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ALESSANDRO GALVAN Utopia e Metafisica: una prospettiva ********** Nei linguaggi della filosofia facile trovare vocaboli che

e un intreccio complesso di tradizioni e dottrine ha reso particolarmente ricchi di implicazioni e sfuma ture concettuali. Le parole "utopia" e "metafisica" rientrano certamente nel nov ero di quei sostantivi il cui spesso tessuto semantico non lascia indifferente c hi intenda farne uso e comportano sovente il rischio di grossolani fraintendimen ti ed equivoci qualora non vengano forniti opportuni chiarimenti sui loro possib ili significati. In questo breve intervento, cercher di specificare in quale senso intendo parlare di Utopia e Metafisica e suggerire la praticabilit teorica di una metafisica uto pica come esigenza della ragione e come indagine critica e razionale volta alla ricerca di senso entro la dimensione della finitezza, che la dimensione stessa d el pensare umano. Iniziamo dal termine "utopia". "Non ho difficolt a riconoscere che molte cose si trovano nella repubblica di Utopia, che desidererei per i nostri Stati, ma ho po ca speranza di vederle attuate"; cos si conclude l'Utopia di Tommaso Moro, pubbli cata a Lovanio nel 1516. Per la prima volta compare sulla scena intellettuale qu esto vocabolo, "utopia", che letteralmente significa "non-luogo" e indica qui il nome proprio di un'isola nella quale il narratore della vicenda, Raffaele Itlod eo, entra in contatto con costumi ed usanze di vita fortemente diverse rispetto a quelli dell'Inghilterra di Enrico VIII, in cui vive Moro. Limitiamoci ad alcune osservazioni: innanzi tutto da notare come il termine "outopia" rappresenti un'anomalia linguistica rispetto all'uso greco dell'alfa priv ativo nelle negazioni. Ci si dovrebbe attendere una "a-topia", non una "ou-topia ", in conformit con la scelta dello stesso Moro di utilizzare i vocaboli Abraxa e Anidro per indicare rispettivamente una terra su cui non piove e un fiume senz' acqua. Perch allora "ou-topia"? Moro ha forse voluto suggerirci qualcosa con la s ua scelta terminologica? Parte della critica ha sottolineato come con l'umanesim o cristiano si intreccino nelle riflessioni di Moro le suggestioni provenienti d alla lettura della Repubblica di Platone, recuperata, tradotta e diffusa largame nte a partire da met Quattrocento. Pur con le innegabili differenze che separano le teorizzazioni di Moro e Platone le parole con le quali si conclude Utopia sem brano suggerire una qualche influenza del progetto platonico inteso come ideale radicale e come paradigma puro, indipendente dalla sua concreta realizzabilit. La "poca speranza di vedere attuate" le nobili usanze del paese di Utopia rimarcat a da Moro, ricorda infatti la puntualizzazione di Platone a proposito del suo pr ogetto politico: "Di questa nostra citt l'esemplare sta forse nel cielo, e non mo lto importante che esista di fatto in qualche luogo o che mai debba esistere; a quell'esemplare deve mirare chiunque voglia in primo luogo fondarla entro di s" ( Rep. IX, 591 b). In questi termini, ou-topia (ammesso e non concesso che anche a proposito della Repubblica si possa parlare di utopia) sarebbe ci che da un lato non completament e garantito nella sua effettiva realizzabilit - utopia non programma d'azione mir ato alla concretezza del "qui ed ora" o di un futuro determinabile - ma dall'alt ro non mera impossibilit, a-topia come negazione assoluta, semplice sogno dell'im maginazione. Essa pu forse essere pensata secondo una prospettiva feconda di svil uppi come un progetto avveniristico, costantemente prematuro, un invito alla rif lessione che non prevede se e quando l'idea proposta trover applicazione, ma che si limita ad indicare la direzione della strada da percorrere. Credo che l'Utopi

