Sei sulla pagina 1di 79

AFFILE, GRAZIANI, ANDREOTTI

Se in Germania qualcuno si azzardasse a commemorare appena con una lapide Goering o Rommel, verrebbe subito arrestato, gettato in prigione e la chiave verrebbe invece gettata nella Fossa delle Marianne. Perch? Perch in quel Paese, finita la guerra si fece chiarezza con il Processo di Norimberga: da una parte i nazisti assassini, criminali da impiccare e dallaltra i cittadini che dovevano sapere quali erano i crimini di chi li aveva guidati per 12 anni. In Italia niente Norimberga. Eppure di criminali ne abbiamo avuti! Caspita se ne abbiamo avuti! Ma chiarezza, appunto, non stata mai fatta cos che le italiche genti, ignoranti e smemorate, non sanno proprio cosa accaduto, chi fu il criminale persecutore, chi il perseguitato. Ma perch da noi non si fatta, non dico una Norimberga ma almeno una Frascati? Perch i prodi e vigorosi americani avevano rapporti stretti con il Fascismo e con la Mafia. Lo sbarco in Sicilia fu possibile senza gravi perdite perch guidato da Lucky Luciano. Lesercito USA avanzava preceduto da un carro armato su cui sventolava una bandiera azzurra. Era il segno di riconoscimento di Luciano ai picciotti. Gli yankee debbono passare e basta. E la mafia siciliana si organizz perch nessuno si azzardasse a reagire. Poi gli USA ebbero stretti rapporti con Junio Valerio Borghese (quel delinquente golpista del 1970, ricordate?). Doveva essere la testa di ponte che legava esercito USA e Fascisti. Ma perch? Perch in Italia, contrariamente a quanto avvenne in Germania, vi era un forte movimento di resistenza a maggioranza comunista. Se lItalia fosse stata liberata in queste condizioni e con i fascisti impiccati, come si sarebbe dovuto fare (come in Germania del resto), il Paese sarebbe diventato quasi certamente una Repubblica Popolare. Gli USA, prevedendo questo scenario hanno difeso, sostenuto, foraggiato i fascisti (questo il motivo della fucilazione immediata di Mussolini e gerarchi gli USA volevano il prigioniero ma i partigiani sapevano di losche manovre). Ebbene, tra i criminali fascisti, militari, da impiccare vi era Graziani (insieme a vari altri, come Roatta, Robotti e Badoglio). Per quanto detto si salvarono, occorreva mantenere personaggi che avessero esperienza militare da usare eventualmente contro una sollevazione comunista. E Graziani, uno dei salvati, stato in questi giorni commemorato ad Affile con un esborso di 130 mila euro da parte della Regione Lazio (non si dimentichi che Polverini una nostalgica di borgata). Ora che Graziani sia stato nel cuore dei fascisti evidente a tutti (infatti Francesco Lollobrigida, inutile assessore ai trasporti della Regione Lazio era l), pochi sanno che era amico del cuore di Andreotti con il quale ebbe un abbraccio sensuale nei primi anni Cinquanta proprio ad Affile. E la Chiesa? Non poteva mancare. La Chiesa era una corporazione fascista ed il parroco di Affile, Ennio Innocenti, ha fatto la commemorazione. Daltra parte Graziani ha firmato insieme a Padre Agostino Gemelli il Manifesto della Razza, e quindi occorre rendergliene merito. Unultima considerazione. Anche se i tribunali internazionali non sono stati fatti funzionare contro i fascisti vi era sempre la legge italiana che aveva inquisito migliaia di massacratori fascisti. Poi si fece un governo in cui Togliatti era ministro di Grazia e Giustizia ed a lui si deve lorrenda amnistia che salv, ancora, tutti i fascisti. Chi ha una qualche speranza di cambiamento in questo Paese deve vedersela, prima che con i nemici e gli avversari, con gli amici o presunti tali. Fatta questa premessa, entriamo in dettagli che illustrano le eroiche gesta dei nostri Badoglio, Graziani e Roatta. Cominciamo con il riportare quanto dice uno storico importante, Angelo Del Boca. E una persona di destra con due caratteristiche importanti rarissime nei personaggi di destra: onesto e competente invece di disonesto ed ignorante.

"Italiani brava gente"?

di Angelo Del Boca "Deportazioni di massa, bombardamenti con bombe di iprite, campi di concentramento, rappresaglie indiscriminate, stragi di civili, confisca di beni e terreni. Le pagine nere dei crimini commessi dalle truppe italiane in Eritrea, Somalia e Libia. Una politica coloniale all'insegna del mito sugli italiani, brava gente. L'Italia repubblicana non ha ancora fatto i conti con l'avventura coloniale del fascismo, favorendo una storiografia moderata o revanscista." I paesi europei che hanno partecipato alla spartizione dell'Africa, si sono macchiati, tutti, indistintamente, dei peggiori crimini. E' un dato suffragato da episodi sui quali esiste, nella memoria e negli archivi, una documentazione imponente. Tanto nel periodo della liberaldemocrazia che durante i vent'anni del regime fascista, il comportamento dell'Italia nelle sue colonie di dominio diretto non fu dissimile da quello delle altre potenze coloniali. Impieg i metodi pi brutali sia nelle campagne di conquista che nel periodo successivo, stroncando ogni tentativo di ribellione. Con l'avvento del fascismo, poi, le condizioni dei sudditi coloniali si fecero ancora pi precarie, soprattutto perch fu messa a tacere in Italia l'opposizione, tanto in Parlamento che negli organi di informazione. Grazie infine alle pi capillari pratiche censorie, furono tenuti nascosti agli italiani episodi di inaudita gravit, come, ad esempio, la deportazione di intere popolazioni del Gebel cirenaico, la creazione nella Sirtica di quindici letali campi di concentramento, l'uso dei gas durante il conflitto italo-etiopico, le tremende rappresaglie in Etiopia dopo il fallito attentato al vicer Graziani. Quando Mussolini arriv al potere, la riconquista della Libia era appena iniziata, mentre sulle regioni centrali e settentrionali della Somalia il dominio italiano era soltanto virtuale. A Mussolini, pi che ai suoi generali, va dunque la responsabilit di aver adottato i metodi pi crudeli per riconquistare le colonie pre-fasciste e per dare, con l'Etiopia, un impero agli italiani.

a) L'impiego degli aggressivi chimici.


Usati sporadicamente in Libia, nel 1928, contro la trib dei Mogrba er Raedt, e nel 1930, contro l'oasi di Taizerbo, i gas vennero invece impiegati in maniera massiccia e sistematica durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36 e nelle successive operazioni di grande polizia coloniale e di controguerriglia. L'Italia fascista aveva firmato a Ginevra, il 17 giugno 1925, con altri venticinque paesi, un trattato internazionale che proibiva l'utilizzazione delle armi chimiche e batteriologiche, ma, come abbiamo visto, neppure tre anni dopo violava il solenne impegno usando fosgene ed iprite contro le popolazioni libiche. In Etiopia le violazioni furono cos numerose e palesi da sollevare l'indignazione dell'opinione pubblica mondiale. Le prime bombe all'iprite furono lanciate sul finire del 1935 per bloccare l'avanzata dell'armata di ras Immir Haile Sellase, che puntava decisamente all'Eritrea, e quella di ras Dest Damtu, che aveva come obiettivo Dolo, in Somalia. In tutto, durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36, furono sganciate su obiettivi militari e civili 1.597 bombe a gas, in prevalenza del tipo C.500-T, per un totale di 317 tonnellate. Altre 524 bombe a gas furono lanciate, tra il 1936 e il 1939, durante le operazioni contro i patrioti etiopici. Se si aggiunge, infine, che durante la battaglia dell'Endert furono sparati dalle batterie di cannoni di Badoglio 1.367 proiettili caricati ad arsine, non si lontani dal ritenere che in Etiopia siano stati impiegati non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici. b) I campi di sterminio. Con il fascismo le vessazioni nei confronti degli indigeni raggiunsero livelli mai prima segnalati. Dall'esproprio dei terreni, dalla confisca dei beni dei ribelli, dal diffuso esercizio del lavoro forzato, si pass alla deportazione di intere popolazioni e alla loro segregazione in campi di concentramento, che soltanto la cinica prosa dei documenti ufficiali aveva il coraggio di definire accampamenti. Il pi noto e drammatico di questi trasferimenti coatti avvenne in Cirenaica nel 1930, dopo che Graziani aveva fallito il tentativo di domare la ribellione capeggiata da Omar el-Mukhtr. Su ordine del governatore generale Badoglio, il quale era convinto che la rivolta si sarebbe potuta infrangere soltanto spezzando i legami tra gli insorti e le popolazioni del Gebel cirenaico, Graziani predisponeva il trasferimento di 100mila civili dalla Marmarica e dal Gebel el-Ackdar ai campi di concentramento che aveva fatto costruire nella Sirtica, una delle regioni pi inospitali dall'Africa del Nord. Quando i lager vennero definitivamente 2

sciolti nel 1933, i sopravvissuti erano appena 60mila. Gli altri 40mila erano morti durante le marce di trasferimento, per le pessime condizioni sanitarie dei campi (per i 33mila reclusi nei lager di Soluch e di Sidi Ahmed el-Magrun c'era un solo medico), per il vitto insufficiente e spesso avariato, per le inevitabili epidemie di tifo petecchiale, dissenteria bacillare, elmintiasi, per le violenze compiute dai guardiani e per le esecuzioni sommarie per chi tentava la fuga. I campi di sterminio nella Sirtica non furono i soli. Memore della loro macabra efficacia, Graziani ne istitu uno anche in Somalia, a Danane, a sud di Mogadiscio. Secondo Micael Tesemma, un alto funzionario del ministero degli Esteri etiopico, che fu recluso a Danane per tre anni e mezzo, dei 6.500 etiopici e somali che si avvicendarono nel campo, tra il 1936 e il 1941, 3.171 vi persero la vita. Un secondo campo fu istituito nell'isola di Nocra, in Eritrea. Qui le condizioni di vita erano anche pi intollerabili, perch i detenuti erano costretti al lavoro forzato nelle cave di pietra, con temperature che a volte raggiungevano i 50 gradi. L'alto tasso di mortalit a Nocra era causato principalmente dalla malaria e dalla dissenteria, poi dal cattivo nutrimento e dalle insolazioni.

c) Le stragi.
L'intera storia delle conquiste coloniali italiane punteggiata da stragi e da esecuzioni sommarie. Ma vi sono episodi che emergono per la loro spiccata gravit. Nella notte del 26 ottobre 1926, ad esempio, avendo saputo che lo scek Ali Mohamed Nur, un capo religioso ostile all'Italia, era sfuggito all'arresto e si era barricato con i suoi seguaci nella moschea di El Hagi, a Merca, una cinquantina di coloni italiani di Genale, ex squadristi, armati di moschetti e di fucili da caccia, punt su Merca, circond la moschea e trucid tutti i suoi occupanti, un centinaio di somali. Il massacro sarebbe stato anche pi ingente se, al mattino, a sostituire gli squadristi, che intendevano liquidare tutta la popolazione indigena della zona, non fossero intervenuti i reparti dell'esercito. Dalla Somalia passiamo alla Libia. Nel febbraio del 1930, alla fine delle operazioni per la riconquista del Fezzan, Graziani spinse un migliaio di mugiahidin, con le loro famiglie, verso il confine con l'Algeria e poich non fece in tempo ad intrappolarli, per due giorni consecutivi lanci tutti gli aerei a sua disposizione sulle mehalla in fuga. Fu una carneficina, come testimonia lo stesso inviato de Il Regime Fascista, Sandro Sandri, il quale assistette ai bombardamenti e mitragliamenti del gregge umano composti, oltrech degli armati, da una moltitudine di donne e bambini. Ma in Etiopia, nel cristiano e millenario impero del Prete Gianni, che furono consumati i pi orrendi eccidi, alcuni dei quali non ancora studiati a fondo per cui il numero delle vittime potrebbe ancora aumentare. Cominciamo con le stragi compiute ad Addis Abeba dopo l'attentato del 19 febbraio 1937 al vicer Graziani. Per tre giorni, su ordine del segretario federale della capitale, Guido Cortese, fu impartita agli etiopici, che erano assolutamente estranei all'attentato, una lezione indimenticabile. Alla selvaggia repressione presero soprattutto parte camicie nere, civili italiani ed ascari libici e fu condotta, come riferisce un testimone degno di fede, il giornalista Ciro Poggiali, fulmineamente, coi sistemi del pi autentico squadrismo fascista. Quando, il 21 febbraio, Graziani diram, dall'ospedale in cui era stato ricoverato per le ferite subite, l'ordine di cessare la rappresaglia, la capitale era disseminata di cadaveri. Mille morti, secondo Graziani; da 1.400 a 6.000, secondo le stime dei testimoni stranieri; 30mila, a sentire gli etiopici. Cessata la strage in Addis Abeba, la repressione continu in tutte le altre regioni dell'impero. Si dava soprattutto la caccia agli indovini e ai cantastorie, ritenuti responsabili di aver annunciato nelle citt e nei villaggi la fine prossima del dominio italiano in Etiopia. Secondo una relazione del colonnello Azolino Hazon, la sola arma dei carabinieri pass per le armi, in meno di quattro mesi, 2.509 indigeni. Alle operazioni repressive partecip anche l'esercito. Al generale Pietro Maletti venne infatti affidato l'incarico di punire i religiosi della citt conventuale di Debr Libans, ingiustamente sospettati di aver favorito l'attentato a Graziani ospitando i due esecutori materiali, gli eritrei Abraham Debotch e Mogus Asghedom. Tra il 18 e il 27 maggio 1937 Maletti port a termine la sua missione fucilando 449 monaci e diaconi. Queste cifre le abbiamo desunte dai dispacci che Graziani inviava quotidianamente a Mussolini, e fino a qualche tempo fa le ritenevamo attendibili poich Graziani ha sempre avuto la tendenza a non celebrare, e soprattutto a non ridurre, le cifre della sua macabra contabilit. Il vicer, infatti, commentando la strage di Debr Libans non aveva mostrato alcuna reticenza nel sottolineare l'estremo rigore della punizione: E' titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d'animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall'Abuna all'ultimo prete o monaco. 3

Ma dovevo sbagliarmi sulle cifre della strage. Due miei collaboratori, Ian L. Campbell, dell'Universit di Nairobi, e Degife Gabre-Tsadik, dell'Universit di Addis Abeba, compivano fra il 1991 e il 1994 alcuni accurati sopralluoghi nelle localit in cui Maletti decim il clero copto e giunsero alla conclusione, dopo aver intervistato alcuni superstiti della strage e alcuni testimoni delle operazioni di Maletti, che le cifre riferite da Graziani erano del tutto inattendibili. In realt, le mitragliatrici di Maletti hanno abbattuto a Debr Libans, Laga Wolde e a Guassa, non 449 tra preti, monaci, diaconi e debteras, ma un numero di religiosi che si aggira tra i 1.423 e i 2.033. Data la seriet dei due ricercatori e il numero delle testimonianze raccolte, nel 1997 pubblicavo il loro lungo rapporto sul numero 21 di Studi Piacentini. Questa non che una sintesi molto lacunosa dei torti che l'Italia fascista ha fatto alle popolazioni africane da essa amministrate. Dovremmo infatti anche parlare delle leggi razziali, che confinavano gli indigeni nei loro ghetti, anticipando di vent'anni i rigori e gli abusi dell'apartheid sudafricana. Dovremmo ricordare i limiti imposti all'istruzione, tanto che in settant'anni di presenza italiana in Africa nessun indigeno ebbe la facolt e i mezzi per ottenere un diploma o una laurea. Dovremmo infine ricordare che ai sudditi africani erano riservati soltanto ruoli subalterni, i pi modesti ed umilianti. Un fatto del genere non accadeva nelle colonie africane della Francia e della Gran Bretagna. Questi crimini furono accuratamente nascosti agli italiani con tutti gli strumenti di cui pu disporre una dittatura. E se qualche verit filtrava all'estero, ad esempio sui gas impiegati in Etiopia, il regime reagiva rabbiosamente sostenendo che un popolo che stava portando la civilt in Africa non poteva macchiarsi di tali infamie. Molti testimoni italiani di stragi o dell'impiego delle armi chimiche si decideranno a svelare i loro segreti soltanto trenta, quaranta, cinquanta anni dopo gli avvenimenti e sempre con qualche reticenza. Altri, invece, e sono i pi numerosi, non hanno mai testimoniato sui crimini, perch non li ritenevano tali, ma li consideravano normali pratiche per tenere a freno popolazioni che giudicavano barbare. Molti, fra costoro, si sono fatti fotografare in posa dinanzi alle forche o reggendo per i capelli teste mozze di patrioti etiopici. Questa macabra, allucinante documentazione fotografica visibile negli Archivi storici di Addis Abeba e proviene dagli uffici degli organi giudiziari italiani scampati alle distruzioni della guerra, o dai portafogli degli italiani finiti prigionieri degli etiopici alla caduta dell'impero. Il mito degli italiani brava gente cominci ad affermarsi quando ancora l'Italia era impegnata in Africa a difendere i suoi territori. Se si sfogliano le riviste coloniali dell'epoca si nota l'insistenza con la quale il regime fascista cercava di accreditare la tesi dell'italiano impareggiabile costruttore di strade, ospedali, scuole; dell'italiano che in colonia pronto a deporre il fucile per impugnare la vanga; dell'italiano gran lavoratore, generoso al punto da porre la sua esperienza al servizio degli indigeni. Si tentava, insomma, di costruire il mito di un italiano diverso dagli altri colonizzatori, pi intraprendente e dinamico, ma anche pi buono, pi prodigo, pi tollerante. Insomma il prodotto esemplare di una civilt millenaria, illuminato dalla fede cattolica, fortificato dalla dottrina fascista. Questo mito sopravviver alla sconfitta nella seconda guerra mondiale e impregner tutti i documenti che i primi governi della Repubblica presenteranno alle Nazioni unite o ad altre assise internazionali nel tentativo, fallito, di salvare, se non tutte, almeno le colonie prefasciste. Non soltanto resisteva il mito degli italiani brava gente, ma si impediva con ogni mezzo che si svolgesse nel paese un sereno e costruttivo dibattito sul colonialismo. Gli effetti del mancato dibattito sono visibili, come sono palesi i danni arrecati. Il primo dato negativo la rimozione quasi totale, nella memoria e nella cultura storica dell'Italia, del fenomeno dell'imperialismo e degli arbitri, soprusi, crimini, genocidi ad esso connessi. A 117 anni dallo sbarco a Massaua del colonnello Tancredi Saletta, a 91 dallo sbarco del generale Caneva a Tripoli, a 67 dall'aggressione fascista all'Etiopia, l'Italia repubblicana non ha ancora saputo sbarazzarsi dei miti, delle leggende, delle contraffazioni che si sono formate nel periodo coloniale, mentre una minoranza non insignificante di reduci e di nostalgici li coltiva amorevolmente e li difende con iattanza. Non soltanto stato contrastato ogni tentativo di aprire un dibattito a livello nazionale sul colonialismo, che coinvolgesse storici, forze politiche ed opinione pubblica, ma si anche tentato, da parte di alcune istituzioni dello Stato, di esercitare il monopolio su alcuni archivi per impedire che affiorasse la verit, mentre una storiografia di segno moderato o revanscista favoriva palesemente la rimozione delle colpe coloniali. A quando i processi postumi ai Badoglio, ai Graziani, ai De Bono, ai Lessona, ai Cortese, ai Maletti e a tutti gli altri responsabili dei genocidi africani rimasti impuniti? A quando la verit nei libri di testo scolastici, che ignorano persino l'argomento? A quando la proiezione sulla Tv 4

di Stato dell'inchiesta televisiva Fascist Legacy di Ken Kirby e Michael Palumbo sui crimini di guerra italiani in Africa e nei Balcani? Come noto, la Rai-Tv acquist questo filmato dalla Bbc molti anni fa ma non lo ha mai trasmesso. Perch? Per quali veti? Per quale ipocrita riserbo? Per quale motivo ancora proibito proiettare nelle sale Il Leone del deserto, il film di Akkad che narra l'epopea tragica di Omar el-Mukhtr, impiccato da Graziani nel lager di Soluch? _________________________ Perch dopo la guerra su tutto questo sia stato steso un velo di silenzio e soprattutto perch questi luoghi siano stati totalmente dimenticati dalla memoria locale e collettiva uno dei grandi misteri che si unisce a quello della mancata epurazione di molti gerarchi fascisti che rimasero al loro posto o che addirittura furono collocati in posti importanti della rinata democrazia. Solo pochi anni dopo la guerra, nel 1953, Graziani divenne presidente del MSI. Si pensi che da tutti i campi del centro nord (basta sfogliare la monumentale opera "Il libro della memoria" di Liliana Picciotto Fargion, ed. Mursia) le persone concentrate in questi campi furono deportate verso lo sterminio in Germania. Le vicende di questi anni che vedono gli eredi del fascismo nel governo del Paese insieme a pericolose ideologie mediatiche e xenofobe e la pericolosa involuzione antidemocratica e anticostituzionale a cui tutti assistiamo, fa ritornare ossessivamente alla memoria quanto amava dire la filosofa tedesca Hannah Arendt: "Un popolo che non ha memoria costretto a ripetere gli stessi errori del passato". Proprio in un numero di "Internazionale" (21-27 novembre 2003) il corrispondente tedesco di N-Tv e di alcuni canali televisivi pubblici della Germania, Udo Gumpel, ci ricordava l'assurda storia del cosiddetto "armadio della vergogna", l'armadio con le ante rivolto contro il muro, scoperto nel 1994 nei locali del Palazzaccio, il vecchio Palazzo di giustizia romano. In quell'armadio sono stati sepolti e "archiviati" centinaia di documenti che riguardavano le stragi nazi-fasciste in Italia. Un armadio, come scrive Gumpel, "che fa vergogna alla giustizia, ma anche ai mass media", che hanno steso un velo profondo di silenzio. Certo in questa incredibile dimenticanza, come in questo ritorno ad un passato, che speravamo estirpato, pesa indubbiamente il ruolo della Chiesa cattolica nel Paese, ieri come oggi. Come mai la Chiesa affittava senza problemi etici o morali, propri edifici per campi di concentramento allo Stato italiano (ricordo Agnone, Civitella del Tronto, Isola Gran Sasso, Roccatederighi,...) o mandava personale ecclesiastico, per lo pi suore, (Alatri o Vo' Vecchio), per lavorare all'interno del campo. Come mai Borgoncini Duca, nunzio apostolico presso lo Stato italiano, uno dei pochi vescovi fatto cardinale da Pio XII dopo la guerra, visitava in lungo e largo questi campi. Faceva lo stesso il nunzio apostolico presso il governo di Hitler? E perch si preoccupava tanto delle sorti degli internati in Italia, mentre nei campi di Gonars (si parla di 500 morti), ad Arbe (1500 morti), in Tessaglia a Larissa (centinaia di morti per malnutrizione, 106 uccisi per rappresaglia), nell'isola di Molat (3500 furono gli internati e anche l ci furono centinaia di morti) nessuno interveniva? Non risulta peraltro che qualcuno abbia fatto una stima complessiva dei morti per mano italiana nei campi sotto il regime fascista. Senza contare, come gi scritto, che la Chiesa non mosse un dito per fermare "il viaggio" verso lo sterminio degli internati nei campi italiani (di cui conosceva tutte le sedi), presi dai fascisti e dai nazisti in ritirata. Anche da quei luoghi che erano sedi ecclesiastiche come il seminario estivo di Roccatederighi dove furono portati alla morte un centinaio di ebrei. Anzi c' di pi come ci ha raccontato la storica Luciana Rocchi, il vescovo di Grosseto chiese al prefetto democratico della sua citt, gli affitti non pagati dalla fine della guerra in quanto lo Stato italiano non aveva disdetto l'affitto.

Posate, vasi e aquile d'oro il bottino di guerra di Graziani


1 giugno 2000 - Articolo messo in Rete alle 05:03 ora italiana (03:03 GMT)

COLLEGE PARK (Maryland) - Le 28 casse con il tesoro di guerra del maresciallo Rodolfo Graziani erano state messe al sicuro: in una stanza della sagrestia della chiesa di Santa Agnese, in via Nomentana a Roma. Erano piene di quelli che il maresciallo, dalla sua prigionia a Procida, definisce "ricordi personali e di famiglia". E per i quali, in una supplica all'ammiraglio americano Ellery Stone, fa "appello al Suo nobilissimo sentimento di Soldato che non pu rimanere insensibile alla voce di un altro sfortunato, ma sempre onorato,

Soldato". In realt, oltre ai ricordi di casa Graziani, pignolamente elencati ("tre gagliardetti della riconquista libica,pergamene riguardanti la Cirenaica, dente di elefante legato in argento, autografo di D'Annunzio... "), le casse contengono i ricordi di un'altra famiglia: quella del Negus. All'imperatore di Etiopia, infatti, il vicer aveva sottratto vari oggetti e, soprattutto, l'aquila d'oro massiccio che si trovava, sul suo trono al momento dell'incoronazione. Un'aquila che gli americani restituirono all'imperatore nel luglio del '45. Gli archivi declassificati dalla Cia mostrano un incredulo Hail Selassi che passa in rassegna il vasellame, le posate d'argento e le croci copte al momento della loro restituzione. Nella lettera all'ammiraglio Stone, Graziani si affanna a spiegare l'origine dei due servizi di posate in argento dorato (uno da 12 persone e uno da 18): sono stati "ricostituiti acquistando i singoli pezzi da indigeni di Addis Abeba".

CNNItalia.it - Ecco i documenti della Cia su ebrei romani e spie SS - 30 giugno 2000 wysiwyg://17/ http://www.cnnitalia.it/2000/ITALIA/06/30/documentinazi/index.html

Ecco i documenti della Cia su ebrei romani e spie SS


1 giugno 2000 Articolo messo in Rete alle 02:12 ora italiana (00:12 GMT) All'interno: Gli archvi di College Park "Cinque giorni per avvertire gli ebrei" L'oro degli ebrei romani "I vestiti di Mafalda e di Ciano" Dialogo sullo sterminio Battute sul forni crematorl [Borghese e von Fuerstenberg GII italiani nelle fabbriche del Relch La Cia ha reso pubblici 400 mila documenti che vengono dagli archivi della Oss, i servizi segreti americani cos come erano conosciuti durante la seconda guerra mondiale di Riccardo Orizio - Cnnitalia
COLLEGE PARK (Maryland) I nazisti avevano una insospettabile gola profonda in Vaticano: il monsignore irlandese O'Flaherty, che rappresentava la Croce Rossa Usa. Gli agenti segreti delle SS trasferivano grosse somme di denaro tra Milano e Roma grazie al cardinale Ildefonso Schuster. I servizi segreti nazisti erano in costante contatto con aristocratici come Tasilo von Fuerstenberg (il genero del senatore Agnelli) e Junio Valerio Borghese, in vista di un nuovo Reich senza Hitler. Mussolini ordinava il furto di opere d'arte per farne poi gentile omaggio a Hermann Goering, in nome dell'amicizia nazi-fascista. Priebke si occupava probabilmente dell'oro sequestrato agli ebrei romani. E nelle 28 casse che custodivano il tesoro di guerra del maresciallo Rodolfo Graziani, il vicer d Etiopia, gli Alleati trovarono piatti e posate provenienti dal palazzo reale di Addis Abeba e l'aquila d'oro massiccio del trono di Hail Selassi. Gli archivi di College Park Sono questi alcuni dei nomi e degli episodi che, dopo sei decenni di segreto assoluto, escono dai 400 mila documenti appena declassifcati dalla Cia, finalmente riapparsi in decine di scatoloni di cartone grigio al secondo piano di una palazzina di College Park, a met strada tra Washington e Baltimora. Le scatole contengono intercettazioni "catturate" all'insaputa dei nazisti, diari sequestrati a prigionieri di guerra, interrogatori di agenti che facevano il doppio gioco. In molti casi, sono segreti imbarazzanti per gli Alleati.

Perch, per esempio, Londra non avvert gli ebrei romani della retata organizzata da Kappler, la cui preparazione era stata intercettata il 6 ottobre 1943? Perch non cerc di evitare il loro trasferimento ad Auschwitz? "Cinque giorni per avvertire gli ebrei" "Secondo i miei calcoli, dopo la traduzione e vari passaggi burocratici, i vertici britannici entrarono in possesso di quei documenti intorno all'11 ottobre, quindi con cinque giorni di preavviso sulla retata. Non hanno agito perch l'intelligence cercava segreti militari, non si occupava di questioni umanitarie. E poi agire avrebbe voluto dire far sapere ai tedeschi che le loro comunicazioni erano decifrabili", spiega Timothy Naftali, storico del Miller Center dell'Universit della Virginia. Naftali l'esperto di spionaggio che ha selezionato per conto della Cia i 400 mila documenti declassificati lo scorso luned. Oltre alle intercettazioni ci sono chili di verbali tratti dagli interrogatori a prigionieri di guerra e rapporti segreti inviati da agenti sul campo. L'oro degli ebrei romani E' grazie a questi documenti che oggi si sa che la retata dei mille ebrei romani, per esempio, avvenne con la piena approvazione del maresciallo Rodolfo Graziani. Che una simile retata era stata prevista per Napoli, ma fall "causa il clima ostile della citt". E che non fu affidata ai carabinieri perch considerati dai nazisti "inaffidabili" (Kappler ordin che fossero disarmati). Che il clima era gi cos ostile da obbligare i nazisti a minacciare gli uomini che rastrellavano gli ebrei di "ritorsioni contro le famiglie" se non eseguivano gli ordini "in modo conforme". Sempre da questi documenti si sa che all'inizio d'ottobre del '43 i nazisti confiscarono agli ebrei romani 50 chili d'oro. Il comando tedesco di Roma cerc subito di inviare il bottino alla Reichsbank di Berlino. Il 7 ottobre un telegramma da Berlino dice, enigmatico: "Non abbiamo ancora ricevuto il camion di Priebke. Sappiamo che ancora all'ambasciata tedesca. Pregasi investigare". Cosa trasportava quel camion? L'oro? Borghese e von Fuerstenberg I nomi? Il diario di Zimmer spiega che in questa operazione furono coinvolti due principi: Tasilo von Fuerstenberg, il marito di Clara Agnelli (la figlia del senatore Giovanni Agnelli), cittadino tedesco di casa a Torino e alla Fiat; e Valerio Borghese, il comandante della Decima Mas, che "combatte una sua guerra personale contro le popolazioni slave" ed era pronto anche a negoziare con gli Alleati in funzione anti-russa.

Molti protagonisti avevano posizioni ambigue. Come il cardinale Ildefonso Schuster, che aiutava a trasferire denaro tra Milano e Roma per conto - chiss se in modo consapevole - di agenti nazisti. Altri hanno commesso peccatucci di altro tipo: Graziani aveva nascosto in una chiesa romana il vasellame d'argento del Negus.

10

11

12

Oltre agli oggetti d'arte Graziani aveva nascosto anche documenti ufficiali del fascismo e documenti militari. Tutti oggetti che il maresciallo chiede in restituzione "a che possa tramandarli ai miei nepoti perch questi abbiano materia per giudicare realmente chi sia stato il loro Nonno e sia salva presso di loro la Mia Memoria".

________________________

ITALIANI ... BRAVA GENTE?


Nel sito http://www.criminidiguerra.it/html/DocumentiE.htm vi sono moltissimi documenti ed articoli che consiglio di andare a vedere.Io ne ho estratti alcuni che credo siano di immediato interesse. Occorre definitivamente smentire la leggenda degli italiani brava gente. Occorre dire la verit che stata sempre nascosta dai furbetti democristiani per tanti anni ed ora dal revisionismo fascista. Il guaio vero stato l'assenza di una Norimberga italiana. Avremmo visto vari personaggi

13

condannati a morte per crimini di guerra sia per le vergogne che ora andiamo a vedere sia per quelle gi viste di Foibe, sia per altre che vedremo su Grecia, Albania, ...

http://www.criminidiguerra.it/html/repressionelibia.htm

La repressione dell'esercito italiano durante la nuova occupazione della Libia


1911 Trattato di Losanna: a conclusione della guerra italo/turca, la Libia restava sotto l'autorit formale della Turchia che demandava alla amministrazione italiana la sua autorit sulla fascia costiera tra Zuara e Tobruk. 1913 influenza italiana estesa a tutto il Gebel tripolino con la scusa di prevenire possibili rivolte. 1914 la resistenza libica costringe gli italiani a ripiegare sulla costa. 1921 discreto stato di pacificazione creato il governatorato di Tripolitania (Volpi) 1927 governatorato di Cirenaica (governatore Teruzzi) 1929 Badoglio governatore unico delle province di Tripolitania e Cirenaica. Attacchi di capi senussiti guidati da Omar el Muktar, simbolo della resistenza cirenaica, nei confronti delle nostre truppe. 1930 Graziani vice governatore a Bengasi. Repressione violentissima (deportazioni, esecuzioni, confino). Viene rioccupato l'entroterra tra Bengasi e Tobruk. Viene costruito un reticolato di 270 km da Giarba a Giarabub atto a impedire che dall'Egitto arrivassero rifornimenti di armi, munizioni e cibo ai ribelli senussiti. 1931 occupata l'oasi di Cufra. Omar el-Muktar viene catturato e impiccato nel campo di concentramento di Soluch dopo un processo sommario che non tiene conto dell'et del prigioniero (73 anni) e del fatto che dovrebbe essere considerato prigioniero di guerra e non traditore visto che non ha mai percepito stipendi dal governo italiano.Ci rappresent il colpo di grazia della resistenza senussita. Ancora oggi la visione del film "Il leone del deserto", del regista siriano Mustaf Accad che narra le vicende di Omar dal punto di vista arabo, vietato per censura ministeriale. 1934 Badoglio proclama che "la ribellione araba in Cirenaica stroncata". Lo stesso Graziani parla di 1641 mugiahidin caduti tra il marzo 1930 e il dicembre del 1931. Gli aspetti della repressione Un aspetto della repressione sia in Tripolitania che in Cirenaica fu rappresentato dai tribunali militari speciali. I processi avvenivano spesso all'aperto in pubblico per confutare le notizie di esecuzioni sommarie. Gli imputati indigeni venivano il pi delle volte condannati a morte e le sentenze immediatamente eseguite. Le accuse pi diffuse erano quelle relative all'aiuto dato ai ribelli. A questo proposito Graziani scrive: "Non appena giunge la segnalazione di un arresto in flagranza di reato, il tribunale parte e la Giustizia scende dal cielo. E questo diventato cos nornale che quando un aeroplano giunge nel luogo dove stato commesso un reato si sente mormorare negli accampamenti la parola tribunale" (in Graziani Cirenaica pacificata pag. 139). 1930 Deportazioni delle trib che abitavano il Gebel cirenaico (chiamato anche Montagna verde per il clima abbastanza temperato e ventilato e perch luogo con sorgenti d'acqua) e chiusura delle zavie (centri polivalenti senussiti). Il motivo delle deportazioni era da ricollegarsi alla ripopolazione del Gebel da parte di coloni italiani.Esodo biblico durato 20 settimane. Delle 100.000 persone ne arrivarono 85.000 (relazione del generale Cicconetti al generale Graziani). Anche i capi di bestiame furono falcidiati dalla sete, dalla mancanza di foraggio e dalla

14

aviazione che li mitragli a volo radente lungo tutto il Gebel per evitare di lasciarli alle bande locali. Vari episodi di crudelt tra i quali ricordiamo l'abbandono di 35 indigeni, tra cui donne e bambini, nel deserto privi di acqua a causa di una rissa scoppiata tra loro; altri morti in seguito a fustigazioni, altri ancora morti di sete o per la fatica.Per evitare la sopravvivenza di bande furono avvelenate le "guelte", pozze d'acqua dove si abbeveravano gli animali, i pozzi d'acqua delle varie trib, incendiati campi e raccolto (cfr Ottolenghi,op. cit pag 62 e seg). Badoglio in una lettera a Graziani del 20/6/1930 giustific le deportazioni perch "occorre creare un distacco territoriale tra le formazioni ribelli e le popolazioni sottomesse onde impedire alle seconde di sostentare le prime. urge far refluire in uno spazio ristretto lontano dalle loro terre originarie, tutta la popolazione sottomessa, in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli". In questo modo Graziani cerca di giustificare le deportazioni: "... lasciare le popolazioni nei loro territori di origine e dare ampia libert di azione alle truppe per scovare e annientare i ribelli ovunque si trovassero. Non mi sfuggivano le tragiche conseguenze cui avrebbe condotto questo metodo perch conoscendo a fondo l'ignoranza delle popolazioni beduine, e l'opera su di essa compiuta dalla propaganda senussita, ritenevo che esse sarebbero state indotte a persistere nell'errore e a continuare a rifornire le masse armate di viveri, uomini, armi, donde sarebbe derivato lo sterminio pressoch totale delle popolazioni beduine della Cirenaica ... La seconda via era quella di mettere le popolazioni in grado di non aver contatto con i ribelli ossia supplire con un intervento coattivo del Governo alla loro ignoranza e deficiente responsabilit risparmiandole agli orrori della guerra ... sarebbe stato meglio far sopportare a questa i disagi e le ristrettezze del concentramento ... anzich esporle allo sterminio. Questo spirito umanitario divenne oggetto di campagna diffamatrice nei confronti dell'Italia accusata di vilipendio e di offesa alla religione perch abbatteva i suoi templi, di atrocit e di ogni genere e perfino del getto dell'alto degli aereoplani di gente musulmana! Nulla di pi spudorato ... Oggi quelle popolazioni a rischio sterminio sono avviate a raggiungere quel livello di vita civile ed economica che ingentilir i loro costumi nobiliter i loro cuori e costituir il primo fattore della loro felicit. Marsa el Brega, Agheila, Sidi hamed el Magrum oggi hanno l'aspetto di piccoli villaggi". (Graziani in Cirenaica pacificata pag. 304) Il 31 luglio 1930 l'oasi di Taizerbo viene bombardata con bombe all'iprite. Cufra, citt santa per gli islamici perch sede della Senussia (confraternita sunnita), considerata da Graziani "centro di raccolta di tutto il fuoriuscitismo libico". Il 26 agosto Cufra bombardata e i ribelli inseguiti, verso il confine con l'Egitto. Graziani parla di 100 uccisi, 14 passati per le armi e 250 prigionieri tra cui donne e bambini. Il bilancio complessivo molto pi alto.Testimonianza del pilota V. Biano (in Del Boca Gli italiani in Libia). "Partiti all'alba ... gli apparecchi riconoscono sul terreno le piste dei ribelli in fuga e le seguono finch giungono sopra gli uomini; le bombe hanno scarso effetto perch il bersaglio diluito ma le mitragliatrici fanno sempre buona caccia; mirano ad un uomo e lo fermano per sempre, puntano un gruppo di cammelli e lo abbattono... il gioco continua per tutta la giornata ... le carovaniere della speranza diventano un cimitero di morti. Il 20 Gennaio 1931 Cufra occupata; seguirono tre giorni di saccheggi e violenze di ogni tipo fatti dai nostri soldati col tacito assenso dei superiori. 17 capi senussiti impiccati 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati 50 donne stuprate 50 fucilazioni 40 esecuzioni con accette, baionette, sciabole.

