfert des cahiers est mentionné explicitement dans deux documents délivrés par
l’autorité carcérale ? Est-il possible que Trombetti se soit inventé toute cette histoire ?
53 Par ailleurs, la sortie des cahiers de Gramsci de la prison de Turi fut certainement facilitée
par des personnages haut placés. Sraffa avait recommandé à Tatiana, dans une lettre du
11 octobre 1933, de demander l’aide du directeur général des prisons, Giovanni Novelli
(très proche de son oncle, Mariano D’Amelio, puissant premier président de la Cour de
Cassation et sénateur du Royaume, qui suivait avec attention les procédures relatives à
Gramsci et intervint discrètement en sa faveur en plus d’une occasion), aussi bien pour le
voyage de Gramsci par « transfert extraordinaire » que pour le transport des cahiers49.
D’autre part, Gramsci entretenait de bons rapports avec le directeur de l’époque à Turi,
Pietro Sorrentino, qui avait succédé en mars 1933 à Vincenzo Azzariti, le traitait
correctement et était bien disposé à son égard : il s’entretenait avec lui dans de longues et
aimables conversations (Gramsci le considérait comme le meilleur directeur de prison
qu’il lui soit arrivé de connaître). Sorrentino, de plus, avait encouragé Gramsci à adresser
un mémoire aux autorités (ce que fit Gramsci) contestant le comportement des gardiens
en chef et des gardiens50. Pouvons-nous formuler l’hypothèse selon laquelle le subterfuge
imaginé par Gramsci et Trombetti servait à éviter que le personnel de prison
(certainement mal disposé envers Gramsci, après ce mémoire) lui crée des difficultés, bien
que la sortie des cahiers de la prison de Turi ait été autorisée par les autorités ?
54 6) Il faut enfin souligner que le total des vingt cahiers écrits se dégageant des deux listes
ne correspond pas entièrement à ma reconstruction chronologique, selon laquelle, à la
date du 19 novembre 1933, Gramsci avait écrit (en tout ou en partie) quatre cahiers de
traductions51, douze miscellanei52 et cinq « spéciaux » 53, pour un total de vingt-et-un
cahiers. Si l’on s’en tient aux données des deux documents cités supra, un des deux
cahiers que j’ai estimé avoir été commencés à Turi devrait être entièrement situé dans la
période de Formia. Il s’agirait toutefois d’un « spécial », et non pas d’un miscellaneo, parce
que les éléments dont nous disposons pour la datation des miscellanei permettent de
situer à Turi même le commencement du Cahier 17, qui est le “successeur” immédiat du
Cahier 15, terminé en septembre 1933 ; et, parmi les « spéciaux », l’élément “douteux”
pourrait être le Cahier 16, pour lequel j’ai formulé l’hypothèse qu’il a été entamé en juin-
juillet 1932, sur la base de certains indices fortement convaincants (parmi lesquels le fait
que Gramsci tente de numéroter ses propres manuscrits en 1932, et c’est le cas de celui-ci
comme des Cahiers 8, 9, 10, 11, et le fait que ce cahier a certaines caractéristiques qui le
rapprochent des premiers « spéciaux »), mais sans éléments décisifs de datation 54. À ce
propos, il conviendrait d’approfondir davantage. Il ne faut toutefois pas exclure que le
gardien “main δ” ait fait une banale erreur d’écriture sur un numéro ou qu’il se soit
simplement trompé en distinguant les cahiers rédigés de ceux qui étaient restés vierges 55.
55 Clôturons cette trop longue parenthèse (nous étions partis de la réserve de cahiers
vierges dont Gramsci dispose dans le magasin de la prison) et revenons aux indices et aux
“preuves” que nous pouvons utiliser pour une meilleure datation des cahiers.

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 13

56 6. Sur les couvertures ou sur les feuilles de garde de seize manuscrits (Cahiers 11, 14, 15,
17, 17bis, 17ter, 19-25 et 27-29), sont présents des timbres fiscaux apposés par les
différentes entreprises productrices (cet élément n’est, de manière surprenante, jamais
relevé dans l’édition Gerratana). Nous savons que, à la suite d’un accord signé le 18 mai
1931 par la présidence nationale de l’Œuvre Balilla, par la Fédération nationale fasciste
des industriels du papier et par la Confédération nationale fasciste des commerçants, les
papetiers et les libraires scolaires étaient tenus d’appliquer sur tous les types de cahiers
des timbres spéciaux, dont les recettes fiscales profitaient aux patronages scolaires. Après
une phase de transition pendant laquelle cette disposition fut très peu respectée à cause
de la réticence des papetiers (ce qui explique pourquoi les cahiers commencés par
Gramsci avant les premiers mois de 1932 en sont dépourvus), le 26 juillet 1934, un nouvel
accord fut paraphé, puis renouvelé d’année en année, et l’application des timbres fiscaux,
dont la valeur variait selon le nombre de pages de chaque cahier, devint obligatoire.
Quant aux divers timbres qui apparaissent sur les seize cahiers cités, l’utilisation de celui
portant l’indication 5/0 est attestée en 1932 et en 1935, l’utilisation des timbres avec
l’indication 5/20 et 10/0 en 1933, 1934 et 193556. On en déduit, de toute évidence, des
éléments utiles à la localisation temporelle des manuscrits.
57 Dans un but d’établissement de la chronologie, il n’est pas non plus inutile d’analyser les
différentes formules apposées par la direction de la prison sur les cahiers au moment où
ils sont remis à Gramsci, ou bien les instruments (plume, crayon) avec lesquels elles sont
écrites, la couleur de l’encre utilisée, la façon dont les gardiens de prison numérotent les
feuillets des cahiers, la graphie de celui qui numérote (on a identifié quatre mains
différentes, que nous avons appelées α, β, γ et δ), etc. Tout cela permet de produire des
marges de temps plus précises (pour donner un exemple : on peut identifier dans les
Cahiers 1, 9, A, B et C un groupe de cahiers remis ensemble à Gramsci, non seulement
parce que sur tous les cahiers apparaît la signature du directeur Parmegiani, mais aussi
parce que la main qui numérotait les feuilles est la même main β, et que les numéros sont
apposés au crayon et toujours dans la même position).
58 L’analyse de la graphie de Gramsci et de son évolution porte elle aussi ses fruits. Il y a, par
exemple, un détail graphique – le t barré d’un long trait oblique – qui constitue un
phénomène intermittent dans ses textes depuis ses années de lycée, comme nous l’avons
déjà signalé ; plus précisément, c’est une caractéristique calligraphique propre aux pages
composées avec grand soin, qui se manifeste dans des périodes différentes – plus ou
moins longues – de la vie de notre auteur. Le t barré concerne le plus souvent des pages
des Cahiers 1, 2, 7, 9, B et C (jamais des matériaux collatéraux, comme les listes de livres
ou les brouillons de lettres, écrits currenti calamo). En associant la présence ou l’absence
de ce détail graphique dans les cahiers à d’autres indices, il est possible de démontrer que
le t barré n’est jamais utilisé dans ce qui a été rédigé avant juin 1929, il est attesté après
cette date et jusqu’au début de l’année 1930 (selon une fréquence majeure ou mineure,
avec une courbe qui va de son instauration progressive à son utilisation fréquente et
continue, à son apparition occasionnelle dans les redoublements de consonnes, à la
raréfaction ultérieure du trait graphique, présent désormais uniquement dans des
redoublements épisodiques), et il est dans l’ensemble abandonné par Gramsci autour de
mai 1930. Il s’agit bien entendu d’un indice à prendre avec des pincettes : il n’est pas
toujours facile de distinguer les moments “ascendants” des moments “descendants”, et
de décider si les pages où le t n’est pas systématiquement barré suivent ou précèdent la
phase de son emploi constant et méthodique. D’autre part, il est significatif de voir, dans

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 14

les pages d’un même cahier, la graphie de Gramsci passer de régulière à mal assurée, ce
qui peut être mis en relation avec la dégradation de ses conditions de santé à des
moments précis (nous les connaissons à travers ses lettres). On en déduit donc des
éléments de datation, que ce soit – si on se réfère à la présence du t barré – pour les
premiers cahiers, en particulier pour ceux qui sont destinés à la traduction, que – lorsque
l’écriture est hésitante – pour les cahiers plus tardifs (voir, par exemple, le groupe des
ff. 65v-66v du Cahier 11, où l’écriture, visiblement chancelante – par rapport à ce qui
précède ou ce qui suit, en particulier au f. 67r – doit être mise en relation avec l’état de
santé de Gramsci qui empire et dont nous avons un témoignage dans les lettres à Tatiana
des 17 et 31 octobre et du 19 décembre 1932)57.
59 Au cours des années de rédaction de ses manuscrits, Gramsci a adopté, souvent
inconsciemment, des procédés d’écriture dotés d’une certaine régularité et d’une certaine
durée. Ses pages sont donc pleines d’indices et de “traces” à première vue insignifiantes,
mais qui, à bien les considérer, contribuent aussi à l’établissement de la chronologie.
Ainsi, il n’est pas anodin de remarquer qu’après avoir compilé, pendant quelques années,
les cahiers en respectant les marges (quand il y en a, bien entendu), Gramsci adopte à
partir d’un certain moment trois habitudes successives : dans une première phase, son
écriture envahit systématiquement la marge de droite dans chaque page ; dans une
deuxième phase, elle occupe constamment les deux marges ; dans une troisième et
dernière phase, seule la marge de droite est de nouveau occupée. Le rapprochement de
données certaines et d’autres indices avec cette alternance dans les usages d’écriture
nous permet de fixer des bornes temporelles : on peut démontrer que la première phase
va d’avril 1932 à la fin de la même année ; la deuxième de décembre 1932 à septembre
1934 ; la troisième de septembre 1934 jusqu’à l’arrêt définitif des cahiers. On en tire un
nouveau critère pour la datation des cahiers (surtout pour ceux des années tardives) ou
pour leur localisation plus précise dans la chronologie, qui donne des résultats
intéressants pour les Cahiers 9, 14, 15, 17 et les « spéciaux » 11, 16 et 19-29 58.
60 Il faut aussi signaler que, à un certain stade de la construction des cahiers « spéciaux »,
Gramsci a l’habitude de laisser en blanc une partie au début (il s’agit toujours d’un
nombre précis : dix feuilles dans le Cahier 11, dix pages dans les Cahiers 19-22 et 25), afin
de pouvoir y placer par la suite une introduction ou une table des matières-sommaire :
c’est ce qu’il fait ensuite – d’ailleurs sans exploiter entièrement l’espace réservé – dans les
Cahiers 19, 21 et 22. Mais en général il finit par ne pas écrire les introductions prévues,
alors qu’une fois le Cahier 11 terminé, il récupère l’espace disponible pour y ajouter de
nouvelles notes. Que tout ceci ne soit pas sans incidence est démontré par ce dernier cas :
avoir identifié le “saut” des pages du début comme étant un procédé rédactionnel que
Gramsci a adopté pendant une certaine période permet de tirer au clair le fait que le
Cahier 11 a été commencé à partir du f. 11r, et que son titre général est donc celui qui est
écrit en haut de cette page (Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della
filosofia e della storia della cultura [Notes pour une introduction et une préparation à l’étude de la
philosophie et de l’histoire de la culture], doublement souligné) et que le groupe de notes
qu’on lit aux ff. 3r-6v (les ff. 7r-10v restent en blanc) sous le titre Appunti e riferimenti di
carattere storico-critico [ Notes et références de caractère historico-critique] n’est pas la
première, mais bien la dernière section de paragraphes écrite dans le cahier 59.
61 Des éléments utiles pour la datation viennent enfin de l’observation des différents
systèmes de numérotation (partielle ou totale) des pages que Gramsci adopte dans les
cahiers de Formia et d’autres particularités que montrent certains d’entre eux, comme la

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 15

numérotation absente de la première page, l’omission du signe de paragraphe dans le


premier texte de certaines cahiers monographiques ou le fait que, dans quelques-uns des
« spéciaux », Gramsci met le titre général au crayon, et dans d’autres à la plume.
62 7. Mais il est une donnée encore plus importante, sur laquelle il convient de s’arrêter.
Chaque cahier avait, aux yeux de Gramsci, une physionomie spécifique. Le contenu des
manuscrits permet, en effet, de définir, par première approximation, trois modèles : en
premier lieu, il y a le cahier contenant uniquement des traductions (ne sont destinés
qu’aux traductions les Cahiers A, B, C, D ; les Cahiers 7 et 9 devaient, eux aussi, au départ,
avoir cette fonction, mais Gramsci les a ensuite utilisés pour la rédaction de notes) ; par
ailleurs, le cahier miscellaneo, contenant toutes sortes de notes sur des sujets divers
(presque toujours distinguées par un titre de rubrique, qui permet à Gramsci de les
repérer rapidement) ; enfin le cahier spécial, dans lequel beaucoup de ces mêmes notes
sont reprises et révisées60.
63 Il faut apporter une mise au point quant à la définition des cahiers miscellanei : il s’agit
d’une généralisation (introduite de manière très opportune dans l’édition Gerratana) du
titre donné par Gramsci aux seuls Cahiers 2 et 17. En réalité, sous le titre « Miscellanea I »,
Gramsci entendait distinguer le contenu du Cahier 2 de celui du Cahier 1 – qui est fait de
« Note e appunti [Notes et annotations] », comme cela est spécifié au début du
programme qui ouvre le premier cahier – et du contenu des cahiers de traductions (A, B,
C) ; et ce n’est pas un hasard, puisque le Cahier 2 est principalement un recueil de fiches
bibliographiques, avec le nom de l’auteur, titre et références éditoriales, et parfois un
commentaire de Gramsci. De ce point de vue, le Cahier 2 reprend le fichier littéraire de
1911-1916, avec comme unique différence qu’il s’agit ici de fiches rédigées sur les pages
“fixes” d’un cahier et non sur des feuilles volantes. Ceci est particulièrement vrai pour les
quatre premières notes écrites dans ce cahier, commencées sans doute déjà en
février 1929 ou dans les mois qui ont immédiatement suivi ; remarquons que, dans cette
page, le signe § – qui signale toujours les notes de Gramsci – est ajouté à la marge, a
posteriori. Parallèlement à l’utilisation des premières pages, Gramsci a commencé, à
partir de la moitié du Cahier 2, un ensemble d’annotations (sans aucun signe de
paragraphe et toutes précédées et suivies d’espaces blancs, rendant parfaitement le
caractère des fiches bibliographiques), selon cet ordre :
64 – f. 51r (dernière ligne en blanc), une Bibliografia varia (§ 74) ;
65 – f. 51v (9 dernières lignes en blanc), les données bibliographiques d’un volume – Ottavio
Cina, La commedia socialista – avec quelques lignes de commentaire61 ;
66 – f. 49r-v, une bibliographie sous le titre L’Action française e il Vaticano (§ 73 ; les 8 dernières
lignes du f. 48v, les 11 dernières lignes du f. 49v et le f. 50r-v sont en blanc) ;
67 – après avoir laissé en blanc le f. 52r-v, Gramsci écrit, du f. 53r aux deux tiers du f. 55r, la
première partie d’un long texte (§ 75) à propos d’un article de R. Michels, Les Partis
politiques et la contrainte sociale (la seconde partie de la note, dont le début est marqué par
un changement évident de ductus, sera écrite du f. 55r au f. 58r – la dernière ligne est
laissée en blanc –, à une époque postérieure : peut-être après octobre 1931, et quoi qu’il
en soit, après la rédaction du § 76, ff. 58v-59r, que l’on peut dater d’août-septembre 1930).
Il est tout aussi significatif que Gramsci n’emploie pas, dans les ff. 49r-55r, son signe
typique de séparation (~), qui est en revanche présent dans les paragraphes du Cahier 1 et
dans d’autres parties du même Cahier 2.

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 16

68 Ce groupe de notes placé au début de la seconde moitié, initialement isolé, pourrait


constituer, avec les notes des pages initiales, tout ce qui – à part les traductions,
auxquelles Gramsci a consacré la plus grande partie de son temps durant cette période – a
été écrit avant juin 1929 (la rédaction du Cahier 1, après l’écriture du programme de
travail au f. 1r-v, n’est en effet entamée qu’à partir de juin).
69 Mais bien vite, le caractère de miscellaneo s’étend pour Gramsci aux autres cahiers de «
note e appunti », même si la structure formelle de ces annotations – elles sont toutes, par
ailleurs, nées à la suite de la lecture d’un article ou d’un livre – n’est que sporadiquement
celle de la fiche bibliographique pure et simple. Au fil du temps, le critère de classification
passera des données bibliographiques initiales aux titres de rubriques ouvrant les notes,
sans que cela enlève aux cahiers miscellanei leur caractère de grand fichier.
70 Toutefois, il existe d’autres spécificités à l’intérieur des manuscrits : les Cahiers 1-3, 5, 6,
14, 15, 17 (qui recueillent exclusivement des paragraphes consacrés aux sujets que
Gramsci a défini dans ses plans de travail) présentent des différences avec les Cahiers 4, 7,
8 et 9. Ces derniers forment en effet un quatrième modèle de cahier, que j’ai appelé mixte
pour dénoter de cette manière chaque manuscrit où Gramsci a recueilli différents
travaux : par exemple, des cahiers qui contiennent, en plus de notes de caractère varié (
miscellanee), des blocs de paragraphes thématiquement homogènes, rassemblés sous des
titres spécifiques (les trois séries des Notes de philosophie [Appunti di filosofia] dans les
Cahiers 4, 7 et 8 ; les notes sur Le dixième chant de l’Enfer [Il canto decimo dell’Inferno] dans le
Cahier 4, et les Notes sur le Risorgimento italien [Note sul Risorgimento italiano] dans le
Cahier 9) ; ou bien des cahiers de notes variées, de blocs thématiques et de traductions
(les Cahiers déjà cités 7 et 9) ; ou même des cahiers composés uniquement de traductions,
mais provenant de textes différents (les Cahiers A, B et C). Dans le cas des cahiers mixtes,
la nouvelle édition fait suivre le numéro du cahier fixé par Gerratana d’une lettre de
l’alphabet en minuscule entre crochets, afin de caractériser chaque bloc ([a], [b], etc.).
71 En partant du caractère particulier de chaque cahier, on peut saisir la répartition en
zones autonomes et distinctes du travail global fait en prison. Travail que Gramsci met en
place en destinant, pour chacun de ces domaines, des cahiers ou des parties de cahiers.
Nous avons, en effet, une bipartition principale – que Gramsci trace immédiatement, au
moment où il commence à écrire en février 1929 – entre traduction et travail théorique au
sens large (prise de notes sur différents sujets énumérés dans le programme en seize
points du Cahier 1), qui constituent deux secteurs différents de travail : pour ce faire, il
affecte aux traductions des cahiers distincts de ceux qui contiennent les notes
“mélangées”. En outre, à l’intérieur du premier secteur (traductions), il effectue, en 1929,
une division par langues (Cahiers A et B : allemand ; Cahier C : exercices d’anglais dans la
première partie et d’allemand dans la seconde ; Cahier 9 : russe). À partir de mai 1930, à
l’intérieur du secteur théorique, il introduit une différenciation des champs thématiques
particuliers (le Canto decimo dell’Inferno et les trois séries des Appunti di filosofia, auxquelles
s’ajoutent, en 1932, les Note sul Risorgimento italiano), que Gramsci veut garder bien séparés
physiquement de l’ensemble des notes variées consacrées à tous les autres thèmes
identifiés dans ses plans de travail : c’est ce qu’il fait lorsqu’il réserve pour les blocs
homogènes de notes des parties spécifiques à l’intérieur de ses cahiers mixtes. Cette
organisation de travail est en vigueur jusqu’à la fin de 1931. Dans la première moitié de
1932, le secteur des traductions est abandonné, alors qu’on assiste à une réorganisation
au sein de la section réservée au travail théorique : en effet, les cahiers « spéciaux » sont
inaugurés au moment même où le dernier bloc thématique (sur le Risorgimento, dans le

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 17

Cahier 9) est commencé. À partir de la fin de 1932, la “carte” des cahiers est simplifiée :
les séries homogènes de notes disparaissent et il reste les cahiers “mélangés” à côté des
cahiers monographiques. Telle sera la structuration définitive du travail gramscien
jusqu’à ce que l’écriture s’interrompe.
72 En second lieu, certaines “règles” de rédaction proviennent de la limite fixée par la
direction quant à la disponibilité de cahiers dans la cellule ; ces règles sont identifiables
comme des constantes précises de “l’écriture en prison”. On peut avant tout remarquer
que chaque nouvelle requête à la direction de la prison et la concession qui suit
– concernant en général des groupes de cahiers, non des cahiers isolés – est toujours
causée par le fait que certains des cahiers en la possession de Gramsci sont pleins ou sont
sur le point de toucher à leur fin (il en faut donc d’autres pour reprendre leur fonction
spécifique), ou bien par l’exigence de disposer de pages supplémentaires pour commencer
de nouveaux travaux que l’auteur veut garder matériellement distincts de ceux qui sont
déjà entamés. Dès qu’on lui remet un ensemble de cahiers, Gramsci commence
immédiatement à en remplir au moins un, si ce n’est la plupart d’entre eux. D’autre part,
la continuation, dans un autre, du travail effectué dans un cahier (de “mélanges” ou de
traductions) qui, lui, est terminé, constitue un prolongement de la fonction du premier
dans le deuxième et se voit réglée par une sorte de mécanisme de succession immédiate
(ce qui ne vaut évidemment pas pour les cahiers « spéciaux » monographiques, vu qu’ils
ont chacun une identité précise, même quand il y a une continuation, comme dans le cas
du Cahier 18, Niccolò Machiavelli II, par rapport au Cahier 13, Noterelle sulla politica del
Machiavelli ; ou des Cahiers 16 et 26, intitulés tous les deux Argomenti di cultura mais
distingués respectivement par 1° et 2°). Chaque cahier – ou chaque partie de cahier – de
notes diverses ou de traductions a, de cette manière, un “successeur” qui accomplit la
même fonction (chose que l’on voit facilement dans les tout premiers manuscrits
uniquement composés de traductions : la deuxième partie du Cahier B est le “successeur”
de la première partie du Cahier A pour ce qui concerne la poursuite de la version des
contes des frères Grimm, alors que le premier quart du Cahier C (après l’abandon des
exercices de langue anglaise) est le “successeur” de la deuxième partie du Cahier B pour
ce qui concerne l’achèvement de la traduction du volume de F. N. Finck, Die Sprachstämme
des Erdkreises [Les familles linguistiques du monde]). Pendant les périodes où aucun nouveau
cahier ne lui est remis, Gramsci, pour poursuivre son travail, récupère de l’espace dans
des cahiers (ou des parties de cahiers) qui étaient destinés à d’autres fins, ou bien dans
certains cahiers de traductions interrompus.
73 La succession d’un cahier à un autre trace, dans l’histoire des Cahiers de prison, des lignes
précises de continuité. Ainsi, dès février 1929 et au cours des années suivantes, dans ce
que j’ai nommé le secteur théorique du travail, trois séquences se mettent en place, et
pour chacune d’elles on passe automatiquement, dès qu’il est terminé, d’un cahier (ou
d’un bloc de notes à l’intérieur d’un cahier) à un autre.
74 Une première séquence (février 1929 - décembre 1930) voit la rédaction, sans solution de
continuité, des Cahiers 1, 3 et 5.
75 Une deuxième séquence (mai 1930 - mai 1932) est constituée par la première, la deuxième et
la troisième série des notes intitulées Appunti di filosofia - Materialismo e idealismo [Notes de
philosophie – Matérialisme et idéalisme], prises respectivement dans la deuxième moitié du
Cahier 4 (ff. 41r-80v), dans la deuxième moitié du Cahier 7 (ff. 51r-73v) et dans la
deuxième moitié du Cahier 8 (ff. 51r-79v).

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 18

76 Une troisième séquence de cahiers (commencée en novembre 1930) est mise en route
avec un bloc de notes sur les intellectuels dans le Cahier 4 (dans lequel Gramsci prend une
partie des pages – ff. 11r-40v – déjà réservées à l’étude du Canto decimo, afin d’économiser
les espaces disponibles), puis continue avec le Cahier 6, passe ensuite immédiatement à la
première partie du Cahier 8 (ff. c. 3r-50v), puis se poursuit dans le Cahier 9 (qui contient
deux blocs distincts de notes diverses – ff. 8r-65r uniquement sur le recto, et ff. 88v-100v
–, l’un étant la suite de l’autre), puis dans le Cahier 14 et le Cahier 15, et se conclut enfin
dans le Cahier 17.
77 À côté des trois séquences, Gramsci emploie systématiquement le Cahier 2 comme fichier
bibliographique au service des autres cahiers dans les périodes où il s’occupe de
dépouiller de vieilles revues (cette fonction du Cahier 2 se prolonge jusqu’en
octobre 1931) ; il enrichit le groupe de notes – ff. 1r-7v – sur le Canto decimo dell’Inferno
dans le Cahier 4 (avec diverses interruptions) ; il écrit les Note sul Risorgimento italiano dans
le Cahier 9 (ff. 68r-88v) ; il remplit de notes certains espaces restants dans les Cahiers 2, 4,
7 et 14.
78 Comme on peut le remarquer, il arrive souvent dans ces séquences qu’on ne passe pas
d’un cahier à un autre, mais de la moitié d’un cahier à la moitié d’un autre. Ce procédé
mérite notre attention : je l’ai appelé, à plusieurs occasions, la “règle de la bipartition
d’un cahier”. Cette règle préside à la constrution des sept cahiers mixtes, c’est-à-dire
contenant des travaux divers, que Gramsci veut d’une certaine façon séparer du reste
mais en même temps poursuivre en parallèle (un tel procédé, comme nous l’avons vu, est
mis à l’œuvre dans le Cahier 2, et concernera également le Cahier « spécial » 10, La filosofia
di Benedetto Croce). Dans ces cahiers, il a commencé à écrire de manière régulière à partir
de la page 1, pour ensuite remplir la première page de la deuxième moitié de notes
concernant des sujets différents (ou de traductions), ce qui ainsi doublait l’espace à
disposition tout en réservant, par ce double début de rédaction (presque toujours
simultané), les deux parties pour des travaux spécifiques. Dans certains de ces cahiers,
Gramsci a par la suite séparé du reste une partie pour un troisième domaine de travail
(parfois même pour un quatrième domaine), en récupérant les pages blanches restantes
de la première partie, ou en réduisant l’espace initialement consacré à des travaux
commencés précédemment, et pour lesquels le nombre de pages réservées avait été
surestimé.
79 Bref, Gramsci procède, dans chacun de ces cas, comme s’il avait à disposition non pas un,
mais deux (ou trois, voire quatre) cahiers. Au-delà des apparences, il n’existe aucun
cahier de notes diverses ou de traductions où son travail n’ait pas invariablement
commencé dès le premier feuillet (ou le deuxième, si le premier reste blanc) : il l’a
toujours déjà “sali” lorsqu’il commence à écrire dans la deuxième moitié.
80 Ce qui détermine cette manière de procéder est, sûrement, l’impossibilité pour Gramsci
de disposer dans sa cellule de tous ses cahiers (et même, si l’on considère que la prise de
notes et le travail de traduction suppose la présence de volumes et de revues utilisés
comme sources, Gramsci ne peut avoir sur sa petite table que peu de cahiers afin de ne
pas dépasser le total de quatre ou cinq éléments). Cela dit, par la bipartition de certains
de ses cahiers, il réussit à neutraliser en partie les effets de l’interdiction et, par
conséquent, à avoir en même temps à portée de main plusieurs travaux distincts.
81 Remarquons qu’en appliquant à certains cahiers la “règle de la bipartition”, Gramsci ne
fait rien d’autre que de perpétuer un système qu’il mettait en pratique pour sa

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 19

correspondance. Jusqu’en juin 1931, lorsque le nouveau règlement pénitentiaire entre en


vigueur, Gramsci peut écrire une seule lettre tous les quinze jours, uniquement à sa
famille (le nouveau règlement prévoira une lettre par semaine). La lettre doit se limiter à
une seule feuille avec en en-tête le tampon de la prison, le prénom, le nom et le numéro
de matricule du détenu ; elle doit être visionnée par le directeur avant l’envoi. Tatiana,
destinaire de la majeure partie des lettres, se charge (certainement en accord avec
Gramsci) de faire des copies de chaque lettre reçue à envoyer à Sfraffa – et donc à
Togliatti – et à Giulia. Mais Gramsci a l’habitude d’utiliser au maximum le papier qui lui
est donné, en rédigeant de fait deux lettres : une « demi-feuille » est adressée à Tatiana,
l’autre à un membre de sa famille. Par conséquent, Gramsci ajoute : « Envoie à ma mère sa
partie de lettre », « Envoie à mon frère la partie qui le regarde », « Envoie sa partie à ma
soeur Teresina », et ainsi de suite62. Un exemple clair de “dédoublement” ou de “bi-
partition”.
82 8. Pour conclure. Toutes ces caractéristiques du travail gramscien m’ont suggéré, en
premier lieu, de répartir le matériau de la nouvelle édition critique en trois volumes
distincts (consacrés respectivement aux Cahiers de traductions, aux Cahiers « miscellanei » et
aux Cahiers « spéciaux ») : cette solution n’est dictée ni par des raisons pratiques, ni par des
critères purement thématiques. Elle découle nécessairement d’une considération
attentive portée au “plan d’ensemble des cahiers” et, partant, du programme cohérent
que suit Gramsci, comme cela ressort de la façon dont il travaille. Cela me paraît être
également la seule solution éditoriale possible lorsque nous sommes en présence d’une
œuvre qui, non seulement a été laissée inédite par celui qui l’a écrite, mais qui n’a pas
bénéficié de sa part de l’empreinte définitive que les philologues appellent “la dernière
volonté de l’auteur”.
83 En second lieu, j’ai pu construire un grand “réseau” dans lequel des éléments certains, des
“règles”, des indices, des hypothèses concourent à fixer de manière fondamentalement
fiable des repères temporels pour la rédaction autant des cahiers que de groupes de
paragraphes ou encore de notes singulières. Il en découle quelques nouveautés par
rapport à l’édition Gerratana, pour ce qui concerne la séquence des cahiers (et donc leur
disposition dans la nouvelle édition), de même que la position des notes à l’intérieur de
chacun d’entre eux (mais les numéros attribués aux cahiers par Gerratana seront
maintenus, pour ne pas prêter à confusion). Les dates de début et de fin de chaque cahier
seront, dans la nouvelle édition, plus resserrées ou plus précises que celles proposées par
Gerratana. La chronologie totale des Cahiers sera exposée dans des Tableaux de datation en
annexe à la nouvelle édition63.
84 Bien entendu, au fur et à mesure que le travail de préparation de l’édition avance et que
les recherches mettent à l’épreuve les résultats, le “réseau” tend à se restreindre en
produisant des marges chronologiques plus précises (comme il est déjà advenu pour les
Cahiers 264 et 1765, tandis que de nouvelles propositions concernant le Cahier 14 méritent
d’être discutées avec attention)66. Comme le démontrent de manière encore plus
convaincante les études récentes, au fur et à mesure que notre connaissance de la
biographie de Gramsci et des événements dont il a été le protagoniste s’enrichit, les
cahiers apparaissent de plus en plus comme une contribution politique “militante”.
Rendre le “facteur temps” aux manuscrits de la prison est donc essentiel pour mieux
comprendre leur contenu.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 20

NOTES
1. A. GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Turin, Einaudi, 1948 ; Gli
intellettuali e l’organizzazione della cultura, ibid., 1949 ; Il Risorgimento, ibid., 1949 ; Note sul
Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, ibid., 1949 ; Letteratura e vita nazionale, ibid.,
1950 ; Passato e presente, ibid., 1951.
2. Comme l’a observé A. MONASTA dans L’educazione tradita. Criteri per una diversa
valutazione complessiva dei ‘Quaderni del carcere’ di Antonio Gramsci, Pise, Giardini, 1985,
p. 32, le choix de publier en premier un volume contenant les notes de philosophie était
explicitement justifié, dans la préface de Il materialismo storico, « par la nécessité d’insérer
Gramsci dans la continuité du marxisme-léninisme ». Les écrits recueillis dans ce premier
volume étaient en effet définis comme « le couronnement de toutes les recherches
menées par Gramsci pendant ses années de prison, la justification théorique,
philosophique de l’approche du problème des intellectuels et de la culture […] Ces écrits
de Gramsci ne pourraient être ni compris ni évalués dans leur exacte signification
théorique, si on ne donnait pas pour acquis les progrès accomplis par la conception
marxiste dans les trois premières décennies de ce siècle, grâce à l’activité théorique et
pratique de Lénine et de Staline. Le marxisme de Gramsci c’est le marxisme-léninisme »
(A. GRAMSCI, Il materialismo storico, p. XVIII). Avec de telles prémisses, on comprend que
l’ordre même de publication des cinq volumes suivant Il materialismo storico allait prendre
un sens précis. Le tout semble en effet reposer sur « une hiérarchie disciplinaire de type
médiéval et idéaliste : d’abord la philosophie [Il materialismo storico, justement], puis la
culture en général [Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura], l’histoire [Il Risorgimento],
la politique [Note sul Machiavelli] et, enfin, la littérature et l’art [Letteratura e vita nazionale
] » (A. MONASTA, L’educazione tradita, p. 37). Un dernier volume, Passato e presente,
recueillait ce que les éditeurs estimaient ne pas pouvoir placer dans les cinq premiers. La
préface aux Note sul Machiavelli suggérait par ailleurs une lecture d’ensemble de ce volume
et des deux qui précédaient : « En toute rigueur – pouvait-on y lire – […] le volume sur le
Risorgimento aurait dû être suivi par les notes et les textes sur la littérature italienne et la
littérature populaire, conçus par l’auteur comme une partie intégrante de sa recherche
sur la fonction des intellectuels, dont les notes réunies dans le présent volume
constituent la conclusion » ; toutefois, « il est évident que les problèmes du parti politique
de la classe ouvrière et de la fondation de l’Etat socialiste – les problèmes du “Prince
moderne” – sont beaucoup. plus étroitement et directement reliés à ceux qui sont traités
dans les deux volumes précédents [Intellettuali et Risorgimento ] que ne le sont les
problèmes de la littérature […]. On doit […] tenir compte du fait que dans les notes de
littérature la fonction des intellectuels est examinée [par Gramsci] d’un point de vue fort
différent, pas toujours visiblement et immédiatement politique. On a de ce fait estimé
opportun – concluait la préface – de placer après le présent volume celui qui contient ces
notes [de littérature] et de lui donner une place à part dans le recueil des œuvres, comme
on l’avait déjà fait pour Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce » (A. GRAMSCI,
Note sul Machiavelli, p. XIX-XX).

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 21

3. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di


V. Gerratana, Turin, Einaudi, 1975.
4. V. GERRATANA, « Prefazione », ibid., p. XXXV.
5. Ibid., p. XXXVII et XXXVIII.
6. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica diretta da G. Francioni, vol. I, Quaderni
di traduzioni (1929-1932), a cura di G. Cospito e G. Francioni, Rome, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 2007 ; vol. II, Quaderni miscellanei (1929-1935), a cura di G. Cospito,
G. Francioni et F. Frosini, à paraître ; vol. III, Quaderni « speciali » (1932-1935), a cura di
G. Cospito, G. Francioni et F. Frosini, à paraître. Les trois volumes constituent la section II
de l’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci.
7. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni,
18 volumes, Rome-Cagliari, Istituto della Enciclopedia italiana - L’Unione Sarda, 2009.
8. Voir infra, note 67.
9. Les 35 cahiers sont conservés à Rome à la Fondazione Istituto Gramsci, Archivio
Antonio Gramsci (désormais : FIG, AAG), série 3.
10. Témoignage publié dans Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, a cura di
M. Paulesu Quercioli, Milan, Feltrinelli, 1977, p. 238.
11. FIG, AAG, serie 1, Carte personali, sottoserie 1, 1891-1926, fasc. Documentazione scolastica.
12. Témoignage publié dans Gramsci raccontato, a cura di C. Bermani, Rome, Edizioni
Associate, 1987, p. 72.
13. Le manuscrit se trouve dans FIG, AAG, serie 1, sottoserie 1, fasc. Dal rientro in Italia
all’arresto. Voir son édition critique par F. M. BISCIONE, « Gramsci e la ‘questione
meridionale’ », Critica marxista, XXVIII, 1990, p. 39-78, republiée ensuite dans A. GRAMSCI,
La questione meridionale, Rome, Editori Riuniti, 1991. Le texte avait été publié une première
fois dans la revue Lo Stato operaio, IV, 1, gennaio 1930, p. 9-26, éditée à Paris par le Centre
extérieur du Parti communiste italien (PCd’I).
14. FIG, AAG, serie 1, sottoserie 1, fasc. Anni torinesi. Luca Paulesu, petit-fils de Teresina
Gramsci Paulesu, la sœur préférée d’Antonio, a raconté que les « centaines de fiches
autographes des livres lus pendant sa jeunesse et envoyées à Ghilarza », autrefois
conservées dans la maison familiale, s’étaient réduites avec le temps : « Teresina les a
données aux camarades du parti qui, au fil du temps, sont allés visiter Casa Gramsci et
sont passés la voir » (L. PAULESU, Nino mi chiamo. Fantabiografia del piccolo Antonio Gramsci,
Milan, Feltrinelli, 2012, Prefazione, p. 11).
15. E. BARTALINI, Il mio Gramsci, a cura di T. Arrigoni, Piombino, La Bancarella, 2007, p. 43.
16. A. GRAMSCI - T. SCHUCHT, Lettere (1926-1935), a cura di A. Natoli e C. Daniele, Turin,
Einaudi, 1997 (désormais : GSL), p. 60-63.
17. L’instance est publiée dans A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di A. A. Santucci,
Palerme, Sellerio, 1996, p. 816. Voir à ce propos D. ZUCARO, Vita del carcere di Antonio
Gramsci, Milan-Rome, Edizioni Avanti!, 1954, p. 122, et la lettre à Tatiana du 11 avril 1927,
GSL, p. 82.
18. GSL, p. 104.
19. Lettre à sa femme Giulia, 30 avril 1928, Lettere dal carcere, p. 186.
20. Lettere dal carcere, p. 204-205.

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21. Lettre à Tatiana, 27 août 1928, GSL, p. 250.


22. GSL, p. 299.
23. « Primo Quaderno (8 febbraio 1929) | Note e appunti. | Argomenti principali : – | 1) Teoria
della storia e della storiografia. | 2) Sviluppo della borghesia italiana fino al 1870. | 3) Formazione
dei gruppi intellettuali italiani : – svolgimento, atteggiamenti. | 4) La letteratura popolare dei
“romanzi d’appendice” e le ragioni della sua persistente fortuna. | 5) Cavalcante Cavalcanti : la sua
posizione nella struttura e nell’arte della Divina Commedia. | 6) Origini e svolgimento
dell’Azione Cattolica in Italia e in Europa. | 7) Il concetto di folklore. | 8) Esperienze della vita in
carcere. | 9) La “quistione meridionale” e la quistione delle isole. | 10) Osservazioni sulla
popolazione italiana : sua composizione, funzione dell’emigrazione. | 11) Americanismo e
fordismo. | 12) La quistione della lingua in Italia : Manzoni e G. I. Ascoli. | 13) Il “senso comune”
(cfr. 7) | 14) Riviste tipo : teorica, critico-storica, di cultura generale (divulgazione). | 15)
Neo-grammatici e neo-linguisti (“questa tavola rotonda è quadrata”) | 16) I nipotini di padre
Bresciani. » (Cahier 1, f. 1r-v).
24. GSL, p. 306.
25. GSL, Appendice I/2, p. 1422. Je souligne.
26. Par exemple : « Tu dois avoir en tête qu’en cellule on ne peut garder que très peu de
choses, le strict nécessaire. Quand arrive un paquet ou un petit paquet, on est appelé pour
assister à l’ouverture et pour contrôler que tout est en ordre. On emmène quelque chose
avec soi si l’on démontre que l’on en a besoin immédiatement ; la règle c’est qu’on
ramène le “vieux” et qu’on prend le neuf. Voilà pourquoi il m’arrive parfois
de “découvrir” dans le magasin des objets dont j’avais oublié l’existence » (GSL,
p. 900-901). Et encore : « Pour le reste [des objets reçus] je ne peux rien t’écrire sur leur
utilité, parce que je ne m’en sers pas encore et j’ai tout laissé au magasin » (GSL, p. 374) ;
« Des Œuvres politiques [de Marx] je n’ai reçu que deux volumes dont je ne sais à quel
numéro d’ordre ils correspondent car je ne les ai pas dans ma cellule en ce moment » (GSL
, p. 727) ; « ce matériel je ne le vois pas depuis longtemps c’est-à-dire avant que j’aie
conçu le noyau principal de ce schéma [sur le Chant X de l’Enfer de Dante] car il est au
fond d’une caisse qui est gardée dans le magasin » (GSL, p. 812).
27. G. TROMBETTI, « In carcere con Gramsci », IG Informazioni, 1, 1992, p. 80 ; je souligne (il
s’agit d’un témoignage présenté lors du colloque international Antonio Gramsci - un
progresso intellettuale di massa, Urbino, 16-18 novembre 1987).
28. G. TROMBETTI, « “Piantone” di Gramsci nel carcere di Turi », Rinascita, XXII, 18, 1965,
p. 31 ; je souligne.
29. Y. DE BEGNAC, Taccuini mussoliniani, a cura di F. Perfetti, Bologne, Il Mulino, 1990,
p. 423 ; je souligne le second italique ; parvenus est en français dans le texte.
30. Cité par G. CARBONE, « I libri del carcere di Antonio Gramsci », Movimento operaio, IV, 4,
1952, p. 642.
31. GSL, Appendice I/2, p. 1423.
32. Cahier 3, § 13 (ici et par la suite, j’indique les numéros de paragraphes en suivant
l’édition Gerratana) : « aujourd’hui même (30 mai 1930) » ; Cahier 4, § 31 : « jusqu’à
aujourd’hui – septembre 1930 » ; Cahier 5, § 14 : « jusqu’à aujourd’hui (octobre 1930) » ;
Cahier 7, § 52 : « j’ai lu ces jours-ci (août 1931) », et § 82 : « Corradini est mort le
10 décembre 1931 » (l’affirmation paraît contemporaine de l’événement qu’elle
rapporte) ; Cahier 8, § 172 : « Voir la bibliographie d’A. Chiappelli (mort ce mois de

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 23

novembre 1931) » ; Cahier 28, § 1 : « seulement aujourd’hui (1935) ». Pour deux autres cas,
les indications sont génériques et pourraient s’appliquer soit à l’année en cours, soit à une
année antérieure : Cahier 20, § 4 : « Monseigneur Benigni, mort en 1934, était un homme
de grande capacité théorique et pratique » ; Cahier 23, § 44 : « en 1934, Saviotti avait reçu
un prix littéraire (une partie du prix Viareggio) » (le prix avait été donné en août de cette
année).
33. Voir Cahier 1, ff. 93r-95r ; Cahier A, ff. 99v-100r ; Cahier B, f o 23r-v ; Cahier 2, ff. 92r-95r
; Cahier 7, fo 76r ; Cahier 9, ff. 2r, 3r, 4r, 6r, 7r, 99r ; Cahier 17, ff. 19r-v, 21v-22r.
34. Voir G. FRANCIONI et F. FROSINI, « Nota introduttiva al Quaderno 10 », dans A. GRAMSCI,
Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, vol. 14, p. 2-4.
35. « Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani. | […] ~ Saggi principali : ~
Introduzione generale ~ Sviluppo degli intell‹ettuali› ital‹iani› fino al 1870 : diversi periodi ~
La letterat‹ura› popol‹are› dei romanzi d’appendice ~ Folclore e senso comune ~ La
quistione della lingua letteraria e dei dialetti ~ I nipotini di padre Bresciani ~ Riforma e
Rinascimento - Machiavelli ~ La scuola e l’educazione nazionale ~ La posizione di B. Croce
nella cultura italiana fino alla guerra mondiale ~ Il Risorgimento e il partito d’azione ~
Ugo Foscolo nella formazione della retorica nazionale. ~ Il teatro italiano. ~ Storia
dell’Azione Cattolica ~ Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. ~ Il Comune medioevale -
fase economico-corporativa dello Stato ~ Funzione cosmopolitica degli intellettuali
italiani fino al secolo XVIII ~ Reazioni all’assenza di un carattere popolare-nazionale della
cultura in Italia : i futuristi. ~ La scuola unica e cosa essa significa per tutta
l’organizz‹azione› della cultura nazionale. ~ Il “lorianismo” come uno dei caratteri degli
intell‹ettuali› italiani ~ L’assenza di “giacobinismo” nel risorgimento italiano ~
Machiavelli come tecnico della politica e come politico integrale o in atto. ~ | Appendici : -
Americanismo e fordismo ~ » (Cahier 8, f. 1r-v).
36. Voir G. FRANCIONI, L’officina gramsciana, p. 71-85.
37. Ibid., p. 44-66.
38. Voir la description de chacun des cahiers dans les notes introductives de l’Edizione
anastatica dei manoscritti.
39. Cahier 4 : 80 ff. ; Cahier 10 : registre de comptabilité, 50 ff. ; Cahier 19 : 160 ff. ;
Cahier D : album à dessin, 20 ff..
40. GSL, p. 956.
41. Partiellement cités pour la première fois par E. LATTANZI, L’Archivio Antonio Gramsci,
tesi di diploma della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari, Università di Roma
La Sapienza, a.a. 2011-2012, p. 51-52.
42. À ce propos voir infra, § 6. Sont de la “main δ les indications d’appartenance et la
numérotation des feuillets dans les Cahiers 6, 8, D, 10-17, 17bis, 17ter.
43. « Elenco degli oggetti appartenenti al | detenuto Gramsci Antonio spedito al |
medesimo alla Casa Penale di Formia | Libri no 53 | Riviste ” 40 | Borsa tela ” 1 | Camicie ” 5
| Maglie ” 6 | Mutande p. ” 15 | Asciugamani ” 4 | Fazzoletti ” 43 | Panni bianchi ” 7 |
Salviette ” 4 | Colli ” 6 | Cravatta ” 1 | Peduli p. ” 3 | id. di pelle p. ” 1 | Coltello d’osso ” 1 |
Macchinetta Gilet 1 | Calze p. ” 36 | Pennini diversi | Odol flacone 1 | Barattoli d’all. nio 2 |
Scodella smalto 1 | Lamette Gilet pacchi 1 | Scarpe p. 1 | Buste no 19 | Fogli ” 19 | Matite ” 4 |
Saponi pezzi ” 3. || Spugna 1 | Spazzolini denti 2 | Spazzole 2 | Boccetta acqua disinfettante
1 | Chefir barattolo 1 | Borotalco sc. 1 | Quaderni scritti 4 | idem in bianco 2 | Un pacco di

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 24

riviste | senza aperto | Calamaio 1 » (FIG, AAG, serie 1, sottoserie 2 : 1926-1937, fasc. Anno
1933. Trasferimento alla clinica Cusumano). Ce document a été donné à la Fondazione par
Antonio Gramsci jr. le 30 mars 2006.
44. « Dott. ssa Tatiana Schucht | Via Alpi n o 2 | Roma | Elenco degli oggetti | Libri n o 119 |
Riviste ” 59 | Foderette ” 3 | Quaderni in bianco no 21 | idem scritti ” 16 | Cassa 1 |
Corrispondenza parecchia » (FIG, AAG, serie 1, sottoserie 2, fasc. Senza data). Il n’a pas été
possible de déterminer la date d’acquisition de ce document par la Fondazione.
45. E. LATTANZI, L’Archivio Antonio Gramsci, p. 52.
46. GSL, p. 1387. Mais voir aussi la lettre écrite de Civitavecchia le 4 décembre : « Je te
recommande de ne pas négliger d’avertir la direction de la prison de Turi de Bari dès que
possible pour savoir où ils peuvent m’envoyer les colis ferroviaires. Tu sais que depuis le 1
er
octobre je n’ai plus reçu de revues. À Turi un paquet était arrivé juste le soir où l’on m’a
communiqué l’ordre de départ pour le matin suivant : je ne le fis même pas ouvrir parce
qu’on me le montra à 10 h du soir tandis que je préparais ma valise pour partir quelques
heures plus tard » (GSL, p. 1391). Il faut noter que dans cette dernière lettre Gramsci se
réfère au même « paquet de revues non ouvert » indiqué dans la première liste. Tatiana
attendit que Gramsci soit arrivé à Formia ; elle demanda alors au directeur de la prison de
Turi de « procéder à l’envoi, au moyen de deux colis ferroviaires à grande vitesse, des
objets que Gramsci avait lui-même préparés pour qu’ils soient empaquetés et expédiés […]
À Turi restent encore deux caisses de livres : dès qu’il me sera possible d’obtenir les
instructions de Gramsci, je me permettrai d'indiquer à V[otre] S[eigneurie] I[llustrissime]
comment et où les expédier » (minute s.d. ; je dois à la courtoisie de Eleonora Lattanzi,
Nerio Naldi, Rossana Platone et Maria Luisa Righi, auxquels je tiens à exprimer ma
reconnaissance, la transcription de cette lettre ainsi que de toutes celles qui sont
comprises dans les Carteggi paralleli 1926-1937 – à savoir la correspondance entre Tatiana et
Sraffa et la correspondance entre Tatiana et la famille – en préparation pour l’Edizione
Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci). Le 29 décembre, elle adressa au directeur général
des Institutions de Prévention et de Peine, Giovanni Novelli, la requête de « pouvoir
disposer de deux caisses de livres et d’objets d’usage laissés par le détenu Gramsci
Antonio dans la maison d’arrêt de Turi de Bari. Une grande caisse de livres qui
actuellement ne présentent pas pour Gramsci d’intérêt d’étude pourrait être adressée à la
soussignée, tandis que l’autre caisse plus petite pourrait être adressée à Gramsci lui-
même, dans la maison de soin du Docteur Cusumano à Formia, où le détenu est
hospitalisé » (citée dans GSL, p. 1388, note). Le 4 janvier 1934, Tatiana peut écrire à sa
sœur Giulia que Gramsci maintenant « a tout ce qu’il lui faut pour écrire et j’espère qu’il
sera bientôt en état de reprendre son travail, plus ou moins assidûment » (T. SCHUCHT,
Lettere ai familiari, prefazione di Giuliano Gramsci, introduzione e cura di M. Quercioli
Paulesu, Rome, Editori Riuniti, 1991, p. 155), et le 16 février, elle informe Piero Sraffa que
« sont arrivés [à Gramsci] les livres de Turi, ceux qu’il avait mis de côté pour qu’on les lui
expédie à la clinique, après l’autorisation du ministère. De même qu’a été autorisé l’envoi
d’une caisse de livres à mon domicile ». Les deux groupes de cahiers énumérés
séparément dans les deux listes citées furent certainement réunis à Formia. Mais Gramsci,
pendant de nombreux mois, n’est pas en état de travailler aux cahiers, comme nous
pouvons le comprendre par plusieurs lettres de Tatiana à Giulia (15 février 1934 : « Depuis
novembre [1933], Antonio n’a même pas écrit une ligne », Lettere ai familiari, p. 160 ;
16 avril : « pour le moment il n’a pas repris assez de force pour écrire », ibid., p. 165) et à
Piero Sraffa (16 février : « Nino n’a pas écrit une ligne depuis qu’il est à Formia » ; 8 mai :

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 25

« jusqu’à maintenant il n’a pas pu commencer à étudier et à travailler » ; 12 septembre :


« Nino craint de devenir d’ici peu complètement invalide. Actuellement il n’est plus
capable de travailler » ; voir aussi les lettres des 4 avril, 21 mai, 26 juin, 9 et 17 juillet, 19
et 29 août, 18 septembre) ; ses conditions précaires de santé ne lui permettent pas
d’étudier ni d’écrire avant l’automne 1934, moment où on peut faire l’hypothèse qu’il a
repris son travail (il n’y a pas de données contraires dans les lettres de Tatiana
postérieures au 18 septembre, dans lesquelles d’ailleurs elle annonce une amélioration de
sa santé). Je corrige donc ce que j’avais soutenu, sur la base des lettres de Tatiana connues
à l’époque, dans « Proposte per una nuova edizione dei “Quaderni del carcere” », p. 95-96,
100, 162-164 et 167-168, ainsi que dans mes contributions suivantes, où j’avais supposé
que Gramsci avait repris le travail en juillet-août 1934, après l’inactivité des premiers
mois passés à Formia.
47. Cf. E. LATTANZI, L’Archivio Antonio Gramsci, p. 52.
48. G. TROMBETTI, « In carcere con Gramsci », p. 86-87. Mais voir aussi le témoignage de ce
même Trombetti en 1977 : « Le soir précédant son départ pour Formia, Gramsci fut appelé
par le chef des gardiens qui lui ordonna d’aller dans le magasin pour préparer ses valises.
J’allai moi aussi dans le magasin. Et – nous nous étions déjà mis d’accord là-dessus –
tandis que lui s’entretenait avec le gardien – qui était sarde et l’estimait beaucoup – tout
en me servant d’écran avec sa personne, j’enfournai les cahiers dans une malle. Gramsci
craignait beaucoup que les cahiers ne soient séquestrés, même pour un simple contrôle ;
il savait qu’ils finiraient au ministère et que par la suite il serait très difficile de les
récupérer. La malle fut ensuite envoyée à je ne sais trop qui, peut-être à sa belle-sœur qui
habitait à Rome, rue des Alpes, chez Perilli » (Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi
contemporanei, p. 233).
49. « Il serait bon que vous alliez chez Novelli pour avoir une autorisation spéciale, pour
les affaires à prendre et aussi pour le voyage » (P. SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci,
introduzione e cura di V. Gerratana, Rome, Editori Riuniti, 1991, p. 141). Mais dès le
18 juillet, Sraffa avait conseillé à Tatiana d’« aller voir personnellement Novelli : […] vous
lui rappellerez qu’il a dit que dès lors que s’exprimerait le désir d’un transfert, il pourrait
le décider de sa propre autorité, et il a garanti son transfert extraordinaire ». S’étant
immédiatement rendue au ministère, Tania y fut reçue, en l’absence de Novelli, par son
chef de cabinet, qui lui assura « qu’ils useraient de tous les égards nécessaires, pour le
voyage et pour le reste, comme d’ailleurs je devais bien le savoir, c’est bien ce qui était
fait à l’égard de Nino » (lettre du 16 octobre à Sraffa). L’« autorisation spéciale » fut
accordée, puisque Tania, en écrivant à Gramsci le 4 décembre à propos de son transfert
imminent de Civitavecchia, pouvait affirmer qu’elle avait demandé à la direction de la
prison « le certificat du médecin dont [il avait] besoin pour voyager sans menottes » et
qu’elle avait obtenu des assurances précises « en rapport avec les instructions reçues à
[son] propos » (GSL, p. 1392). Sur l’action de Mariano D’Amelio en faveur de Gramsci et sur
son influence auprès du directeur général Novelli et du procureur du tribunal spécial
Vincenzo Balzano, qui eut à traiter la requête de liberté conditionnelle de Gramsci,
accordée le 25 octobre 1934, voir G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci 1926-1937,
Turin, Einaudi, 2012, p. 249, 274, 275, 292 et passim, et désormais G. FABRE, Lo scambio. Come
Gramsci non fu liberato, Palermo, Sellerio, 2015, en particulier p. 242-251 (mais les liens
D’Amelio-Novelli-Balzano étaient déjà connus grâce à la lettre d’Angelo Sraffa à son fils
Piero du 29 mai 1933, publiée par P. SPRIANO, Gramsci in carcere e il partito, Rome, Editori
Riuniti, 1977, p. 151-152). En ce qui concerne le voyage, Gramsci voulait éviter de refaire

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 26

l’épuisante expérience du « transfert ordinaire » auquel il avait été soumis en 1927


(quand, frappé par un mandat d’arrêt du tribunal de Milan, il était parti le 20 janvier de la
résidence surveillée d’Ustica pour arriver à la prison milanaise de San Vittore après un
voyage de 19 jours, avec des haltes dans les prisons et casernes de Palerme, Naples,
Caianello, Isernia, Sulmona, Castellammare Adriatico, Ancona et Bologne ; voir GSL,
p. 43-46) et encore en 1928, après la condamnation du tribunal spécial (parti de Rome le
4 juillet, il arriva à Turi le 19 juillet après avoir fait halte à Benevento et à Foggia ; voir GSL
, p. 230). Le voyage de Turi à Civitavecchia fut effectivement un « transfert
extraordinaire » : parti le 19 novembre 1933 au matin, Gramsci était arrivé à Civitavecchia
le soir même, et le 20, il pouvait écrire à Tatiana « depuis sa nouvelle résidence » (GSL,
p. 1381). Quant aux « affaires à prendre », auxquelles Sraffa faisait allusion, il faut avoir
en tête que, selon l’art. 179 du Règlement pour les institutions de prévention et de peine de
1931, en cas de transfert d’un condamné, le commandant ou le gardien en chef remet au
chef d’escorte chargé du transfert « le dossier biographique, le certificat sanitaire et la
liste des objets pénitentiaires laissés au condamné lui-même […]. L’argent et les autres
objets et actes sont transmis directement à la direction de l’établissement de destination.
De tous les objets et actes qui lui sont confiés, le commandant ou le gardien en chef
obtient un reçu du chef d’escorte, qui en est responsable jusqu’à l’arrivée du détenu dans
son lieu de destination ». Le détenu transféré pouvait donc emporter avec lui bien peu de
choses (Gramsci, dans sa lettre du 4 décembre, parle d’une seule « valise ») et parmi ces
choses, il ne pouvait certainement pas y avoir des cahiers : voilà précisément les « affaires
à prendre » pour lesquelles il était nécessaire d’obtenir la garantie qu’elles seraient
effectivement expédiées hors de la prison de Turi, avec les « autres objets et actes » qui y
restaient.
50. « Tatiana l’avait aussi informé [Sraffa] que le directeur avait encouragé Nino à écrire
un exposé détaillé sur les comportements des gardiens en chef et de leurs subordonnés
qui entravaient le fonctionnement normal de la prison. Comme nous le savons, de tels
comportements empêchaient Gramsci de se reposer, de nuit comme de jour, et comme ils
se prolongeaient depuis l’été 1931, ils avaient provoqué chez lui un épuisement nerveux
et une aggravation de son athérosclérose. Gramsci rédigea une instance précise et
détaillée en indiquant nominativement les gardiens en chef, en racontant les
comportements des gardiens de façon circonstanciée, en dénonçant leurs répercussions
sur sa santé et en mettant en cause, de façon voilée mais sarcastique, toute
l’administration du système carcéral en de tels termes que Novelli ne pouvait rester
passif : si l’exposé avait été utilisé par la presse antifasciste internationale, cela aurait
porté un coup à l’image “de loi et d’ordre” du régime » (G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio
Gramsci, p. 271-272). Voir les lettres de Tatiana à Sraffa du 31 mai (« Nino s’était de
nouveau plaint auprès de lui des bruits qui l’empêchaient de se reposer la nuit, et le
directeur avait adressé les observations qu’il fallait au gardien-chef et aux agents, tout en
faisant observer à Nino qu’il ne lui était pas possible de se montrer excessivement sévère,
par crainte qu’ils ne fassent pire encore en son absence. […] À moi, le directeur a dit : “Les
détenus se plaignent et ils ont raison”. […] Il m’a encore dit : “J’ai compris l’ambiance qui
règne, on dit de moi que je suis contre les gardiens et que je protège les détenus” »), du
16 juin (« Il s’agit précisément de ce que le directeur a proposé à Nino de présenter au
ministère, et il m’en a parlé. Il s’agit des bruits. “J’ai dit à son beau-frère d’écrire au
ministère parce que je comprends ce que ce dérangement signifie pour une personne qui
se trouve dans ces conditions, et naturellement, si le ministère nous envoie des
instructions précises, les choses pourront changer” »), et du 9 juillet 1933 (« Concernant

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 27

les bruits [Gramsci] a dit que la nuit passée, le directeur avait fait lui-même une tournée
pour constater les faits et que le personnel faisait du bruit exprès pour démontrer qu’il
n’était pas possible de faire autrement, alors que lorsque le sous-chef exige le silence, il
réussit à obtenir qu’il soit absolu. C’est une question de mauvaise volonté, de sabotage.
[Les gardiens] ont déjà demandé si c’était lui [Gramsci] qui commandait dans la prison, et
il comprend très bien quelles doivent être pour lui les conséquences d’une punition qui
serait infligée par le directeur. […] De tout cela il ne peut retirer que des ennuis et rien
d’autre ; il a dit qu’ici, comme dans tous les milieux du reste, certains éléments sont
terribles, prêts à tout »).
51. Cahier A (février-mars 1929), Cahier B (avril 1929 - novembre 1931), Cahier C (d’avril-
juin 1929 aux premiers mois de 1930), Cahier D (janvier 1932). Pour les Cahiers 7 et 9,
initialement destinés uniquement à des traductions, puis transformés par Gramsci en
cahiers miscellanei, voir la note suivante.
52. Cahier 1 (8 février 1929 - mai 1930) ; Cahier 2 (§ 1-149 : de février [ ?] 1929 à
octobre 1931 ; § 150 : 1933) ; Cahier 4, ff. 1r-7v (§ 78-88 : mai 1930 - août 1932), ff. 41r-80v
(§ 1-48 : de mai à octobre-novembre 1930), ff. 11r-40v (§ 49-77 : novembre 1930), ff. 8r-10v
(§ 89-95 : août-septembre 1932) ; Cahier 3 (mai-octobre 1930) ; Cahier 5 (§ 1-145 : octobre-
décembre 1930 ; § 146-161 : décembre 1930, ou bien août 1931 - début 1932) ; Cahier 6 (de
novembre-décembre 1930 à janvier 1932) ; Cahier 7, ff. 2r-34v (traductions de Marx : mai
1930 - juillet 1931), ff. 51r-73v (§ 1-48 : novembre 1930 - novembre 1931), ff. 34v-50v
(§ 49-108 : août-décembre 1931) ; Cahier 8, f. 1r-v (Note sparse e appunti per una storia degli
intellettuali italiani : novembre-décembre 1930), ff. 51r-79v (§ 166-240 : novembre 1931 -
mai 1932), ff. 3r-50v et recto de la feuille de garde postérieure (§ 1-165 : janvier-mai 1932),
f. 2r (Raggruppamenti di materia : mars-avril 1932) ; Cahier 9, ff. 1v-65v uniquement sur le
verso, 66r-v, 67r (traductions du russe : entre avril-juin et novembre 1929), ff. 8r-65r
uniquement sur le recto (§ 1-88 : avril-septembre 1932), ff. 68r-88v (§ 89-118 : mai-
septembre 1932), ff. 88v-100v (§ 119-142 : septembre-novembre 1932) ; Cahier 14 (les
ff. 2r-29r, § 4-58, sont certainement écrits entre décembre 1932 et février 1933) ; Cahier 15
(février-septembre 1933) ; Cahier 17 (les ff. 1r-10r, § 1-24, sont certainement écrits entre
septembre et le 18 novembre 1933).
53. Cahier 10 (d’avril 1932 à février ou février-mai 1933 ; vers le milieu de l’année 1935,
Gramsci écrira des ajouts en marge du sommaire, f. 41r-v) ; Cahier 12 (mai-juin 1932) ;
Cahier 13 (commencé en mai 1932 et probablement terminé avant le 19 novembre 1933) ;
Cahier 11 (de juin-juillet à décembre 1932) ; Cahier 16 (commencé en juin-juillet 1932, il
sera terminé à Formia).
54. Gramsci avait demandé à Tatiana, le 22 février 1932, de lui envoyer des cahiers qui ne
soient pas « comme ceux que tu m’as envoyés voilà quelque temps, qui sont
malcommodes et trop grands » (évidente allusion aux Cahiers 10, 12, 13 et 18, qui sont de
vrais registres), mais plutôt « de format normal, comme les cahiers d’écolier et avec pas
trop de pages, au maximum 40-50, de façon qu’ils ne se transforment en un fatras de
mélanges toujours plus confus » (GSL, p. 927). Le 14 mars, Tatiana l’informait qu’elle avait
fait le nécessaire : « Je t’ai envoyé deux types de cahiers, fais-moi savoir lequel tu
préfères » GSL, p. 949) ; le 21 mars, Gramsci répondait : « J’ai reçu les cahiers : les
meilleurs sont les deux petits (en nombre de pages) que tu as envoyés dans le second pli,
le recommandé » (GSL, p. 956). J’ai indiqué que les « deux petits » auxquels Gramsci fait
référence sont les Cahiers 16 et 26 – le type 6, avec 36 folios : on peut en déduire qu’il les
possède depuis début mars 1932 (mais le Cahier 26 demeurera longtemps intact et ne sera

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 28

utilisé qu’à Formia, dans la dernière phase de la rédaction des « spéciaux »). Le Cahier 16
contient peu d’éléments (indirects) de datation, en premier lieu un renvoi à d’« autres
notes (la série sur les intellectuels et le problème scolaire) » qui apparaît dans le § 21 et
qu’il faut comprendre comme faisant référence au Cahier 12 (mai-juin 1932) ; en outre,
dans le § 9, Gramsci fait une rapide allusion, comme peut l’être un rappel à un sujet déjà
traité (« ce sont de purs esprits abstraits, ceux qui attendent une réforme religieuse en
Italie, une nouvelle édition italienne du calvinisme, comme Missiroli et Cie »), qui permet
d’établir la postériorité de ce texte par rapport au § 26 du Cahier 14 (note écrite en
janvier 1933), où il avait amplement analysé « le courant intellectuel contemporain qui a
soutenu le principe selon lequel les faiblesses de la nat‹ion› et de l’Etat ital‹ien› étaient
dues au manque d’une réforme protestante, courant représ‹enté› spécialem‹ent› par
Missiroli » ; le § 10 tirait certaines indications de la préface de Guido De Ruggiero à un
livre de Giulio Lachelier qui, absent du fonds carcéral, peut avoir été vu par Gramsci
pendant la période de Formia ; dans le § 11, en parlant des « possibilités financières du
centre vatican » et en particulier des « rentes normales désormais assurées » du fait du
Concordat, Gramsci observe que « à partir de 1937, elles diminueront de 15 millions par
an du fait de la conversion de la dette publique de 5 % à 3,5 % » : donnée qui présuppose la
publication du RDL (décret-loi royal) du 3 février 1934, lequel établit, à partir de 1937, une
telle baisse de l’intérêt sur les titres d’État ; dans les § 13 et 14 sont réélaborés, en plus de
paragraphes qui proviennent des Cahiers 4 et 8, quatre textes en première rédaction du
Cahier 14 (§ 4, 27, 30, 44), dont le dernier est de février 1933 ; le § 15 reprend en seconde
rédaction le § 68 du Cahier 15 (juillet 1933). Comme on le voit, le § 11 suffit à assigner une
partie du Cahier 16 (celle qui commence au fo 15v) à la période de Formia et donc, vu ce
que nous savons des conditions de santé de Gramsci durant son séjour à la Clinique
Cusumano, au plus tôt à la fin du mois de septembre 1934, tandis que les textes
précédents – au moins jusqu’à la fin du § 8, c’est-à-dire du f. 2r au f. 10r – peuvent avoir
été écrits à Turi. Mais une particularité graphique offre un indice supplémentaire pour la
chronologie du Cahier 16 : Gramsci le rédige en effet en envahissant systématiquement la
marge de droite de chaque page, suivant un procédé rédactionnel utilisé une première
fois entre avril et décembre 1932 et qui ne sera pas repris avant l’automne 1934. Ce qui
tend à exclure qu’une partie du manuscrit puisse être situé dans l’arc temporel qui va de
décembre 1932 au 19 décembre 1933 (date de son départ de Turi), période pendant
laquelle Gramsci écrit en suivant une “règle” différente, c’est-à-dire en envahissant les
deux marges de chaque page, une partie du Cahier 14, le Cahier 15 en entier et une partie
du Cahier 17 (voir supra note 54 et, sur ces caractéristiques de l’écriture de Gramsci, le § 6
de cet article). Il faut pourtant également exclure l’hypothèse selon laquelle tout le
Cahier 16 aurait été écrit à Formia à partir de l’automne 1934, parce que cela impliquerait
qu’un cahier tamponné et préparé par la direction de la prison et transmis au détenu au
plus tard en mars 1933 soit resté complètement intact pendant un an et demi : on peut
aisément imaginer qu’en ce cas, le Cahier 16 aurait subi le même sort que les Cahiers 17bis
et 17ter, c’est-à-dire qu’il aurait été écarté pour des motifs psychologique aisés à
comprendre : Gramsci n’hésite pas, en effet, une fois sorti de la prison de Turi, à utiliser
des cahiers avec les signes et tampons pénitentiaires mais seulement s’ils ont déjà été
commencés ; mais si, comme les Cahiers 17bis et 17ter, ils sont encore vierges, il n’a
aucune raison de ne pas en utiliser d’autres sans les tampons ni les signatures de ses
geôliers. Ce qui incite à dater de 1932 la partie initiale du Cahier 16 – phase, donc, de la
première application de la “règle” de l’invasion de la marge de droite, qui touche
également les Cahiers 9 et 11 –, c’est un ensemble de caractéristiques qui le rapprochent

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 29

des Cahiers 8-11 : le renvoi implicite (dans l’ordre) aux Cahiers 10, 12, 13 et 11 contenu
dans la formulation des quatre premiers « regroupements de matières » énoncés au f. 2r
du Cahier 8 (« 1. Intellectuels - Questions scolaires ; 2. Machiavel ; 3. Notions encyclopédiques et
sujets de culture ; 4. Introduction à l’étude de la philosophie et notes critiques sur un Essai
populaire de sociologie ») ; l’absence d’une numérotation de la main de Gramsci dans les
feuilles de ce cahier, comme aussi dans le Cahier 11, au contraire de ce qui advient dans
les Cahiers 10, 12, 13 ; la réélaboration, dans les paragraphes initiaux (comme c’est le cas
dans les Cahiers 11 et 13 et dans le bloc des ff. 41r-50v du Cahier 10), de textes en
première rédaction pris dans le Cahier 8. Parmi ces particularités, il faut remarquer le fait
que ce Cahier 16 est impliqué dans la tentative, probablement advenue dans la seconde
moitié de 1932, de classification des manuscrits (voir sur ce point le § 4 de cet article) : le
numéro 2bis que Gramsci attribue initialement au Cahier 16 – et qu’il raturera par la suite,
quand il donnera au cahier le titre Sujets de culture 1, pour le distinguer du Cahier 26,
intitulé Sujets de culture 2, nous fait comprendre qu’il fait partie du groupe de ceux que le
détenu a entre les mains au milieu de l’année 1932, quand il commence à construire les
premiers « spéciaux ». Tout cela pousse à penser que l’exorde du Cahier 16 peut être
proche de celui du Cahier 11, et donc qu’il peut être assigné à juin-juillet 1932. Mais cela
implique également que ce « spécial » subit au cours de sa rédaction une interruption
(nous ne sommes cependant pas en mesure d’établir quand elle se situe ni de repérer dans
le ductus un point possible de césure). Cette interruption coïncide avec la période où
Gramsci adopte la “règle” d’invasion des deux marges, de même que la reprise du cahier a
lieu dans la période de la “règle” d’invasion de la seule marge de droite : c’est pour cette
raison que, dans le manuscrit, ne se succèdent pas les deux procédés rédactionnels,
comme cela advient dans le Cahier 17. En outre, on peut remarquer un élément qui est
significatif d’une reprise du travail après une longue interruption : à la fin du § 10, La
religion, la loterie et l’opium de la misère, Gramsci fait un renvoi (« cf. dans le précédent
cahier d’autres notes sur ce sujet ») qui fait référence aux § 228 et 230 du Cahier 8, tous
deux intitulés La religion, la loterie et l’opium du peuple ; à l’évidence il ne se souvient plus
qu’il a déjà réélaboré ces deux textes précisément dans la première note de ce même
Cahier 16.
55. Il est possible que le gardien de prison “main δ” ait confondu un cahier déjà écrit (du
moins en partie) avec un autre encore vierge, trompé par le fait que Gramsci ne l’avait pas
entamé dès le premier feuillet, laissé vide au recto et au verso. Parmi les cahiers de Turi
ayant cette caractéristique : le Cahier 7 (où les traductions de Marx commencent au f. 2r),
le Cahier 11 (commencé au f. 11r ; Gramsci, une fois terminé le cahier en décembre 1932,
décide d’utiliser aussi les ff. 3r-6v et rédige également – mais il pourrait l’avoir fait aussi à
Formia – au centre du f. 1v un avertissement de 5 lignes sur le contenu du cahier) et le
Cahier 15 (où la rédaction commence au f. 2r, tandis que le f. 1r ne contient qu’une
annotation de la direction de la prison : « Le présent cahier contient des feuilles
numérotées de un à quarante, appartenant au M‹atricu›le 7047 Gramsci Antonio », et que
le f. 1v contient un avertissement de Gramsci – qui pourrait aussi dater de la période de
Formia – « Cahier commencé en 1933 et écrit sans tenir compte des divisions de matière
et des regroupements de notes dans des cahiers spéciaux »). Dans le Cahier 14, en sautant
le f. 1 (qui a au recto une annotation carcérale identique à celle que nous venons de citer,
tandis que le verso reste vide pour l’instant), Gramsci commence à écrire au f. 2r ; en
février 1933, après avoir terminé le § 73, il abandonne le manuscrit en considérant qu’il
est globalement terminé (il reste trois pages avant la fin). Sans surprise, son “successeur”,
le Cahier 15, est commencé en ce même mois. Le Cahier 14 sera repris à Formia, avec les

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 30

sept notes qui occupent les dernières pages (§ 74-80), après lesquelles Gramsci se décidera
à utiliser aussi les deux pages initiales restées vides (§ 1-3).
56. Les données sur l’obligation pour les papeteries, dans les années trente, de coller des
timbres fiscaux sur les cahiers mis en vente sont tirées de : http://www.indire.it/lucabas/
lkmw_file/archivio_storico/Campionario_di_marche_da_bollo.pdf.
57. GSL, p. 1095-1096, 1105-1106, 1153-1154.
58. Je reprends ici, en précisant et corrigeant certains points (à la lumière de la
correspondance entre Tatiana et Sraffa), la thèse soutenue dans certaines de mes
contributions précédentes, mais il s’agit d’un point sur lequel je compte revenir. Il faut en
effet considérer que, tandis que les cahiers de type 1, 3, 5-8 ont des marges imprimées, c’est
Gramsci qui les crée dans le Cahier 10 et dans les cahiers de type 4 : dans le Cahier 10, en
laissant sur le côté droit de chaque page un espace blanc d’extension variable, mais en
gros d’un tiers de la largeur ; dans les autres, en délimitant d’un trait de plume (de crayon
dans le Cahier 18) parfaitement rectiligne un espace blanc vers le bord intérieur, d’une
largeur équivalente à environ un tiers de celle de la page. Donc la “règle” de l’invasion de
la marge de droite, inaugurée en avril 1932, ne concerne pas les Cahiers « spéciaux » 10,
12, 13 et 18, dans lesquels Gramsci délimite les pages pour sa commodité d’écriture (il
s’agit de registres de grand format) et en vue d’éventuelles intégrations dans le texte
(certains ajouts sont en effet écrits sur le bord). La “troisième phase” démarre au moins
en septembre 1934 et dure au moins jusqu’au 19 juin 1935 (date des deux minutes
d’instances que l’on peut lire aux ff. 19r-v et 21v-22r du Cahier 17) : ces deux instances
sont écrites en utilisant aussi la marge de droite (voir note 67). Il faut aussi souligner que,
plus tard, dans certains des cahiers « spéciaux », Gramsci adopte pendant un temps bref
une “règle” encore différente : dans les 7 pages rédigées dans le Cahier 27, il respecte
rigoureusement les deux marges de chaque page ; dans le Cahier 25, il envahit la marge de
droite jusqu’aux deux premières lignes de la page 27, après quoi il écrit la dernière note
(9 lignes) en contenant son écriture à l’intérieur des deux marges ; dans les pages 1-2 et
11-54 du Cahier 22 (les pages 3-10 restent blanches), il utilise la marge de droite, mais
dans les 7 premières lignes de la page 20, il respecte encore une fois les deux marges. Qu’il
s’agisse d’un procédé en vigueur en 1935 est prouvé par un élément direct de datation qui
se trouve p. 7 du Cahier 27 : « aujourd’hui seulement (1935) ». Mais il est difficile de dire si
ces cahiers sont antérieurs aux ff. 21v-22r du Cahier 17, c’est-à-dire si la “règle” du
respect des deux marges (pour laquelle j’avais émis l’hypothèse qu’elle était en vigueur
dans les premiers mois de 1935) est une exception momentanée à la pratique de l’invasion
de la marge de droite, ou s’il s’agit d’une modalité de rédaction en usage après le 19 juin
1935.
59. Voir G. FRANCIONI et F. FROSINI, « Nota introduttiva al Quaderno 11 », dans A. GRAMSCI,
Quaderni del carcere. Edizione anastatica, vol. 15, p. 1-6.
60. Quaderno 10, La filosofia di Benedetto Croce ; Quaderno 11, Appunti per una introduzione e
un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura ; Quaderno 12, Appunti e note
sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali e della cultura in Italia ; Quaderno 13,
Noterelle sulla politica del Machiavelli ; Quaderno 16, Argomenti di cultura 1 o ; Quaderno 18,
Niccolò Machiavelli II ; Quaderno 19, Risorgimento italiano ; Quaderno 20, Azione cattolica -
Cattolici integrali - gesuiti - modernisti ; Quaderno 21, Problemi della cultura nazionale italiana 1 o
, Letteratura popolare ; Quaderno 22, Americanismo e fordismo ; Quaderno 23, Critica letteraria ;
Quaderno 24, Giornalismo ; Quaderno 25, Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali
subalterni ; Quaderno 26, Argomenti di cultura 2° ; Quaderno 27, Osservazioni sul ‘Folclore’ ;

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 31

Quaderno 28, Lorianismo ; Quaderno 29, Note per una introduzione allo studio della grammatica
.
61. Dans l’édition Gerratana, ce texte est considéré comme une partie du § 74.
62. GSL, p. 452, 469, 705.
63. Après G. FRANCIONI, L’officina gramsciana, Appendice II : « Termini di datazione dei
“Quaderni del carcere” », p. 140-146, des corrections et des précisions sur la chronologie
des Cahiers ont été apportées dans les « Proposte per una nuova edizione dei “Quaderni
del carcere” », dans la « Nota al testo » des Quaderni di traduzioni, dans les notes
introductives de l’Edizione anastatica dei manoscritti, et dans G. COSPITO, Il ritmo del pensiero.
Per una lettura diacronica dei « Quaderni del carcere » di Gramsci, Napoli, Bibliopolis, 2011. En
dernier lieu, voir G. COSPITO, « Verso l’edizione critica e integrale dei “Quaderni del
carcere” », Appendice : « Ordinamento editoriale e termini di datazione dei “Quaderni del
carcere” », Studi storici, LII, 2011, 4, p. 16-24.
64. Lors de la préparation du commentaire du Cahier 2, Fabio Frosini a repéré, dans une
allusion faite par Gramsci à la fin du § 75 (« je crois avoir noté ailleurs sa [= de Michels]
situation quand éclata la guerre ») un renvoi probable au Cahier 7, § 64, d’octobre 1931.
Ceci permet une meilleure datation des notes écrites par Gramsci au début de la seconde
moitié du Cahier 2 (voir dans cet article le § 7).
65. Luciano CANFORA (Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Rome, Salerno editrice,
2012, p. 176-180) a proposé une datation plus resserrée du § 51, Machiavel, ff. 20v-21r du
Cahier 17 (que j’avais daté entre septembre 1934 et juin 1935). Il faut avoir en tête avant
tout que les dernières pages écrites par Gramsci dans ce cahier contiennent deux
éléments internes de datation : dans le f. 19v, tout de suite après le § 47, Passé et présent,
dédié au « Congrès géographique qui s’est tenu à Varsovie en août 1934 » (Gramsci avait
connu cette nouvelle par le Corriere della sera du 30 août 1930) figure – après un bref trait
de plume au centre de la dixième ligne, servant de séparation à ce qui précède – la minute
d’une « Instance du détenu Antonio Gramsci, actuellement hospitalisé sous surveillance
dans la Clinique du docteur Cusumano de Formia, à S. E. B. Mussolini, chef du
gouvernement », sans date, mais de septembre 1934 (on la trouve dans le volume IV de
l’édition Gerratana, p. 2416 ; l’original transmis, daté du 24 septembre, a été édité par C.
CASUCCI, « Il carteggio di Gramsci nel Casellario politico centrale », Rassegna degli Archivi di
Stato, XXV, 1965, n. 3, p. 431-432). La minute (rédigée avec un ductus différent de ce qui la
précède et de ce qui la suit) se termine au f. 19v, les sept dernières lignes restant en blanc.
Du f. 20r au f. 21v on lit 5 autres notes (§ 48-52). À la suite du § 52, Sujets de culture. Logique
formelle et mentalité scientifique, en partant de la onzième ligne du f. 21v et sans solution de
continuité par rapport à ce qui précède mais avec une graphie nettement différente,
Gramsci a rédigé une autre minute d’instance qui a pour titre « Lettre à M. le comm.
Valenti, inspect. gén. de la S‹écurité› P‹ublique› – en date du 19 juin 1935 », interrompue
soudainement à la huitième ligne du f. 22r et partiellement barré avec des traits de plume
diagonaux (voir le texte de l’édition Gerratana, p. 2416-2417 ; l’original adressé par
Gramsci, avec la même date, a été publié par C. CASUCCI, « Il carteggio di Gramsci nel
Casellario politico centrale », p. 438). Par la suite, sans solution de continuité par rapport
à la minute (mais de nouveau avec une graphie bien différente), il a écrit une dernière
note, le § 53, Questions de culture. Disraeli (f. 22r). Canfora a identifié avec certitude la
source du § 51, Machiavel, dans l’article de E. BUONAIUTI, « La crisi religiosa in Germania »,
paru dans la revue Politica, XVI, 1934, no 113-114, p. 30-65 (mais ce numéro double, comme

Laboratoire italien, 18 | 2016


Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 32

l’indiquait la couverture, avait été « publié en janvier 1935 ») : « Il n’est pas facile
d’imaginer quand exactement ce fascicule a été reçu par Gramsci à Formia : à partir de
février 1935 » (L. CANFORA, Spie, p. 177). Fabre, quant à lui, a remarqué que ce fascicule de
la revue « apparaît deux fois dans les listes jointes aux paquets des publications envoyées
à Gramsci par la librairie Sperling & Kupfer de Milan […] : la première dans l’envoi du
9 février 1935, reçu le 19 février ; le second envoi parvint à Formia début juin et fut remis
entre le 16 et le 19 juin. On ne sait pas si la librairie fit une erreur dans le premier cas, en
inscrivant le livre dans la liste mais pas dans le paquet, ou si l’erreur fut le second envoi,
c’est-à-dire que Gramsci reçut deux exemplaires du même fascicule. Quoi qu’il en soit, la
lecture advint entre fin janvier 1935 et une date un peu postérieure au 19 juin 1935 (et cette
dernière date paraît la plus probable) » (G. FABRE, Lo scambio, p. 378, note ; je souligne) :
mais la présence, dans les pages qui suivent immédiatement, de la minute de l’instance à
l’inspecteur Valenti, qui est précisément du 19 juin 1935, suffit à démontrer que le
paragraphe en question ne peut pas dépasser cette date.
66. Giorgio FABRE (Lo scambio, p. 374-393) a émis l’hypothèse d’une datation différente de
certaines notes du Cahier 14 : le § 68 (que j’ai daté en février 1933) et les § 70, 74, 76, 77
(que j’ai datés en mars 1935). À son avis, les § 68 et 70 sont « d’une période précédant le
début 1935 », les § 74 et 76 sont « postérieurs et je dirais nettement » au § 51 du Cahier 17
(qu’il faut dater « au premier semestre 1935, mais probablement en juin »), tandis que le
§ 77 est écrit à la fin de 1936 ou au début 1937. Fabre soutient en effet que certains de ces
textes (en particulier le § 76) ne peuvent qu’être postérieurs au procès de Moscou contre
les trotskystes (19-24 août 1936) qui entraîna l’exécution de Zinoviev, Kamenev et
quatorze autres anciens dirigeants bolcheviks ; le procès fut annoncé par les journaux
italiens le 26 août 1936 et par la Rassegna settimanale della stampa estera (périodique que
Gramsci lisait régulièrement) dans le numéro du 1er septembre 1936. En outre, le
« transfuge » dont Gramsci parle dans le § 77 serait à identifier avec Ersilio Ambrogi :
ancien dirigeant bordiguiste s’étant rangé du côté des trotskystes, Ambrogi avait ensuite
été exclu du parti bolchevik russe, mais était resté à Moscou. « De plus en plus isolé […],
connaissant des difficultés économiques, il se présenta une première fois à l’ambassade
d’Italie à Moscou le 29 février 1936, pour demander un nouveau passeport et son
expatriation. À partir du 26 juin, il promit aux Italiens de faire des révélations et de
s’engager contre le Parti communiste italien et les Soviétiques. Dans le but d’en faire un
informateur, le précieux document fut octroyé à Ambrogi après plusieurs visites à
l’ambassade, et il fut accompagné par un carabinier à la frontière polonaise. Le 19 juin
1936, il arriva à Bruxelles où il fut à nouveau contacté par l’ambassade italienne. La suite
de sa périlleuse histoire tient en quelques mots : Ambrogi fut payé avec largesse pendant
deux ans et demi par la police de Rome, laquelle en fut peu satisfaite et le laissa
finalement tomber. En 1936, l’histoire d’Ambrogi bouleversa les milieux communistes
italiens, à Moscou et ailleurs, parce qu’il s’agissait d’un ancien dirigeant très haut gradé »
(G. FABRE, Lo scambio, p. 386). Gramsci allait être informé de ce fait, par l’intermédiaire de
Tatiana, par des agents du NKVD en service à l’ambassade russe de Rome, tant à la fin de
l’année 1936 qu’au début de l’année 1937. Il faudrait donc situer le § 77 du Cahier 14 après
ce moment. Je n’ai pas ici la place pour discuter les argumentations de Fabre, très
détaillées, mais pas complètement convaincantes à la lumière des éléments dont nous
disposons pour la datation des derniers cahiers, et des informations que nous avons sur la
santé et les capacités de travail de Gramsci de 1935 jusqu’à sa mort (sur cette dernière
question de précieuses indications sont fournies par G. COSPITO, « Gramsci después los

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 33

Cuadernos », communication présentée à la Conferencia internacional estudios gramscianos :


Aspectos de la investigación actual, Universidad Autónoma de Puebla-México, 2-4 décembre
2014) : je compte le faire lors d’une prochaine occasion.

RÉSUMÉS
Après avoir retracé l’histoire éditoriale des Quaderni, depuis leur première publication sous forme
thématique jusqu’à la nouvelle édition critique en voie d’achèvement, l’article s’arrête sur les
particularité de l’écriture carcérale de Gramsci, dont la pleine compréhension est la condition
nécessaire pour saisir « le rythme de la pensée » de son auteur. Certaines d’entre elles – à
commencer par l’usage consistant à écrire sur des cahiers d’écolier plutôt que sur des bloc-notes
ou des feuilles volantes – sont imposées par la condition carcérale, d’autres dérivent de « règles »
suivies plus ou moins consciemment par le prisonnier (certaines de façon continue, d’autres
uniquement durant certaines phases d’écriture) lors de la rédaction de ses notes. L’étude de ces
comportements, liée à une analyse minutieuse de la matérialité des manuscrits de prison
(couvertures, interventions des autorités carcérales, graphie et ainsi de suite), a fourni une
quantité remarquable d’éléments indirects de datation qui, ajoutée aux (rares) indications
directes de Gramsci, a permis de reconstruire avec une précision toujours plus grande la
chronologie de chacun des cahiers et des ensembles de notes qui les composent. Est par ailleurs
apparue clairement la nature composite des manuscrits gramsciens, qui peuvent être distingués
(approximativement, car existent aussi des cahiers “mixtes”) en cahiers de traductions, cahiers
de miscellanées et cahiers spéciaux ; la nouvelle édition critique, qui à chacun de ces trois types
de cahiers consacre un volume propre (à son tour divisé en plusieurs tomes), se propose de
restituer de la façon la plus fidèle possible cette caractéristique essentielle du travail de prison.

Dopo aver ripercorso le vicende editoriali dei “Quaderni” dalla loro prima pubblicazione in forma
tematica alla nuova edizione critica in via di completamento, il saggio si sofferma sulle
peculiarità della scrittura carceraria di Gramsci, la cui piena comprensione è condizione
necessaria per cogliere “il ritmo del pensiero” dell’autore. Alcune di queste – a partire dall’uso di
quaderni scolastici, anziché block-notes o fogli sciolti, come materiale scrittorio – sono imposte
dalla condizione carceraria, altre derivano da “regole” seguite più o meno consapevolmente dal
prigioniero (alcune in modo continuativo, altre solo in certe fasi della scrittura) nella stesura
delle proprie annotazioni. Lo studio di tali comportamenti, unito a un’analisi minuziosa dei
manoscritti carcerari nella loro fisicità (copertine, interventi delle autorità carcerarie, grafia e
così via), ha fornito una notevole quantità di elementi indiretti di datazione che, uniti alle
(poche) indicazioni dirette di Gramsci, ha permesso di ricostruire con sempre maggiore
precisione la cronologia dei singoli quaderni e dei blocchi di note che li compongono. È emersa
inoltre con chiarezza la natura composita dei manoscritti gramsciani, che possono essere distinti
(con qualche approssimazione, per via della presenza di quaderno “misti”) in quaderni di
traduzioni, quaderni miscellanei e quaderni speciali; la nuova edizione critica, dedicando a
ognuna di queste tre tipologie di quaderni un volume (a sua volta diviso in più tomi), si propone
di restituire nel modo più fedele possibile tale caratteristica essenziale del lavoro del carcere.

After having traced the publishing history of the Notebooks, from their first edition in thematic
form to the new critical edition presently being completed, the essay then deals with the

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Un labyrinthe de papier (introduction à la philologie gramscienne) 34

peculiarities of Gramsci’s prison writing, a full understanding of which is necessary in order to


capture the author’s “rhythm of thought”. Some of these peculiarities – starting with the use of
school notebooks, rather than notepads or single sheets, as writing material – were imposed by
prison conditions, while others stem from “rules” which he followed more or less knowingly
(some continually and others only in certain phases of his work) in writing the notes. The study
of this behaviour, together with a minute analysis of the physical nature of the prison notebooks
(covers, interventions by the prison authorities, handwriting and so on) has provided a notable
quantity of indirect dating elements which, together with Gramsci’s (sparse) direct indications,
has allowed us to reconstruct with ever greater precision the chronology of the individual
notebooks and the blocks of notes they contain. The composite nature of Gramsci’s manuscripts
has also emerged quite clearly, manuscripts which may be divided (with some approximation,
due to the presence of “mixed notebooks”, into notebooks devoted to translation, miscellaneous
notebooks and special ones. The new critical edition, devoting one volume (in its turn divided
into different books) to each of these three typologies of notebook, aims at the most faithful
restoration possible of this essential aspect of the prison work.

