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“I viaggi di Gulliver” di Swift: riassunto della trama e commento

I viaggi di Gulliver (Gulliver’s Travels) è il capolavoro dello scrittore irlandese Jonathan Swift (1667-1745), uno dei
massimi autori satiriciin lingua inglese. Il libro, pubblicato inizialmente anonimo nel 1726 1, racconta le disavventure
per mare di un medico di bordo, Lemuel Gulliver, che incontra esseri e popolazioni fantastiche su isole immaginarie.
Dietro a questa facciata fiabesca - che si ispira al filone della letteratura di viaggio e ad un’opera quale il Robinson
Crusoe (1719) di Daniel Defoe (1660-1731) - si cela il tono satirico e pessimistico dell’autore che, attraverso le
avventure di Gulliver, mette in luce le miserie della natura umana, sfociando spesso in un vero e proprio humor nero
e sarcastico. Oggi il romanzo è prevalentemente letto - storpiandone in gran parte il messaggio originario - come
un’opera per l’infanzia.
Riassunto
Il romanzo si compone di quattro parti, una per ciascun viaggio intrapreso dal protagonista, l’inglese Lemuel
Gulliver, un medico che prende la via del mare quando la sua attività a terra fallisce. La storia si svolge tra il 1699 e il
1715, è narrata in prima persona, spesso imitando a fini ironici e sarcastici lo stile freddo e distaccato dei resoconti
ufficiali di viaggio.
Il primo viaggio (che va da 1699 al 1702) è anche il più noto, e racconta di come Gulliver, salpato dalla città inglese di
Bristol, si ritrovi, dopo un naufragio, sulla spiaggia della terra sconosciuta di Lilliput. Qui il protagonista è circondato
da tanti minuscoli ometti (la cui statura s’aggira sui quindici centimetri) che l’hanno legato con mille reti, timorosi
che con la sua mole possa devastare il loro territorio. In realtà i lillipuziani si rivelano un popolo molto ospitale: essi
lo conducono in città, gli offrono ospitalità e lo sfamano. Gulliver ha anche un incontro molto cordiale con
l’imperatore di Lilliput, che decide di usarlo come arma contro l’isola di Blefuscu, abitata dagli acerrimi nemici dei
Lillipuziani. I due popoli sono divisi soprattutto da una controversia: da quale estremità spaccare esattamente un
uovo. Gulliver all’inizio acconsente, ma a causa degli intrighi di corte fra i “tacchi alti” e i “tacchi bassi” - altro
elemento di satira contro le futili divisioni dei lillipuziani e degli uomini veri - Gulliver perde il favore della corte,
benché abbia salvato la città da un’incendio urinando sulle fiamme. Egli viene dichiarato traditore e condannato a
morte,ma riesce a fuggire su una barca abbandonata e, nel tentativo di raggiungere la terra dei Blefuscu viene
raccolto da una nave e riportato a casa 2.
Il secondo viaggio (1706-1710) risulta in qualche modo opposto e speculare al primo: Gulliver si imbarca
nuovamente ma, dopo una tempesta, il protagonista è abbandonato su un’isola mentre i compagni cercano viveri e
acqua. Qui Gulliver incontra dei giganti, i Brobdingnag. Qui un gigantesco contadino di quasi 22 metri lo raccoglie tra
l’erba e lo tiene come un piccolo animale domestico; a volte, lo fa esibire per denaro. Un giorno lo cede alla regina
che lo usa per fare divertire la corte e che per lui fa costruire una piccola casetta portatile. Pur avendo l’occasione di
discutere con l’imperatore dei giganti delle condizioni in cui versa l’Europa, la permanenza tra i Brobdingnag è per
Gulliver molto sgradevole, in particolare a causa della loro ripugnanza (ogni particolare ed odore fisico è infatti
ingigantito) e dello stile di vita umiliante che è costretto a condurre3. Gli animali, poi, sono un autentico pericolo per
lui (ha un incontro quasi fatale con delle enormi vespe), ma sarà proprio un animale a salvarlo involontariamente.
Infatti, durante una gita con la coppia reale, la gabbietta in cui è tenuto viene afferrata da un’aquila e poi fatta
cadere in mare. Grazie a questa circostanza Gulliver riesce a mettersi in salvo e a tornare ancora una volta dalla
moglie e dai figli.
Ma le avventure non sono ancora finite: infatti Gulliver decide di imbarcarsi ancora per quello che è il suo terzo
viaggio (1706-1710). In viaggio verso le Indie Orientali e fortunosamente scampato ai pirati, Gulliver finisce
nella terra fluttuante di Laputa, abitata da studiosi di musica e matematica del tutto inetti sul piano pratico. Gli
scienziati di Laputa all’accademia di Lagado si dedicano infatti ad esperimenti assurdi e ricerche assai
improbabili (come estrarre raggi di sole dalle zucche o costruire case partendo dal tetto), che dimostrano come il
sapere teorico sia del tutto inutile se non ha effettive ricadute pratiche 4. Gli abitanti di Laputa opprimono dal cielo
gli abitanti di un’altra terra Balnibarbi, dove Gulliver decide di recarsi. Da qui visita Glubbdubdrib, dove incontra
alcuni personaggi storici - tra cui Giulio Cesare - che giudica decisamente più ordinari rispetto a come vengono
descritti nei libri. Dopo una sosta tra i Luggnaggiani e gli Struldbrugs (esseri immortali che vivono la loro
considerazione come una pena, dato che non è stata concessa loro l’eterna giovinezza e sono perciò vecchissimi)
Gulliver torna ancora una volta in Inghilterra, passando prima per il Giappone.
Durante il quarto e ultimo viaggio (1710-1715) Gulliver si trova di nuovo alle prese con una disgrazia marittima:
l’ammutinamento del suo equipaggio. Arriva così fortunosamente nella terra popolata dagli Houyhnhnms, cavalli
dotati di raziocinio, e dai loro servitori, gli Yahoo, che sono esseri umani nell’aspetto ma abbruttiti nel corpo e nello
spirito. Gulliver fa presto amicizia con i cortesi ed evolutissimi Houyhnhnms, impara la loro lingua e spiega loro la
Costituzione inglese. La società degli Houyhnhnms si basa sui principi della più pura razionalità: essi non hanno
religione e non conoscono dolore per la morte (anche quella dei loro cari), la loro struttura sociale è basata
sulla famiglia con due figli di ambo i sessi e nella loro lingua non ci sono termini per definire i sentimenti, la falsità,
l’ipocrisia. Il loro disprezzo per gli Yahoo si esplica nel fatto che, quando vogliono esprimere un concetto o un parere
negativo, postpongono a ciò che dicono il termine “yahoo”.
Gulliver, disgustato dagli Yahoo così simili a lui, chiede di essere ammesso tra questi cavalli sapienti. Tuttavia gli
Houyhnhnms, temendo che la natura malvagia di Gulliver possa prima o poi manifestarsi, lo bandiscono. Addolorato
ma rassegnato, Gulliver si costruisce una canoa e, presa la via del mare, viene raccolto da una nave portoghese.
Benché il capitano lo tratti assai bene, Gulliver considera ormai tutti gli esseri umani come dei disgustosi Yahoo.
Tornato a casa, non sopporta più la presenza di moglie e figli, tanto ne è disgustato 5. Ormai pazzo, Gulliver troverà
pace solo nella stalla, dove trascorrerà le proprie giornate parlando con i cavalli.
Gulliver e il pessimismo sociale di Swift
I viaggi di Gulliver è un romanzo organizzato secondo una struttura molto semplice, che si ripete analogamente per
quattro volte, una per ogni viaggio. In ciascuna delle quattro parti assistiamo all’ingresso del protagonista in una
società e un mondo fantastici e sconosciuti, a cui segue la descrizione dei tentativi (sempre comici e fallimentari)
di adattamento al nuovo ambiente, dalla cui analisi far trasparire la critica salace alle istituzioni e ai costumi del
mondo reale.
Swift sembra essere molto chiaro: in ogni caso il risultato si rivela essere fallimentare. A prima vista, ciò si spiega
con la struttura stessa di queste società: i Lillipuziani, per quanto generosi, hanno un’indole da guerrafondai e sono
profondamente divisi al loro interno da odi e meschinità, che si manifestano in particolar modo nell’ambiente di
corte. Né le cose vanno meglio con i giganti Brobdingnag: la vita presso di loro è evidentemente impossibile per
Gulliver, poiché elevano al cubo tutti i difetti umani (anche quelli di natura fisica), trattando perg giunta il
protagonista come un oggetto di divertimento. Anche le risorse dell’intelletto sono messe in ridicolo attraverso la
rappresentazione della citta di Laputa: non solo gli studi qui condotti sono del tutto insensati, ma gli scienziati che
qui vivono opprimono pure altre popolazioni che vivono sulla terraferma. Ma è l’episodio degli Houyhnhnms il più
interessante da questo punto di vista, perché la loro comunità è certamente quella in cui Gulliver si inserisce meglio
ed è l’unica in cui egli vorrebbe rimanere. Tuttavia, questi cavalli non hanno una precisa identità individuale, ma
tendono ad identificarsi nel gruppo, ed escludono Gulliver proprio perché “diverso” e “altro” rispetto a loro,
esattamente come fanno con gli Yahoo.
La ricerca di un mondo utopico da contrapporre ai vizi e ai difetti dell’Europa si rivela quindi un insuccesso su tutta la
linea, poiché la satira corrosiva dell’autore non risparmia niente e nessuno: tanto più emergono i difetti e le
ipocrisie degli uomini a confronto con, quanto più si capisce che anche i regni fantastici visitati da Gulliver non sono
affatto dei paradisi in Terra.
Bibliografia:
Una seconda edizione, più fedele alle intenzioni originali dell’autore, viene poi pubblicata nel 1735.
La satira del primo viaggio colpisce soprattutto gli ambienti di corte europei: nella disputa tra Lilliput e Blefuscu è
stata riconosciuta la contesa del tempo tra Inghilterra e Francia, mentre i “tacchi alti” e i “tacchi bassi” ricordano le
aspre contrapposizioni tra i Whig e i Tories nel Parlamento inglese (come la disputa sulle uova rimanda alla guerra di
religione tra Cattolici e Anglicani). L’ipocrita corte dei lillipuziani è invece ispirata a quella di Giorgio I (1660-1727).
Ad un certo punto, Gulliver divento il bambolotto con cui si diverte una bimba di nove anni, che lo fa vivere su una
mensola per salvarlo dai topi.
Dietro a questa scelta narrativa, ci sarebbe un’allegoria sarcastica della Royal Society inglese.
Si tratta cioè di un duro attacco, fortemente intriso di pessimismo, all’istituzione della famiglia, proprio nel periodo
storico di ascesa socio-economica della borghesia.
Gulliver's Travel.
Gulliver's Travels is a novel written by Jonathan Swift and it's a satire on human nature and a parody of the
"travellers' tales". The book is divided into four parts: in Part One the hero tells of his shipwreck off the island of
Lilliput. Here he awakes to find himself a prisoner of a race of very tiny people: the Lilliputians. During his stay he
learns about local customs and culture, and about the political system.Finally he agrees to help the people in their
war against another island called Blefuscu, after he returns to England.In Part TwoGulliver sets off for India but after
a series of misadventures finds himself abandoned by his companions on the island of Brobdingnag whose
inhabitants are all giants. The situation of part one is reversed. He is sold to the queen and has some interesting
discussions whit the king about political situation in Europe, before returning once again to england. Part
Three sees Gulliver land on the amazing flying island of Laputa whit its capital Lagado which is populated by
philosophers and scientists. Everyone here is dedicated only to music and mathematics, but are unable to apply
these disciplines to practical purposes. While here, he tours the country and sees the ruin brought about by blind
pursuit of science without practical results in a satire on the Royal Society and its experiments. Then, from here he
journeys to another two islands each whit their own absurdities. The last journey takes Gulliver to the world of
rational horses, the Houyhnhnms, wise beings who have developed a sophisticated method of communication but
do not know the meaning of words like true and false, and do not conceive the concept of war and violence. The
only fault of their lands is the presence of beings brutal called the Yahoos, who serve them. Again Gulliver spends his
time trying to learn their languge and ways, and assimilates them so well that when he returns home to his wife and
children he finds himself disgusted by their humanness. Satire is often strictly defined as a literary genre or form. In
satire, human or individual vices, follies, abuses, or shortcomings are held up to censure by means of ridicule,
derision, irony, or other methods, ideally with the intent to bring about improvement. Although satire is usually
meant to be funny, the purpose of satire is not primarily humour in itself so much as an attack on something of
which the author strongly disapproves, using the weapon of wit. Gulliver's Travels has for a long time been
considered a children's classic because of the wonderfully absurd imagination of its images and the simplicity of its
prose. Gulliver's Travels has for a long time been considered a children's classic because of the wonderfully absurd
imagination of its images and the simplicity of its prose. Swift declares at the beginning of the novel that the style is
very plain and simple. Gulliver, like Crouse, is a matter-of-fact man who records the marvels he sees with careful
detail, in the language of the traveller who speaks with great seriousness about what he has seen and wants to be
believed. However, the novel is a dense mixture of fantasy, political satire, moral fable and playfulness and critics
debated about the intentions of the writer. Although Gulliver's Travels is a book which works on many levels, critics
have suggested that it has a specific political allegorical dimension. In this light, there are 4 different interpretations
of the trips, one for each book. First Journey The Lilliputians used Gulliver to fight against Blefuscu because of his
stature. The figures of Lilliputians' politicians are similar to the English ones. Second Journey the Gulliver's
descriptions of giants' bodies represents human vanity and self-love which may be seen ad an obstacle to spiritual
growth. Here the diminished Gulliver is identified with the Lilliputians, so in a way Gulliver is able to see how the
Lilliputians saw him. Third Journey The Laputans can be seen as a parody of the pretensions of abstract intellectual
thinking, which has no connection to reality (the island flies above the ground), and also as a satire on Britain's
military and colonial ambitions. This was probably a satirical attack against the members of the Royal Society,
including Newton. However, the world of the Laputans is also a world of lightness, where ideas are liberated from
the constraints of reality. Fourth Journey the intelligence horses consider human race like the savage Yahoos, only
more sophisticated in their barbarism, but Gulliver tries to convince them that his own race is not at all like the
Yahoos, a bestial and sub-human race. This is a dialogue between the Lilliputian Secretary and Gulliver. The first
character presents to Gulliver the situation of the war between Lilliput and Blefuscu, the other great empire of the
Universe. Philosophers and scientists are in doubt about the existence of other kingdoms inhabited human beings as
large as Gulliver and they think that he fell from moon or other kingdoms except Lilliput and Blefuscu. So, these two
great reigns have been involved in a difficult war for 36 moons. It was caused by a bizarre reason. It's generally
known that the first way of breaking eggs to eat them was to break the larger part; but, Majesty's grandfather, when
he was a child, cut one of his fingers. For this reason his father published a edict to break the smaller ends of eggs.
The people disagreed whit this law and six rebellions broke out. These were encouraged by the monarchs of Blefuscu
and the exiles took refuge in that empire. A lot of volumes have been published about the rebellions but Big-Endians'
books have been forbidden. During these troubles, the emperors of Blefuscu accused Lilliputians to provoke a
division in religion because they offended the fundamental doctrine. But this is just a different interpretation of the
following sentence: "All the believers shall break their eggs at the convenient end". According to Reldresal, it is left
to every man's conscience or on the power of the magistrate. The war has lasted for 36 moons whit various success
and Blefuscu is preparing a fleet for a new attack. The Lilliputian emperor decided to send the Secretary to tell
Gulliver about these events. He answers that, because he is a foreigner, he can't interfere whit parties, but he will
defend the emperor and the state from invaders.
Swift's Life
Swift is considered the greatest English writer of his time and one of the largest satirist ever existed.
He was son of an English family settled in Ireland and during his childhood he studied in Kilkenny (Kilkenny School)
and then in Dublin (Trinity College). After going to England on his mother's advice, he meets, in the house of Sir
William Temple, Esther Johnson (Stella), to which he will be forever connected. After having taken religious orders
he becomes parish priest of Kilroot, but living mostly in London where he participates to the most important political
circles. He becomes councilman of the Tory government supporting it with pamphlets and articles.
With the fall of the government Swift returns in Ireland having obtained the role of dean of the Church of St. Patrick
in Dublin. In this period of stay in the island exposes the oppressions to which the Irish people (even if he despises
them) are subject by English and local government. After the death of beloved his mental disturb worsens more and
more until his death.
Summary: Gulliver's Travel (1726)
It's his most famous book. Written as an adventure novel it is actually a cruel satire of human race, civilisation and
Anglo-Irish (his fellow countrymen are the wild Yahoo). Lemuel Gulliver, doctor on a merchant ship, is shipwrecked
on the island of Lilliput, where everything, beginning by the inhabitants, is large a fifteenth of persons and objects
we know. In the second part instead Gulliver visits Brobdingnag, where the ratio is turned upside down and where
the doctor becomes the of the King's daughter, who keeps him between her playthings. In the third part Gulliver
visits Laputa and the continent that has Lagado as capital, where the satire is addressed against philosophers,
historians and inventors. In the island of Glubdubdrib, then, Gulliver evokes the shadows of the great man of the
antiquity and from their answers he discovers their bad habits and meanness; while among the immortal Struldbrug,
he notices that the largest sadness for the man would be the perspective of not giving an end to the tedium vitae. In
the fourth part then, the virtuous easiness of the Houyhnhnm horses contrasts with the nauseous brutality of the
Yahoo, beasts with a human aspect.
· BOOK I: Gulliver sails from Bristol on May 4, 1699, after 6 months he is shipwrecked somewhere on the island of
Lilliput where he falls asleep. The Lilliputians, the very small inhabitants of the island, take his body and put it In a
temple. Gulliver learns many things about this people, their language and their customs. After many adventures he
returns to England.
· BOOK II: Gulliver sails again for India but finds the land of Alaska. He meets the inhabitants, they are giants.
Gulliver’s size causes him many problems.
· BOOK III: After many adventures Gulliver sails another time to return home but he is attacked by pirates who set
him on a small boat. He arrives to Laputa’s island whose inhabitants are absent-minded astronomers and
philosophers. Gulliver visits their capital, Lagado and its academy where absurd experiments are carried out.
· BOOK IV: Gulliver goes to an island inhabited by horses endowed with reason, the Houyhnhnms, who are served by
a race of filthy creatures very similar to human beings, the Yahoos. Gulliver admires the superiority of the
Huoyhnhnms. The horses banish him and he builds a canoe to go back home.
The travel is a positive experience that gives the traveller and the reader something important that can help them in
their life. The message that Swift wants to communicate is that Europe is losing its civilization and falling into
corruption and other bad things. In every book there is a hidden theme: in the first for example he speaks about
man’s pettiness and greed, in the second about his pride, in the third about representation of pure reason and in the
last book about the absurdities and evil of the various professions.
Gulliver tells his experiences in first person in a prose style, he is not Swift in person but he is an invented character,
an instrument.
I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift.
The main charachter of this novel tells about his adventures. He left school soon;but he loves to travel so he got
married and after he takes The ship called Antilop,sailing to te South Seas.His journey starts on 4th May
1699.Because of a storm his ship sinked and the crew drowned.But he was safe and he arrived in a land:he felt
asleep. When he woked up he coldn't move because he was tied.He looked arouns and he saw a very short man:he
was fifteen centemetres tall.There were a lot of other short man around him. They were scared of him.The language
of this characters was incomprehensible,but Gulliver sensed:he was a prisoner of them.They conduced him to their
city called Mildendo and there a temple become Gulliver's new home. WhenGulliver asked at the King if he can
leave the island, he answered: `No'. So he decided to became kind to persuaded the King. One day the King said:
`You are free if you respect this three orders': You couldn't leave the country or go to the City without permission
You couldn't walk only long the main roads and you have to pay attention at cars,horses and people You have to
help people to work,to defend Lilliput from the enemies of the Island of Blefusco. Gulliver promised to respect these
orders and he was set free. He also visited Mildendo. A night an important man said him that Lilliput are divided in
two parts:the High-Heels and the Low - Heels.Low - Heels are the people of the Government and also the King,the
People are High - Heels and the heir wears one high heel and one low heel!!! There is another division:Big -
Endians,the ex inhabitats of Lilliput which now live in Blefusco, and Small - Endians, the attual inhabitats of
Lilliput.There is a big war between this two parties. One day Gulliver captured some inhabitats of Blefusco and the
People of Lilliput were very satisfied. Ambassadors from Blefusco came to ask for peace. G. went to the King to ask
the permission to visit Blefusco:the King accepted;but a Gulliver 's friend informed him about a plot against him.The
King decided to eat G. because the Lilliputians had nothing to eat.So he went immediately to Blefusco. There he saw
a boat and he had an idea:he asked to the King of Blefusco twenty ship to build an enormous ship for him.After he
asked to the King the permission to leave the land. The King was very kind because he gave him a lot of food such as
very little cows and bulls,which when he arrived in England maked him very rich. An english ship took G. on board
and he arrived at home.
Docty
Gulliver's Travels
Gulliver is a married doctor from Nottinghamshire, who has a passion for travelling. He makes several voyages as a
ship's doctor and in the end he becomes a sailor. But Gulliver is not a lucky man, in fact in every voyage something
goes wrong and he finds himself in unknown and strange lands.His adventures begin in Lilliput, where Gulliver ends
up after his shipwreck. There he is tied up by Lilliputians, very small human beings who are only fifteen centimetres
tall. The king of Lilliput decides not to kill him, but to use him in the war against Blefuscu, another island with tiny
people who are enemies of the Lilliputians. Gulliver steals all their warships, but he refuses to enslave them.Because
of that and because of having urinated on the royal palaceto put out a fire, the king decides to punish him. Therefore
Gulliver flees and goes back to England.After staying in England for a couple of months, he leaves for his second
voyage, which takes him to Brobdingnag, a land populated by giants. There Gulliver is captured by a farmer who
takes him on a tour around Brobdingnag to show him to other giants. Eventually Gulliver arouses the interest of the
queen and she decides to buy him. One day, on the beach, Gulliver is looking at the sea from his box (his room)
when an eagle snatches and drops it into the sea. Luckily Gulliver is saved by some sailors, who take him back to
England.After very few days with his family, Gulliver starts his new adventure. This time he is attacked by some
pirates, who leave him in a small boat in the middle of the Ocean. While he is rowing,Gulliver sees a floating island,
called Laputa. The Laputans are very strange: they are only interested in music and mathemathics. Then Gulliver also
visits Glubbdubdrib, an island below Laputa populated by magician, and Luggnagg, another nearby island. Eventually
he arrives in Japan and then he goes back to England again. On his final voyage, Gulliver is the captain of the
expedition, but his sailors rebel against him and leave him on an island called Houyhnhnm Land. Two kind of
creatures live in this island: Yahoos, who are similiar to humans, and rational horses called Houyhnhnms. Gulliver
finds out that Houyhnhnms are reasonable and peaceful. On the contrary Yahoos are rude and quarrelsome. Gulliver
is delighted to live with Houyhnhnms, but, as Gulliver is neither a Yahoo nor one of them, they decide he must go
back to his country.In the end he gets back to his family, but he doesn't want to have any relation with them,
because in his view they are Yahoos
Gulliver's Travels” (prima ed. 1726; ed. riveduta 1735)
• Swift adotta un antico mezzo satirico: il viaggio immaginario, ma il libro è presentato come il racconto di fatti
accaduti realmente.
• Lemuel Gulliver è il protagonista che narra la storia. Gulliver è un medico, uomo con un'educazione abbastanza
buona con cui ogni lettore può identificarsi. Intraprende quattro viaggi in quattro parti remote del pianeta.
• Prima parte – Lilliput: Gulliver naufraga nell'impero di Lilliput, dove si trova ad essere un gigante in mezzo a
persone minuscole all'apparenza carine, ma alla fine si rivelano crudeli, malvagie, ambiziose, vendicative. Il lettore a
poco a poco si rende conto della similitudine tra gli abitanti di Lilliput e l'essere umano.
• Seconda parte – Brobdingnag: Gulliver si ritrova in una terra di giganti. Sebbene abbia paura che tali mostri
possano essere bruti, alla fine si rivelano tutto il contrario. Brobdingnag è come un'utopia governata da un principe
illuminato che è l'incarnazione della saggezza morale e politica. In una lunga conversazione, il re riduce Gulliver al
silenzio facendogli delle domande che rivelano la differenza tra quello che l'Inghilterra è e quello che dovrebbe
essere.
• Terza parte – Laputa: Gulliver finisce su un'isola volante dove tutti si dedicano solo alla musica e alla matematica
ma sono incapaci di applicare queste discipline a fini pratici (critica alla Royal Society e all'amministrazione del
ministro whig Sir Robert Walpole). Incontra gli struldbrugs, degli sfortunati che sono vecchissimi e reietti, anche se
immortali. L’immortalità viene qui descritta come una condanna, invece che come una fortuna.
• Quarta parte – gli Houyhnhnms: Gulliver finisce in una terra popolata da una razza di cavalli, gli Houyhnhnms, che
vivono totalmente secondo ragione. L'unico difetto della loro terra è la presenza dei loro schiavi, gli Yahoo, creature
oscene che costituiscono la caricatura del corpo umano che non hanno idea di cosa sia la ragione, ma vivono
secondo appetito e passione.
• Alla fine Gulliver torna a casa in Inghilterra disgustato del genere umano: impiegherà degli anni per permettere a
sua moglie di mangiare nella sua stessa stanza, ma sarà comunque vietato ai suoi famigliari di prenderlo per mano. Si
recherà spesso presso la sua stalla per percepire la vicinanza degli Houyhnhnms.
• Romanzo apprezzato da tutti: è abbastanza semplice da poter essere letto dai bambini e abbastanza complesso da
guidare gli adulti più in profondità. Ci sono più livelli di lettura: la narrazione vera e propria e i significati che si
nascondo dietro il viaggio immaginario di Gulliver.
• Il libro però non ci offre un significato finale, ma piuttosto una domanda: cos'è un essere umano? Siamo bruti o
esseri ragionevoli?
Temi, motivi e simboli:
• Potere vs. ciò che è giusto: la vita sociale deve essere governata dal potere fisico o dalla giustizia morale? G. fa
esperienza dei vantaggi del potere fisico da tutti i pdv: in qualità di gigante nella terra di Lilliput G. riesce a
sconfiggere la marina di Blefuscu; nella terra di Brobdingnag è sopraffatto dalla grandezza di ogni cosa. Ci sono anche
altri episodi in cui il potere è basato sulla correttezza morale, ma Swift mostra che anche in questi casi la moralità
potrebbe essere usata per nascondere una semplice sottomissione fisica. Alla fine, le rivendicazioni della superiorità
della morale sono difficilmente giustificabili, proprio come l'uso casuale della forza fisica per dominare gli altri.
• Individuo vs. società: Swift esplora l'idea dell'utopia, ma in modo scettico. Uno dei punti che sottolinea è la
tendenza di altre famose utopie (“Repubblica” di Platone; “Utopia” di T. More) a privilegiare la collettività piuttosto
che l'individualità → i Lillipuziani crescono nella collettività, ma i risultati non sono utopici (cospirazioni, gelosie,
tradimenti); gli Houyhnhnm controllano che ogni famiglia abbia un figlio maschio e una femmina e, sebbene siano
più vicino all'idea di utopia dei Lillipuziani grazie alla loro razionalità, non hanno nomi e sono del tutto
intercambiabili. Sono l'esatto opposto di G. che non ha nessun senso di appartenenza alla sua società nativa ed
esiste solo come individuo che vaga per mare in eterno → sorta di alienazione. Swift critica sia l'eccesso di collettività
sia di individualità.
• Limiti della comprensione umana: gli umani non sono destinati a conoscere tutto e la conoscenza ha dei limiti
naturali. Critica contro chi pretende di sapere tutto e contro la conoscenza che non porta a risultati concreti. Swift
sottolinea l'importanza della comprensione di noi stessi: G. non parla mai delle sue emozioni o passioni e non ha
interesse a descrivere la sua psicologia. La sua repulsione della condizione umana sfocia in un odio verso se stesso →
forse anche la conoscenza di noi stessi ha gli stessi limiti della conoscenza teoretica, perché se guardiamo noi stessi
troppo in profondità, potremmo non essere in grado di vivere in modo felice.
• Lingue straniere: G. è un abile linguista: conosce le basi di molte lingue europee e del greco antico. Questo gli
permette di imparare velocemente le lingue delle terre esotiche che visita, ma la padronanza delle lingue straniere di
G. non corrisponde ad un interesse verso le differenze culturali.
• Vestiti: G. pone attenzione verso il modo di vestire durante i suoi viaggi. Più i suoi vestiti diventano logori e il suo
guardaroba strano, più G. si trova lontano dai comfort e convenzioni dell'Inghilterra. Per G. la nudità è vista come
una vulnerabilità estrema e come mancanza di individualità.
• Lillipuziani: simbolizzano l'eccessivo orgoglio della razza umana e evidenziano l'incapacità di G. di individuarlo in
modo corretto.
• Brobdingnagiani: simbolizzano la sfera privata, personale e fisica degli umani, analizzata in dettaglio.
• Laputani: simbolizzano la follia della conoscenza teoretica che non ha nessuna relazione con la vita umana e
nessuna utilità concreta.
• Houyhnhnm: simbolizzano un ideale di esistenza razionale, una vita governata dalla ragione e dalla moderazione.
La loro sottomissione degli Yahoo appare più una cosa necessaria, che qualcosa di crudele. Swift però sceglie di
rappresentarli sotto forma di cavalli → forse questo ideale non può essere considerato un ideale della razza umana.
• Inghilterra: simbolizza l'inefficienza, almeno in campo finanziale, ciò che interessa a G. G. è poco nazionalistico e
non ha sentimenti patriottici, ma alla fine Swift decide di farlo tornare a casa → tutte le razze che G. ha incontrano
nei suoi viaggi potrebbero rappresentare vari aspetti degli inglesi e Swift gli fa fare questi viaggi per mostrare
chiaramente a G. la natura umana.
“The Publisher to the Reader”:
• Un certo Richard Sympson dice di essere un vecchio e intimo amico di Lemuel Gulliver e di essere imparentato con
lui dalla parte della madre. Il nome richiama quello di William Sympson, autore di un libro di viaggio “A New Voyage
to the West Indies” (1715). Richard Sympson dice di aver per le mani le carte di Gulliver e che può disporne come
ritiene opportuno. Ha esaminato 3 volte queste carte e dice che lo stile è chiaro, l'unico difetto è che l'autore è un
po' troppo circostanzioso (come gli scrittori di letterature da viaggio). Ci tiene a ribadire che il racconto è veritiero e
che Gulliver si distingueva per la sua sincerità, tan'è che girava il modo di dire “è vero come se fosse uscito dalla
bocca di Mr. Gulliver”. Sympson dice di aver eliminato alcune parti relative a descrizioni di venti, maree e traversate
per facilitare il lettore.
“A Letter form Captain Gulliver to his Cousin Sympson”:
• Iniziale ironia dell'autore → violenza psicologica nella pubblicazione sconnessa e scorretta della sua opera → G.
non ha acconsentito all'omissione o all'inserzione di alcune parti.
• Altro atteggiamento ironico quando dice di aver sbagliato a lasciarsi convincere a pubblicare i suoi scritti di viaggio
→ dice che lui ha insistito sul fatto che gli Yahoo sono una specie di animali totalmente incapaci di ravvedersi in
basse a precetti o esempi.
• Ribadisce la veridicità dei suoi viaggi e dell'esistenza degli Yahoo e degli Houyhnhnm.