15

Atrocit e torture impressionanti: a donne incinte squartato il ventre e i feti infilzati, giovani indigene violentate e sodomizzate (ad alcune infisse candele di sego in vagina e nel retto) teste e testicoli mozzati e portati in giro come trofei; torture anche su bambini (3 immersi in calderoni di acqua bollente) e vecchi (ad alcuni estirpati unghie e occhi) (Ottolenghi op. cit.pag 60 e seg.). Grande impressione nel mondo islamico. La "Nation Arabe" scrive: "Noi chiediamo ai signori italiani i quali ora si gloriano di aver catturato cento donne e bambini appartenenti alle poche centinaia di abitanti male armati di Cufra che hanno resistito alla colonna occupante Che cosa c'entra tutto ci con la civilt?" Il giornale di Gerusalemme "Al Jamia el Arabia" pubblica , il 28 aprile 1931, un manifesto in cui tra l'altro si ricordano "alcune di quelle atrocit che fanno rabbrividire: da quando gli italiani hanno assalito quel paese disgraziato, non hanno cessato di usare ogni sorta di castigo ... senza avere piet dei bambini, n dei vecchi ...". Graziani, che riporta il testo in Cirenaica pacificata, lo definisce "infarcito di menzogne tali che non so se muovano pi il riso o lo sdegno". 1933 Balbo sostituisce Badoglio restando in carica sino al 1940.

L'impiego dei gas e delle armi chimiche Gli aggressivi chimici furono impiegati per la prima volta nella prima guerra mondiale da Germania, Austria-Ungheria, Italia, Gran Bretagna e Russia. Il 17 giugno 1925 viene firmato da 25 Stati aderenti alla Societ delle Nazioni un trattato internazionale che proibiva l'utilizzo di armi chimiche e batteriologiche. Il trattato fu ratificato dall'Italia il 3 aprile 1928. Tra il 1923 e il 1931 l'aviazione italiana impieg fosgene e iprite

ANNI

LUOGO

FONTI

CARATTERISTICHE politica della terra bruciata e del terrore

RISULTATI bombardate 150 tende coniche, numeroso bestiame nuclei armati intenti a lavori di semina

1924/26

Tripolitania: accampamenti, uadi (letti Relazione Mombelli asciutti di antichi corsi (generale)1 d'acqua)

6/1/1928

4/2/28 12/2/1928 19/2/1928 Marzo 1929 31/7/1930

Operazioni 29 parallelo Gifa: oasi a sud di Nu- per unificare Tripolita10 bombe da 21 kg al fosgene da 3 filia (Tripolitania) su nia e Cirenaica (Relazione generale aerei Caproni 111 popolazioni Mogarba Cicconetti2 a De Bono AUSSME) Relazione De Bono 3 tonnellate bombe esplosive e 36 indigeni e 960 sugli "esiti bombarda- all'iprite capi di bestiame menti in Tripolitania"3 Hon Uaddan Diario De Bono Bombe al fosgene 42 individui centinaia di capi di bestiame uccisi 300 cammelli numerosi pastori Cirenaica 15 km sud- Relazione governatore est dello uadi En8 quintali di iprite Teruzzi4 gar(Gebel) Zeefran Heleighima Oasi Taizerbo Relazione Teruzzi5 Autorizzazione Badoglio (Relazione ten. col. R.Lodi al gen. Siciliani6. Graziani7. Bombe a gas

24 bombe da 21 kg a iprite da 4 aerei Romeo 12 bombe da 12 kg e Distruzione bestiame 320 da 2 kg con esplosivo cone di numerosi ribelli venzionale

"Relazione Mombelli: Caproni esplor regione Uadi el Faregh...avvist e bombard grosso attendamento circa 150 tende coniche e rettangolari.Bombard regione Saunno con esito visibilmente efficace settantina tende e numeroso bestiame al
1

16

pascolo.Bombard ripetutamente accampamento due chilometri est Garbagniha ... nonch ... nuclei armati intenti lavori semina.". "A prova della terribile efficacia dei bombardamenti sta il fatto che basta ormai l'apparizione dei nostri apparecchi perch grossi aggregati spariscano allontanandosi sempre pi".
2

"Relazione De Bono al ministro delle colonie: 263 Op.UG/Segreto: Stamane come stabilito quattro Ca 73 e tre Ro hanno bombardato Gife con evidente distruzione. I quattro Ca 73 sonosi spinti circa settanta chilometri sud Nufilia bombardando anche a gas circa quattrocento tende....".
3

"Relazione Teruzzi: Gebel. Ieri undici, aviazione Mechili bombardato efficacemente noto accampamento con bestiame pascolante .... Risulta da fonte attendibile che recenti bombardamenti eseguiti da aviazione abbiano causato ai ribelli quarantina persone uccise altrettanti feriti e sessantina cammelli abbattuti...".
4

"Relazione Teruzzi: Sembra che nello Zeefran i ribelli abbiano abbandonato quaranta tende .... in seguito ripetuti bombardamenti a gas".
5

"Telegramma Badoglio a Siciliani e De Bono "Si ricordi che per Omar el Muchtar occorrono due cose: primo ottimo servizio informazioni, secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe a iprite....".
6

"Graziani in Cirenaica pacificata a proposito del bombardamento dell'oasi di Taizerbo scrive "Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnellata di esplosivo ... Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asser che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili, e pi grande ancora il panico.""
7

http://www.criminidiguerra.it/html/Itinerari.htm

La guerra di conquista dell'Etiopia: i crimini sulle popolazioni e l'uso dei gas.


Per Africa Orientale italiana si intende quel territorio comprendente Eritrea e Somalia costituito nel gennaio del 1935 dal fascismo in previsione della guerra con l'Etiopia che, dopo la conquista italiana. costituir parte integrante del territorio. L'Eritrea fu la prima colonia italiana costituita dopo l'acquisto da parte del governo italiano (1882) della baia di Assab, sul mar Rosso,dalla Societ Rubattino che, a sua volta, l'aveva acquistata dieci anni prima da sultani locali. La colonizzazione italiana proseguir nel 1885 con l'occupazione di Massaua che porr sempre pi in primo piano i rapporti con l'Impero abissinio. Nel 1886 l'eccidio di Dogali, compiuto dagli Abissini per contrastare l'espansionismo italiano, ne sar un esempio. L'espansionismo italiano continuer sino ai limiti dell'altopiano etiopico e trover un atto significativo nel Trattato di Uccialli che, per il governo italiano ma non per quello etiope, stabiliva una sorta di protettorato dell'Italia sull'Etiopia. Dopo l'occupazione del Tigr, avvenuta nel1893, il colonialismo italiano subisce una battuta d'arresto con le sconfitta di Amba Alagi, Macall e Adua.L'Eritrea costituir la base delle operazioni del fronte nord, guidate da Graziani, nella campagna di Etiopia. Negli stessi anni L'Italia allargava la sua influenza verso il Benadir, Merca, Mogadiscio (Somalia italiana) previ accordi con il Sultanato di Zanzibar.La Somalia diventer la base delle operazioni del fronte sud guidate da Graziani, nella campagna di Etiopia. Nella parte settentrionale gli accordi con l'Impero abissinio stabilivano che tutto "l'Ogaden restasse all'Abissinia".Fu proprio nell'Ogaden a Ual/Ual, ai confini con la Somalia italiana, che si verificarono quegli incidenti che fornirono il pretesto per l'aggressione all'Etiopia. Mussolini, che aveva gi deciso l'intervento, tenta di prendere tempo sul piano internazionale e, nello stesso tempo, di organizzare tempi e modi di attuazione dell'aggressione.

17

La campagna militare per la conquista dell'ETIOPIA Ottobre 1935. De Bono ordina ai 3 corpi d'armata di passare il confine del Mareb (confine eritreo) avendo come primo obiettivo Adua e Adigrat. L'armamento considerevole in quanto i centomila uomini che stanno per muoversi dispongono di 2300 mitragliatrici, 230 cannoni, 156 carri d'assalto. Dall'Eritra sono anche pronti a decollare 126 aerei. I militari italiani avanzano senza incontrare resistenza. L'aviazione, intanto, bombarda Adua e Adigrat facendo numerose vittime tra i civili. L'episodio registrato nel diario di De Bono, che cos scrive: "Il Negus ha gi protestato per il bombardamento aereo dicendo che si sono ammazzati donne e bambini. Non vorranno che si buttino gi dei confetti". Il 6 Ottobre l'armata italiana entra ad Adua incontrando poca resistenza in quanto Hail Selassi ha scelto la tattica del ripiegamento per portare i nemici al centro del paese, lontano dai loro centri di rifornimento. Il ras Sejum, cognato del ras Cassa, a cui il negus aveva affidato il comando delle armate del nord, ripiega nel Tembien, camminando di notte per sfuggire all'osservazione aerea. De Bono, intanto, provvede al rafforzamento delle posizioni occupate costruendo strade, impianti di linee telefoniche, allestendo campi... Ma il comportamento delle truppe di occupazione si fa subito preoccupante, se De Bono il 15 Ottobre, alla vigilia dell'occupazione di Axum, scriver al generale Maravigna "Allo scopo di evitare che si ripetano ad Axum depredazioni e danneggiamenti come si verificato ad Adua, prego disporre che l'ingresso della citt sia di massima interdetto ai militari sia metropolitani che indigeni, disponendo un servizio di vigilanza e perlustrazione all'interno della citt stessa. (ASMAI AOI 181/24) 11 Ottobre. Defezione del degiac (comandante di reggimento) Gugsa, genero dell'imperatore, che produce effetti morali e militari sulle truppe etiopi. 18 Ottobre. Incontro di De Bono con Lessona, ministro delle colonie, e il maresciallo Badoglio inviati da Mussolini in Eritrea per relazionare sull'atteggiamento di De Bono, considerato troppo cauto nel procedere all'avanzata. Mussolini, infatti, spinge per l'occupazione rapida di Macall-Tacazz che, secondo i suoi ordini, deve avvenire il 3 novembre. FRONTE SUD Ottobre 1935. Graziani ordina subito massicci bombardamenti. Occupate alcune citt tra cui Dolo, Dagnerei, Oddo. 10 Ottobre. Primo bombardamento chimico a Gorrahei, campo trincerato, il pi importante sulla strada di Dagahbr. 2-4-5 novembre. 18 aerei Caproni lanciano 189 quintali di esplosivo, mentre i caccia a volo radente sparano 13.730 colpi. "Tutta la zona pare arata dalle bombe: non c' tratto che non sia sconvolto, ... l'azione aerea stata formidabile e le sue tracce lasciano facilmente immaginare quale sia stato il tormento degli abissini che, pazzi di terrore, non hanno pi resistito e sono fuggiti col loro capo morente." (Luigi Frusci generale in "In Somalia sul fronte meridionale" Cappelli 1936). Il capo di cui si parla il grasmac (comandante di zona) Afeuork che, sebbene ferito, si rifiuta di lasciare il comando e morir prima di arrivare all'ospedale di Dagabhur. 11 novembre. Hamanlei attacco etiope. Quattro carri armati Fiat-Ansaldo vengono distrutti. Perdite italiane. Graziani costretto ad aspettare 5 mesi prima di riprendere l'offensiva nell'Ogaden.

18

FRONTE NORD De Bono, spinto da Mussolini, riprende l'operazione di conquista di Macall. Non trovando resistenza la citt viene occupata l'8 novembre. Ma con questa occupazione la situazione peggiora perch dopo settimane di marcia le armate abissine provenienti dalle regioni centrali sono giunte a contatto con gli avamposti nemici. 18 novembre. Gli aerei italiani scoprono il concentramento di reparti nemici (formato dall'armata del ras Cassia, da quella del ras Sejum) e lo bombardano con 45 quintali di esplosivo. Gli abissini reagiscono all'offesa aerea e sanno disperdersi in tempo per evitare gravi perdite. 11 novembre. Mussolini spinge De Bono a marciare su Amba Lagi, ma, di fronte alle perplessit di De Bono, acconsente ad una "ragionevole sosta a Macall". 14 novembre. Mussolini comunica a De Bono che ha nominato come suo successore Badoglio. 28 novembre. Arriva Badoglio. Con Badoglio la guerra muta carattere diventando guerra di distruzione. Verranno colpite le citt, gli accampamenti, le strade, gli ospedali. Saranno impiegati per la prima volta i gas asfissianti e l'iprite. A dicembre inizia la controffensiva etiopica: le tre armate etiopiche si stanno avvicinando a quelle armate italiane. A sud dell'Amba Aradan si trova l'armata del ras Mulughiet, quella del ras Cassa si avvia verso il Tembien, mentre quella del ras Immir ha le sue avanguardie nel Tacazz. 4 dicembre. Vengono lanciati 45 quintali di bombe sulle colonne di ras Immir per rallentarne l'avanzata. 6 dicembre. 76 quintali di esplosivo distruggono la cittadina di Dessi e le tende della Croce Rossa. Nonostante ci gli abissini hanno imparato a camuffarsi e disperdersi e a met dicembre sono a contatto con gli italiani su tutto il fronte. 14-15 dicembre. Le avanguardie di ras Immir attraversano il fiume Tacazz. Un altro contingente punta al passo di Dembeguin dove passa l'unica via di comunicazione con le linee nemiche con lo scopo di tagliare la ritirata agli italiani. La sconfitta di Dembeguin apre a ras Immir lo Scir, mentre il ras Cassia invadendo il Tembiem, minaccia Macall. Di fronte a questa delicata situazione Badoglio decide di iniziare la guerra chimica, non solo per fermare l'avanzata delle truppe ma per terrorizzare le popolazioni. Dal 22 dicembre al 18 gennaio vengono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas tra cui l'iprite (solfuro di etile biclorurato), che provoca la necrosi del protoplasma cellulare ed sicuramente mortale. Testimonianze Hail Selassi dinanzi all'assemblea ginevrina il 30 giugno 1936: "fu all'epoca di accerchiamento di Macall che il comando italiano, temendo una disfatta, applic il procedimento che ho il dovere di denunciare al mondo. Dei diffusori furono istallati a bordo degli aerei in modo da vaporizzare, su vaste distese di territorio, una sottile pioggia micidiale. A gruppi di nove, di quindici, di diciotto, gli aerei si succedevano in modo che la nebbia emessa da ciascuno formasse una coltre continua. Fu cos che, a partire dalla fine di gennaio 1936, i soldati, le donne, i bambini, il bestiame, i fiumi, i laghi, i pascoli, furono di continuo spruzzati con questa pioggia mortale. Per uccidere sistematicamente gli esseri viventi, per avvelenare con certezza le acque e i pascoli, il comando italiano fece passare e ripassare gli aerei. Questo fu il suo principale metodo di guerra."

19

Dottor Schuppler, responsabile dell'ambulanza n.3, in un rapporto al ministro degli Esteri etiopico: "Ho l'onore di portare a vostra conoscenza che il 14 gennaio 1936, per la prima volta, delle bombe a gas sono state impiegate dagli aviatori italiani. Queste bombe hanno ucciso 20 contadini e io ho curato 15 casi di persone colpite dal bombardamento a gas tra cui 2 bambini. Le ustioni sono state provocate dall'iprite, usata a sud del passo di Alagi". Dottor Melly, responsabile di una delle ambulanze inglesi: "Tra il 7 e il 22 marzo allorch questa ambulanza si trovava nella regione dell'Ascianghi, curammo dai due ai trecento casi di ustioni da iprite. La maggior parte dei gasati era rimasta momentaneamente accecata. Un gran numero di ustioni presentava un carattere particolarmente grave, terribile." M. Junod, delegato Croce Rossa Internazionale, testimonia sul bombardamento all'iprite sull'aereoporto di Quorum. FRONTE SUD Contemporaneamente all'avanzata del ras Immir a nord, il ras Dest giunge a contatto con le difese italiane del campo di Dolo. Graziani decide di utilizzare in modo massiccio l'aviazione, ottenendo da Mussolini libert d'azione per l'uso dei gas asfissianti. Su Neghelli, base di rifornimento per gli etiopi, rovescia 177 quintali di esplosivo e di gas. Testimonianza di ras Dest all'imperatore: "Dal 17 dicembre gli italiani gettano anche bombe a gas, le quali piovono come la grandine... Le lesioni, anche leggere, prodotte da tale gas gonfiano sempre pi sino a diventare, per infezioni delle grandi piaghe". 30 dicembre. Graziani ordina un bombardamento nella zona di Gogor per colpire lo stato maggiore del ras Dest. Vengono lanciati da tre Caproni 3.134 chilogrammi di esplosivo. Molte bombe colpiscono le tende e gli automezzi di un ospedale da campo svedese con i contrassegni della Croce Rossa provocando morti e feriti. La notizia fa il giro del mondo. La controffensiva di Graziani inizia il 12 gennaio nella battaglia del Ganale Doria che vede il lancio di 1.700 chilogrammi di gas asfissianti e vescicanti sulle popolazioni abissine e l'inizio del disfacimento dell'armata etiope; prosegue con la conquista di Neghelli (20 gennaio) su cui vengono lanciati ben 1.250 quintali di esplosivo. Le armate del ras Dest, bombardate e irrorate di iprite, tentano di raggiungere il Kenya, ma verranno annientate nel cosiddetto "vallone della morte".

FRONTE NORD La battaglia dell'Endert. Badoglio decide di prevenire l'avversario e dal 19 gennaio inizia la battaglia del Tembien. 23 gennaio. Ras Cassia telegrafa all'imperatore per invitarlo a protestare presso la Societ delle Nazioni per l'uso di iprite da parte italiana. La battaglia si conclude il 24 e con essa la controffensiva etiopica. Hail Selassi che aveva il suo quartiere generale a Dessi decide di cambiare strategia e di andare incontro ai nemici avanzando verso Quoram. Secondo il negus questa scelta fu dovuta anche all'uso degli aggressivi chimici da parte italiana. 10 febbraio. Badoglio inizia l'offensiva sull'Amba Aradan durante la quale vengono sparate molte granate caricate con arsine. Sull'Amba Aradan vengono catturati due europei al servizio del negus, il medico polacco Belau e il suo assistente che verranno torturati perch ritrattino la dichiarazione inviata alla SdN, che denunciavano il bombardamento indiscriminato di Dessi. 17-18-19 febbraio. Tutti gli aerei disponibili del fronte nord inseguono l'avversario in rotta, lasciando cadere in una sola giornata 730 quintali di esplosivo. "I piloti sembravano scatenati. Si era data libert di volo e di azione chi

20

faceva prima a rifornirsi partiva, era una gara continua ... Non c'era bisogno di abbassarsi troppo: ogni spezzone piombava in mezzo a loro seminando la morte. Era una bella lezione per quelle teste dure" (testimonianza di Vittorio Mussolini in Voli sulle ambe). Il ras Mulughiet viene ucciso mentre le armate del ras Cassa e del ras Sejum sono avvolti nella manovra a tenaglia di Badoglio. Febbraio/marzo. Seconda battaglia del Tembien. L'aviazione scaricher 1.950 quintali di esplosivo. Con una manovra di accerchiamento gli italiani riescono ad annientare le armate abissinie in ritirata che vengono decimate dall'aviazione. "I gruppi marciavano in pieno disordine ma l'obbligatoriet del percorso lungo la pista, la strettezza dei guadi, i binari delle pareti dei burroni, contribuivano inevitabilmente a tenerli addensati in colonna. Anche da mille metri era facile scorgerli. Poi si piombava, il veicolo imboccava il corridoio delle anguste valli, ne obbediva lo zig zag. Seminava intanto, sobbalzando agli schianti, il suo carico mortale". (Pavolini "Corriere della sera ", 3/3/1936.) 28 febbraio. Viene occupata Amba Alagi. 29 febbraio. Mentre in corso la seconda battaglia del Tembien, Badoglio attacca l'ultima armata etiopica del fronte nord, quella del ras Immir nella battaglia dello Scir. Per fiaccare il nemico Badoglio, come di consueto, all'impiego dei caccia e degli aerei da bombardamento. 2 marzo. Verranno usati per la prima volta i lanciafiamme. 3-4 marzo. Badoglio, vistosi fuggire il grosso dell'esercito del ras Immir verso i guadi del Tacazz, ordina all'aviazione di proseguire da sola la battaglia. Verranno lanciati 636 quintali di esplosivo e di iprite. Lo stesso Badoglio racconta che per rendere pi completa la distruzione vengono lanciate piccole bombe incendiarie che trasformano in un solo rogo i fianchi boschivi della valle del Tacazz rendendo tragica la situazione del nemico in fuga. I piloti che scendono a volo radente per mitragliare i superstiti rilevano notevoli masse nemiche abbattute e grande quantit di uomini e di quadrupedi trasportati dalla corrente. Intanto il ras Immir viene inseguito a sud del Tacazz e i ras Cassa e Sejum si ritirano su Quorum. 19 marzo. Il negus Hail Selassi, raggiunto nel suo quartier generale a Quorum, dal ras Cassa e dal ras Sejum, decide di avanzare verso gli italiani e di dare battaglia nel loro campo a Mau Ceu prima che arrivino forze pi numerose. Badoglio, che ancora non sa della decisione del negus, cos scrive a Lessona in un telegramma del 12/3/36: "Se il nemico invece di accettare battaglia nei pressi di Quorum mi fa uno sbalzo indietro di cento chilometri, portandosi a Dess, sono fritto. Allora non rimane che il mio vecchio progetto. Mettere in azione tutta l'aviazione e cominciare da Addis Abeba a tutti i centri importanti. Tabula rasa. Sono convinto che in una settimana metteremmo l'Abissinia in ginocchio". 21 marzo. Badoglio apprender la decisione del negus e si preparer alla battaglia di Mau Ceu. 29 marzo. Mussolini rinnova a Badoglio l'autorizzazione ad usare gas di qualunque specie (tel n.3652). 30 marzo. La battaglia durer 13 ore durante la quale gli aerei italiani lanceranno 335 quintali di esplosivo e sparano 6.200 colpi di mitragliatrice. 1 aprile. Hail Selassi ordina agli uomini rimasti di ripiegare sulla pianura del lago Ascianghi dove verranno inseguiti e bombardati senza tregua. 4 aprile. Gli scampati alla battaglia di Mau Ceu verranno bombardati con 700 quintali di bombe, molte caricate ad iprite. "Per gli aviatori italiani non era pi guerra era un gioco. Quale era il rischio nel mitragliare dei cadaveri e dei morenti i cui occhi erano bruciati dai gas?" ( testimonianza di Hail Selassi). Il giornalista Cesco Tomaselli racconta: "Le bombe esplodono nel fitto degli uomini che arrancano curvi, tenendo le mani sulla testa come si fa quando si colti da una grandinata sui campi." Molti moriranno per aver bevuto l'acqua contaminata dai gas tossici del lago dell'End Agafar. Hail Selassi che racconta l'atroce visione e sottolinea come "sarebbe stato necessario fissare questa immagine per poterla presentare al mondo e distruggere per sempre nel cuore degli uomini i propositi di guerra".

21

FRONTE SUD L'avanzata di Badoglio preoccupa Graziani di restare escluso dal successo finale; cos, non potendo ancora iniziare l'azione di terra, comunica che inizier la sua offensiva aerea su Harar: "Ho ordinato che oggi 30 aerei da bombardamento distruggano Giggiga... dopo la distruzione di Giggiga distrugger Harar" (Graziani a Badoglio e Mussolini 2/3/36). 22-23-24 marzo. 56 apparecchi lanciano 240 quintali di esplosivo. 29 marzo. Bombardata Harar, gi dichiarata citt aperta, e i cui obiettivi di importanza militare sono insignificanti. Sulla citt verranno lanciati 120 quintali di esplosivo. Un inviato del Corriere della sera, Mario Massai, che a bordo di uno degli aerei scrive: "Per quaranta minuti sono sbocciati sui bersagli, nella massa del colore ocra delle casette di Harar, mostruosi funghi grigio-scuri per le esplosioni delle bombe di grosso calibro e sono sprizzate le lingue di fuoco degli incendi. La popolazione, che fin dal primo avvistamento si era rovesciata in torrenti umani per le strette vie verso l'esterno della citt, ha assistito certo terrorizzata all'impressionante attacco aereo". Gi il 3 marzo Graziani, nella Memoria segreta operativa per l'azione su Harar, tra le condizioni per la riuscita della azione, poneva il "libero uso di bombe e proiettili a liquidi speciali per infliggere al nemico le massime perdite e soprattutto per produrne il completo collasso morale". 9 aprile. Graziani telegrafa a Lessona (sottosegretario alle colonie) per informarlo del bombardamento a iprite del giorno precedente a Bullalh, Sassabanh, Dagahbr, Daagamed, Segg, Birct. Due giorni dopo Mussolini telegrafa a Graziani ordinandogli di non fare uso di gas, ma dopo pochi giorni revoca l'ordine.

15 aprile. Graziani d inizio all'offensiva su Harar. Dopo aver gasato e bombardato per un mese la difesa etiope, Graziani inizia l'attacco da terra. Il vescovo cattolico di Harar scrive ai suoi superiori in Francia: "Il bombardamento che gli italiani hanno fatto contro la citt un atto barbaro che merita la maledizione del Cielo". La battaglia dell'Ogaden si concluder con la conquista delle citt precedentemente bombardate. FRONTE NORD 26 aprile. Badoglio inizia la marcia verso Addis Abeba. 2 maggio. Hail Selassi lascia l'Etiopia per raggiungere l'Europa. La notizia provocher gravi disordini e saccheggi ad Addis Abeba. La maggior parte dei seimila stranieri si rifugia nelle legazioni. Fonti italiane parlano di 600 morti. Il cronista G.Steer sciver: "Di quelli che ho visto morti o morenti, non ce n' uno solo il cui sangue non ricada sulla testa di Mussolini". Si sa, infatti, che l'occupazione di Addis Abeba poteva avvenire la notte del 2 maggio e che il rinvio di tre giorni da ricollegarsi al desiderio di sfruttare la tragedia in funzione antietiopica, perch fornisce l'occasione di presentare il popolo etiope semibarbaro e incapace di gestirsi da solo. 3 Maggio. Badoglio riceve un telegramma da Mussolini: "Occupata Addis Abeba V.E dar ordine perch: 1) siano fucilati sommariamente tutti coloro che in citt o dintorni siano sorpresi con le armi alla mano, 2) siano fucilati sommariamente tutti i giovani etiopi, barbari, crudeli, pretenziosi, autori motali dei saccheggi, 3) siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi, incendi 4) siano sommariamente fucilati quanti, trascorse 24 ore, non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni."(tel n. 5007) 5 maggio. Badoglio entra in Addis Abeba.

22

Steer scrive: "Gli italiani istituirono immediatamente la pena di morte per due reati: il primo riguardava la partecipazione al saccheggio, il secondo il possesso di armi... Ottantacinque etiopi, accusati di saccheggio, furono giudicati e condannati a morte da una corte sommaria. Ma le fucilazioni eseguite dai carabinieri sul posto furono molte di pi, ed esse vennero fatte senza alcuna parvenza di processo. Se oggetti che essi ritenevano rubati venivano scoperti in un tucul, il proprietario era immediatamente ucciso. Inquirenti francesi hanno calcolato che almeno 1.500 sono stati liquidati in questo modo". FRONTE SUD 9 maggio. Graziani incontrer Badoglio alla stazione di Dire Daua. Con la stretta di mano tra i due e l'incontro tra le armate italiane del nord quelle del sud, si conclude ufficialmente la guerra. 26 maggio. Badoglio lascia definitivamente l'Africa. Graziani diventa vicer, governatore generale e comandante superiore delle truppe. E vediamo un paio di foto:

La testa mozza del degiac, patriota etiopico, Hail Chebbed <<<< La testa appesa ...

http://www.criminidiguerra.it/html/repressioneimpero.htm

La repressione in Africa Orientale Italiana (AOI) dopo la proclamazione dell'Impero


Giugno 1936. L'Etiopia resta per quasi due terzi da occupare soprattutto nell'ovest e nel sud dell'impero. I focolai di guerriglia sono presenti nello Scioa e lungo la ferrovia Addis Abeba-Gibuti. Difficolt anche a causa della stagione delle piogge che blocca i movimenti nelle strade e rende difficili i rifornimenti.

23

Graziani praticamente assediato ad Addis Abeba, mentre Badoglio in Italia a riscuotere premi e onori. In complesso il periodo da maggio a ottobre ha un carattere prevalentemente difensivo. Si intensifica la repressione del ribellismo. Nei primi giorni di giugno Mussolini telegrafa a Graziani i seguenti ordini: "Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi" (tel n. 6496) "Per finirla con i ribelli...impieghi i gas" (tel.6595) "Autorizzo ancora una volta V.E a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. (tel n. 8103) Poggiali, nel suo Diario AOI, scrive a proposito di Addis Abeba: "Intorno alla citt vi sono bande armate e minacciose. Da una settimana si vive sotto l'incubo di un assalto in grande stile". L'attacco viene sferrato il 28 luglio. Nel timore che la popolazione insorga i carabinieri operano arresti di massa di etiopi adulti e Poggiali afferma: "Probabilmente la maggior parte innocente persino di quanto accaduto. Trattamento superlativamente brutale da parte dei carabinieri, che distribuiscono scudisciate e colpi di calci di pistola". A questo attacco partecipa il degiac Aberra Cassa secondogenito del ras Hail che gode di grande prestigio sia perch di sangue imperiale, sia perch si distinto come grande combattente nella battaglia del Tembien e nella difficile ritirata di Mau Ceu. Inoltre gode dell'appoggio della chiesa copta e in particolare del vescovo di Dessi, l'abuna Petros. Coadiuvato dal fratello, dopo i primi rovesci, adotter una politica temporeggiatrice che lo isoler rendendolo preda di Graziani. L'attacco ad Addis Abeba fallir, l'abuna Petros portato in piazza verr giudicato colpevole da un tribunale militare e giustiziato dai fucili di 8 carabinieri. Graziani informa Lessona, ministro delle colonie: "La fucilazione dell'abuna Petros ha terrorizzato capi e popolazione... Continua l'opera di repressione degli armati dispersi nei boschi. Sono stati passati per le armi tutti i prigionieri. Sono state effettuate repressioni inesorabili su tutte le popolazioni colpevoli se non di connivenza di mancata reazione" (telegramma n.1667/8906). Un altro problema per Graziani l'occupazione dell'ovest ( in particolare i centri di Gore, Lechemiti, Gimma, Gambela) che Mussolini vuole al pi presto sotto controllo per allontanare il pericolo di una eventuale pretesa del governo inglese su quei territori in quanto confinanti con il Sudan. Il problema pi urgente Gore dove da maggio si insediato un governo provvisorio e dove si sono rifugiati gli uomini del passato regime, gran parte dei Giovani Etiopi, la met dei cadetti di Olettae, i soldati del ras Immir ( il miglior generale di Hail Selassi). In questo contesto avverr il rogo di tre aerei italiani da bombardamento, che provocher grande ondata di indignazione in Italia, ma nessuna rappresaglia perch il 4 luglio la Societ delle nazioni revoca le sanzioni all'Italia e il problema dell'Ovest non ha pi quella urgenza prima sottolineata. Dal mese di ottobre Graziani riprende la conquista dell'Ovest, mentre il ras Immir tenta di sfuggire all'accerchiamento e nello stesso tempo incita le popolazioni contro gli italiani: "Gli italiani che contro il loro diritto hanno ucciso i nostri soldati col veleno e con le bombe, sono forse venuti ora per guardarvi col cuore commosso, per farvi vivere tranquilli? ... Se gli italiani avessero un cuore buono e sapessero governare, non avrebbero dovuto combattere per 25 anni a Tripoli ... Gli italiani ci vogliono togliere il paese che i nostri avi resero prospero..."(ACS Fondo Graziani). Il ras Immir si arrender il 16 dicembre e verr confinato in Italia sino al 1943. Nello stesso periodo vengono uccisi i tre fratelli Cassa. Il primogenito Uonduossen si arrese alle truppe del generale Pirzo Biroli e subito passato per le armi. Gli altri due si consegnarono spontaneamente al generale Tracchia contando sulla garanzia fatta dagli italiani di aver salva la vita; furono arrestati dai carabinieri, mentre bevevano il caff nella tenda del generale Tracchia

24

che cos comunica la notizia a Graziani: "Alle 18,35 in Ficc, sede della loro famiglia e noto covo di rivolta da cui partirono gli ordini per l'attacco alla capitale, Aberra e il fratello Asfauossen cadevano sotto il piombo giustiziatore." L'unico capo etiope ancora in armi era ras Dest che, a fine novembre, dopo aver abbandonato Sidamo, si ritira al centro in una regione montuosa. Nel dicembre accetta di avviare trattative con gli italiani ma, la notizia della uccisione dei fratelli Cassa e la richiesta della sottomissione senza condizioni fatta dagli italiani, fanno fallire le trattative. Graziani ordina di bombardare la regione in cui il ras ha trovato rifugio. Si combatte per una settimana. Il ras, inseguito dall'aviazione e dagli autoblindo, viene nuovamente attaccato mentre sosta a Goggetti, ma riesce a scappare. Secondo gli ordini di Mussolini, tutti i capi catturati verranno passati alle armi e lo stesso villaggio dato alle fiamme. " inteso che la popolazione maschile di Goggetti di et superiore ai 18 anni deve essere passata per le armi e il paese distrutto" (tel 54000). Il ras Dest verr fatto prigioniero nel suo villaggio natale il 24 febbraio da uomini di un degiac collaborazionista. Consegnato agli italiani fu impiccato dagli uomini del capitano Tucci.