INDEX
Mots-clés : Gramsci Antonio, Cahiers de prison, philologie, chronologie, biographie
Keywords : Prison Notebooks, philology, chronology, biography

AUTEURS
GIANNI FRANCIONI
Professeur ordinario d’Histoire de la philosophie à l’Université de Pavie et membre correspondant
de l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Ses travaux portent sur la pensée
philosophique et politique du XVIIe au XIXe siècle. Il est président de la Ghilarza Summer School -
Scuola internazionale di studi gramsciani, membre de la commission scientifique de l’Edizione
Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, du comité garant et du comité scientifique de la Fondazione
Gramsci (Rome), du conseil de direction de Gramsciana et du comité éditorial de l’International
Gramsci Journal. Parmi ses contributions: L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni
del carcere» (Naples, 1984), Tre studi su Gramsci (Naples, 1988), Il raggio e i prismi. Per una nuova
edizione dei «Quaderni del carcere» di Gramsci (Pavie, 1992) et Quaderni del carcere. Edizione anastatica
dei manoscritti (18 vol., Rome-Cagliari, 2009). Dans le cadre de l’Edizione nazionale, il dirige la
nouvelle édition critique des Quaderni (vol. 1: Quaderni di traduzioni, 1929-1932, éd. G. Cospito et G.
Francioni, Rome, 2007; vol. 2: Quaderni miscellanei, 1929-1935, et vol. 3: Quaderni «speciali», 1932-1935,
éd. G. Cospito, G. Francioni et F. Frosini, en préparation). À ses recherches font référence les
articles rassemblés dans Gramsci tra filologia e storiografia. Scritti per Gianni Francioni, éd. G. Cospito
(Naples, 2010).

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Laboratoire italien
Politique et société
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Gramsci da un secolo all'altro

L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere


L’Édition nationale des Cahiers de prison
The National Edition of the Prison Notebooks

Giuseppe Cospito

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1049 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Notizia bibliografica digitale


Giuseppe Cospito, « L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere », Laboratoire italien [Online], 18 | 2016,
Messo online il 07 dicembre 2016, consultato il 12 dicembre 2016. URL : http://
laboratoireitalien.revues.org/1049

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 1

L’Edizione nazionale dei Quaderni del


carcere
L’Édition nationale des Cahiers de prison
The National Edition of the Prison Notebooks

Giuseppe Cospito

1 L’esigenza di «un’edizione diplomatica» dei trentatré quaderni di note e appunti compilati


da Gramsci in carcere1, «secondo un rigido criterio cronologico e di fedeltà al testo
manoscritto», si pose fin dal 1946 a coloro che si trovarono di fronte al non semplice
compito di predisporre per la pubblicazione il materiale preso in consegna dalla cognata
Tatiana il giorno stesso della morte dell’autore e conservato prima all’Ambasciata
sovietica di Roma, poi a Mosca presso la famiglia Schucht e quindi nell’Archivio centrale
del Comintern, dal quale era stato riconsegnato al Partito comunista italiano alla fine
della guerra. In quella particolare congiuntura storica, tuttavia, si preferì assemblarlo per
aree tematiche in «un’edizione popolare, che agevol[asse] al massimo la lettura e la rend
[esse] accessibile al maggior numero possibile di lettori»; la pubblicazione fu affidata alle
cure di Felice Platone (sotto la supervisione di Palmiro Togliatti), rimandando
l’attuazione del primo progetto a «un secondo tempo»2.
2 Qualche anno dopo, in occasione del primo convegno di studi gramsciani, tenutosi a Roma
nel gennaio 1958, Gastone Manacorda espresse l’auspicio «che si prepar[asse] al più
presto una nuova edizione che rispecchi[asse] fedelmente l’ordine cronologico di
composizione dei Quaderni, per quanto è possibile, e rispett[asse] la collocazione che i
singoli frammenti hanno in ciascun Quaderno»3. Pur consapevole del fatto che si trattava
di un problema «molto difficile a risolversi»4, lo stesso Togliatti appoggiò l’iniziativa, da
inserire nell’ambito di un’edizione critica complessiva delle opere di Gramsci, destinata
però a rimanere incompleta per quanto riguarda gli scritti pre-carcerari; nel 1966
l’incarico di realizzarla fu affidato a Valentino Gerratana che l’anno dopo, in occasione del
convegno gramsciano di Cagliari, era in grado di riferire Sulla preparazione di un’edizione
critica dei «Quaderni del carcere»5, enunciando i criteri che ne ispireranno l’effettiva

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 2

esecuzione, per la quale occorrerà tuttavia attendere altri otto anni, fino all’uscita dei
volumi einaudiani nel 1975.
3 A parte l’esclusione delle traduzioni, di cui in un primo momento era stata ipotizzata una
futura pubblicazione a sé stante6, e del materiale estraneo al lavoro teorico gramsciano
(minute di lettere e istanze, elenchi di libri e altre annotazioni di carattere personale),
peraltro minuziosamente descritto e in parte riprodotto nel volume dedicato all’Apparato
critico, la nuova edizione si proponeva innanzitutto di pubblicare integralmente i Quaderni
«così come sono stati scritti da Gramsci», compresi i testi da lui cancellati (ma non in
modo da renderli illeggibili) dopo averli ricopiati nei quaderni «speciali» monografici,
oltre naturalmente ai passi omessi da Platone per varie ragioni dai volumi tematici. I
singoli quaderni venivano inoltre «ordinati secondo l’ordine cronologico di stesura
ricostruito sulla base di riscontri oggettivi», allo scopo «di offrire uno strumento di
lettura che permett[esse] di seguire il ritmo di sviluppo» del pensiero di Gramsci 7,
accogliendo l’indicazione metodologica che egli stesso aveva suggerito a chi volesse
studiare le opere «di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che
sente vigorosamente l’autocritica», e in particolare «quelle rimaste inedite, perché non
compiute»8. Il segno di paragrafo che Gramsci quasi sempre fa precedere a ogni singolo
appunto veniva integrato «con un numero progressivo per ogni quaderno, in modo da
soddisfare le esigenze di consultazione»9. Infine, allo scopo di «evitare ogni
prevaricazione di carattere interpretativo» nei confronti del lettore, le note del curatore
«non privilegia[va]no il commento, ma conten[eva]no soprattutto indicazioni sulle fonti
utilizzate da Gramsci, anche quando non [erano] dichiarate dal testo, chiarimenti sulle
opere, sugli avvenimenti e i personaggi menzionati e sulle allusioni» non
immediatamente perspicue, oltre a «riferimenti ai rapporti con le Lettere dal carcere, ai
nessi interni dei Quaderni e ai precedenti scritti di Gramsci»10.
4 Il restauro filologico dei Quaderni, operato da Gerratana come necessaria premessa al
restauro critico del pensiero gramsciano 11, coronava quella che è stata definita l’età d’oro
della fortuna di Gramsci che, dopo aver raggiunto il culmine della sua espansione nel
biennio 1976-77, vivrà un decennio di declino, almeno in Italia12, proprio mentre la sua
conoscenza (sia pure non sempre criticamente avvertita) si accresceva nel resto d’Europa,
negli Stati Uniti, in America Latina e, successivamente, in Asia e in Africa. La stessa scelta
di presentare alla comunità degli studiosi l’edizione critica dei Quaderni a Parigi, anziché a
Roma, parve volta fin da allora a privilegiare «la dimensione internazionale di Gramsci sia
nell’ambito degli studi, sia per il significato politico che l’autore rappresentava» 13. In ogni
caso non mancarono in Italia esempi di utilizzo fecondo e originale delle possibilità di
seguire finalmente la genesi, lo sviluppo, le oscillazioni, i ripensamenti e gli
approfondimenti successivi di un pensiero in continuo movimento che l’edizione
tematica aveva inevitabilmente cristallizzato e, almeno in parte, schematizzato e
irrigidito14.
5 Il lavoro di scavo filologico compiuto da Gerratana e dai suoi collaboratori indusse
tuttavia gli studiosi più avvertiti a riflettere anche sulla validità e, soprattutto, sulla
coerenza dei criteri seguiti nella trascrizione e nell’ordinamento dei manoscritti
gramsciani; è già stato opportunamente osservato come proprio per questo tale edizione
possa essere definita «ottima», nel senso attribuito al termine dalla «nostra tradizione
filologica, che non consiste nel fatto di essere perfetta e indiscutibile, bensì nella capacità
di fornire tali e tanti elementi di apparato da consentire, a partire da quegli stessi
elementi, di formulare proposte diverse e alternative rispetto a quelle assunte

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 3

dall’editore»15. E così, già in occasione del convegno gramsciano di Firenze (1977), Gianni
Francioni poté esporre «alcune proposte correttive o integrative di soluzioni adottate
nell’edizione Gerratana»16, muovendo dalla «convinzione che il restauro critico di un
testo che tanto peso ha avuto ed ha nella cultura moderna non sia operazione di astratta
pedanteria filologica, ma una componente essenziale della sua piena comprensione» 17.
Sviluppate e ampliate nell’Officina gramsciana del 1984, le tesi di Francioni erano volte
innanzitutto alla «ricostruzione di un percorso logico e diacronico, della reale storia
interna dei quaderni gramsciani»: in particolare, applicando in modo sistematico e
coerente i criteri di datazione proposti dall’edizione critica, ma anche emendando
«diversi errori in cui essa [era] incorsa»18, Francioni riusciva a fornire termini più stretti
per la datazione non solo di singoli quaderni, ma anche di diversi blocchi di note
contenuti in alcuni di essi, dimostrando che in più di un’occasione l’ordinamento
proposto da Gerratana non corrispondeva con quello effettivo di stesura19.
6 Le tesi di Francioni, ribadite e ulteriormente sviluppate in una serie di interventi
successivi20, hanno suscitato, com’era prevedibile, un ampio dibattito tra gli studiosi di
Gramsci, alcuni dei quali hanno sollevato obiezioni di carattere generale e particolare,
riconducibili in sostanza a due ordini di considerazioni: da una parte c’è stato chi, come
Fabrizio Franceschini, ha contestato la legittimità di uno dei principali criteri di
datazione degli appunti gramsciani utilizzato da Francioni (e prima di lui da Gerratana),
vale a dire quello di considerarli, in mancanza di evidenti elementi che dimostrino il
contrario, per convenzione assegnabili alla data di pubblicazione di periodici e libri da
Gramsci utilizzati per la loro stesura21. Dall’altra parte vanno ricordati coloro che, come
Giovanni Mastroianni, pur concordando in parte con l’indagine filologica di Francioni,
raccomandavano «prudenza» laddove questa giungeva necessariamente a proporre un
nuovo ordinamento interno di alcune parti dei manoscritti gramsciani, in particolare il
Quaderno 1122.
7 Le discussioni e le polemiche proseguirono in modo ancora più acceso quando, a partire
dal 1990, si iniziò a progettare una nuova edizione critica dei Quaderni, nell’ambito
dell’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci, in vista della quale l’anno successivo
Francioni sottopose alla comunità scientifica una serie articolata di Proposte per una nuova
edizione dei “Quaderni del carcere”23, che molti trovarono «assai utili e convincenti»24,
mentre non persuasero tra gli altri Gerratana, che sollevò numerose obiezioni. Il curatore
dell’edizione del 1975 contestava all’ordinamento proposto da Francioni di voler mettere
«sullo stesso piano» traduzioni e lavoro teorico, lo accusava di trasformare una serie di
constatazioni fattuali sui manoscritti in altrettante «regole» (talvolta addirittura in
contraddizione tra loro) e di volere imporre come verità quelle che non potevano essere
che «ipotesi» più o meno attendibili in nome di un «filologismo esasperato», giudicando
quindi il progetto inadatto a costituire la base per la nuova edizione critica25. Mettendo a
frutto le osservazioni costruttive e nello stesso tempo difendendo la validità dell’impianto
complessivo contro le critiche, a suo dire pregiudiziali, di Gerratana, Francioni ha messo
definitivamente a punto le sue Proposte, che sono alla base della nuova edizione dei
Quaderni attualmente in corso di pubblicazione, sotto la sua direzione.
8 Dal momento che tra le maggiori perplessità suscitate dal lavoro di Gerratana vi era stata
quella relativa all’esclusione delle traduzioni eseguite in carcere da Gramsci tra il 1929 e il
1932, la suddetta Edizione nazionale dei suoi scritti si è aperta proprio con un volume,
suddiviso in due tomi, dedicato a quelli che, a una considerazione più attenta, appaiono
ben più che semplici «esercizi» e si inseriscono pienamente nel piano di lavoro teorico dei

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 4

Quaderni26. Uno dei problemi principali che si sono presentati ai curatori dei Quaderni di
traduzioni è stato quello di ricostruirne datazione e ordine di composizione, dal quale
ovviamente discende quello con cui compaiono nel volume. Questa cronologia,
radicalmente diversa da quella proposta in precedenza sia da Gerratana, sia dalla
germanista Lucia Borghese (cui va il merito di avere segnalato per prima l’importanza di
questi testi e la necessità di una loro pubblicazione integrale)27, ci permette di constatare
che l’attività di traduzione non solo è l’«occupazione dominante» del primo anno di
scrittura carceraria di Gramsci, ma rimane uno dei filoni principali del suo lavoro fino alla
brusca interruzione ai primi del 193228, anno di profonda riorganizzazione (e per certi
versi di semplificazione) dell’officina dei Quaderni, che d’ora in poi vede soltanto la
stesura di appunti miscellanei parallela alla trascrizione di una parte delle note
precedenti nei quaderni monografici.
9 L’intento di rendere manifesto al lettore proprio tale carattere di officina ha guidato
anche la scelta dei criteri di resa del testo, il più possibile rispettoso dell’originale,
evitando ogni normalizzazione e uniformazione non strettamente necessaria e
conservando i diversi segnali di incertezza e insoddisfazione di Gramsci per le scelte
adottate nelle sue versioni dal tedesco e dal russo (sottolineature e parentesi, riquadri o
circoli a penna, barre verticali o oblique, punti interrogativi e così via); tuttavia, come
impongono i canoni di un’edizione critica e moderna, si è ritenuto di intervenire su
maiuscole, punteggiatura, abbreviazioni (sciolte tra parentesi angolari), trascorsi di
penna e altre sviste evidenti. Tutto questo ha permesso di non appesantire ulteriormente
un apparato critico già ricco e articolato in due fasce, distinguibili dal diverso corpo
tipografico: «la seconda fascia è di carattere genetico e documenta il lavoro correttorio e i
pentimenti di Gramsci», mentre la prima «è evolutiva ed è destinata a dar conto
dell’ulteriore labor limae a cui Gramsci ha sottoposto le proprie traduzioni con la
frequente apposizione di varianti, che a tutta prima si presentano come alternative – dal
momento che il testo di base non viene esplicitamente rifiutato –, ma che in realtà sono
varianti destitutive»29, come testimonia la loro generalmente maggiore aderenza
all’originale tradotto (la variante viene pertanto accolta a testo, mentre la lezione iniziale
è registrata in apparato).
10 Il confronto attento tra le versioni gramsciane e i testi da cui sono tratte è all’origine
anche di buona parte delle note di commento, che segnalano tutti gli scostamenti
significativi tra le pagine di partenza e quelle di arrivo, cercando anche di identificarne la
causa: semplici sviste (come nel caso di salto di singole parole o righe), errori di
traduzione (tutt’altro che infrequenti in un lavoro svolto in mancanza di competenze e
strumenti tecnici adeguati) e scostamenti intenzionali di varia natura. Tra questi ultimi, i
più significativi riguardano certamente le versioni delle favole grimmiane, nelle quali
Gramsci con frequenza crescente omette o travisa consapevolmente tutte le espressioni
che fanno riferimento a un contesto provvidenzialistico religioso, in una sorta di
“traduzione di secondo grado” che mira ad adattarne il contenuto al «nuovo senso
comune» che egli intende costruire con la sua rilettura del materialismo storico in chiave
di «filosofia della prassi», svolta anche mediante un attento lavoro di montaggio dei testi
marxiani tradotti da un’antologia tedesca nel corso del 193130. Il commento alle
traduzioni gramsciane comprende, oltre agli indispensabili riferimenti ai passi dei
quaderni teorici e dell’epistolario che trattano dei medesimi argomenti, anche una serie
di informazioni su luoghi, personaggi o testi menzionati in modo non del tutto chiaro

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 5

negli originali tedeschi e russi, o comunque non immediatamente presenti al lettore


odierno.
11 Il secondo e il terzo volume della nuova edizione critica dei Quaderni, attualmente in
preparazione a cura di Gianni Francioni, Fabio Frosini e di chi scrive, sono dedicati
rispettivamente ai quaderni miscellanei e ai quaderni monografici; come sostiene
Francioni, «questa partizione del materiale non è dettata da ragioni di comodità, né da un
criterio meramente tematico, ma discende dalla considerazione del piano complessivo del
lavoro di Gramsci in carcere», che a sua volta non coincide con nessuno dei diversi
progetti successivamente elaborati dal prigioniero, ma «emerge dal modo in cui Gramsci
lavora»31. Pertanto, una volta identificati i comportamenti costantemente adottati da
Gramsci, consapevolmente o meno, nella scrittura dei suoi appunti carcerari, si pone il
problema di come collocare i singoli quaderni e i blocchi di note al loro interno in modo
da rispettarne la sequenza cronologica.
12 Una volta constatata l’impossibilità di «riprodurre il testo dei quaderni così come sono
stati scritti»32, prelevando le note dai singoli raccoglitori per collocarle in ordine di
stesura (i cui margini per di più non sempre si possono fissare in modo stringente) a
formare l’illeggibile «zibaldone farraginoso» più volte paventato dallo stesso Gramsci, la
soluzione più razionale è parsa quella di conservare l’unità dei singoli quaderni (con
l’ovvia eccezione delle traduzioni marxiane del Quaderno 7 e di quelle dal russo del
Quaderno 9, pubblicate all’interno dei già citati Quaderni di traduzioni), oltre alla
numerazione assegnata loro da Gerratana (anche laddove non più corrispondente alla
loro effettiva successione temporale), dislocandone tuttavia al loro interno le singole
sezioni (identificate da una lettera minuscola tra parentesi quadre) in base alle rispettive
date di inizio e rinumerandone in modo autonomo i paragrafi che le compongono. Tale
numerazione, va ricordato, è di carattere redazionale, dal momento che Gramsci fa (quasi
sempre) precedere ogni singola nota da un segno di paragrafo e da un punto, cui tuttavia
non segue come pure sarebbe lecito attendersi alcun numero; in alcuni casi, per evidente
dimenticanza, manca anche il segno di paragrafo, ma il contesto permette di
comprendere che si tratta di un’annotazione autonoma rispetto a quanto precede e
quindi come tale considerata.
13 Tutto questo fa sì che otto dei dodici quaderni miscellanei e due dei diciassette «speciali»
presentino un ordinamento differente rispetto all’edizione del 1975: al comprensibile
smarrimento del lettore abituato a consultare i Quaderni secondo la disposizione di
quest’ultima, si ovvierà con una semplice tavola delle concordanze33. Per quanto concerne
i miscellanei (Quaderni 1, 2, 4, 3, 5-9, 14, 15, 17), le differenze di ordinamento più rilevanti
riguardano il Quaderno 4, che, oltre a essere anteposto al Quaderno 3 (perché avviato
poco prima di questo), si aprirà con le note su Il canto decimo dell’Inferno (Quaderno 4 [a],
§§ 1-11), presentate nell’edizione Gerratana come §§ 78-88, alle quali seguiranno gli
Appunti di filosofia - Materialismo e idealismo - Prima serie (Quaderno 4 [b], §§ 1-50),
corrispondenti ai §§ 1-48 della precedente edizione (due in meno rispetto alla nuova, che
terrà conto dei segni espliciti con cui Gramsci ha voluto distinguere come paragrafi
autonomi le parti finali di due testi originariamente stesi come unitari), le note
miscellanee sugli intellettuali (Quaderno 4 [c], §§ 1-29), numerate da Gerratana come
§§ 49-77, e quelle vergate in epoca successiva negli spazi lasciati liberi dalle note
dantesche (Quaderno 4 [d], §§ 1-7), finora numerate come §§ 89-95. Quanto agli «speciali»,
che si susseguiranno in base all’effettivo ordine di stesura (Quaderno 10, 12, 13, 11, 16 e
18-29), per ragioni sulle quali Francioni ha avuto modo di ritornare più volte in diverse

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 6

occasioni, verrà radicalmente rivista rispetto alla precedente edizione la scansione


interna dei Quaderni 10 e 11. Nel primo caso verrà meno la suddivisione in due parti
stabilita da Gerratana e le note si succederanno in ordine di stesura in sessantadue
paragrafi, alcuni dei quali ulteriormente suddivisi in punti; nel secondo caso, invece, la
numerazione delle note riprenderà a ognuna delle singole sezioni in cui Gramsci stesso ha
voluto scandire il quaderno, con lo spostamento al fondo di quella che per Gerratana era
la prima (materialmente e cronologicamente), mentre è in realtà l’ultima che Gramsci vi
ha redatto, utilizzando a tale scopo parte delle prime dieci carte, lasciate inizialmente in
bianco.
14 I criteri di trascrizione dei testi accolti nel secondo e nel terzo volume dei Quaderni del
carcere saranno ovviamente gli stessi adottati per il primo, anche se, per il carattere meno
tormentato del lavoro teorico rispetto agli “esercizi” di traduzione, l’apparato risulterà
decisamente più agile; l’obiettivo è comunque quello di restituire in pieno il carattere in
progress delle pagine gramsciane, che nelle precedenti edizioni andava in parte perduto a
causa di normalizzazioni e altri interventi redazionali. Se si sottolinea questo aspetto, è
anche perché suona come una smentita di coloro che, fin da quando si iniziò a discutere
dell’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci, paventarono che questa avrebbe finito per
«imbalsamare» l’autore e relegarlo in uno scaffale insieme agli altri classici che tutti
citano ma nessuno legge34. Un’altra differenza sostanziale rispetto all’edizione Gerratana
riguarderà la resa dei testi di prima stesura, da Gramsci cancellati con un largo reticolato
a penna al momento della loro trascrizione nei quaderni monografici: mentre nel 1975
questi erano stati riprodotti in corpo minore, adesso conserveranno le stesse dimensioni
degli altri (a segnalare che non si tratta di testi di minor valore, ma al contrario
fondamentali per cogliere «il ritmo del pensiero» dell’autore), con l’aggiunta di due linee
continue verticali sui margini della pagina a evidenziare la porzione cancellata.
15 Per quanto riguarda il commento, il punto di partenza è ovviamente rappresentato dai
risultati, in molti casi definitivi, ai quali era giunto Gerratana quarant’anni or sono,
soprattutto per quanto concerne l’ingente mole di informazioni riguardo alle fonti
esplicitamente menzionate da Gramsci nelle sue note e l’identificazione di quelle
implicite per molti altri appunti. Questo corredo viene tuttavia sottoposto ad attenta
verifica, alla luce anche del nuovo materiale e dei nuovi mezzi d’indagine (per lo più
elettronici) di cui disponiamo nel frattempo. In particolare viene effettuato un riscontro
puntuale sugli originali dei passi che Gramsci cita esplicitamente (per lo più tra
virgolette, ma non sempre), facendo attenzione alle differenze sia pur minime che egli
introduce consapevolmente o meno, al fine di segnalarle laddove significative; vengono
inoltre corretti e integrati, quando necessario, i relativi dati bibliografici. Questo vale a
maggior ragione per le fonti implicite, indicate da Gerratana come certe, più o meno
probabili o possibili, delle annotazioni gramsciane; inoltre, nei passi a proposito dei quali
il commento di Gerratana appare lacunoso o dichiaratamente carente, è necessario
verificare le proposte avanzate nel corso degli anni dalla letteratura critica, ma
soprattutto riesaminare sia le riviste sistematicamente spogliate da Gramsci, sia gli
articoli di giornale, i periodici e i libri da lui posseduti in carcere e conservati nella
Fondazione che porta il suo nome, con particolare attenzione alle sottolineature e postille
che talvolta contengono.
16 In altre occasioni si tratta di condensare o addirittura eliminare una serie di note del
commento di Gerratana che appaiono prolisse o ridondanti, soprattutto quelle in servizio
dei primi quaderni (lunghe citazioni da articoli o libri identificati come fonti gramsciane,

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 7

che possono essere riassunte e parafrasate, riferimenti a vicende ed edizioni di testi


successivi alla stesura dei Quaderni). In linea di principio i rimandi bibliografici saranno
esclusivamente a testi certamente o presumibilmente letti e utilizzati da Gramsci nella
stesura degli appunti carcerari, nonché alla letteratura critica relativa alle fonti
identificate successivamente al 1975. Si provvederà inoltre a stendere alcune note
essenziali di carattere esplicativo riguardo ad allusioni vaghe o imprecise a opere, fatti e
personaggi poco noti a un lettore mediamente colto, come in precedenza avvenuto con i
Quaderni di traduzioni.
17 Infine, proprio perché il compito di un’Edizione nazionale non è quello di proporre o
suggerire interpretazioni, bensì di fornire al lettore tutti gli strumenti per poterle
costruire35, rispetto alla precedente edizione si è ritenuto opportuno accrescere e
sistematizzare i rimandi a sviluppi di temi e concetti in occasione della prima occorrenza
significativa, prendendo in considerazione sia le note e i quaderni successivi, sia
l’epistolario, sia gli scritti precarcerari, oltre naturalmente ai coevi quaderni di
traduzioni. In più, nel caso dei quaderni «speciali» – che in linea di massima richiedono
un commento più agile in quanto nella maggior parte dei casi, come già fatto da
Gerratana, sarà sufficiente rimandare a quanto detto dei testi di prima stesura dai quali
derivano –, si provvederà a segnalare le varianti più significative, dal punto di vista sia
quantitativo sia qualitativo, introdotte da Gramsci al momento della riscrittura.

Appendice: Ordinamento editoriale e termini di


datazione dei Quaderni del carcere
NB : Per i Quaderni miscellanei 2, 4, 3, 7-9, 14, 17 e per i Quaderni «speciali» 10, 11 si
indicano anche le concordanze con l’edizione Gerratana (= G) del diverso ordinamento e
della diversa numerazione dei paragrafi.
PARTE PRIMA: Quaderni di traduzioni (1929-1932)
Quaderno A (febbraio-marzo 1929)
[a] Da: «Die Literarische Welt», 30 settembre e 14 ottobre 1927 (febbraio-marzo 1929)
[b] Da: J. Grimm-W. Grimm, Fünfzig Kinder- und Hausmärchen, I (febbraio-marzo 1929)
Quaderno B (aprile 1929-novembre 1931)
[a] Da: J. Grimm-W. Grimm, Fünfzig Kinder- und Hausmärchen, II (aprile 1929-novembre
1931)
[b] Da: F.N. Finck, Die Sprachstämme des Erdkreises, I (1929, da giugno)
Quaderno 9 [a] (aprile-giugno-novembre 1929)
[a] Da: Antologia russa di R. Gutman-Polledro e A. Polledro
Quaderno C (aprile-giugno 1929-primi mesi 1930)
[a] Esercizi di lingua inglese (aprile-giugno 1929)
[b] Esercizi di lingua tedesca sulle poesie di Goethe (aprile-giugno-dicembre 1929)
[c] Da: F.N. Finck, Die Sprachstämme des Erdkreises, II (1929, entro dicembre)
[d] Da: J.P. Eckermann, Goethes Gespräche mit Eckermann (primi mesi 1930)
Quaderno 7 [a] (maggio 1930-luglio 1931)
[a] Da: K. Marx, Lohnarbeit und Kapital. Zur Judenfrage und andere Schriften aus der Frühzeit
Quaderno D (gennaio 1932)
Da: J. Grimm-W. Grimm, Rumpelstilzchen
PARTE SECONDA: Quaderni miscellanei (1929-1935)
Quaderno 1. Primo quaderno (8 febbraio 1929-maggio 1930)

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 8

DATAZIONE
Argomenti principali | 8 febbraio 1929
§§ 1-7 | giugno 1929
§§ 8-11 | giugno-luglio
§§ 12 | luglio
§§ 13-27 | luglio-ottobre
§§ 28-29 | ottobre
§§ 30-32 | ottobre-dicembre
§§ 33 | dicembre
§§ 34-42 | dicembre 1929-febbraio 1930
§§ 43-144 | febbraio-marzo
§§ 145-147 | marzo
§§ 148 | marzo-maggio
§§ 149-158 | maggio 1930 (dopo il 20)
Quaderno 2. Miscellanea I (febbraio [?] 1929-1933)
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹73› | [= G §§ ‹1›-‹73›]
‹§ 74› | [= G ‹§ 74› prima parte]. Bibliografia varia: C. Smogorzeriski…
‹§ 75› | [= G ‹§ 74› seconda parte]. Ottavio Cina, La Commedia Socialista…
‹§ 76› | [= G ‹§ 75›]. R. Michels, Les Partis politiques et la contrainte sociale…
§§ ‹77›-‹151› | [= G § ‹76›-‹150›]
DATAZIONE
§§ 1-4 | febbraio 1929 [?]
§§ 5-18 | maggio 1930 (prima del 20)
§§ 73-76 (prima parte) | febbraio [?] 1929
§ 76 (seconda parte)-106 | agosto-settembre 1930 (prima del 2 ottobre)
§§ 107-126 | ottobre-novembre
§§ 127-130 | novembre-dicembre
§§ 131-137 | dicembre
§§ 138-142 | dicembre 1930-marzo 1931
§§ 143-150 | ottobre 1931
§§ 151 | 1933 | dopo il gennaio
Quaderno 4 (maggio 1930-settembre 1932)
[a] Il canto decimo dell’Inferno
CONCORDANZE
‹§ 1› | [= G ‹§ 78›]
§§ ‹2›-‹11› | [= G §§ ‹79›-‹88›]
DATAZIONE
§§ 1-2 | maggio 1930
aggiunta a § 2 | giugno
§ 3 | luglio
§§ 4-6 | luglio 1930-13 marzo 1931
§§ 7-10 | maggio 1932
§ 11 (88) | agosto 1932
[b] Appunti di filosofia I
CONCORDANZE
‹§ 1› | [= G ‹§ 1›]
§§ ‹2›-‹4› | [= G §§ ‹2›-‹4›]

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 9

§ ‹5› | [= G § ‹5 prima parte›]. Materialismo storico e criteri o canoni pratici di interpretazione


della storia e della politica…
§ ‹6› | [= G § ‹5 seconda parte›]. Letteratura
§§ ‹7›-‹44› | [= G §§ ‹6›-‹43›]
§ ‹45› | [= G § ‹44 prima parte›]. Sorel. In un articolo su “Clemenceau”…
§ ‹46› | [= G § ‹44 seconda parte›]. {Sorel.} Questi due brani…
§§ ‹47›-‹50› | [= G §§ ‹45›-‹48›]
DATAZIONE
§§ 1-9 | maggio 1930
§§ 10-28 | maggio-agosto
§§ 29-31 | agosto-settembre
§§ 32 | settembre
§§ 33-38 | settembre-ottobre
§§ 39-43 | ottobre
§§ 44-50 | ottobre-novembre 1930
[c] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹29› | [= G §§‹49›-‹77›]
DATAZIONE
§§ 1-29 | novembre 1930
[d] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹7› | [= G §§ ‹89›-‹95›]
DATAZIONE
§§ 1-7 | agosto-settembre 1932
Quaderno 3. ‹Miscellanea› (maggio-ottobre 1930)
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹30› | [= G §§ ‹1›-‹30›]
§ ‹31› | [= G § ‹31 prima parte›]. Riviste tipo. Per una esposizione generale…
§ ‹32› | [= G § ‹31 seconda parte›]. [Argomenti di cultura.] Su Andrea Costa…
§ ‹33›-‹167› | [= G §§ ‹32›-‹166›]
DATAZIONE
§§ 1-13 | 20-30 maggio 1930
§§ 14-27 | giugno (prima del 15)
§§ 28-57 | giugno-luglio
§§ 58-61 | luglio
§§ 62-63 | luglio-agosto
§§ 64-105 | agosto
§§ 106-143 | agosto-settembre (prima del 2 ottobre)
§§ 144-163 | settembre-ottobre
§§ 164-167 | ottobre 1930
Quaderno 5. ‹Miscellanea› (ottobre 1930-primi mesi 1932)
DATAZIONE
§§ 1-14 | ottobre 1930
§§ 15-96 | ottobre-novembre
§§ 97 | novembre
§§ 98-135 | novembre-dicembre

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 10

§§ 136-145 | dicembre
§§ 146-161 | dicembre 1930 (oppure: agosto 1931-primi 1932)
Quaderno 6. ‹Miscellanea› (novembre-dicembre 1930-gennaio 1932)
DATAZIONE
§§ 1-11 | novembre-dicembre 1930
§§ 12-40 | dicembre
§§ 41-74 | dicembre 1930-13 marzo 1931
§§ 75-85 | marzo
§§ 86-134 | marzo-agosto
§§ 135-142 | agosto
§§ 143-157 | ottobre
§§ 158-163 | ottobre-novembre
§§ 164-172 | novembre
§§ 173 | novembre-dicembre
§§ 174-202 | dicembre
§§ 203-205 | dicembre 1931-gennaio 1932
§§ 206-211 | gennaio 1932
Quaderno 7 [b]-[c] (novembre 1930-dicembre 1931)
[b] Appunti di filosofia II
CONCORDANZE
[b], §§ ‹1›-‹48› | [= G §§ ‹1›-‹48›]
DATAZIONE
§§ 1-11 | novembre 1930
§§ 12-17 | novembre-dicembre 1930
§§ 18-21 | novembre-dicembre 1930-febbraio 1931
§§ 22-33 | febbraio
§§ 34-41 | febbraio-novembre
§§ 42-48 | novembre 1931
[c] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
[c], §§ ‹1›-‹60› | [= G §§ ‹49›-‹108›]
DATAZIONE
§§ 1-6 | agosto 1931
§§ 7-11 | agosto-ottobre
§§ 12-20 | ottobre
§ 21 | ottobre-dicembre
§§ 22-60 | dicembre 1931
Quaderno 8 (novembre-dicembre 1930-maggio 1932)
[a] Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani [programma]
DATAZIONE | novembre-dicembre 1930
[b] Appunti di filosofia III
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹48› | [= G §§ ‹166›-‹213›]
§ ‹49.I› | [= G § ‹214› prima parte]. “Saggio popolare”. Spunti di estetica e di critica letteraria
§ ‹49.II› | [= G § ‹214› seconda parte]. Si potrebbe fare una esposizione…
§§ ‹50›-‹75› | [= G §§ ‹215›-‹240›]

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 11

DATAZIONE
§§ 1-11 | novembre 1931
§ 12 | novembre-dicembre
§§ 13-28 | dicembre 1931
§§ 29-34 | febbraio 1932
§§ 35-47 | febbraio-marzo
§§ 48-55 | marzo
§ 56 | marzo-aprile
§§ 57-71 | aprile
§§ 72-75 | maggio 1932
[c] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
[c], §§ ‹1›-‹165› | [= G §§ ‹1›-‹165›]
[c], ‹§ 166› | [= G § ‹§ 241›]. Le Pensées di Pascal furono stampate…
[c], ‹§ 167.› | [= G § ‹§ 242›]. 1° Origini popolaresche del “superuomo”. Lo si trova nel basso
romanticismo…
[c], ‹§ 167.› | [= G § ‹§ 243›]. 2° Risorgimento Italiano. Derivazioni del sistema
d’interpretazioni…
[c], ‹§ 167.› | [= G § ‹§ 244›]. 3° Machiavelli. Contro il “volontarismo” o garibaldinismo. Contro,
naturalmente…
[c], ‹§ 167.› | [= G § ‹§ 245›]. 4° Letteratura popolare. Se è vero che la biografia…
DATAZIONE
§§ 1-18 | gennaio 1932
§§ 19-30 | gennaio-febbraio
§§ 31-70 | febbraio
§§ 71-76 | febbraio-marzo
§§ 77-118 | marzo
§ 119 | marzo-aprile
§§ 120-165 | aprile 1932
§§ 166-167 | novembre 1931-maggio 1932
[d] Raggruppamenti di materia [programma]
DATAZIONE | marzo-aprile 1932
Quaderno 9 [b]-[c]-[d] (aprile-novembre 1932)
[b] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
[b], §§ ‹1›-‹88› | [= G §§ ‹1›-‹88›]
DATAZIONE
§§ 1-2 | aprile 1932
§§ 3-15 | aprile-maggio
§§ 16-31 | maggio
§§ 32-34 | maggio-giugno
§§ 35-56 | giugno
§ 57 | luglio
§§ 58-68 | luglio-agosto
§§ 69-71 | agosto
§§ 72-75 | agosto-settembre
§§ 76-88 | settembre 1932
[c] Note sul Risorgimento italiano

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 12

CONCORDANZE
[c], §§ ‹1›-‹30› | [= G §§ ‹89›-‹118›]
DATAZIONE
§§ 1-8 | maggio 1932
9-16 | maggio-giugno
17 | giugno
18 | giugno-luglio
19 | luglio
20 | agosto
21-29 | agosto-settembre
30 | settembre 1932
[d] ‹Miscellanea›
CONCORDANZE
[d], §§ ‹1›-‹24› | [= G §§ ‹119›-‹142›].
DATAZIONE
§§ 1-9 | settembre-novembre 1932
§§ 10-24 | novembre 1932
Quaderno 14. ‹Miscellanea› (dicembre 1932-marzo 1935)
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹77› | [= G §§ ‹4›-‹80›]
§§ ‹78›-‹79› | [= G §§ ‹2›-‹3›]
§ ‹80› | [= G § ‹1›]
DATAZIONE
§§ 1-3 | dicembre 1932
§§ 4-11 | dicembre 1932-gennaio 1933
§§ 12-32 | gennaio
§§ 33-40 | gennaio-febbraio
§§ 41-70 | febbraio 1933
§§ 71-80 | marzo 1935
Quaderno 15. ‹Miscellanea› (febbraio-settembre 1933)
DATAZIONE
§§ 1-8 | febbraio 1933
§ 9 | febbraio-marzo
§ 10 | marzo
§ 11 | marzo-aprile
§§ 12-14 | aprile
§§ 15-19 | aprile-maggio
§§ 20-49 | maggio
§§ 50-53 | maggio-giugno
§§ 54-57 | giugno
§§ 58-65 | giugno-luglio
§§ 66-71 | luglio
§ 72 | luglio-settembre
§§ 73-76 | settembre 1933
Quaderno 17. ‹Miscellanea› (settembre 1933-giugno 1935)
CONCORDANZE
§§ ‹1›-‹31› | [= G §§ ‹1›-‹30›]

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 13

§ ‹32.I› | [= G § ‹32›]. Ancora del saggio di Augusto Rostagni…


§ ‹32.II› | [= G § ‹33›]. Umanesimo. Rinascimento. Può esser vero…
§ ‹33›-‹52› | [= G §§ ‹34›-‹53›]
DATAZIONE
§§ 1-36 | settembre-18 novembre 1933
§§ 37-45 | luglio-agosto 1934
§ 46 | agosto-settembre
§§ 47-51 | settembre 1934-giugno 1935
§ 52 | giugno 1935 (dopo il 19)
PARTE TERZA: Quaderni «Speciali» (1932-1935)
Quaderno 10. La filosofia di Benedetto Croce (aprile 1932-giugno 1935)
CONCORDANZE: Alcuni criteri generali metodici… [= G II]
§§ ‹1›-‹5› | [= G II, §§ ‹1›-‹5›]
§ 6› | [= G I, Punti di riferimento per un saggio su B. Croce]
‹§ 6› ‹Sommario› | [= G I, ‹Sommario›]
‹§ 6›.1-12 | [= G I, ‹§§› 1-12]
‹§ 6.13› | [= G I, ‹§ 13›]
§ ‹7›.I-IV | [= G II, § ‹6›.I-IV]
§§ ‹8›-‹10› | [= G II, §§ ‹7›-‹9›]
§ ‹11›.1-2 | [= G II, § ‹10›]
§§ ‹12›-‹29› | [= G II, §§ ‹11›-‹28›]
§ ‹30›.‹I›-II | [= G II, § ‹29›.‹I›-II]
§ ‹31› | [= G II, § ‹30›]
§ ‹32›.‹I›-II | [= G II, § ‹31›.‹I›-II]
§ ‹33›.‹I›-III | [= G II, § ‹32›.‹I›-III]
§§ ‹34›-‹37› | [= G II, §§ ‹33›-‹36›]
§ ‹38›.‹I›-II | [= G II, § ‹37›.‹I›-II]
§ ‹39›.‹I›-II | [= G II, § ‹38›.‹I›-II]
§§ ‹40›-‹41› | [= G II, §§ ‹39›-‹40›]
§ ‹42›.‹I›-XVI | [= G II, § ‹41›‹I›-XVI]
§§ ‹43›-‹47› | [= G II, § ‹42›-‹46›]
§ ‹48›.‹I›-II | [= G II, § ‹47›]
§ ‹49›.‹I›-II | [= G II, § ‹48›.‹I›-II]
§ ‹50› | [= G II, § ‹49›]
§ ‹51›.‹I›-II | [= G II, § ‹50›.‹I›-II]
§§ ‹52›-‹59› | [= G II, § ‹51›-‹58›]
§ ‹60›.‹I›-IV | [= G II, § ‹59›.‹I›-IV]
§§ ‹61›-‹62› | [= G II, §§ ‹60›-‹61›]
DATAZIONE | Alcuni criteri...
§§ 1-5 | prima metà di aprile 1932
§ 6, sommario e punti 1-12 | metà aprile-metà maggio 1932
(aggiunte marginali al sommario) | metà 1935
§ 6, punto 13 | seconda metà di maggio 1932
§§ 7-15 | seconda metà di maggio 1932
§§ 16-29 | giugno
§§ 30-41 | giugno-agosto
§ 42.I | agosto
§§ 42.II-48 | agosto-dicembre

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L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 14

§ 49 | dicembre
§ 50 | dicembre 1932-febbraio 1933
§§ 51-56 | febbraio
§§ 57-62 | febbraio (oppure: febbraio-maggio) 1933
Quaderno 12. Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali e della
cultura in Italia (maggio-giugno 1932)
Quaderno 13. Noterelle sulla politica del Machiavelli (maggio 1932-novembre 1933)
Quaderno 11. Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della
storia della cultura (giugno-luglio-dicembre 1932)
CONCORDANZE: ‹Avvertenza›
1°. Alcuni punti preliminari di riferimento | [= G ‹§ 12›]. Occorre distruggere il pregiudizio…
2°. Osservazioni e note critiche su un tentativo di «Saggio popolare di sociologia», §§ ‹1›-‹23› | [= G
§§ ‹13›-‹35›]
3°. La scienza e le ideologie «scientifiche», §§ ‹1›-‹4› | [= G §§ ‹36›-‹39›]
4°. Gli strumenti logici del pensiero §§ ‹1›-‹6› | [= G §§ ‹40›-‹45›]
5°. Traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici, §§ ‹1›-‹4› | [= G §§ ‹46›-‹49›]
6°. Appunti miscellanei §§ ‹1›-‹21› | [= G §§ ‹50›-‹70›]
7°. Appunti e riferimenti di carattere storico-critico §§ ‹1›-‹11› | [= G §§ ‹1›-‹11›].
DATAZIONE
1°. giugno-luglio 1932
2°. §§ 1-19: luglio-agosto
2°. § 20: agosto
2°. § 21-6°, § 21: agosto-dicembre 1932
7°. §§ 1-11: dicembre 1932
Quaderno 16. Argomenti di cultura I (giugno-luglio 1932-seconda metà 1934, dal luglio-
agosto)
Quaderno 18. Niccolò Machiavelli II (seconda metà 1934, dal luglio-agosto)
Quaderno 19. ‹Risorgimento italiano› (luglio-agosto 1934-febbraio 1935)
Quaderno 20. Azione cattolica-Cattolici integrali-gesuiti – modernisti (luglio-agosto 1934-
primi mesi [?] 1935)
Quaderno 21. Problemi della cultura nazionale italiana. 1° Letteratura popolare (seconda metà
1934, dal luglio-agosto)
Quaderno 22. Americanismo e fordismo (seconda metà 1934, dal luglio-agosto)
Quaderno 23. Critica letteraria (seconda metà 1934, dal luglio-agosto)
Quaderno 24. Giornalismo (seconda metà 1934, dal luglio-agosto)
Quaderno 25. Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni (luglio-agosto 1934-
primi mesi 1935)
Quaderno 26. Argomenti di cultura. 2° (fine 1934-primi mesi 1935)
Quaderno 27. Osservazioni sul «Folclore» (primi mesi 1935)
Quaderno 28. Lorianismo (primi mesi 1935)
Quaderno 29. Note per una introduzione allo studio della grammatica (aprile [?] 1935)

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 15

NOTE
1. Il presente testo rappresenta la versione rivista, aggiornata e abbreviata del mio
saggio, Verso l’edizione critica e integrale dei “Quaderni del carcere”, uscito su «Studi Storici»,
LII, 4, 2011, pp. 881-904.
2. Le citazioni sono tratte da un documento non firmato, ma attribuito a Fabrizio Onofri
da Valentino Gerratana, che le riporta nel suo Gramsci. Problemi di metodo, Roma, Editori
Riuniti, 1997, p. 62. Su modalità di realizzazione, pregi e limiti dell’edizione tematica dei
Quaderni, pubblicata presso Einaudi tra il 1948 e il 1951, cfr. Togliatti editore di Gramsci, a
cura di C. Daniele, Introduzione di G. Vacca, Roma, Carocci, 2005, nonché F. CHIAROTTO,
Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell’Italia del dopoguerra, Milano,
Mondadori, 2011, in part. pp. 64-138.
3. G. MANACORDA, Intervento, in AA. VV., Studi gramsciani, Atti del convegno tenuto a Roma
nei giorni 11-13 gennaio 1958, Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 512 s.
4. La citazione di Togliatti è riportata da A. VITTORIA, Gli anni dell’Istituto Gramsci, in
E. FORENZA e G. LIGUORI (a cura di), Valentino Gerratana “filosofo democratico”, Roma, Carocci,
2011, p. 111.
5. Il testo della relazione si trova ora riprodotto in V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di
metodo, cit., pp. 3-25.
6. Ivi, p. 14; un volume dedicato alle traduzioni era già previsto nel primo progetto, in
otto volumi, dell’edizione tematica, destinati poi a ridursi a sei (cfr. ivi, p. 60).
7. Traggo queste citazioni dalla Prefazione di V. GERRATANA ad A. GRAMSCI, Quaderni del
carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975,
p. XXXV.
8. Quaderno 16, § 2, ivi, p. 1841 s.; Gramsci si riferisce a Marx, ma Gerratana, così come
molti altri interpreti, ha più volte insistito sul carattere anche autoreferenziale di queste
e altre simili osservazioni metodologiche dei Quaderni.
9. V. GERRATANA, Prefazione, cit., p. XXXVII.
10. Ivi, p. XXXIX e s.
11. Le espressioni in corsivo sono tratte da V. GERRATANA, Gramsci. Problemi di metodo, cit.,
p. 45.
12. Cfr. in proposito G. LIGUORI, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche 1922-2012,
Roma, Editori Riuniti, 2012, in part. pp. 215-272.
13. F. CHIAROTTO, Operazione Gramsci, cit., p. 203 s.
14. Nell’impossibilità di una trattazione sia pure sommaria di tali studi, rimandiamo
senz’altro a G. LIGUORI, Gramsci conteso, cit., pp. 273-302.
15. R. MORDENTI, «Quaderni del carcere» di Antonio Gramsci, in Letteratura Italiana Einaudi. Le
Opere, vol. IV, t. II, a cura di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, p. 83.

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 16

16. G. FRANCIONI, Per la storia dei «Quaderni del carcere», in F. FERRI (a cura di), Politica e storia
in Gramsci, Atti del convegno internazionale di studi gramsciani (Firenze, 9‑11 dicembre
1977), Roma, Editori Riuniti, 1979, vol. II, p. 369.
17. Ivi, p. 394.
18. G. FRANCIONI, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni del carcere», Napoli,
Bibliopolis, 1984, p. 22 s.
19. Cfr. ivi, in part. pp. 140-146.
20. Nell’impossibilità di rendere conto del successivo lavoro filologico di Francioni, mi
limito a rimandare al saggio Problèmes de philologie gramscienne in questo stesso volume.
21. Cfr. F. FRANCESCHINI, «Folklore» vs «Folclore» e un problema di datazione nei «Quaderni del
carcere», «Rivista di letteratura italiana», VI, 1988, n. 1, pp. 127-136; G. FRANCIONI, Ancora su
«Folklore» vs «Folclore»: una controversa datazione nei «Quaderni» di Gramsci, ivi, n. 3,
pp. 517-526; F. FRANCESCHINI, Controdeduzioni, ivi, VII, 1989, n. 1, pp. 161-164.
22. Cfr. G. FRANCIONI, Gramsci tra Croce e Bucharin: sulla struttura dei «Quaderni 10 e 11»,
«Critica marxista», XXV, 1987, n. 6, pp. 19-45; G. MASTROIANNI, Per una rilettura dei
«Quaderni del carcere» di Antonio Gramsci, «Belfagor», XLVI, 1991, pp. 489-498; G. FRANCIONI,
L’impaginazione dei Quaderni e le note su Labriola, ivi, XLVII, 1992, pp. 607-615; G. MASTROIANNI
, L’impaginazione dei Quaderni e le note su Labriola, ivi, pp. 615-619. Recisamente contrario
alle proposte di riordinamento del Quaderno 11 di Francioni appare V. GERRATANA,
Gramsci. Problemi di metodo, cit., pp. 143-154. Un sostegno decisivo alle tesi di Francioni
viene invece da G. SCHIRRU, Filosofia del linguaggio, psicologia dei popoli e marxismo. Un dialogo
tra Gramsci e Labriola nel Quaderno 11, in G. COSPITO (a cura di), Gramsci tra filologia e
storiografia. Scritti per Gianni Francioni, Napoli, Bibliopolis, 2010, in part. pp. 116-119.
23. Cfr. G. FRANCIONI, Proposte per una nuova edizione dei “Quaderni del carcere”. Prima stesura,
«IG Informazioni», 2, 1992, pp. 11-56; Seconda stesura, pp. 85-186, rivista sulla base del
dibattito suscitato dalla prima.
24. È questa per esempio l’opinione di M. CILIBERTO, Gli apparati critici, ivi, p. 58. Per gli
interventi a riguardo di Nicola Badaloni, Sergio Caprioglio, Giuseppe Vacca, Renzo
Martinelli, Dario Ragazzini, Rita Medici, Lucia Borghese, Joseph Buttigieg, Luciano
Canfora, Leonardo Paggi e Marcello Musté, cfr. ivi, pp. 69-83.
25. V. GERRATANA, Osservazioni sulle «Proposte» di Gianni Francioni, ivi, pp. 63-68. Inizialmente
Gerratana aveva espresso perplessità sulla stessa «opportunità di puntare a una edizione
nazionale critica delle opere di Gramsci» (cit. da G. VACCA, ivi, p. 82).
26. Sulla questione, mi permetto di rimandare al mio saggio su Il giovane Marx tra Spinoza e
Gramsci, «Laboratoire italien», XVI, e alla bibliografia ivi discussa.
27. Cfr. rispettivamente Descrizione dei Quaderni, in GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit.,
pp. 2392, 2403, 2434, 2438, 2441; L. BORGHESE, Tia Alene in bicicletta. Gramsci traduttore dal
tedesco e teorico della traduzione, «Belfagor», XXXVI, 1981, pp. 635-665, in part. p. 641 s.
28. Non è quindi, come ipotizza G. LIGUORI, Rileggendo Gramsci, tra filologia e divulgazione,
«Critica marxista», 2007, n. 3-4, p. 46, «un vezzo formalistico l’affermare […] che le
traduzioni stanno sullo stesso piano delle note gramsciane propriamente dette», almeno
per quanto riguarda la prima parte del lavoro carcerario.
29. G. FRANCIONI, Nota al testo, in A. GRAMSCI, Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di
G. Cospito e G. Francioni, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 894 e 896,

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 17

ma si veda l’intero saggio, alle pp. 835-898, dal quale sono riprese buona parte delle
considerazioni svolte nelle pagine che seguono.
30. Anche su questo argomento, rimando al mio citato intervento su Il giovane Marx tra
Spinoza e Gramsci.
31. G. FRANCIONI, Nota al testo, cit., p. 835; e cfr. ancora il già citato saggio Problèmes de
philologie gramscienne.
32. V. GERRATANA, Introduzione a A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. XXXVI. Sembra
ignorare questa considerazione chi continua a considerare l’edizione Gerratana come la
riproduzione dei Quaderni «così come ci sono prevenuti materialmente, secondo il loro
disporsi nello spazio» (G. LIGUORI, Rileggendo Gramsci, tra filologia e divulgazione, cit., p. 48). A
questo compito è ora destinata non l’edizione diplomatica cui si pensò all’inizio (un tipo
di edizione oggi del tutto desueta), ma la riproduzione anastatica dei manoscritti (
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni,
Roma-Cagliari, Istituto della Enciclopedia Italiana - L’Unione Sarda, 2009, 18 voll.).
33. Sull’ordinamento editoriale e i termini di datazione dei Quaderni nell’Edizione
nazionale, cfr. l’Appendice al presente saggio.
34. È questa l’opinione, per esempio, di Renzo Martinelli (cfr. il citato numero
monografico di «IG Informazioni», p. 73), ma anche di alcuni altri studiosi di Gramsci, su
cui si rimanda a LIGUORI, Gramsci conteso, cit., pp. 336-343.
35. Una sostanziale incomprensione di questa evidenza ci sembra di cogliere
nell’intervento di G. MASTROIANNI su Gramsci, l’Edizione Nazionale e altri grandi lavori,
«Giornale critico della filosofia italiana», LXXXX, 2011, 1, p. 188, laddove parla di
«indicazioni discutibili che purtroppo non mancano […] nell’introduzione e nel
commento» ai Quaderni di traduzioni. Senza ovviamente volersi giustificare degli errori e
delle omissioni in cui inevitabilmente si è occorsi, non si comprende altrimenti perché il
critico rimproveri ai curatori dei tomi citati – che pure hanno ricordato in sede di
introduzione la nota lettera in cui Gramsci motiva lo studio dell’inglese anche con il
desiderio di poter leggere in lingua originale gli scritti di Ricardo alla cui edizione critica
stava lavorando l’amico Sraffa (ma che, come è noto, non vedrà mai, dal momento che
inizierà a uscire solo nel dopoguerra) – di non essersi addentrati nell’interpretazione
gramsciana dello stesso Ricardo (problema che non è, con tutta evidenza, relativo alle
traduzioni). Non è poi certo per «risparmiar[si] l’esame delle dispense della scuola di
partito, e ovviamente del russo (e del tedesco […]) in esse italianizzato» che i curatori
delle traduzioni carcerarie gramsciane si sono sottratti al compito di contribuire «alla
definizione dell’intera questione Gramsci-Bucharin» (ivi, p. 196), ma per il semplice fatto
che, in un’edizione articolata in sezioni e con volumi cronologicamente ordinati, la sede
deputata all’esame della dispensa del 1925 non è il volume dedicato alle traduzioni svolte
in carcere, bensì quello che conterrà gli scritti politici di quegli anni, mentre
dell’interpretazione gramsciana della Théorie du matérialisme historique di Bucharin si dirà,
com’è ovvio, nel commento ai numerosi appunti carcerari dedicati alla questione, ai quali
peraltro già si è rimandato in sede di commento alle traduzioni.

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 18

RIASSUNTI
I manoscritti carcerari di Gramsci sono stati pubblicati prima in modo parziale e tematico da
Felice Platone e poi da Valentino Gerratana, in ordine cronologico e in forma completa, a parte
l’esclusione delle traduzioni svolte da Gramsci tra il 1929 e il 1932. A partire da L’officina
gramsciana, Gianni Francioni ha proseguito e corretto il restauro filologico intrapreso da Gerratana,
giungendo a formulare i criteri in base ai quali è stata avviata, nell’ambito dell’Edizione nazionale
degli scritti di Gramsci, una nuova pubblicazione dei Quaderni del carcere. Il primo volume, uscito
nel 2007, comprende i Quaderni di traduzioni, interessanti anche per i nessi che presentano con gli
appunti teorici. Il secondo e il terzo volume, attualmente in preparazione, saranno dedicati ai
quaderni miscellanei e ai quaderni “speciali”, disposti in ordine di stesura sulla base della nuova
cronologia stabilita da Francioni e qui riportata in appendice.

Les manuscrits de prison de Gramsci ont été publiés d’abord de manière partielle et thématique,
par Felice Platone, puis par Valentino Gerratana selon leur ordre chronologique et sous forme
complète, exception faite des traductions réalisées par Gramsci entre 1929 et 1932. À partir de
L’officina gramsciana (« L’atelier de Gramsci ») Gianni Francioni a poursuivi et corrigé l’œuvre de
restauration philologique commencée par Gerratana et il a formulé les critères de la nouvelle
publication des Cahiers de prison dans le cadre de l’Édition nationale des Écrits de Gramsci. Le
premier volume, paru en 2007, contient les Cahiers de traduction intéressants pour leurs liens avec
les notes théoriques de prison. Le deuxième et le troisième volume, en préparation, seront
consacrés aux cahiers que Gramsci lui-même a appelés « de miscellanées » et « spéciaux »,
publiés en respectant leur ordre de composition, selon la nouvelle datation établie par Francioni,
qui se trouve en annexe de mon article.

Gramsci’s prison manuscripts were published, first in a partial form according to subject matter,
by Felice Platone and then, in a complete form in chronological order by Valentino Gerratana,
with the exception of the translations that Gramsci did between 1929 and 1932. Beginning with
L’officina gramsciana (The Gramscian Workshop), Gianni Francioni has carried forward and corrected
the work of philological restoration undertaken by Gerratana, arriving at a formulation of the basic
criteria for a new publication of the Prison Notebooks within the context of the National Edition of
Gramsci’s writings. The first volume of the National Edition came out in 2007 and included the
Translation Notebooks, of interest for the nexus that emerges with the theoretical notes. The
second and third volume, currently underway, will be deal with the miscellaneous notebooks and
the “special” ones, arranged in order of writing according to the new chronology that Francioni
has established, contained here as an appendix.

INDICE
Mots-clés : Gramsci Antonio, philologie, Cahiers de prison, édition critique, traductions
Keywords : philology, Prison Notebooks, critical edition, translations

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale dei Quaderni del carcere 19

AUTORE
GIUSEPPE COSPITO
Chercheur en Histoire de la philosophie au « Dipartimento di Studi Umanistici » de l’Université de
Pavie. Ses objets d’étude relèvent principalement de la pensée philosophique et politique
italienne du XVIe au XXe siècle, en particulier Machiavel, Vico, Cattaneo et Gramsci, envisagée
dans ses relations avec les principaux courant intellectuels européens. Parmi ses publications
gramsciennes figurent la monographie Il ritmo del pensiero. Per una lettura diacronica dei «Quaderni
del carcere» di Gramsci (Bibliopolis, 2011), l’édition du volume collectif Gramsci tra filologia e
storiografia. Studi per Gianni Francioni (Bibliopolis, 2010), la publication, conjointement à Gianni
Francioni, des Quaderni di traduzioni 1929-1932 (Istituto della Enciclopedia Italiana, 2007) et la
rédaction, avec Fabio Frosini, de certaines des « Introductions » à chacun des cahiers dans
l’édition fac-similé des Quaderni del carcere (Istituto della Enciclopedia Italiana – L’Unione Sarda,
2009, 18 vol.), dirigée par Gianni Francioni.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio


Gramsci. Vecchi problemi e nuove acquisizioni: gli
Scritti 1910-1926
L’Édition nationale des écrits de Antonio Gramsci. Vieux problèmes et nouvelles
acquisitions : les Écrits 1910-1926
The National Edition of the Writings of Antonio Gramsci. Old questions and new
findings: the Writings 1910-1926

Maria Luisa Righi

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1094 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Maria Luisa Righi, « L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuove
acquisizioni: gli Scritti 1910-1926 », Laboratoire italien [Online], 18 | 2016, Messo online il 25 novembre
2016, consultato il 12 dicembre 2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1094

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 1

L’Edizione nazionale degli scritti di


Antonio Gramsci. Vecchi problemi e
nuove acquisizioni: gli Scritti
1910-1926
L’Édition nationale des écrits de Antonio Gramsci. Vieux problèmes et nouvelles
acquisitions : les Écrits 1910-1926
The National Edition of the Writings of Antonio Gramsci. Old questions and new
findings: the Writings 1910-1926

Maria Luisa Righi

1 Gramsci fu per oltre dieci anni giornalista prolifico, ma quasi mai il suo nome compare in
calce ai suoi articoli: solo una quarantina sono gli articoli firmati con un qualche
pseudonimo a lui riconducibile, ancor meno quelli che recano il suo nome; solo in un caso
conosciamo un autografo di un testo da lui pubblicato1. L’anonimato caratterizzò i suoi
scritti sin dalle sue prime prove da giornalista: il primo articolo conosciuto è una breve
corrispondenza firmata Gi., che l’allora studente liceale inviò da Aidomaggiore (un
paesino a pochi chilometri da Ghilarza)2. Nel 1913 firmò con lo pseudonimo Alfa Gamma
due contributi sul «Corriere universitario»3, una rivista goliardica nella quale solitamente
gli articoli comparivano firmati. Quando poi iniziò la sua carriera di giornalista
professionista – assunto all’«Avanti!» il 10 dicembre 1915 come redattore della neonata
pagina torinese, collaborando al contempo al settimanale socialista locale, «Il Grido del
popolo» – l’anonimato era divenuta una precisa scelta politica del giornale. Era infatti
passato poco più di un anno dacché Mussolini, allora direttore dell’«Avanti!» e leader
della corrente rivoluzionaria, era stato espulso dal partito socialista per aver assunto una
posizione favorevole all’intervento italiano in guerra a fianco dei paesi dell’Intesa
(posizione che Gramsci aveva pubblicamente sostenuto)4. In conseguenza di ciò, la
direzione del PSI aveva deciso «di non mettere alla testa del giornale nessun nome»,

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 2

perché esso non doveva «correre il pericolo di divenire istrumento di idee, direttive,
propositi individuali»5. Come ricorderà lo stesso Gramsci, egli prese «alla lettera il
principio giusto esposto a Torino da Serrati che un giornale proletario deve essere
anonimo e non deve servire da vetrina a nessuno»6 e vi rimase sempre fedele. Come
osservò Piero Gobetti scrivendone a Giuseppe Prezzolini, Gramsci fu «nei primi anni un
solitario» e anche in seguito continuò a lavorare «silenziosamente», lasciando «agli altri
di raccogliere il merito e i frutti o le lodi» con una «modestia davvero rara»7. Questa sua
scelta di anonimato rende assai difficile individuare i suoi scritti giornalistici e le
attribuzioni dei curatori appaiono sempre passibili di critiche. Un breve excursus delle
diverse edizioni ci aiuterà a comprendere i problemi che sono attualmente di fronte ai
curatori della sezione Scritti (1910-1926) dell’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci 8.

Le edizioni Einaudi
2 I primi scritti giornalistici di Gramsci ad essere pubblicati in volume furono, nel 1950, le
recensioni teatrali apparse sull’«Avanti!» tra il 1916 e il 1920, proposte in appendice al
sesto volume dei Quaderni del carcere, dedicato a Letteratura e vita nazionale 9. Tra il 1954 e il
1971 sempre per Einaudi uscirono 5 volumi di scritti10. Prima ancora che l’opera fosse
compiuta, nel 1968, Sergio Caprioglio pubblicò una raccolta di 105 nuove attribuzioni 11. La
pubblicazione nel 1974 di un altro centinaio di nuovi articoli a cura di Renzo Martinelli 12,
nonché la segnalazione che alcuni articoli raccolti nelle Opere erano apocrifi, resero
evidente la necessità di una nuova edizione.
3 La seconda serie delle Opere, nella quale erano accolte le Lettere dal carcere del 1965 e
l’edizione dei Quaderni curata da Valentino Gerratana del 1975 13, avviava una nuova
edizione degli Scritti, che si prevedeva articolata in 7 volumi, ma dopo l’uscita dei primi 4,
tra il 1980 e il 198714, quelli relativi al 1921-1926 non videro mai la luce, sebbene ad essi
continuasse a lavorare Sergio Caprioglio15. Ancor oggi per questo periodo così cruciale per
la vita politica di Gramsci è necessario ricomporre faticosamente queste disjecta membra 16,
integrando i volumi del 1966 e del 1971, con quanto è stato pubblicato, o a volte solo
segnalato, negli studi apparsi negli oltre quarant’anni trascorsi.
4 Questa seconda serie ebbe il pregio di pubblicare ordinatamente scritti apparsi in edizioni
parziali o su riviste, di accogliere le proposte di attribuzione avanzate da diversi studiosi,
e di proporre, specie per merito di Caprioglio, molte nuove e fondate attribuzioni. Ancora
a Caprioglio si deve il rinvenimento all’Archivio di stato di Torino delle carte dell’Ufficio
censura cittadino che conservava ancora molte bozze di stampa de «Il Grido del popolo» e
dell’edizione piemontese dell’«Avanti!» sulle quali compaiono, barrati dal censore, gli
articoli che non avevano potuto vedere la luce17. Meno apprezzabile è la scelta di
riproporre testi che si valutavano apocrifi18. In questo la nuova edizione non fugava la
preoccupazione espressa anni prima da Gerratana che prevalesse «il cattivo esempio di
quei bibliografi alessandrini che non si preoccupavano troppo, pur di arricchire le loro
collezioni, di inflazionare con scritti spuri il “corpus” delle opere aristoteliche» 19. Un altro
serio limite di quella edizione, come vedremo meglio più avanti, fu la decisione di
riproporre i testi dell’edizione precedente senza riscontrarli sugli originali, nonostante la
qualità di quelle prime trascrizioni lasciasse molto a desiderare.
5 L’Edizione nazionale è dunque il terzo tentativo di pubblicare gli scritti di Gramsci, nella cui
sezione degli Scritti 1910-192620, verranno pubblicati tutti i testi giornalistici e politici in

Laboratoire italien, 18 | 2016


L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 3

ordine cronologico. Presentiamo qui i problemi affrontati sinora e le nuove risultanze


emerse dal lavoro sui primi due volumi: il primo, 1910-1916, curato da Giuseppe Guida e da
chi scrive, ancora in lavorazione; il secondo, 1917, curato da Leonardo Rapone21.
6 Il volume 1910-1916 si aprirà con la corrispondenza da Aidomaggiore e conterrà anche i
componimenti di italiano del periodo scolastico: 3 sostenuti durante la scuola elementare
(1901 e 1903) e 4 risalenti all’ultimo anno di liceo 1910-1911. Recentemente è stata anche
rinvenuta la “bella copia” del tema, già noto, Se un tuo compagno benestante…, risalente al
1903, che ora sappiamo aver ottenuto il voto di dieci/decimi22. Tra le novità di questi
primi due volumi si segnala una serie di recensioni dedicate a opere liriche e concerti che
aprono un nuovo capitolo sul rapporto di Gramsci con la musica, su cui ci soffermeremo
più avanti.
7 I curatori si sono dovuti confrontare con questioni specifiche relative agli “esordi”
gramsciani che in passato sono state poco analizzate. Se i problemi di attribuzione relativi
agli articoli dell’«Ordine Nuovo» – legati al costituirsi intorno a Gramsci di un collettivo
culturalmente e politicamente omogeneo –, furono rilevati già dai più diretti
collaboratori23, quelli posti dagli articoli d’esordio sono stati assai meno oggetto di
dibattito. Agli inizi della sua attività di giornalista professionista, Gramsci stava ancora
definendo il proprio stile e la propria posizione politica, per altro in un contesto in cui il
dibattito politico all’interno del partito, dopo l’espulsione di Mussolini, non fu
particolarmente vivace, almeno sino alla Rivoluzione russa. D’altronde, l’avvio stesso
della collaborazione di Gramsci alla stampa socialista è ancora oggetto di dibattito.
Ribadita da Gramsci più volte la data della sua assunzione all’«Avanti!», e accertato che la
sezione socialista di Torino decise di dar vita alla pagina locale solo ai primi di novembre
e di assumere i redattori tra cui «Gramcis»24, è lecito chiedersi se egli avesse iniziato a
collaborare già prima con articoli sin qui non riconosciuti. Della sua vita tra l’ottobre 1914
e la fine del 1915 sappiamo molto poco. Fattosi «orso, di dentro e di fuori» 25 aveva smesso
di scrivere ai familiari, e, probabilmente, aveva anche diradato gli incontri con gli amici
dell’Università, dato che mancano anche delle testimonianze su questo periodo, fatta
eccezione per alcune notazioni di Angelo Tasca26.
8 Consapevoli che non sempre è possibile riconoscere una cifra personale in molti articoli
scritti «alla giornata»27, per compilare la nuova edizione ci si è basati su più criteri: su
analisi lessicali e stilistiche, assistite anche da un esame del testo fondato su modelli
matematici28; sui riferimenti contenuti negli scritti certamente a lui attribuibili e negli
accenni autobiografici presenti nei quaderni carcerari e nelle lettere; sulla
documentazione coeva per ricostruire la vita della redazione29; su un esame più attento
degli articoli degli altri redattori, come ad esempio Giuseppe Bianchi, direttore de «Il
Grido del popolo» e capo-redattore della pagina locale dell’«Avanti!», con il quale Gramsci
condivideva rubriche e tematiche e un certo stile polemico. Con molte cautele, si è fatto
ricorso anche alle poche testimonianze lasciate da chi lavorò al suo fianco. Queste, per
altro, appaiono contraddittorie proprio su uno dei punti più controversi. Ottavio Pastore
sostenne che tutti i corsivi della rubrica «Sotto la mole» – i taglienti corsivi che divennero
il segno distintivo della pagina torinese30 – «sono indiscutibilmente di Gramsci»; di parere
contrario Andrea Viglongo, secondo il quale prima del maggio 1916 nessuno di quei
corsivi lo fosse31. Gramsci smentisce entrambi. In un articolo del 1921 egli stesso precisava
di essere «autore di almeno la metà dei “Sotto la Mole” pubblicati fino al 1° Maggio 1916 e
di quasi tutti i “Sotto la mole” pubblicati dopo il 1° Maggio 1916»32, ovvero sino a quando
Bianchi diresse la pagina torinese dell’«Avanti!». Nell’edizione del 1980 sono

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 4

pubblicati 100 dei 115 «Sotto la mole» apparsi nei 134 numeri del giornale usciti dal
16 dicembre 1915 al 1° maggio 1916, ma una cinquantina di essi sono proposti come di
«incerta attribuzione». Giungere ad individuare quella «metà» circa di «Sotto la mole»
scritti da Gramsci «fino al 1° Maggio 1916», espungendone gli apocrifi è tema di una
discussione che non ha trovato ancora una composizione. Meno incertezze presentano gli
articoli del 1917: nel volume compariranno venticinque nuove attribuzioni; e quasi
altrettanti gli articoli non riproposti perché ritenuti apocrifi.

Il “restauro” dei testi


9 Per entrambi i volumi è stato condotto un attento riscontro con le edizioni a stampa e le
riedizioni coeve. Il lavoro si è mostrato quanto mai proficuo sia sul piano lessicale sia su
quello dei contenuti, riservando molte sorprese. Come un dipinto sottoposto a restauro
mostra i suoi colori nell’originaria lucentezza e nitore, così la lingua di Gramsci ci si
mostra ancor più ricca e varia, capace di attingere a un vocabolario di antica tradizione
letteraria come ai più recenti neologismi. Nelle edizioni precedenti i testi erano stati
fortemente ‘normalizzati’ con la correzione delle forme ortografiche cadute in disuso o
dei termini di cui non si coglieva il senso. Frequenti poi erano, specie negli articoli ripresi
dalla prima serie delle Opere, le lacune e gli errori di trascrizione. Anche se l’Edizione
nazionale non segnalerà gli scostamenti del testo dalle precedenti edizioni, è utile qui fare
qualche esempio. Nelle edizioni precedenti si legge «sotto il naso»33 quando sul giornale è
scritto «sotto gli occhi»; «quest’anno»34 in luogo di «quest’inverno»; «cristallizzazione» 35
per «cristianizzazione»; il «normale e logico», anziché il «regolare e logico» svolgersi
degli avvenimenti36; Doria37 per Loria; «soldini del papà» 38 in luogo della pianta erbacea
«soldini del papa». E ancora: la scrittrice Maria di Borio non è una «predicatrice di
virtuosismo»39, ma «di virtuismo», neologismo introdotto da Vilfredo Pareto con un
pamphlet di successo per denunciare l’ipocrisia di quanti chiedevano misure censorie
contro la letteratura immorale40. Nell’articolo su Guido Podrecca, Voci d’oltretomba, si
definivano esaurite le «sue barzellette di cattiva lega» non «sul marito dell’amica» 41, ma
sul «marito dell’anima», ovvero il prete, secondo il titolo di una popolare conferenza di
Podrecca42. I refusi tipografici in senso proprio, specie sull’«Avanti!», si rivelano non
numerosi e molti di essi suggeriscono che Gramsci inviasse in tipografia i suoi testi in
forma manoscritta43. In alcuni casi l’errore è certamente attribuibile a Gramsci: in due
articoli ricorre, ripetutamente, un Tritone che deve leggersi Titone, colui che «ebbe dagli
dei di poter essere perennemente giovane e forte, ma nella forma infeconda di una cicala
dalla voce sempre squillante»44. Anche nel citare i Paralipomeni della Batracomiomachia di
Giacomo Leopardi, Gramsci chiama ripetutamente Rodiformaggio, il personaggio che nel
poemetto ha il nome di Rodipane45.
10 Grazie alle possibilità offerte dalle risorse digitali si sono potute controllare in misura più
ampia che nel passato forme lessicali, neologismi o possibili citazioni. Il lavoro sui testi ha
confermato la ricettività di Gramsci per i neologismi46 e qualche propensione
all’onomaturgia (‘sperimentaleria’, ‘storificabile’, ‘omertasticamente’, ‘eutanasiani’).
L’anglofilia del giovane Gramsci, attestata dagli studi recenti47, si estende anche al lessico.
Non sono infrequenti termini rientranti tra i forestierismi circolanti all’epoca: ‘scatina’ da
skate, che preferisce al francesismo ‘patinare’48; ‘magazzeni’ per le riviste illustrate
definite dagli inglesi ‘magazine’49; o espressioni idiomatiche: «Come dicono gli inglesi: […]
in ogni aggregato umano c’è un decimo sommerso»50; «Come dicono gli inglesi: è l’uomo

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più adatto per il ruolo che più gli si adatta»51; sino all’espressione «salvare la faccia», che
è sì «alla moda cinese», ma era stata recentemente importata in Europa dagli inglesi 52.
11 Non è escluso che Gramsci, dopo aver frequentato negli anni accademici 1913-14 e
1914-15 i corsi di letteratura inglese di Federico Olivero che prevedevano anche
l’apprendimento della lingua, si cimentasse nelle traduzioni da questa lingua: oltre alla
poesia di Rudyard Kipling If apparsa nella rubrica «Sotto la mole» col titolo Breviario per i
laici53, si deve segnalare, firmata A. G., la traduzione di un classico della letteratura
giapponese antica (tratta probabilmente da un testo inglese) sul numero di aprile del
mensile l’«Alleanza cooperativa», diretta dall’amico Ottavio Pastore54; e nello stesso mese
una novella di Kipling, «espressamente tradotta per i lettori del Grido»55.
12 L’attestata passione di Gramsci per gli apologhi e gli aneddoti tratti dalla letteratura
italiana o straniera, dalle fiabe o dai racconti popolari – dalle novelle di Boccaccio 56, al
«ciclo animalesco di Renardo e Lesengrino»57, alla favola ispirata al Panciatantra58 – ha
permesso a chi scrive di individuare due articoli del 1916. In uno si racconta con più
dovizia di particolari la storiella, sintetizzata nei Quaderni, di «quel mastro artigiano, al
quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di
S. Pietro, e taglia di qua, togli di là, correggi, abbozza, finì col ricavarne un manico di
lesina»59. Ne La statua e la lesina, apparso sull’«Avanti!», il 26 settembre 1916, scrive:
13 Una novellina popolare racconta come una volta in un paesetto che non si nomina, un
Comitato formatosi per regalare la statua di un grande santo alla chiesa parrocchiale,
indotto dallo spirito del risparmio e dal sacro sentimento del campanilismo, affidasse
l’incarico del lavoro all’unico intagliatore del paese, e gli desse in consegna un magnifico
tronco di legno d’ulivo stagionato per l’opera. Il povero untorello si pose con slancio alla
bisogna, e taglia di qua modifica di là, secondo il gusto e il piacere dei vari interessati, finì
col ridurre il legno ad un giocattolo, e per non gettare proprio al vento la fatica compiuta,
utilizzò la materia prima per tornire una lesina.
14 In due lettere del 1927, prima a Tania e poi a Giulia, Gramsci allude a una storiella degli
«occhiali verdi», evidentemente raccontata in altra sede. A Tania aveva scritto il
15 gennaio 1927: «Sono sicuro che né tu né Giulia vorrete credermi; forse mi crederà
Delka quando avrà qualche anno in più e sentirà raccontarsi la storiella insieme alle altre
dello stesso tipo (quella degli occhiali verdi, ecc.) ugualmente vere e da credersi senza
sorrisi». E a Giulia, 2 maggio: «anche tu non crederai molto a queste storie (occhiali verdi
ecc.) che invece sono belle appunto perché sono vere (realmente vere)»60. La storiella,
invero proverbiale, è raccontata in un articolo dell’agosto 1916:
È nota l’abitudine dei montanini, dalle scarpe grosse, ma dai cervelli fini, di
rivestire la rispettabile faccia dei loro asini con un bel paio di occhiali verdi. Le
innocenti bestiole confondono in tal modo la paglia con l’erba fresca, e credono di
essere deliziati da una eterna primavera.61

Gramsci e la musica
15 Tra le responsabilità di Gramsci nella redazione torinese dell’«Avanti!» vi era senz’altro la
cura della rubrica «Teatri». I curatori delle precedenti edizioni si erano limitati a
pubblicare solo le recensioni riguardanti il teatro di prosa e solo eccezionalmente quelle
che si riferiscono al teatro in musica62, che invece nella rubrica compaiono in misura
rilevante. I curatori della nuova edizione hanno deciso in larga parte di includerle,
avendo maturato una idea del rapporto di Gramsci con la musica diversa da quella

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sedimentatasi nel tempo63. A costruire l’immagine di un Gramsci poco interessato alla


cultura musicale influì probabilmente la scarsa presenza di riferimenti alla musica nelle
Lettere e nei Quaderni. Anzi un brano di una lettera a Giulia ha indotto forse a pensare che
Gramsci non l’amasse affatto:
16 Un elemento che certo ti è sfuggito è come io spesso abbia insistito per indurti a dedicare
una parte del tuo tempo alla musica (credo che ti abbia impressionato male il fatto che
una volta io o sia andato via o abbia fatto mostra in qualche modo di non poter
sopportare la musica: e certo quella certa volta io soffrivo realmente, ma ero in
condizioni nervose deplorevoli e la musica mi limava i nervi in modo da farmi venire le
convulsioni)64.
17 Ma proprio la lettura di un articolo sull’«Avanti!» del 191665 ci ha spinto a ripensare
l’intera questione. L’anonimo autore vi racconta l’irritazione procuratagli da un pubblico
di «scimmiette»66 convenuto al concerto di una giovane pianista più per mondanità che
per amore della musica. Oppresso dallo «sconcerto dei nervi» e da «un martello
d’argento» che gli «picchia la scatola cranica» (come gli «limava i nervi» il violino di
Giulia), il cronista abbandona la sala anzitempo pur apprezzando le doti della pianista.
18 Come giudicare quindi le recensioni “musicali” che compaiono per lo più nella rubrica
«Teatri», ma a volte anche nel resto della pagina? Qual è il rapporto di Gramsci con la
musica? Sappiamo che era appassionato di musica popolare sarda, la cantava e sapeva
suonare l’organetto67, mentre le sue sorelle suonavano il mandolino e la chitarra68. Il suo
interesse per la musica “colta” è attestato dalla testimonianza di un compagno di classe
del liceo, Renato Figari: «il teatro di prosa e la lirica […] erano una delle sue passioni»,
anche se a Cagliari non poté coltivarle come avrebbe voluto per mancanza di mezzi
economici69. Il tesserino di corrispondente dell’Unione sarda70 potrebbe avergli consentito
di accedere a costi agevolati agli spettacoli, tanto più che il giornale pare utilizzasse
frequentemente l’opera di giovani collaboratori anonimi per le recensioni teatrali 71.
19 La sua passione per la prosa e la lirica lo portava ad imitare anche certi idoli dell’epoca:
dal tenore Pietro Schiavazzi, vera gloria cittadina e pupillo di Mascagni, al mattatore della
prosa Ermete Zacconi. A costo di saltare i pasti per procurarsi i biglietti in “piccionaia”
non mancava alle prime del Civico e del Margherita. Vedeva di tutto: dalla tragedia
shakespeariana al melodramma verdiano, dalla commedia leggera al drammone
passionale.72
20 Sempre Figari ricorda che nel 1913, incontrando Gramsci per le vie di Torino, sapendolo
in grado di «apprezzare la buona musica» lo invitò a casa del pianista Guido Davide
Nacamuli, suo compagno di università:
Dapprima si mostrò titubante, poi venne. Erano le undici e mezza della mattina.
Nacamuli si mise al pianoforte e iniziò a suonare. Ricordo che eseguì la Rapsodia
ungherese di Liszt, la Pastorale di Beethoven e altri brani. Suonò ininterrottamente
fino alle due e mezza del pomeriggio e noi stemmo lì ad ascoltare dimenticandoci
persino che non avevamo mangiato il pasto di mezzogiorno. Il viso di Gramsci era
intento, rivelava come egli riuscisse a capire e ad apprezzare sia la qualità dei brani
sia la capacità dell’esecutore.73
21 Pia Carena, a chi la interrogava sui gusti musicali di Gramsci e se Richard Wagner fosse
tra i suoi autori preferiti, rispondeva:
Sì, Wagner ma non tutto. Alcune pagine della Valchiria, quando si aprono le porte
sulla primavera, quel canto che del resto sa di italiano, sa di musica nostra, il Canto

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dell’aprile […]. E poi il Tristano. […] No, non era un wagneriano deciso. Aveva le sue
preferenze.74
22 Un altro episodio conferma il valore che Gramsci attribuiva alla musica classica. In
occasione del ritorno di Arturo Toscanini a Torino – raccontava Vincenzo Bianco – ,
nonostante le difficili giornate attraversate dal movimento dei consigli alla fine
dell’ottobre 1920, Gramsci,
si diede tanto da fare per ottenere tramite l’Alleanza cooperativa uno spettacolo a
prezzi ridotti. Si offriva così anche a noi operai la possibilità di ascoltare e capire la
musica sinfonica. Noi vendemmo i biglietti in tutti i circoli, in tutte le case del
popolo e anche tramite l’Ordine Nuovo.75
23 Gramsci stesso rievocò l’episodio nel carcere di Turi a Sandro Pertini, che così ne ha
riferito:
Toscanini andò in quegli anni a Torino per tenere dei concerti sinfonici al Teatro
Regio e un gruppo di operai si recò da Gramsci e gli disse: «Noi vorremmo andare a
sentire Toscanini.» Gramsci si fece subito interprete di questo desiderio degli
operai, ma alcuni di coloro che interpellò, sorrisero scettici. Avvicinò, mi pare,
anche alcuni dirigenti della stessa Fiat. Poi, finalmente, ottenne che fosse dato un
concerto al Regio solo per i lavoratori. «Ebbene», mi raccontava a Turi, «dopo il
concerto, che non era di musiche leggere, ma comprendeva la Quinta sinfonia di
Beethoven e altro, Toscanini fece questa dichiarazione: “Ho avuto altre
soddisfazioni di fronte ad altre platee, ma la più grande è stata quella provata qui,
di fronte a questo pubblico di operai, che ha capito veramente, ha sentito la musica
da me diretta”. »76
24 L’episodio risaliva al 1919 quando, il 4 giugno, si tenne un concerto a prezzi popolari,
durante il quale fu eseguite l’ouverture n. 3 «Leonora» di Beethoven – ma non la quinta
sinfonia –, nonché brani di Mozart, Roger-Ducasse, Respighi e Wagner77. In
quell’occasione – come Gramsci correttamente ricordava –, Toscanini dichiarò alla
«Stampa» che il concerto popolare era stata «una delle commozioni più profonde datami
dalla mia arte»78.
25 Anche nel 1916, Toscanini si era recato a Torino per una serie di concerti. In
quell’occasione la pagina cittadina dell’«Avanti!» dedicò all’evento un noto «Sotto la
mole»79 e altri quattro articoli (9, 10, 12 e 14 maggio), alcuni riconducibili a Gramsci, altri
ancora sottoposti ad esame.
26 Negli articoli sin qui attribuitigli non mancano riferimenti ai grandi compositori
sinfonici, alla storia della musica, all’opera lirica80. Certamente non molti, ma, accostati a
quelli dedicati al melodramma nei Quaderni81, e considerando che all’epoca l’ascolto della
musica sinfonica era possibile solo assistendo all’esecuzione dal vivo (le riproduzioni
meccaniche, oltre che rare, non superavano i pochi minuti e si limitavano alle arie
d’opera), le pur scarne notazioni di cui disponiamo testimoniano una frequentazione da
parte di Gramsci delle sale da concerto e dei teatri. Ad attestare il suo interesse per
l’esperienza musicale vi sono poi le schedine bibliografiche da lui redatte tra il 1910 e il
191282. In esse compaiono una decina di articoli di argomento musicale: da Pergolesi a
Wagner, da Mozart a Schumann, da Beethoven alle discussioni sull’insegnamento della
musica svoltesi al Congresso musicale di Milano del 1908, tratti per lo più dal «Marzocco».
27 Alla pagina torinese dell’«Avanti!» doveva però collaborare un altro recensore, più
prodigo di elogi e con gusti musicali diversi. Doveva risiedere a Torino da molti più anni
di Gramsci e degli altri redattori dell’«Avanti!» torinese, poiché ricordava i concerti di
Toscanini quand’era direttore del Regio di Torino (tra il 1895 e il 1898), e altri artisti

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esibitisi in città agli inizi del secolo83. Non è escluso che vi sia la sua mano nel «Sotto la
mole» L’Inno delle Nazioni, del 20 giugno 191684, nel quale – con l’esaltazione della
«sublime» «melodia verdiana», i cuori «pulsanti», le «lagrime benedette a fior di ciglia» e
gli «anni sacri del Risorgimento nazionale» –, colpisce per gli «insoliti entusiasmi» e per
uno «slancio oratorio, davvero poco “gramsciano”»85. Solo nell’incipit si possono
riconoscere accenti gramsciani nel sarcasmo destinato a quegli «antropologi da
strapazzo» che fondendo le fotografie dei soldati dei vari eserciti avevano fornito
«l’apparizione teratologica di un tipo non soltanto irreale, ma soprattutto disarmonico» 86.
Per inciso va rilevato che Gramsci, in qualità di redattore, può avere in molti casi corretto
e a volte integrato articoli di occasionali collaboratori del giornale, fornendo ad essi quei
tratti che possono farli apparire suoi87.
28 A confortarci nell’operare una scelta ampia della rubrica «Teatri», senza discernere il
contributo di Gramsci per generi, ma per stile e contenuto, vi è la coerenza con cui
giudica sia il teatro di prosa sia il teatro musicale. Se il «più grande vizio del carattere
degli italiani è appunto l’insincerità», e se «non bisogna mai stancarsi di battere» contro
«la mentalità massonica e gesuitica» che reggono «forme di vita equivoca, falsa, ipocrita»
88
, anche il teatro è valutato da Gramsci per la sua sincerità – «Il teatro dialettale è stato in
Italia un gran maestro di sincerità»89 – contrapposta alle «insincere tirate retoriche»90.
Così anche nelle cronache musicali si liquida l’opera Le maschere di Mascagni perché
«insincera; sforzo culturale e storico superiore alla emotività artistica dell’autore»91,
mentre si apprezza l’«animo beethoveniano, e ripugnante ad ogni ipocrisia» della pianista
Helena Morsztyn92. La continuità dei giudizi e dei gusti musicali appaiono coerenti in
brevi cronache come in articoli ampi, nei quali la prosa di Gramsci si mostra ben
riconoscibile. Così se nel 1916 gli accenni a Puccini sono coerenti ma fugaci (la
«mediocrità» della Boheme93, le «rughe di vecchietta precoce» de La Fanciulla del West; i
pochi «valori musicali» della Madama Butterfly che piace al pubblico per il «contenuto
sentimentale, drammatico dell’opera, che non ha niente a che fare col suono, ridotto a
semplice accompagnamento, a segno marginale, senza un tessuto suo proprio,
essenzialmente caratteristico»94), nel 1917 dedica all’ultima fatica di Puccini, La Rondine,
un’ampia “stroncatura”, definendola «melodramma senza passione, operetta senza
giocondità»95.
29 Che Gramsci rediga anche le recensioni degli spettacoli lirici sembra attestato anche
dall’ampia censura che colpisce la rubrica «Teatri» del 2 giugno 1916, dedicata a L’ultima
della “Cavalleria” di Mascagni, imbiancata per 59 righe su 69, a testimonianza di quanto
stretto fosse nei suoi scritti l’intreccio di critica musicale e critica sociale.
30 Entrato al giornale alla fine del 1915 già alla fine del 1917 Gramsci aveva impresso una
precisa fisionomia alla stampa socialista torinese e anche gli avversari erano costretti ad
apprezzarne la qualità: quando sembrò che la pagina torinese dell’«Avanti!» dovesse
chiudere il settimanale nazionalista torinese «La Patria», diretto dal tante volte
bersagliato Riego Girola Tulin (soprannominato dalla stampa socialista «Tupin» – in
piemontese sciocco), aveva dovuto ammettere che «l’edizione torinese dell’Avanti!
rappresentava un contributo quotidiano a quel giornalismo vivo e dinamico, i cui
orizzonti vanno al di là della “coltellata guaribile in dieci giorni” e dello specchietto per la
tassa sui cani», a cui si risolvevano spesso le pagine locali, confessando che come
giornalisti ne avrebbero sentito la mancanza96.

