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Ananda K.

Coomaraswamy Buddha e la dottrina del buddhismo Luni Editrice

Titolo originale: Buddha and the Gospel of Buddhism Edizione tradotta e curata da Giuditta Sassi 1964, 1969 University Books, Inc. - U.S.A. ISBN 0-8065-1098-6 1994 Luni Editrice - Milano ISBN 88-7984-011-8

Introduzione Il maggior merito di questo libro, merito che da solo lo rende degno ancor oggi della massima attenzione anche se fu scritto nel 1916 (o forse proprio per quest o), che il suo approccio al Buddhismo, e in generale alle dottrine dell'Oriente, radicalmente diverso da quello degli orientalisti occidentali. In esso infatti Ananda K. Coomaraswamy, invece di limitarsi a prenderle in considerazione "dall' esterno" come fanno questi ultimi (che poi fatalmente le presentano deformate da l filtro delle loro idee preconcette), affronta la "storia" e la dottrina del Bu ddhismo "dal di dentro", dopo essersi sforzato, cio, di assimilarsele per come es se sono, e cercando in seguito, senza sfigurarle, di esporle in modo che siano c omprensibili da parte di chi, per nascita e per abitudini mentali acquisite, mol to lontano da esse. Questo procedimento per cos dire "organico" e certo non facile, presuppone, come si pu immaginare, una preparazione e delle predisposizioni non comuni; se si pens a, poi, che all'epoca in cui il libro fu scritto le sole pubblicazioni esistenti sul Buddhismo nell'area delle lingue europee erano quelle prodotte dall'orienta lismo "ufficiale", la considerazione per quest'opera non pu che aumentare, fino a l punto di giustificarci se diciamo che essa rappresenta probabilmente, in qualc he modo, il primo tentativo fatto nel mondo occidentale di accostare una dottrin a orientale secondo il suo spirito. Se vero che nel tempo la seguirono altre, di Coomaraswamy stesso e di altri autori, primo fra tutti Ren Gunon in Francia (con il quale Coomaraswamy collabor intensamente a partire da una certa epoca e fino a lla morte), che chiarirono e approfondirono ulteriormente alcune concezioni gene rali, anche importanti, che in essa non ricevono ancora una luce sufficiente, al tres vero che questo lavoro di conoscenza, di rettificazione di ipotesi preesiste nti e di vera e propria scoperta delle dottrine tradizionali orientali a benefic io dell'Occidente, si presentava di mole cos poderosa da non poter essere esaurit o n da un solo libro, n da un autore da solo. Bench nel corso della nostra fatica di traduzione (l'inglese di Coomaraswamy si p resenta a tratti impervio), ci abbia colto pi volte la tentazione di inserire gi i n questo volume i risultati di tali ricerche successive, cosa per attuare la qua le in alcuni casi sarebbe stato sufficiente modificare pochi termini - ma che in altri ci avrebbe condotto a pi laboriosi interventi esplicativi -, abbiamo alla fine deciso di mantenere costantemente invariata la terminologia adottata dall'a utore, e questo, principalmente per il rispetto che proviamo nei confronti di un lavoro che giudichiamo serio e decisamente coraggioso. Ci sia per permesso dare qui, una volta per tutte, alcuni avvertimenti al lettore su qualcuno dei punti di interpretazione delle dottrine orientali che in questo libro non ricevono ancora il trattamento che riserver loro lo stesso Coomaraswam y nelle sue numerosissime trattazioni successive; ci non sminuir assolutamente il valore di quest'opera, aiuter anzi coloro che abbiano gi qualche dimestichezza con

i lavori di Coomaraswamy a orizzontarsi, e in fondo non far che inserirsi in que llo sforzo per favorire la conoscenza del vero Oriente da parte degli Occidental i a cui questo autore consacr tanto tempo della sua vita. La storia della vita del Buddha e i numerosi frammenti di "leggende" che, dando vita e profumo a questo libro, rendono ragione della dottrina buddhistica atting endo alle sue fonti meno conosciute, mostrano come il Buddhismo parta dalla cons tatazione che tutto ci che esiste, se ci si limita a considerarlo nelle sue appar enze esteriori, intaccato dall'illusione, la quale si manifesta agli uomini sott o le caratteristiche della transitoriet del mondo, e come l'unica soluzione per s fuggire a questo stato di cose, la cui constatazione la causa del dolore, sia di prendere prima di tutto chiara coscienza di tale illusoriet e di ricercare poi, sotto di essa, e al di l di essa, quel che immutabile, e costituisce la vera "rad ice" delle cose. Raggiungere questa "radice", la quale non pu non esserci, perch p resupporre una simile assenza equivarrebbe a negare la realt dell'universo, costi tuisce la Liberazione e fa una sola cosa con la realizzazione dell'essere, obiet tivo di pura conoscenza. Questo obiettivo, che di ordine universale e trascende ogni limitazione, non va confuso con la salvezza, "termine tecnico" che nelle re ligioni ha per significato la conservazione delle limitazioni, o almeno di alcun e di esse, costituenti propriamente l'individualit umana, stato ancora transeunte dell'essere. Del resto, in generale, le religioni assumono che la salvezza, fru tto delle opere, sia uno scopo che ci si rende conto di aver raggiunto o no solo dopo la morte, o scioglimento del composto umano, mentre la Liberazione (o Nibb ana secondo la terminologia buddhistica), proprio perch di natura conoscitiva, o puramente intellettuale, si pu ottenere "qui e ora", cosa che del resto Coomarasw amy fa notare ripetutamente anche in questo libro. Come si pu dedurre da quanto abbiamo detto, si tratta di due fini di natura profo ndamente diversa, non foss'altro che per i domini differenti in cui si situano, l'universale l'uno, l'individuale l'altro; l'Occidente moderno, dal quale scompa rsa la vera metafisica, non conosce (molto spesso neanche riconosce) la possibil it del primo ordine, e quando si trova in presenza di espressioni di questa possi bilit non pu far altro che riportarle, abbassandole di livello, a quanto gli noto, che corrisponde solo alle possibilit del secondo ordine. Questo spiega, in modo indubbiamente troppo schematico, ma tuttavia sufficientemente approssimato alla realt, perch sia della pi grande importanza per la comprensione corretta delle dott rine orientali, distinguere anche tra esse e lo stesso "misticismo" di cui sono restate tracce in Occidente, "misticismo" che si situa, quantunque a un rango in dubbiamente elevato, ancora all'interno delle possibilit individuali. Anche se si riscontrano talvolta rassomiglianze di terminologia nelle espressioni scritte d elle dottrine dei due tipi, le realt a cui fatto riferimento sono diverse, e il n on tenerne conto non pu che provocare le confusioni pi incresciose. Ci deve aver presente il lettore del libro, ma questo non gli impedir certo di app rezzare nel suo pieno valore tutto quel che di positivo, ed molto, esso contiene . Ci non gli impedir di apprezzare, ad esempio, il fatto che A. K. Coomaraswamy ha con esso sfatato, per la prima volta in Occidente, l'idea falsa che il Buddhism o sia "pessimistico"; o, cosa di un'importanza ancora pi rilevante, il fatto che vi abbia sostenuto l'assenza di una reale opposizione tra il Buddhismo ortodosso e l'Induismo, tradizione dalla quale il primo ha in fondo tratto le sue origini : le delucidazioni dottrinali, di cui ricca l'opera, mostrano come l'autore foss e gi ben cosciente (e questo un altro - e non il minore - dei suoi meriti) che le espressioni formali specifiche del Buddhismo sono soltanto un veicolo diverso p er quelle verit immutabili che costituiscono l'essenza di ogni dottrina realmente tradizionale. Sugli sviluppi a cui diede luogo il Buddhismo originario, vale a dire su quelle sue ramificazioni o scuole diverse che nel loro insieme possono raggrupparsi nel le due grandi divisioni che portano il nome di Mahayana (la "Grande Via") e di H inayana (la "Piccola Via"), Coomaraswamy, al momento in cui scrisse questo libro , pare non avesse ancora ragione per non associarsi all'interpretazione degli or ientalisti. Diamo qui, a integrazione di quel che egli dice sull'argomento, il p arere che poco pi tardi espresse Ren Gunon nella sua prima opera: "Si pu dire che so lo il Mahayana rappresenta davvero una dottrina completa, incluso l'aspetto prop

riamente metafisico che ne costituisce la parte superiore e centrale; lo Hinayan a invece sembra una dottrina in qualche modo ridotta al suo aspetto pi esterno e che non va oltre quanto comprensibile alla maggioranza degli uomini...". Prefazione dell'autore Con questo libro abbiamo voluto esporre, appoggiandoci sulle scritture buddhisti che, i fondamenti dottrinali del Buddhismo nel modo pi semplice possibile, e mett ere i sistemi buddhistici in relazione, da un lato, con i sistemi brahmanici da cui traggono origine, e, dall'altro, con quelli tra i sistemi del misticismo cri stiano che presentano con essi le analogie pi strette. Contemporaneamente, abbiam o cercato di illustrare il ruolo che il pensiero buddhista ha avuto nello svilup po complessivo della cultura asiatica, e di far intravedere, almeno in parte, l' importanza che pu ancora presentare per i pensatori moderni. Certo la via del Buddha non si occupa direttamente dell'ordine del mondo, giacch invita gli uomini superiori ad abbandonarne piuttosto la scena. Sennonch l'ordine del mondo pu essere stabilito solo su un fondamento di conoscenza: qualsiasi mal e , in ultima istanza, riconducibile all'ignoranza. Per cui necessario riconoscer e il mondo per quello che esso realmente . Gautama ci insegna che le caratteristi che di questa vita sono l'imperfezione, la transitoriet, l'assenza di immutabilit in ci che solo individuale. Egli ci propone un summum bonum che strettamente lega to con la concezione mistica cristiana del "disprezzo di s". Siamo in presenza di affermazioni ben definite che possono essere o vere, o false, e di un altrettan to ben definito obiettivo, che possiamo anch'esso o accettare, o rifiutare. Se l e affermazioni sono false e l'obiettivo indegno d'attenzione, sarebbe lo stesso della pi grande importanza che le prime siano refutate e il secondo provato tale. Se poi la diagnosi corretta e lo scopo valido, varrebbe comunque la pena che ci sia riconosciuto erga omnes. Non possiamo desiderare, infatti, che venga perpetu ata, quale fondamento della nostra socialit, una concezione della vita dimostrabi lmente falsa, o uno scopo dimostrabilmente contrario al nostro concetto di bene. Questo libro perci da intendersi, non come un'ulteriore aggiunta alle nostre gi so vraccariche biblioteche di informazioni, ma come un contributo caratterizzato al la filosofia di vita. Lo studio dei modi di pensare e di sentire degli altri, pe rch possa servirci realmente a qualcosa, dev'essere provocato da ben altro che da lla curiosit o dal desiderio di trovare giustificazioni per il nostro proprio sis tema. Perch la civilt del mondo sia una civilt comune, necessitiamo di una comune v olont, vale a dire del riconoscimento dei problemi che ci sono comuni, e della co llaborazione di tutti per risolverli. In un'epoca come la nostra, in cui il mond o occidentale sta incominciando a rendersi conto di aver fallito nel suo tentati vo di cogliere il frutto della vita attraverso una societ fondata sulla concorren za e sull'autoaffermazione, c' un profondo significato nella scoperta del pensier o asiatico, pensiero in cui si afferma con non flebile voce che il frutto della vita pu essere colto soltanto in una societ fondata su concezioni di ordine morale e di responsabilit reciproca. Mi si permetta di illustrare con un'unica citazion e il meraviglioso realismo e la sincerit di quell'etica sociale alla quale la psi cologia del Buddhismo concede il suo assenso: la vittoria genera l'odio, perch il vinto infelice. Sono molti i racconti di sovrani asiatici disposti a pagare il prezzo del propri o regno per una sola parola di consiglio utile. Ci si potrebbe chiedere con molt a ragione se l'Europa, prima di arrivare al punto in cui , non avrebbe avuto inte resse a non considerare nessun prezzo troppo alto per un riconoscimento generali zzato di questa verit. C' un altro passo, dallo Jataka del cervo Ruru, che probabi lmente unico in tutta la letteratura per la sua sublime tenerezza e cortesia: Gi acch, chi - chiede il Bodhisattva - si servirebbe a cuor leggero di un linguaggio duro verso coloro che han commesso una colpa, spargendo il sale, se cos si pu dir e, sopra la ferita del loro errore? con doni come questo che il Buddhismo, e l'Induismo da cui esso uscito e nel qua le si riimmerso, si ergono contro il mondo del permissivismo, richiedendo ai lor o seguaci soltanto l'abbandono di ogni risentimento, cupidigia, e ottusit; ed off

rendo in cambio una felicit e una pace che sono al di l di ogni nostra razionale c omprensione. Possiamo forse negare che modi di pensiero che sanno trovare simile espressione suscitano la nostra simpatia pi profonda e il nostro pi intenso inter esse? Non possibile che l'affrancamento dal risentimento, dalla cupidigia e ottu sit siano sempre fuori tempo: ed proprio su questa liberazione che costruito l'as petto etico del Nibbana, l'aspetto psicologico del quale l'oblio di s. Si vedr chiaramente fino a che punto sono indebitato con il lavoro di altri erudi ti e studiosi, e qui desidero esprimere un franco e riconoscente ringraziamento a tutti coloro dai cui lavori ho attinto citazioni, in particolare al Professore e alla Signora Rhys Davids e al Professor Oldenberg. Alcuni suggerimenti saranno utili come guida alla pronuncia. Le vocali in genera le si pronunciano come in italiano. Ogni consonante pronunciata distintamente, e le aspirate si fanno sentire chiaramente. C ha il suono dolce, mentre s in alcu ni casi ha il suono di sh, come in Siva, Isvara, Sankara, ecc. L'accento cade su lla prima sillaba o sulla terza, raramente o mai sulla seconda. Certe parole, co me kamma, Nibbana, Bodhisatta, ecc., sono riportate in queste forme pali quando si tratta di Buddhismo Hinayana, e nelle pi familiari forme sanscrite, come karma , Nirvana, Bodhisattva, quando si fa riferimento al Mahayana. A. Coomaraswamy I will go down to self-annihilation and eternal death lest the Last Judgment com e and find me unannihilate, and I be seiz'd and giv'n into the hands of my own S elfhood. Scender fino alla negazione di me e alla morte eterna, per tema che il Giudizio F inale, giungendo, mi trovi non ancora annullato, e io sia afferrato e riconsegna to nelle mani della mia Individualit. Blake, "Milton" Ma, ohim, quant' duro per la Volont immergersi nel nulla, nulla attrarre, nulla imm aginare. Che cos sia, siatene certi. Ma non ne vale forse la pena, pi di qualsiasi altra cosa si possa fare? Boehme, "Dialoghi" Not I, not any one else can travel that road for you. You must travel it for yourself N io, n nessun altro possiamo percorrere questa strada per te. Devi percorrerla da te stesso. Walt Whitman Non metterai mai i piedi nella stessa acqua, giacch nuove acque ti si rovesciano continuamente addosso. Eraclito Vraiement comencent amours en ioye et fynissent en dolours. Invero, cominciano gli amori in gioia e in dolore finiscono. Merlino Per uomo senza passioni intendo chi non lascia che bene e male commuovano la sua bilancia interna, ma si accomoda piuttosto a qualsiasi cosa accada, in modo nat urale, e nulla aggiunge alla somma della sua mortalit. Chuang-tzu Profonda, o Vaccha, questa dottrina, recondita e difficile da capire; buona, ecc ellente, e non afferrabile con il semplice ragionamento, sottile e solo intellig ibile ai Saggi. Ed una dottrina ardua da assimilare per te, che appartieni a un altro gruppo umano, che sei di un'altra fede, che hai altre idee e un'altra disc

iplina, e siedi ai piedi di un altro Maestro. Majjhima Nikaya, "Sutta 72"

Parte prima - La vita del Buddha La sua nascita Il nome Buddha, "il Conoscitore", "l'Illuminato", "il Risvegliato" l'appellativo con il quale il monaco errante e predicatore Gautama divenne pi noto ai suoi dis cepoli. Su quest'uomo possiamo dire con una certa sicurezza che nacque nell'anno 563 a.C. e mor nel 483 a.C. Era l'erede di una casa regnante dei Sakya, il cui p iccolo regno, una ricca pianura irrigata tra le colline nepalesi ed il fiume Rap ti, si trovava a Nord-Est dell'attuale provincia di Oudh. A Sud-Ovest era situat o il pi esteso e pi potente regno dei Kosala, ai quali i Sakya dovevano un'obbedie nza nominale. Il nome proprio del Buddha era Siddhattha, il suo nome di famiglia Gautama, il nome di suo padre Suddhodana e quello di sua madre Maya. solo in un a leggenda posteriore che Suddhodana viene rappresentato come un grande re; molt o pi verosimilmente era invece un ricco vassallo e possidente terriero. La madre di Siddhattha mor sette giorni dopo la sua nascita, e sua sorella Mahajapati, un' altra moglie di Suddhodana, prese il posto della madre per il giovane principe. Fu allevato a Kapilavatthu, un'attiva capitale di provincia; apprese le arti mar ziali, l'equitazione, la vita all'aria aperta in generale, e tutte le discipline cavalleresche, ma nei primi libri non menzionato che fosse istruito nella dottr ina brahmanica. In accordo con l'uso dei giovani benestanti, abitava in tre dive rse case in inverno, estate, e nella stagione piovosa; queste case erano provvis te di parchi ben curati e di una buona quantit di comodi lussi. E documentato che si spos, ed ebbe un figlio, di nome Rahula, che in seguito divenne suo discepolo . Siddhattha risentiva dell'inquietudine intellettuale e spirituale della sua ep oca, ed avvertiva una crescente insoddisfazione per il mondo di piaceri in cui s i muoveva, un'insoddisfazione che traeva origine dalla constatazione della sua t ransitoriet ed incertezza, e dalla dipendenza dell'uomo da tutti gli inconvenient i della mortale condizione umana. Suddhodana temeva che questi pensieri avrebber o portato alla perdita di suo figlio, che sarebbe diventato un eremita, com'era la tendenza dei pensatori dell'epoca; questi timori erano effettivamente ben fon dati, poich a dispetto di tutti i piaceri e lussi che si poterono escogitare per trattenerlo, Siddhattha alla fine lasci la sua casa per adottare la "vita senza f issa dimora" del "pellegrino", come cercatore di quella verit che sarebbe servita a liberare tutti gli uomini dalla schiavit della mortalit. Egli trov questa illumi nazione dopo anni di ricerca. Dopo di che, durante un lungo ministero come predi catore errante, insegn le Quattro Verit degli Ariya e l'Ottuplice Via; attirando m olti discepoli, fond un ordine monastico come rifugio per gli uomini superiori, i cercatori della libert eterna e della pace immutabile. Mor a ottant'anni. Dopo la sua morte i suoi discepoli riunirono le "Parole dell'illuminato" e da questo nu cleo si svilupp, nel corso di pochi secoli, l'intero corpo del Canone pali, e fin almente, con un'elaborazione appena differente, l'intero corpo dei Mahayana Sutr a. Che gran parte della storia rappresenti fatti reali non solo ben possibile, m a estremamente probabile; perch in ci non c' nulla che non sia in perfetto accordo con la vita di quell'epoca e con il naturale sviluppo del pensiero indiano. Sapp iamo, per esempio, che molti gruppi di asceti erranti erano impegnati nella stes sa ricerca e che erano in gran parte reclutati in un'aristocrazia intellettuale e sociale per la quale le pretese dei sacerdoti brahmanici non erano pi accettabi li e che non aveva minore ostilit nei confronti dei molteplici culti di animismo popolare. Siamo a conoscenza del nome di almeno un altro principe asceta, Vardhamana, un c ontemporaneo del Buddha, e fondatore del sistema monastico dei Jaina.

Il Buddha leggendario Ma mentre facile estrarre dai libri buddhistici un nucleo di fatti come quello s opra delineato, il materiale per una biografia pi circostanziata del Buddha, tenu to conto della sua vastit, non pu essere interpretato come storico nel senso scien tifico del termine. Comunque sia, molto pi importante della cronaca dei fatti l'e spressione di tutto ci che tali fatti, cos come furono capiti, significarono per c oloro per i quali costituirono un'ispirazione vivente; ed proprio questa espress ione di ci che la vita del Buddha signific per i Buddhisti - o Baudhha, come sono pi propriamente chiamati i seguaci di Gautama -, che troviamo nelle vite leggenda rie, quali il Lalitavistara, con cui i lettori occidentali hanno pi familiarit per averlo gi trovato nel libro Light of Asia, di Sir Edwin Arnold. Per la qual cosa , riporteremo qui la vita del Buddha, in modo abbastanza dettagliato, desumendol a dalle varie fonti indicate [Principalmente il Nidanakatha (Introduzione al Pal i Jataka), il Maha Parinibbana Sutta, e il Lalitavistara], senza tener conto del fatto che esse presuppongono uno sviluppo dottrinale che pu aver avuto luogo sol o dopo la morte del Buddha; e questo perch gli elementi miracolosi e mitologici s ono sempre molto trasparenti e artistici. La storia del Buddha incomincia con la risoluzione del Brahmano Sumedha, molto tempo prima, di diventare un Buddha in qualche cielo futuro di manifestazione, in modo da diffondere intorno a s la veri t salvatrice e di essere d'aiuto per l'umanit sofferente. Or sono innumerevoli epo che, questo Sumedha, ritiratosi un giorno nella stanza pi elevata della sua casa, sedutosi ritualmente, si concentr fermamente sul pensiero: "Sono soggetto alla nascita, alla decadenza, alla malattia, alla morte; giusto, allora, che mi sforzi per conquistare il gran Nibbana immortale, che tranquillo, e libero da morte e decadenza, malattia, tristezza e felicit. Sicuramente ci dev 'essere una via che porta al Nibbana e che libera l'uomo dall'esistenza". Conseguentemente, don tutta la sua ricchezza e adott la vita di eremita nella fore sta. A quel tempo Dipankara Buddha apparve nel mondo, e raggiunse l'illuminazion e. Avvenne che un giorno Dipankara Buddha passasse da quelle parti, con uomini c he gli spianavano la strada. Sumedha chiese ed ottenne il permesso di unirsi al lavoro, ma non esegu solo quello. Quando Dipankara arriv, Sumedha si distese nel f ango, in modo che il Buddha potesse camminare sul suo corpo senza inzaccherarsi i piedi. Allora l'attenzione di Dipankara si rivolse a lui ed egli si rese conto dell'intenzione di Sumedha di divenire un Buddha, e, guardando nel futuro, attr averso innumerevoli anni, vide che sarebbe divenuto un Buddha con il nome di Gau tama, e gli predisse l'avvenire di conseguenza. Allora Sumedha si rallegr, e, res pingendo l'immediata prospettiva di divenire un Arahat, come discepolo di Dipank ara, si disse: "Meglio che io, come Dipankara, dopo essermi elevato alla suprema conoscenza del la verit, renda tutti gli uomini capaci di salire sul vascello della verit, e gli possa in tal modo far attraversare il Mare dell'Esistenza; e solo allora possa i o stesso realizzare il Nibbana". L'incarnazione del Buddha Quando Dipankara con tutti i suoi seguaci fu passato, Sumedha esamin le dieci per fezioni indispensabili per raggiungere lo stato di Buddha e decise di praticarle nelle sue future vite. Cos avvenne, finch nell'ultima di queste vite il Bodhisatt a rinacque come Principe Vessantara, che esib la perfezione della generosit sopran naturale, e al tempo dovuto trapass e dimor nel Cielo dei Piaceri. Quando per il B odhisatta fu giunto il tempo di ritornare sulla terra per l'ultima volta, le div init dei diecimila sistemi universali si riunirono, e, avvicinando il Bodhisatta nel Cielo dei Piaceri, dissero: "Ora giunto il momento, o Beato, per il tuo raggiungimento dello stato di Buddha ; adesso il tempo, o Beato, arrivato!" Allora il Bodhisatta consider il tempo, il continente, il distretto, la trib, e la madre, e, avendoli determinati, assent, dicendo: "O Beati, giunto il tempo per me, di divenire un Buddha".

Ed anche se stava passeggiando nel Boschetto della Contentezza, lo lasci volentie ri, e fu concepito nel ventre della signora Maha Maya. Le modalit della sua conce zione sono spiegate come segue. All'epoca della festa di mezza estate a Kapilava tthu, Maha Maya, la moglie di Suddhodana, si coric nel suo letto e fece un sogno. Sogn che i quattro guardiani dei punti cardinali la sollevavano e la trasportava no sull'Himalaya, dove la immersero nel lago Anotatta, e quindi ella giacque a r iposare su un giaciglio celeste all'interno di una dimora aurea sulla Collina d' Argento. Allora il Bodhisatta, che si era trasformato in un bell'elefante bianco , e teneva nella proboscide un fiore di loto bianco, si avvicin dal Nord e sembr t occare il suo fianco destro e penetrare nel suo ventre. Il giorno seguente, quan do si svegli, la donna raccont il sogno al suo signore, ed esso fu interpretato da i Brahmani nel modo seguente: che la signora aveva concepito un figlio d'uomo ch e, se avesse adottato la vita del padre di famiglia, sarebbe divenuto un monarca universale; ma se avesse adottato la vita religiosa sarebbe divenuto un Buddha, che avrebbe rimosso dal mondo i veli dell'ignoranza e del peccato. Si dice anch e che nel momento dell'incarnazione i cieli e la terra mostrarono segni, i muti parlarono, gli zoppi camminarono, tutti gli uomini cominciarono a parlare gentil mente, gli strumenti musicali suonarono da soli, la terra si ricopr di fiori di l oto, che scendevano dal cielo, e tutti gli alberi fiorirono. Dal momento dell'in carnazione in poi, per di pi, quattro angeli sorvegliarono il Bodhisatta e sua ma dre, per preservarli da ogni male. La madre non si sentiva affaticata, e poteva percepire il bambino nel suo ventre con la stessa chiarezza con cui si pu vedere il filo in una gemma trasparente. La signora Maha Maya port cos il Bodhisatta per dieci mesi lunari; alla fine di quel tempo, espresse il desiderio di andare a tr ovare la sua famiglia a Devadaha; e intraprese il viaggio. Sulla strada tra Kapi lavatthu e Devadaha c'era un bosco di alberi sal che apparteneva ad entrambe le citt, e che al tempo del viaggio della regina era pieno di frutti e fiori. In que l luogo la regina ebbe il desiderio di riposare, fu portata presso il pi grande d egli alberi sal, e si ferm sotto di esso. Come alz una mano per afferrare uno dei suoi rami le vennero le doglie e cos, in piedi e tenendo il ramo, partor. Quattro angeli di Brahma ricevettero il bambino in una rete d'oro, e lo mostrarono alla madre, dicendo: "Rallegrati, o Signora! Ti nato un grande figlio". Il bimbo si mise in piedi, fece sette passi, e grid: "Sono supremo nel mondo. Questa la mia ultima nascita: in seguito non ci saranno pi nascite per me!" Contemporaneamente vennero alla luce i sette "connati", [o "nati nello stesso te mpo"] cio, la madre di Rahula; Ananda, il discepolo favorito; Channa, il servitor e; Kanthaka, il cavallo; Kaludayi, il ministro; il grande albero Bodhi; e i vasi del Tesoro. Kala Devala Quando il Bodhisatta nacque ci fu grande gioia nel Cielo delle Trentatr Divinit. A quel tempo anche un certo eremita di nome Kala Devala, un Adepto, concentrato i n samadhi, visit il Cielo dei Trentatr, e vedendo i rallegramenti ne conobbe la ca usa. Torn immediatamente sulla terra, e si diresse al palazzo, chiedendo di veder e il neonato. Il principe fu condotto a salutare il grande Adepto, che si alz dal suo sedile e river il bambino, dicendo: "Non posso certo provocare la mia distruzione"; perch se il bimbo si fosse inchin ato ai suoi piedi, la testa dell'eremita si sarebbe aperta in due davanti ad un fatto cos contrario all'ordine naturale. Allora l'Adepto proiett la sua visione av anti e indietro di quaranta periodi cosmici, e percep che il bambino sarebbe dive nuto un Buddha nella sua nascita presente; ma vide anche che lui stesso sarebbe morto prima che avvenisse la grande illuminazione e sarebbe rinato nel Cielo Inf ormale; sarebbero dovuti apparire un centinaio o forse anche un migliaio di Budd ha prima che trovasse l'opportunit di divenire il discepolo di uno di loro; veden do questo, pianse. Chiam, comunque, suo nipote, che era un padre di famiglia, e g li consigli di diventare eremita, perch dopo trentacinque anni avrebbe ricevuto l'

insegnamento del Buddha; questo stesso nipote, di nome Nalaka, in seguito entr ne ll'ordine e divenne un Arahat. Il quinto giorno vennero eseguite le cerimonie del nome, e il bambino fu chiamat o Siddhattha (Siddhartha). In questa occasione tra i Brahmani erano presenti ott o indovini; e di questi, sette predissero che il bambino sarebbe divenuto un mon arca universale o un Buddha; ma l'ottavo, di nome Kondanna, predisse che sarebbe sicuramente divenuto un Buddha. Questo stesso Kondanna in seguito fu uno dei ci nque primi discepoli del Buddha. Poi il padre del principe chiese: "Cosa vedr mio figlio, che gli causer l'abbandono della vita di padre di famiglia? " "I quattro segni", fu la risposta, "un uomo consumato dalla vecchiaia, un uomo m alato, un cadavere e un eremita". Allora il re decise che questi segni non sarebbero mai stati visti da suo figlio , perch non desiderava che divenisse un Buddha, ma che governasse il mondo intero ; e istitu un innumerevole e magnifico corpo di guardia e un seguito per protegge re suo figlio da tali segni illuminanti, e per occupare la sua mente con i piace ri mondani. Sette giorni dopo la nascita del bambino la signora Maha Maya mor, rinascendo nel Cielo delle Trentatr Divinit, e Siddhattha fu affidato alla sua zia e matrigna, l a Madre di famiglia Gautami. Allora avvenne un altro miracolo, in occasione dell a festa dell'aratura. Mentre il re inaugurava i lavori di aratura con le sue pro prie mani, e le servitrici preparavano il cibo, il Bodhisatta prese posto sotto a un albero jambu, e, a gambe incrociate come uno Yogi, si immerse nel primo gra do di contemplazione; e bench il tempo passasse, l'ombra dell'albero non si mosse . Quando il re scorse questo miracolo, si prostern davanti al bambino gridando: "Questo, o mio caro, il secondo omaggio che ti viene offerto!" Quando il Bodhisatta crebbe, suo padre gli fece costruire tre palazzi, rispettiv amente di nove, cinque e sette piani, dove risiedeva a seconda delle stagioni. I l Bodhisatta vi viveva circondato da ogni lusso, e migliaia di danzatrici erano addette al suo servizio e al suo divertimento. Condotto a studiare dagli insegna nti di scrittura e di altre discipline, ben presto li sorpass tutti, ed eccelse i n tutte le arti marziali. Le nozze del principe Quando ebbe sedici anni, il re cerc una moglie per suo figlio, perch sperava di at taccarlo ancora maggiormente alla vita mondana con i legami familiari. Il princi pe aveva gi provato il desiderio di diventare eremita. Ma, come dicono i libri, p er conformarsi al comportamento dei precedenti Bodhisatta, acconsent a sposarsi, purch fosse stato possibile trovare una ragazza di maniere perfette, assolutament e sincera, modesta, congeniale al suo temperamento, e di nascita pura ed onorevo le, giovane e bella, ma non fiera della sua bellezza, caritatevole, soddisfatta nell'abnegazione, e dolce come una sorella o una madre, senza desiderio di music a, profumi, feste o vino, pura nel pensiero, nella parola e nei fatti, l'ultima ad andare a letto e la prima ad alzarsi nella casa dove avrebbe abitato. Brahman i furono mandati dappertutto a cercare una tale fanciulla nelle famiglie Sakya. Alla fine la scelta cadde sulla cugina di Siddhattha, Yasodhara, figlia di Supra buddha di Kapilavatthu. E il re escogit un piano per incatenare il cuore del giov ane. Fece preparare una collezione di splendidi gioielli, che Siddhattha avrebbe distribuito tra le fanciulle Sakya. Cos avvenne; ma quando tutti i gioielli eran o gi stati assegnati, Yasodhara arriv in ritardo, e non c'era pi niente per lei. Pe nsando di essere disprezzata, chiese se non ci fosse pi nessun regalo per lei. Si ddhattha rispose che non era stata sua intenzione disprezzarla, e mand a prendere altri anelli e braccialetti che le diede. Ella disse: "Mi si addice accettare regali simili?" Egli rispose: "Appartengono a me, e sono io che te li do". Cos lei se ne and. Allora le spie di Suddhodana riferirono che Siddhattha aveva po

sato i suoi occhi solo su Yasodhara, ed era entrato in conversazione con lei. Ve nne inviato a Suprabuddha un messaggio per chiedere la mano di sua figlia. Egli rispose che le figlie della famiglia si davano solo a coloro che eccellevano nel le varie discipline e nelle arti marziali, e "poteva essere questo il caso di un o la cui intera vita era stata trascorsa nel lusso di un palazzo?" Suddhodana si rammaric che suo figlio fosse considerato indolente e debole. Il Bo dhisatta intu il suo stato d'animo e gliene chiese la causa; essendone stato info rmato, rassicur suo padre, e gli consigli di proclamare un torneo di arti marziali , a cui fossero invitati tutti i giovani Sakya. Cos fu fatto. Il Bodhisatta si di mostr superiore a tutti, primo nelle scienze della letteratura e dei numeri, poi nella lotta e nel tiro all'arco, e in ognuna della sessantaquattro arti e scienz e. Quando Siddhattha ebbe cos mostrato il suo valore, Suprabuddha port sua figlia per offrirla al principe, e il matrimonio fu celebrato con tutti i fasti. Tra i Sakya sconfitti vi erano due cugini del Buddha; uno, Ananda, che divenne poi il discepolo favorito; e l'altro, Devadatta, le cui crescenti invidia e gelosia lo resero per tutta la vita nemico del vincitore. I quattro segni Il Bodhisatta non mai completamente dimentico della sua alta missione. Naturalme nte era necessario che gli fosse ricordato il momento che si avvicinava; e a que sto fine i Buddha cosmici facevano udire a Siddhattha, anche mentre sedeva ad as coltare il canto delle danzatrici, il messaggio: "Ricorda il tuo voto, di salvare tutte le cose viventi: l'ora vicina. Solo quest o lo scopo della tua nascita". Ed cos che, mentre il Bodhisatta sedeva nei suoi bei palazzi giorno dopo giorno, circondato da tutti i piaceri fisici cd intellettuali che potevano essere escogi tati dall'amore e dall'arte, avvertiva un sempre pi insistente richiamo al compim ento del suo destino spirituale. Ed allora che dovevano essergli rivelati i quat tro segni che sarebbero stati la causa immediata della Grande Rinuncia. Un giorn o il Bodhisatta ebbe desiderio di visitare i giardini reali. Suo padre stabil il giorno e diede ordine che la citt fosse spazzata e adornata, che ogni spettacolo spiacevole fosse eliminato, e non fosse permesso di apparire in pubblico a chi n on fosse giovane e bello. Venne il giorno, ed il principe avanz sul carro con l'a uriga Channa. Ma i Deva ( Le divinit olimpiche, capeggiate da Sakka, che risiede nel Cielo dei Trentatr: in generale, poteri spirituali, divinit.) non possono esse re dirottati dai loro scopi: uno di loro assunse la forma di un vecchio decrepit o e si mise in mezzo alla strada. "Che genere di uomo questo?" chiese il principe, e Channa rispose: "Sire, un uomo anziano, reso curvo dagli anni". "Tutti gli uomini, allora", domand il principe, "o solo questo, sono soggetti all 'invecchiamento?" L'auriga pot solamente rispondere che la giovinezza deve cedere il posto alla vec chiaia in ogni essere vivente. "Infamia, allora, alla vita!" disse il principe, "Poich la decadenza di ogni cosa vivente nota!" e torn al suo palazzo immerso nella tristezza. Quando tutto ci che era avvenuto fu riportato al re, questi esclam: "Questa la mia rovina!" e programm sempre pi numerosi divertimenti, musica e gioch i, calcolati per distrarre la mente di Siddhattha dal pensiero di abbandonare il mondo. Il principe usc nuovamente per visitare i giardini di Kapilavatthu e sulla strada incontrarono un uomo malato, magro, debole e consumato dalla febbre. Quando il significato di questo spettacolo gli fu reso chiaro dall'auriga, il Bodhisatta e sclam nuovamente: "Se la salute fragile come la sostanza di un sogno, chi pu trarre piacere dalla g ioia e dai divertimenti?" Il carro fu girato, ed egli torn al palazzo. Una terza volta il principe usc, ed allora incontrarono un defunto seguto da gente dolente che piangeva e si strappava i capelli:

