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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

SEDE DI MILANO

CORSO DI FORMAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA


SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO
A.A. ​2016/2017

ELABORATO di APPROFONDIMENTO TEORICO


Titolo
Il ruolo della musica negli interventi educativi rivolti agli
studenti con ADHD

Candidata/o:
Amedeo Fera
Matricola N. 4615411

ANNO ACCADEMICO 2016/2017


Elaborato di approfondimento teorico
titolo: il ruolo della musica negli interventi educativi rivolti agli studenti con ADHD

INDICE

Introduzione

Capitolo 1 - Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività


1.1​ ​L’eziologia dell’ADHD: tra deficit neurobiologico e disturbo del comportamento
1.2 La comorbilità: associazione dell’ADHD con altri disturbi del comportamento
1.3 La prevalenza dell’ADHD sulla popolazione globale
1.4 Le modalità di intervento: un confronto tra esperienze in vari Paesi

Capitolo 2 - L’ADHD a scuola


2.1 l’inquadramento dell’ADHD nella legislazione italiana
2.2 L’ambiente scolastico e le sue relazioni con l’ADHD
2.3 Un disturbo invisibile: la stigmatizzazione dei problemi comportamentali in classe
2.4 alcuni approcci di gestione dei disturbi comportamentali in una prospettiva relazionale

Capitolo 3 - Il ruolo della musica negli interventi educativi rivolti a studenti con ADHD
nella scuola secondaria di I grado
3.1 L’educazione musicale nella scuola secondaria di I grado
3.2 Prospettive di intervento di natura musicale applicate ai disturbi comportamentali
3.3 un’educazione alla libertà: l’utilizzo della musica a scuola nella gestione delle emozioni.
3.4 l’educazione musicale come strumento di inclusione e potenziamento delle relazioni
sociali all’interno delle classi

CONCLUSIONI

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1
Introduzione

Il deficit di attenzione e iperattività, conosciuto anche con l’acronimo inglese ADHD, è un


disturbo relativamente comune all’interno delle classi delle nostre scuole. Ho scelto di
approfondire questa tematica da una parte perché ne ho avuto esperienza diretta nel corso del
mio percorso professionale e dall’altro perché molto spesso i disturbi comportamentali in
generale e, più in particolare proprio questo deficit, vengono considerati frutto di
maleducazione o scarso controllo di se stessi più che una vera e propria patologia. Ho deciso
poi di approfondire le relazioni tra l’educazione musicale nella scuola e questo tipo di
patologie perché penso che la musica possa dare un contributo importante alla gestione di
questi disturbi favorendo le relazioni all’interno delle classi e quindi predisponendo
l’ambiente all’inclusione dei ragazzi che presentano questo tipo di problema.
Nell’affrontare questa tematica ho iniziato con l’analizzare lo stato dell’arte relativo alla
ricerca medica su questo disturbo. Ne emerge un quadro di incertezza all’interno della
comunità scientifica, che in alcuni casi riconduce questo disturbo ad una problematica
neurobiologica o genetica, mentre in altri lo ricollega alla situazione socioeconomica,
familiare o affettiva. Ho proseguito poi analizzando la prevalenza del disturbo sulla
popolazione e la sua associazione con altri disturbi. Il primo capitolo è stato concluso con
l’esame dei protocolli d’intervento che vengono attuati nei sistemi scolastici di alcuni paesi
europei ed extraeuropei.
Nel secondo capitolo ho invece affrontato la gestione dell’ADHD all’interno della scuola
italiana: ho iniziato quindi con l’analisi delle indicazioni operative del Miur che riguardano
l’ADHD, proseguendo poi con alcune strategie di gestione che riguardano l’ambiente classe.
Ho concluso questo capitolo con una riflessione sul mancato riconoscimento del problema
che spesso si verifica nella scuola a causa dei pregiudizi collegati ai disturbi comportamentali
e sul fatto che lavorare per creare un ambiente relazionale positivo all’interno delle classi è
una condizione fondamentale per l’inclusione dei ragazzi con disturbi comportamentali.
Il terzo ed ultimo capitolo riguarda l’utilizzo della musica come strumento di miglioramento
della gestione delle emozioni e delle relazioni all’interno del gruppo classe. Ho iniziato
soffermandomi sul ruolo che l’educazione musicale dovrebbe ricoprire all’interno del

2
curricolo delle scuole secondarie di primo grado, sottolineando come anche nelle indicazioni
nazionali venga promosso un utilizzo della musica come pratica sociale e relazionale, aspetto
questo che viene spesso sottovalutato. Ho proseguito poi con il descrivere alcune esperienze
di terapia musicale applicata ai disturbi comportamentali, da cui emerge la potenzialità della
pratica musicale di migliorare le relazioni sociali e i comportamenti funzionali.
Ho concluso con alcuni spunti relativi all’uso della musica nel campo della gestione delle
emozioni soffermandomi anche sulle potenzialità della figura dell’insegnante di sostegno con
un background musicale.
Ho concluso infine con un paragrafo riguardante l’utilizzo della musica come strumento di
potenziamento delle relazioni sociali all’interno delle classi con particolare riferimento alla
musica antica, che potrebbe essere un utile strumento per favorire l’inclusione e la
socializzazione dei ragazzi grazie ad alcune sue caratteristiche intrinseche.

3
Capitolo 1: Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività

1.1 L’eziologia dell’ADHD: tra deficit neurobiologico e disturbo del comportamento

ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un acronimo inglese che designa il


disturbo dell’attenzione e iperattività.
Una descrizione del disturbo a fini diagnostici è contenuta nel DSM-IV1 che definisce una
serie di comportamenti riconducibili a questa patologia. Si tratta di 18 items comportamentali
suddivisi in tre aree (disattenzione, iperattività, impulsività). Per effettuare la diagnosi è
necessario osservare almeno 6 sintomi per un periodo minimo di 6 mesi ed almeno in 2
contesti di vita, inoltre, i comportamenti messi in atto devono produrre un disadattamento ed
essere in contrasto con il livello di sviluppo. In base all’area o alle aree di comportamento
coinvolte si distinguono i tre sottotipi di “disattento”, “iperattivo-impulsivo” e “combinato”.
L’ICD 10 (versione 2016)2 codifica lo stesso disturbo come “sindrome ipercinetica”
definendolo come “un gruppo di disturbi caratterizzati da un’insorgenza precoce (...), dalla
mancanza di perseveranza in attività che richiedono un impegno cognitivo (...) a cui possono
essere associate diverse altre anormalità. I bambini ipercinetici sono spesso imprudenti e
impulsivi (...). Le loro relazioni con gli adulti sono spesso socialmente disinibite e presentano
una mancanza di normale attenzione e contegno. Sono poco simpatici agli altri bambini e
possono diventare isolati. (...) complicazioni secondarie includono comportamenti antisociali
e bassa autostima”3.
Il nostro istituto superiore di sanità specifica come i sintomi dell’ADHD “non sono causati da
deficit cognitivo (ritardo mentale), ma da difficoltà oggettive nell'autocontrollo e nella
capacità di pianificazione, sono persistenti in tutti i contesti e situazioni di vita del bambino
causando una limitazione significativa delle attività quotidiane”4.
Da questa sommaria descrizione si può già intuire come i disordini comportamentali
presentati dai bambini con ADHD non siano riconducibili ad un deficit cognitivo o fisico, ma

1
​http://www.aidaiassociazione.com/criteri_diagnostici.htm
2
​http://apps.who.int/classifications/icd10/browse/2016/en
3
​http://apps.who.int/classifications/icd10/browse/2016/en#/F90-F98​ (traduzione dall’inglese mia)
4
​http://old.iss.it/adhd/index.php?lang=1&id=231&tipo=1
4
si presentino come un insieme di comportamenti che non sarebbero di per sé problematici se
non si verificassero con una frequenza ed un’intensità tale da incidere in maniera negativa
nella relazione tra il bambino ed il proprio contesto di vita.
L’eziologia del disturbo è infatti poco chiara e controversa. Se le prime ricerche scientifiche
si erano basate sull’ipotesi di un danno cerebrale minimo (minimal brain damage)5, e
conseguentemente di una correlazione tra danno cerebrale e comportamento deviante, ad oggi
sono state formulate diverse teorie in merito all’origine di questo disturbo, ed alcuni
ricercatori “affermano che non esiste una causa determinante dell’ADHD”6.
Secondo i ricercatori Curatolo, D’Agati e Moavero infatti, l’ADHD “non si presenta come
una specifica entità fisiopatologica e sembra avere un’eziologia complessa. Diversi fattori
genetici e ambientali concorrono a creare uno spettro di predisposizione neurobiologica”7. La
mancanza di una comprensione chiara della causa di questo disturbo si traduce, come
vedremo più in dettaglio nei prossimi paragrafi, in una diversità di approcci nella gestione di
questa patologia nei vari paesi a partire dal sistema sanitario fino al sistema scolastico, che
spesso risulta essere l’ambiente in cui questo disturbo si manifesta in maniera più dirompente.
Inoltre, poiché, come abbiamo visto, la diagnosi si basa esclusivamente su osservazioni
comportamentali, esistono differenze culturali nell’interpretazione dei livelli di attività e di
attenzione che vengono considerati come problematici8. Ciò lascia intendere non solo una
problematicità nell’accertamento del disturbo e nella conseguente diagnosi a livello clinico,
ma anche, a livello sociale, una difficoltà nell’interpretare i comportamenti manifestati dai
ragazzi affetti da ADHD come la conseguenza di una vera e propria patologia, che, come
qualsiasi altra può generare una disabilità.
Dal punto di vista strettamente clinico, le più recenti ricerche, sulla base di dati convergenti
derivanti da studi di neuroimmagine, neuropsicologia, genetica e neurochimica tendono ad
indicare in una disfunzione della rete fronto-striatale una possibile causa della patofisiologia
dell’ADHD. La disfunzione coinvolgerebbe la corteccia prefrontale laterale, la corteccia

5
​cfr. ​Ross DM, Ross SA. Hyperactivity: research, theory and action.New York: Wiley; 1976.
6
​Zanon, Christian. Adhd: L'iperattività E La Disattenzione Nei Bambini: Un Problema Medico O Educativo.
Cagliari: Arkadia, 2017. Print. p.68
7
​Curatolo, Paolo, Elisa D’Agati, and Romina Moavero. “The Neurobiological Basis of ADHD.” Italian Journal
of Pediatrics 36 (2010): 79. PMC. Consultabile sul Web all’indirizzo:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3016271/​ La traduzione dall’inglese è mia.
8
cfr. ​Taylor E, Dopfner M, Sergeant J, Asherson P, Banaschewski T, Buitelaar J, Coghill D, Danckaerts M,
Rothenberger A, Sonuga-Barke E. et al. European clinical guidelines for hyperkinetic disorder - first upgrade.
Eur Child Adolesc Psychiatry. 2004;13(Suppl 1): pp. I7–30
5
cingolata anteriore, il nucleo e il putamen caudato. Gli studi di neuroimmagine funzionale
hanno dimostrato disfunzioni diffuse a carico di sistemi neuronali nelle regioni prefrontali,
striatali e parietali del cervello, che hanno portato a sviluppare un modello di deficit che si
sviluppa in molteplici percorsi di sviluppo9. Studi di genetica molecolare individuano nella
deregolazione del sistema dei neurotrasmettitori la base della predisposizione genetica al
disturbo e sta diventando sempre più chiaro che il genotipo può influenzare la risposta alla
terapia farmacologica10.
Sono state inoltre individuate diverse cause ambientali che predisporrebbero il bambino a
sviluppare una forma di ADHD, che vanno dall’esposizione ad agenti inquinanti o tossici
durante la gravidanza alle condizioni socioeconomiche della famiglia di provenienza. Un
resoconto molto dettagliato di tali fattori si trova in un articolo di Froehlich e Tanya apparso
nel 201111 .

1.2 La comorbilità: associazione dell’ADHD con altri disturbi del comportamento

Il concetto di comorbilità indica la compresenza, nello stesso individuo, di diversi disturbi o


patologie che non necessariamente sono in relazione causale tra di loro.
Secondo alcuni autori, i bambini con ADHD presentano altri problemi emozionali e/o
comportamentali, in una percentuale che va dal 45 al 65%12. Più in particolare, il DSM-5
individua alcuni disturbi associati all’ADHD che sono: Il disturbo oppositivo-provocatorio, il
disturbo antisociale, il disturbo depressivo, il disturbo d’ansia, il disturbo dell’apprendimento,
disturbi dello spettro autistico, disturbi dovuti all’utilizzo di sostanze, disturbo bipolare e
sindrome di Tourette.