Sulla "Gazzetta del popolo" del 24 febbraio 1938 Guido Pallotta vice-segretario dei Guf, commentando la morte del genero dell'imperatore, scrive: "E nello scroscio del plotone di esecuzione echeggi la pi strafottente risata fascista in faccia al mondo, la sfida pi cocente alle truppe sanzioniste. Schiaffone magistrale che il capitano Tucci men alla maniera squadrista sulle guance imbellettate della baldracca ginevrina". Ma dopo il fallito attentato a Graziani si scatena la reazione ancora pi violenta degli italiani. 17 febbraio 1937. Graziani invita nel suo palazzo di Adis Abeba la nobilt etiope per festeggiare la nascita del principe di Napoli e per l'occasione decide di distribuire una elemosina ad invalidi del luogo (ciechi, storpi, zoppi ). La testimonianza di un medico ungherese presente, sottolinea la dura rappresaglia seguita al fallito attentato. Anche le immagini del filmato Fascist legacy della BBC mostrano come nessun etiope usc vivo dal cortile dove si teneva la cerimonia. Una nota dell'ambasciatore USA in Etiopia sottolinea che fatti del genere non si vedevano dal tempo del massacro degli armeni. Graziani comunica immediatamente ai governatori delle altre regioni di agire con il massimo rigore. Ad Addis Abeba il federale Guido Cortese che scatena la rappresaglia. Testimonianza di Poggiali: "Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente coi sistemi del pi autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada... Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente". Vengono incendiati tucul, chiese copte, terreni coltivati, quintali di orzo Anche la chiesa di San Giorgio viene data alle fiamme "per ordine e alla presenza del federale Cortese". Ad Addis Abeba 700 indigeni vengono fucilati dopo essere usciti a gruppi dalla ambasciata britannica dove si erano rifugiati (fatto denunciato dal ministro inglese al Parlamento il 26/3/37). Vengono inquinati i terreni con aggressivi chimici, abbattuto il bestiame. Molti uomini bruciati vivi, altri lapidati o squartati. Mussolini con un fonogramma impone che ogni civile sospettato sia fucilato senza processo. Il numero esatto delle vittime della repressione di 30.000 per gli etiopi, tra i 1.400 e i 6.000 per inglesi, francesi e americani.

25

Graziani il 22 febbraio scrive a Mussolini: "In questi tre giorni ho fatto compiere nella citt perquisizioni con l'ordine di far passare per le armi chiunque fosse trovato in possesso di strumenti bellici, che le case relative fossero incendiate. Sono state di conseguenza passate per le armi un migliaio di persone e bruciati quasi altrettanti tucul" (tel n. 9170). 26 febbraio. Graziani fa fucilare 45 "tra notabili e gregari risultati colpevoli manifesti" (tel. N.9894 ). Nei giorni successivi fa fucilare altri 26 esponenti della intellighenzia etiopica, elementi aperti alla cultura europea. Altri 400 notabili vengono trasferiti in Italia, mentre altri "elementi di scarsa importanza ma nocivi" con a seguito donne e bambini (tel. Graziani a Santini n.20650), vengono confinati a Danane dopo un viaggio durato pi di 15 giorni che provocher morti per stenti, vaiolo e dissenteria. 19 marzo. Graziani scrive a Lessona: "Convinto della necessit di stroncare radicalmente questa mala pianta, ho ordinato che tutti i cantastorie, gli indovini e stregoni della citt e dintorni fossero passati per le armi. A tutt'oggi ne sono stati rastrellati e eliminati settanta."(tel. 14440). 21 marzo. Graziani scrive a Mussolini: "Dal 19 febbraio ad oggi sono state eseguite 324 esecuzioni sommarie... senza comprendere le repressioni dei giorni 19 e 20 febbraio" 30 aprile. Le esecuzioni sono passate a 710 (tel. n.22583), il 5 luglio a 1686 (tel n.33911), il 25 luglio a 1878 (tel. n. 36920) e il 3 agosto a 1918 (tel. n.37784). Dalla relazione del colonnello Hazon si evince che i soli carabinieri hanno passato per le armi 2.509 indigeni. Alcuni episodi raccontati dallo stesso Graziani testimoniano che le esecuzioni avvenivano spesso senza la minima prova. 14 marzo. Un nucleo di carabinieri, recatosi in una abitazione per arrestare un ricercato, arresta sia il proprietario che gli 11 indigeni che si trovavano sul posto per non aver favorito la cattura del ricercato. Graziani scriver a Lessona "Data la gravit del fatto li ho fatti passare per le armi" (tel. n.14150). 23 aprile. 32 capi amhara e 100 indigeni fucilati per condotta dubbia e Argio bruciata (tel. Graziani a Lessona n.23313) 25 aprile. 200 amhara arrestati, cacciati dentro una fossa e fucilati. Poggiali scrive: "Nell'Uollamo un capitano italiano ha fatto razzia di bestiame a danno di una famiglia indigena. Il capofamiglia denuncia la prepotenza e il capitano uccide tutta la famiglia compresi i bambini". A maggio Graziani si vendica del clero copto accusato di connivenza con gli autori dell'attentato. Secondo la relazione del generale Maletti, che ha sostituito Tracchia nella repressione dello Scioa, in due settimane le sue truppe incendiano 115.422 tucul, tre chiese, un convento, e uccidono 2.523 ribelli, servendosi del battaglione musulmano al posto di quello eritreo composto in gran parte da copti. Maletti il 18 maggio accerchia il villaggio conventuale di Debra Libans, il pi celebre di Etiopia."Questo avvocato militare mi comunica che ha raggiunto le prove della correit dei monaci del convento ... Passi pertanto per le armi tutti i monaci compreso il vicepriore" (tel. di Graziani a Maletti n. 25876)Dopo aver ricevuto da Graziani la conferma della responsabilit del convento nell'attentato, il 20 maggio, trasferisce in un vallone a Ficc 297 monaci e 23 laici e li passa per le armi". Sono stati risparmiati i giovani diaconi, i maestri e altro personale d'ordine... Il convento chiuso definitamente." (tel. Di Graziani Lessona n.23260). Tre giorni dopo invia un nuovo telegramma a Maletti: "Confermo pienamente la responsabilit del convento di Debra Libans. Ordino pertanto di passare per le armi tutti i diaconi" (tel. 26609). In realt recenti studi hanno fatto salire a 1600 il numero delle vittime del massacro di Debra Libanos. Intanto continua l'azione antiguerriglia delle truppe italiane nelle regioni dell'impero come si deduce dai bollettini inviati al ministero dell'Africa italiana. I fatti si riferiscono a esecuzioni, rastrellamenti di armi, distruzioni di paesi ostili.

26

4 aprile. Bruciato il paese di Atzei e il bestiame sequestrato dopo aver accertata la ostilit degli abitanti contro gli italiani. 12 aprile. Nella regione dei Galla-Sidamo erano stati sequestrati 2.000 fucili, 14 mitragliatrici, 50 pistole; nel territorio di Ambo 6.823 fucili, 16 mitragliatrici, 19 pistole. 18 aprile. Occupato e incendiato il villaggio di Eso dopo che erano stati catturati e eliminati 21 ribelli. 1 maggio. Graziani comunica a Roma che i bombardamenti nel governatorato dell'Harrar proseguivano. In agosto scoppia simultaneamente una rivolta in varie parti dell'impero. Per Graziani il principale capo Hail Chebbed. Nel settembre del 1937 viene catturato e fucilato; la sua testa infilzata su un palo esposta nella piazza del mercato di Socot e Quoram. Graziani, alla fine dell'anno, verr sostituito con il Duca d'Aosta che attuer una politica meno repressiva .

http://www.criminidiguerra.it/html/campiafrica.htm

I campi concentramento per i civili nell'Africa italiana


Campi di concentramento (16 in Libia 1 in Eritrea 1 in Somalia) Campi di rieducazione (4) Campi di punizione (3) Nei campi vennero inviati sia le trib allontanate dal Gebel el- Achdar sia gli indigeni appartenenti a trib seminomadi vaganti attorno alle oasi o all'interno. I principali campi di concentramento furono Soluch (a sud di Bengasi); Sidi el Magrum (a ovest di Bengasi) ;Agedabia (a 200 km a ovest di Bengasi) nelle vicinanze della primitiva sede della Senussia per dare un segnale alla resistenza senussita della forza dei coloniali italiani;.Marsa el Brega; el Abiar; el Agheila. Nei campi di rieducazione inviati giovani appartenenti a trib pi evolute per trasformarli in impiegati utili all'amministrazione coloniale. Nei campi di punizione tutti coloro che avevano commesso reati o ostacolato l'occupazione italiana. Testimonianza di un sopravvissuto Reth Belgassen recluso ad Agheila (cfr Ottolenghi op. cit.): "Dovevamo sopravvivere con un pugno di riso o di farina e spesso si era troppo stanchi per lavorare... ricordo la miseria e le botte... Le nostre donne tenevano un recipiente nella tenda per fare i bisogni... avevano paura di uscire rischiavano di essere prese dgli etiopi o dagli italianile esecuzioni avvenivano... al centro del campo egli italiani portavano tutta la gente a guardare. ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli. Ogni giorno uscivano 50 cadaveri." Testimonianza della propaganda fascista "L'Oltremare": "... Nel campo di Soluch c' ordine e una disciplina perfetta e regna ordine e pulizia". Dopo il crollo della dittatura Canevari, che era stato comandante in Cirenaica, scrive: "Noi non abbiamo mai creato campi di concentramento in Cirenaica ma solo delle riserve in campi splendidamente sistemati e forniti di tutto il necessario dalle tende ai servizi idrici ... In tal modo il governo italiano li sottraeva dal dilemma o rifornire i ribelli o cadere sotto le loro vendette. Dopo la permanenza nei campi, le popolazioni della Cirenaica tornarono alle loro terre rinnovate dalla scienza e dalla scuola" La mancanza di volont nell'ammettere l'esistenza di campi di concentramento in Libia, fa scrivere nel 1965, nel resoconto di G. Bucco e A. Natoli sulla "Organizzazione sanitaria in Africa" dal Ministero degli Affari Esteri, che "La maggior parte degli Auaghir viveva, prima di raccogliersi nella zona di Soluch, nelle zone... del Gebel", quando invece queste trib vi erano state deportate.

27

Motivi di chiusura dei campi 1) riduzione delle rivolte specialmente dopo l'esecuzione di Omar.el-Muktar. 2) coloni italiani gi insediati nelle zone assegnate loro del Gebel cirenaico. 3) le popolazioni nomadi e seminomadi non avevano assimilato il tipo di vita sedentario imposto nei campi. 4) pericolo di epidemie per l'alto numero di individui inviati nei campi. 5) costi eccessivi sia dal punto di vista economico che militare.

CAMPI DI CONCENTRAMENTO LIBIA 1930/1933 SOLUCH PROVENIENZA E/OCARATTERISTICHE DEI RECLUSI LAVORI DEI RECLU- NUMERO RECLUSI SI ALL'APERTURA NUMERO RECLUSI ALLA CHIUSURA 14500

EL-MAGRUM

AGEDABIA

MARSA EL BREGA

EL-ABIAR APOLLONIA BARCE AIN GAZALA DRIANA EL NUFILIA DERNA COEFIA-GUARSCIA SIDI CHALIFA SUANI EL TERRIA

LAVORI STRADALI E GEBEL EL-ACHDAR E ZONA EDILIZIA COLTIVAATTORNO BENGASI (TRIB 20000 ZIONE TERRA ALSEMINOMADI) LEVAMENTO LAVORI STRADALI E EDILIZIA COLTIVAGEBEL EL-ACHDAR 13000 ZIONE TERRA ALLEVAMENTO LAVORI EDILIZI FERROVIARI COLTINOMADI MOGARBA 9000 VAZIONE ALLEVAMENTO MARABTIN PROVENIENTI DA OLTRE 500 KM MARCIA DI LAVORI STRADALI 2 MESI ALTRI VIA MARE NE 20072 ALLEVAMENTO PARTIRONO13200 NE ARRIVARONO10000 TRIB NOMADI ENTROTER- COSTRUZIONE DI 8000 RA DI BENGASI STRADE PASTORIZIA 628 438 426 275 225 145 145 130 100

8500

75OO

CAMPI DI PUNI- DETENUTI COMZIONE PLESSIVI NOCRA 1895 3000 UOMINI 1930 ERITREA EL AGHEILA 1930 LIBIA

TIPOLOGIA DETENUTI

DANANE 1935 SOMALIA

SINO AL1910 DELINQUENTI COMUNI POI DETENUTI POLITICI TRIB RIBELLI, NOTABILI SE30000 UOMINI 4500 NUSSITI, DEPORTATI DONNE FUGGIASCHI DAI CC VOLUTO DA GRAZIANI PER ACCOGLIERE I COMBATTENTI DELLE ARMATE DI RAS DESTA' 3175 MUOIONO PER SCARSA ALIMENTA6500UOMINI 500 (FRONTE SUD) MA POPOLATO ZIONE, MALARIA ENTEROCOLITE,MANDONNE DAL 1936 DI NOTABILI DI MEDIO CANZA DI IGIENE E BASSO RANGO, DI EX UFFICIALI, DI MONACI COPTI, DI PARTIGIANI ETC.

28


CAMPI DI RIEDUCAZIONE ANNESSI NUMERO DI INTERNAAI CC TI 500 MASCHI 60 FEMSOLUCH MINE 200 MASCHI 30 FEMSIDI EL MAGRUM MINE 120 MASCHI 10 FEMAGEDABIA MINE MARSA EL BREGA 600 RAGAZZI SCOPO DEL CAMPO INSEGNAMENTO PROFESSIONALE /ECONOMIA DOMESTICA ARTIGIANATO/ECONOMIA DOMESTICA SCUOLA DI AGRICOLTURA E ORTICULTURA SCUOLA MILITARE COMANDO TRUPPE INDIGENE

http://www.criminidiguerra.it/html/bombardagas.htm

I bombardamenti con i gas nell'Africa Orientale Italiana


DATA LUOGO FONTI Diario storico del comando aereonautica.8, 9 stormo. CARATTERISTICHE

22/12/1935

Dembenguin (fronte nord) Tacazz

George Steer inviato Times in Etiopia testimonianza di ras Immir Hail 6 bombe C 500.T a iprite (prima Sellasse.Relazione Dott. Schuppler, azione di sbarramento C) capo ambulanza. Al ministro degli esteri etiopico. Dott.Melly capo ambulanza inglese.(1) Telegramma di Hail Selassi alla So- 60 bombe a iprite ciet delle nazioni (2) Autorizzazione di Mussolini a Badoglio sull'uso dei gas telegramma 15081 Risposta di Badoglio "gi adoperato iprite" 58 bombe a iprite

Dal 23 al 27 dicembre 28/12/35 29/12/35

Dal 2 al 4 gen- Sokot; Lago Ascianghi Diario aereonautico 8 9 stormo naio Richiesta di Mussolini a Badogliodi 5 gennaio 1936 arrestare i bombardamenti (sino alle riunioni ginevrine) telegramma 180 Dal 6 al 7 gen- Abbi Addi e guadi tor- Diario storico del comando areonautinaio rente Segal co Dal 12 al 19 Diario storico del comando areonautigennaio co Nuova autorizzazione di Mussolini 19 gennaio telegramma 790 Guadi del Ghev, Guadi Dal 23 /12 al del Tacazz zone di Diario storico comando areonautico 23/3 Quoram, varie carovaniere. 11/2/36 aprile Amba Aradan Lago Ascianghi Diario storico comando artiglieria

45 bombe C 500.T 76 bombe " "

991 bombeC.500.T Uso di proietti ad arsine1367(3) Testimonianza Hail Selassi ( 4)

29

1) Steer "Per la prima volta un popolo che si ritiene civilizzato usa i gas tossici contro un popolo che si ritiene barbaro. A Badoglio... la gloria di questa ardua vittoria". Immir Hail Sellasse (generale di Hail Selassi): "Fu uno spettacolo terrificante... Era la mattina del 23 dicembre avevo da poco attraversato il Tacazz quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani... quel mattino non lanciarono bombe ma strani fusti che si rompevano non appena toccavano il suolo o l'acqua del fiume e proiettavano intorno un liquido incolore... alcune centinaia dei miei uomini erano rimasti colpiti... e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche." Dott. Schuppler: "Ho l'onore di portare a vostra conoscenza che il 14 gennaio 1936 delle bombe a gas sono state usate dagli aviatori italiani. Ho curato 15 casi di persone... tra cui 2 bambini". Dott Melly: "Tra il 7 e il 22 marzo .nella regoine di Ascianghi curammo dai due ai trecento casi di ustione da iprite..." in (Del Boca I gas di Mussolini, Editori riuniti, pag. 118 e seg.) 2) "Il 23 dicembre, gli italiani hanno fatto uso contro le nostre truppe, nella regione del Tacazz, di gas asfissianti e tossici, ci costituisce una nuova aggiunta alla lista gi lunga delle violenze fatte dall'Italia ai suoi impegni internazionali." 3) L'arsina agiva sulle mucose e sull'apparato respiratorio con effetti che,a seconda della concentrazione, potevano essere irritanti o mortali. 4) Molti moriranno per aver bevuto l'acqua contaminata. Il negus davanti l'atroce visione dei cadaveri dir: "Sarebbe stato necessario fissare questa immagine per poterla presentare al mondo..."
DATA 15/12/35 24/12/35 30 /31/35 LUOGO FONTI Autorizzazione di Mussolini a Somalia (fronte sud) Graziani sull'uso dei gas telegramma 14551 Diario storico del comando delAreri l'aviazione in Somalia Dagahbur Sassabanech Bul- Diario storico AO laleh Relazione Graziani all egato 295 Relazione Graziani Grande sdegno in Europa. Telegramma Mussolini a Graziani n 029: "Approvo ma ... evitare le istituzioni internazionali della Croce Rossa." Nuova autorizzazione di Mussolini a Graziani tel.334 Relazione Graziani CARATTERISTICHE

17 bombe a iprite da 21kg 1 a gas fosgene da 41kg 71 bombe come rappresaglia per la uccisione di due aviatori italiani

Malca Dida (Croce rossa Tra il 15 e il 30 svedese) Bullaleh (croce dicembre 35 rossa egiziana) Neghelli (croce rossa etiopica)* 6 Gennaio 36

12 /1/36

Offensiva del Ganale Doria Diario storico del comando bri- 6 bombeC.500.T a iprite 18 da 41 gata aerea kg a fosgene Diario srorico 31 gruppo AO 10 bombe a iprite da 21 kg Diario storico del comando bri- 10 bombe C500.T a iprite e 92 da Uebi Gestro Bale gata aerea 41 kg a fosgene Sulle difese abissinie nella Diario storico del comando bri- 49 bombeC500.T34 da 21 kg a iprizona di Harar gata aerea Relazione Graziani te 88 da 41 kg a fosgene Sassabanech Dagahbur Telegramma di Mussolini 4081con l'ordine di non fare uso di mezzi chimici a Graziani Hamanlei, Bircut, Gunu, Bullaleh Relazione Graziani 12 bombe C500,T 13 bombe C500.T

25/1/36 16-25/2/36 marzo 8 aprile 10 aprile 20 aprile

30

27/4 27/4 Sassabaneh Bullaleh Dal 24dic al 27 aprile

Nuova autorizzazione Mussolini tel.n7440 Diario storico del comando bri- 36 bombe a fosgene gata aerea Relazione Graziani Diario storico del comando bri- 54 bombe a fosgene gata aerea Relazione Graziani 30500kg bombe iprite 13300 kg bombe a fosgene

Nell'attacco a Malca Dida rest ucciso il medico svedese Lundstrom, 42 ricoverati, alcuni dei quali colpiti da iprite, e altri 50 restarono feriti .Gli attacchi si intensificarono nei mesi successivi e distrussero ambulanze etiopiche a Dagabhur, Ualdi, Macall, ospedaletti egiziani, inglesi, svedesi e finlandesi e gli unici due apparecchi della croce rossa etiopica a Dess e Quoram. Gli attacchi aerei non finirono con la proclamazione dell'impero, ma si intensificarono in molte zone.
PERIODO Dal Maggio a Agosto1936 LUOGO Sud/ovest Sidamo Zona Tacazz FONTI Diario storico AOI CARATTERISTICHE Bombe C500T

Tra il 7 e il 12 settembre

Telegramma Lessona a Graziani Lasta (roccaforte dei fratelli n10724"Autorizzo a impiegare i gas se li ritenga utile" Cassa) zona Tacazz.Villaggi tra Lalibel e Bilbol. Telegrammi Graziani a Pirzo Biroli e al comandante dell'aviazione Pinna n15633 e 15756(1) Diario storico AOI

Bombe C500T

Zone del Monte Zuqual e Debocogio villaggi rasi al Relazione Gariboldi a Gallina tel n Bombe C500T 077701 24 ottobre "Zona del monte suolo Debogogio stata ipritata.Prudente informare le truppe operanti.." Ovest, Uollega, soprattutto Fine 1936/1937 vengono ipritati guadi, tor- Diario storico AOI Bombe C500T renti carovaniere. 21/22 Ottobre

Graziani "La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distruggere i paesi stessi perch le genti si convincano della ineluttabile necessit di abbandonare questi capi... lo scopo si pu raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti." in Del Boca op cit pag. 60.

http://www.criminidiguerra.it/html/EstradizBBC.htm

La mancata estradizione e l'impunit dei presunti criminali di guerra italiani accusati per stragi in Africa e in Europa
Da documenti ritrovati al Ministero del Foreign Office si evince che i governi inglese e americano adottarono una politica di copertura nei confronti dei criminali di guerra italiani, per motivi di opportunit politica. Nella Dichiarazione di Mosca del 1943, gli alleati si impegnavano a perseguire i criminali di guerra nel paese dove i crimini erano stati commessi. Le Nazioni Unite istituirono una Commissione di inchiesta con il compito di creare una lista dei criminali di guerra per facilitare l'azione dei governi in tutto il mondo. In questa lista erano presenti tra altri Badoglio, Graziani, Roatta, Ambrosi. Come sottolinea lo storico Michael Palumbo, sulla base di documenti trovati negli archivi di Washington, Londra e Roma, gli anglo-americani erano a conoscenza della efferatezza dei crimini italiani e, negli anni che seguirono l'armistizio, coprirono Badoglio e il suo gruppo perch li ritenevano affidabili per il loro anticomunismo. 31

Nel settembre del 45, infatti, il tribunale speciale prese in esame il "caso Badoglio" e il Foreign Office, in un telegramma cifrato spedito all'ambasciatore inglese a Roma, fece pressioni perch si intervenisse con Parri, allora Presidente del Consiglio dei ministri, per evitare o rimandare il processo: "Dovrebbe cercare di portare all'attenzione dell'onorevole Parri in maniera confidenziale e ufficiosa, il prezioso contributo che Badoglio ha fornito alla causa alleata, esprimere la speranza che questo contributo venga sottoposto alla attenzione della corte prima dell'udienza". Parri rinuncia e il "caso Badoglio" fu abbandonato. Nel 1946 la Jugoslavia e l'Etiopia protestarono per la mancata estradizione dei criminali di guerra italiani. Dall'ambasciata della repubblica popolare federale di Jugoslavia al governo militare alleato: "Per facilitare il compito delle autorit militari a una lista contenente dati relativi a 40 criminali di guerra italiani allegata la richiesta da trasmettere alle autorit competenti ad autorizzare l'arresto e la consegna al governo jugoslavo dei criminali in questione. Non un solo criminale di guerra italiano stato consegnato alle autorit giudiziarie jugoslave e questo nonostante ripetute assicurazioni dateci dal governo di sua Maest". Il Ministero degli Esteri britannico sottolinea le sue preoccupazioni: "L'arresto di alcuni elementi che hanno occupato alte cariche nel ministero della guerra italiano, provocherebbe un imbarazzo politico. Queste persone hanno aiutato in maniera esemplare gli alleati. Arrestarli creerebbe uno shock tale nel governo italiano e nell'opinione pubblica, che ci procurerebbe molti problemi e causerebbe un grande scontento." DaL Rapporto del funzionario del Foreign Office competente per i crimini di guerra: "La giustizia richiede di consegnare questi individui; motivi di convenienza spingono nella direzione opposta o almeno a non consegnare quelli che occupano posizioni pi importanti". Il 26 Aprile 1946 Lord Halifacs da Washington esprime il parere americano: "Il Dipartimento di Stato considera che la migliore tattica per entambi i governi sia tentare di guadagnare tempo". J. Calvin del Foreign Office si disse d'accordo: "Questo mi sembrerebbe un caso in cui l'interesse di tutti sia di temporeggiare pi a lungo possibile". Viene comunicato alla Jugoslavia di aver bisogno di pi tempo. Anche la diplomazia italiana concorda con questa linea, attuando resistenza passiva alle richiesta dei paesi esteri. Il Presidente del Consiglio italiano De Gasperi informa l'ammiraglio E.W. Stone (capo della Commssione Alleata in Italia), che il Ministero della Guerra "sta provvedendo ad una severa inchiesta, il cui esito sar appena possibile portato a conoscenza..." della stessa; nella risposta l'ammiraglio mostra interesse perch questo gli consente di prendere tempo con il governo jugoslavo, che richiedeva insistentemente la consegna dei criminali di guerra italiani. Il 6 maggio 1946 il I governo De Gasperi istituisce una commissione d'inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani, con l'obiettivo "di poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri stati." L'11 settembre 1946 De Gasperi comunica a Stone che la Commissione sta per deferire ala giustizia penale militare quaranta inquisiti con l'accusa "di essere venuti meno, con gli ordini o nella esecuzione degli ordini stessi, ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell'umanit, ed in modo particolare ai principi della inviolabilit degli ostaggi e alla limitazione del diritto di rappresaglia". Il 21 ottobre 1946 Stone comunica alla Delegazione Jugoslava "di non aver competenza a richiedere al Governo Italiano la consegna dei criminali di guerra in quanto tale competenza spetta al paese interessato". 1947 Nuova richiesta della Jugoslavia che si appella nuovamente agli inglesi: "Nonostante i chiari obblighi internazionali il governo britannico e quello americano hanno dilazionato facendo uso di vari pretesti e ritardato la consegna dei criminali di guerra italiani; come risultato di questo atteggiamento non uno solo dei 700 criminali della lista delle Nazioni Unite sui crimini di guerra stato consegnato alle autorit jugoslave. Permettere questo stato di cose sta preparando una situazione tale da minacciare lo sviluppo delle relazioni pacifiche in questa parte d'Europa".

32

Una settimana dopo l'ammiraglio Stone della Commissione di controllo del Foreign Office dichiara: "Dal momento che il governo militare alleato stato smantellato, le richieste per la consegna degli italiani inseriti nella lista della commissione dei crimini di guerra, devono essere inoltrate direttamente al governo italiano". Una scappatoia fu trovata dagli inglesi relativamente al fatto che gli alleati dovevano prendere in considerazione solo richieste provenienti da canali diplomatici. La Jugoslavia non aveva l'ambasciata in Italia e non poteva inoltrare richieste. Il principale interesse inglese era quello di processare italiani responsabili di crimini commessi contro soldati dell'esercito britannico. Un caso di questo genere quello relativo al Generale Bellomo accusato di essere il responsabile della morte di un prigioniero di guerra britannico ucciso dalle guardie durante un tentativo di fuga. Bellomo fu l'unico italiano giustiziato dagli alleati, nonostante gravi irregolarit processuali sottolineate da S. Ray, un corrispondente di guerra inglese, che seguiva il processo per un giornale nazionale. Ray scriver al deputato laburista Igor Thomas: "Sono estremamente turbato; respinto appello del Generale Bellomo contro sentenza di morte. Ero presente a tutto il processo; non sono l'unico corrispondente britannico a pensare che il verdetto contro il peso delle prove, che le capacit di accusa e difesa non erano eque, che un insufficiente peso stato dato a chiare circostanze attenuanti e al buon carattere del Generale. Se colpevole, Bellomo personaggio minore confronto a ex fascisti con i quali stiamo trattando. L'importante non nostro prestigio ma diritto Bellomo di beneficiare di considerevoli dubbi che io credo esistano. Sarei grato se tu potessi fare qualcosa". L'8 settembre 1945 arriva la risposta del Foreign Office alla richiesta di clemenza del parlamentare laburista I. Thomas. "I verbali del processo sono stati attentamente studiati dal Foreign Office e mostrano come il procedimento sia stato effettuato in maniera normale e completamente giusta. Il generale Bellomo stato condannato per aver commesso un omicidio particolarmente vigliacco per il quale non possiamo trovare circostanze attenuanti. Siamo sicuri che lei potr condividere il fatto che l'effetto, sull'opinione pubblica del paese, di un perdono ingiustificato di un criminale di guerra, sarebbe altamente indesiderato. Come sottolinea lo storico M. Palumbo: "La pi grande ironia fu quella che gli inglesi giustiziarono l'unico generale antifascista nello stesso momento in cui stavano coprendo noti criminali di guerra italiani. Bellomo aveva infatti combattuto i tedeschi a Bari e per questo aveva ricevuto una medaglia d'argento al valor militare. Non piaceva a Badoglio perch dimostr a quegli italiani che erano scappati, come bisognava combattere i tedeschi". Bellomo aveva anche salvato la vita a un prigioniero inglese condannato a morte da alcuni gerarchi locali per aver ucciso due civili. In quella occasione sostenne che il prigioniero aveva agito per legittima difesa e quindi non si poteva parlare di crimine di guerra. Al generale Bellomo fu data l'opportunit di scappare ma rifiut perch sarebbe stato contrario al suo onore di militare . Nel 1947 continuano le pressioni iugoslave per la consegna dei criminali di guerra. Il ministro italiano per gli affari esteri chiede a inglesi e americani tramite l'ambasciatore britannico a Roma che: "Al fine di diminuire le pressioni della Jugoslavia sull'Italia, in rispetto dell'articolo 45 del trattato di pace, il governo di Sua Maest e quello degli Stati Uniti scoraggino ulteriori richieste per la consegna di criminali di guerra italiani, dichiarando di ritenersi soddisfatti di lasciare il processo e l'eventuale condanna di coloro che non sono ancora stati arrestati al sistema giudiziario italiano". L'accordo venne raggiunto 6 settimane dopo e il governo americano accett di lasciare il processo di colpevoli di crimini contro militari alleati nelle mani dei giudici italiani. Il governo inglese segu l'esempio. Gli alleati creavano cos un precedente che rendeva impossibili ulteriori richieste iugoslave per oltre 800 criminali inclusi nelle liste delle Nazioni Unite. Come sottolinea Marian Mushkat, delegato polacco alla commissione Onu per i crimini di guerra (1946/48): "Gli alleati occidentali sfruttarono la loro posizione preminente in seno alla commissione per i crimini di guerra e respinsero la maggior parte delle richieste degli iugoslavi ignorando molti documenti preparati dagli iugoslavi principalmente perch il governo di Belgrado era considerato alleato dell'Unione Sovietica. Un altro pretesto per respingere i dossier preparati dagli iugoslavi fu quello relativo alla loro mancata compilazione. Questo argomento si rivel fittizio perch i componenti iugoslavi della commissione per i crimini di guerra erano avvocati brillanti e esperti in diritto internazionale e i fascicoli da loro sottoposti erano ben

33

preparati e documentati.". Nella primavera 1948 si tenne ultima seduta della commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra. La Commissione decise di esaminare solo 10 casi tra le centinaia preparati dagli etiopi rappresentati da uno svedese. Il primo caso da esaminare fu quello di Badoglio accusato di aver usato gas tossici e di aver bombardato ospedali della Croce Rossa durante la campagna di Etiopia. Gli inglesi prendono le difese degli italiani. ROBERT CRAIGE: "Quasi tutta la campagna di Etiopia stata elaborata da Mussolini e Graziani. Ho seri dubbi sulle accuse rivolte a Badoglio anche per quanto riguarda l'uso di gas tossici. Nulla prova il coinvolgimento di Badoglio nella decisione di farne uso". RISPOSTA ETIOPE: "A prescindere dal fatto che i superiori abbiano o meno ordinato di commettere crimini era loro responsabilit sorvegliare i propri sottoposti e prevenire che i crimini venissero commessi. Il generale giapponese Yamascito venne condannato in base a questo principio". NORWAY RYNNING: "Sono quasi certo che Badoglio, come comandante in capo e responsabile della realizzazione della campagna, debba in qualche modo essere stato coinvolto nella decisione di usare gas tossici visto che si tratta di una decisione che deve essere stata presa ad alto livello". CRAIGE: "Si ma riguardo al bombardamento degli ospedali e delle ambulanze della Croce Rossa risulta chiaro dal carteggio che vi sono alcuni dubbi sulla volontariet dei bombardamenti". NORWAY: "Questa non era la posizione del governo britannico nel 35-36 quando respinse qualsiasi argomento avanzato dal ministro degli esteri italiano per discolparsi del bombardamento di unit mediche inglesi in Etiopia". IL GOVERNATORE IMPERIALE ETIOPE: "Si trattato della prima volta nella storia in cui la Croce Rossa stata ripetutamente attaccata e questo avvenne quando Badoglio era il comandante in capo". Con gli etiopi spalleggiati da Norvegia e Cecoslovacchia il comitato decise di inserire Badoglio nella lista come criminale di guerra di grado A per l'uso di gas tossici e per gli attacchi agli ospedali della Croce Rossa. Il caso Graziani fu meno controverso e fu inserito con il grado A con 9 capi di imputazione. Anche gli altri 7 capi fascisti furono inseriti nella lista (De Bono, Lessona, Pirzo Biroli, Geloso, Gallina, Tracchia, Cortesi). Gli etiopi organizzarono una loro commissione nazionale sui crimini di guerra. Nel 1949 l'Italia respinse la richiesta etiope per l'estradizione di Graziani e Badoglio. Il 17 settembre l'ambasciatore etiope a Londra sottopose la questione al Foreign Office che consider la richiesta inopportuna e consigli di desistere. Cos nessun criminale fu mai estradato. P. Badoglio mor nel suo letto con un funerale di stato. R. Graziani fu processato da un tribunale militare e condannato il 2 Maggio 1950 a 19 anni di carcere, di cui 13 condonati, per la sua attivit legata alla RSI. La pena da scontare di un anno e otto mesi fu ulteriormente ridotta a quattro mesi per la richiesta della difesa, subito accolta, di far iniziare la decorrenza della carcerazione preventiva al 1945. Pertanto, quattro mesi dopo la sentenza, il 29 agosto Graziani torn in libert lasciando l'ospedale militare dove aveva trascorso gran parte della durata del processo. Nel marzo 1953 divenne presidente onorario del MSI. Mor nel 1955 per collasso cardiaco. M. Roatta, responsabile di crimini in Jugoslavia, processato dall'Alta Corte di giustizia, la notte del 4 marzo 1945, nell'imminenza della sentenza, evase con l'aiuto dei servizi segreti e si rec in Spagna. Rimpatri nel 1966. (cfr. Franzinelli, in Millenovecento, Gennaio 2003, pag. 102 e seg.). C. Geloso e A. Pirzo-Biroli riconosciuti criminali di guerra per la politica repressiva attuata nelle regioni di cui erano governatori.