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NOTE
1. Si tratta del rapporto al Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista del
luglio 1920, apparso sulle varie edizioni dell’organo dell’Internazionale, poi, in italiano,
non firmato, col titolo Il movimento torinese dei consigli, «L’Ordine Nuovo», I, 73, 14 marzo
1921, pp. 1-2. L’autografo è conservato al Rossijskij gosudarstvennyj archiv social’no-
političeskoj istorii (Archivio statale russo per la storia socio-politica), fondo 519, inv. 1,
fasc. 89 e in copia presso la Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Antonio Gramsci, Carte
personali, Sottoserie 1, fasc. Anni torinesi.
2. A proposito d’una rivoluzione, «L’Unione sarda», XXII, 196, 26 luglio 1910, p. 2. La
corrispondenza fu individuata e pubblicata da G. FIORI, Vita di Antonio Gramsci, Bari,
Laterza, 1966, p. 69, ma non compresa nell’edizione einaudiana delle Opere.
3. Si tratta di Per la verità e I futuristi, apparsi rispettivamente il 5 febbraio e il 20 maggio
1913, individuati da Renzo Martinelli e pubblicati per la prima volta in «Studi Storici», 4,
1973, pp. 917-20; ora in A. GRAMSCI, Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio,
Torino, Einaudi, 1980, d’ora in poi Cronache torinesi, pp. 3-9.
4. Sull’articolo A. GRAMSCI, Neutralità attiva ed operante, «Il Grido del popolo», 31 ottobre
1914 (Cronache torinesi, pp. 10-14), cfr. L. RAPONE, Antonio Gramsci nella grande guerra, «Studi
storici», 1, 2007, pp. 5-96 e più in generale ID., Cinque anni che paiono secoli: Antonio Gramsci
dal socialismo al comunismo (1914-1919), Roma, Carocci, 2011.
5. Editoriale senza titolo dell’«Avanti!», 23 ottobre 1914.
6. A. G., Un giornale in liquidazione, un partito alla deriva: intermezzo semiserio, «L’Unità»,
16 settembre 1925 (A. GRAMSCI, La costruzione del Partito comunista: 1923-1926, Torino,
Einaudi, 1971, p. 407).
7. La lettera del 25 giugno 1920 ora in P. GOBETTI, Carteggio 1918-1922, a cura di
E. Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, 2003, pp. 119-124, le citazioni alle pp. 120-121.
8. Cfr. F. GIASI, Problemi di edizione degli scritti pre-carcerari, «Studi storici», 2011, 4,
pp. 837-858, anche per i progetti editoriali andati a vuoto, compresi quelli respinti da
Gramsci stesso; nonché l’introduzione di L. RAPONE a A. GRAMSCI, 1917, Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana [Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci], citato della
nota 21.
9. A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950.
10. ID., Scritti giovanili, 1914-1918 (1958); Sotto la Mole, 1916-1920 (1960); ID., L’Ordine Nuovo,
1919-1920 (1954); Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo, 1921-1922 (1966); La costruzione del
Partito comunista, cit.
11. ID., Scritti 1915-1921, nuovi contributi a cura di S. Caprioglio, Milano, I quaderni de «Il
corpo», 1968, poi Scritti 1915-1921. Inediti dal Grido del popolo e dall’Avanti!, con una antologia
dal Grido del Popolo, a cura di S. Caprioglio, Milano, Moizzi [1976].
12. ID., Per la verità, Scritti 1913-1926, a cura di R. Martinelli, Roma, Editori Riuniti, 1974.
13. ID., Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Torino, Einaudi, 1965; ID.,
Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975 (d’ora in poi Quaderni).

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14. I volumi coprivano il periodo 1913-1920. Oltre alle citate Cronache torinesi 1913-1917,
anche A. GRAMSCI, La città futura 1917-1918 (d’ora in poi, La città futura), a cura di
S. Caprioglio (1982); ID., Il nostro Marx, 1918-1919, a cura di S. Caprioglio (1984); ID., L’Ordine
Nuovo, 1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci (1987).
15. Cfr. S. CAPRIOGLIO, Per l’edizione critica degli scritti di Gramsci. Un volo per Mosca, in Teoria
politica e società industriale: Ripensare Gramsci, a cura di F. Sbarberi, Torino, Bollati
Boringhieri, 1988, pp. 336-342. Le ricerche lo condussero a proporre nuove attribuzioni
sulla rivista «Belfagor» (1987 e 1993). Caprioglio è scomparso nel dicembre 1996.
16. La definizione è di V. GERRATANA, Note di filologia gramsciana, «Studi storici», 1, 1975,
p. 127.
17. S. CAPRIOGLIO, Premessa a Cronache torinesi, p. XV.
18. In Cronache torinesi Caprioglio pubblica in forma dubitativa oltre 50 articoli, distinti
dagli altri da un carattere tipografico minore e senza annotarli.
19. V. GERRATANA, Note di filologia gramsciana, cit., p. 127.
20. Il piano dell’opera, edita dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, prevede la seguente
suddivisione in volumi: 1910-1916; 1917; 1918; 1919-20; 1921-maggio 1922; giugno 1922-1924;
1925-1926. Alcuni dei quali in più tomi.
21. A. GRAMSCI, Scritti (1910-1926), vol. 2: 1917, a cura di Leonardo Rapone ; con la
collaborazione di Maria Luisa Righi e il contributo di Benedetta Garzarelli, Roma, Istituto
della Enciclopedia italiana, 2015.
22. Ringrazio Giovanni Cocco per averne data copia alla Fondazione Istituto Gramsci. Cfr.
S. AMURRI, Il piccolo grande Gramsci, «Il Fatto quotidiano», 12 novembre 2011, p. 14. La
‘brutta copia’ apparve in Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, a cura di
Mimma Paulesu Quercioli, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 16-17. L’altro tema edito, Oppressi
ed oppressori (1911), apparve in A. GRAMSCI, 2000 pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata e N.
Gallo, vol. II, Lettere edite e inedite (1912-1937), Milano, Il Saggiatore, 1964, pp. 13-15.
23. «Non è sempre possibile – scrive Angelo Tasca – concludere con assoluta sicurezza che
l’articolo è della penna di Gramsci, ma ciò appunto perché Gramsci prende nella sfera del
suo pensiero e della sua espressione anche quelli che lavorano con lui, che gli sono vicini»
(citato in G. BERTI, Appunti e ricordi. 1919-1926, in «Annali dell’Istituto Giangiacomo
Feltrinelli», VIII, 1966, p. 61). Lo stesso Gramsci affermò: «l’“Ordine nuovo” è scritto...
comunisticamente, perché gli scritti nascono dalla convivenza spirituale e dall’intima
collaborazione di tre o quattro o cinque compagni, dei quali Gramsci è uno, un altro è
Angelo Tasca, un terzo è Palmiro Togliatti», Cronache dell’«Ordine Nuovo», «L’Ordine
Nuovo», I, 17, 6 settembre 1919, ora in L’Ordine Nuovo 1919-1920 [1987], cit., p. 196.
24. La notizia è riportata nella Relazione morale della C[ommissione] e[secutiva] per il
1915, «Il Grido del popolo», 1° aprile 1916. Cfr. M. L. RIGHI, Gli esordi di Gramsci al «Grido
del popolo» e all’«Avanti!» (1915-1916), «Studi storici», 3, 2014, pp. 727-757. Sugli anni
della formazione intellettuale e politica di Gramsci, si veda L. RAPONE, Gramsci giovane: la
critica e le interpretazioni, ivi, 4, 2011, pp. 975-991.
25. Lettera a Grazietta, Torino, s.d., ma 1916, A. GRAMSCI, Epistolario, I. Gennaio 1906-
dicembre 1922, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto Voghera e M. L. Righi, Roma,
Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2009 [Edizione nazionale degli scritti di Antonio
Gramsci], p. 166.
26. Cfr. G. BERTI, Appunti e ricordi, cit., pp. 45-46.

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27. Lettera a Tania del 7 settembre 1931 in Lettere dal carcere, p. 480.
28. M. LANA, Individuare scritti gramsciani anonimi in un corpus giornalistico. Il ruolo dei metodi
quantitativi, «Studi storici», 4, 2011, pp. 859-880.
29. Nel Fondo Serrati (conservato in copia alla Fondazione Istituto Gramsci) tra la
corrispondenza di Giuseppe Bianchi si è rinvenuto anche un autografo di Gramsci: un
elenco di ben 44 giornali quotidiani che la redazione torinese avrebbe voluto ricevere «in
cambio» (cfr. M. L. RIGHI, Gli esordi di Gramsci, cit., p. 751).
30. Inaugurata da Bianchi sul primo numero il 16 dicembre, la rubrica fu curata da
entrambi sin dall’inizio. Ivi, pp. 748-749.
31. Entrambe citate da F. GIASI, Problemi di edizione degli scritti pre-carcerari, cit., p. 850.
32. Cronache della verità, «Falce e martello», 11 giugno 1921, poi a cura di R. Martinelli in
Articoli sconosciuti di Antonio Gramsci del 1921 e del 1915, «Critica marxista», 5, 1972,
pp. 158-160, e in A. GRAMSCI, Per la verità, cit., pp. 158-160 (dove, però, la frase risulta
mutila).
33. Diritto comune, «Avanti!», Cronache torinesi (poiché ci riferiremo sempre a questa
pagina, l’indicazione verrà qui omessa), 22 agosto 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache
torinesi, p. 504.
34. Bandiera greca, «Avanti!», 28 settembre 1916, ibid., p. 561.
35. L’appello ai pargoli, «Avanti!», 31 luglio 1916, ibid., pp. 459-460.
36. Una santa, «Avanti!», 5 marzo 1917, rubrica «Sotto la mole», La città futura 1917-1918,
pp. 77-79.
37. I denari son pochi, «Avanti!», 6 gennaio 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache torinesi,
p. 54.
38. Granelli, «Avanti!», 19 marzo 1917, rubrica «Sotto la mole», La città futura 1917-1918,
pp. 91-92.
39. La divina favella, «Avanti!», 27 giugno 1916, «Sotto la mole», Cronache torinesi, pp. 408.
40. V. PARETO, Le mythe vertuïste et la littérature immorale, Paris, Riviere, 1911, notevolmente
ampliato nell’edizione italiana (Il mito virtuista e la letteratura immorale, Roma, B. Lux,
1914). Cfr. Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, Torino,
Utet, 1961-2003 (d’ora in poi GDLI), vol. XXI, p. 911; Grande dizionario della lingua italiana
dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, Torino, Utet, 1999 (d’ora in poi GraDIT), vol. VI
p. 1052. Gramsci utilizza il termine già in un tema scolastico del 21 novembre 1910,
riprendendolo probabilmente dall’articolo di Pareto, Un’altra cometa, «Il Resto del
carlino», 20 ottobre 1910, nel quale si faceva cenno all’imminente uscita del libro.
41. Voci d’oltretomba, «Avanti!», 10 aprile 1916, rubrica «Sotto la mole»; poi in «Il Grido del
popolo», 15 aprile 1916, Cronache torinesi, pp. 248-249.
42. L’opuscolo G. PODRECCA, Il marito dell’anima, Roma, Mongini, 1907 ebbe numerose
ristampe. Podrecca aveva svolto questa conferenza anche a Iglesias («L’Unione sarda»,
29 novembre 1910), notizia che non dovette sfuggire a Gramsci che nei giorni precedenti
aveva seguito «con interesse tutti i suoi discorsi» e avuto voluto conoscerlo
«personalmente» (R. Figari in Gramsci vivo, cit., p. 23).
43. Così interpretiamo certi scambi tra u e n, di rn con m, di in e ri, di g, q e z (i. e. ʓ) e così
via: ad es. ‘quaglioni’ anziché ‘guaglioni’; ‘investono’ e ‘rivestono’, ecc., sino a ‘pigna’ per

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‘frigna’ come si legge sul giornale nel titolo di Stenterello frigna, «Avanti!», 20 marzo 1917,
La città futura, pp. 94-96.
44. Convenevoli, «Avanti!», 18 agosto 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache torinesi,
pp. 492-494 (dove anche la definizione di “Titone antico”, da Dante, Purgatorio, IX, 1-3, è
mutata in “Tritone antico”); stesso errore in Nestore e la cicala, ivi, 20 agosto 1916, ibid.,
pp. 501-502.
45. Sia in Scenari vecchi e nuovi. XX settembre , «Avanti!», 20 settembre 1916 (Cronache
torinesi, pp. 551-553) e Il granchio e la marmotta, «Avanti!», 9 maggio 1917, rubrica «Sotto la
mole» (La città futura, pp. 157-158). Tra gli errori non segnalati anche prof. Scano (in I
logaritmi e la quadratura del circolo, «Avanti!», 1° giugno 1917, ibid., p. 186), che è da leggersi
Giuseppe Peano.
46. Cfr. V. ORIOLES, Retrodatazioni dagli scritti di Gramsci (1914-1920), «Lingua Nostra», 4,
1981, pp. 112-117, e 2-3, 1982, pp. 69-72.
47. Cfr. L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli, cit.; A. CARLUCCI, «Essere superiori
all’ambiente in cui si vive, senza perciò disprezzarlo». Sull’interesse di Gramsci per
Kipling, «Studi storici», 4, 2013, pp. 897-914.
48. Cfr. G. RIGUTINI, I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell’uso odierno, Roma, Libreria
editrice C. Verdesi, 1886, p. 334. GDLI, vol. XVII, p. 978, s. v. schettinare, schèttino / scàtino
(data al 1890); vol. XII p. 855 s.v. pattinare / patinare; GraDIT, vol. V, p. 964, schettinare,
schettino / scattino / scatino, vol. IV, p. 877, pattinare / patinare.
49. Cfr. A. PANZINI, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1905, p. 290. GDLI, vol. IX, p. 426,
s. v. magazzino / magazzeno; si tratta di un anglicismo entrato in uso nel secondo
Settecento (le prime attestazioni note sono in Giuseppe Baretti); GraDIT, vol. III, p. 1089.
50. Acque passate, «Avanti!», 26 marzo 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache torinesi,
pp. 218-219. Submerged tenth introdotto dal fondatore dell’Esercito della salvezza William
Booth, era utilizzato anche da Loria nelle sue lezioni (cfr. A. LORIA, Corso completo di
economia politica, compilato e ordinato in base alle lezioni tenute nella R. Università di
Torino per cura del dott. G. Fenoglio, Torino, F.lli Bocca, 1910, p. 209).
51. Sichel, «Avanti!», 23 settembre 1916, rubrica «Teatri», Cronache torinesi, pp. 808-809.
52. Coincidenze e conseguenze, «Avanti!», 20 settembre 1916, rubrica «Sotto la mole»,
Cronache torinesi, p. 549 (anche nella versione ampiamente rimaneggiata, Per i bigotti, «Il
Grido del popolo», 23 settembre 1916). L’espressione salvare la faccia «al modo dei cinesi»
è riportata come tipica di Gramsci anche in una lettera di Tania a Sraffa del 5 marzo 1933
(Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, introduzione e cura di V. Gerratana, Roma, Editori
riuniti, 1991, p. 243). Sulla derivazione cinese dell’espressione inglese to save one’s face o to
save face, cfr. Oxford English Dictionary, Oxford, Clarendon Press, 19892, vol. V, p. 643,
vol. XIV, p. 526.
53. «Avanti!», 17 dicembre 1916, Cronache torinesi, pp. 657-658, su cui A. CARLUCCI, op. cit.
54. La fanciulla lunare. Novella giapponese del X secolo, «Alleanza cooperativa», 110,
aprile 1916, pp. 7-8. Si tratta di una sintesi della novella, che nell’introduzione e nella
chiusa ci pare seguire The bamboo-cutter and the Moon Maiden in F. HADLAND DAVIS, Myths &
legends of Japan, London, Harrap & C., 1912, pp. 66-79. Era comunque disponibile una
traduzione italiana curata da A. Severini, Il taketori monogatari, ossia La fiaba del nonno
tagliabambu, Firenze, Le Monnier, 1880.

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55. La moglie legittima, «Il Grido del popolo», 22 aprile 1916. Anche la novella His wedded
wife (compresa nella raccolta Plain Tales from the Hills, 1888), era uscita in italiano a cura di
V. Rosa: I piccoli racconti delle colline, Milano, Società editoriale milanese, 1908.
56. Ser Ciappelletto, «Avanti!», 3 settembre 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache torinesi,
pp. 527-528.
57. Il gerente responsabile, «Avanti!», 1° marzo 1916, rubrica «Sotto la mole», ibid.,
pp. 167-168, fra gli articoli di incerta attribuzione. L’uso di Lesengrino, piuttosto che di
una delle varianti francesi dell’epopea animalesca (Isengrin, Ysengrin o simili), induce a
ritenere che l’autore avesse presente una versione in franco-trevigiano pubblicata da
Emilio Teza nel 1869, Rainardo e Lesengrino (Pisa, Nistri), utile per gli studi sui volgari
veneti antichi di cui poteva essersi interessato all’università (su questo, cfr. G. SCHIRRU,
Antonio Gramsci studente di linguistica, «Studi Storici», 4, 2011, p. 932).
58. ’L sindich, «Avanti!», 18 dicembre 1915, rubrica «Sotto la mole», ibid., pp. 38-39. La
novella non è compresa nella traduzione che ne aveva fatto il suo professore di sanscrito
Italo Pizzi, Le novelle indiane di Visnusarma (Panciatantra), Torino, Unione tipografico
editrice, 1896, né nella traduzione del 1914 di Federico Verdinois de Il pancia-tantra, ovvero
Le cinque astuzie: cento e più favole per divertire ed istruire la gioventù di Viscnu-Sarma
(Napoli, Casa editrice Partenopea). Gramsci probabilmente la inventò, come in carcere si
riprometteva di «Rifare la novellina delle Mille e una Notte» (Quaderni, p. 1126). Su questo
frammento, cfr. A. MANGANARO, L’apologo del cadì e il prigioniero. Sulle tracce di un appunto di
Antonio Gramsci, in Medioevo romanzo e orientale, a cura di M. Cassarino, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2009, pp. 171-182. Sulla passione per le storie, cfr. M. BONINELLI, Frammenti
indigesti: temi folclorici negli scritti di Antonio Gramsci, Roma, Carocci, 2007.
59. Quaderni, p. 1126.
60. Lettere dal carcere, pp. 41 e 88.
61. L’Ente dei consumi e le lepidezze del «Momento», «Avanti!», 14 agosto 1916. Altro elemento
di attribuzione di questo articolo è il richiamo alla «donna di Cipro di cui racconta il
Boccaccio» (BOCCACCIO, Decameron, I, 9.)
62. La definizione di «Cronache teatrali» si deve a Italo Calvino che per la casa editrice
Einaudi attendeva alla preparazione di Letteratura e vita nazionale (cfr. la sua lettera a
Felice Platone, 13 novembre 1950, citata in Togliatti editore di Gramsci, a cura di C. Daniele,
Roma, Carocci, 2005, p. 119). Caprioglio (Premessa, a Cronache torinesi, p. X) motivò la scelta
di escludere le recensioni di «argomento musicale» «per l’incerta e difficile attribuzione»,
«per quanto le testimonianze concordino nell’escludere la presenza di un esperto
musicale nella redazione torinese dell’“Avanti!”». Nel secondo volume modificò in parte i
criteri includendo diverse recensioni di operette.
63. Cfr. ad es. il parere dell’illustre musicologo Q. PRINCIPE, Quest’Italia non ha più orecchio,
«Il Sole 24 ore», 11 settembre 2011, http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-09-10/
questitalia-orecchio-183800.shtml?uuid=Aa0zVN3D. Principe riconduce l’assenza della
musica nella riflessione di Gramsci alla sua formazione gentiliana: «La radice filosofica
neo-hegeliana, orientata verso una collocazione della musica a livello inferiore,
sottoculturale, “manuale”, ha agito a lungo, sciaguratamente, da De Sanctis a Croce, a
Gentile, allo stesso Gramsci, […] gentiliano per formazione radicata, come ha
irrefutabilmente dimostrato Augusto Del Noce». D’altro avviso, L. PESTALOZZA, Gramsci, la
lingua, la musica: oggi, «L'Asino di B.», 7, 2002 (http://www.lasinovola.it/doc/AsinoB07.pdf

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), che sottolinea l’opposizione di Gramsci alla «crociana autonomia estetica dell’arte


scissa dalla storia».
64. Lettera a Giulia, 28 marzo 1932, in Lettere dal carcere, pp. 597-598. Url attivi al
29 novembre 2015.
65. Concerti e sconcerti al liceo musicale, «Avanti!», 17 maggio 1916.
66. A «scimmie più o meno bene ammaestrate» si fa riferimento anche nella cronaca di un
altro concerto, quello della pianista Helena Morsztyn, «Avanti!», 7 marzo 1917, rubrica
«Teatri» (e che sarà accolto nel volume Scritti 1917 dell’Edizione nazionale). Sulla
«scimmia come metafora della vacuità, dell’insulsaggine, della mera rumorosità, della
teatralità disgiunta dalla capacità di realizzazione», presa a prestito da Kipling e topos
della prosa gramsciana si è soffermato da ultimo L. RAPONE, Cinque anni, cit., p. 134.
67. Testimonianza di Dino Frau in G. FIORI, Vita di Antonio Gramsci, cit., p. 61.
68. A. GRAMSCI, Epistolario, I, cit., p. 20 (lettera alla madre del 18 marzo 1909).
69. Gramsci vivo, cit., p. 22.
70. A. GRAMSCI, Epistolario, I, cit., p. 46.
71. G. PODDA, Alle radici del nazional-popolare: Gramsci studente a Cagliari, in Gramsci e il
Novecento, a cura di G. Vacca in collaborazione con M. Litri, Roma, Carocci, 1999, vol. 2,
p. 183.
72. Ivi, p. 184. Delle sue sonore proteste dal “loggione” Gramsci fa cenno anche in una
lettera alla madre da Cagliari : A. GRAMSCI, Epistolario, I, p. 51.
73. Gramsci vivo, cit., p. 25.
74. P. CARENA, A. LEONETTI, Una donna all’“Ordine Nuovo”, apparso su «Rinascita» nel 1969,
poi in A. LEONETTI, Note su Gramsci, Urbino, Argalìa, 1970, pp. 105-110. Alla domanda se
Gramsci amasse l’operetta, Carena rispondeva: «Oh sì, si divertiva: c’era un fondo
fanciullesco in quell’uomo, che non si esternava mai chiaramente, ma che viveva in lui».
75. Gramsci vivo, cit., p. 31.
76. Ivi, p. 214.
77. Cfr. Il concerto… quasi popolare, «Avanti!», ed. piemontese, 4 giugno 1919, p. 3. La quinta
di Beethoven fu diretta da Toscanini il 30 ottobre 1920, in tutt’altro clima politico: il
giorno prima una manifestazione fascista s’era trasformata in un aggressione a tranvieri e
ferrovieri, e in un tentativo di assalto all’«Avanti!» piemontese. In quell’occasione per
altro non ci furono concerti a prezzi popolari.
78. L’anima popolare nei concerti orchestrali, «Stampa», 5 giugno 1919.
79. Omaggio a Toscanini, «Avanti!», 7 maggio 1916, rubrica «Sotto la mole», Cronache
torinesi, pp. 295-296.
80. In Omaggio a Toscanini, cit., si cita Wagner «disinteressato creatore di bellezze». Altri
riferimenti alla produzione teorica del compositore tedesco sono in “La nemica” di Dario
Niccodemi, «Avanti!», 9 novembre 1916, rubrica «Teatri» (Cronache torinesi, pp. 817-818). In
Sfogo necessario («Avanti!», 4 giugno 1916, rubrica «Teatri», ibid., pp. 795-796) torna sul
successo di Toscanini e Mascagni quali esempi che la qualità non nuoce «alla cassetta». In
Demagogia artistica («Avanti!», 15 gennaio 1917, ibid., pp. 705-707) si apprezzano Debussy,
Palestrina e Monteverdi, e si mostra di conoscere bene la Storia universale della musica di
Hugo Riemann. Per una rassegna, cfr. F. TODDE, Gramsci e la musica, in Il Pensiero

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 15

permanente. Gramsci oltre il suo tempo, a cura di E. Orrù e N. Rudas, Cagliari, Tema, 1999,
pp. 388-398.
81. Cfr. le voci Melodramma, Musica, Verdi, in Dizionario gramsciano. 1926-1937, a cura di
G. Liguori, P. Voza, Roma, Carocci, 2009; P. VOZA, La “fortuna popolare” di Verdi nei
“Quaderni” di Gramsci, «Critica marxista», 1, 2001, pp. 61-66; e A. ERRICO, Giuseppe Verdi: il
“nazionale-popolare” in musica, in Il nostro Gramsci, a cura di A. D’Orsi, Roma, Viella, 2011,
pp. 129-135.
82. Lo schedario, o meglio ciò che è sopravvissuto, è conservato nell’Archivio Antonio
Gramsci (Carte personali, Sottoserie 1, 1891-1926, fasc. Anni torinesi); in vista della
pubblicazione nell’Edizione nazionale, ciascun titolo è stato corredato da un abstract
compilato da Stefania Miccolis.
83. Ne“La Bohême” al Regio («Avanti!», 21 dicembre 1916), si ricorda l’interpretazione del
giovane baritono Taurino Parvis (1879-1957) esibitosi a Torino nel 1902. A questo
collaboratore si devono attribuire le recensioni alla «Cavalleria rusticana» di Mascagni
(27, 29 e 31 maggio, 1° giugno 1916); alla «Bohème» di Puccini (12 giugno e quella sopra
citata) e poco altro (27 giugno, 9 settembre, 6 novembre).
84. Cronache torinesi, pp. 389-391.
85. F. TODDE, op. cit., p. 392.
86. Anche nei Quaderni del carcere la teratologia, scienza che studia le malformazioni
genetiche, è sinonimo di aberrazioni di carattere culturale o intellettuale.
87. Tra questi si veda l’articolo firmato A. G., I ricorsi della storia e le vicende delle cotoniere,
«Il Grido del popolo», 9 dicembre 1916, Cronache torinesi, pp. 635-641. Solo il primo
paragrafo sembra avere accenti ‘gramsciani’, mentre la lunga e dettagliata rievocazione
dello sciopero del 1906 pare da ricondurre al dirigente sindacale Adolfo Giusti, le cui
iniziali già in passato indussero ad attribuire suoi articoli a Gramsci (cfr. F. GIASI, Problemi
di edizione degli scritti pre-carcerari, cit., p. 853). A confermarci in questa opinione anche la
collocazione nella rubrica «Battaglie proletarie» (o, più frequentemente, «Battaglie del
lavoro»), curata direttamente dalla Camera del lavoro e nella quale non compaiono altri
articoli di Gramsci.
88. La rinascita gesuitica, «Avanti!», 15 gennaio 1917, Cronache torinesi, pp. 701-704.
89. Ridicolo e comico, «Avanti!», 6 marzo 1916, rubrica «Sotto la mole», ibid., pp. 763-764.
90. Teatro e cinematografo, «Avanti!», 26 agosto 1916, rubrica «Teatri», ibid., pp. 802-804.
Sulla categoria dell’insincerità, cfr. E. BELLINGERI, Dall’intellettuale al politico. Le “Cronache
teatrali” di Gramsci, Bari, Dedalo, 1975, pp. 43-70.
91. “Le maschere” di Pietro Mascagni, «Avanti!», 9 giugno 1916, rubrica «Teatri».
92. Helena Morsztyn (7 marzo 1917), cit. Entusiasta anche la recensione del concerto
dell’anno precedente: Helena Morsztyn al Vittorio, «Avanti!», 14 giugno 1916, rubrica
«Teatri».
93. “La Bohème” al Chiarella, «Avanti!», 25 gennaio 1916, rubrica «Teatri».
94. “Madama Butterfly” al Chiarella, «Avanti!», 2 novembre 1916, rubrica «Teatri».
95. “La Rondine” al Chiarella. 3 atti di G. Adami musica di G. Puccini, «Avanti!»,
2 novembre 1917, rubrica «Teatri».
96. L’Avanti torinese è morto, «La Patria», 39, 18 novembre 1917, p. 2.

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RIASSUNTI
Gramsci fu per oltre dieci anni giornalista prolifico, ma scrisse quasi sempre in forma anonima e
non è sempre facile riconoscere i suoi articoli. I progressi degli studi sulla vita e il pensiero di
Gramsci hanno mostrato le manchevolezze delle precedenti raccolte degli scritti giornalistici e
politici nelle due serie delle Opere (la prima uscita tra il 1954 e il 1971, la seconda, incompiuta, tra
il 1980 e il 1987). Il volume relativo agli anni 1910-1916, di prossima pubblicazione per l’Edizione
nazionale, e quello relativo al 1917, appena pubblicato, presenteranno importanti novità
innanzitutto per quanto riguarda il testo, ristabilito sulla base di un puntuale riscontro dei
giornali su cui apparvero. L’esame dei testi, teso anche a definire un profilo dei redattori che
scrivevano sulle stesse pagine, ha consentito una più fondata attribuzione degli adespoti,
portando all’esclusione di articoli noti e l’inclusione di nuovi. Tra questi una serie di articoli
dedicati a opere liriche, operette e concerti che mostrano come il rapporto di Gramsci con la
musica sia alquanto diverso da quello costruito sin qui dalla critica.

Gramsci a publié des articles de journalisme pendant plus de dix ans, mais il a presque toujours
écrit de façon anonyme et il n’est pas facile de reconnaître ses articles. Les avancées des études
au sujet de la vie et la pensée de Gramsci ont fait émerger les lacunes des écrits politiques et
journalistiques qui ont été publiés dans les deux éditions des Œuvres (la première parue entre
1954 et 1971, la seconde, inachevée, entre 1980 et 1987). Les volumes relatifs aux années 1910-1916
et 1917, qui paraîtront dans le cadre de l’Édition nationale, contiennent d’importantes nouveautés
concernant le texte, rétabli sur la base d’une comparaison détaillée des sources primaires.
L’examen des textes, qui vise également à définir un profil des autres rédacteurs de ces mêmes
pages, a permis une attribution attentive des écrits anonymes. Certains articles précédemment
attribués à Gramsci ont été exclus tandis que d’autres y ont été ajoutés : il s’agit notamment
d’une série d’articles consacrés aux représentations musicales (opéras, concerts symphoniques,
etc.) qui montrent que le rapport de Gramsci avec la musique est très différent de celui que la
critique avait reconstruit jusqu’à présent.

For over ten years, Gramsci was a prolific journalist, almost always however in unsigned articles,
making it recognition difficult. Progress made in studies on Gramsci’s life and thought have
shown up the weaknesses of previous collections of his journalistic and political writings in the
two series of his Works (the first one coming out between 1954 and 1971 and the second
– incomplete – one from 1980 to 1987). The volume relating to the years 1910-1916, shortly
forthcoming in the National Edition, and the just published volume on 1917, will contain important
novelties, first of all as regards the text, now re-established on the basis of a precise examination
of the journals in which they appeared. Textual examination, which has also included a
definition of the profile of the journalists who wrote on the same pages, has allowed us to make a
better-founded attribution of the anonymous authors, leading to the exclusion of some articles
that are known and the inclusion of new ones. Among these is a series of articles devoted to
operas, operettas and concerts, which show that Gramsci’s relation to music is rather different
from the one that criticism has hitherto construed.

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INDICE
Keywords : journalism, philology, history, criticism, music
Mots-clés : musique, critique, journalisme, philologie, histoire

AUTORE
MARIA LUISA RIGHI
Membre du Comité scientifique de la Fondazione Istituto Gramsci, elle s’occupe de l’histoire des
partis politiques et des syndicats au XXe siècle, et a publié divers travaux et recueils de
documents, notamment les actes du colloque international Gramsci nel mondo (1995). Pour l’
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci (éditée par l’Enciclopedia italiana) elle a édité avec
d’autres les deux premiers volumes de l’Epistolario: 1906-1922 (2009); gennaio-novembre 1923 (2011),
et a collaboré au volume Scritti: 1917, édité par L. Rapone (2015). Elle coordonne actuellement le
groupe de recherche de l’Edizione nazionale dont elle est membre du comité de rédaction. Elle fait
également partie de la direction de Gramsciana et de la rédaction de Studi gramsciani nel mondo, la
co-éditrice de la Bibliografia gramsciana fondée par John M. Cammett et consultable en ligne. Elle
est enfin l’auteur de « Gramsci a Mosca tra amori e politica (1922-1923) », Studi Storici (2011/4); et
de « Gli esordi di Gramsci al Grido del popolo e all’Avanti! (1915-1916) », Studi Storici (2014/3). En
2016 elle a édité les textes de l’exposition I Quaderni del carcere ed echi in Guttuso (qui s’est tenue à
Milan et à Gênes en 2016).

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio


Gramsci. Vecchi problemi e nuove acquisizioni: l’
Epistolario
L’Édition nationale des écrits de Antonio Gramsci. Vieux problèmes et nouvelles
acquisitions : la Correspondance
The National Edition of the Writings of Antonio Gramsci. Old questions and new
findings: the Correspondence

Eleonora Lattanzi

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1055 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Eleonora Lattanzi, « L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuove
acquisizioni: l’Epistolario », Laboratoire italien [Online], 18 | 2016, Messo online il 25 novembre 2016,
consultato il 12 dicembre 2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1055

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 1

L’Edizione nazionale degli scritti di


Antonio Gramsci. Vecchi problemi e
nuove acquisizioni: l’Epistolario
L’Édition nationale des écrits de Antonio Gramsci. Vieux problèmes et nouvelles
acquisitions : la Correspondance
The National Edition of the Writings of Antonio Gramsci. Old questions and new
findings: the Correspondence

Eleonora Lattanzi

Ti ricordi ciò che ti diceva Bianco, nel 23, quando partii? Bianco aveva ragione dal
punto di vista della sua esperienza; avevo sempre avuto una invincibile avversione
all’epistolografia. Da quando sono in carcere ho scritto almeno il doppio di lettere
che nel periodo antecedente: devo aver scritto almeno 200 lettere, un vero orrore! 1
1 Questi accenni di Gramsci al suo rapporto con l’“epistolografia” risalgono al 1929 e
risultano illuminanti per comprendere i mutamenti determinati dalla detenzione e il
passaggio dall’«avversione» per la scrittura delle lettere alla considerazione di essa come
«uno dei momenti più intensi di vita»2. Un cambiamento che spiega lo squilibrio fra la
corrispondenza carceraria e quella degli anni precedenti, aggravato dalla consistente
dispersione e dal difficoltoso recupero delle carte3. Attualmente, nell’Archivio Gramsci, si
conservano 664 lettere autografe inviate da Gramsci4 a partire dal 1908 da Santu
Lussurgiu, Cagliari, Torino, Mosca, Vienna e Roma, suoi principali luoghi di residenza sino
al novembre del 1926, e negli undici anni di detenzione. Considerando anche la
corrispondenza ricevuta, il corpus – molto articolato – comprende 1 786 documenti che,
attraverso lasciti, ricerche e ritrovamenti fortuiti, hanno via via consentito di affinare le
conoscenze sulla sua biografia, sulle relazioni da lui intessute e sui contesti nei quali le
lettere furono redatte o ricevute e permettendoci di ritrovare più facilmente quel «filo
conduttore» della sua esperienza «che parte dai tempi della giovinezza e via via si
sviluppa»5.

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2 Al trasferimento a Santu Lussurgiu, dove si recò per frequentare il locale ginnasio


risalgono le prime comunicazioni epistolari con la famiglia6. È però a partire
dall’ottobre 1908 (in seguito all’iscrizione al liceo Dettòri di Cagliari) che Gramsci iniziò a
intrattenere un regolare carteggio con i parenti a Ghilarza, abbastanza ricco da restituirci
il quadro dei rapporti familiari: da quello conflittuale con il padre, accusato di
noncuranza nel provvedere al figlio che «non può avere alcun altro mezzo se non quello
che gli viene dalla famiglia»7; a quello privilegiato con la sorella Teresina – compagna di
letture di giornali e riviste come la «Tribuna illustrata» e «La Domenica del corriere» 8. Del
tutto occasionale, nel periodo cagliaritano, è invece la corrispondenza con la madre.
3 In questa prospettiva è significativo anche il carteggio del periodo universitario a Torino,
dove giunse nel novembre 1911. Sebbene lacunosa, la corrispondenza rispecchia i
mutamenti e le cesure della vita del giovane Gramsci, a partire dall’affievolirsi dei
rapporti familiari. Il rapporto con il padre, in particolare, andò via via deteriorandosi fino
all’annullamento: risale al novembre 1913 l’ultima lettera a lui indirizzata, «scritta con la
rabbia e la disperazione nel cuore»9.Da questo punto di vista, gli anni tra il 1914 e il 1916
furono vissuti, come lo stesso Gramsci scrisse, come un «orso di dentro e di fuori», «tutto
per il cervello e niente per il cuore» avendo troncato «uno a uno tutti i fili che [lo]
univano al mondo e agli uomini»10. Alla corrispondenza familiare si affiancò in questo
periodo quella con alcuni compagni d’Università come Cesare Berger, Giovanni Vittorio
Amoretti e soprattutto Angelo Tasca. Le lettere di quest’ultimo, scritte fra il 1912 e il 1913,
testimoniano le prime fasi di quell’«amicizia... potenziale, in formazione» 11, tra le più
significative per la maturazione ideale e politica di Gramsci. La perdita delle missive a
Tasca non consente purtroppo di approfondirne maggiormente gli sviluppi. Sebbene
estremamente limitata, dalla corrispondenza di questi anni emerge anche il progressivo
aumento dell’impegno politico e giornalistico. Se alcune lettere autografe si sono
conservate presso gli archivi dei destinatari (come ad esempio la lettera ad Oddino
Morgari)12, altre sono andate probabilmente disperse a causa delle traversie che colpirono
di lì a poco i “rivoluzionari di professione”. Inoltre, molta della corrispondenza ricevuta
nel corso della sua attività giornalistica e politica andò probabilmente perduta in seguito
alla distruzione delle sedi dei giornali presso i quali Gramsci lavorò13, mentre la
dispersione della corrispondenza privata si può attribuire a diversi fattori non da ultimo,
la partenza per Mosca (designato a rappresentare il partito presso il Comitato esecutivo
dell’Internazionale comunista), in seguito alla quale Pia Carena «liquidò la stanzetta di
Antonio» e «rinchiuse in due bauli tutti i suoi libri», mai più ritrovati 14. Non si può
escludere che insieme ai libri vi fossero conservate anche carte ed altri effetti personali,
data la scarsità di quelli che portò con sé15.
4 Il periodo trascorso nella capitale sovietica fu relativamente breve, ma intenso e
determinante, sia sul piano politico che su quello personale. Com’è noto, poco dopo il
II Plenum dell’Ic, dal luglio 1922 Gramsci fu costretto a ricoverarsi a varie riprese presso il
sanatorio di Serebrjanij bor, qui conobbe prima Eugenia Schucht e poi a settembre la
sorella Giulia alla quale sarebbe rimasto legato tutta la vita16. Nonostante le difficoltà
fisiche, questo fu quindi un periodo particolarmente intenso sia sul piano personale, che
politico17: la comunicazione epistolare avviata nel 1922 testimonia i tornanti del periodo
moscovita, assumendo i caratteri ufficiali delle comunicazioni di partito o quelli intimi
delle lettere d’amore (a loro volta intrecciate con elementi politici); prende
sostanzialmente corpo in questa fase un doppio registro di scrittura che, ad eccezione di
alcuni momenti, Gramsci manterrà invariato fino all’arresto, nel novembre 1926. La

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corrispondenza politica, compresa quella indirizzata a lui per conoscenza, si sviluppa in


misura crescente in relazione al ruolo ricoperto da Gramsci sia in seno al partito, sia negli
organismi dell’Internazionale comunista. Si tratta di lettere, manoscritte e dattiloscritte,
telegrammi e note inviate a e da Mosca nel periodo in cui il fascismo prese il potere,
quando il partito già operava in semi-clandestinità ricorrendo a comunicazioni cifrate 18 e
usando (dal marzo 1923) «pseudonimi in tutte le lettere e relazioni»19.
5 Ma il flusso di corrispondenza più intenso si sviluppò in seguito al trasferimento di
Gramsci a Vienna, tanto che i sei mesi trascorsi nella capitale austriaca possono essere
considerati come il periodo più «epistolifero»20 della sua vita: «scrivo almeno mezza
dozzina di lettere al giorno […] Le lettere stanno diventando il mio incubo», scrisse a
Giulia nel gennaio del 192421. Questa nuova modalità di approccio alle comunicazioni
epistolari fu determinata da due esigenze fondamentali: l’amore per Giulia, che di lì a
pochi mesi avrebbe messo al mondo il loro primogenito Delio, e la decisione di accettare
la proposta avanzatagli dal Comintern di assumere la guida del partito, costituendo una
nuova maggioranza22. Di questo periodo è conservato il fitto scambio epistolare con
Terracini, Togliatti e Scoccimarro che egli spinge a staccarsi da Bordiga per porsi
finalmente in linea con l’Internazionale comunista. Altrettanto intensa si rivela la
corrispondenza dedicata alla pubblicazione dell’«Ordine Nuovo» quindicinale e all’attività
editoriale del partito, illustrata nella prima lettera inviata all’esecutivo del Pcd’I dopo il
suo arrivo a Vienna23. Se la corrispondenza politica di questo periodo è ampiamente
conservata, quella privata si compone quasi esclusivamente delle sole lettere (autografe)
indirizzate a Giulia. Di quest’ultima, infatti, ci sono pervenute pochissime lettere 24,
sebbene da quelle di Gramsci si evinca che ella corrispose con una certa regolarità. Questa
lacuna pone inevitabilmente una serie di interrogativi sulla conservazione delle carte di
Gramsci, per quanto sia ipotizzabile che egli le portasse con sé in Italia dove tornò
nell’aprile 1924, dopo due anni di assenza, in seguito all’elezione a deputato 25.
6 In questo periodo, dopo un’interruzione di circa dieci anni, riprese a corrispondere anche
con i familiari a Ghilarza, e principalmente con la madre26, sostegno e «forza benefica»27
negli anni del carcere. Tuttavia rimase Giulia la principale destinataria delle sue lettere;
una corrispondenza intensa, che conobbe solo due intervalli significativi: fra il marzo e
l’aprile 1925, quando Gramsci si recò a Mosca per partecipare all’Esecutivo allargato
dell’Ic e poté finalmente conoscere il figlio Delio, e dal settembre 1925 all’agosto 1926,
quando Giulia lo raggiunse a Roma con il figlio Delio e la sorella Eugenia. Tra Roma e
Mosca, la corrispondenza viaggiava tramite il corriere diplomatico – cosicché quando
Gramsci si allontanava dalla città «nei giorni della posta»28, doveva aspettare un nuovo
corriere – e veniva affidata a Vincenzo Bianco, che, a sua volta, la consegnava a Giulia 29.
Sono significative di questo periodo anche le lettere inviate a Piero Sraffa, conosciuto a
Torino ai tempi dell’«Ordine Nuovo», che all’epoca risiedeva a Perugia dove insegnava
economia politica presso la facoltà di Giurisprudenza30. Sraffa, come è noto, ebbe un ruolo
fondamentale durante la detenzione di Gramsci, parallelamente a quello ricoperto da
Tatiana Schucht, sorella maggiore di Giulia, conosciuta da Gramsci alla fine del
gennaio 1925 e unica della famiglia a restare in Italia31. Quantitativamente inferiore
rispetto al periodo precedente risulta invece la corrispondenza politica, tanto da non
rispecchiare compiutamente il ruolo assolto da Gramsci, nominato segretario generale del
partito nel Comitato centrale del 13 agosto 1924. Nonostante sia ipotizzabile la sua
supervisione del lavoro della Segreteria del partito, è difficile individuare le lettere
redatte da lui: sia per l’esiguità di autografi (mentre abbondano i dattiloscritti privi di

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 4

firma), sia perché in questa fase non sono facilmente distinguibili le competenze dei
singoli organismi, in particolare della Segreteria e dell’Ufficio politico. L’ultimo atto
ufficiale di Gramsci segretario del partito è il carteggio con Togliatti dell’ottobre 1926, che
«non concluse la sua vita di “combattente”, ma fu l’atto che segnò in maniera
determinante i rapporti successivi, tanto suoi quanto del suo partito, col movimento
comunista internazionale»32.
7 In seguito all’arresto, avvenuto l’8 novembre 1926, la corrispondenza divenne la modalità
pressoché esclusiva per le comunicazioni con l’esterno, rappresentando nel contempo la
«condizione primaria per la difesa e la conservazione dell’identità»33. Negli undici anni
della detenzione si costituisce un corpus compatto di lettere, inviate e ricevute, che
riflette ampiamente le costrizioni e gli obblighi ai quali Gramsci era sottoposto. In
particolare, le lettere, seppur personali, divennero “pubbliche”, obbligandolo a una sorta
di autocensura preventiva volta a «preselezionare gli argomenti, il tono, il modo, la
forma»34. La scrittura risente quindi sia di quella «specie di pudore»35 dovuto alla
«pubblicità delle lettere»36, sia delle regole e dei ritmi contingentati per la loro redazione:
le limitazioni per l’uso della carta influivano sulla loro stessa estensione. A ciò va
aggiunta anche l’attenta selezione dei corrispondenti in relazione allo status giuridico a
cui i detenuti erano sottoposti. A Regina Coeli, dove Gramsci fu condotto inizialmente, e
poi ad Ustica, dove fu successivamente confinato (vi giunse il 7 dicembre 1926), non vi
erano particolari restrizioni né sul numero di lettere né sui corrispondenti ammessi. Nel
periodo trascorso sull’isola – in seguito ricordato come una sorta di «paradiso della
libertà personale in confronto alla condizione di carcerato»37 –, Gramsci riprese lo
scambio epistolare con Sraffa, sollecitandolo a scrivergli più spesso, «la cosa più gradita
nella mia situazione»38. Diversa la situazione dopo il trasferimento al carcere di San
Vittore a Milano, dove giunse, in seguito al mandato di cattura spiccato nei suoi
confronti, il 7 febbraio 192739. Nel carcere milanese, in quanto detenuto in attesa di
giudizio, fu sottoposto a regole più restrittive: poteva scrivere in cella «avendo a
disposizione 4-5 ore di tempo»40 due volte alla settimana. Non vi erano però restrizioni sui
destinatari, tanto che poté liberamente corrispondere anche con i compagni di partito
rimasti a Ustica, fra i quali Giuseppe Berti e Amadeo Bordiga41. Numerose sono anche le
cartoline che egli ricevette dai compagni di partito fuoriusciti all’estero: a questo periodo
risale la consegna della «strana lettera» inviata da Ruggero Grieco. La monotonia e la noia
prodotte «dalla solitudine e dal vedere sempre le stesse cose e dal fare sempre gli stessi
atti»42 erano quindi interrotte da questa molteplice corrispondenza, sulla quale – come
ebbe a ricordare in seguito – «tutti i miei pensieri, durante la settimana, erano
concentrati»43. La possibilità di comunicare con diversi corrispondenti, sussistente anche
dopo il trasferimento a Roma, si interruppe in seguito alla sentenza di condanna emessa
dal Tribunale speciale44. A Turi, dove giunse il 19 luglio 1928, in quanto condannato in via
definitiva Gramsci aveva il permesso di scrivere esclusivamente ai familiari e, fino al
luglio 1931, una sola lettera ogni quindici giorni: «in un locale comune, su dei banchi da
scuola e bisogna fare il più in fretta che è possibile»45. Queste limitazioni lo indussero a
sfruttare al massimo la carta che gli veniva consegnata redigendo sullo stesso foglio due
lettere – solitamente una parte era indirizzata a Tatiana e l’altra a rotazione alla moglie o
ad uno dei membri della famiglia d’origine – in modo da mantenere vivi i rapporti e
facilitare la circolazione delle informazioni. Tania, divenuta in questi anni la sua
«corrispondente più assidua e diligente»46, riceveva le lettere scritte da Gramsci
– comprese quindi quelle indirizzate a Mosca o a Ghilarza – che provvedeva poi a
trascrivere in più copie e a “smistare” fra i diversi destinatari. Non è questa la sede per

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ricostruire la complessità dei rapporti epistolari tenuti da Gramsci negli anni trascorsi a
Turi; ci limitiamo a ricordare l’ampiezza dell’intero carteggio (composto da più di
900 lettere in entrata e in uscita), che si assottigliò in seguito al trasferimento prima a
Formia, presso la Clinica Cusumano, e poi a Roma, presso la Clinica Quisisana. Dal
novembre 1933, quando lasciò il carcere di Turi, fino alla morte, il 27 aprile 1937, la
corrispondenza di Gramsci si limita esclusivamente a quella con la moglie – con la quale,
negli anni precedenti, era stata talmente altalenante da non produrre mai una
corrispondenza «effettiva e concreta»47 – e con i figli Delio e Giuliano.

Le edizioni delle lettere di Gramsci


8 La corrispondenza di Gramsci risulta dunque composta da blocchi diversificati, formatisi
e conservati in periodi e luoghi diversi. Una minima parte della documentazione dei primi
anni giovanili è stata custodita a Ghilarza e parte di quella relativa alla sua attività
politica, a partire dal 1920, nei fondi dell’archivio del Comintern. Diverso è invece il
percorso delle “carte del carcere”, che alla morte di Gramsci furono inviate a Mosca da
Tatiana per poi tornare in Italia fra il 1945 e il 194748. Nel maggio 1947, in occasione del X
anniversario della morte di Gramsci, l’editore torinese Einaudi pubblicò le Lettere dal
carcere, curate da Felice Platone sotto la supervisione di Togliatti49. L’opera era frutto di
un lavoro decennale: già nel numero di maggio-giugno 1937, «Lo Stato operaio» aveva
infatti pubblicato alcune lettere su Benedetto Croce, scritte da Gramsci nel 193250,
presentandole come «anticipazione della pubblicazione dell’epistolario del carcere» 51. Per
contro la disputa apertasi dopo il rientro a Mosca di Tatiana nel dicembre 1938 fra il
partito e la famiglia Schucht per la gestione del «patrimonio letterario del compagno
Gramsci»52 ostacolò il lavoro di edizione che riprese solo alla fine del 1939 in vista di una
nuova pubblicazione delle lettere su «Lo Stato operaio». Con lo scoppio della guerra, il
lavoro editoriale si interruppe e fu ripreso solo in seguito al rientro in Italia di Platone e
Togliatti. L’edizione einaudiana (una selezione di 218 lettere alcune delle quali non
integrali) fu pensata come una «introduzione generale agli scritti»53 e comprendeva sia le
lettere carcerarie provenienti dal blocco precedentemente in possesso di Giulia e Tatiana,
sia alcune lettere inviate a Ghilarza o ad altri destinatari, recuperate grazie alle
trascrizioni fatte da Tatiana o alle donazione di compagni di partito, come nel caso delle
lettere a Berti54. Una nuova stagione editoriale iniziò nei primi anni Sessanta grazie
all’impegno di Togliatti nel recupero della documentazione. Lo spartiacque è costituito
dal volume su La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano nel 1923-1924 55,
nel quale veniva ricostruita la storia del Pcd’I nei suoi primi anni di vita attraverso il
carteggio intercorso fra i suoi diversi membri56. Contemporaneamente, nel maggio 1962,
furono pubblicate a più riprese su «Rinascita» le lettere scritte a Giulia fra il 1922 e
il 1926, alcune delle quali consegnate da poco al segretario del Pci 57. Ad incrementare
ulteriormente il corpus documentario di Gramsci conservato dal partito contribuì anche
Carlo Gramsci che, nel giugno 1963, consegnò a Togliatti, parzialmente e principalmente
in copia, le lettere inviate da Antonio a Ghilarza durante la detenzione. Il recupero della
documentazione fu dunque una delle premesse per le ultime iniziative editoriali nate su
impulso di Togliatti: la pubblicazione nel 1964 dell’antologia mondadoriana 2 000 pagine di
Gramsci, nella quale apparvero nuove lettere pre-carcerarie, e la nuova edizione delle
Lettere dal carcere pubblicata nel 1965, che si distaccava dalla precedente sia per la
consistenza (428 lettere), sia per la pubblicazione integrale dei testi 58. Negli anni Settanta,

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un contributo ulteriore alla ricostruzione della biografia di Gramsci e dei suoi carteggi
venne dalle ricerche di Giovanni Somai59, che arricchì il lavoro sulla formazione del
gruppo dirigente del Pcd’I iniziato da Togliatti. Una nuova edizione delle Lettere dal carcere
si ebbe sul finire degli anni Ottanta, con la pubblicazione per «l’Unità» dell’intera
edizione einaudiana del 1965, a cui si aggiungevano «una serie di lettere non rintracciate
e non disponibili all’epoca»60. Solo nel 1992 furono invece pubblicate in volume le lettere
dal 1908 al 1926, molte delle quali edite per la prima volta. A partire dalla metà degli anni
Novanta, l’attività editoriale intorno alle lettere di Gramsci ricevette un ulteriore impulso
grazie alla documentazione conservata negli archivi ex-sovietici61 e presso i familiari di
Gramsci a Ghilarza; a queste si aggiunsero le lettere di Tatiana Schucht alla famiglia a
Mosca, donate a partire dal 1991 prima da Giuliano Gramsci e poi da Antonio Gramsci jr.
Quest’ultima si rivelava illuminante non solo sul ruolo svolto da Tatiana durante la
detenzione di Gramsci, ma anche sulla realtà dei rapporti politici e delle dinamiche
familiari aventi ad oggetto il prigioniero. La pubblicazione, nel 1997, del carteggio fra
Gramsci e Tatiana dal 1926 al 1935 ne fece emergere tutta la complessità, restituendoci la
lettura della corrispondenza gramsciana non come «un romanzo in forma epistolare», ma
«da un punto di vista dialogico o dialettico» sostanziato dalla presenza di «un
interlocutore o un avversario in concreto»62.
9 È in questo contesto che alla fine del 1996, si istituisce con decreto del Presidente della
Repubblica l’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, finalizzata all’edizione critica
dell’intero corpus degli scritti di Gramsci. La sezione dedicata all’epistolario prevede la
pubblicazione della corrispondenza inviata e ricevuta da Gramsci, compresa quella a lui
inviata per conoscenza, dal 1906 al 1937, e dei “carteggi paralleli”, ovvero la
corrispondenza di Tatiana con la famiglia a Mosca, con la famiglia Gramsci a Ghilarza, e
con Sraffa. La suddivisione in volumi tiene conto in primo luogo delle scansioni
biografiche di Gramsci, ma anche della consistenza quantitativa della corrispondenza
pervenutaci. Pertanto, il primo volume, dal 1906 al 1922, contiene la corrispondenza dei
periodi trascorsi da Gramsci a Santu Lussurgiu, Cagliari, Torino e della prima fase del
soggiorno moscovita; il secondo, relativo al periodo trascorso a Mosca nel 1923; il terzo,
dal dicembre 1923 al maggio 1924, conterrà il fittissimo carteggio da Vienna; il quarto dal
rientro in Italia fino al dicembre 1925; il quinto dal gennaio 1926 fino all’arresto. Il
periodo del carcere è stato suddiviso in parti corrispondenti ai tre principali periodi della
sua vita carceraria: il sesto volume andrà dall’arresto alla condanna (novembre 1926-
luglio 1928); il settimo, relativo al quinquennio di reclusione nel carcere di Turi, coprirà il
periodo corrente dal luglio 1928 al novembre 1933; infine, l’ottavo sarà dedicato agli anni
trascorsi in clinica prima a Formia e poi a Roma, dal novembre 1933 all’aprile 1937. Data
la lacunosità della documentazione e la difficoltà di reperirla, è prevista la pubblicazione
di un volume di addenda.
10 Ad oggi sono stati pubblicati i primi due volumi, comprendenti per la prima volta le
lettere indirizzate a Gramsci, e, in appendice, anche le lettere a lui giunte per conoscenza
in modo da restituire nel complesso il flusso della corrispondenza. I volumi dimostrano
quanto il reinserimento della corrispondenza nella trama originaria e la restituzione del
dialogo fra i corrispondenti siano necessari per la ricostruzione della biografia di Gramsci
e concorrano a demolire certezze lungamente sedimentate. D’altro canto – lo illustra
ampiamente la Nota al testo premessa ai due volumi –, la redazione di un’opera così
complessa, frutto di un intenso lavoro di équipe, presenta numerosi problemi connessi
non solo al recupero della documentazione, ma anche alla resa dei testi, alla datazione

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delle missive, all’individuazione degli scriventi e dei destinatari non sempre espliciti nelle
copie superstiti (pervenuteci senza le buste, molte le copialettere non firmate, qualche
volta mutile o deteriorate, ecc.). La documentazione è stata mappata indicando da un lato
le lettere possedute e dall’altro quelle note. Per quanto riguarda le prime, i curatori
hanno svolto inizialmente le ricerche nei due principali fondi archivistici conservati
presso la Fondazione Istituto Gramsci: l’archivio Gramsci e l’archivio del Pcd’I (fondo 513,
secondo la numerazione data dagli archivisti russi), dove è conservata la corrispondenza
fra il gruppo dirigente del partito in Italia, i suoi rappresentanti a Mosca e gli organismi
del Comintern, oltre a relazioni e note informative sull’Italia e sulla vita del partito. Il
possesso parziale e in copia di questa documentazione ha influito sul lavoro di
individuazione e di edizione della corrispondenza anche per le numerose difformità
formali fra manoscritti e dattiloscritti. Ad esempio, dei manoscritti non si avevano gli
originali cartacei e ciò rendeva difficile la leggibilità del documento; dei dattiloscritti,
invece, erano disponibili prevalentemente copie o minute prodotte, nella semi-
clandestinità prive di firma, mentre le versioni finali, dotate di timbri e sigle di
protocollo, erano conservate solo in alcuni casi. Inoltre, in alcuni casi, le lettere
individuate si presentano incomplete o frammentate in più fascicoli. Per poterle
restituire nella loro versione finale è stato quindi necessario compiere ulteriori ricerche
presso il fondo originale conservato a Mosca63. È il caso della lettera di Gramsci e Egidio
Gennari al Ce del Pcd’I del 29 marzo 1923, della quale sono state rinvenute tre differenti
stesure da integrare: una versione dattiloscritta, ma incompleta; un manoscritto di
Gramsci sempre incompleto; una versione dattiloscritta completa ma priva di firme 64.
Oltre che nel fondo del Pcd’I, le ricerche sono state svolte negli altri fondi del Comintern:
da quello contenente la documentazione degli Organismi dirigenti dell’Ic (495) al fondo
Antonio Gramsci (519). A queste si sono aggiunte le ricerche condotte nei fondi di polizia
conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato. Particolarmente proficua per la
corrispondenza ricevuta si è rivelata la ricerca nella serie già nota «Documenti
sequestrati al Partito comunista d’Italia dalla Questura di Milano (1922-1925)»65, il cui
sequestro – avvenuto a Milano probabilmente fra il 1926 e il 1927 – ha consentito
paradossalmente che fosse conservato, in Italia, l’unico spezzone in originale dell’archivio
del Ce del Pcd’I. Insieme a questi documenti erano state rinvenute anche numerose
lettere cifrate, poi trasmesse alla polizia scientifica per la decifrazione. La relazione della
“scientifica”, conservata in un fascicolo sinora trascurato dagli storici 66, oltre a descrivere
l’insieme del materiale sequestrato trascrive le molte missive decifrate, tra cui una lettera
inviata da Gramsci ai compagni del Ce il 15 novembre 1923, alla vigilia della sua partenza
per Vienna, finora inedita67. Si è cercato di accertare l’esistenza di archivi personali di
coloro che furono in contatto con Gramsci o che fossero stati suoi corrispondenti, la cui
importanza si può percepire dall’esempio dell’archivio personale di Jules Humbert-Droz,
in cui è stata trovata una lettera inedita di Gramsci del 3 gennaio 192168. Non meno
complessa è stata l’individuazione del noto. Si è dovuto tener conto non solo dei volumi di
lettere di Gramsci già editi, ma anche della corposa letteratura su Gramsci e sul partito
comunista, che nel corso degli anni ha contributo a segnalare, a volte riportandole
ampiamente, molte lettere di Gramsci e dei suoi corrispondenti69. Nel primo volume dell’
Epistolario sono state pubblicate 10 lettere di cui non è stato possibile ritrovare l’originale
o una riproduzione anastatica e quindi sono state ristampate nelle versione nota. Tra
queste la lettera di Giuseppina Marcias a Gramsci del novembre 191270 e quella inviata nel
settembre 1922 da Gramsci a Trockij, che la pubblicò nel suo libro Literatura i revoljucija 71.
Ma il caso più rilevante riguarda la lettera per la fondazione dell’«Unità», pubblicata da

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 8

Stefano Merli su «Rivista storica del socialismo», priva però delle segnature archivistiche
e mai più rintracciata72. Ogni lettera è introdotta da una nota contenente la segnatura
archivistica (o l’indicazione “Manca il testimone”) e da una nota bibliografica, in cui si dà
conto delle pubblicazioni precedenti. Sebbene un’attenta analisi della corrispondenza
abbia consentito di individuare nuova documentazione, è difficile pensare che essa possa
essere reperita in toto. Innanzitutto essa è conservata in diversi archivi pubblici e privati
spesso irraggiungibili. In alcuni casi, poi è accertato che le lacune siano incolmabili: è il
caso, ad esempio, degli anni trascorsi da Gramsci a Torino e, come si è già detto, del lungo
periodo della sua attività giornalistica nella stampa socialista prima e comunista poi.
L’attenzione dedicata al ripristino dei testi e alle numerose annotazioni presenti in essi ha
favorito stimolanti interazioni, come nel caso della lettera di Terracini dell’8 febbraio
1923, inviata al Ce dell’Ic e in copia a Gramsci73, in cui erano presenti numerose
sottolineature, puntualmente segnalate nell’apparato filologico. Infatti, nella lettera a
Togliatti del 27 gennaio 1924, Gramsci racconta che le sottolineature furono applicate da
lui «lapis alla mano» davanti a Fortichiari per mostrare le frasi che l’Internazionale aveva
ritenuto «offensive per la loro leggerezza»74. Per le datazioni, ove non presenti, è stato
fondamentale l’esame approfondito dell’intera corrispondenza e l’incrocio fra le diverse
fonti. Tale approccio ha consentito di leggere con occhi diversi documenti già noti,
confermando l’adagio che «niente è più inedito dell’edito». È il caso della lettera di
Gramsci a Giulia con la quale si era soliti far iniziare il carteggio fra i due, collocandola
all’agosto del 192275. La lettera presentava numerose incongruenze sia con la biografia di
Gramsci – il riferimento all’imminente partenza, ad esempio, non trovava conferma a
quella data – sia con quanto da lui testimoniato, quando, avendo ricevuto in carcere una
foto giovanile della moglie, ricordava di aver conosciuto Giulia nel settembre del 1922 76.
Ciò ha permesso di ridatare la lettera collocandola all’anno successivo77. Su questa base si
è potuto rileggere le lettere del 1923 già note come lettere indirizzate a Giulia e accorgersi
che erano sempre prive dell’indicazione della destinataria; ma soprattutto è stato più
agevole rilevare come il loro tono ed il loro contenuto variasse a tal punto da far supporre
che fossero indirizzate a due diverse persone. L’individuazione di queste differenze e
attenti riscontri documentari hanno consentito di riconoscere in Eugenia Schucht la
destinataria di tre lettere del gennaio-febbraio 192378. Numerose novità sono emerse
anche dalle ricerche per gli apparati collocati in calce ai volumi, composti da una
cronologia della vita di Gramsci relativa agli anni della corrispondenza raccolta nel
volume e dalle voci biografiche di tutte le persone citate nelle lettere (oltre 250 nel primo,
più di 200 nel secondo). Si è cercato di identificare il maggior numero di personaggi meno
noti; in particolare, per ricostruire la parentela e le conoscenze scolastiche degli anni
della giovinezza in Sardegna, si sono rese necessarie ricerche presso gli archivi locali 79
che hanno permesso di «ricostruire la rete delle amicizie di Gramsci e il loro “clima
spirituale”»80.
11 Di diverso registro è il lavoro inerente ai due volumi attualmente in preparazione: la
corrispondenza di Turi e i “carteggi paralleli”. La scelta di pubblicare il volume relativo al
quinquennio luglio 1928 - novembre 1933 prima di altri nasce dal fatto che la
corrispondenza di questo periodo è conservata in misura pressoché completa, come si
evince dai richiami interni al carteggio, dal rispetto delle scadenze nelle quali il detenuto
aveva possibilità di scrivere e dall’esiguo numero di corrispondenti autorizzati dalla
direzione carceraria. Se per gli anni in questione, non sembrano esserci eccessive lacune
documentarie da colmare, problemi rilevanti si presentano nella ricostruzione dei nessi
con le note dei Quaderni, con le richieste e l’arrivo delle pubblicazioni conservate nel suo

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 9

fondo bibliografico, con le riflessioni che Gramsci compie sulla sua vita presente e
passata. Una fonte imprescindibile è costituita dalla corrispondenza intercorsa
parallelamente fra i diversi membri della famiglia di Gramsci e fra Tatiana e Sraffa 81, in
cui sono presenti tali elementi di novità per illuminare gli anni trascorsi da Gramsci in
carcere, da indurre i responsabili dell’Edizione nazionale a mettere in cantiere i due
volumi contemporaneamente, per favorire la ricostruzione più puntuale possibile della
vicenda carceraria di Gramsci. Per assistere il prigioniero economicamente e moralmente
e ricevere da lui notizie a partire dalla fine del 1928, quando fu “codificato” il ruolo di
intermediazione di Tatiana e di Sraffa82, il partito e la famiglia avevano attivato nuovi
canali di comunicazione. Il carteggio fra Tatiana e Sraffa ha avvio il 10 gennaio 1929 83 e
continuò fino al 1938. Parallelamente, durante gli anni di detenzione di Gramsci e ancor
più dopo la sua morte, Tatiana corrispose con la sua famiglia a Mosca in misura via via più
intensa. Le sue lettere in parte completano e definiscono passaggi e chiaroscuri presenti
nelle lettere scritte da Gramsci in carcere e, specie a partire dal 1934, forniscono
informazioni determinanti per ricostruire la biografia di Gramsci a Formia e Roma.
12 Le lettere di Gramsci, ricollocate nel contesto dialogico nel quale furono scritte,
acquistano così una intelligibilità più compiuta e l’Epistolario dell’Edizione nazionale
fornirà un contributo prezioso per rileggerne, con occhi nuovi, la biografia e gli scritti.

NOTE
1. A Giulia Schucht, 20 maggio 1929, in A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di
S. Caprioglio e E. Fubini, Torino, Einaudi, 1965, p. 274.
2. A Tatiana Schucht, 9 dicembre 1926, in A. GRAMSCI, T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, a cura di
C. Daniele e A. Natoli, Torino, Einaudi, p. 6.
3. Sulla storia dell’archivio, si rinvia a E. LATTANZI, L’archivio Antonio Gramsci: criteri di
riordinamento di un ‘totem di carte’, in «Nuovi annali della rivista per archivisti e
bibliotecari», Anno XXVII, 2013, pp. 177-194.
4. Dal conteggio sono escluse gran parte delle lettere politiche conservate nei diversi
fondi dell’archivio del Comintern, presso il Rossijskij gosudarstvennyj archiv social’no-
političeskoj istorii (RGASPI, Archivio statale russo per la storia socio-politica) di Mosca e
in copia presso la Fondazione Istituto Gramsci (d’ora in avanti FIG). Sulla consistenza
complessiva dell’archivio Gramsci, si rimanda alla scheda fondo consultabile al sito:
http://guida.archivigramsci.it/index.php?
option=com_content&view=article&id=41&Itemid=3 (url attivo al 14 ottobre 2015).
5. P. TOGLIATTI, Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci (Appunti), ora in ID., La
politica nel pensiero e nell’azione, a cura di G. Vacca e M. Ciliberto, Milano, Bompiani, 2014,
p. 1122.
6. A. GRAMSCI, Epistolario, I, (1906-1922), a cura di G. Luzzatto Voghera, D. Bidussa, F. Giasi e
M. L. Righi, con la collaborazione di L. P. D’Alessandro, B. Garzarelli, E. Lattanzi e F. Ursini,
Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2009, pp. 3-6 (d’ora in avanti Epistolario, I).

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 10

7. Al padre, 24 maggio 1910, ivi, p. 42.


8. Si vedano ad esempio le lettere a Teresina, ivi, p. 17 e p. 33.
9. Al padre, ivi, p. 151.
10. A Grazietta [1916], ivi, p. 166.
11. Tasca a Gramsci, [26/29 agosto 1912], ivi, p. 110.
12. Ivi, p. 172.
13. Un piccolo nucleo di documenti relativi all’avvio della pagina torinese dell’«Avanti!» è
stato recentemente individuato nel fondo G.M. Serrati, in copia presso la FIG; cfr.
M. L. RIGHI, Gli esordi di Gramsci al «Grido del popolo» e all’«Avanti!» (1915-1916), «Studi storici»,
3, 2014, pp. 727-757.
14. Pia Carena Leonetti. Una donna del nostro tempo, a cura di C. Pillon, Firenze, La Nuova
Italia, 1969, p. 16. Un riferimento ai «miei libri di Torino» è contenuto nella lettera a
Scoccimarro da Vienna del 10 dicembre 1923, A. GRAMSCI, Lettere 1908-1926, a cura di
A. A. Santucci, Torino, Einaudi, 1992, pp. 136-138.
15. A. LEONETTI, Note su Gramsci, Urbino, Argalía, 1970, p. 86; cfr. anche F. GIASI, Problemi di
edizione degli scritti pre-carcerari, «Studi Storici», 4, 2011, pp. 838-839.
16. Sul legame fra Gramsci e le sorelle Schucht a Mosca, cfr. M. L RIGHI, Gramsci a Mosca tra
amori e politica (1922-1923), ivi, 2011, pp. 1001-1032.
17. Giunto nel maggio 1922, Gramsci sarebbe dovuto rientrare in Italia nel gennaio 1923,
ma a causa del clima politico e dell’eventualità di un mandato di cattura – che venne poi
spiccato nel mese di marzo –, rimase a Mosca fino al novembre successivo. Cfr. A. GRAMSCI,
Epistolario, II (gennaio-novembre 1923), a cura di D. Bidussa, F. Giasi e M.L. Righi, con la
collaborazione di L. P. D’Alessandro, E. Lattanzi e F. Ursini, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, 2011, pp. 9-10 (d’ora in avanti Epistolario, II). Cfr. inoltre A.
CARLUCCI e C. BALISTRERI, I primi mesi di Gramsci in Russia: giugno-agosto 1922, in «Belfagor»,
66/6, 2011, pp. 645-658.
18. Epistolario, I, p. 202 e 265; Epistolario, II, p. 11 e 160.
19. Ivi, p. 263.
20. A Berti, 31 ottobre 1927, in A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di A. A. Santucci,
Palermo, Sellerio, 1996, p. 128.
21. A Giulia, 1o gennaio 1924 in ID., Lettere 1908-1926, cit., p. 158.
22. Cfr. P. TOGLIATTI, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano nel
1923-1924, Roma, Editori Riuniti, 1962.
23. A. GRAMSCI, Lettere 1908-1926, cit., pp. 132-134.
24. Nel fondo Giulia Schucht sono conservati 7 autografi collocabili fra l’aprile 1924 e il
settembre 1925; di questi, due sono sicuramente minute di lettere non spedite. Degli altri,
invece, non si è riusciti a stabilire con esattezza il loro inoltro a Gramsci.
25. Tale ipotesi appare suffragata da una lettera a Giulia del 30 giugno 1924, in cui
Gramsci fa riferimento alla rilettura di «molte tue lettere», ivi, p. 361.
26. Alla madre, 7 giugno 1924, ivi, p. 352.
27. Alla madre, 15 gennaio 1931, Lettere dal carcere, cit., p. 427.
28. A Giulia, 26 novembre 1924, Lettere 1908-1926, cit., p. 400.
29. A Bianco, lettere del 22 giugno e 14 luglio 1924, ivi, p. 354 e 367.

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30. Cfr. N. NALDI, Sraffa a Perugia: novembre 1923-febbraio 1926, «Il pensiero economico
italiano», 4/1998, pp. 105-131.
31. A. GRAMSCI, Lettere 1908-1926, cit., p. 412.
32. G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi, 2012, p. 23. Per il carteggio
del 1926 si rinvia, da ultimo, a Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca, a cura di C. Daniele,
Torino, Einaudi, 1999.
33. S. CHEMOTTI, Oltre l’«Hortus conclusus»: le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, in Alla
lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di A. Chemello, Milano,
Guerini, 1998, p. 422.
34. A. GRAMSCI, Lettere 1908-1926, cit., p. 446.
35. A Tatiana, 9 dicembre 1926, Lettere 1926-1935, p. 5.
36. A Tatiana, 4 maggio 1931, ivi, p. 705.
37. Alla madre, 15 dicembre 1930, Lettere dal carcere, p. 387.
38. A Sraffa, 2 gennaio 1927, ivi, p. 32.
39. Gramsci affidò la corrispondenza ricevuta a Pietro Ventura, il quale a sua volta la
consegnò a Virginio Borioni. A quest’ultimo Gramsci scrisse il 7 maggio 1928 per
rintracciare la «corrispondenza e i libri. La corrispondenza vorrei proprio riaverla» (
Lettere dal carcere, cit., p. 188). Ancora il 30 luglio 1928, chiese alla cognata di intervenire
presso Borioni «il quale ha in consegna i libri da me lasciati a Ustica al momento
dell’arresto. A Ustica ho lasciato anche della corrispondenza»; Lettere 1926-1935 , p. 237.
40. A Tatiana, 17 dicembre 1928, ivi, p. 290.
41. La documentazione attualmente conservata permette di ricostruire, seppur
parzialmente, soltanto il carteggio fra Gramsci e Berti. Totalmente mancante è la
corrispondenza inviata a Bordiga. Nel 1965, Cesare Marcucci, interpellato da Elsa Fubini
in merito al periodo trascorso da Gramsci a Ustica, affermò: «Berti […] venne più tardi da
Lampedusa, ma già Gramsci era stato arrestato e tradotto a Milano. Tuttavia egli entrò in
possesso delle lettere inviate da Gramsci a Bordiga, non so se di tutte o di parte di esse» ;
FIG, Gramsci dopo la morte.
42. Alla madre, 23 settembre 1929, Lettere dal carcere, cit., p. 285.
43. A Tatiana, 16 dicembre 1929, Lettere 1926-1935, p. 426.
44. Sulle fasi del processo, cfr. L. P. D’ALESSANDRO, I dirigenti comunisti davanti al Tribunale
speciale, «Studi storici», 2, 2009, pp. 481-553.
45. A Tatiana, 17 dicembre 1928, Lettere 1926-1935, p. 290.
46. A Tatiana, 3 ottobre 1932, ivi, p. 1087.
47. A Giulia, 6 ottobre 1930, Lettere dal carcere, cit., p. 358.
48. Cfr. Togliatti editore di Gramsci, a cura di C. Daniele, Roma, Carocci, 2005.
49. A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, 1947. Sulla prima edizione delle lettere e
sulla selezione dei testi, cfr. Togliatti editore, cit., pp. 27-29.
50. Benedetto Croce giudicato da Antonio Gramsci in «Lo Stato operaio», maggio-giugno 1937,
pp. 290-297.
51. Cfr. F. GIASI, L’eredità di Antonio Gramsci, in P. TOGLIATTI, La politica nel pensiero e
nell’azione, cit., p. 936.

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52. Cfr. S. PONS, L’«affare Gramsci-Togliatti» a Mosca (1938-1941), «Studi storici», 1, 2004,
pp. 83-117.
53. Lettera di Platone a Giulio Einaudi del 4 novembre 1946, in Togliatti editore, cit., p. 76.
54. Le lettere furono trasmesse da Berti a Togliatti con il seguente biglietto senza data:
«Nel 1927-28 Ant. mi ha scritto una ventina di lettere. Ne rimangono nove o dieci. Ti
mando queste, spero che le altre mi arriveranno […]. Delle venti un paio furono
censurate, le altre sono andate, credo, perdute nel corso delle varie traduzioni,
perquisizioni ecc.» FIG, Gramsci dopo la morte.
55. P. TOGLIATTI, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-24,
Milano, Feltrinelli, 1961 («Annali», III, 1960).
56. Le carte provenivano dall’archivio del partito comunista italiano a Mosca e
dall’archivio Tasca, che come noto, conserva numerosi documenti dell’archivio del Pcd’I
trascritti da Tasca. Sulla vicenda, cfr. L. P. D’ALESSANDRO, Due archivi, una storia. Le carte
Angelo Tasca alla Fondazione Istituto Gramsci e alla Fondazione Giangiacomi Feltrinelli, in Il
fascismo in tempo reale: studi e ricerche di Angelo Tasca sulla genesi e l’evoluzione del regime
fascista 1926-1938, a cura di G. Vacca e D. Bidussa, Milano, Feltrinelli, 2014 («Annali»,
XLVIII, 2012), pp. 91-106.
57. Togliatti editore, cit., p. 40.
58. A. GRAMSCI, 2 000 pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata e N. Gallo, vol. II, Lettere edite e
inedite (1912-1937), Milano, Il Saggiatore, 1964; ID., Lettere dal carcere, cit.
59. Cfr. G. SOMAI, Gramsci a Vienna. Ricerche e documenti, 1922-1924, Urbino, Argalìa, 1979; ma
si veda anche il successivo ID., La formazione del gruppo dirigente di «centro» e il ruolo di
Bordiga. Carteggio 1923, «Storia contemporanea», 4-5/1980, pp. 657-671.
60. A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, Roma, l’Unità, 1988, p. 3. I due volumi erano stati
preceduti dalla pubblicazione di ID., Nuove lettere di Antonio Gramsci: con altre lettere di Piero
Sraffa, a cura di A. A. Santucci, Roma, Editori Riuniti, 1986.
61. Cfr. L. GIUVA, Nuovi documenti all’archivio dell’Istituto Gramsci di Roma, «IG Informazioni»,
3/1990, pp. 75-81.
62. A Tatiana, 15 dicembre 1930, Lettere 1926-1935, p. 626. La necessità di disporre anche
della corrispondenza ricevuta era già stata sottolineata in A. NATOLI, Antigone e il
prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1990.
63. Le ricerche sono state svolte da Derek Boothman mentre attendeva al suo volume di
traduzione delle lettere, A Great and Terrible World: Gramsci’s Pre-Prison Letters (1908-1926),
London, Lawrence & Wishart, 2014.
64. Epistolario, II, pp. 75-81.
65. Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica
sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Documenti sequestrati al partito comunista
d’Italia (1922-1925).
66. Ivi, Archivio generale, Atti speciali (1898-1940), Atti sequestrati dalla Questura di
Milano e da questa trasmessi al capo della Polizia in data 31.III.1927.
67. Epistolario, II, pp. 134-136.
68. Epistolario, I, p. 194.

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69. Strumento essenziale si è rivelata la bibliografia gramsciana online, curata da


J. Cammett, F. Giasi e M. L Righi, che attualmente conta più di 19 000 titoli. La banca dati è
consultabile dal sito della FIG all’indirizzo www.fondazionegramsci.org.
70. Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, a cura di M. Paulesu Quercioli,
Milano, Feltrinelli, 1977, p. 19; ora in Epistolario, I, p. 156.
71. Ivi, pp. 248-251.
72. Epistolario, II, pp. 126-128. Subito dopo la pubblicazione, non essendone stata
individuata una copia nell’archivio del Pci, Togliatti ne chiese la collocazione ricevendo,
per il tramite di Giuseppe Del Bo, solo la generica indicazione che essa si trovava «in copia
dattiloscritta presso gli Archivi di Stato di Roma. Proviene probabilmente dal dossier
Gramsci che esiste presso questi archivi, ma che non si riesce ad avere in visione», cfr.
Togliatti editore, pp. 185 e 186-187.
73. Epistolario, II, pp. 191-198.
74. P. TOGLIATTI, La formazione, cit., p. 176.
75. Si veda, da ultimo, la pubblicazione in Lettere 1908-1926, cit., p. 102.
76. A Tatiana, 24 agosto 1931, Lettere 1926-1935, p. 770.
77. Epistolario, II, p. 123.
78. Sulla vicenda, cfr. M. L. RIGHI, Gramsci a Mosca fra amori e politica, cit.
79. Le ricerche sono state svolte da Luigi Manias.
80. C. NATOLI, Il primo volume dell’Edizione critica dell’Epistolario, «Studi storici», 4, 2011,
p. 994.
81. La corrispondenza inviata a Mosca e a Ghilarza era stata in parte edita in T. SCHUCHT,
Lettere ai familiari, a cura di M. Paulesu Quercioli, Roma, Editori Riuniti, 1991. Nello stesso
anno furono anche pubblicate le lettere inviate da Sraffa a Tatiana, mentre le lettere di
quest’ultima furono utilizzate solo parzialmente; cfr. P. SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci,
a cura di V. Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1991.
82. Alla seconda metà di settembre del 1928, risale infatti il primo incontro fra i due; cfr.
N. NALDI, Two Notes on Piero Sraffa and Antonio Gramsci, «Cambridge Journal of Economics»,
36/6, 2012, pp. 1405-1406. Sui sospetti generati nella polizia fascista dall’attività di Sraffa,
cfr. E. LATTANZI e N. NALDI, Documents on Piero Sraffa at the Archivio Centrale dello Stato and at
the Archivio Storico Diplomatico, Centro Sraffa Working Paper, n. 12, settembre 2015
(consultabile al link http://www.centrosraffa.org/cswp_details.aspx?id=13).
83. G. VACCA, Vita e pensieri, cit., p. 61.

RIASSUNTI
Le Lettere di Gramsci sono ormai un classico del Novecento. Eppure, dalle prime lettere giovanili,
passando per gli anni trascorsi a Torino, Mosca e Vienna, egli ebbe un rapporto non sempre
costante con l’epistolografia, che assunse invece un ruolo centrale negli anni del carcere. La
sezione Epistolario dell’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci attende alla pubblicazione

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L’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Vecchi problemi e nuov... 14

integrale e critica dell’intero corpus delle lettere attraverso un lavoro di progressivo recupero
della documentazione e un’attenta ricostruzione storica e filologica dei contesti e delle fasi in cui
le lettere furono redatte e ricevute. L’Edizione nazionale si pone in tal modo l’obiettivo di restituire
la corrispondenza gramsciana «da un punto di vista dialogico o dialettico», per usare le stesse
parole di Gramsci, ricostruendo nella loro complessità i “dialoghi su carta” da egli intrattenuti
nel corso della sua vita.

Les Lettres de Prison de Gramsci constituent désormais un classique du xx e siècle. Pourtant, des
premières lettres de jeunesse en passant par les années vécues à Turin, Moscou et Vienne, la
relation qu’a entretenue Gramsci avec l’écriture épistolaire n’a pas toujours été constante, alors
qu’elle assumera un rôle de premier plan durant les années de son incarcération. La section
Epistolario (Correspondance) de l’Édition nationale des œuvres d’Antonio Gramsci est la publication
intégrale et critique de la totalité du corpus des lettres, à travers un travail de récupération
progressive de la documentation ainsi qu’une reconstruction historique et philologique détaillée
des contextes et des phases au sein desquels les lettres furent rédigées et reçues. De cette façon, l’
Édition nationale se fixe comme objectif de restituer la correspondance gramscienne « d’un point
de vue dialogique et dialectique », selon les termes de Gramsci lui-même, reconstituant, dans leur
complexité, « les dialogues sur papier» qu’il a entretenus au cours de sa vie.

Gramsci’s Letters are now a twentieth century classic. And yet, from his first letters as a youth,
passing through the years spent in Turin, Moscow and Vienna, his relation with letter-writing
did not always have the constancy and centrality that it assumed during the prison years. The
Letters section of the National Edition of Antonio Gramsci’s Writings awaits the integral and critical
publication of the entire corpus of the letters through a progressive recovery of the
documentation, and a careful historical and philological reconstruction of the contexts and
phases in which the letters were written and received. In this way the National Edition aims at
restoring Gramsci’s correspondence “from a dialogical or dialectical point of view”, to use his
own words, by reconstructing in all their complexity the “dialogues on paper” in which he was
involved during his life.

INDICE
Mots-clés : Gramsci Antonio, Lettres de prison, édition
Keywords : Letters from prison, archives

AUTORE
ELEONORA LATTANZI
Doctorante au département des « Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche »
de l’Université de Rome « La Sapienza », et archiviste auprès de diverses institutions et centres de
recherches. Depuis 2008 elle collabore aux travaux de la Fondazione Istituto Gramsci, où elle s’est
surtout occupée du classement et de l’inventaire des papiers d’Antonio Gramsci, de Giulia
Schucht, Tatiana Schucht, Piero Sraffa et des familles Schucht et Gramsci. Elle développe des
recherches pour l’Edizione Nazionale des écrits d’Antonio Gramsci, dont elle est l’une des membres
du comité de rédaction.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

De la traduction à la traductibilité : un outil


d’émancipation théorique
Dalla traduzione alla traducibilità: uno strumento di emancipazione teorica
From translation to translatability: an instrument of theoretical emancipation

Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1065 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini, « De la traduction à la traductibilité : un outil
d’émancipation théorique », Laboratoire italien [En ligne], 18 | 2016, mis en ligne le 25 novembre 2016,
consulté le 12 décembre 2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1065

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 1

De la traduction à la traductibilité :
un outil d’émancipation théorique
Dalla traduzione alla traducibilità: uno strumento di emancipazione teorica
From translation to translatability: an instrument of theoretical emancipation

Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini

1 C’est l’un des acquis majeurs de la recherche menée ces dernières années que d’avoir
confirmé le rôle essentiel que revêt la notion de traductibilité dans la pensée de Gramsci :
une notion qui finit par désigner, dans les Cahiers de prison, à partir de 1932, ce que le
matérialisme historique, conçu comme « philosophie de la praxis », a de plus spécifique 1.
Mais ce que certains auteurs, comme Fabio Frosini, n’hésitent pas à désigner, avec de
forts arguments, comme une « théorie de la traductibilité »2, est le fruit d’un parcours
mêlant à tout moment pratique politique et élaboration théorique, réflexion sur la langue
et sur le matérialisme historique, et c’est ce parcours, avec ses enjeux qui sont loin d’être
abstraits en ces temps déraisonnables, que nous entendons reconstituer ici, du moins à
grands traits. Nous suivons donc, des écrits politiques de la période militante jusqu’aux
Lettres et aux Cahiers de prison, les usages des termes « traduction » et « traductibilité », en
reprenant à notre compte les indications pionnières et fructueuses de Gianni Francioni
sur l’utilité d’une lecture diachronique des Cahiers de prison3, en suivant notre propre
méthode d’approche des textes (la « philologie politique ») qui tend à mettre en rapport
usages langagiers et « qualité des temps » (expression dont se sert Machiavel pour
nommer une conjoncture politico-militaire), et en ayant enfin toujours en tête une
formulation de Gramsci lui-même, qui l’avait forgée en pensant à Marx : « La recherche
du leitmotiv, du rythme de la pensée en développement, doit être plus importante que
telle ou telle affirmation occasionnelle et les aphorismes détachés du contexte » 4. C’est
donc à la recherche du « leitmotiv » traduction-traductibilité que nous sommes partis. Et
nous l’avons fait en n’oubliant pas que Gramsci était « un révolutionnaire, un
historiciste »5 et, en même temps, un étudiant bien formé en linguistique historique à
l’université de Turin.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 2

2 Un point de départ qui est loin d’être anecdotique est fourni par un débat auquel Gramsci
participe et qui l’amène à mettre en évidence les liens qu’il établit lui-même entre ses
convictions politiques et une pensée linguistique qui insiste sur le caractère
historiquement déterminé du langage. Ce débat porte sur l’espéranto et se déroule en
janvier 1918, dans les colonnes d’Avanti! dans le cadre d’une discussion sur la création
d’un institut de culture socialiste. Gramsci a vingt-sept ans, il écrit dans les journaux
socialistes Avanti! et Il Grido del popolo depuis 1915. Il a de fait laissé de côté la thèse qu’il
entendait rédiger en appliquant à la linguistique les principes du marxisme pour se
consacrer au journalisme militant. Le 24 janvier 1918, un lecteur nommé Vezio Cassinelli,
qui se présentait comme un « simple ouvrier », proposait que l’espéranto soit enseigné au
sein de l’institut afin que les travailleurs de toutes langues puissent se comprendre.
Gramsci répondait en ces termes : « La langue internationale est une sottise,
scientifiquement. Les langues sont des organismes très complexes et imprécis (sfumati),
qui ne peuvent pas être suscités artificiellement. […] Il nous semble que les socialistes
feraient une œuvre plus méritoire et d’une efficacité plus utile si, en jetant au rebut
l’idéal impossible, anti-historique […] de la langue internationale, ils œuvraient avec plus
d’énergie à inciter à l’apprentissage des langues parlées, de façon plus précise et riche de
possibilités expressives »6. Deux jours plus tard, en sa qualité de directeur du journal, et
de dirigeant socialiste de premier ordre, Serrati prenait ses distances avec Gramsci, qu’il
qualifiait ironiquement de « chercheur émérite en glottologie [= linguistique] », en
soulignant que « l’Esperanto entend répondre à ce besoin d’entente internationale.
Pourquoi, au nom de la science, empêcher cette tentative pratique ? Quel mal y a-t-il à
cela ? »7 Gramsci considère pour sa part que le « besoin d’entente internationale et la
nécessité pratique ne peuvent faire abstraction de la nature nécessairement historique
des langues ». C’est en ce sens qu’il reprend la question dans le courant du mois suivant,
tant dans l’hebdomadaire Il grido del popolo8, que dans une lettre, particulièrement
explicite, au rédacteur de l’édition romaine d’Avanti!, Leo Galetto : « Je suis un
révolutionnaire, un historiciste, et j’affirme que ne sont utiles et rationnelles que les
formes d’activité sociale (linguistiques, économiques, politiques) qui naissent
spontanément et se réalisent par l’activité des énergies sociales libres. C’est pourquoi… à
bas l’espéranto, tout comme à bas tous les privilèges, toutes les mécanisations, toutes les
formes définitives et rigidifiées de vie, cadavres qui empestent et agressent la vie en
devenir »9. Il considère que l’argument de l’utilité pratique de l’espéranto ne tient pas,
dans la mesure où sa nature ne peut être qu’artificielle et anti-historique, contraire à « la
vie en devenir » et à la « nature nécessairement historique des langues », et donc inapte à
la révolution qui ne peut se fonder que sur les manifestations réelles et spontanées de la
vie sociale. Ce que Serrati appelle l’« entente internationale » ne peut en aucun cas faire
abstraction des langues nationales historiquement constituées : celles-ci ne peuvent
qu’être traduites, et non remplacées. Si la notion sur laquelle Gramsci va s’appuyer par la
suite est celle de traduction, cela vient aussi du fait qu’elle apparaît bel et bien comme le
négatif de tout espéranto.