9
​S​onuga-Barke, Edmund J.S. Causal Models of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder: From Common
Simple Deficits to Multiple Developmental Pathways Biological Psychiatry , Volume 57 , Issue 11 , 1231 - 1238
10
​Le informazioni relative allo stato dell’arte della ricerca scientifica sull’ADHD sono state elaborate a partire
dall’articolo di Curatolo, D’Agati e Moavero citato sopra.
11
​ ​roehlich, Tanya E. et al. “Update on Environmental Risk Factors for Attention-Deficit/Hyperactivity
F
Disorder.” ​Current Psychiatry Reports​ 13.5 (2011): 333–344. ​PMC​.
12
​FARAONE, STEPHEN V, JOSEPH BIEDERMAN, DOUGLAS MENNIN, JANET WOZNIAK, and
THOMAS SPENCER. "Attention-deficit Hyperactivity Disorder with Bipolar Disorder: a Familial Subtype?"
Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry. 36.10 (1997): 1378-1390. Print.
6
In questo paragrafo verranno presentate in maniera succinta13 le patologie associate
all’ADHD anche perché, nel sistema scolastico italiano, l’intervento dell’insegnante di
sostegno è previsto solo in caso di presenza di più disturbi.
Il ​disturbo oppositivo provocatorio (ODD) è caratterizzato da rabbia esplosiva, ostilità,
risentimento e sfida nei confronti delle figure adulte di autorità e costituisce la patologia più
frequentemente associata all’ADHD. La compresenza di ODD e ADHD è stimata tra il 40 e il
50%.
Il ​disturbo antisociale ​è una delle forme più gravi di disturbo comportamentale. Si manifesta
tipicamente durante l’adolescenza e in quei bambini che hanno sofferto di ODD durante
l’infanzia, tanto che la World Health Organization la classifica come una forma aggravata di
disturbo oppositivo provocatorio più che come una patologia a sé stante. I ragazzi con
disturbo antisociale tendono ad essere disobbedienti, a violare la legge e i diritti delle persone
in maniera continua. Secondo alcuni autori questi ragazzi hanno probabilità di sviluppare in
età adulta comportamenti antisociali e di abusare di sostanze proibite.
Il ​disturbo depressivo ​è caratterizzato da uno stato depressivo cronico che provoca apatia,
disturbi del sonno e dell’appetito, senso di colpa e di inutilità e possono sviluppare idee di
suicidio. Tali sintomi influenzano negativamente sia il rendimento scolastico che le relazioni
sociali. Secondo i dati raccolti dall’MTA cooperative group14 la diagnosi di depressione è
quattro volte più frequente nei ragazzi con ADHD, con un’incidenza tra il 6 e il 38%. In
presenza di entrambi i disturbi il tipico caso clinico è che l’ADHD insorga in età prescolare
mentre il disturbo depressivo inizia intorno agli 8 anni. Le patologie seguono strade
indipendenti e l’ADHD tipicamente non influenza la capacità di recupero della depressione.
Il ​disturbo d’ansia ​è un disturbo comune durante l’infanzia e fa parte del normale sviluppo
del bambino, purché sia proporzionata alla situazione e all’età. I sintomi di ansietà che
colpiscono questi ragazzi influenzano significativamente il rendimento scolastico, le relazioni
sociali e familiari. La compresenza dell’ADHD con il disturbo d’ansia provoca una chiara
compromissione delle funzioni neuropsicologiche, in particolare della memoria di lavoro.
La prevalenza di questo disturbo tra i bambini con ADHD è del 34%, e la maggior parte di
loro presenta alcuni tipici sintomi d’ansia come paura di dormire da soli, ansia per la salute e

13
​Le descrizioni sono rielaborate da Zanon (2017), op.cit., pagg. 52-59
14
​Moderators and Mediators of Treatment Response for Children with Attention-Deficit/hyperactivity Disorder:
the Multimodal Treatment Study of Children with Attention-Deficit/hyperactivity Disorder - the Mta
Cooperative Group." ​Archives of General Psychiatry​. 56.12 (1999): 1088. Print.
7
il benessere della propria famiglia, disagio fisico nell’ambiente scolastico, che comporta
ripercussioni sul rendimento scolastico e sulle relazioni sociali. Secondo alcuni autori i
bambini con ADHD presentano un rischio d’ansia tre volte superiore alla media.
I ​disturbi dell’apprendimento ​rappresentano un gruppo eterogeneo di fattori che si
manifestano e e influiscono significativamente nel rendimento scolastico o nelle attività della
vita quotidiana che esigono abilità di letto-scrittura, calcolo e linguaggio narrativo. Tale
condizione permanente è uno dei fattori principali di scarso rendimento scolastico da cui
deriva un abbassamento dell’autostima del bambino che crea una differenza rilevante tra le
sue vere potenzialità e il rendimento scolastico. Il Miur15 stima un’incidenza del 3% dei
disturbi dell’apprendimento per l’anno 2015/2016. Nei bambini con ADHD la prevalenza dei
disturbi dell’apprendimento è significativamente più alta, dall’8 al 39%.
I ​disturbi dello spettro autistico ​sono stati solo recentemente associati all’ADHD. Il nuovo
DSM-5 del 2013 riconosce l’importanza di diagnosticare e trattare entrambi i disturbi quando
compaiono nella stessa persona. Lo stesso manuale classifica entrambi i disturbi nel cluster
dei disturbi del neurosviluppo. Fino al 40-60% delle persone con autismo e un 85% delle
persone con la sindrome di Asperger presenta sintomi di ADHD.
I ​disturbi dovuti all’utilizzo di sostanze ​si presentano frequentemente nei soggetti affetti da
ADHD, che hanno un rischio quattro volte maggiore di ricorrere all’utilizzo di sostanze.
Il ​disturbo bipolare ​è uno stato depressivo che si alterna con stati maniacali, ipomaniacali o
una sintomatologia assimilabile alla mania, sebbene di minore intensità e durata. Alcuni
autori affermano che che fino al 20% dei bambini con ADHD presentano anche un disturbo
bipolare.
La ​sindrome di Tourette ​si caratterizza per movimenti o vocalizzazioni involontarie che
iniziano improvvisamente e sembrano non avere uno scopo specifico. Questo disturbo crea
un grande malessere e il deterioramento delle relazioni sociali. Alcuni studi affermano che
circa la metà dei bambini con ADHD presentano tic transitori o cronici.

1.3 La prevalenza dell’ADHD sulla popolazione globale

15
​https://www.aiditalia.org/it/news-ed-eventi/news/quanti-sono-studenti-con-dsa-italia-dati-a-confronto
8
L’epidemiologia è la scienza che studia la frequenza con la quale si manifestano le malattie e
le condizioni che favoriscono o ostacolano il loro sviluppo, costituendo la base per una
profilassi razionale delle malattie16.
Per quanto riguarda l’ADHD esistono, nella letteratura scientifica, differenze considerevoli
riguardo alla sua prevalenza17.
Secondo Fayyad, De Graaf e Kessler: “sebbene non vi sia un consenso globale, le analisi di
meta-regressione hanno stimato la prevalenza dell’ADHD/disturbo ipercinetico tra il 5,29 e il
7,1% nei bambini e negli adolescenti, e al 3,4% negli adulti. La prevalenza dell’ADHD in
bambini minori di 6 anni o adulti che hanno più di 44 anni è molto meno studiata”18.
Nonostante sia molto difficile avere una stima attendibile delle persone colpite da questo
disturbo, sono nondimeno state individuati alcuni fattori di prevalenza19:

- L’età: ​la prevalenza dell’ADHD varia significativamente a seconda che si tratti di


bambini, adolescenti o adulti.
- Il genere: ​è stata registrata una maggiore prevalenza del disturbo negli individui di
sesso maschile.
- Il sottotipo: ​il sottotipo disattento è più prevalente nei bambini in età scolare, negli
adolescenti e negli adulti.
- La comorbilità: ​la tendenza dell’ADHD a presentarsi in comorbilità con altri disturbi
rende difficile la comprensione dei tassi di prevalenza reali del disturbo.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica dei casi di ADHD, bisogna puntualizzare che
ci sono significative variazioni tra gli studi effettuati in diverse aree del mondo. Ciò è dovuto
sia a differenze metodologiche tra i vari studi, sia al fatto che, come suggerisce il DSM-V, ci
sia una differenza tra i vari paesi nell’interpretazione culturale dei sintomi dell’ADHD.

16
​http://www.treccani.it/enciclopedia/epidemiologia/
17
​Z​anon, Christian. Adhd: L'iperattività E La Disattenzione Nei Bambini: Un Problema Medico O Educativo.
Cagliari: Arkadia, 2017. Print. p. 59
18
​Fayyad J, De Graaf R, Kessler R, et al. Cross-national prevalence and correlates of adult attention-deficit
hyperactivity disorder. Br J Psychiatry 2007; 190: 402-409. La traduzione dall’inglese è mia.
19
I dati riportati sono una mia rielaborazione dell’articolo dell’ADHD institute consultabile sul sito
http://adhd-institute.com/burden-of-adhd/epidemiology/
9
Nel caso dell’Europa, la prevalenza media stimata si attesta intorno al 5%, non troppo lontano
da quella globale, mentre i continenti in cui viene riscontrata una prevalenza più alta del
disturbo sono l’Africa (in media circa il 9%) e il sud America (oltre il 10% in media)20.
Stime su casi individuali hanno indicato che la prevalenza dell’ADHD varia tra l’1,1%
dell’Australia e il 7,3% della Francia21.
Nonostante queste variazioni però, si può concludere che le stime cambino in funzione delle
caratteristiche della popolazione studiata, delle differenze metodologiche, delle differenze
culturali e della variabilità dei criteri diagnostici utilizzati piuttosto che della localizzazione
geografica in sé. La meta-analisi di 86 studi su bambini e adolescenti e di 11 studi su adulti
non ha riscontrato differenze significative nella prevalenza tra i diversi paesi, dopo aver
controllato le differenze tra gli algoritmi diagnostici utilizzati per definire l’ADHD22. Per tali
motivi i ricercatori concludono che l’ADHD non è un costrutto sociale associato ad una
particolare area geografica.
Gli studi inoltre indicano che ci sia un aumento costante dei casi diagnosticati. Negli Stati
Uniti i tassi di prevalenza sono andati crescendo. Secondo il Center for disease control and
prevention sono passati dal 4,4% nel 2003 al 5,4% nel 2007 fino al 6,4% nel 201123. Tale
aumento è, secondo alcuni autori, riscontrabile in diversi paesi e parallelamente si è osservato
un aumento delle prescrizioni mediche di farmaci utilizzati per trattare la malattia24.
Per quanto riguarda la situazione italiana, non esiste, allo stato attuale, uno studio sulla
prevalenza dell’ADHD nel nostro paese. Esistono però diversi studi effettuati su base locale
che costituiscono una base di riflessione su questo tema, sebbene, come si è detto, si tratti di
ricerche non organiche e disomogenee.
Il rapporto ISTISAN 16/37 del 201625 dell’Istituto Superiore della Sanità, confronta alcuni
studi effettuati tra il 1993 e il 2003 in diverse località italiane, evidenziando una prevalenza
che si discosta di molto dai dati che abbiamo esaminato in precedenza:

20
​I dati completi sono contenuti nell’articolo: Polanczyk G, de Lima MS, Horta BL, et al. The worldwide
prevalence of ADHD: a systematic review and metaregression analysis. Am J Psychiatry 2007; 164: 942-948
21
​Cfr. ADHD Insitute: ​http://adhd-institute.com/burden-of-adhd/epidemiology/
22
​Willcutt EG. The prevalence of DSM-IV attention-deficit/hyperactivity disorder: a meta-analytic review.
Neurotherapeutics 2012; 9: 490-499.
23
https://www.cdc.gov/ncbddd/adhd/data.html
24
​Z​anon, Christian. Adhd: L'iperattività E La Disattenzione Nei Bambini: Un Problema Medico O Educativo.
Cagliari: Arkadia, 2017. Print. p. 60
25
​Il rapporto è reperibile sul sito www.iss.it
10
Località Contesto Anno Prevalenza (%)

Firenze-Perugia scuola 1993 3,6

Torino pediatria di famiglia 1998 2,52

Roma pediatria di famiglia 1999 1,51

F.V. Giulia pediatri/sal. mentale 2002 0,43

Cesena serv. di sal. mentale 2003 1,1

1.4 Le modalità di intervento: un confronto tra esperienze in vari Paesi

Come già detto nel paragrafo precedente l’ADHD è un disturbo riscontrabile non solo in
Italia ma nei diversi Paesi del mondo anche se con percentuali diverse. In base agli studi
condotti da Christian Zanon26 diversi sono anche gli interventi e il modo di affrontare e
gestire questa patologia nei diversi sistemi scolastici. Per alcuni paesi come l’Italia e la
Spagna presi in esame da Zanon nella sua pubblicazione è possibile è possibile comparare i
vari Protocolli di intervento che ci forniscono informazioni utili per una riflessione più attenta
sulle possibili procedure da utilizzare per favorire l’inclusione scolastica degli alunni che
presentano una diagnosi di ADHD. Oltre alla definizione del disturbo e alla procedura per il
riconoscimento, che, come è stato visto in precedenza, non è sempre univoca, è importante
soffermarsi sugli interventi che vengono messi in campo nelle scuole per migliorare
l’apprendimento e il comportamento di questi alunni.
In Italia un protocollo di intervento sull’ADHD è stato pubblicato il 15 giugno 2010 (prot.n.
4089) dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Dipartimento per
l’Istruzione Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la
Comunicazione-Ufficio 6. In questo documento è possibile reperire utili informazioni e
procedure riguardo al miglioramento dell’apprendimento scolastico degli alunni affetti da
ADHD. il documento chiarisce che tutto il personale scolastico , il dirigente scolastico, i
docenti prevalenti, i coordinatori di classe, e in generale tutti i docenti devono prendersi

26
​Le informazioni contenute in questo paragrafo sono rielaborate a partire dal testo​ ​Z​anon, Christian. Adhd:
L'iperattività E La Disattenzione Nei Bambini: Un Problema Medico O Educativo. Cagliari: Arkadia, 2017.
Print. p. 63 e seg.
11
carico dello studente. La comunicazione tra famiglia è scuola è considerata fondamentale sia
per quanto riguarda la documentazione rilasciata dagli specialisti ma anche per tutto ciò che
al di fuori dalla scuola ha un peso nella vita del bambino.
Le linee guida forniscono ancora dei suggerimenti che è possibile mettere in atto nella vita
quotidiana della scuola:
- predisporre un ambiente sereno di lavoro
- utilizzare tecniche educative che meglio si adattano alle difficoltà di apprendimento
dello studente
- utilizzare in classe poche ma chiare regole di comportamento
- lavorare condividendo con lo studente gli obiettivi a breve termine da raggiungere
- fornire allo studente un metodo per avere sempre sul banco il materiale necessario per
la lezione
- utilizzare il diario per assegnare compiti e impegni scolastici
- organizzare le verifiche orali e scritte fornendo informazioni chiare sui tempi e sulla
richiesta fatta
- Valutare le verifiche tenendo conto del contenuto più che della forma ricordandosi di
tenere in considerazione il punto di partenza dello studente
- adeguare la valutazione del comportamento alla diagnosi
- evitare punizioni che prevedono un aumento del carico di lavoro a casa, riduzione
dell’intervallo, eliminazione dell’attività motoria, esclusione dalla partecipazione di
gite o incarichi collettivi nella scuola.