34

S. Gallina, generale, riconosciuto criminale per le violenze, i rastrellamenti, le uccisioni fatte dalle sue truppe. G. Cortese, federale, considerato criminale per l'ondata di terrore scatenata ad Addis Abeba dopo l'attentato Graziani. R. Tracchia considerato criminale per aver fatto fucilare i fratelli Cassa, dopo aver loro promesso salva la vita. Fonte: Fascist Legacy, video-documentario prodotto da BBC, Londra 1990, con la regia di Ken Kirby e la consulenza storica di Michael Palumbo.

http://www.criminidiguerra.it/html/lacommissione.html

La commissione d'inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani


Fu costituita con Decreto il 6 maggio 1946 presso il Ministero della Guerra (poi della Difesa). Con questo atto il Governo italiano, come documentato da F.Focardi e L. Klinkhammer, cercava di evitare che i presunti criminali di guerra italiani venissero consegnati ai governi esteri, da cui venivano richiesti per essere processati. Infatti la dichiarazione finale della Conferenza di Mosca del 30 ottobre 1943 prevedeva che gli italiani che si erano resi colpevoli di crimini nei paesi occupati dovevano essere "consegnati alla giustizia"; questo fatto era assodato anche per gli stessi diplomatici italiani che seguivano la questione. Ma la scelta politica di non consegnare i presunti criminali venne motivata attraverso un'interpretazione strumentale della dichiarazione di Mosca da parte del Governo De Gasperi, sostenendo tra l'altro la necessit di svolgere gli eventuali processi in Italia. Ma il Trattato di pace (nell'art.38 della bozza presentata il 18.7.1946 e nell'art. 45 della versione definitiva firmata il 10.2.1947) prevedeva che l'Italia arrestasse e consegnasse ai paesi richiedenti le persone accusate di aver ordinato, commesso o essere stati complici di crimini di guerra, di crimini contro la pace e di crimini contro l'umanit. Quindi la ventilata possibilit di sottoporre alla Magistratura italiana militari e civili italiani accusati di crimini di guerra, non poteva schiacciare il diritto delle nazioni colpite da azioni crimini attuate dall'esercito italiano. In pi venivano riconosciute responsabilit dei militari italiani anche per quei crimini contro l'umanit e contro la pace ritenuti addebitabili - secondo l'interpretazione ufficiale italiana - solo ai nazisti. Allo scopo di rendere meno attaccabile il rifiuto di consegnare i presunti criminali richiesti, il Ministro della Guerra Brosio propose di istituire una commissione di inchiesta strettamente tecnica, per vagliare le accuse ed eventualmente deferire all'autorit giudiziaria gli inquisiti. Quindi questa avrebbe dovuto essere composta da alti generali ed ex-ministri della guerra dei governi succedutisi dopo l'8 settembre 1943. Il decreto ministeriale istitu quindi una commissione composta da sei avvocati (di cui tre erano deputati) e tre generali (in rappresentanza delle tre armi: esercito, marina e aviazione).

35

I tempi di lavoro della commissione La commissione oper per i primi mesi sotto la presidenza dell'ex-ministro della Guerra il senatore liberale Alessandro Casati. Nell'autunno del 1946 ne divenne presidente l'ex-ministro dell'Aeronautica il parlamentare Luigi Gasparotto, che poco dopo la lasci essendo diventato Ministro della Difesa (da cui dipendeva la Commissione stessa), ma per diventarne nuovamente presidente a partire dal dicembre del 1947. Dalla documentazione visionata si potuto accertare che la commissione proseguiva i lavori ancora nel luglio 1948. Nell'agosto dell'anno seguente, mutate le condizioni di politica internazionale, la Commissione aveva cessato il proprio lavoro.

La Memoria della commissione. Nell'archivio dello stesso Gasparotto depositata la premessa e la prima parte della Memoria redatta dalla Commissione stessa, che illustra l'impostazione sulla cui base venne svolto il lavoro di analisi delle accuse e della documentazione inviata dal Governo jugoslavo. Nella Memoria compaiono ampie giustificazioni per le azioni criminose dei generali italiani; confrontandole con gli atti di difesa redatti dagli inquisiti (reperiti nello stesso archivio) si pu constatare un'assoluta uguaglianza di motivazioni. Infatti il documento precisa che la commissione "tenuto nel debito conto il particolare ambiente in cui le persone indiziate come colpevoli di crimini di guerra ebbero a svolgere la loro attivit". Singolare anche la coincidenza dell'analisi della situazione politica e militare fatta della Commissione con quella che emerge nei documenti redatti dai generali inquisiti, in particolare nel testo di Orlando e Robotti del novembre 1941 inviato al comandante della II Armata. Nella Memoria inoltre viene presentata una ricostruzione storica dell'occupazione italiana dei territori jugoslavi tra l'aprile 1941 ed il settembre 1943 (ovvero parte della Slovenia, della Croazia, compresa la Dalmazia, e della Bosnia ed il Montenegro). Viene tratteggiata un'immagine positiva del ruolo dell'esercito italiano: questo sarebbe stato ben accolto dalla popolazione (anche perch l'occupazione tedesca era pi temuta) ed avrebbe avuto anche il merito di porre un freno alle terribili violenze degli ustascia croati. Ma, secondo il documento, questa situazione quasi idilliaca sarebbe gradualmente mutata e "nell'estate del 1942, in conseguenza della situazione generale e soprattutto dell'entrata in guerra della Russia, le formazioni ostili assunsero maggiormente consistenza e migliore organizzazione; fra esse primeggiarono quelle partigiane" filo-sovietiche. A questo punto la Commissione ammette che vennero adottati "veri provvedimenti repressivi, quali l'internamento delle persone sospettate di partecipare alla lotta partigiana o abitanti nelle vicinanza dei luoghi ove venivano compiuti atti di sabotaggio, operazioni di rastrellamento a breve e a largo raggio, ed azioni di rappresaglia per atti compiuti dal nemico in contrasto con le leggi di guerra". Il documento sostiene che in seguito a "gravi e numerosi atti di ferocia commessi dai partigiani contro i militari da essi catturati: le nostre Autorit dovettero adottare dei provvedimenti di rigore che, in altre condizioni, si sarebbero dovuti senz'altro considerare eccessivi". Quindi la Memoria conclude la parte riguardante la Jugoslavia, ribadendo il ruolo positivo dei comandanti italiani in quanto i delitti "pi atroci, le barbare distruzioni di interi villaggi e di edifici" sarebbero stati opera dei gruppi etnici in lotta fra loro, mentre "le nostre Autorit di occupazione" sarebbero intervenute "per assicurare una vita pacifica alle popolazioni". E' chiaro dall'analisi di questo documento, che ha guidato l'azione della commissione, che questa si fatta interprete delle indicazioni politiche, che emergono anche dai documenti del Ministero degli Affari Esteri.

36

Infatti tra i nomi degli italiani richiesti per crimini di guerra figuravano quelli di ufficiali, funzionari, uomini politici che ricoprivano alte cariche nello Stato italiano, come ha scritto il ministro Brosio. Molti generali, indicati nelle liste della Commissione delle Nazione Unite come criminali di guerra, ricoprivano incarichi nel Ministero della Guerra, addirittura il gen. Orlando, uno dei teorici e degli artefici della repressione in Slovenia, era stato ministro. Quindi la Commissione pi che d'Inchiesta, sembrava un collegio di difesa per quasi tutti gli indagati. Facevano eccezione alcuni, ad esempio gli alti ufficiali del Tribunale Straordinario della Dalmazia, per cui, leggendo gli atti, si desume che fosse stato deciso il sacrificio forse ad una condanna a qualche anno di carcere. Ma queste affermazioni vengono puntualmente contraddette da numerose circolari e disposizioni emanate dai generali comandanti, che dimostrano senza alcun dubbio, la feroce volont repressiva e vessatoria dei comandanti militari nei confronti della popolazione civile e dei partigiani. Questi documenti erano a disposizione della Commissione, sia direttamente negli archivi militari italiani sia presso quelli alleati. Ma un'altra conferma di tutto questo emerge dal diario di un cappellano militare, don Pietro Brignoli, edito postumo nel 1972, dal titolo Santa messa per i miei fucilati, in cui lo stesso testimonia le feroci rappresaglie operate dall'esercito italiano; infatti il sacerdote era inquadrato nel II reggimento (comandante prima col. E.Silvestri, quindi col. U.Penna) della divisione Granatieri di Sardegna, operante in Slovenia ed in Croazia tra il maggio 1941 ed il novembre 1942, e prest assistenza religiosa ai molti ostaggi civili, e ai pochissimi partigiani catturati, che quasi ogni giorno venivano sommariamente giudicati dal tribunale di guerra del reggimento e subito fucilati; questo prete, un fervente anticomunista, narra dolorosamente anche del sistematico incendio di villaggi, della deportazione della popolazione nei campi di concentramento e dei continui furti operati dagli ufficiali e dalla truppa verso i civili.

Le liste dei presunti criminali di guerra predisposte dalla commissione 11 settembre 1946. In una lettera al Capo della Commissione Alleata Ammiraglio E. W. Stone, in risposta ad una sua in data 2 maggio 1946, il Presidente del Consiglio De Gasperi scrive che la Commissione ha redatto un elenco di quaranta nomi di militari e civili, contro i quali pu essere elevata l'accusa di essere venuti meno ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell'umanit. 23 ottobre 1946. Un primo comunicato della commissione d'inchiesta indicava i nomi di sei inquisiti: i generali Roatta, Robotti e Magaldi, i ten. col. Sorrentino e Caruso, e l'ambasciatore Bastianini. 13 dicembre 1946. Un secondo comunicato della commissione indicava altri otto nomi (fra cui i generali Pirzio Biroli, Gambara e Coturri, e inoltre Giunta e Grazioli. Dal gennaio al maggio 1947 vennero emessi altri comunicati che indicavano in una ventina gli inquisiti deferibili al tribunale militare per crimini di guerra. Nell'archivio Gasparotto sono conservate tre liste di lavoro della commissione d'inchiesta in cui sono indicati i nomi di militari e civili accusati da paesi esteri di crimini di guerra e di crimini contro l'umanit:
Situazione al Deferiti Discriminati Sospesi Totale 25 gennaio 1947 13 23 7 43 12 gennaio 1948 28 111 2 141 23 marzo 1948 29 (+1) 133 6 168

37

Quindi la lista smentisce i dati indicati da De Gasperi a Stone, ridimensionando le cifre. Come indica la tabella i quaranta nomi in realt si riducono a tredici presunti criminali di guerra da deferire al tribunale militare. La commissione in quasi due anni di lavoro (maggio 1946 - marzo 1948) ha giudicato deferibili al Tribunale militare solo 29 inquisiti (su 168 accusati esaminati a cui vanno aggiunti il personale del campo di concentramento di Arbe, ufficiali, sottufficiali e truppa delle divisioni "Re" e "Zara"). In realt al gennaio 1948 i criminali di guerra la cui consegna era richiesta al Governo italiano da paesi esteri erano 295, che devono essere aggiunti ai 1697 compresi nelle liste delle Commissioni Onu per i crimini di guerra. Quindi a fronte di 1992 casi segnalati dai paesi che avevano subito l'occupazione militare italiana e dagli Alleati, la Commissione ne valut, in base ai documenti citati, 168 e non prese in considerazione le azioni svolte dai militari italiani in Africa (Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia) dove vennero usate bombe a gas e venne praticata una durissima repressione, attraverso la deportazione in campi di concentramento, torture ed esecuzioni sommarie anche nei confronti dei civili. Le conclusioni del Governo Alla luce di quanto riportato e dei rivolgimenti politici avvenuti tra il 1947 ed il 1948, il processo contro i 29 deferiti al Tribunale militare non fu mai celebrato. Non solo per i noti motivi (la Guerra fredda, per cui si ripuliva il passato di nazisti e di fascisti per utilizzarli nella lotta al blocco sovietico), ma anche perch da parte degli alti generali italiani (per la maggior parte, i medesimi che comandavano l'esercito monarchico agli ordini del Comandante Supremo Mussolini) non vi era nessuna intenzione di condannare i propri colleghi, seppur responsabili di provati crimini efferati. Infatti l'istruttoria per almeno 26 deferiti dalla Commissione d'inchiesta venne completata entro il gennaio 1948, ma d'altro canto lo stesso Governo italiano era conscio della non opportunit di svolgere processi contro presunti criminali di guerra italiani contemporaneamente a quelli contro i presunti criminali tedeschi (che stavano iniziando in Italia nei primi mesi del 1948), proprio perch le accuse che noi facciamo ai tedeschi sono analoghe a quelle che gli jugoslavi muovono contro imputati italiani. Quindi, come scrisse il 20 agosto 1949 il Direttore Generale degli Affari politici del Ministero degli Affari Esteri, conte Vittorio Zoppi, all'ammiraglio Franco Zannoni, capo gabinetto del ministro della difesa, la Commissione d'inchiesta che non doveva dare l'impressione di scagionare ogni persona esaminata selezion un certo numero di ufficiali che furono rinviati a giudizio Fu spiccato nei loro confronti mandato di cattura, ma fu dato loro il tempo di mettersi al coperto ci fu fatto con il preciso e unico intento di sottrarli alla consegna [agli jugoslavi ndr] Ottenuto questo risultato e venuto meno le ragioni di politica estera il Ministero degli Affari esteri considera la questione non pi attuale. L'epilogo. Le conclusioni della questione sono custodite gelosamente negli archivi del Ministero della difesa, ma si pu presumere, alla luce dei documenti analizzati, che i mandati di cattura siano stati ritirati ed anche i militari rinviati a giudizio per crimini di guerra abbiano potuto poi concludere (per la maggior parte) la propria carriera nell'esercito dell'Italia democratica e antifascista. Il Governo italiano, ex-ministri e gli alti quadri militari della neonata Repubblica italiana erano consci dei crimini operati dai militari italiani nel corso delle guerre coloniali e nel II conflitto mondiale e ne avevano le prove documentali. Ma il Governo ha operato per evitare non solo di consegnare, ma anche di giudicare i presunti colpevoli delle stragi. A questo scopo consapevolmente ha rinunciato al diritto/dovere di richiedere la consegna e di perseguire i militari tedeschi accusati di strage in Italia. Infatti richiedere la consegna di numerosi presunti criminali tedeschi per processarli in Italia, avrebbe voluto ammettere il principio e quindi non potersi rifiutare di consegnare i propri presunti criminali di guerra ad altri paesi richiedenti.

38

Lo afferma l'ambasciatore italiano a Mosca, Pietro Quaroni, con la piena condivisione dei dirigenti del ministero stesso, in una lettera al Ministero degli Affari Esteri il 7 gennaio 1946: Il giorno in cui il primo criminale tedesco ci fosse consegnato, questo solleverebbe un coro di proteste da parte di tutti quei paesi che sostengono di aver diritto alla consegna di criminali italiani. Quindi la giustizia sta ancora aspettando, non solo per le vittime delle stragi tedesche, ma anche per tutti gli innocenti trucidati o mandati a morire da quei generali italiani primi protagonisti dell'aggressiva vocazione colonialista dello stato italiano.

SI NOTI CHE TRA LE IMPUTAZIONI A GRAZIANI; BADOGLIO ED ALTRI CRIMINALI NON FIGURANO LE ATROCITA AFRICANE.

Direttive di Mussolini per l'aggressione all'Etiopia [30/12/'35]


Il problema dei rapporti italo-abissini si spostato in questi ultimi tempi su un piano diverso: da problema diplomatico diventato un problema di forza; un problema "storico" che bisogna risolvere con l'unico mezzo col quale tali problemi furono sempre risolti: coll'impiego delle armi. [...] Il tempo lavora contro di noi. Pi tarderemo a liquidare il problema e pi sar difficile il compito e maggiori i sacrifici [...] Bisogna risolvere il problema il pi presto possibile, non appena cio i nostri apprestamenti militari ci diano la sicurezza della vittoria. Decisi a questa guerra, l'obiettivo non pu essere che la distruzione delle forze armate abissine e la conquista totale dell'Etiopia. L'impero non si fa altrimenti. [...] Condizione essenziale, ma non pregiudiziale della nostra azione, quella di avere alle spalle un'Europa tranquilla almeno per il biennio 35-36 e 36-37, che dovrebbe essee il periodo risolutivo. Un'esame della situazione quale si presenta agli inizi del 1935, permette di prevedere che, nei prossimi anni, sar evitata la guerra in Europa. [... ] -Per una guerra rapida e definitiva, ma che sar sempre dura, si devono predisporre grandi mezzi. Accanto ai 60 mila indigeni, si devono mandare almeno altrettanti metropolitani. Bisogna concentrare almeno 250 apparecchi in Eritrea e 50 in Somalia. Carri armati 150 in Eritrea e 50 in Somalia. Superiorit assoluta di artigieria e di gas. I 60 mila soldati della metropoli - meglio ancora se 100 mila - devono essere pronti in Eritrea per l'ottobre 35.

Umanit s, promiscuit no!


Direttive di Mussolini a Graziani per l'impiego dei gas asfissianti. - Sta bene per azione giorno 29. Autorizzato impiego gas come ultima ratio per sopraffare resistenza nemico e in caso di contrattacco [27 ottobre 1935]. - Autorizzo vostra eccellenza all'impiego, anche su vasta scala, di qualunque gas e dei lanciafiamme. [28 dicembre 1935] - Approvo pienamente bombardamento rappresaglia e approvo fin da questo momento i successivi. Bisogna soltanto cercare di evitare le istituzioni internazionali e la croce rossa. [2 gennaio 1936] - Occupata Addis Abeba vostra eccellenza dar ordini perch: 1] siano fucilati sommariamente tutti coloro che in citt o dintorni siano sorpresi con le armi in mano; 2] siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani etiopici, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi; 3] siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi, incendi; 4] siano sommariamente fucilati quanti, trascorse 24 ore, non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni. [3 maggio 1936] - Uno straniero mi segnala di aver veduto il giorno 15 aprile a Massaua un sottuficiale della regia marina giocare amichevolmente a carte con un indigeno. Deploro nella maniera pi grave queste dimestichezze e ordino siano evitate. Umanit s, promiscuit no. [5 maggio 1936].

39

http://www.romacivica.net/anpiroma/FASCISMO/fascismo14.htm

La guerra di Etiopia (1935)


Gli italiani in Etiopia: l'uso dei gas, la persecuzione degli ebrei libici
di Giovanni De Luna

Le grotte si aprivano nelle rocce sulla destra del fiume profonde, inaccessibili. Per stanare i guerriglieri occorreva penetrare in stretti cunicoli dove poteva passare un uomo alla volta, facile bersaglio dei difensori. Si decise di inondarli di gas velenoso. I risultati furono definitivi e terrificanti. 28 marzo 1936... Sono stato a visitare i campi di battaglia che si trovano nei pressi di Selaclac... ci che mi ha fatto maggiore impressione stata la vista di un gruppo di abissini morti in una specie di caverna, ben nascosta, che sembrava un infido nido difficilmente scovabile. Sono in tutto nove giovani vite, e sono abbracciate, o meglio afferrate una all'altra in una stretta disperata: il loro atteggiamento, le loro posizioni, e quel loro aggrapparsi alla terra o al compagno, mostrano evidente che morirono nel momento istesso che tentavano di fuggire disperatamente alla morte certa; e caddero cos... come se in quel momento un fulmine li avesse improvvisamente e per sempre fermati e fotografati.... Non sono le grotte di Tora Bora: siamo in Etiopia, nel 1935 e la testimonianza quella di un soldato italiano, Manlio La Sorsa, impegnato nella guerra scatenata dall'Italia fascista contro il regno del Negus. Pure, le grotte, le armi terrificanti, e soprattutto quei corpi avvinghiati nella morte ci restituiscono il fondo destoricizzato che ogni guerra porta con s: dall'Etiopia all'Afghanistan, dal 1935 al 2001, in un tempo e in uno spazio radicalmente diversi, sembra che alla fine tutto si riduca a una ciclica ripetizione di gesti, a un frenetico andirivieni tra il morire e dare la morte. Quella guerra il fascismo la vinse soprattutto grazie alla superiorit tecnologica, all'uso di armi e di tecniche militari terribilmente distruttive (i bombardamenti aerei, i gas) anticipando una delle configurazioni tipiche delle guerre postnovecentesche in cui - (guerra del golfo, Kosovo, Afghanistan) - il confronto tra uomini e macchine, con ordigni sofisticati che riescono quasi ad azzerare le perdite nel proprio campo. La testimonianza del soldato italiano si presta anche a altre letture pi interne alla nostra storia, che chiamano in causa nodi irrisolti della nostra memoria collettiva su cui vale la pena riaccendere i riflettori del dibattito storiografico. Quella di La Sorsa infatti solo una delle tante voci raccolte in un libro appena uscito di Nicola Labanca (Posti al sole. Diari e memorie di vita e di lavoro dalle colonie d'Africa, Museo storico Italiano della Guerra); un'antologia di grande efficacia che, per la prima volta, ci restituisce nitidamente gli aspetti soggettivi e autobiografici del nostro passato coloniale, di quell'inseguimento al posto al sole che si protrasse ininterrottamente fino alla met del Novecento. Labanca ha pazientemente raccolto lettere, diari, carteggi e memorie sparse in vari archivi (il fondo pi consistente quello conservato nell'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano), una documentazione straripante che lascia affiorare l'intero universo di quelle centinaia di migliaia di italiani che - tra il 1882 e il 1943 -, in Eritrea, Libia, Somalia, Etiopia, furono coinvolti nel nostro sogno africano. Per la maggior parte si tratta di scritti di petit blancs; non i diplomatici, quindi, non i militari, non quelli che andarono in colonia per assumere cariche istituzionali e amministrative o per investire grandi capitali, ma tutta la massa di quelli che si mossero portando con s solo se stessi e al massimo le proprie famiglie, con l'ausilio solo delle proprie braccia da lavoro o del proprio modesto titolo di studio, contadini, piccoli commercianti, microimprenditori. Furono l'assoluta maggioranza dei nostri coloniali; ai Censimenti del ventennio risultavano infatti solo un 2% di possidenti e imprenditori e un 5% di professionisti; per il resto, furono in gran parte i ceti medi a lasciarsi coinvolgere nei nostri progetti di dominio coloniale: in Africa cambiarono il loro nome - diventando petit blancs, appunto - ma non la propria condizione sociale. L'eccezionalit di questa documentazione sta proprio nella sua provenienza: tradizionalmente i ceti medi costituiscono un universo sociale amorfo, abituato a lasciare scarne testimonianze della sua piccola storia, pronto a delegare il proprio protagonismo ai poteri forti che costruiscono la grande storia. Qui, invece, come se l'enormit dell'avventura africana ne stimoli i ricordi, li solleciti a rompere la crosta del loro tradizionale riserbo per lasciare liberamente fluire passioni, invettive, recriminazioni, entusiasmi, nostalgie. Lungo questo percorso si incontrano testimonianze che si limitano ad aggiungere particolari inediti a quanto gi si sapeva: ad esempio, il nesso ideologico tra le leggi contro gli ebrei del 1938 e la pratica di separazione razzista nei confronti della popolazione indigena avviata nei possedimenti coloniali, in particolare nell'Etiopia appena conquistata. Cos, i ricordi di Arthur Journ ribadiscono questo collegamento. Siamo nel 1938 e Journ un giovane ebreo italiano che vive a Tripoli. Il Governatore della colonia, Italo Balbo, ordina agli ebrei di tener aperti i loro negozi anche il sabato. Ovviamente i negozi restarono chiusi. A quel punto i fascisti prendono dieci ebrei

40

libici e decidono per una loro pubblica fustigazione: in mezzo alla piazza alcuni genieri dell'esercito avevano eretto un palco abbastanza alto proprio per dare la possibilit a tutto il popolino di godere dello spettacolo... non so dire quante frustate ogni condannato ricevette, tenni gli occhi chiusi e sentivo solo i lamenti e i battiti delle mani della gente che gridava piena di odio. Altre testimonianze ribadiscono stereotipi razziali, con particolare riferimento alle donne, (Entrando, l'ingresso squallido e umido. Un odore strano di erbe e di altre sostanze non definibili fluttua qui dentro; le abitatrici si avvicinano curiose, timide e sorridenti. Sembrano tante bestie rare..., Unno Bellagamba, 1935) che esaltano la natura ferina delle popolazioni nere, in un misto di disprezzo e timori ancestrali. In quasi tutte domina poi un'autorappresentazione fortemente segnata dalla propaganda colonialista, in particolare - per quanto si riferisce all'Etiopia - di quella fascista, segnata dal trinomio Dio, Patria, Famiglia: Dio, andare in Africa significava evangelizzare, essere missionari, pionieri in terre sconosciute e abitate da popoli primitivi; Patria, assicurare al proprio paese le materie prime, il lavoro e la possibilit di emigrare, accrescere il prestigio del nostro popolo; Famiglia, una via pi breve e pi sicura per realizzare i sogni della famiglia, significava trovare un impiego al termine della campagna della conquista coloniale, nella stessa terra africana per la quale avevo arrischiato la vita, (Angelo Filippi, 1935). Sotto queste esplicite intenzioni affiora, per, anche una realt diversa, quasi che quei documenti alla fine parlino malgrado se stessi. Certamente in essi incontriamo la guerra, la dimensione epica del mal d'Africa, l'orgoglio di sentirsi allo stesso tempo italiani e conquistatori; ma incontriamo anche la vita quotidiana, le abitudini e le relazioni sociali, mode e comportamenti collettivi e - soprattutto - il lavoro, tanto lavoro. Camionisti e braccianti, coloni agricoli e commercianti, piccoli artigiani e impiegati, per tutti la vita in colonia essenzialmente il lavoro, la fatica, il confronto assiduo con una natura sconosciuta, poche volte apprezzata per la sua bellezza, pi spesso maledetta per le sue asperit. La centralit del lavoro toglie, alla fine, ogni epicit a quei ricordi e ci consegna una delle chiavi per spiegare il mistero del loro inabissarsi fino a scomparire dalla nostra memoria collettiva. Per i petit blancs italiani la fine del sogno africano coincise, infatti, con la rovinosa sconfitta militare dell'Italia fascista. Il loro ritorno in patria fu traumatico. Nella nuova Italia repubblicana non c'era pi nessun posto al sole da magnificare e difendere. I neofascisti tentarono di cavalcarne recriminazioni e rimpianti. Anche la Dc lo fece, in un modo tipicamente democristiano, alimentando cio una politica puramente assistenziale, con una legislazione che soddisfaceva tutte le loro richieste economiche, rifiutandone per la dimensione ideologica e revanscista; si assicur i loro voti, se non la loro riconoscenza. Alla fine, quando smisero anche di essere un serbatoio di voti, la loro memoria divenne solo un oggetto storiografico da studiare. (La Stampa, 14 gennaio 2002)

______________________

Fascismo e colonialismo
"La donna bianca e l'uomo nero" Norme a cura dell'Istituto coloniale fascista, 1937 Costretti a continui contatti con l'indigeno, bisogna studiarne attentamente la mentalit per poterlo guidare, senza urti ma con mano sicura, a contribuire utilmente col suo lavoro ai fini che noi ci ripromettiamo di conseguire. Caratteristica generale del negroide e del negro dell'Africa equatoriale la poca disposizione ad un intenso e prolungato lavoro, un acuto senso della giustizia ed un profondissimo rispetto della forza. La poca disposizione pel lavoro logica conseguenza delle scarsissime esigenze di vita dei popoli primitivi e spesso della facilit con cui essi possono ottenere senza grandi sforzi tutto quanto serve alla loro esistenza, per l'abbondanza dei frutti della terra e degli animali, che procurano loro spontaneamente ci che occorre per il nutrimento, per il ricovero e per il rudimentale abbigliamento. La giustizia e la forza sono concetti cos radicati nell'animo di tutti i popoli primitivi che devono essere alla base di ogni rapporto con loro.

41

http://www.anpi.it/colonie/cirenaica.htm

Le guerre coloniali del fascismo La Cirenaica


La Cirenaica la zona pi ricca della Libia. Laltopiano del Gebel in particolare, grazie alla presenza di piogge, offre maggiori possibilit di coltivazione e di allevamento del bestiame che nel resto del Paese. La vita delle popolazioni seminomadi di religione musulmana regolata dalla Senussia, unorganizzazione statuale nata agli inizi dellOttocento. Articolata in numerose "zauie" periferiche, la Senussia ha funzioni sia politiche che religiose e regola lattivit dei commerci, del pagamento delle decime e dellattivit amministrativa e giudiziaria. Il carattere fortemente radicato della Senussia fa s che in Cirenaica la ribellione alla colonizzazione sia pi diffusa e difficile da sconfiggere perch mimetizzata nel territorio e sostenuta dalla popolazione. Nel gennaio 1930 il generale Rodolfo Graziani viene nominato vicegovernatore della Cirenaica e affianca il governatore Pietro Badoglio nellattuazione della "fase finale" della repressione della resistenza antitaliana, guidata da Omar al-Mukhtar. Si apre una guerra senza quartiere: viene attuato un piano di deportazioni delle trib seminomadi che appoggiano i ribelli, si ordina di impiccare i capi ribelli catturati, viene emanato un proclama i cui si afferma che se il nemico non si piega, sarebbe stato sterminato: ogni cosa sarebbe stata distrutta, le propriet confiscate, i colpevoli puniti persino nelle loro famiglie; vengono istituiti tribunali volanti con diritto di morte per reati quali il possesso di armi da fuoco o il pagamento di tributi ai ribelli; viene permesso lutilizzo di strumenti bombe ad aggressivi chimici, come testimonia un dispaccio di Badoglio al vicegovernatore Siciliani del 10 gennaio 1930: "Continui rastrellamenti e vedr che salter fuori ancora qualcosa. Si ricordi che per Omar al-Mukhtar occorrono due cose: primo, ottimo servizio di informazioni; secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe iprite. Spero che dette bombe le saranno mandate al pi presto". La riconquista della Cirenaica dura circa due anni e si conclude con un impressionante bilancio di vittime tra la popolazione. Per togliere ai ribelli ogni sostegno da parte della popolazione, Graziani e Badoglio decidono che dal 25 giugno 1930 vengano creati dei campi di concentramento vicini alla costa per le popolazioni del Gebel che avevano dato appoggio alla resistenza antitaliana. Questi campi non solo rompono ogni legame tra popolazione e ribelli, ma spezzano ogni possibilit di autosussistenza delle comunit seminomadi. In sei campi principali e una decina di minori vengono deportate, dopo lunghe marce forzate, tra le 100 e le 120.000 persone, con tutti i loro beni e le loro greggi (circa un milione di animali), costrette a vivere in aree ristrette, dove le condizioni di vita diventano subito ai limiti della sopravvivenza. In una lettera a Graziani del 20 giugno 1930 Badoglio scrive: "Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravit di questo provvedimento che vorr dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine, anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica". Per togliere ai ribelli laiuto che proveniva dallEgitto (dove si sono rifugiati circa 20.000 libici), alle popolazioni della Cirenaica viene proibito ogni tipo di commercio con lEgitto. A questo scopo dallaprile al settembre 1931 viene innalzata una barriera di filo spinato, alta quattro metri, lungo i 275 chilometri tra il porto di Bardia e loasi di Giarabub, il cui tracciato viene controllato per mezzo di fortini e voli aerei. Inoltre i santuari locali dei Senussi vengono chiusi, sequestrate le loro rendite e confiscate le loro propriet terriere. Viene instaurato un vero e proprio regno del terrore: migliaia di esecuzioni, villaggi saccheggiati o costretti a piegarsi per fame, rappresaglie selvagge contro le comunit beduine se uno qualsiasi dei loro membri si univa al nemico.

42

http://www.tightrope.it/USER/chefare/archivcf/cf19/libia.htm

Libia: un test della "diversit "italiana


Piace al "pacifismo" ed al "riformismo" sottolineare il ruolo "diverso " che l'Italia pu svolgere e gi in certa misura svolgerebbe nella difesa della "pace" e della "soluzione pacifica" dei conflitti internazionali. Nel mondo arabo in particolare la Libia (che tuttavia non la sola nazione ad avere goduto di questo privilegio) ha avuto modo di sperimentare direttamente, sulla propria viva carne, tale "diversit" nel corso della occupazione della Tripolitania ad opera dell'Italia liberaldemocratica e fascista, durata dal 1911 al 1943. Abbiamo poco spazio a disposizione per rammentare qualche aspetto di una "civilizzazione diversa", dal "volto umano" o - come piaceva dire ad inizio secolo ad un certo nazionalismo - da "nazione proletaria"; contrapposto a quello "predatore" delle grandi potenze (ohi, com' vecchia questa menzogna social-sciovinista della "diversit" italica). Lo useremo per pubblicare qualche cifra che non vuole essere sostitutiva, evidentemente, di un'analisi storico-politica, ma fornire solo un parziale promemoria di una minimissima parte delle atrocit che le popolazioni arabe hanno dovuto subire per mano del barbaro colonialismo imperialista. La fonte delle cifre un censimento libico del 1984. Non ci sono fonti italiane in materia, poich la repubblica democratica nata dalla Resistenza, giunta al suo 45 anno di vita, non ha ancora realmente aperto i propri archivi, peraltro abbondantemente purgati da "storici" di matrice fascista a cui erano stati affidati in cura Il censimento del 1984 ed parziale, in quanto riguarda soltanto 100.000 famiglie su 660.000 costituenti l'intera popolazione libica. I casi di "danni" accertati tra queste persone sono 199.269: 21.123 uccisi dalle truppe di occupazione (tra il 1911 e il 1932); 5.867 assassinati o imprigionati senza alcun processo; 25.738 costretti ad arruolarsi come ascari e a combattere contro i propri fratelli ribelli o contro le popolazioni dell'Etiopia; 37.763 internati nei campi di concentramento; 30.091 costretti ad emigrare nei paesi vicini; 12.058 persone morte a causa di bombardamenti aerei e terrestri o di mine (fino al 1943); 14.910 mutilate dalle esplosioni di bombe e mine (anche dopo la seconda guerra mondiale); 30.321 persone che avevano subito danni alle aziende agricole o perdite di bestiame; 463 denunzie di avvelenamento di pozzi, incendi di boschi et similia, etc. etc. Lo storico De Boca, che non certamente un anti-imperialista neppure con le virgolette, non contesta affatto questi dati. Al contrario non fa fatica a riconoscere che le cifre globali, ossia il costo materiale ed umano del banditismo della "diversa" Italia nei confronti della Libia stato sicuramente di molto superiore. Gli internati nei campi di concentramento furono pi di 100.000. Il numero dei morti libici trucidati dalle truppe di occupazione "di gran lunga superiore" ai 21 mila e passa indicati sopra (alcune centinaia di migliaia secondo cifre ufficiose). Il territorio libico stato popolato di alcuni milioni di mine durante la guerra, e diverse migliaia di libici sono morti e continuano a morire a causa delle mine. Intere regioni (almeno 3 milioni di ettari) sono state abbandonate per la stessa ragione. Pi di 120.000 capi di bestiame sono saltati sulle mine nei primi 25 anni del dopoguerra. E poi c' la ferita ancora aperta dei deportati in Italia a partire dal 1911, di cui n l'Italia liberaldemocratica, n quella fascista, n quella post fascista, l'una "diversa" dall'altra e l'una pi fetente dell'altra, hanno voluto dire parola. Eppure, dice ancora Del Boca in una intervista a "Politica ed economia" (maggio 1988), negli archivi semi proibiti "c', nero su bianco, tutto; compreso l'uso del fosgene, i gas (a proposito delle armi chimiche! - n.), le deportazioni, i lager, i 270 chilometri di filo spinato, le atrocit commesse dai Graziani (il Maresciallo fascista politicamente riabilitato da Andreotti - n.)". Lontane vicende da ascrivere essenzialmente alla "malattia morale" del fascismo? Niente affatto! La democrazia le rivendica a pieno, nella sostanza. Il giudizio globale lasciamolo a Sforza, un liberale ministro dell'Italia democratica, collega di governo - durante l'unit nazionale"- di Togliatti: "L'Italia democratica ritiene ingiusto e immeritato che le sia impedito di continuare a perseguire in Africa, secondo i principi proclamati dall'ONU (notate bene) e nel quadro delle sue istituzioni, l'opera di CIVILIZZAZIONE che ha intrapresa e perseguita con infiniti sacrifici e con risultati che il mondo intero ha ampiamente riconosciuto". A quei d (1947-1949) anche il PCI sospetto di "doppio binario" e l'URSS sostenevano che la Libia avrebbe dovuto essere "lasciata" alla "diversa" Italia

43

Vediamo ora alcune foto, iniziando da un gigantesco campo di concentramento italiano fatto di tende nel deserto:

44

45

Omar El Mukhtar, capo della resistenza libica, dopo l'arresto e prima dell'esecuzione

Tripoli 1943 / Addio all'Africa italiana

La fine dell'impero
Angelo Del Boca http://www.nigrizia.it/doc.asp?ID=5284

Seguita alla sconfitta di El Alamein, la caduta di Tripoli chiuse un'epoca. A sessant'anni di distanza, il maggior storico del colonialismo italiano ci ricorda quanto costato - in termini di guerra di conquista, eccidi e spoliazioni - il nostro sogno coloniale a Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia. Negativo anche il bilancio militare ed economico. I1 23 gennaio 1943, giusto sessant'anni fa, il vice governatore della Libia, Francesco San Marco, affiancato dal prefetto di Tripoli, il duca Alberto Denti di Pirajno, si recava a Porta Benito, dove il generale Bernard Law Montgomery aveva posto il suo quartier generale, e gli consegnava le chiavi di Tripoli. Nel ricordare il breve discorso del vincitore, Denti di Pirajno, che era, oltre che un alto e stimato funzionario coloniale, uno scrittore finissimo, cos si esprimeva: Montgomery non mi piacque, sia perch il vinto non trova mai simpatico il vincitore, sia perch ci parlava senza guardarci, col capo insaccato fra le spalle rachitiche e lo sguardo inchiodato al suolo. Ebbi allora l'impressione che con questo atteggiamento volesse ostentare il poco conto in cui ci teneva e questo, in un conquistatore, mi parve ingeneroso. Il prefetto di Tripoli non era soltanto turbato per il disprezzo che il vincitore della battaglia di El Alamein ostentava nei riguardi delle autorit italiane. Era anche avvilito per la mancata difesa di Tripoli, che militari e gerarchi fascisti avevano solennemente promesso di operare ad oltranza, casa per casa. Ma al momento di mettere in pratica questi bellicosi propositi - riferiva Denti di Pirajno - tutti se ne erano andati: i condottieri che avevano giurato di difendere la citt sino all'ultimo mattone, i gerarchi del "di qui non si passa". L'ultima nave ospedale, dirottata su Zuara, era partita vuota di feriti, ma stracarica di greche, di aquile, di medaglie. Con la caduta di Tripoli, ultimo lembo di terra africana ancora presidiato dall'Italia, si concludeva un'epoca. Finiva la spinta espansionistica che aveva avuto inizio nel 1869 con l'occupazione della baia di Assab, nel Mar Rosso. Crollava l'ultimo pilastro dell'impero dell'Africa italiana, voluto con ostinazione da Benito Mussolini, con un costo altissimo di vite umane e di risorse economiche. Dopo settant'anni di presenza italiana in Africa, il nostro paese usciva definitivamente dal Continente Nero lasciandovi il ricordo indelebile di stragi, di deportazioni, di devastazioni, di spoliazioni. Inutilmente Mussolini lanciava il 9 maggio 1943, celebrando l'anniversario della fondazione di un impero che oramai non c'era pi, la parola d'ordine : "Torneremo". Due mesi dopo cadeva il regime fascista e con esso tutti i miti che aveva creato.