La traduction comme acte politique : une piste


léniniste ?
3 On trouve à plusieurs reprises dans L’Ordine Nuovo, dans la première comme dans la
deuxième série, des références à l’acte de traduction comme acte politique. Il s’agit pour

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 3

Gramsci de savoir si on a su, ou pas, traduire des mots d’ordre ou des concepts politiques
dans un langage compréhensible pour les lecteurs auxquels on s’adresse, lecteurs qu’il
désigne clairement : il faut que « chaque ouvrier et chaque paysan » puisse comprendre la
traduction ainsi effectuée. Il nous semble que la première utilisation de l’idée de
traduction comme outil politique remonte à l’article « La taglia della storia » (« La taille
de l’histoire »), du 7 juin 1919. Gramsci y résumait, « en un mot », le travail politique des
bolcheviks qui avaient « traduit historiquement dans la réalité expérimentale la formule
marxiste de la dictature du prolétariat »10 : il y a là un usage métaphorique de l’idée de
traduction qui désigne ici l’action menée par les bolcheviks qui ont su « souder la
doctrine communiste avec la conscience collective du peuple russe ». D’emblée, traduire
signifie assurer le passage de la théorie à la pratique, de la doctrine marxiste à la
conscience populaire agissante.
4 Les autres usages de « traduction » dans l’Ordine Nuovo sont plus directement liés à la
traduction en italien de mots d’ordre et d’analyses politiques venues d’autres
expériences. Dans l’article « Il programma dell’Ordine Nuovo » publié les 14 et 28 août
1920, contre Angelo Tasca qui avait soutenu la ligne maximaliste d’une intégration des
conseils d’usine dans les syndicats et le parti, Gramsci rappelait qu’au sein de l’Ordine
Nuovo, dès sa naissance, l’on s’interrogeait sur l’existence possible d’« un germe, une
velléité, une allusion [una timidezza] de gouvernement des soviets en Italie, à Turin »,
partant de l’idée que le Soviet était « une forme universelle » et non pas « une institution
russe, uniquement russe ». L’Ordine Nuovo avait ensuite développé une analyse des
conseils d’usine, ainsi que de la réalité industrielle qui en constituait le terreau, sous la
forme d’un « développement théorique » – auquel il donne quelques lignes plus loin
l’appellation de « théorie des conseils d’usine » – « qui n’était, du reste, qu’une
traduction, pour la réalité historique italienne, des conceptions développées par le
camarade Lénine dans plusieurs écrits publiés par ce même Ordine Nuovo et des
conceptions du théoricien américain de l’association syndicaliste révolutionnaire des
I. W. W., le marxiste Daniel De Leon »11. En mars 1924, c’est cette fois une incapacité à
traduire des communistes italiens qui est mise en relief dans un article intitulé « Contro il
pessimismo » : « Nous n’avions pas su traduire dans un langage compréhensible pour
chaque ouvrier et paysan italien la signification de chacun des événements italiens des
années 1919-1920 »12. Le mois suivant, quand il rédige, dans un article intitulé à nouveau
« Il programma de “L’Ordine Nuovo” », un premier bilan de la diffusion des deux
premiers numéros de la nouvelle série, en avril 1924, Gramsci estime que la première
réussite du journal, lors de ses premières années de parution, avait été d’avoir su
« traduire en langage historique italien les principaux postulats de la doctrine et de la
tactique de l’Internationale communiste »13. Et il explique aussitôt qu’en 1919-1920, cela
avait signifié avancer « le mot d’ordre des conseils d’usine et du contrôle sur la
production ». Les formulations ne laissent guère de doute sur le sens à attribuer à l’idée
de « traduction » : il s’agit d’énoncer de façon compréhensible pour le peuple, pour
« chaque ouvrier et paysan », en se servant de la langue « historiquement déterminée »
du pays où l’on agit, des thèses qui proviennent de l’expérience historique d’autres
peuples. Les bolcheviks devaient traduire en mots d’ordres compréhensibles pour
« l’immense peuple russe » la formule marxiste de la dictature du prolétariat ; l’Ordine
Nuovo n’a pas su traduire dans une langue accessible « à chaque ouvrier et paysan » le
sens des événements de 1919-1920 et n’a donc pas su convaincre la majorité des
socialistes italiens d’adhérer au communisme au moment de la scission de Livourne

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 4

(janvier 1921) mais, en revanche, le même journal avait su traduire en italien le mot
d’ordre du pouvoir aux soviets en formulant celui des conseils d’usine et du contrôle sur
la production. En situation, pensée en lien avec les directives de l’Internationale
communiste, l’action politique révolutionnaire est donc d’abord et avant tout traduction.
5 Le 29 juillet 1925, dans un article de l’Unità dans lequel il polémique avec Amadeo Bordiga,
qui alors ne dirige plus le Parti communiste italien [PC d’I.] mais reste le chef de son aile
gauche, Gramsci précise qu’il emprunte à Lénine cette puissante métaphore de la
traduction comme action politique, mais on va voir que cette filiation ainsi revendiquée
ne va pas de soi14. La polémique porte sur un point organisationnel lié au processus de
bolchévisation, décidé lors du Ve Congrès de l’Internationale communiste [IC], tenu en
juin-juillet 1924, et qui était en cours dans le parti italien comme dans toutes les sections
de l’IC. Il s’agissait de savoir si la question de l’organisation des cellules ou noyaux
communistes avait été présentée par le parti russe lors du IIIe Congrès de l’Internationale
communiste en 1921. Bordiga estimait qu’il n’en avait pas alors été fait mention (sous-
entendant que c’était une « découverte » des nouveaux dirigeants soviétiques et que
c’était une façon d’interdire l’expression de positions hétérodoxes) ; Gramsci, qui est
désormais le principal dirigeant du PC d’I. et a été chargé par l’IC de réaliser le
programme de bolchévisation du parti, rétorque, dans cet article intitulé « L’organisation
en cellules et le IIe Congrès mondial », que c’était bien le cas : il cite divers textes du II e
Congrès, admet que la distinction entre cellule et fraction n’est pas toujours d’une clarté
limpide, mais finit par citer les conclusions de la Résolution sur le rôle du Parti communiste
dans la révolution prolétarienne (du II e Congrès, juillet 1920) qui lui paraissent démontrer à
l’évidence qu’il faut établir « une distinction entre la cellule, base organisationnelle du
Parti, et la fraction, organisme de travail et de lutte du Parti dans les associations de
masse ». Pour confirmer cette affirmation, il cite deux interventions de Lénine : ses thèses
de Zimmerwald (1915) et son discours au IIIe Congrès de l’IC :
Qu’il en soit ainsi, c’est ce qui ressort des thèses écrites par Lénine en 1915 pour
l’aile gauche de Zimmerwald, c’est-à-dire pour le noyau révolutionnaire qui fondera
en 1919 l’Internationale communiste. C’est ce qui ressort aussi du discours tenu par
Lénine au IIIe Congrès sur l’alinéa spécial consacré à l’organisation et à la structure
des partis communistes. Lénine se pose les questions suivantes : Pourquoi le Parti
communiste russe est-il le seul à être organisé en cellules ? Pourquoi les
dispositions du IIe Congrès qui désignaient dans le système des cellules le système
propre aux partis communistes n’ont-elles pas été mises à exécution ? Et Lénine
répond à ces questions en affirmant que la responsabilité de ce manque incombe
aux camarades russes et à lui-même dans la mesure où, dans les thèses du II e
Congrès, on a parlé un langage trop russe et peu « européen », c’est-à-dire qu’on
s’est référé à des expériences russes sans les rendre actuelles, sans les expliquer, en
supposant qu’elles étaient connues et comprises. Les thèses du III e Congrès sur la
structure du Parti communiste qui furent soit écrites directement par Lénine soit
soumises à son contrôle, ne sont donc pas une « découverte », comme dit le
camarade Bordiga, mais la traduction en un langage compréhensible aux
« Européens » des formulations rapides et allusives contenues dans les thèses du II e
Congrès.
6 L’argumentation de Gramsci est assez simple ; il dit à ses lecteurs et à Bordiga en
particulier que, certes, les thèses du IIe Congrès (juillet 1920) sur la question des formes
d’organisation ne sont pas tout à fait claires mais que Lénine s’est rendu compte lors du
IIIe Congrès (juin 1921) qu’on avait parlé « un langage trop russe et peu “européen” » lors
du IIe Congrès et que, du coup, les thèses du IIIe Congrès sur les questions d’organisation
sont parfaitement limpides puisqu’elles sont « la traduction en langage compréhensible

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aux “Européens” des formulations rapides et allusives contenues dans les thèses du II e
Congrès ». Mais il y a un problème de taille : le discours de Lénine auquel Gramsci fait
allusion (et qui lui servira également dans les Cahiers comme un des points de départ de sa
réflexion sur la traductibilité) n’a pas été prononcé au IIIe mais au IV e Congrès, en
novembre 1922. De ce fait, les thèses que critique Lénine ne sont pas celles du II e Congrès
mais celles du IIIe Congrès. Ce sont ces thèses du IIIe Congrès (les « Thèses sur la structure,
les méthodes et l’action des partis communistes »), celles-là mêmes que Gramsci présente
comme « une traduction compréhensible aux “Européens”… », qui sont critiquées comme
trop russes, incompréhensibles pour qui ne connaît pas suffisamment l’expérience russe.
Erreur volontaire, lapsus dont il faudrait chercher le sens ou simple défaillance de la
mémoire ? La réponse n’est pas du ressort de la présente contribution, mais la question
n’en existe pas moins : l’erreur est d’autant plus surprenante que Gramsci, qui alors
représentait le Parti italien au comité exécutif de l’IC, a participé au IVe Congrès et que
l’article de L’Unità n’est écrit que trois ans plus tard.
7 Toujours est-il qu’après son emploi dans la polémique avec Bordiga en 1925, cette
référence à ce discours de Lénine, toujours indiqué avec la date erronée de 1921, revient à
deux reprises dans les Cahiers de prison, avec des formulations quasiment identiques,
d’abord dans le Cahier 7, en novembre 193015, puis dans le Cahier 11, dans la première des
notes qu’il rassemble, entre août et décembre 1932, sous la rubrique Traducibilità dei
linguaggi scientifici e filosofici, titre de la cinquième partie des Appunti per una introduzione e
un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura : « En 1921, en traitant de
questions d’organisation, Ilitch écrivit et dit (à peu près) ceci : nous n’avons pas su
“traduire” dans les langues européennes notre langue »16.
8 Voyons ce qu’il en est de cet « à peu près » en allant lire le texte du discours de Lénine
(que nous citons dans la version française)17 :
En 1921, au IIIe Congrès, nous avons voté une résolution sur la structure organique
des partis communistes, ainsi que sur les méthodes et le contenu de leur travail.
Texte excellent, mais essentiellement russe, ou presque, c’est-à-dire que tout y est
tiré des conditions de vie russes. C’est là son bon mais aussi son mauvais côté. Son
mauvais côté, parce que je suis persuadé que presque aucun étranger ne peut la
lire ; avant de dire cela j’ai relu cette résolution : premièrement, elle est trop
longue : 50 paragraphes ou plus. Les étrangers, d’ordinaire, ne peuvent aller
jusqu’au bout de pareils textes. Deuxièmement, même s’ils la lisaient, pas un de ces
étrangers ne la comprendrait, précisément parce qu’elle est trop russe. Non parce
qu’elle a été écrite en russe – on l’a fort bien traduite dans toutes les langues –, mais
parce qu’elle est entièrement imprégnée de l’esprit russe. Et, troisièmement, si
même quelque étranger, par exception, la comprenait, il ne pourrait l’appliquer.
C’est là son troisième défaut.
[…] la tâche la plus importante pour nous, aujourd’hui, est de nous instruire, encore
et toujours. Mais les camarades étrangers, eux aussi, doivent apprendre, non pas
dans le même sens que nous, c’est-à-dire à lire, à écrire et à comprendre ce que
nous avons lu – ce dont nous avons encore besoin. […] Une chose, en tout cas, est
certaine : il nous faut, avant tout, apprendre à lire, à écrire et à comprendre ce que
nous avons lu. Les étrangers, eux, n’en ont pas besoin. Il leur faut quelque chose de
plus élevé : notamment, et avant tout, comprendre aussi ce que nous avons écrit sur
la structure organique des partis communistes, et que les camarades étrangers ont
signé sans lire ni comprendre. Telle doit être leur première tâche. Il faut appliquer
cette résolution. On ne peut le faire en une nuit, c’est absolument impossible. Cette
résolution est trop russe : elle traduit l’expérience de la Russie. Aussi est-elle tout à
fait incompréhensible pour les étrangers ; ils ne peuvent se contenter de

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 6

l’accrocher dans un coin, comme une icône, et de l’adorer. On n’arrivera à rien de


cette façon. Ils doivent assimiler une bonne tranche d’expérience russe.
9 Gramsci place Lénine au point de départ de sa réflexion sur la traductibilité en lui faisant
dire des choses qu’il pensait peut-être mais qu’il n’a vraiment pas dites dans ce discours.
Car le message aux « camarades étrangers » est assez simple : vous n’avez pas compris
cette résolution du IIIe Congrès que vous avez signée « sans lire ni comprendre », ce n’est
pas entièrement de votre faute car elle est « trop longue » et « trop russe », mais comme
elle est excellente il faut l’appliquer : il vous faut donc « étudier » et « assimiler une
bonne tranche d’expérience russe ». Il est particulièrement intéressant que Gramsci parte
de ce texte pour fonder l’idée qu’il est possible de traduire une expérience venant
d’ailleurs : il retient du discours de Lénine l’idée que « c’est trop russe » et il en tire
comme conséquence qu’il faut traduire le russe en italien, « dé-russiser » l’expérience, en
tenant compte de la réalité nationale vers laquelle on traduit, de la langue
historiquement déterminée du pays d’accueil, de l’expérience nationale à prendre en
compte. Gramsci reprend une partie du constat léniniste (un texte trop imprégné de
l’esprit d’un pays qui a fait une expérience qu’on entend reproduire ne peut être repris
tel quel et on ne peut se contenter de le traduire littéralement) ; mais il n’en accepte pas
les conclusions qui énoncent que les « étrangers » doivent étudier pour « assimiler une
bonne tranche d’expérience russe ». La thèse de la traductibilité semble bien être un
moyen pour échapper à l’imposition de la position russe ; il y a comme un retournement
ironique dans l’usage de ce discours de Lénine : en 1925, il servait d’autorité pour
appliquer la bolchévisation dans le Parti italien ; à partir de 1930, il sert à forger un outil
d’émancipation théorique.

Labriola et la traduction
10 Dans la lettre de février 1918 à Galetto citée plus haut, Gramsci revendique la nécessité de
jeter un seul et même regard sur l’ensemble du monde social, dans ses diverses
dimensions linguistique, économique ou politique, toujours à envisager du point de vue
de « la vie en devenir »18. On comprend mieux dès lors qu’à cette époque précisément il
puisse penser appliquer à l’histoire de la langue « les méthodes critiques du matérialisme
historique »19. Un tel rapprochement entre matérialisme historique et linguistique
historique n’est pas nouveau : il avait déjà été effectué par Antonio Labriola, dont la
lecture a joué un rôle important dans la “conversion” de Gramsci au marxisme au cours
des années 1917-1918. Labriola – qui avait écrit à Engels avoir longtemps hésité entre la
linguistique et la philosophie20 – voyait dans le matérialisme historique et la linguistique
historique une même « méthode », qu’on peut aussi bien appeler « génétique »,
« dialectique » ou « évolutive », une même étude des « formes » – qu’elles soient
linguistiques ou socio-politiques – à partir de leur « genèse » plutôt que des
« paradigmes » auxquels elles correspondraient21. Or il est particulièrement frappant que
ce rapport que Labriola avait avec la linguistique historique l’ait conduit à des positions
qui, y compris sur la question de l’espéranto, annonçaient déjà celles de Gramsci. Au
cours de son dialogue épistolaire avec Sorel, Labriola affirmait ceci :
Les langues ne sont pas, en vérité, les variantes accidentelles du volapük universel,
et, même, elles sont beaucoup plus que des moyens extrinsèques de communication
et d’expression de la pensée et de l’âme. Elles sont les conditions et les limites de
notre activité intérieure, qui, pour cela comme pour tant d’autres raisons, a des
formes et des modes nationaux qui ne sont pas de purs accidents. 22

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 7

11 Les nombreux points de rencontre entre les réflexions linguistiques de Labriola et celles
de Gramsci suffisent à montrer que l’influence incontestable qu’a exercée sur ce dernier
la “néo-linguistique” – les théories d’Ascoli puis celles de son « bon professeur Bartoli de
l’Université de Turin »23 – n’est en aucun cas contradictoire ou incompatible avec le
marxisme24. Tout le parcours théorique de Gramsci invalide une telle contradiction : alors
qu’il voulait, à l’époque où il pensait encore pouvoir mener à bien sa thèse de laurea,
appliquer à la linguistique les méthodes du matérialisme historique, c’est finalement,
dans les Cahiers de prison, une notion appartenant au départ à une réflexion sur la
diversité des langues qui sert à définir ce que la philosophie de la praxis a de plus
spécifique. Or s’il est vrai que les concepts de traduction et de traductibilité sont
systématiquement associés par Gramsci aux deux figures de Marx et de Lénine, force est
de constater que sur ce point encore, Labriola joua sans doute un rôle important, par
l’intermédiaire d’un texte que Gramsci connaissait fort bien.
12 Toujours dans cette même lettre à Sorel publiée dans son Discorrendo di socialismo e di
filosofia, Labriola posait en effet le problème de la traduction du matérialisme historique
dans une perspective double qui restera plus tard celle de Gramsci : non seulement
traduction d’un langage national à l’autre (de l’allemand au français et de l’allemand à
l’italien) mais aussi d’un langage scientifique à l’autre (philosophie-politique, ou
philosophie-politique-économie). À Sorel, qui lui demandait de quelle manière il lui
semblait possible d’envisager la constitution en France d’une « école du matérialisme
historique », Labriola répondait par un développement sur la question de la traduction,
s’opposait dans le même temps, comme on l’a vu, aux internationalistes imaginant que les
langues pouvaient être « les variantes accidentelles du volapük », et rappelait enfin que le
matérialisme historique avait trouvé en France l’une de ses sources principales, à savoir
sa source politique. D’où le fait qu’il ne devait pas être si difficile de le retraduire en
français : « il appartient par son origine objective à la France, à l’Angleterre et à
l’Allemagne dans une mesure égale »25. Les œuvres de Marx et d’Engels constituant la
synthèse dialectique – l’Aufhebung – de la philosophie hégélienne et post-hégélienne, de la
politique socialiste française et de l’économie anglaise, « la France et l’Angleterre peuvent
reprendre, sans paraître faire acte de pure imitation, leur part dans l’élaboration du
matérialisme historique »26. Cela requiert cependant une traduction qui soit avant tout
une adaptation : « les armes et les moyens de la critique doivent, dans les différents pays,
subir la loi de la variabilité et de l’adaptation »27. Aussi ne faut-il surtout pas suivre
l’exemple des hégéliens napolitains qui philosophaient comme s’ils se trouvaient à Berlin
et non pas à Naples28.
13 On saisit le rôle qu’a dû exercer cette lettre de Labriola sur la pensée de Gramsci si l’on
ajoute que le correspondant d’Engels et de Sorel n’y avait pas seulement exprimé son
refus de tout volapük au profit d’une traduction des langages philosophiques assurant leur
adaptation aux différents contextes linguistiques, mais qu’il y avait aussi, quelques lignes
plus loin, redéfini le matérialisme historique comme « philosophie de la praxis ». La
philosophie de la praxis – « moelle du matérialisme historique » et « philosophie immanente
aux choses sur lesquelles elle philosophe »29 – « en tant qu’elle pénètre tout l’homme
historique et social, de même qu’elle met fin à toutes les formes d’idéalisme […] est la fin
aussi du matérialisme naturaliste, sens traditionnel du mot jusqu’à il y a quelques
années »30.
14 C’est précisément à ce texte que Gramsci se réfère dans une des toutes premières notes de
ses Appunti di filosofia, datant de mai 1930 et intitulée « Deux aspects du marxisme » (Q 4,

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 8

3). Il fait de Labriola un recours, un modèle de « position » à « réévaluer », contre deux


révisions délétères du marxisme, celle des « courants idéalistes » d’une part et celle des
« dérivés modernes du matérialisme philosophique vulgaire » adoptés par les « marxistes
officiels » d’autre part31. « Labriola se distingue des uns et des autres par son affirmation
que le marxisme est lui-même une philosophie indépendante et originale. C’est dans cette
direction qu’il faut travailler, en poursuivant et en développant la position de Labriola.
C’est un travail complexe et délicat »32. Ici Gramsci n’introduit pas encore la notion de
traductibilité, qui n’apparaîtra que six mois plus tard ; en partant de Labriola et de
« l’affirmation que le marxisme est une philosophie nouvelle, indépendante »33, il formule
cependant dans cette note un certain nombre d’idées qui le conduiront à faire de la
traductibilité le cœur même de la philosophie de la praxis. Une philosophie qui est tout à
la fois synthèse et dépassement de ses propres origines : d’une part les Lumières
françaises, matérialistes et populaires, qui précédèrent et accompagnèrent la politique
révolutionnaire, d’autre part la philosophie et l’idéalisme allemands, les unes et les autres
ayant respectivement des fonctions comparables à celles qu’eurent, au XVIe siècle, la
Réforme et la Renaissance34. Une philosophie qui s’appuie sur la « réduction » réciproque,
telle qu’opérée par Marx dans la Sainte Famille, des « termes » de la politique française
dans le « langage de la philosophie allemande »35. Une « nouvelle construction
philosophique », enfin, qui a trouvé pour la première fois sa pleine expression dans les
Thèses sur Feuerbach36.

Marx “traducteur” (octobre-novembre 1930)


15 Ce n’est qu’à partir d’octobre-novembre 1930 que la notion de traduction commence à
être explicitement et spécifiquement thématisée dans les deux premières séries d’Appunti
di filosofia où apparaît le terme traducibilità (Q 4, 42 ; Q 7, 1 ; Q 7, 2). Le texte de la Sainte
Famille, déjà cité à plusieurs reprises dans les Cahiers, comme le souligne d’ailleurs
Gramsci lui-même, sert désormais à penser la traductibilité.
16 Le terme de traducibilità commence sa “carrière” avec la note Q 4, 42, qui s’appuie d’abord
sur le passage de la Sainte Famille dans lequel Marx démontre « comment le langage
politique français, utilisé par Proudhon, correspond et peut se traduire dans le langage de
la philosophie classique allemande » : Gramsci lui accorde alors une importance
primordiale « pour comprendre l’intime valeur du matérialisme historique […] et pour
répondre à certaines objections superficielles contre cette théorie de l’historiographie »37.
À ce passage de la Sainte Famille, Gramsci relie une lettre ouverte de Luigi Einaudi portant
sur un article d’Ugo Spirito, dans laquelle l’économiste rappelle la « merveilleuse faculté
qu’avait au plus haut point notre regretté ami Vailati de traduire quelque théorie que ce
soit du langage géométrique en langage algébrique, du langage de l’hédonisme à celui de
la morale kantienne, de la terminologie économique pure à la terminologie normative
appliquée »38. Pour Gramsci, cette lettre d’Einaudi tend à donner une « leçon de
modestie » à Spirito et à tous ceux qui, comme ce dernier, pensent que la nouveauté
réside dans une terminologie nouvelle. En ce sens, commente Gramsci, Einaudi, en
montrant que dans les débats entre scientifiques il faut aller au-delà des mots, n’expose
que le « premier degré » du problème plus vaste posé par Marx : il reste à un niveau
purement individuel et va donc bien moins loin que ce dernier qui a montré comment
cette nécessité s’applique à des cultures d’expressions différentes.

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 9

Comme deux individus, produits par la même culture fondamentale, croient


soutenir des choses différentes pour la seule raison qu’ils emploient une
terminologie différente, de la même façon, dans le domaine international, deux
cultures, expressions de deux civilisations fondamentalement semblables, croient
être antagonistes, différentes, l’une supérieure à l’autre, parce qu’elles emploient
des expressions idéologiques et philosophiques différentes, ou parce que l’une a un
caractère plus strictement pratique, politique (France) tandis que l’autre a un
caractère plus philosophique, doctrinaire, théorique. En réalité, pour l’historien,
elles sont interchangeables, elles sont réductibles l’une à l’autre, elles sont
réciproquement traductibles.39
17 Il n’y a donc pas, d’un côté, une traductibilité scientifique et technique, et de l’autre une
traductibilité internationale et culturelle : les deux sont intimement liées et la différence
entre l’une et l’autre est de degré. Gramsci précise immédiatement que cette «
traducibilità » (terme qu’il utilise ici pour la première fois et entre guillemets, s’agissant
d’une approximation, d’un néologisme encore récent40 et métaphoriquement appliqué à
des cultures), « n’est pas parfaite, c’est certain, dans tous ses détails (même importants) ;
mais elle l’est dans son “fond” essentiel »41. Il clôt sa note en précisant que la flèche
empoisonnée d’Einaudi vise l’ensemble de la philosophie de Gentile, mais se refuse à
entrer dans l’analyse de fond de la polémique Einaudi-Spirito, car il veut surtout
souligner « la nécessité d’étudier cet aspect du pragmatisme italien (spécialement chez
Vailati) et de Pareto sur la question du langage scientifique »42.
18 Cette première élaboration est approfondie quelques pages plus loin, dans la note Q 4, 46
où Gramsci parle cette fois de convertibilità et de traduzione reciproca (une fois réécrite, en
Q 11, 65, il reliera explicitement cette note à celles portant sur la traducibilità reciproca dei
linguaggi scientifici). La note est consacrée à l’idée, déjà classique dans la tradition
marxiste (thématisée notamment par Engels, Labriola et Lénine) des trois parties du
marxisme : « philosophie-politique-économie »43. Ces trois langages scientifiques, dès lors
qu’ils sont constitutifs d’une même conception du monde, sont pour lui nécessairement
convertibles et leurs principes théoriques doivent donc pouvoir se traduire
réciproquement : « un élément est implicite dans l’autre et tous forment ensemble un
cercle homogène ». De ce fait, on comprendra sans doute mieux la philosophie implicite
d’une « grande personnalité » – expression qui peut aussi bien s’appliquer à Marx qu’à
Lénine – à partir de ses écrits politiques que sur la base de ses considérations
explicitement philosophiques.
19 D’emblée, dès octobre-novembre 1930, la question de la traductibilité concerne donc tout
autant les langages scientifiques et les conceptions du monde que les cultures nationales ;
d’emblée, surtout, elle s’insère dans une réflexion portant sur le matérialisme historique
et la relation que ce dernier institue entre une philosophie (de tradition allemande) et
une politique (de tradition française). La traductibilité dit en effet cette idée, « très
importante pour comprendre la valeur intime du matérialisme historique », du rapport
absolument spécifique que le matérialisme historique institue entre philosophie et
politique, entre théorie et pratique. Une idée qui était déjà au cœur des toutes premières
notes des Appunti di filosofia déjà évoquées plus haut. À partir d’un retour à Labriola, ces
notes faisaient des Thèses sur Feuerbach l’expression de la philosophie propre au marxisme
(Quaderni 4, 3, mai 1930) ; mais, comme on l’a vu plus haut, bien des articles de L’Ordine
Nuovo les avaient annoncées quelques années plus tôt , contenant de nombreuses
occurrences des formes tradurre in atto, tradurre in pratica, tradurre nella realtà. Le numéro
du 15 novembre 1924 avait aussi publié un extrait du Manifeste du Parti communiste

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 10

consacré à l’appropriation, trop abstraite, de la pensée révolutionnaire puis socialiste


française par la philosophie allemande, affirmant notamment que « cette appropriation a
eu lieu à la manière dont généralement on apprend une langue étrangère, c’est-à-dire par
la traduction »44. Le passage, déplorant que cette traduction n’ait relevé que du « ciel
nébuleux de l’imagination philosophique », était intitulé par la rédaction du journal – par
Gramsci lui-même ? – « la philosophie de l’acte », soit l’un des noms de cette traduction
philosophique allemande du socialisme français45. Six ans plus tard (Q 4, 37, en
septembre-octobre 1930), cette même expression allait être à nouveau employée par
Gramsci dans les Cahiers (dans un sens évidemment opposé à la « filosofia dell’atto puro /
philosophie de l’acte pur » de Giovanni Gentile) pour paraphraser et préciser celle de
« matérialisme historique », avant qu’il ne la remplace par la locution labriolienne de
« filosofia della praxis / philosophie de la praxis »46. Dans le passage du « matérialisme
historique » à la « philosophie de la praxis », l’anneau « philosophie de l’acte » caractérise
explicitement le marxisme bien compris comme traduction de la théorie en pratique et de
la philosophie en politique.
20 Toujours en novembre 1930, les premières notes de la deuxième série des Appunti di
filosofia qui, dans le Cahier 7, sont placées juste après la section consacrée aux traductions
de Marx, s’ouvrent sur la question de la traductibilité comme « élément “critique”
inhérent au matérialisme historique »47, intègrent non seulement la référence à la Sainte
Famille mais aussi la remarque de Lénine, présentée sous le titre de rubrique Traducibilità
dei linguaggi scientifici e filosofici dans la deuxième note du nouveau cahier 48. Ces deux
notes sont immédiatement suivies par celle que Gramsci consacre à l’« Esperanto » filosofico
e scientifico49 : c’est là un indice supplémentaire du fait que la notion de traductibilité
trouve l’une de ses origines dans le refus de l’espéranto qu’il avait exprimé dans sa
jeunesse.
21 Dans la note Q 7, 1, c’est contre l’attaque en règle, que Croce venait de prononcer lors du
Congrès de philosophie d’Oxford contre le matérialisme historique – cette doctrine « pire
que métaphysique, proprement théologique », divisant « le processus unique du réel en
structure et superstructure, noumène et phénomène, et plaçant sur sa base, comme un
noumène, un Dieu caché, l’Économie, qui tire tous les fils et qui est la seule réalité, sous
les apparences de la morale, de la religion, de la philosophie, de l’art et ainsi de suite » 50 –
que Gramsci érige, à l’inverse, le « principe de traductibilité réciproque » en « élément
“critique” inhérent au matérialisme historique »51. La traductibilité réciproque des
savoirs et des champs de réalité exprime justement « l’unité du processus du réel », selon
les termes qu’il reprend directement à Croce et retourne contre lui dans la toute fin de la
note52. Une unité garantie par la conception de la réalité comme « bloc historique », où le
rapport entre économie et politique, structure et superstructure, est conçu comme une
« dialectique dynamique », ainsi que l’exprime la troisième thèse sur Feuerbach qui,
contre les doctrines matérialistes, rappelle que « l’éducateur doit être éduqué », c’est-à-
dire que les circonstances matérielles sont autant conditionnées par les hommes qu’elles
le conditionnent.
22 La note Q 7, 2, place ensuite sous la rubrique Traductibilité des langages scientifiques et
philosophiques la remarque de Lénine sur le caractère « trop russe » de la résolution du III e
Congrès de l’Internationale communiste portant sur les questions d’organisation. « En
1921 [en fait 1922, comme on l’a vu plus haut] : questions d’organisation. Ilitch dit et
écrivit : “nous n’avons pas su ‘traduire’ notre langue dans les langues ‘européennes’ » 53.
C’est la première fois que ce titre de rubrique apparaît comme tel ; or cette première

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 11

occurrence montre que la question des langages scientifiques est directement liée à celle
du langage politique (comme l’un, sinon le plus important, des « langages scientifiques et
philosophiques »), et que la traducibilità désigne donc d’emblée la possibilité et la
nécessité de la traduction politique.
23 Enfin, Q 7, 3 accorde à l’espéranto un sens métaphorique du même type que celui que les
notes précédentes viennent d’accorder à la traduction : à la « traductibilité des langages
scientifiques et philosophiques » s’oppose en effet un « “espéranto” philosophique et
scientifique » provenant de la non-compréhension de « l’historicité des langages et donc
des idéologies et des opinions »54. Une tendance qui caractérise toute pensée considérant
qu’un langage logique existerait « en soi et pour soi », abstraction faite « de la pensée
concrète et des sciences particulières concrètes ». Mais une tendance qui caractérise tout
autant la version grossière et fausse que Boukharine donne du matérialisme historique :
« on trouve bien des traces de cette tendance dans l’Essai populaire »55. Gramsci
deviendra d’ailleurs plus explicite lorsqu’il réécrira ce passage en 1932, avec l’ajout d’une
pique contre la « sociologie » positiviste et naturaliste : « L’espérantisme philosophique
est spécialement enraciné dans les conceptions positivistes et naturalistes ; la
“sociologie” est peut-être le produit le plus important d’une telle mentalité »56. On peut
dès lors émettre l’hypothèse que la traduction-traductibilité est, au cœur du marxisme
gramscien, l’un des principaux outils permettant de prendre l’exact contrepied de cette
forme d’espéranto philosophique qu’est le matérialisme positiviste et naturaliste à la
Boukharine : c’est bien la philosophie de la praxis qui est conçue comme « pensée “anti-
espérantiste” »57.
24 Dès novembre 1930, Gramsci repense donc le marxisme à partir de l’idée de traduction
afin non seulement de combattre les schématismes qui conduisent à voir en lui une
séparation artificielle du réel en « noumènes » économiques et « apparences » politiques
et idéologiques mais aussi afin de l’éloigner de tout réductionnisme dogmatique : le rôle
central qu’il attribue à l’idée de traduction se comprend en contrepoint de la
rigidification doctrinale alors en cours en Union soviétique. Mais la notion de traduction
va prendre par la suite une importance plus grande encore. À la faveur d’une ultérieure
valorisation des Thèses sur Feuerbach dans l’ensemble de la production de Marx, la
traductibilité en vient à désigner le cœur même de la philosophie de la praxis : l’unité de
la théorie et de la pratique.

1932 : traducibilità et philosophie de la praxis


25 Les Thèses sur Feuerbach occupent une place décisive dans l’ensemble des Cahiers. Le
privilège qui leur est accordé vient non seulement du fait que Marx y renvoie dos à dos le
matérialisme classique et l’idéalisme abstrait (dès la première thèse) et qu’il y formule
l’idée d’une nécessaire détermination en retour de la structure par la superstructure
(« l’éducateur » qui « a besoin d’être éduqué », dans la troisième thèse). Il provient aussi
de la complète redéfinition de la philosophie à l’œuvre dans l’ensemble du texte de Marx :
l’affirmation selon laquelle la vérité de la théorie, c’est la pratique (deuxième thèse), et
enfin, bien sûr, l’impératif de transformation du monde désormais conféré à la philosophie
(onzième thèse)58. Dès 1931, toujours dans les Appunti di filosofia du Cahier 7, l’une des
premières ébauches de définition de la « philosophie de la praxis » insistait sur
l’« égalité » ou l’« équation » que celle-ci institue « entre “philosophie et politique”, entre
pensée et action », ajoutant que « tout est politique, même la philosophie ou les

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 12

philosophies », que « la seule “philosophie” est l’histoire en acte », que « c’est en ce sens
qu’il faut interpréter la thèse [d’Engels] du prolétariat allemand héritier de la philosophie
classique allemande », et enfin que « l’on peut affirmer que la théorisation et la
réalisation de l’hégémonie faite par Ilitch a été un grand événement “métaphysique” » 59.
Après la Sainte Famille, les Thèses sur Feuerbach et les propos de Lénine au Congrès de
l’Internationale, voici maintenant le Ludwig Feuerbach et la fin de la philosophie classique
allemande d’Engels (en annexe duquel celui-ci avait d’ailleurs édité pour la première fois,
en 1888, les Thèses sur Feuerbach écrites par Marx plus de quarante ans auparavant) et
enfin le propre jugement de Gramsci sur l’action de Lénine. Procédant continûment par
approfondissement de certaines thèses très précises de Marx servant à éclairer d’autres
affirmations importantes des « continuateurs » du matérialisme historique – en tout cas
de ceux qui comptent le plus aux yeux de Gramsci : Engels, Labriola, Lénine –, la réflexion
s’organise toujours plus nettement autour de la question de l’unité de la théorie et de la
pratique. Or c’est bien cette question que vont servir à exprimer au premier chef, à partir
de 1932, non plus les termes d’égalité ou d’équation mais ceux de traduction et traductibilité.
26 Appartenant toujours aux Appunti di filosofia (mais cette fois-ci à leur troisième série) et
rédigée en février-mars 1932, la note Q 8, 208 donne tout son sens théorique à l’idée de
traductibilité60. En partant d’une retranscription des remarques philologiques que Croce
avait formulées dans ses Conversazioni critiche de 1924 au sujet des vers de Carducci
« Emmanuel Kant décapita Dieu / Maximilien Robespierre, le roi », qui trouveraient leur
origine chez Hegel et Heine, Gramsci met cette fois en série :
1) l’idée d’abord hégélienne, rappelée par Croce, d’une mise en pratique par les
révolutionnaires français de l’idée de la conscience de soi comme liberté absolument
indépendante (qui, chez les Allemands, n’était restée qu’une « tranquille théorie ») ;
2) le passage de la Sainte Famille sur l’équivalence entre philosophie allemande et politique
française ;
3) la onzième thèse sur Feuerbach, que Gramsci reformule lui-même ainsi : « la
philosophie doit devenir “politique”, “pratique”, pour continuer à être philosophie » 61 ;
4) la théorie de l’unité de la théorie et de la pratique – autrement dit, la philosophie de la
praxis dans son entier.
27 Ce qui chez Hegel apparaît comme une équivalence entre la pratique politique française et
la théorie philosophique allemande, est formulé en termes de traduction dans le passage
de la Sainte Famille que Gramsci rappelle sans cesse dans les Cahiers de prison, et trouve
enfin sa formulation gramscienne dans le concept de traductibilité. Cette traductibilité ne
s’applique pas seulement aux « cultures nationales » ou aux « langages » scientifiques,
mais plus largement au binôme théorie-pratique62.
28 Par ailleurs, la version C du texte ajoute à cette série, avant ce dernier point,
« l’affirmation d’Engels » – que Gramsci avait déjà rappelée l’année précédente lors de sa
définition de la philosophie de la praxis comme « équation » de la philosophie et de la
politique – « selon laquelle la philosophie classique allemande a pour héritier légitime le
“peuple” allemand »63.
29 La note suggère ainsi que la conception d’une philosophie trouvant sa pierre de touche
dans le monde réel serait le plein accomplissement marxiste de l’idée, d’abord
hégélienne, d’une équivalence entre la théorie allemande et la pratique française. La
traduction-traductibilité opère donc sur deux niveaux : tant sur celui de la philosophie de
la praxis elle-même (théorie de l’unité de la théorie et de la pratique) que sur un plan

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 13

historique (politique française et philosophie allemande). Gramsci poursuit en effet sa


note en commentant d’autres sources (trouvées en particulier dans un livre que cite
Croce, celui de Ravà consacré à Fichte : Baggesen, Fichte, Schaumann) qui lui permettent
de mettre en évidence que « les contemporains de la Révolution française avaient
conscience (et cela est du plus grand intérêt) » de l’idée qui fait l’objet même de sa
rubrique, « à savoir que deux structures semblables ont des superstructures équivalentes
et réciproquement traductibles »64. La conscience que les contemporains avaient eux-
mêmes de cette équivalence des superstructures garantit que celle-ci n’a rien d’une
reconstruction philosophique a posteriori. La philosophie de la praxis confirme,
accomplit et rend plus intelligible une traductibilité qui la précède. Il est par ailleurs
important de remarquer qu’ici la traductibilité ne sert pas à annuler le modèle analytique
structure-superstructure mais plutôt à le compléter. La seconde version de la note, en
novembre 1932, apporte un ajout bref mais significatif : alors que dans le Cahier 8 Gramsci
avait présenté les éléments apportés par Croce comme étant « une série de “sources” très
intéressantes »65, il ajoute dans le Cahier 11 : « mais qui pour Croce ont une portée
purement philologique et culturelle, sans aucune signification théorique ou
“spéculative” »66. Signe que la notion de traductibilité acquiert en 1932 un rôle théorique
toujours plus central au sein même de la philosophie de la praxis. Mais ce n’est là encore
qu’une ébauche de réflexion : reste à revoir toutes ces sources dans le cadre de cette
question de la traductibilité des langages qui n’est autre que l’équivalence des
superstructures « réciproquement traductibles » entre sociétés distinctes mais à
structures semblables.
30 Dans cette même période, qui s’écoule tout au long de l’année 1932, la systématisation des
principaux cahiers « spéciaux » donne lieu à deux principaux approfondissements de la
notion de traductibilité.
31 Au mois de mai, lorsque Gramsci rédige dans le Cahier 10 la note Introduction à l’étude de la
philosophie (Q 10, II, 6), il confère une place décisive à la « traductibilité des langages
scientifiques » en tant qu’elle permet de penser la réduction de toutes les philosophies à
un moment de la vie historico-politique :
Traductibilité des langages scientifiques. Les notes écrites sous cette rubrique doivent
précisément être recueillies sous la rubrique générale portant sur les rapports
entre les philosophies spéculatives et la philosophie de la praxis et de leur
réduction à celle-ci comme moment politique que la philosophie de la praxis
explique « politiquement ». Réduction à la « politique » de toutes les philosophies
spéculatives, à un moment de la vie historico-politique ; la philosophie de la praxis
conçoit la réalité des rapports humains de connaissance comme élément
d’« hégémonie » politique.67
32 Ce paragraphe constitue une sorte d’aboutissement, après ceux qui dans la même note le
précèdent immédiatement, dans lesquels Gramsci a mis notamment en évidence la thèse
selon laquelle « la théorie des superstructures est la traduction, dans les termes de
l’historicisme réaliste, de la conception subjective de la réalité »68. L’idée de traductibilité
des langages est elle-même à la fois traduction et dépassement de la dialectique
hégélienne : elle permet de dire de quelle façon la philosophie de la praxis « absorbe » et
« dépasse » l’idéalisme. Et ce dépassement, propre de la philosophie de la praxis, consiste
dans la traduction de la philosophie en politique.69 La philosophie de la praxis politise
toutes les philosophies, c’est d’abord en ce sens qu’elle les traduit. Elle sait que toutes les
philosophies, y compris et surtout elle-même, sont politiques, en devenant un langage qui
est une idéologie opérant dans la vie sociale, un élément fondamental de l’hégémonie.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 14

Mais à la différence de toutes les autres, la philosophie de la praxis le sait, et non


seulement elle le sait mais elle fait en sorte de devenir pleinement hégémonique : elle
entend unifier en une seule culture politique la haute culture philosophique et la culture
populaire. On a ici une imbrication étroite entre la question théorique de la traductibilité
des langages, la question idéologique, et la question politique de l’hégémonie.
33 Que la traductibilité soit le concept par lequel Gramsci « retraduit » celui de dialectique,
c’est ce que montre, toujours dans cette « Introduction à l’étude de la philosophie » du
Cahier 10, une note apparaissant peu après celle que nous venons de citer, sous le titre
« Immanence spéculative et immanence historiciste ou réaliste » :
On affirme que la philosophie de la praxis est née sur le terrain du plus grand
développement de la culture de la première moitié du XIXe siècle, culture
représentée par la philosophie classique allemande, par l’économie classique
anglaise et par la littérature et la pratique politique française. À l’origine de la
philosophie de la praxis il y a ces trois moments culturels. Mais en quel sens faut-il
comprendre cette affirmation ? <Faut-il comprendre> que chacun de ces
mouvements a contribué à élaborer respectivement la philosophie, l’économie, la
politique de la philosophie de la praxis ? Ou bien que la philosophie de la praxis a
élaboré synthétiquement les trois mouvements, c’est-à-dire la culture entière de
l’époque, et que dans cette nouvelle synthèse, à quelque moment qu’on l’examine,
moment théorique, économique, politique, on retrouve comme « moment »
préparatoire chacun de ces trois mouvements ? C’est précisément ce qu’il me
semble. Et le moment synthétique unitaire me semble à identifier dans le nouveau
concept d’immanence qui, de sa forme spéculative, offerte par la philosophie
classique allemande, a été traduit en forme historiciste avec l’aide de la politique
française et de l’économie classique anglaise.70
34 La philosophie de la praxis est synthèse accomplie des trois mouvements qui constituent
l’ensemble de la culture de l’époque. C’est l’effet propre de la politique française et de
l’économie anglaise que d’avoir transformé la dialectique propre à la philosophie
classique allemande en un processus purement immanent : un processus qui n’est donc
plus une manifestation de l’Esprit (un idéalisme absolu), mais un fait historique, un
processus concret. C’est là notamment toute l’importance de l’économie de Ricardo, en
tant qu’elle identifie des lois économiques (notamment des lois de tendances) vérifiables
historiquement et, surtout, redéfinit l’idée même de nécessité en des termes purement
immanents, non spéculatifs. Or Marx en a directement hérité et les a traduits et intégrés
dans le matérialisme historique71.

La tâche politique du traducteur


35 Le 5 septembre 1932, au moment même où l’idée de traducibilità prend une forme élaborée
dans les Cahiers de prison, Gramsci écrit à son épouse Giulia une lettre dans laquelle il lui
suggère de « devenir une traductrice de plus en plus qualifiée de textes italiens » 72. Dans
cette lettre, il définit en quelque sorte (pour reprendre le titre de la fameuse préface de
Benjamin à sa traduction de Baudelaire) « la tâche du traducteur » :
Les buts que tu pourrais et devrais te proposer, afin de tirer profit d’une partie non
négligeable de ton activité antérieure, devraient être à mon avis les suivants :
devenir une traductrice de plus en plus qualifiée de textes italiens. Voici ce que
j’entends par traductrice qualifiée : non seulement la capacité élémentaire et
primordiale de traduire la prose des correspondances commerciales ou d’autres
manifestations littéraires que l’on peut englober sous le terme de prose
journalistique, mais la capacité de traduire n’importe quel auteur, littéraire ou

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 15

politique, historien ou philosophe, des origines à nos jours, et donc l’apprentissage


des langues spécialisées et scientifiques et du sens des mots techniques aux
différentes époques. Et cela ne suffit pas encore : un traducteur qualifié devrait être
en mesure non seulement de traduire littéralement, mais de traduire aussi les
termes, ainsi que les concepts, d’une culture nationale déterminée dans les termes
d’une autre culture nationale, ce qui veut dire qu’un tel traducteur devrait
connaître de façon approfondie et critique deux civilisations et être en mesure de
faire connaître l’une à l’autre en se servant du langage historiquement déterminé
de la civilisation à laquelle il fournit le matériel d’information. Je ne sais pas si je
me suis exprimé avec suffisamment de clarté.73
36 Les explications de Gramsci sont de fait assez claires et sont étroitement liées à
l’ensemble de ses réflexions sur la traduction et la traducibilità : on retrouve ici aisément
la façon dont il s’est posé, avec ses camarades de l’Ordine Nuovo, la question de comment
traduire l’expérience soviétique, la façon dont il a élaboré l’hypothèse de la traducibilità
entre cultures nationales, la nécessité de faire usage du « langage historiquement
déterminé » de la société d’accueil (et donc, implicitement, la nécessité que la traduction
soit largement compréhensible pour tous ceux qui sont susceptibles de lire le texte
traduit).
37 Gramsci invite le traducteur à traduire en fonction du « langage “de civilisation” » de
chacun des pays, comme il l’écrit dans la lettre à Tatiana du 23 août 1933 qui poursuit la
réflexion qu’il a menée avec Giulia sur ce que devrait être « un traducteur qualifié ». Il se
demande s’il faut envoyer à Giulia des livres qui « entrent dans un plan de travail pour
connaître l’histoire de la culture italienne et être donc plus qualifiés comme traducteurs
des choses présentes. Selon moi, outre le langage dans le sens strictement technique de la
parole, chaque pays a un langage “de civilisation” qu’il faut connaître pour connaître le
premier »74.
38 La tâche du traducteur « des choses présentes », posée en ces termes, pourrait donc
sembler immense, voire impossible, puisqu’elle implique une connaissance des cultures
d’origine et d’arrivée dans leur historicité propre et la capacité de passer de l’une à
l’autre, alors même que les spécificités historiques d’un pays peuvent produire des mots
presque impossibles à traduire en d’autres langues75. Mais la réflexion qu’il mène en
parallèle sur la traducibilità permet d’échapper à ce caractère presque impossible de la
tâche du traducteur et d’affirmer la nécessité et la possibilité de la traduction. Comme on
l’a vu, dès la première note qu’il consacrait à la « traductibilité », il posait que celle-ci
« n’est pas parfaite […] dans tous ses détails […] mais elle l’est dans son “fond” essentiel »
76
. En reprenant cette note dans le Cahier 11, en 1932, il y ajoute une parenthèse sous
forme d’interrogation : « Mais quelle langue est exactement traduisible dans une autre ?
Quelle parole singulière est traduisible exactement dans une autre langue ? » 77. On peut
noter, dans ces interrogations, l’écho, peut-être volontaire, d’une thèse linguistique
exposée par Wilhelm von Humboldt dans l’introduction à sa traduction de l’Agamemnon78,
où il met à la fois en évidence qu’aucun mot n’est « parfaitement équivalent » à un mot
d’une autre langue, mais la capacité de chaque langue, « y compris les parlers de peuples
très sauvages » à « tout » exprimer, « le plus sublime comme le plus profond, le plus fort
comme le plus délicat »79. C’est le paradoxe de la traduction à la fois impossible
« linguistiquement parlant » et qu’on parvient pourtant à réaliser. Le traducteur, dès lors,
sait quels types de connaissances il doit acquérir, quels principes doivent le guider, mais
il peut accepter l’idée qu’il n’y parviendra que pour « l’essentiel » et pas forcément « dans
le détail ». Sa tâche devient réalisable et la façon dont Gramsci parle parfois de

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 16

« mauvaises traductions » ou de traduction « faite avec les pieds »80, montre qu’il se
contente de dénoncer les bêtises, les contresens et les « erreurs bestiales » dont un lycéen
se rendrait compte : seule l’absence de soin et de scrupule est vraiment inadmissible et
fait l’objet de qualificatifs peu amènes81.
39 On peut dire que cette définition gramscienne de « la tâche du traducteur » est presque
mot à mot l’inverse de ce que Walter Benjamin écrivait, quelques années auparavant,
dans sa préface du même nom : il ne s’agit pas du tout de faire entendre la langue
d’origine, d’éveiller « l’écho de l’original »82 ou de plier la langue de la traduction à la
langue d’origine, mais bien d’écrire en utilisant « le langage historiquement déterminé »
de la langue d’arrivée. Il s’agit donc bien d’écrire dans la langue du lecteur, en fonction de
la mentalité du lecteur : il faut accueillir le texte étranger en le naturalisant et en l’assimilant
. On est loin de l’appel de Benjamin demandant au traducteur de « brise[r] les barrières
vermoulues de sa propre langue » afin d’élargir ses frontières. Et pourtant, l’intention de
faire connaître le texte étranger, de l’accueillir dans la langue d’arrivée, est aussi
nettement affirmée dans les deux cas, mais il y a chez Gramsci une volonté de plier la
langue d’origine à la langue de la traduction – position inverse de celle des tenants de la
ligne de traduction déjà énoncée par Schleiermacher, qui invitait à « laisser tranquille »
l’auteur et demandait au lecteur « d’aller à sa rencontre » en « pliant la langue de la
traduction, dans la mesure du possible, à la langue d’origine »83 – car ce qui compte pour
lui avant tout c’est que le texte soit traduit non pas littéralement mais en s’adaptant à la
mentalité de son lecteur. Situer la position de Gramsci dans le champ des différentes
conceptions de la traduction n’a ici aucune fonction normative qui viserait à nommer une
bonne et une mauvaise façon de traduire. Il y a d’autres conceptions possibles de la
« tâche du traducteur », mais un point unit ces conceptions différentes : la nécessité de
traduire pour accueillir dans sa propre langue les textes, les expériences, voire les
« matériaux d’information » qui viennent d’autres langues ; en un mot, il s’agit de la
volonté d’accueillir l’étranger84.
40 Et il n’y a pas de doute sur le fait que Gramsci ressent on ne peut plus fortement la
nécessité de faire accueillir une culture par une autre par le biais de la traduction ; cette
nécessité du passage d’une culture à une autre est d’ailleurs présente quand il réfléchit à
la façon dont il faudrait faire appel, dans une revue de culture, à des correspondants
étrangers qui
non seulement connaissent les courants culturels de leur pays, soient capables de
les « comparer » avec celles du pays dans lequel la revue est publiée, c’est-à-dire
qu’ils connaissent aussi les courants culturels de celui-ci et comprennent son
« langage » national. […] du point de vue pratique de la promotion de la culture, il
est plus important [= plutôt que d’avoir de grandes signatures] d’avoir un type de
collaborateur habitué à la revue, qui sait traduire un monde culturel dans le
langage d’un autre monde culturel, parce qu’il sait trouver les ressemblances même
là où elles ne paraissent pas exister et sait trouver les différences même là où il
semble qu’il n’y ait que des ressemblances etc.85
41 Les indications sont très semblables à celles que Gramsci énonce quelques mois plus tard
pour devenir « un traducteur qualifié » : le rapport avec les expériences venant de
l’extérieur et d’autres langues est central pour l’objectif de formation d’une « conscience
collective homogène »86, mais que ce soit pour la traduction ou les revues, cet apport
nécessaire doit s’effectuer dans le « langage historiquement déterminé » du pays
d’accueil. La « tâche du traducteur » que définit Gramsci est d’abord une tâche politique :
elle relève d’une conception de l’internationalisme comme accueil réciproque des

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 17

cultures nationales, capacité à tenir compte réciproquement des apports nationaux ayant
une valeur internationale (ce qu’il nomme des « poussées nationales »)87. La construction
d’une culture internationale ne peut passer, comme nous l’avons vu, par l’artefact anti-
historique d’une langue internationale, ni par la tentative, pensée par les pragmatistes,
d’enlever au langage son caractère métaphorique (en niant donc également, mais d’une
autre façon, le caractère historique du langage) : le seul outil qui rende possible cette
tâche est donc la traduction, appuyée désormais sur une théorie de la traductibilité qui
fonde sa nécessité-possibilité.
42 Nous avons tenté dans cette contribution de reconstituer les étapes par lesquelles est
passé Gramsci pour construire cet outil heuristique puissant qu’est la traductibilité. Nous
avons voulu rendre compte des lectures, des pratiques militantes, puis de l’élaboration
théorique menées dans les Cahiers de prison ; il y a là des fils qui se mêlent et un processus
qui, loin d’être linéaire, est à comprendre dans sa complexité et son historicité. Sans
doute, la question qui se pose à Gramsci et à ses camarades de L’Ordine Nuovo consiste à se
demander comment amener dans la réalité spécifique de l’Italie les éléments nouveaux
qui proviennent de l’expérience russe, elle-même comprise immédiatement comme la
traduction dans la réalité des concepts du marxisme ; c’est le moment où Gramsci écrit
que les bolcheviks ont traduit dans la pratique le concept de dictature du prolétariat.
Cette expérience qui marque un bouleversement dans l’histoire et la théorie, il faut
l’apporter à l’Italie et au peuple italien. Gramsci, qui pense que les langues sont des
organismes vivants, historiquement déterminés, ne peut penser ce passage nécessaire
d’une langue à l’autre qu’en termes de traduction. Il avait réfuté avec vigueur la solution,
présente dans le socialisme européen, de l’espéranto : cet artefact ne pouvait en aucun
cas permettre de s’adresser aux lecteurs en tenant compte de leur mentalité forgée en
particulier par l’épaisseur historique de leur langue dont les caractéristiques viennent des
usages multiples, individuels et sociaux, qui en font un organisme vivant et riche. Pour
penser cette question de la traduction, Gramsci s’appuie sur sa conception du langage
« historiquement déterminé » et sur ses connaissances en linguistique historique ; il
réfléchit également à partir de Labriola, Lénine et Marx sur lesquels il s’appuie pour
affirmer une conception de la traduction fondée sur l’idée de la connaissance réciproque
des cultures nationales et l’usage de “langages de civilisation”, qui va d’ailleurs rester
semblable sur la durée comme nous l’avons vu dans son échange épistolaire avec son
épouse en 1932. Mais ce point de départ, qui porte sur la traduction politique – et dont
l’un des résultats fondamentaux est la possibilité d’échapper à l’imposition des mots
d’ordre « russes » pour penser en termes de spécificités nationales88 – va l’amener à
réfléchir sur ce qui rend possible des traductions au-delà du passage d’une langue à
l’autre. Le travail théorique des Cahiers va élaborer une forme d’émancipation encore plus
vaste vis-à-vis de toute lecture déterministe et économiste du marxisme avec l’abandon
de la dénomination “matérialisme historique”, la remise en question de la dualité
structure-superstructure et l’affirmation que la “philosophie de la praxis” est seule à
même 1) d’assurer la traduction des trois langages qui la constituent en propre (politique,
philosophie et économie) ; 2) de penser la correspondance, le passage voire l’unité entre
différentes cultures et traditions nationales ; 3) d’assurer l’unité de la théorie et de la
pratique – c’est-à-dire l’unité d’une philosophie qui trouve sa vérité dans son effectuation
politique et d’une politique qui ne peut réussir que dans la mesure où s’impose un langage
nouveau (et, partant, une nouvelle hégémonie). La traductibilité est l’outil conceptuel
permettant de penser cette unité de la théorie et de la pratique qui pour Gramsci est le

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 18

propre de la pensée de Marx et fonde la supériorité de la philosophie de la praxis sur


toutes les autres philosophies.

NOTES
1. Il convient de parler de « confirmation » plutôt que d’affirmation, puisque, à notre
connaissance, le premier à avoir insisté sur ce point fut André Tosel il y a déjà trente-cinq
ans : A. TOSEL, « Philosophie marxiste et traductibilité des langages et des pratiques », La
Pensée, 223, septembre-octobre 1981 (repris dans ID., Praxis. Vers une refondation en
philosophie marxiste, Paris, Éditions Sociales, 1984, p. 115-135). Depuis, voir notamment D.
KANOUSSI, Una introducción a los Cuadernos de la cárcel de Antonio Gramsci, México, Plaza y
Valdés, 2000 ; F. FROSINI, « Sulla “traducibilità” nei Quaderni di Gramsci », Critica marxista,
n.s., 6, 2003, p. 29-38 ; D. BOOTHMAN, « Traduzione e traducibilità », dans Le parole di
Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere, F. Frosini et G. Liguori éd., Rome, Carocci,
2004, p. 247-266, repris dans ID., Traducibilità e processi traduttivi. Un caso : A. Gramsci
linguista, Pérouse, Guerra Edizioni, 2004 ; G. BARATTA, « Dialettica, traducibilità,
contrappunto », Critica marxista, 2007, 3-4, p. 19-24 ; F. IZZO, « I Marx di Gramsci », dans
Gramsci nel suo tempo, F. Giasi éd., 2 vol., Rome, Carocci, 2009, p. 553-580 (repris dans EAD.,
Democrazia e cosmopolitismo in Antonio Gramsci, Rome, Carocci, 2009, p. 23-74) ; F. FROSINI, La
religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci,
Rome, Carocci, 2010, p. 173-178 ; R. LACORTE, « Translatability, language and freedom in
Gramsci’s “Prison Notebooks” », dans Gramsci, Language, and Translation, P. Ives et R.
Lacorte éd., Lanham (Maryland), Lexington Books, 2010, p. 213-224 ; ID., « “Espressione” e
“traducibilità” nei Quaderni del carcere », dans Domande dal presente : studi su Gramsci, L.
Durante et G. Liguori éd., Rome, Carocci, 2012, p. 109-121.
2. F. FROSINI, « Sulla “traducibilità” », art. cité.
3. Indications d’abord formulées dans le livre pionnier de G. FRANCIONI, L’officina
gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei « Quaderni del carcere », Naples, Bibliopolis, 1984. On
trouvera la mise au point la plus récente dans l’article de Francioni qui ouvre ce dossier
de Laboratoire italien.
4. Q 16, 2, p. 1842. En l’attente de la nouvelle édition critique dirigée par Gianni Francioni,
nous citons celle de Valentino Gerratana (Antonio GRAMSCI, Quaderni del carcere, Turin,
Einaudi, 1975), indiquée par l’abréviation Q, suivie des numéros de cahier, de paragraphe
et enfin de page.
5. Lettre à Leo Galetto, février 1918, dans A. GRAMSCI, Epistolario, I, gennaio 1906 - dicembre
1922, D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto Voghera et M. L. Righi éd., Rome, Istituto della
Enciclopedia Italiana (Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci), 2009, p. 173.
6. [A. GRAMSCI], « Contro un pregiudizio », Avanti!, 24 gennaio 1918, p. 2.
7. G. M. SERRATI, « Guerra esperantista », Avanti!, 26 gennaio 1918, p. 2.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 19

8. « […] comment donc pourrait s’affirmer une langue internationale, entièrement


artificielle, entièrement mécanique, privée de toute historicité, de toute influence de
grands auteurs, privée de la richesse expressive qui vient de la variété dialectale, de la
variété des formes prises au cours des temps ? […] Il faut nous en convaincre : l’espéranto,
la langue unique n’est rien d’autre qu’une baliverne, une illusion des mentalités
cosmopolites, humanitaires, démocratiques, qui n’ont pas encore été rendues fertiles ni
désenchantées par la critique historique ». [A. GRAMSCI], « La lingua unica e l’Esperanto »,
Il grido del popolo, 16 febbraio 1918.
9. A. GRAMSCI, Epistolario, loc. cit.
10. [A. GRAMSCI], « La taglia della storia », L’Ordine Nuovo, 7 giugno 1919.
11. A. GRAMSCI, « Il programma dell’Ordine Nuovo », L’Ordine Nuovo, 14 agosto e 28 agosto
1920.
12. [A. GRAMSCI], « Contro il pessimismo », L’Ordine Nuovo, 15 marzo 1924.
13. A. GRAMSCI, « Il programma de “L’Ordine Nuovo” », L’Ordine Nuovo, 1-15 aprile 1924.
14. A. GRAMSCI, « L’organizzazione per cellule e il II Congresso mondiale », L’Unità,
29 luglio 1925.
15. Q 7, 2, p. 854.
16. Q 11, 46, p. 1468.
17. Manifestes, thèses et résolutions des quatre premiers congrès de l’Internationale communiste
1919-1923, Bibliothèque communiste, Librairie du Travail, juin 1934 ; réimpression en fac-
similé, Paris, François Maspero, 1971.
18. A. GRAMSCI, Epistolario, loc. cit.
19. « […] comme étudiant (et pas comme chercheur et encore moins émérite, ironie et
modestie mises à part) je prépare une thèse sur l’histoire du langage, en cherchant à
appliquer à ces recherches les méthodes critiques du matérialisme historique», IL
REDATTORE TORINESE ANTI-ESPERANTISTA [A. GRAMSCI ], « Teoria e pratica. Ancora intorno
all’esperanto », Avanti!, 29 gennaio 1918.
20. « Pendant très longtemps, je suis resté indécis entre la glottologie [la linguistique] et
la philosophie », A. LABRIOLA, Carteggio, S. Miccolis éd., Naples, Bibliopolis, 2000-2003,
vol. III, p. 26.
21. « […] notre doctrine [le matérialisme historique] a aussi des correspondances
instructives avec de nombreuses disciplines dans lesquelles, pour une plus grande
simplicité des rapports, l’application de la méthode génétique fut plus aisée. Le cas
typique est la glottologie [i. e. la linguistique] […] ». A. LABRIOLA, Del materialismo storico.
Delucidazione preliminare (1896), dans Saggi sul materialismo storico, A. Santucci éd., Rome,
Editori Riuniti, 2000, p. 178. « Quel effort n’a-t-elle pas coûté à la réflexion doctrinale,
dans le champ de la linguistique, la substitution à l’illusion paradigmatique des formes
grammaticales la genèse de ces formes ! Genèse qu’il faut psychologiquement chercher et
vérifier dans la variété des manières de parler, qui est un faire et un produire, et non un
simple factum. » Ibid., p. 244. « Pour comprendre le socialisme scientifique je n’avais donc
pas besoin de me lancer pour la première fois dans la conception dialectique, évolutive ou
génétique, comme on voudra, puisque j’avais toujours vécu au milieu de ces idées, depuis
que je pense de façon pensée. » Ibid., p. 262.

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 20

22. A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, 4 (14 maggio 1897), dans Scritti
filosofici e politici, F. Sbarberi éd., Turin, Einaudi, 1976, vol. II, p. 690 ; trad. française :
Socialisme et philosophie (Lettres à G. Sorel), Paris, Giard et Brière, 1899, p. 53.
23. Lettre à Tania du 19 mars 1927 : « L’un des plus grands remords intellectuels de ma vie
est la profonde douleur que j’ai provoquée chez mon bon professeur Bartoli de
l’Université de Turin qui était persuadé que j’étais l’archange destiné à terrasser
définitivement les néo-grammairiens. »
24. Voir aussi sur cette question l’article de Giancarlo Schirru dans le présent dossier.
25. A. LABRIOLA, Discorrendo…, ouvr. cité, p. 695 (trad. p. 61).
26. Ibid., p. 696 (trad. p. 62).
27. Ibid., p. 697 (trad. p. 65).
28. « Ces hégéliens écrivirent et enseignèrent et discutèrent comme s’ils se trouvaient,
non à Naples, mais à Berlin ou je ne sais où. Ils conversaient mentalement avec leurs
Camarades d’Allemagne [en français dans le texte]. » Ibid., p. 698 (trad. p. 66).
29. Ibid., p. 702 (trad. p. 73)
30. Ibid., p. 702-703 (trad. p. 74).
31. Q 4, 3, p. 421-422. Voir les pages importantes que Fabio Frosini consacre à cette note et
au rapport Labriola-Gramsci dans Gramsci e la filosofia. Saggio sui Quaderni del carcere, Roma,
Carocci, 2003, p. 83-85.
32. Q 4, 3, p. 422.
33. Ibid., p. 425.
34. Ibid., p. 423-424.
35. Ibid., p. 423.
36. Ibid., p. 424.
37. Q 4, 42, p. 467.
38. Ibid., p. 468.
39. Ibidem.
40. Ce n’est sans doute pas un hasard si le terme apparaît dans une note qui s’appuie sur
une observation concernant Vailati. Le philosophe pragmatiste en avait fait usage à
plusieurs reprises, notamment dans « Le origini e l’idea fondamentale del pragmatismo »,
un article de 1909 republié dans les Scritti filosofici que Gramsci connaissait. Il s’en servait
justement pour définir le pragmatisme, à la suite de Pierce, comme « une invitation à
traduire nos affirmations » par les expériences pratiques particulières (qui adviendront
ou pourraient advenir dans des circonstances données) signifiées par ces affirmations.
Vailati nommait cela la « traductibilité de nos affirmations en termes d’attente ou de
prévision ». Même s’il ne s’agit pas ici de traductibilité des langages scientifiques ou des
cultures, il est frappant que cette notion ait été choisie pour définir le pragmatisme,
sachant que Gramsci allait de son côté l’employer pour déterminer ce que le marxisme
avait de plus propre. Voir C. META, Antonio Gramsci e il pragmatismo : confronti e intersezioni,
Florence, Le Cáriti, 2010 ; G. GUIDA, Durata e storia : aspetti di una nuova percezione del tempo
agli inizi del Novecento, Rome, Aracne, 2013, chap. III ; G. GUZZONE, Il problema scientifico
dell’economia nel pensiero di Antonio Gramsci (1916-1933), thèse de doctorat, Pise, 2015.
41. Q 4, 42, p. 468.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 21

42. Ibid., p. 469.


43. Q 4, 46, p. 472-473.
44. C. MARX, « La filosofia dell’atto », L’Ordine Nuovo, 15 novembre 1924, p. 57.
45. F. FROSINI, « Il neoidealismo italiano e l’elaborazione della filosofia della praxis », dans
Gramsci nel suo tempo, F. Giasi éd., Rome, Carocci, 2008, vol. II, p. 727-746, en particulier
p. 745-746.
46. « Ni le monisme matérialiste ni l’idéaliste, ni “Matière” ni “Esprit” évidemment, mais
“matérialisme historique”, c’est-à-dire activité de l’homme (histoire) dans le concret, c’est-
à-dire appliquée à une certaine “matière” organisée (forces matérielles de production) à
la “nature” transformée par l’homme. Philosophie de l’acte (praxis), mais pas de “l’acte
pur” mais précisément de l’acte “impur”, c’est-à-dire réel dans le sens profane du mot. »
Q 4, 37, p. 455. La « filosofia della praxis » fait sa première apparition sous la plume de
Gramsci en octobre-novembre 1930, dans la note Q 5, 127, à propos de la pensée de
Machiavel en tant que « conception du monde originale, que l’on pourrait, elle aussi, nommer
« philosophie de la praxis » ou « néo-humanisme » en ce qu’elle ne reconnaît pas d’éléments
transcendantaux ou immanents (au sens métaphysique) mais se fonde toute sur l’action
concrète de l’homme qui, pour ses nécessités historiques, agit et transforme la réalité »
(p. 657, souligné par nous), mais son usage ne se généralise véritablement qu’à partir de
1932.
47. Q 7, 1, p. 851.
48. Ibid., 2, p. 854.
49. Ibid., 3, p. 855.
50. « Il Congresso di Oxford », La Nuova Italia, I, 10, 20 ottobre 1930, p. 432 (cité par
Gerratana dans les notes de son édition des Quaderni del carcere, p. 2866).
51. « Benedetto Croce et le matérialisme historique (voir p. 55 bis). À propos du discours de Croce
dans la section d’Esthétique du congrès philosophique d’Oxford (voir La Nuova Italia du
20 octobre 1930). La traduction des termes d’un système philosophique dans les termes
d’un autre, comme celle du langage d’un économiste dans le langage d’un autre
économiste, a des limites et ces limites sont donnés par la nature fondamentale des
systèmes philosophiques ou des systèmes économiques ; c’est-à-dire que dans la
philosophie traditionnelle, c’est possible, tandis que ce n’est pas possible entre la
philosophie traditionnelle et le matérialisme historique. Le principe même de la
traductibilité réciproque est un élément « critique » inhérent au matérialisme historique,
dans la mesure où l’on présuppose et postule qu’une phase donnée de la civilisation a une
expression culturelle et philosophique « fondamentalement identique », même si cette
expression a un langage différent de la tradition particulière de chaque « nation » ou de
chaque système philosophique […] ». Q 7, 1, p. 851.
52. Ibid., p. 854.
53. Q 7, 2, p. 854.
54. Q 7, 3, p. 855.
55. Ibidem. Gramsci revient sur ces questions un peu plus tard (courant de l’année 1931),
dans une note du même cahier intitulée « Saggio popolare ». La metafora e il linguaggio (
Quaderni 7, 36) : il y met en évidence deux tendances erronées qui naissent de l’absence de
prise en compte du caractère métaphorique du langage, « 1°) celle des langues fixes ou
universelles ; 2°) les questions posées par Pareto et par les pragmatistes sur le « langage

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 22

comme cause d’erreur » (p. 886-887). L’une comme l’autre visent à évacuer la question de
la traduction : la première en pensant à une langue inventée parlée par tous, la seconde
en voulant créer une langue mathématisable et abstraite. Dans les deux cas, c’est
l’historicité de la langue qui n’est pas prise en compte, le fait que « le langage se
transforme avec la transformation de toute la civilisation et précisément il assume
métaphoriquement les mots des civilisations et des cultures précédentes ».
56. Q 11, 45, p. 1467 (août-décembre 1932).
57. Ibidem. Voir également Q 7, 1 : ce sont précisément les formes naïvement matérialistes
du matérialisme historique que Croce attaquait.
58. Voir dans le Cahier 7 la traduction des Thèses sur Feuerbach procurée par Gramsci lui-
même : A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1, Quaderni di traduzioni (1929-1932), G. Cospito et
G. Francioni éd., Rome, Istituto della Enciclopedia Italiana (Edizione nazionale degli scritti
di Antonio Gramsci), 2007, p. 743-745 (en particulier les deuxième et onzième thèses que
nous traduisons ici en partant de la traduction de Gramsci : « La question <de savoir> si la
pensée humaine possède une vérité objective n’est pas une question théorique, mais
pratique. C’est dans l’activité pratique que l’homme doit démontrer la vérité, c’est-à-dire
la réalité et le pouvoir, le caractère terrestre de sa pensée. La discussion sur la réalité ou
la non réalité d’une pensée qui s’isolerait de la praxis, est une question purement
scolastique » ; « Les philosophes ont seulement interprété le monde de différentes
façons ; il s’agit maintenant de le transformer »).
59. « Ainsi on arrive aussi à l’égalité ou équation entre “philosophie et politique”, entre
pensée et action, c’est-à-dire à une philosophie de la praxis. Tout est politique, même la
philosophie ou les philosophies (voir les notes sur le caractère des idéologies) et la seule
“philosophie” est l’histoire en acte, c’est-à-dire est la vie même. C’est en ce sens qu’on
peut interpréter la thèse du prolétariat allemand héritier de la philosophie classique
allemande – et qu’on peut affirmer que la théorisation et la réalisation de l’hégémonie par
Ilitch [Lénine] ont été aussi un grand événement “métaphysique” ». Q 7, 35, p. 886.
60. Q 8, 208, p. 1066-1067 ; la note est intitulée « Traductibilité réciproque des cultures
nationales ».
61. Dans la version C du même passage, soit la note Q 11, 49 rédigée quelques mois plus
tard, durant l’automne 1932, il ajoutera : « la philosophie doit devenir politique pour
devenir vraie, pour continuer à être une philosophie » [Q 11, 49, p. 1472], ce qui revient à
employer la deuxième thèse pour éclairer la onzième.
62. Q 8, 208, p. 1066 : « Il me semble que ce passage de Hegel est justement la référence
littérale de Marx quand, dans la Sainte Famille, il fait allusion à Proudhon contre Bauer.
Mais il me semble plus important encore comme “source” de la pensée exprimée dans les
Thèses sur Feuerbach selon laquelle les philosophes ont expliqué le monde et qu’il s’agit
désormais de la changer, à savoir que la philosophie doit devenir “politique”, “pratique”,
pour continuer à être philosophie : la “source” pour la théorie de l’unité de la théorie et
de la pratique. »
63. Ibidem.
64. Q 8, 208, p. 1067.
65. Ibid., p. 1066.
66. Q 11, 49, p. 1471.
67. Q 10, II, 6, IV, p. 1245.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 23

68. « Conception subjective de la réalité et philosophie de la praxis. La philosophie de la


praxis “absorbe” la conception subjective de la réalité (l’idéalisme) dans la théorie des
superstructures, elle l’absorbe et l’explique historiquement, c’est-à-dire le “dépasse”, le
réduit à un de ses “moments”. La théorie des superstructures est la traduction en termes
d’historicisme réaliste de la conception subjective de la réalité. » Q 10, II, 6, II, p. 1244.
Pour une analyse de ces passages, voir F. FROSINI, La religione dell’uomo moderno, ouvr. cité,
p. 173-178.
69. F. FROSINI, « Sulla “traducibilità” », art. cité.
70. Q 10, II, 9, p. 1246-1249.
71. « En un certain sens il me semble qu’on pourrait dire que la philosophie de la praxis
est égale à Hegel + David Ricardo. Le problème est initialement à présenter ainsi : les
nouveaux canons méthodologiques introduits par Ricardo dans la science économique
sont-ils à considérer comme des valeurs purement instrumentales (pour se comprendre :
comme un nouveau chapitre de la logique formelle) ou ont-ils eu la signification d’une
innovation philosophique ? La découverte du principe logique formel de la “loi de
tendance”, qui amène à définir scientifiquement les concepts fondamentaux en économie
d’“homo oeconomicus” et de “marché déterminé”, n’a-t-elle pas été aussi une découverte
de valeur gnoséologique ? N’implique-t-elle pas, précisément, une nouvelle “immanence”,
une nouvelle conception de la “nécessité” et de la liberté, etc. ? Il me semble précisément
que la philosophie de la praxis a fait cette traduction quand elle a universalisé les
découvertes de Ricardo en les étendant de façon adéquate à toute l’histoire, donc en en
tirant originellement une nouvelle conception du monde. » Ibid., p. 1249. Pour un
commentaire plus nourri de l’idée qui apparaît dans ces notes du Q 10, selon laquelle la
« nouvelle conception de l’immanence » propre à la pensée de Marx trouverait son
origine philosophique dans la pensée économique de Ricardo, voir F. FROSINI, p. 143-149.
72. A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, A. A. Santucci éd., Palerme, Sellerio, 1996, p. 612-614.
73. Ibid., p. 613-614.
74. Ibid., p. 739.
75. Un exemple avec la note Q 26, 11 : « Dans le langage historico-politique italien, il faut
noter toute une série d’expressions, liées étroitement à la façon traditionnelle de
concevoir l’histoire de la nation et de la culture italienne, qu’il est difficile et parfois
impossible de traduire dans les langues étrangères. Ainsi nous avons le groupe “
Rinascimento”, “Rinascita” (“Rinascenza”, gallicisme), termes qui sont désormais entrés
dans le cercle de la culture européenne et mondiale parce que, si le phénomène indiqué
connut sa plus grande splendeur en Italie, il ne fut cependant pas restreint à l’Italie »,
p. 2306.
76. Q 4, 42, p. 468, voir supra.
77. Q 11, 48, p. 1470.
78. W. VON HUMBOLDT, Sur le caractère national des langues et autres écrits sur le langage,
D. Thouard éd., Paris, Seuil (Points Essais), 2000, p. 35.
79. Ibid, p. 37. Sur le rapport de Gramsci à Humboldt (via Labriola), voir par ailleurs G.
SCHIRRU, « Filosofia del linguaggio, psicologia dei popoli e marxismo. Un dialogo tra
Gramsci e Labriola nel Quaderno 11 », dans Gramsci tra filologia e storiografia. Scritti per
Gianni Francioni, G. Cospito éd., Naples, Bibliopolis, 2010, p. 93-120.

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 24

80. Lettre à Carlo du 28 septembre 1931 : « L’Histoire de Rome, je crois que c’est celle écrite
non seulement par Hartmann mais aussi par Kromayer. Elle est bonne, bien qu’elle ait
vieilli et soit traduite avec les pieds (du moins la première édition). » A. GRAMSCI, Lettere dal
carcere, ouvr. cité, p. 473 ; nous soulignons.
81. « Bestialità insensata », « pacchianerie », lettre à Tania du 26 août 1929 (ibid., p. 280) ;
« corbellerie », « caso di teratologia letteraria », lettre à Tania du 22 septembre 1930 (ibid.,
p. 355).
82. Benjamin définit ainsi la tâche propre du traducteur: « Elle consiste à découvrir
l’intention, visant la langue dans laquelle on traduit, à partir de laquelle on éveille en
cette langue l’écho de l’original ». W. BENJAMIN, « La tâche du traducteur », dans Œuvres 1,
Paris, Gallimard (Folio), 2000, p. 254.
83. F. S CHLEIERMACHER, Des différentes manières du traduire, A. Berman et C. Berner éd.,
Paris, Seuil, 1999, p. 49 et 85.
84. Laboratoire italien, « Traductions politiques », 16, 2015, en particulier l’introduction
« Traductions politiques : l’accueil de l’étranger ».
85. Q 7, 81, p. 913-914 (décembre 1931).
86. Cette expression se trouve dans les notes Q 1, 43 et Q 24, 3 consacrées aux « revues-
type » (p. 33 et 2267).
87. Q 4, 42, p. 469.
88. Sur le rapport avec la question des nationalités qui est alors débattue en URSS, voir le
texte de G. Schirru dans ce numéro de Laboratoire italien, notamment le § 2 : « Politique
linguistique et question nationale en Union Soviétique ».

RÉSUMÉS
Nous partons ici à la recherche du « leitmotiv » traduction-traductibilité en n’oubliant pas que
Gramsci était « un révolutionnaire, un historiciste » et, en même temps, un étudiant bien formé
en linguistique historique à l’université de Turin. Bien avant les années de prison, le point de
départ est le débat sur l’espéranto auquel Gramsci participe en janvier 1918. On peut considérer
l’idée de traduction des langues historiquement déterminées, à laquelle Gramsci donnera par la
suite une grande importance, comme le négatif de tout « espérantisme ». Parallèlement, à partir
de 1919, l’action politique révolutionnaire est toujours plus fréquemment présentée comme une
forme de traduction. La métaphore de la traduction en Occident de l’expérience russe, que
Gramsci présente, dès 1925 comme d’origine léniniste, lui servira cependant dans les Cahiers
comme un outil d’émancipation théorique et politique vis-à-vis de l’expérience russe elle-même.
Au niveau théorique, la pensée de Labriola est une autre des sources importantes de la centralité
de l’idée de traduction. Le texte du marxiste napolitain qui indiquait la nécessité de reformuler le
matérialisme historique en « philosophie de la praxis » insistait aussi sur celle de traduire « les
armes et les façons de la critique » en les adoptant « de pays en pays ». Ce texte est évoqué dans
une des toutes premières Notes de philosophie (Q4, § 3, mai 1930) décisive pour la réflexion sur la
philosophie de la praxis comme traduction réciproque de philosophie et de politique. Cette
réflexion s’appuie sur des textes de Marx (Thèses sur Feuerbach et Sainte famille) et s’approfondit

Laboratoire italien, 18 | 2016


De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 25

en particulier en octobre-novembre 1930, mois cruciaux pour l’ensemble de l’élaboration


politico-théorique des Cahiers. Gramsci repense le marxisme en partant de l’idée de traduction
aussi bien pour combattre les schématismes qui tendent à y voir une division artificielle du réel
entre noumènes économiques et apparences idéologico-politiques (Croce) que pour l’éloigner de
toute réduction dogmatique à une logique abstraite ou à un « espéranto » théorique
(Boukharine).
En 1932 a lieu un nouvel et ultime approfondissement de la notion. Elle permet désormais de
penser la « réduction » de toutes les philosophies « à un moment de la vie historico-politique »
(Q10, II, § 6). Elle devient dès lors décisive pour comprendre le rapport de la philosophie de la
praxis non seulement à la politique française mais aussi à la philosophie classique allemande et à
l’économie de Ricardo. Parallèlement, en 1932 et 1933, dans ses lettres à Giulia et à Tania,
Gramsci explicite sa conception de la tâche proprement politique du traducteur » qui doit
toujours se servir du « langage historiquement déterminé » de la culture qui accueille un texte
étranger.
Au terme du parcours, la traductibilité apparaît comme l’outil conceptuel permettant de penser
l’unité de la théorie et de la pratique qui pour Gramsci est le propre de la pensée de Marx et
fonde la supériorité de la philosophie de la praxis sur toutes les autres philosophies.

In questo saggio partiamo alla ricerca del “leitmotiv” traduzione-traducibilità senza dimenticare
che Gramsci era “un rivoluzionario, uno storicista” e, nello stesso tempo uno studente con una
solida formazione di glottologia all’università di Torino.
Un primo punto di partenza, ben prima degli anni del carcere, è il dibattito sull’esperanto al
quale Gramsci partecipa nel gennaio 1918. Si può considerare, l’idea di traduzione delle lingue
storicamente determinate alla quale Gramsci darà in seguito tanta importanza, come il negativo
di ogni «esperantismo». Parallelamente, a partire dal 1919, l’azione politica rivoluzionaria vien
sempre più spesso presentata come una forma di traduzione. La metafora della «traduzione» in
occidente dell’esperienza russa, che fin dal 1925 Gramsci presenta come prettamente leninista,
gli servirà però nei Quaderni come strumento di emancipazione teorica e politica dalla stessa
esperienza russa.
A livello teorico, il pensiero di Labriola è un’altra delle fonti importanti della centralità dell’idea
di traduzione in Gramsci. Proprio il testo in cui il marxista napoletano indicava la necessità di
riformulare il materialismo storico come «filosofia della praxis» insisteva su quella di tradurre
«le armi e i modi della critica» adattandoli «da paese a paese». Questo testo è evocato in uno dei
primissimi Appunti di filosofia (Q4, § 3, maggio 1930), decisivo per la riflessione sulla filosofia della
praxis come traduzione reciproca di filosofia e politica. Una riflessione che si appoggia ad alcuni
testi di Marx (Tesi su Feuerbach e Sacra famiglia), e che viene poi particolarmente approfondita in
ottobre e novembre 1930, mesi cruciali per l’intera elaborazione politico-teorica dei Quaderni.
Gramsci ripensa il marxismo a partire dall’idea di traduzione sia per combattere gli schematismi
che conducono a vedervi una divisione artificiale del reale tra noumeni economici e apparenze
ideologico-politiche (Croce), sia per allontanarlo da ogni riduzione dogmatica a logica astratta o
esperanto teorico (Bukharin).
L’anno 1932 è quello dell’ulteriore e ultimo approfondimento della nozione. Questa permette
ormai di pensare la «riduzione» di tutte le filosofie «a momento della vita storico-politica» (Q10,
II, § 6). Diventa peraltro decisiva per capire il rapporto della filosofia della praxis non solo alla
politica francese e alla filosofia classica tedesca ma anche all’economia ricardiana.
Parallelamente, sempre nel 1932 e ancora nel 1933, nelle sue lettere a Giulia e Tania, Gramsci
esplicita la sua concezione di quale sia il compito politico del traduttore, che deve sempre servirsi
del «linguaggio storicamente determinato» della civiltà che accoglie un testo straniero. Alla fine
del percorso, la traducibilità appare come lo strumento che consente di pensare l’unità di teoria e

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 26

pratica che, per Gramsci, è il proprio del pensiero di Marx e fonda la superiorità della filosofia
della praxis su ogni altra filosofia.

In this essay we set off on the quest for translation-translatability leitmotiv, remembering that
Gramsci was “a revolutionary, a historicist” and, at the same time, a student with a solid
background in glottology at the University of Turin.
A first starting point, long before the prison years, is the debate on Esperanto, in which Gramsci
took part in January 1918. One may consider the idea of the translation of historically
determined languages, to which Gramsci later gave so much importance, as the negative side of
any “Esperantism”. Parallel to this, as from 1919, revolutionary political action came more and
more to be presented as a form of translation. The metaphor of the “translation” into the West of
the Russian experience, which even in 1925 Gramsci was presenting as typically Leninist, then
however was of use to him in the Notebooks as an instrument for theoretical and political
emancipation from the Russian experience itself.
At the theoretical level, the thought of Labriola was one of the other important sources for the
centrality of the idea of translation in Gramsci. It was exactly the text in which Labriola indicated
the need to reformulate historical materialism as a “philosophy of praxis” that insisted on the
necessity to translate the “arms and methods of criticism” adapting them “from country to
country”. This text, evoked in one of the very first Notes on Philosophy (Q4, §3, May 1930; in
English Prison Notebooks, vol. II, 1996, p. 140; Selections from the Prison Notebooks, 1971, p. 388), is
decisive for Gramsci’s reflection on the philosophy of praxis as the reciprocal translation of
philosophy and politics. This consideration itself is based on certain texts of Marx’s (the Theses on
Feuerbach and the Holy Family), and was developed in a particularly thoroughgoing way in October
and November 1930, months that were crucial for the entire politico-theoretical elaboration of
the Notebooks. Gramsci here rethinks Marxism, beginning from the idea of translation both in
order to combat schematisms leading to an artificial division of the real between economic
noumena and ideologico-political appearances (Croce), and in order to take it away from any
dogmatic reduction to an abstract logic or theoretical Esperantism (Bukharin).
1932 was the year of the further and last detailed development of the notion. This now allowed
him to think the “reduction” of all philosophies to “a moment of historico-political life” (Q10, II,
§6; in English Further Selections from the Prison Notebooks, 1995, p. 306). Moreover, it also became
decisive for an understanding of the relation of the philosophy of praxis not only to French
politics and classical German philosophy, but also to the economics of David Ricardo. In parallel
with this, again in 1932 and also in 1933, in his letters to Julia (Jul’ka) and Tanja, Gramsci makes
explicit his conception of the political task of the translator, who must always make use of the
“historically determined language” (Lettere dal carcere, 1996, p. 613-614; in English Letters from
Prison. Antonio Gramsci, vol. II, 1994, p. 207) of the civilization that adopts a foreign text. In the
end, translatability appears as the instrument that allows one to think the unity of theory and
practice that, for Gramsci, belongs typically to the thought of Marx and which is the foundation
of the superiority of the philosophy of praxis over any other philosophy.

INDEX
Mots-clés : Gramsci Antonio, traduction, traductibilité, Labriola Antonio, marxisme
Keywords : translation, translatability, marxism

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De la traduction à la traductibilité : un outil d’émancipation théorique 27

AUTEURS
ROMAIN DESCENDRE
Professeur d'études italiennes et d’histoire de la pensée politique à l’École normale supérieure de
Lyon et membre honoraire de l’Institut universitaire de France. Il codirige le pôle « Pensée
politique et sciences sociales » de l’Unité mixte de recherche Triangle (CNRS, UMR 5206) et il est
membre du LabEx ‘CoMod’. Ses travaux portent principalement sur l’histoire de la pensée
politique italienne. Derniers ouvrages parus : A politização do mundo, Campinas - São Paulo,
Editora Unicamp, 2015; Giovanni Botero, Della ragion di Stato, edizione critica a cura di P.
Benedittini e R. Descendre, introduzione di R. Descendre, Torino, Einaudi, 2016 ; Id., Delle cause
della grandezza della città, a cura di R. Descendre, Roma, Viella, 2016. Depuis 2012 il anime à l’ENS
de Lyon, avec J.-C. Zancarini, le séminaire « Lire les Cahiers de prison d’Antonio Gramsci ». Il a
dirigé, avec R. Ciavolella et J.-C. Zancarini, le dossier « Antonio Gramsci », Actuel Marx, 57,
premier semestre 2015.

JEAN-CLAUDE ZANCARINI
Professeur émérite d'études italiennes et d’histoire de la pensée politique à l'ENS de Lyon et
traducteur. Il est membre du laboratoire Triangle (CNRS, UMR 5206) et du LabEx COMOD.
Derniers ouvrages parus : Jean-Claude Zancarini, Jean-Louis Fournel, La grammaire de la
République. Langages de la politique chez Francesco Guicciardini (1483-1540), Genève, Droz, 2009 ; 2010,
Jean-Claude Zancarini et Diego Quaglioni [dir.], Laboratoire italien. Politique et société, n° 10,
« Justice et armes au XVIe siècle » ; Jean-Claude Zancarini avec Fournel, Jean-Louis ; Miesse,
Hélène ; Moreno, Paola, Catégories et mots de la politique à la Renaissance italienne = Categorie e termini
della politica nel Rinascimento italiano, P. Lang, 2014 ; direction du numéro « Traductions
politiques », Laboratoire italien, n° 16, 2015.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio


Novecento. Intersezioni con il pragmatismo
italiano e europeo
Antonio Gramsci et les avant-gardes du début du XXe siècle. Croisements avec le
pragmatisme italien et européen
Antonio Gramsci and the avant-garde of the early twentieth century.
Intersections with Italian and European pragmatism

Chiara Meta

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1057 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Chiara Meta, « Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pragmatismo
italiano e europeo », Laboratoire italien [Online], 18 | 2016, Messo online il 06 dicembre 2016, consultato
il 12 dicembre 2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1057

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 1

Antonio Gramsci e le avanguardie di


inizio Novecento. Intersezioni con il
pragmatismo italiano e europeo
Antonio Gramsci et les avant-gardes du début du XXe siècle. Croisements avec le
pragmatisme italien et européen
Antonio Gramsci and the avant-garde of the early twentieth century.
Intersections with Italian and European pragmatism

Chiara Meta

L’“antigiolittismo” del giovane Gramsci


1 Uno degli effetti più importanti della stagione pragmatista italiana fu il tentativo di
sprovincializzare la cultura nazionale anche e soprattutto traducendo e immettendo nel
dibattito filosofico testi e autori provenienti dalla cultura angloamericana ed europea. Le
contaminazioni e la circolazione di testi e autori furono molte. Ad esempio
l’empiriocriticismo di Ernst Mach interagì con la logica di Peirce, mentre l’intuizionismo
di Bergson e la filosofia dell’azione di Sorel furono profondamente influenzate
dall’empirismo radicale di James1. In particolare i Principi di psicologia fecero da
riferimento a tutti coloro che intendevano sia mettere in discussione la riduzione del
mentale ai processi fisici del cervello, e pertanto sottrarre la fisiologia al dominio della
fisica meccanica, sia sgombrare il campo da ogni residuo spiritualistico e dualistico 2.
2 Un altro fronte di contatto con la cultura europea è l’interesse che suscita sui giovani
animatori del «Leonardo», Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, l’epistemologia post-
positivistica francese, attraverso la quale veniva respinto ogni monismo come ipotesi
regolativa dello sviluppo delle scienze diffusosi nella filosofia ottocentesca, soprattutto
attraverso l’evoluzionismo di Spencer. Su questo punto torneremo a proposito della
possibile influenza su Gramsci.