In Spagna il protocollo è stato pubblicato nel 2010 come “Guia de Practica Clinica”
sull’ADHD. Non si tratta di obblighi ma di raccomandazioni sia in ambito diagnostico che in
quello relativo agli interventi nell’ambito scolastico. Vediamo in sintesi le raccomandazioni
che vengono date al personale scolastico che si occupa degli studenti affetti da ADHD:

- predisporre un ambiente sereno di lavoro


- lavorare condividendo con lo studente gli obiettivi a breve e a lungo termine da
raggiungere
- organizzare le verifiche orali e scritte fornendo informazioni chiare sui tempi e sulla
richiesta fatta e se necessario semplificare i contenuti

12
- adeguare la valutazione del comportamento alla diagnosi e la valutazione delle
verifiche tenendo conto del punto di partenza
- utilizzare tecniche di modifica del comportamento : rinforzo positivo, sistema a punti,
il modellamento, l’estinzione , etc…
- aiutare lo studente nel controllo giornaliero dei compiti e nella riuscita delle consegne
in generale
- lavorare sulla motivazione fornendo frequenti feedback sui miglioramenti del
comportamenti e sugli sforzi nella didattica.

Anche il protocollo emesso dalla comunità Autonoma della Castiglia e Leon e le conseguenti
linee guida sono state pubblicate nel 2010 indicano quali sono gli strumenti e le metodologie
da mettere in campo nell’ambito scolastico in presenza di studenti con ADHD. ecco i punti
essenziali da seguire:

- predisporre un ambiente sereno di lavoro


- stabilire poche e chiare regole di comportamento che devono essere rispettate da tutti
gli alunni
- necessità di far muovere lo studente organizzando la didattica in modo che siano
previsti momenti in cui lo studente può alzarsi spostarsi di posto o uscire dall’aula per
motivi sempre legati alla didattica
- se lo studente segue terapia farmacologica tenere conto dei possibili momenti di
stanchezza
- maggior tempo per le verifiche e per l’organizzazione del materiale didattico
- scegliere un posto che non distragga lo studente (vicino alla finestra, vicino alla
cattedra)
- utilizzare strumenti tecnici e informatici che possano stimolare la motivazione e l
‘apprendimento
-
Il protocollo prevede anche delle indicazioni precise per gli insegnanti, i quali oltre a prestare
particolare attenzione alla comunicazione con la famiglia e il personale specializzato devono:

- ricordarsi che i comportamenti dello studenti sono dovuti a un disturbo neurologico

13
- promuovere regole semplici e chiare da far rispettare a tutti gli studenti della classe
- utilizzare tecniche di modifica del comportamento : rinforzo positivo, sistema a punti,
il modellamento, l’estinzione , ect…

Esistono ci fa notare Zanon27 paesi come il Brasile nel quale pur essendo presente una
percentuale non indifferente di studenti affetti da ADHD non esiste ancora un protocollo.
Tuttavia si sta cercando, attraverso progetti di legge, di fornire indicazioni sia per quanto
riguarda la diagnosi che l’utilizzo di strumenti e metodologie da applicare nelle scuole, per
permettere il successo formativo di questi studenti.
A questo punto diventa indispensabile una riflessione comparando i diversi approcci che
vengono applicati nelle scuole per permettere che gli studenti affetti da ADHD possano
seguire un positivo percorso didattico e sociale integrandosi con il gruppo classe e imparando
a gestire e modificare i “comportamenti-problema”.
Da un’analisi attenta e comparata degli approcci fin qui analizzati è possibile indicare a titolo
esemplificativo tre ambiti di intervento nel sistema scolastico.
1. organizzazione dello spazio didattico: Lo studente con ADHD ha bisogno di uno
spazio sereno e tranquillo organizzato in modo tale da evitare distrazioni. è importante
inoltre cercare di capire che anche la scelta del posto diventa fondamentale. Il posto
vicino alla finestra infatti comporta distrazioni, così come inserire lo studente troppo
vicino alla cattedra comporta un disagio psicologico e una difficoltà da parte
dell’insegnante di sostegno a lavorare insieme all’alunno. Possiamo considerare come
parte dello spazio didattico anche il clima emotivo della classe che, secondo tutti i
protocolli esaminati deve essere connotato dalla serenità.
2. motivazione: ​da quanto emerge dall’analisi dei protocolli di intervento emerge il
ruolo fondamentale della motivazione nello stimolare un possibile percorso di
apprendimento. Molte sono le strategie che si possono adottare per aumentare la
motivazione ad imparare, ma, in linea generale le linee operative si riferiscono al
rinforzo positivo, all’utilizzo di strumenti informatici e tecnologici, con lo scopo di
semplificare il lavoro cognitivo, e al fatto di concordare obiettivi da raggiungere
insieme allo studente fornendo costantemente feedback sugli obiettivi raggiunti e da
raggiungere.

27
​Zanon, C., op. cit. p. 108
14
3. regole e adattamenti della didattica: ​Allo stesso modo appare fondamentale
stabilire e condividere con tutta la classe poche e semplici regole da rispettare. E’
ugualmente importante adattare i tempi e le modalità della didattica, anche in fase di
verifica delle conoscenze, alle esigenze di uno studente con ridotte capacità di
concentrazione e attenzione. Un altro aspetto che emerge in diversi protocolli riguarda
l’organizzazione del materiale e dei tempi di lavoro, che deve essere esplicita e
chiara.

15
Capitolo 2: L’ADHD a scuola

2.1 l’inquadramento dell’ADHD nella legislazione italiana

La legislazione italiana inquadra il disturbo da deficit di attenzione e iperattività all’interno


della categoria più ampia dei BES (bisogni educativi speciali). L’ADHD in quanto disturbo
non associato ad altri non viene infatti incluso nell’ambito di applicazione della legge 104/92,
che prevede le forme di assistenza e sostegno concesse dallo stato alle persone con disabilità.
Nel corso degli anni tuttavia, sono state emanate dal Miur note, direttive e circolari che hanno
come oggetto i BES all’interno della scuola, categoria in cui, come abbiamo visto, vengono
inclusi i ragazzi con ADHD. Esistono inoltre alcune circolari ministeriali che si occupano più
specificamente di questa patologia. Nel presente paragrafo approfondiremo in maniera
sistematica le indicazioni che sono state date dal ministero in tal senso e che interessano i
ragazzi con ADHD.
La Direttiva del 27 dicembre 2012, “strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi
speciali” al comma 1 paragrafo 3 si occupa di alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e
dell’iperattività. La direttiva recita: “Un discorso particolare si deve fare a proposito di
alunni e studenti con problemi di controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con
l’acronimo A.D.H.D. (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), corrispondente all’acronimo
che si usava per l’Italiano di D.D.A.I. – Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività.
[…] Con notevole frequenza l'ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età
evolutiva: disturbo oppositivo provocatorio; disturbo della condotta in adolescenza; disturbi
specifici dell'apprendimento; disturbi d'ansia; disturbi dell'umore, etc. […] In alcuni casi il
quadro clinico particolarmente grave – anche per la comorbilità con altre patologie – richiede
l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come previsto dalla legge 104/92. Tuttavia, vi
sono moltissimi ragazzi con ADHD che, in ragione della minor gravità del disturbo, non
ottengono la certificazione di disabilità, ma hanno pari diritto a veder tutelato il loro successo
formativo. Vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali
le misure previste dalla Legge 170 per alunni e studenti con disturbi specifici di
apprendimento”. Con questa circolare, il ministero estende ai ragazzi con ADHD non
accompagnato da altri disturbi gli strumenti compensativi e dispensativi previsti per i Disturbi

16
Specifici di apprendimento, per cui il consiglio di classe dovrà predisporre un PDP che
contiene il progetto didattico previsto per l’alunno in questione e può utilizzare le stesse
misure che possono essere previste per alunni con disturbi dell’apprendimento.
La C.M. Prot. n. 4089 del 15/6/2010 è un documento che fornisce indicazioni operative per la
gestione degli alunni con ADHD presenti nelle classi. La circolare si sofferma sulla
descrizione delle caratteristiche di questi alunni sottolineando le difficoltà pervasive e
persistenti che essi hanno nel:
● selezionare le informazioni necessarie per eseguire il compito e mantenere
l’attenzione per il tempo utile a completare la consegna
● resistere ad elementi distraenti presenti nell'ambiente o a pensieri divaganti
● seguire le istruzioni e rispettare le regole (non a causa di comportamento oppositivo o
di incapacità di comprensione) Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca Dipartimento per l’Istruzione
● utilizzare i processi esecutivi di individuazione, pianificazione e controllo di sequenze
di azioni complesse, necessarie all'esecuzione di compiti e problemi
● regolare il comportamento che si caratterizza quindi per una eccessiva irrequietezza
motoria e si esprime principalmente in movimenti non finalizzati, nel frequente
abbandono della posizione seduta e nel rapido passaggio da un'attività all'altra
● controllare, inibire e differire risposte o comportamenti che in un dato momento
risultano inappropriati: aspettare il proprio turno nel gioco o nella conversazione
● applicare in modo efficiente strategie di studio che consentano di memorizzare le
informazioni a lungo termine.
Oltre a queste caratteristiche la circolare aggiunge che alcuni studenti possono presentare
difficoltà anche:
● nell'autoregolare le proprie emozioni
● nell'affrontare adeguatamente situazioni di frustrazione imparando a posticipare la
gratificazione
● nel gestire il livello di motivazione interna approdando molto precocemente ad uno
stato di “noia”
● nell'evitare stati di eccessiva demoralizzazione e ansia
● nel controllare livelli di aggressività
● nel seguire i ritmi di apprendimento della classe a causa delle difficoltà attentive.

17
Emerge quindi un quadro abbastanza dettagliato delle difficoltà che questi ragazzi, e di
riflesso i docenti e le classi in cui essi sono inseriti, devono affrontare.
Per ovviare a tali problematiche, la stessa circolare prevede un dettagliato protocollo
operativo che prevede il coinvolgimento di tutto il consiglio di classe, del preside e della
famiglia in concerto con gli operatori socio-sanitari. In particolare, la circolare invita gli
insegnanti “a tenere contatti con i genitori del bambino e con gli specialisti che lo seguono,
per un opportuno scambio di informazioni e per una gestione condivisa di progetti educativi
appositamente studiati . I docenti, di concerto con gli operatori clinici che gestiscono la
diagnosi e cura dell’alunno, dovrebbero a questo punto definire le strategie
metodologico-didattiche per favorire un migliore adattamento scolastico e sviluppo emotivo e
comportamentale. Si raccomanda che ciascun insegnante che opera con il bambino abbia cura
di attenersi all’utilizzo di tecniche educative e didattiche di documentata efficacia nell'ambito
dei disturbi da deficit dell'attenzione e iperattività. Nel caso sia stata prevista, da parte del
servizio specialistico, la presenza dell’insegnante di sostegno, si ribadisce l’opportunità di
lavorare costantemente con l’obiettivo di potenziare le condizioni educative e didattiche del
gruppo, al fine di integrare l’alunno nel contesto della classe”. Quest’ultimo punto chiarisce e
ribadisce con forza la necessità di lavorare sul gruppo classe nel suo complesso in vista
dell’inclusione al suo interno dell’alunno con ADHD, fatto troppo spesso trascurato da molti
insegnanti curricolari, che vedono la presenza dell’insegnante di sostegno come un’occasione
per allontanare dalla classe uno studente che interferisce con la normale gestibilità della
propria classe.
Le indicazioni operative fornite dalla circolare per gestire concretamente questi casi
all’interno delle classi sono state analizzate in maniera comparativa nel capitolo 1 a cui
rimandiamo28.
Infine, il documento si sofferma anche sulla valutazione che deve essere fatta per questi
alunni seguendo particolari criteri sottolineando che “è auspicabile che i docenti considerino i
fattori presenti nella diagnosi ADHD prima di procedere alla valutazione dell’alunno/a. Si
sottolinea l'importanza e delicatezza della valutazione periodica del comportamento
dell'alunno (voto di condotta). Occorre infatti tenere conto del fatto che il comportamento di
un alunno con ADHD è condizionato fortemente dalla presenza dei sintomi del disturbo.
Sarebbe pertanto auspicabile che la valutazione delle sue azioni fosse fatta evitando di

28
​vedi par. 1.4
18
attribuire valutazioni negative per comportamenti che sono attribuibili a fattori di tipo
neurobiologico”. Purtroppo in questo caso il confine tra il disturbo neurobiologico e il
comportamento semplicemente indisciplinato da parte dell’alunno non è sempre facile da
stabilire e ciò dà adito in molti casi a discussioni, in seno ai consigli di classe,
sull’opportunità o meno di sanzionare determinati comportamenti.
Da questa breve disamina emerge un’attenzione da parte del ministero alle problematiche
degli alunni con questo disturbo ed un’impostazione degli interventi da attuare a scuola
centrata da una parte sull’ambiente scolastico e dall’altra su una didattica che sfrutti metodi
educativi in grado di facilitare l’apprendimento di questi alunni.