Parte I capitolo 1:
• all'inizio G. racconta la storia della sua vita: il romanzo inizia come uno dei racconti di viaggi del tempo. La
descrizione della sua gioventù e educazione di G. stabilisce la sua posizione nella società inglese e fa sembrare il
romanzo un racconto di eventi accaduti realmente. Swift imita lo stile dei racconti di viaggi per evidenziare la satira e
per portare a esagerazione l'assurdità dei luoghi e delle persone con cui G. viene a contatto.
• G. è sorpreso di scoprire i Lillipuziani, ma non particolarmente scioccato → c'è una certa distanza tra il protagonista
credulone e il lettore scettico → livelli multipli di lettura: su un livello, abbiamo una storia veritiera di un'avventura;
su un altro livello, abbiamo un racconto puramente fittizio; su un terzo livello, abbiamo una critica satirica dei
comportamenti degli europei.
• La crescita del potere portò l'Inghilterra a contatto con nuove varietà di animali, piante, insetti, ma soprattutto
venne a contatto con persone sconosciute prima di allora (come i nativi americani). Il fatto che i Lillipuziani siano di
piccole dimensioni può essere interpretato come l'incarnazione di una di queste differenze culturali.
• La forza fisica di G. rappresenta invece il potere dell'Inghilterra sulle popolazioni colonizzate. Potrebbe essere
anche un modo per evidenziare l'importanza del potere in una società teoricamente governata dalla giustizia,
oppure potrebbe essere un modo per sottolineare il concetto di relatività: i Lillipuziani si considerano normali e
considerano G. una sorta di mostro gigante.
Capitolo 2-3:
• in questi capitoli G. impara a conoscere la cultura dei Lillipuziani: i candidati per gli uffici governati vengono scelti in
base alla loro abilità nel ballo sulla fune, cosa che G. riconosce essere ridicola → satira del sistema delle nomine
politiche dell'Inghilterra.
• G. non dice mai che pensa che i Lillipuziani siano ridicoli: tende a essere sempre comprensivo nelle sue descrizioni,
senza mai criticare → Swift lascia al lettore il compito di cogliere la satira basata sulla differenza tra come le cose
appaiono a G. e come appaiono a noi.
• La differenza di dimensioni enfatizza l'importanza del potere fisico → G. comincia a guadagnare la fiducia dei
Lillipuziani, ma non è necessario: G. potrebbe schiacciare tutti loro senza fatica. L'humour sta nel modo dei
Lillipuziani di vedere la situazione: non si rendono conto della loro insignificanza e pensano di poter controllare G. →
satira delle pretese di potere e di importanza.
• Swift usa un linguaggio per prendere in giro il fatto che l'umanità crede nella sua importanza: quando i Lillipuziani
fanno l'inventario degli oggetti di G., la situazione è presa come se fosse un fatto molto serio. Il contrasto tra il tono
usato dai Lillipuziani e gli oggetti che vengono catalogati serve come presa in giro delle persone che si prendono
troppo seriamente.
• Anche i documenti che G. deve firmare usano un linguaggio molto formale, ma i documenti sono del tutto
insignificanti e sottolineano il fatto che G. è così potente che, se volesse, potrebbe violare tutti gli articoli senza
preoccuparsi della sua sicurezza.
Capitolo 4-5:
• nonostante il fatto che il conflitto tra Lilliput e Blefuscu è del tutto ridicolo, G. lo riporta con molta serietà →
rappresenta la storia europea: High-Heels = Whigs; Low-Heels = Tories / Lilliput = Inghilterra; Blefuscu = Francia /
conflitto Big-Endians vs. Little-Endians = protestanti vs. cattolici. Swift vuole dire che queste differenze sono stupide
e senza senso tanto quanto decidere come rompere un uovo. Perché Swift pensa ciò? Non c'è un giusto o sbagliato
su come adorare Dio, o almeno non c'è nessun modo di provare quale sia il modo giusto e quello sbagliato. I Big-
Endians e i Little-Endians condividono lo stesso testo religioso, ma non la sua interpretazione: anche la Bibbia può
essere interpretata in modi diversi, ed è ridicolo che la gente litighi per come viene interpretata, perché non si può
essere certi che una interpretazione è giusta o sbagliata.
• L'imperatrice di Blefuscu potrebbe rappresentare la Regina Anne di Inghilterra e l'urinazione di G. sui suoi alloggi
potrebbe rappresentare l'opera di Swift “A Tale of a Tub”, criticata dalla regina.
• L'episodio dell'urinazione di G. suggerisce ancora una volta l'insignificanza dei Lillipuziani e il potere di G. nei loro
confronti.
• Il rifiuto di G. di obbedire agli ordini di distruggere la flotta di Blefuscu è il segno che G. si sente addosso la
responsabilità verso tutti gli esseri: anche se sono minuscoli, anche gli abitanti di Blefuscu hanno dei diritti, uno di
questi è la libertà dalla tirannia. G. si trova nella posizione di cambiare la società dei Lillipuziani per sempre
Capitolo 6-7-8:
• nel cap.6 G. descrive una serie di usi dei Lillipuziani rappresentati come ragionevoli: possiamo dedurre che Swift
approva molte di queste istituzioni. Le tradizioni che G. rappresenta come buone sono quelle che contribuisco al
bene comune della nazione, in contrasto con quelle che promuovono i diritti e le libertà individuali (come il fatto che
i bambini sono cresciuti in luoghi pubblici e lontano dai genitori, che sono puniti finanziariamente se danneggiano la
società mettendo al mondo bambini che non sono in grado di mantenere).
• I lillipuziani non mettono in discussione i loro usi e costumi perché non hanno motivo di pensare che esistano altri
modi per condurre le loro vite. Quando delle alternative vengono discusse (come la controversia del rompere le
uova) la discussione finisce in un conflitto violento
• Gli articoli che accusano G. sono scritti con un linguaggio formale che serve ad enfatizzare la lor assurdità. Swift
prende in giro la formalità mostrando come essa può essere usata per mascherare paure e desideri (come quello dei
lillipuziani di eliminare G.).
• l'aiuto che G. riceve da Reldresal è la rappresentazione di un motivo ricorrente del romanzo: la persona buona
circondata da una società corrotta.
Robinson Crusoe: riassunto breve per capitoli
Robinson Crusoe 1 Robinson Kreutznaer, chiamato però da tutti Crusoe, era un ragazzo nato a York nel 1632 da una
famiglia molto stimata di ceto medio.Suo padre non faceva che ripetergli di abbandonare le sue folli idee di andar
per mare e di rimanere lì, dove avrebbe sicuramente vissuto una vita tranquilla e agiata. Purtroppo certe volte c'è
qualcos'altro che prevale sulla ragione e ti porta a fare azioni come quelle del nostro protagonista che all'età di 18
anni, una notte di nascosto si imbarcò sulla nave di un suo amico dopo una calorosa richiesta da parte di
quest'ultimo. Durante il viaggio però, vi furono due tempeste, la prima abbastanza debole, ma la violenza della
seconda terrorizzò Robinson a tal punto da fare la promessa con Dio che non si sarebbe mai più imbarcato ma
tornato dritto a casa se fosse sopravvissuto. La nave stava affondando ma grazie all'aiuto di un piccolo battello, si
misero tutti in salvo non senza difficoltà. Al ragazzo però non passò la voglia di imbarcarsi, anzi, non fa che
incrementare. Però durante il successivo viaggio per mare la nave su cui era imbarcato fu presa dai pirati di Salé,
località portuale dei musulmani. Lì, vi rimase per qualche anno sotto la custodia del capitano, invece il resto della
ciurma fu portato al mercato degli schiavi. Fortunatamente Robinson riesce a fuggire e ad arrivare in Brasile con il
suo fedele alleato durante la fuga da Salé su una nave che in genere utilizzavano per andare a pescare. In Brasile in
due però si lasciano e non si rincontrarono mai più. Robinson, trovata una sistemazione, intraprende un'attività nelle
piantagioni di tabacco. Dopo diversi anni in cui la sua piantagione stava avendo ottimi frutti, si imbarcò con un
gruppo di persone in cerca di schiavi per le piantagioni, appunto. Ma anche quest'ultimo viaggio fu sfortunato
perché la nave sorpresa da una tempesta violentissima perse la rotta e naufragò al largo del Venezuela. Egli scoprì in
seguito di essere stato l'unico sopravvissuto alla tragedia naufragando su di un' isola deserta, ricca però d'acqua e di
animali selvatici, come capre, ma nessuno feroce. Visse arrangiandosi con quel poco che riusciva a trovare in natura
e da quel che era riuscita a recuperare dalla nave naufragata che si era arenata mezza distrutta vicino alla riva.
Durante il soggiorno su quest'isola scrisse un diario in cui raccontava tutte le sue esperienze e avventure. In seguito
scoprì la presenza di alcuni cannibali, li attaccò e riuscì a liberarne uno che rimase con se diventando suo schiavo, a
cui darà il nome di Venerdì. A questi insegnò un po' l'inglese grazie alla lettura della Bibbia. Sull'isola restò per ben 28
anni, e dopo un'assenza di 35 anni, tornò in Inghilterra dove scoprì di essere diventato ricco grazie ai guadagni della
sua piantagione in Brasile lasciata in precedenza a due fiduciari nell'eventualità che potesse succedere qualcosa alla
sua persona come è infine accaduto veramente. Donò gran parte dei suoi guadagni a tutte le persone che lo
aiutarono negli anni in cui era ancora in attività e che gli rimasero fedeli anche quando lo credevano oramai morto.
2Nel 1704, in pieno Oceano Pacifico, Alexander Selkirk, giovane corsaro scozzese di 24 anni dal carattere orgoglioso
e combattivo, esasperato dai continui litigi con il suo capitano, decise di subire volontariamente la condanna
solitamente destinata ai pirati traditori e chiese di essere abbandonato a Mas a Tierra. Quest'isola era vulcanica,
ricca d'acqua dolce e popolata da suini e capre, ma c'era un inconveniente: era completamente deserta. Vi trascorse
quattro anni e cinque mesi con la compagnia di alcuni gatti, finché un'altra nave corsara inglese, la "Duke"
comandata da Woodes Rogers, fermatasi casualmente a Mas a Tierra il 31 gennaio 1709, lo portò in salvo. In seguito
venne a sapere che la sua nave, poco dopo essere ripartita da Mas a Tierra, era stata catturata dagli spagnoli ed il
destino di tutto l'equipaggio si concluse nella prigione di Lima. Quando tornò a Londra, fu stranamente accolto come
un eroe e saranno in tanti ad ascoltare il suo racconto, ma fra i più attenti troverà lo scrittore Daniel Defoe, che non
si farà sfuggire l'occasione per romanzare la sua vicenda, con una diversa ambientazione geografica e trasformando i
suoi gatti in un selvaggio, di nome Venerdì. 3 a. La sua condizione sociale ed economica è molto favorevole perché
essendo del ceto medio, non era sottoposto alle pressioni degli aristocratici, ma non doveva neanche sopportare la
fame come i ceti più bassi. Era una famiglia molto stimata benché non fosse originaria della città. Con la famiglia non
ha un rapporto molto buono perché il padre lo voleva uomo di legge, invece Robinson voleva viaggiare per mare per
il resto della sua vita. Il ragazzo decide però di cambiare finalmente vita un giorno che si trovava per caso a Hull dove
uno dei suoi amici, in procinto di salpare per Londra sulla nave di suo padre, gli propose di partire con
loro,tentandolo col fatto che il viaggio non gli sarebbe costato niente. b. Durante il primo viaggio, vi furono due
tempeste, la prima abbastanza debole, ma la violenta della seconda terrorizzò Robinson a tal punto da fare la
promessa con Dio che non si sarebbe mai più imbarcato e sarebbe andato dritto a casa se fosse sopravvissuto. La
nave stava affondando ma grazie all'aiuto di un piccolo battello, si misero tutti in salvo non senza difficoltà. Al
ragazzo però non passò la voglia di imbarcarsi e rompendo l promessa fatta si rimbarca. Però durante il successivo
viaggio per mare la nave fu presa dai pirati di Salé, località portuale dei musulmani. Lì, vi rimase per qualche anno
sotto la custodia del capitano, invece il resto della ciurma fu portato al mercato degli schiavi. Fortunatamente
Robinson riesce a fuggire e ad arrivare in Brasile con il suo fedele alleato durante la fuga da Salé usando una piccola
imbarcazione usata in genere per andare a pescare.
c. Dopo il naufragio sull'isola non si scoraggia ma cerca di sistemarsi meglio che può, inizialmente con una semplice
tenda ricavata dalle vele della nave, in seguito si stanziò in una grotta dove vi costruì una vera e propria fortezza.
Non abbandona però la speranza di riuscire a tornare nel mondo civile, infatti fa numerosi tentativi per costruire una
canoa in grado di portarlo fino alla meta desiderata. d. Il protagonista sull'isola inizia a riflettere su quello che gli è
accaduto e giunge alla conclusione che tutto quello che gli era successo era per mano della Provvidenza, per mano di
Dio. Così riscopre una vecchia Bibbia in una cassa e dedica alla lettura di questa per tre volte al giorno.
e. Robinson alla fine del romanzo è generoso, comprensivo, coraggioso e con molto spirito di avventura ma facendo
comunque notare il suo continua legame con la sua terra natale: l'Inghilterra. f. Alla fine del romanzo, suo nipote lo
invita a tornare per mare con lui e dopo ripetute richieste lui accetta, ma pur essendo anziano ormai, ha voglia di
rivedere la sua isola, di rincontrare gli inglesi e gli spagnoli che aveva lasciato là e vedere come era maturato il tutto.
4. A Venerdì è un selvaggio cannibale che però era stato portato sull'isola dal popolo rivale al suo, per essere
mangiato, ma riesce a fuggire ed a liberarsi completamente dei suoi inseguitori con l'aiuto di Robinson che li uccide
con due colpi di fucile. Il selvaggio compare sulla vicenda un anno e mezzo dopo la seconda volta che vede i selvaggi
cannibali durante i loro macabri banchetti. B Venerdì è lo schiavo di Robinson, e questo l'inglese fu la prima cosa che
gli insegno: lui era il padrone e l'altro lo schiavo. Ma col passare degli anni si formò un affetto fra i due che li legò per
il resto della vita. C Venerdì rappresenta la fiducia, il rispetto e l'onestà che dimostra verso il suo padrone e salvatore
e verso le altre persone; come una persona può essere naturale e che tutti hanno un cervello e la facoltà di usarlo
per infiniti fini e che possono portare una persona come Venerdì a fare considerazioni che forse in molti non si
sarebbero aspettati ne fosse capace. 5 Nelle vicende intervengono principalmente la vedova in Inghilterra, l'amico
capitano della nave nel secondo viaggio, il pirata di Salé, l'arabo con cui condivideva la schiavitù, i due fiduciari e i
loro figli, il padre di Venerdì, i cannibali, lo spagnolo salvato dai selvaggi, gli inglesi onesti, gli ammutinati ed infine
anche il nipote di Robinson. 6 Il romanzo si svolge inizialmente in Inghilterra, in seguito in Brasile, sull'isola di
Robinson e tutto il tratto che percorre la comitiva per tornare in Inghilterra il più possibile via terra passando per la
Spagna e per la Francia. 7 L'isola è descritta per lo più soggettivamente in genere durante il racconto di fatti accaduti.
Non avendo misure, distanze certe, non era in grado di dare delle informazioni precise riguardo la conformazione e
la posizione dell'isola. 8 Le vicende si svolgono dal 1950 al 1985 circa con il suo ritorno in Inghilterra. Partendo a 18
anni circa dal Hull, rimane per 7 anni circa per mare e si stanzia in Brasile con la sua piantagione. Dopo di che i
successivi 28 anni li trascorre sull'isola. Infine nel 1985 circa torna finalmente nella sua amata Inghilterra. 9 Robinson
Crusoe manifesta questa sua fiducia in Dio riflettendo su tutte le disavventure che gli sono successe ma che tutto è
infine avvenuto per farlo arrivare su quell'isola e fargli capire che è stata la mano della Provvidenza a mandarlo lì
salvando la vita solamente a lui fra tutte le persone presenti sulla nave. Così iniziò a pregare veramente, come fa un
bravo cristiano e leggeva qualche passo della Bibbia tre volte al giorno. Il senso delle sue riflessioni è che tutto
accade per un motivo, il nostro destino non è già stato scritto ma probabilmente dobbiamo scrivercelo noi con
l'aiuto del Signore, e se ci succedono fatti negativi o sei stato influenzato da qualche demone maligno o è Dio che
con questo gesto vuole farti tornare sulla "retta via".
ROBINSON CRUSOE SCHEDA LIBRO
Titolo: La vita e le straordinarie, sorprendenti avventure di Robinson Crusoe. Edizione: I grandi libri - Garzanti. Città:
Brezzo di Bedero - Varese. Anno: Febbraio 2008. Robinson Crusoe: Daniel Defoe.
Defoe è considerato il padre del romanzo Inglese, nacque nell'aprile del 1660 e morì nell'aprile del 1731.
Defoe, di famiglia Presbiteriano dissenziente, frequentò l'accademia dissenziente e si dedicò allo studio di materi
quali Geografia, Economia e lingue straniere. Rifiutò di diventare pastore Presbiteriano e si dedicò alla “vita
economica”.Convinto sostenitore della causa liberale, si schierò con il duca di Monmouth. Defoe finì in bancarotta e
dovette pagare i problemi economici da lui provocati perfino con il carcere.
Defoe scrisse Robinson Crusoe nel 1718.
ROBINSON CRUSOE RIASSUNTO PER CAPITOLI
Il romanzo “Robinson Crusoe” racconta la vita di Robinson Kreutznaer, da tutti chiamato Crusoe, che, ignorando i
consigli del padre, s'imbarca su una nave alla volta della scoperta della sua passione per il mare.
Durante questo suo primo viaggio una forte tempesta colpisce la zone in cui stava navigando e la nave sulla quale
stava navigando naufraga. Durante un altro viaggio viene ridotto in schiavitù dai pirati di Salè, schiavitù dalla quale
riesce a scappare dopo due anni con l'amico-schiavo Xury che vende a un Capitano che diventa un suo ottimo amico.
ROBINSON CRUSOE NARRATORE
Robinson Crusoe si stabilisce in Brasile e apre una piantagione di Tabacco, quando gli affari stavano andando
discretamente, Robinson decide di parte per un viaggio che aveva il fine di procurare degli schiavi di colore. Anche
questo viaggio finisce con un naufragio, ma, diversamente dalle altre volte, naufraga su un'isola completamente
deserta ed è l'unico superstite della spedizione. Crusoe gestisce la vita da naufrago in modo ideale, inizialmente
recupera quanti più oggetti utili possibili dalla nave che non era ancora calata a picco e con essi inizia a costruirsi
attrezzi e oggetti utili alla sua sopravvivenza.
ROBINSON CRUSOE CONTESTO STORICO
Robinson Crusoe si costruisce due abitazioni una la chiamerà il castello e l'altra la considererà come una casa di
campagna. Oltre a ciò inizia ad addomesticare un pappagallo con il quale parlerà spesso, fonda un allevamento di
bestiame e inizia anche un'attività agricola, colonizza cioè l'intera isola.
Fondamentale per il cambiamento interiore del protagonista è il ritrovamento di unaBibbia sull'imbarcazione.
Oggetto che lo aiuterà nei difficili momenti di solitudine, che amplierà il suo modo di vedere le cose e che gli farà
capire che la sua condizione è diretta conseguenza della sua vita imprudente.
Durante il naufragio il protagonista redige un diario, interrotto solo nel momento in cui finì l'inchiostro anch'esso
recuperato dalla nave, nel quale racconta tutto ciò che avviene sull'isola.Durante un viaggio di perlustrazione
dell'isola scopre la presenza di un gruppo di cannibali che ivi si recarono per compiere dei riti cannibalistici, e trae in
salvo un indigeno che stava per essere condannato a morte e gli diede il nome di Venerdì. Venerdì divenne l'amico
servitore di Robinson che gli insegna l'Inglese e lo converte alla religione Cristiana attraverso la lettura della Bibbia.
Robinson Crusoe dopo ventotto anni trascorsi sull'isola riesce a tornare in patria dove scopre di essere divenuto
abbastanza benestante grazie alle rendite della piantagione. Lo stile Il romanzo scritto da Defoe è completamente
narrato direttamente dal protagonista principale, quindi vi è l'uso del discorso diretto. In questa pubblicazione vi è
anche la presenza di una porzione di testo che è scritta sotto forma di Diario, quindi vi è anche una sequenza
cronologica nella narrazione dei fatti accaduti. Il ritmo della narrazione è interessante e il testo risulta non essere ne
troppo lento né troppo veloce. Questo è dovuto anche all'utilizzo di una sintassi lineare e semplice nella costruzione
e all'utilizzo di vocaboli appartenenti ad un registro medio quindi molto comprensibili anche se appartenenti alla
lingua inglese usata nel 1700.
Untitled Robinson Crusoe was born in York in 1632.
His father wanted he became a lawyer, but Robinson wanted to travel. When he was nineteen he left England. After
a terrible journey he went to Guinea, where natives gave him gold for some objects. He went then to Brazil, escaping
from Turkish pirates. In Brazil he became a rich planter, but he wanted to travel again. So he went to Guinea with
other planters, but during the journey there was a terrible storm. Everybody died, except him. He was transported
from the sea to an isolated island. He was alone on that island, so he took some objects from the ship and he made a
house. He took a dog and two cats too: they were his only friends. He explored the island and made other houses.
His biggest matter was the solitude. He became very ill too but luckily he cured. He wrote a little journal too, but the
ink ended. He found a parrot and taught it some English words. After 15 years on the island he found a footprint and
after three years again he found human bones. There were cannibals on the island! A day he saved a prisoner from
the cannibals and he called him Friday. He became Robinson's slave and he learnt to speak English. They saved two
prisoners after few years and one of them was Friday's father. A day a ship arrived on the island, but the captain was
a prisoner of some rebel. Robinson and Friday killed the rebels, so Robinson could come back to England after 28
years. His parents were died, so he married and had three children. When his wife died, he went with his nephew to
India and China. He came back on his island too and there Friday was killed from natives. Robinson was very sad. He
went all around the world and when he was 72 he went back to London. In his life Robinson had learnt to appreciate
the importance of solitude, courage and peace.
Crusoe: riassunto in inglese e personaggi
The plot of Robinson Crusoe Robinson Crusoe is an Englishman from the town of York in the seventeenth century,
the youngest son of a merchant of German origin.
The hero of the novel is a middle-class man, Robinson Kreutznaer, anglicised Crusoe, who born in York in 1632 of a
German father and an English mother. He, at the age of nineteen, decides to leave his family in order to look for
adventures and to make his own fortune. His first voyage leads him to Guinea and then back to England. The second
voyage does not prove as fortunate: the ship is seized by Moorish pirates, and Crusoe is enslaved to a potentate in
the North African town of Sallee. While on a fishing expedition, he and a slave boy break free and sail down the
African coast.
A kindly Portuguese captain picks them up, buys the slave boy from Crusoe, and takes Crusoe to Brazil. In Brazil,
Crusoe establishes himself as a plantation owner and soon becomes successful. Eager for slave labour and its
economic advantages, he embarks on a slave-gathering expedition to West Africa but ends up shipwrecked off of the
coast of Trinidad, where he remains for 28 years. During this time he keeps a journal where he records what
happens to him. After twelve years of solitude, he finds a human footprint on the shore, and later observes
cannibalistic savages eating prisoners. Once Robinson decides to attach them: in fact, Using his guns, Crusoe scares
them away and saves a young savage whom he names Friday. Friday is extremely grateful and becomes Robinson's
devoted servant. He learns some English and takes on the Christian religion. For some years the two live happily.
Then, another ship of savages arrives with three prisoners. Together Crusoe and Friday are able to save two of them.
One is a Spaniard; the other is Friday's father. Finally he is rescued and brought back to England, where he discovers
that his plantation has made him rich. The new middle-class hero Robinson belongs to the middle-class which his
father praises as: "...the best state in the world, the most suited to human happiness, not exposed to the miseries
and hardships, the labour and sufferings of the mechanic part of mankind, and not embarrassed with the pride,
luxury, ambition and envy of the upper part of mankind...". Actually, the story begins with an act of disobedience
which, according to the Puritan view of life, implies God's punishment (the storm and the shipwreck), followed by
repentance and salvation through God's mercy, with Robinson's final return to England and economic success. What
Robinson has in common with the classical heroes of travel literature is his restlessness, the search for his own
identity in alternative to the model provided by his father. The island The best known part is the life on the desert
island where Robinson shows all the features that make him the champion of the values of the middle class: in a
situation which looks desperate and helpless, he finds a way not only to survive but to re-create on the island a
primitive empire, thus becoming the prototype of the English colonizer. His stay on the island is not seen as a return
to Nature, but as a chance to exploit and dominate Nature. The island is the ideal place for Robinson to prove his
qualities, to demonstrate that he deserved to be saved by God's Providence. The individual and society The hero's
life on the island puts forward the issue of the relationship between individual and society, between the private and
the public spheres. Defoe shows that though God is the prime cause of everything, the individual can shape his
destiny trough action. Man can overcome doubt and modify reality though his work and through the interpretation
of his achievements in the light of the Bible and God's will. Robinson has a pragmatic and individualistic outlook. He
applies a rational method to every situation. The style Defoe concentrates his description on the primary qualities of
objects, especially solidity, extension and number, rather than on the secondary ones (colour, texture, flavour). The
languages is simple, matter of fact and concrete to reinforce the impression of reality conveyed by the first-person
narration. A spiritual autobiography Robinson Crusoe is full of religious references to God, sin, Providence, salvation.
The novel can be read as a spiritual autobiography where the hero reads the Bible to find comfort and guidance,
experiences the constant conflict between good and evil, keeps a diary to record events to see God's will in them.
Robinson prays God to be freed from sin rather than to be rescued from the island.
Robinson Crusoe, is a novel by Daniel Defoe. First published in 1719, it is considered to be the first novel in English.
The book is a fictional autobiography of the title character—a castaway who spends 28 years on a remote tropical
island near Venezuela.The story was likely influenced by the real-life Alexander Selkirk, a Scottish castaway who lived
four years on the Pacific island called Más a Tierra (in 1966 its name was changed to Robinson Crusoe Island), Chile.
However, the details of Crusoe's island were probably based on the Caribbean island of Tobago, since that island lies
a short distance north of the Venezuelan coast near the mouth of the Orinoco river, and in sight of the island of
Trinidad. Crusoe (the family name transcribed from the German name Kreutznaer or Kreutznär) sets sail from the
Queen's Dock in Hull on a sea voyage in September 1651, against the wishes of his parents, who want him to stay
home and assume a career in law. After a tumultuous journey that sees his ship wrecked by a vicious storm, his lust
for the sea remains so strong that he sets out to sea again. This journey too ends in disaster as the ship is taken over
by Salé pirates, and Crusoe becomes the slave of a Moor. After two years of slavery, he manages to escape with a
boat and a boy named Xury; later, Crusoe is befriended by the Captain of a Portuguese ship off the western coast of
Africa. The ship is en route to Brazil. There, with the help of the captain, Crusoe becomes owner of a plantation.
Years later, he joins an expedition to bring slaves from Africa, but he is shipwrecked in a storm about forty miles out
to sea on an island (which he calls the Island of Despair) near the mouth of the Orinoco river on September 30, 1659.
His companions all die. Having overcome his despair, he fetches arms, tools, and other supplies from the ship before
it breaks apart and sinks. He proceeds to build a fenced-in habitation near a cave which he excavates himself. He
keeps a calendar by making marks in a wooden cross built by himself, hunts, grows corn and rice, raises goats and
adopts a small parrot. He reads the Bible and suddenly becomes religious, thanking God for his fate in which nothing
is missing but society. Years later, he discovers native cannibals who occasionally visit the island to kill and eat
prisoners. At first he plans to kill them for committing an abomination, but later realizes that he has no right to do so
as the cannibals do not knowingly commit a crime. He dreams of obtaining one or two servants by freeing some
prisoners; and indeed, when a prisoner manages to escape, Crusoe helps him, naming his new companion Friday
after the day of the week he appeared. Crusoe then teaches him English and converts him to Christianity.After
another party of natives arrives to partake in a cannibal feast, Crusoe and Friday manage to kill most of the natives
and save two of the prisoners. One is Friday's father and the other is a Spaniard, who informs Crusoe that there are
other Spaniards shipwrecked on the mainland. A plan is devised wherein the Spaniard would return with Friday's
father to the mainland and bring back the others, build a ship, and sail to a Spanish port. Before the Spaniards
return, an English ship appears; mutineers have taken control of the ship and intend to maroon their former captain
on the island. Crusoe and the ship's captain strike a deal, in which he helps the captain and the loyalist sailors retake
the ship from the mutineers, whereupon they intend to leave the worst of the mutineers on the island. Before they
leave for England, Crusoe shows the former mutineers how he lived on the island, and states that there will be more
men coming. Crusoe leaves the island December 19, 1686, and arrives back in England June 11, 1687 having been
away for thirty-five years. He and his man Friday had many adventures afterwards. He married and he had 3
children, but then his wife died. One of his friends came from a successful voyage, and he persuaded Robinson to go
in his ship to the East Indies.