a possieda questa caratteristica: di svanire nel momento in cui si realizza. Essa o sguardo gettato verso un tempo diverso dal presente o non affatto. In base a ci che sembra suggerire l'opera di Moro, l'Utopia appare dunque lontana dall'idea comune e banalizzata di "ipotesi stravagante", di "consolazione dell' animo" in mondi favolosi lontani dalla realt. L'utopista dovrebbe essere, al cont rario, un attento realista, un acuto osservatore di "come stanno le cose" per ri formare il reale secondo i dettami della ragione critica che, proprio perch criti ca e antidogmatica, non pu accontentarsi di punti di approdo definitivi ed costan temente volta a trascendersi. Questo per quanto riguarda il concetto di Utopia c ome credo debba intendersi. Per quanto concerne l'idea di Metafisica sarebbe necessario un discorso molto pi articolato, che per ovvie ragioni di spazio, qui concesso solo accennare per som mi capi. Fino a qualche tempo fa si era concordi nel considerare l'espressione "metafisic a" che intitola il trattato di Aristotele sulla cosiddetta "filosofia prima" com e una scelta editoriale del peripatetico Andronico di Rodi (I secolo a.C.), il q uale avrebbe sistemato dopo i libri aristotelici che trattavano di fisica, quell i dedicati alla scienza delle cause prime. Oggi qualcuno ha ipotizzato - riapren do la questione - che il titolo abbia origini pi antiche e risalga a Eudemo di Ro di, discepolo diretto di Aristotele. Dove sia da ricercare l'origine storica del termine "metafisica", importante sap ere che i posteri attribuirono alla particella meta non solo il significato di d opo, ma anche e soprattutto quello di sopra, al di l. La Metafisica la scienza ch e studia le cose che (per noi, non in s) vengono dopo la Fisica, cose che stanno al di l delle realt empiriche considerate nella loro fenomenicit. Metafisica scienz a delle realt immutabili, della ousia, ossia della sostanza, delle essenze atempo rali, dei principi, del fondamento ontologico. La Metafisica allora anche la reg ina delle scienze, conoscenza contemplativa che avvicina il sapere dell'uomo a q uello di Dio. Dice Aristotele di essa: "Tutte le altre scienze saranno pi utili a gli uomini, ma superiore a questa nessuna" (Metaph. A 2. 983 a 10-11). Se queste sono le caratteristiche della Metafisica, proporre oggi questa forma d i sapere come via praticabile all'interno del dibattito filosofico contemporaneo ha tutta l'aria di una scelta anacronistica e profondamente ingenua. E questo p er almeno due ragioni: 1) La prima che la complessit dell'et contemporanea, l'epoca del post-moderno come viene definita da pi parti, segna il trionfo di concetti come: differenza, nichi lismo, pluralismo, caos che sembrano sbarazzare il campo da ogni pretesa di suss umere il reale sotto un ordine razionale, sotto una logica che riconduca a princ ipi e verit incontrovertibili la molteplicit dei dati osservabili. 2) La seconda, strettamente connessa con la precedente, che la Metafisica sembra aver esaurito le sue possibilit interne, ridotta dalle critiche ai suoi metodi e alle sue pretese illegittime ad un brancolamento nel buio, al tentativo privo d i consistenza epistemologica di oltrepassare i limiti costitutivi della ragione, al "folle volo" che port l'Ulisse dantesco a rovinare in acque ignote. Quale presente e quale futuro per la metafisica? Si potrebbe affermare che la Metafisica nei secoli ha sempre fatto fronte alle c ritiche ad essa rivolte, rialzandosi rinvigorita dopo ogni colpo infertole. La c ritica sofistica, lo scetticismo antico e moderno, Guglielmo di Occam, i liberti ni e gli atei clandestini, Kant: colpi terribili e tuttavia mai decisivi al punt o da far cessare l'interesse dell'uomo per la metafisica. E tuttavia oggi il quadro maggiormente preoccupante: le critiche provenienti dal circolo di Vienna (Rudolf Carnap, nel suo Superamento della metafisica mediante l'analisi logica del linguaggio (1932) paragona i metafisici a "musicisti senza talento"), riducendo le affermazioni non-scientifiche della filosofia a pseudop roposizioni; l'oltrepassamento (berwindung che piuttosto una Verwindung, un "appr ofondimento-distorcimento" come osserva Vattimo) della metafisica di Heidegger v erso un pensare poetante; le tesi di Habermas, esposte in un testo emblematico d al titolo : Il pensiero post-metafisico, in cui vengono individuati e criticati i tratti comuni ad ogni metafisica: il tentativo di ricondurre tutte le cose all