2.2 L’ambiente scolastico e le sue relazioni con l’ADHD

Abbiamo visto come l’ambiente scolastico, insieme ad opportune strategie didattiche volte a
favorire l’apprendimento di ragazzi con ADHD sia al centro delle indicazioni operative
fornite dal Miur nella sua circolare.
In particolare, l’ambiente fisico della classe, che spesso viene trascurato nel predisporre una
strategia didattica, “determina largamente l’esperienza che i ragazzi e gli insegnanti vivono al
suo interno”29. Accordare un’attenzione particolare al modo in cui viene organizzato
l’ambiente in cui docenti e studenti trascorrono almeno sei ore al giorno, renderlo accogliente
e funzionale alle attività che all’interno di esso devono essere svolte risulta essere, nel caso di
ragazzi con problematiche comportamentali, particolarmente importante.
Come giustamente nota D’Alonzo nel suo libro30 sulla gestione della classe, bisognerebbe far
sì che la classe consenta una certa libertà di movimento in modo da evitare ai ragazzi la
sensazione di essere obbligati ad un eccessivo autocontrollo perché ogni movimento, per
quanto piccolo, potrebbe arrecare disturbo agli altri.
Se questo è vero per la classe in generale, sarà ancora più vero che l’alunno iperattivo ha
bisogno di uno spazio ancora più aperto in modo da poter trovare uno sfogo alla sua necessità
di muoversi ed evitare che un autocontrollo forzato per periodi troppo lunghi induca lo
studente a scoppiare violentemente quando non ce la fa più a stare fermo.

29
​D'Alonzo, Luigi. ​Come Fare Per Gestire La Classe Nella Pratica Didattica: Metodi E Strategie, Unità Di
Lavoro Guidate, Schede Di Autoformazione : Guida Di Base​. Firenze: Giunti Scuola, 2016. Print. p. 153
30
​Ibidem, p. 154
19
Partendo dai banchi31, bisogna sottolineare come la loro disposizione abbia, secondo diversi
studi, una notevole valenza formativa nello stimolare le relazioni interpersonali e la
cooperazione o il lavoro individuale centrato sul compito.
Allo stesso modo, i materiali che sono presenti in classe possono avere una ricaduta sul
benessere degli alunni: in questo caso sono da preferire materie morbide al tatto caratterizzate
da colori caldi e luminosi.
Strettamente correlata alla gestione dello spazio fisico della classe è la collocazione
dell’alunno con problemi. Basandomi sulle tipologie di collocazione individuate da
D’Alonzo, cercherò di individuarne pregi e difetti riferendole ad un caso di alunno con
ADHD:

● Collocazione “a controllo costante”: ​l’alunno viene fatto sedere ad un banco vicino


alla cattedra. Questa collocazione permette un controllo diretto da parte
dell’insegnante, ma ha lo svantaggio, specialmente in un caso di ADHD di poter
generare stress nello studente, oltre al fatto di rendere evidente alla classe la
problematica comportamentale. Questo tipo di collocazione potrebbe quindi essere
adottata nel caso in cui la posizione vicino alla cattedra venga fatta percepire alla
classe come “privilegiata”, nel qual caso potrebbe aumentare la motivazione
dell’alunno. E’ necessario in ogni caso che la relazione tra docente e alunno abbia una
tonalità positiva perché, in caso contrario, potrebbe causare comportamenti oppositivi
da parte dell’alunno.
● Collocazione “a controllo variabile”: ​L’alunno viene fatto sedere in fila con i
compagni ma nei primi posti in prossimità della cattedra. Il vantaggio di questa
collocazione è quello di permettere un controllo diretto pur evitando l’isolamento
dello studente. Anche in questo caso potrebbero esserci problemi legati allo stress ma,
rispetto al primo caso ci sarebbe meno stigmatizzazione dello studente. Anche in
questo caso bisognerebbe prestare attenzione al tipo di relazione che si è instaurata tra
docente e studente in modo da evitare atteggiamenti di opposizione o di sfida perché
lo studente si sente troppo controllato.

31
​Le informazioni riportate in questo paragrafo sono una rielaborazione di quanto scritto in D’Alonzo (2016)
op. cit. p.154 e segg.
20
● Collocazione “tutoring”: ​al ragazzo con problemi viene affiancato un compagno
particolarmente diligente e capace. Si ritiene in questo modo che il soggetto
problematico possa così trovare un appoggio ed un modello comportamentale nel suo
compagno. Nel caso di uno studente con ADHD si può ritenere questa strategia utile
nel momento in cui l’accoppiamento avvenga in vista del raggiungimento di un
obiettivo e preparando il “tutor” ad assumere un ruolo di esempio nei confronti del
compagno.
● Collocazione “libera”: ​Si tratta di lasciare liberi gli allievi di scegliere i propri posti.
Questo tipo di collocazione, nota D’Alonzo, viene adottata spesso nei casi in cui
all’insegnante di sostegno viene demandata totalmente la vita scolastica dell’alunno, e
in cui spesso si verifica che l’alunno con disabilità venga portato al di fuori della
classe per perseguire gli obiettivi del PEI. Questo tipo di collocazione è da evitare se
non nei momenti poco strutturati in cui l’insegnante vuole osservare le dinamiche
spontanee di socializzazione che si verificano all’interno della classe.
● Collocazione “minor danno”: ​Soprattutto nel caso di disabilità comportamentale,
viene proposto all’alunno di scegliere il proprio posto purché non disturbi la classe.
Questo tipo di collocazione, che dovrebbe essere limitata e temporanea, può servire
come argomento di contrattazione per motivare l’allievo ad eseguire un compito o a
gestire in classe la propria tendenza a disturbare.
● Collocazione “con il sostegno”: ​L’allievo seguito dall’insegnante di sostegno viene
posizionato in modo tale da arrecare il minor disturbo possibile al resto della classe.
Si tratta di un tipo di collocazione funzionale, che deve però essere utilizzato
nell’ottica di una progressiva e piena inclusione con la classe. Se questo tipo di
collocazione infatti permette all’insegnante di sostegno di lavorare in maniera
proficua all’interno della classe, d’altra parte rischia di generare uno stigma nel
momento in cui tale insegnante è costantemente affiancato al ragazzo con disabilità.

L’ambiente scolastico è quindi un fattore molto importante, per quanto non venga spesso
tenuto in considerazione, in una corretta gestione della classe. Sia l’ambiente in se stesso che
la collocazione degli studenti all’interno del contesto che viene creato con un’appropriata
strutturazione dello spazio della classe giocano un ruolo fondamentale anche nel processo di
inclusione che si vuole favorire attraverso strategie e risorse messe in campo dalla scuola.

21
2.3 Un disturbo invisibile: la stigmatizzazione dei problemi comportamentali in classe

L’ADHD, e più in generale i disturbi comportamentali, sono una categoria di patologie


caratterizzate da un forte impatto destabilizzante nei confronti dell’ambiente in cui questi
soggetti si trovano. La natura del disturbo implica infatti che esso si manifesta nel
comportamento inteso come modalità di relazione con gli altri. Non si tratta infatti di
problematiche psichiche che generano problemi direttamente a chi ne è portatore, ma al
contrario li producono nel momento in cui chi ne è affetto entra in relazione, in un modo
ritenuto socialmente sbagliato, con le persone e con i contesti che lo circondano.
Lo stigma che in generale colpisce coloro che sono affetti da malattie psichiatriche è, secondo
Stephen Hinshaw “estremo”32. Basta pensare al fatto che gli insulti che riguardano la sfera del
disagio psichiatrico vengono utilizzate fin dall’infanzia segnalando come “quel tipo di
stigmatizzazione permea il nostro linguaggio durante l’intero corso dell’esistenza”33.
Nel caso dell’ADHD, emerge un ulteriore problema, ovvero il fatto che molto spesso viene
messa in dubbio la realtà stessa di questa patologia. Il magazine americano ADDitude ha
pubblicato una guida intitolata “smart comebacks to ADHD doubters”34 in cui spiega come
rispondere a coloro che arrivano a mettere in dubbio l’esistenza stessa del disturbo.
Nell’articolo di presentazione alla guida gli autori scrivono: “gliel’hai detto una volta.
Gliel’hai detto mille volte. Tu o tuo figlio avete l’ADHD ma gli altri non lo capiscono. O non
ci credono. E’ un’ingiusta valutazione delle tue capacità di genitore o dei tuoi comportamenti.
Sebbene tu già sappia che non stai facendo nulla di sbagliato, come puoi convincere la tua
famiglia, i tuoi amici o quei perfetti estranei che ti fanno infuriare, a crederci?”35
Questa serie di domande fanno ben comprendere come questo tipo di disturbo possa venire
considerato in molti contesti come una semplice scusa per nascondere problemi di educazione
o uno scarso controllo di se stessi. Ovviamente non è così, ma il fatto di negare l’esistenza di
questo tipo di patologia perché non comporta segni evidenti né sul corpo né sull’intelletto di

32
​Hinshaw, Stephen P. ​The Mark of Shame: Stigma of Mental Illness and an Agenda for Change​. New York,
N.Y: Oxford University Press, 2010. Print. p. xi, traduzione mia.
33
​Ivi
34
​https://www.additudemag.com/download/is-adhd-real/?src=embed_ss
35
​tratto dal magazine ADDitude, traduzione mia. Reperibile all’indirizzo
https://www.additudemag.com/download/is-adhd-real/?src=embed_ss
22
coloro che ne sono colpiti costituisce un’ulteriore fonte di problemi rispetto alla
stigmatizzazione che già colpisce coloro che sono portatori di una problematica psicologica.
Nelle nostre classi molto spesso questo disturbo diventa “invisibile”, nel senso che il mancato
riconoscimento del problema come una componente “estranea” rispetto al soggetto che ne è
colpito implica una maggiore colpevolizzazione della persona, che comprensibilmente può
sviluppare un risentimento destinato ad alimentare opposizione e reticenza nei confronti
dell’ambiente scolastico.
E’ quindi attraverso il riconoscimento del problema comportamentale come sintomo di una
patologia e non come una caratteristica della persona che passa la possibilità di mettere in atto
un percorso di recupero che possa contribuire a migliorare il benessere dello studente e, di
riflesso, della sua classe e dei suoi insegnanti.
Bisogna inoltre considerare che, per quanto appaia banale e scontato che in classe ci si debba
comportare “bene”, dietro questa pretesa si cela la richiesta di interiorizzare un modo di
essere che richiede una grandissima capacità di autocontrollo e gestione delle proprie
emozioni. Se provassimo a scomporre questa pretesa, spesso implicita nelle sue componenti
ci renderemmo forse più conto di cosa viene richiesto a ragazzi che vivono una fase della vita
caratterizzata da altissimi livelli di energia e tempeste ormonali. Si tratta infatti, in una tipica
giornata scolastica, di controllare per sei ore (quasi) di seguito la propria postura e la propria
attenzione, indirizzandola a seconda delle richieste dei docenti e di quanto previsto dall’orario
curricolare, verso gli argomenti più disparati indipendentemente dall’interesse che possano
suscitare.
Riflettere più attentamente su aspetti ritenuti impliciti potrebbe quindi aiutare nell’elaborare
le strategie più efficaci per gestire problematiche derivate, in fondo, da un’accentuazione di
alcune caratteristiche che sono connaturate ad una certa età della vita.

2.4 alcuni approcci di gestione dei disturbi comportamentali in una prospettiva


relazionale

Ausubel definisce componente affiliativa come un bisogno di appartenenza ad un gruppo che


produce un aumento della motivazione all’apprendimento. Tale motivazione è, secondo lo
stesso autore “diretta al successo scolastico non come possibilità di raggiungere un certo

23
status, quanto perché garantisce l’approvazione di una persona o gruppi superiori con cui il
soggetto si identifica in senso dipendente, e dalla cui approvazione ottiene uno status
vicariante o derivato”36. Nell’ottica di Ausubel, la relazione con l’altro costituisce uno dei
motori più potenti della motivazione all’apprendimento. Nel caso di ragazzi con disturbi
comportamentali, il cui modo di essere mette in crisi proprio la relazione e il rapporto con gli
altri, appare quasi ovvio che per impostare correttamente un percorso di crescita e di
apprendimento occorre puntare proprio a ricercare le modalità con cui lo studente possa
rapportarsi in maniera più positiva con le persone che lo circondano, in modo da migliorare di
riflesso il rendimento scolastico.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario innanzitutto promuovere un clima di classe
positivo e sereno. Alla base di una corretta relazione con gli altri è necessario infatti che nel
luogo in cui si condividono esperienze e momenti di crescita ci sia la possibilità di sentirsi a
proprio agio, di potersi esprimere senza paura di essere sottoposti al giudizio sia degli adulti
che dei pari e che nel caso in cui si dovessero verificare delle problematiche, queste siano
prese in considerazione da tutti e risolte con la consapevolezza del fatto che il problema di
una persona riguarda, in un modo o nell’altro, anche tutti gli altri.
In questo senso, l’atteggiamento del docente nei confronti dei ragazzi, soprattutto quelli più
problematici dovrebbe tendere ad evitare una direttività troppo rigida. Lavorare
costruttivamente con un gruppo di preadolescenti richiede infatti anche al docente di mettersi
in gioco puntando su una relazione connotata sicuramente dal rispetto reciproco, che però non
può più essere preteso semplicemente perché si ricopre un certo ruolo, ma viene suscitato
perché si propone ai ragazzi un modello di comportamento positivo e autorevole.
In tal senso, D’Alonzo37 nota come tanti atteggiamenti che è facile riscontrare in tante classi
andrebbero in realtà evitati:
● appellarsi alle regole
● ricordare avvenimenti passati
● dare ordini o proibire
● fare domande retoriche
● minacciare
● svalutare e squalificare

36
​D’Alonzo (2016) op.cit. pag. 164
37
​Ivi
24
● rimproverare
● istruire
● usare sarcasmo o ironia

Molti di questi atteggiamenti, ripetuti più volte nel corso di tutti i giorni di scuola che una
classe vive tendono a creare, nei soggetti più deboli o remissivi, reticenze e frustrazioni
mentre in coloro che hanno un carattere più forte possono provocare un aumento
dell’oppositività e un rifiuto delle regole.
In un ragazzo con ADHD, soprattutto se accompagnato da un disturbo comportamentale
come il DOP o il DC, tali atteggiamenti andrebbero accuratamente evitati per permettere
l’instaurarsi di una relazione positiva tra studente e insegnante.