46

Dogali, Adua, Kars bu Hadi II bilancio della presenza italiana in Africa non poteva, sotto tutti i punti di vista, essere pi negativo. Sotto il profilo del prestigio militare l'Italia ne usciva malconcia. Alla resa dei conti, infatti, erano pi le sconfitte che i successi. Dogali, Adua, Kars bu Hadi non erano soltanto brucianti disfatte. Mettevano in evidenza tutti i difetti del tardo colonialismo italiano: dilettantismo, imprevidenza, iattanza, disprezzo per l'avversario, eroismo di chi ormai non ha scampo e alla fine preferisce la morte al tribunale militare. Ad Adua, Oreste Baratieri, con 5mila morti, 2mila prigionieri e la perdita di tutti i cannoni, si aggiudicava la palma del generale pi sconsiderato, pi inesperto, pi biasimevole. A Kars bu Hadi, il colonnello Antonio Miani perdeva mille uomini, 5mila fucili, alcuni milioni di cartucce, 6 sezioni di artiglieria, tutte le mitragliatrici, l'intero convoglio di rifornimenti e persino la cassa militare. Tante armi, viveri e denaro da alimentare e rendere vincente la rivolta araba. In pochi mesi i mujaheddin avrebbero ripreso tutti i territori conquistati dagli italiani in quattro anni di guerre, salvo Tripoli e poche altre citt della costa. Si faceva cos strada la convinzione, negli alti comandi, che, per strappare una sicura vittoria, fosse necessario mettere in campo uomini e mezzi che fossero almeno il doppio di quelli schierati dall'avversario. Infatti, memore di Adua, Mussolini impiegava nella conquista dell'Etiopia armate cos possenti e soverchianti come l'Africa non aveva mai visto. E paventando ancora amare sorprese, ordinava a Badoglio e a Graziani di aggiungere alle armi convenzionali anche quella proibita dei gas, violando cos gli accordi internazionali che l'Italia aveva sottoscritto. Poi, un giorno, per questi condottieri troppo celebrati e persino mitizzati, sarebbe venuto il momento della verit. Nel giudicare l'operato di Rodolfo Graziani in Africa settentrionale, nel corso della seconda guerra mondiale, l'addetto militare tedesco a Roma, Enno von Rintelen, cos si esprimeva: Egli condusse la guerra in Africa come una campagna coloniale; i suoi avversari non erano per dei nativi, bens dei soldati dell'impero mondiale britannico. Graziani si era costruito tutta la sua fortuna, in Libia e in Etiopia, battendo formazioni di patrioti male armate, ricche soltanto di un indomito coraggio. Ma posto di fronte ad un esercito regolare e modernamente equipaggiato, egli rivelava tutti i suoi limiti, perdeva il controllo di s stesso e delle sue armate, la sua leggenda si trasformava in una penosa parodia. E con lui scomparivano dalla scena, uccisi o fatti prigionieri, i Bergonzoli, i Gallina, i Tracchia, i Pitassi Mannella, che con troppa facilit avevano raggiunto i massimi gradi nella campagne coloniali. Scompariva anche il generale Pietro Maletti, che nel 1937, in Etiopia, aveva massacrato duemila monaci e diaconi della citt conventuale di Debr Libans. Fallimento del fascismo Se le campagne coloniali non avevano certo aumentato il prestigio dell'esercito italiano, il bilancio economico si chiudeva in net-ta perdita. Fra i motivi che avevano spinto l'Italia a partecipare allo "scramble for Africa", c'era stato anche quello di dirottare la corrente emigratoria, che aveva sempre preferito le Americhe, verso le colonie che l'Italia si era aggiudicata in Africa. Nella sola Etiopia, Mussolini aveva ipotizzato di inviare due milioni di contadini senza terre, ma nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, i coloni insediati sulle migliori terre etiopiche erano soltanto 31mila. Anche nelle altre colonie, decisamente pi povere dell'Etiopia, l'afflusso degli italiani era stato pi che deludente. In settant'anni, di fronte a venti milioni di disperati che avevano scelto le Americhe, gli italiani che avevano optato per l'Africa erano appena 300mila. Per rendere pi agevole il loro insediamento (non certo per mi-gliorare la sorte dei nativi), lo stato italiano aveva impegnato forti capitali nella realizzazione di alcuni progetti. Citiamo, ad esempio, i comprensori di bonifica lungo il Giuba e 1'Uebi Scebeli, in Somalia; quello di Tessenei in Eritrea; le decine di villaggi agricoli costruiti sul finire degli anni '30 in Tripolitania e in Cirenaica. Ma i maggiori investimenti Roma li realizzava in Etiopia. Per il solo sistema viario, vitale per incrementare i traffici e per spostare rapidamente le truppe, venivano importati dall'Italia 1.192.000 quintali di cemento, 72.600 quintali di ferro, 12.319 quintali di dinamite, il tut-

47

to gravato dai noli marittimi, dal pesante pedaggio del canale di Suez, dai prezzi proibitivi imposti dai "padroncini" per i trasporti su autocarro. Osservando, costernato, lo sperpero del denaro pubblico, il ministro degli Scambi e Valute Felice Guarneri scriveva: Tutta l'economia dell'impero prosperava in un clima artificioso, che traeva alimento unicamente dalla trasfusione di beni e ricchezze che la madrepatria faceva con generosit da gran signora. Era mia profonda convinzione che noi non avremmo potuto durare a lungo nello sforzo. Si rischiava la bancarotta. Questo immenso sforzo, realizzato, fra l'altro, tutto a detrimento del Sud dell'Italia, i cui problemi, nel clima di esaltazione imperiale, venivano ignorati, non sarebbe servito a nulla. Con l'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940, l'Africa Orientale Italiana (Aoi) rimaneva isolata dalla madrepatria e risultava accerchiata da territori in gran parte amministrati dalla Gran Bretagna. La difesa dell'Aoi non sarebbe durata che diciassette mesi. Prima ad essere occupata dalle forze alleate era la Somalia, poi l'Eritrea (nonostante l'accanita resistenza a Cheren) e, per ultima, l'Etiopia. Il mattino del 28 novembre 1941 si arrendevano gli ultimi capisaldi di Ualag, Chercher, Celg e Gorgor, nella regione di Gondar. L'impero voluto da Mussolini non esisteva pi. C'erano altri bilanci da stilare. Eravamo andati in Africa per portarvi la civilt e il benessere, perch questo si diceva all'epoca - era il "fardello" dell'uomo bianco. Ma, alla resa dei conti, non avevamo portato alcuno sviluppo. Avevamo soltanto adottato una politica di rapina, che consisteva nel riservare ai coloni italiani le migliori terre e nell'impedire la creazione di una classe dirigente africana proibendo ai nativi l'accesso agli studi. Nel 1950, ad esempio, quando l'Italia ritornava in Somalia con il mandato delle Nazioni Unite di condurla in dieci anni all'indipendenza, sul paese dei somali gravava ancora la pi buia notte coloniale. I suoi primati erano tutti negativi. Il tasso di analfabetismo toccava il 99,40 per cento. Nessun somalo era riuscito a diplomarsi o a laurearsi. Su di una popolazione di 1.242.000 abitanti, soltanto 20mila vivevano in case in muratura, tutti gli altri in baracche, tende, tucul e arich. C'era un medico ogni 60mila anime e 1.254 postiletto nei dieci ospedaletti distribuiti su di un territorio vasto come una volta e mezza l'Italia. 400mila morti C'era, infine, un ultimo e tragico bilancio da compiere. Qual era il costo della presenza italiana in Africa? Quante vittime avevano mietuto le guerre di conquista, le operazioni di grande polizia coloniale, le azioni di contro guerriglia, il lancio dei gas sulle popolazioni civili? Anche se, in questi casi, le stime sono sempre necessariamente approssimative, si pu comunque sostenere che, fra il 1890 e il 1941, sono morti, a causa dell'espansionismo italiano, circa 400mila fra eritrei, somali, libici ed etiopici. Il paese maggiormente colpito stato la Libia, con 100mila morti: questi ultimi sicuri, non "approssimativi", schedati uno per uno negli archivi del Libyan Studies Center di Tripoli. Il cinquanta per cento morti in combattimento, l'altro cinquanta durante la deportazione in massa delle popolazioni della Marmarica e del Gebel Akhdar e nei tredici campi di concentramento costruiti nell'inferno della Sirtica. Per dare un'idea della decimazione subta dai libici ricordiamo che, all'epoca, la Libia contava 800 mila abitanti. Come a dire che un libico su otto ha perso la vita a causa della presenza ostile degli italiani. L'altro paese che ha pagato un prezzo altissimo nei tentativi di difendere la propria indipendenza l'Etiopia di Hail Selassi. Anche se la cifra di 760mila morti, fornita alle Nazioni Unite dalle autorit etiopiche, appare decisamente eccessiva, quella di 300mila vittime non molto lontana dalla realt. A questa cifra si arriva sommando i caduti militari e civili durante il conflitto italoetiopico del 1935-36; i patrioti uccisi in combattimento o fucilati dopo un processo sommario nei cinque anni della guerriglia; i militari e civili (fra questi ultimi, moltissimi esponenti del clero copto) assassinati in seguito all'attentato a Graziani del 19 febbraio 1937; i confinati deceduti per privazioni ed epidemie nei lager di Danane e di Nocra; i contadini morti a causa dei patimenti subiti dopo la distruzione dei loro villaggi e il saccheggio dei loro beni. Per questi morti e per i danni causati dall'aggressione fascista, l'Etiopia chiese all'Italia un risarcimento di 184 milioni di sterline. Roma chiuse la partita con 6.250.000 sterline. Con altri paesi, come la Libia, fu ancora pi avara.

48

L'Italia poteva tornare in Africa, nel dopoguerra, per riparare i suoi torti e per rifarsi una reputazione. Invece non ha pagato i suoi debiti (o lo ha fatto in maniera insufficiente) e ha destinato male i suoi aiuti, usando una politica non giusta, non riparatrice, non lungimirante. Una politica spicciola, povera di fantasia e di vera solidariet. Una politica che non ha il senso della storia, che non conserva la memoria del passato.

http://www.pasti.org/delboca2.html Le infamie del colonialismo italiano in Libia sono state quasi sempre rimosse in Italia. Anzi, ai responsabili si erigono monumenti. Ecco qualche testo per non dimenticare

L'INFAMIA DELLE DEPORTAZIONI


Da: "Gli italiani in Libia, dal fascismo a Gheddafi" di Angelo Del Boca, Laterza, 1991, cap. IV
L'esproprio delle zavie

Proseguendo il riordino organizzativo della colonia e la lotta senza quartiere contro la Senussia, nella prima decade di maggio del 1930 Graziani adotta un altro provvedimento particolarmente severo: il raggruppamento coatto delle popolazioni indigene nelle vicinanze dei presidi italiani. Con questa misura presa contemporaneamente al razionamento dei viveri, il vicegovernatore della Cirenaica confida di disseccare la principale sorgente che alimenta la ribellione. Ha cos inizio la prima, biblica migrazione dai territori dell'altipiano verso le zone pi sicure della costa. Quasi 900 tende Abid vengono riunite nella piana di Barce; 1400 tende Dorsa intorno a Tolmeta; altre 3600 tende, che prima erano sparse sino a el Mechili, vengono raggruppate fra Cirene e Derna. Ma non si tratta di un provvedimento definitivo, poich tanto De Bono che Badoglio hanno in mente una operazione pi vasta e radicale, che porti allo sgombero totale del Gebel Achdar. Questa di maggio, dunque, soltanto la prova generale della deportazione in massa che verr fatta tra luglio ed agosto. Si appena conclusa questa operazione quando Graziani, con il consenso di Badoglio e di Roma, applica una nuova misura: I'esproprio integrale dei beni mobili ed immobili delle zavie senussite. Il provvedimento, gi allo studio da un paio di anni, era sempre stato rinviato perch si temeva di turbare la coscienza religiosa delle popolazioni libiche e di commuovere l'opinione pubblica musulmana (1), poich le zavie erano, prima che organi di propaganda politica e di collegamento tra le popolazioni e i ribelli, centri spirituali ed assistenziali. Le ultime perplessit vengono per a cadere nel maggio del 1930 quando lo scontro con la Senussia si fa totale. Mai il governo italiano si trovato in vera lotta armata di fronte alla Senussia come lo attualmente; - scrive Badoglio a De Bono - mai la Senussia ha fatto appello come ora a tutti i suoi aderenti per averne aiuti materiali e morali al fine di constrastare il nostro dominio; mai ricorsa a intimidazioni, a minacce, a violenze di ogni genere per sollevarci contro i nostri sudditi. A questa decisa azione di ostilit, giusto e doveroso contrapporre da parte nostra un identico atteggiamento Le mezze misure non giovano a nulla. Quando si in guerra, non lecito avere degli scrupoli e conservare al nemico le propriet da cui ricava i mezzi per continuare la lotta (2). Il 29 maggio reparti di carabinieri invadono simultaneamente le sedi di tutte le zavie (3), traggono in arresto 31 capi zavia e pongono i sigilli sulle propriet della confraternita. I capi religiosi sono dapprima confinati in un campo nei pressi di Benina; poi, sembrando imprudente mantenerli in Cirenaica, il 28 settembre vengono imbarcati sul cacciatorpediniere Stocco ed awiati ad Ustica (4). Nel bando diramato agli indigeni il 2 giugno, Graziani spiega i motivi del grave provvedimento e soggiunge: Da oggi siete tutti liberati dal pagamento della zacat, anzi chi lo far ugualmente, sar considerato reo di tradimento e punito perci con la morte (5). Per Omar alMukhtr il colpo durissimo. In pochi giorni egli si vede privato prima del sostegno delle popolazioni, poi del supporto delle zavie, che gli fornivano, con le decime, senti di ogni genere ed informazioni. Comunque non si abbatte e fa sapere che non concluder alcuna pace che sia in contrasto con gli interessi della Senussia e che combatter sino alla morte (6).

49

Il patrimonio confiscato enorme. Si tratta di centinaia di case e di quasi 70 mila ettari della miglior terra della Cirenaica. Per fare qualche esempio, la sola zavia di Bengasi ha 8 immobili e 2 mila ettari di orti e giardini; quella di Tilimum ha 12 immobili ed una rendita di 15 mila lire annue nette; quella di Marada possiede 11 giardini e 517 palme sparse nell'oasi; quella di Tocra 19 immobili; quella di Mrassas 15 mila ettari (7). Secondo le stime fatte fare da Graziani il reddito annuo delle zavie, escluse quelle di Giarabub e di Cufra, supera le 200 mila lire, gran parte delle quali finivano nelle casse della ribellione. Considero pertanto la chiusura delle zavie - scrive Graziani a Badoglio il 14 giugno - un provvedimento fondamentale per lo stroncamento della ribellione (8) Nel timore, per, che il provvedimento provochi l'indignazione e la collera delle popolazioni musulmane, Graziani chiede a Mohammed er-Rid di stilare e di divulgare un documento a favore della chiusura delle zavie. Il Senusso, ormai incapace di opporsi alle sempre pi frequenti pressioni degli italiani, accetta l'incarico e dirama un comunicato con il quale sconfessa l'operato dei suoi fratelli Mohammed Idris e Ahmed eshSherif, invita i ribelli a sottomettersi al caro Graziani , che un padre compassionevole, clemente, misericordioso e giusto e soggiunge: Il sequestro dei beni della Senussia e la loro confisca oggi un provvedimento giusto, poich lo hanno causato i miei fratelli. Essi pertanto sono i responsabili di fronte ai capi della Confraternita per il male che hanno fatto (9). A favore della misura si schiera anche il direttore del giornale bengasino Berid Barca , Mohammed Mohesci. L'articolo di questo collaborazionista quanto di pi servile si possa immaginare. Egli definisce le zavie consolati del nemico e si meraviglia che siano state chiuse soltanto ora e non nel 1923 dopo la abrogazione degli accordi con la Senussia. La chiusura di queste zavie - scrive inoltre - mentre sopprime un mezzo non indifferente di connivenza coi ribelli, ritorna a vantaggio della grande maggioranza dei sottomessi in quanto elimina una grave causa che dava luogo all'accusa di connivenza. [...] Non esageriamo dicendo che la parola confisca significa in questo caso liberazione di tali beni religiosi dalle mani degli usurpatori (10). Tolte alla ribellione le principali fonti di finanziamento, Graziani decide di sferrare una grande offensiva contro i ribelli, convinto di poter ripetere i successi ottenuti in Tripolitania e di poter mettere una buona volta le mani su Omar al-Mukhtr. Meditando sul suo passato fortunato e sul fatto che ha piegato ad uno ad uno tutti i capi della guerriglia, Graziani scrive: Siccome io sono stato seme pre un po' mistico [...], sono stato sempre convinto che questo sia avvenuto non per semplice caso umano, ma per una volont ed una ispirazione superiore legittimante in me la certezza che i ' capi ribelli sarebbero tutti finiti per le mie mani ' (11). Con queste convinzioni, il 16 giugno 1930 Graziani lancia quasi tutte le forze presenti in Cirenaica contro i duar di Omar che stanziano nella regione del Fayed, a sud di Cirene. Ma ancora una volta Omar riesce a sgusciare tra le truppe del colonnello Spatocco, che attaccano da nord, e quelle del colonnello Maletti, che incalzano da sud. Il rastrellamento dura fino alla fine di giugno, ma senza alcun risultato apprezzabile. Il 20 giugno, mentre le operazioni nel Fayed sono ancora in corso, Badoglio invia a Graziani una lunga lettera con la quale critica duramente l'operato del vicegovernatore e gli impartisce nuove direttive intese ad imprimere una netta svolta alla lotta contro la Senussia. Ho voluto lasciar compiere a V.E. questo primo ciclo operativo senza un mio diretto intervento, - scrive Badoglio - sia per non intralciare l'opera, sia anche per corrispondere al desiderio di V. E. che mi ha telegrafato di rimandare la mia venuta cost a ciclo operativo chiuso. Ma mio stretto dovere ora intervenire, perch la responsabilit dell'azione viene direttamente a me, prima di giungere al ministero . Chiarito l'ordine delle responsabilit, Badoglio analizza l'azione condotta nel Fayed da Graziani e tutte le operazioni che l'hanno preceduta a partire dal 1923 per giungere a concludere che le manovre chiamate a largo raggio sono sempre fallite e saranno sempre, finch durano le attuali condizioni, destinate al fallimento . Due sono le cause essenziali del ricorrente insuccesso: Il vigilantissimo servizio di protezione e di informazione dei ribelli e la straordinaria abilit di Omar alMukhtr, il quale non si lascia mai cogliere da megalomania guerriera e, da freddo e sereno valutatore delle sue forze e delle conseguenti possibilit, rifiuta il combattimento e disperde le sue forze [...]. Se V.E. esamina la storia di tutte le operazioni, - continua Badoglio, calcando non poco la mano - vede che sovente abbiamo preso delle greggi, ma non abbiamo mai inferto colpi severi all'avversario, appunto per la persistenza delle condizioni suaccennate . Se dunque la controguerriglia tradizionale non d alcun frutto, bisogna adottare, precisa Badoglio, altri metodi, anche se severissimi o addirittura catastrofici per i libici: Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravit di questo provvedimento, che vorr dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la po-

50

polazione della Cirenaica . Per realizzare il distacco territoriale tra ribelli e sottomessi, prosegue Badoglio, urge far rifluire in uno spazio ristretto tutta la popolazione sottomessa, in modo da poterla adeguatamente sorvegliare ed in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli. Fatto questo, allora si passa all'azione diretta contro i ribelli (12). Cinque giorni dopo aver scritto questa lettera, che provocher la deportazione dal Gebel di 100 mila arabi, Badoglio si incontra con Graziani ed insieme concertano le modalit per effettuare l'operazione, che non ha forse precedenti nella storia dell'Africa moderna. Badoglio non per il solo responsabile di questa infamia (13). Il ministro De Bono sollecitava questa misura estrema da tempo e non ci risulta che Mussolini abbia avuto qualche scrupolo nell'approvarla. Badoglio soltanto il cervello che ha teorizzato i vantaggi della deportazione, l'uomo che ha messo in moto l'ingranaggio letale. E' certo, tuttavia, che egli imbocca la via della repressione pi spietata dopo che il suo doppio gioco stato smascherato da Omar al-Mukhtr. C' indubbiamente, nella sua scelta di un provvedimento che pu condurre, come condurr, allo sterminio di un popolo, un fatto personale, un rancore sordo, che spartir con Graziani. Entrambi non saranno soddisfatti che quando vedranno il corpo del vecchio Omar oscillare appeso alla forca, nella piana di Soluch.
I lager della Sirtica

Il provvedimento di sgombero della Cirenaica non colpisce le popolazioni dell'intero territorio. Ne sono escluse quelle urbanizzate (circa 50 mila persone), quelle stabili intorno ai centri costieri (10-15 mila) e inoltre quelle delle oasi dell'interno (5-10 mila), le prime perch pi fidate, le altre perch facilmente controllabili e comunque lontane dalle regioni dove pi viva la ribellione. Vengono invece deportate tutte le popolazioni nomadi e seminomadi, per un complesso di 90-100 mila persone, a seconda delle stime (14). Deciso il 25 giugno, dopo l'incontro a Bengasi tra Badoglio e Graziani, lo sgombero totale dell'altipiano comincia a compiersi due giorni dopo e il 7 luglio, come apprendiamo da un telegramma di Badoglio a De Bono, in pieno svolgimento senza che Omar al-Mukhtr vi si possa opporre. Scrive Badoglio: Gli Auaghir sono tutti riuniti fra Giardina, Soluch e Ghemines. Ho loro parlato assai severamente ieri mattina. Domani sar ultimato il concentramento dei Braasa, Darsa e Abid fra Tolmeta e Tocra. Marted si inizier lo spostamento degli Abeidat. Questo imponente movimento sar ultimato verso il 20. [...] La raccolta dell'orzo sull'altipiano sar terminata con la fine dei movimenti di concentramento, cosicch nessun indigeno dovr pi trovarsi sull'altipiano, e chiunque sar incontrato sar passato per le armi come ribelle (15). Nella stessa giornata del 7 luglio Badoglio emana il foglio d'ordine n. 151 riservato ai comandanti militari e ai funzionari civili della colonia. Con questo documento, che rivela un linguaggio nuovo, pi scopertamente brutale, Badoglio informa i suoi collaboratori che la popolazione indigena ha accolto il grave provvedimento senza alcuna reazione, anzi con supina obbedienza, come con uguale sentimento aveva subito il ritiro delle armi. Essa ha perfettamente compreso che la forza nelle mani del Governo, non solo, ma che il Governo deciso a qualsiasi estremo provvedimento pur di ottenere l'esecuzione perfetta degli ordini impartiti . Dopo aver raccomandato di esercitare la massima vigilanza intorno ai campi di concentramento che si stanno costituendo, giacch ogni minimo allentamento frustra tutta l'efficacia dei provvedimenti in corso e prolunga la ribellione, Badoglio precisa come si dovr d'ora innanzi combattere l'ultima campagna contro i duar di Omar. Bisogna assolutamente bandire il sistema arabo della sparatoria da lontano , scrive Badoglio. L'avversario va agganciato, va aggredito all'arma bianca. E se riesce a sottrarsi all'accerchiamento, va subito organizzato l'inseguimento, che non deve conoscere limiti ed essere feroce, inesorabile. Deve essere una vera caccia al ribelle nella quale sar redditizio ogni atto della pi sfrenata audacia (16). Tra giugno e luglio viene completata l'evacuazione del primo e del secondo gradino del Gebel, il che provoca il vuoto intorno ad Omar al-Mukhtr, ormai costretto a rifornirsi soltanto in Egitto. Un testimone di questo esodo forzato, Federico Ravagli, lo descrive con versi assai modesti, che hanno il solo intento di perfezionare il mito di Graziani:

D'oltre confine arrivan armi e messi sul Gebel, dove la rivolta ha sede; non son le zavie i templi de la fede, non son fedeli e puri i sottomessi. 51

Genti, alla costa! , disse: e senza ambagi un'immonda migr biblica schiera, sottratta a l'odio ai morbi ed ai contagi. E perch un varco sol non fosse aperto, gett di ferro un'ispida barriera da Solum a le soglie del deserto (17).

Completato il trasferimento delle popolazioni dal Gebel alla costa, Graziani si accorge che il distacco tra sottomessi e ribelli non per completo. Non cessato del tutto, infatti, n il pagamento delle decime, n le fughe dai campi degli uomini validi per riempire i vuoti dei duar. D'accordo con Badoglio, Graziani applica allora misure pi radicali e, fra queste, il trasferimento dei campi di concentramento nel sudbengasino e nella Sirtica, regioni notoriamente fra le pi inospitali. Il paese di el Magrun - riferisce il giornalista Os. Felici - sorto sulla terribile piana riarsa, senza una mica d'ombra, appunto per raccogliere i nomadi. Graziani ha pensato che, a cominciare dal luogo, essi debbono avere la sensazione precisa del castigo (18). Il materiale documentario sulla deportazione delle popolazioni cirenaiche assai scarso e quel poco che finito negli archivi di stato generalmente reticente. Non c'era, in realt, da gloriarsi dell'operazione e questo forse spiega la carenza dei documenti. Per cui non siamo in grado di descrivere il calvario di tutte le trib. Disponiamo soltanto di un'ampia e dettagliata relazione sull'esodo degli Auaghir, grazie alla solerzia del commissario regionale di Bengasi, Egidi. In base a questo rapporto, apprendiamo che il 27 giugno reparti di carabinieri e di ascari eritrei fanno sgomberare i centri di Tocra, di Bersis e di Mebni e ne avviano le popolazioni verso il campo provvisorio di Driana, che dista una cinquantina di chilometri. Dopo una sosta di qualche giorno, il 4 luglio gli Auaghir riprendono la marcia scortati dagli ascari. Sono alcune migliaia, in grande maggioranza donne, bambini e vecchi. Al loro seguito 2 mila cammelli, che trasportano le loro povere masserizie. In coda alla carovana il bestiame della trib, circa 6 mila capi, cio quel poco che si salvato dalle razzie e dalle controrazzie. La carovana segue l'itinerario Driana - Sidi Mansur - Benina en-Nauaghia - Hosc el Ghetaan - Ghemines. Forse duecento chilometri, ma per vie impervie ed in regioni semidesertiche. Sin dai primi giorni di marcia, i pi vecchi e i pi deboli tendono a staccarsi dalla colonna. Ma gli ordini sono severissimi. Si legge nella relazione: Non furono ammessi ritardi durante le tappe. Chi indugiava, veniva immediatamente passato per le armi. Un provvedimento cos draconiano, fu preso per necessit di cose, restie come erano le popolazioni ad abbandonare le loro terre e i loro beni. Anche il bestiame che, per le condizioni fisiche, non era in grado di proseguire la marcia, veniva immediatamente abbattuto dai gregari a cavallo del nucleo irregolare di polizia che avevano il compito di proteggerlo e di custodirlo (19). l percorso fra Driana e Ghemines viene compiuto in dodici giorni. Di questa marcia della morte non sappiamo altro. Nessuno ha tenuto il computo dei ritardatari abbattuti con una fucilata. N il commissario regionale di Bengasi, n i capi della trib degli Auaghir. Comunque la dimensione quella dell'eccidio, come vedremo pi avanti quando cercheremo di fare un po' di conti. Ma il calvario non termina a Ghemines. La destinazione finale Soluch. Altri cento chilometri di deserto, di pene, di cedimenti, di morte. E quando gli Auaghir giungono a destinazione, vengono ammassati in un grande campo circondato da una doppia barriera di filo spinato. Dal quale non usciranno per tre anni. Non diversi debbono essere stati i trasferimenti delle altre popolazioni. Ma il primato della sofferenza spetta senza alcun dubbio agli Abeidat e ai Marmarici, che in pieno inverno sono costretti a compiere una marcia di 1100 chilometri dalla Marmarica alla Sirtica. Gli Abeidat e i Marmarici erano stati concentrati nel campo di Ain el Gazala, nelle vicinanze di Tobruk. Ma non si erano rassegnati, come gli altri, al loro destino ed avevano deciso di defezionare in massa d'accordo con Omar al-Mukhtr che agiva nei dintorni. Il complotto era stato per scoperto nel dicembre del 1930 e sventato. Per punizione Graziani ordina il trasferimento dei 6500 Abeidat e Marmarici nella Sirtica e sceglie, per la marcia che dura alcuni mesi, la stagione pi inclemente. Questo energico provvedimento all'estero fece versare torrenti d'inchiostro e fu condannato come barbaro - scrive Imerio da Castellanza -. Del resto, riflettendo che le genti della Marmarica sono nomadi, una marcia un po' pi lunga non era poi un castigo sproporzionato allo scopo che Graziani voleva ottenere, cio la pacificazione della colonia (20). 52

Vediamo ora dove sono dislocati i campi di concentramento. Secondo una relazione di Graziani del 2 maggio 1931, cio a trasferimento ultimato, risulta che i lager pi importanti sono concentrati nel sudbengasino e nella Sirtica. L'accampamento pi grande quello di Marsa Brega, che raccoglie 21.117 fra Abeidat e Marmarici. Seguono Soluch, con 20.123 Auaghir, Abid, Orfa, Fuacher e Mogrba; Sidi Ahmed el Magrun, con 13.050 tra Braasa e Dorsa; el Agheila, con 10.900 fra Mogrba, Marmarici e parenti dei ribelli in armi; Agedabia, con 10 mila persone, di cui non si specifica la trib; el Abiar, con 3123 Auaghir. Complessivamente, dunque, questi sei lager raccolgono 78.313 cirenaici (2l). Ai quali vanno aggiunti i confinati nei campi minori di Derna (145 tende), di Apollonia (1354), di Barce (538), di Driana (225), di Sidi Chalifa (130), di Suani el Terria (100), di enNufilia (375) e i due di Bengasi, Coefia e Guarscia (245). Calcolando quattro persone per tenda, si hanno altri 12.448 confinati, che portano il totale generale a 90.761 (22). Ma non finita. Bisogna tenere conto delle persone abbattute durante le marce di trasferimento e dei morti nei lager, per denutrizione, malattie e tentativi di fuga, nei primi mesi di prigionia. La cifra totale dei deportati sale cos a non meno di 100 mila. Questa cifra rappresenta esattamente la met degli abitanti della Cirenaica, se teniamo per buono il censimento turco del 1911, che dava una popolazione di 198.300 anime (23). Se si considera che altri 20 mila cirenaici hanno lasciato il paese per rifugiarsi in Egitto, si deve calcolare che soltanto poche decine di migliaia di persone non hanno conosciuto i rigori della deportazione e della detenzione. Rigori che provocano un numero altissimo di decessi. Dalla gi citata relazione del commissario regionale di Bengasi, Egidi, apprendiamo infatti che i reclusi del campo di Soluch scendono, in poco pi di un anno, da 20.123 a 15.830, e quelli di Sidi Ahmed el Magrun da 13.050 a 10.197 (24). Quando le autorit italiane compiono il 21 aprile 1931 il primo vero censimento, condotto con tecniche moderne, scoprono che gli indigeni sono soltanto 142 mila. In venti anni, in altre parole, la popolazione ddla Cirenaica diminuita di circa 60 mila unit: 20 mila per l'esodo verso l'Egitto, 40 mila per i rigori della guerra, della deportazione e della prigionia nei lager. In nessun'altra colonia italiana la repressione ha assunto, come in Cirenaica, i caratteri e le dimensioni di un autentico genocidio (25). Entriamo ora in uno dei lager, quello di Sidi Ahmed el Magrun, ed ascoltiamo ci che ci riferisce un giornalista fascista, Os. Felici, certo non sospetto di simpatia per i reclusi. Il campo ha la forma di castrum romano - scrive -. Ogni lato misura milleduecento metri. Dentro, vi sono otto quadrati, disposti in maniera che, davanti ad ogni gruppo di due di essi, vi altrettanto spazio libero da poter ospitare gli animali. Ogni quadrato conta da quindici a venti file. Tutto numerato e specificato. Si sa cos quali genti ospitino i quadrati, divisi l'uno dall'altro da ampie strade, e le file. Vi il capo del campo, vi sono i capi quadrato, vi sono i capi fila. Tutti, si badi bene, indigeni (26). I tredicimila reclusi di Sidi Ahmed el Magrun vivono in tende, come, del resto, gli abitanti di tutti gli altri campi. Che cosa siano le tende non possibile dire - scrive Os. Felici -. Le vele marinaresche pi provate e rabberciate non avrebbero nulla da invidiare. Le pezze di Arlecchino sono infinitamente minori delle pezze che la donna beduina s'industria ad applicare a queste case del deserto(27). Descritte le abitazioni, Felici si chiede: Come mangia tutta questa gente? Parte di essa tesserata. E la tessera d diritto a ritirare ogni dieci giorni tanto orzo in ragione di mezzo chilo a testa(28). Con razioni cos scarse non si vive. E poich il governo della Cirenaica non intende sobbarcarsi il mantenimento dei reclusi, gli uomini validi vengono impiegati nella costruzione di strade e le donne nella coltivazione di alcuni orti sorti nelle vicinanze dei lager. Altri confinati badano al bestiame e si muovono scortati da reparti di ascari o di carabinieri. Anche negli altri campi le condizioni economiche delle popolazioni sono poverissime ed ogni giorno si combatte per la sopravvivenza. Di questo diffuso malessere c' traccia anche nelle relazioni governative, anche se esse, come ovvio, tendono a celare le vere dimensioni del dramma. Scrive, ad esempio, il commissario regionale di Bengasi: Le condizioni economiche della popolazione di Soluch non sono troppo floride: il predonaggio con le sue razzie ridusse sensibilmente l'ingente numero di bestiame che, specie gli Abid e gli Orfa, avevano. L'allontanamento dalle loro terre, tanto opportuno e necessario per la sicurezza del territorio, ha contribuito, sia pure in misura tenue, a peggiorare le condizioni(29). Ben pi crudeli ed amare sono le testimonianze dei sopravvissuti. Ci davano poco da mangiare - riferisce Reth Belgassem -. Dovevamo cercare di sopravvivere con un pugno di riso o di farina e spesso si era troppo stanchi per lavorare(30). Ricordo la miseria e le botte - racconta a sua volta Mohammed Bechir Seium -. Ogni giorno qualcuno si prendeva la sua razione di botte. E per mangiare ricordo solo un pezzo di pane duro del peso di centocinquanta o al massimo duecento grammi, che doveva bastare per tutto il giorno(31).