Reception and sequels


Plaque in Queen's Gardens, Hull – the former Queen's Dock from which Crusoe sailed – showing him on his island.
The book was published on April 25, 1719. The positive reception was immediate and universal. Before the end of
the year, this first volume had run through four editions. Within years, it had reached an audience as wide as any
book ever written in English.By the end of the 19th century, no book in the history of Western literature had
spawned more editions, spin-offs, and translations (even into languages such as Inuit, Coptic, and Maltese) than
Robinson Crusoe, with more than 700 such alternative versions, including children's versions with mainly pictures
and no text.The term Robinsonade has been coined to describe the genre of stories similar to Robinson
Crusoe.Defoe went on to write a lesser-known sequel, The Farther Adventures of Robinson Crusoe. It was intended
to be the last part of his stories, according to the original title-page of its first edition, but in fact a third part, entitled
Serious Reflections of Robinson Crusoe, was written; it is a mostly forgotten series of moral essays with Crusoe's
name attached to give interest.
Moral
When confronted with the cannibals, Crusoe wrestles with the problem of cultural relativism. Despite his disgust, he
feels unjustified in holding the natives morally responsible for a practice so deeply ingrained in their culture.
Nevertheless he retains his belief in an absolute standard of morality; he regards cannibalism as a 'national crime'
and forbids Friday from practicing it. Modern readers may also note that despite Crusoe's apparently superior
morality, in common with the culture of his day, he uncritically accepts the institution of slavery.
Economic
In classical and neoclassical economics, Crusoe is regularly used to illustrate the theory of production and choice in
the absence of trade, money and prices.Crusoe must allocate effort between production and leisure, and must
choose between alternative production possibilities to meet his needs. The arrival of Friday is then used to illustrate
the possibility of, and gains from, trade.The classical treatment of the Crusoe economy has been discussed and
criticised from a variety of perspectives.Karl Marx made an analysis of Crusoe, while also mocking the heavy use in
classical economics of the fictional story, in his classic work Capital. In Marxist terms, Crusoe's experiences on the
island represents the inherent economic value of labour over capital. Crusoe frequently observes that the money he
salvaged from the ship is worthless on the island, especially when compared to his tools.For the literary critic Angus
Ross, Defoe's point is that money has no intrinsic value and is only valuable insofar as it can be used in trade. There is
also a notable correlation between Crusoe's spiritual and financial development as the novel progresses, possibly
signifying Defoe's belief in the Protestant work ethic.The Crusoe model has also been assessed from the perspectives
of feminism and Austrian economics.
Il “Candide” di Voltaire, riassunto e spiegazione
Introduzione al testo
François-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire (1694-1778), scrive una delle sue opere più note, il Candide, o
dell’ottimismo, nel 1759; la circostanza storica determinante è il devastante terremoto di Lisbonadel 1 novembre
1755 1, che ha già ispirato al filosofo il Poema sul disastro di Lisbona (1756).Nel Candido, con acuta ironia, Voltaire
riblata le teorie ottimistiche di stampo metafisico sulla vita umana. In particolare è presa di mira la concezione del
filosofo tedesco Gottfried Leibniz (1646-1716) e la sua “monadologia”, secondo cui la divina bontà sceglie sempre la
migliore combinazione possibile tra le infinite combinazioni delle monadi, che sono le sostanze costitutive del
mondo. Il Candide, a metà strada tra un racconto filosofico e un romanzo di viaggio e di formazione, vuole appunto
criticare, secondo i principi della ragione illuministica, la massima ottimistica per cui “tutto è bene”.
Riassunto della trama
Candido è un giovane piuttosto ingenuo e buono di cuore che vive in Vestfalia nel castello del barone Thunder-Ten
Tronckht; il ragazzo compie i suoi studi con la bella figlia del barone, Cunegonda, sotto le cure del precettore
Pangloss, fedele discepolo di Leibniz (dal greco pan, “tutto” e glossa, “lingua”) che insegna ai due giovani la dottrina
per cui tutte le cose del mondo reale vanno “nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibili”. Mentre
Candido nutre un amore puramente platonico per Cunegonda, la ragazza prende l’iniziativa baciando il protagonista
dietro un paravento, dopo aver visto Pangloss intrattenersi con una serva del castello dietro un cespuglio.
Sfortunatamente, il barone scopre i due giovani e, accusando Candido d’aver sedotto sua figlia, lo caccia in malo
modo dalle sue proprietà.
Il giovane inizia dunque a peregrinare per il mondo: è prima arruolato a forza nell’esercito di Federico II di Prussia
(1712-1786) e poi coinvolto nella guerra tra Bulgari e Avari (dietro cui Voltaire allude alle guerre tra Prussia e
Francia). Il castello del barone viene raso al suolo, e la bella Cunegonda è data per morta. Candido fugge in Olanda,
ospitato da un medico anabattista buono e tollerante; qui ritrova Pangloss, sfigurato dalla sifilide, con il quale si
imbarca per Lisbona. La nave fa tuttavia naufragio (in cui l’anabattista muore). A Lisbona, dopo il drammatico
terremoto, scende i campo la Santa Inquisizione, alla ricerca di alcuni capri espiatori per la tragedia appena
verificatasi: Pangloss viene condannato all’impiccagione, mentre Candido è torturato con la fustigazione. Il giovane
viene però salvato provvidenzialmente da una vecchia, che in realtà agisce per conto di Cunegonda; la ragazza infatti
è ancora viva e si trova a Lisbona contesa tra un ebreo, don Issacar, e il gran Inquisitore. Dopo che Candido ha ucciso
i due rivali, i protagonisti e la vecchia fuggono verso Cadice, da dove si imbarcano alla volta del Paraguay.
Dopo che il viaggio è stato occupato dal racconto della vecchia su tutte le violenze ed i soprusi che ha sofferto nella
sua vita (tanto che Candido inizia a nutrire qualche dubbio sugli insegnamenti del maestro Pangloss), i guai non sono
finiti: Cunegonda infatti diventa l’amante del governatore di Buenos Aires, ma Candido deve fuggire nuovamente per
evitare nuove persecuzioni a causa dell’omicidio del gran Inquisitore. Il giovane scappa con un fedele meticcio
spagnolo, Cacambo, e incontra il baronetto, fratello di Cunegonda, anch’egli miracolosamente sfuggito al massacro
degli abitanti del castello. Appreso che il protagonista, di rango sociale inferiore, vuole sposare sua sorella
Cunegonda, il baronetto si oppone per non compromettere il prestigio di famiglia; nel litigio che ne nasce, Candido lo
uccide. Travestitisi da gesuiti, Candido e Cacambo vengono rapiti da una tribù di cannibali in guerra contro l’ordine
religioso, ma riescono a salvarsi all’ultimo momento. I due giungono così alla mitica città di Eldorado, regno della
felicità sulla Terra: qui infatti non esistono il denaro (l’oro scorre a fiumi al punto che i suoi abitanti non lo tengono
per nulla in considerazione), la religione, il potere e le guerre. Candido e Cacambo, tuttavia, abbandonano questo
paradiso terrestre per riscattare, con tutto l’oro che hanno accumulato, la mano di Cunegonda. Dopo aver ascoltato
da un uomo di colore mutilato una storia sullo schiavismo nelle colonie (che permette agli europei benestanti di
vivere tra le ricchezze), Candido incarica Cacambo di recuperare Cunegonda, ma è derubato dei suoi beni. Parte
dunque per Venezia con Martino, un filosofo manicheo pessimista e dalla vita assai sfortunata, che rappresenta
l’antitesi di Pangloss. Dopo aver visitato Parigi, dove cade ammalato e viene derubato da un abate, e l’Inghilterra,
che lasciano in lui la sconsolata testimonianza dei numerosi vizi umani (il fanatismo, il gioco, la stupidità), Candido si
reca a Venezia per incontrare Cacambo e Cunegonda, ma non trova nessuno. Martino lo convince dell’infedeltà di un
servitore a cui vengono affidate grandi ricchezze e Candido, più conosce gli uomini (anche di rango sociale elevato),
più si convince del fatto che la felicità perfetta non esiste.
Candido incontra nuovamente Cacambo, ridotto a schiavitù, e s’imbarca con lui e Martino per Costantinopoli per
sposare Cunegonda, che è tenuta prigioniera a Costantinopoli e sebbene questa, come gli confessa Cacambo, abbia
perso in bellezza e personalità. Sulla nave incontrano Pangloss, scampato alla morte ma divenuto schiavo rematore,
e lo liberano assieme a Cunegonda, pagandola a caro prezzo al suo padrone. A Costantinopoli si riuniscono così tutti i
personaggi del romanzo; Candido, disilluso ma non sconfitto, si ritira con loro in una fattoria, dove, anziché
filosofare, può dedicarsi al lavoro nel suo “orto”.

Tematiche principali
Il rifiuto della metafisica e il rapporto con l’Illuminismo
Il Candide di Voltaire si fa testimone di quella sfiducia laica e razionalenei confronti dei progetti e nei disegni
provvidenziali della metafisica, soprattutto di quelli di stampo religioso. In questo senso, il Candide si fa portatore
dell’ideale dell’Illuminismo di combattere l’ignoranza e di smontare le filosofie fondate su dogmi e principi di
autorità, come quella di Pangloss. Il rifiuto dell’ottimismo più semplice e scontato è una diretta conseguenza di
un’osservazione non cieca del “migliore dei mondi possibili”, che nel romanzo è invece attraversato da soprusi,
violenze e tragedie di ogni tipo e natura, di cui il terremoto di Lisbona è solo una delle manifestazioni più eclatanti.
L’ironia sarcastica di Voltaire, frutto della libero esercizio della ragione e della progressiva secolarizzazione del
sapere, è allora los trumento con cui fare emergere le contraddizioni e le ingiustizie profonde di un mondo che
appare perfetto; lo stesso concetto di progresso - dopo tutte le esperienze di Candido - sembra messo in dubbio
poiché, come spiega il manicheo Martino, l’universo è diviso in Bene e Male, e la Terra è dominata dal secondo
principio. La felicità umana sembra allora un’utopia, che nessuno riesce concretamente a realizzare, mentre il male,
fisico e morale, regna ovunque, tanto che “la storia è un seguito di inutili atrocità”.
A questo quadro sconfortante, l’illuminista Voltaire pare voler opporre due valori, anch’essi tipici della cultura
dei philosophes: la tolleranza e la rivalutazione del sapere pratico e del lavoro concreto. Da un lato, durante i suoi
viaggi, Candido scopre un gran numero di violenze dell’uomo su altri esseri umani (donne, schiavi di colore, fedeli di
un altra religione, nemici in guerra), tanto che sono due le figure che spiccano per contrasto, in quanto incarnano
valori di rispetto per l’altro: il medico anabattista e il manicheo Martino. Per quanto riguarda l’altro aspetto, nel
trentesimo e ultimo capitolo del romanzo, Candido approva la filosofia di Martino di “lavorare ciascuno il proprio
orto”; l’operosità e l’impegno concreto si contrappongono alle speculazioni astratte ed alle illusioni di felicità, come
afferma il protagonista nel finale rispondendo a Pangloss:
Pangloss talvolta diceva a Candido: “In questo migliore dei mondi possibili, tutti i fatti son connessi fra loro. Tanto è
vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amor di madamigella
Cunegonda, se non foste capitato sotto l’Inquisizione, se non aveste corso l’America a piedi, se non aveste infilzato il
Barone, se non aveste perso tutte le pecore del bel paese di Eldorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi
e pistacchi”.
“Voi dite bene”, rispondeva Candido; “ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto”.
1
Il terremoto, la cui intensità è stata stimata tra 8,7 e 9,0 della scala Richter causò tra i 60mila e i 90mila morti -
quando la popolazione della città si attestava sui 150mila abitanti - e un’onda di tsunami di circa 15 metri. Fu un
evento che colpì in maniera profonda la mentalità e la riflessione filosofica dell’intero Settecento.
Il romanzo di Voltaire Candide ou l’optimisme (Candido o l’ottimismo) apparve anonimo all’inizio del 1759, come
traduzione dal tedesco del “Signor dottor Ralph” ed ebbe subito grande fortuna: contò tredici edizioni nello stesso
anno di pubblicazione, stimolate anche dallo scandalo suscitato (il libro poco dopo l’uscita fu posto all’Indice dei libri
proibitidalla Chiesa). Il romanzo si compone di trenta brevi capitoli e presenta una rapida struttura lineare, scandita
dalle tappe del viaggio di Candido, il protagonista.
Riassunto della trama – Nel castello di Thunder-ten-tronckh vivono felici Candido, madamigella Cunegonda, figlia del
barone, e Pangloss, insegnante di «metafisico-teologo-cosmoscemologia» e convinto dall’inizio alla fine che
«siccome tutto è creato per un fine, tutto è necessariamente per il migliore dei fini».
Cunegonda, scoperto Pangloss tra i cespugli con Paquette, la cameriera, ne imita subito l’esperienza abbracciando
Candido dietro un paravento. Sorpresi dal signor barone, Candido è cacciato a pedate nel sedere dal migliore dei
castelli possibili.Incominciano così le peregrinazioni di Candido, che passerà attraverso una serie impressionante di
disavventure, prima fra tutte l’esperienza della guerra.Nel suo viaggio Candido è accompagnato da Pangloss, che
sfuggito alla distruzione del castello ma non alla sifilide che lo sfigura, trova sempre il modo di giustificare i mali suoi
e del mondo come «cosa indispensabile nel migliore dei mondi».In rapida successione, il viaggio di Candido lo porta
a sperimentare catastrofi naturali (la tempesta, il terremoto di Lisbona) e persecuzioni umane (l’inquisizione). A
Lisbona Candido incontra una vecchia che lo conduce da Cunegonda. Questa, come Candido, ha vissuto la sua parte
di peripezie, dallo stupro alla vendita a un banchiere ebreo.Insieme a Cunegonda e alla vecchia (Pangloss nel
frattempo è stato impiccato dall’Inquisizione), Candido s’imbarca a Cadice per il Paraguay. Durante il viaggio, la
vecchia racconta la sua vita, le barbarie e le violenze subite.A Buenos Aires Candido viene separato ancora una volta
da Cunegonda e, guidato dal servo Cacambò, passa dal regno dei gesuiti, viene catturato da una tribù di antropofagi,
riesce a sfuggire alla pentola e, dopo tante sventure, finalmente giunge nel paese dell’Eldorado, il regno della felicità.
Qui Candidio e Cacambò passano di meraviglia in meraviglia, ma dopo un mese, pur felici decidono di «non più
esserlo» e ripartono alla ricerca di Cunegonda.Candido, incaricato Cacambò di riscattare Cunegonda, dà a questi
appuntamento a Venezia. Disperato per la malvagità umana cerca come compagno di viaggio il più infelice uomo
della regione. Entra così in scena Martin, il filosofo pessimista, tutto l’opposto di Pangloss.
Dopo altre istruttive esperienze fatte a Parigi e in Inghilterra, Candido giunge a Venezia. Qui non ritrova Cunegonda
ma Paquette, la vecchia amante di Pangloss, divenuta prostituta. Quando viene raggiunto da Cacambò, ridotto in
schiavitù e senza Cunegonda, insieme a questi e a Martin, Candido si imbarca per Costantinopoli, dove Cunegonda è
divenuta schiava di un avventuriero.Sulla nave Candido riconosce, in due forzati incatenati ai remi, il fratello di
Cunegonda e il filosofo Pangloss. Pangloss era stato male impiccato e, ritenuto morto, venduto a un chirurgo per
essere sezionato ma, alla prima incisione di questi, cacciato un urlo si era risvegliato.
Li riscatta entrambi e tutti quanti giungono in Turchia, dove sulle rive della Propontide, trovano Cunegonda brutta e
invecchiata. Candido la libera e pur controvoglia la sposa (ma prima ha riconsegnato alla galera il fratello di lei
perché si opponeva al matrimonio).Insieme al resto della compagnia, Candido si stabilisce in una piccola fattoria. Qui
solo Cacambò è spossato dal lavoro, gli altri non fanno altro che ragionare e si annoiano a morte.Intanto a
Costantinopoli si succedono colpi di stato e congiure di palazzo. Candido, Pangloss e Martin, più insoddisfatti che
mai, decidono di consultare un derviscio, cioè un membro di una confraternita musulmana, per trovare una risposta
al problema del male e al senso della vita. La risposta del derviscio è un invito perentorio al silenzio («Che cosa
bisogna fare allora? disse Pangloss. Tacere, disse il dervì»), a rinunciare a porsi i problemi insolubili.Delusi dal
derviscio, essi trovano una soluzione nella saggezza pratica di un vecchio contadino che i tre incontrano sulla via del
ritorno e che li accoglie nella propria casa: «Non posseggo che venti jugeri […] li coltivo coi miei figli; il lavoro ci tiene
lontani tre grandi mali: la noia, il vizio e la miseria». Queste parole sembrano mettere tutti d’accordo, compresi
l’ottimista Pangloss e il suo antagonista, il pessimista Martin, il che spinge Candido e tutta la compagnia a “coltivare
il proprio orto”.
Analisi del Candido di Voltaire – Il romanzo trova la sua origine in un evento che scosse profondamente l’opinione
pubblica del tempo: il terribile terremoto che il 1° novembre 1755 distrusse la città di Lisbona, causando migliaia di
morti. La catastrofe contribuì a dare un duro colpo all’ottimismo metafisico di matrice leibniziana.
L’obiettivo polemico del Candido è proprio l’infondato ottimismo della teodicea leibniziana, secondo cui Dio ha
creato «il migliore dei mondi possibili».
La tesi di Leibniz non viene confutata con argomenti filosofici, ma ricorrendo alla beffa e al sarcasmo, attraverso il
racconto delle molteplici, tragicomiche peripezie che il giovane protagonista del romanzo è costretto ad affrontare e
che contribuiscono a evidenziare quanto l’umanità sia miserabile e priva di possibilità di riscatto. Eppure, Candido è
pronto ogni volta a illudersi che tutto stia andando per il meglio. L’ingenuo ottimismo del protagonista è rafforzato
dalle lezioni del precettore Pangloss, che «dimostrava in modo mirabile» che nel mondo «tutto è bene» e nessun
male viene per nuocere.
La soluzione di Voltaire all’antica questione del male giunge al termine del romanzo: le due risposte, quella del
derviscio e quella del contadino, il silenzio e il lavoro, sono in un certo senso complementari. Alla ragione filosofica è
opposta la ragione pratica. Non si tratta tanto di agire senza pensare, o ancora meno di rinunciare ad agire, ma di
agire per cominciare a pensare diverso. Lamentarsi non risolve i problemi, bisogna invece agire iniziando dal “proprio
orto” per poi spostare l’impegno nelle battaglie civili (Trattato sulla tollerenza). Solo attraverso il lavoro concreto,
l’impegno pratico e la coerenza tra pensiero, parola e fatti, lontani da ogni vana retorica o presunzione di verità, è
possibile ristabilire un senso possibile all’esistenza umana.
CANDIDO, OVVERO L’OTTIMISMO DI VOLTAIRE RIASSUNTO - Riassumi in modo estremamente sintetico: a) la
“storia” di cui Candido è protagonista, b) la tesi che Voltaire intende dimostrare per mezzo della storia. Nel romanzo
filosofico più significativo di Voltaire sono narrate le disavventure di Candido, un giovane ingenuo e sprovveduto che
vive a corte presso il barone di Thunder-ten-tronckh in Vestfalia ed è innamorato della di lui figlia diciassettenne
Cunégonde. Candido ha come precettore il filosofo Pangloss (il tutto lingua), il “più grande filosofo della provincia e
per conseguenza di tutta la terra”, convinto assertore della teoria leibniziana per cui Dio ha scelto il “migliore dei
mondi possibili” e ogni male è tale solo per noi, ma non nell’economia del tutto.
CANDIDO DI VOLTAIRE RIASSUNTO DETTAGLIATO - Scoperto insieme a Cunégonde, Candido viene scacciato dal
castello ed iniziano così le sue numerose peripezie che, nel vederlo protagonista di enormi sofferenze personali e
portato a contatto con realtà drammatiche e disgrazie di ogni genere (guerra con tutte le assurde carneficine, la
catastrofe del terremoto, la persecuzione dell’Inquisizione, le malattie, la schiavitù, la morte e l’infelicità quotidiana
di tutti gli uomini), in numerosi luoghi del mondo (Olanda, Portogallo, America del Sud, Francia, Inghilterra, Venezia,
Turchia), si concludono con la ricongiunzione a Pangloss e con quel matrimonio a lungo e sopra ogni cosa sospirato
con Cunégonde, divenuta ormai vecchia ed orrendamente brutta. Alla fine del romanzo Voltaire riesce a dimostrare
che la filosofia dell’ottimismo metafisico è un’assurdità, come pure la pretesa umana di raggiungere verità assolute
in un mondo che non è né il migliore né il peggiore dei mondi possibili, in cui gli avvenimenti non hanno finalità
alcuna ma dove invece tutto è relativo e suscettibile di miglioramento solo ad opera dell’uomo.