25
Capitolo 3: Il ruolo della musica negli interventi educativi rivolti a studenti
con ADHD nella scuola secondaria di I grado

3.1 L’educazione musicale nella scuola secondaria di I grado

La musica come disciplina obbligatoria è entrata nella scuola italiana con i programmi della
“Scuola Elementare” redatti da Lombardo Radice in occasione della riforma Gentile del
1923. A seguito delle riflessioni di Rosa Agazzi (1908) sull’importanza della musica
nell’educazione dei bambini, la disciplina è stata inserita negli “Insegnamenti artistici” della
scuola con la denominazione ​Canto, ​ma con finalità esclusivamente ricreative e socia-
lizzanti. Tali finalità permarranno per lungo tempo e bisognerà aspettare i programmi per le
Scuole medie38 e la riforma dei programmi della Scuola elementare39 per superare un’idea
meramente edonistica della musica e riconoscerle, al pari delle altre discipline, un ruolo
essenziale nell’educazione globale dei soggetti in età evolutiva. Attualmente, la musica è
considerata una disciplina che concorre pienamente alla formazione di ciascun allievo e viene
considerata una “componente fondamentale ed universale dell’esperienza umana, offre uno
spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di cooperazione e
socializzazione”40 . In questo modo esordiscono le indicazioni nazionali per il curricolo
pubblicate dal Miur nel 2012 sottolineando come primo degli aspetti presi in considerazione
relativamente al fenomeno musicale, proprio l’aspetto relazionale e sociale. L’educazione
musicale può quindi ricoprire un ruolo centrale, se non fondamentale, in tutte quelle
dinamiche che, all’interno delle nostre classi, richiedono il potenziamento delle abilità di
cooperazione tra pari e il consolidamento dell’identità di gruppo. Analizzando in maniera più
attenta il testo del Miur, si può inoltre notare come la musica venga intesa come uno “spazio
simbolico e relazionale” cioè un vero e proprio ambiente in cui è possibile comunicare e
mettersi in relazione con l’altro attraverso un linguaggio diverso da quello verbale. Questo

38
DM 9 febbraio 1979
39
​DPR 12 febbraio 1985
40
​Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola d’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, MIUR, 2012,
consultabili al sito
http://www.indicazioninazionali.it/documenti_Indicazioni_nazionali/indicazioni_nazionali_infanzia_primo_cicl
o.pdf
26
fatto può avere delle implicazioni notevoli, nel momento in cui il linguaggio musicale viene
utilizzato come un canale più “neutro” di comunicazione rispetto al linguaggio verbale.
Lo stesso documento parla di un contributo della disciplina musicale al “benessere psicofisico
in una prospettiva di prevenzione del disagio, dando risposta a bisogni, desideri, domande
caratteristiche delle diverse fasce d’età”. Ancora una volta viene sottolineata la funzione
sociale della musica, che dovrebbe contribuire addirittura alla prevenzione del disagio
giovanile.
Bisogna tuttavia notare che nel momento in cui le Indicazioni Nazionali trasformano queste
premesse in obiettivi di apprendimento, scompare del tutto la dimensione sociale e condivisa
del fare musica, se non per quanto riguarda l’esecuzione collettiva di brani vocali e
strumentali. Tale discrepanza tra impostazione teorica e realizzazione pratica tradisce forse
un’impostazione ancora troppo legata ad una visione della disciplina musicale intesa da una
parte come abilità tecnica di esecuzione di un repertorio e dall’altra come attività che
contribuisce alla formazione di un “gusto” musicale nell’ascolto. Nella prassi quotidiana delle
nostre scuole infatti è possibile verificare come le potenzialità della musica come strumento
di coesione sociale attraverso un’attività culturale vengano troppo spesso mortificate.
Sebbene la situazione generale dell’educazione musicale nelle scuole italiane sia spesso
connotata da una marginalità che la relega a materia di interesse secondario, tuttavia ci sono
diverse esperienze, soprattutto nelle cosiddette SMIM (Scuole Medie ad Indirizzo Musicale)
che fanno emergere delle forti potenzialità di questa disciplina nel campo della promozione
dell’inclusione a scuola. In un interessante articolo di Gigliola Onorato, intitolato “La musica
come strumento di integrazione ed inclusione”41, l’autrice analizza alcune esperienze di
promozione dell’inclusione in diverse scuole del milanese sottolineando come l’attività
musicale sia capace di indirizzare i giovani “ad una convivenza attiva e responsabile, non
attraverso la comunicazione di nozioni, ma la trasmissione diretta di valori messi in atto con
la pratica e corretti modelli di comportamento”. Le esperienze descritte nell’articolo
dimostrano infatti come la musica possa diventare un importante fattore di coesione e
inclusione a diversi livelli: dal teatro musicale della scuola Rinascita all’orchestra multietnica
dell’istituto Quintino di Vona fino all’orchestra di abili-disabili dell’IC Stefanardo.

41
articolo consultabile online al link
http://www.lavoroeformazioneincomune.it/wp-content/uploads/2016/04/Onorato.docx
27
Al di là di questi progetti che hanno un carattere di attività extracurricolare, è però possibile
pensare ad un ruolo inclusivo dell’educazione musicale anche all’interno del normale orario
scolastico.
La prospettiva da adottare sarebbe in questo caso, secondo una ricerca svolta dall’università
di Roma 342, quella multidisciplinare. Il laboratorio musicale viene visto da questi ricercatori
come un ambiente privilegiato per l’inclusione scolastica, a patto che questo non rivolga “il
suo potenziale formativo soltanto agli allievi “più dotati”, ma agisca in vista della
promozione delle potenzialità linguistico-espressive, verbali e non verbali di ciascun allievo e
del suo valore come persona e cittadino. Pertanto, nel quadro della ​full inclusion ​(Miur,
2012b, 2013), la didattica musicale si fa carico della promozione del successo formativo degli
allievi (DPR 275/99) attivando modelli organizzativi mirati alla piena attuazione dei principi
di libertà, di uguaglianza e di equità (Rawls, 1971), nel rispetto delle differenze di tutti e
dell’identità di ciascuno”43. Questo tipo di impostazione, volta non tanto all’acquisizione di
abilità e di capacità musicali, quanto alla promozione dell’espressività di ogni alunno nel
rispetto delle caratteristiche individuali, può contribuire significativamente a migliorare i
processi di inclusione all’interno del gruppo classe. Presupposto di tutto ciò è però un
concetto di musica intesa più come azione (il fare musica) che come sostantivo. Questa
impostazione è stata portata avanti dal musicista, compositore ed educatore neozelandese
Cristopher Small44. Come afferma lo stesso autore, ”fare musica significa prendere parte, a
qualsiasi titolo, a una performance musicale, suonando, ascoltando, provando o esercitandosi,
producendo materiale per l’esecuzione (ciò che normalmente viene chiamato comporre) o
danzando. A volte potremmo estendere questo significato anche a ciò che fanno quelle
persone che controllano i biglietti alla porta o trasportano il piano o la batteria, o i tecnici che
fanno il soundcheck o perfino coloro che puliscono la sala dopo che tutti se ne sono andati.
Anche loro contribuiscono alla natura di quell’evento che possiamo definire una performance
musicale”45. Proprio all’interno di questo concetto musicale “allargato” possono trovare posto
le attitudini anche di chi normalmente viene considerato “poco portato” alla musica,

42
​Cajola Chiappetta, L, Rizzo AL, Traversetti M. Pratiche inclusive con la musica nella scuola secondaria di I
grado, una ​design based research​. in giornale italiano della ricerca educativa, Pensamultimedia editore 2017
p.99
43
​Cajola et al. (2017) ​ibidem
44
​cfr. ​Small, Christopher. ​Musicking: The Meanings of Performing and Listening​. Middletown: Wesleyan
University Press, 2011. Internet resource.
45
​Ibidem p.9 traduzione mia.
28
ammesso che questa espressione abbia un senso. E’ chiara, in questo senso, la vocazione
della materia musicale alla multidisciplinarietà, che può essere declinata, si può dire, in
infiniti modi.
Se volessimo individuare degli ambiti di lavoro in cui si esplica il concetto di fare musica
potremmo individuare i seguenti:

● musica come attività manuale: ​fabbricazione di strumenti musicali


● musica e testi letterari: ​mettere in relazione un testo scritto con un contenuto
musicale, attività di drammatizzazione accompagnata dalla musica.
● musica e scienza: ​fisica acustica, proporzioni matematiche fra i suoni, teoria
musicale.
● musica e arti visive: ​rapporto tra musica e pittura, scenografia.
● musica e movimento: ​danza, psicomotricità.
● musica e tecnologia: ​registrazione e creazione sintetica del suono.

Da questo piccolo elenco è possibile rendersi conto che il fenomeno musicale può essere
posto in relazione con quasi tutti i campi disciplinari presenti nelle scuole. Il valore aggiunto
della musica però si trova nella capacità di diventare un prodotto compiuto solo nel momento
in cui ognuno entra in relazione con gli altri per produrre insieme un evento sonoro. Come
afferma lo stesso Small: “L’atto del fare musica si stabilisce in un luogo in cui si instaurano
una serie di relazioni, ed è in queste relazioni che risiede il significato di questo atto. Tali
relazioni non devono essere ricercate esclusivamente tra i suoni organizzati che
convenzionalmente vengono considerati il supporto materiale del significato musicale, ma
anche tra le persone che prendono parte, in qualsiasi forma, alla performance; queste persone
modellano, o diventano metafora di relazioni ideali per come vengono immaginate dai
partecipanti: tra persona e persona, tra individuo e società, tra umanità e mondo naturale e
perfino, forse, tra il mondo naturale e quello soprannaturale”46. E’ nelle relazioni quindi che
va ricercato il significato più profondo del fare musica, soprattutto nel contesto scolastico,
che è impegnato nella “promozione e lo sviluppo di ogni persona”47 affinché possa
contribuire alla costruzione della società.

46
​Ibidem, p.13 traduzione mia
47
​cfr​. ​Indicazioni nazionali 2012, p. 6
29
Bisognerebbe quindi augurarsi che la materia di educazione musicale, oggi considerata un
po’ una “cenerentola” tra le materie di studio delle scuole secondarie di primo grado del
nostro paese possa assumere un ruolo centrale nel curricolo proprio per la capacità di
potenziare le relazioni sociali all’interno del gruppo classe.

3.2 Prospettive di intervento di natura musicale applicate ai disturbi comportamentali

La musicoterapia48 è una disciplina relativamente recente che si propone di utilizzare la


musica per “migliorare, mantenere o recuperare uno stato di benessere utilizzando delle
esperienze musicali e le relazioni che si sviluppano attraverso di esse come forze dinamiche
di cambiamento”49. Nel corso della sua storia, questo approccio è stato utilizzato in diversi
contesti come intervento terapeutico rivolto a bambini e adolescenti con problemi
comportamentali ed emozionali. Secondo l’American Music Therapy Association, questi
interventi possono “promuovere il benessere, alleviare il dolore, far gestire lo stress,
migliorare la comunicazione e far esprimere sentimenti”50.
La musicoterapia può essere utilizzata in svariate situazioni, e può essere rivolta a diversi tipi
di persone o gruppi. Secondo l’American Music Therapy Association, la musicoterapia può
essere utilizzata con militari, individui in crisi o traumatizzati, individui in un contesto
correzionale o giudiziario, individui che seguono programmi educativi speciali e bambini.
Negli ultimi dieci anni si è potuto riscontrare un incremento della ricerca sugli impatti della
musica su bambini con disabilità. Sze51 suggerisce che la musica può essere utilizzata come
strumento per favorire lo sviluppo umano nel campo dell’apprendimento, della percezione,
della motricità, dello sviluppo socio-relazionale ed emozionale. Più nello specifico, è stato
riscontrato che le tecniche di management comportamentale combinate con la musicoterapia
possono fornire una metodologia alternativa all’insegnamento tradizionale rivolto agli alunni

48
​Questo paragrafo è stato redatto rielaborando liberamente il materiale contenuto nell’articolo di Aubrie Roley
"Music Therapy in the Treatment of Adolescents with Emotional and Behavioral Disorder: A Systematic
Review" (2017). ​Master of Social Work Clinical Research Papers​. 789
49
​Bruscia, Kenneth E. ​Modelli Di Improvvisazione in Musicoterapia​. Roma: Ismez, 2002. Print.​ p. 17
50
​http://www.musictherapy.org
51
​Sze, S.. Empowering students with disabilities through music integration in the classroom: Music therapy on
student. ​Academy of Educational Leadership Journal, 10​(2), 2006 113-118.
30
con disturbi comportamentali, fornendo un ambiente strutturato ma al contempo permettendo
loro uno sfogo creativo52.
Le strategie che possono essere implementate specificamente per aiutare gli studenti con
disturbi comportamentali ed emozionali includono: suonare uno strumento musicale per
lavorare sul comportamento finalizzato ad un obiettivo, usare un setting di piccolo gruppo per
favorire le relazioni interpersonali, insegnare il rispetto dei turni e la condivisione dello
spazio mentre si suonano strumenti per migliorare il controllo dell’impulsività53.
Sebbene ci sia una vasta mole di letteratura che riguarda i risultati positivi che si possono
ottenere utilizzando la musicoterapia con gli adolescenti, gli studi specifici sull’applicazione
di questa tecnica con studenti caratterizzati da disturbi emotivi e comportamentali è però
scarsa. Secondo Camilleri54 L’orientamento teorico del terapista, insieme ai paradigmi
psicologici adottati, determinano il modo in cui viene utilizzata la musicoterapia. Le tecniche
utilizzate nel progettare una sessione sono variegate ed includono l’utilizzo di strumenti come
il pianoforte, la chitarra, le percussioni, i cembali, la voce e attività come la musicalizzazione
di testi narrativi, giochi e storie musicali, l’analisi dei testi di canzoni.
Secondo l’analisi tematica condotta da Aubrie Roley55, che ha analizzato la letteratura relativa
a esperienze di musicoterapia rivolte ad adolescenti con problemi emozionali e
comportamentali, i miglioramenti dei ragazzi con problematiche emotive e comportamentali
coinvolti in progetti di musicoterapia, si verificano nelle aree del funzionamento sociale,
dell’autostima e dell’espressione personale.
Gli articoli individuati dalla Roley nella letteratura specialistica che soddisfano i criteri di età
e tipo di disturbo sono solo nove. Vale la pena quindi presentarli brevemente in modo da
fornire un quadro della situazione attuale della ricerca sul tema. L’articolo di Camilleri56 è un
case study che riguarda una scuola di New York che accoglie studenti residenti in un
quartiere svantaggiato con e senza disabilità. In questa scuola sono state organizzate sessioni
di musicoterapia orientate ad affrontare problematiche sociali, emozionali e accademiche

52
​Sausser, S., & Waller, R. . A model for music therapy with students with emotional and behavioral
disorders.​33​(1), 2006 1-10.