53

Pessime anche le condizioni sanitarie dei lager. A Soluch, per ventimila internati, c' soltanto un medico, il quale, per giunta, deve anche badare ai tredicimila reclusi del campo di Sidi Ahmed el Magrun. A Marsa Brega, dove sono confinati ventunomila cirenaici, il servizio sanitario confessa lo stesso Graziani attualmente disimpegnato da un sezione fissa di sanit, che lavora sotto il controllo del medico di Agheilat, che si reca a Marsa Brega un paio di volte per settimana(32). Una vaccinazione antivaiolosa di massa riesce a bloccare questo flagello, ma non altre epidemie. Nel marzo del 1933 il commissario regionale di Bengasi, Egidi, avverte Graziani che a Soluch si sta diffondendo il tifo: A me e al signor direttore di sanit sembra che il periodo di attesa caldeggiato da codesta direzione sia superato: il tifo petecchiale esiste e si estende. Prego codesta onorevole direzione di volermi fornire le istruzioni ed i mezzi necessari per fronteggiare l'epidemia(33). Non bastassero la fame e le epidemie, nei campi i guardiani esercitano ogni sorta di violenze. Racconta Reth Belgassem, recluso ad el Agheila: Le nostre donne dovevano tenere un recipiente nella tenda per fare i loro bisogni. Avevano paura di uscire. Fuori rischiavano di essere prese dagli etiopi (34) o dagli italiani. Non lasciavamo mai sole le nostre donne. Le tenevamo chiuse tutto il tempo anche se l'odio dei guardiani era quasi tutto rivolto agli uomini (35). Un tentativo di fuga, un atto di ribellione, il rientro tardivo nei campi sono quasi sempre puniti con la morte. Le esecuzioni avvenivano sempre verso mezzogiorno in uno spiazzo al centro del campo e gli italiani portavano tutta la gente a guardare - riferisce Reth Belgassem -. Ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli(36). Ogni giorno uscivano da el Agheila cinquanta cadaveri - racconta Salem Omran Abu Shabur -. Venivano sepolti in fosse comuni. Cinquanta cadaveri al giorno, tutti i giorni. Li contavamo sempre. Gente che veniva uccisa. Gente impiccata o fucilata. O persone che morivano di fame o di malattia(37). Di questa tragica realt poco trapela in Italia, dove, del resto, si hanno scarse notizie anche sulla guerra libica, che si trascina, dimenticata, da vent'anni. E quel poco che trapela passa attraverso il filtro severo della censura o viene deformato dagli organi della propaganda. Cos, per L'Oltremare, il campo di Soluch una specie di paradiso dove fioriscono l'ordine e una disciplina perfetti e dove regna ovunque l'igiene e la pulizia(38). Anche per Giuseppe Bedendo, il cantore delle gesta di Graziani, i lager sono istituzioni benefiche, per le quali il vicegovernatore non ha proprio nulla da vergognarsi, al contrario:

J dette da magna, tutto j dette, medichi, medicine, garze, benne, j dette stoffe p fasse le tenne e j sped financo le ricette.
Era concentramento, era galera? Quello ch' fatto, no, nun era abbuso! (39).

E pazienza che questi giudizi vengano espressi durante il fascismo. Ma anche dopo il crollo della dittatura c' chi, come il generale Canevari, scrive: Noi non abbiamo mai creato 'campi di concentramento ' in Cirenaica, ma solo delle ' riserve ' in campi splendidamente sistemati e forniti di tutto il necessario, dalle tende di lana di cammello nuove agli impianti igienici, ai servizi idrici, ecc. In tal modo il governo italiano sottraeva i ' sottomessi ' al tremendo dilemma: o rifornire i ribelli o cadere sotto le loro vendette, e perci li salvava anche dalle conseguenze dei loro atti. [...] Dopo la permanenza negli accampamenti preparati da Graziani, le popolazioni della Cirenaica tornarono alle loro terre di coltivazione e di pascolo rinnovate dalla scienza e dalla scuola(40). Le scuole e i collegi per i bambini abbandonati sono appunto indicati dalla storiografia fascista come un innegabile titolo di merito. Nel collegio di Soluch, ad esempio, sono stati raccolti 375 ragazzi e 125 ragazze. Secondo il commissario Egidi, essi fruiscono di un vitto speciale , costituito da t e pane al mattino; una minestra a mezzogiorno e un pezzo di pane alla sera; due volte alla settimana un pezzo di carne (41). E' pochissimo, ma sempre di pi di quello che ottengono gli adulti nei campi. Inoltre i maschi ricevono lezioni pratiche di agricoltura, mentre le ragazze seguono corsi di taglio e cucito. Come marciano e sfilano! osserva Os. Felici in visita al collegio E come i loro esercizi sono perfetti! Perfetti tanto, da parere quasi meccanici. Nel saluto, nell'andatura, essi hanno un non so che di lievemente caricaturale, come se, pi dello spirito, fossero persuasi della forma di ci che imparano. Ma quale materia di soldati non in questi ragaz54

zi?(42). Ce n' molta, infatti. Graziani il primo ad accorgersene. E subito moltiplica questi collegi sino a costituirne una dozzina, con 2800 elementi. E saranno i migliori serbatoi di volontari per i battaglioni libici in via di ricostituzione. Orfani di ribelli, segregati in collegicaserme agli ordini di severissimi sottufficiali dell'esercito italiano, in pochi anni essi perdono ogni legame affettivo e culturale con il Gebel che li ha generati. Come pazze marionette, essi si esibiscono in perfetti esercizi ginnici davanti alle autorit e cantano, tra gli altri inni del regime, due preghiere, I'una dedicata al re, l'altra al duce. La prima dice: Il nostro Re si chiama Vittorio Emanuele. E' chiamato anche il Re Vittorioso, perch egli il capo dell'Esercito che ha vinto i nemici d'Italia. Egli molto sapiente, coraggioso, buono. Durante la grande guerra egli fu alla fronte con i suoi soldati e non ebbe mai paura. Egli vuole bene al suo popolo, lo aiuta nei suoi bisogni e lo consola nelle sue sventure. Emanuele vuol dire 'mandato da Dio' e il nostro Re venne proprio mandato da Dio per far grande l'Italia . Quella dedicata al duce, dice: S. E. Mussolini il grande Capo, il nostro Duce. Duce chi guida, chi va avanti per insegnare la strada buona. [...] Ha dato a noi la coscienza del nostro destino, l'orgoglio di essere figli d'Italia. Signore, noi ti preghiamo, proteggilo tu!(43). Ancora ieri seguivano trotterellando il cavallo del padre ribelle tra le forre e le foreste del Gebel. Oggi, di colpo, sono diventati figli d'Italia. E sembrano orgogliosi di esserlo. Di pregare devotamente per il Re e il Duce. Di essere uguali, o quasi, agli altri ragazzi della penisola, che cantano le stesse canzoni, che pregano per gli stessi semidei. Hanno tra i 9 e i 15 anni. Quasi nessuno stato alla scuola coranica. Sono lavagne pulite sulle quali si pu scrivere di tutto. Di l a quattro anni, sufficientemente indottrinati, i pi grandicelli sceglieranno con gioia la carriera militare e finiranno in Etiopia, con la divisione Libia. Saranno delle perfette macchine da combattimento. Dei perfetti galli assassini. Da Gianagob a Dagahbur non faranno un solo prigioniero (44). Mentre i ragazzi imparano ad uccidere, gli adulti, nei campi, ricevono, con il sussidio di minacce e di botte, un solo insegnamento: quello di sollevare il braccio nel saluto romano. E lo fanno di continuo, come tanti automi. Os. Felici ne tanto meravigliato e sconvolto, che scrive: Saluti, saluti. E' tutto un sollevamento di braccia nell'atto del saluto romano. Non ho mai veduto tanti, tanti saluti. Chi siede, si alza e saluta. Ora che scrivo, ho dinanzi agli occhi come una selva di braccia levate, tutte protese nel saluto romano(45). Dopo aver costruito questo universo concentrazionario, che Marie Edith De Bonneuil definisce visione da incubo (46), nonostante la sua sconfinata ammirazione per il fascismo, Graziani si accorge che, malgrado le misure radicali che ha adottato, Omar al-Mukhtr continua a ricevere le decime, seppure in misura minore. La sua attenzione si appunta perci sui notabili della Cirenaica sospetti di conservare legami con la Senussia e il 6 novembre 1930 ordina l'arresto di 120 capi e il loro internamento nel campo di Benina. Nel comunicare a Badoglio la sua decisione, Graziani dice: Le popolazioni potranno cos essere realmente governate senza capi e con la diretta influenza dei commissari, a fianco dei quali saranno messi dei mudir, che cercher di trovare tra i vecchi sciumbasci dei battaglioni libici e zapti(47). Qualche mese dopo, nel maggio del 1931, a repressione quasi ultimata, Graziani rivela tutta la sua soddisfazione in un documento riservato al ministro De Bono. I campi sono ormai sulla via della definitiva sistemazione, scrive e mentre assicurano l'eliminazione della connivenza dei sottomessi con i ribelli, preparano per il prossimo domani una popolazione pi docile ed abituata al lavoro, che sicuramente si attaccher per ragioni di interesse ai nuovi territori nei quali stata trasferita, perdendo l'abitudine al nomadismo e acquistando i gusti e le esigenze delle popolazioni sedentarie, sulle quali necessariamente deve fondarsi e svilupparsi il programma di pacificazione e valorizzazione della Cirenaica(48). La reclusione nei campi durer mediamente tre anni. Gli ultimi lager saranno sciolti nel settembre del 1933. Dei centomila che erano partiti dal Gebel, ne torneranno a casa sessantamila. Forse di meno.
Si va a Cufra

La creazione dei campi di concentramento e la loro dislocazione lontano dal Gebel, due fatti che provocano la cessazione del finanziamento locale della ribellione, pongono Omar al-Mukhtr in una situazione di estrema difficolt. A partire dal luglio del 1930 sempre pi frequenti sono infatti i suoi appelli a Mohammed Idris ed ai fuorusciti libici che vivono in Egitto. Ma il loro aiuto scarso e comunque insufficiente a mantenere in armi i duar di Omar, anche se i loro effettivi sono stati drasticamente ridotti. Il colonnello Nasi li valuta, in questo periodo, tra i 500 e i 600, e soggiunge: Il profano, o comunque l'osservatore superficiale, non pu non chiedersi come mai 13 mila uomini non riescano, in quattro e quattr'otto, a farne fuori 500. A questa semplicistica domanda conviene rispondere altrettanto semplicemente: appunto perch sono solo

55

500 ribelli, dispersi, per, in un territorio grande due volte l'Italia. [ ... ] Il nemico principale non qui il ribelle, l'immensit del territorio, la mancanza di strade. In taluni scacchieri la sete: ecco il solo, grande nemico(49). Colpita alla radice, l'organizzazione ribelle deve modificare la propria struttura e la propria tattica. Omar infatti costretto a frazionare i duar, a spostarli di continuo, a tenere le sue forze in potenza senza mai impegnarle seriamente. Come giustamente fa osservare Nasi, da tempo Omar ha abbandonato la speranza di poter ricacciare gli italiani alla costa e non intende altro che dimostrare al mondo che capace di mantenere in Cirenaica uno stato di brigantaggio per il quale la vita normale non possibile e confida che noi si debba, ancora una volta, scendere a patti (50). A rendergli la vita difficile da luglio Graziani gli mette alle calcagna Giuseppe Malta, uno dei giovani colonnelli che pi si sono distinti nella controguerriglia in Tripolitania. Affiancato dai tenenti colonnelli Piatti e Marone, dai maggiori Lorenzini e Ragazzi e dall'ex capitano turco Akif Msek, Malta non d tregua ai ribelli per tutta l'estate e l'autunno del 1930, battendoli l'8 ottobre all'uadi esSnia, qualche giorno dopo a Bir Zeitun e il 2 novembre a Caf el Telem (51). Le perdite dei ribelli in questi scontri, un centinaio, non sono altissime, ma oramai non ci sono pi a portata di mano i sottomessi a fornire i rimpiazzi. Per rincuorare i suoi uomini, Omar fa circolare la notizia che i Sef en-Nasser sono in arrivo da Cufra con 500 uomini. Ma a questa storia non crede nessuno. Omar irrimediabilmente solo, con la sua fede, la sua ostinazione, i suoi duar che ogni giorno che passa si vanno assottigliando. Badoglio aveva previsto questa lenta agonia e il 9 settembre 1930 invia a Graziani questo caloroso plauso: Dal rapporto settimanale vedo che la caccia ai beduini continua con risultati notevoli e che i rifornimenti dal confine si fanno sempre pi difficili (52). La linea, dunque, quella buona. Occorre che tutti si convincano che la nostra divisa attualmente: ' non mollare '. Sar questione di tempo, ma questa volta la ribellione si esaurir. Bravo Graziani, continui! (53). Mentre Graziani non d tregua ad Omar al-Mukhtr, Abd el Gelil Sef en-Nasser e Saleh el Atusc, che si sono rifugiati nell'oasi di Taizerbo, cercano di dare una mano ad Omar compiendo frequenti scorrerie nel sudcirenaico tra la Sirtica e le oasi di Gialo. L'11 giugno, ad esempio, una quarantina di Mogrba e di Zueia, comandati dal figlio di Saleh el Atusc, si impadronisce a Sneiah Hamed di 200 cammelli. Il 3 luglio, a Udeiat el Hod, una ventina di Mogrba al comando di Abd Rabba el Goder compie una nuova razzia. Ma sono missioni suicide, perch sulle oasi di Gialo veglia il colonnello Maletti, che si creato una fama per i suoi inseguimenti celeri ed implacabili. Comunque Graziani non sopporta neppure questi colpi di spillo e medita subito un'adeguata rappresaglia. Come obiettivo sceglie Taizerbo, una grande oasi a 250 chilometri a nordovest di Cufra, dove convinto si siano concentrati tutti i ribelli fuggiti dalla Tripolitania. I1 31 luglio quattro apparecchi Romeo, al comando del tenente colonnello Roberto Lordi, partono da Gialo e puntano sulla lontana Taizerbo. Giunti sull'oasi, che comprende una decina di nuclei abitati, gli aerei lasciano cadere il loro carico, costituito da 24 bombe da 21 chili ad iprite, da 12 bombe da 12 chili con esplosivo e da 320 bombe da 2 chili. La stampa italiana d molto rilievo al micidiale bombardamento (54), ma tace, ancora una volta, sull'impiego dei gas, che hanno causato nell'oasi morti ed un indescrivibile panico. Sugli effetti del bombardamento abbiamo la testimonianza di un libico raccolta il 13 novembre 1930 dal comandante della tenenza dei carabinieri di el Agheila, Vincenzo Cassone, ed inviata a Roma dal tenente colonnello Lordi. Essa dice: Come da incarico avuto dal signor comandante l'aviazione della Cirenaica, ieri ho interrogato il ribelle Mohammed bu Ali, Zueia di Cufra, circa gli effetti prodotti dal bombardamento effettuato a Taizerbo. Il predetto, proveniente da Cufra, arriv a Taizerbo parecchi giorni dopo il bombardamento e seppe che quali conseguenze immediate vi furono quattro morti. Moltissimi infermi invece vide colpiti dai gas. Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto di piaghe come provocate da forti bruciature. Riesce a specificare che in un primo tempo il corpo dei colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche giorno si rompevano con fuoruscita di liquido incolore. Rimaneva cosi la carne viva priva di pelle, piagata(55). In seguito al bombardamento, Abd el Gelli Sef en-Nasser e Saleh el Atusc, con i loro uomini, si ritirano su Cufra, decisi a giocare nell'oasi la loro ultima carta prima di sconfinare in Egitto. Ma anche per Cufra i giorni sono contati. Gi il 16 maggio Badoglio aveva scritto a De Bono: Cufra sta diventando il centro di raccolta di tutto il fuoruscitismo libico. Essa inoltre resta ancora a segnare il dominio temporale della Senussia in casa nostra. Pi si ritarda l'occupazione e pi la situazione diventer grave. Io rivolgo viva preghiera a V. E. affinch voglia insistere presso il Capo del Governo per avere lo stanziamento occorrente. Occorrono sei

56

milioni. Quando si pensi a quello che costata l'occupazione di Giarabub, si deve concludere che la mia richiesta molto parsimoniosa (56). In attesa del finanziamento, Graziani fa bombardare anche Cufra. Il 26 agosto quattro Romeo si portano infatti sul grande arcipelago di oasi e, come riferisce Graziani, due apparecchi bombardarono el Giof, altri due et-Tat, producendo visibilissimo effetto. Molte case crollarono. Fu lanciata oltre mezza tonnellata di esplosivo. Successive informazioni dettero che le perdite subite dalla popolazione non furono gravi, ma il panico invase tutti, compresi i capi, i quali capirono come il cerchio si incominciasse a stringere intorno a loro (57). Un paio di settimane dopo, il 9 settembre, De Bono torna alla carica con Mussolini per ottenere i sei milioni necessari all'impresa e cos giustifica la richiesta: Cufra ha assunto, in questo momento, una particolare importanza quale vero e proprio centro dei traffici che mantengono in vita la ribellione in Cirenaica. A Cufra, poi, risiedono, e naturalmente operano, esponenti importanti non soltanto del senussismo cirenaico, ma anche dell'ormai stroncata ribellione tripolitana. [...] Chiedo pertanto a V. E. il consenso per eseguire questa operazione militare, che non presenta rischi e difficolt, se non dal punto di vista logistico, ma che ha importanza notevolissima per la soluzione dell'annosa questione cirenaica (58). Qualche giorno dopo Mussolini accorda il suo consenso e subito ha inizio la preparazione dell'impresa, che dura cento giorni e viene affidata al generale Ronchetti, al quale tocca risolvere un problema logistico mai prima di allora affrontato nel deserto. Per rifornire le tre colonne che convergeranno su Cufra egli deve provvedere al trasporto, con autocarri e cammelli, di ben 20 mila quintali tra viveri, carburanti, lubrificanti, munizioni e materiali vari. La prima operazione che Ronchetti deve compiere, intanto, quella di riconoscere il terreno. Egli fa perci compiere alcune ricognizioni dell'itinerario Gialo - Bir Zighen e del percorso Uau el Chebir - Uau en-Hamus - Taizerbo. In base ai dati raccolti, si accerta che la colonna principale, che partir da Agedabia, avr davanti a s un terreno facile, camionabile, per 640 chilometri, fino ai pozzi di Bir Zighen. Gli ultimi 180 chilometri, invece, presentano maggiori difficolt perch al piatto serir si sostituisce una barriera di dune mobili. Anche le altre due colonne, che partono rispettivamente da Zella e da Uau el Chebir, dovranno compiere un percorso difficile, ma comunque praticabile. A preparazione ultimata, il corpo di spedizione risulta composto da 654 nazionali (ufficiali, sottufficiali e truppa) e da 3321 ascari, con 378 automezzi, una sezione di autoblindate, 7 mila cammelli, 3 cannoni, 70 mitragliatrici e 25 aerei da ricognizione e da bombardamento. Una forza almeno dieci volte superiore a quella dell'avversario. A Cufra, intanto, si attende con comprensibile inquietudine l'imminente attacco italiano. La preoccupazione tanto pi viva in quanto nella citt santa del senussismo non c' la concordia. Scems ed-Din, che fa parte della famiglia senussita essendo figlio di Ali el Chattabi, contrario alla resistenza e vorrebbe andarsene in Egitto con tutta la popolazione delle oasi. Contrari a questa decisione sono invece il capo locale degli Zueia, Abd el Hamid bu Matari, i capi dei Mogrba Saleh el Atusc e Rhmed bu Sceaeb e il capo degli Ulad SuIeiman Abd el Gelil Sef en-Nasser. Insieme essi possono disporre di una mehalla forte di 600 uomini, con una buona dotazione di armi moderne ed un abbondante munizionamento. Essi sono perci decisi di dare combattimento agli italiani alle porte di Cufra, contando sul loro affaticamento dopo il difficile percorso fra le dune mobili. A rinfrancarli nella loro determinazione, in dicembre giunge a Cufra un messo latore di una lettera di Ahmed esh-Sherf con la quale egli investe dei pieni poteri Saleh el Atusc e Abd el Gelil Sef enNasser. Questo intervento dell'ex Gran Senusso tronca il di verbio. Scems ed-Din, con alcuni ikhun, prende la strada dell'Egitto. Gli altri capi si preparano a resistere sbarrando le strade di accesso a Cufra (59). Il 20 dicembre 1930 la colonna principale del corpo di spedizione, che comprende i reparti del tenente colonnello Maletti e dei maggiori Lorenzini e Rolle, lascia Agedabia per Gialo, dove giunge, a scaglioni, tra il 22 e il 27. Una furiosa tempesta di sabbia, che danneggia autocarri e autoblinde, provoca un ritardo di tre giorni, cosicch la colonna non sar pronta a ripartire, dopo la revisione delle macchine, che il 31 dicembre. II 9 gennaio ai pozzi di Bir Zighen, mentre le colonne secondarie, partite da Zella e da Uau el Chebir, raggiungono Taizerbo I'11 gennaio. Commentando questo secondo sbalzo, Graziani pu con orgoglio sostenere che il corpo di spedizione in 10 giorni attravers, con marcia ammirevole per regolarit e disciplina, i 400 km di desolato serir che separano Gialo da Bir Zighen senza lasciare indietro, nel lungo e non facile percorso, n un uomo, n una macchina. La perdita si ridusse ad un centinaio di cammelli (60). Il 12 gennaio 1931 Graziani si trasferisce in volo da Bengasi a Bir Zighen per assumere l'effettiva direzione delle operazioni nella fase conclusiva dell'impresa. Due giorni dopo viene ripresa l'avanzata verso sud. La colonna Maletti, partita da Bir Zighen, e la colonna Campini, che si mossa da Taizerbo, marciano su itinerari mano a mano convergenti e vengono mantenute in contatto dagli aerei. AlI'alba del 19 gennaio, mentre sono in vista delle prime oasi di Cufra, il loro distacco quasi annullato. Qualche ora dopo, verso le 10, uno

57

degli aerei in servizio di collegamento avvista la mehalla ribelle, che si attestata sul margine settentrionale dell'oasi di el Hauuari, arroccandosi su alcune colline. II combattimento si accende subito furioso. Maletti cerca di prendere la mehalla tra due fuochi. I ribelli, dal canto loro, applicando la loro tattica tradizionale, si aprono a ventaglio e cercano di avvolgere le ali dello schieramento avversario. Ma troppo grande la sproporzione tra le forze in campo. Dopo due ore di aspri combattimenti i ribelli sono costretti a cedere e si ritirano prima nell'oasi di el Hauuari, dove tentano ancora una breve resistenza, poi verso le oasi maggiori di et-Tag e di el Giof. Ma oramai la loro una fuga disordinata che, come vedremo, non si arrester che in Egitto o nel Tibesti. Sul terreno hanno lasciato un centinaio di morti, tra i quali il capo degli Zueia, Abd el Hamid bu Matari. Da parte italiana, due ufficiali e due ascari morti e 16 feriti (61). Subito dopo ha inizio l'inseguimento dei ribelli, sia da parte di reparti cammellati che dell'aviazione. In questo implacabile inseguimento, condotto per giorni e giorni e in tutte le direzioni, poich i ribelli e le loro famiglie si sono frazionati, si completa la strage dei difensori di Cufra. Graziani parla di altri 100 uccisi, di 14 passati per le armi e di 250 prigionieri, compresi le donne e i bambini. Ma il bilancio complessivo molto pi alto. Micidiale, come sempre, l'aviazione, che parte alla caccia con 25 apparecchi. Scrive uno dei piloti, Vincenzo Biani: Partiti all'alba da Bir Zighen, gli apparecchi riconoscono sul terreno le piste dei ribelli in fuga e le seguono, finch giungono sopra gli uomini; le bombe hanno scarso effetto dato che il bersaglio estremamente diluito, ma le mitragliatrici fanno sempre buona caccia; mirano ad un uomo e lo fermano per sempre, puntano un gruppo di cammelli e li abbattono. [...] II gioco continua per tutta la giornata; il giorno dopo si ripete; il terzo giorno anche; tutte le possibili vie di ritirata sono esplorate e battute fino alla distanza di trecento chilometri, fino a quando cio si pu avvistare l'ultimo fuggiasco. Le carovaniere della sperata salvezza diventano un cimitero di morti abbandonati, che nessuno penser mai a sotterrare (62). Mentre Graziani e Badoglio (giunto in volo da Tripoli) festeggiano a Cufra il loro successo (63), gli scampati al combattimento di el Hauuari e al successivo inseguimento si dirigono in gran parte verso il confine egiziano, gli altri verso il Tibesti e il Borcu. Saleh el Atusc, con i suoi uomini e le loro famiglie, raggiunge el Auenat, l'ultima oasi con buona acqua in territorio libico, e pi tardi i pozzi di el Merga. Da questo momento, mal consigliato da una guida infida, Saleh el Atusc, con la sua gente, sbaglia cammino e comincia ad errare nel deserto alla disperata ricerca di acqua e di cibo. Vaga per 70 giorni cercando invano l'accampamento di nomadi che gli era stato segnalato. Nel frattempo racconta macellavamo i pochi cammelli rimastici per estrarre dalla loro vescica quel poco di liquido che vi si trovava, liquido che distribuivamo ai pi assetati per salvarli da una morte sicura. Ben 170 persone hanno trovato la morte per la sete ed i superstiti sarebbero certamente morti se la provvidenza non ci avesse assistiti nell'avviarci in una localit dove trovammo un sacco di farina, uno di zucchero e the (64). Avvistati finalmente da una pattuglia di soldati inglesi, i ribelli vengono disarmati e avviati al posto di frontiera di Bu Mungar. In seguito vengono trasferiti in autocarro, su loro richiesta, nella valle del Mio, a el Minya, dove si accampano nella propriet di Ali bey el Masti, grande protettore dei libici fuorusciti. Dal nostro arrivo in questa localit, riferisce ancora Saleh el Atusc altre 17 persone hanno trovato la morte per forti diarree provocate indubbiamente dall'abbondanza del vitto consumato dopo un cos lungo periodo di completa privazione (65). Meno tragica, invece, la peregrinazione di Abd el Gelil Sef en-Nasser e della sua gente. Anch'essi toccano i pozzi di el Auenat e di el Merga e poi si perdono nel deserto al confine tra l'Egitto e il Sudan. Ma il loro incubo dura poco, perch vengono subito rintracciati dalle pattuglie anglo-egiziane ed avviati anch'essi a el Minya (66). La notizia che la citt santa di Cufra caduta nelle mani di Graziani e che i suoi difensori sono stati in gran parte massacrati riempie di dolore e di sdegno le popolazioni del mondo islamico. Il 9 febbraio 1931 il grande quotidiano del Cairo AlAhrm pubblica un articolo dal titolo I martiri della fede, nel quale si afferma, tra l'altro: Il bilancio italiano sar forse arricchito dal denaro che produrranno i beni confiscati ai senussiti, ma l'onore conta pi del denaro ed pi caro dei propri figli (67). La Nation Arabe, dal canto suo, scrive: Noi chiediamo ai signori italiani [...], i quali ora si gloriano di aver catturato cento donne e bambini appartenenti alle poche centinaia di abitanti male armati di Cufra che hanno resistito alla colonna occupante: ' Che cosa c'entra tutto ci con la civilt? ' Nei tempi moderni non sono consentiti questi metodi medioevali e certo essi non rialzeranno il prestigio del fascismo e dell'Italia agli occhi del mondo (68). In Cirenaica l'occupazione di Cufra produce un'impressione ancora pi profonda. Lo stesso Graziani ammette che gli indigeni l'hanno vista con animo addolorato per il carattere squisitamente mistico che quel-

58

l'oasi conservava. Graziani avanza anche l'ipotesi che la perdita di Cufra potrebbe rinfocolare anzich affievolire lo spirito religioso che infiamma i combattenti del Gebel, tesi in un'ultima volont di resistenza pur di mantenere alto il simbolo senussita. Egli anche convinto che ora gli aiuti dall'Egitto si riverseranno in misura maggiore sul Gebel, proprio per mantenere viva la rivolta nell'ultimo lembo di Cirenaica libera. E conclude il suo dispaccio a Badoglio dicendo: Mi compete perci il dovere di reagire subito a qualsiasi senso di ottimismo possa ingenerarsi nei riguardi delle conseguenze della recente occupazione che, a mio parere, rimarranno circoscritte ad un fatto locale, se pur di indubbio valore morale (69). NOTE (1) Il primo cenno all'esproprio delle zavie contenuto in una lettera di Federzoni a Teruzzi del 15 giugno 1928. Il ministro chiedeva al governatore di presentargli un progetto per l'indemaniamento dei beni delle zavie e lo pregava di togliere all'indemaniamento il carattere di provvedimento preso in odio alla religione (ASMAI, Libia, pos. 150/7, f. 16. Lettera n. 5179). Di studiare il problema veniva dato l'incarico al capo dell'Ufficio fondiario, il giudice Adolfo Fantoni. Si vedano i suoi rapporti: Relazione e schema di decreto circa l'acquisizione delle terre al patrimonio della colonia al fine della colonizzazione, Bengasi, 28 novembre 1928, n. prof. 1019; La natura giuridica degli auqaf delle zavie senussite della Cirenaica, Bengasi, 11 agosto 1930, n. prof. 8825 (in DLPA). 2 ASMAI, Libia, pos. 150/7, f. 16. Lettera n. 10891 del 19 agosto 1930. 3 Fatta eccezione per la zavia di Giarabub, poich la localit era riconosciuta luogo santo anche da molti musulmani che non aderivano alla setta della Senussia. Le zavie erano 49, cos distribuite: 3 nella zona di Bengasi, 2 a el Abiar, 2 a Soluch, 8 a Barce, 6 ad Agedabia, 7 a Cirene, 11 a Derna 4 a Tobruk, 1 a Giarabub e 5 a Cufra. 4 Insieme ai capi zavia fu confinato anche Hassan erRid, sulla cui fedelt Graziani nutriva molti dubbi (ASMAI, Libia, pos. 150/8, f. 25. Tel. 2968 del 17 agosto 1930). 5 Cit. in R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., p. 126. 6 ASMAI, Libia, pos. 150/8, f. 29. Graziani a Badoglio, tel. 2055 del 5 giugno 1930. 7 Ivi, pos. 150/7, f. 15. Fernando Valenzi, Relazione sull'accertamento del patrimonio delle zavie senussite in Cirenaica, 14 aprile 1931. 8 Ivi, pos. 150/8, f. 25. Lettera n. 2230. 9 Ivi, pos. 150/7, f. 16. Allegato ad una lettera di Graziani a Badoglio, n. 2143, del 7 giugno 1930. 10 Ibidem. L'incarico di predisporre l'accertamento del patrimonio delle zavie e il loro assorbimento da parte del demanio della colonia fu affidato al consigliere di Corte d'Appello Fernando Valenzi. 11 R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., p. 149. 12 ACS, Carte Graziani, b. 1, f. 2, sottof. 2. 13 Il 1 luglio 1930 Badoglio inviava a De Bono una lunga relazione con la quale lo metteva al corrente delle decisioni che aveva preso riguardo la deportazione degli indigeni. In questo documento, che ripete ed amplia le considerazioni fatte nella lettera a Graziani del 20 giugno, Badoglio, tra l'altro, tracciava un ritratto di Omar al-Mukhtr particolarmente positivo: La ribellione si impernia su di un uomo che gode di un'autorit e di un prestigio assoluti. Omar al-Mukhtr non divide il suo potere con alcuno. Ha solo luogotenenti devoti e disciplinati. Non quindi possibile adoperare il solito sistema di incunearsi tra le gelosie, le rivalit, gli odi, che sempre esistono quando vi sono capi diversi. In tutti i momenti ed in ogni circostanza la sola sua ferma volont detta legge. E' abilissimo come comandante e come organizzatore (ACS, Carte Graziani, b. 1, f. 2, sottof. 2). 14 Per un accurato studio sulle deportazioni e la vita nei lager, si veda G. Rochat, La repressione della resistenza in Cirenaica, cit., pp. 15589. 15 ASMAI, Libia, pos. 150/21, f. 90. Tel. 146, riservatissirno personale. 16 Ivi, pos. 150/22, f. 98. 17 F. Ravagli, Alba d'impero, cit., p. 59. 18 Os, Felici, Terra nostra di Cirenaica, Sindacato italiano arti grafiche Roma 1932, pp. 4344.

59

19 ASMAI, vol. V, Inventari e supplementi, pacco 5. Commissariato regionale di Bengasi, Relazione sugli accampamenti, 28 luglio 1932, p. 4. 20 Imerio da Castellanza, Orizzonti d'oltremare, Berruti, Torino 1940, pp. 13334. 21 ASMAI, Libia, pos. 150/22, f. 98. Graziani a De Bono, rapporto n. 1058 del 2 maggio 1931. 22 R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., cartina annessa alla p. 104. 23 Secondo uno studio eseguito dal colonnello Enrico De Agostini nel 1922-23, gli abitanti della Cirenaica erano 185.400. EvansPritchard dava una cifra leggermente superiore, che si avvicinava a quella del censimento turco. Secondo un'altra valutazione (Annuario statistico italiano 1928), gli abitanti erano 225.000. 24 Relazione sugli accampamenti, cit., pp. 13 e 24. 25 Lo stesso flagello si abbatt sul bestiame, che era la principale risorsa della Cirenaica. Rochat calcola che perirono il 90/95 per cento degli ovini, caprini e cavalli e l'80 per cento dei bovini e dei cammelli (G. Rochat, La repressione della resistenza in Cirenaica, cit., p. 161). Uno dei rari funzionari che cerc di contenere la furia distruttrice di Graziani fu il commissario Giuseppe Daodiace. Nel chiederne il rimpatrio, Graziani cos scriveva al MAI: La forma mentis del dottor Daodiace era inveterata nei vecchi sistemi ed egli stato sempre da me violentato perch seguisse i nuovi. Mai naturalmente ho detto quale sforzo mi sia costato incanalare la volont del funzionario in questione ai metodi nuovi da me attuati e da lui non approvati. Che io non li approvassi - scriveva Daodiace a Brusasca il 7 gennaio 1951 - risulta dalle tante e ripetute mie proteste, scritte ed orali, per il fatto che non si facevano mai prigionieri in occasione di scontri fra le nostre truppe e i ribelli e si fucilavano anche donne e bambini. Non posso precisare in che anno, un gruppo di zapti, ai quali era stato ordinato la fucilazione di 36 fra donne e bambini di un attendamento, si present a me per protestare, facendomi conoscere che se fosse loro stato impartito nuovamente un ordine consimile avrebbero preferito disertare (AB, b. 44, f. 236). 26 Os. Felici, op. cit., p. 44. L'autore fa intendere che si trattava di guardiani estratti dalla stessa popolazione di reclusi. Ma non era cos. Si trattava invece di libici che gi avevano servito come ascari nell'esercito italiano. 27 Ivi, p. 45. 28 Ibidem. 29 Relazione sugli accampamenti cit., p. 20. 30 E. Salerno, Genocidio in Libia, SugarCo, Milano 1979 p. 90. 31 Ivi, p. 99. 32 ASMAI, Libia, pos. 150/22, f. 98. Graziani a De Bono, rapporto 33 ACS, Carte Graziani, b. 4, f. 8, sottof. 8. Relazione di Egidi al Governo della Cirenaica, 6 marzo 1933. Migliaia di detenuti furono colpiti anche da deperimento organico, da oligoemie, da dissenteria bacillare e da elmintiasi. 34 Il testimone allude agli ascari reclutati in Africa Orientale. Tra di essi, infatti, numerosi erano gli etiopici delle regioni settentrionali. 35 E. Salerno, op. cit., p. 91. 36 Ivi p. 90. 37 Ivi p.95 38 L'Oltremare, n. 4, aprile 1931, p. 151. 39 G. Bedendo, Le gesta e la politica del generale Graziani, Edizioni generali CESA, Roma 1936, p. 196. 40 E. Canevari, op. cit., pp. 33435. Ma il resoconto pi reticente ed avvilente sui campi quello di Giuseppe Bucco e Angelo Natoli, autori di L'organizzazione sanitaria nell'Africa Italiana, della serie L'Italia in Africa, edito nel 1965 dal ministero degli Affari Esteri. Gli autori non accennano mai ai campi di concentramento, ma li gabellano come attendamenti spontanei. Si legga, ad esempio, che cosa scrivono del famigerato lager di Soluch (p. 316): La maggior parte degli Auaghir transumanti viveva, prima di raccogliersi nella zona di Soluch, nelle zone carsiche e boscose del Gebel. Il corsivo nostro.