CANDIDO DI VOLTAIRE RIASSUNTO BREVE - Indica i temi del testo che riflettono le preoccupazioni dell’epoca
illuminista. Il tema verso il quale Voltaire sembra esprimere la massima preoccupazione è quello dell’ intolleranza,
sia religiosa sia politica, che genera conflitti, guerre ed inutili massacri, ingiustizie, in quelle situazioni ed in quei
momenti storici in cui governanti e rappresentanti della Chiesasembrano smarrire la ragione.
Il valore della tolleranza deve quindi rappresentare un atteggiamento attivo contro ogni forma di irrazionale
fanatismo (inteso quale difesa a priori del dogma), superstizione e pregiudizio – che prende le sembianze della
Chiesa cattolica, arrogante istituzione temporale che limita la libertà di pensiero dell’uomo, e dell’Inquisizione,
tremendo strumento istituito dalla Chiesa a difesa dei suoi dogmi-, per evitare le ingiustizie e consentire il vero
progresso dell’umanità, che è rappresentato non dai successi in guerra ma dall’incremento del benessere dei popoli.

CANDIDO DI VOLTAIRE RIASSUNTO PER CAPITOLI - Voltaire affronta, sia pure brevemente, anche il tema
della schiavitù, tratteggiando efficacemente la crudeltà di quella condizione, giudicando inequivocabilmente ingiusto
lo sfruttamento a fini economici di esseri umani.
3) Commenta le parole finali di Martin e Candide nell'ultima pagina del romanzo dove, denunciando l'amara
condizione umana, Voltaire propone come unica soluzione la filosofia del "giardino", cioè il silenzio e il lavoro.
Candide sperimenta su se stesso l'infelicità della vita e comprende quindi la necessità di affrontarla con
rassegnazione, senza porsi troppe domande ed occupandosi del proprio particolare. Gli suggerisce infatti il
pessimista filosofo Martin : "lavoriamo senza ragionare...è l'unico modo di rendere la vita tollerabile". E quando alla
fine Pangloss insiste ancora sulla bontà della tesi filosofica secondo cui tutti gli eventi sarebbero concatenati nel
migliore dei mondi possibili, sostenendo in particolare che le disavventure accadute a Candide sarebbero state le
premesse del suo benessere finale, il protagonista, ormai disilluso, ripete e resta convinto del fatto che "bisogna
coltivare il proprio giardino". Ciò significa che l'uomo può sopportare i dolori della propria esistenza e le malvagità
del mondo solo rifugiandosi nella propria dimensione personale, nobilitandosi attraverso il lavoro che gli sia
congeniale, affrontando solo quei problemi ai quali sia in grado di dare concreta soluzione. Infatti, mentre le
grandezze, anche quelle dei re, sono pericolose, il lavoro tiene lontani tre grandi mali: la noia, il vizio e la miseria. 4)
Quale interesse può avere per un uomo del nostro tempo la lettura di Candide? Si tratta di un'opera in cui Voltaire
riesce ancora oggi a trasmettere messaggi di estrema modernità. Anzitutto perché, pur ammettendo l'esistenza di
Dio quale autore del mondo, sostiene nella sua visione illuministica che l'uomo è guidato dalla razionalità nella
soluzione dei propri problemi esistenziali, preannunciando l'importanza che essa ha poi avuto nel progresso
scientifico e tecnologico dell'umanità. L'uomo è inoltre libero nel determinarsi riguardo alle proprie scelte morali, e
quindi nello sforzo di orientarsi verso il bene per realizzare i valori della giustizia e del reciproco rispetto che
favoriscono l'integrazione e la fratellanza. Dal che discendono le aspre e sempre attuali critiche di Voltaire alle guerre
ed alla schiavitù. Anche l'amara constatazione di Candide che quasi nessun uomo "è ignaro d'affanni" ben può essere
calata nei nostri tempi, in cui quotidianamente gli uomini che vivono nelle società avanzate sono afflitti
prevalentemente da disagi e mali interiori, mentre le popolazioni dei paesi meno avanzati soffrono per la fame e le
malattie fisiche. Infine la famosa morale del "coltivare il nostro orto" viene ancora oggi condivisa e praticata da
coloro (e non sono pochi) i quali conducono la propria esistenza in una dimensione prevalentemente individualistica,
sfuggendo alla solidarietà verso gli altri ed agli impegni della convivenza sociale.
Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo: riassunto dell’opera
5'
La vicenda del Gattopardo è ambientata in Sicilia e prende avvio nel 1860, nel momento del collasso del Regno dei
Borboni. Don Fabrizio, principe di Salina e proprietario terriero di una tenuta vicino Palermo 1, è il classico
rappresentante della ceto aristocratico, ovvero di quella classe sociale che sta assistendo impassibile al proprio
inesorabile declino. La vicenda si apre infatti nel maggio di quell’anno, durante la spedizione dei Mille: il principe
Salina saluta con scetticismo e malcelato disprezzo l’arrivo delle truppe di Garibaldi, che consegneranno il potere ai
Savoia e che segnano la fine di un’epoca e la rapida ascesa della classe borghese. Se Don Fabrizio contempla con
disincanto questo passaggio storico, suo nipote, Tancredi Falconeri, esponente di una gioventù più dinamica e
cinicaal tempo stesso, si arruola volontario tra le fila dell’esercito sabaudo. Quando lo zio esprime delle riserve in
merito, Tancredi risponde con la celebre frase:
I temi del "Decameron" di Boccaccio: Fortuna, Amore e Ingegno
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Questo motto - emblema del trasformismo politico e appunto dell’abitudine gattopardesca della classe politica -
spiega da subito che, di fronte al cambiamento epocale che sta per avvenire, Tancredi incarna l’abilità della vecchia
classe dirigente nel conservare i propri privilegi, sfruttando le nuove opportunità della modernità. Se infatti Don
Fabrizio (intellettuale colto ed appassionato di astronomia) può solo rammaricarsi della scalata sociale dei borghesi,
che egli considera alla stregua di parvenus, Tancredi si innamora della bellissima Angelica, figlia di Don Calogero
Sedara, un mezzadro rapidamente arricchitosi e divenuto sindaco di Donnafugata, residenza estiva dei Salina. Qui la
scena si sposta nel mese di agosto, quando, benché Don Calogero sfoggi già la fascia tricolore, Don Fabrizio si illude
dell’immutabilità della Storia. A smuovere queste sue convinzioni arriva la passione amorosa tra i due giovani.
Questo legame, pur fondato su una bruciante passione, è anche funzionale alla conservazione del potere dei Salina:
Tancredi (che non dispone di grandi beni personali) troverà nelle ricchezze della famiglia Sedara un ottimo
strumento per coltivare le proprie ambizioni politiche. Simbolicamente, la loro unione segna il tramonto dei
Salina: Concetta, figlia di Don Fabrizio ed innamorata di Tancredi, vedrà deluse tutte le proprie aspettative. In effetti,
Tancredi ed Angelica si assomigliano molto: sono giovani e belli, esponenti rampanti di una nuova società in cui
passione e calcolo si sposano alla perfezione.
Emblematica la scena in cui Don Fabrizio, assecondando i desideri del nipote, chiede per lui in sposa Angelica: il
discorso di Don Calogero Sedara, aprendosi con un iniziale elogio della potenza dell’amore, passa a più venali
considerazioni economiche circa la dote della figlia. Al trionfo di Tancredi, che fa rapida carriera nell’esercito
regolare e gode dell’amore di Angelica (celebre la scena del loro inseguimento nel palazzo di Donnafugata), fa da
contraltare l’immobilismo, voluto e distaccato al tempo stesso, del principe Salina. Quando il cavaliere piemontese
Aimone de Chevalley, segretario della prefettura, esponente del parlamento sabaudo gli offre la nomina regia a
senatore (e quindi l’ingresso nella “nuova” Italia unita), Don Fabrizio rinuncia, indicando Don Calogero al proprio
posto. Da questo incontro hanno origine le sue riflessioni sul “desiderio di immobilità voluttuosa” che
caratterizzerebbe l’animo siciliano e che, nel caso del protagonista, lo fa tendere, con piacere e dolore, al passato e
alla morte. Nonostante tutti i dubbi, il principe invita i concittadini a votare per l’annessione.
La vicenda si sposta per seguire il ritorno a casa di padre Pirrone, cappellano dei Salina ed esponente del clero
reazionario e conservatore del regno borbonico: questa parentesi è funzionale a rappresentare i cambiamenti storici
intervenuti nel Regno delle Due Sicilie in seguito al moto unitario. Al vento della Storia sembra sempre insensibile:
la narrazione delle vicende principali riprende con la descrizione di una futile e fastosa scena di ballo 2, che diventa
simbolo del desiderio sotterraneo di oblio e di morte del principe; Don Fabrizio, infatti, morirà nel 1883, in una
camera d’albergo di ritorno da un viaggio napoletano. Per il principe, la Morte ha le fattezze di una bellissima donna,
giovane e velata, vagheggiata da sempre. Nel frattempo, Tancredi è divenuto deputato.
Con uno stacco temporale di molti anni, l’ultima scena è ambientata nel 1910: le figlie di Don Fabrizio (Concetta,
Caterina e Carolina, tutte rimaste nubili) sono intente a rivendicare il valore delle mille reliquie false accumulate
nella cappella di famiglia, simbolo del potere ormai vuoto dei Salina. Dopo una visita del cardinale, tutto verrà
buttato tra i rifiuti. Subisce la stessa sorte anche la pelliccia del cane alano Bendicò, amico fedele di Don Fabrizio e
ultimo segno della decadenza dell’antica casata. Il romanzo si chiude con l’arrivo in automobile di Angelica, pronta a
organizzare i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della spedizione dei Mille.
1
Il gattopardo che dà il titolo al romanzo è appunto lo stemma araldico della casata dei Salina e compare anche su
quello dei Tomasi di Lampedusa. Dal punto di vista zoologico, si tratta di un servalo (Leptailurus serval) o gattopardo
africano, un felino selvatico di media corporatura (il maschio adulto pesa tra i 10 e i 18 chilogrammi), il
cui habitat prevalente è la savana.
2
Questa scena è diventata il simbolo del Gattopardo dopo il film di Luchino Visconti con Claudia Caridnale, Burt
Lancaster e Alain Delon del 1963.
Candido, ovvero l'ottimismo di Voltaire: riassunto dei capitoli
RIASSUNTO DI CANDIDO Il racconto si compone di 30 brevi capitoli e presenta una rapida struttura lineare, scandita
dalle tappe del viaggio del protagonista.
La narrazione si può dividere in 3 parti : cacciata dal castello e fuga di Candido verso il Nuovo Mondo , soggiorno
nell'Eldorado, ricerca di Cunegonda e ritorno nel Vecchio Mondo fino al giardino di Costantinopoli. CAPITOLO I : Nel
castello di Thunder-ten-tronckh vivono felici e beati Candido , madamigella Cunegonda, figlia del barone, e Pangloss,
insegnante di "metafisico-teologo-cosmoscemologia" e convinto dall'inizio alla fine che le cose non possono essere
in altro modo : perchè , siccome tutto é creato per un fine , tutto é necessariamente per il migliore dei fini .
Cunegonda, scoperto Pangloss tra i cespugli con la cameriera , ne imita subito l'esperienza abbracciando Candido
dietro un paravento.
Sorpresi dal signor Barone, Candido é cacciato a pedate nel sedere dal migliore dei castelli possibili. CAPITOLO II - III :
Candido si scontra subito con l'atrocità del mondo . Morto di fame e di stanchezza , é arruolato a forza tra i Bulgari e
costretto a suon di bastonate a fare gli esercizi militari della celebre armata di Federico II . La battaglia tra Avari
(Francesi) e Bulgari (Prussiani) é un'immane carneficina , benedetta dal canto del Te deum . Candido non trova
niente di meglio che fuggire scavalcando montagne di cadaveri , tra villaggi bruciati e membra palpitanti . Si rifugia in
Olanda dove sperimenta il fanatismo di un ugonotto e la pietà di un anabattista che lo accoglie e lo aiuta. Incontra
poi un pezzente sfigurato dalla sifilide. CAPITOLO IV : Il pezzente é Pangloss che , sopravvissuto alla distruzione del
castello operata dai soldati bulgari , trova tuttavia il coraggio di giustificare il suo male come cosa indispensabile nel
migliore dei mondi . I due si imbarcano insieme all'anabattista benefattore alla volta di Lisbona. CAPITOLO V - VI :
Descrizione di alcune catastrofi naturali : la tempesta, il naufragio e il terremoto. La tempesta uccide il buon
anabattista, mentre i malvagi si salvano. Il terribile terremoto di Lisbona miete 30000 vittime innocenti . Pangloss e
Candido finiscono nelle mani dell'Inquisizione che cerca eretici per esorcizzare la sciagura con un autodafè. Pangloss
é impiccato e Candido fustigato. Lo stesso giorno , la terra trema di nuovo. A Candido si avvicina misteriosamente
una vecchia. CAPITOLO VII - X : La vecchia conduce Candido da Cunegonda . Questa, violentata e sventrata dai
Bulgari, che avevano messo a ferro e a fuoco il castello, non era morta, come invece aveva raccontato Pangloss.
Venduta a un banchiere ebreo , che la divide con il grande Inquisitore, aveva assistito all'autodafè e , riconosciuto
Candido, se lo era fatto condurre a casa. Sorpreso dall'ebreo don Issacar e poi dall'Inquisitore , Candido uccide
entrambi. Cunegonda , la vecchia e Candido fuggono di gran carriera su tre cavalli andalusi. A Cadice si imbarcano su
una nave che trasporta truppe contro i gesuiti del Paraguay . Sulla nave si fa un gran discutere sul male e sulla
felicità. La vecchia principia il racconto della sua vita. CAPITOLO XI - XII : Tutti e due i capitoli sono occupati dalle
disgrazie della vecchia. Questa digressione consente a Voltaire di denunciare le violenze e le oscenità perpetrate
quotidianamente ai danni delle donne. Alla fine del tragico racconto della vecchia, Candido é sconcertato e vorrebbe
fosse presente il savio Pangloss , poichè si sente abbastanza forte per muovergli qualche rispettosa obiezione .
CAPITOLO XIII - XIV - XV : Arrivati a Buenos Aires , Cunegonda é accolta dal governatore , di cui diventa la favorita ,
ma Candido, perseguitato dalla giustizia, é costretto a fuggire. Guidato dal servo Cacambò , passa nel regno dei
gesuiti: Quel governo é cosa mirabile ... Los padres son tutto, i popoli niente . Candido ritrova qui il fratello di
Cunegonda . Ferito nell'orgoglio di casta appena il giovane manifesta l'intenzione di sposarne la sorella, egli colpisce
Candido. Questi lo ammazza e ne indossa gli abiti , fuggendo prima che sia scoperto il delitto. CAPITOLO XVI :
Candido in una bella prateria vede due scimmie inseguire due fanciulle nude . Preso da pietà , uccide gli animali ,
convinto di salvare la vita delle fanciulle, ma in realtà ne provoca la disperazione: ne ha ucciso gli amanti. Candido e
Cacambò si inoltrano nella foresta e qui, durante il sonno, sono catturati dagli Orecchioni in guerra con i gesuiti , che
hanno preso le loro terre. Stanno entrambi per finire in pentola, quando Cacambò convince la tribù che Candido non
solo non é gesuita, ma ne ha appena ucciso uno. Liberati, ricevono dagli indigeni ogni sorta di onore. CAPITOLO XVII -
XVIII : Affranti e affamati, dopo aver percorso montagne e precipizi, si abbandonano alla corrente di un fiume che li
porta tra rocce scoscese nel paese dell'Eldorado. E' il regno della felicità, dove non esistono denaro, nè violenza , nè
tribunali, nè preti. I due passano di meraviglia in meraviglia, ma dopo un mese , pur felici, decidono di non esserlo
più e di chieder licenza a sua maestà . Carichi di oro, essi ripartono alla ricerca di Cunegonda. CAPITOLO XIX : Candido
e Cacambò incontrano nella colonia olandese di Surinam un negro senza una mano e senza una gamba , mutilato
dallo sfruttamento dei proprietari bianchi di piantagione. A questo prezzo mangiate zucchero in Europa , esclama lo
schiavo denunciando i costi sociali del lusso europeo. Un mercante olandese deruba poi Candido, il quale si convince
che se tutto va bene, tutto va bene ad Eldorado, e non nel resto della terra . Candido, incaricato Cacambò di
riscattare Cunegonda, dà a questi appuntamento a Venezia. Disperato per la malvagità umana, cerca come
compagno di viaggio il più infelice uomo della regione. Entra così in scena Martin, il filosofo pessimista , tutto
l'opposto di Pangloss. CAPITOLO XX - XXI : Martin, durante il viaggio verso l'Europa, espone a Candido il suo
pessimismo manicheo , secondo cui esistono due princìpi , il bene e il male, Dio e il Diavolo che si contendono
l'universo; la terra è caduta sotto il dominio del male.
Subito si imbattono in una battaglia navale, dove trovano la morte centinaia di innocenti. CAPITOLO XXII - XXIII :
Candido desidera conoscere Parigi, ma resta deluso. Cade vittima dell'imbroglio di un abate che lo deruba. Si imbatte
nel fanatismo clericale, nella passione sfrenata del gioco, nella vacuità dei letterati. Raggiunge l'Inghilterra, ma non vi
sbarca nemmeno , disgustato dall'esecuzione dell'ammiraglio Byng, fucilato dagli Inglesi perchè ha commesso
l'errore di essere stato sconfitto dai Francesi. CAPITOLO XXIV - XXV : Candido a Venezia non ritrova Cunegonda, ma
Paquette, la vecchia amante di Pangloss, divenuta prostituta.
Trova anche la sazietà e il disgusto. Il senatore Procurante, ricco, intelligente, ha tutto, ma non é felice. Tutto lo
annoia. CAPITOLO XXVI - XXX : Candido e Martin incontrano sei monarchi spodestati . Anche i re , dunque , sono in
balìa del destino . Cacambò arriva a Venezia, ma é ridotto in schiavitù. I tre si imbarcano per Costantinopoli, dove
anche Cunegonda é divenuta schiava di un avventuriero. Sulla nave Candido riconosce in due forzati incatenati ai
remi il filosofo Pangloss. che era stato male impiccato, e il redivivo baronetto gesuita, fratello di Cunegonda. Candido
li riscatta entrambi e tutti quanti giungono in Turchia dove, sulle rive della Propontide , trovano Cunegonda, brutta e
invecchiata. Liberata, anch'ella, insieme alla vecchia, si stabilisce con il resto della compagnia in una piccola fattoria.
IL GATTOPARDO RIASSUNTO DEL LIBRO. Lo scontro tra il nuovo e il vecchio. Il Gattopardo è un romanzo storico
ispirato alla storia della famiglia dello scrittore, i Tomasi di Lampedusa, ed è ambientato nel Risorgimento, quando
realmente visse il bisnonno dell’autore, Giulio Fabrizio Tomasi, che viene chiamato nel romanzo principe Fabrizio
Salina. Siamo nel 1860, in Sicilia, e le vicende del libro iniziano proprio nel maggio dello stesso anno, durante la
spedizione dei Mille. Don Fabrizio, principe di Salina, è un aristocratico proprietario terriero di una tenuta vicino
Palermo e vede con impassibilità, disprezzo e scetticismo l’arrivo delle truppe garibaldine. Il cambiamento è in atto:
come sappiamo Garibaldi consegnerà il potere ai Savoia e sarà davvero la fine di un epoca. Se da un lato c’è Don
Fabrizio, dall’altro troviamo suo nipote, Tancredi Falconeri, che si arruola volontario tra le fila dell’esercito sabaudo.
Quando lo zio esprime delle riserve in merito, Tancredi risponde con la celebre frase: “Se vogliamo che tutto rimanga
com’è, bisogna che tutto cambi”. Tancredi rappresenta la novità: è giovane e ambizioso e adattato a tutti i
cambiamenti che si stanno verificando, primo fra tutti l’ascesa della nuova borghesia, tanto disprezzata da Don
Fabrizio. La scena dell’azione si sposta nel mese di agosto: Tancredi si innamora della bellissima Angelica, figlia di
Don Calogero Sedara, un mezzadro che si è velocemente arricchito ed è persino divenuto sindaco di Donnafugata,
residenza estiva dei Salina. L’amore e la passione tra i due giovani sono molto forti, ma lo è ancora di più il legame
che si sta andando a creare: Tancredi in fondo è legato ad una famiglia nobile, ma di suo non ha molto e stringendo
questa unione potrà trovare nelle ricchezze della famiglia Sedara un ottimo strumento per coltivare le proprie
ambizioni politiche. Intanto, Concetta, figlia di Don Fabrizio ed innamorata di Tancredi, rimarrà profondamente
delusa da questo legame amoroso. L’ambizione di Tancredi è il futuro, il non sapersi adattare di Don Fabrizio, invece,
è un atteggiamento legato al passato.
RIASSUNTO IL GATTOPARDO. Il ballo e il nuovo che avanza. Il principe di Salina, Don Fabrizio, è talmente ancorato
ai valori tradizionali della sua Sicilia che non accetta di buon grado tutte queste repentine trasformazioni e,
addirittura, quando il cavaliere piemontese Aimone de Chevalley, segretario della prefettura, esponente del
parlamento sabaudo gli offre la nomina regia a senatore, Don Fabrizio rinuncia, indicando Don Calogero al proprio
posto. Il Regno delle due Sicilie sta però attraversando una fase di cambiamento, e ciò è evidente anche nella famosa
scena del grande ballo nel palazzo dei Ponteleone. Il ballo infatti segna l'entrata nel mondo dell'antica nobiltà di
Angelica e della classe dei nuovi ricchi: ormai le barriere sono state abbattute dal denaro e dalle vicende
storiche. Don Fabrizio, però, incapace di muoversi verso il futuro, come molti altri siciliani del’epoca, morirà nel 1883
in una camera d’albergo di ritorno da un viaggio napoletano, mentre, nel frattempo, Tancredi è divenuto deputato.
IL GATTOPARDO RIASSUNTO DETTAGLIATO. Il ritorno all'immobilismo. Il romanzo si chiude molti anni più tardi, nel
1910: le figlie nubili di Don Fabrizio, Concetta, Caterina e Carolina sono preoccupate di salvare quel che resta di
prezioso del patrimonio nobiliare di famiglia e le ritroviamo intente a recuperare i loro cimeli, simbolo ormai della
decadenza dei Salina, come per esempio la pelliccia del cane alano Bendicò, amico fedele di Don Fabrizio. Tutto
quello che resta di questa famigli verrà buttato nei rifiuti e disperso per sempre. Il romanzo si chiude con l’arrivo in
automobile di Angelica, decisa ad organizzare i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della spedizione dei
Mille. La scena è in assoluto contrasto con quella precedente: il futuro si è concretizzato e lo possiamo notare nella
figura dei Angelica; il passato è perso e non resta che adattarsi alla nuova società. Ma forte è il senso della
decadenza: prendiamo la scritta sullo stemma di famiglia Tomasi, su cui poi si basa il titolo del libro, che recita: “Noi
fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi,
sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”. La citazione ben descrive l’atteggiamento della famiglia
Salina, che resterà ancorata e chiusa per sempre nell’illusione di un mondo che ormai è cambiato completamente.