53
cfr.​ ​Sze, op. cit.
54
​Camilleri, V. Music therapy groups: A path to social-emotional growth and academic success. ​Educational
Horizons, 78​(4), 2000184-189.
55
​Roley, Aubrie, "Music Therapy in the Treatment of Adolescents with Emotional and Behavioral Disorder: A
Systematic Review" (2017). ​Master of Social Work Clinical Research Papers​. 789
56
​Camilleri, op.cit.
31
come la partecipazione, l’interazione sociale, il rispetto dell’altro e l’autostima. L’autore nota
come l’educazione musicale contribuisca positivamente al miglioramento delle capacità di
concentrazione, delle abilità motorie, della memoria e della coordinazione.
Montello e Coons57 hanno condotto uno studio qualitativo che comparava gli effetti
comportamentali di sedute di musicoterapia attiva (basata sul fare musica) e passiva (basata
sull’ascolto) rivolte a preadolescenti con disturbi d’apprendimento, emotivi e
comportamentali. i risultati hanno dimostrato un miglioramento sia nell’intervento di
musicoterapia attiva che in quella passiva. I cambiamenti più significativi riscontrati
riguardavano la diminuzione degli atteggiamenti aggressivi e ostili. I risultati dello studio
suggeriscono che la musicoterapia di gruppo può aiutare il processo di autoespressione
trasformando i sentimenti di rabbia, frustrazione e aggressività in creatività.
Sausser e Waller58 hanno proposto un modello di intervento diretto alla gestione della rabbia,
autoespressione e autostima, risoluzione dei conflitti e cooperazione nel contesto di un centro
psicoeducativo di Athens in Georgia. Il curriculum proposto si articola in nove settimane,
corrispondenti al periodo in cui vengono effettuati i test di profitto all’interno dell’istituto. Gli
autori concludono che la programmazione di attività musicali può servire da medium
terapeutico per studenti con disturbi comportamentali ed emozionali.
Porter et al.59 in uno studio condotto nel 2016 hanno esaminato l’efficacia della musicoterapia
su un gruppo di 250 bambini ed adolescenti con problemi di natura emozionale e
comportamentale. Lo studio avrebbe misurato il miglioramento nella comunicazione ed in
secondo luogo parametri come il funzionamentosociale, l’autostima, la depressione e il
funzionamento familiare. I risultati hanno evidenziato miglioramenti significativi nel campo
dell’autostima ed un abbassamento del livello di depressione, mentre, dopo 13 settimane non
si notavano differenze nel campo del funzionamento sociale o familiare.
Sze60 ha analizzato le modalità di utilizzo della musicoterapia tra gli insegnanti allo scopo di
incoraggiare l’apprendimento cognitivo, percettivo, motorio, sociale ed emozionale tra gli
studenti con disabilità. Più in particolare, l’autore discute alcune attività specifiche che
possono essere rivolte agli alunni con disturbi comportamentali. Ad esempio, l’uso di un

57
​Montello, L., & Coons, E. Effects of active versus passive group music therapy on preadolescents with
emotional, learning, and behavioral disorders. ​The Journal of Music​ ​Therapy,​1998​ 35​(1), 49-67.
58
​Sausser & Waller, op.cit.
59
​Porter et al. ​Music therapy for children and adolescents with behavioural and emotional problems: a
randomised controlled trial, ​Journal of Child Psychology and Psychiatry​, 58, 5, (586-594), (2016)​.
60
​Sze, op.cit.
32
ritmo musicale comune può migliorare la coesione di gruppo e la regolazione delle dinamiche
di gruppo. Altre attività che permettono di lavorare sul rispetto del turno e sulla condivisione
dello spazio, possono aiutare il controllo degli impulsi.
Pellitteri61 descrive l’applicazione della musicoterapia nell’educazione speciale attraverso un
esame delle ricerche già effettuate in precedenza. L’autore individua otto campi di
applicazione della terapia musicale e conclude affermando che la musicoterapia, in un’ottica
aperta e multidisciplinare può favorire lo sviluppo di svariate aree di funzionamento.
Gold, Wigram e Voracek62 hanno condotto uno studio che ha esaminato l’efficacia della
musicoterapia per bambini e adolescenti con psicopatologie. I partecipanti erano bambini e
adolescenti dai 3 anni e mezzo ai 19, con disturbi emotivi, comportamentali e dello sviluppo.
I ricercatori hanno valutato i sintomi, le competenze e la qualità della vita prima e dopo le
sedute musicoterapiche ed hanno concluso che tale terapia si è dimostrata efficace per alcuni,
ma non per tutti i gruppi.
Ynger e Gooding63 hanno esaminato la letteratura che riguarda le differenze tra terapia
musicale e medicina musicale per bambini e adolescenti anche per quanto riguarda l’uso della
musicoterapia per vari bisogni riguardanti la salute mentale. I risultati della letteratura
analizzata dimostrano che la musicoterapia è efficace nel miglioramento di varie abilità di
funzionamento sociale e mostra un decremento dell’aggressività e delle attività motorie.
McIntyre64 fornisce una panoramica dei progetti di musicoterapia finanziati a livello
governativo in tre scuole secondarie di Sydney, in Australia. Sette adolescenti maschi, con
una diagnosi di disturbo comportamentale ed emozionale hanno partecipato per un intero
anno accademico a sedute musicoterapiche. Vari strumenti di valutazione sono stati utilizzati
per tener traccia del cambiamento e del progresso dei partecipanti.
Da questa breve disamina della letteratura si può notare in generale come le sedute
musicoterapiche effettuate nei confronti di ragazzi con disordini comportamentali ed
emozionali, si dimostri efficace nella maggior parte dei casi, soprattutto per quanto riguarda il
controllo dell’impulsività e la riduzione dei comportamenti aggressivi. Purtroppo non esiste

61
​Pellitteri, op.cit.
62
​Gold, Christian, Tony Wigram, and Martin Voracek. "Effectiveness of Music Therapy for Children and
Adolescents with Psychopathology: a Quasi-Experimental Study." ​Psychotherapy Research​. 17.3 (2007):
289-296. Print.
63
​Yinger, Olivia & Gooding, Lori. (2013). Music Therapy and Music Medicine for Children and Adolescents.
Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America. 23. 10.1016/j.chc.2013.03.003.
64
Mcintyre, Joanne. (2007). Creating order out of chaos: Music therapy with adolescent boys diagnosed with a
Behaviour Disorder and/or Emotional Disorder. Music Therapy Today. 8.
33
letteratura in merito all’utilizzo della musica in un contesto non terapeutico nei confronti di
ragazzi con problemi comportamentali, sebbene diversi studi si siano occupati del discorso
più ampio dell’inclusione attraverso l’uso della musica.

3.3 Un’educazione alla libertà: l’utilizzo della musica a scuola nella gestione delle
emozioni.

In base a quanto è stato esposto nei precedenti capitoli, risulta sempre molto complesso
lavorare costruttivamente con ragazzi che presentano problematiche comportamentali. Molto
spesso infatti, questi disturbi non sono accompagnati da particolari deficit cognitivi o fisici,
per cui ad un occhio disattento o poco informato, questi ragazzi appaiono semplicemente
come irrispettosi delle regole e delle persone, e una diagnosi di questo tipo viene giudicata
dalla maggior parte delle persone come una semplice giustificazione della cattiveria e della
maleducazione di questi alunni. Bisogna dire inoltre che la natura di questi disturbi induce
troppo spesso anche i docenti specializzati a porsi nei confronti dei ragazzi come
“addestratori”, nel semplice tentativo di eliminare o far diminuire i comportamenti problema
senza che venga fatta alcuna riflessione sulla natura di questi disturbi e sul fatto che
confrontarsi con tali problematiche all’interno delle classi possa essere un’occasione per
mettere radicalmente in discussione il modo di fare scuola da parte di tutti i docenti e della
classe intesa come gruppo. Nella mia breve esperienza professionale mi è capitato infatti di
notare come l’alunno con una problematica comportamentale, agendo spesso d’impulso e
senza filtri abbia comunicato, con un linguaggio molto diretto, un disagio nei confronti di
alcune situazioni che era condiviso da quasi tutti i compagni di classe ma che nessuno aveva
espresso proprio perché “normalmente” si è capaci di gestire in modo socialmente accettabile
il proprio linguaggio e le proprie emozioni. Per quanto possa sembrare retorico, dovremmo
forse imparare a cogliere le provocazioni di questi ragazzi come un’occasione per esaminare
criticamente il modo con cui ci poniamo nei confronti delle nostre classi.
Proprio partendo da questi presupposti, un’azione educativa in senso generale, ed ancor di più
se viene rivolta ad alunni con problematiche comportamentali, che in definitiva possono
essere ricondotte ad una scarsa capacità di controllare i propri impulsi e le proprie emozioni,
deve necessariamente essere rivolta a quello che Paulo Freire chiama un processo di
umanizzazione, quindi superando la logica dell’addestramento.

34
L’educazione deve essere quindi una pratica della libertà, che come afferma lo stesso Freire
“è un parto, un parto doloroso e l’essere che nasce da questo parto è un uomo nuovo, che
diviene tale attraverso il superamento della contraddizione oppressori/oppressi, che poi è
l’umanizzazione di tutti. Il superamento della contraddizione è il parto che dà alla luce questo
uomo nuovo non più oppressore, non più oppresso: l’uomo che libera se stesso”65
Questo processo può realizzarsi nel momento in cui vengono perseguiti i tre obiettivi
dell’educazione cioè: “l’auto-riflessione, la famosa frase poetica del ‘conosci te stesso’, che è
una comprensione del mondo in cui si vive nelle sue dimensioni economiche, politiche e
psicologiche. La pedagogia critica aiuta il discente a rendersi conto delle forze che hanno fino
a quel momento influenzato la loro vita e formato la coscienza. Il terzo obiettivo è produrre le
condizioni per una nuova vita, un nuovo insieme di regole in cui il potere è stato, almeno
tendenzialmente, trasferito a quelli che letteralmente fanno il mondo sociale trasformando la
natura e loro stessi”66 Parafrasando il discorso di Freire, è attraverso il portare alla coscienza
la propria natura che è possibile innescare un processo di cambiamento che però, di riflesso,
deve coinvolgere in qualche misura l’intera rete di relazioni in cui il soggetto si trova
inserito. Il compito dell’educatore è quello di favorire e sostenere questo processo di
coscientizzazione attraverso la prassi educativa.
Si tratta in ultima analisi di un’educazione alla libertà, il cui scopo deve essere quello di
contribuire ad insegnare all'allievo a gestire le proprie pulsioni senza per questo rinunciare
alla propria capacità di autodeterminarsi, di decidere per se stesso ed anche di sbagliare.
In questo senso la classe di musica può diventare un ambiente privilegiato in cui far
sperimentare ai ragazzi una forma di interazione meno condizionata dalle normali relazioni
sociali che si instaurano in una classe e, forse, più spontanea. Questa capacità è riconosciuta
esplicitamente dal Miur quando, nella direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 scrive:
“l’opportunità di impiegare la musica quale uno dei fattori ambientali strategici per la
creazione di spazi a favore della diversità, è fortemente sostenuta dalla specificità della
disciplina che offre uno spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di
cooperazione e socializzazione, all’acquisizione di strumenti di conoscenza, alla
valorizzazione della creatività e della partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza

​Freire, Paulo. ​La Pedagogia Degli Oppressi​. Torino: EGA, 2011. Print. p.34
65

66
​S​tanley Aronowitz, "Forward," "Critical Pedagogy in Uncertain Times: Hope and Possibilities," ed. Sheila L.
Macrine, (New York, New York, Palgrave MacMillan, 2009) pp. ix. traduzione mia.
35
a una comunità”67. Questo tipo di approccio pone in evidenza da un lato le qualità intrinseche
che la musica possiede di attivare dinamiche sociali positive, offrendo uno spazio
simbolico-relazionale alternativo a quello consueto, dall’altro sottolinea come la pratica
musicale possa diventare un veicolo per trasmettere conoscenza attraverso la valorizzazione
della creatività e della partecipazione, nonché possa potenziare il senso di appartenenza al
gruppo, purché, come è stato sottolineato, venga messo in discussione un approccio didattico
che spesso privilegia l’asse esecuzione/ascolto informato. In riferimento a questa
impostazione, ed in relazione all’opportunità di diffondere la musica all’interno di momenti
formativi significativi proposti dalla scuola68, nella secondaria di primo grado “un contributo
fattivo può essere assunto dall’insegnante di sostegno musicista”69 le cui competenze possono
risultare efficaci per la progettazione e la realizzazione di attività di sostegno che siano
realmente inclusive. Questo insegnante può trarre idee e proposte didattiche dal campo
musicale coinvolgendo i propri colleghi nella coprogettazione di attività didattiche
laboratoriali in un’ottica interdisciplinare all’interno dei quali l’allievo con disabilità può
interagire in maniera sistematica con i propri compagni. In tale ottica le sue competenze
possono andare anche “a vantaggio di una progressiva promozione della collaborazione tra
docenti che, soprattutto nella scuola secondaria di primo grado rappresenta un nodo critico
ancora irrisolto”70. Diversi sono quindi i vantaggi che porta l’associazione di una competenza
musicale con una rivolta all’inclusione come quella del sostegno, pur rimanendo fermo il
fatto che tale approccio presuppone una unitarietà di intenti da parte di tutto il consiglio di
classe nel perseguire l’obiettivo dell’inclusività.
Nel campo specifico dei disturbi comportamentali ed emozionali, è stata già esaminata la
letteratura di settore che ha cercato di valutare l’impatto delle attività musicali e
musicoterapiche sugli studenti che presentano tali categorie di deficit ed è emerso come i
campi in cui sono stati riscontrati maggiori benefici sono quelli del funzionamento sociale,
dell’autostima e dell’autoespressione. Esiste quindi una certa evidenza scientifica che

67
​Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione
scolastica. Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012.