'Uno, la riduzione dell'Essere al Pensiero, e il privilegiamento della teoria ri spetto alla prassi. La metafisica deve oggi fare i conti con tutto ci. E come dimenticare poi le parole di Nietzsche?: "Non si potrebbe dire del mondo metafisico, se non che esso un essere-Altro, a n oi inaccessibile, inafferrabile; sarebbe una cosa con propriet negative. Anche se l'esistenza di un tale mondo fosse ben dimostrata, una cosa sarebbe pur sempre certa, che la conoscenza di esso sarebbe la pi indifferente di tutte le conoscenz e: ancor pi indifferente di quanto non debba essere, per chi naviga in un mare te mpestoso, la conoscenza dell'analisi chimica dell'acqua" (Umano troppo umano)". Tutto sembra confortare la sentenza funebre che sancisce la fine della metafisic a, la quale sentenza pare oggi essere accettata acriticamente anche da coloro ch e non si occupano specificamente di filosofia. La Metafisica sembra essere affid ata solamente ai nostalgici, ai fideisti pronti ad un salto nell'oscurit del mist ero, o ai sognatori - gli utopisti della peggior specie! - che cercano improbabi li evasioni intellettuali. Mi pare tuttavia che prima di celebrare i funerali della Metafisica sia necessar io rivedere e riconsiderare alcune questioni di importanza capitale sulle quali diversi studiosi tra cui, in Italia, Enrico Berti, hanno soffermato l'attenzione . Ci si deve, cio, domandare se davvero esista qualcosa come la Metafisica occide ntale o se questa non sia una formula vuota per racchiudere sotto una facile eti chetta un intreccio estremamente complesso di tradizioni, dottrine, concetti. Og ni discorso "epocale" portato a sintetizzare omettendo o ponendo in secondo pian o le differenze, le sfumature, gli elementi irriducibili dei singoli temi presi in esame. Con ci fornisce certo un suggestivo quadro di insieme, ma lascia in omb ra necessariamente le difficolt interpretative, i dibattiti, le dispute teoriche che un'analisi puntuale dei singoli autori rivela come essenziali alla comprensi one delle loro dottrine. Si dir, a ragione, che tali puntualizzazioni non sono sufficienti a riabilitare o ggi la Metafisica come scienza. Il fatto che non si tratta di resuscitare cadave ri, n di attribuire alla Metafisica dignit scientifica nel senso pi diffuso del ter mine. Si tratta di qualcosa di pi profondo, ossia di riconoscere che la Metafisic a non mai morta e che essa si sempre conservata in forme pi o meno esplicite, com e pensiero utopico, come progetto, sempre irrealizzato, di donazione di senso al le cose. Metafisica come Weltbild, come costruzione ideale del mondo, come cifra del reale, pi che come Weltanschauung (termine che fa pensare piuttosto all'esis tenza di qualcosa di esterno da "vedere e rispecchiare"). Il mondo non lo vediam o, lo costruiamo relativamente alle possibilit che ci sono concesse. Esso l'orizz onte entro cui si esercita la nostra capacit di metaforizzare il vissuto attraver so il linguaggio. E la metafora del mondo ha infinite direzioni, tra cui la rice rca di un terreno comune sul quale giocare la partita senza fine del dialogo. Ci che comune il luogo in cui il confronto critico, aperto, non dogmatico tra pos izioni e prospettive differenti deve avvenire. la dimensione in cui ci si trova a pianificare, ribattere, ridefinire categorie interpretative, a proiettare nel futuro, in modo utopico - ma estremamente "realistico" - le istanze di cambiamen to, sociale, politico, culturale. Perch chiamare questo atteggiamento Metafisica? Per almeno due ragioni. In primo luogo perch nel termine stesso contenuta la giustificazione di tale adozione. La preposizione greca meta possiede anche un valore spesso ignorato dai critici, os sia quello di tra, in mezzo a. Platone la usa in questa accezione quando nel Fed one dice vivere in mezzo agli di. Metafisica sarebbe dunque un vocabolo che di pe r s pu indicare quel pensiero irriducibile alla scienza esatta - ma anche alle cos iddette "scienze sociali" - che vive ed opera negli interstizi di esse, non cert o per escogitare qualche sintesi totalizzante che subordini a s i risultati parzi ali delle singole discipline, ma per scavare in profondit, per rinnovare la doman da sul senso delle nostre pratiche. E in un'epoca che segna il trionfo del saper e tecnologico non si pu fare a meno di parafrasare H. Jonas, affermando che meno crediamo nella metafisica, pi ne abbiamo bisogno. La seconda ragione per cui insisto sul termine metafisica la seguente: evidente che ogni discorso che celebra la morte della metafisica intende liberare se stes so dal fardello di errori e pregiudizi che ha condizionato negativamente la trad