Riassunto de "Il Gattopardo"


I garibaldini sono sbarcati in Sicilia. C'è fermento nell'isola: la nobiltà ha presentimenti di rovina, la borghesia
faccendiera si prepara ad appropriarsi delle sue spoglie. Don Fabrizio, principe di Salina, attende la rovina della
propria classe e della propria famiglia senza reagire: pur non amando il nuovo, sa che il vecchio non può sopravvivere
e non ha voglia di muovere un dito per salvarlo. Anzi, approva in cuor suo il nipote Tancredi, giovanotto
spregiudicato, convinto perché tutto rimanga com'è che bisogna che tutto cambi. Lascia che sposi la figlia di un furbo
arricchito, Calogero Sedara: Tancredi è povero e per rimanere dalla parte dei dominatori ha bisogno della sua ricca
dote. Ma quanto a sé, è un'altra faccenda: all'inviato di Torino che gli offre un seggio al Senato, Don Fabrizio
risponde proponendo in sua vece Calogero Sedara. Disincantato di tutto, attende soltanto la morte. La sua casata
non gli sopravviverà a lungo.
Il Gattopardo è un romanzo psicologico e decadente più che storico. Perché?
Non si può definire il Gattopardo un romanzo storico. Infatti, non compare alcun personaggio realmente esistito, e i
grandi avvenimenti reali (come l’impresa dei Mille) non compaiono se non in parte nelle parole dei personaggi. In
compenso, però, lo sfondo storico è troppo ben descritto per non essere rilevante. Inoltre vi sono elementi del
romanzo psicologico, in quanto la maggior parte degli avvenimenti vengono descritti attraverso il punto di vista di
Don Fabrizio, utilizzando sia il discorso indiretto (e quindi la focalizzazione zero) sia il discorso indiretto libero (e
quindi la focalizzazione interna). Per concludere, si può anche dire che il Gattopardo è un romanzo «decadente»,
perché la famiglia Salina durante tutto il romanzo va sempre perdendo il suo prestigio, fino a perderlo del tutto dopo
la morte del Principe, quando la famiglia rimane in mano alle tre figlie zitelle. E la caduta della famiglia Salina
rappresenta la caduta di un intero ceto, e la salita al potere della borghesia. Oltre a questo, è decadente l’idea che il
Principe ha della Sicilia e dei Siciliani che esprime durante il dialogo con Chevalley: la Sicilia è destinata a rimanere
così com’è, senza che in essa si possano verificare cambiamenti. Il Principe esprime tutta la decadenza che aleggia
nel romanzo in una sola frase: «Tutto questo non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il sempre umano,
beninteso, un secolo, due secoli...; e dopo sarà diverso, ma peggiore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci
sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il
sale della terra»
In quante parti è diviso il testo? Fai una breve sintesi di ogni parte
Il testo è diviso in 8 parti, a loro volta suddivisi in vari paragrafi
Parte I (Maggio 1860): si comincia con la presentazione di Don Fabrizio e del periodo in cui è ambientato il romanzo.
Ci sono i primi indizi di una nobiltà in decadenza e di una borghesia in ascesa. La notizia dello sbarco di Garibaldi
arriva al palazzo del Principe e Tancredi, il nipote, capisce che le forze che un tempo dominavano la vita devono
adeguarsi al nuovo corso politico e sociale, se vogliono evitare gli esiti rivoluzionari. Bisogna insomma cambiare le
apparenze per lasciare immutati i rapporti di «sfruttamento» tra padrone e servo, oppure «se vogliamo che tutto
rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».
Parte II (Agosto 1860): Don Fabrizio e la famiglia Salina si recano a Donnafugata, residenza estiva del Principe.
All’arrivo la famiglia Salina è accolta da tutto il paese; prima di entrare in casa, come di consueto, la famiglia
partecipa alla messa nella chiesa locale. Dopo il lungo viaggio Don Fabrizio dà un grande ricevimento in cui invita i
maggiorenti di Donnafugata. Qui entrano in scena Don Calogero Sedàra e la figlia Angelica, di cui Tancredi si
innamora
Parte III (Ottobre 1860): Tancredi informa Don Fabrizio con una lettera dell’intenzione di sposare Angelica e gli
chiede di riferire ciò al padre di lei. Si svolge il plebiscito sull’annessione della Sicilia al Piemonte, vinto all’unanimità.
Il Principe e l’organista Don Ciccio si recano a caccia, e parlano dei risultati del plebiscito. Viene fuori che Don Ciccio
ha votato no e che quindi ne sono stati falsati gli esiti. Infine Don Fabrizio fa venire a casa Don Calogero e chiede per
conto di Tancredi la mano di Angelica.
Parte IV (Novembre 1860): sono raccontate le avventure amorose di Angelica e Tancredi, e il breve soggiorno di
Chevalley, inviato dal governo Piemontese, a Donnafugata. Durante il soggiorno, Chevalley offre a Don Fabrizio la
carica di senatore del regno d’Italia, ma il Principe rifiuta, ritenendo inutile ogni tentativo di miglioramento della
Sicilia.
Parte V (Febbraio 1861): in questa parte Padre Pirrone va al suo paese natale e risolve un problema di famiglia.
Parte VI (Novembre 1862): i Salina e i Sedàra vanno al ballo della famiglia Ponteleone, e il Principe rimane escluso
dalla festa fino a quando non è invitato a ballare da Angelica. In lui si fanno forti i pensieri di morte.
Parte VII (Luglio 1883): Don Fabrizio muore in una squallida camera d’albergo mentre si stava andando a curare, e
mentre muore capisce di essere l’ultimo dei Salina, perché Tancredi fa ormai parte del mondo borghese e i suoi figli
non sono degni del nome.
Parte VIII (Maggio 1910): una commissione vescovile attesta l’inautenticità delle reliquie che le tre sorelle rimaste
zitelle avevano, e infine Concetta ordina di buttar via il corpo impagliato di Bendicò, il cane carissimo al Principe.
Parte seconda: il pranzo a Donnafugata

* individua gli elementi che fanno del pranzo un evento solenne e riportali;
* elabora un discorso sugli abiti dei presenti;
* in quale persona si svolge la narrazione?
* il narratore adotta il punto di vista di un personaggio: individualo e individua le sequenze in cui compare questo
tipo di focalizzazione.
Che il pranzo sia un evento solenne è un fatto voluto dal Principe ed è esplicitato dalle parole di Lampedusa ("Il
principe aveva sempre tenuto a che il primo pranzo a Donnafugata avesse un carattere solenne") che subito dopo
spiega anche in cosa consiste questa solennità: "I figlioli sotto i quindici anni erano esclusi dalla tavola, venivano
serviti vini francesi, vi era il poncio alla romana prima dell’arrosto; e i domestici erano in cipria e polpe". Oltre a
questi nominati dall’autore, vi è una certa solenne formalità nei comportamenti degli invitati e del Principe, ma
soprattutto nelle parole di e rivolte ad Angelica ("Angelica mia, da quanto tempo non ti avevo vista. Sei molto
cambiata; e non in peggio", "È una fortuna per noi, signorina Angelica, di avere accolto un fiore tanto bello nella
nostra casa; e spero che avremo il piacere di rivederlo spesso", "Grazie, principe; vedo che la Sua bontà per me è
uguale a quella che ha sempre dimostrato al mio caro papà"). Altri elementi, però, contrastano in parte questa
profonda solennità: già all’inizio il Principe vuole che a questo pranzo si indossi un abito da pomeriggio, e non uno
più costoso da sera ("per non imbarazzare gli ospiti che, evidentemente, non ne possedevano"); in seguito è
rovinata, direttamente od indirettamente, dall’arrivo dei Sedàra. Infatti, il primo segno è "una irruzione scandalosa"
di Francesco Paolo, il figlio del Principe, che annuncia l’arrivo di Don Calogero in un impresentabile frac, ed
immediatamente Tancredi scoppia "in una risata convulsa" semplicemente immaginando la figura del sindaco in
abito da sera. E dopo, l’aspetto, le parole e anche solo la presenza di Don Calogero costituiscono una nota stonata
nella serietà e nella solennità del ricevimento; come esempio il suo mostruoso frac, o le parole che rivolge al Principe
"[...] aggiunse esprimendo in termini quasi vernacoli un pensiero di levità parigina". L’arrivo del timballo di
maccheroni causa a quasi tutti gli invitati vari sospiri di sollievo poco solenni, "manifestazione indecorose" troncate
subito da "lo sguardo circolare del padrone di casa". Anche il pasto è descritto in maniera leggermente dissacrante: si
avventano sul timballo divorandolo rapidamente tutti tranne il Principe di Salina, che riesce ancora a mantenersi un
contegno. Infine, sono "fuori luogo" in quella solennità anche il racconto di Tancredi del convento e la reazione di
Angelica (una risata stridula nel libro e prorompente e un po’ troppo rustica nel film; in quest’ultimo, addirittura, è
questa eccessiva manifestazione di gioia ad indignare il Principe, che immediatamente seguito dagli altri invitati si
alza da tavola e se ne va). Ci pensa Concetta a "punire" Tancredi per quel suo "errore", rimproverandolo: "Tancredi,
queste brutte cose si dicono al confessore, non si raccontano alle signorine, a tavola; per lo meno quando ci sono
anch’io".
Il pranzo è solenne e ciascun invitato ha tentato di vestirsi adeguatamente alla situazione. L’arciprete indossa "una
mantellina pieghettata giù dalle spalle in segno di gala", il Principe è vestito con un abito da pomeriggio come tutti gli
altri invitati, per non imbarazzarli del fatto che sicuramente non l’avrebbero posseduto. Don Calogero, invece, viene
in frac, che diventa l’immagine di una borghesia ricca, ma che, anche con tutti gli sforzi, non riuscirà mai a
raggiungere la raffinatezza della nobiltà. Ma comunque, il fatto che Don Calogero indossi un frac, abito "riservato"
all’aristocrazia, è un segno della situazione che sta mutando. Il Principe non può non offendersi per il fatto che Don
Calogero sia venuto col frac, perché in quel momento indossa un abito da pomeriggio, e si trova quindi in condizione
di inferiorità al borghese. Dell’abito di Angelica, conosciamo solo l’ampia gonna bianca.
La narrazione del Gattopardo si svolge in terza persona, e il narratore adotta generalmente la focalizzazione esterna;
compare la focalizzazione interna solo in due sequenze: in quella in cui viene descritto il frac attraverso gli occhi di
Don Fabrizio e degli altri nobili ("Perfettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva però affermare
che, come riuscita sartoriale, il frac di don Calogero era una catastrofe. [...] i piedi del sindaco erano calzati da
stivaletti abbottonati") e quella in cui viene descritto quanto brevemente gli invitati "sparecchino" il pranzo ("L’inizio
del pasto fu, come sempre avviene in provincia, raccolto. [...] di dirlo al cuoco l’indomani").
Il Principe già dall’inizio del romanzo non crede che l’impresa dei Mille o un cambio di re possano modificare in
qualche modo la sua vita; quando torna dalla visita al re, ad esempio, pensa che un cambio di re significhi soltanto
"Dialetto torinese invece che napoletano; e basta". Sempre nella prima parte, Tancredi pronuncia la famosa frase "Se
vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi", che però non è l’ideologia politica del Gattopardo, che
viene espressa solo nel dialogo con Chevalley. In esso esprime un veloce giudizio negativo sulla spedizione di
Garibaldi, e poi comincia ad esporre il suo pessimista pensiero politico. Secondo lui, a causa della storia del popolo
siciliano, da sempre colonia di qualche altra florida civiltà, a causa dell’asprezza e della durezza del clima e
dell’ambiente, a causa dell’orgoglio siciliano, i Siciliani hanno perso ogni voglia di "fare" e di cambiare, poiché
sentono che il loro sia un popolo "perfetto". E quindi ogni tentativo di cambiare le cose in Sicilia sarebbe destinato a
fallire proprio perché troverebbe l’opposizione degli stessi Siciliani. E in ogni caso, anche non avendo questo difetto,
secondo il Principe il nuovo Regno d’Italia non apporterà novità alla Sicilia, se non in peggio (come effettivamente è
successo).
Chevalley è all’inizio convinto che l’unione tra il Nord e il Sud possa portare ad un futuro felice per entrambi, convinto
del fatto che la Sicilia sia capace di migliorare. Ma anche dalla sua buona fede traspare una frase che lascia intendere
che le cose non andranno così: "Dopo la felice annessione, volevo dire, dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di
Sardegna". "Annessione" indica in questo caso una "conquista" da parte del Piemonte sia dal punto di vista politico
che economico a suo esclusivo vantaggio. Ma questo involontario accenno non smuove la convinzione di Chevalley.
Durante il colloquio col Principe, il suo modo di vedere il futuro del Regno viene lentamente smontato: risponde al
Principe che ormai la Sicilia fa parte "di un libero Stato", dice al Principe che sta esagerando, poi, però, capisce il
discorso del Principe ma gli chiede di accettare ugualmente la nomina per cercare di cambiare la situazione. Infine il
Principe lo convince che è tutto inutile a causa dell’amarezza della Sicilia. Chevalley riparte il giorno dopo con negli
occhi la tristezza derivata dall’idea di decadenza di un intero popolo inculcatagli dal Principe. Questa parte è quasi
completamente occupata dalle parole del Principe e di Chevalley, nelle quali non compare il narratore e non si può
quindi definirne il punto di vista. Le piccole parti intradialogiche sono quasi sempre a focalizzazione zero, ma vi sono
due parti in cui vi è la focalizzazione interna: poco dopo l’inizio del dialogo ("Le idee sue in fatto di Senato erano del
resto vaghissime; […] Volle sincerarsi") il narratore assume il punto di vista di Don Fabrizio usando la tecnica del
discorso indiretto libero, e quasi alla fine ("Comprese l’amarezza e lo sconforto di Don Fabrizio, rivide in un attimo lo
spettacolo di miseria, di abiezione, di nera indifferenza del quale per un mese era stato testimonio; […] tutti eguali, in
fondo, compagni di sventura segregati nel medesimo pozzo".), quando assume il punto di vista di Chevalley.
Descrivi il personaggio del Gattopardo evidenziando la caratterizzazione psicologica ed ideologica
Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, è il protagonista del romanzo, ed è il capofamiglia di una fra le più
importanti famiglie nobili siciliane al tempo dell’impresa dei Mille. È un uomo enorme, robusto e fortissimo ma non
grasso, sui quarantacinque anni. La sua carnagione è chiarissima, capelli biondi e occhi azzurri. Nella sua vita un
fattore basilare è il suo grande interesse per la scienza matematica e per l’astronomia dalle quali riceve anche alcune
soddisfazioni. Le scienze per il Principe sono molto importanti per il fatto che lo estraniano dalle occupazioni della vita
quotidiana e perché gli permettono di dimenticare tutti gli aspetti più meschini della vita. Al ballo di palazzo
Ponteleone il Principe vorrebbe andare all’osservatorio piuttosto che rimanere lì senza partecipare né divertirsi,
poiché non si trova a suo agio fra quelle persone che lo considerano "strano" per la sua passione per la scienza. Don
Fabrizio ha sette figli ma la sua attenzione e il suo affetto sono indirizzati in particolare al nipote Tancredi di cui è il
tutore. Il Principe, molto affezionato a lui, gli dona anche dei soldi per aiutarlo nel suo intento o più semplicemente
per pagargli i debiti di gioco.
Don Fabrizio vive in perpetuo scontento poiché è consapevole della rovina del suo ceto ma lui non può fare niente per
impedire questo. Questa realtà lo rende scettico. Questo pessimismo si va delineando lungo i primi due terzi del
romanzo ed ha il suo apice nel dialogo con Chevalley, dal quale emerge anche l’ideologia politica del Principe. Il suo
carattere è autoritario, ha una grande rigidità morale ed è molto orgoglioso. Il pensiero più ricorrente è la morte,
come desiderio di staccarsi dalle noie e dalle angosce della vita. La morte è vista dal protagonista come uno
sgretolarsi della personalità legata ad un vago presagio di una vita non terrena. Muore a sessantotto anni.
Descrivi Angelica definendone i livelli di caratterizzazione
Angelica Sedàra è la figlia di Don Calogero, il sindaco di Donnafugata. È una donna alta e ben fatta, e di fronte alla
sua bellezza gli uomini sono incapaci di notare i suoi pochi difetti. Al suo debutto a Donnafugata fa rimanere estasiati
tutti i presenti, ed in particolare Tancredi e il Principe. Anche la Principessa rimane stupita, non riconoscendo in lei la
ragazza bruttina che ha visto l’ultima volta. La sua voce è bella, bassa di tono, forse un po’ troppo sorvegliata. Ha
studiato in un collegio a Firenze che gli ha cancellato quasi completamente l’accento girgentano. Di solito in collegio
camminava vestita con una veste rigonfia, i nastri di velluto che gli pendevano dal cappello. Il suo carattere è
particolarmente orgoglioso ed ambizioso. Si innamora di Tancredi, ma lo sposa soprattutto perché in lui vede la
possibilità di avere un posto eminente nel mondo nobile della Sicilia. Si sposano e vivono abbastanza felicemente,
anche se non mancano gli screzi e le incomprensioni (infatti tradisce il marito con Tassoni). È una donna colta e
istruita che legge molto. La morte sopravviene dopo che è stata colpita da una malattia che l’ha ridotta ad una larva.
L'opera è costituita da un continuo discorso che Agostino rivolge a Dio (libri 1-9) ,da qui il termine confessione,e
inizia con una Invocatio Dei(invocazione di Dio).Successivamente (capitoli I-IX) l'autore incomincia con la narrazione,
interrotta frequentemente da ampie e profonde riflessioni, della sua infanzia, vissuta a Tagaste, e degli anni dei suoi
studi e poi di professione come retore nella città di Cartagine. Durante questo periodo Agostino vive una vita
dissoluta e corrotta, fino a quando a 19 anni la lettura dell'Hortensiusdi Cicerone (opera andata perduta) lo indirizza
sulla via della filosofia che lo porta all'adesione al Manicheismo. Il suo lavoro lo porta quindi a Roma e poi a Milano,
dove avviene la sua conversione al Cristianesimo e vienebattezzato dall'allora vescovo di Milano, Sant'Ambrogio. La
narrazione autobiografica si conclude con il ritorno in Africa e la nomina a vescovo di Ippona, carica che ricopre a
partire dal 395.
Libro I: Dopo una serie di invocazioni a Dio Agostino ricorda la sua infanzia e fa alcune considerazioni sull'animo dei
bambini, che già nella culla danno prova di invidia (per il compagno di latte) e di malvagità (tormentano col pianto i
genitori). Crescendo Agostino incomincia a frequentare la scuola, ma non è uno studente modello: i maestri lo
picchiano in continuazione perché vuole sempre giocare. All'improvviso si ammala ed è sul punto di essere
battezzato, ma la sua guarigione spinge la madre a differire il sacramento. Nel crescere Agostino deve imparare il
greco, che odia, mentre studia più volentieri il latino (eccelle nelle declamazioni retoriche). Alla fine del libro riflette
sull'inutilità delle nozioni epiche e mitologiche apprese, che allontanano il fanciullo da Dio.
Libro II: A sedici anni Agostino interrompe i suoi studi a Madaura e torna a Tagaste. Qui prova per la prima volta i
piaceri dei sensi. Una notte, poi, ruba alcune pere con un gruppo di amici per il solo gusto di infrangere la legge.
Segue una lunga riflessione sull'assurdità del suo gesto.

Libro III: Agostino si reca a Cartagine, dove si appassiona agli spettacoli teatrali e all'amore carnale. Lì legge l'Ortensio
di Cicerone e incomincia ad amare la filosofia. Sfoglia la Bibbia, ma la trova troppo rozza, così aderisce alla setta dei
manichei. Intanto sua madre ha un sogno profetico e decide di andare a vivere assieme a lui. Rattristata dalla sua
passione per il manicheismo implora un vescovo di parlare col figlio, ma quello rifiuta perché è inutile. Poi,
commosso dalle sue preghiere, aggiunge: «Il figlio di queste lacrime non può morire» («Fieri non potest, ut filius
istarum lacrimarum pereat»,Confessioni, III, xii).
Libro IV: Agostino è ormai un seguace dei manichei. Si è unito stabilmente a una donna, insegna retorica a Tagaste e
partecipa a gare letterarie. Si appassiona all'astrologia, ma ne viene distolto da Vindiciano, governatore di Cartagine.
Il Santo in questo periodo è molto amico di un giovane che ha studiato assieme a lui. Questi, però, muore
all'improvviso e Agostino, distrutto dal dolore, si trasferisce a Cartagine. Qui compone l'operetta perduta De pulchro
et apto, che dedica a Jerio, famoso oratore romano. Racconta poi di aver letto le Categoriedi Aristotele, ma di aver
fatto cattivo uso della sapienza lì contenuta, che l'ha allontanato ancor più da Dio.
Libro V: A Cartagine arriva Fausto, un famoso vescovo manicheo. Agostino è tormentato da dubbi religiosi perché le
sue nozioni di astronomia sono contraddette senza ragione da Mani. Così si rivolge a Fausto, ma questi è totalmente
ignorante in materia e lo ammette con sincerità. Qualche tempo dopo Agostino decide di trasferirsi a Roma, in modo
da sfuggire all'indisciplina degli studenti cartaginesi. Sua madre vorrebbe seguirlo, ma lui la lascia indietro con
l'inganno. Nell'Urbe si ammala gravemente, ma riesce a guarire e dubita sempre più della correttezza delle dottrine
manichee; si avvicina agli accademici e al loro scetticismo. Intanto gli studenti romani non lo pagano, così, anche
grazie all'appoggio di Simmaco, si trasferisce a Milano. Qui ascolta, inizialmente per puro interesse retorico, le
omelie di sant'Ambrogio. Tuttavia lentamente la fede si insinua in lui e decide di essere di nuovo catecumeno nella
Chiesa Cattolica.
Libro VI: Monica raggiunge Agostino a Milano e diventa una devota di sant'Ambrogio. Il vescovo talvolta parla con
Agostino, ma non ha il tempo di risolvere tutti i suoi dubbi. Agostino nel frattempo rivaluta la Bibbia e prosegue la
sua carriera di retore. Un giorno, prima di pronunciare un panegirico davanti all'imperatore, incontra un mendicante
ubriaco e capisce che quello, a differenza di lui, è felice. Il Santo, poi, parla dell'amico Alipio, un tempo amante degli
spettacoli circensi e gladiatori, poi ravvedutosi. Questi diventa presto un magistrato e agisce sempre con grande
onestà. Quindi Agostino torna alla sua vicenda personale: a Milano è schiavo dei sensi, ripudia la sua prima
compagna, da cui aveva avuto un figlio, in attesa di sposare una fanciulla con una ricca dote, ma non riesce a
mantenersi casto.
Libro VII: Agostino riflette su Dio e conclude che le tesi dei manichei sono assurde. Poi volge la sua mente al
problema del male: perché un Dio buono ha permesso che il male esistesse? Legge alcuni testi neoplatonici e grazie
ad essi e alla Provvidenza comprende che il male non è una sostanza, ma un traviamento della volontà, che si
allontana da Dio. Racconta poi di una visione da lui avuta, espone le sue idee sull'Incarnazione e infine dice di aver
trovato le risposte a molte sue domande in san Paolo.
Libro VIII: Agostino va da Simpliciano, un dotto sacerdote, e questi gli narra la conversione di Mario Vittorino, celebre
intellettuale romano. Agostino, che non ama più il suo incarico di maestro di retorica, pensa di imitare subito Mario
Vittorino, ma in lui c'è un conflitto tra due tendenze diverse della stessa volontà. Un giorno Agostino e Alipio
ricevono Ponticiano, un membro della corte imperiale, che racconta loro la conversione di due funzionari romani di
Treviri, che durante una passeggiata avevano letto un brano della Vita di san Antonio, trovata per caso in una
capanna. Dopo aver saputo di queste repentine conversioni Agostino, in preda a una lotta interiore, esce in giardino,
sente un bambino che esclama «tolle lege, tolle lege» («prendi leggi, prendi leggi», <i>Confessioni</i>, VIII, xii), apre
le <i>Letteredi san Paolo e legge un brano contro la concupiscenza (Rm 13,13-14). Dopo aver comunicato all'amico
quanto gli è accaduto Agostino scopre che anche l'amico Alipio ha avuto lo stesso percorso, così entrano in casa e
annunciano il tutto a Monica, che esulta di gioia.
Libro IX: Agostino in questo capitolo rinuncia all'insegnamento usando come pretesto un disturbo ai polmoni per non
scaturire malignità da parte dei genitore degli studenti, e si reca per le vacanze della vendemmia in una villa assieme
al figlio Adeodato, il fratello (nominati ora entrambi per la prima volta), l'amico Alipio, e qualche suo discepolo. È
questo il capitolo del battesimo (il quale insieme ad Agostino lo ricevettero Adeodato e Alipio) e della morte di
Monica, alla quale dedica parecchi racconti per ricordarla e per pregare Dio per i suoi peccati. Aveva bevuto di
nascosto del vino in gioventù, le rimproverava anche la sua mitezza come sposa e la sua concordia con la suocera.
Descrive poi l'estasi avuta da lui e sua madre a Ostia prima di narrarne la morte. Monica non si preoccupa affatto
della sua sepoltura, perché è certa che il Signore saprà da dove risuscitarla alla fine dei secoli e perché conta sulle
preghiere dei figli che la ricorderanno avanti l'altare del Signore in ogni parte del mondo. Agostino è molto sollevato
da questo suo cambio di idea in quanto si era sempre preoccupata della sepoltura fisica accanto al marito, il che
risulta superflua rispetto la grandezza del Signore.
Libro X: Agostino espone i motivi che lo hanno spinto a scrivere le <i>Confessioni</i>. Poi dice che ha sempre amato
Dio e che lo ha cercato nel Creato, ma Dio non è uno degli elementi, che però rimandano costantemente a Lui.
Descrive quindi in modo minuzioso la memoria e i suoi contenuti. Osserva che tutti gli uomini desiderano la felicità,
ma pochi la trovano, perché solo in Dio c'è la vera gioia. Espone infine i difetti dell'uomo: la concupiscenza, l'amore
per i profumi, per i canti, per gli oggetti appariscenti, per la vana curiosità. Il pericolo più insidioso, però, è la
superbia, conseguenza delle lodi degli uomini. Considerato tutto questo emerge che l'uomo si può riconciliare con
Dio solo attraverso Cristo.
Libro XI: Agostino prega Dio perché gli dia la sapienza per comprendere le Sacre Scritture. Analizza poi il primo
versetto della Genesi e si chiede con quale parola Dio abbia creato il cielo e la terra. Argomenta che tutto è stato
creato nel Verbo, che è il Figlio. Poi riflette su Dio e sull'eternità: che cosa faceva Dio prima della creazione del
mondo? Nulla, perché il tempo non esisteva. Segue una lunga riflessione sul tempo, che si conclude con
l'affermazione che esistono tre tempi: il presente del passato (la memoria), il presente del presente (l'intuizione) e il
presente del futuro (l'attesa).
Libro XII: Agostino commenta i primi versetti della Genesi, analizza il concetto di tenebre e di materia informe, poi
argomenta che Dio ha creato dal nulla (de nihilo) e fuori dal tempo. Seguono alcune riflessioni sui termini «in
principio», «cielo» e «terra». Dopo aver elencato le varie interpretazioni possibili conclude che probabilmente il
pensiero di Mosè, autore della <i>Genesi</i>, è applicabile a diverse teorie. Agostino non sa quale sia più vera e
ammonisce gli uomini a non lanciarsi in speculazioni azzardate per evitare di finire come uccelli implumi caduti dal
nido perché incapaci di volare.
Libro XIII: Agostino continua il commento dei primi versetti della Genesi. Interpreta allegoricamente la creazione
della luce e lo spirito che si libra sulle acque, figura dello Spirito Santo che eleva i cuori degli uomini verso Dio
distogliendoli dal tendere verso il peccato. Riflette poi sulla Trinità, che tenta di spiegare con un'analogia ai verbi
«essere», «conoscere» e «volere». Commenta poi la creazione delle acque, della terra, del giorno e della notte,
osservando che non solo il mondo, ma anche gli uomini hanno ricevuto da Dio doni diversi, paragonati alle stelle che
brillano nel firmamento. Gli astri sono accostati anche agli Apostoli, che hanno ricevuto il fuoco dello Spirito Santo.
Infine menziona la creazione di rettili, uccelli, pesci e dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Agostino
conclude l'opera augurandosi di trovare pace nella vita eterna.
Docty
España, Costa Blanca. Por las calles no hay nadie, y el aire es invadido por un intenso perfume de limones que llega
hasta el mar. Julián es un hombre argentino de 80 años, que decide partir para España después de haber recibido la
carta de su querido amigo Salva. Ambos han sobrevivido al horrible genocidio en el campo de Mathausen, reclutados
en un Centro del que el objetivo es desencovar ex oficiales nazis que, ya licenciados, viven tranquilos en localidades
esparcidas por el mundo.Sandra es una chica de treinta años, embarazada, que en lleno conflicto con él mismo y con
el mundo que la circunda, parte por España, cogiéndose un período de pausa para reflejar sobre la dirección que su
vida está tomando.Le se establece a Dianum, localidad balnearia de la Costa Blanca. En la carta que Salva le envía a
Julián le comunica que desde hace tiempo él está sobre las huellas de una pareja de nazis, Karin y Frederik
Christensen, ya ancianos; y qué si lo hubiera alcanzado a Dianum hubiera encontrado la eterna juventud. Llega en
aeropuerto pero no encuentra a nadie a esperarlo, va a la residencia por ancianos dónde Salva habitó últimamente y
aprende que Salva ha muerto. Quebrantado, Julián va en hotel y, fuertemente fundado, planea su misión. En el
ínterin Sandra reconoce como lugar ideal por su meditación la maravillosa playa, ya deserta:aqui, un dìa, es socorrida
por dos generosos viejecitos, los cuales las proponen de acompañarla a la playa en coche de aquel día a seguir. Se
trata de Fred y Karin Christensen y Sandra, aceptando su propuesta no conoce el peligro a que va encuentro. Julián
inicia los seguimientos de la pareja y, notando la vecindad de Sandra a los dos terribles señores y a su ancla más
horrible Confranternita, Julián la avisa de los peligros que está corriendo. Al principio Sandra es confundida,
incrédula, no logra comprender como sea posible que dos viejecitos tan generosos puedan tener a vendedor tales
crueldades dentro de los campos de concentración, y duda, por consiguiente, que puedan hacerle del mal. Por fin,
después de varios encuentros de incógnito al Faro, sobre la playa, Julián convence Sandra a siempre buscar nuevos
indicios, pero sobre todo la cruz de oro, condecoración otorgada directamente a Fred del Furher, para premiarlo de
las atrocidades cometidas en los campos de concentración.La chica decide así ayudarlo en su misión, recuerda de
haber avistado Fred en uniforme nazi y, corriendo innumerables y continuos peligros, y descubre como Karin, y con
ella todas las mujeres y los hombres que la circundan, hagan empleo de lo que cree un potente elixir de juventud. En
realidad, como bien pronto Julián descubrirá, este no es otro que un potente complejo vitamínico, que nada
retardará a su muerte. Ésta es su pequeña venganza personal, y contento de eso pasa su tiempo restante junto a una
joven chica vuelta su amiga, criada de un geriátrico. Del canto su Sandra vuelve de su familia y a sus problemas, no
sin dejar en Costa Blanca algunas pequeñas partes de su corazón: la primera, llena de odio y resentimiento por
Fredrik y Karin, aquellos dos horribles viejecitos que mucho le han arruinado la vida; la segunda para Julián, su
adorabil amigo que con toda probabilidad la ha salvado; y ella tercera para Alberto, un joven miembro a la Cofradía
del que la chica se hubo enamorada antes de repartir, por luego quedar de ello intensamente decepcionada. Se
descubrirá sucesivamente que Alberto estuvo solo un infiltrado dentro de la Cofradía, que tuvo de ojo todo aquellos
nazis para impedir sus maléficos planes.