68
​cfr. F​rabboni, Franco. "Educazione Estetica E Mente Plurale: La Dimensione Musicale in Una Scuola Che
Cambia." ​Saggiatore Musicale​. (2005): 5-14. Print.
69
​Cajola Chiappetta et al. (2017), p.104
70
​Ivi
36
dimostra come la musica possa influire positivamente sulla prosocialità e migliorare
l’autopercezione dei ragazzi con disturbi comportamentali.
Nel caso dell’ADHD e dei disturbi che ad esso possono essere correlati, i deficit
comportamentali possono essere ricondotti da un lato a problematiche di natura
neurobiologica, che quindi devono essere trattati con una terapia farmacologica, e dall’altro a
cause psicologiche e ambientali. E’ su quest’ultimo aspetto che può intervenire l’insegnante
di sostegno attraverso un progetto educativo che punti decisamente sulla gestione delle
emozioni. Il fatto di essere poco capaci di comportarsi in maniera socialmente accettabile
infatti, caratteristica che possiamo individuare come la parte manifesta delle problematiche
generate da un deficit di attenzione e iperattività, può essere infatti ricondotta ad una gestione
carente delle proprie emozioni. Per quanto riguarda l’aspetto dell’attenzione e della
concentrazione, anche in questo caso le emozioni giocano un ruolo fondamentale, fornendo
una chiave di lettura alternativa di questo tipo di disturbi. Secondo lo psicologo Victor
Johnston71 infatti, le emozioni possono essere considerate come degli amplificatori di
sensazioni, che aumentano selettivamente il volume di alcuni segnali ambientali che arrivano
alla nostra mente a scapito di altri. In altre parole si tratta di ​attention magnets ​come scrive
Ed Batista in un suo articolo apparso sulla Harvard Business Review72. Saper gestire le
proprie emozioni, che possono essere considerate come dei “filtri attentivi”, significa quindi
anche migliorare la propria capacità di attenzione e concentrazione. L’altro aspetto del
deficit, che riguarda invece l’iperattività e l’impulsività, viene associato alla sfera emotiva,
come scrive Goleman, fin dagli esordi della psicologia: “Come scrive Freud nel suo ​Disagio
della civiltà​, la società umana ha dovuto affermarsi partendo da uno stadio nel quale non
esistevano regole per arginare le ondate travolgenti degli eccessi emozionali, allora troppo
liberi di manifestarsi”73. Questo estratto di Goleman mette in evidenza come l’impulsività,
intesa come un lasciarsi dominare dalle emozioni, sia in contrasto con le basi stesse della
civiltà, che si manifesta nel momento in cui vengono poste delle regole con lo scopo di
limitare le manifestazioni comportamentali frutto di un’emotività troppo spiccata. In questo
senso, un’attività rivolta ad una corretta gestione ed espressione delle proprie emozioni

71
​Johnston, Victor S. ​Why We Feel: The Science of Human Emotions​. Cambridge, MA: Perseus Books, 2000.
Print.
72
​Batista, E. ​To stay focused, manage your emotion ​consultabile on line sul sito
https://hbr.org/2015/02/to-stay-focused-manage-your-emotions
73
​Goleman, D. ​Intelligenza Emotiva​. Place of publication not identified: Rizzoli, 2012. Print.
37
dovrebbe essere alla base di un percorso formativo rivolto a ragazzi con una diagnosi di
ADHD.
Nella mia personale esperienza mi sono confrontato con un caso di ADHD accompagnato da
DOP ed ho potuto constatare come tante manifestazioni di questo disturbo possano essere
chiaramente collegate ad una difficoltà, da parte del ragazzo, a gestire le proprie emozioni ed
allo stesso tempo, come è stato sottolineato nell’analisi dei protocolli di intervento, mi sono
reso conto di quanto un ambiente scolastico emotivamente sereno e rasserenante possa
contribuire a migliorare la capacità di questi ragazzi a relazionarsi in maniera positiva con i
propri compagni ed i docenti.
Bisogna inoltre sottolineare come la “competenza emotiva” sia un’abilità che spesso viene
sottovalutata nei curricoli della scuola secondaria di primo grado, ma che dovrebbe assumere
maggiore rilevanza in quanto permette di gestire meglio le fasi critiche di un’età come quella
preadolescenziale, ricca di cambiamenti e allo stesso modo è alla base della formazione di
una classe che possa funzionare bene come gruppo.
In questo senso, le attività che possono essere proposte ad un ragazzo con diagnosi di ADHD
per lavorare sulle proprie emozioni possono avere delle ricadute positive anche sulla classe
nella sua interezza.
Per di più, una corretta gestione delle proprie emozioni ed un lavoro in tal senso all’interno
delle classi ha delle ricadute positive anche sull’apprendimento in senso stretto. Come nota
Goleman, “gli insegnanti sanno benissimo quanto i turbamenti emotivi interferiscano con la
vita mentale. Quando sono ansiosi, adirati o depressi gli studenti non imparano; chi si trova in
questi stati d’animo non assorbe informazioni né è in grado di applicarle proficuamente (...)
quando sono forti, le emozioni negative dirottano l’attenzione dell’individuo sulle proprie
preoccupazioni, interferendo con i suoi eventuali tentativi di concentrarsi su qualcos’altro”74.
Troppo spesso ci si dimentica di quanto un clima di classe emotivamente positivo possa
migliorare l’apprendimento dei nostri alunni ed a maggior ragione, per gli alunni con una
diagnosi come quella di ADHD.
Questo tipo di percorso può contribuire positivamente ad arginare le conseguenze negative di
un disturbo comportamentale pur rimanendo nell’ottica, come si è detto, di una”educazione
alla libertà” cioè di un percorso che porti non tanto a reprimere i propri comportamenti o il

74
​Goleman (2012), op.cit. p. 136
38
proprio modo d’essere ma a canalizzare le proprie energie, che spesso in questi ragazzi sono
sovrabbondanti, in una maniera costruttiva per sé stessi e per le persone che stanno intorno.
Strettamente correlato all’aspetto emotivo è infatti quello relazionale. Proprio per il fatto di
essere carenti nella gestione delle proprie emozioni, molto spesso i ragazzi con ADHD
faticano ad instaurare delle relazioni positive con gli altri, a causa della loro impulsività, dei
frequenti scatti di collera e del loro comportamento spesso imprevedibile.
Il fatto di facilitare l’instaurarsi di relazioni positive, che mettono in gioco emozioni positive
nelle dinamiche relazionali, può essere considerato l’altro pilastro su cui basare una strategia
di intervento efficace in casi di disturbi comportamentali. Se è vero, come diversi studi
mettono in luce, che una buona intelligenza emotiva ha una positiva influenza sulle relazioni
sociali e sulla percezione del supporto sociale75, deve essere anche vero che relazioni sociali
positive possono influenzare favorevolmente il clima emotivo. Relazioni armoniose con gli
altri contribuiscono alla sensazione che la propria vita abbia significato, per cui “la
motivazione a formare e sostenere connessioni sociali è uno degli impulsi umani più potenti,
universali e influenti. La mancanza di relazioni sociali d’altra parte contribuisce ad abbassare
l’autostima ed è uno dei maggiori fattori di rischio sanitario”76. Il fatto di vivere in un
ambiente caratterizzato da relazioni sociali positive ha una ricaduta positiva sulla motivazione
ad apprendere. Lave e Wenger nella loro teoria dell’apprendimento situato, hanno
sottolineato la centralità delle relazioni sociali nel processo di apprendimento poiché lo
considerano il risultato di un processo sociale77 e non individuale.
Ciò premesso, risulta più facile comprendere come il processo di inclusione all’interno del
gruppo classe di alunni con disabilità comportamentali risulti di importanza capitale per il
successo di un progetto formativo che miri a conseguire risultati anche dal punto di vista
didattico. in questo senso la musica e l’educazione musicale, proprio per le caratteristiche che
sono state evidenziate nei paragrafi precedenti, si presti a un percorso di potenziamento sia
della gestione delle emozioni che delle relazioni sociali all’interno delle classi.

75
​cfr. ​Metaj, – M. A. "The Relationship between Emotional Intelligence and Perceived Social Support." ​Journal
of Educational and Social Research.​ (2017). Print. e Lopes, PN, MA Brackett, JB Nezlek, A Schütz, I Sellin,
and P Salovey. "Emotional Intelligence and Social Interaction." ​Personality & Social Psychology Bulletin​. 30.8
(2004): 1018-34. Print.
76
​Kawamichi, Hiroaki, Sho K. Sugawara, Yuki H. Hamano, Kai Makita, Takanori Kochiyama, and Norihiro
Sadato. "Increased Frequency of Social Interaction Is Associated with Enjoyment Enhancement and Reward
System Activation." ​Scientific Reports​. 6.1 (2016). Print.
77
​Lave, Jean, and Etienne Wenger. ​L'apprendimento Situato: Dall'osservazione Alla Partecipazione Attiva Nei
Contesti Sociali​. Trento: Centro studi Erickson, 2016. Print.
39
 
3.4 l’educazione musicale come strumento di inclusione e potenziamento delle relazioni
sociali all’interno delle classi

Si è visto come la musica possa costituire un valido strumento per facilitare il lavoro sugli
aspetti emozionali e comportamentali legati ad un disturbo come l’ADHD. In chiusura del
precedente paragrafo è stata messa in evidenza l’importanza fondamentale di instaurare
buone relazioni sociali all’interno della classe, che producono ricadute positive anche
sull’apprendimento. Come è stato detto infatti, il lavoro di Lave e Wenger mette al centro del
processo di apprendimento proprio la co-partecipazione sociale, considerato dagli autori
come la condizione necessaria per raggiungere qualsiasi tipo di obiettivo didattico.
Questo tipo di impostazione privilegia l’apprendimento esperienziale, ottenuto attraverso la
partecipazione dell’allievo, a vario titolo, alle attività della classe: “Si tratta di un processo
interattivo in cui l’apprendista interviene eseguendo simultaneamente diversi ruoli – persona
di status subordinato, allievo apprendista, unico agente responsabile di elementi di minor
conto del compito, aspirante esperto ecc.- ciascuno dei quali implica un diverso genere di
responsabilità, un insieme distinto di relazioni di ruolo e un coinvolgimento interattivo
differente”78. Si può facilmente notare come questa impostazione sia del tutto simile al
concetto di ​musicking ​elaborato da Small e discusso nei precedenti paragrafi. Se intesa come
partecipazione, a qualsiasi titolo, alla realizzazione di un evento musicale il “fare musica” si
presta naturalmente ad una concezione dell’apprendimento esperienziale e laboratoriale come
quella delineata da Lave e Wenger, diventando così, in virtù della multidimensionalità che
caratterizza la prassi musicale e di cui si è già discusso, un’attività con grandi potenzialità
inclusive.
Il lavoro sull’inclusione all’interno delle classi è infatti di enorme importanza, non solo per
una questione di “giustizia sociale” o per promuovere il benessere delle persone con disabilità
e più in generale di coloro che vengono considerati “diversi” ma ha una profonda valenza
anche per gli alunni senza particolari problemi o disturbi. Innanzitutto il contatto, ma
soprattutto l’interazione con la disabilità aiuta, in una fase delicata come quella del periodo
preadolescenziale, a relativizzare la propria condizione, a prendersi carico delle difficoltà