"Perch quest'uomo giace in una bara?" domand il principe, "E perch quegli altri pia ngono e si battono il petto?" "Sire", rispose l'auriga, "egli morto, e non potr mai pi rivedere suo padre, sua m adre, i suoi figli o la casa: partito per un altro mondo". "Sia maledetta questa giovent che distrutta dall'et", esclam il principe, "e sia m aledetta la salute che distrutta da innumerevoli malattie! Sia maledetta la vita che finisce cos in fretta! Vorrei che la malattia, la vecchiaia, e la morte foss ero incatenate per sempre! Torna indietro, che io possa cercare un mezzo di libe razione". Quando il Bodhisatta usc per l'ultima volta, incontr un eremita, un monaco mendica nte. Questo Bhikkhu era padrone di s, sereno, dignitoso, controllato, con gli occ hi bassi, vestito con l'abito religioso, e teneva una scodella da mendicante. "Chi quest'uomo dall'indole cos calma?" chiese il principe, "Vestito di stracci f ulvi, e di portamento cos dignitoso?" "Sire", disse l'auriga, " un Bhikkhu, un religioso, che ha abbandonato ogni ansie t e che conduce una vita di austerit, vive senza passioni e invidia, e mendica il suo cibo giornaliero". Il Bodhisatta rispose: " una buona cosa, e mi fa desiderare lo stesso genere di vita: farsi monaco sempr e stato apprezzato dai Saggi, e questo sar il mio rifugio, il rifugio degli altri e produrr il frutto della vita, e dell'immortalit". Il Bodhisatta torn nuovamente al suo palazzo. Quando tutte queste cose furono rip ortate a Suddhodhana, questi fece circondare il palazzo del principe da una trip lice cinta, raddoppi le guardie, e comand alle donne del palazzo di esercitare tut to il loro fascino, e di distrarre i pensieri del principe con la musica e i pia ceri. Si ag di conseguenza. Ma Yasodhara fu agitata da sogni portentosi: sogn che la terra era devastata da tempeste, si vide nuda e mutilata, i suoi bei gioielli spezzati, il sole, la luna e le stelle cadevano dal cielo e il monte Meru affon dava in un profondo abisso. Quando raccont questi sogni al Bodhisatta, egli rispo se con tono gentile: "Non devi aver paura. solo ai buoni e ai degni che arrivano simili sogni, mai ai vili. Rallegrati! Poich il significato di tutti questi sogni che la schiavit dell a mortalit sar vinta, i veli dell'ignoranza saranno squarciati, perch io ho interam ente abbracciato la via della saggezza e chiunque ha fede in me sar salvato dai t re mali, senza eccezione". La grande rinuncia Il Bodhisatta riflett che non avrebbe dovuto partire come pellegrino senza inform arne suo padre; allora, quando vide il re la sera, gli disse: "Sire, vicino il tempo della mia partenza, non impedirmelo, ma permettimi di and are". Gli occhi del re si riempirono di lacrime, mentre rispondeva: "Cosa occorre per farti mutare proposito? Dimmi qualsiasi cosa desideri e sar tua , sia pure me stesso, il palazzo, o il regno". Il Bodhisatta rispose: "Sire, io desidero quattro cose, e ti prego di concedermele: la prima, di rimane re sempre in possesso del fresco colore della giovinezza; la seconda, che la mal attia non possa mai attaccarmi; la terza, che la mia vita non abbia termine; l'u ltima, che io non sia soggetto al declino". Quando il re ud queste parole, fu sopraffatto dal dispiacere, poich il principe de siderava ci che era impossibile che un uomo potesse donare. Allora il Bodhisatta continu: "Se allora non posso evitare la vecchiaia, la malattia, la morte e il declino, c oncedimi almeno questa sola cosa, che quando lascer questo mondo io non debba mai pi essere soggetto alla rinascita". Siccome il re non pot dare una risposta migliore, acconsent al desiderio di suo fi glio. Ma l'ultimo giorno stabil una guardia addizionale di cinquecento giovani Sa kya ad ognuno dei quattro cancelli del palazzo, mentre la matrona Gautami stabil

all'interno una guardia di amazzoni, perch il re non voleva permettere a suo figl io di partire di sua libera iniziativa. Nello stesso tempo i capi degli Yakkha (spiriti della natura) si riunirono e dis sero: "Oggi, amici, il Bodhisatta deve partire; affrettiamoci al suo servizio". I quattro grandi re (i quattro re, guardiani dei quattro punti cardinali) comand arono agli Yakkha di sollevare gli zoccoli del cavallo del principe. Anche le Tr entatr Divinit si riunirono, e Sakka ordin i loro servigi, cosicch uno di loro getta sse un sonno pesante su tutti gli uomini, donne, giovani e fanciulle di Kapilava tthu; un altro zittisse il rumore di elefanti, cavalli, cammelli, tori ed altre bestie; ed altri fungessero da scorta, gettando una pioggia di fiori e profumand o l'aria. Sakka stesso annunci che avrebbe aperto i cancelli e mostrato la via. La mattina del giorno della partenza, quando il Bodhisatta si fu preparato, gli fu portato il messaggio che Yasodhara gli aveva dato un figlio. Egli non si rall egr, ma disse: "Un vincolo venuto alla luce, un ostacolo per me". Ed il bambino ricevette il nome di Rahula, o "Ostacolo". Lo stesso giorno il Bod hisatta torn in citt e una tale nobile vergine, di nome Kisa Gotami, che stava sul tetto del suo palazzo, e contempl la bellezza e maest del futuro Buddha che passa va, compose una canzone: certamente benedetta la madre, certamente benedetto il padre, certamente benedet ta la moglie, di un signore cos glorioso! Udendo questo il Bodhisatta pens: "Ella non dice altro che il cuore di una madre, di un padre o di una moglie rall egrato da una simile vista. Ma per mezzo di cosa ogni cuore pu raggiungere la fel icit e la pace definitive?" La risposta sorse nella sua mente: "Quando il fuoco d ella passione estinto, allora vi pace; e quando i fuochi del risentimento e dell e attrazioni sono morti, allora vi pace. dolce la lezione che questa cantante mi ha insegnato, perch il Nibbana della pace che ho cercato. Oggi rinuncer alla vita di padre di famiglia e non cercher nient'altro che il Nibbana". E slacciandosi la collana di perle la mand come onorario di un maestro a Kisa Got ami. Ma ella pens che il principe la amasse e che le mandasse un regalo a causa d el suo amore. Quella sera le cantanti e le danzatrici si sforzarono di piacere a l principe: belle come ninfe del cielo, ballarono, cantarono, e suonarono. Ma il Bodhisatta, con il cuore estraniato dalle tentazioni, non prov piacere per l'int rattenimento, e si addorment. Cos le donne, vedendo che dormiva, deposero i loro s trumenti, e si addormentarono anche loro. Quando le lampade alimentate con oli a romatici furono sul punto di spegnersi, il Bodhisatta si risvegli e vide le ragaz ze che erano sembrate cos belle, nel disordine del completo abbandono al sonno. I l figlio del re, vedendole cos discinte e scomposte, che respiravano pesantemente , sbadigliavano e si muovevano in attitudini sconvenienti, fu portato al disgust o. "Questa la vera natura delle donne", pens, "ma l'uomo ingannato da abiti e gioiel li ed illuso dalla loro bellezza apparente. Se un uomo volesse solo considerare lo stato naturale delle donne, e il cambiamento che avviene in esse durante il s onno, sicuramente non conserverebbe la sua follia; ma egli sviato dalla giusta v olont, e cos soccombe alla passione". E immediatamente decise di compiere la grande rinuncia quella stessa notte, e in quello stesso momento, perch gli appariva che ogni modalit di esistenza sulla ter ra o nel cielo assomigliasse sempre pi all'indugio in una dimora gi in preda alle fiamme divoranti; la sua mente fu irresistibilmente attirata verso lo stato di q uelli che hanno rinunciato al mondo. Il Bodhisatta allora si alz dal suo giacigli o e chiam Channa; l'auriga, che stava dormendo con la testa appoggiata alla sogli a, si alz e disse: "Sire, sono qua". Allora il Bodhisatta disse: "Ho deciso di compiere la grande rinuncia oggi; sella il mio cavallo". Channa and nella stalla e sell Kanthaka; il cavallo comprese qual era la ragione p

er cui veniva sellato, e nitr di gioia, cos forte che l'intera citt sarebbe stata s vegliata, se i Deva non avessero soffocato il suono, cosicch nessuno lo ud. Mentre Channa era nel cortile della stalla, il Bodhisatta pens: "Dar un'occhiata a mio figlio", e and alla porta della camera di Yasodhara. La madre di Rahula era addormentata su un letto cosparso di strati di fiori di g elsomino, e la sua mano era appoggiata sulla testa di suo figlio. Il Bodhisatta si ferm sul limitare della soglia, perch pens: "Se sposto la sua mano per prendere mio figlio, si sveglier, e la mia partenza sa r ostacolata. Ritorner a trovarlo dopo aver raggiunto l'illuminazione". Cos se ne usc, e vedendo il cavallo gi sellato, disse: "Buon Kanthaka, questa notte tu mi salverai, allo scopo che io possa diventare u n Buddha con il tuo aiuto e possa salvare i mondi degli uomini e degli dei". Kanthaka nitr nuovamente, ma il suono della sua voce non fu udito da nessuno. Cos il Bodhisatta part", seguto da Channa: gli Yakkha mantennero sollevati gli zoc coli di Kanthaka cos che non producessero suoni, e quando essi arrivarono ai canc elli con le guardie, l'angelo che stava l li fece aprire silenziosamente. In quel momento il demone Mara apparve nell'aria, e tent il Bodhisatta, esclamando: "Non andare pi in l, mio Signore! Perch tra sette giorni apparir la ruota della sovr anit, e ti render sovrano dei quattro continenti e della miriade di isole. Non and are pi in l!" Il Bodhisatta rispose: "Mara! So bene che questo vero. Ma io non cerco la sovranit del mondo. Desidero d iventare un Buddha, per dare la felicit a decine di migliaia di mondi". Cos il Tentatore lo lasci, ma risolse di seguirlo sempre come un'ombra, per coglie re al volo l'occasione, se mai un pensiero di rabbia o desiderio fosse sorto nel cuore del Bodhisatta. Era il giorno di luna piena di Asadha, quando il principe lasci la citt. La sua marcia fu accompagnata da pompa e gloria, perch le divinit e gli angeli portavano miriadi di torce davanti e dietro di lui, e una pioggia di bei fiori era gettata dal cielo di Indra, cosicch gli stessi fianchi di Kanthaka ne erano ricoperti. In questo modo il Bodhisatta copr una grande distanza finch ra ggiunsero il fiume Anoma e lo attraversarono. Quando giunsero dall'altro lato, i l Bodhisatta smont da cavallo sulla spiaggia sabbiosa e disse a Channa: "Buon Channa, arrivato il momento che tu ritorni indietro, prendendo con te tutt i i miei gioielli e Kanthaka, poich io sto per diventare un eremita e un pellegri no in queste foreste. Non ti crucciare per me, ma compiangi piuttosto quelli che restano indietro incatenati da desideri il cui frutto l'afflizione. mia risoluz ione cercare il bene supremo oggi stesso, perch quale fiducia potrei avere nella vita, quando la morte sempre in agguato? Conforta il re, e parlagli, cosicch non mi ricordi mai, perch dove l'affetto si perso, non c' pi dispiacere". Ma Channa protest e chiese al Bodhisatta che avesse piet del re, di Yasodhara, e d ella citt di Kapilavatthu. Il Bodhisatta rispose nuovamente: "Anche se tornassi con i miei per ragioni di affetto, alla fine ne sarei separat o dalla morte. L'incontro e la dipartita degli esseri viventi come quando il ven to trascina via le nuvole che si erano unite, o come quando le foglie si staccan o dagli alberi. Non c' niente che possiamo definire nostro in un'unione che non n ulla pi di un sogno. Pertanto, visto che sei cos, vattene e non crucciarti e d alla gente di Kapilavatthu: "Ritorner presto, trionfatore della vecchiaia e della mor te, o lui stesso fallir o perir". Allora anche Channa avrebbe voluto farsi anacoreta, ma nuovamente il Bodhisatta rispose: "Se il tuo amore cos grande, vai ugualmente, porta il messaggio e poi torna". Il Bodhisatta prese la spada affilata che Channa portava e con essa tagli i propr i lunghi capelli e il diadema ingioiellato, e li gett in acqua; nello stesso mome nto in cui avvert la necessit di un abito da anacoreta, apparve un Deva sotto l'as petto di un cacciatore, con abiti di tinta fulva da Saggio del bosco, e prendend o i vestiti di mussolina bianca del principe, gli diede in cambio gli abiti ross icci, e se ne and. Kanthaka assistette a tutto ci che stato raccontato e lecc i piedi del Bodhisatta; il principe gli parl come ad un amico: "Non ti rattristare, Kanthaka, perch stata provata la perfezione della tua natura

equina. Sopportalo, e presto il tuo dolore dar i suoi frutti". Per Kanthaka pens: "Da oggi in poi non vedr mai pi il mio padrone". Si allontan dalla sua vista, mor di dolore e rinacque nel Cielo dei Trentatr. Cos ra ddoppi la tristezza di Channa; straziato per il secondo dispiacere della morte di Kanthaka torn in citt piangendo e gridando, e il Bodhisatta rest solo. La ricerca di una via di liberazione Il Bodhisatta rimase una settimana nel bosco di manghi di Anupiya, e in seguito prosegu fino a Rajagaha, la citt pi importante di Magadha. Mendicava il suo cibo di porta in porta e la bellezza della sua persona spinse a compassione tutta la ci tt. Quando ci arriv a conoscenza del re Bimbisara, questi si diresse al luogo dove il Bodhisatta sedeva e gli offr il suo regno; ma, una volta ancora, il Bodhisatta rifiut il trono regale, poich aveva gi abbandonato tutto con la speranza di ottene re l'illuminazione, e non desiderava un potere terreno. Per acconsent alla richies ta del re che quando avesse trovato la sua via avrebbe cominciato la predicazion e in quello stesso regno. Si dice che quando il Bodhisatta entr per la prima volta in un eremo (e questo av venne prima che si fosse diretto a Rajagaha), vide che i Saggi praticavano molte strane penitenze; ne chiese il significato e quale fosse il risultato che ognun o di loro voleva ottenere, e ricevette la risposta: "Con simili penitenze sopportate per un certo tempo, con le pi alte raggiungono i l cielo, e con le inferiori, un frutto favorevole nel regno degli uomini; per me zzo del dolore arrivano infine alla felicit, perch il dolore, dicono, la radice de l merito". Ma a lui non parve che fosse questo il metodo per arrivare alla liberazione; anc he nella vita comune gli uomini sopportavano l'afflizione per conseguire la feli cit, e questa stessa felicit, tutto ben considerato, consisteva nel dolore, perch s empre soggetta alla morte e alla rinascita. "Non lo sforzo in se stesso che critico", disse, "che respinge le bassezze e seg ue una propria via pi elevata: ma i Saggi della verit, per mezzo di questo arduo l avoro, dovrebbero mirare allo stato nel quale non si deve pi rifare niente. Poich il mentale che controlla il corpo, ci che si deve mantenere solo il pensiero. N la purezza del cibo, n le acque di un fiume sacro possono pulire il cuore: l'acqua solo acqua, e il vero luogo di pellegrinaggio la virt di un uomo virtuoso". Allora, rifiutando con cortesia le offerte del re, il Bodhisatta si diresse all' eremitaggio del rinomato Saggio Alara Kalama, si fece suo discepolo ed apprese i gradi successivi della meditazione estatica. Naturalmente Alara insegnava la do ttrina dell'Atman, la quale dice che il Saggio versato nell'Essere Supremo "esse ndosi annullato come individualit, vede che non esiste niente e viene chiamato ni chilista: allora come un passero nella sua gabbia, con l'anima che si separa dal corpo, viene dichiarato liberato: questo quel supremo Brahman, costante, eterno , e senza caratteri distintivi, che i Saggi che conoscono la realt chiamano liber azione". Ma Gautama (ed con questo nome che i libri cominciano ora a chiamare il Bodhisatta), lascia da parte la frase "senza caratteri distintivi", e con giust ificazione verbale discute la terminologia animistica e dualistica di anima e co rpo: un'anima liberata, argomentava, continua ad essere un'anima, e qualsiasi si tuazione raggiunga, sempre soggetta alla rinascita, "e poich si afferma che ogni successiva rinuncia accompagnata da qualit, sostengo che l'ottenimento assoluto d el nostro scopo si trova solo nell'abbandono di tutto". [Nota: Ravvisiamo in questo punto il momento critico in cui il pensiero buddhist a e quello brahmanico si separano sulla questione dell'Atman. Non siamo in grado di dire se sia Alara che non riusc a mettere in rilievo l'aspetto di negazione d 'ogni limite della dottrine del Brahman, o se sia Gautama (il quale fino a quest o momento presentato come totalmente privo di nozioni sul pensiero brahmanico) c he non riusc a distinguere il Brahman neutro dal dio Brahma. La questione sar diba ttuta con pi ampi sviluppi nella parte terza, cap. IV, di questo libro.]

Allora il Bodhisatta lasci gli eremitaggi di Rajagaha e, cercando qualcosa al di l, si inoltr in un bosco vicino, al villaggio di Uruvela, e ivi rimase sulle pure rive del Nairanjana. In questo luogo lo avvicinarono cinque anacoreti erranti ch e vivevano di carit, perch erano convinti che poco tempo dopo egli avrebbe raggiun to l'illuminazione. La loro guida era Kondanna, il vecchio indovino brahmano, ch e aveva predetto il futuro durante la festa di battesimo del Bodhisatta. Pensand o: "Questo pu essere il mezzo per conquistare la nascita e la morte", Gautama pra tic per sei anni in quel luogo una regola austera di digiuno e mortificazione, di modo che il suo glorioso corpo si consum fino a ridursi a pelle ed ossa. Si cost rinse a cibarsi di un solo seme di sesamo o di un granello di riso, finch un gior no, mentre passeggiava, vinto dalla debolezza, svenne e cadde. Alcuni fra i Deva esclamarono: "Gautama morto!" Altri portarono la notizia a Suddhodana, re di Kapilavatthu. Ma egli rispose: "Non posso crederci. Mio figlio non morir mai prima di aver raggiunto l'illuminaz ione". Non aveva dimenticato il miracolo ai piedi dell'albero jambu, n il giorno in cui il grande Saggio Kala Devala si era sentito obbligato a riverire il bambino. Il Bodhisatta si riprese e si alz in piedi; e una volta ancora le divinit informarono il re. Dopo questo episodio la fama delle estreme penitenze del Bodhisatta si d iffuse da tutte le parti, come nel cielo si diffonde il suono di una grande camp ana. Ma egli percep che la mortificazione non era la via per l'illuminazione e la liberazione, "che era la vera strada che ho trovato sotto l'albero jambu, e che non pu essere raggiunta da chi ha perso la sua forza". Cos, una volta ancora, il Grande Essere risolse di mendicare il suo cibo in citt e villaggi, per recuperare la sua salute e le sue forze. Questo avvenne nel trentesimo anno dell'esistenza di Gautama. Ma i cinque discepoli pensarono che se Gautama non aveva potuto ott enere l'illuminazione neppure con sei anni delle pi severe austerit, "come avrebbe potuto ottenerla ora, che chiede la carit nei villaggi, e si ciba di alimenti or dinari?", e lo abbandonarono per recarsi in un sobborgo di Benares, chiamato Isi patana. La Suprema Illuminazione Mentre Gautama viveva nel bosco vicino a Uruvela, la figlia del capo del villagg io, di nome Sujata, era solita fare un'offerta giornaliera di cibo a ottocento B rahmani, recitando la preghiera: "Magari il Bodhisatta potesse ricevere finalmente un'offerta di cibo da parte mi a, ottenere l'illuminazione e trasformarsi in un Buddha!" Ora che era giunto il momento in cui egli desiderava ricevere cibi nutrienti, un Deva apparve a Sujata durante la notte e le annunci che il Bodhisatta aveva abba ndonato le sue austerit, e desiderava cibi buoni e nutrienti: "e allora si compir la tua preghiera". Allora Sujata si alz in fretta di buon'ora e si rec dal gregge del padre. Gi da molto tempo ella soleva mungere il latte da mille vacche e nutri re con esso cinquecento altre vacche; con il latte di queste ne nutriva altre du ecentocinquanta, e cos finch solo otto vacche si nutrivano con il latte che restav a, e ci ella lo chiamava "far rientrare il latte a poco a poco". Era il giorno di plenilunio del mese di maggio quando ricevette il messaggio delle divinit; si al z presto, munse le otto vacche, prese il latte e lo boll in marmitte nuove per pre parare riso e latte. In tanto mand la sua ancella Punna ai piedi del grande alber o dove soleva lasciare le sue offerte giornaliere. Il Bodhisatta, sapendo che qu el giorno avrebbe ottenuto la suprema illuminazione era seduto ai piedi dell'alb ero, attendendo l'ora di andare a mendicare il suo cibo; la sua gloria era tale che tutta la regione dell'Est ne era illuminata. L'ancella pens che fosse lo spir ito dell'albero che si degnava di ricevere l'offerta nelle sue proprie mani. Qua ndo fu tornata e raccont questo, Sujata la abbracci, le don la dote come a una figl ia ed esclam: "D'ora in avanti occuperai, per me, il posto di una figlia maggiore!"

Mand a cercare un vaso d'oro e vi pose il cibo ben cotto, lo copr con una tela bia nca candida e lo port con dignit ai piedi del grande albero nigrodha; l", anche le i vide il Bodhisatta e credette che fosse lo spirito dell'albero. Sujata gli si avvicin, gli mise il vaso nelle mani e guardandolo negli occhi, disse: "Mio Signore, accetta ci che ti offro", ed aggiunse: "magari possa portarti tanta felicit come quella che ha portato a me", e cos se ne and. Il Bodhisatta prese il vaso d'oro, scese fino alla riva del fiume, si bagn e, ves tendosi come un Arahat, si sedette guardando verso Est (nell'India antica l'Est era considerato il punto cardinale pi favorevole). Divise il riso in quarantanove parti, e questo cibo fu sufficiente a nutrirlo per i quarantanove giorni che se guirono l'illuminazione. Quando ebbe terminato di mangiare riso e latte, prese i l vaso d'oro e lo gett nel fiume, dicendo: "Se oggi potr raggiungere l'illuminazione, che questo vaso vada controcorrente; e se cos sar, che scenda a suo piacimento". Quando lo ebbe lanciato in acqua il vaso risal rapidamente il fiume fino ad arriv are al vortice del Re Serpente nero, e l affond. Il Bodhisatta pass le ore calde del giorno in un bosco di alberi sal, vicino al r uscello. Poi verso sera, si diresse ai piedi dell'Albero della Sapienza e l prese la decisione: "Se anche mi si seccassero la pelle, i nervi e le ossa, e se si prosciugasse il sangue della mia vita, non lascer questo posto finch non abbia raggiunto la Suprem a Illuminazione". E si sedette con il viso rivolto ad Est. In quel momento il demonio Mara si rese conto che il Bodhisatta aveva preso post o con intenzione di ottenere l'Illuminazione Perfetta: di conseguenza, convocand o le truppe demoniache e montando il suo elefante da guerra, avanz fino all'Alber o della Sapienza. L c'era Maha Brahma, che sosteneva sopra il Bodhisatta un balda cchino bianco da cerimonia, e Sakka che faceva risuonare la grande tromba, e con loro vi erano tutte le schiere di divinit e di angeli. Ma la formazione di Mara era talmente terribile che non ci fu nessuno tra le truppe dei Deva che si azzar d a rimanere per affrontarla. Il Grande Essere rest solo. In un primo momento per, Mara assunse l'aspetto di un messaggero con abiti stracc iati ed ansante per la corsa, che portava una lettera dei prncipi Sakya. Nella le ttera c'era scritto che Devadatta aveva usurpato il regno di Kapilavatthu, si er a impadronito dei suoi beni e di sua moglie e aveva fatto prigioniero Suddhodana , ed essi gli chiedevano di ritornare per restaurare la pace e l'ordine. Ma il B odhisatta riflett che era la lussuria che aveva portato Devadatta a maltrattare c os le donne, la malizia che gli aveva fatto imprigionare Suddhodana, mentre i Sak ya, resi impotenti dalla codardia, non erano riusciti a difendere il loro re: ri flettendo cos sulla follia e debolezza del cuore delle persone comuni, la sua dec isione di raggiungere uno stato pi elevato e migliore si rafforz e si conferm. [Nota: Cfr., "I Saggi delle prime epoche si procuravano il Tao per loro stessi, quindi lo portavano agli altri. Prima che tu lo possegga per te, che tempo hai p er occuparti dei fatti degli uomini in preda all'errore?" Chuang-tzu.] Avendo fallito in questo espediente, Mara avanz all'assalto con tutte le sue trup pe, sforzandosi di vincere il Bodhisatta, prima con un tremendo turbine di vento , poi con un tempesta di pioggia, che provoc un'imponente inondazione: ma n l'orlo dell'abito del Bodhisatta si agit n una singola goccia d'acqua lo raggiunse. Poi Mara gli gett una pioggia di rocce ed una gragnuola di armi mortali avvelenate, d i ceneri e carboni ardenti, e una tempesta di sabbia rovente e fango infuocato; ma tutti questi proiettili non fecero che cadere ai piedi del Bodhisatta come un a pioggia di fiori celesti, o restarono sospesi in aria come un baldacchino sull a sua testa. Non pot essere scosso neppure da un attacco di fitta e quadruplice o scurit. Allora, constatando che tutti questi mezzi fallivano, Mara si rivolse al Bodhisatta dicendogli: Il Bodhisatta rispose: "Alzati, Siddhattha, da quel posto, perch non tuo, ma mio!" "Mara! Non hai realizzato le dieci perfezioni, e neppure le virt minori. Non hai

cercato la conoscenza, e neppure la salvezza del mondo. Il posto mio". Allora Mara mont su tutte le furie, e lanci al Bodhisatta il suo scettro-giavellot to, il quale ha la virt di fendere in due un pilastro di solida roccia come se fo sse un tenero germoglio di canna: e tutti i demoni gettarono massi di roccia. Ma il giavellotto rest sospeso in aria come un baldacchino e i massi di roccia cadd ero come ghirlande di fiori. Allora il Grande Essere disse a Mara: "Mara, chi testimone che tu abbia mai elargito elemosine?" Mara fece un gesto con la mano, ed un grido sorse dall'orda dei demoni; erano mi lle voci che gridavano: "Io sono testimone". Allora il demone si rivolse al Bodhisatta, chiedendo: "Siddhattha! Chi testimone che tu abbia elargito elemosine?" Il Grande Essere rispose: "Mara, tu hai molti testimoni viventi che tu abbia dato elemosine, ed io non ho simili testimoni. Ma a parte le elemosine che ho dato nelle altre vite, io chied o a questa solida terra di testimoniare della mia soprannaturale generosit quando nacqui come Vessantara". Ed estraendo la mano destra dall'abito, la tese fino a toccare la terra, e disse : "Testimoni, o no, della mia soprannaturale generosit quando nacqui come Vessantar a?" E la grande Terra rispose con voce di tuono: "Sono testimone di questo". Allora il grande elefante di Mara si prostern in adorazione, e le truppe di demon i fuggirono terrorizzate. Mara rest imbarazzato. Ma non si arrese, perch sperava di ottenere con altri mezzi quello per cui la forza non aveva avuto effetto. Convoc le sue tre figlie: Tanha , Rati, e Raga, ed esse danzarono davanti al Bodhisatta come i rami flessuosi di un giovane albero frondoso servendosi di tutte le arti di seduzione che conosco no le belle donne. Di nuovo gli offrirono la signoria della terra e la compagnia di belle ragazze: esse cercarono di commuoverlo con canzoni della stagione di p rimavera, ed esibirono la loro bellezza e grazia soprannaturali. Ma il cuore del Bodhisatta non si commosse assolutamente, ed egli rispose: Il piacere breve come un lampo abbagliante o come una pioggia autunnale, solo pe r un momento... perch dovrei dunque desiderare i piaceri di cui parlate? Vedo che i vostri corpi sono colmi di ogni impurit: la nascita e la morte, la mal attia e la vecchiaia sono il vostro retaggio. Cerco la posta pi elevata difficile da raggiungere per gli uomini, la vera e cost ante conoscenza del Saggio. Poich non riuscivano a scuotere la calma del Bodhisatta, esse si sentirono piene di vergogna e sconcertate: indirizzarono allora una preghiera al Bodhisatta, aug urandogli la fruizione del suo sforzo: Che tu possa raggiungere ci che il tuo cuore desidera, trovare la liberazione per te stesso, e liberare tutti! [Nota: Secondo altri libri la tentazione delle figlie di Mara successiva all'Ill uminazione suprema.] Ora le truppe del cielo, vedendo che l'esercito di Mara era sconfitto e le astuz ie delle figlie di Mara vane, si riunirono per onorare il Conquistatore e venner o ai piedi dell'Albero della Sapienza, gridando per la gioia: Beato sia il Buddha - Egli ha trionfato! E il Tentatore sconfitto! La vittoria era completa che il sole era ancora al di sopra dell'orizzonte. Il B odhisatta si immerse in pensieri sempre pi profondi. Nella prima vigilia della no

tte raggiunse la conoscenza degli stati anteriori dell'essere, nella seconda vig ilia ottenne l'occhio celeste della visione onnisciente, nella terza vigilia ott enne la comprensione perfetta della Catena della Causalit che l'origine del Male, e cos allo spuntare del giorno raggiunse l'Illuminazione Perfetta. Allora irrupp e dalle sue labbra il canto di trionfo: Attraverso numerose e mutevoli nascite sono passato cercando invano il costrutto re della casa. Ma, o fondatore di case, sei trovato! Non potrai mai pi progettare una casa per me! Tutte le tue travi sono spezzate, la colonna principale si fra ntumata! La mia mente passata alla quiete del Nibbana. Infine stata raggiunta la cessazione del desiderio! [Nota: La casa , naturalmente, la casa - o piuttosto la prigione - dell'esistenza individuale: il costruttore della casa il desiderio (tanha) - il desiderio di f ruire e di possedere -.] Innumerevoli prodigi si manifestarono in quell'ora suprema. La terra si scosse s ei volte, e l'intero universo fu illuminato dallo splendore soprannaturale dei s estuplici raggi che provenivano dal corpo del Buddha seduto. Il risentimento si calm nel cuore di tutti gli uomini, ogni mancanza fu riempita, i malati furono ri sanati, le catene dell'inferno cedettero e ogni creatura di qualsiasi genere tro v pace e riposo. I quarantanove giorni Gautama, che adesso era il Buddha, l'Illuminato, rimase seduto e immobile per se tte giorni, realizzando la beatitudine del Nibbana; poi si alz e rimase in piedi per altri sette giorni, fissando intensamente il punto dove era stato colto il f rutto degli innumerevoli atti di eroica virt esercitati nelle vite precedenti: po i per altri sette giorni passeggi avanti e indietro per un sentiero riparato che andava da Ovest ad Est, e che si stendeva dal trono sotto l'Albero della Sapienz a al luogo della Contemplazione Immutabile; nuovamente per sette altri giorni re st seduto in un padiglione scolpito dalle divinit, vicino allo stesso posto, e vi ripercorse in dettaglio, libro per libro, tutto ci che insegnato nell'Abhidhamma Pitaka, cos come l'intera dottrina della causalit; poi per sette altri giorni sede tte sotto l'albero nigrodha dell'offerta di Sujata, meditando sulla dottrina e s ulla dolcezza del Nibbana - e secondo alcuni libri, fu in questo momento che avv enne la tentazione delle figlie di Mara - poi per altri sette giorni, mentre inf uriava una terribile tempesta, il Re Serpente Mucalinda lo protesse con il suo s ettuplice cappuccio; e per altri sette giorni sedette sotto un albero rajayatana , godendo della dolcezza della liberazione. Cos erano trascorse sette settimane, durante le quali il Buddha non aveva provato desideri corporei, ma si era cibato della gioia della contemplazione, della gio ia dell'ottuplice via e della gioia del suo frutto, il Nibbana. Solo dopo l'ultimo giorno delle sette settimane desider fare il bagno e mangiare, e ricevendo l'acqua e uno stuzzicadenti dal dio Sakka, il Buddha si lav il viso e si sedette ai piedi dell'albero. In quel momento due mercanti brahmani viaggia vano in una carovana che andava da Orissa al paese centrale, e un Deva, che era stato un parente dei mercanti in una vita precedente, ferm i carri, e spinse i lo ro cuori a fare un'offerta di riso e dolci di miele al Signore. Essi si diresser o quindi verso di lui, dicendo: "O Beato, abbi piet di noi, ed accetta questo cibo". Il Buddha non possedeva neppure una ciotola, e siccome i Buddha non ricevono mai un'offerta direttamente nelle loro mani, riflett su come l'avrebbe potuta prende re. Immediatamente i quattro grandi re, i Reggitori dei quattro punti cardinali, apparvero davanti a lui, ognuno di loro con una ciotola; e perch nessuno di loro fosse deluso, il Buddha prese tutte e quattro le ciotole, e mettendole una sopr a all'altra, le fece diventare una, sul cui bordo si vedevano le quattro linee d ei bordi di ciascuna. In questa ciotola il Beato ricevette il cibo, lo mangi, e r

ingrazi. I due mercanti si rifugiarono nel Buddha, nella norma e nell'ordine, e d ivennero discepoli dichiarati. Allora il Buddha si alz e torn nuovamente all'alber o delle offerte di Sujata e l si sedette. Riflettendo sulla profondit della verit c he aveva trovato, sorse nella sua mente il dubbio se sarebbe stato possibile far la conoscere agli altri: questo dubbio sperimentato da ogni Buddha quando divien e consapevole della verit. Ma Maha Brahma, esclamando: "Ahim! Il mondo sar perduto per sempre!" arriv in tutta fretta, con le truppe dei Deva e scongiur il Maestro d i proclamare la Verit; ed egli acconsent alla loro richiesta. [Nota: "Le grandi verit non fan presa sui cuori del volgo... E cos stando le cose, anche se io conosco il vero cammino - come far, come far a guidarli? Se pur sapen do che non ce la farei, tento comunque di impormi ad essi, sar questa un'altra fo nte d'errore. Meglio perci lasciar perdere, e non tentar neppure. Ma se non tento io, chi tenter?" Chuang-tzu. E altamente caratteristico della psicologia del genio che quando questo dubbio a ssale il Buddha, egli risponda tuttavia ad una richiesta di guida; nel momento i n cui l'allievo pone le domande giuste, i dubbi dell'insegnante si risolvono.] La prima rotazione della Ruota della Legge Allora egli medit su a chi, per cominciare, avrebbe dovuto rivelare la verit, e ri cord Alara, il suo primo Maestro, e Uddaka, pensando che questi grandi Saggi avre bbero potuto comprenderla velocemente; ma dopo un'accurata riflessione scopr che entrambi erano recentemente morti. Allora pens ai cinque pellegrini che erano stati suoi discepoli e in meditazione vide che risiedevano nel Parco dei Cervi di Isipatana a Benares, e risolse di re carvisi. Quando i cinque pellegrini, il cui capo era Kondanna, videro il Buddha da lontano, si dissero: "Amici miei, arriva Gautama il Bhikkhu. Non gli dobbiamo alcun rispetto, poich ri tornato al libero uso delle necessit della vita, e ha recuperato la sua forza, e la sua bellezza. Comunque, poich di nobile nascita, prepariamogli un sedile". Ma il Beato intu il loro pensiero, e concentrando quell'amore con il quale era in grado di riempire il mondo intero, lo rivolse specialmente verso di loro. Poich questo amore si era diffuso nei loro cuori, quando egli si avvicin, essi non pote rono aderire alla loro risoluzione, e cos si alzarono dai loro sedili e si inchin arono davanti a lui in tutto rispetto. Ma non sapendo che egli aveva raggiunto l 'illuminazione, gli si rivolsero con l'appellativo di "Fratello". Egli, dunque, annunci l'illuminazione, dicendo: "O Bhikkhu, non rivolgetevi a me come "Fratello", perch sono divenuto un Buddha d alla chiara visione, come quelli che mi hanno preceduto". Cos il Buddha prese posto sul sedile che gli era stato preparato dai cinque pelle grini, e fece loro il primo discorso, che chiamato "Messa in moto della Ruota de lla Legge", o "Fondazione del regno della rettitudine". "Ci sono due estremi che chi si immerso nella Via non dovrebbe perseguire - la d edizione abituale, da una parte, alle passioni, ai piaceri delle cose sensibili, una Via bassa e profana (di ricerca delle soddisfazioni), non nobile, non profi ttevole, adatta solo per i mondani; e, dall'altra, la dedizione abituale dell'au tomortificazione, che penosa, non nobile, non profittevole. C' un Via di Mezzo, s coperta dal Tathagata (che vuol dire chi ha raggiunto l'Arahatta; il titolo che il Buddha usa sempre riferendolo a se stesso. Non chiama se stesso il Buddha; ed i suoi seguaci non gli si rivolgono mai con questo appellativo) - una Via che a pre gli occhi e fa ottenere la comprensione, che conduce alla pace, alla vista i nteriore, alla saggezza pi elevata, al Nirvana. In verit! E questa la Via ottuplic e degli Ariya; vale a dire: Modi di Vedere Retti, Rette Aspirazioni, Discorso Re tto, Condotta Retta, Modo di Vivere Retto, Sforzo Retto, Concentrazione Retta, e Samadhi Retto. "Ora, questa la Nobile Verit riguardo alla sofferenza: la nascita accompagnata da dolore, il declino dolore, la malattia dolore, la morte dolore. L'unione con lo sgradevole dolore, la separazione dal gradevole dolore; e qualsiasi voglia inso

ddisfatta , anch'essa, dolore. In breve, i cinque aggregati (ossia le cinque cond izioni dell'individualit) sono dolore. "Ora questa la Nobile Verit riguardo all'origine della sofferenza: In verit! la se te del desiderio che provoca il rinnovarsi delle esistenze, che si accompagna ai piaceri delle cose sensibili, e ricerca la soddisfazione, ora qua, ora l - vale a dire la brama della gratificazione dei sensi, o il desiderio di prosperit. "Ora, questa la Nobile Verit sull'eliminazione del dolore: In verit! Questa elimin azione si ha quando non c' pi passione, rinunciando a, sbarazzandosi di, liberando si da, non dando pi asilo a questa sete insaziabile di possesso. "Ora, questa la Nobile Verit riguardo alla Via che conduce all'eliminazione del d olore. In verit! Essa questo Ottuplice Sentiero degli Ariya; vale a dire: Retti M odi di Vivere, Rette Aspirazioni, Retto Discorso, Condotta e Modo di Vivere, Ret to Sforzo, Retta Concentrazione, e Retto Samadhi". Allora, del gruppo dei Bhikkhu ai quali era stato predicato il primo discorso, K ondanna ottenne immediatamente il frutto della prima via, ed i quattro altri rag giunsero la stessa stazione nel corso dei quattro giorni seguenti. Il quinto gio rno il Buddha convoc i cinque di fianco a s, e indirizz loro il secondo discorso ch iamato "Sulla non-esistenza dell'anima", la cui sostanza riportata nel modo segu ente: "Il corpo, o Bhikkhu, non pu essere l'anima eterna, perch tende verso la distruzio ne. La sensazione, la percezione, le predisposizioni, e la coscienza, messe insi eme, non costituiscono l'anima eterna, perch se cos fosse anche la coscienza non t enderebbe alla distruzione. Cosa pensate, che la forma sia permanente o transito ria? E che la sensazione, la percezione, le predisposizioni e la coscienza siano permanenti o transitorie?" "Sono transitorie", risposero i cinque. "E ci che transitorio, cattivo o buono?" " cattivo", risposero i cinque. "E di ci che transitorio, cattivo, e soggetto al cambiamento, si pu dire: "Questo mio, questo sono io, questa la mia anima eterna"?" "No, certo, non si pu dire cos", risposero i cinque. "Allora, o Bhikkhu, si deve dire di qualsiasi forma fisica, passata o presente o futura che sia, soggettiva o oggettiva, vicina o lontana, alta o bassa: "Non mi a, questo non sono io, questa non la mia anima eterna". E in simile modo, di o gni sensazione, percezione, predisposizione e coscienza, si deve dire: "Esse non sono mie, io non sono queste, esse non sono la mia anima eterna". E percependo questo, o Bhikkhu, il vero discepolo concepir disgusto per la forma fisica, per l a sensazione, la percezione, le predisposizioni e la coscienza, e cos si spoglier del desiderio; in questo modo egli liberato, e diventa consapevole di essersi li berato; e sa che il divenire si esaurito, che ha vissuto secondo la verit, che ha fatto ci che era doveroso facesse e che ha eliminato per sempre la mortalit". In virt di questo discorso le menti dei cinque furono perfettamente illuminate, e d ognuno di loro raggiunse il Nibbana, cosicch in quel momento esistevano cinque Arahat nel mondo, oltre al Buddha stesso, che era il sesto. Il giorno seguente u n giovane di nome Yasa, e cinquantaquattro fra i suoi compagni raggiunsero anche loro l'illuminazione, e cos c'erano sessanta persone oltre al Maestro stesso, ch e avevano ottenuto lo stato di Arahatta. Il Maestro invi questi sessanta in diver se direzioni, con l'ordine: "Andate, o Bhikkhu, a predicare e ad insegnare". Egli stesso procedette verso Uruvela, e durante il percorso accolse nell'ordine trenta nobili giovani e invi anche loro in tutte le direzioni. A Uruvela il Maest ro trionf su tre asceti brahmani, adoratori del fuoco, e accett anche loro nell'or dine con tutti i loro discepoli, e grazie a lui raggiunsero lo stato di Arahatta . Il capo di questi era noto come Uruvela Kassapa. Quando si furono seduti sul p endio di Gaya, egli pronunci il terzo discorso, chiamato il "Discorso del fuoco": "Tutte le cose, o Bhikkhu, sono in fiamme. E cosa sono Bhikkhu, tutte queste cos e in fiamme? L'occhio in fiamme, le forme sono in fiamme, la coscienza dell'occh io in fiamme, le impressioni ricevute dall'occhio sono in fiamme; e qualsiasi se nsazione - piacevole, spiacevole, o neutra - trae origine dalle impressioni rice vute dall'occhio, ed quindi ugualmente in fiamme.