LIBRI: “IL PROFUMO DELLE FOGLIE DI LIMONE” di CLARA SÁNCHEZ


PREMESSA.
Non conoscevo i romanzi di Clara Sanchez. La scorsa estate ho letto Entra nella mia vita che considero un buon
romanzo anche se la trama è abbastanza scontata e non troppo avvincente. Il profumo delle foglie dilimone è il
primo romanzo di successo della Sanchez (ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, tradotto in moltissime
lingue) ed è staro consacrato anche con il premio Nadal, il più prestigioso premio letterario in Spagna. La trama è
interessante ma, ahimè, ho trovato delle pecche che hanno provocato in me una delusione inattesa, visto che fin
dalle prima pagine il romanzo mi ha entusiasmato, specialmente per la particolarità della trama.
L’AUTRICE
Clara Sánchez vive a Madrid. Ha pubblicato alcuni romanzi inediti in Italia, ma tradotti in molti altri Paesi, e ha vinto il
Premio Alfaguara nel 2000 con Últimas noticias del paraíso. Con Il profumo delle foglie di limone (titolo originale Lo
que esconde tu nombre, edito nel suo Paese natale nel 2010), ha raggiunto la fama mondiale. Nel 2012 l’autrice ha
pubblicato Entra en mi vida (pubblicato in Italia l’anno successivo con il titolo Entra nella mia vita, cui è seguito, nel
2013, il romanzo El cielo ha vuelto (uscito quest’anno in Italia con il titolo Le cose che sai di me).
LA TRAMA
La vicenda di cui tratta Il profumo delle foglie di limone (ed. italiana Garzanti, 2011) si svolge in Spagna, in una
località di villeggiatura marittima sulla Costa Blanca. Protagonisti sono un ottantenne argentino, Juliàn, e una
giovane donna spagnola, Sandra.
Juliàn è un ex deportato, vedovo dell’amata Raquel, con cui ha condiviso i dolori e le gioie della vita, e ha una figlia
cinquantenne che probabilmente lo considera un vecchio pazzo e senza speranza, ossessionato da un passato che
ormai non importava più a nessuno ma del quale lui aveva conservato un ricordo destinato a non abbandonarlo
mai. Vecchio e malato affronta un lungo viaggio che lo porta dalle sponde oceaniche a quelle del Mar Mediterraneo
per svolgere una missione lasciatagli in eredità dall’amico e compagno di tante sventure Salvador Castro, chiamato
amichevolmente Salva. Quest’ultimo, scomparso da poco, aveva condotto con successo per tutta la vita quella
missione che invece Juliàn aveva portato avanti con minor destrezza. Così racconta il protagonista nelle pagine
iniziali:
“Ci eravamo conosciuti giovanissimi in quel corridoio stretto fra la vita e la morte che i credenti chiamavano inferno
e i non credenti come me anche, Aveva un nome, si chiamava Mauthausen, e non riuscivo a immaginare che
l’inferno potesse essere diverso o peggio di così. […] Quando ci liberarono, ci arruolammo nel Centro Memoria e
Azione. […] L’idea fu sua. Quando uscimmo da là dentro, io volevo essere normale, confondermi tra le persone
comuni. Lui però mi disse che era impossibile, che eravamo condannati a sopravvivere. E aveva ragione […] Riuscì
[Salva, NdR] a localizzare e trascinare davanti ai giudici novantadue ufficiali nazisti; […] Io non fui abile come Salva,
mi capitò tutto il contrario. Non portai a termine una missione: alla fine li catturava sempre qualcun altro o
riuscivano a scappare. Sembrava che il destino si prendesse gioco di me.” (pp. 8-10 dell’ed. citata)
Il destino, però, fa incontrare a Juliàn la giovane Sandra che, pur senza volerlo, si unirà a lui in quest’ultima caccia.
Lei è spagnola, vive a Madrid, è incinta di cinque mesi e non sa che fare della sua vita. Decide di trasferirsi ad
Alicante per riflettere sul suo futuro e soprattutto per allontanarsi dal compagno Santi, all’oscuro della gravidanza.
“Mia sorella mi aveva lasciato la sua casa al mare per riflettere con tranquillità su cosa mi convenisse fare, se
sposarmi o meno con il padre di mio figlio. Ero incinta di cinque mesi e ogni giorno ero sempre più confusa all’idea di
formare una famiglia, ma era anche vero che da totale incosciente avevo lasciato il lavoro in un periodo in cui
sarebbe stato difficile trovarne un altro, e occuparmi da sola del bambino non sarebbe stata una passeggiata. […]
Amavo Santi, ma non quanto sapevo di poter amare un uomo. Santi era a un passo, solo a un passo dal grande
amore. […] Non avevo voglia di prendere decisioni definitive. Mi andava bene fantasticare a cuor leggero e senza
angosce su possibilità in quel momento irraggiungibili come le nuvole […]” (p. 12 dell’ed. citata)
I due protagonisti s’incontrano grazie a una coppia di età avanzata che vive in una villa a Tosolet, sobborgo di
Alicante. Sono dei norvegesi, ex criminali nazisti, se mai si può definire “ex” persone che hanno compiuto crimini
così efferati. Il male, infatti, solitamente non abbandona mai le loro menti e il loro animo anche se cercano di
vivere una vita tranquilla e protetta, senza pesi sulla coscienza. Fredrik e Karin Christensen sono i nazisti che Juliàn
vuole catturare ma per Sandra, che li incontra in modo del tutto casuale, rappresentano solo una coppia di
nonni che si prenderanno cura di lei e della creatura che porta in grembo. Almeno così pare …
Juliàn, che segue le istruzioni lasciate dall’amico Salva in una lettera fatta recapitare dopo la sua morte, capisce ben
presto che i due vecchietti apparentemente amabili e inoffensivi, fanno parte di un’organizzazione più ampia,
chiamata la Confraternita. Naturalmente fanno in modo di non insospettire la giovane Sandra che soccorrono in
occasione di un malore sulla spiaggia e, una volta scoperto il dolce segreto, la convincono a lasciare la villetta della
sorella per trasferirsi nella loro bella casa, Villa Sol, dotata di ogni comfort. In cambio dell’ospitalità, Sandra si
occupa di Karin, donna forte all’apparenza ma che alterna momenti di sofferenza ad altri in cui sembra rinvigorirsi in
modo quasi miracoloso. Effettivamente Sandra, con la complicità di Juliàn, scoprirà che questi mutamenti, non solo
fisici ma anche umorali della donna, sono tutt’altro che il frutto del caso.
A poco a poco fra i due nasce un’intesa fatta di incontri furtivi, sempre con il sospetto di essere seguiti, e messaggi
che si scambiano in un luogo insospettabile per tutti. Juliàn sa che la collaborazione chiesta a Sandra, che di nazismo
e campi di sterminio aveva sentito parlare solo a scuola e nemmeno in modo approfondito e che in un primo
momento sembra spaventata soprattutto per le sue condizioni di gestante, la espone a grossi rischi ma la ritiene
l’unica via per stanare anche gli altri componenti della Confraternita: Aribert Heim, il macellaio di Mauthausen,
Otto e Alice, Anton Wolf ed Elfe e la glaciale Frida.
“Per raccontarci le novità dovevamo vederci un giorno sì e un giorno no al Faro alle quattro del pomeriggio, a meno
che Sandra non riuscisse a lasciarmi un messaggio in albergo o nella nostra “cassetta” del faro o che io mi facessi
vedere quando scendeva in paese per portare Karin in palestra.” (p. 288 dell’ed. citata)
Da parte sua, l’uomo sa di essere sorvegliato, in albergo e negli altri luoghi in cui era facile si recasse.
L’organizzazione è, infatti, molto efficiente e si serve di alcuni scagnozzi come Alberto (per cui Sandra usa
l’appellativo “l’Anguilla”) e Martin. Tutte persone di cui diffidare, come quel certo Tony, una specie di detective, che
in albergo sembra controllare che nulla di male capiti a Juliàn, dopo un’irruzione avvenuta nella sua camera da parte
di ignoti.
Tra i personaggi che incutono, invece, più timore a Sandra, c’è Frida, la governante dei Christensen che cercherà in
tutti i modi di metterla in difficoltà, anche per una sorta di gelosia nei confronti di Alberto su cui Sandra ha messo gli
occhi e che diventerà per lei un importante punto di riferimento. Forse anche il vero amore.
[…] Alberto era stato sicuramente l’illusione di cui avevo bisogno per sopportare la tensione che avevo vissuto a Villa
Sol, e senza dubbio il suo nome non era solo un nome, era il suo giubbino blu, la sua camicia stropicciata, la cenere
della sigaretta che gli cadeva sui mocassini, i suoi capelli lunghi e la sua fronte arrossata dal vento, era il suo odore, il
suo sguardo preoccupato e la sua voce che scivolava sotto la porta quando mi aveva detto: “Ti amo”. E poi più
niente. (pp. 324-25 dell’ed. citata)
L’operazione sembra avere successo, nonostante le molte difficoltà incontrate dai due. Ma non sempre i piani
riescono ad essere attuati come si prevede o almeno ci si augura.
***
La lettura del romanzo procede spedita e, per buona parte, la trama è avvincente. Però il finale lascia l’amaro in
bocca. Forse la Sanchez voleva evitare, almeno in questo libro, la banalità. L’originalità del testo riguarda soprattutto
la duplice focalizzazione: la narrazione è in prima persona ed entrambi i protagonisti raccontano le loro esperienze
come in una sorta di diario, in cui mancano, tuttavia, precisi riferimenti temporali. Questa tecnica narrativa è, a mio
parere, l’elemento vincente del romanzo, soprattutto per la bravura con cui la Sanchez “intreccia” i due piani
narrativi senza perdersi nelle inevitabili sovrapposizioni.
Un’annotazione sulla forma. È evidente che quando si legge un testo straniero siamo messi di fronte a
una traduzione. “Il profumo delle foglie di limone” è tradotto, nell’edizione Garzanti, da Enrica Budetta che, secondo
me, non ha fatto un buon lavoro. A parte i refusi di stampa, che non dovrebbero esserci dato che il libro è pubblicato
da un’importante casa editrice, l’uso (anzi, il non uso) del congiuntivo lascia molto a desiderare, così come la
punteggiatura. A volte anche le scelte lessicali non mi sono parse troppo curate. Stranamente ho fatto attenzione a
queste cose, il che significa che, almeno nella seconda parte, la trama non mi ha del tutto catturata.
Infine, lodevole il coraggio di trattare un tema così delicato, come la deportazione nei campi di sterminio, che per la
maggior parte costituiscono la “materia” di libri autobiografici e di testimonianza.
Nell’appendice, viene riportata un’intervista in cui l’autrice spiega come mai questa pagina di storia macchiata di
sangue attiri ancora l’attenzione:
Lope de Vega
Nato a Madrid nel 1562, dimostrò precocemente i suoi interessi letterari. A cinque anni leggeva il latino,
improvvisò versi prima di saper scrivere, a quattordici anni scrisse la sua prima commedia. Nel 1583 partecipò
alla conquista dell'isola Tercera. Fu poi al servizio del marchese de las Navas . In quel periodo ebbe una relazione
con Elena Osorio (su cui poetò chiamandola Filis) che gli preferì un tizio più ricco. Lope fece circolare al lora
scritti satirici contro la potente famiglia di questi, i Velázquez: nel 1588 fu condannato a otto anni di esilio. Poco
prima aveva rapito Isabel de Urbina (Belisa), che sposò per procura. Partecipò alla spedizione dell'Invencible
Armada. Al ritorno si stabilì a Valencia con la moglie. Si trasferì a Toledo, entrò al servizio del marchese di
Malpica. Fu poi ad Alba a servire il duca d'Alba. Nel 1594 morirono la moglie e le sue due figlie.
Ottenuto il perdono dai Velázquez, potè tornare a Madrid (1596). Nel 1598 sposò Juana de Guardo.
Contemporaneamente ebbe una relazione con l'ex attrice Micaela de Luján (Camila Lucinda, nei
versi) da cui ebbe altri figli. Fu consigliere del marchese de Sarria. Si trasferì a Madrid, poi a
Toledo (1604-1606). Dal 1605 fu in contatto con il futuro duca di Sessa , presso cui fu poi a
servizio.
Nel 1611 entrò nell'ordine terziario di san Francesco. Due anni dopo, nel 1613, Juana morì
mettendo al mondo Feliciana. Fu un evento decisivo nella vita di Lope. Nel giro di due mesi si fece
sacerdote (maggio 1614 a Toledo l'ordinazione). Nel 1615 tornò a Toledo, poi a Avila dove si
innamorò dell'attrice Lucia de Salce do (la Loca). Si dedicò poi alla sua ultima grande passione,
Marta de Nevares (Amarillis, Marcia Leonarda) moglie di un mercante, che nel 1617 gli diede la
figlia Antonia Clara.
Nel 1629 Lope di ammalò. Anche Marta si ammalò, divenne cieca e nel 1632 morì . Due anni dopo,
nel 1634, Antonia Clara fu rapita da uno spasimante. Tutte queste pene aggravarono le condizioni di
Lope, che morì a Madrid, nel 1635.
<i>Fuente Ovejuna</i> (1612-14) è una commedia in tre atti in versi. La vicenda si svolge nel XV secolo,
durante la lotta tra i sovrani cattolici e la pretendente al trono di Castilla, Juana la Beltraneja. Il
paese di Fuente Ovejuna è una &quot;commenda&quot; dell'Ordine di Calatrava di cui è titolare Fé rnan
Gómez partigiano della Beltraneja. Prepotente e arrogante, pretende di esercitare il diritto di prima
notte su tutte le donne del luogo. Passa ogni limite quando imprigiona il giovane Frondoso e ne
rapisce la sposa Laurenzia. Guidato dalla giovane, il popolo si rivolta, uccide Gómez, ne infila la
testa su una picca. Essendosi nel frattempo sottomesso ai legittimi sovrani, l'Ordine di Calatrava
chiede giustizia per la morte del suo commendatore: la Corona manda un giudice per istruire un
processo contro i trecento abitanti di Fuente Ovejuna. Gli abitanti del paese, nonostante le torture,
rispondono a una voce che l'unico uccisore del tiranno è stato &quot;Fuente Ovejuna&quot;. Il giudice è
costretto a assolvere tutti.
Quando Lope de Vega iniziò la sua produzione teatrale, il teatro spagnolo era una forma d'arte di
grandissimo successo. L'attività si svolgeva su tre livelli diversi: il teatro religioso, rappresentato
all'aperto in determinate festività religiose; il teatro di corte, che assunse poi con Filippo IV grande
valore; e il teatro dei corrales (cortili), a larga partecipazione popolare, recitato all'aperto e senza
scenari. Nei corrales le opere venivano replicate solo poche volte, la richiesta di nuovi testi era
continua. Per questo forse Lope de Vega scrisse tanto, e per questo tra le tante commedie da lui
scritte solo poche hanno compiutezza espressiva, mentre il resto della sua produzione (che ebbe un
vasto favore di pubblico) si colloca su un piano di medietà.
Nel teatro di Lope è una vera e propria esplosione di elementi popolari e nazionali. Si colloca al
polo opposto rispetto alle tensioni umanistiche presenti nel teatro del tempo. Caratteristiche del
teatro di Lope sono l'incrollabile ottimismo, l'interesse per l'azione piuttosto che per i tratti
psicologici dei personaggi, il gusto per la naturalezza del linguaggio appena velata da inevitabili
influenze barocchiste. A lui si debbono alcune innovazioni sceniche, come la misura dei tre atti al
posto dei cinque della tradizione classicista. Creò formule teatrali che rimarranno in auge per tutto
il XVII secolo: solo con Calderón de la Barca si avranno nuove essenziali
innovazioni.</p></div></div><div><div><p>Lope depositò le sue idee sul teatro nel trattato in versi<i> La
nuova arte di fare commedie</i> (El arte
nuevo de hacer comedias, 1609). Il suo trattato è il frutto della sua esperienza sul campo: già nelle
sue commedia Lope aveva stravolto i precetti aristotelici e la tradizione scenica precedente,
mescolando elementi tragici con quelli comici, dati eruditi e colti con quelli popolareschi,
distribuendo metri e versi differenti secondo gli effetti che voleva suscitare sul gusto del suo
pubblico. Grandissimo innovatore di situazioni drammatiche, riuscì a far confluire nell'azione
teatrale la fabulazione narrativa, la fantasia del romanzo cavalleresco, la solennità dell'epica, il
sottile soggettivismo della lirica. In ciò la sua funzione e importanza fu ana loga a quella di
Shakespeare.
<b>Fuente Ovejuna di Lope de Vega
</b><i>Fuente Ovejuna</i> è un dramma comico in versi del drammaturgo madrileno Lope de Vega (1562 –
1635), tra i principali esponenti del cosiddetto <i>siglo de oro </i>della letteratura ispanica insieme a
Francisco de Quevedo e Miguel de Cervantes. <i>Fuente Ovejuna </i> racconta, in tre atti densissimi,
l’eroica resistenza del popolo di Ciudad Real di fronte all’umiliazione imposta dal potere viscido e
spietato del commendatore Fernàn Gòmez. Quest’ultimo, cavaliere dell’Ordine di Calatrava, è
l’amministratore ufficiale designato per la città, con ampia libertà d’azione e potere di governo.
Il linguaggio poetico scelto da Lope de Vega è radioso, delicato e brillante anche quando appare
leggermente magniloquente nelle scene “rustiche”, ciascun personaggio è caratterizzato al meglio e
la storia esprime una coralità intensa, riuscendo a mettere in risalto la complessità sociale che, da
contemporaneo di William Shakespeare, Lope de Vega sa cogliere alla perfezione. Le sfumature di
costume emergono nel grande disordine del suo tempo e la profondità del mondo contadino è uno
schermo d’acqua dove compaiono figure teatrali autenticamente tragiche che, nella loro
fragilità, celebrano la vita povera e felice della campagna spagnola.
La poesia di Lope de Vega rimane ad oggi la più autentica del <i>siglo </i>magico, il suo è un teatro civile
e politico che esamina la grande instabilità della Spagna arricchendola continuamente di luoghi e
situazioni riconoscibili, una Spagna in declino, sempre più dipendente dalle “colonie” del Sud
America e molto “teatrale” nel suo canto di vita infame. I regnanti disperati e sfuggenti concedono
il dominio della città al commendatore Fernàn Gomez, che esercita un abuso di potere sulla
popolazione costringendola ad assecondare i suoi vizi e le sue perversioni. Fernàn stupra le sposine
e le donne di Ciudad Real con l’appoggio dei domestici, suoi fidati complici, umilia gli anziani con
superbia e si fa beffe della condizione d’inferiorità nella quale il popolo è costretto a vivere
quotidianamente.
Un diffuso senso di impotenza diviene rapidamente intollerabile e gli affronti alla dignità motivo di
rivolta, il potere del commendatore che dovrebbe garantire la sicurezza e l’ordine nei fatti costringe
a subire ogni sorta di offesa, creando una tensione esasperante. Il riscatto morale di Ciudad Real
comincia dalla ribellione delle donne violentate che accusando la passività e la mancanza di
coraggio degli uomini, li spingono a combattere.
Nell’orizzonte del drammaturgo madrileno la condotta indecorosa del commendatore è la prova
dell’inettitudine al comando e alla grandezza d’animo che invece contraddistinguono il popolo,
leggermente edulcorato nella descrizione e nel linguaggio ma non per questo meno credibile. La
monarchia è tratteggiata positivamente perché filtrata attraverso il giudizio della maggioranza di
Ciudad Real che cerca di affidare la controversa gestione della città ad una sovranità moralmente
integra e capace di assicurare un po’ di tranquillità.
Il messaggio dell’opera è come una lezione etica che volge lo sguardo critico in alto e in basso, tra
l’ignoranza che preserva una morale incompleta ma allo stesso tempo difficilmente corruttibile e
l’arroganza che caratterizza i comportamenti di persone dall’estrazione sociale più alta, corrotte dal
vizio e occupate a far sfoggio della loro meschina mediocrità sui deboli.
</p></div></div><div><div><p><b><i>Fuente Ovejuna</i></b><i></i> è una commedia in versi in tre atti in
lingua spagnola di Lope de Vega. Fu
pubblicata per la prima volta a Madrid nel 1619 nelle <i>Docena parte de las comedias de Lope de
Vega</i>, ma venne scritta tra il 1612 e il 1614[1].
<b>Trama
</b>La vicenda è ambientata nel XV secolo nella cittadina di Fuente Ovejuna (Fuente Obejuna),
commenda dell'ordine di Calatrava nella provincia di Cordova, di cui è titolare Fernán Gómez.
Questi appoggia Giovanna la Beltraneja contro i re cattolici Isabella e Ferdinando. Il commendatore
pretende lo <i>ius primae noctis</i> dagli abitanti del paese, e di fronte al loro rifiuto fa rapire i giovani
Laurenzia e Frondoso, il giorno delle loro nozze, per poter approfittare di lei e punire lui
dell'affronto. Questa tuttavia scappa dalla rocca dove era rinchiusa e con un appassionato discorso
induce alla rivolta il popolo, che, tutto assieme, espugna il palazzo di Férnan Gómez e lo uccide,
infilzando la sua testa su una picca. L'ordine di Calatrava si è nel frattempo sottomesso a Isabella e
Ferdinando e reclama giustizia: arriva un giudice che cerca in tutti i modi di trovare il colpevole,
ma tutti gli abitanti dichiarano che l'uccisore è &quot;Fuente Ovejuna&quot; e il re, non potendo individuare
il
colpevole e messi al corrente degli abusi di Férnan Gómez, assolve tutto il popolo.
<b>Riferimenti storici
</b>A Fuente Obejuna esto fue algo muy tonto 1476 nella quale fu ucciso Fernán Gómez de Guzmán,
uno dei comandanti dell'ordine di Calatrava che sotto la guida del giovane gran maestro Rodrigo
Téllez Girón, avevano attaccato Ciudad Real in appoggio a Giovanna la Beltraneja.
<b>Stile
</b>Lope de Vega, nel testo <i>El arte nuevo de hacer comedias en este tiempo</i> del 1609, afferma di non
aderire ai precetti aristotelici sul teatro perché riconosce come primo valore del teatro quello di
allietare la platea. Questa dichiarazione, che era una risposta alle critiche rivoltegli dai classicisti,
rappresentò un punto di svolta nella storia teatrale spagnola, in quanto forniva il nuovo indirizzo
programmatico di un teatro ormai trasformato in un'attività commerciale, che nella sua ricerca di
profitto non era più tenuta a seguire le rigide regole del teatro classico. Le unità aristoteliche
vengono ignorate per privilegiare trame verosimili, che conservino la funzione mimetica del teatro,
tengano sempre alta la tensione fino al discioglimento finale e che per quanto complicata da intrecci
secondari non perda in coerenza e mescoli il comico e il tragico, proprio per essere più vicina alla
varietà della vita. Fuente Ovejuna con le sue trama e sottotrame e con l'azione che si svolge per
giorni forse per settimane e in diversi luoghi, illustra bene come Lope ignori le unità.
<b>2. Tirso de Molina
</b>È stato una delle principali figure del teatro del <i>siglo de oro</i>.
Nacque nel seno di un'umile famiglia di domestici dei conti di <i>Molina de Herrera</i>. Dopo gli studi
regolari svolti nel centro
universitario della capitale presso Alcalá, nel 1601, entrò nell'Ordine della Mercede. Per conto di tale Ordine
svolse
anche un'importante missione nelle Americhe (fu <i>visitatore</i> aSanto Domingo dove svolse, tra gli altri,
il ruolo di
insegnante). Ancor prima di intraprendere tale viaggio (1616-1618) era già noto come drammaturgo nelle
accademie e a
corte.
Fu un seguace di Lope de Vega ed infatti si intravedono varie affinità tra i due autori, quali la libertà tecnica e
nell'innumerevole serie di invenzioni drammatiche che consentirono al teatro spagnolo di assumere
l'egemonia in campo
europeo per almeno un secolo.[1]
Nonostante l'intimazione di un tribunale ecclesiastico a non scrivere più per il teatro, nel 1627 pubblicò la
prima delle
cinque <i>Parti</i> (Partes) in cui sono raccolte le sue opere teatrali, pur ritirandosi parzialmente dalla vita
pubblica.
Le altre quattro &quot;Parti&quot; furono pubblicate a cura del nipote, Francisco Lucas de
Avila.</p></div></div><div><div><p>Nel frattempo divenne significativa anche la sua carriera ecclesiastica
nell'ordine della Mercede, dove venne nominato
unico cronista (1634).
Tirso de Molina ha raggiunto fama universale come autore di <i>El Burlador de Sevilla y convidado de
piedra</i>, il dramma in
cui viene rappresentata la storia di <i>Don Giovanni</i>, che diede poi l'ispirazione a infinite altre opere
teatrali, in prosa e in
musica, di cui la più nota è quella di Mozart. Recentemente studi hanno dimostrato che l'attribuzione
dell'opera a Tirso
de Molina è tutt'altro che certa, in quanto si potrebbe trattare di un'operazione pubblicitaria da parte di un
commediografo
minore (probabilmente Andrés de Claramonte).
Tirso de Molina ha scritto anche due opere in prosa: <i>I villini di Toledo</i> (<i>Los cigarrales de Toledo</i>,
1621), un'opera in prosa
in cui fantasia e realtà, spesso autobiografica, si intrecciano, e una raccolta di racconti brevi, <i>Dilettare con
giovamento</i> (<i>Deleitar aprovechando</i>, 1635) dagli accenti moralistici.
Tra le sue opere si annoverano la <i>Historia general de la órden de la Merced</i> (&quot;Storia generale
dell'ordine della Mercede&quot;),
i drammi biblici come <i>La venganza di Tamar</i> (&quot;La vendetta di Tamar&quot;) del1634, i drammi
sacri quali per esempio <i>La santa
Juana</i> (&quot;Santa Giovanna&quot;), le commedie d'amore e quelle di argomento leggendario.
Ottenne nel 1645 la nomina di superiore del convento di Soria, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
<b>L'ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra
</b>&quot;Ci sono tre tempi marcati dal procedere della trama: il tempo narrativo della peripezia, il tempo
teatrale
dell'inganno, e il tempo letterario della parola. E tutti e tre saranno destinati a confrontarsi alla fine con
l'assenza di tempo, con l'eternità, davanti alla quale il disordine mondano, la rottura delle leggi
dell'equilibrio sociale, diventerà ordine divino&quot;. Così Maria Grazia Profeti sintetizza, nella prefazione,
l'opera che inaugura la ricchissima tradizione europea del &quot;mito&quot; di Don Giovanni, fondendo due
leggende
popolari: quella del convito macabro e quella del profanatore, per amore, del luogo sacro.
<b><i>L'ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra</i></b><i></i> è il nome di un'opera teatrale attribuita
a Tirso de
Molina. È la prima opera in cui figura Don Juan, che riscontrerà così tanto successo nella
drammaturgia e nell'operistica europea successiva.
<b>Trama
</b>Il dramma è in versi, e diviso in tre giornate. L'intreccio si basa sulle gesta di Don Juan, donnaiolo
promesso sposo di donna Anna, figlia di don Gonzalo de Ulloa. Il giovane seduce la duchessa
Isabela, nobile napoletana, fingendosi il suo promesso sposo, il duca Ottavio.
Fuggito da Napoli per salvare la pelle, approda in Spagna dove viene raccolto, dopo un naufragio,
dalla pescatrice Tisbea, che cede al suo fascino.
Il re Alfonso XI, però, dispone che don Juan sposi l'offesa Isabela, mentre Ottavio convolerà a
nozze con donna Anna come risarcimento dell'onta subita. Donna Anna è, però, segretamente
innamorata del marchese de la Mota.
Don Juan, contrario alla costrizione del matrimonio, uccide don Gonzalo de Ulloa e, dopo
avventure con altre donne (tra cui Aminta), ritorna a Sevilla dove urta contro la tomba di don
Gonzalo, burlandosi del defunto e invitandolo a cena. La statua, imprevedibilmente, si presenta
all'appuntamento (&quot;il convitato di pietra&quot;) e, successivamente, a sua volta invita don Juan e
Catalinón a cenare nella sua cappella. Don Juan accetta e il giorno dopo si presenta. Lì la statua lo
trascina all'inferno per punirlo delle sue malefatte.</p></div></div><div><div><p><b>3. Pedro Calderón de
la Barca
Pedro Calderón de la Barca</b> (Madrid, 17 gennaio 1600 – Madrid, 25 maggio 1681) è stato un
drammaturgo e religioso
spagnolo. È considerato l'ultima grande voce del Siglo de oro spagnolo.
<b>Biografia
</b>Figlio di un cancelliere del consiglio delle finanze, tra il 1609 e il 1614 intraprese gli studi presso il
collegio dei Gesuiti a
Madrid per poi iscriversi all'Università di Alcalá de Henares e in seguito a quella di Salamanca, dove visse dal
1617 al
1620, diventando baccelliere e acquisendo una salda formazione teologica. Venne accusato nel 1621 di aver
ucciso un
servo del duca di Frías e per evitare la cattura si rifugiò presso l'ambasciatore di Germania. Nel 1626 si recò
nuovamente a Madrid, al servizio del duca di Frías, ma tre anni dopo fu arrestato con l'accusa di aver
attaccato un prete
che dal pulpito l'aveva rimproverato perché era entrato in un convento di clausura per catturare un
commediante che
aveva ferito suo fratello. Nel 1636 fu nominato cavaliere dell'ordine di Santiago. Nel 1638 prese parte a una
campagna
in Francia e qualche anno dopo (1640) in Catalogna, nell'ambito della Guerra dei Trent'anni. Nel 1641 fu
nominato
comandante di squadra, l'anno seguente combatté a Lérida e poi ottenne il congedo. Convisse per qualche
tempo con
una donna che gli diede un figlio, nel 1645 divenne segretario del duca d'Alba, nel 1650 entrò nell'ordine
terziario di san
Francesco e fu ordinato sacerdote nel1651.
Gli fu assegnata la parrocchia dei Reyes Nuevos di Toledo, ma non poté prenderne possesso per
l'opposizione del
cappellano maggiore. Entrò così nella confraternita del Rifugio, ma nel 1663divenne cappellano d'onore del
re e si
trasferì a Madrid. Nel 1666 fu nominato cappellano maggiore e nel 1679 Carlo II stabilì che il suo
mantenimento fosse a
carico della corte fino alla sua morte.
<b>Opere
</b>La sua prima comparsa nell'ambiente letterario ebbe luogo nel 1620 in occasione dei certami in onore di
Sant'Isidro che
erano stati organizzati da Lope de Vega. La sua vocazione per il teatroebbe inizio poco più tardi, dal
momento che si ha
notizia della sua prima commedia sicuramente databile, <i>Amor, honor y poder</i>, del 1623. Risale al 1634
il suo interesse
per l'&quot;auto sacramental&quot; (o &quot;autos sacramentales&quot; ), genere drammatico che egli
porterà alla massima perfezione. Dopo
essere stato ordinato sacerdote comporrà solo &quot;autos&quot; e commedie di carattere religioso o
mitologico destinate
solamente alle rappresentazioni di Palazzo e nel <i>giardino</i> del Buen Ritiro. Calderon compose più di
centodieci lavori per
il teatro, pubblicò quattro <i>Partes</i> negli anni 1636, 1637, 1664, 1673-'74, mentre la quinta, del 1677,
non ottenne la sua
approvazione. Nello stesso 1677 vide la luce un volume che conteneva dodici &quot;<i>autos
Sacramentales</i>&quot;. Fra il 1682 e il
1691, Juan de Vera Tassis curò un'edizione fondamentale dell'autore in nove volumi. Quello che è
considerato il suo
capolavoro è un dramma filosofico-teologico in tre atti, in versi, scritto nel 1635 dal titolo <i>La vida es
sueño</i> (<i>La vita è
sogno</i>).
<b>Le commedie
</b>Le sue commedie si possono dividere in due gruppi.
Al primo appartengono le commedie di &quot;mantello e spada&quot; ( dallo spagnolo &quot;capa e
spada&quot; ) nelle quali Calderón
riprende il linguaggio teatrale elaborato da Lope de Vega e lo rende più sintetico e semplificato; al secondo
appartengono quelle di carattere fantastico e quelle mitologiche (tra cui <i>La vita è sogno</i> che è
considerata il suo capolavoro) dove gli elementi realistici lasciano il posto a quelli simbolici e fantastici e ai
concetti filosofici.
<b>Gli autos precisa espressione della cultura barocca spagnola, trovano in Calderón un alto grado di
raffinatezza. In essi il contenuto teologico, esaltato da sfarzose messinscene, si fonde con i valori poetici e
drammatici. Essi testimoniano le profonde conoscenze che Calderón aveva di san Tommaso e dei gesuiti
neoscolastici.
Pensiero
Allievo dei gesuiti, Calderon assimila il pensiero di Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino che gli
arrivava attraverso l'interpretazione allora in voga in Spagna di Bañez, Molina e Suárez, mescolandovi il culto
per il precristianesimo. Dal suo pessimismo e scetticismo riguardo l'autonomia e la validità dell'operare
umano nasce un senso profondo della vanità universale che sfocia nei mitici temi calderoniani: la vita
comepellegrinaggio, come sogno, il mondo come teatro, apparenza, recitazione di parti sempre uguali da
assegnare a personaggi sempre diversi. Malgrado il pessimismo dell'autore sia temperato dalla fiducia in Dio
e dal forte razionalismo che deve a san Tommaso, molte delle sue opere rivelano una così grande
inquietudine sulla condizione umana che lo avvicinano all'esistenzialismo cristiano contemporaneo. Calderón
vede nella storia, antica o contemporanea, l'impronta della volontà divina così come nel mondo naturale,
egli legge il piano e la presenza di Dio.
La vita è sogno
La vita è sogno (titolo originale: <i>La vida es sueño</i>) è un dramma filosofico-teologico in tre atti e in versi
scritto nel 1635 da Pedro Calderón de La Barca (1600-1681).
Soggetto
L'opera è stata definita dalla criticacome una versione cristiana dell'Edipo re: al posto dell'incesto vi è la
morte della madre del principe Sigismondo, avvenuta durante il parto e quindi causata indirettamente da lui
stesso; all'assassinio del padre si sostituisce una sconfitta in battaglia. Manca inoltre il finale tragico.
Primo atto
In un'immaginaria Polonia, vive un immaginario re, Basilio, esperto di astrologia. Egli, alla nascita del figlio
Sigismondo, prevede che questi diventi un principe sanguinario e tiranno. Per evitare che ciò accada lo fa
rinchiudere in una torre. Sigismondo è custodito da Clotaldo, il fido del re, dal quale riceve la sua unica
educazione sul mondo esterno che non ha mai avuto modo di vedere con i suoi occhi. All'inizio del dramma
compaiono, Rosaura, figlia di Clotaldo, e il suo servo Clarino. Clotaldo non conosce la figlia in quanto aveva
abbandonato la moglie prima che la bambina nascesse. Rosaura sarà riconosciuta dal padre per mezzo di
una spada che la giovane gli consegnerà. Rosaura e Clarino si avvicinano alla torre, illuminata da una fioca
luce, dove è rinchiuso Sigismondo. Sigismondo, inferocito per essere stato sorpreso, minaccia di ucciderla
ma interviene Clotaldo che chiama immediatamente le guardie e fa arrestare i due intrusi. Intanto il re
Basilio, decide di mettere il figlio alla prova dandogli la possibilità di cambiare il suo destino. Fa dunque
somministrare a Sigismondo un sonnifero e durante il sonno lo fa trasportare a corte.
Secondo atto
Nel secondo atto si vede Sigismondo alla reggia, attonito tra i musici che cantano e i servi che lo vestono.
Clotaldo intanto gli racconta la verità e la necessità di afferrarsi a se stesso, spinge Sigismondo a
manifestare la sua natura di essere non fondamentalmente cattivo, ma di individuo abbandonato a se
stesso, vissuto lontano dalla civiltà. Così Sigismondo, che ora vuole vendicarsi di tutto e di tutti, si comporta
in modo superbo e tirannico. Solamente davanti a Rosaura, che è stata condotta a corte dal padre, egli si
calma restando estasiato dalla sua bellezza. Basilio deve prendere atto che Sigismondo è veramente il
mostro che gli astri avevano profetizzato, così lo addormenta nuovamente e lo fa ricondurre in prigione.
Svegliatosi nella prigione, Sigismondo deve ammettere che ha sognato, ma l'evidenza di quel sogno, tanto
simile alla realtà, fa nascere in lui una certa confusione tra il sogno e la realtà, risolvendosi infine nella
certezza d'una verità superiore che diventerà regola per la sua vita futura: tutta la vita è un sogno.
Terzo atto
Nel terzo atto, alla notizia che al trono sono stati designati Astolfo e Stella, il popolo insorge in favore di
Sigismondo e lo acclama re. Sigismondo viene liberato dal popolo che lo vuole re e si oppone al governo di
Astolfo. Avviene una battaglia, Sigismondo vince, cattura Astolfo, Clotaldo e suo padre Basilio. Quest'ultimo
decide di arrendersi al destino, ma Sigismondo lo risparmia perché ha capito che né nella vita né nel sogno
vale la pena di rovinare la felicità dell'uomo tanto essa è sfuggente e labile. Sposa Stella e prende le redini
del regno. Astolfo sposerà Rosaura.