78
Lave, J. e Wenger E. op. cit. pagg. 16-17
40
degli altri e, soprattutto se il processo di inclusione è riuscito, a comprendere che ognuno,
anche se a titolo diverso, può dare il suo contributo al successo del gruppo.
Lavorare sull’inclusione significa inoltre contribuire a migliorare le dinamiche di gruppo
della classe nel suo complesso, favorendo in questo modo il successo formativo di tutti e di
ognuno anche su un piano strettamente didattico. Spendere tempo ed energie per creare un
ambiente sociale inclusivo all’interno della classe significa innanzitutto potenziare il gruppo
classe rendendolo capace di gestire in maniera sempre più autonoma le diversità presenti
all’interno di esso. Ciò significa creare le condizioni per un lavoro, anche da parte
dell’insegnante, più vicino a quello del facilitatore che a quello del maestro. Promuovere
l’autonomia, l’aiuto reciproco e la responsabilità nei confronti del gruppo non è tempo perso,
come troppo spesso si sente dire, ma è un elemento cardine che costituisce una condizione
necessaria per una didattica che non si riduca ad una semplice trasmissione di conoscenze, o,
per dirla come Freire a “riempire dei sacchi vuoti” ma, al contrario, possa contribuire alla
formazione globale di futuri cittadini in grado di prendersi cura l’uno dell’altro.
Spesso infatti nel lavoro educativo si tende a guardare in maniera piuttosto miope ad obiettivi
a breve o a brevissimo termine, quando l’esperienza dimostra che i frutti del lavoro svolto in
ambito scolastico si raccoglieranno, nel caso della scuola secondaria di primo grado, a
distanza di diversi anni, cioè nel momento in cui i ragazzi entreranno a far parte in maniera
attiva della società in cui vivono. Diventa quindi necessario guardare sempre al futuro
lontano nel momento in cui si valuta la razionalità di una proposta formativa. Nel caso del
lavoro sul gruppo, ho potuto notare nel mio percorso di docenza come la maggior parte degli
insegnanti consideri il fatto di saper collaborare tra compagni, il costituire e gestire un
sottogruppo e le sue dinamiche come abilità che vengono date per scontate. La realtà
dimostra che non è così e per di più coloro (cioè gli insegnanti) che fanno questo tipo di
richieste alla classe spesso si dimostrano incapaci di lavorare come un vero gruppo nel
momento in cui ci sono attività che richiedono una collaborazione stretta tra colleghi.
Premessa quindi l’importanza di lavorare sul gruppo, la musica può inserirsi come una delle
materie fondamentali che permettono di approcciare la questione in maniera operativa.
Già dai tempi di Platone è stata riconosciuta alla musica la capacità di fare da guida agli
uomini e di tenerli insieme. Come scrive Platone: ”Si dice che ogni giovane essere vivente,
per così dire, non riesca mai a stare quieto con il corpo e con la voce, ma cerchi sempre di
muoversi e di parlare forte, e alcuni saltano e balzano, come se danzassero con piacere e

41
giocassero, altri emettono ogni sorta di suoni. E mentre gli altri esseri viventi non hanno
percezione dell'ordine e del disordine che si verifica in questi movimenti e a cui diamo il
nome di "ritmo" ed "armonia", a noi invece quegli dèi che, abbiamo detto prima, ci furono
dati come compagni di danza, fecero anche dono della percezione del ritmo e dell'armonia
accompagnati al piacere, con cui ci muovono e guidano i nostri cori, legandoci gli uni agli
altri con canti e danze, e li hanno chiamati "cori" per quel senso di gioia che in essi è
connaturato. Accetteremo, intanto, questo discorso? Stabiliamo che la primitiva educazione
fu opera delle Muse e di Apollo, o come diremo?”79.
Secondo Platone la percezione dei suoni come ritmo e armonia associati a una sensazione
piacevole costituisce una delle prime forme di legge, che rende capaci gli uomini di
distinguere un movimento ordinato da uno disordinato. Questa capacità, offerta dagli dei agli
uomini, li rende capaci di diventare un gruppo, un “coro” cioè delle persone che stanno
insieme in maniera piacevole grazie alla musica proprio perché condividono lo stesso senso
del ritmo e dell’armonia. La leggenda di Platone è illuminante per capire quale può essere la
funzione dell’educazione musicale in questo senso. Per realizzare in gruppo un brano
musicale in maniera piacevole, è necessario che ognuno faccia la sua parte, e , nel momento
in cui anche solo una persona smette di contribuire in maniera positiva alla realizzazione di
un brano, tutto l’edificio viene meno in maniera molto evidente per tutti. Suonando un brano
musicale (soprattutto se si tratta di un brano polifonico, magari accompagnato dalla danza o
dalla recitazione) il gruppo crea un oggetto sonoro che deve essere costantemente mantenuto
in vita dall’apporto di ogni singola persona coinvolta in questo processo e questo fatto
richiede attenzione, concentrazione e ascolto reciproco da parte di tutti.
Per ben comprendere questo tipo di funzione della musica bisogna però operare una profonda
critica a una concezione della musica (e del musicista) ben radicata soprattutto nella nostra
cultura musicale figlia un po’ del romanticismo ed un po’ della controriforma tridentina. Da
una parte infatti la concezione popolare tende a pensare al musicista come ad un individuo
particolarmente dotato, virtuoso di uno strumento ed in un certo senso al di fuori della
società. Questa è la parte di eredità romantica, che vede in generale l’artista e in particolare il
musicista come un individuo particolarmente dotato, un genio che si eleva al di sopra della
normalità del volgo. Ciò naturalmente implica che l’arte è appannaggio di pochi eletti e che

79
​Platone, Leggi II, 653-654
42
anche nell’accostarsi ad un’opera d’arte musicale bisogna evitarne qualsiasi tipo di
manipolazione, trattandola come un oggetto sacro.
D’altra parte la controriforma in campo musicale ha significato, nei paesi cattolici, un affidare
la musica nelle chiese non tanto al popolo (come avviene nelle chiese protestanti) ma a figure
professionali che si occupavano specificamente del servizio musicale escludendone quasi del
tutto l’assemblea dei fedeli. Nei paesi protestanti al contrario, esiste una radicata cultura di
dilettantismo musicale ed un patrimonio di canti condiviso dalla maggior parte della
popolazione e che spesso viene eseguito in famiglia come un’attività piacevole di
condivisione.
Rimettere al centro la funzione sociale della musica significa quindi, soprattutto nel nostro
paese, rimettere in discussione un modo di vedere la musica piuttosto radicato nella coscienza
collettiva e che costituisce un ostacolo all’utilizzo pieno delle qualità della musica
evidenziate più in alto, all’interno delle nostre classi.
In questo senso, il recupero di alcuni aspetti della musica antica (all’incirca quella che veniva
suonata prima di Bach, per intenderci) può essere utile a rimettere al centro aspetti della
prassi musicale che sono andati perdendosi nel corso della storia della musica. In particolare,
gli aspetti :

● La scrittura musicale, ovvero lo spartito non era vissuto in maniera prescrittiva ma


come un supporto mnemonico, lasciando quindi molta più libertà all’esecutore di
interpretare, modificare ed adattare il testo musicale.
● La scrittura polifonica, caratteristica della musica antica, ha il vantaggio di sviluppare
diverse linee melodiche che hanno tutte uno stesso “peso” nell’economia compositiva.
Per intenderci, non c’è, nella musica antica la dicotomia tra melodia e
accompagnamento armonico che c’è nella musica tonale. Questo fatto, oltre ad essere
una potente metafora di complementarietà ed equilibrio (equità) offre il vantaggio di
poter affidare le diverse parti a diversi alunni, o gruppi di alunni senza che ci sia per
forza la figura di un “solista”. In questo caso l’organismo musicale nasce dalla
complementarietà delle varie linee melodiche senza che ce ne sia una predominante.
● La musica antica è molto più semplice dal punto di vista tecnico/esecutivo e può
essere adattata alle capacità di ogni singolo gruppo. I musicisti medievali e
rinascimentali infatti, notavano solo lo “scheletro” della composizione; stava poi al

43
singolo musicista, in base alle proprie capacità tecniche appropriarsi della propria
linea melodica e svilupparla. In questo modo, è possibile far funzionare una
composizione diversificando la proposta di interpretazione a seconda delle capacità di
ognuno.
● Ci sono diversi procedimenti codificati nella musica antica, che permettono di
elaborare una melodia rendendola polifonica. E’ possibile quindi impostare il lavoro
con un gruppo di alunni in forma laboratoriale, sviluppando, secondo tecniche a volte
anche molto semplici, ma di grande effetto (ad esempio il falso bordone o il gymel)
una linea melodica e rendendola una composizione polifonica da suonare in gruppo.
● Ci sono numerosi generi all’interno della musica antica che si prestano ad essere
eseguiti in maniera piacevole da un gruppo di studenti magari accompagnandoli con
danze storiche, o facendo realizzare dei costumi. Tra questi gagliarde e pavane,
frottole, villanelle, che hanno numerosi punti di contatto anche con la musica popolare
e possono fare da spunto per percorsi multidisciplinari.
● Nella musica antica era molto diffusa la pratica di utilizzare insieme, un unico, grande
libro da cui leggere la melodia. Questo è un esempio di condivisione che mette in luce
le potenzialità di questa musica nel contribuire a rinforzare e consolidare i legami di
gruppo anche nel semplice atto pratico del fare musica.
● La musica era quasi sempre legata a una specifica funzione, serviva cioè sempre a
perseguire uno scopo extramusicale, sacro o profano che fosse. Non esisteva quindi il
concetto di “’arte per l’arte”, o meglio la musica per la musica, fatto questo che tende
a far percepire la musica che si ascolta a scuola come qualcosa di astratto e lontano.
Recuperare una funzione per la musica che viene proposta agli studenti significa
fornire in anticipo una risposta alla domanda ovvia “a cosa serve ciò che stiamo
facendo?”.

Tutte queste caratteristiche rendono la musica antica un potente mezzo di inclusione


all’interno delle classi.

44
Conclusioni

La ricerca che è stata svolta ha messo in luce alcune caratteristiche dell’ADHD, e più in
generale dei disturbi del comportamento, che li rendono molto difficili da gestire nel contesto
della scuola e della classe.
Come è stato sottolineato infatti, questo tipo di disturbi mettono in crisi i rapporti sociali che
questi ragazzi instaurano con i loro compagni e con gli adulti, rendendoli “insopportabili”,
“pesanti” o “terribili” agli occhi di chi gli sta intorno. Abbiamo visto infatti come lo scarso
controllo pulsionale che caratterizza questi ragazzi possa essere interpretato, prendendo
spunto dalla teoria Freudiana esposta nel “disagio della civiltà”, come un attentato alle stesse
fondamenta del vivere civile, che si basa per l’appunto sulla codificazione di regole che
possano tenere sotto controllo gli istinti e gli impulsi primordiali che caratterizzano ogni
essere umano. Questo fatto rende il comportamento di questi ragazzi spesso imprevedibile e
trasgressivo, generando delle conseguenze sulle relazioni che essi possono instaurare con pari
e adulti.
A questa difficoltà nel costruire e mantenere relazioni sociali tranquille e positive si aggiunge
poi un modo di funzionamento caratterizzato da disattenzione, impulsività e difficoltà di
concentrazione, esattamente cioè, le capacità di base richieste ad un alunno per poter
affrontare tranquillamente le attività previste durante l’orario scolastico. Questo fatto induce
molti docenti a cercare la soluzione del problema non nell’inclusione di questi ragazzi nelle
attività che vengono proposte, ma nel trovare dei diversivi che permettano il “quieto vivere”
della classe, anche se di fatto provocano l’esclusione di questi ragazzi dalle attività proposte.
In questo senso l’insegnante di sostegno viene spesso visto come la soluzione ai problemi di
gestione della classe semplicemente perché viene presupposto che questi debba prendersi in
carico il “problema” anche se ciò significa uscire sistematicamente dall’aula in cui si
svolgono le lezioni, con buona pace della ragione stessa per cui la legislazione italiana
prevede l’insegnante di sostegno all’interno delle classi, ovvero l’inclusione e la piena
partecipazione di tutti alla vita scolastica.
Gli stessi insegnanti di sostegno poi spesso si concentrano esclusivamente sui comportamenti
problema lavorando di fatto ad una forma di “addestramento” del ragazzo alla vita di classe.
Ci troviamo di fronte a ragazzi che molto spesso non presentano altri tipi di deficit, per cui

45
appare riduttivo pensare di lavorare esclusivamente sul comportamento senza pensare alla
formazione del ragazzo nella sua globalità. E’ per questo motivo che l’intervento educativo
dovrebbe essere pensato come una ”educazione alla libertà” cioè un percorso di crescita che
porti l’individuo alla coscientizzazione, per usare la terminologia di Freire, cosa che dovrebbe
avere ricadute positive anche sul comportamento.
In tal senso, la musica, ed all’interno del contesto scolastico l’educazione musicale, potrebbe
diventare un veicolo molto importante ed efficace per trasmettere dei modelli di
comportamento positivi, purché ne vengano sfruttate alcune caratteristiche intrinseche che la
rendono un potente mezzo di inclusione. Nell’ultima parte di questo lavoro ho mostrato
infatti come ci siano diverse esperienze che sfruttano le potenzialità della musica
nell’affrontare disagi di natura comportamentale, con risultati positivi nel miglioramento
dell’autostima, dell’espressività e della capacità di stare in gruppo. Se queste potenzialità
dell’educazione musicale fossero messe al centro del curricolo di questa materia, la scuola
avrebbe probabilmente uno strumento in più per potenziare la propria inclusività. Bisogna
però allontanarsi dalla concezione dell’educazione musicale come abilità nell’interpretare un
brano accompagnato dalla capacità di ascoltare criticamente brani provenienti dalla tradizione
musicale occidentale colta. Se invece consideriamo l’educazione musicale come uno spazio
simbolico in cui si fa esperienza della relazione con l’altro in un modo diverso da quello che
viene utilizzato comunemente, ecco che si aprono diverse prospettive di applicazione in
generale sul miglioramento delle abilità sociali del gruppo classe ed in particolare nella
prospettiva dell’inclusione della disabilità comportamentale.
In particolare, nell’ultima parte del lavoro ho analizzato alcune caratteristiche della musica
antica (quella pre-bachiana per intenderci), che la rendono adatta ad essere utilizzata in un
contesto educativo relazionale e comportamentale.
In questo senso, come ho avuto modo di evidenziare nel corso del lavoro, l’insegnante di
sostegno con un background musicale potrebbe assumere un ruolo importante nel progettare e
coordinare attività interdisciplinari che sfruttino le potenzialità dell’educazione musicale
nell’ottica dell’inclusione.

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