"e da cosa sono accese tutte queste fiamme? Io dico che lo sono dal fuoco della passione, del risentimento, e dal fuoco dell'illusione (raga, dosa, moha); sono infiammate dalla nascita, dalla vecchiaia, dalla morte, dalla deplorazione, dall a miseria, dal dispiacere e dalla disperazione. "E cos per l'orecchio, per il naso, la lingua, e per il tatto. Anche il mentale i nfiammato, i pensieri sono infiammati; e la coscienza mentale, le impressioni ri cevute dalla mente, e le sensazioni che sorgono dalle impressioni che la mente r iceve, anche queste sono infiammate. "Da cosa sono infiammate? Io dico che lo sono dal fuoco della passione, dal fuoc o del risentimento, e dal fuoco dell'illusione; esse sono infiammate dalla nasci ta, dalla vecchiaia, dalla morte, dalla deplorazione, dalla miseria, dal dispiac ere e dalla disperazione. "E vedendo questo, o Bhikkhu, il vero discepolo concepisce disgusto per l'occhio , le forme, la coscienza dell'occhio, le impressioni ricevute dall'occhio, e per le sensazioni che ne derivano; e per l'orecchio, il naso, la lingua, per il sen so del tatto, per il mentale, i pensieri, la coscienza mentale, le impressioni e le sensazioni. Cos si sveste del desiderio, e conseguentemente liberato, ed cons apevole di essersi liberato, e sa che il divenire si esaurito, che ha vissuto se condo la verit, che ha fatto ci che doveva, e che ha eliminato per sempre la morta lit". Mentre il "Discorso del fuoco" veniva pronunciato, le menti dei mille Bhikkhu l r iuniti si emanciparono dall'attaccamento e si liberarono dalle bassezze, e cos ra ggiunsero l'Arahatta e il Nibbana. La conversione di Sariputta e Mogallana Il Buddha, circondato da mille Arahat, il cui capo era Uruvela Kassapa, si rec ne lla Selva delle Palme vicino a Rajagaha, per rispettare la promessa che aveva fa tto al re Bimbisara. Quando venne riferito al re: "Il Maestro giunto", questi si affrett verso il bosco e si gett ai piedi del Buddha, e dopo aver cos reso omaggio , egli e il suo seguito sedettero. Il re non riusciva a capire se il Buddha era divenuto il discepolo di Uruvela Kassapa, o se lo era Uruvela Kassapa del Buddha ; per risolvere il dubbio, Uruvela Kassapa si prostern ai piedi del Maestro, dice ndo: "Il Signore Benedetto il mio Maestro, e io sono il discepolo. Tutta la gente acclam al gran potere del Buddha, esclamando: "Anche Uruvela Kassapa ha spezzato la rete dell'illusione e ha ceduto davanti al seguace dei Buddha del passato!" Per mostrare che questa non era la prima volta che Kassapa il grande gli aveva c eduto, il Beato recit il Maha Narada Kassapa Jataka; e proclam le Quattro Nobili V erit. Il re di Magadha con quasi tutto il suo seguito entr nella prima via, e quel li che non fecero cos, divennero discepoli secolari. Il re fece una grossa donazi one all'ordine, con il Buddha alla sua testa, e la conferm spargendo dell'acqua. Quando il Maestro ebbe cos ricevuto il Monastero della Selva di Bamb, ringrazi, si alz dal suo posto, e si rec l. A quel tempo due asceti brahmani, di nome Sariputta e Mogallana vivevano vicino a Rajagaha. Sariputta osserv il venerabile Arahat Ass aji nel suo giro di questua, not la dignit e la grazia del suo contegno; e quando l'anziano ebbe ottenuto le elemosine e stava andandosene dalla citt, Sariputta tr ov l'occasione di parlargli e si inform su chi fosse il suo Maestro, e su quale fo sse la dottrina da lui praticata. Assaji rispose: "Fratello, c' un grande monaco Sakya, e per seguirlo io ho abbandonato il mondo. Questo Beato il mio Maestro, e la dottrina che io approvo la sua". Allora Sariputta domand: "Qual , allora, venerabile signore, la dottrina del tuo Maestro?" "Fratello", rispose Assaji, "io sono un novizio e un principiante, e non molto t empo che mi sono ritirato dal mondo per adottare la disciplina e la dottrina. Qu indi posso solamente esporti la dottrina in breve, e renderti la sua sostanza in poche parole". Allora il venerabile Assaji ripet a Sariputta il pellegrino i versi seguenti:

Di qualsiasi cosa prodotta da causa, la causa ne ha rivelato il Buddha, e allo s tesso modo, come esse cessino d'essere: questo ci che il grande Adepto proclama. Udendo questa esposizione della dottrina, Sariputta il pellegrino arriv alla perc ezione chiara e distinta della verit che qualsiasi cosa soggetta all'origine anch e soggetta a cessazione. Cos Sariputta raggiunse la prima via. Poi, tornato da Mo gallana, gli rifer gli stessi versi e anch'egli raggiunse la prima via. Questi du e, lasciati i loro Maestri precedenti, entrarono nell'ordine fondato dal Buddha, e in capo a breve tempo entrambi raggiunsero l'Arahatta e il Maestro ne fece i suoi principali discepoli. [Nota: L'elemento pi essenziale della dottrina buddhistica, la cui piena realizza zione costituisce l'illuminazione di un Buddha, qui esposta con il minor numero possibile di parole. La chiara enunciazione della legge della causalit universale - la perpetua continuit del divenire - il grande contributo del Buddha al pensie ro indiano, perch solo con relativa difficolt che il Vedanta in grado di liberarsi dal concetto di una Causa Prima. I versi di Assaji sono spesso chiamati la "Pro fessione di Fede Buddistica"; essi sono citati negli scritti buddhistici pi frequ entemente di qualsiasi altro testo.] Il ritorno del Buddha a Kapilavatthu Nel frattempo fu riferito a Suddhodana che suo figlio, che per sei anni si era d edicato alla mortificazione, aveva ottenuto la perfetta illuminazione, aveva mes so in movimento la Ruota della Legge, e risiedeva nella Selva dei Bamb vicino a R ajagaha. Egli invi un ambasciatore con un seguito di mille uomini insieme al mess aggio: "Tuo padre, il re Suddhodana, desidera vederti". Raggiunsero il monastero nell'ora dell'istruzione e rimanendo in piedi ad ascolt are il discorso, l'ambasciatore raggiunse l'Arahatta con tutto il suo seguito, e preg di essere ammesso nell'ordine; il Buddha li accett. Essendo ora indifferenti alle cose di questo mondo, non consegnarono il messaggio del re. Con le stesse modalit della prima volta il re invi altri messaggeri, ognuno con un seguito ugual e, e tutti questi, trascurando il loro incarico, non tornarono, senza fargli sap ere niente. Allora il re convinse il suo ministro Kaludayin a portare il messagg io, e questi acconsent solo a condizione di ricevere il permesso di diventare lui stesso membro dell'ordine. "Amico mio", disse il re, "puoi diventare un eremita o no, puoi fare ci che vuoi, solo agisci in modo che io possa vedere mio figlio prima di morire". Kaludayin si rec a Rajagaha, e stando in piedi tra i discepoli nell'ora dell'istr uzione, raggiunse l'Arahatta e fu accettato nell'ordine. A quell'epoca erano tra scorsi otto mesi dall'illuminazione, e di questo tempo, il primo trimestre, o st agione delle piogge, era stato passato nel Parco dei Cervi a Benares, altri tre mesi ad Uruvela, e due mesi a Rajagaha. Adesso era finita la stagione fredda, la terra era coperta di erba verde, gli alberi di fiori scarlatti, e le strade era no piacevoli per il viaggiatore. Il giorno della luna piena di marzo, Kaludayin, un'intera settimana dopo la sua ammissione nell'ordine, parl con il Buddha, e lo invit ad andare a trovare suo padre, che desiderava vederlo. E il Maestro, preve dendo che ne sarebbe risultata la salvezza di molti uomini, assent, dicendo a Kal udayin: "Ben detto, Udayin, ci andr". Infatti era conforme alla regola che i Fratelli viaggiassero da un luogo all'alt ro. Accompagnato da ventimila Arahat di buona famiglia, e percorrendo ogni giorn o una lega, raggiunse Kapilavatthu in due mesi. Ma Kaludayin si spost istantaneam ente nell'aria e inform il re che suo figlio si era messo in cammino, ed elogiand o ogni giorno le virt del Buddha, predispose i Sakya a suo favore. I Sakya pensarono a quale sarebbe stato il luogo pi gradevole per la sua residenz a e scelsero il bosco di alberi nigrodha vicino alla citt. Con fiori in mano, e a

ccompagnati da bambini del posto, giovanotti e fanciulle di famiglia reale, usci rono ad incontrarlo e lo condussero nel bosco. Ma vedendolo pi giovane di loro, c ome se fosse stato un fratello minore, o un nipote, essi non si prosternarono. A llora il Buddha, comprendendo i loro pensieri, comp il miracolo del sollevamento in aria del suo sedile su una piattaforma ingioiellata, e cos predic la legge. Il re, vedendo questo miracolo, disse: "O Beato, quando Kala Devala si prostern ai tuoi piedi il giorno della tua nascit a, io ti tributai rispetto per la prima volta. Quando vidi che l'ombra dell'albe ro jambu rimaneva immobile in occasione della festa dell'aratura, ti tributai ri spetto la seconda volta; ed ora, a causa di questo grande miracolo, mi prosterno nuovamente ai tuoi piedi". E non ci fu nessun Sakya che non si prostern ai piedi del Buddha nello stesso mom ento. Allora il Beato scese dall'aria e sedette sul trono che gli era stato prep arato, e l pronunci un discorso, e cio, la storia della sua vita anteriore come pri ncipe Vessantara. La conversione dei Prncipi Sakya Il giorno successivo il Maestro entr a Kapilavatthu per mendicare il suo cibo, ac compagnato da ventimila Arahat. Quando si fu sparsa la voce che il giovane princ ipe Siddhattha stava mendicando porta a porta, le finestre di case a molti piani si spalancarono e una folla guard fuori stupita. Tra questi c'era la madre di Ra hula, che si disse: "E giusto che il mio signore, che era solito percorrere questa citt in un palanch ino dorato, con ogni segno di pompa, ora debba mendicare il suo cibo di porta in porta, con i capelli e la barba rasati, e vestito di abiti dalla tinta fulva?" Ella rifer le sue riflessioni al re. Egli, alzandosi immediatamente, usc per prote stare con suo figlio, che cos disonorava il clan dei Sakya. "Pensi che ci sia impossibile", gli disse "provvedere al nutrimento per tutti i tuoi seguaci?" "E il nostro uso, o re!" fu la risposta. "Non cos, Maestro", disse il re; "nessuno dei nostri antenati ha mai mendicato il suo nutrimento". "O re", replic il Buddha, "tu discendi dalla successione dei re, ma io discendo d alla successione dei Buddha: e ognuno di loro ha mendicato il suo cibo giornalie ro, ed vissuto di elemosine" . Stando in piedi in mezzo alla strada recit i versi: Alzatevi e non indugiate, ricercate la vera vita! Chi esercita la virt riposa nel la beatitudine, in questo mondo come nell'altro. Quando il Buddha ebbe pronunciato questa strofa, il re raggiunse il frutto della prima via. Allora il Buddha continu: Ricercate la vera vita, non ricercate il peccato! Chi esercita la virt riposa nel la beatitudine, in questo mondo come nell'altro. Ed il re ottenne il frutto della seconda via. Allora il Buddha recit il Dhammapal a Jataka, e il re raggiunse il frutto della terza via. Quando fu sul punto di mo rire il re ottenne lo stato di Arahatta: non pratic mai il grande sforzo in solit udine. Appena il re ebbe sperimentato il frutto della conversione, prese la ciot ola del Buddha e guid il Beato e tutti i suoi seguaci nel palazzo, per servire lo ro cibo saporito. Quando il pranzo fu terminato, le donne della casa vennero a rendere omaggio al Beato, eccetto solo la madre di Rahula; ella rimase da sola, pensando: "Se io ho un minimo valore agli occhi del mio signore, egli stesso verr da me e a llora gli render omaggio". Effettivamente il Buddha and nella camera della madre di Rahula, accompagnato dai due principali discepoli, e si sedette nel posto che gli era stato preparato. L

a madre di Rahula accorse velocemente, pose le mani sulle sue caviglie, ed appog gi la testa sui suoi piedi, rendendo cos omaggio come si era proposta. Allora il r e disse al Beato: "Da quando mia figlia ha udito che hai indossato abiti da monaco, anche lei ha i ndossato solo abiti dello stesso tipo; da quando ha udito che mangiavi solo un p asto al giorno, anche lei ha fatto solo un singolo pasto; da quando ha udito che avevi dimenticato l'uso dei giacigli elevati, anche lei ha dormito su una stuoi a appoggiata direttamente al suolo; e quando i suoi parenti avrebbero voluto osp itarla e circondarla con ogni lusso, ella non li ha ascoltati. Tale la sua bont, o Beato". "Non c' da meravigliarsi", osserv il Beato, "che eserciti l'autocontrollo ora, che la sua saggezza maturata; poich non faceva meno quando la sua saggezza non era a ncora matura". Ed egli narr il Canda-kinnara Jataka. Il secondo giorno un figlio di Suddhodhana e la signora Gautami dovevano celebra re contemporaneamente la sua instaurazione come principe ereditario ed il suo ma trimonio con Janapada Kalyani, la bellezza del paese. Ma il Buddha and a casa sua , e gli mise in mano la propria ciotola; e, nell'intento di fargli capire che av rebbe dovuto abbandonare il mondo, gli augur la vera felicit; poi, alzatosi, se ne and per la sua strada. Il giovane, non osando dire al Maestro: "Prenditi indietro la tua ciotola", fu obbligato a seguirlo al suo ritiro, e il Buddha lo ricevette, bench fosse riluttante, nell'ordine, ed egli fu ordinato mon aco. La mattina seguente la madre di Rahula vest il bambino con i suoi migliori abiti e lo mand dal Beato, dicendogli: "Guarda, mio caro, quel monaco che accompagnato da cos tanti Fratelli: egli tuo p adre, che possedeva un grande tesoro, che non abbiamo pi visto da quando ci ha la sciati. Adesso vai da lui e digli: "O padre, io sono tuo figlio, ed ho bisogno d el tesoro; dammi il tesoro, perch un figlio l'erede della propriet del padre". Cos il bambino and dal Beato e rimase davanti a lui contento e di buon umore. Quan do il Beato ebbe terminato il suo pasto, si alz e se ne and, e il ragazzo lo segu, dicendo, come sua madre gli aveva insegnato: "O monaco! Dammi la mia eredit". Allora il Beato disse a Sariputta: "Bene, allora, Sariputta, ricevi Rahula nel nostro ordine". Ma quando il re venne a sapere che suo nipote era stato ordinato ne fu profondam ente dispiaciuto; manifest il suo disappunto al Maestro, ed ottenne da lui la pro messa che in futuro nessun figlio sarebbe stato accettato nell'ordine senza il c onsenso dei suoi genitori. Quindi, dopo che il re Suddhodana ebbe ottenuto il fr utto della terza via, il Beato, con la compagnia dei Fratelli, ritorn a Rajagaha, e stabil la sua residenza nella Selva di Sita. Ma tra Kapilavatthu e Rajagaha il Maestro si arrest per breve tempo nel Bosco di Manghi di Anupiya. Mentre era in quel luogo un certo numero di Sakya decise di u nirsi alla sua congregazione, e a questo scopo lo seguirono cost. I pi importanti prncipi erano Anuruddha, Bhaddiva, Kimbila, Ananda, il cugino del Buddha, che fu in seguito designato suo servitore personale, e Devadatta, altro cugino del Budd ha, che fu sempre suo nemico. La conversione di Anathapindika A quei tempi c'era un ricchissimo mercante, di nome Anathapindika, che risiedeva in casa di un amico a Rajagaha, e che ebbe notizia che era sorto un Beato Buddh a. Di prima mattina egli and dal Maestro, ascolt la legge, si convert, fece una gra nde donazione all'ordine, e ricevette dal Maestro la promessa che avrebbe visita to Savatthi, la patria del mercante. Allora, lungo l'intero percorso di una dist anza di quarantacinque leghe, costru un padiglione ad ogni lega. Compr il grande b osco di Jetavana a Savatthi per il prezzo di tante monete d'oro quante ne occorr evano per ricoprirne tutta la superficie. Al centro fece costruire una camera co nfortevole per il Maestro, celle separate per gli ottanta anziani attorno ad ess

a, e molte altre residenze con lunghe sale, tetti a terrazze, terrapieni su cui passeggiare di notte e di giorno, e riserve d'acqua. Quindi mand al Maestro un me ssaggio per avvertirlo che tutto era pronto. Il Maestro part da Rajagaha, e nel t empo necessario raggiunse Savatthi. Il ricco mercante, con sua moglie, suo figli o e le sue due figlie, vestiti da festa, e accompagnati da un seguito imponente uscirono ad accoglierlo; quando il Beato, da parte sua, entr nel monastero appena costruito con tutta la grazia infinita e l'incommensurabile maest di un Buddha, fece brillare il bosco con la gloria della sua persona, come se fosse stato cosp arso di polvere d'oro. Allora Anathapindika chiese al Maestro: "Che devo fare di questo monastero?" Il Maestro rispose: "Donalo all'Ordine, sia l'attuale che il futuro". Il grande mercante, spruzzando acqua da un vaso d'oro nelle mani del Maestro, co nferm il regalo in questo modo. Il Maestro lo accett, ringrazi, lod la destinazione dei monasteri e la loro donazione. La festa per la consacrazione dur nove mesi. A quei tempi abitava a Savatthi, la pi importante citt del Kosala, anche la signora Visakha, moglie del ricco mercante Punnavaddhana. Essa si fece patrona e sosten itrice dell'ordine, e provoc anche la conversione di suo suocero, che era un ader ente dei Jaina svestiti; per questa ragione ottenne il nome di madre di Migara. Inoltre aveva offerto all'Ordine il monastero di Pubbarama, il cui pregio e sple ndore erano secondi solo a quelli del monastero fatto erigere dallo stesso Anath apindika. Il Buddha scongiura una guerra Tre stagioni delle piogge erano state trascorse dal Signore nella Selva dei Bamb. Fu nella quinta stagione, quando egli risiedeva nella residenza di Kutagara, ne lla grande foresta vicino a Vesali, che sorse una disputa tra i Sakya e i Koliya a proposito dell'acqua del fiume Rohim, che a causa di una grande siccit, quell' anno non era sufficiente ad irrigare i campi di entrambe le rive. Il litigio sal di tono e si stava per mettere mano alle armi, quando il Buddha si rec sul luogo, e si sedette sulla riva del fiume. Si inform della ragione per cui i prncipi Saky a e i Koliya si erano riuniti, e quando venne a sapere che si erano riuniti per battersi, chiese quale fosse il motivo della disputa. I prncipi risposero che non lo sapevano con precisione, e lo fecero domandare al comandante in capo, che a sua volta non lo sapeva, e lo domand al reggente; cos l'inchiesta prosegu fino a gi ungere al padrone delle terre, che rifer sull'intera faccenda. "A quanto ammonta il valore dell'acqua?" chiese il Buddha. " infimo", risposero i prncipi. "E quello della terra?" "Anche quello molto basso", dissero. "E il valore dei prncipi?" "Non pu essere misurato", risposero. "E voi vorreste", disse il Buddha, "distruggere ci che ha il valore pi elevato per qualcosa di cos poco pregio?" E calm la collera dei combattenti recitando diversi Jataka. Allora i prncipi pensa rono che grazie all'intervento del Buddha un grande spargimento di sangue era st ato evitato, e che se cos non fosse stato, avrebbe potuto non essere rimasto ness uno di loro, per riferire la storia alle loro mogli e ai loro figli. Perci, se eg li fosse diventato, come avrebbe potuto se lo avesse desiderato, un monarca univ ersale, essi ne sarebbero stati i vassalli; scelsero duecentocinquanta uomini tr a di loro, da ognuna delle due parti, perch divenissero suoi servitori, e si unis sero all'ordine. Ma questi cinquecento furono ordinati per desiderio dei loro pa renti, e non per loro volont propria, e le loro mogli si dispiacquero molto della loro mancanza. L'ammissione delle donne

Avvenne in quel tempo che Suddhodana si ammalasse di un morbo mortale, e appena questo fu riferito al Beato, egli si rec a Kapilavatthu per far visita a suo padr e. Quando fu arrivato davanti a lui, gli predic l'instabilit di tutte le cose, cos icch Suddhodana raggiunse il frutto della quarta via, l'Arahatta, e il Nibbana; e quindi mor. Dopo la morte di suo marito la regina vedova, la matrona Gautami, de cise di adottare la vita monastica, si tagli i capelli e si rec nel luogo dove il Buddha risiedeva. Era accompagnata dalle mogli dei cinquecento prncipi che erano stati ordinati in occasione della battaglia sventata sul fiume Rohini, perch esse ritenevano fosse meglio per loro ritirarsi dal mondo, che restare a casa come v edove. La matrona Gautami disse al Buddha che poich Suddhodana era morto, e Rahul a e Nanda erano entrambi ordinati Fratelli, ella non desiderava restare sola, e chiese se poteva essere ammessa nell'ordine, con le principesse che l'avevano se guita. Ma il Buddha rifiut questa richiesta, una prima, una seconda, e una terza volta, perch pensava che se fossero state ammesse le donne, avrebbero distratto l e menti di molti che non avevano ancora avuto accesso alle vie, e questo avrebbe dato adito a voci maligne contro l'Ordine. Dopo esser state ripetutamente rifiu tate, le donne non osavano chiedere una quarta volta, e tornarono a casa loro. I l Buddha torn nella residenza di Kutagara, vicino a Vesali. La matrona Gautami disse alle altre principesse: "Figlie mie, il Buddha ci ha rifiutato tre volte l'ammissione all'ordine; sforzi amoci di raggiungerlo dove si trova ora, e non potr pi negarcela". Si tagliarono tutte i capelli, adottarono l'abbigliamento monastico, e portando con s ciotole di terracotta per l'elemosina, si avviarono nella direzione di Vesa li a piedi; ritenevano infatti che fosse contrario alla disciplina che un'anacor eta viaggiasse in carrozza. Cos quelle, che in tutta la loro vita avevano cammina to solo su lisci pavimenti, e considerato un avvenimento eccezionale salire o sc endere da un piano all'altro dei loro palazzi, percorsero le strade polverose, e fu solo verso sera che raggiunsero il luogo dove stava il Buddha. Furono ricevu te da Ananda. Quando egli le vide, con i piedi sanguinanti, ricoperte di polvere , e mezze morte, il suo cuore si riemp di compassione e i suoi occhi di lacrime, e chiese il significato del loro viaggio. Quando lo ebbe conosciuto, ne inform il Maestro, descrivendo tutto ci che aveva visto. Ma il Buddha rispose semplicement e: "Basta, Ananda, non mi chiedere che le donne si ritirino dalla vita domestica pe r la vita errante, sotto la dottrina e la disciplina di Colui-che-ha-raggiunto-c i". E lo ripet tre volte. Ma Ananda supplic ancora il Beato di accettare le donne nell a vita errante. Chiese al Beato: "Le donne sarebbero in grado, reverendo Signore, se si ritirano dalla vita domes tica alla vita errante, di ottenere i frutti della prima, della seconda, della t erza e della quarta via, e anche l'Arahatta?" Il Buddha non pot negare che le donne ne sarebbero state capaci. "I Buddha", chiese ancora Ananda, "sono nati nel nostro mondo solo a beneficio degli uomini? Sicuramente lo sono anche a beneficio delle donne". Allora il Beato acconsent che le donne potessero pronunciare la professione di fe de ed entrassero nell'ordine, sottostando alle condizioni degli Otto Doveri di s ubordinazione ai Fratelli. "Ma", aggiunse, "se le donne non fossero state ammesse nell'ordine, la buona leg ge sarebbe durata mille anni, e adesso resister solo per cinquecento anni. Perch c os come, quando la gramigna invade un fiorente campo di riso, questo campo non pu prosperare a lungo, nello stesso modo quando le donne si ritirano dalla vita dom estica alla vita errante sotto una dottrina e una disciplina, la norma non resis te a lungo. E cos come un grosso bacino si rinforza con una diga possente, cos io ho stabilito una barriera di otto importanti regole che non devono essere trasgr edite, finch dura la vita". Fu cos che la matrona Gautami e le cinquecento principesse furono ammesse nell'or dine; non era passato molto tempo che Gautami raggiunse lo stato di Arahatta e l e cinquecento principesse colsero il frutto della prima via. Questi avvenimenti ebbero luogo nel sesto anno dall'Illuminazione.

Dal sesto al quattordicesimo anno La sesta stagione delle piogge fu trascorsa a Savatthi, e quindi il Beato si tra sfer a Rajagaha. Il nome della moglie del re Bimbisara era Khema; ella andava tal mente fiera della sua bellezza che non si era mai degnata di far visita al Maest ro: ma in una certa occasione il re organizz un incontro per mezzo di uno stratag emma. Allora il Buddha comp un miracolo per lei: produsse l'immagine di una delle belle ninfe del cielo di Indra, e mentre lei la osservava, la fece passare attr averso tutti gli stadi della giovent, della maturit, della vecchiaia e della morte . Con questa terribile visione, la regina si convinse ad ascoltare l'insegnament o del Maestro, entr nella prima via, e in seguito avrebbe ottenuto lo stato di Ar ahatta. Mentre il Maestro risiedeva a Rajagaha un ricco mercante di quel luogo venne in possesso di un pezzo di legno di sandalo, e ne fece una ciotola. Si affrett ad ap penderla ad un'alta canna di bamb, e sollevando cos la ciotola in alto, annunci: "Se c' qualche pellegrino o Brahmano che possieda poteri miracolosi, tiri gi quest a ciotola". Allora Mogallana e altri Fratelli si incitarono l'uno con l'altro a tirarla gi; e un altro, di nome Pindola-Bharadvaja, si sollev nel cielo e prese la ciotola, fa cendo poi tre volte il giro della citt prima di scendere, tra lo stupore di tutti i cittadini. Quando questo fu riportato al Buddha, questi comment: "Tutto ci non porter alla conversione di chi non convinto, e non porter alcun vanta ggio ai convertiti". E proib ai Fratelli di dare esibizione dei poteri miracolosi. Il Buddha incontr op posizione nel suo insegnamento, in particolare da parte di sei Maestri eretici, ognuno dei quali aveva un grosso seguito di aderenti. Uno di questi Maestri era Sanjaya, il primo Maestro di Sariputta e Mogallana; un altro era Nigantha Natapu tta, che pi noto come Vardhamana, il fondatore della setta dei Jaina, la cui stor ia ricorda sotto molti aspetti quella del Buddhismo; ma che, contrariamente al B uddhismo, conta ancora molti aderenti nell'India propriamente detta. Questi dive rsi Maestri non riuscirono a trovare alcun appoggio nel regno di Bimbisara, e qu indi si trasferirono a Savatthi, sperando di assicurarsi una maggiore influenza sul re Prasenajit. Savatthi era il luogo dove i primi Buddha avevano mostrato i loro miracoli maggiori, e ricordando questo il Buddha procedette a quella volta con l'intenzione di disorientare i suoi oppositori. Trasport la sua residenza nel monastero di Jetavana. Immediatamente dopo mostr al popolo, ai sei Maestri, e al re Prasenajit, una serie di grandi miracoli: cre una grande strada in mezzo al c ielo, che andava da Oriente a Occidente, e vi cammin sopra mentre predicava la bu ona legge. In questo modo i Maestri eretici furono sconfitti. A proseguimento del grande miracolo, il Buddha part in direzione del Cielo dei Tr entatr, e l predic la legge a sua madre, Maha Maya. Il Buddha rest nel Cielo dei Tre ntatr per tre mesi, e durante questo tempo cre un'immagine di se stesso, che conti nu ad insegnare la legge sulla terra, e ogni giorno and in giro a mendicare cibo. Quando il Buddha stava per discendere dal cielo, Sakka comand a Vissakamma, l'arc hitetto divino, di creare una scala tripla, i cui piedi furono posti vicino alla citt di Sankissa. E il Buddha discese in quel luogo, scortato da Brahma alla des tra e Sakka alla sinistra. Da Sankissa il Maestro torn al monastero di Jetavana vicino a Savatthi. Qua i Mae stri eretici convinsero una giovane donna di nome Cinca ad agire in modo tale da far sorgere nella gente il sospetto di una relazione tra lei e il Maestro. Dopo molte visite al monastero, ella escogit un modo per assumere l'apparenza di una donna in stato avanzato di gravidanza, e nel nono mese lanci un'accusa aperta, e chiese che il Maestro le provvedesse un luogo per il parto. Il Buddha rispose co n voce grave: "Sorella, se le tue parole sono vere o false, lo sappiamo solo tu ed io". In quello stesso istante cedettero i legacci, con i quali la donna si era legata una palla di legno per assumere l'apparenza di una donna incinta. Spinta dal po polo indignato, spar in mezzo a fiamme che erano sorte dalla terra, e scese nella parte pi bassa del Purgatorio.

Il nono ritiro fu trascorso nel Ghositarama a Kausambi. Tra i Fratelli sorsero v iolenti scontenti su questioni di disciplina, e la saggezza e gentilezza del Bud dha non furono sufficienti a restaurare la pace. Allora egli lasci i Fratelli e p rocedette fino al villaggio di Balajalonakara, con l'intenzione di stabilirvisi da solo come eremita. Durante il percorso incontr Anuruddha, Nandiya e Kimbila, c he vivevano contenti in perfetta concordia, e rinfranc i loro cuori con un discor so religioso. Poi si stabil nella Selva di Rakkhita e vi visse in solitudine. Dopo aver risieduto un certo tempo a Parileyyaka, il Signore si spost a Savatthi. I Fratelli ribelli di Kausambi avevano ricevuto tali inequivocabili segni di di sprezzo da parte dei laici di quella citt, che risolsero di recarsi a Savatthi e di esporre l'argomento della disputa al Maestro; accettarono la sua decisione e cos la pace fu restaurata. Durante l'undicesimo ritiro il Maestro risiedette a Rajagaha. Un giorno vi vide un Brahmano, di nome Bharadvaja, che sovrintendeva alla coltivazione dei suoi ca mpi. Il Brahmano, vedendo che il Buddha si manteneva con le elemosine degli altr i, osserv: "O pellegrino, io aro e semino, ed cos che mi procuro il cibo. Anche tu ari e sem ini con lo stesso scopo?" Il Buddha replic: "Anch'io aro e semino, ed cos che mi procuro il cibo". Il Brahmano ne fu sorpreso, e disse: "Non vedo, o reverendo Gautama, che tu abbia un giogo, un vomere, un pungolo, o buoi. Allora, come puoi dire che anche tu coltivi?" Il Signore rispose: "La fede il seme che semino; la devozione la pioggia; la modestia il manico dell 'aratro; la mente la barra del giogo; e la concentrazione il mio aratro e pungol o. L'energia la mia coppia di buoi, che conduce alla salvezza, che procede senza errori, fino al luogo dove non c' pi dolore". E Bharadvaja fu talmente toccato da questa parabola che si convert, fece professi one di fede, e fu ammesso nell'Ordine. Il tredicesimo anno, mentre il Buddha stava a Kapilavatthu, fu vittima di violen ti insulti da parte di suo suocero, Suprabuddha, e predisse che entro una settim ana Suprabuddha sarebbe stato inghiottito vivo dalla terra. E bench Suprabuddha a vesse trascorso l'intera settimana nella torre del suo palazzo, la terra si apr e d egli fu inghiottito in accordo con la profezia, e sprofond nel Purgatorio Infer iore. Il Signore torn da Kapilavatthu al monastero di Jetavana a Savatthi e da l procede tte verso Alavi, un luogo che era infestato da un orco mangiatore di uomini, che aveva l'abitudine di divorare i bambini del paese giorno dopo giorno. Quando il Buddha apparve davanti a lui, fu accolto da minacce, ma il Maestro, co n gentilezza e pazienza, riusc ad addolcire il suo cuore, e riusc anche a risponde re alle domande poste dall'orco, che divent un credente ed emend la sua vita. Il M aestro conquist alla buona legge anche il feroce brigante Angulimala, che, nonost ante la sua vita malvagia, raggiunse rapidamente lo stato di Arahatta. All'incirca nello stesso tempo il pio Anathapindika diede sua figlia in matrimon io al figlio di un amico che risiedeva ad Anga, e poich la famiglia di Anga soste neva il Maestro eretico Nigantha, diede a sua figlia un seguito di servitrici pe r sostenerla nella giusta fede. La giovane moglie rifiut di onorare gli asceti Ja ina svestiti, e risvegli in sua suocera un impellente desiderio di udire la predi cazione del Maestro: quando egli arriv, l'intera famiglia e molti altri si conver tirono. Lasciando il compito del lavoro di conversione ad Anuruddha, il Buddha t orn a Savatthi. La vita quotidiana del Buddha In questo modo trascorse anno dopo anno il ministero del Buddha errante, ma gli eventi degli anni intermedi non possono essere ordinati con esattezza; baster dar e una descrizione generale della vita quotidiana del Maestro a quel tempo.