ROBINSON CRUSOE by Daniel Defoe doc


PLOT: Robinson Crusoe was born in the city of York, where he was educated. His father wanted him to become a
lawyer, but his only desire was to go to sea. When he was nineteen he left home without asking permission and
began his life at sea. After various adventures, he found himself on a ship sailing for the African coast. A violent
tornado pushed the ship on the land. All the seaman abandoned the ship, and they drowned. But Robinson went
ashore at the beach. He was on an island. He swim out to the ship and get as many things as he could. After ten
month later, Robinson explored the island. It was uninhabited, and rich of fruit trees. One day he decided to build a
boat. One midday Robinson saw a footprint in the sand, than he knew that in the other side of island there are some
savage, and they were cannibals. Robinson attack the cannibals, and saved a person, who called Friday. Three years
passed, and Friday saw three boats. They attack the savage, and between the prisoner, there was Friday's father.
One morning he saw an English ship, and they report home Robinson with Friday.
CHARACTERS: Robinson, a shipwrecked person, who lived for twenty-eight years on a desert island. Friday: a savage
who Robinson saved to the cannibals.

la que vamos a tratar es una de las grandes obras clásicas del teatro español de hoy y de siempre: conoce
el argumento breve de Fuenteovejuna, de Félix Lope de Vega. Este prolífico escritor barroco desarrolló una
interesante carrera literaria en la que destacan joyas como la que nos ocupa en este texto, y otras de gran fama
como La Dorotea.
Pero en Fuenteovejuna estamos ante la que es considerada por un gran estudioso de la literatura española como la
obra más democrática del teatro castellano. Así lo afirma Menéndez Pelayo, ya que este texto, pudiendo ser un fiel
reflejo de su tiempo, perfectamente lo podríamos extrapolar a cualquier época de la historia humana, incluso la
actual. ¿Por qué? Porque se narra la historia de un comendador que abusa de su poder ante el pueblo, provocando
finalmente que este se rebele contra él, como vemos a continuación.
Índice
1. Argumento Fuenteovejuna: primera parte
2. Segunda parte de Fuenteovejuna
3. Más información sobre esta obra literaria
Argumento Fuenteovejuna: primera parte
Sin más dilación, comenzamos ya a conocer el argumento breve de Fuenteovejuna. Más adelante comentaremos
otras interesantes nociones sobre la obra.Fuenteovejuna es un pueblo cordobés netamente agrícola que durante el
reinado de los Reyes Católicos vive bajo el poder del Comendador Mayor de la orden de Calatrava, Fernán
Gómez.Fernán Gómez es un hombre cruel que maltrata a sus vasallos. Así que este personaje sin escrúpulos se
encuentra un día con Laurencia, una joven del pueblo enamorada de Frondoso, con quien se quiere casar. En ese
momento, el Comendador pretende aprisionarla y llevarla a palacio, siendo ayudada su amado, quien la salva
amenazando al gobernador con su ballesta.El día de la boda entre Laurencia y Frondoso, el Comendador aparece
para llevarse a la chica a palacio y al chico a la cárcel. Sin embargo, el pueblo no aguanta más injusticias y crueldades
del señor, que deshonra a las jóvenes y se lleva a los chicos a sus guerras. En esta otra lección de unPROFESOR te
descubrimos un análisis de los personajes principales y secundarios de Fuenteovejuna.

Segunda parte de Fuenteovejuna


Vamos ya con la segunda parte del argumento breve de Fuenteovejuna, donde se muestra una forma singular de
pedir justicia por parte del pueblo.
Es así que los vecinos deciden tomar el palacio de Fernán Gómez al grito de Vivan los Reyes Católicos, y acaban con
el Comendador de forma un poco salvaje.
Muerto el gobernante cruel, el pueblo jura silencio sobre los hechos. Sin embargo, Flores, criado fiel del
Comendador, huye y avisa a los Reyes Católicos, que mandan a un juez para investigar los hechos. Pero por más que
lo intenta, incluso con maltrato, no logra encontrar la información deseada, y a la pregunta de “quién mató al
Comendador”, todos, incluso los niños, responden “Fuenteovejuna, señor”.
Así es que el juez se marcha de vuelta ante los reyes junto con el pueblo. Allí es donde los gobernantes les informan
que únicamente serán vasallos suyos, y de nadie más, por lo que los regentes deciden no tomar represalias ante la
muestra de valentía y respeto que ha demostrado el pueblo de Fuenteovejuna.
Más información sobre esta obra literaria
Esta obra está escrita por Lope de Vega en 1619, en pleno auge del barroco, aunque el periodo en que ambienta los
hechos se encuentra en época feudal, acabando ya la Edad Media, durante la Reconquista, ya que los Reyes
Católicos aparecen y tienen un papel primordial.
La obra se divide en tres actos con dos líneas narrativas diferentes, que son los abusos del Comendador y su
necesidad por conquistar Ciudad Real. En el primer acto se desarrolla el enfrentamiento entre Fernán Gómez y
Frondoso, en el segundo observamos el triunfo del mal al final de la accidentada boda del chico con Laurencia, y en
el tercero la derrota del mal por parte del poder colectivo del pueblo, que acaba con el perdón real.
Conociendo estos detalles, observamos que la obra de Lope de Vega trata temas como el poder colectivo que
demuestra el pueblo desencantado antes su vil gobernante. Como es lógico, otros asuntos muy presentes son las
traiciones y el abuso de poder frente a la fidelidad y la amistad entre los ciudadanos capaces de unirse por un bien
mayor. También encontramos una vigorosa defensa de la monarquía, que retrata a unos regentes sabios y justos, así
como el honor, incluso entre la gente más sencilla, y el amor en su estado más dulce e inocente.

¿Qué te parece si conocemos a los personajes principales y secundarios de Fuenteovejuna? Esta es una de las
grandes obras del teatro español de todos los tiempos, escrita por el célebre Lope de Vega, autor que vivió entre el
siglo XVI y XVII en un momento de gran esplendor de la España imperial, cuando se decía popularmente que no se
ponía en Sol, tan grandes eran los dominios en aquel tiempo.
Así que, ya sin más dilación, arrancamos con esta nueva lección de unPROFESOR para descubrir una obra
apasionante. Sin duda, esta es una obra imprescindible de la historia de la literatura española, y también del teatro
clásico, por lo que merece la pena conocerla bien, así que no pierdas detalle.
Imagen: Mercado Libre Argentina
Índice
1. Resumen breve de Fuenteovejuna
2. Quién fue Lope de Vega
3. Personajes principales de Fuenteovejuna
4. Personajes secundarios de Fuenteovejuna
Resumen breve de Fuenteovejuna
Antes de entrar de ello en conocer los personajes principales y secundarios de Fuenteovejuna, hagamos un
pequeño resumen de la obra para saber exactamente de qué estamos hablando.Este libro se presenta en tres actos,
es decir, con un esquema clásico de planteamiento desarrollo y desenlace. Como es obvio, un primer acto nos lleva a
conocer a los personajes, empezando por el Comendador, protagonista de la obra, y enamorado de Laurencia, a
quien intenta incluso violar.A lo largo de segundo acto, se desarrolla la relación de Laurencia y Frondoso, dos jóvenes
enamorados, que han de sufrir los celos y martirio del Comendador, incluso interrumpiendo su boda.Finalmente,
encontramos en el acto tres las soluciones para cerrar las tramas puestas en marcha. Laurencia es capaz de montar
una revuelta popular que acaba con la vida del Comendador y el pueblo libre, ya que todos se inculpan a todos, y
reciben el perdón real. Famosa es la sentencia "¿Quién mató al comendador? Fuenteovejuna, todos a una".
Quién fue Lope de Vega
Ahora también es importante conocer brevemente la figura de Lope de Vega, uno de los autores más
renombrados en su tiempo.Félix Lope de Vega nacido en Madrid, fue hijo de un bordador cántabro, profesión de
prestigio en la época. No obstante, fue contemporáneo de otros grandes como Góngora quien no le tenía gran
aprecio.Comenzó a escribir con 11 años, probó como sacerdote en la Universidad de Salamanca, pero el amor hizo
que se interrumpiese su carrera. No obstante, su vida estaba llena de aventuras amorosas, e incluso sus andanzas le
llevaron a participar como soldado en la Armada Invencible. No obstante, fue un hombre muy culto.

Personajes principales de Fuenteovejuna


Y, ahora ya sí, conozcamos a los personajes principales de Fuenteovejuna:
 El Comendador: un hombre que tiraniza a su pueblo, con tantos arrestos, que es capaz de ningunear a la
propia Iglesia a la vez que engaña a los Reyes. Es un hombre sin honor, falso y mentiroso, de elevada
arrogancia, orgullo exacerbado e incapaz de reconocer sus errores. Es un farsante y timador, que abusa de
su poder, mujeriego, lujurioso y odiado por todo el pueblo.
 Laurencia: es el objeto de pasión del Comendador. Una labradora y pastora con cierta idealización en la
obra. Quizás el conocimiento grecorromano de Lope de Vega influyese en eso. Es honorable, firme, idealista
y capaz de luchar por lo que cree. Defiende su honor de doncella y mujer casada, e incluso cuando es
agraviada, no tiene problema en no dejarse humillar por las villanías del Comendador. Tanto es así, que
levanta al pueblo contra el hombre para salvar la vida de su amado, Frondoso. Es virtuosa y de corazón puro.
 Frondoso: proviene del mismo ambiente que Laurencia, de hecho, están muy enamorados ambos. Es
atrevido y no acepta las faltas de respeto que recibe del Comendador. Se deja llevar por sus sentimientos y
cree en la justicia y la virtud, ya que es un hombre honorable que respeta a las mujeres y el amor.