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 2

3 Ciò che in questa ricognizione va anche tenuto presente è il fatto che l’esigenza di
impegno che tutte le riviste d’avanguardia mostrarono, ivi compresa la vicenda del
«Leonardo», anche con tutte le intemperanze che lo differenziarono dalla più meditata
stagione vociana, era nata proprio dalla coscienza della nuova funzione che gli
intellettuali avrebbero potuto avere nella società. In particolare «i giovani si muovevano
come un’avanguardia intellettuale borghese, sul piano letterario e artistico (per
distruggere i vecchi schemi della cultura positivistica e trovare nuovi canoni espressivi),
sia su quello politico (per indicare nuove vie alla borghesia italiana, per spronarla ad una
politica più audace e aggressiva)»3.
4 In relazione alla formazione di Gramsci, è importante mettere in luce il modo in cui egli
entrò in contatto con questo clima culturale e come questo entrò in gioco
nell’elaborazione di alcuni suoi concetti, in particolare il suo antideterminismo. Il nostro
punto d’osservazione riguarda in particolar modo il biennio 1916-1918. In seguito,
l’incontro con la rivoluzione bolscevica e Lenin apriranno nuovi orizzonti, determinando
anche una svolta nell’itinerario teorico del socialista sardo. Certo, com’è stato
opportunamente sottolineato, «il leninismo non sradica Gramsci dal terreno sul quale era
fin lì venuta crescendo e maturando la sua posizione»; anzi l’incontro con Lenin, forse, si
rende possibile e sarà così fruttuoso proprio grazie al quel percorso di formazione
giovanile che lo ha visto confrontarsi con diversi autori e problemi senza mai perdersi in
un’eterogenea molteplicità di fonti, ma arrivando a quella sintesi originale «che è il vero
statuto del suo socialismo fino alla conclusione della guerra»4.
5 In uno dei suoi primi articoli apparsi nel 1916 sulle colonne della pagina torinese dell’
«Avanti!», egli sottolinea l’enorme contributo apportato da «La Voce» di Papini e
Prezzolini «nel cercare di svecchiare e di isnellire la cultura italiana accademica e in gran
parte vaniloquente»5. Il tema che più caratterizza la prossimità di Gramsci a un
movimento come quello de «La Voce» è rappresentato dall’insistente requisitoria
antipositivistica, la quale viene profilando molte delle posizioni che, in Gramsci,
resteranno anche in seguito prevalenti6. Di qui l’aspra polemica di Gramsci contro un
economista come Achille Loria. Nell’articolo del 16 dicembre 1915, apparso sulla pagina
torinese dell’«Avanti!», dal titolo Pietà per la scienza del prof. Loria, egli accusa l’economista 7
di aver operato indebiti accostamenti riduzionistici tra le varie discipline, allo scopo di
formalizzare un discorso di metodo generale sulla scienza. Tali metodi, lungi dall’essere
espressione di mentalità scientifica e rigore argomentativo, non sono altro che volgari
generalizzazioni fatte sulla base di arbitrarie e non provate comparazioni, come quella
stabilita tra «misticismo e sifilide»8.
6 Gramsci inoltre non dimentica di sottolineare come le presunte scoperte di Loria,
presentate al mondo come eventi rivelatori, soprattutto quelle riguardanti il
materialismo storico, non abbiano fatto altro che suscitare le risa di molti, tra i quali
Friedrich Engels – che nella prefazione al terzo volume del Capitale di Marx accusa Loria di
“ciarlataneria” – e in Italia di Labriola e Croce. Nel tentativo di tracciare un quadro dello
studioso, definito «pseudo scienziato», Gramsci si rifà a quanto Croce di lui scrive in
Materialismo storico ed economia marxista. Per Croce, Loria era stato fin troppo sovrastimato
dal mondo scientifico e universitario. Concordando con questo giudizio Gramsci afferma
che «Loria è ancora per molti proletari un santone»; eppure «non è preso più sul serio da
nessuno»9. Egli ha plagiato banalmente le idee di Marx, e se ne è eretto a sommo
interprete, «lui studioso mediocre, incapace di seguire il corso della storia, di cogliere le

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 3

distinzioni nel loro molteplice apparire, si appella scienziato»10, ma non è altro che un
rozzo meccanicista nutrito di evoluzionismo volgare.
7 In un articolo del 19 ottobre 1918, apparso sull’«Avanti!», Gramsci non esita a collocare
sotto il segno del positivismo anche il nazionalismo dell’Action française, congiungendo
Alphonse Daudet e Charles Maurras a Comte e Hyppolite Taine, e prendendo le difese di
Bergson e della sua critica dello scientismo. Il positivismo, infatti, «da pura continuazione
e sistemazione logica del metodo sperimentale e positivo di ricerca nelle scienze, come
sarebbe dovuto essere», è divenuto «una dottrina dell’essere e della conoscenza»,
snaturandosi in una «metafisica e una mistica»11.
8 Da questa più generale riduzione unitaria della spiegazione del reale, la quale ripropone
in termini materialistici i temi classici della trascendenza e della teleologia, si
determinano gli «pseudo-concetti di razza, gerarchia, eredità» e la visione della società
strutturata alla stregua di un organismo naturale, «governato nella sua evoluzione, da
leggi fisse, definibili esattamente e rigidamente rintracciabili col metodo sperimentale» 12.
Dall’evoluzionismo positivista discendono così il meccanicismo e il naturalismo, ovvero
una naturalizzazione della storia che si traduce in un epifenomenismo riduzionistico che
espunge l’attività umana dall’osservazione e descrizione dei fenomeni. In questo modo
l’antropologia corre il rischio di essere riassunta dal discorso biologico, in un orizzonte in
cui non c’è posto per la scelta morale e la libertà, ma solamente per la necessità naturale.
Al contrario, per il materialismo storico i concetti naturali di razza, sangue, eredità, di
ordine intangibile e definitivo, sono espressioni infantili, senza giustificazione; la storia è
sempre produzione umana, dell’umanità che si scinde in classi e ceti, dei quali volta a
volta uno è predominante e dirige la società ai suoi fini, combattuto da chi tende ad
affermarsi e a sostituirsi nella direzione; non evoluzione, quindi, ma sostituzione, della
quale è mezzo necessario la forza consapevole e disciplinata. Lo stesso metodo
sperimentale e positivo, proprio delle scienze naturali, viene integrato dal materialismo
storico per quanto riguarda gli accadimenti umani e i fenomeni sociali. Di conseguenza
non può essere associato al positivismo filosofico che ne rappresenta un’interpretazione
riduttiva e incompleta13.
9 L’intersezione di tematiche provenienti dalla cultura delle riviste (sul rapporto con
Bergson e James torneremo più avanti), presenti in questi scritti, ci permette di ragionare
intorno a un fatto significativo. Se è vero che le correnti intellettuali italiane primo-
novecentesche concorsero ad arricchire la biografia intellettuale di Gramsci, questo
rapporto misura al contempo, nel progressivo differenziarsi e contrapporsi delle
posizioni culturali, le tappe della sua evoluzione politica. È preziosa, a questo proposito, la
testimonianza di Palmiro Togliatti, il quale ha sottolineato, in più occasioni, come la
formazione di Gramsci fosse profondamente diversa da quella dei vecchi esponenti del
movimento socialista e come in lui trasparisse un’interpretazione del socialismo
«storicamente concreto», profondamente radicato nel contesto nazionale, capace di far
propria la critica della vecchia società italiana uscita dal Risorgimento, che era stata
formulata dagli elementi più avanzati non soltanto della corrente socialista, ma di tutte le
correnti liberali e democratiche14. La sua visione complessa della realtà confermava a
Togliatti il fatto che Gramsci non provenisse «dal positivismo […] piuttosto dagli studi
filologici e filosofici e la sua formazione mentale era soprattutto paragonabile a quella dei
grandi fondatori del pensiero marxista; proveniva piuttosto dalla filosofia hegeliana» 15.
10 Non risulterebbe però altrettanto comprensibile capire quanto quella stagione della
cultura italiana influì su tutta una generazione di giovani socialisti, in primis Gramsci e

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 4

Togliatti, se non la si mettesse in relazione con la cultura della Torino dove i due si
formarono16. Soprattutto perché proprio in quegli anni si verificò una convergenza
d’intenti – si potrebbe dire – fra l’insegnamento di alcuni dei maestri dell’università
torinese (tra i quali figurano Arturo Farinelli, Arturo Graf, Umberto Cosmo, Francesco
Ruffini, Luigi Einaudi e non in ultimo Matteo G. Bartoli) e la cultura delle riviste
fiorentine. «Gli elementi di questo raccordo erano sostanzialmente due, il liberismo» (il
liberismo di Einaudi affine alla battaglia che Salvemini conduceva dalla “Voce” contro la
politica protezionista del blocco giolittiano) e «l’idealismo che tentava di superare il
vuoto ideale prodotto dalla crisi del positivismo»17.
11 Tuttavia, a partire dal 1917, Gramsci inizia a servirsi della cultura antigiolittiana in modo
più circostanziato, in particolare per quanto riguarda il tema della critica al riformismo
socialista. Su questo punto le differenze saranno notevoli. Per gli interpreti della stagione
delle riviste, la polemica nei confronti del positivismo aveva come risvolto politico la
critica all’Italia “legale” rappresentata dal giolittismo e il principio di rappresentanza
sociale di cui quella cultura si faceva promotrice. Alla critica del positivismo fu quasi
sempre associata la critica del socialismo, della democrazia, di ogni specie di radicalismo
politico: «non è un caso che fossero antipositivisti e insieme antidemocratici, tanto Croce
quanto Papini, tanto Pareto quanto Corradini»18. Ma proprio quell’esigenza dell’unità
“apolitica” degli intellettuali, esemplificata mirabilmente dall’intellettuale vociano, che si
traduceva in una sorta di corporativismo elitario, era destinata – dinnanzi alla Prima
guerra mondiale – a sgretolarsi.
12 In Gramsci, invece, da subito l’obiettivo polemico verso Giolitti ha un significato
completamente diverso: la critica è rivolta a quell’attendismo proprio della politica del
blocco protezionista industriale-agrario (in cui convergono l’alleanza degli industriali del
Nord e dei latifondisti del Sud uniti alle aristocrazie operaie egemonizzate dall’ideologia
del socialismo riformista) al fine di avviare un percorso che non solo incrementi la
democratizzazione del paese, ma coinvolga nei processi partecipativi ed emancipativi
della politica sempre più larghi strati della popolazione, specie le masse di contadini
poveri.
13 In questa polemica egli si servì appunto delle teorie liberali e antiprotezioniste. Il
liberalismo cui guarda Gramsci in un primo momento, e che influenza anche la sua
visione del socialismo, è l’espressione della positiva capacità di autonomia e
autodeterminazione, «stimolo all’attività e alla produzione»; per questo esso è sempre
associato «all’immagine di un capitalismo compiutamente dispiegato» di tipo inglese,
«libero da sopravvivenze feudali»19. Ma questa consonanza si spezza proprio con la
guerra, quando avviene una forte accelerazione della maturazione del pensiero politico di
Gramsci. Se è vero, infatti, che la guerra rappresenta «il luogo storico della formazione
del pensiero politico di Antonio Gramsci e della sua visione del mondo»20, di
fondamentale importanza sarà capire il modo in cui il suo approccio va cambiando, in
rifermento al tentativo di elaborare strumenti di comprensione adeguati, capaci di
intercettare i ritmi e le accelerazioni che la modernizzazione della società imposta dalla
guerra stava attuando, specie «individuando le forme politiche e le modalità psicologiche
e antropologiche in grado di comprendere i cambiamenti»21.
14 È in questo contesto che matura in Gramsci una presa di distanza dal moralismo
apartitico dei “vociani”. Laddove gli intellettuali vociani avevano confidato in una
missione educativa degli uomini di cultura, prevedendo per il loro operare a contatto con
la politica uno spazio «separato e superiore rispetto alla trama concreta della lotta

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 5

politica organizzata», Gramsci individua come promotore e strumento «del rinnovamento


del carattere nazionale un partito politico», il partito politico della classe operaia, al quale
sin dai suoi primi scritti «assegna obiettivi di trasformazione che vanno oltre la sfera
economico-sociale o l’avvento di una nuova direzione politica alla guida del paese» 22.
15 Negli anni della Grande guerra Gramsci accentua la sua opposizione al neutralismo del
PSI, cominciando ad elaborare quella prospettiva rivoluzionaria espressa nel rifiuto della
solidarietà interclassista e nella valorizzazione della lotta di classe, di cui, interprete il
partito, riesce a farsi carico dell’interesse nazionale, come risposta ad una borghesia «che
ha condotto la nazione in un vicolo cieco»23. La polemica contro il riformismo socialista si
trasforma in questo modo in una critica nei confronti del suo attendismo inconcludente.
Per Gramsci «vissuta in comunione con la borghesia, la neutralità socialista paralizza le
energie del proletariato»24, ridotto a passivo spettatore degli eventi; se invece il
proletariato avrà modo di presentarsi al paese come forza alternativa ad una borghesia
finalmente decisa ad affrontare la prova della guerra, la sua neutralità potrà divenire
«attiva ed operante»25. Di qui l’identificazione della passività del riformismo socialista con
il neutralismo espresso dal blocco giolittiano.

L’intersezione con l’epistemologia pragmatista:


previsione e antideterminismo
16 Con il 1917 la polemica antipositivistica assume in Gramsci un significato eminentemente
politico: «assieme alla metafisica dell’evoluzione, si vuole battere in breccia la
giustificazione dell’inerzia storica del proletariato, la teorizzazione del suo stato
subalterno»26. Se la guerra infatti ha posto in essere una straordinaria accelerazione dei
meccanismi della contraddizione sociale, essa ha pure permesso la fuoriuscita dalla
passività di masse crescenti di uomini, accrescendone la maturazione politica. La
questione è, in questo momento, per Gramsci la formazione di una volontà collettiva,
intesa come anello decisivo, accanto ai presupposti materiali del capitalismo sviluppato,
della rivoluzione in Occidente. Decisiva diviene così la questione relativa alla modalità di
edificazione su basi morali e spirituali nuove dello Stato socialista, sull’esempio offerto
dall’Ottobre sovietico.
17 Attraverso un diverso concetto di previsione elaborato per l’analisi dei fatti umani, che
Gramsci in parte mutua dai dibattiti svoltisi nell’ambito delle riflessioni dei pragmatisti
italiani, e la cui riformulazione risente della gentiliana rivalutazione del nucleo filosofico
del marxismo, egli giunge a tematizzare un concetto di prassi intesa come volontà
collettiva organizzata e, a questa collegata, una nozione di ideologia di carattere storico-
operativo, che risente di forti echi labriolani. L’ideologia non può essere ridotta a mero
strumento utilitaristico per governare le moltitudini, come i teorici dell’elitismo (Mosca e
Pareto) avevano sostenuto. Essa esprime sempre quella raggiunta consapevolezza morale
e intellettuale legata all’agire collettivo, che è capace di aggregare la classe ancora
atomizzata dei lavoratori. Questo elemento, ignorato dalla tradizione del socialismo
riformista, era stato invece colto dall’idealismo crociano, al quale per questo aspetto
attinge il giovane Gramsci, in particolare per quella visione dell’idealismo come
«coscienza religiosa che è insieme coscienza filosofica»27 e che si serviva, per rafforzare
questo concetto, della nozione soreliana di “mito”, avanzata in relazione alla revisione del
marxismo.

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18 In particolare, utilizzando un James letto in chiave attivistica, Sorel ha in mente la


fondazione di una nuova metafisica che rompa la stasi della tradizione speculativa, dando
credito solo a ciò che è in grado di funzionare, di produrre effetti, al di là del vero e del
falso. In questo contesto, il mito è lo strumento adeguato all’azione diretta e violenta
delle masse. Esso tende alla distruzione creatrice dell’esistente e alla formazione di
un’aristocrazia dei produttori forgiati dalla lotta e provvisti di rigorosa moralità 28.
19 Ciò che ai fini del nostro discorso è importante evidenziare ora è il fatto che in questo
complesso di fonti – Croce, Sorel, Labriola – Gramsci tenta, soprattutto a partire dal 1917,
di isolare un percorso di critica antirevisionistica del marxismo. Questa istanza diventa
perfettamente visibile negli articoli contenuti nel numero unico «La Città futura»29.
20 I testi in esso contenuti rendono esplicito il nesso ormai individuato da Gramsci come
fondamento del carattere rivoluzionario del marxismo, ovvero l’intreccio esistente tra
ideologia e organizzazione politica. Questo nesso diventa visibile nella questione
epistemologica della previsione. A questo proposito la nostra posizione è che Gramsci,
nell’intento di elaborare un modello storicistico e antideterministico di previsione dei
fatti sociali, assimila la terminologia pragmatista per acquisire quelle armi teoriche
sufficienti a contrastare sia il riduzionismo materialista e positivista (che assimila la
previsione storica a quella in uso nelle scienze fisiche), sia lo storicismo crociano. Su
quest’aspetto va specificato come fosse stato Croce a sostenere che la previsione che
regola l’universo dei fatti umani non poteva compiersi sullo standard della previsione
fisica: in quel caso infatti si tratta di «schemi mnemonici, desunti da giudizi storici» 30.
21 Gramsci condivide con Croce la critica al riduzionismo scientista. Ciò nonostante egli
considera necessaria l’individuazione di una metodologia dell’azione rivoluzionaria con
poteri predittivi, la quale si ponga come critica del rapporto soggetto-oggetto dal punto di
vista della liberazione delle competenze attive del soggetto proletario collettivo. Nei testi
de La Città futura egli parla di un marxismo che, pur non identificandosi con una filosofia
della storia, non rinuncia, in virtù del carattere sempre “rivedibile” delle sue tesi, a essere
guida per l’azione politica.
22 Nella teoria marxista, infatti, la previsione ha un valore fondativo per l’azione, ma non
predittivo in senso epistemico, perché il principio di causa che la governa non è
assimilabile al modello della causalità che regna nell’universo fisico, come Gramsci
argomenta in un articolo de La Città futura 31. Per il materialismo storico, scrive, la
previsione ha un valore pratico-strategico: l’uomo ha bisogno infatti «per operare, di
poter almeno in parte prevedere», ma ciò non può corrispondere alla previsione di un
fatto singolo, o di una serie di fatti singoli, «può essere solo un’idea o un principio
morale»32. Il difetto organico delle utopie è tutto qui: «credere che la previsione possa
essere previsione di fatti, mentre essa può solo esserlo di principi, o di massime
giuridiche»33.
23 In un altro articolo de «La Città futura», Margini, Gramsci critica aspramente il modello di
conoscenza proposto dall’epistemologia positivista. Riferendosi a uno scritto di Croce
dove si sosteneva che il socialismo era morto nel momento stesso in cui «è stato
dimostrato che la società futura che i socialisti dicevano di star creando era solo un mito
buono per le folle»34, Gramsci, pur ammettendo che si trattava di un mito, sostiene che
l’auspicio di una sua dissoluzione in quel momento era necessario. Inoltre ritiene che il
raggiungimento di questa società modello, cui si riferisce Croce, fosse un postulato del
positivismo filosofico, non del marxismo filosoficamente inteso35. Gramsci, in sostanza,

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assegna la previsione a un campo diverso da quello delle regolarità fisiche: un universo


pratico, che viene però affrancato dalla riduttiva concezione crociana della pratica.
24 È in merito a queste considerazioni svolte negli articoli de La Città futura che secondo la
nostra ipotesi ha agito in Gramsci quella contaminazione di concetti e terminologie
provenienti dalla cultura pragmatista, cui abbiamo fatto riferimento. È possibile infatti
ipotizzare che nell’elaborare una visione antideterministica dell’azione Gramsci si sia
servito di argomenti propri di quel dibattito che intorno al fondazionalismo epistemico
era stata portata avanti da quella parte della cultura che si opponeva alla metafisica
positivista. In particolare, su questo argomento, all’inizio del secolo le pagine del
«Leonardo» avevano ospitato un ricco scambio di idee tra Papini e Vailati – e che a sua
volta aveva fatto proprie tematiche allora in circolazione nel panorama filosofico europeo
36.

25 L’utilizzo di queste due direttrici – marxismo filosofico e teoria della previsione –


consentono a Gramsci di guardare ad una risoluzione positiva del problema dello Stato su
cui sia la tradizione del sindacalismo rivoluzionario, sia quella della Seconda
internazionale si erano arenate: lo spontaneismo dell’una e il determinismo dell’altra
avevano lasciato “in sospeso” la questione della costruzione della statualità socialista, il
cui esempio storico è offerto ora dalla rivoluzione russa.
26 Nelle vicende storiche, argomenta Gramsci in un articolo il cui tema centrale è la
Rivoluzione bolscevica, i fatti oltrepassano e a volte sconfessano le ideologie 37. In
particolare, nella rivoluzione russa, la classe operaia ha abbandonato la fase primitiva,
fatalistica, ferma al sindacalismo, e ha elaborato la teoria dell’egemonia, la volontà attiva,
la previsione morfologica razionale e il controllo sui meccanismi produttivi e sociali.
27 Valorizzando il piano sovrastrutturale (anche attraverso Labriola) e applicando la lettura
di Bergson e James (entrambi avevano rivendicato per il singolo uno spazio di libertà
proprio della coscienza che compenetra e organizza gli eventi, che pure si muovono in un
universo di necessità e ordine), Gramsci vede nella volontà collettiva organizzata lo
spazio aperto di una possibilità di costruzione ed edificazione: la storia è opera umana,
nel senso che ad eventi sconnessi l’uomo conferisce un senso. Inoltre, scrive Gramsci, se è
vero che i bolscevichi hanno “rinnegato-superato” alcune affermazioni del Capitale di
Marx, essi non ne hanno «rinnegato il pensiero immanente, vivificatore»38. «I bolsceviki
non hanno fatto del marxismo una pedagogia dogmatica e indiscutibile»39, perché hanno
una visione storicistica del processo storico. Essi hanno mostrato che «la libertà è la forza
immanente della storia, che fa scoppiare ogni schema prestabilito». Essi vivono «il
pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero
idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni
positivistiche e naturalistiche»40.
28 In un altro articolo che ha sempre al centro le vicende della rivoluzione russa Gramsci
scrive come sia «necessario che intervengano altri fattori» nella spiegazione dei fatti
appunto, e questi devono essere «fattori spirituali». È necessario che «il fatto
rivoluzionario si dimostri, oltre che fenomeno di potenza, anche fenomeno di costume» 41.
La rivoluzione russa, prosegue, è infatti «oltre che un fatto, un atto proletario», essa «ha
ignorato il giacobinismo»42. Mentre la rivoluzione francese giacobina, in quanto
espressione dell’interesse individualistico di classe, non ha fatto altro che sostituire la
vecchia autocrazia con una nuova autocrazia, «la rivoluzione russa ha distrutto
l’autoritarismo e gli ha sostituito il suffragio universale, estendendolo anche alle donne.

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All’autoritarismo ha sostituito la libertà, alla costituzione ha sostituito la libera voce della


coscienza universale»43.
29 È stato sottolineato come Gramsci legga, in questa fase, la rivoluzione russa alla stregua di
Sorel come una rivoluzione post-democratica44, instauratrice non solo di nuovi costumi
ma anche come rottura con la tradizione democratica, parlamentare e rappresentativa. In
quanto «fenomeno puramente borghese» il giacobinismo, infatti, «serve gli interessi
particolaristici […] e la borghesia impone la sua forza e le sue idee non solo alla casta
predominante, ma anche al popolo che essa si accinge a dominare»45. I rivoluzionari russi
invece «non sono giacobini» perché «essi pongono un ideale che non può essere soltanto
di pochi»46.

L’intersezione con la psicologia pragmatista


30 Alla luce delle considerazioni finora svolte è emerso come, proprio in relazione alla sua
complessità, la formazione intellettuale del giovane Gramsci non possa essere totalmente
inscritta all’interno della tradizione marxista. Ciò riguarda in particolar modo la
convinzione che la soggettività non vada considerata come un elemento presupposto
all’indagine sociale, in quanto i processi psicologici dei singoli si intrecciano senza mai
“ridursi” ai processi storici collettivi. Questo dato, oltre a rappresentare una critica nei
confronti del marxismo economicistico, è altresì confrontabile con quella visione
dinamico-relazionale della soggettività di cui la filosofia pragmatista, a partire dal rifiuto
della metafisica classica e dell’essenzialismo filosofico di matrice cartesiana, si fa
interprete.
31 È molto probabile che anche grazie alla mediazione di Valentino Annibale Pastore,
professore di filosofia teoretica all’Università di Torino, che questi possa essere venuto a
contatto non solo con un’interpretazione antideterminista del marxismo, ma anche con
tutta una terminologia appartenente alla revisione post-positivistica dell’epistemologia
francese, nella quale Pastore si destreggiava abilmente e di cui rimane traccia nel
vocabolario gramsciano, ad esempio nell’uso delle «idee-forza» di A. Fouillée 47. Su questo
punto, di particolare interesse risulta una dichiarazione di Pastore circa l’interesse
mostrato da Gramsci nel voler comprendere come «le idee divengano forze pratiche,
concretamente operanti nella storia, quindi come fa il pensiero ad agire»48 . È possibile
che, anche tramite l’utilizzo di alcuni strumenti offerti dalla teoresi pastoriana 49, Gramsci
sia stato in grado di capire meglio quel vincolo esistente tra classificazione sincronica e
storicismo assoluto. In particolare, Pastore guardava a Fouillée, cui egli faceva
riferimento nel corso di filosofia teoretica frequentato da Gramsci nel 1915-1916 50 .
32 Il concetto di idea-forza del filosofo francese che tanto affascinò Gramsci rappresenta il
punto di contatto tra il fisico e lo psichico o spirituale, l’esterno e l’interno: l’idea è cioè
sempre anche una volizione, una forza e pensare altro non è che volere, sviluppare
un’energia. Tradotto in termini gramsciani, l’idea-forza è il punto di contatto tra idea e
pratica: il luogo in cui si fa azione e vita51. Più in generale, nell’uso di un linguaggio
“vitalistico” da parte di Gramsci, e nel suo rapporto con una certa tradizione della
filosofia francese, riemerge quel rapporto con Bergson di cui già si è detto. Gramsci si
richiama alla teoria bergsoniana dell’intuizione come capacità di cogliere l’ordre vital 52. In
particolare, il filosofo francese aveva mostrato bene come i processi che coinvolgono gli
esseri viventi non possono essere ridotti unicamente ai principi della scienza
meccanicistica, la quale prevede i fenomeni sulla base dell’uniformità e della regolarità

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degli eventi53. Ma al contempo, l’attenzione precoce mostrata dal giovane sardo nei
confronti delle dinamiche psichiche degli esseri umani fa pensare ad un preciso contatto
con la psicologia anche di ascendenza pragmatista che viene diffusa all’inizio del secolo
dalle avanguardie fiorentine.
33 Potremmo chiederci in particolare quanto la psicologia di James possa aver influito sul
linguaggio del giovane Gramsci, nello specifico per quella visione anti-intuizionistica del
soggetto che, prima con Peirce nella valorizzazione della linguisticità del pensiero, poi
con James e i suoi Principi di psicologia, può essere confrontata con il marxismo di Gramsci
soprattutto per l’attenzione che egli riserva al “movimento molecolare”
dell’intrapsichico.
34 Pur sapendo che solo in una lettera del 29 marzo 1929 alla cognata Tatiana Schucht,
Gramsci farà esplicito riferimento a James, definendo i suoi Principi di psicologia «il miglior
manuale di psicologia»54, abbiamo comunque sufficienti indizi per sostenere che il
pragmatista americano possa essere un riferimento anche giovanile. Si pensi, intanto, al
grande influsso che James esercitò su Bergson55, autore più volte citato da Gramsci56.
Bergson, pur ammettendo, a differenza dell’empirismo radicale jamesiano, la necessità di
continuare a distinguere l’anima dal corpo, riconosce la necessità di andare oltre il
vecchio dualismo sostanzialistico, in quanto l’unità dell’io è una condizione “funzionale”
della coscienza che contrae il ricordo del passato in vista dell’utilizzo necessario
all’azione (la memoria non è un deposito e la mente attiva solo quei ricordi funzionali alla
resa)57.
35 Negli articoli in cui affronta tematiche relative alle dinamiche evolutive e allo sviluppo
mentale della persona, Gramsci instaura uno stretto legame tra psicologia e conoscenza,
ovvero tra processi cognitivi e processi psicologici di apprendimento. Tali questioni erano
state dibattute già in precedenza nella cultura italiana soprattutto in occasione delle
traduzioni e pubblicazioni delle opere di James, avvenute nel primo decennio del
Novecento, dai Principi di psicologia tradotti dallo psicologo Giulio Cesare Ferrari,
interlocutore importante sia di Papini sia di Vailati, a opere di carattere più nettamente
pedagogico, come Gli ideali della vita. In alcuni articoli del biennio 1916-18, Gramsci si
interessa dei processi riguardanti la conoscenza umana. Quest’ultima, lungi dal
configurarsi come una modalità passiva di ricezioni di informazioni e concetti, si
caratterizza come processo di auto-educazione volto all’emancipazione e all’autonomia
della persona. Essa deve rendere possibile la costruzione attiva della personalità in una
dialettica costante con il mondo storico circostante, abbattendo sia i progetti di tutela
paternalistica esercitati dalla tradizione, sia il tentativo proprio delle istituzioni religiose
di organizzare, a vario titolo, i percorsi formativi degli individui.
36 In questa chiave interpretativa andrebbero riletti molti articoli anteriori al 1920, nei quali
Gramsci affronta i problemi dell’educazione, della scuola e della cultura popolare,
impostando una critica severa al “positivismo delle nozioni”: a suo dire infatti la cultura è
sempre e solo processo attivo di liberazione, sviluppo armonico delle capacità umane. In
un celeberrimo articolo apparso sulle colonne del «Grido del popolo» il 29 gennaio 1916
dal titolo Socialismo e cultura, prendendo spunto da due frammenti letterari – il primo di
Novalis e il secondo tratto dalla Scienza Nuova di Vico – egli focalizza bene il suo modo di
intendere il processo formativo. Occorre smettere di concepire la cultura come sapere
enciclopedico e la mente umana come se fosse un “recipiente vuoto” da riempire di
informazioni e concetti: «di fatti brutti e sconnessi che ognuno poi dovrà casellare nel suo

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cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai
vari stimoli del mondo esterno»58.
37 Per Gramsci infatti «formazione» non coincide automaticamente con cultura, intesa come
processo “meccanico” di “acculturazione”, bensì con consapevolezza che non potendosi
formare «sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche»59, richiede una conquista
faticosa di una coscienza superiore, che sappia collocare la propria personalità nel
contesto circostante, comprendendone il valore storico, la funzione nella vita, costituita
da diritti e doveri. Egli sostiene inoltre che il modo enciclopedico e dogmatico di
intendere il processo conoscitivo risulta ancora più dannoso per il proletariato, in quanto
«serve solo a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore, così bene fustigato a
sangue da Romain Rolland»60. Il proletariato perciò non deve identificare la cultura con la
pedanteria, piuttosto esso deve tendere a conservare un legame stretto con l’azione
storica modificatrice che la cultura, intesa come progresso morale, produce.
38 Centrale risulta l’idea che sia necessario uno sviluppo armonico delle facoltà umane:
senza di esso la psiche può incorrere in fenomeni morbosi. In un articolo dell’agosto 1916
dal titolo Melanconie, parlando del valore sociale del teatro – contro l’opinione comune
che crede sia solo fonte di svago – Gramsci rivendica la necessità di luoghi capaci di far
ricreare le energie mentali di tutti coloro che «dopo una giornata di lavoro febbrile e
pesante […] sentono il bisogno di un’occupazione cerebrale che completi la vita, che non
riduca l’esistenza a un puro esercizio di forze muscolari»61. Da qui egli estende il suo
ragionamento alla riflessione sulla necessità di considerare l’arte in genere uno
strumento fondamentale per lo sviluppo di tutta la personalità umana, in quanto
«accanto all’attività economica, pratica, e all’attività conoscitiva, che ci rende curiosi
degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività
estetica»62.
39 Sulla degenerazione perversa in cui la psiche umana può incorrere se non sviluppa
equilibratamente le proprie potenzialità creative, Gramsci torna ancora in altre occasioni:
in particolare in un articolo del maggio 1918 dal titolo Cocaina. Prendendo spunto dalla
vicenda della chiusura di un noto locale di Torino, il Mogol, per ordine del questore, a
causa della circolazione di sostanze stupefacenti, egli critica un simile atteggiamento
meramente legalitario, in quanto, scrive, «non è la legge che farà scomparire il vizio»;
questo infatti «è un portato necessario della civiltà moderna», esteriorizzata, «che ha per
base il lavoro, ma degli altri»63, e non sarà certo un decreto governativo che ne eliminerà
gli effetti.
40 Dal momento che nella società contemporanea la meccanizzazione dei processi lavorativi
ha di fatto intriso di sé tutta l’organizzazione della vita associata, e le relazioni umane
sono sempre più regolate dall’etica utilitaristica dello scambio, si formano «queste
schiume putride, senza fini, senza morale, senza storia»64 anelanti a forme di
trasgressione le quali spacciano per opposizione un velleitario ribellismo esteriore che
non sa tradursi in concreta organizzazione politica in grado di individuare forme
alternative di costruzione di relazioni umane, ispirate alla solidarietà e alla cooperazione.
Per questi individui, argomenta ancora Gramsci nel medesimo articolo, la vita non è altro
che «animalità corporea, godimento dei sensi, meccanicità nervosa e muscolare» 65. E il
lavoro, lungi dall’essere centro propulsivo di espansione della personalità, attività
realizzatrice, diviene prassi alienante, non essendo «un fine morale, ma unicamente
attività esteriore». Ma si badi bene – osserva ancora – promuovere nuovi valori non
significa «fabbricare fini morali ad hoc» come fossero decreti legislativi e «instillarli nelle

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tenere menti sui banchi della scuola»66. Questa infatti, pur essendo un’agenzia educativa
fondamentale, non è l’unica in grado di realizzare la formazione dell’uomo che
necessariamente «continua nella società», nei rapporti dialettici che legano l’individuo
alla famiglia, alla società civile e allo Stato. Per questa ragione – chiosa nell’articolo – la
vita di relazione sociale è cosa ben diversa e ben più complessa nelle sue dinamiche da
quella descritta «dagli apologhi, dal buon Giannetto al Pinocchio»67, che la riducono al
semplice rapporto intrascolastico e tutt’al più famigliare.
41 Gramsci qui fa riferimento a un testo pedagogico, allora molto diffuso e utilizzato nelle
scuole, del pedagogista L. Alessandro Parravicini. Un condensato, a suo dire, di precetti
educativi dogmatici e inadatti a comprendere lo sviluppo psicologico complessivo della
vita psichica e relazionale dell’individuo. Occorre ricordare che agli inizi del Novecento
tentativi di introdurre in Italia nuovi approcci educativi erano stati fatti in consonanza
con tutto quel clima legato alla volontà di sprovincializzare la cultura italiana innescato
dalla stagione delle riviste fiorentine, come abbiamo più volte ricordato.
42 Viene allora da pensare, proprio considerando la modernità della riflessione gramsciana
in merito alle questioni educative, che egli abbia avuto modo di conoscere i concetti
pedagogici, che avevano circolato in Italia, provenienti dalla cultura americana di
impronta pragmatista. Uno di questi, l’opera di James Gli ideali della vita: discorso ai giovani
e ai maestri sull’educazione, era stato pubblicato per la seconda volta nel 1916, dopo il
successo della prima edizione del 1903 curata e tradotta da Giulio Cesare Ferrari.
Quest’ultimo fu il traduttore ufficiale delle opere di James, oltre a rappresentare in Italia
– in quanto psichiatra e direttore fin dal 1907 dell’Istituto medico pedagogico emiliano a
Bologna, dove tenne anche la cattedra di psicologia – una linea di tendenza polemica nei
confronti degli approcci positivistici ai metodi della psichiatria ufficiale e per questo
motivo attento recettore della psicologia pragmatista, soprattutto nella versione
jamesiana68.
43 Ciò che lo interessa e lo attrae del pragmatismo, ha ricordato bene Antonio Santucci, è il
fatto che esso prestava attenzione al significato delle asserzioni delle teorie nei loro
effetti sperimentali, proponendosi come un insieme di metodi e mai come un sistema
chiuso di definizioni apoditticamente indiscutibili. In particolare «James lo aiuta a
superare l’epifenomenismo integrale, proprio della posizione positivista»69 che riduce la
coscienza a una serie di stimoli e risposte comportamentisticamente osservabili. Per
Ferrari al contrario, sulla scorta di James, la coscienza è qualcosa di molto più complesso
e dinamico, che non può in alcun modo essere ridotto all’attività neuronale del cervello.
44 Dobbiamo aggiungere che Ferrari fu anche direttore della prestigiosa «Rivista di
psicologia applicata»70, alla quale collaborano anche Vailati e Calderoni e che rappresentò
un centro importante di revisione critica della psicologia positivista. Come emerge
dall’intenso scambio epistolare intrattenuto con Vailati, egli condivide con il filosofo di
Crema il progetto di revisione pragmatista della psicologia. Ferrari non tradusse solo i
Principi. Oltre al citato Gli ideali della vita, egli introdusse in Italia alcuni testi di James sulla
religione, come Le varie forme della esperienza religiosa, studio sulla natura umana e La volontà
di credere71.
45 Queste due opere in particolare lo interessarono per il nesso individuato da James come
essenziale allo sviluppo psicologico del soggetto: da un lato la credenza, di cui la psiche
umana si nutre per bisogno di rassicurazione con immagini e metafore sul trascendente, e
dall’altro la conoscenza che seppur influenzata dalla credenza deve sempre avere
l’obiettivo di perseguire l’acquisizione del vero. In questo senso la religiosità deve avere

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meramente un valore morale regolativo, mai costitutivamente conoscitivo: in tal caso


degenererebbe in un dogmatismo pericoloso per lo sviluppo della coscienza autonoma del
soggetto che invece deve nutrirsi, dice James, del nuovo metodo delle scienze
sperimentali. Di qui l’importanza attribuita all’insegnamento delle scienze sin dalle scuole
elementari, compresa la teoria dell’evoluzione naturale di Darwin.
46 In Gramsci non solamente sembra comparire una sensibilità per l’insegnamento e la
cultura direttamente attribuibili a un contatto con queste fonti, ma anche la sua idea di
“coscienza” mostra chiari debiti nei confronti della psicologia di James. È difficile non
pensare alla definizione che di coscienza – intesa come “corrente che scorre” – dà James
nei Principi, quando in un articolo del dicembre 1917 dal titolo La coscienza dei pezzi di carta
, Gramsci definisce «la coscienza un fluido elastico», che difficilmente può essere
imprigionata in regolamenti astratti tesi a codificare «in un compendio di pezzi di carta
[…] le cose lecite e le cose proibite»72. Nulla di più fallace «impreciso, inefficace della
rigida obbedienza a questi cartigli che vi tengono luogo di Vangelo; poiché dove la morale
è affidata a un rettangolo di carta dev’essere una ben fragile cosa»73, in quanto la
coscienza è un centro di energie in perenne movimento ed evoluzione, difficilmente
meccanizzabile.
47 A tal proposito James, nel terzo capitolo dei suoi Principi, La corrente di coscienza, sostiene
che l’unica cosa che la psicologia ha il diritto di postulare è il fatto stesso che il pensiero
procede, tentando di dar conto delle modalità in cui si articola. In questo scritto,
l’esigenza di mantenersi fedeli alla reale natura dei fatti da studiare si traduce
nell’appello all’introspezione diretta dell’attività della mente, che al contrario la
psicologia tradizionale di matrice empirista aveva cercato di descrivere muovendo
dall’analisi delle sensazioni, considerate come i dati più semplici del pensiero. Il filosofo
americano delinea così un nuovo rapporto tra processi cerebrali e coscienza, assegnando
un ruolo molto importante alla fisiologia la quale ha il compito di descrivere le relazioni
intercorrenti tra “atti” mentali e “fatti” cerebrali. L’idea di fondo è che le proprietà
cerebrali, propriamente fisiche, e quelle mentali, delegate a svolgere i processi cognitivi,
sono distinte in base alle diverse funzioni cui sono adibite, piuttosto che per presunte
proprietà sostanziali74.
48 Difficile non pensare ad un’eco jamesiana, quando Gramsci in un articolo del 16 marzo
1916 accusa la psichiatria ufficiale di impostazione positivista di non prestare dovuta
attenzione alle «forze ignote» di natura psichica «che regolano la vita umana»75. E ancora,
in un altro articolo, polemizzando con Pio Foà, docente di anatomia patologica a Torino,
allude ai processi verticali dell’anima che la fanno «diventare una psiche che non si lascia
più trasportare dai movimenti cardiaci»76, operando qui quella distinzione tra processo
fisiologico e – come scrive in un altro articolo del 10 giugno 1918 – attività psichiche vere
e proprie, che Gramsci probabilmente sulla scorta di James, filtrato da Ferrari, chiama
«riflessi inconsci»77.
49 Giunti a questo punto è opportuno tentare un bilancio complessivo. Obiettivo di questa
ricostruzione relativa ad alcune fonti (esterne alla tradizione marxista) che concorsero a
formare la biografia intellettuale di Gramsci è stato di mettere in luce come la particolare
curvatura che lo stesso autore dei Quaderni del carcere imprime al marxismo, l’attenzione
all’elemento ideologico e sovrastrutturale, il ripudio del meccanicismo contenuto nel
marxismo volgare secondo- e terzo-internazionalista, possa aver interagito con tutto quel
contesto culturale di inizio Novecento che abbiamo a grandi linee riproposto, e che
sinteticamente abbiamo chiamato la cultura delle riviste fiorentine.

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50 Infatti, convinzione di chi scrive è che lavorare sulle fonti gramsciane non rappresenta un
mero esercizio archeologico volto a misurare la maggiore o minore incidenza di una
corrente filosofica o di un autore; al contrario, si tratta di leggere gli anni della
formazione universitaria, così come l’esperienza di “giornalista militante” nel 1916-1918,
non più in modo teleologico, ovvero come mera preparazione all’incontro con Lenin e
l’Internazionale comunista prima, e successivamente con il corpus carcerario. In questa
chiave interpretativa, il comunismo di Gramsci si innesta su un giro di pensieri che aveva
segnato in modo distintivo già la sua precedente elaborazione socialista e sulla quale un
ruolo non secondario aveva svolto sia la sua formazione avvenuta nell’ateneo torinese, sia
l’incontro con le avanguardie di inizio Novecento. In tal senso, possiamo dire che «il
rapporto tra i valori di libertà e di autonomia spirituale da un lato, e dall’altro il
socialismo nella sua qualità di “ordine” si era configurato come uno dei punti nodali del
sistema concettuale del Gramsci socialista»78, fino a definire una compresenza nel
pensiero gramsciano che rimarrà anche in seguito, di una concezione della vita sia come
libera creazione umana, sia come espressione di rapporti determinati, in cui i principi di
integrazione, coesione, ordinamento delle attività individuali definiscono i contorni di
una “disciplina” che non comprime l’iniziativa del singolo in quanto la inquadra
all’interno di una soggettività più articolata e complessa.

NOTE
1. Cfr. C. SINI, Il pragmatismo americano, Bari, Laterza, 1972, pp. 40-55.
2. Cfr. A. G. GARGANI, Introduzione a E. MACH, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia
della ricerca, a cura di S. Barbera, Torino, Einaudi, 1982, pp. XIII-XV.
3. R. LUPERINI, Il clima politico-culturale e le riviste fiorentine, in Storia della Letteratura italiana,
a cura di C. Muscetta, Il Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1976, p. 10.
4. L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo
(1914-1919), Roma, Carocci, 2011, p. 21.
5. A. GRAMSCI, Per la verità, «Avanti!», 16 maggio 1916, ora in ID., Cronache torinesi 1913-1917,
a cura di S. Caprioglio, Torino, Einaudi, 1980 (d’ora in poi Cronache torinesi), p. 251.
6. Cfr. E. GARIN, Gramsci e il problema degli intellettuali, in Gramsci e la cultura contemporanea,
a cura di P. Rossi, Roma, Editori Riuniti, 1969, ora in ID., Con Gramsci, Roma, Editori Riuniti,
1997, pp. 70-71.
7. Sul quale cfr. A. D’ORSI, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000, p. 9.
8. A. GRAMSCI, Pietà per la scienza del prof. Loria, ora in Cronache torinesi, p. 230.
9. A. GRAMSCI, Achille Loria, «Il Grido del popolo», 19 gennaio 1918, ora in ID., La Città futura
1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Torino, Einaudi, 1982 (d’ora in poi La Città futura), p. 573.
10. Ibid.
11. A. GRAMSCI, I misteri della cultura e della poesia, ora in ID., Il Nostro Marx 1918-1919, a cura
di S. Caprioglio, Torino, Einaudi, 1984 (d’ora in poi Il Nostro Marx), p. 346.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 14

12. Ivi, p. 348.


13. Cfr. ivi, pp. 348-349.
14. P. TOGLIATTI, Discorso su Gramsci nei giorni della liberazione (discorso tenuto al Teatro San
Carlo di Napoli il 29 aprile 1949), «l’Unità», 1o maggio 1949, ora in ID., Scritti su Gramsci, a
cura di G. Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2001, p. 111.
15. Ivi, p. 112. Si è soffermato su questo retroterra idealistico della formazione
gramsciana L. Rapone secondo il quale il disprezzo per il socialismo positivista va riferito
alla questione nodale «dell’intersecazione tra la volizione e la necessità, della storia come
unità di economia e spiritualità, che persino nella loro formulazione lessicale rimandano
implicitamente ora a Gentile ora a Croce» (L. Rapone, Cinque anni che paiono secoli, cit.,
p. 280).
16. Cfr. A. GRAMSCI, La nostra città futura. Scritti torinesi (1911-1922), a cura di A. d’Orsi, Roma,
Carocci, 2004. L’ampia introduzione di d’Orsi tiene conto, proprio per rievocare
l’atmosfera di quegli anni, di alcune tra le più significative testimonianze di Togliatti.
17. E. RAGIONIERI, Introduzione a P. TOGLIATTI, Opere, a cura di E. Ragionieri, vol. I, Roma,
Editori Riuniti, 1967, p. XXVIII.
18. N. BOBBIO, Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino, Einaudi, 1986, p. 9.
19. L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli, cit., p. 145.
20. ID., Antonio Gramsci nella grande guerra, «Studi storici», XLVIII, n. 1, 2007, pp. 5-96
(p. 34).
21. Ivi, p. 35.
22. Ivi, p. 37. Cfr. anche ID., Cinque anni che paiono secoli, cit., pp. 105-187.
23. R. GIACOMINI, Il ruolo della guerra nella formazione di Gramsci, in Gramsci e l’Italia, a cura di
R. Giacomini, D. Losurdo e M. Martelli, Napoli, La Città del Sole, 1994, p. 221.
24. L. RAPONE, Antonio Gramsci nella grande guerra, cit., p. 12.
25. Ibid.
26. L. PAGGI, Antonio Gramsci e il moderno principe. Nella crisi del socialismo italiano, Roma,
Editori Riuniti, 1970, p. 13.
27. B. CROCE, Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza, 1955, p. 34.
28. Cfr. G. SOREL, L’antica e la nuova metafisica, in ID., Scritti politici e filosofici, a cura di
G. Cavallari, Torino, Einaudi, 1975, pp. 63-72.
29. L’uscita del numero unico di propaganda «La Città futura» promosso dal comitato
regionale piemontese della Federazione giovanile socialista, vide la luce nel febbraio del
1917. Il comitato aveva inizialmente deciso di affidarne la cura e la pubblicazione al
giovane Andrea Viglongo. Fu Gramsci a chiedere a Viglongo di essere l’unico responsabile
della compilazione, la quale sarebbe così risultata omogenea e coerente al programma
formativo proposto (cfr. La Città futura, p. 4).
30. B. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 1928, p. 216.
31. Cfr. A. GRAMSCI, Tre Principi tre ordini, ora in La Città futura, pp. 5-7.
32. Ibid.
33. Ivi, p. 6.

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 15

34. B. CROCE, La morte del socialismo, «La Voce», 9 febbraio 1911, ora in ID., Cultura e vita
morale, cit., p. 150.
35. A. GRAMSCI, Margini, ora in La Città futura, pp. 24-25.
36. Nel 1905 sulle colonne del «Leonardo» si era svolta una ricca e articolata discussione
in merito al tema della previsione che aveva avuto tra i protagonisti principali Papini,
Prezzolini, Calderoni e Vailati. Nell’interesse che legò il positivismo critico di Vailati alle
avventure intellettuali di Papini e Prezzolini, oltre alla battaglia comune contro la cultura
ufficiale, ci fu soprattutto quella di voler smantellare la metafisica positivista. Inoltre
Papini e Vailati avevano già nel 1902 intrapreso uno scambio epistolare a proposito dalla
problematica relativa al nesso volontà-azione su cui l’etno-antropologo Ettore Regalia, di
cui Papini fu collaboratore per l’archivio per l’etnologia e l’antropologia, aveva dato voce
sul «Leonardo». Da Regalia Papini recepisce la critica al riduzionismo del determinismo
che fa della vita psichica un semplice epifenomeno della materia. Ed è su questo tema che
si trova ad interloquire con Vailati (cfr. G. VAILATI, Epistolario (1891-1909), a cura di
G. Lanaro, Introduzione di M. Dal Pra, Torino, Einaudi, 1971, pp. 326-331). In particolare,
per Vailati il pragmatismo poteva rappresentare un ausilio per contrastare le tendenze
metafisiche che, sotto la veste del monismo evoluzionistico, si erano infiltrate nel
positivismo, compromettendone l’originaria istanza sperimentale. Ciò spiega il suo
avvicinamento ai “leonardiani”, anche se, va specificato, il suo “pragmatismo” poteva
assomigliare più alla semiotica del pragmatista statunitense Ch. S. Peirce che alla
curvatura “ipersoggettivistica” datatane da Papini e Prezzolini, che non causalmente
preferivano rifarsi a James.
37. Cfr. A. GRAMSCI, La rivoluzione contro il Capitale, «Avanti!», 24 dicembre 1917, ora in La
Città futura, pp. 513-517.
38. C La Città futura, p. 513.
39. A. GRAMSCI, Utopia, «Avanti!», 25 luglio 1918, ora in ID., Il Nostro Marx, cit., p. 209.
40. Ivi, p. 210.
41. A. GRAMSCI, Note sulla rivoluzione russa, «Il Grido del popolo», 29 aprile 1917, ora in La
Città futura, pp. 138-141.
42. Ibid.
43. Ivi, p. 140.
44. Cfr. M. GERVASONI, Mito politico e morale dei produttori: il confronto con Georges Sorel, in
Gramsci nel suo tempo, cit., pp. 707-710. La lezione di Sorel viene riletta in due direzioni che
finiscono per incontrarsi. Da un lato l’avvento del socialismo come avvento di nuova
civiltà, dall’altra la critica al giacobinismo; termine questo che «per Sorel ha poco o nulla
a che vedere con i protagonisti della Rivoluzione francese. Con giacobinismo Sorel
intende la tendenza della sfera politica a guidare e dirigere il movimento sindacale e
l’idea che la trasformazione della società debba essere attuata con un processo di rottura
delle istituzioni politiche» (ivi, p. 707).
45. A. GRAMSCI, Note sulla Rivoluzione russa, ora in La Città futura, p. 138.
46. Ivi, p. 139.
47. Cfr. D. ZUCÀRO, Antonio Gramsci all’università di Torino, «Società», VI, 1957,
pp. 1109-1111.

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 16

48. Ivi, pp. 1110. Su questo tema cfr. E. GARIN, Gramsci e Croce, in ID., Con Gramsci, cit.,
pp. 121-122.
49. Cfr. L. BASILE, Valentino Annibale Pastore, “filosofo di frontiera”, «Quaderni di storia
dell’Università di Torino», n. 9, 2008, pp. 179-204 (p. 196). Sul tema vedi anche G.
MASTROIANNI, Gramsci e Pastore, in ID., Vico e la rivoluzione, Gramsci e il Diamat, Pisa, ETS,
1979, pp. 93-115.
50. In pensatori come Alfred Fouillée ed Edouard Le Roy, che influenzano anche Bergson,
non sono messi in discussione i meriti del positivismo. Ciò che veniva contestato erano i
dogmi centrali dell’epistemologia positivista, che – come ricordava Le Roy – non ammette
le forme della dialettica capace di conciliare la tensione scientifica all’identico con il
processo dell’involuzione entropica. Cfr. E. LE ROY, Un positivisme nouveau, «Revue de
Métaphysique et de Morale», IX, n. 2, 1901, pp. 138-153.
51. Cfr. F. FROSINI, Introduzione a A. GRAMSCI, Filosofia e politica. Antologia dei «Quaderni del
carcere», a cura di F. Consiglio e F. Frosini, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp. XLVII-XLVIII.
In merito all’influsso di Fouillée su Gramsci, in particolare sul ruolo della psicologia
francese di fine ottocento e in relazione ai processi di scomposizione dell’io presenti in
autori come Bidet e Janet, da ultimo vedi anche A. Di Meo, “La tela tessuta nell’ombra arriva
a compimento”. Processi molecolari, psicologia e storia nel pensiero di Gramsci, in «Il
cannocchiale. Rivista di studi filosofici», XLVIII, n. 3, 2012, pp. 77-139.
52. Cfr. A. GRAMSCI, Dimostrazioni, «Avanti!», 12 agosto 1916, ora in Cronache torinesi,
pp. 483-484.
53. Cfr. G. GUIDA, La “religione della storia”. Aspetti della presenza di Bergson nel pensiero di
Gramsci, in Gramsci nel suo tempo, cit., pp. 694-697.
54. A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di A. A. Santucci, Palermo, Sellerio, 1996, p. 249.
55. Dalla lettura dell’intenso scambio epistolare che si svolse tra i due è possibile evincere
come il contingentismo di Bergson fu importante per arricchire il pluralismo
dell’epistemologia jamesiana, mentre il tichismo del filosofo americano risultò
fondamentale per la critica all’evoluzionismo della metafisica positivistica. James si
dichiarò convertito al bergsonismo, e ambedue i filosofi erano concordi soprattutto nel
proclamare l’impotenza dell’intelligenza razionalizzatrice e la potenza dell’intuizione. In
una lettera del 6 gennaio 1903 all’amico americano, Bergson ricordava che già nel Saggio
sui dati immediati della coscienza la propria concezione dell’attività psichica somigliava a
quella espressa nei Principi (cfr. H. BERGSON, Sur le pragmatisme de William James. Vérité et
réalité, in ID., La pensée et le mouvant, Genève, A. Skira, 1946). Sui rapporti sempre tra
Bergson e James e di questi con Peirce, cfr. Ch. S. PEIRCE, Caso, amore e logica, trad. it. di
N. Abbagnano, Torino, Taylor, 1956. Sulla Lettera a James, cfr. H. BERGSON, Opere 1889-1889,
trad. it. di F. Sossi, Milano, Mondadori, 1986, pp. 405-407.
56. Ricordiamo ancora una volta che proprio Bergson viene introdotto nel dibattito
filosofico italiano dai leonardiani. Ad esempio gli assunti contro il riduzionismo e
l’epifenomenismo positivista rispetto all’attività del mentale – esposti dal filosofo
francese in Materia e memoria – erano stati divulgati grazie ad un’opera sintetica di
traduzione curata da Papini, dal titolo L’introduzione alla Metafisica, Lanciano, Carabba,
1919 (seconda edizione). Importante anche l’opera di Prezzolini: ID., Del Linguaggio come
causa d’errore, Firenze, Spinelli, 1904; ID., La filosofia di Bergson, in ID., La teoria sindacalista,
Napoli, Pezzella, 1909.

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 17

57. Cfr. H. BERGSON, Il pensiero di William James in ID., Pensiero e Movimento, trad. it. di
F. Sforza, Milano, Bompiani, 2000, pp. 199-210.
58. Cronache torinesi, p. 98.
59. Ivi, p. 99.
60. Ibid.
61. A. GRAMSCI, Melanconie, «Avanti!», 13 agosto 1916, ora in Cronache torinesi, p. 800.
62. Ibid.
63. A. GRAMSCI, Cocaina, «Avanti», 10 maggio 1918, ora in Nostro Marx, p. 43.
64. Ibid.
65. Ivi, p. 44.
66. Ibid.
67. Ibid.
68. Cfr. Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale e altri scritti, a cura di P. Soriano,
Milano, Idami, 1967, pp. 28-41.
69. A. SANTUCCI, Eredi del positivismo. Ricerche sulla filosofia italiana fra 800 e 900, Bologna,
Il Mulino, 1996, p. 204.
70. Ferrari fu redattore capo della «Rivista sperimentale di freniatria» e assistente alla
cattedra di psichiatria presso l’Istituto psichiatrico di Reggio Emilia. Egli diede impulso
con varie iniziative agli studi di psicologia in Italia, anche attraverso l’opera di traduzione
dei testi di James. Nel 1905 fondò la «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla
psicopatologia» (in seguito «Rivista di psicologia»), che fu l’organo degli Istituti
universitari di psicologia sperimentale. La rivista di Ferrari ospitò anche numerosi scritti
d’intonazione pragmatista , tra cui i saggi di Vailati e Calderoni (cfr. G. LANARO, Prefazione
a G. VAILATI, Epistolario, cit., pp. 58-87).
71. Entrambi i testi furono pubblicati dalla Società Editrice libraria di Milano. Cfr. Le varie
forme della coscienza religiosa nel 1904 e La volontà di credere nel 1912.
72. La Città futura, p. 530.
73. Ivi, p. 531.
74. A. SANTUCCI, Il pensiero di William James. Una antologia degli scritti, Torino, Loescher,
1969, p. 30.
75. A. GRAMSCI, La maschera, «Avanti!», 16 marzo 1916 (si ringrazia la Fondazione Istituto
Gramsci di Roma, per aver messo a disposizione la digitalizzazione dell’articolo realizzata
da M. L. Righi in vista dell’Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci).
76. A. GRAMSCI, Il germanofilo contrito, «Avanti!», 22 marzo 1916 (si ringrazia la Fondazione
Istituto Gramsci di Roma, per aver messo a disposizione la digitalizzazione dell’articolo
realizzata da M. L. Righi in vista dell’Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci).
77. A. GRAMSCI, Grandezze, «Avanti!», 10 giugno 1918 (si ringrazia la Fondazione Istituto
Gramsci di Roma, per aver messo a disposizione la digitalizzazione dell’articolo realizzata
da M. L. Righi in vista dell’Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci).
78. L. RAPONE, Gramsci giovane: la critica e le interpretazioni, «Studi Storici», LII, n. 4, 2011,
p. 991.

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 18

RIASSUNTI
Il saggio ricostruisce alcune delle fonti storico-filosofiche che concorsero a formare la biografia
del giovane Gramsci e che non rientrano nella tradizione del pensiero marxista. L’ipotesi da cui
muove l’autrice è che la particolare curvatura, definita poi antideterminista, del marxismo di
Gramsci possa essere stata influenzata da alcune correnti filosofiche (pragmatismo statunitense e
europeo, epistemologia post-positivista francese) esterne alla tradizione secondo e
terzointernazionalista. Nello sforzo di contrastare una certa revisione del marxismo propria del
positivismo tardo ottocentesco, il giovane Gramsci si appropria di un’attrezzatura teorica propria
dell’epistemologia nonché della psicologia pragmatista che gli permettono di rintracciare e
rilanciare lo statuto teorico della filosofia di Marx.

Cet article reconstruit un certain nombre des sources historico-philosophiques qui ont participé
à la formation biographique du jeune Gramsci et qui n’appartiennent pas à la tradition de la
pensée marxiste. L’hypothèse de l’auteure est que le statut particulier du marxisme de Gramsci,
défini par la suite d’anti-déterministe, a pu être influencé par certains courants philosophiques
(pragmatisme américain et européen, épistémologie post-positiviste française) extérieurs à la
tradition de la Deuxième et Troisième Internationales. S’efforçant de s’opposer à une certaine
révision du marxisme propre au positivisme de la fin du xix e siècle, le jeune Gramsci s’approprie
un outillage théorique propre à l’épistémologie ainsi qu’à la psychologie pragmatistes qui lui
permet de redéfinir le statut théorique de la philosophie de Marx.

This essay reconstructs a number of the historical-philosophical sources, extraneous to the


tradition of Marxist thought, that came together to form the biography of the young Gramsci. It
is here hypothesized that the particular itinerary of Gramsci’s Marxism, which came to be
defined as anti-determinist, may have been influenced by certain philosophical currents (United
States and European pragmatism, French post-positivist epistemology) outside the tradition of
the Second and Third Internationals. In attempting to challenge a certain revision of Marxism
belonging to late nineteenth-century positivism, the young Gramsci made use of theoretical
equipment that belonged to epistemology, together with pragmatist psychology, which taken as
a whole allowed him to retrace and relaunch the theoretical status of Marx’s philosophy.

INDICE
Mots-clés : idéalisme, matérialisme, anti-déterminisme, épistémologie, pragmatisme
Keywords : idealism, materialism, anti-determinism, epistemology, pragmatism

AUTORE
CHIARA META
Titulaire d'un doctorat en « Modelli di formazione, analisi teorica e comparazione » à l’Université de
Calabre avec une thèse intitulée Antonio Gramsci e le interazioni con il pragmatismo europeo e

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Antonio Gramsci e le avanguardie di inizio Novecento. Intersezioni con il pra... 19

statunitense. Ses recherches portent sur l’histoire de la pensée politique entre les XIX e et XXe
siècles, avec une attention particulière portée sur les auteurs de la tradition marxiste. Elle a
travaillé sur l’histoire du mouvement féministe des années soixante-dix, en développant les
questions de « genre » et leurs implications dans le domaine de l’histoire de l’éducation. Elle
collabore actuellement à la chaire d’Histoire de la pédagogie de l’Université Rome 3. Elle a une
bourse de recherche auprès du Département de « Filosofia Comunicazione e Spettacolo » de cette
même université, dans le cadre du projet de recherche FIRB 2012 portant sur “Une édition
électronique de l’œuvre d’Antonio Gramsci. Questions historiques, philosophiques et
philologiques relatives aux Cahiers de prison et à leurs sources ».

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Linguistique et philosophie de la praxis chez


Gramsci
Linguistica e filosofia della praxis in Gramsci
Linguistics and philosophy of praxis in Gramsci

Giancarlo Schirru
Traducteur : Laurent Baggioni et Jean-Louis Fournel

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1059 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Giancarlo Schirru, « Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci », Laboratoire italien [En
ligne], 18 | 2016, mis en ligne le 28 novembre 2016, consulté le 12 décembre 2016. URL : http://
laboratoireitalien.revues.org/1059

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 1

Linguistique et philosophie de la
praxis chez Gramsci
Linguistica e filosofia della praxis in Gramsci
Linguistics and philosophy of praxis in Gramsci

Giancarlo Schirru
Traduction : Laurent Baggioni et Jean-Louis Fournel

NOTE DE L'AUTEUR
Nous utiliserons les abréviations suivantes des écrits gramsciens : La città futura = A.
GRAMSCI, La città futura, 1917-1918, S. Caprioglio éd., Turin, Einaudi, 1982 ; Epistolario 1 = A.
GRAMSCI, Epistolario 1, gennaio 1906-dicembre 1922, D. Bidussa et al. éd., Rome, Istituto
della Enciclopedia Italiana («Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci.
Epistolario», 1), 2009 ; Lettere = A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere, 1926-1935, A. Natoli et
C. Daniele éd., Turin, Einaudi, 1992 ; Il nostro Marx = A. GRAMSCI, Il nostro Marx, S.
Caprioglio éd., Turin, Einaudi, 1984 ; Per la verità = A. GRAMSCI, Per la verità. Scritti 1913-1926,
R. Martinelli éd., Rome, Editori Riuniti, 1974 ; Quaderni = A. GRAMSCI, Quaderni del carcere,
V. Gerratana éd., Turin, Einaudi, 1975 ; Scritti = A. GRAMSCI, Scritti, 1915-1921, S.
Caprioglio éd., Milan, Moizzi, 1976.

Une communication manquée


1 À la fin d’août 1928, un peu plus d’un mois après que Gramsci était arrivé à la prison de
Turi, sa belle-sœur Tania Schucht prit une décision déconcertante pour plusieurs raisons.
Le prisonnier s’était vu assigner le pénitencier des Pouilles à la suite d’une visite médicale
au cours de laquelle on lui diagnostiqua un état pathologique chronique : le site de Turi,
pour la douceur de son climat, avait été choisi comme le lieu définitif où il devrait purger

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 2

sa peine, définie en juin par le Tribunal spécial. Gramsci était arrivé à la prison le
19 juillet, après plus de dix jours de transfert depuis Rome : dès le 10 juillet, il avait réussi
à écrire à sa belle-sœur depuis la prison de Caserte, où il était en transit, l’informant de sa
destination et lui demandant « d’envoyer là-bas, dès maintenant, quelques livres » ; il lui
demanda d’envoyer à Turi surtout des grammaires et des dictionnaires, en particulier
d’allemand, car il avait l’intention de reprendre rapidement ses travaux. Tania fit
immédiatement en sorte que les rapports entre le prisonnier et les membres de sa famille
de Moscou soient renoués, et qu’on lui fasse parvenir ses livres, comme on le déduit de
toutes ses lettres, nombreuses, du mois de juillet et du mois d’août. En revanche, Gramsci
ne parvint à écrire à sa belle-sœur que le 20 juin, le 30 juillet et le 27 août, étant donné
qu’il ne pouvait écrire que deux lettres par mois et qu’il en envoya une, celle de la mi-
août, en Sardaigne. Mais une fois arrivé à Turi, il fut très clair avec Tania, et lui demanda
de « ne jamais rien envoyer avant [qu’il ne le lui ait] demandé »2.
2 Tania contrevint pourtant à ces instructions et écrivit à Gramsci, le 24 août, qu’elle allait
demander à sa sœur Julia, à Moscou, de lui envoyer un livre du linguiste et philologue
Aleksandr Potebnia, et ajouta : « Ils m’ont suggéré ce texte de linguistique quand ils ont
eu vent de ton intérêt pour ce sujet ». En réalité, elle fit beaucoup plus que cela : le
30 août suivant, elle écrivit à Julia pour l’inviter à se rendre personnellement chez Anatoli
Lounatcharski, le commissaire du peuple à l’Éducation de la Fédération russe, pour
recevoir de sa part des indications sur les travaux de linguistique que Gramsci devrait
effectuer en prison3.
3 La demande n’eut aucune suite : Gramsci fut convoqué par le directeur de la prison,
évidemment alarmé par la possibilité qu’un prisonnier sous sa responsabilité entreprenne
un travail sur des indications provenant de Moscou : la crainte qu’il pût éventuellement
entrer en contact direct avec le groupe dirigeant bolchevique, comme on le voit, était
tout sauf infondée. Gramsci fut ainsi contraint de bloquer l’initiative de sa belle-sœur :
« J’ai dû demander à t’écrire cette lettre extraordinaire pour faire en sorte d’arrêter
l’inondation d’initiatives que tu as soudainement déchaînées »4.
4 Mais Tania n’agissait pas à la légère : son comportement ne peut s’expliquer que si l’on
imagine que pour elle, il était absolument certain que Gramsci, une fois qu’il aurait
rejoint le pénitencier où il allait purger sa peine, devrait immédiatement se mettre au
travail. Dans l’impossibilité où elle se trouvait d’avoir un contact direct avec le prisonnier,
elle était simplement passée à l’action : elle savait que le programme de Gramsci
comprenait aussi un plan de recherche d’ordre linguistique5, et tenait pour acquis que
cela nécessitait l’activation d’un contact avec le membre du gouvernement soviétique qui
se trouvait à ce moment-là en charge de la planification linguistique.
5 Anatoli Lounatcharski était un bolchevique de la toute première heure6 ; il peut être
considéré comme l’un des premiers cadres d’extraction intellectuelle et bourgeoise du
parti, qui avaient mûri politiquement en contact étroit avec Lénine : avec Aleksandr
Bogdanov, parmi d’autres, ils avaient effectué des études régulières, étaient entrés au
Parti social-démocrate russe à l’époque de la clandestinité, et avaient connu l’activité
illégale, l’arrestation et un long exil en Europe occidentale, où ils avaient activement
participé au développement du marxisme russe en lien avec une réflexion sur la
littérature, l’art, les sciences naturelles, la pensée philosophique contemporaine. Ces
figures ne se privèrent pas d’exprimer, en plusieurs occasions, leurs divergences avec la
pensée de Lénine, auquel ils s’adressèrent toujours de façon très ouverte, lui-même les
traitant de la même manière ; Lounatcharski et Bogdanov sont les personnages avec

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 3

lesquels Lénine engage une polémique dans Matérialisme et empiriocriticisme. Tout ce


groupe, dont faisait aussi partie Maxime Gorki (qui avait cependant des origines sociales
différentes par rapport à celles que nous venons d’évoquer), avait passé une grande partie
de son exil entre la Suisse et l’Italie. Pour les mêmes raisons, Apollon Schucht resta aussi
longuement en Italie, avec sa nombreuse famille : il fit lui aussi partie de ce réseau
d’exilés russes très proches politiquement et personnellement de Lénine7.
6 Après 1917, Lounatcharski devint le commissaire du peuple à l’éducation (Narkompros) de
la Fédération russe : il jouait ainsi, dans le gouvernement bolchevique, un rôle analogue à
celui d’un ministre de l’Éducation et de la Culture. La pédagogue Nadejda Kroupskaïa, la
femme de Lénine, entra dans son cabinet avec la mission de lancer la réforme de l’école et
la grande campagne pour l’alphabétisation de la Russie. Evgenia Schucht, la fille
d’Apollon et la sœur de Julia et Tania, faisait aussi partie de son bureau : c’était la
secrétaire particulière de Kroupskaïa8.
7 Gramsci avait connu Lounatcharski peu de temps après son arrivée à Moscou en 1922 : le
dirigeant russe en effet, probablement parce qu’il était le seul cadre de premier plan à
parler couramment l’italien (langue qu’il avait apprise durant son exil en Italie), était à ce
moment-là chargé de démêler l’écheveau qui s’était formé lors du conflit entre le parti
russe et le parti italien. Lounatcharski travailla avec Gramsci dès l’été 1922, puis lors du
IVe Congrès de l’Internationale qui s’était tenu à l’automne de cette année-là à Petrograd
et à Moscou, et publia un opuscule d’intervention en italien contre Giacinto Menotti
Serrati, ce qui revenait à appuyer la ligne politique représentée par le groupe de L’Ordine
Nuovo, à la fin de 19229.
8 C’est probablement le même Lounatcharski qui mit en contact Gramsci avec la famille
Schucht, avec laquelle Gramsci noua des rapports sentimentaux, mais aussi, dès le début,
une collaboration politique par laquelle il se trouve parfaitement inséré dans ce groupe
spécifique, que nous venons de décrire, de l’univers bolchevique : en octobre 1922, Julia
fut son interprète lors d’un discours qu’il prononça dans une usine d’Ivanovo, et il fit le
projet de traduire, avec elle, un roman d’Alexandre Bogdanov10.
9 Il n’est pas difficile de saisir d’autres aspects qui rapprochent la réflexion culturelle de
Gramsci de celle de Lounatcharski. Tout d’abord, l’exemple du Proletkult, animé par
Lounatcharski et Bogdanov, avait déjà attiré l’attention de l’hebdomadaire L’Ordine Nuovo,
comme en témoignent certains textes de Bogdanov traduits et publiés par la revue, et
comme Gramsci lui-même l’écrit à Trotski dans la fameuse lettre de 1922 sur les futuristes
11. Il faut ensuite rappeler l’âpre polémique que les deux « empirocritiques » engagèrent

contre l’« omoblovisme » russe, dans le but de soutenir la mécanisation du travail à


l’époque révolutionnaire. Ainsi, au cours d’une conférence prononcée en 1923, tandis que
Gramsci était à Moscou, Lounatcharski cita en exemple, devant les cadres soviétiques, le
capitalisme américain et sa capacité à organiser de façon rationnelle et productive le
travail. Il oppose le processus d’adaptation psycho-physique de l’ouvrier américain à la
machine industrielle, qui donnait naissance à une nouvelle civilisation, à l’indolence du
paysan russe, incapable de modifier la réalité. Il affirme donc l’urgence qu’il « apprenne à
travailler », selon l’enseignement de Lénine, et reconnaît l’exigence réelle, déjà exprimée
par la culture révolutionnaire, de lancer un processus de rajeunissement de la culture du
travail :
L’américanisme et le machinisme qui se cachent sous les grimaces ridicules du
constructivisme et des autres fantaisies « de gauche » reflètent la soif instinctive

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 4

qu’a le peuple, et en premier lieu le prolétariat, et plus encore sa jeunesse, de


renforcer sa « culture technico-pratique ».12
10 Lounatcharski recueillait ainsi des sollicitations qui venaient, en quelque sorte, « de la
base » de l’expérience révolutionnaire et qui observaient l’industrialisme américain avec
un intérêt marqué. Parmi ces voix, on peut rappeler celle de l’écrivain Alexeï Gastev,
largement cité par Lounatcharski lui-même : Gastev s’était fait connaître lorsque Maxime
Gorki avait voulu promouvoir l’expérience des écrivains autodidactes et des poètes
prolétaires dans une anthologie publiée en 1914. Dans sa poésie, l’ouvrier est représenté
comme une machine vivante, porteur d’une nouvelle civilisation, symbolisée par la Russie
révolutionnaire (hautement industrialisée) conçue comme un développement de la
civilisation américaine. Après la révolution, Gastev s’intéressa à l’organisation du travail
et prononça, à partir de 1921, une série de conférences promues par Trotski, qui
rencontrèrent un grand succès, où il exposa la pensée de l’ingénieur américain Frederick
Taylor, à côté de la science de l’organisation de Bogdanov et de la biomécanique du
metteur en scène de théâtre russe Vsevolod Meyerhold13. Comme nous le verrons,
Gramsci lui-même ne demeura pas insensible à la réflexion sur l’américanisme et le
taylorisme développée dans la Russie soviétique.

Politique linguistique et question nationale en Union


soviétique
11 Mais le motif pour lequel Lounatcharski peut être mis en relation avec les travaux
spécifiquement linguistiques de Gramsci est lié au rôle que le dirigeant russe avait joué en
tant que premier organisateur de la politique linguistique soviétique. Malgré le caractère
compulsif des interventions dans ce champ, surtout après le lancement du premier plan
quinquennal, on ne saurait imaginer que celles-ci aient découlé d’une initiative unique et
planifiée dans ses moindres détails depuis le début. Pour le commissariat du peuple à
l’Éducation, la nécessité de centraliser la politique linguistique correspondait plutôt à une
tentative visant à unifier différentes tendances apparues indépendamment les unes des
autres et étroitement liées entre elles par l’affirmation de la question nationale au sein de
l’URSS14.
12 En premier lieu, il faut rappeler la campagne pour la liquidation de l’analphabétisme,
dont était précisément responsable le commissariat du peuple à l’Éducation à travers une
commission extraordinaire spécifique (dite Čeka Likbez), qui avait pour objectif
d’alphabétiser l’imposante population de la Fédération russe avant le dixième
anniversaire de la révolution : la campagne, qui avait stagné pendant la guerre civile, fut
relancée avec force en 1923 avec l’objectif prioritaire d’élever sensiblement les niveaux de
scolarisation et d’alphabétiser tous les inscrits des syndicats.
13 Un second facteur stimula l’initiative dans le champ linguistique : le débat sur les
systèmes d’écriture des langues de l’Union, et en particulier l’abandon par nombre
d’entre elles de l’alphabet arabo-persan en faveur de l’alphabet latin : il s’agit d’une
initiative qui émana des soviets locaux du Caucase et de l’Asie centrale, et ce n’est que
dans un second temps que l’on chercha à lui donner une direction cohérente15.
14 La première langue pour laquelle le changement alphabétique fut décidé par les
dirigeants locaux fut l’ossète, une langue iranienne répandue dans le massif du Caucase,
qui passa à l’alphabet latin dès 1923. À partir de là, un mouvement très puissant se forma,

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 5

en lien avec les langues du groupe turcique répandues depuis la Crimée, la Volga et le
Caucase jusqu’à l’Asie centrale, mouvement qui croisa notamment l’initiative parallèle
d’une réforme orthographique lancée dans la République de Turquie par Atatürk16.
15 Le troisième élément est constitué par le processus de régionalisation : il fut lancé par la
commission de la planification (le Gosplan) pour des raisons économiques, c’est-à-dire
dans le but de dépasser l’organisation administrative de l’Empire russe et de parvenir à
une division administrative qui corresponde davantage à l’économie sociale. Le processus,
initié par une tentative visant à déterminer les spécialisations productives de chaque
région, prit en réalité une toute autre direction, et utilisa, pour la reconnaissance des
différentes unités administratives, un critère ethnique : les républiques et les régions
autonomes furent déterminées en fonction des différents peuples composant la mosaïque
ethnique de l’Union et le critère fondamental pour la reconnaissance de ces peuples fut
de nature linguistique17.
16 Une troisième tendance naquit sur un terrain purement politique et découla de la
position prise par les bolcheviques à propos de la question nationale. Avant la révolution,
le groupe dirigeant léniniste avait déjà perçu la question nationale comme un facteur de
déstabilisation de l’Empire tsariste : les bolcheviques se placèrent donc du côté des
revendications nationales des peuples assujettis à l’Empire, et en faveur de leur lutte
contre l’expansionnisme grand-russe. Cette position s’était encore renforcée pendant la
guerre civile : l’armée rouge avait découvert à ses dépens combien il pouvait être
dangereux que le pouvoir soviétique fût perçu comme une continuation, sous d’autres
formes, de l’impérialisme russe ; cela pouvait déchaîner une vague de soulèvements
nationaux. C’est pourquoi fut lancé le mot d’ordre de l’indigénisation ( korenizacija) du
pouvoir soviétique : celui-ci devait s’appuyer partout sur des cadres locaux, capables de
parler et d’écrire dans les langues locales, et non sur des émissaires du pouvoir central
venant de Russie qui ne pouvaient s’exprimer qu’en russe. Cette tendance agit très
profondément sur les négociations portant sur la forme institutionnelle de l’État
révolutionnaire, dont l’un des acteurs principaux fut le commissariat du peuple aux
nationalités dirigé par Staline : comme on le sait, en effet, il fut finalement décidé en 1923
de ne pas constituer une Union russe, comme il en avait été question auparavant, mais
une Union de républiques soviétiques, finalement autonomes, à leur tour organisées selon
un système fédéraliste complexe18.
17 Comme on l’a vu, 1923 fut l’année cruciale où ces différentes politiques se croisèrent :
elles déterminèrent une série d’interventions de nature linguistique déployées, à partir
de ce moment-là, par le commissariat à l’Éducation. Il s’agissait en effet d’intervenir sur
près de soixante-dix langues à tous les niveaux : il fallait changer leur mode d’écriture,
soit à travers la réforme de l’orthographe traditionnelle, soit à travers l’adoption d’un
nouveau système alphabétique. De nombreuses langues, par ailleurs, n’avaient pas joué,
au cours de leur histoire, le rôle de langues écrites officielles : celles-ci devaient être
standardisées à travers une normalisation de leurs usages grammaticaux et le choix de
variantes normatives. Pour ces langues, en outre, il fallait écrire les manuels
d’alphabétisation, les grammaires de référence, les dictionnaires, les livres scolaires pour
toutes les matières (au moins en relation avec les niveaux les plus bas de scolarisation), le
matériel de propagande et les principaux textes politiques de référence. Enfin, comme on
le disait alors, les nombreuses langues mineures ou arriérées devaient être
« modernisées » : autrement dit, il fallait enrichir leur lexique de façon à ce que ce
dernier puisse exprimer les nouveaux concepts scientifiques, techniques, politiques et

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 6

institutionnels qui caractérisaient l’époque moderne. Contrairement à ce qu’on pourrait


croire, cette intervention sur le lexique ne fut pas effectuée à travers l’adoption
d’emprunts venant du russe ; au contraire, les langues mineures, en particulier les
langues turciques, firent l’objet d’un élan puriste qui entreprit de les priver du lexique
russe, et les néologismes furent formés ex novo en prenant comme base le lexique
indigène.
18 Lounatcharski montra sans aucun doute qu’il était capable d’impliquer la partie la plus
avancée de la communauté scientifique locale dans ce grand projet. Nous voyons ainsi les
plus grands linguistes présents dans le pays activement engagés dans l’entreprise de
description phonologique, morphologique et syntaxique des nombreuses langues locales :
parmi ces linguistes, on peut évoquer le caucasologue Nikolaï Marr, le phonologue et
orientaliste Evgueni Polivanov, le phonologue et caucasologue Nikolaï F. Yakovlev. Ces
savants pouvaient cependant être considérés comme des spécialistes traditionnels : ce
n’est pas un hasard si nombre d’entre eux, les plus âgés, avaient déjà été engagés dans les
recensements linguistiques de l’époque tsariste précédente.
19 En Union soviétique, la disponibilité d’excellentes ressources scientifiques ne pouvait
répondre pleinement à la difficulté face à laquelle se trouvaient les bolcheviques dans les
années vingt : ces derniers pouvaient en effet s’inspirer du marxisme dans leur façon de
poser les problèmes politiques, théoriques et économiques rencontrés dans le processus
de construction de l’État socialiste. Ils se sentaient toutefois démunis face à la nécessité
d’une politique linguistique. Le thème des langues et du langage, qui occupe une place
secondaire dans l’élaboration du marxisme, fut soudain doté d’une valeur stratégique
pour la destinée de la révolution. Il était donc nécessaire de mettre en œuvre un
développement du marxisme en une direction nouvelle, par rapport à laquelle le groupe
dirigeant bolchevique – même en prenant en compte les nombreux cadres occidentaux
arrivés à Moscou pour constituer le Presidium du Komintern – se sentait démuni. Dans
cette situation, la figure de Gramsci était effectivement unique : c’était le seul dirigeant
de l’Internationale qui avait eu, dans sa jeunesse, une formation professionnelle d’ordre
linguistique19. C’est pourquoi une éventuelle implication de sa part, même lointaine, dans
les politiques linguistiques russes, pouvait être si précieuse.

Marxisme et théories linguistiques


20 La difficulté qu’il y a à développer une théorie du langage et du rapport entre langue et
société dans le cadre du marxisme ne fut pas seulement une caractéristique des années
cinquante, lorsque ce fut là l’objet d’un large débat ouvert directement par Staline20 : la
thématique ne faisait par partie des intérêts de Marx, lui resta fondamentalement
étrangère et il serait bien difficile de consulter ses textes pour y chercher des indications
pour pareille recherche.
21 Marx avait rencontré certaines difficultés que l’on peut repérer déjà dans la pensée
hégélienne et qui concernent en particulier la nature matérielle ou spirituelle du langage.
L’appartenance du langage à la sphère de la conscience – et son caractère universel – est
affirmée par Hegel dès la Phénoménologie de l’esprit, en particulier à la fin du chapitre sur la
conscience sensible dans lequel il affirme :
S’ils voulaient effectivement dire ce morceau de papier qu’ils visent, et ils
voudraient le dire, c’est là quelque chose d’impossible, parce que le ceci sensible qui

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est visé est inaccessible au langage, lequel appartient à la conscience, à ce qui est en
soi universel.21
22 Mais dans l’Encyclopédie des sciences philosophiques, en particulier au § 459, on reconnaît au
langage deux aspects : d’un côté, il anticipe les caractères de l’intellect, dès lors que les
catégories de sa grammaire se révèlent comme des formes intellectuelles ; de l’autre
toutefois il a une nature matérielle, qui renvoie plutôt à la sphère psycho-physiologique.
C’est justement cette duplicité qui rend difficile toute enquête sur le caractère universel
du langage, du moment qu’il n’est pas possible de considérer l’histoire des langues de la
même façon qu’on considère l’histoire de la religion, de l’art ou de la pensée. Dans celles-
ci on peut reconstruire les évolutions successives et conscientes des différentes formes
spirituelles l’une dans l’autre ; dans les langues, le changement de la grammaire ne
représente pas une évolution consciente des formes, qui ferait qu’à l’évolution spirituelle
d’un peuple correspondrait aussi une évolution de sa grammaire suivant des formes
toujours plus complexes et élaborées :
Mais l’[être] formel du langage est l’œuvre de l’entendement, qui opère en celui-ci
l’insertion formatrice de ses catégories ; cet instinct logique produit ce qui
constitue l’[élément] grammatical du langage. L’étude des langues restées comme à
l’origine, que l’on a commencé d’apprendre à connaître de façon approfondie
seulement dans les temps modernes, a montré sur ce point qu’elles contiennent une
grammaire très élaborée dans le détail et expriment des différences qui manquent
ou ont été effacées dans les langues des peuples plus cultivés. Il semble que la
langue des peuples plus cultivés a la plus imparfaite grammaire, et que la même
langue a, dans un état de moindre culture du peuple qui la parle, une grammaire
plus parfaite que dans l’état de plus haute culture.22
23 Ce point est encore rappelé par le philosophe allemand dans ses Leçons sur la philosophie de
l’histoire dans lesquelles est niée la possibilité que le changement des langues puisse être
étudié comme un phénomène historique : qui plus est, une nette distinction est proposée
entre les peuples préhistoriques dont toute l’évolution spirituelle est confiée aux formes
linguistiques, et les peuples historiques, dont le développement spirituel passe de la
langue à la conscience, tandis que la grammaire est destinée à décliner et à se simplifier :
C’est un fait établi par les monuments que les langues, pendant l’état barbare des
peuples qui les ont parlées, se sont développées au plus haut point, que
l’entendement se développant avec sagesse, s’était appesanti sur ce domaine
théorique […]. La langue est l’acte de l’intelligence théorique proprement dite, car
elle en est la manifestation extérieure. Sans la langue, les activités du souvenir et de
la fantaisie ne sont que des manifestations immédiates. Cependant cette action
théorique en général, comme son évolution ultérieure et le facteur plus concret qui
s’y joint, de la dissémination des peuples, de leur séparation, de leur mélange, de
leurs migrations demeure sous le voile indistinct d’un passé muet ; ce ne sont pas
des actes d’une volonté prenant conscience d’elle-même, de la liberté se donnant un
autre aspect, une réalité véritable. Ne dépendant pas de ce facteur effectif, ces
peuples n’ont pas eu d’histoire malgré leur développement linguistique. 23
24 Sur ces bases-là, il n’y a rien d’étonnant à ce que, dans la linguistique du XIXe siècle, aient
pu se référer à la pensée hégélienne tant ceux qui ont défendu l’appartenance de la
linguistique aux sciences de la nature – tel August Schleicher – que ceux qui, au contraire,
ont fondé l’étude des langues sur la base d’une logique idéaliste – comme le fit
K. W. L. Heyse. Il n’est pas difficile de remarquer la continuité de cette opposition à
l’intérieur du marxisme, où elle s’est traduite par un débat sur l’inscription de la langue
dans les structures ou dans les superstructures.

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 8

25 Mais à propos de cette question, perçue dans son intégralité, le marxisme italien prit, dès
sa fondation, un autre chemin dans lequel l’a engagé directement Antonio Labriola. Ce
dernier, en effet, suivant l’enseignement de Heymann Steinthal et de Wilhelm von
Humboldt, avait bien posé le problème du changement linguistique et de ses
conséquences pour une philosophie de l’Histoire, dans le cadre de la psychologie des
peuples : de la sorte, il avait mis de côté la question du caractère conscient ou inconscient
de ce changement, et il avait inscrit au contraire l’histoire des langues dans une
manifestation « ethno-psychologique », abandonnant le terrain de la psychologie
individuelle. Dans cette perspective, la linguistique historico-comparative devient une
science historique dont l’objet s’offre au sujet observant comme une série de faits
ordonnés, qui produit directement les catégories qui permettent de l’interpréter. Cette
considération est exprimée par Labriola entre autres dans sa leçon inaugurale qui porte le
titre de I problemi della filosofia della storia (Les problèmes de la philosophie de l’Histoire), en
1887 :
Et de fait, l’étude spécifique de quelques-uns des ordres précis de faits homogènes
et graduels nous a donné, de notre temps, les premières tentatives sérieuses de
science historique ; et, si on ne put atteindre jusqu’à présent dans toutes les
matières du travail intellectuel l’exactitude de la linguistique – surtout de la
linguistique aryenne –, il n’est pas improbable, si l’on en juge par ce qui a
commencé, que la même chose est en passe d’advenir pour d’autres formes et
d’autres produits de l’activité humaine. À l’égard de ces travaux, comme pour tout
véritable objet de science qui lui est propre, le philosophe de l’histoire doit nourrir
de la sympathie, s’il ne veut pas que ses élucubrations et son enseignement
deviennent de purs exercices de rhétorique spéculative.24
26 Ce point de vue fut affirmé de nouveau nettement par Labriola dans ses essais sur la
conception matérialiste de l’histoire : c’est le cas dans Du matérialisme historique ( Del
materialismo storico. Delucidazione preliminare), où la linguistique historico-comparative est
appelée à devenir le modèle d’application de la « méthode génétique », expression par
laquelle Labriola entendait la façon dont le marxisme avait reformulé la dialectique
idéaliste :
Au-delà des apports directs auxquels nous venons de faire allusion précédemment,
notre doctrine [le matérialisme historique] en offre beaucoup d’autres indirects : de
même, elle reçoit des confirmations instructives dans nombre de disciplines, parmi
lesquelles, du fait de la plus grande simplicité des rapports, il fut plus aisé
d’appliquer la méthode génétique. Le cas typique est la linguistique, et tout
particulièrement celle qui prend pour objet les langues aryennes. 25
27 De la sorte, Labriola, comme avant lui Steinthal, avait relié l’histoire des langues au
chapitre du système hégélien relatif à l’« esprit des peuples » entendu comme sujet du
changement historique, évoqué dans la Phénoménologie à travers la figure du « peuple
libre » au sein duquel « la raison est véritablement actualisée »26, et dans les paragraphes
de la fin des Principes de philosophie du droit (§ 344-350). Mais ceci conduisait à relier la
question des langues avec un autre des aspects de la théorie par lequel le marxisme de la
deuxième et de la troisième Internationale a dû s’aventurer à l’extérieur du territoire
circonscrit par les écrits de Marx, et donc au-delà de la question nationale.