60

41 Relazione sugli accampamenti, cit., pp. 2122. 42 Os, Felici, op. c., p. 47. 43 Ivi, pp. 4849. 44 A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell'impero, cit., pot 66680. 45 05. Felici, op. cit., pp. 4445. 46 L'Illustration, 4 novembre 1933: Vers la farouche Senoussi, p.312. 47 ASMAI, Libia, pos. 150/22, f. 98. 3D. 3912 del 4 novembre 1930 Nello stesso telegramma Graziani consigliava di non inviare i nuovi arrestati ad Ustica, perch l'isola, gi zeppa di deportati libici, rischiava di diventare un covo di intrighi. 48 Ivi. Rapporto n. 1058, cit. 49 Guglielmo C. Nasi, La guerriglia e l'impiego delle truppe in Cirenaica, in Governo della Cirenaica, Organizzazione marciante, Pavone, Bengasi 1931 p. 56. 50 Ivi, p. 57. 51 In uno di questi scontri cadeva Fadil bu Omar, luogotenente di Omar al-Mukhtr e suo consigliere pi ascoltato. 52 Il traffico con l'Egitto si svolgeva in questo modo. I ribelli conducevano il bestiame razziato o di loro propriet verso il confine e, qui giunti, barattavano con i contrabbandieri oppure con fuorusciti libici il loro bestiame in cambio di t, tabacco, farina, indumenti, armi e munizioni. Ad un dato momento, il ministro italiano al Cairo, Cantalupo, avvert Graziani che, da notizie in suo possesso, alcuni contrabbandieri sbarcavano viveri ed armi sulla costa della Cirenaica. Graziani promosse un'indagine, per poi affermare che la notizia era falsa (ASMAE, Libia, b. 5, f. 6). 53 Cit. in Luigi Goglia, Fabio Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all'impero, Laterza RomaBari 1981, p. 352. 54 Si veda, ad esempio, Sandro Sandri, L'esplorazione e il bombardamento di Cufra Gazzetta del Popolo, 14 settembre 1930. 55 Cit. in E. Salerno, op. cit., pp. 6061. 56 ASMAI, Libia pos. 150/, f. 14. Lettera n. 1148, riservatissima. Si era anche tentato di inviare un intermediario a Cufra per invitarne gli abitanti ad arrendersi senza combattere, ma De Bono non era convinto delI'efficacia di questa operazione e infatti fu lasciata cadere (ivi. De Bono a Badoglio, tel. 3591 dell'a giugno 1930). 57 R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., p. 170. 58 ASMAI, Libia, pos. 150/, f. 14. Lettera n. 66641. 59 Anche Mohammed Idris aveva inviato un suo corriere a Cufra per sconsigliare Scems ed-Din di evacuare l'oasi (ASMAE, Libia, b. 1, f. 8. Telespr. 24293/1139 del 20 dicembre 1930). 60 R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., p. 192. 61 Graziani riconobbe il valore dell'avversario. Scrisse: La mehalla ribelle [...] pur essendosi trovata di fronte a forze molto superiori di quelle contro le quali riteneva di cover combattere, si batt con audacia ed accanimento singolari e non cedette se non quando si vide irreparabilmente sopraffatta e quando cap che se avesse insistito sarebbe stata presa fra due fuochi e totalmente annientata (R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., p. 201). Si vedano, per l'impresa di Cufra, anche il libro di Dante Maria Tuninetti, II mistero di Cufra, Calcagni, Bengasi 1931; e l'articolo di Giorgio Menzio, Come giungemmo a Cufra, Nuova Antologia, marzo 1937. 62 V. Biani, op. cit., pp. 24344 63 Graziani non lesin negli autoelogi. Scrisse che l'occupazione di viva forza dell'oasi di Cufra rappresenta la pi grande operazione sahariana che sia stata mai compiuta. E ancora: In questa impresa, si assomma lo sforzo dei capi e dei gregari, sforzo eroicamente compiutosi nel silenzioso sacrificio del deserto, e che deve

61

essere cantato ed esaltato come fonte inesauribile di forza e di bellezza morale (R. Graziani, Cirenaica pacificata, cit., pp. 203 e 205). 64 ASMAE, Libia, b. 1, f. 8. Cantalupo a MAE, telespr. 1551/482 dell'8 maggio 1931. Il racconto di Saleh el Atusc fu raccolto da un informatore egiziano al soldo della nostra legazione al Cairo. 65 Ibidem. Quando la carovana di Saleh el Atusc fu avvistata e portata in salvo dal funzionario inglese ed esploratore M. P. A. Clayton, era ridotta a 37 persone. Clayton salv anche la carovana guidata da Mohammed Mittah. Secondo i calcoli dell'esploratore inglese, i libici persero nel deserto alcune centinaia di uomini. Per i suoi salvataggi, Clayton ricevette una decorazione (cfr. Bourse Egyptienne del 4 giugno 1931). Nel 1941 il maggiore Clayton guider i primi raid contro le basi italiane della Cirenaica. 66 ASMAE, Libia, b. 1, f. 3. Cantalupo a MAE, telespr. 1960/615 del 12 giugno 1931. 67 La traduzione dell'articolo in ASMAE, Libia, b. 1, f. 7. 68 La Nation Arabe n. 2, febbraio 1931: L'imprialisme italien en Tripolitaine. L'occupation de Koufra. 69 ASMAI, Libia, pos. 150/, f. 14. Tel. 270 del 30 gennaio 1931.
http://www.pasti.org/salerno.html

Le infamie del colonialismo italiano in Libia sono state quasi sempre rimosse in Italia. Anzi, ai responsabili si erigono monumenti. Ecco qualche testo per non dimenticare

BOMBARDAMENTI E GAS
Il presente scritto costituisce il terzo capitolo del libro "Genocidio in Libia: le atrocit nascoste dell'avventura coloniale (1911-1931)" di Eric Salerno, SugarCo Edizioni, Milano 1979 Si potrebbe definire un falso per omissione il volume firmato da Vincenzo Lioy e curato dal Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa , dedicato alle operazioni dell'Aeronautica in Eritrea e in Libia. Il libro fu pubblicato nel 1964 e ad un primo esame sommario poteva apparire come un tentativo di fornire, con un minimo di obiettivit, una traccia di quanto era stato compiuto dalle forze aeree italiane in due momenti della conquista coloniale. Il tono spesso enfatico e trionfalistico, l'apologia dello strumento militare, infastidivano ma non sembravano intaccare una certa onest storica dell'autore. Le operazioni di ricerca dei dor (i gruppi armati di ribelli) in Libia, gli avvistamenti compiuti dagli aerostati prima e dagli aeroplani poi, i bombardamenti che crescevano d'intensit con l'intensificarsi della guerra ma soprattutto con la crescita dell'arma aeronautica, sono puntualmente registrati. Meno spazio, viceversa, stato concesso dall'autore a spiegare contro chi, in Libia, l'Arma aeronautica stava realmente combattendo: la parola ribelli finisce per essere un termine anonimo ed insignificante quando non viene collocato nel contesto che l'ha generato. Altri autori certamente non sospetti, come lo stesso Graziani riconoscevano come il ribelle libico era, in certe fasi della storia della Resistenza, l'intera popolazione del paese. Uomini, donne e bambini aiutavano chi combatteva con le armi e lo sostenevano non solo nascondendolo dai rastrellamenti ma anche attraverso un appoggio logistico e morale. Era una lotta di popolo quella che per anni ha paralizzato l'esercito italiano in Libia. E riconoscere questo particolare fondamentale, mettere l'accento su di esso, doveva apparire a Vincenzo Lioy come un'arma a doppio taglio: significava riconoscere che in molti casi, forse nella maggioranza dei casi, gli aviatori italiani gettarono le loro bombe su concentramenti di civili e non, invece, su gruppi di soli armati. Il problema - quello delle gravi omissioni - non , per, questo. La verit, che poteva trasparire da una lettura accorta di certi libretti apologetici di regime e balzare agli occhi dai racconti freddi e quasi distaccati, ma resi fumosi dal passare degli anni, dei superstiti libici, invece emersa da una ricerca negli archivi del Ministero degli esteri. Ed altri dati sono probabilmente nascosti negli archivi militari. Quasi pi grave della stessa azione coloniale e fascista in Libia la constatazione che la penna censoria dello storico democratico , incaricato di fornire un quadro il pi fedele possibile di quanto di negativo e di positivo c'era nel passato coloniale dell'Italia, ha volutamente nascosto all'Italia repubblicana una realt spesso feroce. Una realt che sarebbe stata giudicata ugualmente feroce allora, come viene giudicata tale oggi. La Libia fu per l'Arma aeronautica italiana ci che Guernica fu in Spagna per la Luftwaffe di Hitler: un campo

62

vivo su cui sperimentare le ultime tecniche della guerra. Per preparare altre guerre ed altre conquiste. Le prove di ci esistono negli archivi italiani ma furono totalmente - e volutamente - ignorate dal Comitato per la documentazione dell'Opera dell'Italia in Africa. L'Italia con la sua aeronautica riusc a stabilire in Libia alcuni record. Per la prima volta nel mondo aeroplani e dirigibili furono impiegati a scopo bellico. Per la prima volta un apparecchio vol di notte per una missione di guerra. Sotto i titoli a piena pagina dei giornali che fornivano un primo elenco delle vittime italiane della battaglia di SciaraSciat, il 25 ottobre 1911, c'era un collage fotografico che raffigurava i volti di cinque aviatori militari che avevano appena raggiunto Tripoli. Il Messaggero raccontava che: Il campo di lancio per gli aeroplani stato improvvisato in un campo di sofsa (il trifoglio per foraggio che vien coltivato nell'oasi dei dintorni di Tripoli, vicino al mare) a ridosso del cimitero degli ebrei a Bab Isdid . E poi questo brano cos romantico : Uno dopo l'altro, con delle grandi tende verdi, sono innalzati gli hangars, i quali sembrano dei grandi padiglioni eretti per accogliervi un'elegante colonia di bagnanti... . Gli aerei erano piccoli, imparavano a stare in volo, potevano caricare ancora solo modeste quantit di bombe. E gli attacchi contro le linee degli arabi o dei turchi sembravano efficaci a livello psicologico pi che materiale. I primi anni della guerra, dunque, furono per l'Arma aeronautica una specie di rodaggio. Un rodaggio che valeva sia per le macchine che per gli uomini. E che avrebbe lasciato spazio e tempo allo sviluppo di armi sempre pi micidiali e a tecniche di bombardamento pi precise. Le alterne vicende della guerra libica fecero s che cinque o sei anni dopo il suo inizio erano entrati in servizio aerei nuovi, pi grandi e tecnicamente pi capaci di svolgere il ruolo bellico al quale erano stati predisposti. Le azioni militari assunsero contorni diversi. Tra il maggio e l'agosto del 1917, ad esempio, furono eseguite in Tripolitania un centinaio di azioni offensive con il lancio di bombe incendiarie sui campi di orzo dei ribelli, con mitragliamenti nelle oasi di Zanzur, Sidi ben Adem, Fonduc ben Gascir, Fonduc Scrif, Gedida, Agelat, Sormen, Punta Tagiura, Zavia, Azizia . I campi dei ribelli intorno a Zanzur e a Zavia erano stati bombardati anche nel mese di aprile con 1270 chilogrammi di liquido incendiario oltre a 3600 chili di alto esplosivo. La politica italiana nei confronti dei ribelli era gi da allora quella della terra bruciata . Distruggendo i campi d'orzo si costringevano i ribelli , armati e non, ad abbandonare la lotta e a disperdersi verso zone dove sarebbe stato pi facile sottometterli. Con l'aggravarsi della situazione politicomilitare le autorit italiane furono costrette ad ammettere la crescente difficolt per le formazioni italiane di imporsi alla popolazione libica. Le azioni militari e quelle dell'Aeronautica in particolare, assumevano toni sempre pi incisivi . Dal 1924 al 1926 gli aerei avevano l'ordine di alzarsi in volo per bombardare tutto ci che si muoveva nelle oasi non controllate dalle truppe italiane. Non si trattava di azioni militari contro altre forze armate, regolari o ribelli che fossero, bens di bombardamenti indiscriminati della popolazione civile per fiaccarla e tentare di dividerla dagli uomini in armi. Nel notiziario politico inviato al governo della Tripolitania il 26 febbraio 1924 dal generale Mombelli ct solo un breve accenno ad una di queste operazioni: Caproni esplor regione Uadi elFaregh fino Bir Yaggadia, avvist e bombard a Giocch el Meter grosso attendamento circa centocinquanta tende coniche e rettangolari. Bombard regione Saunno con esito visibilmente efficace settantina tende coniche e numeroso bestiame al pascolo. Bombard ripetutamente accampamento due chilometri est Bir Garbagniha di cui notiziario precedente nonch, nuclei armati scorti regione elGren Zauiet ed Gtafia etTumbia intenti lavori semina . Non c' bisogno di commentare questa breve nota. Lo stesso Mombelli, il 17 maggio 1926, inviava al Ministero delle colonie una lunga relazione in cui spiega come le forze armate a sua disposizione fossero impegnate a conseguire una serie di obiettivi come impedire raccolta orzo da parte ribelli e distruggere vasti seminati esistenti nel Gebel meridionale . Le descrizioni non mancano: ...aviazione assolse assai bene compito collegamento segnalando obiettivi alle colonne operanti e compiendo bombardamenti. Cos mattino giorno sette Caproni di Apollonia bombardava greggi lungo uadi el Greihat e lanciava bombe incendiarie sulle messi di uadi Mekeughina. Pomeriggio giorno otto apparecchi di Merg spezzonavano e mitragliavano efficacemente accampamenti in fuga nello uadi Scebeicha, affluente del basso Sammalus. Ribelli risposero al fuoco colpendo ripetutamente apparecchi. Mattino seguente aviazione Merg bombard accampamenti presso Gadir Bu Ascher e anche in questa occasione velivolo fu colpito da

63

pallottola. Caproni di Apollonia mattino nove bombardava accampamenti e bestiame a sud Gasr Remtaiat. Durante volo osservatori hanno rilevato vasti incendi delle messi provocati dalle nostre colonne e hanno raccolto indicazioni di seminati ancora intatti che costituiranno obiettivo ulteriori operazioni... . La politica della terra bruciata , del terrore, aveva spinto migliaia di uomini, donne e bambini a lasciare la Libia, chi verso la Tunisia e l'Algeria, chi in direzione del Ciad o dell'Egitto. I morti e i feriti non si potevano contare. E i bombardamenti diventarono pi violenti, pi scientifici e, come si detto, anche sperimentali . Cos come Guernica fu sperimentale per l'aviazione nazista, l'Arma aerea italiana si serv della guerra di Libia per prepararsi alla successiva conquista dell'Etiopia. Gife un punto sulla carta geografica della Libia. Una piccola oasi situata tra la costa mediterranea, a sud di Nufilia, e la catena dei monti Harugi. Un'ampia conca di alcuni chilometri di diametro nella quale, quando stagione delle piogge, si formano alcuni stagni che in caso di piogge abbondanti assumono l'aspetto di veri e propri [aghetti. Nel 1928 erano in corso le cosiddette operazioni del 29 parallelo , una vasta azione bellica che aveva tre scopi principali dichiarati: unificare la Tripolitania e la Cirenaica divise dalla ribellione delle popolazioni della Sirtica, occupare militarmente una catena di oasi - Socna, Zella, Marada, Augila, Gialo - sul 29 parallelo e tentare di consolidare l'effettivo dominio politico militare italiano sui territori a nord. Senza la riuscita di questo sforzo militare sarebbe stato impossibile tentare la rioccupazione del Fezzan e poi la riconquista della Cirenaica (mai in pratica sottomessa al dominio italiano) e lo schiacciamento della lotta di liberazione. Il 6 gennaio 1928 De Bono inviava al Ministero delle colonie questa breve relazione: 263 Op. U.G./Segreto/Novit giorno/Marce colonne proseguono regolarmente. Stamane, come stabilito, quattro Ca 73 e tre Ro hanno bombardato Gife con evidente distruzione. I quattro Ca 73 sonosi spinti circa settanta chilometri sud Nufilia bombardando anche a gas circa quattrocento tende. Apparecchi fatti segno tiro di fucileria tutti rientrati base Sirte prima ore undici. Collegamento fra le tre colonne effettuato . Nel volume sull'opera dell'Aeronautica questo episodio raccontato in poche righe, ma dell'uso dei gas non si fa menzione. Eppure l'estensore del libro si servito degli stessi documenti che abbiamo potuto consultare negli archivi del Ministero degli esteri e dai quali risulta, nonostante omissioni e lacune, l'uso sistematico di gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra contro la popolazione civile della Libia. Esiste anche un altro racconto dei fatti di Gife. Non ufficiale. Fa parte di Ali sul deserto, di Vincenzo Biani, un volume di ricordi di guerra presentato in termini elogiativi dal maresciallo Balbo: Una spedizione di otto apparecchi fu inviata su Gifa, localit imprecisata dalle carte a nostra disposizione, che erano dei semplici schizzi ricavati da informazioni degli indigeni; importante per per una vasta conca, ricoperta di pascolo e provvista di acqua in abbondanza. Ma senza oasi e senza case: un punto nel deserto. Fu rintracciata perch gli equipaggi, navigando a pochi metri da terra, poterono seguire le piste dei fuggiaschi e trovarono finalmente sotto di se un formicolio di genti in fermento; uomini, donne, cammelli, greggi; con quella promiscuit tumultuante che si riscontra solo nelle masse sotto l'incubo di un cataclisma; una moltitudine che non aveva forma, come lo spavento e la disperazione di cui era preda; e su di essa piovve, con gettate di acciaio rovente, la punizione che meritava. Quando le bombe furono esaurite, gli aeroplani scesero pi bassi per provare le mitragliatrici. Funzionavano benissimo. Nessuno voleva essere il primo ad andarsene, perch ognuno aveva preso gusto a quel gioco nuovo e divertentissimo. E quando finalmente rientrammo a Sirte, il battesimo del fuoco fu festeggiato con parecchie bottiglie di spumante, mentre si preparavano gli apparecchi per un'altra spedizione. Ci si dava il cambio nelle diverse missioni. Alcuni andavano in ricognizione portandosi sempre un po' di bombe con le quali davano un primo regalo ai ribelli scoperti, e poi il resto arrivava poche ore dopo. In tutto il vasto territorio compreso tra El Machina, Nufilia e Gifa i pi fortunati furono gli sciacalli che trovarono pasti abbondanti alla loro fame . Ogni pagina di questo libro intrisa del clima di razzismo che sembrava, allora, aver coinvolto tutti. Non un semplice racconto di esperienze militari truci come ogni avventura bellica, bens un'apologia della violenza fascista - spesso negata dallo Sesso regime - nei confronti di un popolo che il Biani, come altri militari e politici, riteneva inferiore. In un certo senso Ali sul deserto un'opera ingenua che tradisce con la loro esaltazione certi segreti come quello dell'uso dei gas. Al di sotto era un brulicar di gente che fuggiva in tutte le direzioni, invano cercando un rifugio; ch la terra s'era tramutata, d'un attimo, in un campo di mine fatte saltare da una misteriosa potenza, folle e distruttrice. Si vedevano le bombe staccarsi dalle fusoliere, in frotte quelle piccole da due chili, isolate le altre pi grandi

64

da dodici chili; rotolar gi disordinatamente fino a che non avevano trovato l'equilibrio della traiettoria, e poi precipitare come saette sui cumuli della gente e sugli ammassi di tende; con una tale precisione che sembrava seguissero l'attrazione magnetica del bersaglio. Gli occhi degli aviatori, raccolta la visione dello spettacolo, riprendevano la fissit scrutatrice della indagine fredda, quando si trattava di guidare di nuovo la propria macchina sul folto della massa nemica. Una fila di tende fu spazzata via da una folata di morte e i loro cenci si confusero a brandelli di carne sulla terra chiazzata di rosso. Un branco di cammelli, colpiti in pieno, si abbatterono al suolo sull'orlo di un burrone, precipitando dentro, l'uno sull'altro. Da quella massa informe ancora agitata dai contorcimenti della rapida agonia, un rivolo di sangue allag il fondo della valle, come allo zampillare d'una improvvisa sorgente. Arrivava su fino in alto l'odore acre delI'esplosivo bruciato, e l'aria stessa era tutta in sommovimento. Gli scoppi si ripercuotevano sulle ali con sussulti e sobbalzi che mettevano a dura prova i muscoli dei piloti... Una carovana di un centinaio di cammelli, terrorizzati dalle prime esplosioni, si erano allontanati in gran fretta, dondolando sulle groppe i loro carichi malfermi, ma due Romeo, che li avevano visti, volsero da quella parte. Il primo pass sputando addosso alle bestie una spruzzata di pallottole che nella maggior parte andarono a vuoto, poi l'arma s'incant e non volle pi saperne di sparare. Il pilota si arrampic per aria lasciando libero il campo al compagno che sopraggiungeva, rasente a terra, dalla coda verso la testa della carovana, mettendo a segno un intero caricatore sui fianchi dei cammelli. Molti stramazzarono a terra scoprendo i ventri obesi e annaspando nell'aria con le zampe lunghissime, unico mezzo a loro disposizione per dire che erano dispiacenti di morire. Ma nessuno li compianse. Il Primo Romeo, anzi, riparato il guasto della mitragliatrice, rical gi e fece poco pi lontano un altro mucchio di cadaveri . Ali sul deserto ci ha fornito una traccia, labile e precisa sull'uso dei gas proibiti dalla convenzione di Ginevra e da tutti gli altri accordi internazionali: Una volta furono adoperate alcune bombe ad yprite, abbandonate dal tempo di guerra in un vecchio magazzino ed esse produssero un effetto cos sorprendente che i bersagliati si precipitarono a depositare le armi . In effetti l'uso del gas non costitu un episodio isolato: esso faceva parte di un piano preciso e sistematico. I risultati delle incursioni aeree furono attentamente studiati per conoscere non solo il numero delle vittime che esse provocavano e gli effetti immediati prodotti dalla morte chimica, ma anche per conoscere gli eventuali effetti ritardati su coloro che venivano sfiorati dai gas. E' un particolare, questo, sconosciuto della guerra di repressione - o non sarebbe il caso ora, di definirlo di sterminio? - attuata da Graziani per conto del governo fascista di Roma contro la popolazione della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica. Sono eloquenti questi brani tratti da una lunga relazione firmata dal generale Cicconetti ed indirizzata a De Bono alla fine del gennaio 1928. L'alto ufficiale afferma che la maggior parte degli aggregati Ghedafa-Orfellini e Fergiani sono a noi sottomessi e che i Mogarba Reedat, colti alla sprovvista dalla nostra impetuosa avanzata sono fuggiti disordinatamente dopo aver subito ingenti perdite di uomini e di materiali . Gli Orfella, come i Mogarba, non si erano mai realmente sottomessi ai conquistatori italiani. I primi, di origine berbera, nomadi della Sirtica di Socna e del Fezzan, avevano accettato un compromesso con le autorit italiane allo scopo ci si dimostrato evidente in seguito - di impedire che il governo arrivasse a presidiare il territorio orfellino. Abd en Neby Belker, uno dei capi degli Orfella, nel 1923 si schier decisamente contro i tentativi italiani di occupare il paese di Beni Ulid. Secondo Graziani gli elementi dissidenti erano divisi in due nuclei l'uno di un centinaio di armati a seguito dei fratelli Sef en Nasser di Brach; l'altro, di circa duecento fucili, seguiva Abd en Neby Belker. I Mogarba, anche essi nomadi della Sirtica, si dividono in due rami: Mogarbet es Reedat e Mogarbet esSciamach. In una relazione dello Stato maggiore della Tripolitania (1930) si afferma che: ...i Mogarba, anche nel passato, non solo non si sottomisero al nostro Governo, ma ci opposero valida resistenza nel marzo 1914, sostenendo contro le nostre truppe il combattimento di Nufilia; mantennero poi sotto assedio lo stesso presidio fino a che, per intervenute trattative, quest'ultimo non si ritir a Sirte (novembre 1914) . Nel 1926 la popolazione Mogarba era dislocata lungo il uadi Faregh (i Sciamach) e nella Choscia (i Reedat). Ribelli erano gli armati e l'intera popolazione civile , donne e bambini. Si trattava di un popolo che resisteva all'esercito italiano e non un nucleo di guerriglieri isolato e privo del supporto popolare. Le operazioni militari italiane, e soprattutto, quelle eseguite dall'Aeronautica assumevano proprio per questo fattore i contorni di un genocidio programmato. L'uso sistematico dei gas dimostrato dai documenti in cui viene inoltre sottolineata l'efficacia dei bombardamenti. Il generale Cicconetti, nella sua relazione, spiega infatti:

65

a) che le perdite in uomini sono certamente di gran lunga superiori a quelle segnalate le quali si riferiscono solo ai caduti contati sul terreno e non tengono conto dei feriti che non possono essere mancati n di quelli caduti in seguito agli effetti micidiali dei bombardamenti aerei e agli effetti non considerati n accertabili subito dei gas. A prova della terribile efficacia dei bombardamenti sta il fatto che basta ormai l'apparizione dei nostri aerei perch grossi aggregati spariscano allontanandosi sempre pi. b) che anche per il bestiame, a quello catturato e distrutto dalle mitragliatrici va aggiunto quello colpito dai gas e dalle bombe degli aerei e che finora incalcolabile. Le plaghe bombardate non hanno ancora potuto essere visitate e solo quando lo saranno potremo dire l'ultima parola . Nella maggior parte delle relazioni e dei telegrammi inviati dalla colonia al ministero si tende ad utilizzare la parola generica di ribelli per indicare le vittime delle azioni militari. In alcuni casi per la distinzione fra armati e popolazione civile sembra passare inosservata attraverso le maglie di ci che costituiva, evidentemente, una forma di censura. Il governatore della Cirenaica Teruzzi, in una delle sue note quasi quotidiane al Ministero delle colonie parla dell'uccisione di due uomini e di quattro donne nel corso di un bombardamento sul Gebel, la zona montagnosa dove si trovavano allora la maggioranza degli accampamenti dei nomadi, e di risultati molto efficaci ottenuti durante altre azioni dello stesso genere nella zona. Non viene specificato il tipo di ordigno lanciato dagli aerei, cosa, invece, che fu fatta il 4 febbraio 1928 dal governatore della Tripolitania De Bono, nelI'informare i suoi superiori che nella stessa giornata come gi preannunciato tutti i Caproni disponibili si erano portati in volo a sud di Gifa (Gife). I ribelli avevano gi levato il loro accampamento e con cammelli carichi erano gi in movimento verso sud-est. Sono stati bombardati con circa tre tonnellate di esplosivo e bombe iprite con evidenti risultati... . Un'altra operazione dello stesso tenore fu comunicata da Teruzzi il 12 febbraio: Gebel. Ieri undici aviazione Mechili bombardato efficacemente noto accampamento con bestiame pascolante due chilometri ovest uadi Tamanlu. Risulta da fonte attendibile che recenti bombardamenti eseguiti da aviazione abbiano causato ai ribelli quarantina persone uccise altrettanti feriti e sessantina cammelli abbattuti... . Sette giorni pi tardi - come informava ancora Teruzzi - una pattuglia di Caproni 73 dell'aviazione di Bengasi sganciava otto quintali di gas iprite su un accampamento di un centinaio di tende e numeroso bestiame nella regione che si trova quindici chilometri a sudest del uadi Engar. Sembra , aggiunge Teruzzi, che nello Zeefran Heleighima ribelli abbiano abbandonato quaranta tende, di cui venti coniche, in seguito ripetuti bombardamenti gas . Nel 1930 troviamo la firma di Badoglio sotto un telegramma inviato da Roma a Siciliani a Bengasi e per conoscenza a De Bono, ministro delle colonie. Riferendosi alla situazione in Cirenaica Badoglio ammonisce: si ricordi che per Omar el Muchtar occorrono due cose: primo, ottimo servizio informazioni, secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe iprite. Spero che dette bombe Le saranno mandate al pi presto . Le bombe arrivarono. E furono usate in modo sempre pi massiccio ed indiscriminato. C' in Cirenaica pacificata, uno dei volumi con i quali il generale Graziani volle giustificare la sua azione repressiva e rispondere alle accuse di genocidio della popolazione libica che gi all'epoca gli venivano rivolte, un breve capitolo sul bombardamento di Taizerbo avvenuto il 31 luglio 1930, sei mesi dopo l'esortazione di Badoglio all'uso dell'iprite. Nella lingua dei teb, una delle numerose trib camitiche africane, Taizerbo sta per sede principale . Oggi i teb abitano pi a sud, nelle montagne del Tibesti parte in Libia, parte in Ciad, ma una volta essi avevano a Taizerbo la sede del loro sultanato. Situata duecentocinquanta chilometri a nordovest di Cufra, l'oasi lunga venticinquetrenta chilometri, larga dieci ed solcata nel mezzo da un avvallamento che contiene stagni salmastri e saline. All'epoca dell'intervento italiano vi si trovavano gruppi di palme, tamerici, acacie, giunchi e vi sorgevano una decina di nuclei abitati. Per la conquista di Cufra sede della Senussia, centro spirituale della resistenza antiitaliana Taizerbo era considerata un'oasi di grande importanza strategica. Scriveva Graziani: Per rappresaglia, ed in considerazione che Taizerbo era diventata la vera base di partenza dei nuclei razziatori il comando di aviazione fu incaricato di riconoscere l'oasi e - se del caso - bombardarla. Dopo un tentativo effettuato il giorno 30 - non riuscito, per quanto gli aeroplani fossero gi in vista di Taizerbo, a causa di irregolare funzionamento del motore di un apparecchio - la ricognizione venne eseguita il giorno successivo e brillantemente portata a termine. Quattro apparecchi Ro, al comando del ten. col. Lordi, partirono da Giacolo alle ore 4.30 rientrando alla base alle ore 10 dopo aver raggiunto l'obiettivo e constatato la presenza di molte persone nonch un agglomerato di tende. Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnella-

66

ta di esplosivo e vennero eseguite fotografie della zona. Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asser che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili, e pi grande ancora il panico . Vincenzo Lioy, l'autore del volume sul ruolo dell'aviazione in Libia, riprese senza modificarla di una virgola la versione riferita da Graziani nel suo libro. Ma Graziani aveva tralasciato l'importante particolare dell'uso di grandi quantit di iprite ed aveva omesso di riportare una relazione agghiacciante che gli era pervenuta qualche mese dopo sugli effetti del bombardamento. Questa relazione, regolarmente archiviata, era ugualmente a disposizione dello storico Lioy quando fece la sua ricerca. Da un rapporto firmato dal tenente colonnello dell'Aeronautica, Roberto Lordi, comandante dell'aviazione della Cirenaica (rapporto che Graziani invi al Ministero delle colonie il 17 agosto) si apprende che i quattro Ro erano armati con 24 bombe da 21 chili ad iprite, da 12 bombe da 12 chili e da 320 bombe da 2 chili. Stralciamo dalla relazione la parte che si riferisce all'avvicinamento e al bombardamento di Taizerbo. ...in una specie di vasta conca s'incontra il gruppo delle oasi di Taizerbo. Le palme, che non sono molto numerose, sono sparpagliate su una vasta zona cespugliosa. Dove le palme sono pi fitte si trovano poche casette. In prossimit di queste, piccoli giardini verdi, che in tutta la zona sono abbastanza numerosi; il che fa supporre che le oasi siano abitate da numerosa gente. Fra i vari piccoli agglomerati di case vengono avvistate una decina di tende molto pi grandi delle normali e in prossimit di queste numerose persone. Poco bestiame in tutta la conca. II bombardamento venne eseguito in fila indiana passando sull'oasi di Giululat e di el Uadi e poscia sulle tende, con risultato visibilmente efficace . II primo dicembre dello stesso anno il colonnello Lordi invi a Roma copia delle notizie sugli effetti del bombardamento a gas effettuato quel 31 luglio sulle oasi di Taizerbo ottenute da interrogatorio di un indigeno ribelle proveniente da Cufra e catturato giorni or sono . E' una testimonianza raccapricciante raccolta materialmente dal comandante della Tenenza dei carabinieri reali di el Agheila. Come da incarico avuto dal signor comandante l'aviazione della Cirenaica, ieri ho interrogato il ribelle Mohammed bu Al, Zueia di Cufra, circa gli effetti prodotti dal bombardamento a gas effettuato a Taizerbo. II predetto, proveniente da Cufra, arriv a Taizerbo parecchi giorni dopo il bombardamento, e seppe che quali conseguenze immediate vi sono quattro morti. Moltissimi infermi invece vide colpiti dai gas. Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto di piaghe come provocate da forti bruciature. Riesce a specificare, che in un primo tempo il corpo dei colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche giorno si rompevano con fuoruscita di liquido incolore. Rimaneva cos la carne viva priva di pelle, piagata. Riferisce ancora che un indigeno sub la stessa sorte per aver toccato, parecchi giorni dopo il bombardamento, una bomba inesplosa, e rimasero cos piagate non solo le sue mani, ma tutte le altre parti del corpo ove le mani infette si posavano. Oltre a quelle sopradette non ha saputo fornire alcuna altra notizia . Secondo l'Enciclopedia Americana l'iprite puo provocare malattie ereditarie ed i suoi effetti si potrebbero riscontrare, perci, non solo nelle persone direttamente colpite dai bombardamenti ma anche nei loro discendenti. La Treccani afferma che l'iprite (prese il nome dalla citt francese di Ypres nelle cui vicinanze fu lanciata per la prima volta dai tedeschi nel 1917) attacca tutte le cellule con le quali viene in contatto, distruggendole completamente. Non solo agisce sulle mucose, ma anche sulla pelle producendo infiammazioni vesciche e piaghe assai difficili a guarire. Pi violentemente ( sempre la Treccani che lo specifica) agisce sulle mucose degli occhi e, quando venga respirato il suo vapore, sulle vie polmonari. Se con la respirazione i vapori d'iprite entrano nel circolo sanguigno, distruggono i globuli rossi, producendo rapidamente la morte. Non c' dubbio che l'effetto dei gas sulla popolazione libica, priva peraltro di qualsivoglia possibilit di ricorrere a moderne cure mediche, doveva essere micidiale. L'uso dell'iprite, che doveva diventare un preciso sistema di massacro della popolazione civile in Etiopia qualche anno pi tardi, fu certamente uria scelta sia militare che politica come i bombardamenti della popolazione civile in Libia doveva corrispondere a scelte di colonizzazione ben precise. L'Italia fascista era pronta ad inviare in Libia migliaia di coloni che avrebbero potuto coesistere con la popolazione locale soltanto se questa avesse non solo accettato di sottomettersi all'autorit di Roma, ma soprattutto di modificare radicalmente la propria esistenza nomade ed anarchica . L'Italia, comunque, aveva scelto per la Libia una forma di colonizzazione basata sulla gestione delle ricchezze della terra attuata direttamente da coloni italiani con lo sfruttamento, ove fosse possibile, di manodopera locale. Per Graziani, che aveva carta bianca sul terreno, e per i dirigenti politici e militari che da Roma lo spronavano a concludere al pi presto una conquista cominciata quindici anni prima, la decisione di servirsi di gas tossici non poteva prescindere dalla consapevo-

67

lezza che essi, colpendo in modo particolare la popolazione civile, avrebbero finito per distruggere, almeno in parte, quella forzalavoro locale che un giorno, altrimenti, si sarebbe potuta mettere a disposizione dei coloni italiani. Probabilmente, nascosti negli archivi, giacciono ancora i documenti che potranno dimostrare come gi sembrano fare quelli finora reperiti - la non casualit della scelta italiana di utilizzare i gas tossici in Libia. Molto tempo era passato da quel lontano 1911 quando i primi aviatori italiani atterrarono in Libia, avanguardia di un'arma che con il passare degli anni si sarebbe affinata e ingrandita. Dal novembre 1929 alle ultime azioni del maggio 1930 l'aviazione della Cirenaica esegu secondo fonti ufficiali ben 1605 ore di volo bellico lanciando 43.500 tonnellate di bombe e sparando diecimila colpi di mitragliatrice. Le fonti, per, non precisano quante tonnellate di bombe erano cariche di iprite. __________________________ Dattiloscritto di pp. 26, parzialmente numerate, senza data n firma, ad uso dei comandi dellAeronautica in Africa Orientale, come da timbro a inchiostro sulla prima di copertina e altre pagine interne. Corredato da tre fotografie.