[Nota: Ci che segue citato dall'ammirevole riassunto di Oldenberg. Buddha, traduz ione inglese di W. Hoey.] "Da un anno all'altro si ripet per Buddha e i suoi discepoli l'alternanza tra per iodi erranti e periodi di riposo e di ritiro. Nel mese di giugno, quando, dopo i l secco e rovente calore dell'estate indiana, le nuvole arrivano in masse torreg gianti, e i tuoni rombanti annunciano l'avvicinarsi del monsone carico di pioggi a, l'Indiano di oggi, come nelle epoche passate, prepara se stesso e la sua casa per il periodo durante il quale tutte le solite operazioni sono interrotte dall a pioggia: per intere settimane i torrenti straripanti confinano gli abitanti ne lle loro capanne, o perlomeno, nei loro villaggi, mentre le comunicazioni con i vicini sono interrotte da rapide e turbolente correnti, e da inondazioni. "Gli u ccelli", dice un antico testo buddhistico, "costruiscono i loro nidi sulla cima degli alberi. L nidificano e si nascondono durante la stagione umida". E cos anche , era una pratica stabilita per i membri degli ordini monastici, indubbiamente n on solo dai tempi di Buddha, ma da quando era esistito in India un sistema di pe regrinazioni religiose, che si sospendessero le operazioni itineranti durante i tre mesi di pioggia che venivano passati in tranquillo ritiro nelle vicinanze di citt e villaggi, dove si poteva trovare un sicuro sostegno nella carit dei creden ti... Anche Buddha "osservava vassa, la stagione delle piogge" circondato da gru ppi di discepoli, che si riunivano insieme per passare la stagione piovosa vicin o al loro Maestro. Durante questa stagione i re e i ricchi si contendevano l'ono re di trattare come ospiti lui e i discepoli che erano con lui, alloggiandoli in residenze e giardini che avevano fornito alla comunit. Quando le piogge finivano , ricominciava la vita errante: Buddha andava di citt in citt, di villaggio in vil laggio, sempre scortato da un gran numero di discepoli: i testi dicono spesso ch e in un luogo fossero trecento, e in un altro cinquecento, a seguire il loro Mae stro. Lungo le strade maestre, dove i pellegrini religiosi, come i mercanti viag giatori, erano soliti passare, i credenti che abitavano nei paraggi avevano cura di procurare rifugi in cui Buddha e i suoi discepoli potessero riparare: o, dov unque risiedessero i monaci che professavano la dottrina, si era sicuri di trova re un alloggio nelle vicinanze; e quand'anche non esistesse altro riparo, non ma ncavano gli alberi di mango e di banyan, ai piedi dei quali il gruppo poteva fer marsi per la notte... "I centri pi importanti di questi pellegrinaggi, e allo stesso tempo approssimati vamente i punti estremi, a Nord-Ovest e a Sud-Est dell'area, nei quali trascorre va la vita errante del Buddha, erano le capitali dei re di Kosala e Magadha, Sav atthi, ora Sahet Maheth sul Rapti; e Rajagaha, ora Rajgir, a Sud di Bihar. Nelle immediate vicinanze di queste citt la comunit possedeva molti bei giardini, nei q uali erano erette strutture di vari tipi per le necessit dei membri. "Non troppo lontani e neppure troppo vicini alla citt", cos dice la descrizione tipica di tali parchi che si ritrova nei testi sacri, "ben provvisti di entrate e di uscite, d i facile accesso per chi cerca di raggiungerli, senza troppo trambusto durante i l giorno, tranquilli di notte, lontani dall'agitazione e dalle folle, luoghi di ritiro, posti benefici per la meditazione solitaria". Uno di questi parchi era i l Veluvana, "la Selva dei Bamb", che era stato in precedenza terreno di piacere d el re Bimbisara, e che da lui era stato offerto a Buddha e alla Chiesa; un altro ancora pi noto era Jetavana a Savatthi, un dono elargito dal pi generoso ammirato re di Buddha, il grande mercante Anathapindika. Non solo i testi sacri, ma anche testimonianze monumentali, i rilievi del grande Stupa di Bharhut, recentemente esplorato, mostrano come questo dono di Anathapindika fosse altamente celebrato fin dai primi giorni della Chiesa buddhista... Se si pu parlare di una dimora nel la vita errante di Buddha e dei suoi discepoli, luoghi come Veluvana e Jetavana possono pi di tutti gli altri essere cos chiamati, vicini ai grandi centri della v ita indiana, ed ancora intoccati dall'agitazione delle capitali, un tempo quiete residenze di vacanza di sovrani e nobili, prima che i mendicanti giallo-vestiti apparissero sulla scena e "la Chiesa nei quattro punti cardinali, presente e as sente" succedesse nel possesso dell'eredit regale. In questi parchi si trovavano le residenze dei Fratelli, case, sale, chiostri, magazzini, circondati da vasche di loti, fragranti manghi, snelle palme a ventaglio che ergevano il loro foglia

me in alto, al di sopra di tutto il resto, e dalla fitta verzura dell'albero nya grodha, le cui radici, cadendo dall'aria sulla terra, diventano nuove talee, e c on le loro arcate fresche, ombrose, e sentieri arborei, sembrano invitare alla m editazione serena. "Questi erano gli ambienti nei quali Buddha trascorse gran parte della sua vita, probabilmente i suoi periodi pi ricchi di effettivo lavoro. Qui masse di popolaz ione, sia laiche sia monastiche, si accalcavano per vederlo e per udirlo predica re. Qui giunsero da paesi lontani monaci pellegrini che avevano saputo della fam a dell'insegnamento di Buddha, e passata la stagione delle piogge, intraprendeva no un pellegrinaggio per vedere il Maestro di persona... "La fama della persona di Buddha attrasse da vicino e da lontano folle di person e che gli stavano attorno, pur senza penetrare nei circoli pi interni della comun it. Le persone si dicevano l'una con l'altra: "La gente viene dall'asceta Gotama, attraversando regni e paesi, per conversare con lui". Spesso, quando avveniva c he si fermasse vicino alle residenze dei potenti, re, prncipi e dignitari arrivav ano su carri o su elefanti per rivolgergli domande e udire la sua dottrina. Tale scena descritta all'inizio del "Sutra sul frutto dell'ascesi", e riappare nelle rappresentazioni pittoriche dei rilievi di Bharhut. Il Sutra racconta come il r e Ajatasattu di Magadha, nella "Notte del Loto" - che , nel plenilunio di ottobre , il periodo in cui i loti fioriscono - sedesse all'aria aperta, circondato dai suoi nobili sul tetto piatto del suo palazzo. "Allora", come riportato in questo testo, "il re di Magadha, Ajatasattu, il figlio dei prncipi Vaidehi, lanci questa esclamazione: 'Bella in verit questa notte di luna piena, piacevole in verit ques ta notte di luna piena, grandiosa in verit questa notte di luna piena, felici pre sagi in verit d questa notte di luna piena. Quale Samana (frate mendicante, Bhikkh u) o quale Brahmano potr consultare, perch la mia anima si rincuori ascoltandolo?' " Un consigliere nomina questo, e un altro quel Maestro; ma Jivaka, il medico de l re, siede in silenzio. Allora il re di Magadha, Ajatasattu, figlio di Vedehi, si rivolse a Jivaka Komarabhacca: "Perch taci, o amico Jivaka?" - "Sire, nel mio bosco di manghi risiede il Sublime, Santo, Supremo Buddha, con una grande quanti t di discepoli, con trecento monaci; di lui, il Sublime Gotama, si sparge per il mondo un elogio rispettoso, in questi termini: Egli, il Sublime, il Santo, Supre mo Buddha, il Saggio, l'illustre, il Benedetto, che conosce l'universo, il pi ele vato, che soggioga gli uomini come buoi, il Maestro di dei e uomini, il Sublime Buddha. Sire, vai ad ascoltarlo, il Sublime: se per caso lo vedi, il Sublime, la tua anima, o sire, si rinvigorir" - Cos il re ordina che gli elefanti siano prepa rati per lui e le regine, e la processione reale si muove con torce accese in qu ella notte di luna piena, attraversando il cancello di Rajagaha verso il bosco d i manghi di Jivaka, dove si dice che il Buddha abbia tenuto al re il famoso disc orso "Sui frutti dell'ascesi", alla fine del quale il re si unito alla Chiesa co me membro laico... "Una conclusione frequente di questi dialoghi , naturalmente, che gli avversari b attuti dai partigiani di Buddha invitino lui e i suoi discepoli a pranzo per il giorno seguente: "Signore, che il Sublime e i suoi discepoli vogliano gradire di accettare un invito a pranzo da me domani". E Buddha permette che il suo silenz io sia interpretato come un consenso. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, quando il pranzo pronto, l'ospite invia a Buddha il messaggio: "Signore, l'ora, il pran zo pronto"; e Buddha prende il suo mantello e la sua ciotola per le elemosina e si reca con i discepoli nella citt o villaggio della residenza del suo ospite. Do po pranzo... durante il quale l'ospite stesso e la sua famiglia servono gli invi tati, quando l'usuale lavaggio delle mani terminato, l'ospite prende posto con l a famiglia di fianco a Buddha e Buddha rivolge loro un discorso di ammonimento s pirituale e di istruzione. "Se la giornata non riempita da un invito, Buddha, secondo le abitudini monastic he, intraprende il suo giro di questua nel villaggio o nella citt. Egli, come pur e i suoi discepoli, si alza presto, quando la luce dell'alba appare nel cielo, e trascorre i primi momenti della giornata in esercizi spirituali o in conversazi one con i suoi discepoli, per poi procedere con i suoi compagni verso la citt. Ne i giorni in cui la sua reputazione era all'apice e il suo nome era pronunciato i n tutta l'India, con quelli dei personaggi pi famosi, giorno dopo giorno, si pote

va vedere quest'uomo davanti a cui gli stessi re si prosternavano, che camminava , con la ciotola delle elemosine in mano, per strade e vicoli, di casa in casa, senza formulare alcuna richiesta, con sguardo modesto, e che stava ad aspettare silenzioso che un boccone di cibo venisse deposto nella sua ciotola. "Quando era tornato dal giro di questua ed aveva mangiato il suo pasto, seguiva, come richiedeva il clima indiano, un momento, se non di sonno, di riposo e tran quillo raccoglimento. Riposando in una camera quieta o, meglio ancora, nella fre sca ombra di un denso fogliame, trascorreva le afose e soffocanti ore del pomeri ggio in solitaria contemplazione finch giungeva la sera che lo strappava una volt a di pi dal sacro silenzio all'animata compagnia di amici ed avversari". La designazione di Ananda Durante i primi vent'anni di vita del Buddha, i suoi servitori personali non era no tali in modo permanente. I Fratelli facevano a turno nel portare la ciotola e il mantello del Maestro, ed egli non favoriva l'uno piuttosto che l'altro. Ma u n giorno si rivolse ai Fratelli, dicendo: "O Bhikkhu, incomincio ad essere avanti negli anni (a quel tempo il Buddha aveva cinquantasei anni): alcuni Bhikkhu, quando gli si dice: "Andiamo di qua", prend ono un'altra strada, altri lasciano cadere per terra la mia scodella e il mio ma ntello. Conoscete qualche Bhikkhu che possa essere il mio servitore personale pe rmanente?" Allora il venerabile Sariputta si alz e disse: "Io, o Signore, ti servir". Il Sublime lo scart, e scart pure Mogallana il Grande. Dopo di ci, tutti i principali discepoli dissero a turno: "Io ti servir". Solo Ananda rimase silenzioso, perch pensava: "Il Maestro stesso dir chi accetta". Allora il Sublime disse: "O Bhikkhu, Ananda non dev'essere spinto da altri: se lo sa da se stesso, mi ser vir". Allora Ananda si alz e disse: "Se, Signore, vorrai negarmi quattro cose, e concedermene altre quattro, allora ti servir". Le quattro cose che Ananda desiderava gli fossero negate erano i favori particol ari, perch non voleva che si dicesse che si incaricava del servizio per ottenere abiti, buon vitto, alloggio e inviti. Le quattro concessioni che desiderava eran o che il Buddha avrebbe accettato ogni invito ricevuto attraverso Ananda, che sa rebbe stato facilitato l'accesso a chi Ananda portava per parlare con lui, e pur e ad Ananda stesso, e che avrebbe ripetuto ad Ananda le dottrine che questi desi derava udire nuovamente: infatti Ananda non desiderava che si pensasse che il Bu ddha non gli dava importanza, o che la gente dicesse che il servitore particolar e del Buddha non era versato nella dottrina. Tutte queste concessioni furono dat e dal Beato, e da quel momento in avanti, fino al giorno della sua morte, Ananda rimase il servitore permanente del Buddha. Ananda non raggiunse lo stato di Ara hatta che dopo la morte del Buddha. [Nota: Il servizio personale del Buddha comprendeva il compito di portargli l'ac qua e lo spazzolino da denti, di lavargli i piedi, di accompagnarlo fuori, di po rtare la sua ciotola e il mantello, pulirgli la cella, e fare le funzioni di cia mbellano.] L'inimicizia di Devadatta Nella descrizione della vita quotidiana del Buddha riportata nelle pagine antece denti, fatta menzione di Ajatasattu, re di Magadha. Questo Ajatasattu era il fig lio di Bimbisara, il principale sostenitore regale del Buddha. Quando Ajatasattu fu concepito, un presagio e una profezia indicarono che sarebbe stato l'assassi

no di suo padre. E questo avvenne sotto istigazione di Devadatta. Un giorno in c ui il Buddha stava insegnando nella Selva dei Bamb, Devadatta propose che a causa dell'avanzata et del Maestro, il comando della congregazione fosse esercitato da lui stesso. Dal momento in cui questo suggerimento fu decisamente respinto, l'i nimicizia e la volont di nuocere di Devadatta aumentarono grandemente. A causa di ci che aveva avuto luogo, il Buddha promulg un decreto contro Devadatta, perch era un rinnegato le cui parole non dovevano essere considerate come procedenti dal Buddha, dalla legge, e dalla comunit. L'adirato Devadatta si present davanti ad Aj atasattu, il figlio ed erede del re Bimbisara, e lo persuase a trucidare suo pad re e ad usurpare il trono, mentre Devadatta avrebbe ucciso il Maestro e sarebbe diventato un Buddha. Bimbisara, comunque, scopr l'intenzione di suo figlio, ma, i nvece di punirlo in qualche modo, abdic al trono e lasci il comando a suo figlio. Nonostante questo, poich Devadatta lo avvert che Bimbisara avrebbe potuto desidera re di recuperare il trono, Ajatasattu lo fece morire d'inedia. Allora Devadatta si assicur del consenso del nuovo re per l'assassinio del Buddha , e assold trentun uomini per mettere in atto il suo progetto. Tutti questi uomin i, per, nonostante fossero criminali nati, furono cos toccati dalla maest e dall'af fabile gentilezza del Maestro, che non poterono alzare le mani contro di lui, ma , al contrario, si convertirono e si unirono alla comunit. Devadatta si convinse cos che il Buddha non poteva essere ucciso da nessun essere umano, e decise di la nciargli contro il feroce elefante Malagiri. Questa bestia era abituata a bere o tto misure di liquore alcolico ogni giorno, ma Devadatta ordin al guardiano di da rgliene sedici misure l'ultimo giorno, e di lasciarlo libero contro il Buddha qu ando questi percorreva le vie. Il Buddha fu messo al corrente di ci che stava per avvenire, ma rifiut di cambiare il suo percorso abituale, ed entr nella citt alla solita ora, accompagnato da un gruppo di Bhikkhu. Allora l'elefante fu lasciato libero contro di lui, e si mise a caricare rabbioso per le strade, causando disa stri. I Bhikkhu supplicarono il Maestro di fuggire, ma egli non volle; cercarono allora di camminare davanti a lui, perch non fosse il primo ad incontrare la bes tia selvaggia, ma il Buddha proib questo procedimento, salvo che per Ananda a cui imped solo di usare poteri miracolosi. In quel momento l'elefante stava per schi acciare la madre di un bambino che era corso in strada ignaro del pericolo; ma i l Buddha chiam l'elefante: "Non era inteso che tu distruggessi altri esseri oltre a me: io sono qui; non sp recare la tua forza per un oggetto meno nobile". Udendo la voce del Buddha, l'elefante guard verso di lui; immediatamente gli effe tti dell'alcol si dissolsero, e l'elefante gli si avvicin con modi gentili e si i nginocchi davanti a lui. Il Maestro gli ordin di non prendere pi vite umane in futu ro, e di essere gentile con tutta la gente: e l'elefante ripet i cinque precetti davanti alla folla riunita. Cos fu soggiogata l'irruenza di Malagiri, e se non fo sse stato un quadrupede, sarebbe entrato nella prima via (gli animali possono os servare i precetti, le divinit possono entrare nelle vie, ma solo gli esseri uman i possono raggiungere l'Arahatta e il Nibbana). Dopo che il Buddha ebbe compiuto il miracolo, riflett che non sarebbe stato conveniente chiedere l'elemosina nell o stesso posto, e quindi torn al monastero di Jetavana, senza procedere al suo gi ro abituale. In seguito a questo, Devadatta tent di creare uno scisma nell'ordine. Insieme a c erti altri Bhikkhu chiese al Buddha di stabilire una regola ascetica pi dura per i Fratelli, che non potessero vestirsi che di vecchi stracci, che vivessero come eremiti dei boschi, che non accettassero inviti, e si astenessero dal mangiare pesce e carne. Il Maestro rifiut di concedere simili richieste, dichiarando che c oloro che lo avessero desiderato potevano adottare questa regola pi severa, ma ch e egli non l'avrebbe resa obbligatoria per tutti. Devadatta, che si aspettava qu esto rifiuto, ne fece il motivo per una divisione all'interno dell'Ordine. Con u n partito di cinquecento Fratelli recentemente ordinati, prese la direzione del Pendio di Gaya. Ma mentre stava predicando in quel luogo, gli capit di vedere Sar iputta e Mogallana tra gli ascoltatori, e pensando che fossero del suo partito, domand a Sariputta di predicare, mentre lui dormiva. Allora Sariputta e Mogallana si rivolsero all'assemblea e persuasero i cinquecento a ritornare dal Maestro. Quando Devadatta si risvegli ed apprese ci che era avvenuto, gli usc sangue bollent

e dalla bocca per la collera. Devadatta giacque malato per nove mesi; alla fine di questo tempo determin di chiedere il perdono del Buddha, perch sapeva che il Ma estro non nutriva cattive intenzioni nei suoi confronti. I suoi discepoli tentar ono di dissuaderlo, sapendo che il Buddha avrebbe rifiutato di vederlo; ma egli si fece trasportare su un palanchino al monastero di Jetavana. I Bhikkhu informa rono il Buddha che si stava avvicinando, ma il Maestro rispose: "Non vedr il Buddha, perch i suoi crimini sono talmente grossi che n dieci, n cento, e neppure mille Buddha possono aiutarlo". Quando raggiunsero il monastero, i discepoli di Devadatta appoggiarono a terra i l palanchino; e allora, nonostante la sua debolezza, Devadatta si alz e si mise i n piedi. Ma non aveva ancora toccato il suolo con i piedi, che da terra sorsero le fiamme dell'inferno pi basso, e lo avvolsero nella loro stretta, prima i piedi , poi il bacino, e finalmente le spalle. Terrorizzato egli proruppe in alte grid a: "Salvami, figlio mio. Sono il cugino del Buddha. O Buddha, anche se ho fatto cos tanto contro di te, salvami in considerazione della nostra parentela!" E ripet la formula per rifugiarsi nel Buddha, nella norma e nell'ordine. In virt d i questo ricevette alla fine l'aiuto delle Tre Gemme, e in una vita futura diver r il Buddha "per s" Sattisara, nonostante che in quel momento fosse finito all'inf erno e avesse ricevuto un corpo di fuoco. Il re Ajatasattu, che aveva trucidato il padre, avvert i rimorsi della coscienza. Non trov conforto nei sei Maestri eretici che erano gli avversari del Signore. E allora, seguendo il consiglio del medico Jivaka - come stato riferito in preced enza - vide il Buddha, ud il suo insegnamento e si convert alla vera fede. La distruzione dei Sakya Non era passato molto tempo che nel settimo anno del regno di Ajatasattu, il fig lio del re di Kosala detronizz suo padre e, per vendicarsi di uno sgarbo, marci co ntro Kapilavatthu. Quasi l'intero clan dei Sakya per nella guerra che ne segu, men tre il partito dei Kosala anneg in una grande inondazione. Quando il Signore ebbe raggiunto il suo settantanovesimo anno - che era il quara ntaquattresimo anno dopo l'illuminazione - Ajatasattu intraprese un'infruttuosa guerra contro i Vajjia di Vesali. Il Buddha fu consultato sulla probabilit di una vittoria, ed grazie a questa circostanza che possiamo conoscere il punto di vis ta del Maestro sulla politica, perch egli dichiara di aver insegnato ai Vajjia le condizioni per condurre bene una guerra; poich lo informano che i Vajjia continu ano ad osservare queste istituzioni, egli predice che non subiranno sconfitte. Q ueste condizioni sono formulate nei termini seguenti: "Finch, Ananda, i Vajjia saranno uniti in concordia, si solleveranno in concordia e porteranno avanti le loro imprese in concordia - finch non promulgheranno nien te di nuovo su ci che gi stabilito, non abrogheranno niente di ci che stato promulg ato in precedenza, e agiranno in accordo con le antiche istituzioni dei Vajjia c he sono state stabilite nei primi tempi - finch onoreranno, stimeranno e riverira nno i Vajjia anziani, e considereranno un dovere prestare attenzione alle loro p arole - finch nessuna donna o ragazza appartenente al proprio clan sar trattenuta tra di loro con la forza e il rapimento - finch onoreranno, stimeranno, riveriran no e sosterranno i santuari Vajjia in citt e in campagna, e non permetteranno che le loro offerte e i riti adeguati, che si compivano ed eseguivano anticamente, cadano in disuso - finch la giusta protezione, difesa, e sostegno saranno forniti pienamente agli Arahat che ci sono tra di loro, cos che gli Arahat lontan i entrino nel regno e quelli che ci sono gi vi vivano a loro agio - finch continue r cos, ci si pu aspettare che i Vajjia non declinino, ma prosperino". In seguito a questo discorso il Maestro riun i Fratelli e illustr quarantun condiz ioni per il benessere di un ordine religioso; di queste condizioni, diverse che riguardano la concordia, l'osservanza, il mantenimento delle regole gi esistenti, l'obbedienza e il rispetto degli anziani, sono identiche a quelle date per una societ secolare. Tra le altre possiamo notare le seguenti: "Finch, o Bhikkhu, ... i Fratelli si accontenteranno di una vita solitaria ... ch

e non si occupino, non si appassionino, e non si mettano in relazione con il com mercio ... che non interrompano il loro percorso verso il Nibbana per l'ottenime nto di qualcosa di molto minor valore ... che si esercitino nell'attivit mentale, nella ricerca della verit, dell'energia, della gioia, della pace, della seria co ntemplazione, dell'equilibrio mentale ... che si esercitino nella realizzazione delle idee di impermanenza di ogni fenomeno, corporeo o mentale, dell'assenza di qualsiasi anima ... vivano tra gli Arahat nella pratica, sia pubblica che priva ta, di quelle virt che producono la liberazione e che sono stimate dal Saggio, ch e non sono macchiate dal desiderio di una vita futura o dalla fede nell'efficaci a degli atti esterni ... vivano tra gli Arahat, curando, sia in pubblico che in privato, quel nobile e provvidenziale discernimento che porta alla completa dist ruzione del dispiacere di chi agisce in accordo con esso - finch osserveranno que ste regole non c' da aspettarsi che declinino, ma che prosperino". E a Rajagaha, sul Picco dell'Avvoltoio, il Maestro istru i Fratelli, e cos anche a Nalanda, sempre nello stesso modo. "Tale la giusta condotta; tale la seria contemplazione; tale l'intelligenza (sil a, samadhi, e panna, sono qualcosa come "opere", "fede" e "ragione" del Cristian esimo. La formula sopra citata appare ripetutamente come riassunto corrente del discorso del Buddha.). Il frutto diviene grande, grande il risultato della seria contemplazione, quando condotta nel modo giusto. Grande diventa il frutto, gran de il risultato dell'intelletto, quando viene usato con seria contemplazione. Il mentale, se adoperato con intelligenza, si libera dalle intossicazioni, cio dall 'ebbrezza della sensualit, dall'ebbrezza del divenire, dall'ebbrezza dell'illusio ne, dall'ebbrezza dell'ignoranza". Il dono di un parco da parte di Ambapali Allora il Maestro si diresse a Vesali. A quel tempo nella citt di Vesali viveva u na bella e ricca cortigiana di nome Ambapali, la "ragazza del mango". Le fu rife rito che il Beato era giunto a Vesali e si era fermato presso il suo bosco di ma nghi. Immediatamente ella fece preparare i suoi carri ed usc verso il bosco, acco mpagnata da tutto il suo corteo; appena raggiunse il luogo dove si trovava il Be ato, gli and incontro a piedi, e rimase rispettosamente in un angolo; il Beato la istru e la rincuor con un discorso religioso. Ed ella, essendo cos istruita e rinc uorata, si rivolse al Beato e disse: "Possa il maestro farmi l'onore di venire con tutti i Fratelli a pranzo da me do mani". Il Beato acconsent con il silenzio. Ambapali si prostern davanti a lui e se ne and. [Nota: La descrizione della ricca cortigiana sinceramente devota, "rincuorata da l discorso religioso", frequente nella vita indiana delle citt antiche come ai gi orni nostri. L'intero episodio mostra una bella tolleranza, richiamando alla men te i racconti analoghi della Maddalena cristiana.] Anche i prncipi Liccavi e Vesali vennero a sapere che il Beato era giunto in citt, ed anche loro si diressero al bosco di manghi dove egli si trovava. Quando arri varono incontrarono Ambapali che stava ritornando ed ella guid il carro dritto ve rso di loro, asse contro asse, ruota contro ruota, cosicch essi esclamarono: "Cos' successo, Ambapali, che tu guidi contro di noi il carro in questo modo?" "Signori miei", ella rispose, "ho appena invitato il Beato e i Fratelli per il p ranzo di domani". Allora i prncipi dissero: "O Ambapali, cedici questo pranzo per una somma di centomila". "Signori miei", disse lei, "se anche voi mi offriste tutto il Vesali con il suo territorio, io non cederei mai questo invito cos onorevole". Allora i Licchavi alzarono le mani esclamando: "Siamo superati dalla ragazza del mango!" e proseguirono verso il bosco. Quando anche loro ebbero salutato il Beato ed ebbero attentamente ascoltato le s ue istruzioni, si rivolsero al Maestro dicendo:

"Che il Beato possa farci l'onore di venire con tutti i Fratelli a pranzo da noi , domani". Ma il Buddha replic: "O Licchavi, ho promesso che domani avrei pranzato con Ambapali, la cortigiana". Nuovamente i prncipi esclamarono: "Siamo battuti dalla ragazza del mango!" Il giorno seguente Ambapali serv il Signore e tutti i Fratelli con le sue proprie mani, e quando essi non avrebbero pi potuto mangiare altro, chiese una stuoia ba ssa, sedette di fianco al Maestro e disse: "Signore, faccio dono di questa dimora all'Ordine di cui tu sei il capo". Il Beato accett il dono, e dopo aver istruito e rincuorato Ambapali con un discor so religioso, si alz e se ne and. L'ultimo ritiro Da Vesali il Maestro si rec al vicino villaggio di Beluva dove trascorse l'ultimo ritiro. L si ammal gravemente. Ma il Beato, considerando che non era ancora giunt a la sua ora, e che non sarebbe stato giusto che se ne fosse andato senza conged arsi dall'Ordine, "con un grande sforzo di volont ottenne che la malattia regredi sse, e si mantenne in vita fino a che fosse giunto il momento fissato: cos la mal attia si mitig". Quando si fu completamente ristabilito, usc dal suo alloggio, e s i sedette all'aperto; Ananda lo raggiunse, lo salut, e disse: "Ho osservato, o Signore, lo stato di salute del Beato, e ho osservato quanto il Beato ha dovuto soffrire. Sebbene alla vista della malattia del Sublime il mio corpo sia diventato debole come un verme, l'orizzonte sia divenuto appannato, e le mie facolt non fossero pi lucide, nonostante tutto questo ho avuto un piccolo c onforto al pensiero che il Sublime non se ne sarebbe andato prima di aver lascia to istruzioni a proposito dell'Ordine". "Ananda", chiese il Buddha, "che cosa si aspetta l'Ordine da me? Ho predicato la verit senza fare distinzioni tra la dottrina exoterica ed esoterica; perch, rispe ttando le verit, Ananda, Colui-che-ha-raggiunto-ci non si paragona al Maestro che detiene qualcosa in pugno, e che lascia qualcosa dietro di s. Sicuramente, Ananda , se ci fosse qualcuno che nutrisse il pensiero: "sono io che guider la confrater nita", o "l'Ordine dipende da me", costui sarebbe tenuto a dare istruzioni per l e questioni che riguardano l'Ordine. Ma Colui-che-ha-raggiunto-ci, Ananda, non ri tiene di essere lui a guidare la confraternita, o che l'Ordine dipenda da lui. A llora, perch dovrebbe lasciare istruzioni su ci che riguarda l'Ordine? Ormai io, o Ananda, sono invecchiato, sono carico d'anni, e il mio viaggio sta volgendo al termine, sono giunto alla fine dei miei giorni, e sto per compiere ottant'anni; e come un carro ormai rovinato, Ananda, pu andare ancora avanti solo con l'aiuto di corregge, cos penso, il corpo di Colui-che-ha-raggiunto-ci pu continuare a regge rsi solo con fasciature che lo tengano insieme. E solamente, Ananda, quando il T athagata, cessando di occuparsi di qualsiasi cosa esterna, diviene immerso, con l'interruzione di ogni sensazione separata, in quella concentrazione del cuore c he non ha niente a che vedere con gli oggetti materiali, solo allora che il corp o di Colui-che-ha-raggiunto-ci a suo agio. "Quindi, o Ananda, siate lampade per voi stessi. Siate voi il vostro rifugio. Di rigetevi in voi stessi invece che a rifugi esterni. Afferratevi strettamente all a verit come se fosse una lampada. Afferratevi strettamente alla verit rifugiandov i in essa. Non cercate rifugio in nessuno al di fuori di voi stessi... E qualsia si persona, Ananda, sia ora che dopo che sono morto, sia lampada per se stessa, non Si diriga ad alcun rifugio esterno, ma si tenga forte alla verit come sua lam pada, e si rifugi nella verit, e non cerchi alcun rifugio in qualcuno al di fuori di se stesso - sono loro, Ananda, tra i miei Bhikkhu, che raggiungeranno l'alte zza pi elevata! - Ma devono essere desiderosi di apprendere". [Nota: "Questo nobile passaggio", cito la traduzione del Professor Rhys Davids " esprime con ammirevole arte letteraria l'individualismo puro del pensiero buddhi stico, qui molto vicino a quello di Whitman e Nietzsche".]

In un'altra occasione il Maestro passeggiava con Ananda verso il tempio di Capal a: egli cominci a parlare della sua morte imminente. E poich Ananda era dispiaciut o e lo supplicava di restare sulla terra, egli disse: "Ma, Ananda, non ti avevo gi precedentemente spiegato che nella natura stessa di tutte le cose, vicine e care a noi, che dobbiamo separarci da esse, lasciarle, s taccarci da esse? Allora, Ananda, come pu essere possibile - se tutto ci che nasce , esiste, composto da organi, contiene in s la necessit inerente alla dissoluzione - come, allora, potrebbe essere possibile che un tale essere non dovesse dissol versi? Una simile condizione non pu esistere! E, Ananda, ci che si ceduto, che si rigettato, a cui si rinunciato, che si ha respinto e che stato abbandonato dal T athagata, - il resto della vita che gli rimane da vivere - in verit, a questo pro posito, venuta spontanea al Tathagata la frase seguente: "Il trapasso di Colui-c he-ha-raggiunto-ci avr luogo tra poco. Quando saranno passati tre mesi il Tathagat a morir!" Se il Tathagata, per desiderio di vivere ancora, si pentisse di queste parole, non sarebbe saggio!" In seguito il Buddha usc con Ananda per recarsi alla residenza di Kutagara nella Grande Selva. Quando arrivarono e i Fratelli si furono riuniti, il Buddha li eso rt e rese pubblico l'annuncio della sua morte imminente. "Ascoltate, Fratelli, io vi avverto, dicendovi: "Tutte le cose composte invecchi ano. Lavorate con diligenza per la vostra salvezza. L'estinzione finale del Tath agata avr luogo tra breve. Quando saranno passati tre mesi il Tathagata morir!" L'ultimo pasto Quindi il Buddha procedette fino a Para, e si arrest nel bosco di manghi di Cunda , un fabbro che lo aveva ereditato. Quando questo fu riferito a Cunda, egli si a ffrett verso il bosco; il Buddha lo istru e lo rincuor con un discorso religioso. E d egli invit il Maestro e i Fratelli a pranzare a casa sua, la mattina seguente. La mattina presto Cunda il fabbro prepar riso dolce, torta e un piatto di maiale (o forse tartufi. Ma non c' niente di contrario alla pratica buddhistica nel mang iare carne, se preparata e offerta da altri): quindi annunci al Sublime che era l 'ora di pranzo. Egli, prendendo la sua scodella, si rec a casa di Cunda il fabbro , partecip al pranzo, e quindi istru e rincuor Cunda il fabbro con un discorso reli gioso. Ma quando il Sublime ebbe consumato il pasto preparato da Cunda il fabbro, un te rribile malessere si impadron di lui, fu colpito da dissenteria accompagnata da d olori cos acuti, che sembr in punto di morte. Ma il Sublime, conscio dei propri do veri e con ammirevole autocontrollo, sopport senza lamentarsi, e, quando si fu le ggermente rimesso, disse ad Ananda: "Vieni, Ananda, andiamo a Kusinara". "Va bene, Signore", rispose il venerabile Ananda. Allora il Sublime lasci il sentiero per mettersi ai piedi di un albero e disse ad Ananda: "Piega, ti prego, Ananda, il mantello in quattro, e stendilo a terra per me. Son o stanco, Ananda, e devo riposare un po'". "Va bene, Signore", rispose il venerabile Ananda. E quando egli si fu seduto domand dell'acqua, che Ananda port, da un vicino ruscel lo - l'acqua del ruscello scorreva limpida, nonostante una carovana di cinquecen to carri fosse appena passata per il guado. La conversione di Pukkusa Immediatamente dopo di questo pass di l un giovane, di nome Pukkusa, un discepolo di Alara Kalama. Egli rifer al Buddha come in una certa occasione questo Alara Ka lama si fosse seduto di fianco alla strada, e fosse stato cos assorto nella medit azione che cinquecento carri erano passati, cos vicini da fargli impolverare il m antello: ed un certo uomo era rimasto cos impressionato da questa profonda concen

trazione che divenne il discepolo di Alara. All'udire questo episodio il Buddha rispose raccontando di un'occasione di concentrazione ancora maggiore, da parte sua, quando, mentre egli passeggiava avanti e indietro in un campo di grano ad A tuma, cadde la pioggia, i lampi balenarono, e due contadini e quattro uomini ne furono fulminati, ed egli, sebbene cosciente e sveglio, non vide n ud il temporale : in quell'occasione un certo uomo fu ugualmente cos impressionato dalla concentr azione del Maestro che divenne un discepolo. Udendo questo racconto, la fede di Pukkusa in Alara venne meno, ed egli si rivolse al Sublime, alla legge e alla co nfraternita come rifugio, e chiese al Sublime di accettarlo come discepolo laico . Si fece mandare due mantelli di stoffa dorata e li offr al Maestro, proseguendo poi per la sua strada. Ma quando Ananda ebbe spiegato i mantelli e il Maestro l i ebbe indossati, la stoffa dorata sembr perdere la sua lucentezza, e questo perc h quando Colui-che-ha-raggiunto-ci arriva all'illuminazione perfetta, e nel giorno che deve trapassare, il colore della sua pelle diventa eccezionalmente lucente. "E adesso", disse il Maestro, "l'estremo trapasso di Colui-che-ha-raggiunto-ci, a vr luogo durante la terza ora di questa notte nella Selva di Sala dei Malla. Vien i, Ananda, andiamo sul fiume Kakuttha". "Va bene, Signore!" disse il venerabile Ananda. Il Sublime scese nell'acqua del fiume Kakuttha, fece il bagno e bevve; poi, sedu tosi sulla riva, parl con Ananda di Cunda il fabbro, perch nessuno gli imputasse l a minima colpa se il Maestro era morto dopo aver ricevuto l'ultimo pasto dalle s ue mani. "Al contrario", disse, "ci sono due offerte di cibo che sono estremamen te preziose: quella che data immediatamente prima che Colui-che-ha-raggiunto-ci a rrivi alla perfetta visione interiore, e l'altra prima del suo estremo trapasso; ed " stato stabilito per Cunda il fabbro un kamma che gli far avere una lunga vit a, una buona nascita, una buona fortuna e una buona fama, l'eredit del cielo e un potere sovrano. Quindi Cunda il fabbro non deve provare alcun rimorso"". La morte del Maestro Allora il Sublime disse ad Ananda: "Vieni, Ananda, andiamo alla Selva di Sala dei Malla, sulla riva opposta del fiu me Hiranyavati". Quando vi furono arrivati, disse: "Preparami il letto, ti prego, Ananda, con il posto per la testa a Nord, tra i d ue alberi sala gemelli. Sono stanco, Ananda, e desidero distendermi". "Va bene, Signore!" rispose il venerabile Ananda. Il Sublime si allung sul lato destro, con una gamba appoggiata sull'altra; egli e ra attento e concentrato. Avvennero allora alcuni miracoli, e il Maestro ne parl con Ananda, dicendo: "I due alberi sala gemelli sono una sola massa di fiori fuori stagione, che cado no, si spargono e si sparpagliano al di sopra del corpo di Colui-che-ha-raggiunt o-ci, in segno di reverenza per il successore dei Buddha dell'antichit. Una musica celestiale risuona nel cielo, in segno di reverenza per il successore dei Buddh a dell'antichit. Ma non cos, Ananda, che Colui-che-ha-raggiunto-ci onorato e riveri to nel modo giusto. Sono il fratello o la sorella, l'uomo o la donna devoti che costantemente adempiono ai loro doveri grandi e piccoli, che sono retti nella vi ta, che agiscono in accordo con i precetti, sono essi che onorano e riveriscono il Tathagata nella maniera adeguata. E quindi, Ananda, adempi costantemente ai t uoi doveri grandi e piccoli, sii retto nella vita, agisci in conformit con i prec etti; e cos, Ananda, si deve insegnare". Il Buddha si rivolse ad Ananda, per dirgli che vedeva una grande folla di divini t riunite per osservare il Tathagata nella notte del suo trapasso finale; e una f olla di spiriti dell'aria e della terra, "dalla mente mondana, che si strappano i capelli e piangono, che alzano le braccia e piangono, che si gettano a terra e si agitano angosciati dal pensiero: "Troppo presto il Sublime se ne andr! Troppo presto il Sublime morir! Troppo presto l'Occhio del mondo se ne andr!" Ma", conti nu il Maestro, "gli spiriti liberi dalla passione sono calmi, controllati, e memo ri del detto: "Impermanenti, in verit, sono tutte le cose composte"".