La linguistique des « Cahiers de prison »


28 Nous voudrions ici prendre des distances par rapport à deux positions critiques possibles
sur la réflexion linguistique à l’œuvre dans les Cahiers de prison et sur son rapport avec le

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 9

marxisme de Gramsci, au regard du manque d’une réflexion spécifique de Marx sur le


langage. D’un côté, la linguistique des Cahiers de prison peut être considérée comme
fondamentalement étrangère au développement de la philosophie de la praxis élaborée
par Gramsci pendant ses années de prison : la contribution singulière fournie par celle-ci
au marxisme résiderait dans le développement d’une théorie des superstructures et des
idéologies qui se déploie donc sur le même terrain qui caractérise ce que l’on appelle le
marxisme occidental27. De façon complémentaire, le marxisme peut être au contraire
considéré comme une « croûte extérieure très superficielle », par rapport à la continuité
de la formation culturelle de Gramsci, à compter des années de l’Université, représentée
par l’intégration de l’idéalisme crocien, advenue par le biais de la médiation de la néo-
linguistique de Matteo Bartoli (glottologue, maître de Gramsci à l’université de Turin),
qui, effectivement, se référait (au moins en parole) à la pensée linguistique de Benedetto
Croce : cette formation culturelle aurait par la suite débouché sur la réflexion linguistique
des Cahiers de prison28.
29 Notre intention est de proposer une autre hypothèse, qui était déjà au cœur des travaux
menés en son temps par Luigi Rosiello29, et qui est basée sur l’idée selon laquelle Gramsci
a travaillé en prison au développement d’une théorie du langage dans le cadre du
marxisme. La philosophie de la praxis à laquelle Gramsci s’est consacré en prison,
représenterait un développement de l’analyse théorique engagée par Marx, capable non
seulement d’étendre l’enquête, avec une plus grande efficacité, à la sphère idéologique et
culturelle, mais de donner un rôle défini au langage dans le cadre de la théorie. L’élément
clé de l’opération est représenté par la théorie de la « traductibilité », qui se trouve au
point logiquement culminant du Cahier 11, le plus organique et théorique des cahiers
gramsciens.
30 Gramsci s’approcha du marxisme dans la seconde moitié de l’année 191730 : il n’est pas
difficile de suivre le cheminement de sa formation à partir des textes publiés sur Le Cri du
Peuple (Il Grido del Popolo), la revue théorique des socialistes turinois dont il devint de fait
le directeur à partir du mois de septembre de cette année-là. Le 15 décembre, la revue
publie une page des Leçons sur la philosophie de l’histoire de Hegel 31 ; le 5 janvier 1918, sous
le titre « Les idéologies dans le devenir historique » (« Le ideologie nel divenire storico »),
paraît sur le Grido del Popolo un texte tiré de l’essai d’Antonio Labriola, Del materialismo
storico. Delucidazione preliminare32. Peu de temps après, le 12 janvier suivant, Gramsci
insère pour la première fois dans un de ses articles intitulé « La critique critique » (« La
critica critica »), sur cette même revue, quelques références à la pensée de Labriola 33. Le
29 janvier, dans l’article gramscien publié par Avanti! intitulé « Achille Loria e il
socialismo », il écrit à propos des idées défendues par ce dernier : « Elles ont fait stagner
la production intellectuelle du socialisme italien qui avait connu pourtant, avec Antonio
Labriola, un début si fulgurant et si plein de promesses »34. Enfin, le 1er juin 1918, le Grido
del Popolo publie un texte d’Anatoli Lounatcharski intitulé « La cultura del movimento
socialista ». Pendant ces quelques mois, dans la pensée de Gramsci a lieu un passage
crucial : on part du célèbre article « La rivoluzione contro il Capitale »35, de
décembre 1917, qui est encore marqué par le climat culturel générique révisionniste
ayant caractérisé la crise du marxisme au tournant du siècle, et on en arrive à
l’intervention intitulée « Il nostro Marx », de mai 1918, dans laquelle la naissance du
théoricien allemand est commémorée avec les mots suivant : « Karl Marx est pour nous
un maître de vie spirituelle et morale »36.

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31 Comme on peut le reconstruire sur la base de son activité éditoriale, Gramsci a accompli,
entre l’été 1917 et l’été 1918, un parcours de lectures qui reprend de très près la
reconstruction du rapport entre marxisme et linguistique proposé plus haut. Cela vaut la
peine de rappeler comment, durant cette période, Gramsci n’avait pas encore totalement
abandonné l’idée de passer une licence en glottologie, tant il est vrai qu’il écrit dans un
article du 29 janvier 1918 (justement pendant la période où l’on retrouve dans ses écrits
des références à Labriola) : « En étudiant – pas en chercheur et encore moins en
chercheur émérite, toute ironie et modestie mises de côté –, je prépare ma thèse de laurea
sur l’histoire du langage, en cherchant à appliquer à ces recherches les méthodes
critiques du matérialisme historique »37. Sa première absorption du marxisme est donc
advenue en un moment où ses intérêts scientifiques étaient encore essentiellement
orientés vers la linguistique.
32 Le point d’arrivée de ce parcours peut être lu dans les Cahiers de prison, en particulier,
comme on l’a déjà dit, dans le Cahier 11 : ce que nous lisons actuellement comme le § 12
du Cahier, mais qui représente selon toute probabilité les premières notes qui y furent
rédigées38, contient une ample discussion sur le fait que tout homme est philosophe dans
la mesure où il participe d’une conception du monde contenue dans le langage, dans le
sens commun et dans la religion populaire. Il observe notamment le fait que le langage
« est un ensemble de notions et de concepts déterminés et pas seulement de mots
grammaticalement vides de tout contenu »39. Il n’est pas difficile de reconnaître dans ce
long texte l’écho de la pensée de Labriola, et à travers celui-ci, de la psychologie des
peuples. Si Hegel, dans le passage de la Phénoménologie de l’esprit que nous avons rappelé
plus haut, part de la mélancolie de la conscience individuelle qui observe les objets du
monde et tente de les nommer, accomplissant ainsi un exercice qu’on pourrait aisément
qualifier de robinsonnade philosophique, Gramsci engage son raisonnement en
examinant l’être social, qui, justement parce qu’il appartient à une communauté, hérite,
pour des raisons culturelles, une conception du monde ; tout homme en effet, étant
locuteur d’une langue, regarde le monde essentiellement à travers les notions et les
concepts déterminés par celle-ci.
33 Le développement logique du Cahier 11 est contenu dans le chapitre V intitulé
Traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici ( Traductibilité des langages scientifiques et
philosophiques, § 46-49). C’est ici que se tressent les conclusions d’une réflexion qui
parcourt plus généralement les Cahiers, une réflexion selon laquelle le centre théorique
du marxisme serait représenté par sa théorie de la traductibilité. L’expression doit être
entendue de deux façons, interdépendantes. En premier lieu, l’originalité du marxisme
est vue par Gramsci dans la façon dont y sont liées entre elles économie, philosophie et
politique (les trois parties fondamentales de la théorie entre lesquelles se divise l’Anti-
Dühring de Engels) ; elles sont en relations entre elles grâce à leur réciproque traductibilité
: « il doit y avoir nécessairement dans leurs principes théoriques une convertibilité de
l’une dans l’autre, une traduction réciproque dans leur langage propre de tout élément
constitutif »40. En second lieu, économie, philosophie et politique représentent, dès les
écrits du jeune Marx, les trois principales cultures nationales européennes : l’anglaise,
l’allemande et la française. Du coup, la traductibilité des langages spécifiques des trois
disciplines, est aussi une traducibilità réciproque des trois différentes langues. Ce principe
est étendu par Gramsci à tous les rapports entre différentes langues, entendues comme
les expressions de diverses « phases de la civilisation » (fasi della civiltà) ; il s’agit
exactement du problème qui constituait le nœud de la politique linguistique soviétique,

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 11

entendue comme rapport entre différents « peuples-nations », certains avancés et


d’autres arriérés. L’élément caractéristique du marxisme devient la capacité à mettre en
relation les diverses cultures nationales, de les traduire les unes dans les autres de façon
organique :
Il semble que l’on puisse justement dire que seulement dans la philosophie de la
praxis la “traduction” est organique et profonde, alors même que, suivant d’autres
points de vue, elle est souvent un simple jeu de “schématismes” génériques. 41
34 À partir de la perspective que l’on vient de tracer, on peut remarquer une différence
notable entre la lecture de la pensée de Marx proposée par Gramsci, et celle qui a
largement circulé dans ce que l’on appelle le marxisme occidental. Cette dernière est
caractérisée par l’importance qui y est donnée à la théorie de la réification, ou de
l’aliénation, en tant qu’elle serait la contribution la plus importante de la pensée de
Marx : selon cette ligne d’analyse, la découverte contenue dans le Capital serait constituée
par la reconnaissance du processus d’objectivation de la conscience humaine dans la
marchandise42. Pour Gramsci en revanche, le noyau du marxisme (sa philosophie de la
praxis) est représentée par la théorie de la traductibilité :
Dans une certaine mesure il me semble possible de dire que la philosophie de la
praxis est égale à Hegel + Davide Ricardo […] Cette traduction, il me semble
justement qu’elle a été faite par la philosophie de la praxis qui a universalisé les
découvertes de Ricardo en les étendant correctement à l’ensemble de l’Histoire, et
donc en en tirant de façon originale une nouvelle conception du monde. 43
35 Dans la célèbre postface à la deuxième édition du Capital, Marx avait revendiqué être
l’élève de Hegel, et il avait admis avoir eu « la coquetterie de reprendre ici et là, dans le
chapitre sur la théorie de la valeur, sa manière spécifique de s’exprimer », en rappelant la
nécessité d’en « retourner » la dialectique « pour découvrir le noyau rationnel sous
l’enveloppe mystique »44. Une longue tradition critique a lu ces lignes à l’aide d’une
référence au long paragraphe sur le « caractère fétiche de la marchandise et son secret » 45
. La réflexion développée par Gramsci sur la philosophie de la praxis permet en revanche
de considérer à ce propos toute la discussion autour de la forme générale de la valeur, et
de développer une remarque de Marx lui-même dans La critique de l’économie politique,
selon laquelle les équivalences du type M(archandise) - A(rgent) - M(archandise)’ sont la
traduction, dans le langage de l’économie, de la façon dont Hegel avait reformulé dans sa
logique subjective le syllogisme aristotélicien, à travers la progression des termes P
(articulier) - U(niversel) - S(ubjectif). En effet, toutes les formules d’équivalence avec
lesquelles Marx illustre les différents moments du procès de circulation du capital (M-A-
M’) peuvent être lues comme des syllogismes, dont les marchandises constituent les
termes extrêmes : le terme particulier qui entre dans la circulation, et le terme individuel
qui en sort ; ils sont mis en relation par le moyen-terme du syllogisme, le terme universel,
représenté par l’argent. La formule de la circulation proposée par Marx correspond donc
à la troisième figure du syllogisme qualitatif (P-U-S), tel qu’il est présenté par Hegel dans
l’Encyclopédie (§ 183-189). Dans cette figure, en effet, les termes extrêmes (respectivement
P et S) sont les mêmes que les termes moyens de la première (S-P-U) et de la deuxième (U-
S-P) figure, et le terme moyen est représenté par l’universalité46.
36 Pour Gramsci, pourtant, le rôle joué par la philosophie hégélienne, dans le Capital de
Marx, n’est pas de révéler le caractère aliéné du travail, ou la réification des relations
sociales dans les marchandises. La logique de Hegel est vue comme un parallèle, sur le
plan philosophique, de la réflexion sur l’économie politique : cette dernière peut donc
être interprétée d’une façon logique.

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 12

37 De la sorte, Gramsci peut considérer de façon non catastrophique le rapport entre la


civilisation industrielle, la personnalité de l’homme et la société de masse, régulée par un
conformisme inconnu des époques précédentes : le progrès de la mécanisation du travail
constitue pour lui un processus certainement dramatique, voire dans certains cas
sanglant, d’imposition d’une nouvelle discipline sur l’« animalité » de l’homme, un
assujettissement des instincts (naturels, à savoir animaux et primitifs) à des normes
toujours nouvelles, plus complexes et plus rigides, d’ordre, d’exactitude, de
précision qui sont susceptibles de rendre possibles les formes toujours plus
complexes de vie collective qui sont la conséquence nécessaire du développement
de l’industrialisation.47
38 L’application au travail mécanisé d’une nouvelle discipline, selon les directives de la
méthode de Taylor, provoque toutefois un processus d’apprentissage qui ne détruit pas la
personnalité de l’homme : l’ouvrier, s’il parvient à surmonter la difficulté du processus
d’adaptation, n’est pas annulé mais a intériorisé la nouvelle discipline et a une possibilité
de penser supérieure ; « et non seulement il pense mais le fait qu’il n’a pas de satisfactions
immédiates dans son travail et qu’il comprend qu’on veut le réduire à un gorille
apprivoisé, peut l’amener à un cours de pensée peu conformiste »48.

NOTES
2. Lettre du 20 juillet 1928, Lettere, p. 230.
3. Lettere, p. 248-249 ; T. SCHUCHT, Lettere ai familiari, M. Paulesu Quercioli éd., Rome,
Editori Riuniti, 1992, p. 42.
4. Lettre du 3 septembre 1928, Lettere, p. 256.
5. Gramsci lui en avait directement fait part, notamment dans la célèbre lettre du 19 mars
1927, Lettere, p. 60-63.
6. Pour un portrait de Lounatcharski, et en particulier sur son activité en tant que
commissaire du peuple à l’Éducation, nous renvoyons à S. FITZPATRICK, The Commissariat of
Enlightenment. Soviet organization of education and the arts under Lunacharsky, October
1917-1921, Cambridge, Cambridge University Press, 1970.
7. Sur l’exil italien de la famille Schucht, voir A. CAMBRIA, Amore come rivoluzione, Milan,
Sugarco, 1976 ; A. GRAMSCI jr, I miei nonni nella rivoluzione. Breve storia della famiglia russa di
Antonio Gramsci, Rome, Il Riformista, 2010.
8. Voir S. FITZPATRICK, ouvr. cité ; A. GRAMSCI jr, ouvr. cité, p. 108-113 ; M. L. RIGHI,
« Gramsci a Mosca tra amori e politica (1922-1923) », Studi storici, LII, 2011, p. 1001-1038.
9. Sur les rapports entre Gramsci et Lounatcharski en 1922, voir G. SCHIRRU,
« Nazionalpopolare », Pensare la politica. Scritti per Giuseppe Vacca, S. Pons, R. Gualtieri et
F. Giasi éd., Rome, Carocci, 2009, p. 239-253 ; ID., « Per la storia e la teoria della linguistica
educativa. Il Quaderno 29 di Antonio Gramsci », Linguistica educativa, Atti del
XLIV Congresso internazionale di studi della Società di Linguistica italiana (Viterbo,
27-29 septembre 2010), S. Ferreri éd., Rome, Bulzoni, 2012, p. 77-90 ; A. CARLUCCI,

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« Gramsci and the “Cours de linguistique générale” », Cahiers Ferdinand de Saussure, LXIV,
2011, p. 27-48 (p. 42) ; A. CARLUCCI et C. BALISTRERI, « I primi mesi di Gramsci in Russia,
giugno-agosto 1922 », Belfagor, LXVI, 2011, p. 645-658 ; C. BRANDIST, « The cultural and
linguistic dimensions of hegemony: aspects of Gramsci’s debt to early Soviet cultural
policy », Journal of Romance Studies, XII, 2012, p. 24-43, surtout p. 28-31. Le petit volume
évoqué s’intitule Per quale motivo ci interessiamo di Serrati ?, Rome, Libreria editrice del
Partito Comunista d’Italia, 1922.
10. Sur les débuts de la relation sentimentale entre Gramsci et Julia Schucht, et ses
rapports avec Evgenia Schucht, voir désormais M. L. RIGHI, « Gramsci a Mosca tra amori e
politica (1922-1923) », ouvr. cité. Pour l’intervention de Gramsci au cercle ouvrier de
Ivanovo-Voznesensk, voir Per la verità, p. XIX-XX. Julia Schucht fait part à Gramsci de sa
traduction italienne d’un « roman de Bogdanov » dans une de ses lettres d’octobre 1922 :
voir Epistolario 1, p. 416, et n. 3 p. 420.
11. La lettre de Gramsci à Trotski sur les futuristes, où le révolutionnaire mentionne
l’exemple de Proletkult, est désormais accessible dans Epistolario 1, p. 248-251.
12. A. V. LOUNATCHARSKI, « Novyj russkij čelovek », Isvestija VCIK, 9 mars 1923 ; désormais
in ID., Sobranie, vol. VII, Moscou, Akademija Nauk SSSR, 1967, p. 303-308 ; trad. ital. Il nuovo
uomo russo, dans ID., La rivoluzione proletaria e la cultura borghese, U. Silva et G. Mazzotta éd.,
Milan, Mazzotta, 1972, p. 29-36 (p. 33).
13. Sur la figure de Gastev, voir E. STEFFENSEN, « Aleksej Gastev (1882-1941) », Storia della
letteratura russa, E. Etkind, G. Nivat, I. Serman et V. Strada éd., Turin, Einaudi, vol. II.2 (Il
Novecento. La rivoluzione e gli anni Venti), 1990, p. 49-59. Le rôle joué par Trotski pour la
promotion de nouvelles formes de vie du prolétariat russe est rappelé par Gramsci dans
sa réflexion menée en prison : voir Cahier 22 § 11 ; Quaderni, p. 2164-2165. Pour
l’importance prise par l’américanisme dans la discussion interne au groupe dirigeant
bolchevique en 1926, voir R. GUALTIERI, « L’analisi internazionale e lo sviluppo della
filosofia della praxis », dans Gramsci nel suo tempo, F. Giasi éd., Rome, Carocci, 2008,
p. 581-608, et surtout p. 596-597.
14. En général, sur la politique linguistique soviétique des années vingt, voir
G. R. Cardona, Introduzione alla sociolinguistica, Turin, Loescher, 1987, p. 154-156 ;
V. Dell’Aquila et G. IANNACCARO, La pianificazione linguistica. Lingue, società e istituzioni,
Rome, Carocci, 2004, p. 38-41 ; Y. SLEZKINE, « The USSR as a communal appartment, or how
a socialist state promoted ethnic particularism », Slavic Review, LIII, 1994, p. 414-452 ; les
articles contenus dans A State of Nations. Empire and Nation-Making in the Age of Lenin and
Stalin, R. G. Suny et T. Martin éd., Oxford, Oxford University Press, 2001. Pour l’impact de
la planification linguistique soviétique sur la pensée de Gramsci, voir G. SCHIRRU,
« Nazionalpopolare », ouvr. cité ; ID., « Per la storia e la teoria della linguistica
educativa », ouvr. cité ; C. BRANDIST, ouvr. cité, p. 34-38 ; A. CARLUCCI, Gramsci and
Languages. Unification, Diversity, Hegemony, Leyde, Brill, 2013, p. 98-103.
15. Sur la campagne pour l’alphabétisation et en particulier sur l’action déployée dans les
syndicats, voir C. E. CLARK, « Literacy and labour: the Russian literacy campaign within the
trade-unions, 1923-1927 », Europe-Asia Studies, XLVII, 1995, p. 1327-1341 ; L. A. GRENOBLE,
Language Policy in the Soviet Union, Dordrecht, Kluwer, 2003, p. 45-54.
16. Sur la réforme alphabétique, voir Y. SLEZKIN, ouvr. cité ; T. MARTIN, The Affirmative
Action Empire: Nations and Nationalism in the Soviet Union, 1923-1939, Ithaca (N.Y.) - Londres,
Cornell University Press, 2001, p. 182-207 ; M. G. SMITH, Language and Power in the Creation

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 14

of USSR, 1917-1953, Berlin, Mouton de Gruyter, 1998, p. 121-142. Pour certains travaux
particuliers sur ce thème, voir L. RZEHAK, Von Persischen zum Tadschikischen. Sprachliches
Handeln und Sprachplanung in Transoxanien zwischen Tradition, Moderne und Sowjetmacht
(1900-1956), Wiesbaden, Reichert, 2001, p. 222-258 ; E. SIMONATO, « Marr et Jakovlev : deux
projets d’alphabet abkhaz », Cahiers de l’ILSL, XX, 2005, p. 255-269 ; G. IANNACCARO, « La
maggior parte degli alfabeti occidentali non corrisponde al carattere della lingua.
Sull’alfabetizzazione sovietica del Caucaso e dell’Asia Centrale », dans Zhì. Scritti in onore di
Emanuele Banfi in occasione del suo 60° compleanno, Rome, Caissa, 2006, p. 287-301. Sur la
réforme linguistique turque, voir désormais G. LEWIS, The Turkish Language Reform: A
Catastrophic Success, Oxford, Oxford University Press, 2002.
17. Sur la régionalisation, voir E. H. CARR, Il socialismo in un solo paese. I. La politica interna
1924-1926, Turin, Einaudi, 1968, p. 753-759 [édition originale: A History of Soviet Russia,
vol. III, Socialism in One Country, 1924-1926, Londres, Macmillan, 1958-1959] ; T. MARTIN,
ouvr. cité, p. 33-48.
18. Voir A. GRAZIOSI, L’Urss di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica. 1914-1945, Bologne,
Il Mulino, 2007, p. 201-208.
19. Sur les études linguistiques effectuées par Gramsci pendant ses années universitaires,
voir F. LO PIPARO, Lingua intellettuali egemonia in Gramsci, Rome-Bari, Laterza, 1979 ; G.
SCHIRRU, « Antonio Gramsci studente di linguistica », Studi storici, LII, 2011, p. 925-973.

20. Les principaux documents sur la question sont recueillis et traduits en italien dans L.
FORMIGARI, Marxismo e teorie della lingua. Fonti e discussioni, Messina, La Libra, 1973.

21. G. W. F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, trad. it. de E. De Negri, Florence, La Nuova
Italia, 1960, p. 91 [édition originale : Werke, Frankfurt am Main, Suhrkamp, vol. III,
p. 91-92] ; trad. fr. de B. Bourgeois, Paris, Vrin, 2006, p. 142.
22. G. W. F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche, trad. it. de B. Croce, Rome-Bari,
Laterza, 1984, p. 450 [édition originale : HEGEL, Werke, ouvr. cité, vol. X, p. 272]. Hegel
renvoie ici, dans une parenthèse qui suit immédiatement la citation, à W. v. HUMBOLDT,
Sur le duel, I, 10, 11 ; la traduction de Hegel est celle de B. Bourgeois, Encyclopédie des
sciences philosophiques, vol. III : La philosophie de l’esprit, Paris, Vrin, 1988, p. 255.
23. G. W. F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. it. de G. Calogero et C. Fatta,
Florence, La Nuova Italia, 1941, p. 169-170 [édition priginale : HEGEL, Werke, ouvr. cité,
vol. XII, p. 86] ; traduction de J. Gibelin, Leçons sur la philosophie de l’histoire, Paris, Vrin,
1987, p. 56.
24. A. LABRIOLA, I problemi di filosofia della storia. Prelezione letta nella Università di Roma il
28 febbraio 1887, dans ID., Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educazione, L. Basile et
L. Steardo éd., Milan, Bompiani, 2014, p. 1057-1106 (p. 1074) (« E di fatti, lo studio
specifico di alcuno degli ordini precisi di fatti omogenei e graduati, ci ha dato ai nostri
tempi i primi serii tentativi di scienza storica; e se non in tutte le maniere di studii fu sino
ad ora possibile raggiungere l’esattezza della linguistica, e specie dell’ariana, non è
improbabile, a giudicare dagli avviamenti, che il medesimo debba accadere di altre forme
e altri prodotti dell’attività umana. Con questi studii, come con vero e proprio oggetto di
scienza, il filosofo della storia deve simpatizzare, se non vuole che le sue elucubrazioni e il
suo insegnamento divengano pretto esercizio di retorica speculativa ») [nous traduisons].
25. A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, dans ID., Tutti gli scritti,
ouvr. cité, p. 1269-1388 (p. 1355). (« Oltre ai sussidi diretti, qui innanzi accennati, la nostra

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 15

dottrina [il materialismo storico] ne ha di molti altri indiretti: come ha anche degli
istruttivi riscontri in molte delle discipline, nelle quali, per la maggiore semplicità dei
rapporti, fu più agevole l’applicazione del metodo genetico. Il caso tipico è nella
glottologia, e in modo specialissimo in quella che ha per oggetto le lingue ariane ») [nous
traduisons].
26. Voir HEGEL, Fenomenologia, ouvr. cité, p. 295-296 [édition originale : HEGEL, Werke, ouvr.
cité, vol. III, p. 266 : « In einem freien Volke ist darum in Wahrheit die Vernunft
verwirklicht »].
27. Sur cette classification controversée, voir P. ANDERSON, Considerations on Western
Marxism, Londres, Verso, 1976 : la figure de Gramsci y est étudiée avec celles de György
Lukács, Max Horkheimer, Herbert Marcuse.
28. Cette position critique, développée dans F. LO PIPARO, Lingua intellettuali egemonia in
Gramsci, ouvr. cité, a été récemment reprise avec de nouveaux arguments dans ID., Il
professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potere, Rome, Donzelli, 2014. La question de
savoir « si le marxisme de Gramsci (surtout du Gramsci des Cahiers de prison) était
seulement une croûte extérieure très superficielle » figure dans ID., « Studio del
linguaggio e teoria gramsciana », Critica marxista, XXV, 1987, n. 2-3, p. 167-175 (p. 175).
Nous avons examiné en particulier le premier des travaux cités – et une partie de la
bibliographie critique qu’il a suscitée – dans G. SCHIRRU, « La categoria di egemonia e il
pensiero linguistico di Antonio Gramsci », dans Egemonie, A. D’Orsi éd., Naples, Dante &
Decartes, 2008, p. 397-444.
29. Voir en particulier L. ROSIELLO, « La componente linguistica dello storicismo
gramsciano », dans La città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di Antonio Gramsci,
A. Caracciolo et G. Scalia éd., Milan, Feltrinelli, 1959, p. 299-327 ; ID., « Linguistica e
marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci », Historiographia Linguistica, IX, 1982,
désormais dans The History of Linguistics in Italy, P. Ramat, H.-J. Niederehe et
K. Koerner éd., Amsterdam, Benjamins, 1986, p. 237-258.
30. Voir L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo
(1914-1919), Rome, Carocci, 2011, p. 71-88.
31. Le texte peut être lu désormais dans Scritti, p. 336-337.
32. Voir Scritti, p. 344-348.
33. Aujourd’hui dans La città futura, p. 557-558.
34. La città futura, p. 614-615 (« hanno fatto ristagnare la produzione intellettuale del
socialismo italiano, che pure con gli scritti di Antonio Labriola aveva avuto un principio
così fulgido e pieno di promesse »).
35. La città futura, p. 513-517 (« Carlo Marx è per noi maestro di vita spirituale e morale »).
36. Nostro Marx, p. 5-7 (p. 6).
37. Voir l’article « Teoria e pratica. Ancora intorno all’esperanto », Avanti!, 29 janvier
1918 ; désormais dans La città futura, p. 612 (« come studente [non studioso e tanto meno
emerito, ironia e modestia a parte] preparo la mia tesi di laurea sulla storia del
linguaggio, cercando di applicare a queste ricerche i metodi critici del materialismo
storico »).
38. Pour une bibliographie sur le problème, voir G. SCHIRRU, « Filosofia del linguaggio,
psicologia dei popoli e marxismo », ouvr. cité, p. 113-119.

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39. Quaderni, p. 1375 (« è un insieme di nozioni e di concetti determinati e non già e solo
di parole grammaticalmente vuote di contenuto »).
40. Cahier 11, § 65 ; Quaderni, p. 1492 (« necessariamente deve esserci, nei loro principii
teorici, convertibilità da una all’altra, traduzione reciproca nel proprio specifico
linguaggio di ogni elemento costitutivo »).
41. Cahier 11, § 47 ; Quaderni, p. 1468 (« Pare si possa dire appunto che solo nella filosofia
della prassi la ‘traduzione’ è organica e profonda, mentre da altri punti di vista spesso è
un semplice gioco di ‘schematismi’ generici »). Sur la théorie de la traductibilité dans les
Cahiers, voir au moins A. JAULIN, « Le sens commun et la soi-disant réalité du monde
extérieur », dans Modernité de Gramsci ? Actes du colloque franco-italien de Besançon
(23-25 novembre 1989), A. Tosel éd., Paris, Les Belles Lettres, 1992, p. 457-468 ; D. KANOUSSI
, « La coerenza filosofica dei ‘Quaderni’ », dans Gramsci e il Novecento, G. Vacca éd., Rome,
Carocci (Annali della Fondazione Istituto Gramsci, IX), 1999, vol. I, p. 349-364 ; EAD., Una
introdución a los Cuadernos de la cárcel de Antonio Gramsci, México, Plaza y Valdéz, 2000 ; D.
BOOTHMAN, Traducibilità e processi traduttivi. Un caso : A. Gramsci linguista, Bologne, Guerra,
2004.
42. Voir en particulier, pour l’importance qui y est donnée à la réification, G. LUKÁCS,
Storia e coscienza di classe, Milan, SugarCo, 1991, p. 107-143 [édition originale : Geschichte
und Klassenbewußtsein, dans G. LUKÁCS, Werke, vol. II, Darmstadt-Neuwied, Luchterhand,
1977 (2e édition), p. 161-517 (p. 257-286)]. Pour l’insistance sur l’aliénation de la part de
nombreux représentants de l’école de Francfort, voir au moins H. MARCUSE, Ragione e
rivoluzione, Bologne, Il Mulino, 1966, p. 308-358 [édition originale : Reason and Revolution:
Hegel and the Rise of Social Theory, Londres, Routledge, 1955 (2e édition), p. 273-322] ; E.
FROMM, « L’uomo secondo Marx », dans Alienazione e sociologia, A. Izzo éd., Milan, Franco
Angeli, 1973, p. 108-131 [édition originale : Marx’s Concept of Man, New York, Ungar, 1961,
p. 26-58].
43. Cahier 10 II, § 9 ; Quaderni, p. 1247 (« In un certo senso mi pare si possa dire che la
filosofia della praxis è uguale a Hegel + Davide Ricardo. […] Questa traduzione mi pare
appunto abbia fatto la filosofia della praxis che ha universalizzato le scoperte di Ricardo
estendendole adeguatamente a tutta la storia, quindi ricavandone originalmente una
nuova concezione del mondo »).
44. K. MARX, Il capitale. Critica dell’economia politica, Turin, Einaudi, vol. I, p. 18
(trad. française Paris, PUF, 1993, J.-P. Lefebvre éd., p. 17-18).
45. Ibid., p. 86-102 (trad. française, ouvr. cité, p. 81-96).
46. Voir K. MARX, Per la critica dell’economia politica, dans ID., Il capitale, ouvr. cité, vol. I,
t. II, p. 1037 et G. W. F. HEGEL, Encyclopédie des sciences philosophiques en abrégé, Paris, Vrin,
2012, p. 238-240. Pour cette question, voir G. SCHIRRU, « Filosofia del linguaggio e filosofia
della prassi », dans Gramsci nel suo tempo, ouvr. cité, p. 767-791. Sur la progression des
termes du syllogisme dans les differents textes de Hegel, voir J. BIARD et al., Introduction à
la lecture de la Science de la logique de Hegel, III, La doctrine du concept, Paris, Aubier, 1987,
p. 160-198.
47. Cahier 22, § 10 ; Quaderni, p. 2160-2161 (« soggiogamento degli istinti (naturali, cioè
animaleschi e primitivi) a sempre nuove, più complesse e rigide norme di ordine, di
esattezza, di precisione che rendano possibili le forme sempre più complesse di vita
collettiva che sono la conseguenza necessaria dello sviluppo dell’industrialismo »).

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48. Cahier 22, § 12 ; Quaderni, p. 2169 (« e non solo pensa, ma il fatto che non ha
soddisfazioni immediate dal lavoro, e che comprende che lo si vuol ridurre a un gorilla
ammaestrato, lo può portare a un corso di pensieri poco conformisti »).

RÉSUMÉS
Cet article est consacré à la réflexion que Gramsci a menée, dans ses Cahiers de prison, sur le
langage et les langues ; il entend rendre compte de quelle façon cette réflexion a constitué l’une
des contributions de Gramsci au marxisme, lequel avait jusqu’alors été privé de toute théorie
autonome du langage. En cela, la notion de traductibilité, développée de façon originale dans les
Cahiers, revêt une importance particulière. Le travail s’arrête ensuite sur les deux prémisses les
plus immédiates de la réflexion gramscienne. La première est le débat sur langue et nationalité
qui s’est développé dans la Russie révolutionnaire des années vingt, en lien avec la nouvelle
structure fédérale de l’État soviétique et le début des politiques d’alphabétisation. La seconde est
la pensée d’Antonio Labriola qui, tout en n’ayant pas eu l’occasion de fournir sa propre
contribution à la pensée linguistique, avait montré un très vif intérêt pour cette thématique, qu’il
connaissait surtout à travers les écrits de Wilhelm von Humboldt et Heymann Steinthal.

Il saggio è dedicato alla riflessione compiuta da Gramsci, nei suoi Quaderni del carcere, sul
linguaggio e sulle lingue; intende illustrare come tale riflessione abbia costituito uno dei
contributi forniti da Gramsci al marxismo, che era stato fino allora privo di una teoria autonoma
del linguaggio. In ciò, particolare importanza assume la nozione di traducibilità, sviluppata in
direzione originale nei Quaderni. Il lavoro si sofferma quindi sulle due premesse più immediate
alla riflessione gramsciana. La prima di queste è costituita dal dibattito su lingua e nazionalità
svoltosi nella Russia rivoluzionaria durante gli anni Venti, in relazione al nuovo assetto federale
dello stato sovietico e all’avvio delle politiche di alfabetizzazione. La seconda premessa è
costituita dal pensiero di Antonio Labriola, il quale, pur non avendo avuto modo di fornire un
personale contributo al pensiero linguistico, aveva mostrato grande interesse per questo tema,
da lui conosciuto soprattutto attraverso gli scritti di Wilhelm von Humboldt e Heymann
Steinthal.

This essay is devoted to Gramsci’s reflection in his Prison Notebooks on language discourse and on
languages; its aim is to show how this reflection constituted one of Gramsci’s main contributions
to Marxism, which up to that time had not had an autonomous theory of language discourse. In
this, particular importance is assumed by the notion of translatability, developed in an original
direction in the Notebooks. The essay therefore deals with the two most immediate premises of
Gramsci’s reflections. The first of them is constituted by the debate on language and nationalities
in the revolutionary Russia of the 1920s, in relation to the new federal set-up of the soviet State
and to the start of anti-illiteracy campaigns. The second premise is constituted by the thought of
Antonio Labriola who, while not having been able to provide any personal contribution to
linguistic thought, had shown great interest in this subject, which he knew above all through the
writings of Wilhelm von Humboldt and Heymann Steinthal.

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Linguistique et philosophie de la praxis chez Gramsci 18

INDEX
Mots-clés : langue, linguistique, psychologie culturelle, Labriola Antonio, URSS, marxisme,
langage
Keywords : translatability, language, linguistics, discourse, marxism

AUTEURS
GIANCARLO SCHIRRU
Professeur associé de sciences du langage (glottologia e linguistica) à l’Université de Cassino et du
Latium meridional. Il a effectué ses études de linguistique à l’Université de Rome « La Sapienza »,
et est membre de son collège doctoral en Linguistique. Ses champs de recherche comprennent la
dialectologie italienne ancienne et moderne, la phonétique et la phonologie, la linguistique
latine, arménienne et iranienne dans une perspective comparatiste, l’histoire de la pensée
linguistique. Dans ce dernier secteur, il s’est surtout occupé de la figure d’Antonio Gramsci,
étudié dans le cadre de la linguistique du XXe siècle. Sur ce dernier sujet il a publié de nombreux
articles, a assuré l’édition scientifique des volumes de la collection des « Studi gramsciani nel
mondo », publiée par la Fondazione Istituto Gramsci et l’éditeur Il Mulino de Bologne, a participé à
l’organisation du colloque international qui s’est tenu à Rome en 2007 à l’occasion des soixante-
dix ans de la mort de Gramsci. Il a récemment préparé l’édition des Appunti di glottologia. Un corso
universitario di Matteo Bartoli redatto da Antonio Gramsci,Rome, Istituto della Enciclopedia italiana («
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Documenti », 1), 2016.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Tra rivoluzione e controrivoluzione.


L’interpretazione gramsciana del fascismo
Entre révolution et contre-révolution. L’interprétation gramscienne du fascisme
Between revolution and counterrevolution. Gramsci’s interpretation of Fascism

Alessio Gagliardi

Editore
ENS Éditions

Edizione digitale Edizione cartacea


URL: http:// Data di pubblicazione: 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1062 ISSN: 1627-9204
ISSN: 2117-4970

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Alessio Gagliardi, « Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo »,
Laboratoire italien [Online], 18 | 2016, Messo online il 28 novembre 2016, consultato il 12 dicembre
2016. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/1062

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 1

Tra rivoluzione e controrivoluzione.


L’interpretazione gramsciana del
fascismo
Entre révolution et contre-révolution. L’interprétation gramscienne du fascisme
Between revolution and counterrevolution. Gramsci’s interpretation of Fascism

Alessio Gagliardi

Studiare il fascismo
1 La riflessione di Gramsci sul fascismo, nella sua complessità e nelle molteplici
sfaccettature, è apparsa per lungo tempo in ombra. La prima edizione dei Quaderni del
carcere rispondeva infatti principalmente all’obiettivo di rendere Gramsci un esponente di
primissimo piano della cultura italiana, capace di sviluppare la più nobile tradizione
intellettuale nazionale in un serrato dialogo-conflitto con Benedetto Croce. Era invece
destinata a rimanere sullo sfondo la riflessione sulla modernizzazione capitalistica e sulle
trasformazioni della struttura sociale sulle due sponde dell’Atlantico, riflessione che si
riallacciava strettamente ad alcuni aspetti decisivi dell’analisi del fascismo. Il lungo
«oblio» cui andò incontro il Quaderno 22, su Americanismo e fordismo – la cui prima
edizione autonoma, prodotta già nel 1949 ad alta tiratura, incontrò scarsa fortuna –, è
indicativo di questa particolare curvatura assunta dalla prima fase della ricezione
dell’opera gramsciana1. La svolta data agli anni Settanta, quando vedono la luce numerosi
e rilevanti contributi di approfondimento2. Da allora le letture critiche e le ricostruzioni si
sono andate accumulando in numero crescente, dando forma a una letteratura ricca e
diversificata, che ha avuto il merito indubbio di illuminare zone a lungo poco esplorate
del pensiero gramsciano e di metterle in circolo ben oltre l’ambito ristretto degli storici
del pensiero politico.

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 2

2 Naturalmente, ricostruire e interrogare la riflessione di Gramsci sul fascismo comporta


prendere in esame non solo il periodo del carcere ma anche il percorso politico e
intellettuale precedente. Si tratta di fasi diverse, che – dal 1919 al 1935, quando si
interrompe la scrittura dei Quaderni – vedono coesistere indubbie linee di continuità con
rilevanti scarti e discontinuità3. Cambia con il tempo il tono e l’obiettivo immediato
dell’analisi. La polemica arroventata dei primissimi anni Venti, resa incandescente dalla
radicalità dello scontro politico, si raffredda progressivamente nei toni e nei termini ma
non risulta meno radicale nei contenuti. È un’evoluzione che riflette la maturazione
intellettuale di Gramsci e, anche, il radicale mutare delle sue condizioni esistenziali, dal
vivo della lotta politica alla solitudine del carcere.
3 Lo sviluppo della riflessione gramsciana sul fascismo rispecchia anche le diverse fasi
vissute dal movimento delle camicie nere e dalla dittatura4. Il fascismo infatti è sempre
analizzato “dinamicamente”, cioè non solo per la conformazione assunta in quel preciso
momento, ma anche per gli sviluppi futuri che lascia intravedere, in base al combinarsi di
stabilità e instabilità, di punti di forza e debolezza. Sin dal 1919 Gramsci si confronta con
il tema della dissoluzione dello stato liberale, che già da allora inscrive in una più ampia
crisi. Dopo il 1922, gli è chiaro che studiare le azioni del fascismo al potere significa
analizzare lo stato di salute della società borghese (di cui il movimento mussoliniano
appare una scialuppa di salvataggio in un momento di emergenza ma anche un potenziale
fattore di erosione della sua stabilità) e, di conseguenza, le prospettive per le iniziative
del movimento operaio, l’attualità della rivoluzione.
4 In questo contesto, è lo stesso apparato analitico gramsciano a evolvere, con il mutare
della situazione generale, con il cambiamento della condizione esistenziale e del grado di
coinvolgimento politico di Gramsci – dall’«Ordine Nuovo» all’“ascesa” all’interno del
Pcd’I, fino alla terribile solitudine del carcere – e con la maturazione della sua cultura
politica. In particolare, muovendo da una lettura che ruota intorno all’idea del fascismo
come mera dittatura di classe, Gramsci arriva progressivamente a sviluppare
un’interpretazione sempre più originale, capace di arricchire gli schemi del marxismo
degli anni Venti e di esondare dagli schematismi della cultura del Komintern. I primi
interventi portano ancora forte il segno di un marxismo rigidamente classista, che il
Pcd’I, negli anni della segreteria Bordiga, sposa pienamente. Il fascismo vi è
rappresentato come una delle tante manifestazioni del dominio della borghesia, in piena
continuità con il passato e differente dalle altre solo per ininfluenti tratti esteriori:
giocattolo nelle mani delle forze economiche dominanti, e «figlio spirituale di Giovanni
Giolitti», «giolittismo del più schietto e sincero», lo definisce5.
5 Dopo la marcia su Roma, cioè dopo la trasformazione del fascismo in attore di governo e
la necessaria presa d’atto della sconfitta del movimento operaio, Gramsci si misura con
una maggiore complessità di analisi, per rifuggire dalle semplificazioni dicotomiche che
riconducono i fenomeni storici a una meccanica contrapposizione tra borghesia e
proletariato e cogliere pienamente le differenze tra i contesti nazionali e tra le diverse
fasi politiche. È la cosiddetta «analisi differenziata», intorno alla quale si accendono forti
polemiche nel Komintern e che costituisce, almeno fino all’allineamento integrale a
Mosca imposto da Stalin nel 1928-29, un punto fermo dell’attitudine intellettuale del
gruppo dirigente del Pcd’I dopo la sostituzione di Bordiga6.
6 Soprattutto, intorno alla metà del decennio, a partire dal cruciale (per la biografia
gramsciana e per la storia dei comunisti italiani) biennio 1923-24, Gramsci avvia un
percorso di riflessione sempre più innovativo e originale, grazie soprattutto alla

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 3

«scoperta» della rilevanza del rapporto tra cultura e società e dei complessi intrecci tra
capitalismo internazionale e storia nazionale. Il culmine di questo percorso è costituito
naturalmente dai Quaderni del carcere, compimento e punto di arrivo della sua storia
intellettuale e, al tempo stesso, risultato di una fase nuova e originale. Prende così forma
una prospettiva di analisi stratificata, che vede l’affermazione del fascismo e il
consolidarsi della dittatura come il risultato di una molteplicità di processi. Il fascismo
appare allora sempre più un fenomeno irriducibile alla sola dimensione economica,
risultato certamente del dominio borghese ma non privo di margini di autonomia, capace
di mettere in campo modalità di gestione del potere all’altezza dei problemi posti dalla
società di massa e in forte discontinuità con il liberalismo ottocentesco e con il
giolittismo.
7 Per comprendere in profondità i caratteri peculiari del fascismo, Gramsci mette a punto
alcune categorie di analisi che costituiscono in alcuni casi chiavi di lettura per la più
generale interpretazione della storia d’Italia o per le dinamiche di cambiamento delle
moderne società capitalistiche. Viene così a comporsi un dizionario concettuale
suggestivo e originale, anche quando prende a prestito o “riusa” concetti e formule
interpretative; un dizionario formato da lemmi di notevole densità, resi particolarmente
compressi dalle particolari condizioni di scrittura dei Quaderni e però, al tempo stesso,
spesso sintetizzati in formule di grande efficacia e suggestione. Le categorie che Gramsci
mette a punto nella fase più matura della sua riflessione si articolano intorno a tre nodi
problematici, che in alcuni casi riprendono suggestioni e tracce d’analisi abbozzate nei
primi anni Venti.

Le classi sociali e i tempi della storia


8 Il primo nucleo tematico è costituito dal rapporto tra il fascismo e le classi sociali. Per
affrontare questo nodo Gramsci interroga innanzitutto la storia d’Italia, per individuare
le radici profonde dei fenomeni in atto e le tendenze di lungo periodo della storia
nazionale, che, ripresentandosi in forme ancora più evidenti e radicali dopo la prima
guerra mondiale, consentirebbero di spiegare le ragioni storiche dell’affermarsi della
dittatura. Quelle tendenze rimandano in particolare a una duplice debolezza: della società
politica e della società civile, o, in un’altra prospettiva, della borghesia e delle classi
subalterne, fragili sia sul piano politico sia su quello culturale. È una duplice debolezza
che l’erompere delle masse sulla scena politica nel primo dopoguerra rende esplosiva.
9 Il conflitto di classe, di conseguenza, non può non assumere le forme del «sovversivismo».
Gramsci vi si sofferma nell’estate del 1930, nel Quaderno 37: si è di fronte, osserva in
quelle note, a un «sovversivismo dal basso», che è «una posizione negativa e non positiva
di classe: il “popolo” sente che ha dei nemici e li individua solo empiricamente nei cosi
detti signori», dando sfogo a un «“odio generico”», «di tipo “semifeudale”», che porta il
contadino a odiare «il “funzionario” non lo Stato, che non capisce»8. Si tratta quindi non
ancora di un «documento di coscienza di classe: ne è appena il primo barlume, è solo,
appunto, la posizione negativa e polemica elementare», dal momento che mancano sia la
«coscienza esatta della propria personalità storica» sia la «coscienza della personalità
storica e dei limiti precisi del proprio avversario»9. Il fenomeno del sovversivismo
– indicato tra i temi più importanti da affrontare all’inizio del Quaderno 21 sulla
Letteratura popolare – è anche individuato come causa e prodotto della situazione politica
italiana; un sintomo di quell’«apoliticismo del popolo italiano che viene espresso con le

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 4

frasi di “ribellismo”, di “sovversivismo”, di “antistatalismo” primitivo ed elementare» 10.


In un panorama sociale e antropologico così sedimentato, il fascismo, osserva Gramsci, ha
saputo inserirsi e trarne vantaggio; ha saputo dare voce ed espressione allo scarso ethos
pubblico delle classi dirigenti e alla conflittualità esasperata e politicamente arretrata
radicata nella società italiana, offrendo sfogo a uno «straripare selvaggio delle passioni,
degli odi, dei desideri» e identificandosi «con la psicologia barbarica e antisociale di
alcuni strati del popolo italiano»11.
10 Nel rapporto tra classi dirigenti, classi popolari e Stato – rapporto che prende forma in un
tempo lungo databile almeno dall’Unità – si inserisce con forza, con il procedere dei
processi di modernizzazione economica e sociale, un ulteriore soggetto, che prende
compiutamente forma all’inizio del secolo: le classi medie o – secondo la locuzione che
Gramsci impiega, coerentemente con i testi marxiani più che con il linguaggio
sociologico – la piccola borghesia. La rilevanza attribuita a questo segmento della società
connota l’indagine che egli conduce, a partire almeno dagli interventi dei primi anni
Venti.
11 La centralità di questo strato sociale nella storia del fascismo, quale principale animatore
del movimento e dello squadrismo prima e destinatario privilegiato delle politiche e
dell’apparato ideologico del regime poi, costituisce un elemento ormai definitivamente
acquisito dalla storiografia dell’ultimo trentennio. Tuttavia, contrariamente a quanto
talvolta viene sbrigativamente e superficialmente sostenuto, quell’acquisizione non
costituisce il frutto di una rivoluzione interpretativa e un’integrale novità. L’importanza
dei ceti medi era stata infatti sottolineata e indagata da alcuni dei più lucidi antifascisti,
dalle diverse appartenenze politiche e culturali: basti pensare, per limitarsi a qualche
esempio, a Angelo Tasca, Ignazio Silone o, su un diverso versante, a Guido Dorso o al
precocissimo dibattito tra Giovanni Ansaldo e Luigi Salvatorelli sui ceti medi emergenti.
12 Notevole, in questo senso, e di particolare originalità è anche il contributo offerto da
Gramsci. Risalgono alla fine del 1918 i primi articoli sulle inquietudini di alcuni settori
delle classi medie, specialmente dei giovani appena usciti dall’esperienza della guerra, sul
loro progressivo distacco dallo Stato liberale, sul frantumarsi di un universo culturale
dopo aver provato, nell’esperienza bellica, «il potere sulla vita e sulla morte dei soldati» 12.
13 Di fronte all’avanzare del movimento fascista cresce ulteriormente l’attenzione per quel
segmento della società. Tra gli interventi più noti è sicuramente l’articolo Il popolo delle
scimmie, del gennaio 1921. Gramsci sottolinea come con la guerra e la crisi del dopoguerra
la piccola borghesia abbia perso fiducia nel potere e nell’autorevolezza dello Stato e
cerchi al di fuori delle istituzioni le ragioni della propria funzione storica. Si scopre
sovversiva e antiparlamentare e continua a illudersi di poter prendere la direzione di
operai e contadini, non più però grazie allo Stato, ma sistemandosi «intorno a padroni più
ricchi e più sicuri». Nasce il fascismo, sulla base di «uno strano e bislacco miscuglio
ideologico di imperialismo nazionalista, di “vero rivoluzionarismo”, di “sindacalismo
nazionale”», e con l’obiettivo di ergersi a «difesa della proprietà industriale e agricola
dagli assalti della classe rivoluzionaria degli operai e dei contadini poveri». Tuttavia,
come il «popolo delle scimmie» raccontato in una novella di Kipling, la piccola borghesia
crede di essere superiore ma sa mettere in campo solo un presuntuoso e vacuo
vaniloquio. Il giudizio è impietoso:
La piccola borghesia, anche in questa sua ultima incarnazione politica del
«fascismo», si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del
capitalismo e della proprietà terriera, di agente della controrivoluzione. Ma ha

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 5

anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi


compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia
traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri.
14 La sua funzione di “guardia bianca” dell’ordine borghese – ed è qui la novità – viene
svolta però non in nome e per conto di quello Stato liberale e di quei valori nei quali
storicamente si era identificata la grande borghesia, ma, al contrario, sostituendo «la
violenza privata all’“autorità” della legge» e facendo «sollevare contro lo Stato, contro il
capitalismo, sempre più larghi strati della popolazione»13.
15 È nei Quaderni che l’analisi della piccola borghesia si arricchisce in maniera significativa.
Innanzitutto, risalta il carattere multiforme di questo strato sociale. Da un lato, esso ha le
fattezze delle moltitudini di risparmiatori, che con l’acquisto di azioni e obbligazioni
offrono risorse al capitalismo finanziario e allo Stato ma che, per il loro carattere
improduttivo, costituiscono un oggettivo ostacolo ai progetti modernizzatori del fascismo
(è il problema della «composizione demografica», problema non solo italiano ma
europeo)14. Dall’altro, si incarna nel «morto di fame», originato da quei settori della
borghesia rurale che hanno perso la proprietà della terra e che «non vogliono lavorare
manualmente». Si tratta di «uno strato famelico di aspiranti a piccoli impieghi
municipali, di scrivani, di commissionari», e costituisce «un elemento perturbatore nella
vita delle campagne, sempre avido di cambiamenti» (Quaderni, pp. 324-325). È un
segmento della società disperso territorialmente, fortemente disomogeneo, volubile,
disposto a seguire una molteplicità di ideologie, anche «strane».
16 Frammentato ed eterogeneo, il ceto medio intraprende un processo di politicizzazione
lento, che incontra grandi difficoltà nel dotarsi di un’organizzazione centralizzata e di
obiettivi politici condivisi. La politicizzazione, tuttavia, si accelera in determinate
situazioni, di cui il dopoguerra – possiamo sostenere anche alla luce degli articoli del
periodo precarcerario – ha costituito un caso unico e al tempo stesso paradigmatico: «il
processo si accelera quando la “volontà” specifica di questo gruppo coincide con la
volontà e gli interessi immediati della classe alta; non solo il processo si accelera, ma si
manifesta subito la “forza militare” di questo strato, che talvolta, organizzatosi, detta
legge alla classe alta, almeno per ciò che riguarda la “forma” della soluzione, se non per il
contenuto» (pp. 1606-1607). Gramsci compie qui un ulteriore passo in avanti nel
superamento dell’interpretazione del fascismo come agente del capitale finanziario
– interpretazione in quegli anni ancora sostenuta in via ufficiale dal Komintern –, per
dare ulteriore spessore all’analisi del ruolo del ceto medio. Il quale è visto non più solo
come attore politico e militare capace di bloccare la minaccia rivoluzionaria delle classi
subalterne, nell’interesse anche delle élite sociali ed economiche incapaci di salvarsi da
sé, ma è considerato, nei Quaderni, potenzialmente in grado di imporre a quelle élite un
assetto dei poteri (la «forma») e scelte politiche (il «contenuto») con le quali improntare
il nuovo Stato, non più liberale ma compiutamente controrivoluzionario. È una possibilità
solo teorica e potenziale, ma è rilevante il fatto che Gramsci la introduca, anche perché
attribuisce ancora più forza all’idea di non piena identificazione tra il fascismo (gli
uomini, le idee, le azioni e le politiche) e gli interessi dei grandi potentati economici.
17 Nell’analisi delle principali forze sociali e del modo in cui concorrono all’affermarsi della
dittatura mussoliniana, Gramsci si misura, come si è visto, con una temporalità
stratificata, in cui tendenze di più lungo periodo si intrecciano con fattori di novità. Per
questa ragione, la riflessione che egli sviluppa appare quanto mai lontana tanto dalla
astoricità dei modelli interpretativi del mainstream sociologico coevo (e non solo), quanto

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 6

dagli schematismi dicotomici della scolastica marxista-leninista – che proprio tra la fine
degli anni Venti e la metà del successivo decennio, con il definitivo compiersi della
stalinizzazione, costituisce il quadro teorico ufficiale di riferimento della strategia delle
«classi contro classi» del Komintern e della battaglia contro il «socialfascismo».
Richiamare la presenza di un’analisi di lungo periodo nell’interpretazione del
comportamento politico delle classi sociali non vuol dire però che la riflessione di
Gramsci sia apparentabile all’idea di Gobetti del fascismo come «autobiografia della
nazione». L’analisi dell’evoluzione del ruolo delle classi medie – il cui protagonismo
appare molto più recente e connesso all’avanzare della modernizzazione economica – lo
sta a dimostrare, così come la rilevanza assegnata alle condizioni particolari venutesi a
creare nel primo dopoguerra (la «crisi organica», che segna una forte discontinuità negli
equilibri sociali e nell’assetto istituzionale) e l’attenzione alle novità del fascismo e ai
profondi cambiamenti che introduce nel rapporto tra governanti e governati.

Le forme del comando


18 Proprio l’indagine sulle peculiari forme del comando create dalla dittatura costituisce il
secondo nucleo tematico dell’analisi gramsciana. Si tratta di quell’orizzonte di problemi
che Gramsci riconduce prevalentemente alle categorie di «bonapartismo» e «cesarismo»15
.
19 L’elemento più immediatamente evidente nei cambiamenti delle modalità di rapporto tra
potere politico e società era il fare apertamente leva, da parte del fascismo,
sull’irrazionale, sugli istinti e sul bisogno di certezze di cui una società immatura
mostrava particolare necessità. La «nuova politica» incarnata dal regime mussoliniano
era fondata su miti, riti e tabù16. Anche l’apparato ideologico del regime si connotava in
senso religioso: come una «religione politica» che si poneva in diretta concorrenza con
quella cattolica e con la presenza della Chiesa. Si tratta di questioni che la più recente
storiografia internazionale – a partire dai fondamentali studi di George L. Mosse e Emilio
Gentile – ha saputo mettere in luce, individuandole come uno degli aspetti che
maggiormente connotarono la modalità di esercizio del potere da parte della dittatura 17.
Nei Quaderni non mancano alcuni accenni, rivelatori di come Gramsci intuì la dimensione
nuova del rapporto tra politica e società, e la rilevanza assunta dalla sfera irrazionale e
religiosa: un’intuizione che sembra rivelarsi in alcune note disparate e risalenti a fasi
della scrittura diverse, e che non viene sviluppata in un’analisi più sistematica e organica.
20 Un segnale indicativo della volontà del fascismo di costruire con le masse un rapporto di
tipo religioso era costituito, secondo Gramsci, dall’istituzione della Scuola di mistica fascista
di Milano, con la quale il termine «mistica» perdeva il significato negativo generalmente
attribuitogli – cioè quello di «uno stato d’animo di esaltazione politica non razionale e
non ragionata, un fanatismo permanente incoercibile alle dimostrazioni corrosive» – per
assumerne uno positivo (Quaderni, pp. 915-916). La religione politica fascista trovava il suo
fine principale nel tentativo di creare un «uomo collettivo», un «conformismo sociale»
che annullava le individualità; incrociava perciò i processi di massificazione e
spersonalizzazione innescati dai sistemi di razionalizzazione produttiva di provenienza
statunitense (taylorismo e fordismo). Il risultato del progetto totalitario del regime – di
permeare integralmente la vita sociale e l’universo privato degli individui – era un diffuso
«fanatismo», uno «dei contraccolpi morbosi che ha ogni costruzione di “uomo
collettivo”», e una forte tendenza al conformismo, su cui poggiava il vasto «consenso» al

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 7

regime (Ibid., pp. 1833-1834). Ne derivava, per Gramsci, la necessità non solo di
comprendere il funzionamento dell’apparato religioso del fascismo, ma anche, come
osservò in un altro luogo dei Quaderni, di «studiare ed elaborare gli elementi della
psicologia popolare» (p. 329). Nasce da qui l’interesse per Freud, a cui più volte le sue note
fanno riferimento18. Rimase invece ai margini di questa riflessione il ruolo giocato dalle
nuove tecniche di comunicazione, su cui in quegli stessi anni si andava interrogando
Walter Benjamin19.
21 La forma religiosa assunta dall’autorità fascista si manifestava principalmente nel ruolo
assunto dal leader, dal «capo». È un tema che Gramsci mise a fuoco precocemente. Se però
all’inizio l’individuazione del leaderismo e della forte personalizzazione quali tratti
costitutivi del fascismo trovarono espressione in veementi e sprezzanti attacchi a
Mussolini – definito tra l’altro «traditore», «apprendista negromante», «venduto»,
«mosca cocchiera», «fenomeno di folklore paesano»20 – dalla metà degli anni Venti
divennero invece oggetto di un’analisi più articolata e distesa, in cui non mancava anche
una comparazione tra l’Italia e l’Unione sovietica. Nell’editoriale del primo numero de
«L’Ordine Nuovo» quindicinale, del marzo 1924, dal titolo «Capo», Gramsci proponeva un
parallelo tra Lenin e Mussolini, e tra le diverse modalità di rapporto con le masse che i
due leader avevano incarnato. Nel primo quel rapporto si era rivelato «storico e
organico», perché Lenin era stato un elemento della classe operaia, ne aveva
rappresentato «gli interessi e le aspirazioni più profonde e vitali». Nel secondo, invece,
era puramente gerarchico, di tipo militare, perché si basava sulla «personificazione fisica
delle funzioni di comando»; Mussolini era «divinizzato» e «dichiarato infallibile», ma la
sua dottrina, la sua natura di «capo», si riduceva in realtà «tutta nella maschera fisica, nel
roteare degli occhi entro l’orbite, nel pugno chiuso sempre teso alla minaccia»21.
22 Apparentemente paradossale o provocatorio – per un dirigente e intellettuale
comunista –, il confronto tra il fascismo e lo Stato socialista costituì un tratto non
irrilevante del metodo d’analisi di Gramsci, soprattutto nelle riflessioni degli anni Trenta.
Nei Quaderni, infatti, egli sviluppò in diversi passaggi la comparazione tra fascismo e
bolscevismo, generalmente in maniera implicita e allusiva, benché fosse del tutto alieno,
nonostante le crescenti distanze dall’Urss staliniana, da ogni tentazione di negare la
differenza di obiettivi e di valori tra le due esperienze. Non si trattava di stabilire un
improbabile asse tra Roma e Mosca, ma di mettere a fuoco la comune insistenza sulla
caratterizzazione sociale del potere politico, sulla trasformazione del ruolo del partito e
sulla natura nuova della leadership carismatica22. Gramsci, in particolare, appare
profondamente persuaso della necessità, per comprendere al meglio i paralleli sviluppi
dei due sistemi, di andare oltre le più superficiali determinazioni ideologiche e gli aspetti
più contingenti, per interrogare le trasformazioni profonde del rapporto tra politica e
società che investivano quelle due realtà, anche quale esito della crisi «organica» del
capitalismo e del liberalismo. L’analisi della controrivoluzione fattasi Stato (l’Italia
fascista) poteva quindi offrire utili spunti di riflessione per comprendere le dinamiche
interne alla rivoluzione fattasi Stato (l’Unione sovietica) e, più indirettamente, rischi e
possibilità della futura rivoluzione italiana: «analisi e proiezione strategica», presente e
sviluppi futuri, è ribadito ancora una volta, non possono essere disgiunti 23.
23 Rivoluzione e controrivoluzione, seppure muovendo in una direzione storica opposta,
davano luogo infatti a trasformazioni dello stato che presentavano forti analogie, perché
condividevano una comune tendenza alla «politica totalitaria», all’eliminazione della
pluralità di organizzazioni politiche, ora inglobate nel partito unico.

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 8

Una politica totalitaria – leggiamo nel Quaderno 6, in una nota dell’estate 1931 –
tende appunto: 1) a ottenere che i membri di un determinato partito trovino in
questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trovavano in una molteplicità di
organizzazioni, cioè a rompere tutti i fili che legano questi membri ad organismi
culturali estranei; 2) a distruggere tutte le altre organizzazioni o a incorporarle in
un sistema di cui il partito sia il solo regolatore. (Quaderni, p. 800)
24 Ciò che è interessante dell’analisi gramsciana, è che la politica totalitaria, così definita,
poteva caratterizzare situazioni storiche radicalmente diverse. Così prosegue la nota:
Ciò avviene: 1) quando il partito dato è portatore di una nuova cultura e si ha una
fase progressiva; 2) quando il partito dato vuole impedire che un’altra forza,
portatrice di una nuova cultura, diventi essa «totalitaria»; e si ha una fase
regressiva e reazionaria oggettivamente, anche se la reazione (come sempre
avviene) non confessi se stessa e cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova
cultura.24
25 In altre parole, secondo Gramsci si aveva una politica totalitaria sia quando il potere era
stato assunto, dopo una rivoluzione, da una forza operaia, e qui naturalmente si riferiva
all’Urss; sia, all’opposto, ed era il caso del fascismo, quando la guida dello Stato era
conquistata da una forza politica che voleva impedire il successo della rivoluzione,
mettendo in campo una politica reazionaria. Alle analogie negli assetti politici e
istituzionali corrispondevano obiettivi e composizione delle classi al potere opposti.
26 Tornando all’analisi della leadership carismatica di Mussolini, Gramsci rimarcò
l’«idolatria» che circondava il dittatore italiano, il carattere quasi religioso della sua
autorità, per come veniva vissuta dai militanti fascisti e per come era rappresentata agli
italiani. E non si può qui non pensare alla nota sull’Origine popolaresca del «superuomo», e
alla suggestione, solo accennata, sugli influssi sulla vita reale delle figure superomistiche
della letteratura popolare (il conte di Montecristo e l’Athos dei Tre moschettieri di Dumas
soprattutto, ma anche il Vautrin del Papà Goriot di Balzac e lo Sherlock Holmes di Conan
Doyle). Infatti, «la piccola borghesia e i piccoli intellettuali sono particolarmente
influenzati da tali immagini romanzesche, che sono come il loro “oppio”, il loro “paradiso
artificiale” in contrasto con la meschinità e le strettezza della loro vita reale immediata» 25
.
27 Rilevare la diffusa idolatria verso Mussolini, tuttavia, non conduceva Gramsci ad aderire
alle analisi sul «capo carismatico» elaborate da Max Weber e Robert Michels (era
soprattutto la «trovata» di quest’ultimo, di cui viene in particolare commentato un
articolo del 1928, ad aver fatto «molto baccano» in Italia)26. Il «cosiddetto “charisma”, nel
senso di Michels», nel mondo moderno coincideva sempre (a dispetto di quanto
quest’ultimo lasciava intendere), «con una fase primitiva dei partiti di massa, con la fase
in cui la dottrina si presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha
bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata alle circostanze» (
Quaderni, p. 231). In altre parole, veri e propri «partiti carismatici», cioè «raggruppamenti
intorno a certe personalità» e la cui base è «la fede e l’autorità d’un solo», non erano mai
esistiti. Potevano darsi in particolari momenti espressioni di interessi «rappresentate da
certe personalità più o meno eccezionali: in certi momenti di “anarchia permanente”
dovuta all’equilibrio statico delle forze in lotta, un uomo rappresenta l’“ordine” cioè la
rottura con mezzi eccezionali dell’equilibrio mortale e intorno a lui si raggruppano gli
“spauriti”, le “pecore idrofobe” della piccola borghesia» (Quaderni, p. 234). Tuttavia,
anche in questi casi il leader non era solo, ma costituiva la manifestazione più evidente e
comprensibile di una più ampia realtà politica: «c’è sempre un programma, sia pure

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Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 9

generico, anzi generico appunto perché tende solo a rifare l’esteriore copertura politica a
un contenuto sociale che non attraversa una vera crisi costituzionale, ma solo una crisi
dovuta al troppo numero di malcontenti» (ibid.). I presunti leader carismatici, a partire da
Mussolini (più di altri usurpatore, secondo Gramsci, di questa definizione) erano dunque
il sintomo di una fragilità e immaturità del quadro politico, segnato dall’assenza di un
vero progetto di alternativa e dalla difficoltà a ricomporre il rapporto tra governanti e
governati.
28 Come indicano anche queste notazioni, il «cesarismo»-«bonapartismo» non si riduceva
dunque alla presenza di un leader. Anzi, «si può avere “soluzione cesarista” anche senza
un cesare, senza una grande personalità “eroica” e rappresentativa» (Quaderni, p. 1619).
La soluzione cesarista infatti aveva a che fare con la trasformazione degli apparati statali
e della politica: innanzitutto, con un’integrale riformulazione dei criteri di legalità,
capace di legittimare e istituzionalizzare la violenza squadrista. Già nell’autunno 1920
Gramsci, mostrando straordinarie capacità di inquadrare la portata dello scontro in atto e
leggere i probabili sviluppi, aveva tratteggiato i contorni che un’eventuale
«restaurazione» borghese seguita al conflitto del biennio rosso avrebbe potuto assumere:
Lo Stato restaurato non incendierà più, sopprimerà «legalmente». Il fascismo ha
assaltato Camere del Lavoro e municipi socialisti: lo Stato restaurato scioglierà
«legalmente» le Camere del Lavoro e i municipi che vorranno rimanere socialisti. Il
fascismo assassina i militanti della classe operaia: lo Stato restaurato li manderà
«legalmente» in galera e, restaurata anche la pena di morte, li farà «legalmente»
uccidere da un nuovo funzionario governativo: il carnefice.27
29 Dopo il 1922 sarebbe stato lo stesso movimento mussoliniano a prendere le redini della
restaurazione e a ridefinire integralmente i confini della legittimità giuridica e politica.
Con la formazione del regime, il fascismo, osserva Gramsci nel Quaderno 3, poté abolire
legalmente l’autonomia di cui le classi sociali potevano godere nello Stato liberale – e che
trovavano espressione nel pluralismo di partiti, sindacati e associazioni culturali – per
«incorporarle nell’attività statale». È interessante osservare, a questo proposito, come nel
giugno 1930 Gramsci sottolineasse come, al termine di questo processo, l’«accentramento
di tutta la vita nazionale nelle mani della classe dominante» fosse diventato «frenetico e
assorbente», segnato cioè da dinamismo e incompiutezza (Quaderni, p. 303); mentre,
riprendendo la riflessione a distanza di tempo, tra l’estate del 1934 e l’inizio del 1935, nel
Quaderno 25, poteva considerare quel processo ormai consolidato e, cambiando solo le
parole conclusive della nota, sosteneva che l’«accentramento» fosse ormai «totalitario» (
ibid., p. 2287).
30 Attraverso l’impiego delle categorie di «cesarismo» e «bonapartismo» (e «politica
totalitaria»), Gramsci non si limitava però a evidenziare il carattere coercitivo e
autoritario assunto dall’autorità statuale. Si prefiggeva infatti anche di analizzare le
nuove modalità di funzionamento del potere politico, ora in grado, grazie a «un sistema
reticolare di controllo e di disciplinamento della vita privata» e all’«attivazione di
“provvidenze” per la soddisfazione di bisogni individuali», di «penetrare nei “mondi
vitali”» e «rideterminare il “senso comune” dominante in una società di massa» 28.
31 Finita, con Napoleone III, l’epoca dei colpi di Stato e delle dittature militari, il cesarismo
moderno assumeva forme più complesse, perché si intrecciava con le molteplici
trasformazioni vissute dai meccanismi politici e istituzionali dello Stato: quelle
trasformazioni che la scienza giuridica di inizio Novecento aveva analizzato
abbondantemente e con toni allarmati, sino a evocare la «crisi dello Stato»29. Bisognava,

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di conseguenza, predisporre un quadro analitico più ampio, che chiamava in causa la


formazione di uno Stato sempre più «allargato», di apparati burocratici sempre più
pletorici e di meccanismi di rappresentanza e mediazione, tra forze politiche e interessi
socio-economici, sempre più complessi e capaci di inglobare nella sfera pubblica soggetti
in passato considerati «privati», come i sindacati. La tecnica politica era profondamente
mutata dopo il 1848 e Napoleone III,
dopo l’espansione del parlamentarismo, del regime associativo sindacale e di
partito, del formarsi di vaste burocrazie statali e «private» (politico-private, di
partiti e sindacali) e le trasformazioni avvenute nell’organizzazione della polizia in
senso largo, cioè non solo del servizio statale destinato alla repressione della
delinquenza, ma dell’insieme delle forze organizzate dallo Stato e dai privati per
tutelare il dominio politico ed economico delle classi dirigenti». (Quaderni, p. 1620)
32 Insomma, indicava Gramsci, non ci si doveva lasciare abbagliare dalla figura di Mussolini
e dal culto di cui era oggetto. Era invece alla luce del più generale processo di
trasformazione dello Stato e della politica che doveva essere analizzato il «cesarismo»
fascista, che prese avvio nell’ottobre 1922 per poi assumere via via, con il consolidarsi
della dittatura e del regime, «una forma più pura e permanente, sebbene anch’essa non
immobile e statica» (ibid.).
33 Se il ricorso alle categorie di «cesarismo», «bonapartismo» e «capo carismatico»
contribuisce a cogliere la novità del fascismo rispetto alle forme tradizionali di governi
reazionari, che in genere si riducono a poco più di una “rotazione” delle classi dirigenti,
esso non riesce però a dar conto del fenomeno in tutta la sua complessità e, soprattutto, a
restituirci compiutamente l’immagine del regime nella fase della sua raggiunta maturità.
Il cesarismo, infatti, è categoria utile per interpretare una fase di scontro e transizione, in
cui le forze politiche sono ancora «in equilibrio» (Quaderni, p. 1194). Quel concetto è
appropriato per inquadrare una situazione di fragilità e arretratezza – per l’assenza di un
sistema capace di garantire la stabilità e la sopravvivenza dei diversi soggetti politici – e
però aperta a cambiamenti ed evoluzioni. Può descrivere bene perciò la prima fase della
dittatura fascista, quella della conquista del potere e della costruzione del regime, non più
quella della maturità, apertasi sul finire degli anni Venti30. Per comprendere appieno la
realtà storica del fascismo maturo serve un allargamento del quadro dell’analisi. Si rivela
allora fondamentale il concetto di «rivoluzione passiva».

La «rivoluzione passiva»
34 Il terzo nucleo tematico, che trova espressione soprattutto nella riflessione più matura, è
appunto il discorso che ruota intorno alla categoria di «rivoluzione passiva». Associare il
fascismo alla parola «rivoluzione», benché qui temperata e riconnotata semanticamente
dall’aggettivo «passiva», costituiva per un antifascista, e ancora di più per un comunista,
un’operazione intellettuale innovativa e non priva di coraggio. Il presunto carattere
«rivoluzionario» del fascismo – quale originale e moderna rivoluzione dei ceti medi – è
stato oggetto di riflessione e di discussione di una parte non irrilevante della storiografia
recente, e ha caratterizzato, almeno parzialmente, alcune delle più influenti e discusse
interpretazioni del fascismo elaborate a partire dagli anni Settanta e Ottanta: basti
pensare ancora una volta agli studi, pur profondamente differenti tra loro, di Renzo
De Felice, George L. Mosse, Emilio Gentile e Zeev Sternhlell. È uno spostamento dell’asse
interpretativo che, specularmente, ha ridimensionato la portata dell’anticomunismo e

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dell’antisocialismo quali caratteri costitutivi del movimento mussoliniano e poi del


regime31.
35 Sebbene si serva del concetto di rivoluzione per definire e comprendere alcuni aspetti
dell’esperienza fascista, l’analisi di Gramsci si sviluppa lungo un percorso per nulla
identificabile con quello qui evocato. È innegabile, tuttavia, che l’apparentamento tra
fascismo e rivoluzione e la sottolineatura di una funzione storica a tratti oggettivamente
progressiva della dittatura costituiscono una delle più significative innovazioni prodotte
nell’ambito delle analisi effettuate “in tempo reale” negli anni Venti e Trenta;
un’innovazione densa di grandi potenzialità sul piano interpretativo non sempre
pienamente sviluppate dalla successiva ricerca storica.
36 Per Gramsci il fascismo, come si è visto, non solo è impensabile al di fuori della crisi
dell’ordine borghese e dell’ascesa del movimento operaio che anima l’Italia e l’Europa
dopo la grande guerra, ma, con la conquista del potere e la costruzione del regime, si
inscrive anche in una specifica tipologia di fenomeno storico, la «rivoluzione passiva»,
con cui le classi dominanti contrastano i propositi rivoluzionari delle classi subalterne
recuperandone al tempo stesso alcune istanze; non certo una rivoluzione in senso proprio
dunque – come sarebbe stato per altro impensabile per un intellettuale e militante
comunista («assurdo parlare di rivoluzione», aveva scritto già nel 1925 nelle Tesi di Lione) 32
–, ma neanche una semplice restaurazione dello status quo ante33.
37 Il fascismo è infatti visto come «il rappresentante, oltre che pratico (per l’Italia),
ideologico, per l’Europa» della «guerra di posizione» con cui le élites borghesi avevano
risposto alla sfida della rivoluzione bolscevica dopo il 1921, dopo cioè che si era arrestata
la minaccia della rivoluzione stessa di dilagare ben oltre i confini russi 34. La guerra di
posizione non è una pura contrapposizione violenta, non si concretizza nel solo ricorso a
strumenti repressivi e autoritari per contenere la spinta del movimento operaio; né,
tantomeno, assume i contorni di quello sterminio di massa, quello «sfrenarsi di un terrore
bianco senza limiti di sangue» che Gramsci aveva paventato nel giugno 1919, quale
reazione della borghesia per scongiurare una vittoria del socialismo35. La guerra di
posizione presuppone invece, come dato irreversibile, il carattere di massa assunto dalla
lotta politica e, di conseguenza, una qualche capacità inclusiva (seppure in posizione
passiva e subordinata) dello Stato nei confronti della società. In questo senso la guerra di
posizione assume il carattere di rivoluzione passiva.
38 La categoria di rivoluzione passiva è introdotta nel paragrafo 44 del Quaderno 1, scritto
nel febbraio-marzo 1930 e ispirato, con una certa libertà, al Saggio storico sulla rivoluzione
napoletana del 1799 di Vincenzo Cuoco 36. Si tratta di un concetto che indica un elemento
caratterizzante della storia delle società borghesi, almeno a partire dalla rivoluzione
francese, e che viene a occupare uno spazio crescente man mano che Gramsci sviluppa la
sua riflessione sulla storia italiana ed europea. Trattando specificamente del caso italiano,
individua come tratto ricorrente della storia nazionale l’«assenza di iniziativa popolare»
e, conseguentemente, «il fatto che il “progresso” si verificherebbe come reazione delle
classi dominanti al sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari con
“restaurazioni” che accolgono una qualche parte delle esigenze popolari, quindi
“restaurazioni progressive” o “rivoluzioni-restaurazioni” o anche “rivoluzioni passive”» (
Quaderni, p. 957).
39 Applicando questa ipotesi alle vicende degli anni Venti, egli sottolinea che il fascismo
costituisce una risposta reazionaria e al tempo stesso di massa alle lotte operaie del

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biennio rosso e alla minaccia rivoluzionaria. Gramsci infatti, sviluppando intuizioni già
presenti nel 191937, nei Quaderni legge la crisi del primo dopoguerra non come crisi sociale
o meramente congiunturale, ma come crisi più generale, una «crisi di egemonia» che
aveva investito le istituzioni parlamentari dello Stato liberale e quella «combinazione
della forza e del consenso» attraverso la quale la borghesia si prefiggeva di guidare lo
sviluppo economico e l’ingresso delle masse nella vita politica. Ogni uscita da quella crisi
– provvisoria o permanente che fosse – non avrebbe potuto limitarsi a vagheggiare un
impossibile ritorno all’ordine precedente; avrebbe dovuto, invece, confrontarsi con la
complessità della stratificazione delle classi generata dallo sviluppo economico e con un
diverso rapporto tra gruppi sociali e politica: un superamento della crisi, in altre parole,
non poteva non includere anche tratti «progressivi», che implicavano una qualche forma
di riconoscimento del protagonismo acquisito dalle masse.
40 Con il concetto di «rivoluzione passiva» Gramsci vuole perciò evidenziare proprio la presa
d’atto, da parte del fascismo, dell’irreversibilità della mobilitazione delle masse, che trova
conferma nella moltiplicazione e crescita degli apparati creati per irreggimentare,
coinvolgere e mobilitare la società: dal Partito nazionale fascista alle organizzazioni
giovanili, dai sindacati al Dopolavoro, dall’Ente opere assistenziali ai Fasci femminili, per
citare i maggiori. La necessità di incanalare le masse, vista l’impossibilità di estrometterle
dalla vita pubblica, costituisce un punto delicato e ambivalente nella tenuta della
dittatura: è un punto di forza, perché allarga le basi del sostegno e del consenso per il
regime oltre gli originari confini sociali e offre una massa di manovra ampia da mobilitare
e a cui rivolgere il progetto di “uomo nuovo”; al tempo stesso, però, rappresenta un
elemento critico, perché inserisce nelle strutture dello stato fascista segmenti della
società, come il mondo operaio e contadino, i cui interessi la politica del regime non può
assecondare. Su questa potenziale contraddizione proprio i comunisti punteranno
l’attenzione nei secondi anni Trenta: basti pensare all’ampio risalto che a essa viene
accordato nel Corso sugli avversari di Togliatti38.
41 Ricondurre il fascismo a un caso di «rivoluzione passiva» significa quindi mettere al
centro dell’analisi la questione della rivoluzione, tentata e fallita dal movimento operaio,
e dell’intreccio inscindibile con essa della reazione fascista. Il fascismo è un caso di
rivoluzione passiva anche per un’altra ragione, perché costituisce la variante italiana di
una rivoluzione passiva mondiale, che negli Stati Uniti prende le forme del «fordismo» e
dell’«americanismo», e che sollecita in Europa – in un’Europa piegata dagli
sconvolgimenti prodotti dalla grande guerra e poi dalla crisi degli anni Trenta – risposte e
reazioni volte a difendere gli assetti di potere esistenti, ma non compiutamente
conservatrici nell’accezione comune del termine, cioè rigorosamente identificate con
norme, istituti e valori radicati nella tradizione e nella storia nazionale.
42 L’americanismo e il fordismo costituiscono un tema tra i più rilevanti dell’analisi dei
Quaderni, e tra i più indagati. Il modello americano è interpretato da Gramsci come
controtendenza rispetto alla caduta tendenziale del saggio di profitto, indicata da Marx
nel III libro del Capitale come tendenza immanente dello sviluppo capitalistico; esso
indica, di conseguenza, la possibilità di una soluzione alla crisi tutta interna alla logica del
capitale. Ciò che però qui deve essere soprattutto rilevato è che per Gramsci
l’americanismo si configura non solo come razionalizzazione tecnica del processo
lavorativo, ma anche come progetto di organizzazione sociale (l’«economia
programmatica», Quaderni, p. 2139); un progetto fondato da un lato sull’estensione
all’intera società del modello della fabbrica e, dall’altro, sull’attivazione di meccanismi di

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integrazione e allargamento delle basi sociali del capitalismo, che si concretizza


soprattutto nel sistema della produzione di massa, negli alti salari e nella diffusione dei
consumi39. La sua analisi indica nello sviluppo dell’americanismo la tendenza di fondo,
quella che condiziona (nei termini dell’imitazione, dell’adattamento o della reazione) le
diverse soluzioni politiche e istituzionali40. Le differenti risposte nazionali alla grande
crisi sono da Gramsci ricomposte, in primo luogo, all’interno del fenomeno univoco
dell’americanismo come tendenza decisiva del capitalismo internazionale e, in secondo
luogo, dell’«economia programmatica» e delle nuove forme di intervento pubblico
(l’«economia media») come indirizzo politico-economico sostanzialmente omogeneo,
almeno su scala europea41.
43 Nell’Italia fascista il tentativo di dare vita a un’economia programmatica che possa
mettere fine al disordine del libero mercato passa principalmente attraverso il progetto
corporativo. Il corporativismo costituisce la «forma economica» assunta dalla rivoluzione
passiva rappresentata dal fascismo (Quaderni, p. 1089); è «polizia economica» – cioè
drastica riduzione dei salari ed eliminazione delle libertà sindacali – e, al tempo stesso,
«politica economica». In questa seconda accezione può costituire la «forma giuridica» per
un «rivolgimento tecnico-economico» su larga scala e, di conseguenza, si riconnette alla
possibilità di introdurre in Italia le innovazioni del taylorismo e del fordismo e, più in
generale, quel complesso di fenomeni compresi nella categoria di americanismo.
44 Gramsci inizia a confrontarsi con il tema nel 1930, nel Quaderno 3, e ritiene questi nessi
soltanto potenziali, escludendo però di fatto la possibilità di una loro traduzione pratica.
Tornando sulla questione in singoli punti dei Quaderni 8 e 10 e poi, sistematicamente, nel
1932, nel Quaderno 22 (Americanismo e fordismo) – quando cioè è ormai evidente
l’estensione e la profondità della crisi economica – egli inizia, sebbene ancora in forma
dubitativa, a intravedere nel corporativismo una concreta condizione per adattare al
contesto italiano il modello americano di società industriale. Il corporativismo
costituirebbe la cornice istituzionale dell’«economia programmatica», cioè di
un’«“economia media” tra quella individualistica pura e quella secondo un piano in senso
integrale» (ibid.).
45 Grazie al corporativismo, il fascismo (e in ciò risiede il suo carattere di «rivoluzione
passiva») sarebbe in grado di attuare un profondo cambiamento della struttura
economica senza alterare le preesistenti gerarchie sociali:
Si avrebbe una rivoluzione passiva – scrive Gramsci nel maggio 1932, nel
Quaderno 10 – nel fatto che per l’intervento legislativo dello Stato e attraverso
l’organizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero
introdotte modificazioni più o meno profonde per accentuare l’elemento «piano di
produzione», verrebbe accentuata cioè la socializzazione e cooperazione della
produzione senza per ciò toccare (o limitandosi solo a regolare e controllare)
l’appropriazione individuale e di gruppo del profitto. (Quaderni, p. 1228)
46 Il corporativismo e l’economia programmatica renderebbero possibile «sviluppare le
forze produttive dell’industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali» (ibid.).
Alla luce di questi elementi, appare chiaro come Gramsci rifiuti l’idea che la dittatura
coincida con la stagnazione, che il fascismo sia un sintomo della crisi irreversibile dello
sviluppo capitalistico, secondo quanto sostenuto a partire dalla fine degli anni Venti dal
Komintern42.
47 I Quaderni si soffermano anche su un altro aspetto del corporativismo, che inerisce alla
dimensione ideologica. Il vagheggiamento di una “terza via” corporativa tra capitalismo e

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socialismo non costituisce un semplice tema propagandistico, destinato sin dal principio a
risolversi in un illusorio diversivo per le masse costrette a pagare un peggioramento delle
proprio condizioni materiali. L’ideologia del corporativismo, con le molteplici sue voci e
interpretazioni, anima invece una vasta mobilitazione di forze intellettuali, la più grande
promossa dal regime43; una mobilitazione che risponde, secondo Gramsci, a una rilevante
funzione politica, quella di contribuire a «creare un periodo di attesa e di speranze,
specialmente in certi gruppi sociali italiani, come la grande massa dei piccoli borghesi
urbani e rurali, e quindi a mantenere il sistema egemonico e le forze di coercizione
militare e civile a disposizione delle classi dirigenti tradizionali» (Quaderni, p. 1228).
48 Il corporativismo, nelle sue diverse sfaccettature, è dunque considerato un elemento
decisivo del fascismo quale manifestazione della rivoluzione passiva44. Esso non è però
solo un’«invenzione» della dittatura, ma ha a che fare, più in generale, con il
riconfigurarsi nelle società capitalistiche delle modalità di esercizio del potere politico. Le
tendenze corporative – che vedono sostituirsi gli interessi organizzati alle
rappresentanze parlamentari – segnano in profondità le società capitalistiche europee
indipendentemente dalla natura del regime politico. Esse appaiono perciò destinate a
segnare la propria «epoca» più dell’assolutismo fascista, e devono dunque essere
«analizzate anche indipendentemente da questo. Gramsci sembra scindere l’epocalità, il
radicamento nel proprio tempo storico, del corporativismo da quello del fascismo,
laddove il primo sembrerebbe avere un rapporto con «necessità storiche attuali»
superiore a quello del fascismo. È il fascismo, e non il corporativismo, ad avere un
«carattere “transitorio” (nel senso che fa epoca, non nel senso di “poca durata”)» 45.
49 Il carattere di rivoluzione passiva appare quello che maggiormente denota i reali indirizzi
dell’azione di governo del fascismo, il modo in cui il regime intende superare la crisi del
dopoguerra e governare i contraddittori processi innescati dall’industrializzazione e della
modernizzazione sociale. Ed è grazie alla teoria della «rivoluzione passiva» che Gramsci
riesce a liberare l’analisi del fascismo da ogni residua tentazione di considerare
quell’esperienza politica una patologia della modernità, per inserirla invece a pieno titolo
nei processi di cambiamento che segnano in profondità le società europee negli anni tra
le due guerre.
50 Questo nucleo tematico della riflessione di Gramsci ci proietta dunque oltre la sola
vicenda italiana, invitando a inquadrare il fenomeno fascista nel più ampio contesto dei
processi di trasformazione dell’economia e della politica che investono le nazioni
capitalistiche dell’occidente. Non casualmente, è proprio a partire da questa traccia che
diversi studiosi hanno saputo trarre dall’analisi gramsciana spunti e stimoli anche per lo
studio di altre esperienze fasciste o autoritarie46.

NOTE
1. L. MANGONI, Cesarismo, bonapartismo, fascismo, in «Studi storici», XVII, 1, 1976, pp. 54-55;
P. CAPUZZO, S. MEZZADRA, Provincializing the Italian Reading of Gramsci, in N. Srivastava e
B. Bhattacharya (a cura di), The Postcolonial Gramsci, New York, Routledge, 2012, p. 36.

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2. Tra i contributi più rilevanti, sono sicuramente da annoverare: L. PAGGI, Gramsci e il


moderno principe. I. Nella crisi del socialismo italiano, Roma, Editori Riuniti, 1970; F. DE FELICE,
Una chiave di lettura in «Americanismo e fordismo», in «Rinascita - Il contemporaneo», XLII,
1972, 27 ottobre, pp. 33-35. Indicativa fu l’uscita, nel 1973, di un’antologia di scritti
gramsciani sul fascismo: A. GRAMSCI, Sul fascismo, a cura di E. Santarelli, Roma, Editori
Riuniti, 1973. Un notevole impulso al rinnovamento degli studi, dalla metà degli anni
Settanta, fu impresso dall’uscita, nel 1975, dell’edizione critica dei Quaderni del carcere, a
cura di V. Gerratana. Importante è il convegno di Firenze del 1977, i cui materiali sono
raccolti in F. Ferri (a cura di), Politica e storia in Gramsci. Atti del convegno internazionale di
studi gramsciani, Firenze, 9-11 dicembre 1977, 2 voll., Roma, Editori Riuniti, 1977-1979 (in
particolare, cfr. F. De FELICE, Rivoluzione passiva, fascismo, americanismo in Gramsci, vol. I,
pp. 161-220; L. MANGONI, Il problema del fascismo nei «Quaderni del carcere», ivi, pp. 391-438).
3. S. COLARIZI, Gramsci e il fascismo, in F. Giasi (a cura di), Gramsci nel suo tempo, Roma,
Carocci, 2008, vol. I, pp. 339, 344-345.
4. F. FROSINI, Gramsci e il fascismo: la letteratura e il «nazionale popolare», in M. Pala (a cura di),
Narrazioni egemoniche. Gramsci, letteratura e società civile, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 72-73.
5. A. GRAMSCI, «La Stampa» e i fascisti («L’Ordine Nuovo», 24 luglio 1921), in ID., Socialismo e
fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, Torino, Einaudi, 1966, p. 251. Cfr. P. G. ZUNINO,
Interpretazione e memoria del fascismo. Gli anni del regime, Roma-Bari, Laterza, 1991,
pp. 13-15.
6. G. VACCA, La lezione del fascismo, in P. TOGLIATTI, Sul fascismo, a cura di G. Vacca, Roma-
Bari, Laterza, 2004, pp. LIX-LXII.
7. Per la datazione dei testi dei Quaderni del carcere, cfr. G. COSPITO, Verso l’edizione critica e
integrale dei «Quaderni del carcere», «Studi storici», LII, 4, 2011, pp. 881-904.
8. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di
V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 323 (d’ora in avanti : Quaderni).
9. Quaderni, pp. 323-324.
10. Ibid., pp. 2108-2109
11. A. GRAMSCI, Forze elementari («L’Ordine Nuovo», 26 aprile 1921), in Socialismo e fascismo.
L’Ordine Nuovo 1921-1922, cit., p. 150.
12. Cfr. S. COLARIZI, Gramsci e il fascismo, cit., p. 341.
13. A. GRAMSCI, Il popolo delle scimmie («L’Ordine Nuovo», 2 gennaio 1921), in ID., Socialismo e
fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, cit., pp. 9-12.
14. Quaderni, p. 1101.
15. Per un’analisi generale di questa linea della riflessione gramsciana, cfr. L. MANGONI,
Cesarismo, bonapartismo, fascismo, cit., in particolare pp. 54-61; B. FONTANA, The Concept of
Caesarism in Gramsci, in P. Baher e M. Richter (a cura di), Dictatorship in History and Theory.
Bonapartism, Caesarism, and Totalitarianism, Cambridge, Cambridge University Press, 2004,
pp. 175-195.
16. Il riferimento inevitabile, per il concetto di «nuova politica», è G. L. MOSSE, La
nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933),
Bologna, Il Mulino, 1975.