izione dell'Occidente. Ma se tale atteggiamento viene a coincidere con la pretes a di elevarsi al livello del pensiero puro, privo di "presupposti", sorge il sos petto di trovarsi dinanzi ad un grande abbaglio della ragione. Un pensiero non n asce mai dal nulla. Le articolazioni interne, il tessuto logico delle tesi filos ofiche non conoscono immacolate concezioni - e non solo sotto il profilo storico - ma fanno riferimento a precise "assunzioni preliminari", rispetto a precise t ematiche. Verrebbe allora da pensare che implicite visioni dell'uomo, del mondo, della verit sono sottese proprio a quelle dottrine che si ostinano a negare, glo balmente, ogni forma di metafisica. Il discorso, naturalmente, pi complesso e sfumato di come qui presentato. Ma ci che mi preme rimarcare con forza il rischio dogmatico che corre quel pensie ro che non abbia fatto i conti fino in fondo con se stesso prima di pronunciare sentenze. Inoltre, parallelamente ad una seria e legittima critica delle verit "f orti" della metafisica tradizionale, sembra oggi svilupparsi e riscuotere consen si una sorta di "indifferentismo filosofico", in base al quale - dinanzi alla cr isi delle antiche certezze e degli sguardi totalizzanti - si celebra il disimpeg no etico confinando la ricerca dell'intellettuale a settori disciplinari estrema mente ridotti e specialistici, nell'idea che la somma algebrica di tante "piccol e verit" fornisca la pi fedele immagine del mondo. In tal modo, per, si rischia di produrre soltanto quel "sapere intorno alla cultu ra" che Nietzsche contrapponeva alla cultura vera e propria, come ricerca del se nso vitale. Ora, senza proporre esortazioni, gi sentite pi volte, di un "ritorno agli antichi" , mi pare che una contingenza storica che, come afferma Koselleck, vede il "rest ringimento del campo delle esperienze e l'abbassamento dell'orizzonte delle atte se" senta pi che mai l'esigenza di studiare a fondo il proprio passato, le propri e radici storiche e culturali per orientarsi nel presente. La filosofia per molt o tempo si identificata o si strettamente legata con la metafisica. Ancora oggi ci si dovrebbe chiedere se possibile una filosofia che non sia metafisica nel se nso sopra indicato di ricerca razionale di soluzioni teoriche e pratiche alle do mande e ai bisogni di senso dell'essere umano. Metafisica come esigenza, dunque, non come disciplina o corpo di verit, ma come a ttivit della mente che non si arresta dinanzi al dominio dispotico del sapere sci entifico. Metafisica come avventura utopica, problematica, mai conclusa per prin cipio, perch l'esaurimento della ricerca il silenzio della domanda ed il silenzio della domanda la morte spirituale dell'uomo. Spero che questo discorso, molto concentrato e volutamente provocatorio rispetto ad un atteggiamento di diffuso scetticismo nei confronti della metafisica, abbi a la forza - con l'impressione della sua spericolatezza e delle prospettive utop iche tracciate nel sentiero tortuoso del dubbio - di risuonare come un invito al la ragione antidogmatica, alla critica attenta di ogni "facile" discorso epocale , allo smascheramento dell'inedia di coloro che, affascinati dai templa serena d ella ricerca specialistica e settoriale, dimenticano la forza innovativa del lib ero pensiero che si fa "progetto utopico" nella direzione della prassi. Il termi ne metafisica si potrebbe a questo punto addirittura eliminare, cos come si getta la scala che ci ha permesso di salire ad un grado di maggior consapevolezza. Ci che deve restare, a mio avviso, che lo si chiami semplicemente filosofia o ricer ca utopica, l'atteggiamento qui tratteggiato sinteticamente e che si vuole propo rre come spunto di riflessione.

Riferimenti bibliografici AA.VV., L'Utopia e le sue forme, Bologna, 1982. AA.VV., Metafisica. Il mondo nascosto, Roma-Bari, 1997. AA.VV., Neoempirismo, Torino, 1969. Aristotele, Metafisica, Milano, 1994. E. Berti, Metafisica, in AA.VV., La filosofia, a cura di P. Rossi, III, Torino, 1995.

E. Berti, Le vie della ragione, Bologna, 1988 . R. Bodei, La filosofia nel Novecento, Roma, 1997. R. Carnap, Superamento della metafisica mediante l'analisi logica del linguaggio , in J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, Bari, 1991. H. Jonas, Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Bologna, 1991. M. Moneti, Utopia, Firenze, 1997. T. Moro, Utopia, Roma-Bari, 1988. Platone, Repubblica, in Dialoghi, vol. III, Torino, 1992.

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