E il Maestro menzion quattro luoghi che i discepoli avrebbero dovuto visitare con reverenza: il luogo dov'era nato il Tathagata, il luogo dove aveva raggiunto la Suprema Illuminazione, il luogo dove era stato stabilito il Regno della Giustiz ia, e il luogo dove il Tathagata era trapassato: "Coloro, Ananda, che moriranno compiendo uno di questi pellegrinaggi, con cuore credente, dopo la morte, quando il corpo sar dissolto, rinasceranno in regni feli ci del cielo". Quando Ananda chiese cosa si sarebbe dovuto fare con i resti del Tathagata, egli rispose: "Non limitatevi da soli, o Ananda, onorando i resti di Colui-che-ha-raggiunto-ci. Siate zelanti, ti scongiuro, Ananda, per il vostro profitto! Dedicatevi al vost ro bene! Ci sono discepoli laici che renderanno onore ai resti del Tathagata". Ananda non aveva ancora raggiunto lo stato di Arahatta, era ancora un discepolo, e se ne and al monastero, dove si appoggi allo stipite di una porta, piangendo al pensiero: "Ohim! Rimarr solamente un apprendista, uno che non ancora arrivato alla perfezion e. E il Maestro sta per morire, lui che cos benevolo!" Il Sublime intanto chiam i Fratelli e chiese: "Fratelli, dov', ora Ananda?" Essi risposero: "Il venerabile Ananda, Signore, andato nel monastero; appoggiato allo stipite di una porta, e piange al pensiero: "Ohim! Rimarr solo un apprendista, uno che non h a portato a termine la sua perfezione. E il Maestro sta per morire, lui che cos b enevolo!"" Il Sublime chiam un Fratello e lo mand da Ananda con il messaggio: "Fratello Ananda, il Maestro ti vuole". Ananda venne, si inchin davanti al Sublime e si sedette rispettosamente. Allora i l Sublime disse: "Basta, Ananda! Non ti agitare cos; non piangere! Non ti ho gi precedentemente spi egato che nella natura stessa di tutte le cose pi vicine e care a noi che dobbiam o separarci da esse, lasciarle, staccarcene? Allora, Ananda, come pu essere possi bile - poich tutto ci che nasce, esiste, composto di organi, contiene in s la neces sit intrinseca della dissoluzione - come, allora, potrebbe essere possibile che u n tale essere non dovesse dissolversi? Una simile condizione non pu esistere. Per lungo tempo, Ananda, sei stato molto vicino a me con atti d'amore, gentile e bu ono, senza variazioni, oltre ogni misura. Hai fatto bene, Ananda! Sii diligente nello sforzo, e anche tu presto sarai libero dall'ubriacatura dei sensi, dell'in dividualit, dell'illusione e dell'ignoranza". E lod l'attento servizio di Ananda davanti all'intera assemblea. Poi il Maestro d isse ad Ananda: "Ora vai al villaggio di Kusinara e informa i Malla che il Tathagata sta per tra passare, al fine che essi non si rimproverino in seguito dicendo: "Il Tathagata morto nel nostro villaggio, e noi non abbiamo approfittato dell'occasione per re ndere visita al Tathagata nelle sue ultime ore"". I Malla di Kusinara, con i loro giovani, ragazze e mogli, furono dispiaciuti e r attristati, e si recarono nella Selva dei Sala dove giaceva il Buddha. Ananda li present al Maestro, famiglia per famiglia, durante il primo quarto della notte. A quel tempo vi era un pellegrino di nome Subhadda, a cui fu riferito dell'immin ente morte del Buddha; egli desiderava parlare con il Maestro per dissipare i su oi dubbi. Con questo scopo si avvicin ad Ananda; ma egli gli rifiut l'accesso al M aestro, dicendo: "Il Sublime stanco, non disturbatelo!" Ma il Sublime ud ci che si diceva, e desider che Subhadda fosse fatto accedere: inf atti egli sapeva che le domande che voleva porre erano sincere, e che Subhadda a vrebbe compreso le risposte. Questo era ci che Subhadda desiderava sapere: se i c api di altre scuole di pensiero, i Maestri di altre congregazioni, come Nigantha Nataputta, o Sanjaya, il primo insegnante di Sariputta e Mogallana, stimati da molti come uomini buoni, avessero, come pretendevano, raggiunto una vera compren sione delle cose, o solo alcuni di essi l'avessero raggiunta e altri no. Il Sublime dichiar: "In qualsiasi dottrina e disciplina, Subhadda, in cui non si trovi l'Ottuplice V

ia degli Ariya, non si pu trovare un uomo di vera santit, sia di primo, che di sec ondo, terzo o quarto grado. Ma in quella dottrina e disciplina dove si trova l'O ttuplice Via degli Ariya, ci sono uomini di vera santit, di tutti e quattro i gra di. I sistemi degli altri insegnanti sono vuoti - privi di veri Saggi -. Ma in q uesto, Subhadda, i Fratelli possono vivere la vita perfetta, perch il mondo non s ia sprovvisto di Arahat". Essendosi cos risolto il dubbio di Subhadda, egli si rivolse al Sublime, alla leg ge, e alla congregazione come rifugio, e fu accettato nell'ordine, e "dopo poco tempo raggiunse lo scopo supremo della vita superiore (Nibbana), per la ricerca del quale gli appartenenti dei clan abbandonano tutto, lasciando ogni vantaggio e conforto della vita domestica, per divenire pellegrini erranti. S, egli raggiun se questa meta suprema, da solo, mentre ancora era in questo mondo visibile, arr ivando alla conoscenza, e continuando a sperimentarla e a vederla a faccia a fac cia! Divenne conscio che questa nascita era per lui l'ultima, che aveva realizza to la vita suprema, che tutto ci che era da fare era stato compiuto, e che dopo q uesta vita presente non ce ne sarebbero pi state". Fu cos che il venerabile Subhad da divenne presto un altro tra gli Arahat, fu l'ultimo discepolo che il Sublime in persona avesse convertito. Allora il Sublime si rivolse ai Fratelli e disse tre volte: "Forse, Fratelli, ci sono dubbi o incomprensioni nella mente di alcuni Fratelli a proposito del Buddha, della dottrina, della via, o del metodo. Chiedete libera mente, Fratelli, in modo da non dovervi poi rimproverare pensando: "Il nostro Ma estro era a faccia a faccia con noi, e non osavamo interrogare il Sublime quando eravamo a faccia a faccia con lui"". Ma nessuno aveva dubbi o incomprensioni. E il venerabile Ananda disse al Sublime : "Che cosa meravigliosa questa, Signore, che cosa meravigliosa! Veramente io cred o che in tutta questa assemblea di Fratelli non ci sia neppure un Fratello che a bbia un dubbio o un'incomprensione sul Buddha, sulla dottrina, sulla via, o sul metodo!" E il Buddha rispose: "E certamente nella pienezza della tua fede che hai parlato, Ananda! Ma, Ananda, il Tathagata sa per certo che in tutta questa assemblea di Fratelli non c' neppu re un Fratello che abbia un dubbio o un'incomprensione sul Buddha, sulla dottrin a, sulla via, o sul metodo! Perch anche il pi tardo (Secondo Buddhaghosha questo s i riferisce ad Ananda stesso, ed stato detto per incoraggiamento), Ananda, di qu esti cinquecento Fratelli si trasformato, non pi soggetto alla nascita in uno sta to di sofferenza, e gli garantito che raggiunger l'illuminazione dell'Arahatta". E ancora, il Sublime si indirizz ai Fratelli e disse: "La decadenza inerente a tutte le cose composte. Lavorate diligentemente per la vostra salvezza!" Questa fu l'ultima parola di Colui-che-ha-raggiunto-ci. Allora il Sublime entr nel primo stadio di samadhi, nel secondo, nel terzo, e nel quarto; ed elevandosi da l quarto stadio, entr nella stazione dell'indefinit dello spazio; quindi nella sta zione dell'indefinit del pensiero; poi nella stazione del vuoto; nella stazione t ra coscienza e incoscienza; e poi nella stazione dove la coscienza delle sensazi oni e delle idee completamente sparita. Allora sembr ad Ananda che il Maestro fos se trapassato; ma egli ripass nuovamente in ogni stazione in ordine inverso, fino a raggiungere lo stato di samadhi; dopo di che pass nel terzo e quarto stadio di samadhi. E uscendo dall'ultimo stadio immediatamente spir. La disperazione dei Fratelli Quando il Sublime fu morto, tra i Fratelli che non si erano ancora liberati dall e passioni, alcuni alzarono le braccia piangendo, altri si gettarono a terra, ro tolandosi per il dolore al pensiero: "Il Sublime morto troppo presto! Il Felice trapassato troppo presto! L'Occhio de l mondo se ne andato troppo presto". Ma i Fratelli che si erano liberati dalle passioni, cio, gli Arahat, mantennero i

l loro dispiacere composto, padroneggiandosi al pensiero: "Tutte le cose composte sono impermanenti! Come sarebbe possibile che non si dis solvessero?" Il venerabile Anuruddha esort i Fratelli, dicendo: "Basta, Fratelli! Non piangete, non lamentatevi! Il Sublime non ci aveva gi inseg nato prima, che nella natura stessa di tutte le cose pi vicine e care a noi, che dovessimo separarci da esse, lasciarle, staccarcene? Allora come, Fratelli, avre bbe potuto essere possibile - poich tutto ci che nasce, esiste, composto da organi , contiene in s la necessit inerente della dissoluzione - come avrebbe potuto esse re possibile che pure un tale essere non si dissolvesse? Una simile condizione n on pu esistere!" I riti funebri Il giorno seguente Ananda inform i Malla di Kusinara che il Sublime era trapassat o; anche loro alzarono le braccia e piansero, o si gettarono a terra, o si rotol arono disperati al pensiero: "Troppo presto morto il Sublime!" Presero profumi e ghirlande, e tutte le musiche di Kusinara, e si diressero alla Selva dei Sala, dove giaceva il corpo del Sublime. Trascorsero sei giorni rende ndo onore ed omaggio ai resti del Sublime, con danze, inni, musica, ghirlande e profumi. Il settimo giorno trasportarono il corpo del Sublime attraverso la citt e poi, uscendo dal cancello orientale, fino al tempio dei Malla, dove doveva ess ere cremato su una pira. Fasciarono il corpo con strati di cotone cardato e tele di tessuto, e lo misero in un recipiente di ferro, e poi ancora in un altro; do po aver costruito una pira funebre di legna profumata, vi adagiarono il corpo de l Sublime. Poi quattro capi dei Malla si lavarono la testa e rivestirono abiti n uovi con l'intento di accendere il fuoco della pira funebre. Ma, stupore! Non ri uscivano ad appiccare il fuoco. E la ragione di questo era che il venerabile Mah a Kassapa stava procedendo da Pava a Kusinara con una compagnia di cinquecento F ratelli: gli dei non volevano che la pira prendesse fuoco finch il venerabile Mah a Kassapa con questi Fratelli non avesse salutato i piedi del Maestro. Quando Ma ha Kassapa giunse al luogo della pira funebre, vi gir intorno tre volte e si pros tern in segno di reverenza ai piedi del Sublime, e ugualmente fecero i cinquecent o Fratelli. Quando ebbero terminato, la pira funebre prese fuoco da sola. Bruciarono la carne e i fluidi del corpo, e tutti i tessuti; solo le ossa restar ono intatte; quando il corpo fu cos bruciato, ruscelli d'acqua caddero dal cielo, e si alzarono dalla terra, spegnendo le fiamme; anche i Malla contribuirono a s pegnere il fuoco con recipienti d'acqua profumata. Disposero le ossa nella Sala del Consiglio dei Malla, circondate da un'intelaiatura di spade e da una barrier a di archi, e l, per sette giorni resero onore e reverenza ad esse con danze, mus ica, ghirlande e profumi. Fu riferito di queste cerimonie ad Ajatasattu, ai Licc havi di Vesali, ai Sakya di Kapilavatthu, ai Bulis di Alakappa, ai Koliya di Ram agama, e ai Brahmani di Vethadipa; e tutti questi, con i Malla di Kusinara, avan zarono pretese per i resti del Sublime, e volevano erigere un tumulo su di esse, e celebrare una festa d'onore. I Malla, per, dicendo che il Sublime era morto ne l loro villaggio, rifiutarono di spartire i resti. Allora un certo Brahmano di n ome Dona ricord ai capi riuniti che il Buddha aveva insegnato la concordia, e con sigli che i resti fossero divisi in otto parti, e che un monumento fosse eretto d a tutti quelli che accampavano diritti nei loro diversi territori; e cos si fece. Dona stesso eresse un monumento sul recipiente in cui i resti erano stati custod iti, e i Moriya di Pippalivana, che avanzarono pretese per avere una parte quand o la distribuzione era gi stata fatta, eressero un tumulo sulle ceneri del fuoco. Vi erano cos otto monumenti per i resti del Sublime, un altro per il recipiente, e un terzo per le ceneri.

Parte seconda - La dottrina del Buddhismo originario

I - Dhamma, la dottrina e la disciplina Come, o Fratelli il vasto mare ha un solo gusto, il gusto del sale, cos, Fratelli, questa dottrina e disciplina hanno un unico gusto, il gusto della liberazione. Cullavagga, IX. L'insieme della dottrina (Dhamma, in sanscrito Dharma) di Gautama riassumibile i n modo semplice e breve nelle quattro verit degli Ariya (Ariyasaccani), o assiomi : che esiste la sofferenza (dukkha), che ha una causa (samudaya), che pu essere s oppressa (nirodha), e che c' un metodo per riuscirci (magga), la "Via". Tutto que sto consiste nell'applicazione della scienza medica generale alla cura dei malat i spirituali. Il buon medico, vedendo una qualsiasi persona sofferente, procede alla diagnosi, riflette sulla cura e prescrive il regime necessario al paziente. Questa la storia della vita di Gautama. L'anima malata, della propria malattia conosce solo il dolore; cerca la causa della sua sofferenza, e la sicurezza di u na cura, e domanda cosa dovr fare per salvarsi: questa la storia di coloro che si rifugiano nella legge del Buddha. Ripetiamo qui la parte essenziale del primo discorso di Gautama: "Questa, o monaci, la verit degli Ariya sulla sofferenza: la nascita sofferenza, la vecchiaia sofferenza, la malattia sofferenza, la morte sofferenza; stare con ci che non si ama sofferenza, essere separati da ci che si ama sofferenza, non ott enere ci che si desidera sofferenza; in breve, il quintuplice attaccamento al mon do sofferenza. "Questa, o monaci, la verit degli Ariya sull'origine della sofferenza: il desider io di vivere che conduce da una nascita all'altra, insieme con la passione e l'a mbizione, che trovano gratificazione qua e l; la sete dei piaceri, la sete di esi stere, la sete del potere. "Questa, o monaci, la verit degli Ariya sull'estinzione della sofferenza. L'estin zione di questa sete si ottiene con il completo annullamento del desiderio, lasc iandolo cadere, cacciandolo, separandosi da esso, non concedendogli spazio. "Questa, o monaci, la verit degli Ariya sulla via che conduce all'estinzione dell a sofferenza: questa sacra ottuplice via, cio: fede retta, aspirazione retta, dis corso retto, retta azione, retto modo di vivere, sforzo retto, attenzione retta, samadhi retto". E la prima divisione dell'ottuplice via: retta credenza, punto di vista, o fede, che costituisce la dottrina del Buddha, la dottrina del Buddhismo, che ora espo rremo in modo sistematico. Questo insegnamento consiste in una conoscenza del mo ndo e dell'uomo "come sono realmente". Questa giusta conoscenza si pu riassumere molto chiaramente nella triplice formula di dukkha, anicca, anatta - sofferenza, impermanenza, negazione di s [della propria individualit]. La conoscenza di quest i princpi una conoscenza della verit. Ora li considereremo in ordine e in dettagli o. Dukkha L'esistenza del dolore, o male, la stessa raison-d'etre del Buddhismo: "Se nel mondo non ci fossero queste cose, miei discepoli, il perfetto, il santo Buddha supremo, non apparirebbe nel mondo; la legge e la dottrina che il Perfett o ha offerto non brillerebbe nel mondo. Cosa sono queste tre cose? Nascita, vecc hiaia e morte. "Ora come allora", ripete il Buddha, "vi spiegher questo: il dolore e l'estinzion e del dolore". Dukkha da intendere sia come un sintomo che come la malattia. Nel primo senso in clude tutte le perdite possibili, fisiche e mentali, "tutta la meschinit ed angos cia senza fine", dolore e imperfezione di qualsiasi tipo a cui sono soggetti l'u

manit e tutti gli esseri viventi (senza escludere neppure le divinit). Cosicch Gautama non ha esposto nient'altro che un'ovvia constatazione dei fatti. Naturalmente, potrebbe apparire che il nostro dolore nella vita sia compensato d al piacere, e l'equilibrio dovrebbe essere assicurato, come in ogni coppia di op posti. Ma se ci riflettiamo, comprendiamo che questo stesso piacere la radice de l dolore? perch "il dispiacere scaturisce dal flusso del piacere dei sensi appena sia rimosso l'oggetto del desiderio sensuale". Questo pure espresso dalle parole citate nel nostro frontespizio: Vraiement come ncent amours en ioye et fynissent en dolours; e cos pure dalle parole di Nietzsch e: "Avete mai detto "Si" a una gioia? O amici miei, allora avete anche detto "Si " a tutta la pena". E secondo il Dhammapada: "Dalla gioia viene il dispiacere; dalla gioia viene il timore. Chi sia libero da lla gioia, non prova pi dispiacere, perch, da dove gli verrebbe il timore? Dall'am ore viene la pena, dall'amore viene il timore. Chi libero dall'amore non prova p i pena: da dove gli verrebbe il timore?" Ma non solo il piacere il preludio del dolore, il piacere dolore in se stesso; s empre secondo le parole di Nietzsche, "Il piacere una forma di dolore". Perch c' sempre qualcosa che guasta la festa: la felicit nel senso positivo, la gio ia che dipende dal contatto con la sorgente di piacere esterno a se stessi, non pu essere afferrata e non dura pi di un momento. E futilit delle futilit tendere ver so ci che non mai, ma che in continuo cambiamento; e coloro che si rendono conto che tutto questo mondo della nostra esperienza un divenire, che non raggiunger ma i l'Essere, non tenderanno a ci che non pu essere afferrato, ed completamente vuot o. Conseguentemente, l'insieme della psicologia buddhistica diretto a un'analisi de lla coscienza, mirata a rivelare il suo carattere sempre mutevole e composito. Anicca

L'impermanenza l'inesorabile, fondamentale e spietata legge d'ogni esistenza. "Ci sono cinque cose che n Samana, n Brahmano, n divinit, n Mara, n Brahma, n qualsias altro essere dell'universo possono ottenere. Cosa sono queste cinque cose? Che chi soggetto a vecchiaia non invecchi, che chi soggetto a malattia non si ammali , che chi soggetto alla morte non muoia, che chi soggetto a deperibilit non deper isca, che chi obbligato a sparire non sparisca. Questo non pu ottenerlo n un Saman a, n una divinit, n Mara, n Brahma, n alcun essere dell'universo". Come il pensiero brahmanico accetta la perpetuit temporale del samsara, una conti nua successione e coincidenza di evoluzione e involuzione, una perpetua successi one di Brahma, passati e futuri, cos anche Gautama attira l'attenzione - forse co n ancor maggiore insistenza - sulla successione senza fine del divenire. La segu ente strofa stata considerata la professione di fede buddhistica, e compare pi fr equentemente di qualsiasi altro testo nelle iscrizioni indiane buddhistiche: Di la ed il quelle condizioni che originano da una causa causa stata spiegata dal Tathagata: il metodo per sopprimerla grande Samana l'ha ugualmente insegnato.

Quanto la dottrina della perpetua successione delle cause sia essenziale nel Bud dhismo, appare dal fatto che se ne parla sempre come della dottrina: "Vi insegner il Dhamma", dice Gautama, "se questo presente, accade questo; dal so rgere di quello, sorge questo. Se quello assente, questo non diventa; dalla cess azione di quello, questo cessa". Leggiamo anche che "l'analisi del Dhamma la conoscenza che riguarda le condizion i". Ci che Gautama insegnava aveva lo scopo di evitare le due dottrine estreme del re alismo e del nichilismo, la credenza nell'essere fenomenico e la credenza che no n ci sia assolutamente alcun processo fenomenico:

"Tutte le cose sono: questo, o Kaccana, un punto di vista esagerato. Tutte le co se non sono: questo il secondo punto di vista estremo. Negando entrambi questi e stremi, il Tathagata insegna la norma del giusto mezzo". Questa dottrina del giusto mezzo asserisce che ogni cosa divenire, un flusso sen za inizio (causa prima) o fine; non esiste un momento statico quando questo dive nire raggiunge l'esistenza: non appena riusciamo a concepirlo con attributi di n ome e forma, esso gi trasmigrato o diventato qualcos'altro. Invece di un individu o c' una successione di istanti di coscienza. "Parlando con esattezza, la durata della vita di un essere vivente spropositatam ente breve, perch dura appena il tempo di un pensiero. Esattamente come la ruota di un carro girando fa pressione solo su un punto del cerchione, e quando ferma si appoggia solo su un punto; esattamente nello stesso modo, la vita di un esser e vivente dura solo il tempo di un pensiero. Appena questo pensiero cessato, l'e ssere vivente considerato finito. stato detto: "L'essere di un momento passato del pensiero ha vissuto, non vive pi, e non vivr pi. "L'essere di un momento futuro del pensiero vivr ma non ha ancora vissuto, e non vive ora. "L'essere del momento presente del pensiero vive, ma non ha vissuto prima, e non vivr poi". Ci illudiamo se ci permettiamo di credere che ci possa mai essere una pausa nel flusso del divenire, un luogo di riposo dove si raggiunga un'esistenza positiva, anche per un brevissimo periodo di tempo. E solo chiudendo gli occhi davanti al la successione degli eventi che possiamo arrivare a parlare di cose invece che d i mutamenti. La velocit o lunghezza del processo di mutamento non pu essere genera lizzata. Considerate un bambino, un ragazzo, un giovane, un uomo, e un vecchio; quando esistito esattamente ognuno di loro? C'era un organismo, che stato un neo nato, e diventava un bambino; stato un bambino, e diventava un ragazzo; e cos via . Il seme diventa pianticella, la pianticella un albero, e l'albero lascia cader e i semi. E solo con la continuit, osservando il processo del divenire che possia mo identificare il vecchio con il neonato, l'albero con il seme; ma il vecchio n on (uguale al) neonato, e neppure l'albero (al) seme. La sostanza dei nostri corpi, e non meno la costituzione delle nostre anime, cam bia di momento in momento. Attribuire agli individui particolari un nome e una f orma solo una convenzione pragmatica, e non l'evidenza della sua insita realt. Og ni esistenza organica, e ci che ne costituisce la sostanza una successione di mut amenti, ognuno dei quali completamente determinato da condizioni preesistenti. P erch questa legge della causalit ha una cos grande importanza per Gautama, la cui d ottrina non una ginnastica mentale, ma "esattamente questo: il male e la cessazi one del male"? Perch questa dottrina precisamente la diagnosi medica della malatt ia di dukkha. Come una malattia costituzionale, essa illustrata nella ben nota s erie dei Dodici Nidana, la cui interconnessione detta la legge dell'Origine Dipe ndente (Paticca-samupada). I Dodici Nidana, in seguito chiamati la Ruota della C ausalit, sono ripetuti in non meno di novantasei sutta; l'importanza di questa se rie deriva dal fatto che incomincia con una spiegazione generale dei fenomeni, e con una spiegazione sullo specifico fenomeno del male a cui i Buddhisti sono pi specialmente interessati: lo scopo della serie di mostrare che vinnana, la cosci enza dell'io, non risiede in un'anima eterna, ma un fenomeno contingente che sor ge come conseguenza di cause ed effetti. Bisogna notare, come ha sottolineato il Prof. Rhys Davids, che il valore di questo concatenamento non sta nel fatto che esso spieghi il male, ma nel fatto che la giusta comprensione dell'origine caus ale costituisce quella stessa discriminazione con cui la causa del male - coscie nza dell'io e desideri dell'io - distrutta. La Ruota della Causalit si muove nel modo seguente: Altre vite (passato): Ignoranza (avijja); Percezione erronea (sankhara) o vana i mmaginazione, volont (cetana). Questa vita (presente): Coscienza (dell'io, ecc.) (vinnana); Nome e Forma, cio: M ente e Corpo (nama-rupa); Organi dei sensi (sadayatana); Contatto (spassa); Emoz

ione (vedana): Desiderio (tanha); Attaccamento (upadana). e Altre vite (futuro): Trasmutazione (bhava); Rinascita (jati); Vecchiaia e morte, sofferenza, deplorazione, male, pena, disperazione (jaramaranam, ecc.). Questa elencazione, dovunque sia riportata, termina con la formula: "Questa l'or igine di tutto l'insieme del male". Si noti che l'intera serie di termini non se mpre ripetuta per intero, e non lo neppure sempre nello stesso ordine; questi so no piuttosto i raggi di una ruota che non la sua circonferenza. Se a questo punto ci chiediamo quale sia l'effetto e quale la causa, chiaro che l'ignoranza sta alla base di tutto. E dall'ignoranza che insorge il pensiero del l'esistenza (entit), mentre non esiste altro che un cambiamento; dalla concezione dell'individualit come un'entit, e dal desiderio dell'"io", deriva la vita; la vi ta inseparabile dal male. La diagnosi implica la cura; quest'ultima consiste nel togliere le condizioni ch e mantengono lo stato patologico. Queste condizioni che mantengono l'ignoranza s ono innanzitutto il desiderio, e il pensiero di "io" e "mio", con tutte le sue i mplicazioni di egoismo e superstizione. I mezzi per attuare la cura sono esposti nella disciplina mentale e morale dei "pellegrini" buddhisti. Anatta La dottrina di anatta inseparabile da quella di anicca, e consiste nell'affermaz ione che in nessuna cosa esiste un'entit immutabile, e soprattutto, un'"anima ete rna" nell'uomo. Ananda domanda al Buddha: "Cosa significa, Signore, la frase: il mondo vuoto?" Il Buddha risponde: "Che esso vuoto, Ananda, di un s o di qualcosa che abbia la natura di un s. E cos' che ne vuoto? I cinque ricettacoli dei cinque sensi, e la mente, e le sensazioni collegate alla mente: tutto questo vuoto di un s o di qualcosa che gli sia simile". Gli stati mentali sono fenomeni come gli altri, e niente di sostanziale, come un 'anima o un ego, sta dietro di loro; cos come i nomi delle cose sono solo concett i. I paragoni pi ricorrenti sono quelli tratti dai fenomeni naturali e dagli ogge tti costruiti, come un fiume, o un carro. Se si esclude l'acqua, la sabbia, la r iva destra e sinistra, dove si pu trovare il Gange? Se si divide il carro nelle p arti che lo compongono, come le ruote, il timone, l'assale, la struttura, il sed ile, e cos via, cosa resta del carro, se non il nome? Nello stesso modo si consta ta che se si analizzano le parti che compongono la coscienza, non resta niente; l'individuo mantiene le sembianze di un'identit di momento in momento, ma questa identit semplicemente costituita da una serie di momenti di coscienza, non l'asse nza del cambiamento. "Come un fiume", dice un Buddhista moderno, "che mantiene una forma costante, un 'identit sempre simile, sebbene oggi non rimanga neppure una singola goccia di tu tto il volume che componeva il fiume ieri". E della massima importanza comprendere questa verit, perch per l'individuo convint o della nozione "io sono una forma; la forma appartiene all'individualit", "attra verso il cambiamento e l'alterazione della forma sorgono la tristezza, la miseri a, il dolore, e la disperazione". La similitudine del fiume mette l'accento sull a continuit di un'identit perennemente mutevole. Un altro esempio, preso dal sonno e dal sogno, sottolinea la natura intermittente della coscienza; il corso ordin ario dell'esistenza organica, chiamato bhavanga-gati, paragonato al flusso di un sonno senza sogni; la coscienza si risveglia solamente quando qualche stimolo e sterno causa una vibrazione nel flusso normale. I Buddhisti parlano degli elementi complessi dell'esistenza cosciente in due mod i, in primo luogo come Nama-rupa, letteralmente nome e forma, cio, "la natura del l'uomo e la sostanza carnale", e in secondo luogo, come i cinque aggregati (khan dha, skandha). Questi due o cinque comprendono l'intera esperienza cosciente sen za lasciar fuori nessuna attivit che possa essere attribuita ad un'"anima". La re

lazione dei due schemi apparir dalla tavola seguente: 1. Fattore mentale Nama (sinonimi: vinnana, citta, mano, cio: coscienza, cuore, mente). Fattore fisico rupa 2. Fattore mentale Vedana, sanna, sankhara, vinnana, (cio: sensazione, percezione, volont, ecc., e co nsapevolezza). Fattore fisico rupa In entrambi i casi rupa l'organismo fisico (quindi non "forma" in senso filosofi co o estetico), la natura corporea; nama il nome o la mente; nama e rupa, nome ( semplici parole) e corpo, sono esattamente quelle caratteristiche per cui una "p ersona", di fatto complessa e variabile, appare come un'unit. Nel secondo gruppo, che non , come il primo, preso direttamente dalle Upanishad, un maggiore accento posto sui diversi elementi del fattore mentale, con lo scopo pratico di esclude re ogni possibile fessura che possa introdurre l'idea di una mente o anima che s ia un'unit immutabile. Vedana la "sensazione" con il senso edonistico di piacevole, spiacevole, e neutr a, che risulta dal contatto con gli oggetti sensibili, e che produce tahna, bram a o desiderio. E data importanza al fatto "che non c' un'entit distinta che percep isce", " solo la sensazione che percepisce o gode", e questo "per un certo oggett o che in relazione causale con il piacere o altre sensazioni" (Buddhaghosha). Il pensiero buddhistico non ammette un soggetto, e concentra la sua attenzione sul l'oggetto. Sanna la percezione di qualsiasi genere, sensibile o mentale, cio, "consapevolezz a con identificazione, espressa con l'attribuzione di un nome" (Rhys Davids). Gli sankhara formano un gruppo composito, che include cetana, o la volont (volizi one), e una serie di cinquantuno coefficienti di qualsiasi stato di coscienza. Vinnana "qualsiasi consapevolezza della mente, non importa quanto generale o ast ratto ne sia il contenuto". E da notare che i termini rupa e vinnana, nella quintuplice classificazione, son o usati in senso molto pi ampio che quando si adoperano per abbracciare l'insieme dell'esistenza cosciente. Il sistema piuttosto laborioso dei khandha stato in s eguito sostituito da una divisione all'interno di citta, mente, e cetasika, prop riet mentali. Tutti i pensatori indiani sono, naturalmente, d'accordo sulla natur a organica e materiale della mente. Per uno studio serio sulla mentalit dei Buddhisti il lettore pu consultare uno qua lsiasi dei due lavori della Rhys Davids sull'argomento. Bisogna far osservare lo scopo pratico che i Buddhisti si prefiggevano con l'uso di queste classificazio ni. "Perch", chiede Buddhaghosha, "il Sublime disse che c'erano cinque aggregati, non uno di pi, e non uno di meno? Perch essi non solo assommano tutte le classi di co se condizionate, ma non lasciano appigli all'anima e agli animisti; in pi, includ ono tutte le altre classificazioni". Cos i Buddhisti sembrano ammettere che il loro metodo di pensiero inventato espre ssamente per provare la loro tesi. I Buddhisti avevano ovviamente ragione ad acc entuare l'importanza della complessa struttura dell'ego - un fatto che la modern a ricerca patologica e medica ci mostra sempre maggiormente - ma questa compless it dell'ego non tocca la questione dell'Atman brahmanico, che "non cos, non cos". Questo, dunque, ci che riguarda l'esposizione fondamentale dei "punti di vista re tti". Le quattro vie Le quattro vie sono state frequentemente menzionate. Si tratta di una quadruplic

e divisione dell'ultima delle quattro verit degli Ariya. Le quattro vie, o meglio i quattro stadi dell'unica via, sono le seguenti: - Conversione, entrata nella corrente, che deriva dalla compagnia dei buoni, dal l'ascolto della legge, dalla riflessione illuminata, o dalla pratica della virt. Essa dipende dall'aver riconosciuto le quattro verit degli Ariya, ed successiva a l primo gradino del semplice rifugiarsi nel Buddha, nella legge, nell'Ordine, un a formula che ripetuta da chiunque professi il Buddhismo, compresi i molti che n on sono ancora entrati nelle vie. La prima via porta alla liberazione dall'illus ione del senso dell'ego, dal dubbio sul Buddha e sulle sue dottrine, e dalla cre denza nell'efficacia assoluta di riti e cerimonie. - La seconda via quella di coloro che vogliono tornare solamente ancora una volt a nel mondo, e in questa prossima vita raggiungere la liberazione finale. In que sta via l'individuo "convertito", gi liberatosi dai dubbi e dall'illusione dell'i ndividualit e del ritualismo fine a se stesso, pu ridurre al minimo gli errori car dinali di lussuria, risentimento, e piacere. - La terza via di quelli che non torneranno pi in questo mondo, ma raggiungeranno la liberazione nella vita presente. Qui vengono distrutti gli ultimi residui di passioni e risentimenti. - La quarta via quella degli Arahat, gli Adepti; qui il Santo [o Saggio] si libe ra da ogni desiderio di rinascita, sia in mondi formali che informali, dall'orgo glio, dal senso della "rettitudine in proprio", e dall'ignoranza. Lo stato dell' Arahat cos descritto: "Come una madre, anche a rischio della propria vita, protegge suo figlio, il suo unico figlio, cos sia la benevolenza senza limiti verso tutti gli esseri. Che la benevolenza senza limiti prevalga nel mondo intero, sopra, sotto, intorno, indi stintamente senza mischiarsi con sentimenti di interessi differenziati o opposti . Se un uomo resta imperturbabilmente in questo stato mentale per tutto il tempo che sveglio, che cammini, che segga, che sia sdraiato, gli si potr applicare il detto: "Anche in questo mondo si potuta trovare la santit". Sono ora elencati i dieci legami, stati di peccati da cui l'aspirante liberato m entre percorre le quattro vie: sakkaya-ditthi, l'illusione dell'io o anima; vici kiccha, il dubbio; silabbata paramasa, la dipendenza dai riti; kama, la sensuali t, il desiderio fisico; patigha, l'odio, il risentimento; ruparaga, il desiderio di vivere in mondi materiali; aruparaga, il desiderio di vivere in mondi spiritu ali; mano, l'orgoglio; uddhacca, il senso della "rettitudine in proprio"; e avij ja, l'ignoranza. L'aspirante diventa un Arahat quando sono completamente sorpass ati i primi cinque. La liberazione dagli altri cinque il "frutto della quarta vi a". Essi, avendo ottenuto il frutto della quarta via, ed essendosi immersi in quest' acqua viva, hanno ricevuto l'inestimabile, e assaporano il Nibbana" (Ratana Sutt a). Si noter che qui si delinea una netta distinzione tra il raggiungimento di Ar ahatta e la realizzazione del Nibbana, mentre in altri punti i due stati sono co nsiderati equivalenti. E chiaro, comunque, che se il Nibbana il frutto della qua rta via, coloro che sono semplicemente entrati in questa via, e sono quindi Arah at, non hanno ancora ottenuto l'ultima liberazione. Essi hanno ancora dei legami da cui affrancarsi. Esiste un altro modo di raggruppare i difetti da cui il Santo si liberato; esso noto come i tre, o quattro flagelli, o intossicazioni, o contaminazioni. I tre s ono: 1. kama asava, sensualit; 2. bhava asava, desiderio di rinascita; 3. avijja asava, ignoranza delle quattro verit degli Ariya; mentre il quarto ditthi, "punti di vista", o speculazione metafisica. Chi libero da queste tre, o quattro, cont aminazioni mortali dei sensi, desiderio di vita, ignoranza e punti di vista (ind ividuali) ha raggiunto la liberazione, e per lui non ci sar pi ritorno. II - Samsara e kamma (karma) Dopo tutto ci che stato detto ci troviamo in una condizione migliore per comprend ere la teoria della peregrinazione delle anime nel Buddhismo originario. Dico pa rticolarmente nel Buddhismo originario, perch nella maggior parte del pensiero pr