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17. Cfr. E. GENTILE, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-
Bari, Laterza, 1996; ID., Le religioni della politica fra democrazia e totalitarismi, Roma-Bari,
Laterza, 2001.
18. Sul rapporto di Gramsci con la psicanalisi, all’incrocio tra teoria e biografia, cfr. G.
VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci. 1926-1937, Torino, Einaudi, 2014, pp. 182-188; P.
CAPUZZO, Un nuovo tipo umano: lavoro e consumo in Americanismo e fordismo, in S. Neri
Serneri (a cura di), 1914-1945. L’Italia nella guerra europea dei trent’anni, Roma, Viella, 2016,
pp. 297-300.
19. In particolare, W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
(1936), in ID., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa,
trad. it. di E. Filippini, Torino, Einaudi, 198212.
20. Cfr. L. P. D’ALESSANDRO, Benito Mussolini: il capopolo, in A. D’Orsi (a cura di), Il nostro
Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia, Roma, Viella, 2011,
p. 365.
21. A. GRAMSCI, «Capo» («L’Ordine Nuovo», marzo 1924), in ID., La costruzione del Partito
comunista. 1923-1926, a cura di E. Fubini, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 14-16. Cfr. L. P.
D’ALESSANDRO, Benito Mussolini, cit., p. 372.

22. Il rapporto tra la riflessione gramsciana e l’analisi del fascismo come totalitarismo è al
centro di S. COLARIZI, Gramsci e il fascismo, cit.
23. F. FROSINI, Gramsci e il fascismo, cit., p. 58.
24. Ibid. Cfr. A. BURGIO, Gramsci. Il sistema in movimento, Roma, DeriveApprodi, 2014,
pp. 188-189.
25. Quaderni, p. 1880. Cfr. il classico U. ECO, Il superuomo di massa. Retorica e ideologia nel
romanzo popolare, Milano, Bompiani, 1978.
26. Quaderni, p. 231. Gramsci fa riferimento in particolare a R. MICHELS, Les partis politiques
et la contrainte sociale, in «Mercure de France», XXXIX, n. 717, 1928, 1o maggio, pp. 513-535.
27. A. GRAMSCI, Cos’è la reazione? («Avanti!», 24 novembre 1920), in ID., L’Ordine Nuovo.
1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Torino, Einaudi, 1987, p. 766.
28. M. MONTANARI, Analisi del fascismo e storia d’Italia nella riflessione di Antonio Gramsci, in
«QCR. Quaderni del circolo Rosselli», VIII, 4, 2002, p. 54.
29. Il riferimento canonico è S. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi, discorso per
l’inaugurazione dell’anno accademico nella R. Università di Pisa letto il 4 novembre 1909,
Pisa, Tip. Vannucchi, 1910, ora in ID., Lo Stato moderno e la sua crisi, Giuffrè, Milano, 1969,
pp. 5-26. Cfr. A. Mazzacane (a cura di), I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e
Novecento, Napoli, Liguori, 1986.
30. M. MONTANARI, Analisi del fascismo e storia d’Italia nella riflessione di Antonio Gramsci, cit.,
p. 54.
31. In generale, cfr. E. TRAVERSO, Fascismi. Su George L. Mosse, Zeev Sternhell ed Emilio Gentile,
in ID., Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2012,
pp. 65-86.
32. A. GRAMSCI, P. TOGLIATTI, La situazione italiana, in La costruzione del Partito comunista.
1923-1926, cit., p. 495.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 17

33. Cfr. F. FROSINI, La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei «Quaderni del carcere» di
Antonio Gramsci, Roma, Carocci, 2010, pp. 244-245.
34. Quaderni, p. 1229. Cfr. F. De FELICE, Rivoluzione passiva, fascismo, americanismo, cit.; L.
MANGONI, Il problema del fascismo nei «Quaderni del carcere», cit.; F. FROSINI, Gramsci e il
fascismo, cit.; L. RAPONE, Rivoluzione, reazione, rivoluzione passiva, in S. Neri Serneri (a cura
di), 1914-1945, cit., pp. 193-207.
35. A. GRAMSCI, Lo stato e il socialismo («L’Ordine Nuovo», 28 giugno-5 luglio 1919), in ID.,
L’Ordine Nuovo. 1919-1920, cit., p. 119.
36. Cfr. G. SANTOMASSIMO, Rileggere il Risorgimento, rintracciare le origini del fascismo: l’opera di
Cuoco nella riflessione di Antonio Gramsci, in L. Biscardi, A. De Francesco (a cura di), Vincenzo
Cuoco nella cultura di due secoli. Atti del Convegno Internazionale, Roma-Bari, Laterza, 2002,
pp. 302-310.
37. Cfr. L. RAPONE, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo,
Roma, Carocci, 2011, pp. 390-396.
38. Cfr. G. VACCA, La lezione del fascismo, cit., p. XCVII.
39. Cfr. G. BARATTA, Americanismo e fordismo, in F. Frosini e G. Liguori (a cura di), Le parole di
Gramsci. Per un lessico dei «Quaderni del carcere», Roma, Carocci, 2004, pp. 15-34; T.
MACCABELLI, La «grande trasformazione»: i rapporti tra Stato ed economia nei «Quaderni del
carcere», in F. Giasi (a cura di), Gramsci nel suo tempo, cit., vol. II, pp. 609-630; P. CAPUZZO, Un
nuovo tipo umano, cit.
40. Cfr. Quaderni, pp. 2178-2179.
41. Cfr. A. SALSANO, Il corporativismo tecnocratico in una prospettiva internazionale, in
F. Sbarberi (a cura di), Teoria politica e società industriale. Ripensare Gramsci, Torino, Bollati
Boringhieri, 1988, pp. 151-165; M. TELÒ, Il nuovo capitalismo tra le due guerre: taylorismo e
fordismo, in W. Tega (a cura di), Gramsci e l’Occidente. Trasformazioni della società e riforma
della politica, Bologna, Cappelli, 1990, pp. 134, 137-138.
42. Sul rifiuto del crollismo, cfr. G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, cit., p. 147.
43. A. GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 3-25.
44. Per una trattazione più ampia dell’analisi gramsciana del corporativismo, rinvio a A.
GAGLIARDI, Il problema del corporativismo nel dibattito europeo e nei «Quaderni», in F. Giasi (a
cura di), Gramsci nel suo tempo, cit., vol. II, pp. 631-656.
45. Quaderni, pp. 1743-1744. Sulla differenza tra «durare» e «fare epoca», cfr. A. BURGIO,
Gramsci, cit., pp. 112-116.
46. R. GRIFFIN, Exploding the Continuum of History: A Non-Marxist’s Marxist Model of Fascism’s
Revolutionary Dynamics, in ID., A Fascist Century. Essays by Roger Griffin, a cura di M. Feldman,
Basingstoke-New York, Palgrave Macmillan, 2008, pp. 53-55. Per l’analisi del populismo
latinoamericano, cfr. R. BURGOS, Los gramscianos argentinos, Buenos Aires, Siglo XXI, 2004;
D. Kanoussi, G. Schirru, G. Vacca (a cura di), Studi gramsciani nel mondo: Gramsci in America
Latina, Bologna, Il Mulino, 2011.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 18

RIASSUNTI
L’articolo prende in esame le principali categorie e linee di analisi che Gramsci sviluppa nella sua
interpretazione del fascismo. Per comprendere in profondità i caratteri peculiari del fascismo,
Gramsci elabora chiavi di lettura che chiamano in causa una più generale interpretazione della
storia d’Italia e dei processi di trasformazione che attraversavano le contemporanee società
capitalistiche. Si tratta di un apparato analitico che evolve nel corso del tempo, con il mutare
della situazione generale, con il cambiamento della condizione esistenziale e del grado di
coinvolgimento politico di Gramsci e con il succedersi delle diverse fasi del movimento fascista e
della dittatura. L’articolo prende in esame l’intero percorso politico e intellettuale gramsciano,
soffermandosi però soprattutto sull’elaborazione sviluppata durante la detenzione e consegnata
ai Quaderni del carcere. Le categorie che Gramsci mette a punto in questa fase si articolano intorno
a tre nodi problematici, che in alcuni casi riprendono suggestioni e tracce d’analisi abbozzate
negli anni precedenti: le classi sociali e i tempi della storia; le forme del comando (tema che si
ricollega alla riflessione sul “cesarismo”-“bonapartismo” e sugli intellettuali); la “rivoluzione
passiva” e i nessi con i cambiamenti del capitalismo e la modernizzazione fordista.

Cet article examine les principales catégories et analyses que Gramsci développe pour son
interprétation du fascisme. Pour comprendre en profondeur les caractéristiques propres au
fascisme, Gramsci élabore des clés de lecture qui engagent une interprétation plus générale de
l’histoire de l’Italie et des processus de transformation que traversent les sociétés capitalistes
contemporaines. Il s’agit d’un appareil analytique qui évolue au cours du temps, avec la
transformation de la situation générale, le changement des conditions d’existence et du degré
d’engagement politique de Gramsci et la succession des différentes phases du mouvement
fasciste et de la dictature. L’examen porte sur l’ensemble du parcours politique et intellectuel de
Gramsci mais s’arrête surtout sur l’élaboration développée durant la détention dans les Cahiers de
prison. Les catégories que Gramsci élabore alors s’articulent autour de trois nœuds de problèmes,
qui dans certains cas reprennent des suggestions et des ébauches d’analyse datant des années
précédentes : les classes sociales et les temps de l’histoire ; les formes de commandement (thème
qui se rattache aux réflexions sur le « césarisme »-« bonapartisme » et sur les intellectuels) ; la
« révolution passive » et ses liens avec les changements du capitalisme et la modernisation
fordiste.

The article examines the main categories and lines of analysis developed by Gramsci in his
analysis of fascism. In order to fully understand fascism’s particular characteristics, he developed
a reading that brought into play a more general interpretation of the history of Italy and the
processes of transformation typical of the capitalist societies of his time. This consisted in an
analytical apparatus that evolved over time, with the change in Gramsci’s conditions of existence
and degree of political involvement, and with the different successive phases of the fascist
movement and the dictatorship. The article examines his whole political and intellectual
itinerary, with special reference to the reflection carried out during his detention and written
down in the Prison Notebooks. The categories that Gramsci developed in this phase are grouped
around three clusters of problems which in some cases take up again suggestions and traces of
analyses sketched out previously: social classes and historical periods, forms of command (a

Laboratoire italien, 18 | 2016


Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo 19

subject connected with the reflection on “caesarism”-“bonapartism” and on the intellectuals),


and “passive revolution” and the nexuses with the changes in capitalism and Fordist
modernization.

INDICE
Mots-clés : Gramsci Antonio, fascisme, fordisme, Parti Communiste Italien, révolution passive
Keywords : Fascism, Fordism, Communist Party of Italy, passive revolution

AUTORE
ALESSIO GAGLIARDI
Chercheur en histoire contemporaine à l’Université de Bologne où il enseigne l’histoire de la
communication de masse. Docteur de l’Université de Turin, il a enseigné et développé ses
recherches au sein des universités de Turin, de Rome « La Sapienza » et d’Aquila. Il est spécialiste
de l’histoire politique et sociale de l’Italie contemporaine et ses travaux portent en particulier
sur l’Italie fasciste, les cultures politiques de l’antifascisme, la pensée d’Antonio Gramsci, le
syndicalisme de la seconde partie du XXe siècle et les mouvements protestataires des années
soixante-dix. Il a consacré deux ouvrages à ces questions, L’impossibile autarchia. La politica
economica del fascismo e il Ministero scambi e valute (Rubbettino, 2006) et Il corporativismo fascista
(Laterza, 2010), ainsi que de nombreux articles dans des revues et des ouvrages collectifs, italiens
et internationaux. Il fait partie des comités de rédaction des revues Le Carte e la Storia, Il mestiere
di storico et Italia contemporanea. Il est l’un des fondateurs de l’International Network for Studies on
Corporatism and the Organized Interests (NETCOR).

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Le travail caché du prisonnier entre « littérature »


et « politique ». Quelques réflexions sur les
« sources » des Cahiers de prison d’Antonio Gramsci
Il lavoro nascosto del prigioniero fra “letteratura” e “politica”. Alcune riflessioni
sulle “fonti” dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci
The hidden labour of the prisoner between “literature” and “politics”. Some
notes on the “sources” of Gramsci’s Prison Notebooks

Fabio Frosini
Traducteur : Martine Annaval et Romain Descendre

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1064 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Fabio Frosini, « Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelques réflexions
sur les « sources » des Cahiers de prison d’Antonio Gramsci », Laboratoire italien [En ligne], 18 | 2016,
mis en ligne le 28 novembre 2016, consulté le 12 décembre 2016. URL : http://
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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 1

Le travail caché du prisonnier entre


« littérature » et « politique ».
Quelques réflexions sur les
« sources » des Cahiers de prison
d’Antonio Gramsci
Il lavoro nascosto del prigioniero fra “letteratura” e “politica”. Alcune riflessioni
sulle “fonti” dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci
The hidden labour of the prisoner between “literature” and “politics”. Some
notes on the “sources” of Gramsci’s Prison Notebooks

Fabio Frosini
Traduction : Martine Annaval et Romain Descendre

Quelques considérations sur l’“écriture ésopique”


1 Il est connu que souvent Gramsci “code”, ou abrège, ou restitue par des circonlocutions
une série de noms (Staline, Lénine, Trotski, Souvarine, Luxembourg, Marx, L’Ordine Nuovo,
les bolchéviques). Ce fait suffit à révéler la crainte qui s’emparait de lui à l’idée que
quelqu’un puisse décider de séquestrer ses manuscrits après les avoir contrôlés. Crainte
justifiée, d’ailleurs : comme c’était le cas pour chaque prisonnier, les effets personnels de
Gramsci, y compris ses livres, ses revues et ses cahiers, étaient gardés dans l’entrepôt de
la prison, ce qui « rendait possible un contrôle continu du travail de Gramsci de la part
des autorités »1. En outre, la possibilité d’écrire dans sa propre cellule et de posséder du
matériel d’écriture venait de l’application d’un article du règlement pénitentiaire de 1891
(l’art. 325), lequel décrétait que, exceptionnellement seulement, les prisonniers se trouvant
dans des cellules individuelles pouvaient posséder le nécessaire pour écrire2. Cet article,

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 2

qui était déjà assez restrictif, ne fut pas inclus dans le règlement entré en vigueur le
18 juin 1931. C’est donc grâce au « pouvoir discrétionnaire » des différents directeurs qui
se succédèrent à Turi que cette disposition fut maintenue3. De plus, Gramsci ne pouvait
disposer que d’une quantité limitée de cahiers, ainsi que de livres et de revues 4. Donc, ces
derniers n’étaient pas à sa complète disposition : bien au contraire, le prisonnier ne
pouvait les faire retirer de l’entrepôt que s’il en avait vraiment besoin et en respectant
toujours un nombre limité.
2 Bref, les livres, les revues et surtout les cahiers de Gramsci se trouvaient dans l’entrepôt,
exposés à toute sorte de contrôle ou de confiscation ; en outre, le directeur de la prison
avait le pouvoir de révoquer à tout moment l’autorisation d’écrire en cellule. Mais une
fois que l’on a dit cela, il reste bien des choses à dire. Il faut tout d’abord se demander ce
que Gramsci devait vraiment cacher face à une possible censure et, ensuite, ce que furent
les stratégies qu’il suivit dans ce but. Pour répondre à ces deux questions, il est nécessaire
de repartir du début, à savoir des témoignages de ceux qui furent dans l’entourage direct
de Gramsci à cette époque-là.
3 Tatiana Schucht, la belle-soeur d’Antonio qui l’assista pendant tout le temps qu’il passa en
prison, écrit à sa sœur Giulia le 5 mai 1937 (quelques jours après la mort de Gramsci) :
Il est parvenu à les garder avec lui [les cahiers], en les écrivant dans un langage
ésopique. Cependant il est évident qu’il n’aurait pu conserver ses œuvres auprès de
lui après sa libération, c’est la raison pour laquelle il me répétait souvent que je
devrais t’envoyer tous ses manuscrits, en les faisant sortir petit à petit de la
clinique, mais dès après sa libération, par crainte qu’ils me surprennent avant avec
les manuscrits.5
4 Remarquons que, pour une Russe comme Tatiana, employer l’adjectif “ésopique”
renvoyait directement au fait d’éluder la censure, selon un sens bien précis et établi du
moins par Pouchkine : en Russie, “ésopique” signifiait la forme (le masque) littéraire
recouvrant un contenu politique déterminé 6. C’est à cette même nécessité de masquer un
contenu politique qu’il est fait référence dans la Préface – non signée et attribuable par
conséquent aux éditeurs Felice Platone et Palmiro Togliatti – à Il materialismo storico e la
filosofia di Benedetto Croce, premier volume de la première édition des Quaderni :
Un premier obstacle important [au fait d’étudier en prison] était la censure et le
contrôle que l’administration pénitentiaire pouvait exercer à tout moment sur tous
ses écrits. Il fallait éloigner les soupçons que les cahiers servent d’écrits politiques
et de parti, éviter le plus possible, notamment dans les premiers cahiers et les
premières pages de chaque cahier, d’évoquer le prolétariat, le communisme, le
bolchévisme, Marx, Engels, Lénine, Staline, le Parti ; abandonner la terminologie
traditionnelle des marxistes, les expressions révolution prolétaire, dictature du
prolétariat, société socialiste, parti de la classe ouvrière ; renoncer à citer les titres
de certaines œuvres fondamentales des grands théoriciens du marxisme et aller
même jusqu’à paraphraser, au lieu de les citer littéralement, des passages de Marx
et d’Engels.7
5 Comme on peut le voir, quiconque avait été directement en contact avec Gramsci était
bien conscient du sens véritable de l’expression « für ewig ». On a même pu soutenir, dans
la même ligne (comme l’a fait récemment Giuseppe Vacca), que la fameuse lettre du
19 mars 1927, dans laquelle apparaît l’expression « für ewig », est un double message
chiffré, au censeur et au parti : au censeur, Gramsci (qui, en mars 1927, pense encore à
une libération imminente) veut faire savoir – avec la présentation d’un plan d’études de
« caractère strictement culturel » – qu’il n’exercera « aucune activité politique une fois
libéré »8 ; à Togliatti, il désire faire savoir, au contraire, à travers « deux des quatre sujets

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 3

de recherche énoncés » – « la formation de l’esprit public en Italie au siècle dernier » et


« une étude de linguistique comparée » –qu’il entend poursuivre « l’âpre discussion
politique entamée entre eux cinq mois auparavant » sur la façon de concevoir
l’hégémonie du prolétariat et le rapport entre l’Union soviétique et la lutte sur les
différents terrains nationaux9.
6 L’exemple que nous venons de citer est caractéristique de la façon de procéder de Vacca.
Sa contribution est vraiment très précieuse car elle rassemble toutes les informations
disponibles sur la période de l’emprisonnement de Gramsci, en puisant à des sources
éditées et inédites. Le livre nous renseigne, en outre, sur un aspect que l’on avait négligé
jusqu’à présent : le fait que, même en prison, Gramsci continua à se considérer comme le
chef du parti, en se posant des problèmes et des questions d’ordre directement politique.
C’est aussi dans ce but que ses cahiers ont été écrits. Cependant, l’exemple que nous
venons de voir nous montre aussi quels sont les risques auxquels s’expose une lecture
“codée” de toute sa correspondance. En réalité, l’histoire des intellectuels italiens avait
été au centre de son essai sur la Question méridionale et deviendra le thème principal de
toute la première phase de ses travaux (1929-1931) en prison ; alors qu’il ne s’occupe de
linguistique comparée que peu après avoir écrit cette lettre, lorsque, le 3 octobre, il
demande à sa belle-soeur Tatiana10 de commander pour lui Die Sprachstämme des Erdkreises
(Les familles linguistiques du monde), un ouvrage de Franz Nicolaus Finck qu’il traduira
intégralement dans les Cahiers B et C entre juin 1929 et novembre 193111 (remarquons en
outre que, dans la lettre du 3 octobre, il affirme avoir déjà cherché le livre de Finck
précédemment).
7 Où donc placer la limite entre usage littéral et usage métaphorique des thèmes de sa
correspondance ? Hormis dans quelques cas particulièrement évidents – comme lorsque
Gramsci écrit à Tatiana, le 23 mai 1932, la priant de parler « à Piero » Sraffa d’un livre où
se trouve mentionnée « une demande de grâce envoyée par Federico Confalonieri à
l’empereur d’Autriche », pendant son emprisonnement, comme d’un « texte écrit par un
homme réduit au dernier degré de l’abattement et de l’avilissement » –, cette limite ne
peut être fixée de manière définitive12. Dans de nombreux cas, il est presque impossible
de distinguer l’intérêt réel de Gramsci pour certains sujets de la façon dont ils pourraient
faire office d’ambassadeurs cachés de ses convictions, de ses soucis ou de ses prises de
position polémiques. Du reste, il ne faut jamais oublier que ces sujets sont à leur tour
toujours liés de manière plus ou moins directe à la politique.
8 Prenons les exemples cités : le texte sur la Question méridionale est un écrit « “d’occasion”
[…] adressé avant tout aux cadres du parti qui devaient apprendre à considérer les
questions paysanne et méridionale comme étant étroitement liées au problème politique
général du pouvoir »13. Et la façon dont Gramsci reprend ce thème en prison confirme sa
nature toute politique : en devenant une vaste recherche sur les origines des intellectuels
italiens, cette question jette les bases d’une analyse du pouvoir dans l’Italie
contemporaine, capable d’échapper au catastrophisme et à l’économisme qui s’étaient
affirmés dans le Komintern. Quant au thème des langues et de la linguistique, il se
convertira, lui aussi, dans l’innovation théorique la plus importante que Gramsci
introduira dans le marxisme (et qui est d’ailleurs étroitement liée au thème des
intellectuels) : la traductibilité des langues comme “matrice” théorique de la théorie de
l’hégémonie, qui provient à son tour des discussions alimentées par Lénine en 1922, au IV
e
Congrès du Komintern, sur le thème de la “traduction” de l’expérience russe dans la
politique des autres partis communistes14.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 4

9 Le fait que les lettres soient écrites sous forme “ésopique” ne fait donc aucun doute. Il est
en revanche beaucoup plus ardu de dire comment la “substance” interagit exactement
avec le caractère “instrumental” des thèmes choisis pour la communication. Sur ce point,
il vaut mieux rester le plus possible sur un terrain sûr, en subordonnant la lecture codée à
la présence de circonstances décisives ou d’expressions révélatrices. Avec le renvoi, dont
nous venons de parler, à la demande de grâce de Confalonieri, on est en présence de
circonstances décisives, puisque Gramsci s’adressait de façon explicite à Sraffa qui
s’occupait, depuis le début de l’année 1932, des démarches à faire pour obtenir une visite
médicale de la part d’un médecin de confiance et qui confirma, en 1967, à Paolo Spriano,
qu’il fallait interpréter l’allusion de cette façon15.

Un contenu politique sous forme littéraire


10 Le cas le plus important d’expression révélatrice réside justement dans la lettre déjà
mentionnée du 19 mars 1927, qui expose un programme d’études en quatre points. Dans
leur Préface à Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce16, Togliatti et Platone
interprètent déjà cette lettre comme une façon de faire croire aux autorités fascistes que
les recherches entreprises en prison ne traiteraient pas de thèmes politiques mais se
limiteraient à être des travaux de caractère strictement littéraire. Gramsci insiste ici,
comme chacun sait, sur le caractère « désintéressé » (même si le mot est écrit entre
guillemets) des travaux de recherche qu’il envisage d’entreprendre17. Quelques jours plus
tard, le 27 mars 1927, il adressa une requête au juge d’instruction du Tribunal militaire de
Milan dans le but de « pouvoir avoir en permanence dans sa cellule une plume, de l’encre
et une centaine de feuilles de papier pour écrire des travaux de caractère littéraire » 18. La
requête ne fut pas acceptée mais nous retrouvons la même formule dans la lettre que
Gramsci adresse à son frère Carlo l’année suivante, le 13 août 1928 :
Dans la requête [visant à obtenir une cellule individuelle], ajoute aussi que mon
travail passé d’intellectuel me fait ressentir fortement la difficulté qu’il y a étudier
et à lire lorsqu’on est dans une chambrée de malades, et demande qu’il me soit
permis, étant seul, d’avoir du papier et de l’encre pour que je puisse me consacrer à
un travail de caractère littéraire et à l’étude des langues. 19
11 L’expression revient, plus tard encore, dans la lettre que Piero Sraffa adresse le 4 mai
1932 à Palmiro Togliatti ; Sraffa rapporte que Gramsci, dans sa missive du 18 avril, a
commencé à discuter de l’Histoire de l’Europe au XIXe siècle de Benedetto Croce, et précise
ceci : « Je la conserve et vous l’enverrai lorsque l’ensemble de ces lettres sera au
complet »20. Remarquons l’emploi du “vous” qui, étant donné que Sraffa s’adressait à
Togliatti en le tutoyant, fait allusion à un partage et à un usage non individuel, non privé,
des missives du prisonnier. Cela est confirmé dans les phrases qui suivent :
Si l’on en juge à ce premier épisode, on pourra en tirer une excellente recension,
avec seulement quelques rares corrections.
Il semble que le système fonctionne, et il ne faut pas le laisser tomber : dès qu’il
aura fini le livre de Croce, il faudra lui fournir un autre sujet. As-tu quelque idée ?
Que dirais-tu des livres de De Man ? Il faut, naturellement, trouver un sujet qui
permette de faire passer le contenu politique sous forme littéraire. 21
12 On peut donc dire que, grâce à Tatiana Schucht et Piero Sraffa, les lettres de Gramsci
arrivent à tout le groupe dirigeant du Centre extérieur du parti, et que les raisons pour
lesquelles ces lettres sont sollicitées sont strictement politiques. Les noms de Croce ou du
théoricien socialiste belge Henri De Man sont très significatifs et leur voisinage n’est pas

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 5

le fruit du hasard. Gramsci réfléchit en effet dans les Cahiers sur De Man, en l’associant à
Croce qui avait promu la traduction italienne de son ouvrage de 1927, Au-delà du marxisme
22, sous le titre Il superamento del marxismo (Le dépassement du marxisme) 23. Croce et De Man

représentent, de façons différentes mais convergentes, des tentatives de refonder l’ordre


social européen en présence du fascisme, à savoir sans revenir simplement au libéralisme ou
au socialisme d’avant la guerre mais en absorbant la nouveauté représentée par le
fascisme, c’est-à-dire par un régime réactionnaire se présentant cependant comme
“populaire” et même comme “démocratique” dans le sens où il introduisait pour la
première fois dans la sphère politique toute la masse de la population, sans exception
d’âge, de sexe ou de condition sociale.
13 L’on peut donc conclure, sur ce point, que le « fil conducteur » de toute l’œuvre de
Gramsci, y compris les Cahiers, réside bien – comme l’écrivit parfaitement Palmiro
Togliatti en 1958 – « dans son activité réelle, qui commence à l’époque de sa jeunesse et
qui se développe peu à peu jusqu’à l’avènement du fascisme, son arrestation et même après
»24. C’est bien la source de cette « activité réelle » dont Sraffa et Togliatti essayèrent
d’éviter le tarissement, au moyen des stratagèmes que nous venons de voir. Les lettres sur
Croce, et les lettres de prison en général, doivent être lues aussi – voire surtout – comme
une façon de maintenir ouverte la communication entre le groupe dirigeant du parti et
celui qui en restait encore, à tous points de vue, le secrétaire général. Mais l’exemple des
lettres sur Croce, et de celles qu’il ne put pas écrire sur De Man, montre aussi que ce canal
de communication institue à son tour un rapport direct entre les Cahiers et la politique du
Parti communiste. Un rapport tourmenté, polémique, contradictoire mais qui n’a jamais
été interrompu.

L’américanisme et le « parlement organique »


14 Posons donc cette première conclusion : les Cahiers de prison sont non seulement une
œuvre politique sous forme littéraire, mais sont une œuvre politique en tant qu’ils sont
une intervention politique. Les Cahiers peuvent donc être comparés au Prince de Machiavel
(qui est probablement le “livre” sur lequel Gramsci, en prison, réfléchit le plus
continûment, en fonction d’un très large éventail d’intérêts) car l’écriture, la pensée n’y
est pas la théorie d’une pratique mais est elle-même une forme de pratique, une
intervention stratégique au sein d’une situation déterminée, dans la perspective de sa
transformation. La situation est ici l’Italie fasciste dans le contexte européen des années
trente, la perspective est celle du Parti communiste italien.
15 C’est à la lumière de ces premiers éléments que je vais maintenant présenter une série de
considérations sur les “sources” des Cahiers. Étant donné la conclusion énoncée ci-dessus,
le rapport aux sources devient absolument fondamental puisque leur ensemble constitue
la base de la “reconnaissance” du terrain sur lequel cette intervention stratégique peut
s’insérer. Lorsque Gramsci lit les revues fascistes – pour donner l’exemple qui dans ce
sens est le plus important –, il ne le fait pas dans le but de “photographier” une situation,
ni seulement pour « se tenir au courant »25 – comme l’écrit Piero Sraffa à Tatiana Schucht
le 23 août 1931 –, mais pour épier la dynamique intime de la situation, la dynamique des
forces en action dans laquelle pouvait s’insérer l’action des communistes italiens. C’est
pour cette raison qu’il est absolument fondamental d’identifier les “points” sur lesquels
l’action politique des communistes peut “s’appuyer” en obtenant un maximum
d’efficacité. Autrement dit : ces “points” sont les lignes de conflit qui traversaient

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 6

généralement le capitalisme contemporain et qui, considérées sous une perspective


italienne, se présentaient surtout sous deux grandes formes : la dichotomie Europe/
Amérique, c’est-à-dire le thème de l’américanisme et du fordisme avec le renvoi très clair
au modèle soviétique de la planification et à la question du corporatisme ; et la
dichotomie État/société civile, à savoir le thème de la crise du parlementarisme avec ses
deux corollaires que sont le déplacement de la souveraineté et la transformation du droit.
Nous parlerons ici, pour des raisons temporelles, uniquement du premier d’entre eux.
16 Je ne retracerai pas ici le thème de l’américanisme dans son ensemble. Tenant pour
connus les principaux aspects de ce dernier, je veux mettre en évidence certaines de ses
articulations moins connues mais révélatrices de la trame politico-stratégique du
discours de Gramsci. Commençons par un texte du Cahier 3, écrit dans la première moitié
du mois de juin 1930. Au § 26, à partir d’un article de la Nuova Antologia de novembre 1927,
consacré à « l’émergence d’un nouvel esprit social en Amérique »26, Gramsci écrit :
Amérique et Europe. En 1927, le Bureau international du travail de Genève a publié les
résultats d’une enquête sur les rapports entre patrons et ouvriers aux États-Unis,
« Les relations industrielles aux États-Unis ». Selon Samuel Gompers, les objectifs
ultimes du syndicalisme américain consisteraient dans l’institution progressive
d’un contrôle paritaire, qui s’étendrait du simple atelier à l’ensemble de l’industrie
et serait couronné par une espèce de parlement organique (voir la forme qu’assume
dans les propres termes de Gompers et al. la tendance des ouvriers à l’autonomie
industrielle).27
17 Gramsci – qui connaissait assez bien la personnalité de Gompers, lui ayant consacré divers
articles à la fin de 191828 – retrouve, sous l’interprétation du leader syndical, l’élan des
ouvriers vers l’autonomie industrielle (celle-là même que Gramsci avait théorisée et
expérimentée à Turin) et accepte la discussion sur le « parlement organique », à savoir
sur le parlement corporatif, comme terrain sur lequel ces exigences sont, objectivement,
formulées actuellement (ce qui nous permet de mieux comprendre dans quel sens
Gramsci parle de « l’importance, [...] la signification et [...] la portée objective du
phénomène américain »)29.
18 On retrouve la figure de Gompers au § 56 du même Cahier 3 [G § 55], écrit entre juin et
juillet 1930. Gramsci rappelle ici la thèse – soutenue par Gompers dans un livre de 1924 (
Ligue de nations ou ligue de financiers)30 – d’une sympathie de la finance nord-américaine
pour le travaillisme britannique et pour le fascisme italien et conclut par un renvoi
évident au § 26 : « Ressemblances réelles entre le régime politique des États-Unis et celui
de l’Italie, notées également dans une autre note »31. Au § 69 du même Cahier [G § 68],
enfin, écrit en août 1930 et intitulé Américanisme, Gramsci rappelle un passage du livre
d’André Siegfried, Les États-Unis d’aujourd’hui32, où il est affirmé :
En l’absence de ces institutions intermédiaires, dont la collaboration sociale se
tempère d’autonomie, le milieu américain tend à prendre l’aspect d’un
collectivisme de fait, voulu des élites et allègrement accepté de la masse, qui
subrepticement mine la liberté de l’homme.33
19 La tendance de la politique américaine vers un État corporatif et une sorte de démocratie
massifiée et “collectiviste”, la réalité du fascisme et, en partie, celle du travaillisme
britannique, sont dans ces passages rapprochées de façon significative. Ce rapprochement
nous aide à mieux comprendre la thèse selon laquelle l’américanisme poussera l’Europe à
“révolutionner” son système économico-social, qui apparaît ici dans sa première
rédaction (20-31 mai 1930) :

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 7

Le problème est le suivant : si l’Amérique, par le poids implacable de sa production


économique, va contraindre ou est en train de contraindre l’Europe à un
bouleversement de son assise économico-sociale, bouleversement qui se serait
produit de toute façon mais selon un rythme lent, et qui au contraire se présente
dans l’immédiat comme un contrecoup de la domination américaine ; autrement
dit, si l’on assiste à une transformation des bases matérielles de la civilisation, ce
qui à long terme (pas très long, car à l’époque actuelle tout va beaucoup plus vite
que dans les siècles passés) amènera un bouleversement de la civilisation même
existante et à la naissance d’une nouvelle civilisation. (Cahier 3, § 11 : Quaderni,
p. 296)
20 La deuxième rédaction, le § 15 du Cahier 22, remontant à l’automne 1934, ne présente
aucune variante particulière. Gramsci est donc toujours convaincu que la structure
corporative des États-Unis influencera de la même façon la forme politique des États
européens, en les contraignant à introduire un nouveau genre de représentation des
intérêts, sur le modèle corporatif – à savoir extra-parlementaire et directement lié à la
fonction productive – et non plus libéral. C’est exactement ce qui était en train de se
passer effectivement dans la deuxième moitié des années vingt34.
21 Cette transformation signifie aussi une nouvelle forme d’hégémonie. Dans un texte du
Cahier 1 (§ 61, intitulé Américanisme), Gramsci écrit, en se référant aux États-Unis :
L’hégémonie naît de l’usine et n’a pas besoin d’un grand nombre d’intermédiaires
politiques et idéologiques. Les « masses » de Romier sont l’expression de ce
nouveau type de société, où la « structure » domine plus immédiatement les
superstructures et où celles-ci sont rationalisées (simplifiées et en nombre réduit). 35
22 La référence est à Qui sera le Maître ? Europe ou Amérique ? (Paris, Hachette, 1927) 36, du
journaliste Lucien Romier. Ici, comme dans le livre cité ci-dessus de Siegfried,
l’organisation scientifique du travail est présentée comme un moment décisif dans la
formation d’un modèle de société corporative et efficace (Romier appartenait au
« Redressement français », groupe de technocrates désireux d’introduire la « science de
l’organisation » comme point de convergence entre la rationalisation technocratique et le
renouvellement corporatif de la société)37.

Le corporatisme comme « révolution passive »


23 Tout le débat sur la réorganisation corporative de la société, qui se déroulait aussi bien en
Europe qu’en Amérique, connut un tournant décisif lors du congrès sur le World Social
Economic Planning, « où se trouvèrent réunis à Amsterdam, en août 1931, des tayloristes
américains, des socialistes et surtout des syndicalistes européens et des exposants du
Gosplan soviétique » et qui fut aussi le point de départ de l’élaboration planiste d’Henri
De Man38.
24 Gramsci est au courant des discussions qui se sont déroulées au congrès grâce à un article
anonyme du 20 mars 193239, intitulé « Economia diretta » et publié dans La Nuova Italia.
Cet article décrit très bien la complexité de la participation au congrès et la diversité des
intérêts politiques en jeu. Il souligne, notamment, le fait que les participants sont
contraints de réfléchir à la nécessité d’introduire des éléments de planification depuis la
crise économique mondiale et ses conséquences politiques dans le monde capitaliste :
Non seulement des économistes mais aussi des chefs d’État dénoncent la
« démence » et la « course à la faim et au suicide » présentes dans les méthodes qui
ont prévalu jusqu’à présent dans les échanges et les relations internationales. On y
condamne les particularismes myopes ; tout se joue autour de la question de savoir

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 8

si c’est une catastrophe qui les fera tomber, comme peut l’être le Moyen Âge
économique propre au bolchévisme (capable, lui aussi, d’inventer de nouvelles
formes d’économie mais après avoir tourmenté combien de générations ?), ou si on
parviendra à réaliser à temps des équilibres et des évolutions progressives sur les
bases essentielles de l’économie actuelle.40
25 Cet article est publié en mars. Au mois d’avril, dans un texte du Cahier 8, Gramsci écrit :
(On pourrait le concevoir ainsi : la révolution passive se vérifierait dans la
transformation « réformiste » de la structure économique, en partant d’une
économie individuelle pour arriver à une économie planifiée (économie dirigée) ;
l’avènement d’une « économie moyenne », entre l’économie individualiste pure et
celle qui est intégralement planifiée, permettrait le passage à des formes politiques
et culturelles plus avancées, sans cataclysmes radicaux et sans destruction de masse
[il passaggio a forme politiche e culturali più progredite senza cataclismi radicali e
distruttivi in forma sterminatrice]. Le « corporatisme » pourrait être ou devenir, en
se développant, cette forme économique moyenne de caractère « passif ») (Cahier 8
[b], § 71 [G § 236] : Quaderni, p. 1089).
26 Ce passage se trouve situé, entre parenthèses, à l’intérieur d’un texte consacré à l’Histoire
de l’Europe de Benedetto Croce. C’est la première fois que Gramsci fait ici la comparaison
entre la révolution passive décrite et théorisée par Croce dans son Histoire, pour le XIXe
siècle (le livre est défini comme « un traité de révolutions passives »), et le fascisme
comme révolution passive du siècle nouveau, et il ajoute : « J’ai déjà fait allusion à ce sujet
dans une autre note, et il faut approfondir le sujet dans son ensemble ».
27 Gerratana renvoie (mais de façon incertaine) au Cahier 8 [c], § 36 [G § 36]. Je pense, au
contraire, que Gramsci fait ici allusion au Cahier 1, § 135 :
Voici la question qui se présente : désormais les corporations existent, elles créent
les conditions permettant que les innovations industrielles soient introduites sur
une grande échelle, parce que les ouvriers ne peuvent ni s’y opposer, ni lutter pour
être eux-mêmes les porteurs de ce bouleversement. La question est essentielle, elle
est l’hic Rhodus de la situation italienne : les corporations deviendront donc la forme
de ce bouleversement en vertu de ces « ruses de la providence » qui font en sorte
que les hommes, sans le vouloir, obéissent aux impératifs de l’histoire. Le point
essentiel est là : cela peut-il avoir lieu ? On est nécessairement porté à le nier. (
Quaderni, p. 125)
28 Entre 1930 et 1932, Gramsci suit donc le débat sur le corporatisme, en Italie et en Europe.
Dans ce cadre, il formule l’hypothèse que le fascisme est une « révolution passive », à
savoir une modernisation de la structure socio-économique nationale italienne, réalisée
en absorbant une partie des revendications des classes subordonnées et capable de créer
de nouvelles marges d’accumulation. Comme il le mentionne implicitement dans le § 71
du Cahier 8 [b] et comme il le dit explicitement dans la deuxième rédaction de cette note
– Cahier 10, § 6.9 [G I § 9] –, Gramsci lie l’Histoire de l’Europe à cette fonction “progressive”
du fascisme italien. Il pense que l’intervention idéologique du philosophe italien n’est pas
contraire au fascisme, mais qu’elle entend permettre – de façon plus ou moins consciente
(dans le laps de temps de quelques jours, entre mai et juin 1932, Gramsci passe de
l’hypothèse d’un appui non prémédité de Croce au fascisme à celle d’un appui conscient) 41
– qu’il se développe dans un sens modéré, selon un arrangement reconstituant les bases
de l’hégémonie bourgeoise en Italie. Par conséquent, les « formes politiques et culturelles
plus avancées » que le fascisme serait en mesure de créer sont celles qui résulteraient de
l’intervention de Croce qui, avec sa théorie de la révolution passive, offrirait au fascisme
« un renfort », comme le précise Gramsci dans la deuxième rédaction de cette note que
nous avons citée (Cahier 10, § 6.9 [G I § 9])42.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 9

29 Ces « formes politiques et culturelles plus avancées » sont réalisables, selon l’hypothèse
formulée par Gramsci, grâce à l’avènement d’une « économie médiane » qui serait – ou
pourrait devenir – le corporatisme : ni un pur individualisme, ni un pur collectivisme.
« Médiane », plus précisément, « entre l’économie individualiste pure et celle qui est
planifiée dans un sens intégral », à savoir entre le capitalisme libéral et la planification
dont l’Union soviétique représentait un exemple concret au moment où Gramsci écrivait.
30 Gramsci parle en somme de l’« économie planifiée (économie dirigée) », comme il le
déclare dans ce texte, qui était à ce moment-là (nous sommes en avril 1932) à l’ordre du
jour des discussions en cours dans différents pays européens comme un moyen pour
endiguer les effets de la grande dépression, et qu’il reprend directement de l’article de
La Nuova Italia cité plus haut. Cela nous démontre sans équivoque que Gramsci, en faisant
référence à l’« économie dirigée » (economia diretta), place le fascisme italien dans le cadre
plus large des réactions européennes à la crise économique des années trente, où
l’expression « économie dirigée » avait été introduite en 1928 par Bertrand de Jouvenel
dans un livre portant ce titre43.
31 Que l’objet de l’allusion de Gramsci soit le débat européen sur la crise économique est ce
dont témoigne un texte écrit immédiatement après le § 71 du Cahier 8 [b], c’est-à-dire le
§ 32 du Cahier 9 [b] [G § 32], remontant à mai-juin 1932, dans lequel l’expression
« économie dirigée » revient dans un contexte très clair :
Économie nationale. On ne peut juger l’ensemble de l’activité économique d’un pays
qu’en la reliant au marché international : cette activité « existe » et doit être
évaluée dans la mesure où elle s’insère dans une unité internationale. D’où
l’importance du principe des coûts comparés et la solidité que gardent les
théorèmes fondamentaux de l’économie classique à l’égard des critiques verbeuses
des théoriciens de toute nouvelle forme de mercantilisme (protectionnisme,
économie dirigée, corporatisme, etc.).44
32 Dans l’expression « économie planifiée (économie dirigée) », par conséquent, ce qui est
mis entre parenthèses représente une limite et une précision du sens de « économie
planifiée » afin de bien la distinguer de la planification « intégrale », à savoir soviétique.
De cette façon, Gramsci retourne d’un ton polémique sur le passage de l’article de La
Nuova Italia cité ci-dessus, où l’on exprime, au contraire, le point de vue de celui qui a
l’intention de sauver le capitalisme international, et qui dans le bolchévisme voit
seulement le « Moyen Âge » et dans l’« économie dirigée » la solution au protectionnisme,
c’est-à-dire aux problèmes des sociétés capitalistes d’après-guerre.
33 Pour Gramsci, au contraire, seule l’économie classique interprète la « physiologie » du
capitalisme tandis que toute autre solution est tiraillée entre la perspective
« exterminatrice » et la relance passive d’un système en crise. Perspective exterminatrice
que Gramsci avait évoquée dans divers articles précédents45 et reprise dans ce même
§ 135 du Cahier 1 auquel il renvoie implicitement dans le Cahier 8 :
[...] le régime corporatif est dans la dépendance du chômage et non de l’emploi : il
garantit à ceux qui ont un emploi un certain minimum vital qui, si la concurrence
était libre, s’écroulerait lui aussi, provoquant de graves bouleversements sociaux.
Très bien : mais le régime corporatif, né dans la dépendance de cette situation très
délicate, dont il faut préserver l’équilibre essentiel à tout prix pour éviter une
gigantesque catastrophe, pourrait procéder par de toutes petites étapes, insensibles,
qui modifieraient la structure sociale sans secousses brusques : même l’enfant le
plus étroitement et le plus solidement langé se développe normalement. (Cahier 1,
§ 135 : Quaderni, p. 126 ; je souligne)46

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 10

34 En résumé, l’on peut dire que l’intérêt de Gramsci pour l’américanisme est étroitement lié
à celui pour le corporatisme et qu’à son tour, ce dernier a une importance politique
immédiate. Le modèle corporatif est autant une adaptation au modèle américain qu’une
réaction conservatrice contre ce dernier. Dans le § 135 du Cahier 1 que nous avons déjà
cité, Gramsci se demande si « les corporations deviendront la forme de ce bouleversement
[industriel de la nation] en vertu d’une de ces “astuces de la providence” qui fait que les
hommes obéissent, sans le vouloir, aux impératifs de l’histoire »47.
35 Son hypothèse est en fait que les corporations, nées dans le souci immédiat de réprimer
et de contrôler l’insubordination ouvrière diffuse des suites de 1917, puissent être
effectivement le véhicule d’une modernisation que la classe ouvrière avait revendiquée :
Une analyse approfondie de l’histoire italienne avant 22, qui ne se laisserait pas
prendre aux mirages du carnaval extérieur mais saurait saisir les motifs profonds
du mouvement, devrait arriver à la conclusion que ce sont précisément les ouvriers
qui ont porté les nouvelles exigences industrielles et qui, à leur façon, les ont
affirmées vaillamment. (Cahier 1, § 135 : Quaderni, p. 125)
36 Et à un autre endroit, toujours dans le Cahier 1, Gramsci nous rappelle que « l’Ordine
Nuovo défendait une forme propre d’“américanisme” »48.
37 Vu que, sous le vague concept d’« américanisme » se cache – comme c’est désormais bien
évident – la tendance du monde de l’après-guerre à une démocratie corporative dans
laquelle la représentation politique se redéfinit dans son lien direct avec la production, il
est bien clair que le corporatisme italien, le planisme franco-belge, le planisme et
l’idéologie managériale américaine et le système soviétique – en somme, tout ce que le
discours officiel résume sous le concept d’« économie dirigée » – sont des variantes
différentes de la même tendance. Il s’ensuit que le conflit Amérique-Europe introduit
dans la solution fasciste un élément d’instabilité que les communistes doivent savoir
utiliser pour mettre le régime italien en contradiction avec lui-même. En somme, la
comparaison Amérique-Europe possède un sens directement politique, mieux encore
stratégique, plutôt qu’économique. Il renvoie, comme nous l’avons vu au début en
discutant sur le texte de Gompers, à l’« autonomie industrielle » comme solution, de la
part des ouvriers, de la crise organique du capitalisme.
38 Dans cette perspective, le passage de la guerre de mouvement à la guerre de position
acquiert lui aussi un sens différent. C’est dans le Cahier 6 que ce concept est pour la
première fois49 mis en relation avec celui d’hégémonie. « La guerre de position » – écrit
Gramsci au § 138 – est cette forme de lutte politique se déroulant durant la « phase
culminante de la situation politico-historique ». À cela correspond la nécessité vitale,
pour la classe dirigeante, de mobiliser « toutes les ressources de l’hégémonie et de
l’État » :
La guerre de position demande d’énormes sacrifices à des masses illimitées de la
population ; il faut donc une concentration inouïe de l’hégémonie et, par
conséquent, une forme de gouvernement plus « interventionniste », qui prenne
l’offensive plus ouvertement contre les opposants et organise d’une manière
permanente l’« impossibilité » d’une désintégration interne : contrôles de tous
genres, politiques, administratifs, etc., renforcement des « positions »
hégémoniques du groupe dominant, etc. [...] alors on passe à la guerre de siège,
serrée, difficile, qui requiert des qualités exceptionnelles de patience et d’esprit
inventif. En politique le siège est réciproque, malgré toutes les apparences, et le
seul fait que celui qui domine doive faire étalage de toutes ses ressources montre le
jugement qu’il porte sur l’adversaire. (Cahier 6, § 138 ; Quaderni, p. 802)

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 11

39 Cette description reflète la nouvelle situation des années vingt-trente lorsque les masses
commencent à faire partie de l’État de façon directe et que la politique s’étend de façon
capillaire pour réorganiser la vie de toute la population. Toute barrière entre “public” et
“privé” devient relative, se déplace continuellement de par la nécessité de contrôler
chaque aspect d’une vie sociale désormais complètement mobilisée et qui, en tant que
telle, n’est plus passible d’être repoussée dans la masse informe de la désagrégation de
l’avant-guerre. Gramsci caractérise ici la guerre de position non pas – remarquons-le –
comme “guerre de tranchées” mais – en poussant la métaphore presque au-delà du
pensable – comme une guerre de siège tout à fait sui generis, car de « siège […]
réciproque ». Les classes dominées assiègent donc l’État tout en étant en même temps
assiégées par la politique de l’État menée par la classe dominante. La puissance déployée
par l’État est, par conséquent, un indice de la puissance des masses des dominés.
40 Lorsque Gramsci emploiera plus tard (Cahier 13, § 7) l’expression « structure de masse des
démocraties modernes »50 comme étant le fondement du passage de la guerre de
mouvement à la guerre de position, c’est à cette modification dans un sens corporatif et
organique des régimes politiques européens qu’il est en train de penser, et non à un
modèle de démocratie “occidentale” hypothétique et tout à fait inactuel à ce moment-là.
En utilisant l’expression « structure de masse des démocraties modernes », Gramsci se
réfère en somme à une sorte de régime comprenant toutes les variantes possibles – du
fascisme au planisme social-démocrate et au modèle américain – de réaction à l’existence
du premier État ouvrier et, en son sein, à l’affirmation de l’« autonomie industrielle ».
41 La nécessité de résoudre la crise d’hégémonie qui avait déjà commencé avant la guerre
– et dont la crise de 1929 est une manifestation, et non l’inverse51 – pousse tous les
régimes bourgeois à intensifier de façon exceptionnelle leur pression sur les individus,
bouleversant les vieux équilibres avec des conséquences potentiellement destructives.
Dans la guerre de position, en somme, la lutte s’intensifie et devient de plus en plus
violente. Dans un texte dramatique du Cahier 15 intitulé Notes autobiographiques, dans
lequel il étudie « les effondrements du caractère », Gramsci observe : « Il est certain
qu’aujourd’hui s’est infiltré un élément “terroriste” qui n’existait pas dans le passé, de
terrorisme matériel et aussi moral qui n’est pas négligeable » (Cahier 15, § 9 : Quaderni,
p. 1764).
42 Au moment où les classes subalternes “assiègent” en masse le pouvoir en formulant, non
plus seulement de façon abstraite – avec le “marxisme de la chaire” – mais de façon
concrète, avec leurs partis politiques de masse, la question d’une transformation politico-
sociale essentielle, la lutte est destinée à s’aggraver et à atteindre des formes exaspérées.
C’est sous cet aspect qu’il faut interpréter l’observation suivante, contenue dans un texte
du Cahier 4 consacré à l’école et écrit en novembre 1930 :
Dans une situation politique nouvelle, ces questions deviendront particulièrement
dures, et il faudra alors résister à la tendance à rendre facile ce qui ne pourrait
l’être sans être dénaturé. Si l’on veut créer un nouveau corps d’intellectuels,
jusqu’aux plus hauts sommets, à partir d’un groupe social qui n’a pas
traditionnellement développé les aptitudes psycho-physiques appropriées, il faudra
surmonter des difficultés inouïes [>et le chemin sera semé aussi de cadavres<].
(Cahier 4 [c], § 7 [G § 55] : Quaderni, p. 503)
43 Gramsci raye cette dernière proposition d’épais traits de plume et ne la reprend pas lors
de la deuxième version (qui se trouve dans le Cahier 12, § 2). Il s’agit donc d’une
correction univoque.

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44 Et pourtant cette proposition éclaire très différemment toute la question traitée


précédemment, celle de la formation d’une couche autonome d’intellectuels. Cette formation
est en réalité une lutte de classe très dure qui s’intensifie davantage à cause des nouvelles
conditions des “démocraties de masse” des années trente, car l’État a tendance à absorber
les formes de vie et d’organisation des classes subalternes en éliminant tout espace
d’autonomie et en “formant” les “intellectuels” dans ses propres intérêts. Dans le
Cahier 3, Gramsci écrit, en se référant au fascisme, que « la centralisation de toute la vie
nationale dans les mains de la classe dominante devient frénétique et absorbante » 52 :
mais, comme on a déjà pu constater, il s’agit d’une tendance plus générale, liée à la
multiplication exceptionnelle, dans le monde moderne, de la « catégorie des
intellectuels », au sens large du terme tel que Gramsci l’entend dans les Cahiers, à savoir
intellectuels comme fonctionnaires de l’« hégémonie sociale d’un groupe et de sa
domination étatique », aussi bien dans le domaine privé du « prestige » que dans le
domaine public de l’« appareil de coercition »53. La lutte pour la formation d’un nouveau
genre d’intellectuels s’insère donc dans un processus de modification de l’équilibre
psycho-physique que l’État avait déjà initié.
45 L’analogie avec le taylorisme et le fordisme est évidente. Analogie confirmée aussi par
une autre donnée, d’ailleurs surprenante : dans l’article déjà cité de la Nuova Antologia de
novembre 1927, auquel Gramsci se réfère en juin 1930 dans le § 26 du Cahier 3 portant sur
Gompers, on peut lire :
Dure lutte syndicale, culminant dans l’après-guerre, autour de l’alternative « Closed
shop or open shop ? » Magasin fermé ou magasin ouvert ? C’est-à-dire : travail réservé
seulement aux ouvriers du syndicat ou accessible à tous ? Voilà le point de tactique
syndicale autour duquel la bataille a été particulièrement dure et la lutte menée,
des deux côtés, avec une vigueur extrême ; comme si l’avenir en avait entièrement
dépendu! Et le chemin a été semé de cadavres !54
46 Ce fascicule fait partie d’un paquet de vieilles revues que Gramsci dépouillait en juin 1930
55
et qu’il livra le 15 juin à Tatiana56. Donc, au moment où il écrit le texte sur la formation
des intellectuels organiques comme lutte de classe très violente, en novembre, il ne
dispose pas de cet article. De juin à novembre, la phrase reste figée dans sa mémoire et
passe d’un texte à l’autre.
47 On peut considérer qu’en l’employant, Gramsci a voulu mettre l’accent sur le lien direct
entre la question de l’américanisme – dans le sens stratégique que nous avons tenté
d’illustrer – et celle des intellectuels. De fait, la lutte sur l’open shop avait été exploitée par
les industriels américains pour briser les résistances syndicales, liquider les syndicats
libres et les remplacer « par un système d’organisations d’entreprise isolées (entre
elles) », comme on peut le lire dans le § 135 du Cahier 157 que j’ai déjà cité plusieurs fois.
Mais la destruction des syndicats, comme le souligne Gramsci dans ce texte, ne doit pas
être combattue en elle-même car elle entraîne de toute façon « une diminution des coûts,
la rationalisation du travail, l’introduction de mécanismes plus perfectionnés et
d’organisations plus perfectionnées du système de l’entreprise »58. Elle doit en revanche
être combattue en tant qu’elle est réalisée pour conserver et augmenter le profit.
48 De façon analogue, l’absorption au sein de l’État des formes autonomes d’organisation des
classes subalternes ne doit pas être combattue pour elle-même. Même s’il est sanguinaire,
ce processus déplace les modes de formation de l’hégémonie sur un plan différent et
supérieur car il s’adresse à toute la population et non seulement à un groupe restreint de
minorités ; en outre, il traite la population comme une force active et la pousse même

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 13

– comme l’écrit Gramsci de façon complètement inattendue dans un texte du Cahier 10 –


à faire son propre « apprentissage politique » :
Croce a beau s’armer de sarcasmes contre l’égalité, la fraternité et exalter la liberté
– fût-elle spéculative. Elle sera comprise comme égalité et fraternité et ses livres
apparaîtront comme l’expression et la justification implicite d’un constituentisme
sortant par tous les pores de cette Italie « qu’on ne voit pas » et qui fait, depuis dix
ans seulement, son apprentissage politique.59

NOTES
1. G. FRANCIONI, « Il bauletto inglese. Appunti per una storia dei “Quaderni” di Gramsci »,
Studi storici, XXXIII, 4, 1992, p. 713-741 (p. 731n). Voir aussi ID., « Come lavorava Gramsci »,
dans A. GRAMSCI, Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, G. Francioni éd.,
18 vol., Rome-Cagliari, Istituto della Enciclopedia Italiana - «L’Unione Sarda, 2009, vol. I,
p. 21-60 (p. 41-45).
2. Voir G. FRANCIONI, « Il bauletto inglese », art. cité, p. 732.
3. Ibid., p. 733.
4. Voir ibid., p. 737 et suivantes.
5. Inédite, cette lettre est conservée à la Fondazione Istituto Gramsci ; le passage est cité
par G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, Turin, Einaudi, 2012, p. 324.
6. Voir L. V. LOSEFF, On the Beneficence of Censorship: Aesopian Language in Modern Russian
Literature, Munich, Verlag Otto Sagner in Kommission, 1984, chap. 1.
7. F. PLATONE, P. TOGLIATTI, « Prefazione » à A. GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce, Turin, Einaudi, 1948, p. XIII-XXII (p. XIX).
8. G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, ouvr. cité, p. 107.
9. Ibid., p. 107-108.
10. A. GRAMSCI - T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, A. Natoli et C. Daniele éd., Turin, Einaudi,
1997, p. 144.
11. Voir A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica diretta da G. Francioni, 1.
Quaderni di traduzioni (1929-1932), G. Cospito et G. Francioni éd., Rome, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 2007, p. 281-438 (Cahier B) et p. 557-613 (Cahier C).
12. A. GRAMSCI - T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, ouvr. cité, p. 1012.
13. F. M. BISCIONE, « Gramsci e la “questione meridionale”. Introduzione all’edizione
critica del saggio del 1926 », Critica marxista, XXVIII, 3, 1990, p. 38-50 (p. 43). Voir aussi ID.,
« Rivoluzione e contadini del Sud nella politica comunista », Italia contemporanea, X, 150,
1983, p. 23-55, en particulier p. 50-53 ; ID., « Politica e storia nei “Temi” di Gramsci sul
Mezzogiorno », ibid., XII, 158, 1985, p. 75-88 ; L. PAGGI, Le strategie del potere in Gramsci. Tra
fascismo e socialismo in un solo paese. 1923-1926, Rome, Editori Riuniti, 1984, p. 328-335.
14. Gramsci le rappelle dans une note rapide de novembre 1930 : « Traducibilità dei
linguaggi scientifici e filosofici. Nel 1921 : questioni di organizzazione. Vìlici disse e scrisse :

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 14

“non abbiamo saputo ‘tradurre’ nelle lingue ‘europee’ la nostra lingua” » (Cahier 7 [b], § 2
[G § 2] : Quaderni del carcere [désormais : Quaderni] p. 854). Les datations des textes des
Cahiers que j’indique ici et infra sont celles qui ont été établies par G. Francioni et
reportées par G. Cospito, « Appendice », dans ID., « Verso l’edizione critica e integrale dei
Quaderni del carcere », Studi storici, LII, 4, 2011, p. 881-904 (p. 896-904), où est aussi précisée
la contribution de Cospito. L’ordre des textes à l’intérieur des Cahiers est celui qui a été
établi par Gianni Francioni pour la nouvelle édition critique. Dorénavant, lorsqu’il existe
des divergences entre les deux éditions, je donnerai aussi entre crochets et précédés de
“G”, la référence à l’ordre établi par Valentino Gerratana dans son édition critique (Turin,
Einaudi, 1975). Le titre abrégé Quaderni précède le renvoi au numéro de la page dans
l’édition Gerratana.
15. Voir G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, ouvr. cité, p. 190-192 ; P. SPRIANO, « Gli
ultimi anni di Gramsci in un colloquio con Piero Sraffa », Rinascita, XXIV, 15, 1967,
p. 14-16.
16. F. PLATONE et P. TOGLIATTI, « Prefazione », ouvr. cité, p. XV.
17. A. GRAMSCI - T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, ouvr. cité, p. 62.
18. C’est moi qui souligne. Sur tout cela, voir G. FRANCIONI, « Come lavorava Gramsci »,
ouvr. cité, p. 34.
19. Lettre à Carlo Gramsci du 13 août 1928, dans A. GRAMSCI, Lettere dal carcere,
A. A. Santucci éd., Palerme, Sellerio, 1996, p. 205 (je souligne).
20. P. SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci, V. Gerratana éd., Rome, Editori Riuniti, 1991,
p. 225.
21. Ibidem (je souligne).
22. Voir Cahier 1, § 132 : Quaderni, p. 119-120 ; Cahier 1, § 157 : Quaderni, p. 137-138 ;
Cahier 4 [b], § 2 [G § 2] : Quaderni, p. 421.
23. H. DE MAN, Il superamento del marxismo, A. Schiavi éd., 2 vol., Bari, Laterza, 1929.
24. P. TOGLIATTI, « Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci (Appunti) » (1958),
dans Id., Scritti su Gramsci, G. Liguori éd., Rome, Editori Riuniti, 2001, p. 213-234 (p. 214) ; je
souligne.
25. P. SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci, ouvr. cité, p. 23.
26. Munitor, « Gli albori di un nuovo spirito sociale in America », Nuova Antologia, LXII,
fasc. 1336 (16 novembre), 1927, p. 239-244.
27. Quaderni, p. 307.
28. Voir « Samuele Gompers », Il Grido del Popolo, no 722, 25 mai 1918, maintenant dans A.
GRAMSCI, Il nostro Marx. 1918-1919, S. Caprioglio éd., Turin, Einaudi, 1984, p. 56-59. Voir
aussi « Un uomo di carattere », Avanti!, XXII, 285, 14 octobre 1918, maintenant ibid.,
p. 327-329 ; et « L’americano a Torino. Gompers e la “manonera” », ibid., XXII, 287,
16 octobre 1918, maintenant ibid., p. 334-337.
29. Cahier 4 [c], § 4 [G § 52] : Quaderni, p. 489.
30. S. GOMPERS, Ligue de nations ou ligue de financiers, traduit de l’anglais par J. Laporte,
introduction par Y. Le Trocquer, Paris, Payot, 1924, p. 86 et suivantes. Le livre est présent
dans le Fondo Gramsci, no 284.
31. Quaderni, p. 336.
32. Le volume est dans le Fondo Gramsci, no 670.

Laboratoire italien, 18 | 2016


Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 15

33. A. SIEGFRIED, Les États-Unis d’aujourd’hui, Paris, Colin, 1928, p. 349-350.


34. Voir C. S. MAIER, Recasting bourgeois Europe. Stabilization in France, Germany and Italy in
the Decade after World War I, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1975.
35. Cahier 1, § 61 : Quaderni, p. 72.
36. Le volume est conservé dans le Fondo Gramsci, no 620.
37. Voir J. CLARKE, France in the Age of Organization. Factory, Home and Nation from the 1920s to
Vichy, New York-Oxford, Bergahn Books, 2011, p. 21-26 et 177. En général, voir aussi A.
SALSANO, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla « rivoluzione manageriale », Turin,
Einaudi, 1987, p. 6-24 et 61-93 ; ID., L’altro corporativismo. Tecnocrazia e managerialismo tra le
due guerre, Turin, Il Segnalibro Editore, 2003, p. 1-27.
38. A. SALSANO, Ingegneri e politici, ouvr. cité, p. 4.
39. « Economia diretta », La Nuova Italia, III, 3, 20 mars 1932, p. 85-88.
40. Ibid., p. 87.
41. Voir Cahier 8 [b], § 71 [G § 236], avril 1932 ; Cahier 10, <Sommario>, avril-mai ;
Cahier 10, § 6.9 [G I § 9], mai ; lettre à Tatiana du 9 mai 1932 ; à la même, 6 juin ; Cahier 10,
§ 23 [G II § 22].
42. Quaderni, p. 1228.
43. B. de JOUVENEL, L’économie dirigée. Le programme de la nouvelle génération, Paris, Librairie
Valois, 1928.
44. Quaderni, p. 1115.
45. Voir A. GRAMSCI, « Stato e sovranità », Energie nove, s. I, no 7-8, 1er-28 février 1919,
p. 99-101, maintenant dans ID., Il nostro Marx, 1918-1919, ouvr. cité, p. 518-523 (p. 522) ; « Lo
Stato e il socialismo », L’Ordine Nuovo, I, 8, 28 juin - 5 juillet 1919, maintenant dans A.
GRAMSCI, L’Ordine Nuovo. 1919-1920, V. Gerratana et A. A. Santucci éd., Turin, Einaudi, 1987,
p. 114-120 (p. 119) ; « Industriali, operai, produzione », Avanti!, édition Piémont, XXIII,
322, 21 novembre 1919, maintenant dans ibid., p. 325-327 (p. 327) ; « Il programma
dell’“Ordine Nuovo” [I] », L’Ordine Nuovo, II, 12, 14 août 1920, dans ibid., p. 619-623
(p. 619) ; « Contro il pessimismo », L’Ordine Nuovo, s. III, I, 2, 15 mars 1924, maintenant
dans A. GRAMSCI, La costruzione del Partito comunista. 1924-1926, E. Fubini éd., Turin, Einaudi,
1971, p. 16-20 (p. 18).
46. On ne peut franchement qu’être très surpris de lire, dans un volume récent (L.
CANFORA, Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Rome, Salerno, 2012, p. 162) que
l’expression « cataclysmes radicaux et destructeurs de masse [cataclismi radicali e
distruttivi in forma sterminatrice] » contenue dans le § 236 du Cahier 8, puisse être une
« référence », qui « ne saurait être plus claire », à l’URSS.
47. Quaderni, p. 125.
48. Cahier 1, § 61 : Quaderni, p. 72.
49. Comme le remarque G. COSPITO, Il ritmo del pensiero. Per una lettura diacronica dei
« Quaderni del carcere » di Gramsci, Naples, Bibliopolis, 2011, p. 94.
50. Quaderni, p. 1567.
51. Voir Cahier 15, § 5 : Quaderni, p. 1755-1759, février 1933. Sur la façon dont Gramsci lit
la crise, voir J.-P. POTIER, « La crisi degli anni Trenta vista da Antonio Gramsci », dans

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 16

Gramsci e la rivoluzione in Occidente, A. Burgio et A. A. Santucci éd., Rome, Editori Riuniti,


1999, p. 69-81.
52. Cahier 3, § 18 : Quaderni, p. 303.
53. Cahier 4 [c], § 1 [G § 49] : Quaderni, p. 476-477.
54. Munitor, Gli albori di un nuovo spirito sociale in America, ouvr. cité, p. 242 (je souligne).
55. Voir G. FRANCIONI, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei « Quaderni dal carcere »,
Naples, Bibliopolis, 1984, p. 44-66.
56. Voir la liste des « livres livrés à Tatiana le 15 juin 1930 », rédigée à p. 163 du Cahier 2 (
Quaderni, p. 2377). Voir G. Francioni, L’officina gramsciana, ouvr. cité, p. 47-48.
57. Quaderni, p. 125. Le quotidien L’Ordine Nuovo avait publié le 5 juillet 1921 un article de
Piero Sraffa intitulé « Open shop drive », dans lequel cette dynamique était mise en
lumière. Voir J.-P. POTIER, Piero Sraffa, unorthodox economist (1898-1983). A biographical essay,
trad. anglaise, Londres, New York, Routledge, 1991, p. 19.
58. Quaderni, p. 125.
59. Cahier 10, § 23 [G II, § 22] : Quaderni, p. 1260 (je souligne).

RÉSUMÉS
Cette contribution fait le point sur le lien entre autocensure et analyse politique du monde actuel
dans les Cahiers de prison. Après une présentation succincte de la façon dont l’autocensure a été
évaluée et analysée au sein des études et des éditions gramsciennes, on essaie de reconstruire
certains segments des Cahiers au cours desquels le prisonnier conduit des analyses critiques du
monde contemporain en lien avec un projet politique de redéfinition profonde de la stratégie
politique du PCI. Le point ici particulièrement mis en évidence est l’ensemble des processus que
Gramsci appelle synthétiquement et de façon un peu conventionnelle « américanisme et
fordisme ». On montre le lien entre ce groupe de phénomènes et son enquête sur la crise et la
transformation du parlementarisme, c’est-à-dire sur l’affirmation d’une société « corporative » y
compris en dehors de l’Italie fasciste, et sur la genèse d’une forme nouvelle de politique, où les
masses sont entièrement organisées et actives au sein des organisations que l’État a créées pour
pouvoir les contrôler.

Il contributo mette a fuoco il nesso tra autocensura e analisi politica del mondo attuale nei
Quaderni del carcere. Dopo una succinta presentazione del modo in cui l’autocensura è stata
valutata e analizzata negli studi e nelle edizioni gramsciane, si tenta una ricostruzione di alcuni
segmenti dei Quaderni, in cui il prigioniero porta avanti delle analisi critiche del mondo
contemporaneo in connessione con un progetto politico di profonda ridefinizione della strategia
politica del PCI. Il punto particolarmente messo a fuoco è l’insieme di processi da Gramsci
riassuntivamente e in modo un po’ convenzionale definiti «americanismo e fordismo». Si mostra
il nesso tra questo gruppo di fenomeni e l’indagine sulla crisi e sulla trasformazione del
parlamentarismo, cioè sull’affermarsi di una società “corporativa” anche fuori dell’Italia fascista,
e sulla genesi di una forma nuova di politica, in cui le masse sono completamente organizzate e
attivamente presenti dentro le organizzazioni che lo Stato ha creato per poterle controllare.

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Le travail caché du prisonnier entre « littérature » et « politique ». Quelqu... 17

The present contribution brings into focus the nexus between self-censorship and political
analysis of the world as it was at the time of the Prison Notebooks. After a brief presentation of the
way in which self-censorship has been evaluated and analysed in the studies and editions of
Gramsci, we attempt to reconstruct a number of segments of the Notebooks, in which Gramsci
carries out critical analyses of the world of the time in connection with a political project of a
thoroughgoing redefinition of the PCI’s political strategy. The point to which we direct most
attention is that group of processes that, briefly and somewhat conventionally Gramsci defines as
“Americanism and Fordism”. We demonstrate the nexus between this group of phenomena and
his investigation of the crisis and the transformation of parliamentarism, that is to say of the
emergence of a “corporative” society, even outside fascist Italy, and of the appearance of a new
form of politics, in which the masses are completely organized and actively present within the
organizations created by the State in order to control them.

INDEX
Mots-clés : Gramsci Antonio, Cahiers de prison, autocensure, stratégie politique, américanisme
et fordisme
Keywords : Prison Notebooks, self-censorship, political strategy, Americanism and Fordism

AUTEURS
FABIO FROSINI
Chercheur en Histoire de la philosophie à l’Université d'Urbino. Il est directeur de la Ghilarza
Summer School - Scuola internazionale di studi gramsciani, membre de la commission scientifique
pour l’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, du comité garant et du comité scientifique
de la Fondazione Istituto Gramsci de Rome et du comité de direction de l’International Gramsci Society
- Italia. Ses intérêts de recherche vont de l’histoire de la philosophie de la Renaissance à celle du
marxisme, principalement italien. Parmi ses publications : Gramsci e la filosofia. Saggio sui
“Quaderni del carcere”, Rome, Carocci, 2003 (Prix international “Giuseppe Sormani” 2004, Turin) ;
La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci, Rome,
Carocci, 2010 ; Vita, tempo e linguaggio (1508-1510). L Lettura Vinciana - 17 aprile 2010, Florence,
Giunti, 2011 ; Maquiavel o revolucionário, São Paulo, Ideias & Letras, 2016.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

De Vico à Gramsci. Éléments pour une


confrontation
Da Vico a Gramsci. Elementi per un confronto
From Vico to Gramsci. Elements for a comparison

Pierre Girard

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1067 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Pierre Girard, « De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation », Laboratoire italien [En ligne],
18 | 2016, mis en ligne le 28 novembre 2016, consulté le 12 décembre 2016. URL : http://
laboratoireitalien.revues.org/1067

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 1

De Vico à Gramsci. Éléments pour


une confrontation
Da Vico a Gramsci. Elementi per un confronto
From Vico to Gramsci. Elements for a comparison

Pierre Girard

1 L’exercice qui consiste à comparer deux grands penseurs, séparés par plusieurs siècles,
est toujours délicat, même si des liens évidents les relient, qu’il s’agisse des champs
thématiques sur lesquels ils interviennent ou de la tradition de pensée dans laquelle ils
s’insèrent. Le cas du rapport entre Vico et Gramsci est ici d’autant plus intéressant qu’il
illustre, à notre sens, clairement la force de telles comparaisons, mais aussi leurs limites.
Il s’agit d’une comparaison qui a souvent été faite, mais qui offre des résultats inégaux
dans la mesure où elle oscille souvent entre la simple reconnaissance factuelle
d’influences entre les deux auteurs – ici en l’occurrence de Vico sur Gramsci – que l’on
pourrait discerner dans une exploitation diachronique d’un corpus, et la mise au jour de
rapports conceptuels. Ces deux aspects ont été l’occasion d’études souvent talentueuses
et convaincantes1. Mais c’est peut-être un court texte d’Eugenio Garin qui manifeste le
plus clairement l’ambiguïté de ce type de confrontation. Ce texte intitulé « Vico in
Gramsci », publié en 1976 à l’occasion de l’édition des Quaderni del carcere de Valentino
Gerratana, est particulièrement intéressant car il souligne à la fois la faiblesse de la
relation apparente de Gramsci à l’œuvre de Vico, tout en discernant les « luoghi
vichiani » chez Gramsci, pour en conclure à la nécessité d’ « affrontare il problema della
presenza di alcuni dei motivi più profondi della tematica vichiana in Gramsci » 2.
2 Cette forme d’hésitation sur une forte ou faible importance de Vico pour Gramsci, peut
certes se résoudre de manière ponctuelle, par le simple repérage de « lieux vichiens »,
explicites ou implicites chez Gramsci, ainsi que par la mise au jour de concepts communs.
Mais à nouveau, les résultats issus de ce type d’approche peuvent apparaître autant
comme une force que comme une faiblesse. Faire de Vico un « précurseur » de Gramsci
est en effet problématique et pose des questions qui dépassent la simple détermination de
la catégorie de « précurseur » dans l’histoire des idées. La notion de « précurseur » est en

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 2

effet ambivalente dans la mesure où elle laisse indéterminé le type d’influence entre ces
deux auteurs. Gramsci ne fait-il que s’inscrire dans une voie problématique ouverte par
Vico, ou au contraire la transforme-t-il de manière critique, le philosophe napolitain
faisant figure de levier lui permettant d’exposer ses idées propres ?

Vico et « L’angoletto morto della storia » : un héritage


problématique
3 Les difficultés auxquelles mène le repérage des « luoghi vichiani », et que laisse
transparaître le constat d’E. Garin, sont peut-être liées au fait que l’on mélange à chaque
fois deux niveaux d’analyse, un niveau conceptuel qui s’affranchirait de la distance
diachronique entre les deux auteurs et qui tenterait de mettre au jour des rapports
théoriques, et un niveau plus historique qui tenterait, inversement, de montrer quel est
l’état de la figure de Vico lorsqu’en hérite Gramsci. Il s’agit là d’un mélange
problématique qui a été parfaitement mis en lumière par Nicola Badaloni dans un texte
d’introduction à l’édition des Opere filosofiche de Vico établie par Paolo Cristofolini en
1971. Ce texte est important car il met clairement en lumière les résultats de la
construction d’une certaine image de Vico, dont on ne commence à se défaire qu’au début
des années soixante. Une des conséquences négatives, selon Badaloni, de cet héritage – en
premier lieu celui qui passe par la médiation de Croce – est notamment de brouiller le
rapport entre Vico et Gramsci3.
4 Il s’agit là d’une situation que l’on peut regretter, mais qui est peut-être commune à
toutes les philosophies et à leur réception. On pourrait du reste ajouter que la « fortune »
d’une pensée, aussi paradoxale et contradictoire soit-elle, est aussi l’indication du sens
initial de cette même pensée. Le regard rétrospectif du commentateur est le plus souvent
animé du souci de discerner au sein des œuvres prises en considération un système de
pensée parfaitement réglé, diaphane, bref, semble poussé par le besoin irrésistible d’en
manifester une cohérence parfaite, comme si cela en validait l’intérêt en amont et
l’interprétation en aval. Or, force est de constater que ce souci rétrospectif « lisse » en
quelque sorte artificiellement des pensées qui se développent souvent au milieu de
querelles, de controverses auxquelles elles réagissent et qu’elles suscitent au sein de
champs s’entrecroisant souvent de manière complexe. Dans le cas qui nous intéresse, il y
a une sédimentation de niveaux qui doivent être mis en relation et qui déterminent en
creux le statut du « Vico » de Gramsci.
5 Cependant, le Vico dont hérite Gramsci est une figure construite problématiquement tout
au long du XIXe siècle. Ce qui frappe ici, ce sont moins les caractéristiques de la réception
de Vico en Italie que les vecteurs de diffusion de cette même réception. On a ainsi le
sentiment qu’il y a un lien entre les controverses auxquelles réagit Vico au XVIIIe siècle et
les lectures qui sont faites de sa pensée au XIXe siècle. La fortune de Vico se construit donc
autour d’un ensemble de controverses que sa pensée a suscité et qui font que sa réception
au XIXe siècle se fait sur des modèles concurrentiels, souvent opposés entre eux. On a
souvent affirmé que Gramsci lit Vico à travers le prisme de la pensée de Croce et de sa
monographie de 19114. Même si on ne peut pas nier ce fait, il n’en reste pas moins que
l’étude de Croce ne vient pas de nulle part, mais prend position par rapport à une certaine
manière de voir Vico au XIXe siècle5. Faire de Vico un génie isolé dans l’histoire des idées,
une sorte de précurseur universel, n’est pas une opération neutre, mais une prise de

Laboratoire italien, 18 | 2016


De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 3

position polémique dans des querelles philosophiques dont il nous faut dire brièvement
un mot.
6 Il ne s’agit bien évidemment pas ici de faire l’histoire de la réception de Vico au XIXe siècle
6
, mais d’en indiquer rapidement les enjeux, dont Gramsci sera l’héritier indirect.
Plusieurs vecteurs de diffusion peuvent être discernés. Le premier, en quelque sorte
inattendu, est celui de Michelet, qui donne une image toute particulière de Vico, autant
par son interprétation que par sa traduction7. Sans entrer dans le détail de cette lecture8,
il faut remarquer que Michelet se sert de Vico comme d’une machine de guerre contre
l’héritage cartésien et contre toute prétention à la mathesis universalis9. Dissocié de
l’entreprise scientifique cartésienne, Vico pouvait être facilement tiré par Michelet vers
la « philosophie de l’histoire », titre qu’il donne du reste à sa traduction, en occultant
l’importance de la science pour Vico. Cette interprétation toute particulière et les cadres
de la « philosophie de l’histoire » qu’en tire Michelet feront l’objet de nombreuses
critiques, notamment du point de vue de la tradition marxiste10. Il n’en reste pas moins
qu’en faisant de Vico une sorte de précurseur, Michelet, même s’il est critiqué en Italie,
inaugure une manière de voir Vico qui le coupe des racines problématiques dans
lesquelles s’ancre sa pensée. Le philosophe napolitain est désormais tourné vers le XIXe
siècle et les grandes philosophies de l’histoire qui s’y développent.
7 Cette figure de précurseur aura une influence centrale dans une bonne partie de la
réception italienne au XIXe siècle, et plus généralement dans l’hégélianisme napolitain11.
L’expression de Francesco De Sanctis, selon laquelle Vico aurait « vécu solitaire dans son
cabinet de travail » (« vivuto solitario nel suo gabinetto »)12, est reprise par la plupart des
grands représentants de l’hégélianisme napolitain13, notamment par Bertrando Spaventa
14. La mise en scène d’un Vico solitaire n’est pas simplement une mauvaise connaissance

des conditions dans lesquelles se développe la pensée du philosophe napolitain, mais une
reconstruction ayant une fonction stratégique dans la mise en place d’une pensée
nationale en Italie à la fin du XIXe siècle.
8 Croce s’inscrit pleinement dans le schéma de Spaventa15. Son but est triple : d’une part, en
mettant entre parenthèses l’époque de Vico, Croce rend ce dernier comme étranger à son
propre temps, exceptionnel par rapport à un siècle qui ne l’aurait pas compris. Du coup, il
peut le relier en amont à la Renaissance et en aval aux grandes philosophies de l’histoire
du XIXe siècle, en particulier à la tradition hégélienne dont il se veut l’héritier principal.
D’autre part, cette filiation, outre le fait qu’elle donne à Croce un rôle central dans
l’histoire des idées italiennes, lui permet de désactiver en quelque sorte la réception de
Vico par les traditions marxiste et positiviste. Le dernier enjeu d’une telle reconstruction,
qui rejoint en partie la lecture de Michelet, consiste à soustraire Vico aux interprétations
catholiques16, qui se fondent en particulier sur le rôle que Vico donne à sa providence
dans le cours de l’histoire. Il s’agit là d’un aspect essentiel dans la réception de Vico et qui
est instrumentalisé par l’interprétation de Croce. La lecture de Croce ne se fait pas dans
l’absolu, mais contre le positivisme, contre une certaine réception marxiste, mais aussi
contre le catholicisme qui voit en Vico une arme de guerre contre Croce17. Dissocier la
providence vichienne de son interprétation catholique devient donc un enjeu pour Croce,
autant dans sa monographie de 1911 que dans certaines de ses initiatives éditoriales, par
exemple sa publication du texte critique de Gian Francesco Finetti en 193618, dont le but
explicite est de rendre impossible la lecture catholique de Vico. La réception de Vico par
Croce n’est par conséquent aucunement neutre et ne se résume pas simplement à une
interprétation parmi d’autres. Il y a au contraire une véritable instrumentalisation

Laboratoire italien, 18 | 2016


De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 4

tactique du philosophe napolitain et de sa position dans l’histoire des idées, et cela pour
l’utiliser au sein de conflits propres à Croce et à son temps.
9 Nous pourrions enfin isoler un autre vecteur de diffusion, qui du reste se sédimente
souvent avec les deux premiers, et qui passe par la question de la scientificité de l’histoire
et plus généralement par les débats au sein de l’historicisme et de son développement en
Italie19. Certes, cette question dépasse de loin le cadre d’une telle étude, mais il nous faut
en dire un mot tant elle sature en quelque sorte la réception de Vico par Gramsci. À
nouveau, la question n’est pas neutre : en faisant de Vico un « philosophe de l’histoire »,
ou en le tirant vers une lecture idéaliste, la fortune qu’a eue la lecture de Michelet au XIXe
siècle, la lecture de Croce ensuite, ont soustrait Vico à une certaine lecture marxiste,
ainsi qu’au positivisme, empêchant de discerner précisément quel était l’objectif
« scientifique » de la Scienza nuova. En faisant de Vico une synthèse originale de
l’humanisme italien, un « philosophe de l’histoire » ou un penseur idéaliste, on rendait
impossible toute reprise par le positivisme. Une telle opération montre bien à quel point
la fortune de la pensée vichienne ne se fait pas de manière neutre, mais au travers de
querelles et de filtres problématiquement saturés20. On peut, pour illustrer cette idée,
prendre plusieurs exemples. Le premier renvoie aux problème soulevés par la question de
la scientificité de l’histoire, qui apparaît notamment dans certains textes de Pasquale
Villari et d’Antonio Labriola, textes qui posent plus généralement le problème de la
réduction de l’histoire à une science positive.
10 La thèse de Villari est connue et a été présentée par Roberto Ardigò, à savoir le
représentant le plus célèbre du positivisme en Italie, comme une des plus éclatantes
positions positivistes. Ces thèses publiées sous forme d’articles en 1891 dans la revue
florentine Nuova Antologia, et réunies sous le titre La storia è una scienza ?, sont en réalité
complexes et ne reflètent pas entièrement les positions de Villari. Comme le fait
remarquer à juste titre M. Martirano dans l’introduction qu’il donne à son édition du
texte de Villari, la position de ce dernier est beaucoup plus nuancée et ne s’apparente en
rien à un texte positiviste de combat. Cet aspect apparaît très clairement dans un autre
texte célèbre de Villari, La filosofia positiva ed il metodo storico, au départ un discours
inaugural tenu à l’Istituto superiore de Florence en 1865, puis publié dans la revue
Politecnico de Milan 21. Dans ce texte, qui opère une réflexion critique sur le statut du
positivisme et sur ses « applications aux sciences naturelles, aux sciences morales et
historiques »22, le ton de Villari, se réclamant de la pensée de Vico, se fait plus nuancé et
n’est pas réductible aux thèses positivistes les plus extrêmes, qui réduisent le cours de
l’histoire aux lois de la mécanique. Pour Villari, le positivisme offre une « nouvelle
méthode » et non un « nouveau système »23. En d’autres termes, il ne s’agit aucunement,
comme pourrait le laisser croire un positivisme grossier, qu’il est possible de réduire
l’histoire à des lois mécaniques, mais qu’il est possible d’en offrir une nouvelle approche
méthodique.
11 Cette thèse est remarquable, car elle anticipe l’originalité de l’approche de Marx par
Labriola. La position de Labriola est intéressante dans la mesure où elle se fait à plusieurs
bandes, d’abord dans son rapport à Marx lui-même et son refus de l’interpréter selon les
règles d’un mécanisme grossier, puis dans son rapport complexe au positivisme et plus
généralement à la science24, et enfin dans son dialogue avec Croce25. André Tosel a montré
dans quelle mesure l’approche de Labriola, définie comme « anti-dogmatique », anticipe
la pensée de Gramsci26. Pour Labriola, le matérialisme historique de Marx ne saurait se
réduire à un pur déterminisme fondé sur des principes mécaniques. De manière analogue

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 5

à l’approche néo-positiviste de Villari, Labriola montre que l’histoire n’est pas un


ensemble mécanique réductible à la mathesis universalis et dont on pourrait
automatiquement déduire le cours. Tout au plus est-il possible d’obtenir une « prévision
morphologique », qui n’est en rien une prévision absolue de l’événement. Le matérialisme
historique, s’il ne se réduit pas à une simple méthode, n’est pas non plus selon Labriola la
découverte d’une nouvelle fatalité, qui ne ferait au final que remplacer une providence
déchue par une autre.
12 Ce qui est intéressant dans les deux cas que nous venons d’aborder rapidement, c’est que
le refus du mécanisme aveugle se fait en ayant recours à Vico, comme si le philosophe
napolitain satisfaisait à une double exigence, celle d’une approche scientifique de
l’histoire, mais aussi l’impossibilité de réduire l’histoire à un ensemble de lois mécaniques
27
. Cet aspect apparaît clairement chez Georges Sorel28 qui constitue également un des
vecteurs importants de la manière avec laquelle Gramsci aborde la pensée marxiste, et
derrière elle la pensée de Vico. On le sait, la lecture de Vico par Sorel a été déterminante
dans la constitution de son œuvre. La réception de Vico par Sorel est d’autant plus
intéressante, qu’elle se fait à partir de la lecture de Vico par Marx et par opposition aux
interprétations déterministes de Marx. Sans entrer dans le détail de cette réception,
brillamment décrite par Anne-Sophie Menasseyre29 dans son édition récente des textes de
Sorel consacrés à Vico, il est néanmoins possible d’en retracer les grandes lignes de force,
qui seront celles dont hérite Gramsci. Le fait est connu, Marx cite plusieurs fois Vico,
notamment dans sa correspondance avec Lassalle, mais aussi dans une note célèbre du
Capital, où Vico est reconnu comme un des premiers à avoir montré que « l’histoire de
l’homme se distingue de l’histoire de la nature en ce que nous avons fait celle-là et non
celle-ci »30.
13 L’attention de Sorel portée à cette thèse est d’autant plus significative qu’elle constitue
une sorte de continuité dans la réception de Vico au XIXe siècle, mais aussi en ce qu’elle
combat d’autres lectures antagonistes de Marx qui se fondent elles aussi sur
l’interprétation de Vico. Nous faisons ici en particulier allusion à l’interprétation
déterministe et mécaniste de Marx par Paul Lafargue dans Le déterminisme économique de
Karl Marx publié en 1909. C’est en effet paradoxalement en faisant référence aux « lois
historiques de Vico », que Lafargue interprète la pensée de Marx comme un déterminisme
mécanique strict, ce contre quoi lutte Gramsci dans l’ensemble de son œuvre.
Inversement, Sorel s’applique à dénoncer, dans la pensée de Vico, tout ce qui peut laisser
place à une telle conception. Il réfute la théorie des « corsi » et « ricorsi », le principe
d’une « histoire idéale éternelle », qui sont les relents « privés de valeur »31 d’une vision
déterministe et cyclique de l’histoire ou l’expression d’un idéalisme sous-jacent. Pour
Sorel, l’histoire ne saurait être enfermée dans un cadre logique fait de tables, de lois
permettant d’en prédire le cours de manière déterministe, mais elle est l’œuvre du
« faire » humain et de ses conditions de production. Cela ne veut pas dire qu’il renonce à
l’idée de science. Ce qui est ici réfuté, et on discerne le courant de pensée dans lequel
s’insère Sorel, c’est la possibilité et la légitimité d’exporter aveuglément les dispositifs des
sciences de la nature et de les appliquer au monde « fait » par les hommes, réfutation déjà
proposée par Marx dans la note que nous venons de citer lorsqu’il dénonçait « le
matérialisme abstrait des sciences naturelles, qui ne fait aucun cas du développement
historique » et dont « les défauts éclatent dans la manière de voir abstraite et idéologique
de (leurs) porte-parole, dès qu’ils se hasardent à faire un pas hors de leur spécialité » 32.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 6

14 La question n’est donc pas de savoir si Gramsci a bien lu (ou non) Vico 33, s’il rend justice à
la pensée du philosophe napolitain, mais à travers quels types de conflits il le reçoit.
Plutôt que de chercher à tout prix des signes avant-coureurs de la pensée de Gramsci chez
Vico, attribuant à ce dernier la figure ambiguë de « précurseur », il nous semble au
contraire plus judicieux de souligner les conflits et les controverses dont hérite Gramsci,
en grande partie à travers des médiations dans lesquelles la fortune de Vico est centrale.
C’est cette réception problématique que nous voudrions souligner dans les lignes qui
suivent.