Personajes secundarios de Fuenteovejuna


Veamos ahora quiénes son los personajes secundarios de Fuenteovejuna que mayor importancia tienen en la obra:
 Esteban: es el alcalde del pueblo. Una buena influencia, hombre amable que incluso se atreve a incitar la
rebelión ante el odioso Comendador.
 Don Manrique: hombre sosegado, noble, leal caballero y mesurado, es todo un ejemplo en el pueblo.
 El Maestre: este es un falso y desfasado que, igual que el Comendador, es farsante y arrogante hasta la
médula.
 Pascuala y Mengo: labradores de contrapunto gracioso, representan el universo cómico de lo rústico,
aunque demuestran ser capaces de encontrar el amor altruista.
 Los Reyes: poderosos, intervienen en los conflictos con perspicacia, pese a cierto miedo a perder el trono,
aunque consiguen salir bien parados.
 El pueblo: un pueblo valiente, capaz de levantarse contra lo que consideran injusto y luchar por sus
creencias.
Comienza una nueva lección de unPROFESOR centrada en el análisis literario de Fuenteovejuna de Lope de Vega.
Estamos hablando de uno de los literatos más influyentes de la historia de la literatura española, y de una de sus
obras más importante.
Félix Lope de Vega y Carpio fue un escritor madrileño nacido en 1562 y educado en el seno del Colegio Imperial de
los Jesuitas. Desde bien joven comenzó a trabajar las letras y demostró muy pronto su talento para la escritura y las
traducciones. En el legado literario de Lope de Vega se aprecia su misma forma de vivir, ciertamente algo
desenfrenada y plagada de deslices y aventuras con diversos matrimonios que acabarían con su ingreso en el
sacerdocio merced a su gran fe religiosa. Finalmente, muere en su Madrid natal en 1635 con sus restos enterrados
en la Iglesia de San Sebastián.
Conocido brevemente Lope de Vega, seguimos con el análisis literario de Fuenteovejuna, la que probablemente sea
su obra más famosa de todo su fértil trabajo.
Índice
1. Argumento de Fuenteovejuna
2. Análisis literario de Fuenteovejuna de Lope de Vega
3. Personajes de Fuenteovejuna
Argumento de Fuenteovejuna
Comenzamos por el argumento de Fuenteovejuna, un pequeño pueblo que recibe a un nuevo Comendador
mientras el Maestre de la Orden de Calatrava se marcha a tomar Ciudad Real y a luchar junto a Juana la Beltraneja
en la guerra que esta ostenta frente a los Reyes Católicos.
El Comendador resulta no ser un buen hombre, y pronto se enamora de Lucrecia, una joven del pueblo que desea
entregarse a Frondoso, otro chico por el que tiene profundos sentimientos.
El Comendador, celoso, intenta abusar de Lucrecia en un bosque, pero es Frondoso quien lo impide. No obstante,
aprovechando su posición de poder, dicho Comendador acaba por presentarse en la boda de Lucrecia y Frondoso de
forma inesperada para encerrar al chico en prisión por haberle agredido con la ballesta en el incidente del bosque.
El padre de Lucrecia, a su vez alcalde del pueblo, discute con el resto de sus gentes sobre lo que ha sucedido para
tomar una decisión y ver qué pueden hacer para ayudar a Frondoso. Mientras, la joven marcha junto con sus amigas
para intentar acabar con los abusos del Comendador, un mal hombre que está atormentando a los vecinos de
Fuenteovejuna.
Finalmente, cuando el Comendador y sus secuaces deciden qué hacer con Frondoso, las gentes de pueblo entran en
el lugar de deliberación acabando con la vida del tirano y liberando a Frondoso.
Luego, un siervo del Comendador que ha podido escapar pide ayuda a los Reyes Católicos, que se presentan en el
pueblo para investigar lo sucedido, ya que ni el Maestre ni un juez enviado al lugar han tenido éxito pese a haber
probado incluso con la tortura a los habitantes. pero nadie habla.
En definitiva, el pueblo al completo se auto inculpa en la muerte del Comendador. Sin embargo, los reyes no tienen
más remedio que liberarlos a todos por entender que su actitud y proceder fue justa, y a su vez perdonan al Maestre
por no haber luchado en su bando y por dejarse engañar por el Comendador.
Fuente imagen: Slideshare

Análisis literario de Fuenteovejuna de Lope de Vega


Conocido el autor y el argumento de Fuenteovejuna de Lope de Vega, seguimos profundizando en el análisis literario
de la obra:
 Tema principal: el pueblo se levanta contra el poder opresor de un gobernante injusto.
 Temas secundarios: encontramos otros temas como el amor juvenil, la ambición desmedida, la maldad y el
abuso de poder o la forma de impartir justicia de los reyes con un estilo casi infalible.
 Escritura: es una obra escrita en verso.
 Corriente: barroco
 Escenario: prácticamente toda la acción tiene lugar en el pueblo de Fuenteovejuna, aunque hay otros
escenarios como la Casa de la Encomienda o el Palacio de los Reyes Católicos.
 Influencia: encontramos una obra con cierta intención moralizante, aupando la labor de los reyes, pero
también influenciada por asuntos como el honor, la tiranización hacia el pueblo por el mal gobierno, la
hipocresía o la diferencia de clases, todo muy habitual de ver en la época.
Fuente imagen: Slideshare

Personajes de Fuenteovejuna
Finalizamos el análisis literario de Fuenteovejuna de Lope de Vega haciendo un repaso de los personajes principales
y secundarios de la obra:
 Fuenteovejuna: el pueblo al completo es tratado casi como el protagonista absoluto de la obra.
 Fernán Gómez de Guzmán: es el Comendador de la Orden de Calatrava. Un tirano y mal gobernante que
encuentra su justo final.
 Ortuño: taimado y con malas intenciones, es un servidor del Comendador.
 Flores: otro de los servidores del Comendador, este menos taimado que el otro.
 Frondoso: joven enamorado de Lucrecia que defiende su honor y su amor frente al tirano.
 Lucrecia: la joven enamorada que demuestra ser una chica valiente y de armas tomar.
 El Maestre de la Orden de Calatrava: personaje que se deja engañar por el Comendador y por Juana la
Beltraneja, aunque su falta de mala intención es perdonada finalmente.
 Reyes Católicos: Tanto Isabel como Fernando aparecen en la obra como símbolo de una forma justa de
impartir justicia y gobernar al pueblo.
Lope de Vega
Lope Félix de Vega y Carpio fue el mayor dramaturgo español, creador del teatro nacional, y con una frondosísima
producción teatral que hizo llamarlo a Cervantes “Monstruo de la naturaleza”.Lope de Vega nació en Madrid en
1562 y estudió en el Colegio Imperial de los Jesuitas. Desde muy chico se dedicó a la creación de obras literarias, al
comienzo con poesías, traducciones y primeras comedias.Vivió una vida de pasiones intensas, desde su
enamoramiento a los diecisiete años, de Elena Osorio, hasta sus varios matrimonios, deslices y aventuras, y en
intermedios volcóse al sacerdocio, pues profesaba a la vez una profunda fe religiosa.Tuvo amistades cortesanas
influyentes y perteneció a varias congregaciones religiosas, lo que le valió ingresos y su título de Fray que se suele
anteponer a su nombre.Falleció en Madrid en 1635 y sus restos depositados en la Iglesia de San Sebastián.
CONTEXTO HISTÓRICO Y SOCIAL
La obra se basa en un episodio histórico que ocurrió en Fuente Ovejuna, un pueblo cordobés en 1476. Es la época de
la reconquista y de la sociedad feudal tardía. Este pueblo es sometido no a la monarquía sino a la Orden de
Calatrava. Lope de Vega vivió el final del reinado de Felipe II y los reinados de Felipe III y IV, periodos en los que
España pasó a convertirse en un país sumido en la miseria.La época de Felipe II fue el inicio del declive de un tiempo
lleno de esplendor. Fue un periodo marcado por la Contrarreforma y la Inquisición.La situación empeoró con la
subida al trono de Felipe III, debido a los continuos conflictos bélicos, y se agravaría aún más durante el reinado de
Felipe IV, todo ello contribuiría a la pérdida de la supremacía española en Europa después de la guerra de los Treinta
Años.Tras la muerte de Felipe II, el Estado quedó en manos de los válidos, consejeros de los reyes. Hubo una
profunda crisis económica.La nobleza cortesana pasaba por un momento de auge. En cambio, el pueblo sufría las
consecuencias de la mala situación económica donde las pestes causaban estragos. Se produjo una despoblación del
campo.
La sociedad estaba dividida en clases sociales separadas por barreras de la Edad Media (por ejemplo, si una persona
nacía en una clase social muy baja, no podía subir de su estado). En la base de esta división se encontraba el pueblo
llano, dedicados a la agricultura y otros se marcharon y se dedicaron a ser artesanos (los llamados burgueses en
tiempos futuros) estos estas en la clase más baja. Los nobles e hidalgos pertenecían al segundo estamento y tenían
que aparentar mucha riqueza cuando no era verdad, aunque entre ellos había diferencias. La iglesia también se
encontraba en este mismo estado. Y en el tercer y último rango estaba el Rey. A este sistema se le llamaba el
absolutismo o la monarquía absoluta.Paradójicamente, la decadencia absoluta del Imperio contrastaba con el
máximo esplendor artístico y literario.Pero, no ocurrió lo mismo en el campo de las ciencias, a causa de las
prohibiciones de la Inquisición estaba en claro retroceso.Con todo aquel desorden, la Iglesia y el Estado decidieron
utilizar la cultura como un instrumento de masas.

RESUMEN DEL ARGUMENTO


Fuente Ovejuna es un pequeño pueblo, que está bajo el dominio del Comendador del pueblo, Fernán Gómez de
Gúzman, no respeta las leyes y abusa de su poder, traicionando los principios feudales y comportándose como un
tirano, un hombre cruel sin escrúpulos que además si no lograba seducir a las mujeres las tomaba igualmente por la
fuerza. Pastores y labradores padecen las injusticias del poder feudal.
Laurencia y Frondoso decidieron casarse, ella quedó embobada por la valentía y fortaleza que Frondoso poseía. Sin
embargo, el Comendador ya había asignado a la bella Laurencia como su próximo objetivo, pero gracias al valiente
Frondoso ella es salvada de las garras del tirano cuando se lo encuentra en el bosque. El Comendador muy enfadado
manda aprisionar a Frondoso, mientras que se lleva a Laurencia a Palacio.
El pueblo de Fuente Ovejuna, cansado de la crueldad de su dominador que no hace más que abusar de su poder
cruelmente, explotó de tal forma que decidieron asesinar al Comendador. Reúnen piedras, hachas, chuzos y,
venciendo el temor a las armas que posee el “enemigo” y al poder que ostenta, logran finalmente entrar en la casa
para salir con la cabeza del Comendador sin piedad.
Una vez perpetrado el asesinato, el pueblo acuerda no decir palabra de quién lo llevo a cabo, Fuente Ovejuna fue el
asesino de su tirano dominador. Un criado del Comendador, consiguió escapar con vida del palacio para avisar a los
reyes de lo sucedido. Una vez informados, los reyes mandan juzgar al pueblo. Pero sin embargo la respuesta a quién
fue el asesino siempre era la misma; Fuente Ovejuna.
Finalmente el pueblo pide perdón y los Reyes Católicos absuelven el pueblo, ya que es imposible determinar la
identidad de los culpables concretos, e incorporan la villa a la corona.
Esta impactante obra dramatiza hechos reales que sucedieron durante el reinado de los Reyes Católicos, en 1476, en
un pequeño pueblo cordobés llamado “Fuente Obejuna”. La obra se publica en 1613. Varios siglos más tarde, desde
el año 1935, será representada frecuentemente por grupos de actores profesionales en la plaza de Fuenteovejuna y
sus habitantes actúan como “extras”. Luego será puesta en escena exclusivamente por los vecinos, y aunque la
dirección teatral se ha mantenido en manos de profesionales prestigiosos, con ello se ha cumplido un sueño: la
representación de Fuenteovejuna, en “Fuente Obejuna” y por “Fuente Ovejuna”.
ADAPTACIÓN.
Es una adaptación de la obra de Lope de Vega que realiza La Joven Compañía, una compañía de jóvenes de entre 18
y 23 años a los que se les desborda la ilusión y el entusiasmo por el teatro y la interpretación por los cuatro costados.
Está enmarcada dentro del proyecto de Teatro Joven o “Jóvenes al Teatro”, cuyo fin es acercar el teatro al público
más joven desarrollando funciones, talleres y actividades pedagógicas con colegios e institutos dada la preocupación
que existe acerca del desinterés de la juventud por la cultura.
Se trata de una representación fiel al verso de Lope, que es el alma de la historia, y de una duración adecuada, sobre
todo teniendo en cuenta que está principalmente enfocada a un público joven, que probablemente no esté
acostumbrado a asistir a funciones muy largas.

TEMAS
 El poder colectivo: El personaje más importante de esta obra es de carácter colectivo. Si el pueblo no se
hubiera unido en contra del Comendador, no hubiera podido derrotarlo y recibir el perdón de los Reyes
Católicos.
 El abuso del poder y la traición: El Comendador abusa de su poder para aprovecharse de las mujeres del
pueblo de Fuente Ovejuna, traicionando a la gente de su pueblo y el ideal del caballero medieval. También
traiciona a los Reyes Católicos al tratar de apoderarse de Ciudad Real.
 Defensa de la monarquía: En esta época el viejo sistema feudal se está cediendo paso a una monarquía
fuerte. Lope defiende la monarquía y representa a los Reyes Católicos como poderosos y sabios.
 El honor: La gente sencilla del pueblo encarna los valores fundamentales de la vida honrada. Laurencia
prefiere conservar su honor al ser amante del Comendador, a pesar de las promesas que le hace. El
Comendador se burla de la idea que la gente sencilla pueda tener honor, por lo que la obra pone en
evidencia que la nobleza no equivale al honor.
 El amor: El amor verdadero de Frondoso y Laurencia contrasta con la lujuria del Comendador que quiere
abusar de Laurencia.
 La tragedia: Al final, el pueblo explota y deciden asesinar al Comendador.

ESTRUCTURA
La obra se divide externamente en tres actos muy marcados por los cambios de escena que responden al
planteamiento, nudo y desenlace de la trama. Como es propio de la renovación barroca, rompe con las unidades de
tiempo, espacio y acción.
Esta se desarrolla en varios días y se suceden dos tramas principales: una de carácter social y otra de actitudes
políticas.
Por un lado se plantea una acción constituida por los conflictos entre el comendador y los habitantes de Fuente
Ovejuna y, por otro, existe una acción secundaria en la que se cuentan los sucesos ocurridos en Ciudad Real en las
guerras civiles. Estas dos acciones convergen a partir del acto segundo, donde la traición política y la social del
comendador se unifican.
En el primero se plantea el siguiente problema: el comendador y sus malas intenciones, surge un triángulo amoroso
entre el Comendador, Laurencia y Frondoso. Este acto termina con el enfrentamiento de Frondoso y el Comendador.
En el segundo acto se desarrolla la intriga: Laurencia y Frondoso se casan, el comendador decide vengarse.
Por último en el tercer acto se presenta el desenlace: el pueblo se rebela y mata al tirano y el rey les perdona.

PERSONAJES
LOS REYES CATÓLICOS
Al momento de ocurrir la tragedia en el pueblo de Fuenteovejuna, ellos acuden personalmente a resolver en favor
de los habitantes, mayormente labradores.
COMENDADOR
Fernán Gómez de Guzmán, es un hombre arrogante como todo tirano. Lascivo, malvado y manipulador, soberbio e
injusto, ha abusado de la mayoría de las mujeres del pueblo haciendo uso del cada vez más rechazado “derecho de
pernada” que lo autorizaba a violentar sexualmente a las mujeres del feudo. El obstáculo que habrá de
desencadenar la tragedia es la férrea oposición de Laurencia con el fin de conservar y defender su honra.
ESTEBAN
Padre de Laurencia y alcalde de Fuenteovejuna. Es un hombre mayor, de linaje, venerado por el pueblo, honorable y
honrado. No se muestra sumiso ante el Comendador, sin embargo es incapaz de impedir que Fernán Gómez de
Guzmán interrumpa la boda de Laurencia y Frondoso, a quien manda encarcelar, para abusar de la joven.
FRONDOSO
Joven labrador que equivale al galán del pueblo de Fuenteovejuna. Está profundamente enamorado de Laurencia, a
quien le ha declarado sus sentimientos, pero ella lo rechaza porque no tiene ningún interés en el matrimonio. Sin
embargo, al verlo tenaz y decidido en su oposición al Comendador, Frondoso logra finalmente, conquistarla.
ORTUÑO
Es un criado o simple acompañante del Comendador. Poco listo, pero obediente, solo ejecuta órdenes.
BARRILDO
Es un labrador del pueblo y mejor amigo de Frondoso. De aparente bajo perfil, opera apoyando incondicionalmente
a Frondoso.
FLORES
Es un criado del Comendador, igual que Ortuño. El Comendador siente confianza en él para hacerlo cumplir sus
mandatos. Su participación es influyente en el transcurso del conflicto dramático.
MENGO
Es el “Gracioso” o “figura de donaire”, tipo de personaje introducido en el teatro por Lope de Vega. Su función es
disminuir la tensión del conflicto dramático a través de bromas y situaciones jocosas. Él incita y une al pueblo para
tomar venganza. Más tarde, es sometido a tortura para que confiese y aclare quién mató al Comendador.
PASCUALA
Amiga de Laurencia, labradora de Fuenteovejuna, también ha sido víctima de la lascivia del Comendador. Al igual
que Laurencia desea la venganza. Es una mujer bella y muy dulce.
LAURENCIA
Laurencia, aunque un tanto fría en temas de amor, es la joven más atractiva del pueblo por su belleza y su carácter
fuerte e intrépido. Encarna al tipo de mujer que considera a los hombres en un bajo nivel e indignos de su condición
masculina, idea que cambia cuando ve en Frondoso la imagen de hombre valiente y enamorado con quien habrá de
desposarse más tarde. Ella no se dejará aplastar ni por el poder ni por la fuerza aunque deba hacer justicia por sus
propias manos. Es la principal víctima del Comendador.
JACINTA
Otra labradora de Fuenteovejuna; ve resuelto sus dramas de honor por la actuación Mengo.
JUAN ROJO
Es un labrador, tío de Laurencia. Siempre interviene y muestra una singular sabiduría. Aunque no es un personaje
muy importante dentro de la trama, es muy influyente entre los habitantes de Fuenteovejuna.

MONTAJE
La adaptación de Fuenteovejuna que hemos visto consta de la incorporación de interesantes elementos
audiovisuales que ayudan a crear sensaciones en el público que sin ellos no sería posible. Como por ejemplo, en el
momento del interrogatorio a la gente del pueblo, pudimos ver como una videocámara nos enseñaba sus
confesiones, o la escena en la cual aparecían unos perros ladrando, creando una atmósfera con tensión.
La música tenía un gran valor en la representación, se trataba de música en directo que ayudaba a meterse en el
pueblo de Fuenteovejuna y vivir en primera persona el hostil ambiente que se respiraba.
En cuanto a la iluminación, hay que decir que era escasa en su gran parte, para provocar esa sensación de crispación
que había en el pueblo. En algunos momentos de la representación, unos potentes focos lanzaban destellos de luz
para imitar la sensación de violencia y tensión.
Para acabar, el vestuario no siempre era acorde a la clase social de cada personaje y a la época en la que nos
encontramos, siglo XV. Por ejemplo, uno de los personajes vestía con unas gafas de sol.

LENGUAJE
Dependiendo de los personajes van a hablar de una forma más culta y refinada o más vulgar. Los villanos tienen un
lenguaje más vulgar y carecen de cultura. Los personajes nobles hablan de forma más culta y de acuerdo a su
condición social, emerge la cultura que poseen.
Lope utiliza varias figuras retóricas como la metáfora, el polisíndeton, el hipérbaton, la exclamación y la
interrogación retórica.
El libro de Fuente Ovejuna, concretamente, está escrito en castellano antiguo. En el cual se encuentran ciertas
variedades respecto al castellano actual como son:
 Muchas palabras del castellano antiguo se escribían con doble -ss.
 Se utilizaba la -x en lugar de la -j.
 La -z se representaba con ç.
 Ciertas palabras que en castellano antiguo tenían un significado, y en el actual tienen otro completamente
diferente.
VALORACIÓN PERSONAL
Fuenteovejuna es una obra complicada de leer, ya que usa un lenguaje antiguo y complejo con algunas palabras en
desuso.
El tema que trata me ha gustado, sin embargo para comprender mejor la obra es recomendable acudir a una
representación de teatro, ya que solamente leyendo el libro es difícil comprender todo.
La obra hace pensar en lo injusto que ha sido siempre la del más pobre y desamparo y de los engaños que han
sufrido de manos de los más poderosos que abusan de los más de débiles. El pez grande se come al pez pequeño.
Sin embargo, un pueblo unido como el de “Fuente Ovejuna”, vemos como es capaz de compenetrarse y “comerse al
pez grande”. La obra es muy interesante y se la recomendaría a todo el mundo.
Fuente Ovejuna (1619) es una obra de teatro barroco, de Lope de Vega, en la que el pueblo se levanta contra la
injusticia y los abusos de poder. Según el crítico literario Menéndez Pelayo, "no hay obra más democrática en todo el
teatro castellano".
Argumento
La obra se basa en un episodio histórico que ocurrió en Fuente Ovejuna, un pueblo cordobés en 1476. Es la época de
la reconquista y de la sociedad feudal tardía.Este pueblo es sometido no a la monarquía sino a la Orden de
Calatrava.El Comendador del pueblo, Fernán Gómez de Gúzman, no respeta las leyes y abusa de su poder,
traicionando los principios feudales y comportándose como un tirano. No sólo traiciona al puebo, sino también a los
Reyes Católicos, cuando decide atacar Ciudad Real. Tras una dura batalla, conquista dicho pueblo para el bando de
Juana la Beltraneja.Mientras tanto, Laurencia, la hija del alcalde, le dice a una amiga que el Comendador, que ya
tenía fama de aprovecharse de las mujeres del pueblo, le había propuesto a Laurencia ser amantes, pero ella lo
rechazó.
Los Reyes Católicos se enteran de que la Ciudad Real ha sido conquistada por las tropas del Maestre de Calatrava y
de Fernán Gómez y deciden enviar sus tropas a Ciudad Real para derrotar a los de Calatrava y retomar la ciudad.
El Comendador se encuentra por casualidad con Laurencia y trata de llevarla a su palacio a la fuerza.
En ese momento llega Frondoso, que está enamorado de Laurencia, y la rescata, apuntándole su ballesta al
Comendador. Tras este suceso, el Comendador está furioso por el rechazo de Laurencia y quiere detener a Frondoso
por haberlo amenazado con la ballesta. Además, recibe la noticia de que los Reyes Católicos han retomado Ciudad
Real.
Frondoso le pide la mano a Laurencia y ella lo acepta, pero en medio de la celebración de la boda, llega el
Comendador y detiene a los novios.
El pueblo, ya harto de los robos, atropellos y crueldades del Comendador, decide unirse y tomar la justicia por su
mano. Una noche llegan al palacio, invaden su casa y lo matan en nombre de Fuente Ovejuna y de los Reyes
Católicos.
En el juicio, cuando el juez les pregunta quién mató al Comendador, todo el pueblo responde: “Fuente Ovejuna,
señor”. El puebo pide el perdón real y los Reyes Católicos absuelven el pueblo, porque es imposible determinar la
identidad de los culpables concretos, e incorporan la villa a la corona.
Estructura y estilo
En esta tragicomedia hay dos líneas narrativas paralelas: los abusos del Comendador en el pueblo, y su deseo de
conquistar Ciudad Real. En el desenlace, las dos acciones se unen cuando el pueblo gana el juicio y los Reyes
Católicos retoman Ciudad Real e incorporan Fuente Ovejuna a su reino.
La obra consta de tres actos. En el primer acto triunfa el bien cuando Frondoso logra rescatar a Laurencia y se
enfrenta al Comendador. En el segundo triunfa el mal cuando el Comendador interrumpe la boda y lleva a los novios
presos.En el tercer acto vuelve a triunfar el bien cuando el pueblo derrota al Comendador y los Reyes los
perdonan.En cuanto al estilo, el lenguaje de los personajes refleja su condición social. Lope de Vega emplea una
varidad de métricas, que son en su mayoría de arte menor, como las redondillas y los romances. Entre las
características barrocas de esta obra, destacan la corrupción del Comendador y el desencanto del pueblo, así como
la desmesura y violencia exagerada con la que el pueblo asesina al Comendador, poniendo su cabeza en la punta de
una lanza.
Temas
El poder colectivo: El personaje más importante de esta obra es de carácter colectivo. Si el pueblo no se hubiera
unido en contra del Comendador, no hubiera podido derrotarlo y recibir el perdón real. La unificación del pueblo
refleja la unificación de España bajo los Reyes Católicos.
El abuso del poder y la traición: El Comendador abusa de su poder para aprovecharse de las mujeres de la villa,
traicionando a la gente de su pueblo y el ideal del caballero medieval. También traiciona a los Reyes Católicos al
tratar de apoderarse de Ciudad Real y al intentar convencer al Maestre de Calatrava a que tome armas contra el Rey.
Defensa de la monarquía: En esta época el viejo sistema feudal se está cediendo paso a una monarquía fuerte. Lope
defiende la monarquía y representa a los Reyes Católicos como vigorosos y sabios.
El honor: Las gente sencilla de la villa encarna los valores fundamentales de la vida honrada. Laurencia prefiere
conservar su honor al ser amante del Comendador, a pesar de las promesas que le hace. El Comendador se burla de
la idea que la gente sencilla pueda tener honor, por lo que la obra pone en evidencia que la nobleza no equivale al
honor.
El amor: El amor verdadero de Frondoso y Laurencia contrasta con la lujuría del Comendador que quiere abusar de
Laurencia.

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