ebuddhistico, e in tutto il pensiero popolare, sia brahmanico che buddhistico, l a dottrina della metempsicosi, il passaggio della vita da una forma all'altra, d opo la morte corporea, concepito animisticamente come la trasmigrazione di un'an ima individuale. Prendiamo per esempio un testo come la Bhagavad Gita, II, 22: "Come un uomo mett e via gli abiti usati per indossarne di nuovi, cos Colui che risiede nel corpo me tte via il corpo usato per indossarne uno nuovo". Qui il linguaggio chiaramente animistico. Un lettore comprender che un'anima, un "manichino" etereo, si sposta da un corpo ad un altro; un secondo lettore, osser vando che Quello (l'abitante del corpo) non nient'altro che quello che "non cos, non cos", percepisce che, parlando empiricamente, nulla - nulla che si possa defi nire in qualche modo - trasmigra. Vi qui un'ambiguit che inevitabile nel caso di tutte le concezioni che siano superiori alle esperienze originariamente animisti che o sensitive. [nota: Come, per esempio, nel caso analogo di rasa, che significa gusto o sapore , ed arrivato ad assumere il significato, in senso tecnico, di emozione estetica . Cos per ananda, originariamente piacere fisico, pi tardi usato anche come beatit udine spirituale.] Il pensiero brahmanico non cerca di sfuggire da questa ambiguit d'espressione, ch e , inoltre, d'importanza storica; e questa continuit di sviluppo ha il vantaggio che nessun abisso insuperabile sia fissato tra l'animista e il filosofo. Questo vantaggio messo in risalto da Sankara nella sua distinzione tra la conosc enza esoterica ed exoterica, para e apara vidya: a Quegli che "non cos, non cos", le qualit sono attribuite per scopo di adorazione o come mezzo di adattamento al pensiero limitato. Quest'attribuzione di qualit, da parte del "profano", vista da l filosofo con indulgenza, perch egli capisce che la via Non Descrivibile, il des iderio di Ci-che-non- [qualcosa], insopportabilmente dura. Chi non si ancora apert o una strada verso l'idealismo, non deve e non pu fare a meno dei supporti sensib ili: il Brahmanesimo, considerato come una chiesa, si distingue dal Buddhismo di Gautama - non ancora il Buddhismo della chiesa buddhistica - per questa tenerez za verso i suoi figli spirituali: "Che chi conosce di pi non risvegli dubbi negli uomini pi lenti e di minor talento". [nota: I puristi spirituali che insistono sul fatto che solo le verit assolute, c ome anatta (negazione del senso dell'io), e neti, neti (non cos, non cos) dovrebbe ro essere insegnate e che considerano falsa ogni interpretazione teologica ed es tetica di queste verit, dovrebbero meditare le parole del Maestro Kassapa: "Che i pellegrini virtuosi e i Brahmani non forzino la maturazione di chi acerbo; che essi, essendo saggi, attendano che tale maturazione avvenga". Payasi Sutta, Dial ogues of the Buddha, II, 332.] Gautama, d'altro canto, un iconoclasta inflessibile. Predica solo agli uomini pi elevati, capaci di accettare i concetti di dukkha, anicca, e anatta nella loro n udit. Questa posizione gli permise di sostenere un solo e unico argomento con com pattezza indivisibile; non aveva bisogno di riconoscere anche il valore relativo delle altre forme o gradi della verit; egli voleva rompere completamente con il pensiero corrente assolutista ed animista. Questa posizione metteva per lui in particolare evidenza la propria difficolt di esprimere ci che desiderava insegnare, servendosi del linguaggio popolare ed anim istico dei tempi; e non poteva neppure evitare l'uso di tale linguaggio, perch ci lo avrebbe reso totalmente incomprensibile. Questa difficolt pu aver contribuito a ll'esitazione che egli prov nei riguardi della predicazione della dottrina. Il me todo che fu obbligato ad adottare, stato quello di usare espressioni correnti, a mpliandole e adattandole a modo suo, ed usando parole ben note in un senso nuovo . Dobbiamo comunque guardarci, come dice Buddhaghosha, dal supporre che il modo di esporre l'argomento esprima esattamente il concetto. Il termine samsara uno di questi modi; cos che l'"erranza" per Gautama non l'erranza di una qualsiasi cosa.

Il Buddhismo non parla mai della trasmigrazione delle anime, ma solo della tras migrazione di caratteristiche, di una personalit senza un'individualit. Molti sono gli esempi di cui Gautama si serve per mostrare che nessuna cosa tras migra da una vita all'altra. La fine di una vita e l'inizio di un'altra differis cono appena, come genere di cambiamento, da quello che avviene quando un ragazzo diventa un uomo; anche questa una trasmigrazione, uno spostamento un nuovo dive nire. Tra gli esempi usati pi spesso troviamo quello della fiamma, particolarmente adeg uato. La vita una fiamma, e la trasmigrazione, il nuovo divenire, la rinascita, la trasmissione della fiamma da un oggetto combustibile ad un altro; solo questo , niente di pi. Se accendiamo una candela con un'altra, la fiamma passata solo un a e sempre la stessa, nel senso di una continuit mantenuta, ma la candela non la stessa. Allo stesso scopo, se ci permessa un'intrusione moderna, non potremmo of frire un'immagine migliore, di quella di una serie di palle da biliardo a strett o contatto; se un'altra palla fatta rotolare contro l'ultima palla ferma, la pal la che si muove si arrester improvvisamente, e la prima palla ferma si metter in m ovimento. La trasmigrazione buddhistica consiste esattamente in questo: la palla che si muove per prima non procede, rimane indietro, muore; ma innegabilmente i l movimento di quella palla, il suo momento, il suo kamma, e non un movimento cr eato ex novo, che rinasce nella palla seguente. La "reincarnazione" buddhistica una trasmissione senza fine di tale impulso attraverso una serie indefinita di f orme; la salvezza per il Buddhismo arrivare a comprendere che le forme, le palle da biliardo, sono strutture composte, soggette a deperimento, e che ci che viene trasmesso solo un impulso, una vis a tergo, che determinata da ci che si accumul ato nel passato. Sono le caratteristiche di un uomo, e non egli stesso, che vann o avanti. Non difficile comprendere perch Gautama abbia adottato la dottrina corrente del k amma (azione, con pensiero, parola, o fatti). Nella sua forma pi semplice, questa dottrina dichiara soltanto che le azioni sono inevitabilmente seguite dalle lor o conseguenze, "come un carro segue il cavallo da cui trainato". Nei limiti dell 'esperienza di una vita, si tratta semplicemente della legge di causa ed effetto con questa considerazione in aggiunta, che le cause determinano le caratteristi che, per cui il futuro comportamento dell'individuo in gran parte predeterminato . Il kamma non dev'essere per confuso con una predestinazione meccanica. Esso non e limina la responsabilit e non rende vano lo sforzo: esso asserisce semplicemente che l'ordine della natura non pu essere mutato con miracoli. E logico che io debb a giacere nel letto che mi sono preparato. Non posso effettuare un miracolo e fa r scomparire il letto di colpo; devo raccogliere ci che "io" ho seminato, ed la c onstatazione di questa realt che chiamata kamma. E ugualmente certo che i miei sf orzi presenti, ripetuti e ben diretti, nel corso del tempo provocheranno l'esist enza di un altro tipo di letto, e la constatazione di questa realt chiamata kamma . La dottrina del kamma, ben lontana dall'inibire lo sforzo, insegna che nessun risultato pu essere raggiunto senza "sforzarsi duramente". Certamente nella disci plina buddhistica non c' niente di pi essenziale dello "sforzo corretto". Se uniamo la dottrina del kamma con quella del samsara, le "azioni" con l'"erran za", il kamma rappresenta una verit familiare, la verit che la storia dell'individ uo non comincia con la sua nascita. "L'uomo nasce come un giardino gi piantato e seminato". Prima che nascessi da mia madre, generazioni e generazioni mi hanno guidato... Adesso sto in questo punto. Questa eredit concepibile in due modi. Il primo, la cui verit innegabile, fa rilev are l'azione delle vite passate su quelle presenti; il secondo, che pu essere ver o o no, mostra l'azione di una singola serie continua di vite passate su una sin gola vita presente. La teoria buddhistica del kamma unita a quella del samsara n on si discostano dal prototipo brahmanico adottando il secondo punto di vista. P robabilmente esso viene scelto per il vantaggio pratico che offre nella spiegazi

one dell'apparente ingiustizia naturale; infatti d una risposta ragionevole alla domanda: "Chi ha commesso peccato, quest'uomo o i suoi genitori, da farlo nascer e cieco?" La teoria indiana risponde senza esitazione: quest'uomo. [nota: "Che l'individuo umano sia polipsichico, che un numero indefinito di corr enti di coscienza coesistano in ciascuno di noi, e che possano essere variabilme nte e a diversi livelli associate o dissociate, questa una dottrina ora ampiamen te accettata anche dalla "psicologia ortodossa"". G. W. Balfour, Hibber Journal, n. 43. Lo stesso pensiero espresso in maniera pi vicina al Buddhismo da Lafcadio Hearn: "Cos' la nostra individualit? Con la massima certezza non per niente un'individual it; una molteplicit incalcolabile. Cos' il corpo umano? Una forma costituita da mil iardi di entit viventi, un insieme impermanente di individui chiamati cellule. E l'anima umana? Un composto di quintilioni di anime. Noi siamo, tutti ed ognuno, composti indefiniti di frammenti di vite anteriori". Nel Salmo di Ananda: "Un in sieme malato, brulicante di fini e luoghi, che non ha il potere di durare".] Il Buddhismo, comunque, non spiega in che modo una continuit di causa ed effetto sia mantenuta tra una vita A e la conseguente vita B, che sono separate dal fatt o della morte fisica; la cosa data per scontata. Le scuole brahmaniche supplisco no a questa difficolt introducendo l'idea di un corpo "astrale" o sottile (il lin ga-sarira), una materia composta, non l'Atman, che serve da veicolo del mentale e delle caratteristiche e non si disintegra con la morte del corpo fisico. In al tre parole, abbiamo un gruppo, formato da corpo, anima, e spirito; mentre i due primi elementi sono materiali, composti e fenomenici, il terzo "non cos, non cos". Ci che trasmigra, e trasporta il kamma da una vita A ad un'altra vita B, l'anima , o corpo sottile (che il Vedanta, in perfetto accordo con Gautama, definisce co me non-Atman). E questo corpo sottile che costituisce il fondamento di un nuovo corpo fisico, che modella a sua immagine, effettuando quella che si potrebbe chi amare una "materializzazione" spirituale che mantenuta durante la vita. Il princ ipio lo stesso anche se l'essere rinasce in cielo, in purgatorio, o sulla terra. Questo punto di vista, bench non sia menzionato dai Buddhisti, non ha nulla che s i opponga alla teoria buddhistica. La validit della dottrina dell'anima-non-etern a resta invariata con la sopravvivenza della personalit dopo la morte; giacch ques ta sopravvivenza non potrebbe dimostrare che la personalit costituisca un'unit ete rna, n pu dimostrare che qualcosa sopravviva al raggiungimento del Nibbana. Possia mo per dire che il Buddhismo, in particolare nei Jataka, d la sopravvivenza della personalit (fino al momento di raggiungere il Nibbana) per scontata; e se altrime nti fosse, la violenta opposizione del Buddhismo al suicidio sarebbe poco spiega bile, perch essa si appoggia sul solido argomento che ci vuole qualcosa di molto pi potente di una dose di veleno per distruggere l'illusione dell'"io" e del "mio ". Per riuscirci bisogna esercitare lo sforzo instancabile di una strenua volont. [nota: T. W. Rhys Davids, Ibid., pag. 78. La teoria del corpo sottile non menzio nata, a causa dell'astensione generale di Gautama da discussioni a carattere esc atologico. E comunque un tributo al valore del pensiero buddhistico, che anche l a prova della sopravvivenza della persona non si opporrebbe alla dottrina centra le della complessit dell'anima e del suo carattere fenomenico.] III - I cieli buddhistici e come raggiungerli Gautama non ha negato l'esistenza di divinit o di stati futuri d'esistenza in par adisi o inferni. Il Buddhismo ateistico solo nel senso che nega l'esistenza di u na causa prima, e pone l'accento sul concetto della mortalit di tutti gli esseri divini, per quanto longevi possano essere concepiti. A parte questo, Gautama non si limitava solamente ad aderire a credenze popolari, ma parlava dei suoi rappo rti con le divinit e delle visite ai loro cieli; e, fatto ancora pi importante, tu tti quegli esercizi spirituali che non conducono direttamente al Nibbana sono sp ecialmente raccomandati per assicurarsi i minori, ma gi ben auspicabili frutti di

rinascite nei cieli inferiori, o nei mondi di Brahma, formali o informali. In t utto questo, d'altronde, non c' nulla di contrastante con lo spirito del Dhamma, che insiste sulla legge del divenire, ma non esclude obbligatoriamente la possib ilit di altre modalit del divenire, differenti da quelle familiari al nostro campo d'esperienza. Lo spiritualismo, in altre parole, anche se per nulla indispensab ile per il Buddhismo originario, non contraddice comunque il Dhamma. Le principali divinit di cui si parla comunemente nei sutta, sono Sakka e Brahma. [nota: Il Brahman impersonale sconosciuto nella dialettica buddhistica.] Sakka il re dell'Olimpo, "il Giove della moltitudine", ed pi o meno identificabil e con l'Indra del Brahmanesimo popolare. Pi grande di Sakka e concepito in manier a pi spirituale, Brahma, il sovrano supremo della teologia brahmanica ortodossa d ell'epoca del Buddha. Entrambe queste divinit sono descritte nei sutta come conve rtite al Dhamma del Buddha, che il "Maestro di divinit e uomini". Un'intera serie di sutta tratta della conversione e dell'esortazione di queste divinit, ed evide ntemente questi sutta si propongono di mostrare che le divinit brahmaniche sono v eramente sostenitrici del Buddha, e a questo scopo esse sono fatte parlare come Buddhisti illuminati e devoti. Tavola di pagina 112: Mondi di Brahma (Brahma-loka): 1. Arupa-loka, o Piani informali: I quattro cieli superiori, esenti dal desideri o dei sensi e non condizionati dalla forma. Questi cieli sono raggiunti con la p ratica dei quattro arupa jhana. 2. Rupa-loka, o Piani formali: I sedici cieli, esenti dal desiderio dei sensi, m a condizionati dalla forma. Questi cieli sono raggiunti con la pratica dei quatt ro jhana. Kama-loka, o Piani del desiderio dei sensi (sono anch'essi Rupa-loka, ma non Bra hma-loka: 1. I sei Kama-vacara devaloka. questi cieli sono raggiunti con uone azioni: Divinit: Paranimitta-vasavatti. Divinit: Nimmana rati. Cielo di Tusita (dove Gautama Buddha risiedeva prima della sua a Metteya attende la sua ultima nascita. Divinit di Yama. Cielo di Tavatimsa (dove risiedono le Trentatr divinit con a I quattro grandi re (guardiani dei punti cardinali, Nord, Sud, il merito delle b

nascita e dove or capo Sakka). Est e Ovest).

2. I cinque mondi di uomini, demoni, spiriti, animali e purgatorio. [nota: Cento dei nostri anni costituiscono un giorno e una notte delle divinit de l gruppo dei Trentatr; trenta di questi giorni e notti il loro mese dodici di que sti mesi il loro anno; la durata della loro vita di mille di questi anni celesti , o, secondo la misura umana, trentasei milioni di anni. Payasi Sutta.] La cosmogonia buddhistica, sebbene si rifaccia a quella brahmanica, ha comunque aspetti che le sono peculiari anche nei dettagli, e merita una certa attenzione. La si comprender meglio dalla tavola della pagina precedente, piuttosto che da u na lunga descrizione. La parte pi essenziale e pi vera di tale cosmogonia (e l'uni ca di cui si tratti nei passi pi profondi delle scritture buddhistiche), la tripl ice divisione in Piani del desiderio, Piani formali di Brahma e Piani informali di Brahma. C' una profonda verit nascosta anche nell'idea mitologica della possibi lit di visitare i mondi di Brahma quantunque si viva ancora sulla terra. Non si e leva forse al di sopra del Piano del desiderio, chi, in contemplazione estetica, "aus sich selbst entruckt"? Ed anche il geometra, non conosce forse i Piani for

mali di Brahma? Ci sono modalit di esperienza che ci possono portare ancora oltre . Poincar scrive dell'eremita matematico: "Jamais il n'voquait une image sensible, et pourtant vous vous aperceviez bientot que les entits les plus abstraites taient pour lui comme des etres vivants. Il ne les voyait pas, mais il sentait qu'elles ne sont pas un assemblage artificiel, et qu'elles ont je ne sait quel principe d'unit interne". [nota: La valeur de la Science. La Rhys Davids fa notare l'apparente assenza di musica nei cieli superiori del Buddhismo (Buddhist Psycology, pag. XIV); ma dove la forma deve essere sostituita da "apparizioni elevate di pensieri astratti", la musica pu anche essere silenziosa, e non abbisogna degli strumenti articolati che sono usati nei cieli inferiori dei sensi. "Pitagora... non ha detto che i mo vimenti dei corpi celesti provochino una musica udibile ma che sono una musica i n se stessi... soprasensibile". Schelling; "L'intero cielo pieno di suoni, e que sta musica prodotta senza dita e senza corde". Kabir. Anche qui, nello stesso mo do, esiste eternamente il Veda o Dhamma che "udito" solo nei mondi inferiori.] Ed anche Keats, non si riferisce forse al Piano informale di Brahma, quando scri ve in una sua lettera: "Non ci sar spazio, e di conseguenza l'unico contatto tra gli spiriti sar ottenuto attraverso le loro intelligenze. Mentre essi si comprenderanno completamente l' uno con l'altro, noi, in questo mondo, ci comprendiamo solamente a diversi livel li"? Se vero che chi non raggiunge il Nibbana qui ed ora rinasce in un altro mon do - e questo dato per scontato nel Buddhismo originario - allora cosa c' di pi ra gionevole della supposizione che coloro che sulla terra coltivino gli stati ment ali che abbiamo indicato, cio gli stati di autoconcentrazione nella contemplazion e della bellezza o di una forma ideale, o in un pensiero pi astratto, rinascano i n quei mondi che hanno cos spesso visitato? Questa considerazione sostenuta come segue nel Tevijja Sutta: Dopo aver descritto le quattro modalit sublimi, Gautama chiede: "Cosa pensi, Vasettha, il Bhikkhu che vive cos pu possedere donne o ricchezze, o n o?" "No, Gautama!" "Sar colmo d'ira, o libero dall'ira?" "Sar libero dall'ira, Gautama!" "La sua mente sar colma di malizia, o libera dalla malizia?" "Sar libera dalla malizia, Gautama!" "La sua mente sar macchiata, o pura?" "Sar pura, Gautama!" "Egli sar padrone di se stesso, o no?" "Certamente lo sar, Gautama!" "Dunque tu dici, Vasettha, che il Bhikkhu libero dalle preoccupazioni del padre di famiglia e mondane, e che Brahma libero dalle preoccupazioni del padre di fam iglia e mondane. C' dunque accordo e similitudine tra il Bhikkhu e Brahma?" "C', Gautama!" "Molto bene, Vasettha. Allora in verit, Vasettha, il Bhikkhu che libero dalle pre occupazioni del padre di famiglia, dopo la morte, quando il corpo dissolto, pu un irsi a Brahma, che lo stesso; un tale stato di cose estremamente possibile!" Non dobbiamo comunque supporre che la pratica delle quattro modalit sublimi da pa rte di un asceta, e lo stretto accordo con la formula buddhistica, sia il solo m ezzo par raggiungere l'unione con Brahma. Le scritture buddhistiche riconoscono a fianco di questi esercizi etici altre speciali condizioni di intelletto ed emo zione che si ottengono nei "quattro jhana", e queste pratiche, come quelle delle quattro modalit sublimi, possono essere seguite dai padri di famiglia, come dagl i asceti. Se nel mondo moderno dovesse essere provato, o diventasse di credenza generale, che la personalit sopravvive alla morte - ed forse ragionevole supporre che l'accidente della morte sia sufficiente a sopraffare la volont individuale d i vivere? - allora qualche classificazione dei cieli simile a questa dell'escato logia del Buddhismo originario potrebbe anche aver corso; in alternativa si potr ebbe parlare dei tre cieli del Monismo: Bellezza, Amore, e Verit. E possiamo anch

e credere, come i primi Buddhisti, che coloro che raggiungeranno questi cieli si ano precisamente coloro che hanno gi sperimentato simili stati di coscienza: le v arie sorta di artisti, amanti e filosofi. La devozione e l'oblio di s di costoro deve portare, come gli stati di samadhi buddhistici, ai mondi di Brahma, per la ragione che i simili si attraggono. Proprio come il samadhi dei Buddhisti, anche la concentrazione dell'artista, dell'amante e del filosofo dovrebbe tendere ad un'emancipazione finale. IV - Il Nibbana "Fin qui la storia pu essere raccontata, ma ci che segue nascosto, e non pu essere espresso dalle parole". Galal ad-Din Rumi Nibbana uno dei molteplici nomi della meta e summum bonum a cui convergono tutti gli intenti del pensiero buddhistico. Ci che Moksha per il Brahmano, il Tao per il Saggio cinese, Fana per il Sufi, la Vita Eterna per i seguaci di Ges, questo i l Nibbana per il Buddhista. Raggiungere questo Nibbana, al di l della presa del m ale, l'unico pensiero che spinge l'aspirante buddhista ad entrare nelle vie. Chi voglia comprendere il Buddhismo, quindi, deve cercare di comprendere il Nibbana : non, cio, di interpretarlo razionalmente - poich la speculazione una delle conta minazioni mortali - ma di comprenderne le implicazioni per un Buddhista ortodoss o e il significato sulle labbra di Gautama. Sfortunatamente, il termine Nibbana (Nirvana nella forma sanscrita) divenuto fam iliare agli studiosi europei ben prima che le scritture buddhistiche fossero res e accessibili; i primi scrittori occidentali sul Buddhismo "lo hanno interpretat o in termini della loro propria credenza, come uno stato da raggiungere dopo la morte. Cos essi supponevano che l'"estinzione" dovesse significare la morte di "u n'anima"; e vi furono discussioni senza fine per stabilire se questo significass e l'eterno samadhi, o l'annullamento assoluto di un'anima". [nota: Ma il Milinda Panha parla anche (erroneamente) di un Arahat come di chi " entri nel" Nibbana, dicendo che il laico che raggiunge lo stato di Arahatta deve entrare nell'Ordine o passare nel Nibbana; e qui l'ultima alternativa implica l a morte fisica (come nel caso di Suddhodana, il padre del Buddha, pag. 58).] Si pu vedere quanto questa discussione fosse irrilevante se ci si rende conto che il Nibbana uno stato che dev'essere realizzato qui ed ora, ed riferito che sia stato raggiunto dal Buddha all'inizio del suo ministero, come pure da innumerevo li Arahat, suoi discepoli, e se ricordiamo che il Buddhismo nega l'esistenza di un'anima, in qualsiasi momento, sia prima che dopo la morte. Nel Milinda Panha, il Nibbana paragonato ad una "citt gloriosa, immacolata e senz a macchia, pura e bianca, eterna, immortale, sicura, calma e felice"; e tuttavia questa citt ben lungi dall'essere un cielo al quale gli uomini giungano dopo la morte: "Non vi luogo, o re, Est, Sud, Ovest o Nord, sopra, sotto o aldil, dove sia situa to il Nibbana; eppure il Nibbana ; e chi ordina rettamente la sua vita, basandola sulla virt, e con attenzione intensa, pu realizzarlo, anche se vive in Grecia, in Cina, ad Alessandria, o nel Kosala". Entra in questa citt chi "emancipa la sua mente nell'Arahatta". Il significato le tterale della parola Nibbana : "estinzione", o "spegnimento", come per un fuoco. [nota: Sono possibili altre etimologie: " chiamato Nibbana ci in cui un allontanam ento da quel desiderio che detto vana, piacere sensuale". Anuruddha, Compendium of Philosophy, IV, 14. importante ricordare che il termine Nirvana anteriore al Buddhismo, ed una delle molte parole usate da Gautama con un significato partico lare. Nelle Upanishad non significa affatto l'estinzione di qualcosa, ma piuttos

to la perfetta realizzazione del S; per coloro che hanno dissipato l'oscurit dell' ignoranza con la conoscenza perfetta, "si apre la pi alta meta, l'eterno, perfett o Nirvana", Chandogya Upanishad, 8, 15, 1. L'uso buddhistico d importanza al sign ificato strettamente etimologico di "estinzione", ma anche cos non si tratta dell 'estinzione di un'anima o di un'individualit, perch simili entit non esistono, e qu indi non possono estinguersi; sono solo le passioni (desiderio, risentimento, il lusione) che possono spegnersi. Quanto a ci che resta, se "qualcosa", il Buddhism o originario mantiene il silenzio.] Per comprendere la sua importanza tecnica, dobbiamo richiamare alla mente l'esem pio della fiamma cos ripetutamente usato nel pensiero buddhistico: "L'intero mond o in fiamme", dice Gautama. "Da quale fuoco acceso? Dal fuoco della passione (ra ga), del risentimento (dosa), dell'illusione (moha); infiammato dal fuoco della nascita, della vecchiaia, della morte, della pena, della deplorazione, del dispi acere, dell'afflizione e della disperazione". Il processo della trasmigrazione, l'ordine naturale del divenire, la comunicazio ne di questa fiamma da un composto combustibile ad un altro. La salvezza dell'Ar ahat, il Santo, allora l'estinzione - Nibbana - delle fiamme della passione, del risentimento, dell'illusione, e del desiderio di vita separativa. Il Nibbana so lo questo, niente di pi n di meno. Nibbana (Nirvana) l'unico termine buddhistico familiare ai lettori occidentali p er esprimere la salvezza, ma solo uno dei tanti che ricorrono nelle scritture or todosse del Buddhismo. Forse il termine pi ampio Vimokha, o Vimutti, "salvezza" o "liberazione", e coloro che hanno ottenuto questa salvezza sono chiamati Arahat , Adepti, mentre lo stato dell'Adepto chiamato Arahatta. Altri termini e definiz ioni esprimono "la fine della sofferenza", la "medicina per ogni male", l'"acqua viva", l'"imperituro", il "durevole", l'"ineffabile", il "distacco", la "sicure zza infinita". Il Nibbana di cui abbiamo parlato fino ad ora, come si pu vedere, essenzialmente etico; ma questo Nibbana comporta anche, ed quindi spesso usato come sinonimo pe r, la "cessazione del divenire"; e questo, naturalmente, il massimo bene che si possa desiderare, di cui l'"estinzione" etica semplicemente il mezzo ed il segno esteriore. La salvezza (Vimutti) ha quindi anche un aspetto psicologico, il cui elemento pi essenziale l'affrancamento dall'individualit. Troviamo cos definite le otto stazioni della liberazione: 1. avendo una forma esteriore, si vedono le fo rme; 2. inconsapevoli della propria forma esteriore, si vedono le forme esterne a se stessi; 3. ipnosi estetica; 4. permanenza nella sfera dello spazio consider ata indefinita; 5. permanenza nella sfera della cognizione considerata indefinit a; 6. permanenza nella sfera del nulla [di forma]; 7. permanenza nella sfera che non n dell'ideazione n della non-ideazione; e 8. permanenza nello stato in cui si a le sensazioni che le idee hanno cessato di essere. [nota: Le stazioni dalla quarta alla settima sono le stesse dei quattro arupa jh ana per mezzo dei quali sono raggiunti i Cieli informali.] Un altro modo di attualizzare la connotazione pratica del Nibbana buddhistico di considerare la testimonianza di quegli Arahat che, con Gautama, vi sono arrivat i. Si dice che due discepoli di Gautama abbiano attestato quanto segue: "Signore, a chi Arahat, che... ha conquistato il suo affrancamento, ha completam ente distrutto i vincoli con il divenire, che si emancipato con la saggezza perf etta, a quegli non viene il pensiero che alcuni siano meglio di me, o uguali a m e, o meno di me". "Cos ", ha risposto Gautama, "gli uomini con l'impronta della verit espongono la gn osi che hanno raggiunto; parlano di ci che hanno ottenuto (attha), ma non parlano di "io" (atta)". L'affrancamento che ci si propone nel Buddhismo originario da mana, il concetto del riferimento a se stessi, l'ahamkara del Samkhya. Di colui che l'ha ottenuto possiamo dire veramente che niente di lui restato in lui. Trov iamo questo aspetto in un dialogo tra due discepoli; uno ha un'espressione seren a e radiosa, e l'altro chiede: "Dove sei stato oggi, Sariputta?"

"Sono stato solo, nel primo jhana (contemplazione), Fratello", la risposta trion fante, "e l non mi ha mai sfiorato il pensiero: "sto arrivandoci; ne sono emerso! "" Per sapere qualcosa degli effetti dell'esperienza del Nibbana sulla vita, abbiam o la testimonianza dei Fratelli e delle Sorelle i cui "Salmi" sono riportati nel Thera-theri-gatha. Per cominciare dai Fratelli: "L'illusione mi ha abbandonato completamente", ' "adesso sono freddo; perch ogni fuoco interiore mi ha lasciato." Un altro descrive il facile movimento della vita del Liberato: Cos come, senza fatica, il bue di razza con possente dorso fa scivolar l'aratro lungo il solco, cos, lievi scorrono per me le notti e i giorni ora che acquisita la pura, incontaminata, beatitudine. Forse il pensiero prevalente un piacere pi o meno estatico per essere sfuggiti al male e al desiderio (dukkha e tahna), alla sensualit, al risentimento, all'illus ione; e alla prospettiva di una rinascita, nella continuit del divenire, in quals iasi altra vita condizionata. Se si guarda dal punto di vista della volont, nuova mente, l'accento posto sull'ottenimento della liberazione, della padronanza di s, e cos via. E l'ottenimento pu essere descritto poeticamente - cos come il Brahman chiamato "beatitudine", "intelligenza", e cos via, nelle scritture brahmaniche come luce, verit, conoscenza, felicit, calma, pace; ma le similitudini sono sempre fredde, non suggeriscono mai un rapimento estatico violento o un'emozione sover chiante. Anche se distinguiamo una nota di esultazione per la conquista ottenuta qui ed ora, dobbiamo per riconoscere che l'insegnamento buddhistico ortodosso ca ratterizzato dall'"assenza di qualsiasi gioia riguardante la prospettiva del fut uro"; e, invero, nessun Realizzato pu aspettarsi dal futuro una beatitudine maggi ore di quella che ha gi sperimentato: che cosa di pi potrebbe cercare chi ha gi ott enuto il summum bonum, e l'accidente fisico della morte cosa potrebbe aggiungere a chi ha gi raggiunto la meta come conseguenza del suo sforzo? [nota: Perch: "Il Paradiso gi sulla terra..." Boehme; perch: "Quando me ne andr, che le mie ultime parole possano essere che ci che ho visto insorpassabile". Tagore. Non c' niente di pi che possa essere desiderato.] Gautama rifiuta espressamente di rispondere a qualsiasi domanda che riguardi la vita dopo la morte, e ne condanna ogni speculazione come poco concludente: "Non ho", dice, rivolgendosi al venerabile Malunkyaputta, che desiderava informa zioni su questo argomento, "rivelato che l'Arahat esista dopo la morte; non ho r ivelato che non esista; non ho rivelato che contemporaneamente esista e non esis ta, e neppure che n esista, n non esista dopo la morte. E perch, Malunkyaputta, non ho rivelato queste cose? Perch, o Malunkyaputta, sono controproducenti, non hann o niente a che vedere con l'essenza della norma, non tendono a mutare la volont, all'assenza suprema di passioni, alla cessazione, al riposo, alle facolt superior i, alla saggezza, n al Nibbana; perci non ne ho fatto parola". I primi Arahat, astenendosi doverosamente dalla speculazione, devono aver pensat o qualcosa che coincide con le parole di Emerson: "Dell'immortalit, l'anima, se ben impiegata, non curiosa. Sta cos bene, che sicura che star bene". E ingiunto nella maniera pi esplicita che lo stato del Nibbana non pu essere discu sso: "Come una fiamma spenta dal vento", dice il Buddha, "sparisce e non pu essere per cepita, cos un Saggio, liberato da nome e forma, sparito, e non pu essere percepit o". Il discepolo chiede: "Allora egli semplicemente sfuggito alla vista, oppure non esiste proprio pi?" "Per colui che scomparso", dice il Buddha, "non c' pi forma; ci per cui si dice: "E gli " non esiste pi per lui; quando tutte le condizioni sono abolite, sono aboliti anche tutti gli argomenti di discussione'". O ancora:

Come le scintille infiammate che vengono da una fucina si spengono una dopo l'altra, e nessuno sa dove sono andate, ... cos per chi ha raggiunto la liberazione totale, che ha oltrepassato il flusso dei desideri, che entrato nella felicit tranquilla. Di costoro non resta traccia. In questo senso essi sono a volte paragonati agli uccelli dell'aria, il cui perc orso difficile da seguire, perch non lasciano tracce. Ma torniamo al significato di Nibbana o Vimutti applicato agli Arahat ancora viv enti. Gli Arahat e il Buddha hanno raggiunto il Nibbana o Vimutti, e sono Vimutt o; dobbiamo intendere che questo stato sia conservato ininterrottamente dal mome nto dell'illuminazione al momento della morte? Se cos, cos' che mantiene la vita n ell'essere liberato? Questa domanda viene posta anche nel Vedanta. La risposta p i comune che la spinta del kamma antecedente sufficiente a far perdurare la vita individuale anche dopo che la "volont di vivere" cessata, e questo espresso nel v ivido paragone della ruota del vasaio, che continua a girare per qualche tempo a nche dopo che la mano del vasaio ha smesso di spingerla. In ogni caso evidente c he la libert dell'Arahat o Jivan-mukta non implica un immediato e permanente affr ancamento dalla mortalit: ad esempio, nonostante avesse raggiunto gi da molto temp o l'illuminazione perfetta, riportato che il Buddha abbia sofferto per gravi mal attie, e che ne sia stato cosciente. Non c' dubbio che siano considerazioni di qu esto tipo che hanno determinato la distinzione, qualche volta tracciata, tra il Nibbana, o "Estinzione", e il Parinibbana, "Estinzione completa o finale", che c oincide con la morte fisica. L'Arahat comunque passato attraverso un'esperienza che illumina tutta la sua vit a rimanente: conosce le cose per quello che sono in realt, ed libero da timore e dispiacere: ha realizzato, anche se solo per un istante, l'Abisso, dove non c' pi divenire. E rassicurato dell'autenticit dell'esperienza (estinzione della propria individualit) dal fatto stesso che il pensiero "sto sperimentando, ho sperimenta to" non gli si presentato. Ma il semplice fatto che sa di aver fatto quest'esper ienza, e che pu farla ancora - pu anche comandarla a volont - prova che non la real izza in continuazione. Inoltre, contrario ad ogni esperienza spirituale - e dobbiamo protestare duramen te contro la pretesa, diffusa fra i Buddhisti, che l'esperienza buddhistica dell a salvezza sia unica - che il pi alto rapimento estatico possa essere considerato come scientemente coesistente con l'attivit ordinaria della coscienza empirica, anche se il tran tran della vita quotidiana sia semplice come quello del Fratell o buddhista. Nelle scritture buddhistiche frequentemente riportato che sia il Bu ddha che i Fratelli entrano ed escono dal pi elevato stato di samadhi. In altri m omenti la coscienza empirica deve essere sveglia; e, naturalmente, poich questa c oscienza composita e mutevole, non pu, come tale, essere "liberata". L'esperienza suggerisce dunque che mentre il Nibbana sicuramente accessibile qui ed ora - co me i mistici di tutte le epoche hanno vigorosamente testimoniato - una realizzaz ione continua della salvezza concepibile solo dopo la morte. E, come dice il Bud dha, ci che la realizzazione implica non soggetto alle sole leggi del pensiero ra zionale. Il Buddhismo posteriore offre un'altra spiegazione per il fatto che non possiamo considerare il Nibbana, o Vimutti, realizzato in questa vita come un'esperienza ininterrotta. Questa spiegazione, che si accosta all'eresia docetica del Cristi anesimo, asserisce con solide basi logiche che l'individuo liberato - il caso de l Buddha considerato in modo particolare in un sistema che ritiene lo stato di B uddha la meta, pi che non quello di Arahatta - liberato una volta per tutte: ci ch e resta, l'uomo che vive e parla sulla terra, solo un miraggio, che esiste nelle coscienze degli altri, ma che non sostenuto da alcuna volont di vivere sua propr ia; una volta di pi la ruota del vasaio, che la mano del vasaio ha smesso di spin gere. Certe prove tendono a indicare che lo stato del Nibbana, o Vimutti, offre il pri

vilegio di due mondi, la Vetta e l'Abisso. Leggiamo, ad esempio, che quando un Fratello ha preso possesso delle Otto Stazio ni della Liberazione "in modo tale da immergersi in ognuna di esse, e da emerger ne, quando vuole, dove vuole, e per quanto vuole - e quando, inoltre, avendo sra dicato le Contaminazioni, egli entra e permane in quell'emancipazione del cuore, quell'emancipazione dell'intelletto che da se stesso, qui nel presente mondo, e gli arrivato a conoscere e a realizzare - allora un simile Fratello, o Ananda, d etto "Libero-in-entrambi-i-modi"". Sfortunatamente non possiamo intendere "liber o in entrambi i modi" nel significato di "libero in entrambi i mondi" - condizio nato e incondizionato - perch la frase si riferisce chiaramente al duplice caratt ere della liberazione, nello stesso tempo psicologica ed etica. Ma , comunque, af fermato che il Fratello divenuto Adepto libero di passare da un mondo all'altro, dalla Vetta all'Abisso, e dall'Abisso alla Vetta a volont: difficilmente si pu su pporre che la morte fisica implichi la perdita di questo potere: se invece lo si fa, si traccia in questo modo una divisione tra il Nibbana dell'individuo viven te e il Nibbana del morto, e il secondo diventa pi limitato, il meno libero. E ch e la coscienza del Vimutta dopo la morte dell'individuo - o piuttosto, indipende ntemente dalla vita o morte dell'individuo - tocchi realmente sia la Vetta che l 'Abisso, come asserisce decisamente la dottrina brahmanica, in ogni caso il Budd ha non lo nega. Troviamo perfino scritto che "dire di un Fratello liberatosi con la discriminazione: "Non sa, non vede", sarebbe assurdo!" In altre parole, chiaro che l'"individuo" liberato, dopo la morte non cessa "di conoscere le cose come sono realmente": essendosi purificate le porte della perc ezione, egli continuer a vedere tutte le cose come sono, all'infinito - o per tor nare al linguaggio buddhistico, vuote -. Non c' comunque nessun individuo che "ve de", perch l'individuo di prima ugualmente limitato o vuoto: soggetto e oggetto s ono unificati nell'Abisso. Cos, ancora una volta, non possiamo stabilire una dist inzione definita tra la fraseologia positiva e negativa degli Adepti. In ogni ca so certo che l'uso buddhistico (e brahmanico) dei negativi non intende che lo st ato di liberazione implichi una perdita per chi lo raggiunga. Per i lettori occi dentali il linguaggio dei mistici occidentali dovrebbe costituire un'indicazione sufficiente di ci che si intende: il Nibbana sicuramente "quella nobile Perla, c he al mondo appare niente, ma che per i Figli della Saggezza Tutto". Cosa signif ica precisamente il Nibbana nel Buddhismo originario, e il Nirvana nel Mahayana, non potrebbe essere spiegato pi esattamente di come lo nel primo e nel secondo d ei seguenti paragrafi dei Dialoghi di Boehme: "E per finire, invece io ho detto: "Chiunque lo trovi, trova [insieme] Niente e Tutto"; anche questo certo e vero. Ma cosa significa che egli non trova Niente? Perch, ti dir, colui che lo trova, trova un Abisso sovrannaturale, sovrasensibile, il quale non ha terreno o base su cui poggi, e nel quale non c' luogo dove stia; e trova anche che nulla simile ad esso, per la qual cosa si pu giustamente parag onarlo a Niente, perch pi profondo di qualsiasi Cosa, ed come un Niente rispetto a Tutte le Cose, tanto pi che non pu essere compreso da nessuna di esse. E poich non Nulla nei riguardi di qualsiasi cosa, altres libero da Tutte le Cose, ed quell'u nico Bene che l'uomo non pu esprimere o descrivere cosa sia, perch non c' niente, a cui si possa paragonarlo, con il quale esprimerlo. "Ma in ci che ho detto alla fine: "Chiunque lo trovi, trova Tutto"; non c' nulla c he possa essere pi vero di una simile asserzione. E stato l'inizio di ogni cosa; e governa tutte le cose. altres la fine di tutte le cose; per cui comprender ogni cosa nel suo cerchio. Tutte le cose provengono da Esso, e in Esso, e per mezzo d i Esso. Se tu lo trovi, metti i piedi in quella terra dalla quale tutte le cose traggono origine, e nella quale durano; e in essa tu sei un Re [che regna] su tu tte le opere di Dio". V - L'etica "Che i Fratelli non si occupino di commercio" Theragatha, 1072

Esaminando l'argomento della morale buddhistica, non potremmo mai, in primo luog o, dar troppo rilievo al fatto che lo scopo che si prefiggevano tanto Gautama qu anto Ges non era quello di stabilire l'ordine nel mondo. [nota: Dhammapada, V, 412. Il Buddhista, come il Cristiano tolstoiano, non ha fe de nel governo. Leggiamo di lezioni spirituali ai prncipi, ma la "strada della sa ggezza politica" chiamata "una via impura di falsit" (Jatalzamala, XIX, 27). Il p unto ulteriormente illustrato dal rifiuto di Gautama ad intervenire quando gli g iunse il messaggio che Devadatta aveva usurpato il trono di Kapilavatthu (supra, pag. 38).] Niente avrebbe potuto essere pi lontano dai pensieri del Buddha che il raddrizzam ento dell'ingiustizia sociale, e non si sarebbe potuto immaginare per Colui-cheha-raggiunto-ci un titolo meno adatto che quello di democratico o riformatore soc iale. "Un uomo saggio", dice il Dhammapada, "deve abbandonare lo stato oscuro de lla vita nel mondo e perseguire lo stato luminoso della vita monastica". Il mess aggio di Gautama rivolto a coloro di cui percepisce la potenzialit di discernimen to finale gi sul punto di maturare: per questi egli pronuncia la parola di affran camento da cui sorge un richiamo irresistibile ad abbandonare il mondo e a segui rlo: Nibbana. "Questa legge appartiene al Saggio e non allo stolto". Per i bambini e per coloro che sono come i bambini, come fa notare il Prof. Olde nberg, le braccia del Buddha non sono aperte. Non neppure giusto per Gautama con frontare il suo Dhamma - la norma buddhistica - con i Dharma che sono assegnati a uomini di diverso stato sociale nell'ordine sociale brahmanico. Per esaminare la sua dottrina senza pregiudizi dobbiamo concentrare la nostra attenzione sul S angha, l'Ordine, che egli ha fondato: dobbiamo comparare il suo sistema, non con altre religioni, ma con un altro sistema monastico, e considerare se la sua dis ciplina mentale e morale sia finalizzata o no a far ottenere a chi la segue la s alvezza che desidera. Certamente Gautama non credeva che la salvezza si potesse ottenere in un altro modo, n da parte di Fratelli di un altro ordine: perch, per c oloro che seguissero un altro metodo, e per la vasta massa dei laici si trattava solo di rinascere in condizioni favorevoli o sfavorevoli a seconda del valore m orale dei loro atti. [nota: Il Buddhismo ha molto da dire sullo stato futuro di coloro che muoiono se nza essersi liberati, perch non si sono separati dalle condizioni che determinano la rinascita. Come detto dalla Rhys Davids, "La massa della brava gente ordinar ia, che procede, con la pazienza e il coraggio dei mediocri mortali, da uno stad io all'altro di verde immaturit, attraverso quelle gioie e quei dispiaceri che ta nto spesso ricorrono e ricorreranno, il paradiso, il purgatorio e la terra stess a attendono il loro futuro".] L'ideale buddhistico originario non solo molto lontano da ci che immorale, ma anc he, e non di meno, da ci che morale: esso va al di l delle concezioni del bene e d el male, in quanto anche le buone azioni, secondo il giudizio del mondo, determi nano la rinascita: esse infatti hanno come conseguenza la loro ricompensa. "E voi, Fratelli", dice Gautama, "imparate dalla parabola della zattera che dove te disfarvi delle buone condizioni, per non parlare di quelle cattive". Il bene solo la zattera che ci fa attraversare il mare pericoloso; chi vuole rag giungere la terra dell'ultima spiaggia deve abbandonare la zattera dopo aver toc cato terra. Comprendere questa realt non toglie comunque niente al valore relativ o della zattera. Questa una "religione dell'eternit" - il nivritti marga brahmanico -, per questo si potrebbe legittimamente chiamarla antisociale, se mai fosse anche solo remota mente possibile, o se si supponesse che dovesse, o potesse, essere adottata nell a sua integralit, da tutti. Religioni come questa, che incorporano la pi alta veri t che l'umanit abbia raggiunto, possono essere criticate come puritane solo se i l oro seguaci cercano di imporre un regime ascetico (piuttosto che uno di moderazi one) a tutti indistintamente, o se la loro idea sull'arte solamente edonistica,

o se si oppongono completamente al culto e al rituale. Ci sarebbe molto da dire in favore della dottrina brahmanica del debito sociale, e del punto di vista secondo il quale un uomo dovrebbe ritirarsi dal mondo solo avanti negli anni, e soltanto dopo che ha preso la sua debita parte della vita del mondo. Possiamo per sostenere la convinzione che la rinuncia al mondo, in qua lsiasi momento, da parte di chi sperimenta la vocazione all'ascesi, interamente giustificabile, se la vocazione reale. Inoltre, un reale vantaggio sociale e mor ale per la comunit che un certo numero delle sue menti pi acute, conducendo una vi ta che potrebbe dirsi riparata, possano rimanere distaccate dalle attivit sociali e slegate dai vincoli sociali. Si d troppa importanza all'"utilit" in comunit dove n i religieux n le donne sono "protetti". Ma anche se stabilire l'ordine nel mond o non lo scopo dell'eremita, ricordiamoci che egli lo spettatore che ha una visi one pi globale del gioco; non senza ragione che sia divenuto un uso tradizionale dell'Oriente che il sovrano sia guidato dal Saggio. L'esempio dell'ascetismo, in oltre, dove questo ascetismo naturale e non forzato, costituisce un utile corret tivo del lusso; dove la povert volontaria altamente rispettata una parte della so fferenza implicita nella povert ordinaria svanisce. A tutt'oggi, l'ideale brahman ico della vita frugale e della disciplina sociale influenza ancora decisamente g li usi e i costumi di tutte le altre caste; lo stesso risultato raggiunto dal mo nachesimo buddhista in Birmania, dove consuetudine, non solo per chi conduce vit a ascetica, ma per uomini di ogni ceto, trascorrere un periodo pi o meno lungo al l'interno dell'Ordine. Probabilmente la causa dell'ostilit che molti nutrono per gli ideali monastici di tipo buddhistico da ricercare nell'"egoismo" del loro obiettivo, o, per conside rare la cosa da un altro punto di vista, nel fatto che viene data importanza all a conoscenza, piuttosto che all'amore. Ma ricordiamoci che la maggior parte, e f orse anche tutto il nostro "altruismo", non che illusione. Nessuno pu crescere per un altro - nessuno. Il dono a favore del donatore, e la maggior parte gli ritorna - non pu mancare, e nessuno comprende una grandezza o una bont che non siano le sue, o un'indicazione che non si basi sulla sua esperienza. Ricordiamoci anche che la piet non esisterebbe pi, se tutti fossero felici come vo i [pity no more could be, if all were as happy as ye]: e proprio questa felicit p romessa a tutti coloro che abbandonano il desiderio, il risentimento, e il senti mentalismo. Non dobbiamo neppure dimenticare che era un dovere preciso dei Frate lli, e qualche volta anche delle Sorelle, predicare il Dhamma; e chi pu sostenere l'asserzione che l'uomo viva di solo pane? Secondo l'Editto di Asoka, "Non esis te carit pi grande della carit del Dhamma". Questo corrisponde anche alla convinzione di una mente occidentale cos pratica co me quella di Cromwell, la cui prima lettera esistente (come ha fatto notare Vinc ent Smith) costituisce un parallelo molto vicino al detto di Asoka appena citato : "La costruzione di ospedali", egli scrive, "provvede ai corpi degli uomini; cost ruire templi giudicato opera di piet; ma chi procura il cibo spirituale, che cost ruisce i templi spirituali, sono costoro gli uomini veramente caritatevoli, vera mente pii". molto probabile che il Buddhismo pi antico non avesse altro codice mo rale che quello della disciplina mentale e morale prescritta a chi aveva rinunci ato al mondo ed era entrato nelle vie. I seguenti dieci comandamenti erano gli o bblighi imposti ai Fratelli: evitare: 1. la distruzione della vita; 2. il furto; 3. l'incontinenza sessuale; 4. la menzogna; 5. l'uso di liquori alcolici; 6. di mangiare tra i pasti; 7. la partecipazione a divertimenti profani; 8. l'uso di unguenti e gioielli; 9. l'uso di letti elevati o lussuosi; e, 10, il maneggio di soldi. Chi si dedicava all'insegnamento dei Fratelli, ma restava laico, doveva obbedire alle prime cinque regole - che sono tutte, si noter, di carattere negati vo -. Ma nel caso dei laici, il terzo comandamento inteso semplicemente come ast ensione dall'adulterio.

Praticamente tutte queste regole sono estratte da fonti brahmaniche. Questo pi pa rticolarmente evidente in altri passaggi dei libri canonici dove la moralit laica esposta pi dettagliatamente. Quando pareri su questi argomenti sono richiesti a Gautama o ai Fratelli, la decisione che viene presa si accorda evidentemente con l'opinione pubblica corrente; il matrimonio e la vita familiare non sono dirett amente criticati, semplicemente fatto notare che la vita secolare non conduce al l'affrancamento da rinascite e sofferenza. [nota: Ma la superiorit della vita errante sempre maggiormente ribadita; per esem pio: "La vita del padre di famiglia piena di impacci, una via contaminata dalla passione; libera come l'aria la vita di chi ha rinunciato a tutte le cose mondan e. Com' difficile per l'uomo che vive in casa condurre una vita elevata in tutta la sua pienezza, in tutta la sua purezza, in tutta la sua brillante perfezione! Devo tagliarmi i capelli e la barba, devo rivestirmi di abiti fulvi, e uscire da lla vita del padre di famiglia, allo stato di erranza". Tevijja Sutta. " facile o ttenere la rettitudine nella foresta, ma non per un padre di famiglia". Jatakama la di Arya Sura XXXII.] In alcuni libri abbiamo ovviamente una dettagliata esposizione dei reciproci dov eri di figli e genitori, marito e moglie, padrone e servo. Queste norme stabilis cono proprio quei doveri che sono riconosciuti anche nelle opere brahmaniche e i ndicano un modo di vita irreprensibile, dove dato particolare risalto al non rec ar danno agli altri, sostenere i parenti, e dare in elemosina ai Fratelli. Quest a la condizione pi vicina a quella del pellegrino, che membro dell'Ordine, ed "er rante". I doveri dei laici sono esposti nel Sigalavada Sutta per sei capi: i gen itori devono allontanare i figli dal vizio, spingerli verso la virt, far apprende re loro arti e scienze, provvederli di mogli o mariti adeguati, e dar loro la lo ro eredit; i figli devono mantenere quelli che li hanno mantenuti, adempiere ai d overi familiari, occuparsi della propriet dei loro genitori, rendersi degni di es serne gli eredi, e finalmente onorare la loro memoria. Gli allievi devono rispet tare gli insegnanti alzandosi in loro presenza, assecondarli, obbedendogli, rifo rnendoli del necessario e applicandosi con attenzione all'apprendimento; l'inseg nante deve mostrare affetto verso i suoi allievi e indirizzarli a tutto ci che bu ono, insegnando loro ad apprendere in fretta, istruendoli nella scienza e nella tradizione, parlando bene di loro, e proteggendoli dal pericolo. Il marito deve trattare la moglie con rispetto e gentilezza, esserle fedele, far s che sia rispe ttata dagli altri e darle abiti e gioielli adeguati; essa deve tenere la casa ne l dovuto ordine, essere ospitale con parenti e amici, essere casta e parsimonios a e in ogni cosa comportarsi con abilit e diligenza. Un uomo deve coltivare le su e amicizie con regali, linguaggio cortese, promuovere i loro interessi, trattare gli amici come pari, e dividere con loro la sua prosperit; essi devono assisterl o quando in difficolt, proteggere la sua propriet quando egli la trascura, offrirg li rifugio in caso di bisogno, stargli vicino nella sfortuna, e mostrare gentile zza verso la sua famiglia. Il padrone deve aver cura dei suoi dipendenti, impone ndo loro un lavoro proporzionato alla loro forza, dandogli nutrimento e salario adeguati, badando a loro quando sono ammalati, dividendo con loro ghiottonerie i nsolite, e concedendo loro vacanze occasionali; essi devono alzarsi in sua prese nza, ritirarsi a riposare dopo di lui, essere contenti di ci che egli d loro, lavo rare volentieri e bene, e parlare bene di lui. Un laico deve rispettare i Bhikkh u e i Brahmani con affetto, nel pensiero, nella parola, nell'azione, tributando loro un pronto benvenuto, e supplendo alle loro necessit temporali; essi (Bhikkhu e Brahmani) devono dissuaderlo dal vizio, esortarlo alla virt, comportarsi con g entilezza verso di lui, istruirlo nella religione, chiarire i suoi dubbi, e indi cargli la via del cielo. "E agendo cos le sei direzioni (Nord, Sud, Est, Ovest, Zenit e Nadir) sono conser vate in pace e libere dal pericolo". Si pu anche notare, a proposito dei Fratelli e delle Sorelle, che, bench la pratic a delle buone azioni non fosse imposta con alcun mezzo, essi erano costantemente impegnati in ci che ora chiameremmo educazione morale, e in gran parte, ancor pi negli ultimi tempi, nell'educazione ed insegnamento in generale. In tutti i casi

, si pu difficilmente negare che il monachesimo buddhistico sia stato un vero ben eficio per ogni paese dove si introdotto, e che anche in India il Buddhismo abbi a nell'insieme apportato elementi validi e specifici per un miglioramento perman ente delle abitudini correnti di etica sociale. Sar un utile commento alla presente sezione l'aggiunta della seguente citazione, che descrive la moralit popolare nella Ceylon buddhistica, dove una considerevole parte della cultura popolare pu essere a ragione attribuita all'influenza social e del Buddhismo originario: "Ogni anno c' una riunione di gente in provenienza da tutte le parti dell'isola a d Anuradhapura per visitare quelli che sono chiamati i luoghi sacri. Stimo che c irca 20.000 persone vi convergano, vi rimangano alcuni giorni e poi partano. Non esistono case per riceverli, ma si erigono capannucce e ci si accampa all'aria aperta sotto la grande ombra degli alberi intorno al nostro parco. Quando si avv icina il culmine della festa, il luogo diventa brulicante di vita; e quando non c' neppure pi spazio per accamparsi, gli ultimi arrivati prendono possesso senza t anti complimenti delle balconate degli edifici pubblici. Ma il loro comportament o talmente corretto che nessuno pensa a disturbarli. Il vecchio Kacceri (ufficio del governo), un edificio staccato, non lontano dal bazar, si erge a circa un o ttavo di miglio dalla casa del Vice Governatore. Fino a poco tempo fa il tesoro era solitamente conservato in una piccola cassa metallica, facilmente trasportab ile da pochi uomini, che avrebbero potuto scappare con essa; questo tesoro era c ustodito da tre guardie del posto. Si lasciava perci tutti gli anni questa somma alla merc di tali uomini, che, se avessero deciso di scappare con essa nella vici na giungla, nessuno sarebbe pi stato capace di prenderli; e tuttavia mai a nessun o era venuto in mente che un simile tentativo avrebbe potuto esser fatto. Questi 20.000 uomini, provenienti da tutte le parti del paese, vanno e vengono abitual mente, senza che sia prevista la presenza di nessun poliziotto; e, come magistra to del distretto, posso solo dire che impossibile concepire qualcosa che sorpass i il loro decoro e la loro sobriet di condotta. Non si mai udito che abbia avuto luogo qualcosa di simile a una rissa". Rapporto dell'Agente governativo, Anuradh apura, Ceylon, 1870. A questo possiamo aggiungere la testimonianza di un certo Knox, che fu tenuto pr igioniero nell'interno di Ceylon alla fine del secolo XVII. Egli afferma che il detto togli un contadino dall'aratro, lava la sua sporcizia, ed egli sar capace d i condurre un regno, "veniva applicato al popolo di Cande Uda... a causa della c ivilt, intelligenza e seriet anche del pi povero di loro". "Il loro contadino comun e", egli aggiunge, "e agricoltore, parla con eleganza ed pieno di qualit. Non c' d ifferenza di abilit e di discorso tra un contadino e un cortigiano". Ma forse la migliore idea delle conseguenze etiche dei modi di pensare buddhisti ci pu essere dedotta dalla seguente critica giapponese dell'industrializzazione o ccidentale, originariamente pubblicata sul Daily Mail giapponese (1890) dal Visc onte Torio, il quale era profondamente versato nel pensiero buddhistico, e aveva anche un alto rango nell'esercito giapponese: "L'ordine o il disordine di una nazione non dipendono da qualcosa che cada dal c ielo o sorga dalla terra. Esso determinato dalla disposizione del popolo. Il per no su cui ruota l'ordine pubblico il punto in cui si separano gli interessi pubb lici dai privati. Se il popolo prevalentemente influenzato da considerazioni di pubblico interesse, l'ordine assicurato; se lo da considerazioni di interesse pr ivato, il disordine inevitabile. Gli interessi pubblici sono quelli che spingono alla debita osservanza dei doveri... Gli interessi privati sono quelli suggerit i da motivi egoistici... Considerare gli affari della nostra famiglia con l'atte nzione che dovuta alla nostra famiglia e i nostri affari nazionali con l'importa nza che si deve alla nazione, questo significa compiere appropriatamente il nost ro dovere, ed essere guidati dalla considerazione per l'interesse pubblico... L' egoismo insito in ogni uomo; indulgere liberamente nei suoi confronti abbassarsi al rango di animali. E per questo che i Saggi predicano i princpi del dovere e d ella propriet, della giustizia e della moralit, mettendo freni agli scopi privati ed incoraggiando lo spirito pubblico.... Ci che sappiamo della civilt occidentale che da molti secoli essa si dibatte in una condizione confusa, ed ha finalmente raggiunto un certo ordine; ma che anche quest'ordine, non essendo basato su prin

cpi come quello delle relazioni naturali e immutabili tra sovrano e suddito, geni tore e figlio, con i loro corrispondenti diritti e doveri, soggetto ad un cambia mento continuo, secondo il crescere delle ambizioni e delle mire umane. Siccome si adatta bene a persone le cui azioni sono dettate dall'ambizione egoistica, l' adozione di questo sistema in Giappone perseguita naturalmente da una certa clas se di politici. Da un certo punto di vista superficiale, il tipo di societ occide ntale molto attraente, poich, essendo il risultato di un libero sviluppo dei desi deri umani dai tempi antichi, rappresenta l'estremo del lusso e della stravaganz a. In poche parole, lo stato di cose che prevale nell'Occidente basato sul liber o sviluppo dell'egoismo umano, ci che pu essere raggiunto solo lasciando il domini o incontrastato a questa qualit. In Occidente si presta poca attenzione ai disord ini sociali; tuttavia essi sono, di fatto, i segni evidenti ed i fattori del cat tivo stato presente delle cose... In Oriente, dai tempi antichi, il governo nazi onale basato sulla benevolenza, e mirato ad assicurare il benessere e la felicit del popolo. Nessun credo politico ha mai sostenuto che l'energia intellettuale d ebba essere coltivata con lo scopo di sfruttare gli inferiori e gli ignoranti... Perch, per soddisfare i bisogni di un uomo dedito al lusso, necessaria la fatica di mille persone. E certamente mostruoso che coloro che sono in debito nei conf ronti del lavoro a cui sono dovuti i piaceri suggeriti dalla loro civilt, dimenti chino ci che devono al lavoratore, e lo trattino come se non fosse neppure un ess ere umano. Ma la civilt, secondo l'Occidente, serve solo a soddisfare uomini di s modati desideri. Non apporta benefici alle masse, perch semplicemente un sistema sotto il quale le ambizioni combattono tra di loro per ottenere i loro scopi... Che il sistema occidentale disturbi gravemente l'ordine e la pace di un paese, g li uomini che hanno occhi lo vedono e gli uomini che hanno orecchie lo sentono. Il futuro del Giappone sotto un simile sistema ci riempie di ansiet. Un sistema b asato sul principio che l'etica e la religione sono fatte per servire l'ambizion e umana si accorda naturalmente con i desideri di individui egoisti; e teorie co me quelle che sono insite nella moderna formula di libert ed eguaglianza distrugg ono i rapporti stabiliti nella societ, ed oltraggiano il decoro e la propriet... L 'assoluta uguaglianza e l'assoluta libert essendo irraggiungibili, si presuppone che i limiti prescritti dai diritti e dai doveri siano stabiliti. Ma poich ogni p ersona cerca di avere pi diritti e di essere gravata da meno doveri possibili, ne risultano dispute e contese legali senza fine... E evidente che se i reciproci diritti degli uomini e le loro condizioni sono fatti dipendere dal loro grado di ricchezza, la maggioranza della gente, che non possiede ricchezza, deve rinunci are a veder stabiliti i suoi diritti; e poich la minoranza costituita da chi ricc o accamper i suoi diritti, con l'approvazione della societ, estorcer ingiusti dover i dal povero, trascurando i dettami dell'umanit e della benevolenza. L'adozione d i questi princpi di libert in Giappone corromperebbe gli usi buoni e pacifici del nostro paese, renderebbe la gente predisposta all'aridit e all'insensibilit, e sar ebbe finalmente una fonte di disgrazia per le masse... Bench al primo sguardo la civilt occidentale presenti un'apparenza attraente, adattata com' alla gratificazi one dei desideri individuali, essa per, poich si basa sull'ipotesi che i desideri degli uomini costituiscano leggi naturali, votata a finire nella delusione e nel la demoralizzazione... Le nazioni occidentali sono divenute quello che sono dopo essere passate attraverso conflitti e vicissitudini di tipo estremamente grave. .. Il disordine perpetuo la loro sorte. L'uguaglianza pacifica non potr mai esser e raggiunta a meno che non sia costruita sulle rovine degli stati occidentali di strutti e sulle ceneri delle popolazioni occidentali". VI - La coscienza Il Buddhismo stato spesso criticato in quanto, mentre il suo codice morale ammir evole, esso non prende provvedimenti punitivi, o non abbastanza, per la moralit. Possiamo dire prima di tutto che poich l'"individuo" non esiste, non si pu parlare di ricompense o punizioni per l'individuo, e pertanto non possono esistere per la moralit sanzioni basate su ricompense o punizioni che colpiscano l'individuo n el futuro. N il Buddhismo nomina un Dio che abbia emanato tavole della legge inve

stite di autorit soprannaturale. Il vero Buddhista, quindi, non ha bisogno di ess ere forzato dalla speranza del paradiso o dal timore dell'inferno; egli non pu ne ppure immaginare una ricompensa pi alta di quella della ragione, (intesa nel sens o di Verit). [nota: Chi non ammette la sufficienza della ragione non pu essere chiamato Buddhi sta; nello stesso tempo non si pu concludere da questo a priori, che per i veri B uddhisti, la ragione non debba essere una ricompensa sufficiente. Come detto da C. A. F. Rhys Davids (Psalms of the Sisters, pag. XXIX), "Siamo sicuri di aver s timato al loro giusto valore tutti i cuori umani ed ogni tocco al quale essi ris pondono?)" E notevole che nei trentaquattro Editti di Asoka che stabiliscono il comportamento morale, ci sia solo un'allusione alla parola di Buddha come tale; l'unica sanzione, nel senso di motivazione per la moralit, il benessere comune e dell'individuo. L'idea di sostenere il benessere di tutti gli esseri profondamen te radicata nella mentalit indiana, ed un'attivit mirata a questo scopo poco proba bilmente richiederebbe una motivazione ulteriore sia da parte dei Buddhisti che dei Brahmani.] Poich il Buddhismo essenzialmente un sistema pratico, psicologico ed etico, pi che filosofico e religioso, esso pu giustamente chiedere di essere giudicato dai suo i frutti, e non ha da temere paragoni. Si far comunque un po' di luce sul pensiero buddhistico se ci chiederemo a cosa c orrisponda la "coscienza" nel Buddhismo. La coscienza - per definire la parola n elle lingue europee - un giudizio interno e morale sulle intenzioni e le azioni dell'individuo, e come tale un innegabile fatto di consapevolezza; essa riporta automaticamente e immediatamente tutte le attivit ad un modello morale. In un sis tema teistico come quelli semitici questo modello morale formulato in una serie di comandamenti; nel sistema ateistico di autoaffermazione che implicitamente ri conosciuto nelle societ concorrenziali (l'industrialismo moderno) esistono comand amenti simili, ma fatti dall'uomo e registrati in codici legali; qui chi non inf range la legge ha una buona coscienza. In sistemi idealistici come quello di Ges, il modello morale riassunto nel principio di amare il proprio prossimo come se stessi, una posizione che i monisti giustificano aggiungendo: "Perch il tuo pross imo, in realt, sei tu stesso". Conseguentemente, nella sua forma pi bassa, la coscienza, che si pu riconoscere an che in certi animali inferiori, consiste in qualcosa di pi che la paura della pun izione, che, comunque, pu facilmente svilupparsi in un senso di "colpa" che non d ipende assolutamente dal timore, e che in larga parte un effetto delle convenzio ni. Un altro aspetto pi elevato della coscienza basato sulla ragione, sulla conos cenza di causa ed effetto - una piena comprensione che le cattive azioni devono presto o tardi ricadere su chi le ha compiute, e sulla riflessione, d'altra part e, che tutti gli esseri hanno una natura simile, e quindi, che dev'essere giusto comportarsi con gli altri come si vorrebbe che gli altri si comportassero con n oi stessi. Una terza forma ancora pi elevata di coscienza deriva dall'intuizione (ovvero dalla presa di coscienza) dell'identit: una cattiva coscienza significa a llora il riconoscimento di un movente egoistico che equivale a una negazione del la relazione interna di unit di cui la coscienza testimone. Il sati buddhistico, concentrazione o raccoglimento, si deve identificare con la coscienza basata sulla ragione. Essa non agisce spinta dalla paura delle conseg uenze, ma per il senso dell'inutilit di porre ostacoli al progresso spirituale. C hi concentrato ricorda (riporta alla mente) la legge naturale, cio l'entrata-nell 'esistenza come risultato di una causa, e la nuova-dipartita, di tutti i fenomen i, fisici o mentali. Agire come se l'azione del divenire non fosse reale sarebbe da pazzi, sentimentali, sviati. Chi realizza "che tutte le esistenze sono non-e go", non pu agire per interessi egoistici, perch non conosce ego. Per molte menti occidentali pu sembrare che essere sempre memori dell'impermanenza non possa esse re una sanzione sufficiente per la moralit. Non si pu comunque pretendere che una simile sanzione sia sufficiente per tutti. Coloro, per esempio - forse la maggio ranza dei Buddhisti professanti - che stimano che esista un paradiso da raggiung ere dopo la morte, compiono azioni meritevoli per raggiungerlo. Ma per coloro ch

e comprendono il vero significato del Nibbana, il comportamento etico dettato da un imperativo categorico ed interiore, "a causa del Nibbana". [nota: Shikshasamuccaya di Shanti Deva versi 21, 23: "Rendi puro il tuo merito c on azioni piene dello spirito di sensibilit e col vuoto... l'aumento di piacere d eriva dall'elemosina piena della sensibilit e del vuoto".] Poich il bene pi alto una condizione della mente (la condizione mentale dell'Araha t, che liberato dal desiderio, dal risentimento e dal piacere), ogni attivit etic a giudicata come un mezzo per raggiungere questo stato. Una cattiva coscienza, q uindi, uno stato di peccato, considerato dal Buddhista come una condizione menta le contraria al Nibbana. Pu sembrare che "a causa del Nibbana" non sia una sufficiente motivazione etica. Nello stesso modo anche il vero Buddhista potrebbe non riuscire a capire la forz a del cristiano "Sia fatta la Tua volont", "A modo Tuo, non mio, Signore" o della rassegnazione che esprime la parola "Islam". Ma tutte queste espressioni si rif eriscono comunque alla stessa esperienza interiore, che il Sufi ci menziona dice ndo: "Chi non ha rinunciato alla (propria) volont, non ha volont". E molto probabi le che la forza di queste affermazioni non possa mai essere completamente chiara per chi non ha gi sperimentato almeno l'inizio del rivolgimento della volont indi viduale dall'affermazione alla negazione. E in ragione di quanto un uomo permett e ai suoi pensieri ed alle sue azioni di essere determinati da moventi impersona li - la motivazione di anatta e del Nibbana, come direbbe un Buddhista - che egl i comincia a gustare una pace che oltrepassa la comprensione. questa pace che si trova nel cuore di ogni religione, e il Buddhismo pu proclamare a ragione che il principio "a causa del Nibbana" sufficiente a rispondere affermativamente alla domanda se il sistema di Gautama si possa descrivere come una religione (sebbene questa espressione si attagli maggiormente al Mahayana che al pensiero originar io). Questo aspetto della coscienza che proibisce le cattive azioni - si ricorde r che la maggior parte dei primi comandamenti buddhistici sono negativi - , allora , sati, o la concentrazione. C', comunque, un altro lato della coscienza che obbl iga l'individuo non solo a trattenersi dal far del male agli altri, ma a darsi d a fare per il loro vantaggio, in accordo con il principio che l'amore non mai se nza un effetto: si parla di questo nel Buddhismo del Mahayana, come del bodhi-ci tta, o cuore dell'illuminazione. Questo differisce dal sati principalmente per l a sua spontaneit; un modo di essere che non deriva dalla riflessione, ma dall'arm onia della volont dell'individuo con la saggezza e l'attivit dei Buddha. Di questa condizione si parla a volte in libri occidentali di edificazione come di uno st ato di grazia, o pi comunemente, come dello stato di "essere in sintonia con l'in finito". Il senso di "bodhi-citta" reso eccellentemente dall'idea di "germe d'et ernit" di Feltham: questa espressione la pi appropriata, perch il risveglio del bod hi-citta rappresentato poeticamente nella letteratura buddhistica come lo sbocci are del loto del cuore. [nota: "La Coscienza, la caratteristica di un Dio stampata in essa e l'intuizion e dell'Eternit provano tutte che essa sia un germe d'eternit". Resolves, di Feltha m.] Le due condizioni mentali che nel Buddhismo corrispondono all'idea occidentale d i coscienza sono, quindi, la concentrazione, e l'amore; ed da queste condizioni che derivano tutte le concezioni del bene che sono definite per esteso nei passi buddhistici sulla morale. VII - Gli esercizi spirituali Una parte definita del lavoro quotidiano dei membri del Sangha - sia Fratelli ch e Sorelle - consisteva nella pratica di determinate meditazioni. Le modalit di qu este meditazioni si differenziano solo in dettagli minori da quelle che sono pra ticate regolarmente dagli asceti indiani di altra forma tradizionale. Seguendo u

na caratteristica sistematizzazione, questi metodi di allenamento del cuore e de l mentale sono spesso contati come quarantaquattro. Quanto essenzialmente autodi sciplinare sia lo scopo di queste pratiche di meditazione appare dal fatto che a lcune sono indicate per persone di un determinato temperamento ed altre per chi ha un temperamento diverso. Ho deliberatamente chiamato queste meditazioni un "l avoro", perch importante capire che non stiamo parlando di qualcosa che abbia il carattere di un sogno ad occhi aperti o di castelli in aria, ma di un rigoroso s istema di allenamento mentale, basato su un'elaborata psicologia, e ben calcolat o - ora con l'autosuggestione, ora con profonda concentrazione - per produrre il tipo di risultato a cui si tende. La disciplina del cuore Le prime meditazioni sono di carattere etico, e per certi aspetti possono essere paragonate alla preghiera. Esse consistono nell'incoraggiare gli stati d'animo (bhavana) di benevolenza amorevole, compassione, simpatia e imparzialit (metta, k aruna, mudita e upekkha). Questi ultimi sono chiamati i quattro Stati d'animo Il limitati e Sublimi (Brahmavihara). La meditazione sulla benevolenza amorevole, p er esempio, consiste nell'ampliamento di questo sentimento, nell'irraggiamento a ttivo della buona volont in tutte le direzioni e verso ogni forma di vita: e chiu nque praticher anche questo solo esercizio buddhistico quotidianamente ad un'ora fissa, per un tempo determinato, e con completa concentrazione, anche se conosce poco altro del Buddhismo, potr giudicare da s a quale sviluppo del carattere esso tende. Forse capiremo meglio cosa significano veramente i quattro Sublimi Stati d'animo considerando i loro equivalenti nel pensiero di un moderno. Quando Walt Whitman dice: Non ti chiedo chi sei, non m'importa, non puoi fare nulla, n esser nulla di pi di come ti comprendo, e Quando do, do me stesso, questo metta. Quando dice: Non chiedo al ferito come si sente, divento io stesso la persona ferita, le mie piaghe illividiscono mentre appoggiato a una canna lo osservo, questo karuna. Quando dice: Capisco i cuori grandi degli eroi, il coraggio dei tempi presenti e di tutti i tempi... Io sono l'uomo, io ho sofferto, io c'ero, questo mudita. Quando dice: Li hai sbaragliati tutti? Sei diventato Presidente? E un'inezia, ci arriveranno anche loro, e andranno pi in l, [nota: Se per "Presidente", leggiamo "Indra" o "Brahma" - di fatto i Presidenti