« Il mondo grande e terribile »


15 Sans vouloir à tout prix chercher à établir des analogies, il est remarquable de voir que les
deux penseurs semblent intervenir de manière agonistique dans leur temps34. Cet aspect
est également remarquable chez Vico, ne serait-ce que dans le ton de certains de ses
textes, ou même dans la méthode initialement déployée35. L’attention aux conflits
auxquels les deux penseurs réagissent est donc déterminante. Nous ne pouvons ici
qu’esquisser ces positions qui nous semblent significatives en raison de la manière
analogue avec laquelle les deux philosophes semblent réagir.
16 On le sait, et il s’agit d’un topos de la critique consacrée à Vico, un des leviers polémiques
qu’utilise le philosophe napolitain pour développer sa pensée renvoie à sa critique de la
tradition cartésienne. Cette critique, dont le statut est complexe36, se fonde sur le projet,
illégitime aux yeux de Vico, de la réduction du monde par la mathesis universalis d’origine
cartésienne. Pour Vico, Descartes, en limitant le monde au « clair » et au « distinct »,
notamment en faisant usage de l’outil mathématique, transforme artificiellement le
monde et en ôte toute son épaisseur historique. En d’autres termes, l’application des
modèles des sciences de la nature au « monde fait par les hommes » a des conséquences
désastreuses. Certes, le monde qui en résulte semble scientifique, mais il ne l’est qu’au
prix d’une réduction qui fait que tout ce qu’il y a d’humain dans ce monde est
artificiellement et illégitimement rejeté vers le « confus » et « l’obscur ». Pour Vico, une
telle méthode est le résultat de la « vanité des savants »37 (« boria de’ dotti ») qui consiste
à exporter sur un objet des catégories qui lui sont hétérogènes et qui le déforment. Ainsi,
les savants modernes, fascinés outre mesure par les modèles de la mathesis universalis,
croient pouvoir en exporter les catégories sur le monde des hommes qui leur est
hétérogène38. Le résultat présenté offre « un monde des hommes qui serait composé de
lignes, de nombres et de signes algébriques »39, qui ne représente aucunement la
complexité du monde historique réel. Le gain de l’approche scientifique du monde par
Descartes a donc un coût qui le rend vain. Pour Vico, les procédés des sciences de la
nature ne peuvent pas être valables de manière universelle et il n’est pas possible de
réduire la nature à son approche mécanique et physique40.
17 La position de Vico, que nous venons de résumer à grands traits, nous semble analogue à
celle qu’aura Gramsci face aux lectures déterministes et mécanistes du matérialisme
historique auxquelles il s’oppose, et dont nous avons vu les médiations et les origines au
cours du XIXe siècle. D’une certaine manière, les reproches de Vico à l’encontre d’un
certain cartésianisme sont les mêmes que ceux qu’adresse Gramsci aux « incrostazioni
positivistiche e naturalistiche » des Bolchéviques qu’il dénonce dans un article célèbre de
1917 (« La rivoluzione contro il ‘Capitale’ ») paru dans Avanti! et réimprimé dans le Grido
del popolo41. Il s’agit là d’une des thèses les plus connues de Gramsci, qui fonctionne autant

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 7

d’un point de vue théorique contre certaines interprétations de Marx qu’il combat dans
ses Quaderni del carcere, en particulier celle de Boukharine (Théorie du matérialisme
historique, Manuel populaire de sociologie marxiste)42, que d’un point de vue politique (on
peut penser par exemple à sa critique des positions d’Amadeo Bordiga). La position de
Gramsci semble reprendre ainsi le reproche méthodologique adressé par Vico à Descartes,
à savoir celui de l’exportation aveugle des catégories des sciences de la nature sur des
champs dans lesquelles elles sont illégitimes :
Ma è il concetto stesso di « scienza » quale risulta dal Saggio popolare, che occorre
distruggere criticamente ; esso è preso di sana pianta dalle scienze naturali, come se
queste fossero la sola scienza, o la scienza per eccellenza, così come è stato fissato
dal positivismo.43
18 Il serait bien évidemment possible de multiplier ici les citations, tant semble centrale
l’insistance de Gramsci à combattre les interprétations déterministes et mécanistes du
monde, qui en réduisent la complexité et l’épaisseur. Il faut au contraire affronter ce
« monde grand et terrible », pour reprendre une formule célèbre, en tenant compte de
son épaisseur et en résistant à toute tentative de réduction illégitime. Cette approche va
du reste jusqu’à critiquer certaines lectures matérialistes qui, en faussant l’acception du
concept de matière44, finissent par produire le contraire de ce qu’il faut rechercher. La
critique est toujours la même, à savoir la transposition des catégories des sciences de la
nature dans l’histoire où elles ne sont pas valables. Plusieurs aspects frappent dans
l’approche de Gramsci, à la fois la constance avec laquelle cette critique est émise dans
l’ensemble de son œuvre, et cela dès ses premiers textes, mais aussi la tradition
philosophique dans laquelle il s’inscrit, qui passe par une certaine réception de Vico, chez
Villari, Sorel ou Labriola par exemple. La mathesis universalis critiquée par Vico chez
Descartes a le même statut que « l’économisme », le fatalisme, le « déterminisme »
constamment critiqués par Gramsci dans son interprétation du marxisme.

« Nuova arte critica » et « filologia vivente »


19 La possibilité de rapprocher Vico de Gramsci ne s’arrête cependant pas au seul constat
critique des risques issus de la tentation réductionniste. Dans les deux cas, l’enjeu ne se
réduit pas à un simple constat épistémologique, mais renvoie avant tout aux
conséquences politiques qui en sont issues. Vico insiste ainsi à plusieurs reprises sur le
danger et les risques de la méthode cartésienne, autant dans la conduite des affaires
publiques, notamment de l’État45, que dans l’éducation. Il en va de même chez Gramsci qui
souligne à maintes reprises le danger de l’utilisation de la « loi statistique » (« legge
statistica ») dans les champs de la « science et de l’art politique ». La question n’est pas
simplement épistémologique, mais a nécessairement un écho politique. Ainsi, si
« l’erreur » du scientifique l’expose tout au plus au ridicule, l’erreur des méthodes du
scientifique appliquées aveuglément à la politique a des conséquences sociales
« catastrophiques »46.
20 Dans les deux cas, la question épistémologique et méthodologique semble donc
inséparable de considérations politiques et sociales. Cet aspect apparaît clairement chez
Vico, notamment dans le titre du premier livre de la première version de la Scienza nuova,
qui en résume l’objectif : « Necessità del fine e difficultà de’ mezzi di ritruovare una nuova
scienza »47. Cette formule résume à elle seule l’objectif de Vico, mais aussi sa difficulté.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 8

Cette nouvelle science est nécessaire dans la mesure où, puisque c’est l’homme qui a
« fait » son histoire, il peut trouver en lui-même les règles qui ont présidé à ce faire :
Ma, in tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima
antichità, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la
quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio ; che questo mondo civile egli
certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono,
ritruovare i princìpi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. 48
21 Cela dit, ce constat ne fait que mettre en lumière la difficulté même de l’entreprise de
Vico, celle-là même qui lui a fait rencontrer « d’âpres difficultés » et lui « a coûté la
recherche obstinée de presque toute (sa) vie littéraire »49. Le constat de Vico consiste en
effet à faire une science nouvelle au sens fort du terme. À aucun moment il ne renonce à
la science, ce qu’il rappelle de manière répétée50. Tout le problème est alors l’adjectif :
comment faire cette science « nouvelle », celle-là même qui ose s’affronter au monde
injustement rejeté par la tradition cartésienne dans le « confus » et « l’obscur », mais qui
est nécessaire pour discerner le sens de l’histoire des hommes ? La solution de Vico passe
notamment par la mise au point d’un « Nouvel art critique » (« Nuova arte critica ») lui
permettant, grâce à la « philologie », d’accéder au « certain » (« certo »). Nous sommes là
en présence de concepts centraux dans l’économie de la pensée de Vico. La philologie,
qui, dépendant du « libre-arbitre », lequel est « très incertain » selon Vico, joue un rôle
double, à la fois comme critère méthodologique et comme champ d’investigation, celui-là
même qu’il désigne sous le nom de « sagesse poétique », à savoir cette sagesse issue du
poiein, du « faire » des premiers hommes. Comme règle méthodologique, la philologie
empêche toute conception abstraite, celle de philosophes perdus dans leur « boria » et qui
appliqueraient aveuglément leurs catégories :
La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero ; la filologia osserva
l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo. Questa medesima
Degnità dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro
ragioni con l’autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d’avverare le
loro autorità con la ragion de’ filosofi ; lo che se avessero fatto, sarebbero stati più
utili alle repubbliche e ci avrebbero prevenuto nel meditar questa Scienza. 51
22 Mais derrière la règle méthodologique, la philologie renvoie aux production du « sens
commun », à savoir les « langues, les mœurs, les institutions civiles et juridiques, les faits
de guerre et de paix, les alliances, les voyages, les relations commerciales » 52, à savoir ce
champ issu du faire humain et de sa liberté. La philologie joue donc un rôle central chez
Vico : elle est l’exigence de ne pas se réduire à un monde fictif et faussement rationnel, et
elle implique qu’il ne saurait y avoir une méthode unique, simpliste, qui puisse
s’affranchir de l’hétérogénéité du réel53.
23 Cette position de Vico est intéressante car elle semble anticiper de nombreux textes de
Gramsci, également attentif à construire une méthode qui n’enferme pas le monde dans
des catégories simplistes. Contre la prétention d’une méthode unique54, Gramsci souligne
l’importance de méthodes multiples, propres à chaque recherche spécifique :
Non esistono scienze per eccellenza e non esiste un metodo per eccellenza, « un
metodo in sé ». Ogni ricerca scientifica si crea un metodo adeguato, una propria
logica, la cui generalità e universalità consiste solo nell’essere « conforme al fine ». 55
24 Le statut de la science56 chez Gramsci est ainsi central pour discerner son rapport aux
problématiques vichiennes. Encore une fois, l’usage de termes analogues semble frappant
pour le lecteur. La nécessité d’une telle « philologie vivante » (« filologia vivente ») 57

Laboratoire italien, 18 | 2016


De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 9

reprend l’exigence vichienne de ne pas réduire l’épaisseur du monde à quelques formules


abstraites et trompeuses :
Questa riduzione ha rappresentato la cristallizzazione della tendenza deteriore già
criticata da Engels […] e consistent[e] nel ridurre una concezione del mondo a un
formulario meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca. 58
25 Bien évidemment, nous ne pouvons qu’esquisser des perspectives qui mériteraient d’être
approfondies dans une étude plus développée. On pourrait par exemple mettre en
lumière les rapports qui pourraient être discernés entre l’exploration de la « sagesse
poétique » dans la seconde partie de la dernière version de la Scienza nuova et
l’importance que revêtent aux yeux de Gramsci les productions du folklore, qui ne se
limitent précisément pas à l’aspect bassement « folklorique » qu’on leur prête
classiquement59. Autant le poiein à l’œuvre chez les premiers hommes que celui visible
dans le développement des enfants sont à prendre au sérieux chez Vico, comme le sont
les productions folkloriques chez Gramsci. Il s’agit dans tous les cas d’une « vision du
monde » créatrice de sens, qui construit l’expérience des hommes, et non pas une
production inférieure, que seuls les savants aveuglés par leur « boria » jugent telle. Le
rapport entre les deux penseurs pourrait être ici affiné en suivant plusieurs lignes de
recherche : le rôle de l’étude des langues, centrale chez Vico, comme chez Gramsci, la
question des étymologies, la possibilité d’accéder aux productions les plus anciennes du
monde des hommes, sont ici des points qui trouvent des échos certains60.

« Arte diagnostica », « prassi » et éducation


26 Mais c’est certainement la construction du modèle politique et son rôle pratique qui
relient de manière fondamentale Vico et Gramsci, de même que les conséquences
éducatives que tous deux en retirent. Là encore, nous ne pouvons que nous limiter à
indiquer des pistes de rapprochement entre les deux penseurs italiens.
27 Si l’on considère d’abord le schéma politique élaboré par Vico, comme par Gramsci, ce qui
saute aux yeux est leur fonctionnement analogue. Vico, on le sait, n’est pas réductible au
modèle des « corsi » et « ricorsi » de l’histoire mis en vogue au XIXe siècle, expression qu’il
n’emploie jamais. Son but est de fournir un schéma de développement valable pour toute
nation, schéma qui se développe diachroniquement et qu’il nomme « corso »61. L’intérêt
de ce schéma est d’être un simple ordre de développement et jamais la description d’un
cours mécanique. Ce qui est mécanique est l’ordre de développement et non pas le rythme,
qui reste, lui, dans les mains de la politique62. En ce sens, l’affirmation selon laquelle
l’homme « fait » son histoire prend tout son sens. De ce point de vue, la dimension
pratique de la Scienza nuova est essentielle63 et Vico lui donne un rôle de « diagnostic » du
« cours des nations », « l’art diagnostique » étant à relier à « l’art critique ». Ces deux
« arts », que Vico présente comme les « deux pratiques » de sa science (« Della quale
Scienza (…) due sono le pratiche »)64 sont complémentaires. « L’art critique » a pour
fonction de « discerner le vrai dans l’histoire obscure et fabuleuse ». « L’art
diagnostique », pour sa part, a comme « fin principale » (« fine principale ») de
« connaître les signes indubitables de l’état des nations » (« conoscere i segni indubitati
dello stato delle nazioni »)65. Cette insistance pratique de Vico, constamment réitérée, est
évidemment aussi centrale chez Gramsci. En ce sens, on pourrait peut-être considérer
l’entreprise des Quaderni comme l’application de la méthode de Vico au cas particulier de

Laboratoire italien, 18 | 2016


De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 10

l’Italie, et cela pour en faire un diagnostic, permettant de discerner les lignes d’une action
politique possible.
28 La dynamique du schéma élaboré par Vico trouve également de nombreux points
d’analogie avec certaines analyses de Gramsci. Là encore, nous nous limitons à esquisser
des lignes de recherche. Le schéma de Vico insère, on le sait, le moment politique dès le
début de la constitution de la communauté nationale. Selon ce modèle de constitution de
la cité, il y a en effet dès le départ un décalage. Fuyant « l’errance bestiale », les bestioni
trouvent refuge auprès des premiers pères qui, en échange de leur protection contre cette
violence, les asservissent66. Ils deviennent alors des famoli, d’où vient le nom de « famille »
selon Vico67. La famille intègre donc en son sein dès le départ des inégalités, qui supposent
la confrontation entre divers « sens communs »68 : celui, élaboré, des « pères » qui tentent
de le maintenir et de l’imposer aux famoli, et celui, éclaté, des famoli maintenus dans la
passivité et qui constituent de véritables « classes subalternes », pour reprendre le
vocabulaire gramscien.
29 La suite du schéma de Vico, qui dessine le « corso » de l’humanité, anticipe des
mécanismes qui seront développés par Gramsci. Les famoli prennent conscience de leurs
droits au sein de luttes, en particulier pour obtenir le droit au mariage solennel
(« connubio »)69. Ces « giuste guerre »70, qui participent du cours normal de l’histoire, ne
sont en revanche jamais mécaniques, mais dans les mains du politique, qui doit les
construire progressivement. Il est en ce sens particulièrement frappant de voir qu’un des
textes de Vico le plus précisément cité par Gramsci71 illustre cette dynamique. Il s’agit de
l’interprétation personnelle du Nosce te ipsum de Solon par Vico, qui lit cette formule non
pas de manière individuelle et psychologique, mais comme une exhortation et une
incitation politique pour que les plébéiens prennent conscience de leurs droits politiques
et sociaux72. Ce passage est central, car il est l’expression du rôle nécessaire de la
politique dans la pensée de Vico et de l’impossibilité de réduire les « principes » de la
Scienza nuova à de simples règles mécaniques aveugles et fatalistes.
30 Mais c’est à coup sûr le moyen de cette action qui rapproche le plus les deux penseurs
italiens. Dans les deux cas, l’éducation est conçue comme un des leviers les plus efficaces
pour l’action politique. Si l’on lit les nombreux textes de Vico consacrés à l’éducation,
c’est à nouveau le volontarisme politique qui les anime qui frappe le lecteur. Contre une
éducation cartésienne qui croit au simple développement mécanique du « bon sens » et à
la raison qui en est issue, Vico rappelle l’importance d’une éducation volontariste,
organisée, adaptée aux évolutions cognitives de l’enfant. Le but est « d’agir dans la vie
civile » avec prudence, de former des « courtisans », c’est-à-dire des jeunes gens à même
d’agir dans la vie publique et non des « philosophes », incapables de répondre aux
réquisits de la « vie civile »73. Seule cette éducation permet de créer un « sens commun »
et d’éviter aux nations de tomber en décadence, dans ce fameux « ricorso », caractérisé
par une sagesse qui n’est plus partagée par tous et qui précipite la nation dans une simple
« folla de’ corpi », où chacun est enfermé dans l’aveuglement de son intérêt propre. Cette
situation dans laquelle l’éducation est réservée seulement à quelques-uns, dans laquelle
l’ignorance est entretenue, prend le nom significatif de « barbarie de la réflexion » chez
Vico74, barbarie plus terrible encore que celle des sens, car sans remède.
31 On pourrait également multiplier les passages dans lesquels Gramsci revient sur la
nécessité d’une éducation politique, qui ne cède en rien aux sirènes du « spontanéisme »,
au simple développement du « bon sens » cartésien critiqué par Vico. En aucun cas,
l’éducation n’apparaît chez Gramsci comme un développement automatique laissé au

Laboratoire italien, 18 | 2016


De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 11

hasard75. En ce sens les nombreux textes dans lesquels Gramsci s’en prend aux
« universités populaires »76, à l’inanité d’un savoir « encyclopédique »77, reprend
l’exigence vichienne d’un savoir progressif, développé de l’intérieur et pas simplement
reçu de manière résumée et passive :
Ond’egli [i. e. Descartes] si ha fatto un gran seguito per quella debolezza della nostra
natura umana, che’n brevissimo tempo, e con pochissima fatigha vorrebbe saper di
tutto : che è la cagione, perchè oggi non si lavoran’altri libri, che di Nuovi Metodi, e
di Compendj ; perché la dilicatezza de sensi, che è fastidiosissima in questo secolo,
essendosi traggittata alle Menti, i nuovi libri non per altro si commendano, che per
la facilità ; la quale così fiacca, ed avvalena gl’ingegni, siccome la difficoltà
gl’invigorisce, ed anima.78
32 On pourrait multiplier ce type de textes qui supposent un apprentissage « moléculaire »,
progressif, lent, organique, le seul à même de créer un « sens commun » actif et de
garantir à terme une hégémonie au sens gramscien du terme.
33 Au terme de ce parcours nécessairement rapide, il nous semble possible de discerner
quelle est la nature du rapport entre Vico et Gramsci. À nouveau, nous faisons nôtre le
conseil méthodologique de Nicola Badaloni consistant à voir quels étaient les problèmes
de Vico en son temps, pour mettre au jour une influence possible sur Gramsci. En ce sens,
savoir quel texte a lu (ou non) Gramsci, quelle est l’exactitude de ses citations, quels sont
les concepts communs entre les deux auteurs, sont certes des perspectives nécessaires,
mais insuffisantes. Gramsci n’est pas Vico, n’écrit pas dans les mêmes conditions et n’a
pas les mêmes objectifs. Mais une fois cela admis, il est saisissant de voir l’analogie des
positions, celle des moyens mis en œuvre et certaines solutions proposées. De ce point de
vue, la médiation du XIXe siècle est déterminante, qui montre dans quelle mesure Vico a
opéré une véritable articulation dans l’histoire des idées, en particulier par sa capacité à
dépasser les problèmes du cartésianisme et à ouvrir de nouveaux horizons
problématiques dont Gramsci sera un des échos privilégiés.

NOTES
1. Voir en premier lieu les travaux d’A. TOSEL : Marx en italiques, Mauzevin, Trans-Europ-
Repress, 1991 ; ID., « Gramsci face à Vico ou Vico dans Gramsci », dans Présence de Vico,
R. Pineri éd., Montpellier, Prevue (Main-d’œuvre), 1996, p. 33-66. Voir également M.
CILIBERTO, « La fabbrica dei Quaderni (Gramsci e Vico) », dans M. CILIBERTO, Filosofia e politica
nel Novecento italiano. Da Labriola a « Società », Bari, De Donato, 1982, p. 263-314 ; G.
MASTROIANNI, Vico e la rivoluzione. Gramsci e il diamat, Pise, ETS, 1979 ; G. PRESTIPINO, Tre voci
nel deserto. Vico, Leopardi, Gramsci per una nuova logica storica, Rome, Carocci, 2006. Plus
récemment, voir la belle étude de M. VANZULLI, Il marxismo e l’idealismo. Studi su Labriola,
Croce, Gentile, Gramsci, Rome, Aracne, 2013, notamment p. 217 et suiv.
2. Bollettino del Centro di Studi vichiani, VI, 1976, p. 189.
3. G. VICO, Opere filosofiche, P. Cristofolini éd., Florence, Sansoni, 1971, p. XI-XIII.
4. B. CROCE, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza, 1911.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 12

5. Il faut également remarquer que G. Gentile publie, lui-aussi, au même moment, une
étude consacrée à Vico : Studi vichiani, Florence, Sansoni, 1914.
6. Pour une telle histoire, voir M. MARTIRANO, Giuseppe Ferrari editore e interprete di Vico,
Naples, Guida, 2001 ; ID., « Vico à certaines étapes de la tradition italienne du
Risorgimento », Noesis, 8, 2005, http://noesis.revues.org/118 (consulté le 28 septembre
2015).
7. G. VICO, Œuvres choisies, contenant ses Mémoires écrits par lui-même, la Science nouvelle, les
opuscules, lettres, etc., J. Michelet éd., Paris, Hachette, 1835.
8. Sur l’interprétation de Michelet, voir G. FASSO, « Un presunto discepolo di Vico : Giulio
Michelet », dans Omaggio a Vico, Naples, Morano, 1968, p. 483-550 ; A. Pons : « De la nature
commune des nations au peuple romantique : note sur Vico et Michelet », Romantisme, 9,
1975, p. 39-49.
9. Voir J. MICHELET, Discours sur le système et la vie de Vico (1827), dans Philosophie des sciences
historiques, M. Gauchet éd., Paris, Le Seuil, 2002, p. 195.
10. Voir par exemple E. WILSON, To the Finland Station, I, New York, Farrar, Strauss and
Giroux, 2012 [1940], p. 3 et suiv.
11. On retrouve du reste cette idée chez G. Ferrari qui souligne l’isolement de Vico dans
La mente di Giambattista Vico, Milan, Dalla società tipog. de’ classici italiani, 1837, p. 277.
12. F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, Rome, Newton, 1991 [1870], p. 508.
13. Sur l’importance de Hegel à Naples, voir les études de G. OLDRINI, en particulier Gli
Hegeliani di Napoli : Augusto Vera e la corrente ortodossa, Milan, Feltrinelli, 1964.
14. « Da Bruno e Campanella a Vico corre un periodo di circa cento anni. In tutto questo
tempo non vi ha un filosofo veramente originale in Italia ; all’Italia, non appartienne
nessuna idea nuova […]. Da Bruno e Campanella a Vico vi ha dunque come un vuoto nella
storia del nostro pensiero. Perché Vico possa esser ben compreso, bisogna riempire
questo vuoto colla storia della filosofia europea », B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, Bari, Laterza, 1909 [1862], p. 111. Sur cette lecture, voir E.
GRASSI, Humanisme et marxisme, Paris, L’Âge d’Homme, 1978 [1973], p. 57.

15. Voir B. CROCE, Storia dell’età barocca in Italia, G. Galasso éd., Milan, Adelphi, 1993 [1929],
p. 292.
16. Voir B. LABANCA, Giambattista Vico e i suoi critici cattolici, Naples, Luigi Pierro, 1898.
17. Voir en particulier E. CHIOCCHETTI, La filosofia di Giambattista Vico. Saggi, Milan, Vita e
Pensiero, 1935, p. 1.
18. G. F. FINETTI, Difesa dell’autorità della Sacra Scrittura contro G. B. Vico. Dissertazione del 1768,
B. Croce éd., Bari, Laterza, 1936. Cette « difesa » est en réalité une attaque en règle, dès le
XVIIIe siècle, contre Vico et ses thèses « impies ».

19. Sur ce point, voir F. TESSITORE, Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Rome,
Edizioni di Storia e Letteratura, 1997.
20. De ce point de vue, il y a une véritable analogie entre la construction de la figure de
Descartes en France et celle de Vico en Italie au XIXe siècle. Sur ce point, voir F. AZOUVI,
Descartes et la France. Histoire d’une passion nationale, Paris, Fayard, 2002.
21. P. VILLARI, La storia è una scienza ?, M. Martirano éd., Soveria Mannelli, Rubbettino,
1999, p. 22 et suiv.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 13

22. P. VILLARI, Arte, Storia e filosofia. Saggi critici, Florence, Sansoni, 1884, p. 437.
23. « Il positivismo è quindi un nuovo metodo, non già un nuovo sistema. A noi sarebbe
facile provare, che i primissimi germi se ne trovano nella scienza nuova del Vico […] » ; P.
VILLARI, Arte, Storia e filosofia. Saggi critici, ouvr. cité, p. 477. Sur ce texte, voir les remarques
de F. TESSITORE, Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, ouvr. cité, p. 159-161.
24. Voir G. LISSA, « Labriola e il positivismo » ; M. DONZELLI, « Il concetto di scienza in
Antonio Labriola », dans Antonio Labriola filosofo e politico, L. Punzo éd., Milan, Guerini e
Associati, 1996, p. 75-144.
25. Sur ce point, voir A. PONS, « De Vico à Labriola », dans Labriola, d’un siècle à l’autre,
G. Labica et J. Texier éd., Paris, Méridiens Klincksieck, 1988, p. 35-48.
26. A. TOSEL, Marx en italiques, ouvr. cité, p. 17 et suiv.
27. On pourrait trouver cependant une autre lecture de Vico, plus « fataliste », comme
c’est par exemple le cas chez C. PISACANE, La Rivoluzione, F. Della Peruta éd. et introd.,
Turin, Einaudi, 1970, p. 31.
28. Sur l’importance de Sorel, voir N. BADALONI, Il marxismo di Gramsci, Turin, Einaudi,
1975, passim.
29. Voir A.-S. MENASSEYRE, « Sorel lecteur de Vico », dans G. SOREL, Étude sur Vico et autres
textes, Paris, Champion, 2007, p. 7-73.
30. K. MARX, Le Capital, livre I, section IV, chap. 15, I, note 4, dans ID., Œuvres. Économie,
Paris, Gallimard, 1965, p. 915-916.
31. G. SOREL, Étude sur Vico et autres textes, ouvr. cité, p. 209.
32. K. MARX, Œuvres. Économie, ouvr. cité, p. 916.
33. On comprend en ce sens le jugement un peu sévère porté par Gramsci sur Vico, accusé
d’avoir abstraitement « concepito un vasto mondo da un angoletto morto della ‘storia’
aiutato dalla concezione unitaria e cosmopolita del cattolicismo… » ; Quaderni del Carcere,
Quaderno 10, V. Gerratana éd., Turin, Einaudi, 1975, p. 1317.
34. Sur ce point, voir les remarques de Gramsci dans Lettere dal carcere, S. Caprioglio et
E. Fubini éd., Turin, Einaudi, 1965, p. 390.
35. Sur cette manière « négative » de procéder, et sur la première version de la Scienza
nuova construite négativement, voir P. CRISTOFOLINI, « Dinamica e stratificazioni del
testo », dans La Scienza nuova di Vico. Introduzione alla lettura , Rome, La Nuova Italia
Scientifica, 1995, p. 15-34. Voir également A. BATTISTINI, « Intertestualità e ‘angoscia
dell’influenza’ : Vico lettore agonistico », dans La sapienza retorica di Giambattista Vico,
Milan, Guerini & Associati, 1995, p. 115-138.
36. Sur ce point, voir P. GIRARD, « Giambattista Vico critique de Descartes ? », dans Qu’est-
ce qu’être cartésien ?, D. Kolesnik-Antoine éd., Lyon, ENS Éditions, 2013, p. 503-519.
37. G. VICO, Scienza nuova (1744), dans Opere, A. Battistini éd., Mondadori, 1990, § 127 : « A
tal boria di nazioni s’aggiugne qui la boria de’ dotti, i quali, ciò ch’essi sanno, vogliono che
sia antico quanto che ’l mondo ».
38. À noter que Gramsci reprend explicitement cette thèse. Voir en particulier la lettre à
Tania du 19 octobre 1931, dans Lettere dal carcere, ouvr. cité, p. 512.
39. Lettre à Francesco Saverio Estevan (1729), dans Vie de Giambattista Vico écrite par lui-
même. Lettres. La méthode des études de notre temps, A. Pons éd., Paris, Grasset, 1981, p. 179.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 14

40. Voir De nostri temporis studiorum ratione, dans Vie de Giambattista Vico…, ouvr. cité,
p. 230-231.
41. A. GRAMSCI, Scritti politici, I, P. Spriano éd., Rome, Editori Riuniti, 1973, p. 53.
42. On peut penser à sa critique de C. Treves dans l’article « La critica critica » publié dans
Il grido del popolo en 1918, article dans lequel Vico est cité comme précurseur de Marx :
« Perché il Treves, nella sua alta cultura, ha ridotto la dottrina di Marx a uno schema
esteriore, a una legge naturale, fatalmente verificantesi all’infuori della volontà degli
uomini, della loro attività associativa, delle forze sociali che questa attività sviluppa,
diventando essa stessa determinante di progresso, motivo necessario di nuove forme di
produzione » ; ibid., p. 61. Voir aussi par exemple « Il nostro Marx », ibid., p. 78 et suiv. Sur
le rapport à Boukharine, voir P. D. THOMAS, The Gramscian Moment. Philosophy, Hegemony
and Marxism, Chicago, Haymarket Books, 2010, p. 251 et suiv.
43. Quaderno 11, p. 1404.
44. Ibid., p. 1442.
45. Voir le De nostri temporis studiorum ratione, VII, dans Vie de Giambattista Vico…, ouvr.
cité, p. 238-239.
46. Quaderno 11, p. 1429.
47. Scienza nuova, 1725, Libro primo.
48. Id., 1744, § 331.
49. Ibid., § 34, 338.
50. Ibid., § 1096.
51. Ibid., § 138-140.
52. Ibid., § 7, 139.
53. « Les actions des hommes ne peuvent donc être jugées d’après une règle mentale
droite et rigide ; il faut au contraire, pour les considérer, se servir de la règle flexible des
Lesbiens, qui n’oblige pas les corps à épouser sa forme, mais qui s’infléchit elle-même
pour épouser la forme des corps » ; De nostri temporis studiorum ratione, dans Vie de
Giambattista Vico…, ouvr. cité, p. 239.
54. On peut trouver de multiples illustrations de cette idée : « Occorre fissare che ogni
ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza, e che il
metodo si è sviluppato ed è stato elaborato insieme allo sviluppo e alla elaborazione di
quelle determinata ricerca e scienza, e forma tutt’uno con esse » ; Quaderno 11, p. 1404.
55. Quaderno 6, p. 826.
56. Sur ce point, voir D. BOOTHMAN : « Gramsci, Croce e la scienza », dans Gramsci e l’Italia,
R. Giacomini, D. Losurdo et M. Martelli éd., Naples, La Città del Sole, 1994, p. 165-186.
57. Quaderno 11, p. 1430.
58. Ibid., p. 1428.
59. Voir notamment, dans le sillage de telles conceptions, les travaux en anthropologie
sociale d’E. De Martino après la seconde guerre mondiale.
60. « Un’altra deficienza grave è che inizia la storia da quando esistono documenti e
quindi tace completamente sui primi secoli detti ‘leggendari’ » ; A. GRAMSCI, Lettere dal
carcere, ouvr. cité, p. 498. Pénétrer dans ces « secoli leggendari » est précisément l’objectif
épistémologique central de la Scienza nuova de Vico.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 15

61. Scienza nuova, 1744, § 915 et suiv.


62. Sur ce point, nous nous permettons de renvoyer à notre étude : Giambattista Vico.
Rationalité et politique. Une lecture de la Scienza nuova, Paris, Presses de l’Université Paris-
Sorbonne, 2008, part. II.
63. Pratica di questa Scienza, § 1405, dans Opere, F. Nicolini éd., Naples, Riccardo Ricciardi,
1953. Sur cette « pratica », voir M. H. FISCH : « Vico’s pratica », dans Giambattista Vico’s
Science of Humanity, G. Tagliacozzo et D. P. Verene éd., Atlantic Highlands, The Johns
Hopkins University Press, 1976, p. 423-430.
64. Scienza nuova, 1725, § 391.
65. Ibid.
66. Scienza nuova, 1744, § 13.
67. Ibid., § 257.
68. Sur la confrontation entre ces « sens communs » et sur le rapport à Gramsci, voir E. E.
JACOBITTI, « From Vico’s common sense to Gramsci’s hegemony », dans Vico and Marx :
Affinities and Contrasts, G. Tagliacozzo éd., Atlantic Highlands, Humanities Press, 1983,
p. 367-387.
69. Scienza nuova, 1744, § 110, 513, 598.
70. Ibid., 1725, § 55-56.
71. « Socialismo e cultura », dans Cronache torinesi (1913-1917), S. Caprioglio éd., Turin,
Einaudi, 1980, p. 99-103.
72. Scienza nuova, 1725, § 242 ; 1744, § 414-416, 424, 1043.
73. De nostri temporis studiorum ratione, dans Vie de Giambattista Vico…, ouvr. cité,
p. 241-242.
74. Scienza nuova, 1744, § 1106.
75. Voir par exemple Lettere dal carcere, ouvr. cité, p. 313.
76. Cronache torinesi (1913-1917), ouvr. cité, p. 673.
77. Ibid., p. 100. Voir aussi l’article « Socialismo e cultura », art. cité.
78. Lettre à Francesco Saverio Estevan du 12 janvier 1729, dans G. VICO, Epistole, con aggiunte le
epistole dei suoi corrispondenti, M. Sanna éd., Naples, Morano, 1992, p. 145.

RÉSUMÉS
Cette étude se propose de mettre au jour les rapports entre la philosophie de Giambattista Vico et
la pensée politique de Gramsci. Il ne s’agit pas simplement pour nous de remarquer des relations
conceptuelles, même si elles peuvent sembler frappantes pour qui connaît ces deux penseurs,
mais de discerner les conditions particulières de la réception de Vico par Gramsci, notamment en
étudiant la complexité de la diffusion de la pensée du philosophe napolitain dans l’Italie du XIXe
siècle.

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De Vico à Gramsci. Éléments pour une confrontation 16

Questa ricerca mira a illuminare i rapporti tra la filosofia di Giambattista Vico e il pensiero
politico di Gramsci. Non si tratta semplicemente di notare delle relazioni concettuali, anche se
esse possono sembrare impressionanti a chi conosca questi due pensatori, ma di distinguere le
condizi oni particolari della ricezione di Vico da parte di Gramsci, in particolare studiando la
complessità della diffusione del pensiero del filosofo napoletano nell’Italia del secolo XIX.

This research aims at shedding light on the relations between Giambattista Vico’s philosophy and
Gramsci’s political thought. We here do not simply take note of the conceptual relations, even if
they may seem striking to those who know the two thinkers, but we single out the particular
conditions of Gramsci’s understanding of Vico, studying in particular the complexity of how
Vico’s thought became widespread in nineteenth-century Italy.

INDEX
Mots-clés : Vico Giambattista, Labriola Antonio, Villari Pasquale, Croce Benedetto, philologie
Keywords : philology

AUTEUR
PIERRE GIRARD
Agrégé, docteur en philosophie et professeur en études italiennes à l’Université Jean-Moulin–
Lyon 3. Ses recherches portent sur l’histoire des idées et sur la philosophie politique en Italie à
l’Âge classique (XVIIe-XVIIIe siècles). Il fait partie de l’équipe CERPHI de l’Institut d’histoire des
représentations et des idées dans les modernités (CNRS, UMR 5317) et du LabEx Comod.

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Laboratoire italien
Politique et société
18 | 2016
Gramsci da un secolo all'altro

Les études récentes sur Gramsci en Italie


Recenti studi su Gramsci in Italia
Some recent studies on Gramsci in Italy

Giuseppe Vacca
Traducteur : Marie Lucas

Éditeur
ENS Éditions

Édition électronique Édition imprimée


URL : http:// Date de publication : 25 novembre 2016
laboratoireitalien.revues.org/1068 ISSN : 1627-9204
ISSN : 2117-4970

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Référence électronique
Giuseppe Vacca, « Les études récentes sur Gramsci en Italie », Laboratoire italien [En ligne], 18 | 2016,
mis en ligne le 28 novembre 2016, consulté le 12 décembre 2016. URL : http://
laboratoireitalien.revues.org/1068

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 1

Les études récentes sur Gramsci en


Italie
Recenti studi su Gramsci in Italia
Some recent studies on Gramsci in Italy

Giuseppe Vacca
Traduction : Marie Lucas

1 Dans une brillante monographie consacrée au rôle de la linguistique dans la formation de


la pensée d’Antonio Gramsci, Alessandro Carlucci écrit que l’année 2007 a marqué le
début de nouveaux développements des études gramsciennes « spécialement en Italie » 1.
Carlucci accorde une importance toute particulière à la publication de l’Edizione Nazionale
degli Scritti di Antonio Gramsci, qui a commencé cette année-là précisément avec la
parution des Cahiers de traductions, jusqu’alors inédits2. Son observation n’est pas sans
fondement puisque la mise en œuvre d’une nouvelle édition critique intégrale des écrits
de Gramsci, difficilement mise en route dans la seconde moitié des années quatre-vingt-
dix, a contribué tant à la formation d’une nouvelle génération de chercheurs qu’à un
profond renouvellement des façons d’étudier Gramsci. Il est bon toutefois de rappeler
aussi la contribution apportée par les séminaires sur le lexique des Cahiers, organisés par
l’International Gramsci Society-Italia depuis 2001, auxquels ont participé certains
collaborateurs de l’Édition nationale3. Cette nouvelle saison des études gramsciennes a
généré un nombre croissant de livres, d’essais, d’écrits journalistiques dont il n’est pas
facile de rendre compte. Dans l’édition revue et augmentée de son Gramsci conteso, Guido
Liguori en fournit un vaste compte rendu, serein et précis, même lorsqu’il s’agit d’une
littérature de valeur contestable4 ; différemment, je ne voudrais m’arrêter que sur
quelques ouvrages d’auteurs italiens qui, selon moi, apportent des innovations
significatives à la recherche gramscienne. Il s’agit, à dire vrai, d’un petit nombre de
volumes au regard de tous ceux qui ont été publiés dans la dernière décennie, mais je les
ai choisis parce qu’ils partagent les critères les plus susceptibles de faire progresser la
connaissance de Gramsci, j’entends par là l’analyse diachronique des écrits de prison et la
reconstruction de sa biographie. Ces publications contribuent de façon décisive à corriger

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 2

les dérives les plus graves des études gramsciennes anciennes et récentes : la dissociation
de sa vie et de sa pensée5. Autrement dit, il s’agit d’ouvrages d’historiographie ayant tous
à l’esprit que Gramsci fut « un théoricien de la politique mais surtout [...] un praticien
politique c’est-à-dire un combattant », et que c’est « dans la politique qu’il faut
rechercher l’unité de [sa] vie : son point de départ et son point d’arrivée »6. Les auteurs
dont nous nous occuperons partagent aussi la conviction que la figure de Gramsci
« transcende la simple histoire » du Parti communiste italien et représente « un nœud, de
pensée autant que d’action, dans lequel tous les problèmes de notre temps sont présents
et se mêlent »7.
2 Les quelques pages de ce compte rendu ne nous permettent pas de reconstituer la toile de
fond de ces ouvrages ; toutefois, il convient de rappeler quelques moments d’une longue
accumulation heuristique sans laquelle le projet de l’Édition nationale n’aurait pas même
vu le jour. Aussitôt après la publication de l’édition critique des Cahiers (1975), l’étude
diachronique a commencé à donner lieu à de nouvelles enquêtes qui allaient rendre de
moins en moins utilisable la quasi-intégralité de la littérature gramscienne antérieure.
Pour donner une vision d’ensemble de ce qu’elle avait produit jusqu’alors, il convient de
citer une page de la Storia d’Italia Einaudi, publiée justement en 1975. Résumant vingt-cinq
années d’études, Alberto Asor Rosa écrivait :
Gramsci trouvait le « bloc historique » chez Georges Sorel ; la théorisation de la
distinction permanente entre gouvernants et gouvernés chez Mosca et Pareto, le
concept de réforme intellectuelle et morale dans l’ensemble de la tradition idéaliste
italienne, de De Sanctis à Croce et Gentile [...] ; le rapport entre force et
consentement, la figure du Centaure machiavélien, chez Mosca et chez Croce ; le
concept d’histoire éthico-politique, la politique comme passion, la dimension
religieuse de la philosophie, et beaucoup d’autres choses, chez Croce ; plusieurs
inspirations pour sa théorie du parti politique moderne chez Michels ; les
sympathies libérales chez Einaudi et chez d’autres théoriciens du libre-échange. Et
même son marxisme, il faut le reconnaître, dépend lui aussi fortement de cette
tradition de la pensée bourgeoise italienne. Personne n’oserait soutenir que
Gramsci ait été un lecteur attentif et régulier du Capital [...] Le fait même de
reprendre avec conviction la définition du marxisme comme philosophie de la praxis
révèle le rapport profond de Gramsci avec cette tradition qui le précède. Il est en
effet parfaitement juste de dire qu’il récupère la partie la plus authentique de la
réflexion d’Antonio Labriola. Mais il revient à Labriola, sans l’ombre d’un doute, en
passant à travers la relecture idéaliste qu’en avaient faite Croce et Gentile, par un
processus, cependant, de constant renversement théorique, qui caractérise une
bonne partie de son activité de penseur.8
3 À quarante ans de distance, je crois que, tout en tenant compte de la position culturelle
de leur auteur9, ces lignes reflètent fidèlement un trait commun aux études gramsciennes
de la période précédant l’édition critique des Cahiers : la tendance alors dominante à
dissoudre la pensée de Gramsci dans la généalogie de ses sources, selon cette manie
typiquement académique qu’est la méthode combinatoire.
4 L’édition thématique des années 1948-1951 n’empêchait pas une lecture diachronique des
Cahiers, mais elle la rendait très difficile et, à ma connaissance, seul Franco De Felice s’y
est essayé10. L’édition critique a au contraire incité à confronter les premières rédactions
des notes à leurs réécritures, créant ainsi les conditions pour faire émerger l’échafaudage
conceptuel de la philosophie de la praxis gramscienne. L’affinement des critères de
datation des Cahiers par Gianni Francioni 11 fut une étape fondamentale, alors que
l’approfondissement du concept de « révolution passive » modifiait l’interprétation de la
théorie de l’hégémonie12. Mais la saison qui mène à l’Édition nationale commença en 1989,

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 3

non seulement parce que cette année a marqué la fin du « socialisme réel » et du PCI, mais
aussi en raison d’un certain nombre d’événements concomitants qui concernaient
spécifiquement les études gramsciennes13. Le premier fut le colloque Gramsci nel mondo
(Formia, 25-29 octobre 1989), auquel participèrent de nombreux traducteurs et éditeurs
des écrits de Gramsci dans les principales aires linguistiques de la planète. Ce colloque
donna une impulsion à l’organisation des études internationales sur Gramsci en lançant la
bibliographie de John Cammett et l’International Gramsci Society. Le deuxième événement
fut l’étude de la correspondance entre Gramsci et Tatiana Schucht par Aldo Natoli. Les
lettres de Tania, bien que soigneusement conservées par la Fondation Institut Gramsci
depuis les années soixante, n’avaient jamais été examinées attentivement parce que cette
figure avait été jugée insignifiante pour la biographie du « prisonnier ». La recherche de
Natoli, aboutissant l’année suivante au livre Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per
la vita di Antonio Gramsci14, mit un terme à ce déplorable silence en portant au jour la
figure d’une femme de haute teneur intellectuelle et de grande force morale, qui pour
Gramsci avait sacrifié plus de dix années de sa vie (« En réalité, lui écrivit Piero Sraffa
juste après l’annonce de la mort de Gramsci, c’est seulement par votre dévotion et par
l’assistance plus que fraternelle que vous lui avez prêtée sans interruption qu’il a pu
survivre toutes ces années »)15. Mais l’importance de Tania dans la vie du prisonnier ne
commença à être pleinement perçue que l’année suivante, grâce à la publication de deux
autres correspondances : celle que Tania entretint avec la famille Schucht et celle qu’elle
échangea avec Piero Sraffa. La première appartenait aux archives familiales, la seconde
avait fait l’objet d’une donation à la Fondation par Sraffa en 1974. Les lettres « russes » de
Tatiana n’allaient pas au-delà de 193416 et ses lettres à Sraffa n’étaient que partiellement
utilisées, et dans les notes seulement17, mais, malgré tout, ces trois livres jouèrent dans
l’ensemble un rôle fondamental pour la réorientation des études gramsciennes. Avant
tout, ils rendirent possible le travail de Chiara Daniele, qui publia la correspondance
intégrale entre Gramsci et Tatiana en l’armant d’un appareil de notes considérable 18. En
second lieu, ils s’avérèrent indispensables à la reconstruction de l’histoire éditoriale des
Lettres et des Cahiers, qui trouva son aboutissement quelques années après19. La
progression des études sommairement évoquées ici n’aurait pas été possible sans la
reprise des recherches de la Fondation Institut Gramsci auprès des archives du
Komintern, à Moscou, à partir de 1988. Elle fut motivée avant tout par le projet de
l’Édition nationale et, bien qu’encore inachevée, a contribué à combler des lacunes
fondamentales dans la connaissance de la biographie politique de Gramsci pour les
années 1922-193720. Dans l’ensemble, les recherches entamées en 1988-1989 et les
résultats obtenus en plus d’une quinzaine d’années ont confirmé la validité des critères
qui ont inspiré l’Édition nationale21 et ont favorisé la maturation d’une nouvelle saison
pour les études gramsciennes.
5 Pour revenir aux considérations de Carlucci dont nous sommes partis, il convient de
rappeler qu’en 2007, année du soixante-dixième anniversaire de la mort de Gramsci, eut
lieu non seulement la publication des premiers volumes de l’Édition nationale de ses
écrits, mais également le traditionnel colloque anniversaire que la Fondation qui porte
son nom consacra au thème Gramsci nel suo tempo. Le colloque se proposait de reconstruire
la biographie politique et intellectuelle de Gramsci, et tira profit de la contribution de
chercheurs intéressés tant par sa pensée que par l’histoire politique, l’histoire
économique, l’histoire de la culture, ainsi que de linguistes, afin d’en restituer les
contextes. Le caractère choral et polyphonique de cette recherche ne permet pas d’en
résumer ici les résultats. Mais il suffit de parcourir l’index de l’ouvrage pour voir à quel

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 4

point la démarche des études gramsciennes a changé : en revenant au catalogue compilé


par Asor Rosa en 1975, on peut facilement observer comment, pour chaque thème, on ne
procède plus par suggestions, assonances et analogies (le sorélisme de Gramsci, son
bergsonisme, son crocianisme, etc.) : les différentes contributions, désormais,
reconduisent les sources, les confrontations et les contaminations vers la reconstitution
d’une individualité historique, la formation d’une culture et d’un caractère qui mettent
en évidence la singularité et la cohérence de la figure de Gramsci22. Les « études
récentes » auxquelles je vais à présent consacrer les réflexions qui viennent partent donc
de cette année-là ; comme je l’ai dit plus haut, celles-ci se limiteront aux œuvres qui
partagent l’approche philologique et la méthode historique évoquées en commençant.
6 Parmi les résultats les plus significatifs des recherches précédentes, il y avait avant tout la
possibilité d’articuler la pensée de Gramsci en périodes distinctes et bien caractérisées. La
plus grande partie de ces recherches s’était appliquée à une lecture diachronique des
Cahiers ; en reconstituant leur lexique, les glissements sémantiques et l’affinement
progressif des catégories fondamentales, elles avaient mis en lumière la formation d’une
pensée originale, ouverte mais systématique, qui ne pouvait être lue dans la continuité de
la période précédente. Pour sa part, la pensée développée par Gramsci entre 1914 et 1926
ne se prêtait plus à une enquête téléologique tendant à y déceler les anticipations,
véritables ou présumées, des Cahiers. Dès 1958, Togliatti avait mis en garde contre le
risque consistant à traiter « l’œuvre de Gramsci, et en particulier le contenu des Cahiers,
en s’efforçant de rapprocher artificiellement une partie d’une autre, comme pour en
extraire [...] un manuel du parfait penseur et homme d’action communiste », et il avait
suggéré comme critère d’historicisation la recherche des liens entre « les moments
concrets de son action » et « chaque formulation et affirmation générale de doctrine » 23.
Autrement dit, il avait suggéré de relier l’étude de la pensée de Gramsci à la
reconstitution des événements de l’histoire italienne et mondiale auxquels Gramsci avait
fait face depuis sa jeunesse jusqu’à sa mort. Si cet avertissement avait déjà donné des
résultats innovants dans la lecture des Cahiers24, la première monographie sur le « jeune
Gramsci » adhérant rigoureusement à ces critères est le livre récent de Leonardo Rapone,
Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo (1914-1919) 25.
Quarante ans après le livre pionnier de Leonardo Paggi26, la lecture téléologique des
« écrits de jeunesse » et l’insistance sur les généalogies culturelles paraissaient
anachroniques et parfois erronées. Rapone suit pour sa part une orientation résolument
historiographique que l’on peut synthétiser ainsi : étant donné que l’adhésion au PSI, en
1913, a été vécue par Gramsci comme un choix grâce auquel il pourrait ordonner sa
formation intellectuelle et morale, de quels apports celle-ci se nourrit-elle et quelles
caractéristiques donne-t-elle à son idéal socialiste ? En second lieu, jusqu’en octobre 1917,
quand Gramsci devient secrétaire de la section turinoise du PSI et assume de fait la
direction du Grido del Popolo, sa formation est celle d’un intellectuel plus que d’un
politique ; cet élément ne changera pas sensiblement jusqu’à la participation au
mouvement turinois des conseils, à la veille duquel s’arrête le livre de Rapone. Je dirais
donc que son trait distinctif est la reconstitution de la formation d’un intellectuel
socialiste qui, entre l’automne 1917 et le mois d’avril 1919, devient peu à peu un
« professionnel de la révolution », dont l’activité fondamentale, toutefois, reste le
journalisme. On ne peut manquer de remarquer comment biographie politique et
formation intellectuelle s’enchevêtrent tout au long d’un itinéraire centré sur le
militantisme socialiste, à une époque où, cependant, la vocation et le destin de Gramsci ne
sont pas encore déterminés. Ce critère permet à l’auteur de filtrer les sources qui affluent

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 5

en abondance au cours de sa formation, faisant émerger l’originalité des « traductions »


et des associations par lesquelles il les refond pour développer une pensée propre. Si la
matrice marxienne du lien entre libéralisme et « socialisme intransigeant » avait été
éclaircie depuis un certain temps27, la reconstitution de la « pensée de la guerre »
effectuée par Rapone présente, elle, une grande nouveauté. C’est un thème central dans la
formation de Gramsci, autant pour l’incidence que la réflexion sur la grande guerre eut
sur les développements ultérieurs de sa pensée que parce qu’il fut la base d’une façon
d’analyser l’histoire fondée sur la dynamique des relations internationales. Mais il
convient d’attirer l’attention sur la position de Gramsci dans le paysage du socialisme
européen, position originale en tant qu’y sont absentes aussi bien la théorie de
l’impérialisme que la thèse de l’inévitabilité de la guerre. Dans l’analyse gramscienne du
capitalisme entre la fin du XIXe siècle et la Grande Guerre, à côté du Marx du Manifeste et
du Capital, on trouve la pensée libérale à la Hobson et Norman Angell plutôt que le
marxisme de Kautsky, Hilferding ou Jaurès. La formation accomplie d’une économie
mondiale constituait pour lui l’infrastructure d’un monde global et interdépendant, dans
lequel les socialistes avaient pour rôle de mettre le capitalisme au défi de remplir jusqu’au
bout sa mission : plus s’étendraient les rapports de production capitalistes, plus vite
mûriraient les conditions rendant possible l’avènement de l’Internationale. La guerre,
donc, n’était pas la conséquence inévitable du capitalisme impérialiste, mais résultait
– comme Gramsci le répétera dans les Cahiers – de la contradiction entre le
cosmopolitisme de l’économie et le nationalisme de la politique28. Autrement dit, elle était
la conséquence du protectionnisme économique et du nationalisme politique dérivant de
la régression « économico-corporative » des classes dirigeantes européennes et de
l’incapacité à conjuguer les « espaces » de la politique et ceux de l’économie.
7 Nous ne pouvons pas rendre compte de tous les aspects innovateurs de la monographie de
Rapone, mais nous voudrions signaler que le chapitre sur la guerre, précédemment publié
dans la revue Studi storici29, a stimulé plusieurs contributions au colloque de 2007, Gramsci
nel suo tempo, parmi lesquelles celle de Roberto Gualtieri qui, en adoptant le paradigme de
l’histoire internationale, a mis en évidence l’incidence du Capital sur la pensée de
Gramsci, depuis les « écrits de jeunesse » jusqu’aux Cahiers spéciaux, en proposant
d’articuler sa biographie en trois périodes, dont seule la deuxième (1920-1926) permet de
parler d’une adhésion aux canons interprétatifs et à la stratégie du Komintern30. Les
interventions d’Anna Di Biagio et de Silvio Pons, quant à elles, furent consacrées à la
position de Gramsci face au bolchévisme avant son arrestation31.
8 La périodisation évoquée est confirmée par une enquête, la plus précise dont nous ayons
disposé jusqu’à présent, sur la présence de Marx dans la pensée de Gramsci, I Marx di
Gramsci de Francesca Izzo. Cette recherche, menée elle aussi à l’occasion du colloque de
200732, montre que jusqu’à la Révolution d’Octobre, Marx ne fut pas pour Gramsci un
auteur fondamental. Au cours des trois années qui suivirent et durant les premières
années de vie du PCI, il en approfondit l’étude pour des raisons essentiellement
polémiques, dérivant de la nécessité de combattre le déterminisme économique propre à
la fois au socialisme de tendance positiviste et à l’« abstentionnisme » de Bordiga. Un
approfondissement non systématique, conditionné par les exigences de la lutte politique
immédiate, qui néanmoins, il faut le souligner, impliqua la lecture en 1918 de La Sainte
famille, texte fondamental pour l’élaboration de la « philosophie de la praxis » dans les
Cahiers de prison33. Mais ce n’est que dans les pages consacrées au concept de
« traductibilité des langages », élaboré dans les Cahiers à partir, justement, de La Sainte

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 6

famille, que Gramsci parvint à affranchir la « philosophie de la praxis » non seulement du


déterminisme économique, mais aussi du réductionnisme sociologique dont le
« matérialisme historique » était alors prisonnier34. L’importance du concept de
« traductibilité » dans le « système » des Cahiers avait été mise en lumière quelques
années auparavant par Dora Kanoussi35, et Francesca Izzo en a approfondi l’incidence sur
le déploiement de la « philosophie de la praxis ». Dans son ouvrage suivant, en effet, elle
s’est concentrée sur les façons dont Gramsci s’est confronté à la crise du sujet moderne.
Avec le développement de l’industrialisme au XXe siècle, les bases de la souveraineté
territoriale s’érodaient ; l’exigence d’une réélaboration de l’internationalisme en vue d’un
« nouveau cosmopolitisme » s’imposait donc. L’historicisation de la pensée politique de
Gramsci était ainsi associée à la crise de l’État-nation et rattachée à la constellation des
penseurs qui, au cours du premier XXe siècle, s’étaient interrogés sur la possibilité d’une
souveraineté supra-nationale36.
9 L’étude systématique de Marx, commencée en 1930 dans la prison de Turi, répond à une
pluralité de motifs d’ordre théorique et historico-politique. Trois ans et demi après son
exclusion de la lutte politique, Gramsci se retrouvait à affronter des phénomènes
historiques radicalement nouveaux tels que l’isolationnisme soviétique et la
« territorialisation » du socialisme, la stérilisation du Komintern, la consolidation du
fascisme et l’explosion de la crise de 1929 ; et, du point de vue théorique, la banqueroute
du « marxisme officiel » et le manque d’interprétations plausibles de la « grande
transformation ». La révision du marxisme à travers un « retour à Marx » qui, entre
mai 1930 et mai 1932 (je me réfère aux trois séries des « Notes de philosophie » des Cahiers
4, 7 et 8), posa la base des Cahiers spéciaux, montre que la différenciation progressive de la
« philosophie de la praxis » par rapport au « matérialisme historique » devient le fil
conducteur du programme de recherche du prisonnier. Parmi les ex-« ordinovistes »,
Gramsci ne fut pas le seul à proposer, au cours de ces années, une révision du marxisme à
travers un retour à Marx37, mais son style de pensée et la structure des Cahiers rendent
indispensable leur lecture diachronique. En 2011, Giuseppe Cospito, qui s’y consacre
assidûment depuis vingt-cinq ans, a rassemblé dans un ouvrage les résultats de ses
recherches38 et, avant d’aborder les monographies plus récentes sur la « philosophie de la
praxis », il convient de s’y arrêter. La voie la plus directe pour mettre en évidence
l’originalité de la philosophie de la praxis est celle qui met en lumière les nouveautés du
lexique gramscien et le glissement de ses catégories. Sous cet aspect, la contribution
majeure de Cospito est la reconstitution de l’itinéraire qui conduit Gramsci à abandonner
le couple « structure-superstructure » et à y substituer, en fin de compte, le concept de
« rapports de force ». Pour résumer la portée de cette « découverte », il convient de
souligner l’évolution des questions avec lesquelles Gramsci interroge la préface de 1859 à
la Contribution à la critique de l’économie politique par laquelle il commence sa relecture de
Marx. En octobre 1930, dans la « Première série » des « Notes de philosophie », Gramsci
écrit que « le problème crucial du matérialisme historique » est la détermination des
rapports entre structure et superstructure, tandis qu’en février 1932, dans la « Troisième
série », il affirme que le problème posé par Marx dans sa préface était de « rechercher
comment [...] se forment les volontés collectives permanentes »39. L’évolution du
problème révèle la distance entre le début d’une révision du marxisme, qui considère
encore le sujet comme déjà donné, et le point d’arrivée qui le considère, à l’inverse,
comme une construction exigeant une théorie de sa constitution. Le fil conducteur de la
recherche de Cospito est la reconstitution du processus au cours duquel la pensée

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 7

gramscienne s’émancipe de tout déterminisme, jusqu’à abandonner la « métaphore


architectonique » structure-superstructure. En ce qui concerne le concept de « bloc
historique », son mérite est d’en avoir démontré la présence marginale et provisoire, et
enfin l’abandon dès le milieu de l’année 193240, abandon qui, toutefois, ne concerne que
son usage théorique, et laisse subsister la catégorie historiographique. Par exemple, les
remarques et les Cahiers 9 et 19 consacrés au « Risorgimento italien » développent la thèse
selon laquelle l’hégémonie des « modérés » qui l’ont mené entraîna la fusion entre un
marché national, dualiste et asymétrique, et la forme d’État correspondante, fusion qui
allait cristalliser les rapports de force entre les différents groupes sociaux, rendant ainsi
l’hégémonie des vainqueurs stable et durable. Le concept de « bloc historique du
Risorgimento », dans ce cas, s’impose incontestablement. Mais il convient de rappeler que
depuis le printemps 1932, en approfondissant le concept marxien de « traductibilité des
langages » (économique, politique, philosophique), Gramsci avait également élaboré
comme alternative aux diverses applications de la « métaphore architectonique » le
concept de « régulation ». Cospito y prend appui pour reconstruire sa critique de
l’« économie planifiée », sur la dimension despotique de l’Union soviétique des années
trente et le caractère primitif de sa culture41. Le concept de « régulation » a une portée
très vaste et nous mène directement au cœur de la « philosophie de la praxis ». Comme on
le sait, Gramsci fut incité à approfondir les concepts de l’économie politique classique par
l’étude des corporations fascistes et des débats suscités par les théoriciens de la
« corporation propriétaire »42. Une connaissance de seconde main des Principes de David
Ricardo l’a induit à formuler l’hypothèse selon laquelle les concepts de « marché
déterminé », de « loi de tendance » et d’« homo œconomicus », transformant en catégories
les conditions historiques qui rendaient plausibles les postulats de l’« économie pure »,
avaient eu une influence décisive non seulement sur la critique de l’économie politique,
mais aussi sur la philosophie de Marx. Partant de ces notes d’avril-mai 1932 43, où Gramsci
conclut que la notion de « marché déterminé » implique une théorie générale de la
connaissance fondée sur le concept d’« abstraction déterminée », Fabio Frosini inscrit au
cœur de sa réflexion la traduction du concept marxien de « matérialisme » par le concept
gramscien d’« immanence » et en fait le Leitmotiv de sa recherche 44. Le livre de Frosini est
l’œuvre la plus organique et achevée qui soit sur la « philosophie de la praxis » de
Gramsci. L’expression se prête à des malentendus, tant par la difficulté de distinguer la
« praxis » de Gramsci de celle, disons, de Labriola ou de Mondolfo, que parce que
« praxis » peut vouloir dire aussi bien « action » qu’« acte » ou « expérience », et il est
difficile, si l’on ne met pas en lumière sa spécificité dans le cadre de la pensée
gramscienne, de résister aux tendances à la dissoudre dans la généalogie de ses sources,
véritables ou présumées. À partir de la reconstitution de Frosini, on voit clairement que
pour Gramsci, praxis équivaut à politique, mais au cours de la période historique qui suit la
Grande Guerre et la Révolution d’Octobre, période où le sujet politique moderne – l’État –
était entré dans une crise que ni les classes dirigeantes traditionnelles, ni le mouvement
ouvrier n’étaient en mesure de résoudre, la fondation du nouveau sujet politique ne
pouvait pas être confiée aux « sciences particulières » : c’était un problème éminemment
philosophique. Frosini le pose en se confrontant à l’abondante littérature italienne et
internationale parue depuis la publication de l’édition critique des Cahiers et nous offre
une œuvre qui, sous de nombreux aspects, constitue le couronnement des recherches que
nous avons évoquées jusqu’ici.
10 L’identification de la praxis avec la politique n’en fait pas l’objet d’une philosophie ; elle
postule plutôt l’équation entre politique et philosophie. Équation, cependant, ne veut pas

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 8

dire identification, mais traductibilité, à une époque et dans un environnement


historiquement déterminés : ceux de la modernité capitaliste. Dans la philosophie de la
praxis, le principe de vérité est donc l’efficacité politique de ses postulats. Mais cela ne veut
pas dire que la philosophie de la praxis soit une philosophie de l’action : pour Gramsci, le
rapport entre théorie et pratique n’est pas un problème philosophique, mais historique. Il
s’agit, dit-il, du problème de la création d’un type déterminé d’intellectuels qui garantisse
la cohérence entre un programme économique, un projet politique et un système de
valeurs. Évidemment, cette thèse a pour présupposés les critères élaborés dans le Cahier
12 pour son étude historique des groupes intellectuels. Ces critères résultent du principe
fondamental de la philosophie de Marx que Gramsci appelle le principe de la réalité des
idéologies, qu’il tire de la préface de 1859 à la Contribution à la critique de l’économie politique.
Selon Gramsci, ce concept contient, en germe, la théorie de la politique comme lutte pour
l’hégémonie. En effet, l’exercice de l’hégémonie ne serait pas possible sans la création de
catégories intellectuelles (entrepreneurs, philosophes, juristes, économistes, théoriciens
de l’organisation, « fonctionnaires des superstructures » en général) qui en élaborent
techniquement les contenus. L’unité de la théorie et de la pratique n’a donc rien de
commun avec l’identité de la pensée et de l’action, et ne se réduit pas non plus à une
« philosophie pour l’action » ; elle pose en revanche le problème de l’élaboration d’un
mode de pensée dans lequel les catégories analytiques sont aussi des catégories
stratégiques. Par exemple, le concept d’hégémonie contient autant une théorie de
l’histoire qu’une stratégie politique45.
11 Quand Gramsci écrit que, pour renforcer l’autonomie philosophique du marxisme, il faut
refaire avec Croce l’« opération » que Marx a faite avec Hegel, il voit dans la « philosophie
des distincts » la cristallisation idéologique la plus résistante de la fracture entre sujet et
objet, intellectuels et peuple-nation. Sous cet aspect, l’interprétation d’un Gramsci
« théoricien de la société civile », avancée par Bobbio, apparaît comme un nouveau projet
de « révolution passive ». Si le projet de Croce se fondait sur une réduction du marxisme à
un simple canon empirique de recherche historique, réduire Gramsci au rôle de
« théoricien de la société civile » a l’effet analogue de porter atteinte à la formulation la
plus évoluée de l’unité entre théorie et pratique. Par rapport à la philosophie de la praxis
gramscienne, le « projet » de Bobbio se fonde sur la neutralisation de l’unité dialectique
entre « société politique » et « société civile »46. Cette interprétation a dominé de façon
incontestée les études gramscienne jusqu’à ce que la lecture diachronique des Cahiers
mette en évidence que le concept d’hégémonie a pour arrière-plan la crise de l’État-
nation et pour projet la fondation de nouvelles formes de souveraineté. Il ne peut donc
être limité au « territoire national », mais se fonde sur la compétition entre différentes
combinaisons de politique interne et de politique internationale. La politique comme
lutte pour l’hégémonie acquiert ainsi le caractère d’un processus ouvert, puisque l’issue
de la lutte n’est pas prédestinée et est de toute façon réversible. Frosini distingue là le
trait distinctif de la « traduction » gramscienne de la théorie de la « révolution
permanente » de Marx : le cœur d’une vision « constituantiste » de la politique qui
incorpore et en même temps transcende la dimension procédurale et institutionnelle de
la démocratie.
12 La publication des Cahiers de traductions a montré de façon évidente combien était
superficielle la conviction longtemps professée selon laquelle Gramsci n’aurait consacré
une part significative de son énergie à des exercices de traduction que pour tromper le
temps, approfondir ses connaissances linguistiques et « se faire la main ». Pourtant, il

Laboratoire italien, 18 | 2016


Les études récentes sur Gramsci en Italie 9

aurait suffi de réfléchir sur les écrits de Marx traduits par lui pour se rendre compte de la
corrélation entre les textes choisis et les points cardinaux de la « philosophie de la
praxis » qu’il était en train d’élaborer. Toutefois, si les recherches sur lesquelles je me suis
arrêté partagent l’idée que la « traductibilité des langages » est le concept fondamental
pour comprendre la philosophie de la praxis (« le rythme de la pensée en
développement » dans les Cahiers), on le doit aussi à la compréhension de l’influence sur
la formation de Gramsci de ses intérêts linguistiques originaires. On doit, comme on le
sait, la première monographie sur le sujet à Franco Lo Piparo. Publiée avec l’approbation
autorisée de Tullio De Mauro en 197947, elle s’inscrivait toutefois dans une temporalité
culturelle dominée par la conviction de devoir dissocier complètement la biographie
intellectuelle et la biographie politique de Gramsci pour « libérer » sa pensée 48, ce qui ne
lui réussit guère. La qualité de la recherche de Lo Piparo est affectée par le caractère
préconçu de sa thèse et l’arbitraire de sa méthodologie : le concept gramscien
d’hégémonie, selon lui, avait une origine linguistique et non politique puisque, si l’on ne
pouvait nier que Gramsci en avait emprunté le terme au langage des bolchéviques, on
pouvait toutefois démontrer que ses contenus (« suprématie », « prestige » et assimilés)
avaient été élaborés par la néo-linguistique européenne de la fin du XIXe et du premier XXe
siècle, qui avait façonné son esprit49. J’ai mentionné le livre de Lo Piparo non seulement
parce qu’en dépit de ses défauts, il a su attirer l’attention sur le sujet en exerçant une
influence durable sur les études gramsciennes, mais aussi parce que le livre d’Alessandro
Carlucci, sur lequel je compte revenir en conclusion, est le point d’arrivée d’une ligne de
recherche antithétique à celle de Lo Piparo, développée au fur et à mesure que se
forgeaient les instruments herméneutiques adéquats pour la compréhension de Gramsci.
Sur cette ligne, je voudrais évoquer plusieurs essais pionniers de Giancarlo Schirru qui,
tirant parti d’une connaissance approfondie de la pensée de Gramsci, de la linguistique
contemporaine et de l’histoire du communisme, a rectifié les termes du problème du
rapport entre pensée politique et formation linguistique de Gramsci50. Schirru a
démontré, en particulier, comment l’intérêt du jeune Gramsci pour la linguistique avait
un caractère nettement politique puisque les discussions linguistiques entre fin XIXe et
premier XXe siècle en Europe, auxquelles participait aussi son maître Bartoli, étaient
intimement liées aux problèmes de la nationalité, qui engagèrent autant le libéralisme
que la social-démocratie au lendemain de la Grande Guerre. En outre, Schirru a démontré
la participation de Gramsci, durant son séjour à Moscou, à la réforme linguistique qui a
accompagné la naissance de l’Union des républiques socialistes soviétiques. Le livre de
Carlucci constitue sous de nombreux aspects une confirmation et un développement de
ses recherches. Que le problème de la « traductibilité des langages » se soit imposé à
Gramsci durant son séjour à Moscou (mai 1922 – novembre 1923) était clair depuis un
certain temps. Le problème avait été posé par la « tactique du front unique » et avait été
formulé par Lénine lors de la conclusion des travaux du IVe congrès de l’Internationale.
Gramsci se l’appropria explicitement en juin 1923, quand il se donna pour mission de
« traduire en langage historique national » le mot d’ordre du « gouvernement ouvrier et
paysan » lancé par le Komintern lors du troisième Comité exécutif élargi 51. D’autre part, la
« traductibilité des langages » se conjuguait conceptuellement avec le paradigme de
l’analyse différenciée décliné, depuis 1921, pour justifier tant l’« expérimentation russe »
que la tactique du Komintern. Si l’on fait abstraction de ce contexte, il est impossible de
comprendre la façon dont Gramsci reçoit le concept d’hégémonie du langage de
l’Internationale, ni son élaboration ultérieure et le rôle qu’il joua dans le cadre de la
« philosophie de la praxis »52. Mais parmi les traits distinctifs de la monographie de

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 10

Carlucci, il y a surtout l’amplification des connaissances directes et indirectes que


Gramsci avait du débat sur la politique linguistique du gouvernement soviétique en
1922-1923, suscité par les problèmes des nationalités dans la construction de l’Union
fédérale. Sa reconstruction a été favorisée par la publication des premiers tomes de sa
Correspondance qui nous permettent d’en savoir beaucoup plus qu’auparavant au sujet du
séjour de Gramsci à Moscou53.
13 La recherche de Carlucci repose sur deux piliers : la sensibilité linguistique et la pensée
politique de Gramsci. Deux aspects qui interagissent continuellement dans sa biographie,
de ses années d’université jusqu’aux Cahiers de prison. Cette interaction démontre que sa
pensée linguistique, pour ainsi dire, est incontournable pour comprendre sa pensée
politique : en particulier l’origine « linguistique » de la dialectique entre multiplicité et
unification que Carlucci propose de façon convaincante comme clé de lecture du concept
d’hégémonie. Le mérite propre de sa monographie est donc la manière qu’il a de reposer
trois questions centrales pour la biographie politique, intellectuelle et humaine de
Gramsci : l’importance de ses origines sardes, l’influence de la linguistique italienne et
européenne dans sa formation, la découverte de la pensée de Lénine et du bolchévisme.
Ce sont non seulement trois périodes, mais aussi trois aspects de la biographie de
Gramsci, qui caractérisent tout son parcours.

NOTES
1. A. CARLUCCI, Gramsci and Languages. Unification, Diversity, Hegemony, Leiden-Boston, Brill,
2013, p. XII.
2. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1, Quaderni di traduzioni (1929-1932), G. Cospito et
G. Francioni éd., Rome, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2007.
3. Ils ont donné naissance tant à des œuvres individuelles importantes – comme
l’ouvrage de F. FROSINI, Gramsci e la filosofia. Saggio sui « Quaderni del carcere », Rome,
Carocci, 2003, et celui de R. FINELLI, Tra moderno e postmoderno. Saggi di filosofia sociale e di
etica del riconoscimento, Lecce, Pensa Multimedia, 2005 – qu’à une première œuvre
collective comme le Dizionario gramsciano 1926-1937, G. Liguori et P. Voza éd., Rome,
Carocci, 2009.
4. G. LIGUORI, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche, 1922-2012, Rome, Editori
Riuniti University Press, 2012.
5. Pour l’approfondissment de ce ce thème, je me permets de renvoyer à mon Vita e
pensieri di Antonio Gramsci. 1926-1937, Turin, Einaudi, 2012.
6. P. TOGLIATTI, « Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci (appunti) », dans ID
., La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, M. Ciliberto et G. Vacca éd.,
Milan, Bompiani, 2014, p. 1121.
7. Idem, p. 1188-1189.

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 11

8. A. ASOR ROSA, La cultura, second tome du IVe volume de la Storia d’Italia, Turin, Einaudi,
1975, p. 1556-1557.
9. Sa lecture de Gramsci calquait l’essai de Mario TRONTI, « Tra materialismo dialettico e
filosofia della prassi : Gramsci e Labriola », une bonne charnière entre la critique, inspirée
de Della Volpe du « crocio-gramscisme », et l’élaboration des fondements philosophiques
de l’ouvriérisme. Avec l’essai d’Emilio AGAZZI, « Filosofia della prassi e filosofia dello
spirito », celui de Tronti apportait une contribution plus nettement philosophique à
l’ouvrage collectif La città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di Antonio Gramsci, édité par
A. CARACCIOLO et G. SCALIA chez Feltrinelli en 1959, avec pour ambition de constituer une
alternative à l’orientation indiquée par Palmiro Togliatti au cours du premier Colloque
d’Études gramsciennes, en janvier 1958.
10. Dans un essai pionnier de 1972, « Una chiave di lettura in “Americanismo e
Fordismo” », dans Rinascita. Il Contemporaneo, 4, 1972, p. 33-35, qui a révolutionné la
perception du programme de recherche des Cahiers.
11. Francioni a également tiré profit du livre de C. BUCI-GLUCKSMANN, Gramsci et l’État :
pour une théorie matérialiste de la philosophie qui, bien que paru peu avant l’édition critique
des Cahiers (Paris, Fayard, 1975), avait pu y recourir, et il démontra l’absence de
fondements tant de l’interprétation de la conception gramscienne de la « société civile »
soutenue par Norberto Bobbio (N. BOBBIO, « Gramsci e la concezione della società civile »,
intervention au colloque international des études gramsciennes qui s’est déroulé à
Cagliari en avril 1967 ; voir Gramsci e la cultura contemporanea, vol. I, P. Rossi éd., Rome,
Editori Riuniti, 1969, p. 75-100), que de la conception gramscienne de l’hégémonie
avancée par Perry ANDERSON (The Antinomies of Antonio Gramsci, Londres, New Left Books,
1977). Voir G. FRANCIONI, « Egemonia, società civile, Stato. Note per una lettura della teoria
politica di Gramsci », écrit en 1979 et republié dans l’ouvrage qui exposait les résultats de
ses recherches philologiques, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei « Quaderni del
carcere », Naples, Bibliopolis, 1984.
12. Pour citer seulement quelques essais de la période, je voudrais mentionner F.
DE FELICE, « Rivoluzione passiva, fascismo, americanismo in Gramsci » et L. MANGONI, « Il
problema del fascismo nei “Quaderni del carcere” », tous deux dans Politica e storia in
Gramsci, F. Ferri éd., Rome, Editori Riuniti, 1977 ; quant à l’essai de Maria Rosaria
ROMAGNUOLO, « Questioni di nomenclatura. Materialismo storico e filosofia della praxis nei
Quaderni gramsciani » (Studi filosofici, XXI, 1987-1988, p. 123-166), il mettait fin au
caractère interchangeable des deux expressions en démontrant qu’avec la formule
« philosophie de la praxis », Gramsci, à partir du milieu de l’année 1932, avait entendu
mettre en valeur l’originalité de sa propre pensée.
13. Des années quatre-vingt, je me contente d’évoquer aussi l’essai de Michele CILIBERTO,
« La fabbrica dei Quaderni. Gramsci e Vico », qui confrontait les différentes rédactions des
notes consacrées au thème (paru en 1980, il fut à nouveau publié dans Filosofia e politica nel
Novecento italiano. Da Labriola a « Società », Bari, De Donato, 1982) ; mon Il marxismo e gli
intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai « Quaderni del carcere » (Rome, Editori Riuniti, 1985),
qui approfondissait la catégorie d’« Histoire mondiale » dans les Cahiers en faisant du lien
national-international le paradigme de la théorie de l’hégémonie ; l’intervention de Luisa
MANGONI au colloque d’études gramsciennes de 1987, « La genesi delle categorie storico-
politiche nei Quaderni del carcere » (Studi storici, XXVIII, 3, 1987, p. 565-579), qui mettait en
lumière l’importance de la « question catholique » à la suite des concordats en Allemagne

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 12

et en Italie, tant dans les développements de l’interprétation gramscienne du fascisme


que dans l’élaboration de la théorie de l’hégémonie.
14. Rome, Editori Riuniti, 1990.
15. 27 avril 1937, dans P. SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci, éd. et intr. V. Gerratana,
Rome, Editori Riuniti, 1991.
16. T. SCHUCHT, Lettere ai familiari, préface de G. Gramsci, éd. et intr. M. Paulesu Quercioli,
Rome, Editori Riuniti, 1991.
17. Voir note 15.
18. A. GRAMSCI-T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, C. Daniele et A. Natoli éd., Turin, Einaudi,
1997.
19. Togliatti editore di Gramsci, C. Daniele éd., Introduction de G. Vacca, Annales de la
Fondation Institut Gramsci XIII, Rome, Carocci, 2005.
20. Les éclaircissements fondamentaux concernent les désaccords avec le Komintern, les
ruptures avec le PCI et les suspicions de Gramsci quant à sa libération manquée ; à ce
sujet, je renvoie à Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca. Il carteggio del 1926, C. Daniele éd., Essai
introductif de G. Vacca, Turin, Einaudi, 1999 ; A. ROSSI et G. VACCA, Gramsci tra Mussolini e
Stalin, Rome, Fazi, 2007 ; G. VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, ouvr. cité ; ID., Togliatti
e Gramsci. Raffronti, Pise, Edizioni della Normale, 2014.
21. Gramsci tra filologia e storiografia. Scritti per Gianni Francioni, G. Cospito éd., Naples,
Bibliopolis, 2010 ; « L’edizione nazionale e gli studi gramsciani », G. Vacca éd., numéro
monographique de la revue Studi storici, LII, 4, 2011.
22. Gramsci nel suo tempo, F. Giasi éd., Annales de la Fondation Institut Gramsci, XVI,
2 tomes, Rome, Carocci, 2008.
23. P. TOGLIATTI, La politica nel pensiero e nell’azione, ouvr. cité, p. 1122.
24. On me permettra d’évoquer, à côté de la littérature déjà citée, mon Gramsci e Togliatti,
Rome, Editori Riuniti, 1991.
25. Rome, Carocci, 2012.
26. L. PAGGI, Antonio Gramsci e il moderno Principe. Nella crisi del socialismo italiano, Rome,
Editori Riuniti, 1970.
27. Au livre de Paggi déjà cité, on peut ajouter F. DE FELICE, Serrati, Bordiga, Gramsci e il
problema della rivoluzione in Italia 1919-1920, Bari, De Donato, 1972 ; M. L. SALVADORI, Gramsci
e il problema storico della democrazia, Turin, Einaudi, 1973 ; et, plus récemment, D. LOSURDO,
Antonio Gramsci dal liberalismo al « comunismo critico », Rome, Gamberetti, 1997.
28. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, Turin, Einaudi, 1975, p. 1755-1759 (trad. fr. Cahiers de
prison, R. Paris éd., Paris, Gallimard, 5 vol., 1978-1996, Cahier 15, § 5, p. 111-115).
29. L. RAPONE, Antonio Gramsci nella grande guerra, XLVIII, 1, 2007, p. 97-106.
30. R. GUALTIERI, « Le relazioni internazionali, Marx e la filosofia della praxis in Gramsci »,
Studi storici, XLVIII, 4, 2007, p. 109-158.
31. A. DI BIAGIO, « Egemonia leninista, egemonia gramsciana » ; S. PONS, « Il gruppo
dirigente del Pci e la “questione russa” », dans Gramsci nel suo tempo, ouvr. cité, p. 379-430.
32. Gramsci nel suo tempo, ouvr. cité, t. II, p. 553-580. Mais pour préciser la position de
Gramsci en 1926, il convient d’évoquer aussi l’essai de F. GIASI, « I comunisti torinesi e
l’“egemonia del proletariato” nella rivoluzione italiana. Appunti sulle fonti di alcuni temi

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 13

della questione meridionale di Gramsci », dans Egemonie, A. d’Orsi éd., Naples, Dante &
Descartes, 2008, p. 147-186.
33. Sur le lien entre la révolution russe et l’approfondissement de Marx, il faut
cependant consulter les pages 267-280 de l’ouvrage de L. RAPONE, Antonio Gramsci nella
grande guerra (ouvr. cité).
34. F. IZZO, I Marx di Gramsci, ouvr. cité, p. 568-576.
35. D. KANOUSSI, Una introducción a los Cuadernos de la cárcel de Antonio Gramsci, México,
Plaza y Valdés, 2000.
36. F. IZZO, Democrazia e cosmopolitismo in Antonio Gramsci, Rome, Carocci, 2009.
37. Entre 1930 et 1934, Angelo Tasca aussi, partant des mêmes problèmes mais arrivant à
des conclusions très différentes, s’engagea dans une relecture des œuvres de Marx et
Engels. Voir A. TASCA, Problemi del movimento operaio, Annali Feltrinelli, Anno X,
G. Berti éd., Milan, 1968 ; ID., De la démocratie au socialisme, La Chaux-de-Fonds, Imprimerie
des coopératives réunies, 1934 ; D. BIDUSSA, « Alla ricerca di Marx. Angelo Tasca e la
riflessione sul marxismo negli anni del fuoriuscitismo (1930-1934) », Quaderni della
Fondazione Micheletti, 1987, p. 81-119.
38. G. COSPITO, Il ritmo del pensiero. Per una lettura diacronica dei « Quaderni del carcere » di
Gramsci, Naples, Bibliopolis, 2011.
39. A. GRAMSCI, ouvr. cité, p. 455 et 1057 (Cahier 4, § 38 – non traduit dans l’édition
française – et Cahier 8, § 195, trad. fr. p. 367).
40. G. COSPITO, Il ritmo del pensiero, ouvr. cité, p. 218-225.
41. Ibid., p. 127-182.
42. Voir T. MACCABELLI, « Gramsci lettore di Ugo Spirito : economia pura e corporativismo
nei Quaderni del carcere », Il pensiero economico italiano, 2, 1998 ; ID., « La “grande
trasformazione” : i rapporti tra Stato ed economia nei Quaderni del carcere », dans Gramsci
nel suo tempo, ouvr. cité, t. II, p. 609-630 ; A. GAGLIARDI, « Il problema del corporativismo
nel dibattito europeo e nei Quaderni », ibid., p. 631-656.
43. A. GRAMSCI, ouvr. cité, p. 1247-1248, 1276-1278, 1477-1478 (trad. fr. : Cahier 10, II, § 9,
« Introduction à l’étude de la philosophie. Immanence spéculative et immanence
historiciste et réaliste », p. 52-54; § 32, « Points de méditation pour l’étude de l’économie.
À propos des Principii di Economia Pura de Pantaleoni », p. 79-81 ; Cahier 11, § 52,
« Régularité et nécessité », p. 273-277, automne 1932. Voir aussi la lettre à Tania du 30 mai
1932, dans A. GRAMSCI et T. SCHUCHT, Lettere 1926-1935, ouvr. cité, p. 1015-1016.
44. F. FROSINI, La religione dell’uomo moderno. Politica e verità nei « Quaderni del carcere » di
Antonio Gramsci, Rome, Carocci, 2010.
45. Comme on le sait, les pages exemplaires en la matière sont celles des paragraphes 24
et 26 du Cahier 19, consacré au Risorgimento italien. A. GRAMSCI, ouvr. cité, p. 2010-2034 et
2035-2046 (trad. fr. p. 58-79 et p. 80-89).
46. Sur la question, les pages fondamentales des Cahiers sont celles que Gramsci consacre
à la critique de l’« économisme ». Ouvr. cité, p. 1589-1597 (trad. fr. Cahier 13, § 18,
p. 386-394).
47. F. LO PIPARO, Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci, Rome-Bari, Laterza, 1979.

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48. Voir par exemple le colloque de Cagliari en 1967, Gramsci e la cultura contemporanea, au
sujet duquel voir F. IZZO, « Tre convegni gramsciani », dans EAD., Democrazia e
cosmopolitismo in Gramsci, ouvr. cité, p. 192-194.
49. Ce n’est pas un hasard si Lo Piparo évoluait lui aussi dans le cadre de la lecture de
Gramsci proposée par Bobbio dix ans auparavant. F. LO PIPARO, ouvr. cité, p. 118-126.
50. G. SCHIRRU, « I Quaderni del carcere e il dibattito su lingua e nazionalità nel socialismo
internazionale », dans Gramsci e il Novecento, Annali 1997 IX della Fondazione Istituto
Gramsci, t. II, p. 53-61, Rome, Carocci, 1999 ; ID., « La categoria di egemonia e il pensiero
linguistico di Antonio Gramsci », dans Egemonie, ouvr. cité, p. 397-444 ; ID., « Filosofia del
linguaggio e filosofia della prassi », dans Gramsci nel suo tempo, ouvr. cité, t. II, p. 767-792 ;
ID., « Antonio Gramsci studente di linguistica », Studi storici, LII, 4, 2011, p. 925-973. Il faut
ajouter aux recherches de Schirru celles de Derek BOOTHMAN, rassemblées dans
Traducibilità e processi traduttivi. Un caso : A. Gramsci linguista, Pérouse, Guerra Edizioni,
2004.
51. Voir G. VACCA, Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca, ouvr. cité, p. 90-108.
52. G. VACCA, Gramsci et Togliatti, ouvr. cité p. 5-114.
53. A. GRAMSCI, Epistolario, 1, gennaio 1906-dicembre 1922, Rome, Istituto della Enciclopedia
italiana, 2009 ; ID., Epistolario, 2, gennaio-novembre 1923, Rome, Istituto della Enciclopedia
italiana, 2011.

RÉSUMÉS
Cet article dresse un panorama des discussions les plus récentes sur Gramsci en Italie. Il montre
comment la publication de nouveaux documents, ou l’édition nouvelle de documents déjà
connus, se croisent avec une discussion critique qui, tout en présentant des oscillations et des
divergences d’interprétation, revêt une caractéristique commune que l’on peut résumer en deux
points, relatifs à la méthodologie et au contenu. Sur le premier plan, la diachronie s’affirme
comme la clé indépassable pour interpréter la pensée de Gramsci à chaque moment de sa vie. Sur
le second plan, celui du contenu (mais en lien avec le premier), toutes les contributions
examinées ont pour fil conducteur le fait que Gramsci fut avant tout un praticien actif de la
politique, et que ce n’est qu’en tant que tel qu’il fut aussi un théoricien de la politique. On réussit
de la sorte à saisir l’originalité de sa personnalité et de sa pensée, en évitant de tomber dans les
reconstructions de type “académique” (très nombreuses jusqu’aux années quatre-vingt) en vertu
desquelles cette pensée et cette personnalité étaient réduites à la “somme” de leurs “sources”. De
cette façon, Gramsci est restitué à l’histoire de son parti, même s’il apparaît aussi que son
héritage outrepasse cette tradition et appartient à l’ensemble de la culture italienne.

L’articolo ripercorre in forma panoramica le discussioni più recenti su Gramsci in Italia e mostra
come in esse la pubblicazione di nuovi documenti, o le nuove edizioni di documenti già noti, si
intrecciano con una discussione critica che, sia pure tra molte oscillazioni e divergenze
interpretative, presenta una caratteristica comune che si può sintetizzare in due punti,
rispettivamente di metodo e di merito. Sul primo terreno, si registra l’affermazione della

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Les études récentes sur Gramsci en Italie 15

diacronia come punto-chiave irrinunciabile per intendere il pensiero di Gramsci in ogni momento
della sua vita. Sul secondo terreno (le questioni di merito), si mostra – in concordanza con il
primo – come tutti i contributi esaminati tengano presente, come filo conduttore, il fatto che
Gramsci, prima di ogni altra cosa, fu un politico pratico, attivo, e solo in quanto tale fu anche un
teorico della politica. In questo modo, si riesce a cogliere l’originalità della personalità e del
pensiero di Gramsci, evitando di scadere nelle ricostruzioni (molto diffuse fino agli anni Ottanta)
di tipo “accademico”, per cui questo pensiero e questa personalità venivano risolti nella
“somma” delle loro “fonti”. In questo modo Gramsci viene restituito alla storia del suo partito,
ma allo stesso tempo risalta il fatto che la sua eredità oltrepassa quella tradizione e appartiene
all’intera cultura italiana.

The article offers a “wide-angle lens” view of the most recent discussions on Gramsci in Italy and
shows how their publication of new documents, or new editions of already-known documents,
has been intertwined with critical discussion. Albeit with many interpretative oscillations and
divergences, a common aspect characterizes this discussion, which may be summed up in two
points, namely method and merit. Regarding the first of these, diachrony comes to the fore as the
sine qua non for understanding Gramsci’s thought at each moment of his life. On the second point
– the questions of merit – we show, in agreement with the first point, how all the contributions
examined, as the red thread that runs through them, take account of the fact that Gramsci was
above all else a practising, active politician, and only in so far as he was such was he also a
theoretician of politics. We thus succeed in grasping the originality of the personality and
thought of Gramsci, and avoid falling into the types of “academic” reconstruction – very
widespread up to the 1980s – which resolved this thought and this personality into the “sum” of
their “sources”. Gramsci is thereby restored to the history of his party, but at the same time the
fact emerges that his legacy goes beyond that tradition and belongs to the whole of Italian
culture.

INDEX
Mots-clés : Gramsci Antonio, diachronie, histoire, Parti Communiste Italien, politique-et-théorie
Keywords : diachrony, history, Italian Communist Party, politics-and-theory

AUTEURS
GIUSEPPE VACCA
Président de la Fondazione Istituto Gramsci à Rome, il fait partie du conseil d’administration de l’
Istituto della Enciclopedia Italiana et est le président de la commission scientifique de l’Edizione
Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci. Il a été député du Parti communiste d'Italie, membre du
conseil d’administration de la RAI et il a œuvré à un vaste travail de promotion, organisation et
diffusion des recherches sur l’histoire du mouvement ouvrier et communiste italien et
international. Il a consacré de nombreux volumes à l’histoire de l’idéalisme italien, à l’histoire du
marxisme italien et international et à différents moments cruciaux de l’histoire de la culture
politique des intellectuels italiens. Il a en outre publié plusieurs contributions d’analyse critique
du monde contemporain. Vita e pensieri di Antonio Gramsci, Turin, Einaudi, 2012 et Togliatti e
Gramsci. Raffronti, Pise, Edizioni della Normale, 2014, figurent parmi ses livres les plus récents.

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