del mondo dei Deva e dell'intero universo, che svolgono la loro carica solo per il tempo presente - possiamo comprendere questi versi in modo veramente buddisti co.] questo upekkha. La caratteristica puramente intellettuale di upekkha, (che corregge e bilancia g li altri tre stati d'animo sublimi), forse spiegata meglio dalla Bhagavad Gita ( V. 18): "Coloro che sono realmente Pandit, guardano nello stesso modo un Brahman o saggio e modesto, una mucca, un elefante, o anche un cane o un fuoricasta". Qu esto ci fa ricordare che il sole splende ugualmente sul cattivo e sul buono; e a nche il Buddhismo conosce meditazioni speciali sugli elementi, per esempio sulla terra, che non alberga risentimenti, ed il simbolo indiano della pazienza; o su ll'acqua, che ridiventa sempre chiara e trasparente, con qualsiasi fango o sporc izia la si intorbidi. Il Buddhista eviterebbe ad ogni costo il sentimentalismo e la parzialit: Gautama, forse, ha pensato, come Nietzsche, "Ah, dove nel mondo ci sono state maggiori follie che nell'uomo pietoso?" Alle quattro meditazioni gi menzionate ne associata un'altra (asubha-bhavana), su lle "cose impure". Questa contemplazione, di genere molto diverso, prescritta a coloro la cui natura emozionale gi sufficientemente attiva, ma che d'altra parte si lasciano prendere troppo facilmente dal pensiero o dalla vista della bellezza fisica, o si sentono orgogliosi della loro perfezione corporea. L'obiettivo di questa meditazione di imprimere nella mente che ogni organismo vivente soggetto a mutazione e deperimento; l'esercizio consiste nella contemplazione di ossa uma ne o cadaveri mezzi decomposti, come se ne possono vedere nei cimiteri indiani. Sarebbe difficile per questa disciplina risvegliare la simpatia delle mentalit mo derne. Ed il metodo non appare neppure molto adeguato per conseguire lo scopo pr efisso; non far risaltare piuttosto il valore del momento fuggevole la riflession e: questa la bellezza di una fanciulla come le foglie d'autunno che cadono e appassiscono? Tutta la scienza analitica del fisiologo non lo rende meno capace di amare. Se t rascuriamo, comunque, questo aspetto puramente monastico di un tentativo forse p iuttosto futile di indurre al disgusto con mezzi artificiali, e ricordiamo come il pensiero buddhistico sia sempre attento a respingere il sentimentalismo, poss iamo intendere una tale meditazione come una tecnica correttiva per i temperamen ti che si innamorano di tutto ci che nuovo e bello, ed ammirano solo l'arte che r appresenta il fascino della giovent e della bellezza. Sembra essere trascurato ch e la bellezza fisica in se stessa e da un certo punto di vista un bene. Ma chi v oglia procedere oltre deve rinunciare all'indulgere su questo aspetto, non perch l'indulgervi sia male, ma perch ha altri e pi impellenti desideri. Il vero asceta non chi tale per una specie di violenza mentale, ma chi non considera le altre c ose che come beni passeggeri. [nota: Il detto del poeta, che "I desideri repressi provocano pestilenza", confe rmato dalle ricerche della psicanalisi.] A proposito di questo genere di meditazioni possiamo osservare che esse non sono concepite solo per gli asceti, ma anche per i laici, e possono portare come con seguenza ad azioni esteriori di compassione. Comunque sia, il pensiero buddhisti co si occupa pi delle condizioni mentali che di ingiunzioni dirette a darsi da fa re per gli altri; e il vero scopo dei quattro Stati d'animo Sublimi di corregger e le tendenze di chi ha una cattiva indole ed insensibile. E essenziale superare il risentimento in vista di qualsiasi progresso futuro; ma i quattro Stati d'an imo Sublimi di per s conducono solo alla rinascita nei Cieli formali di Brahma. N el progresso successivo verso il Nibbana gli Stati d'animo Sublimi sono sorpassa ti, in quanto essi sono diretti ad altre persone, mentre il pensiero dei pi avanz ati diretto solamente verso il Nibbana. Per la realizzazione del Nibbana non occ

orre sbarazzarsi solamente delle cattive condizioni mentali, ma anche di quelle buone. Le prime portano a rinascere in condizioni sgradevoli, e le altre a rinas cere in condizioni favorevoli; ma non costituiscono in tutti i casi la conoscenz a liberatrice che d l'affrancamento totale. Nel Buddha-carita di Asvaghosha (VII, 25) riportato che il Buddha parlava di questi sforzi nel modo seguente: "Non biasimo lo sforzo in se stesso, che scarta le bassezze, e cos prosegue per u na propria via elevata; ma disapprovo che il Saggio si dedichi a questo compito ordinario, mentre dovrebbe cercare di raggiungere lo stato in cui nulla deve mai pi essere rifatto". Jhana Un ulteriore gruppo di meditazioni consiste nei jhana o pi esattamente dhyana; an che queste sono discipline di concentrazione ed astrazione quasi identiche a que lle che sono meglio note come appartenenti allo Yoga. "Sarai dunque beato" dice Boehme, "se riesci a smettere di pensare e di volere i n modo individuale, e se riesci a fermare la ruota della tua immaginazione e dei tuoi sensi; poich a causa di ci puoi arrivare infine a vedere la grande Salvezza di Dio, ed esser reso capace di ogni tipo di percezione divina e di comunicazion e celeste. Giacch in verit nulla ti ostacola in ci se non il tuo proprio udito e la tua propria volont". Proprio come il mistico cerca di astrarsi dall'attivit mentale, per conoscere meg lio la realt una, cos il Buddhista pratica esercizi di astrazione per potersi libe rare dal pensiero individuale e poter conoscere le cose come sono realmente. Se omettiamo le due parole "di Dio" nell'ultima citazione, o se ricordiamo che Dio nessuna cosa, essa esprimer esattamente le caratteristiche e lo scopo ultimo dei jhana buddhistici. Una serie di questi ultimi consiste nella meditazione su alcuni oggetti determin ati - per esempio, un cerchio di terra liscia in modo da separarsi da ogni appet ito o impulso in relazione ad essi. Questo esercizio ricorda l'indifferenza dell a contemplazione estetica, dove lo spettatore "si libera da se stesso"; il jhana buddhistico mira a raggiungere lo stesso risultato in modo pi meccanico. Questa contemplazione spiana la via verso scopi pi elevati, e di per se stessa porta ad una rinascita favorevole nel Cielo della forma ideale (Rupa-loka). Lo stato di r apimento che ne risulta diviso in quattro o cinque fasi. Un'ulteriore serie, che assicura la rinascita nel Cielo informale (Arupa-loka), consiste nella realizzazione successiva delle stazioni dell'indefinit dello spazi o, dell'indefinit dell'intellezione, del vuoto della non-coscienza-e-non-incoscie nza. In questi esercizi l'aspirante assapora, se cos si pu dire, il gusto anticipa to dei mondi del ridivenire ai quali le sue caratteristiche lo porteranno dopo l a morte; in quei momenti, naturalmente, ha gi avuto accesso a quei mondi. Questi esercizi, comunque, non conducono direttamente e immediatamente al Nibban a, ma solo al ri-divenire nelle condizioni pi ideali degli altri mondi superiori. Oltre queste stazioni si trova la pratica del "pensiero rivolto al mondo aldil" (lokuttaram cittam). Il metodo non differisce notevolmente da quelli descritti i n precedenza, ma senza il pensiero o desiderio di qualsiasi altro mondo, sia for male che informale, ed perseguito soltanto con lo scopo di raggiungere la perfez ione della conoscenza qui ed ora. Per questa ragione, nonostante la similitudine di metodo, gli autori buddhistici tracciano una netta distinzione tra il jhana che conduce direttamente al Nibbana e quei jhana che conducono semplicemente all a rinascita nei Cieli di Brahma, formali o informali. Bisogna menzionare qui anche il termine samadhi, che indicava originariamente qu alsiasi meditazione profonda, o concentrazione su un oggetto sacro; ""citt'ekagg ata", lo stato del mentale concentrato in un unico punto, un sinonimo di samadhi ... questo samadhi, che chiamato autoconcentrazione, ha come segno caratteristic o l'assenza di dispersione, di distrazione... e come conseguenze, la calma, o la saggezza... e la naturalezza" [Commento del Dhamma-Sangani]. Il samadhi pu anche essere diviso in stadi separati, cio il vuoto (sunnata), il se nza segni (animitta), e il senza scopo (appanihita), che corrispondono alle tre

fasi di Vimutti che sono descritte in modo similare. VIII - La consolazione Nel pensiero di Gautama niente pi caratteristico della forma di consolazione che offre alla sofferenza individuale. Non vi promessa di una ricompensa futura, com e quella di ritrovarsi in paradiso, ma vi il riferimento all'universalit della so fferenza; l'individuo guidato a considerare il suo dolore, non come "suo proprio ", ma come il dolore del mondo, weltschmerz, inseparabile dalla vita stessa; ogn i dolore autoinflitto, perch inerente al concetto di un "io". La consolazione si deve trovare nella "conoscenza delle cose come sono in realt". "Il pellegrinaggio degli esseri (samsara), miei discepoli", dice Gautama, "ha in izio nell'eternit. Non si pu trovare nessun inizio (temporale) da cui procedano le creature che, spinte dalla sete di esistere, vagano ed errano. Cosa pensate voi , o discepoli, che sia di pi, l'acqua che nei quattro grandi oceani, o le lacrime che avete versato e sparso, mentre vagabondavate ed erravate in questo lungo pe llegrinaggio, vi disperavate e piangevate, perch ci che vi toccava era ci che detes tavate, mentre ci che desideravate non vi spettava?" Non soltanto ognuno ha in s questa lunga eredit di sofferenze, ma tutti hanno sper imentato ed ancora sperimentano la stessa cosa. raccontato che una madre, Gotami la Snella, si rec da Gautama, dopo aver perso il suo unico figlio, ancora piccol o. Stravolta dal dolore, con il corpicino del bimbo appoggiato all'anca, andava di porta in porta gridando: "Datemi una medicina per mio figlio!" Quando fu arrivata da Gautama, egli le rispose: "Vai in citt e portami un granellino di senape da ogni casa dove non sia mai mort o un uomo". Ella and; ma non trov nessuna famiglia dove la morte non fosse mai entrata. Alla f ine, andando di casa in casa invano, ella torn in s, e pens: "Sar la stessa cosa in tutta la citt ... la legge che tute le cose debbano passare ". Cos dicendo, ritorn dal Maestro; e quando egli le chiese il seme, ella rispose: "Ho gi compreso, Signore, la storia del granello di senape. Dammene conferma". Quindi entr nella prima via, e dopo poco tempo raggiunse lo stato di Arahatta. In un altro punto, si riferisce della monaca buddhista Patacara che consolava mo lte madri della citt private dei loro figli con le parole seguenti: Non piangere, perch cos la vita dell'uomo. Senza che l'abbia chiesto viene, senza che sia stato invitato a farlo se ne va. Guarda! Chiedi a te stessa ancora da dove venne tuo figlio ad aspettare in terra per questo corto respiro. Da una parte arrivato, e da un'altra partito... Entrato di qua, uscito di l - perch piangere? [nota: C. A. F. Rhys Davids, Psalms of the Sisters, pag. 78. Si osservi che la c onsolazione di Patacara differisce molto poco da quella di Sri Krishna nella Bha gavad Gita (II, 27): "Per chi nato, la morte sicura; per chi morto, la nascita s icura; cos per un avvenimento che non si pu evitare non fai bene a disperarti"]. Anche queste madri, riportato, furono mosse a lasciare il mondo; e praticando la disciplina mentale e morale dell'Ordine, raggiunsero in breve tempo la stato di Arahatta e la fine del dolore. E molto significativa, anche, la consolazione che il Buddha offre ai suoi discep oli al momento della sua propria morte. "Basta, Ananda! Non essere cos disperato; non piangere! Non ti avevo precedenteme nte spiegato che nella natura stessa di tutte le cose pi vicine e pi care a noi ch e dobbiamo separarcene? Allora, Ananda, come pu essere possibile - se tutto ci che nasce, esiste, composto di organi, contiene in s la necessit inerente della disso

luzione - come, allora, potrebbe essere possibile che un tale essere non debba d issolversi? Una simile condizione non pu esistere!" Si ricorder che Ananda, quantunque in certo qual modo il discepolo favorito del B uddha, era anche spiritualmente il pi giovane, il pi indietro, e non raggiunse l'A rahatta che dopo la morte del Buddha. Cos, quando questa morte avviene, descritto sopraffatto dal dolore, mentre esclama: Allora fu il terrore! Allora i capelli si rizzarono! Quando il Dotato di ogni grazia il supremo Buddha - mor! e "tra i Fratelli che non si erano ancora liberati dalle passioni, alcuni alzaro no le braccia piangendo, altri si gettarono a terra, rotolandosi per il dolore a l pensiero: "Il Sublime morto troppo presto! Il Felice trapassato troppo presto! La luce uscita da questo mondo troppo presto!" Ma i Fratelli che si erano gi lib erati dalle passioni mantennero il loro dispiacere composto padroneggiandosi al pensiero: "Tutte le cose composte sono impermanenti! Come sarebbe possibile (che non si dissolvessero)?"" Il venerabile Anuruddha, uno che era gi arrivato, ed era un Arahat, non risente i l duolo individuale e appassionato che fa disperare Ananda, e dice: Quando colui che si liberato dai desideri passionali, che ha raggiunto lo stato tranquillo del Nirvana, quando il grande Saggio ha finito il suo lasso di vita, nessuna agonia angosciosa ha disturbato quel cuore fermo! Ben risoluto, e con mente irremovibile ha trionfato tranquillamente sul dolore della morte. Cos come anche una fiamma vivida si spegne, cos stata l'ultima liberazione del suo cuore. Mentre Sakka, il re delle divinit celesti, sotto Brahma, pronuncia i famosi versi : Transitorie tutte sono le parti e facolt di un essere, la crescita la loro natura propria, e la decadenza, sono prodotte, e poi dissolte ancora: ridurle tutte in soggezione - la beatitudine. IX - L'Ordine L'istituzione centrale del Buddhismo Hinayana il Sangha, la "Comunit" dei Fratell i, uomini, e in minor numero donne, che hanno lasciato il mondo per percorrere l a via che conduce all'Arahatta, all'ottenimento del Nibbana. Gautama stesso, ins ieme ai suoi discepoli, apparteneva a quella classe di religieux, allora noti co me "pellegrini" (paribbajaka), che devono essere distinti dagli eremiti che dimo ravano nelle foreste (vanaprastha). I pellegrini viaggiavano da soli o in gruppi , o si stabilivano per un certo tempo in boschi o edifici appartati messigli a d isposizione da laici generosi. Cos sentiamo del mendicante pellegrino Potthapada, che in una certa occasione "risiedeva nel palazzo eretto nel Parco della regina Mallika per le discussioni sui sistemi d'opinione. Il palazzo era circondato da alberi tinduka e conosciuto con il nome "Il Palazzo". Insieme a lui vi era una grande folla di mendicanti, all'incirca trecento". [nota: T. W. Rhys Davids, Dialogues of the Buddha, I, 224. Il Prof. Rhys Davids aggiunge la nota seguente: "Il fatto stesso della costruzione di un simile edifi cio un'altra prova della libert di pensiero che prevaleva nella valle orientale d el Gange nel secolo VI a.C. Buddhaghosha ci dice che dopo che "Il Palazzo" fu co struito, altri intorno ad esso furono edificati in onore di vari Maestri famosi,

ma il gruppo di costruzioni continu ad essere chiamato "Il Palazzo". L i Brahmani , i Nigantha, gli Achela, i Paribbajaka, ed altri Maestri si incontravano ed esp onevano, o discutevano, i loro punti di vista".] Questi mendicanti, o Bhikkhu (un termine che in seguito avrebbe assunto un signi ficato specificamente buddhista) erano spesso riuniti in gruppi, sotto l'insegna mento di un Maestro spirituale, come il Potthapada sopra menzionato; e sentiamo parlare, oltre ad altri, dei seguenti Ordini con i membri dei quali Gautama prim a o poi entrato in discussione: i Nigantha (o Jaina), guidati da Mahavira; gli A jivika, i Gotamaka, molto probabilmente seguaci di Devadatta, il cugino scismati co e malevolo del Buddha; vari gruppi brahmanici, e molti altri delle cui idee s appiamo poco. Il primo di questi gruppi si svilupp come il Buddhismo in un ordine e in una scuola, ed sopravvissuto in India fino ai tempi attuali con un'estesa letteratura e pi di un milione di aderenti. La regola adottata dall'uno o dall'al tro di questi gruppi di pellegrini si differenziava nei dettagli, ma comprendeva sempre un certo grado di ascetismo (che includeva sempre il celibato), combinat o con la povert volontaria. Ora possiamo esaminare maggiormente nei dettagli la speciale regola che fu adott ata nell'Ordine fondato da Gautama, ed organizzato secondo le sue direttive imme diate. Abbiamo gi menzionato i dieci comandamenti, o piuttosto, le dieci proibizi oni, che devono essere osservate da ogni membro dell'Ordine. Si richiede inoltre ai Fratelli di indossare un abito monastico di stoffa gialla o arancione, fatto di stracci cuciti insieme, di nessun valore; di mendicare il loro cibo quotidia no; di astenersi dal cibo tra i pasti, che dovevano essere consumati ad ore dete rminate e, generalmente, di mantenere un comportamento decoroso. Ma non gli si r ichiede di fare voto di un'adesione per la durata di tutta la vita - al contrari o, coloro che scoprono di non avere una vera vocazione sono incoraggiati a torna re nel mondo, dove, se non possono raggiungere lo stato di Arahatta in questa vi ta, possono almeno aspirare ad una rinascita favorevole. Ai Fratelli non neppure richiesto di far voto di obbedienza ai superiori: tutti sono uguali, con il dov uto rispetto per l'anzianit e il grado di avanzamento spirituale: anche nei gross i monasteri, il capo semplicemente un primus inter pares. L'Ordine costituisce c os una democrazia autogestita, analoga ad una gilda o a una casta professionale. La disciplina formalmente mantenuta dall'Ordine come insieme, il quale intervien e su confessione o colpa provata di Fratello peccatore, e applica, in occasione di convocazioni bimensili, una penitenza adeguata; il castigo pi grave, stabilito per delitti aventi rapporto con i Quattro Peccati Capitali (infrazione del voto di castit, furto, assassinio, vanto di poteri miracolosi), l'espulsione dall'Ord ine; negli Editti di Asoka si menziona anche l'espulsione e la radiazione di ere tici o scismatici. Un controllo esterno pure fornito dall'opinione pubblica, che n ai tempi di Gautama, n nella moderna Birmania e a Ceylon, tollererebbe una pret esa arbitraria alla vita sacra. Cos, dice Mr. Fielding Hall, nella moderna Birman ia "la supervisione esercitata dalla gente sui loro monaci delle pi strette. Finc h i monaci agiscono come dovrebbero, sono estremamente onorati, ci si rivolge lor o con titoli di gran rispetto, si provvede a tutti i loro desideri entro le rego le dei Wini (vinaya), ed essi sono la gloria del villaggio... Appena uno di loro infrange le sue leggi, la sua santit sparisce. Gli abitanti del villaggio non ne vorranno pi sapere di uno come lui. Lo cacceranno dal paese, gli rifiuteranno il cibo, ne faranno uno zimbello, un oggetto di disprezzo". Il monastero in molti casi anche la scuola del villaggio; in Birmania d'uso che quasi tutti i giovani prendano i voti monastici per un breve tempo, e che in que sto periodo risiedano tra le mura di un monastero. [nota: "Tutti i monasteri sono scuole". Fielding Hall, The Soul of a People. Nat uralmente, l'insegnamento non un dovere essenziale del Fratello, ma un compito a ssunto volontariamente. Condizioni simili hanno prevalso, fino in tempi recenti, a Ceylon: "A parte la situazione in cui si trovano i sacerdoti come proprietari terrieri verso i loro affittuari, e l'influenza tradizionale sui loro possessi, essi detengono un altro genere di dominio sul popolo. I loro pansala (monasteri ) sono le scuole dei bambini del villaggio, ed anche i figli dei capi superiori

sono frequentemente istruiti da loro. Essi spesso conoscono nozioni di medicina ed in caso di bisogno concedono il favore di consigli gratuiti... La loro influe nza sul popolo , da un punto di vista sociale, impiegata utilmente". Ceylon, Serv ice Tenures Commission Report, 1872.] Questa possibilit di usare l'Ordine come un "ritiro" spiega anche come sia stato possibile per Asoka assumere l'abito monastico senza rinunciare in definitiva al suo trono. E soprattutto importante comprendere che il Fratello buddhista, il monaco, il me ndicante errante (Bhikkhu, la parola maggiormente in uso), il pellegrino, o comu nque lo vogliamo chiamare, non un prete. Egli non fa parte di una successione ap ostolica, e non ha il potere di salvare o condannare, di perdonare i peccati o d i amministrare i sacramenti; non ha altra santit che non sia inerente al suo atte nersi alle regole della propria vita buona. L'occuparsi della manutenzione o dell'andamento di un tempio buddhista non parte essenziale dei suoi doveri, quantunque, nella maggior parte dei casi, un tempio sia attribuito ad ogni monastero, e sia assegnato alla cura dei Fratelli, mentr e i santuari di villaggio hanno i loro preposti, i cui mezzi di sostentamento so no costituiti dai prodotti della terra su cui hanno giurisdizione. Ma tale cura dei luoghi sacri non ha niente a che vedere con quella che propria dei preti [cr istiani], e il tempio non contiene oggetti che non siano accostabili alla stessa stregua sia da laici che da Fratelli. Ogni monaco pu possedere solo otto cose: i tre abiti, un indumento per la parte s uperiore del corpo, una ciotola da elemosina, un rasoio, un ago e un colino per l'acqua. Il Bhikkhu moderno generalmente possiede in pi un ombrello ed alcuni lib ri [la scrittura era conosciuta, ma i libri non erano d'uso comune quando l'Ordi ne fu fondato: la base dell'insegnamento era ci che un uomo ricordava], ma il man eggio dei soldi evitato accuratamente. Nonostante ci la durezza della povert volon taria largamente mitigata dal fatto che permesso all'Ordine in quanto tale di ri cevere regali e lasciti da parte di laici, una pratica che ebbe inizio gi ai temp i del Buddha; pi tardi i monasteri buddhisti divennero estremamente ricchi e sono ben forniti di residenze per i Fratelli. Ma anche in queste condizioni il modo di vita estremamente semplice, e nessuno potrebbe accusare i monaci di permetter si alcun lusso. X - La tolleranza L'India la terra della tolleranza religiosa. Non ci pu essere alcun dubbio che Ga utama e i suoi discepoli usassero verso gli aderenti alle altre credenze la stes sa cortesia che ricevevano. Questo non solo indicato dalla procedura generale ad ottata in caso di discussione con avversari, ma anche in molti aneddoti ameni. L eggiamo, per esempio, che Gautama aveva convertito a Vaisali un nobiluomo Liccha vi che era stato un seguace di Mahavira: ma lo consigli come segue: "Per lungo te mpo, Siha, la tua casa stata un luogo di rifugio per i Nigantha (seguaci di Maha vira, cio Jaina). Quindi devi considerare opportuno che le elemosine gli siano an cora date quando vengono da te". Il Buddhismo iniziale comprendeva diciotto diverse scuole di pensiero, qualche v olta denominate sette o confessioni; secondo un'altra classificazione sarebbero state dodici. A proposito di queste scuole che sarebbero sorte dopo la sua morte , si dice che Gautama si sia cos pronunciato: "Queste scuole saranno i depositi dei dodici diversi frutti delle mie scritture, senza che nessuna di esse abbia alcuna priorit o inferiorit rispetto alle altre proprio come il gusto dell'acqua di mare dappertutto lo stesso - o come i figli di uno stesso uomo, tutti onesti e giusti; cos sar l'esposizione della mia dottri na fatta da queste scuole". Anche se queste non sono state le testuali parole del Buddha, esse testimoniano comunque di ci che i Buddhisti, in un periodo successivo, immaginavano egli avreb be potuto molto verosimilmente aver detto; questa posizione permissiva anche mol to ben illustrata in pratica, perch ad esempio Hiouen Tsang, nel secolo VI, trov r

appresentanti di tutte le diciotto sette che vivevano a gomito a gomito in un si ngolo monastero senza che ci fossero attriti. La tradizionale tolleranza dei re indiani, che estendono in modo equanime la loro protezione su tutte le sette, si vede inoltre molto bene nel caso di Asoka, che sosteneva anche gli Ajivika, le cui dottrine sono cos spesso denunciate da Gautama come decisamente false. Certi passaggi degli Editti trattano della tolleranza nella maniera seguente: "La Sua Sacra Maest, il Re, onora gli uomini di ogni fede, sia asceti che padri di famigl ia, con donazioni e varie forme di rispetto. La Sua Sacra Maest, in tutti i casi, non si preoccupa molto dei regali o della venerazione esteriore quanto, invece, che ci sia un aumento nell'essenza di contenuto in tutte le forme tradizionali. L'aumento dell'essenza di contenuto assume varie forme, ma la radice di esso il controllo delle parole; vale a dire che un uomo non deve riverire la sua partic olare tradizione o disprezzare quella di un altro senza ragione. Il disprezzo pu esserci solo per ragioni precise, perch le forme tradizionali di altra gente meri tano tutte rispetto per un motivo o per un altro... Chi onora la propria tradizi one e disprezza le tradizioni degli altri unicamente per attaccamento alla sua, e con l'intento di elevare lo splendore della sua propria tradizione, in realt co n una simile condotta infligge il peggior danno proprio alla sua. [nota: Colui, cio, secondo le parole di Schopenhauer, che "si sforza con ogni mez zo di provare che i dogmi della credenza estranea non sono in accordo con quelli della sua, per spiegare che non solo essi non dicono la stessa cosa, ma certame nte non intendono ci che intende la sua". Con questo egli immagina nella sua semp licit di aver provato la falsit delle dottrine della fede estranea. Non gli capita assolutamente mai di chiedersi quale delle due sia giusta. Ho conosciuto una vo lta un Inglese, ardente sostenitore delle missioni straniere, il quale mi inform ava che un Ind era un Buddhista che adorava Muhammad. La politica di tolleranza d i Asoka quella che ha sempre prevalso in India. Vediamo, per esempio: "Che ogni uomo, per quanto ne sia in grado, favorisca la comprensione delle scritture, sia della sua tradizione, sia di quelle di altre" (Bhakta-kalpadruma, di Pratapa Si mha, 1866). L'unico vero missionario colui che porta punti di sostegno alle scri tture degli altri, trovati nei suoi propri testi. Pi si conoscono le varie fedi, pi diventa impossibile distinguerle una dall'altra; e nessuna tradizione potrebbe essere vera, se non contenesse ci che contengono anche le altre tradizioni. "Que sti sono veramente i pensieri di tutti gli uomini di tutte le epoche e paesi; es si non sono nuovi per me. Se non sono tanto tuoi quanto miei, non sono niente, o quasi niente". Walt Whitman.] La concordia, dunque, meritoria; il che significa, cio, ascoltare, ed ascoltare v olentieri, la legge della piet riconosciuta da un altro popolo. Per questo deside rio della Sua Sacra Maest che i fedeli di qualsiasi forma dispongano di molto ins egnamento e si attengano ad una dottrina valida". Comunque non bisogna arrivare a supporre che i Buddhisti iniziali estendessero l 'idea della tolleranza al punto di credere che fosse possibile ottenere la salve zza altrimenti che con la dottrina e la disciplina insegnate espressamente da Ga utama. L'eresia, invece, considerata come un peccato che porta alla dannazione, e che si deve espiare nei purgatori. Gli Ajivika sono considerati particolarment e empi, e Gautama alla domanda se uno di loro potesse raggiungere il cielo dopo la morte - per non parlare del Nibbana - risponde: "Nei novantun periodi cosmici, o Vatsya, che ricordo, so di un unico Ajivika che avesse raggiunto il cielo e che riconobbe la realt del kamma e l'efficacia dei n ostri riti". "Le dottrine degli altri Maestri sono vuote", dice Gautama, "prive di veri Santi ", un punto di vista a cui il Fratello Nagita fa eco con questi versi: Fuori dal nostro Ordine ci sono molti altri, che insegnano una via che, mai, come questa conduce al Nibbana. Il libero pensiero non era comunque tollerato all'interno dell'Ordine. L'obietti vo globale dei concili buddhistici, cos come la stesura finale del Canone pali, e

ra di definire la giusta dottrina e di sradicare quella falsa. I Fratelli eretic i furono scomunicati; e questo appare con molta evidenza in alcuni Editti di Aso ka, che stabiliscono che non bisogna allontanarsi dalla via della tradizione del Buddha, e che chi infrange l'unit tradizionale dev'essere allontanato dall'Ordin e ed esiliato dai Fratelli. [nota: R: F: Johnston non perci completamente nel giusto quando dice che l'espul sione dall'Ordine non mai inflitta per libert di pensiero o infedelt. Buddhist Chi na, pag. 308.] E quindi evidente che i primi Buddhisti non pretendevano semplicemente di possed ere la verit, ma anche di possederne il monopolio. Il Mahayana ha pi punti di contatto con il Cattolicesimo. La dottrina fondamental e dei Mezzi Adeguati (upaya) implica gi di per s la necessaria variet di forme este riori e formule che l'intuizione o la rivelazione devono assumere. Per esempio p ossiamo leggere che: "Vedendo un'incarnazione del Dharmakaya in ogni guida spirituale, qualsiasi sia la sua nazionalit e la fede professata, i Mahayanisti riconoscono un Buddha in So crate, Muhammad Ges, Francesco d'Assisi, Confucio, Lao-tzu, e molti altri". Il Mahayana in linea di principio eclettico come l'Induismo, e potrebbe facilmen te assimilarsi ogni via tradizionale straniera come una sua nuova setta. Perch "i Conquistatori sono padroni di vani e molteplici mezzi attraverso i quali il Tat hagata rivela la luce suprema al mondo degli dei e degli uomini, mezzi adatti al loro temperamento e alle loro prevenzioni". Tutti i Buddha passati e futuri ins egnano la stessa scienza di salvazione nel modo pi adatto al tempo e al luogo del la loro apparizione. XI - Le donne "Reverendo Signore, avete visto passare di qua una donna?" E l'anziano rispose: "Era una donna, o un uomo che pass di qui? Io non lo so. Ma so questo: un pugno d'ossa si sta muovendo lungo la strada". Visuddhi Magga, cap. I. Un buon numero di Jataka, o Storie delle vite di Gautama, sono intesi a suggerir e una morale di iniquit femminile. "Insondabilmente profondo, come il percorso di un pesce negli abissi marini", di cono, " il carattere delle donne, predoni dalle molteplici arti, dalle quali diff icile farsi dire la verit; per le quali la menzogna come una verit, e la verit come una menzogna... Nessuna fede si deve prestare alle loro preferenze e antipatie" . La dottrina di Gautama monastica, cos come il suo temperamento privo di emozioni. Secondo le parole di Oldenberg: "Era forse possibile che una mente come quella di Buddha, il quale con decisa de terminazione di rinuncia aveva volto le spalle a tutto ci che attraente e piacevo le di questo mondo, fosse dotata della facolt di capire ed apprezzare la natura f emminile?" Dobbiamo comprendere che la mancanza di simpatia del Buddhismo originario per le donne non un fenomeno unico; esso anzi piuttosto tipico del sentimento monastic o di tutto il mondo; ed basato sulla paura. Perch di tutte le insidie dei sensi c he l'ignoranza mette in atto per l'incauto, la pi insidiosa, la pi pericolosa, la pi attraente, la donna. "Maestro", dice Ananda, "come ci dobbiamo comportare con le donne?" "Dovete evitare di guardarle, Ananda". "Ma se le vediamo, cosa dobbiamo fare?" "Non parlate loro, Ananda".

"Ma se dobbiamo parlare loro?" "Allora dovete far attenzione a voi stessi, Ananda". Innamorarsi una forma di moha, illusione; e come il punto di vista monastico sul l'arte prende in considerazione solo i suoi elementi sensibili, cos il punto di v ista monastico sulle donne e sull'amore per le donne prende in considerazione es clusivamente i fattori fisici. Paragonare il Nibbana - come la Brihadaranyaka Up anishad compara la beatitudine dell'intuizione dell'Atman - con la felicit diment ica di s degli amanti terreni, stretti uno nelle braccia dell'altro, per il Buddh ismo sarebbe uno scherzo di cattivo gusto. Non meno remoto dal sentimento buddhi stico il punto di vista della cavalleria occidentale, che vede nella donna una s tella-guida, o quello dell'idealismo Vaishnava o platonico, che trova nell'adora zione dell'individuo una disciplina per l'amore del tutto. Non possiamo negare che la posizione di Gautama sia giusta da un certo punto di vista. E difficile negare che la donna sia pi vicina dell'uomo al mondo; e la dif ferenziazione sessuale una "non cos, non cos" nel Nirvana. Dobbiamo solo riconosce re che Gautama non aveva la concezione di un dovere morale di provvedere alla co ntinuit della razza, come invece implicito nella tarda dottrina brahmanica del de bito verso gli antenati. Chiamava indistintamente gli uomini e le donne a sradic are il bosco infernale, ad abbandonare la natura sessuale, e ad adottare un'uman it spirituale; per chi non era ancora preparato a questo cambiamento provava la s tessa compassione che uno spirito generoso pu sentire per chi soffre e la cui sof ferenza il prodotto della propria illusione. Ananda, il discepolo favorito e spiritualmente pi giovane di Gautama, spesso desc ritto nella posa di colui che perora la causa della donna. Quando fu sollevata l a questione dell'ammissione delle donne nell'Ordine - in effetti una pretesa ai diritti delle donne non molto dissimile da quella dei moderni Ananda, dopo che l a sua domanda era gi stata rifiutata tre volte, alla fine chiede: "Le donne sarebbero in grado, reverendo Signore, se si ritirano dalla vita domes tica alla vita errante, sotto la dottrina e la disciplina stabilite dal Tathagat a, di raggiungere il frutto della conversione, di ottenere il frutto di un solo ritorno (nel mondo), di ottenere il frutto di non-ritorno, di ottenere lo stato di Arahatta?" Gautama non pu negare loro questa possibilit; in risposta all'ulteriore richiesta di Ananda, egli ammette le donne nell'Ordine, sottoponendole per ad ottanta pesan ti regole, a cominciare da quella che anche la Sorella che sia stata ordinata da pi tempo debba stare in piedi e comportarsi con estrema umilt davanti ad un Frate llo, anche se ordinato da appena un giorno. Ma egli aggiunge: "Se, Ananda, le donne non si fossero ritirate dalla vita domestica alla vita err ante, sotto la dottrina e la disciplina stabilite dal Tathagata, questa tradizio ne, Ananda, sarebbe durata a lungo; la buona dottrina sarebbe rimasta per mille anni. "Ma poich, Ananda, le donne si sono adesso ritirate dalla vita domestica a quella errante, sotto la dottrina e la disciplina stabilite dal Tathagata, non a lungo , Ananda, durer la tradizione; solo cinquecento anni la buona dottrina sussister". Altrove, in risposta ad un'altra domanda posta da Ananda, Gautama risponde: "Le donne si irritano facilmente, Ananda; le donne sono piene di passioni, Anand a; le donne sono invidiose, Ananda; le donne sono stupide, Ananda. Questo il mot ivo, Ananda, questa la causa per cui le donne non hanno diritto a partecipare al le pubbliche assemblee, non gestiscono affari, e non si guadagnano da vivere con una professione". Molto significativo l'episodio dei trenta uomini caritatevoli, guidati dal Bodhi satta quando viveva sotto la forma di un giovane Brahmano, Magha: questi uomini stavano costruendo una stazione di sosta ad un crocicchio, per fare opera di car it. "Ma siccome non amavano pi il genere femminile, non permettevano alle donne di prendere parte alla buona azione". divertente osservare come una signora di nom e Piet riuscisse a corrompere uno di quegli uomini rigidamente buoni, cos da rende rle possibile uno stratagemma con il quale ottenere di prender parte al lavoro m eritorio, e in tal modo guadagnare per s un palazzo nel cielo di Sakka. D'