Istruzione sulla bomba C. 500 T.

E diviso in parti: I. Istruzione sul funzionamento, conservazione ed impiego della spoletta "T" per bomba C-500 T. II. Caratteristiche e norme dimpiego della bomba C-500 T. III. Conservazione manipolazione della bomba C-500 T. IV. Tavole di tiro della bomba C-500 T e tabella di graduazione della spoletta "T" per detta bomba V. Appendice: rilievo della direzione del vento al suolo e della quota del bersaglio. [...] [p.10] La bomba C-500 T. stata realizzata con lo scopo di permettere il tiro da alta quota con aggressivo liquido, contro bersagli di vaste dimensioni. Essa munita della spoletta "T" la quale, come specificata nella I^ Parte, congegnata in modo tale da provocare lesplosione della bomba prima che questa raggiunga il suolo. Lesplosione genera una pioggia di aggressivo liquido che va a depositarsi sul terreno sotto forma di gocce di varia grandezza (pi grosse al centro della zona colpita, pi piccole ai bordi). Larea irrorata da ogni singola bomba e la concentrazione dellaggressivo sullarea stessa, dipendono, come ovvio, dalla intensit del vento dal suolo e daltezza di scoppio della bomba. Per unaltezza di scoppio sul terreno che si aggiri sui 250 metri e per vento al suolo dintensit compresa fra i 3 e i 9 m/s, si pu considerare che larea efficacemente colpita dallaggressivo vari tra i 50.000 e gli 80.000

68

mq. Distribuiti in un ellisse molto allungata il cui asse maggiore, (disposto secondo la direzione del vento) pu avere lunghezza dai 500 agli 800 m., ed il cui asse minore pu avere una lunghezza dai 100 ai 200 metri. [...] [pp.11-12] Circa lefficacia dellaggressivo liquido si pu dire che esso agisce principalmente per contatto delle goccioline sulla pelle degli individui colpiti. Il contatto ha luogo anche attraverso gli indumenti di qualsiasi natura essi siano (lana, tela, cuoio, ecc) se chi li indossa, appena si accorge di essere colpito, non abbia lavvertenza di liberarsene. I vapori sono dannosi solo in forti concentrazioni, concentrazioni che difficile ottenere mediante limpiego della bomba C-500. Leffetto dellaggressivo liquido non immediato. I primi sintomi si manifestano dalle 6 alle ore 12 dopo che lindividuo stato colpito. Dopo 12-24 ore si manifestano le prime lesioni che, se la superficie colpita grande, sono gravissime e che, ad ogni modo sono di lentissima guarigione anche se la superficie colpita piccola. La persistenza dellaggressivo sul terreno, varia a seconda della natura di questultimo ed aseconda [sic] della temperatura dellaria. [...] Tenendo conto delle caratteristiche della bomba C-500 e delle propriet dellaggressivo in essa contenuto si possono trarre le seguenti norme generali a carattere orientativo, sulla scelta dei bersagli e sulle modalit dazione, norme che dovranno di volta in volta essere applicate a seconda delle esigenze che la particolare situazione richiede. 1. Scelta dei bersagli Lazione dellaggressivo liquido sempre diretta a colpire esseri animati (agglomerati di persone o di bestie). Lobiettivo animato pu essere colpito direttamente facendo cadere su di esso la pioggia di aggressivo, od indirettamente facendo cadere la pioggia di aggressivo su una zona di terreno che esso certamente ed entro breve tempo dovr attraversare [meno di 24 ore]. [...] In questo caso da tener presente che, quando lodore dellaggressivo sia noto al nemico, questo potr evitare di attraversare la zona infestata allungando magari il suo percorso di marcia. In tale caso si sar solo causata al nemico una perdita di tempo, cosa questa che pu per avere, in particolari condizioni, qualche importanza. [...] [13] Non sarebbe razionale, salvo in rari casi, impiegare contro piccoli nuclei quantit di aggressivo sia pure modeste perch pochi uomini potrebbero facilmente porsi in salvo dalla nube aggressiva portandosi sopravvento e soprattutto perch non si usufruirebbe del grande vantaggio offerto dallazione portata con bombe C500 di poter cio colpire vastissime zone senza che nessuno degli esseri animati in esse contenuti possa sfuggire allazione dellaggressivo. (Archivio dell Ufficio Storico dello Stato Maggiore dellAeronautica, Fondo AOI, cart. 176, fasc.1.) Vediamo una documentazione fotografica su questa bomba:

69

un bombardamento con queste bombe su un villaggio

un poco di morti

un volto sfigurato dall'iprite

http://www.intermarx.com/ossto/osstomenu.html

Il genocidio italiano in Cirenaica, 1930-1931[1]


di Matteo Dominioni La conquista della Libia negli anni si dimostr ben pi difficile di quanto si era propagandato. Anche durante gli avvenimenti bellici molte cose non si vennero a sapere, soprattutto in patria, per via di un distacco, cercato ed ottenuto nei fatti, tra il fronte e la patria. Tale distacco emerge prepotentemente nel momento in cui il conflitto si tramut da nazionale, fatto da un esercito regolare di massa con gossi apparati per la creazione dell'opinione pubblica, in coloniale, fatto da volontari, coloni e mezzi militari pi evoluti. Agli inizi del 1930 si stava ultimando, dopo un ventennio di guerra, la conquista della parte occidentale della Libia, la Tripolitania, mentre ad oriente, Cirenaica, era in atto uno scontro tra fascisti e patrioti libici che dur pi a lungo e fu pi intenso negli scontri. In gennaio il generale Graziani, sulla scia della popolarit e degli agganci seguiti alla conquista della Tripolitania, viene nominato vicegovernatore della Cirenaica e insieme a Badoglio diventa uno dei personaggi chia70

ve della fase finale, quella risolutiva. Per farci un'idea del loro operato sufficiente ricordare, per ora, che il primo diede vita ai "tribunali volanti" con diritto di morte per reati quali possesso di arma da fuoco o pagamento di tributi ai ribelli; il secondo propose l'utilizzo di strumenti terroristici, quali le bombe ad aggressivi chimici per stroncare la resistenza libica[2]. Il fronte opposto era occupato dalla Senussia, organizzazione statuale dei seminomadi di religione musulmana. Nata agli inizi dell'ottocento, si basava su di numerose zauie, luoghi periferici del controllo politico, e allo stesso tempo religioso, che regolavano l'attivit dei commerci, del pagamento delle decime e dell'attivit amministrativa e giudiziaria in una societ di numerosi duar, accampamenti talvolta militarizzati, sparsi per l'altopiano del Gebel. I fascisti compresero che per rompere i legami organizzativi della resistenza dovevano eliminare la Senussia come fattore di mantenimento dell'ordine feudale. In un territorio come quello del Gebel per non era accettata l'invasione di stranieri che poteva mettere a repentaglio il delicato equilibrio ecologico, in relazione alla densit demografica, che si era instaurato. L'altopiano presentava maggiori possibilit di coltivare e allevare bestiame soprattutto per la presenza di piogge senz'altro maggiori che nella parte occidentale del paese. Tale fertilit tuttavia veniva messa in discussione dall'arrivo di nuove genti che non avevano minimamente intenzione di mantenere il naturale ordine delle cose della natura ma di colonizzare e portare un altro mondo fondato sul dominio e non sul rispetto della natura. L'invasione fu vista come annientamento delle proprie risorse e di conseguenza della propria esistenza. Resistere significava tentare di sopravvivere, farsi soggiogare era, agli occhi dei libici, come andare incontro a un suicidio perch avrebbe rotto il naturale rapporto di equilibrio con la natura e con esso la vita stessa. Chiarendo tale atteggiamento della maggioranza della popolazione locale, che non deve essere colto solamente nell'omogeneit delle posizioni data la numerosa eterogeneit delle culture di origine tribale, possibile comprendere il forte attaccamento per l'indipendenza che port tutta la popolazione a collaborare coi ribelli ed a pagare di persona. Di fronte ai colonizzatori si presentava un problema di non poco conto: la zona pi ricca della Libia, la Cirenaica, era quella che presentava una ribellione diffusa e difficile da sconfiggere perch mimetizzata nel territorio e soprattutto perch godeva dell'appoggio della popolazione. Non dev'essere trascurato il ruolo della dirigenza della resistenza che, grazie soprattutto all'opera di Omar al-Mukhtar, fu in grado di impiegare un efficiente sistema informativo e un veloce reclutamento delle forze. I fascisti decisero un'azione radicale sulla collocazione geografica delle etnie per mezzo di movimenti coatti di popolazione. A partire dal 25 giugno 1930 si decise per la creazione di campi di concentramento che dovevano contenere le popolazioni del Gebel che avevano dato maggiore appoggio alla resistenza. Furono immuni alla detenzione le popolazioni gi sottomesse e quelle stanziate al di fuori del Gebel. Lo scopo era quello di rompere ogni legame tra ribelli e popolazione ma anche di rompere ogni possibilit di autosussistenza delle comunit. Lo stesso Badoglio, cosciente di cosa stava andando a fare, dice: "Non mi nascondo la portata e la gravit di questo provvedimento che vorr dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica"[3]. Quanti furono i deportati dal Gebel ai campi limitrofi alla costa? Giorgio Rochat giunge ad una stima, per approssimazione, di 100/120.000 persone, praticamente tutta la popolazione del Gebel. Tuttavia, anche operando in modo cos radicale, non si raggiunsero gli obiettivi prefissati cosicch a fine agosto fu deciso di muovere nuovamente i campi in zone costiere perch i legami tra Senussia e popolazione non erano venuti meno. Furono inasprite le sanzioni verso i detenuti e irrigidite le norme riguardanti la detenzione. All'interno dei campi vigevano condizioni precarie per la mancanza di cibo e di risorse; ci furono epidemie di tifo a cui difficilmente si riusc a porre rimedio per l'assoluta mancanza medici - due per 60.000 detenuti - e di strumenti basilari, anche semplici pentole, per sterilizzare vesti e vettovagliamenti. Il disinteresse dei fascisti si tramut in una filantropia che si concretava nel trasmettere, forzatamente, ai locali una sorta di etica del lavoro. Venivano negati i mezzi di produzione (terra e bestiame) ma allo stesso tempo si ricercava di inserire (sussumere) i locali in lavori di natura propriamente capitalistica. La popolazione del Gebel, una volta rinchiusa, divenne versatile serbatoio di forza lavoro a basso prezzo da inserire nelle innumerevoli opere pubbliche (soprattutto strade) che andavano di pari passo coll'occupazione. Ai lavoratori veniva dato un salario tre volte inferiore a quello degli italiani che li metteva su di un piano di subordinazione ed allo stesso tempo li privava gradatamente degli strumenti e delle conoscenze nei lavori tradizionalmente sviluppati. Alle donne venivano dati telai e materie prime da impiegare nella fattura di tap-

71

peti e tessuti. Lo scopo era inserire gradatamente la popolazione entro un rapporto sociale legato al salario e alla produzione per l'accumulazione e non per l'autoconsumo. Tuttavia tali iniziative erano destinate a fallire, perch i fascisti volevano ricreare in maniera coatta comunit artificiali di autosussistenza, senza rendersi conto che la precedente distruzione dell'autosussistenza formatasi attraverso pratiche graduali socialmente e culturalmente accettate impediva poi di ricreare mondi artificiali funzionanti in tale realt perch ad essa estranei. Fu imposto un vero e proprio modo di produzione altro. Se le popolazioni erano in precedenza occupate nell'allevamento del bestiame e nell'agricoltura, ora venivano impiegate nella costruzione di opere edili o nella pesca. L'imperialismo italiano fu innanzi tutto esportazione di un modo di produzione che and a destrutturare i rapporti sociali precedenti. Un altro modo per spezzare i legami tradizionali della societ libica fu l'eliminazione del 90-95% del bestiame tra gli anni 1930-1931. In una societ dedita alla pastorizia, oltre che all'agricoltura e al commercio, venivano messi in discussione i requisiti minimi di approvvigionamento delle popolazioni del Gebel. Un ultimo provvedimento fu infine utilizzato per fare terra bruciata attorno ai ribelli di Omar al-Mukhtar: la proibizione del commercio con l'Egitto, dove circa 20.000 libici che si erano rifugiati erano certamente interessati a dare man forte ai patrioti. Pi tardi, allo scopo di porre fine al contrabbando che avveniva per mezzo di piccole spedizioni su cammelli, i fascisti decisero di costruire un reticolato lungo 270 km lungo la direttrice Bardia-Giarabub. Dall'aprile a settembre 1931 fu costruito tale recinto largo qualche metro e impenetrabile perch controllato per mezzo di fortini e voli aerei. Una volta depredato il Gebel, per il lungo e per il largo, agli italiani non restava altro che porre fine alla resistenza in un ambiente finalmente immune, dove i rastrellamenti risultarono efficaci a tale scopo. I ribelli non avevano pi la possibilit di muoversi in maniera discreta ed era venuta meno la precedente copertura delle popolazioni. Gli esploratori al servizio degli italiani tallonavano i ribelli passando informazioni tempestive ai comandi per un pronto intervento. L'accerchiamento dei ribelli veniva fatto in maniera tale da presidiare eventuali vie di fuga. In caso di fuga intervenivano l'aereonautica e la cavalleria per inseguire in maniera pi stringente il nemico.L'arresto di Omar al-Mukhtar avvenne nel settembre del 1931 e l'esecuzione della condanna a morte, gi decisa in sede extragiudiziaria, si tenne, secondo macrabo rito colonial-fascista, sulla pubblica piazza. Il 9 dicembre si riunirono i rimanenti oppositori all'occupazione e decisero per la resa. L'uccisione di Omar al-Mukhtar apparve come l'episodio definitivo di una serie che aveva portato a un veloce indebolimento della Senussia. Una volta intacccate, come si visto, le basilari strutture della produzione, dei commerci e dell'amministrazione, la vittoria era totale . Furono distrutti non solo i caratteri propriamente endogeni della societ senussita, ma anche quelli esogeni come il rapporto tra densit demografica-popolazione. E totale fu anche il dominio, che fu subito da tutta la popolazione nonostante i ribelli in armi fossero tra i 600 e gli 800, con variazioni a seconda del dor che veniva coinvolto negli scontri. Risulta enorme la sproporzione nel perseguire i ribelli e i loro fiancheggiatori: i secondi pagarono molto di pi, primo perch erano marginalmente coinvolti nelle battaglie, secondo perch perirono in maggior numero. Si tenga conto del fatto che l'amnistia per i ribelli entr in vigore prima della chiusura dei campi che andarono in contro a tale sorte proprio a causa della contraddizione per cui non si potevano perseguire le popolazioni anzich i diretti responsabili dei fatti. Secondo fonti italiane i morti tra i ribelli per il periodo 1923-1931 sarebbero stati 6.500 ma c' un vizio di forma in tali dati, che sono presi da materiale di parte. Altri sono i numeri macabri che emergono tenendo conto dell'esistenza dei campi, delle malattie, dei trasferimenti e dell'impoverimento arrecato alle popolazioni. Prendendo in considerazione valutazioni e censimenti della popolazione, effettuati prima e dopo la guerra dalle autorit coloniali, si ha la conferma di una impressionante diminuzione demografica nella Cirenaica. Da dati del 1928 gli abitanti sarebbero stati 225.000, mentre dal censimento del 1931 risulterebbero essere 142.000 compresi gli italiani e i nuovi immigrati. Tenendo conto di quanti fuggirono dal Gebel verso l'Egitto (10-15.000 persone) e del tasso di incremento demografico, il genocidio fascista dovuto alla repressione sarebbe di circa 45-50.000 persone che crescono fino a 70.000 se ai dati italiani si sostituiscono quelli dell'antropologo Evans-Pritchard[4] . "Questo non l'unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se ci pu consolare qualcuno, ma certo uno dei pi radicali, rapidi e meglio travisati dalla propaganda e dalla censura"[5].

72

Una volta che la ribellione fu vinta le popolazioni non poterono tornare nei luoghi d'origine sul Gebel che erano destinati, essendo le zone pi fertili, agli italiani. I libici subirono cos la radicale modifica dei principali aspetti della vita materiale e non solo: in quanto seminomadi furono rinchiusi in riserve, dove essere sfruttati come manodopera semplice.

GRECIA 1943: quei fascisti stile SS

Domenikon come Marzabotto. Oltre 150 uomini fucilati per rappresaglia. Ora un documentario alza il velo sulle stragi del nostro esercito. Occultate.
di Enrico Arosio da l'Espresso n 9 del 6 marzo 2008

I partigiani avevano fatto fuoco dalla collinetta, quando il convoglio aveva rallentato in curva, a un chilometro dal Villaggio di Domenikon. Erano morti nove soldati italiani. Dunque i greci andavano puniti: non i partigiani, i civili, Domenikon andava distrutta. Per dare a tutti una salutare lezione, come scrisse poi il generale Cesare Benelli, che comandava la divisione Pinerolo. Qui al villaggio, prima, i soldati italiani venivano per un'ora o due, flirtavano con le donne, poi se ne andavano. A Elassona avevano fidanzate ufficiali. Erano dei dongiovanni, racconta un contadino davanti alla cinepresa. Prima, s. Non il 16 febbraio 1943. Quel giorno gli italiani brava gente si trasformarono in bestie.
L'eccidio di Domenikon, la piccola Marzaabotto di Tessaglia, un crimine italiano dimenticato. In stile nazista, solo un po' meno scientifico. Fu il primo massacro di civili in Grecia durante l'occupazione, e stabil un modello. Il primo pomeriggio gli uomini della Pinerolo circondarono il villaggio, rastrellarono la popolazione e fecero un primo raduno sulla piazza centrale. Poi dal cielo arrivarono i caccia col fascio littorio. Scesero bassi, rombando, scaricando le loro bombe incendiarie. Case, fienili, stalle bruciarono tra le urla delle donne, i muggiti lugubri delle vacche. Gli italiani gliel'avevano detto, raccontano i vecchi paesani: Vi bruceremo tutti. Il maestro, che capiva la nostra lingua, avvert: Mamma. Ci ammazzano tutti. Molti non avevano mai visto un aereo. Al tramonto, raccontano i figli degli uccisi, le famiglie di Domenikon furono portate sulla curva dei partigiani. Dopo esser stati separati dalle donne, tra pianti e calci, tutti i maschi sopra i 14 anni, fu ordinato, sarebbero stati trasferiti a Larisa per interrogatori. Menzogna. All'una di notte del 17 gli italiani li fucilarono nel giro di un'ora, e i contadini dovettero ammassarli in fosse comuni. Anche mio padre e i suoi tre fratelli, ricorda un vecchio rintracciato da Stathis Psomiadis, insegnante e figlio di una vittima che si dedicato alla ricostruzione dell'eccidio, indicando la collina di lentischi e mini. La notte e l'indomani i soldati della Pinerolo assassinarono per strada e per i campi pastori e paesani che si erano nascosti: fecero 150 morti. tutto ricostruito nel documentario "La guerra sporca di Mussolini", diretto cl Giovanni Donfrancesco e prodotto dal! GA&A Productions di Roma e dalla televisione greca Err, che andr in onda il 14 marzo su History Channel (canale 405 di Sky), La Rai si disinteressata al progetto. Il film, che riapre una pagina odiosa dell'Italia fascista, si basa su ricerche recenti della storica Lidia Santarelli. La docente al Centre for European and Mediterranean Studies della New York University, parlarndo con "L'espresso" di Domenikon e dei massacri italiani in Tessaglia, Epiro, Macedonia, li definisce "un buco nero nella storiografia". Che cosa sa il grande pubblico della campagna di Grecia di Mussolini? Ricorda il presidente Ciampi, le commosse rievocazioni della tragedia di Cefaalonia, il generale Gandin e la divisione Acqui, le emozioni cinematografiche di "Mediterraneo" e del "Capitano Corelli", con gli italiani abbronzati, generosi. portati a fraternizzare. Una proposta di legge (Galante e altri) presentata alla Camera il 24 novembre 2006 per istituire una Giornata della memoria delle vittime del fascismo accenna all'eccidio di Domenikon; ma un'eccezione. Italiani brava gente? Per nulla. Domenikon, dichiara la Santarelli nel film, fu il primo di una serie di episodi repressivi nella primavera-estate 1943. Il generale Carlo Geloso, comandante delle forze italiane di occupazione, eman una circolare sulla lotta ai ribelli il cui principio cardine era la responsabilit collettiva. Per

73

annientare il movimento partigiano andavano annientate le comunit locali . L'ordine si tradusse in rastrellamenti, fucilazioni, incendi, requisizione e distruzione di riserve alimentari. A Domenikon seguirono eccidi in Tessaglia e nella Grecia interna: 30 giorni dopo 60 civili fucilati a Tsaritsani. Poi a Domokos, Farsala, Oxini. Le autorit greche segnalarono stupri di massa.

Civili trucidati dagli italiani per rappresaglia Azioni di cui praticamente non esistono immagini, memorie sepolte negli archivi militari. il comando tedesco in Macedonia arriv a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Nel film il diario del soldato Guido Zuliani racconta di rastrellamenti e torture. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa internazionale: Vi vantate di essere il Paese pi civile d'Europa. ma crimini come questi sono commessi solo da barbari. Fu internato, torturato, deportato in Italia. La figlia: "Un incubo". Gli italiani imitarono i tedeschi, ma senza la loro tecnica. Nel campo di concentramento di Luisa, a nord di Volos dove nacque Giorgio de Chirico, furono fucilati per rappresaglia oltre mille prigionieri greci. Molti morirono, ricorda "La guerra sporca di Mussolini", di fame. denutrizione, epidemie. Le brande con i materassi di foglie di granturco erano infestate dalle pulci. L'occupazione (sino al settembre '43 gli italiani amministrarono due terzi della Grecia, un terzo i tedeschi) si caratterizz per le prevaricazioni continue ai danni di innocenti. La Tessaglia era il granaio greco. L'esercito italiano eseguiva confische, saccheggi, sequestri. Introdotta la valuta di occupazione, il mercato nero and alle stelle. La razione di pane si ridusse a 30 grammi al giorno. Il film mostra abitanti di Atene morti di Bambini vittime della carestia ammassati in ospedale ad Atene nel 1941 fame gettati come stracci agli angoli delle strade. Nel solo inverno 1941, ricorda la professoressa Santarelli a "L'espresso", da carestia indotta dall'amministrazione italiana fece tra i 40 e i 50 mila morti. Nell'intero periodo morirono di fame e malattie tra i 200 e i 300 mila greci. Un altro capitolo poco studiato la prostituzione: migliaia di donne prese per fame e reclutate in bordelli per soddisfare soldati e ufficiali italiani. Nel 1946 il ministero greco della Previdenza sociale, nel censire i danni di guerra, calcol che 400 villaggi avevano subito distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unit italiane e tedesche, 200 dai soli italiani. La Grecia rimossa ci costringe a riflettere. Come dice nel film lo storico Lurz Klinkhammer, il massimo studioso di atrocit tedesche in Italia: La leggenda del bravo italiano non completamente inventata. Ci che inventato che tale immagine fosse l'aspetto dominante nell'occupazione di quei territori. I generali Geloso e Benelli altro non fecero che applicare le linee guida del generale Roatta in Jugoslavia, che teorizz la strategia testa per dente. Klinkhammer dichiara che le fucilazioni italiane in Slovenia, nella provincia di Lubiana. ebbero le stesse dimensioni delle fucilazioni tedesche in Alta Italia dopo l'8 settembre. Oltre 100 mila slavi transitarono per i campi di concentramento italiani in Jugoslavia. Nell'isola di Rab, di cui il film mostra cadaveri scheletrici, mor il 20 per cento dei prigionieri. Klinkhammer usa per l'esercito di Mussolini, ricordando i crimini in Etiopia e Cirenaica con l'impiego di gas contro i civili, il termine "programma di eliminazione". E se dopo il 1945 Badoglio e Graziani furono i primi due criminali di guerra elencati dalle autorit etiopi, per la Grecia e i Balcani furono sollevate analoghe richieste per i generali Roatta, Ambrosio, Robotti e Gambara. Fucilazione di civili in Slovenia A Londra la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ricevette una lista con pi di 1.500 segnalazioni di criminali di guerra italiani. Perch tutto and insabbiato? Ecco un'altra rimozione nazionale. Nel 1946 era cambiato tutto: l'Europa spaccata in due tra Alleati e blocco sovietico. L'Italia di De Gasperi rientrava nella strategia di compattamento occidentale contro Stalin. Il nostro governo rifiut la consegna dei responsabili di atrocit alla Grecia. Mentre De Gasperi istituiva una commissione d'inchiesta, chiedeva a Washington di temporeggiare. Stessa richiesta da Lord Halifax per il governo britannico, pur vicino alla Grecia, dove infuriava la guerra civile tra monarchici e comunisti. In breve: l'Italia rinunci a chiedere estradizione e processo per i criminali nazisti (ricordate "l'armadio della vergogna"), la Grecia fece lo stesso con l'Italia. La Guerra fredda fu la pietra tombale alle richieste di giustizia (vedere intervista a Filippo Focardi qui sotto). 74

Domenikon oggi un paesino circondato dalla macchia, da ginepri, cardi e rosmarini. I tramonti lo tingono di rosa come nel 1943. I patrioti come Stathis Psomiadis hanno cercato di sollevare il velo dell'oblio, e questo documentario un tributo agli innocenti. la realt per amara. Domenikon, riconosciuta citt martire nel 1998, non diventata memoria collettiva, come da noi Marzabotto. Molti greci non conoscono queste vicende. Perch gi nel 1948, con la rinuncia del governo a chiedere l'estradizione dei criminali italiani, la questione si chiuse. I processi non furono mai istruiti. Anni dopo anche il Tribunale di Larisa archivi il caso. E di Domenikon resta la memoria di pochi, gente semplice, poco rnediatica, come si dice oggi. E un tramonto rosa malinconico. Sopra il villaggio, sopra la giustizia e la storia.

IN NOME DELLA REALPOLlTIK


colloquio con Filippo Focardi

Perch di Domenikon e dei massacri italiani in Grecia ancora oggi non si sa nulla? Risponde lo storico Filippo Focardi dell'Universit di Padova. Ci si lavora in pochi, pi o meno dal 2000. Si studiata abbastanza l'Africa orientale, poco la Jugoslavia e la Grecia. Domenikon a tutti gli effetti una strage sconosciuta. Esiste una differenza tecnica tra strage italiana e strage tedesca? La differenza sostanziale, rispetto a Marzabotto, sta nel fatto che gli italiani trucidarono solo i maschi sopra i 14 anni. Klinkhammer parla del "codice maschile della guerra". Se vogliamo, Domenikon paragonabile alla strage tedesca di Civitella Valdichiana, estate 1944. Perch gli alleati protessero l'Italia dalle richieste sui crimini di guerra? Primo motivo: lo status internazionale dell'Italia, che si differenzi dalla Germania dopo 1'8 settembre con il riconoscimento della cobelligeranza. Tutti i partiti italiani, dalla Dc al Pci, gi dal maggio 1944, chiesero che i criminali di guerra fossero giudicati e puniti in Italia. Secondo: la politica degli angloamericani nella logica nascente della Guerra fredda. La Gran Bretagna, che era intenzionata a punire gli italiani per i crimini contro i prigionieri inglesi, col governo Attlee fin per proteggere Badoglio e la sua cerchia. Washington era impegnata a procrastinare, circa le richieste greche e jugoslave, dopo l'occupazione di Tito della Venezia Giulia, e gli inglesi si avvicinarono alle posizioni Usa anche per non indebolire il governo italiano. Nel 1946, in vista del trattato di pace, si impose una politica di stallo, con accordi diplomatici riservati. Temporeggi anche il governo De Gasperi rispetto all'estradizione dei criminali nazisti . Infatti. I criminali di guerra tedeschi processati in Italia, tra il 1947 e il 1962, furono pochissimi: appena 13 sentenze. Il nostro governo volle evitare un'ondata di procedimenti contro i tedeschi anche per proteggere i criminali italiani da un effetto boomerang. In Francia vi furono centinaia di processi, in Olanda oltre 200, in Danimarca 77. In Italia non si ebbero sentenze capitali, l'ergastolo a Kappler, Reder e a un contumace. E anche Mischa Seifert arriva tardi. Le stesse autorit greche si arresero presto. Che io ricordi, l'unico criminale italiano processato dai greci fu Giovanni Ravalli, del servizio informazioni della divisione Pinerolo, coinvolto nelle repressioni antipartigiane. Arrestato. giudicato dal tribunale di Atene. condannato all'ergastolo nel 1946. si salv perch era stato compagno di scuola di Francesco Bartolotta, capo di gabinetto di De Gasperi: grazie all'azione del governo italiano fu graziato dal re nel 1950. Nella memoria collettiva greca i crimini italiani furono oscurati da due fattori: prima dalle atrocit tedesche, poi dalla sanguinosa guerra civile. E. A.

___________________________75

1939, mille morti in una foiba

Etiopia: quella strage fascista mai raccontata


dal nostro inviato PAOLO RUMIZ (Da Repubblica del 22 maggio 2006) ADDIS ABEBA Fucilati dopo la resa o avvelenati con i gas nella grotta dove si erano rifugiati. Mille morti, come minimo. Peggio di Marzabotto, perch non fu rappresaglia. Peggio di Srebrenica perch morirono anche donne, vecchi e bambini. Unico paragone possibile, le foibe, ma con un'esecuzione concentrata in un unico luogo. Le prove di un efferato crimine italiano riemergono in Etiopia, 70 anni dopo la proclamazione dell'impero, gettano luce sinistra su un conflitto che la nostra memoria ancora rimuove o traveste da scampagnata coloniale. Le ha trovate in queste settimane Matteo Dominioni, 33 anni, dottore di ricerca dell'universit di Torino. Prima le carte, documenti inoppugnabili. Poi le ossa umane, nella grotta dell'infamia, ancora avvolte da fosche leggende. La conferma definitiva di quanto avvenne in quelle ore tra il 9 e 1'11 aprile 1939. Tutto comincia per caso, con un pacco di telegrammi dimenticati in un faldone dal titolo Varie all'ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito. Dentro, un manoscritto senza firma, con una mappa della zona di Debra Brehan, 100 km a Nord di Addis Abeba, nell'alto Scioa. Il contenuto, confermato da altri documenti, agghiacciante. UNA carovana di salmerie dei partigiani di Abeb Aregai, leader del movimento di liberazione, si rifugiata in una grotta dopo essere stata individuata dall'aviazione italiana, e non accenna ad arrendersi pur essendo circondata da un numero soverchiante di uomini. La sproporzione totale: le salmerie della resistenza etiope sono in prevalenza vecchi, donne e bambini, parenti degli uomini in armi, che garantiscono la cura dei feriti e il sostentamento dei partigiani alla macchia (ad Adua, mezzo secolo prima, dietro ai 100 mila combattenti e'erano 80 mila persone di supporto). La grotta ed alcuni poveri resti L'ordine dei Duce perentorio: stroncare la ribellione che perdura sulle montagne a tre anni dall'ingresso di Badoglio ad Addis Abeba. Ma stavolta stanare i ribelli impossibile, cos il 9 aprile la grotta viene attaccata con bombe a gas d'arsina e con la micidiale iprite che devast le trincee della Grande Guerra.
L'Italia ha firmato il bando internazionale di queste armi letali, ma ormai le usa in grande stile su autorizzazione di Mussolini. Nella grotta il bombardamento speciale gli eufemismi sulle bombe intelligenti si inaugurarono allora portato a termine dal plotone chimico della divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle pi nobili delle nostre Forze Armate. La notte dopo, una quindicina di ribelli armati tenta una sortita e riesce a scappare. Molti cadaveri vengono gettati fuori dalla grotta. Gli altri muoiono avvelenati o si arrendono all'alba del giorno 11. Ottocento persone, si legge nel documento, che il mattino stesso vengono fucilate, d'ordine del Governo Generale. Come dire del generale Ugo Cavallero o dello stesso Amedeo di Savoia, pure lui di nobile reputazione. Un massacro, contro ogni norma della convenzione di Ginevra. Ma non finita. Dentro c' chi resiste ancora uomini, donne e animali e i nostri chiedono i lanciafamme per bonificare l'antro, ramificatissimo. I meticolosi telegrammi degli alti comandi sono istantanee dall'inferno. Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sar ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche. La prevalenza di inermi disarmati tra i ribelli ormai chiara. In quegli stessi giorni, in un'altra grotta della zona, ne vengono uccisi 62, di cui due donne. Ma vengono risparmiate 62 donne et 58 bambini, poi sono catturati 33 muli, 3 cavalli et 23 asini denutriti dal lungo digiuno, e successivamente altri 27 uomini, 16 donne e 4 bambini. Le prove, schiaccianti, entrano nella tesi di dottorato di Dominioni. Ma mancano ancora i riscontri sul ter-

76

reno, cos il ricercatore organizza un blitz col supporto dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. Va in Africa dove viene accompagnato dal giovane studioso etiope Johnatan Sahle. Siamo a fine aprile, in tempo per evitare le grandi piogge equatoriali. La mappa trovata allo Stato maggiore consente di individuare facilmente la zona, a un giorno di macchina dalla Capitale, in un terreno crivellato di grotte e punteggiato di chiese copte, attorno alla cittadina di Ankober, 2600 metri di quota, alta sulle valli dei fiumi Uancit e Beress.

La zona di uno dei numerosi crimini della brava gente italica


E' dai preti dei villaggi che arrivano le prime conferme (non ottocento, ma migliaia di morti) e l'indicazione delle strada giusta, fino al paesino di Zemer, e poi per altri 30 chilometri fuori pista fino al villaggio di Zeret, una ventina di tukul in pietra e paglia, 180 metri a picco sopra la bocca dell'inferno. Il nome della grotta dice gi tutto: Amezegna Washa, antro dei ribelli. Sotto, il fiume Ambagenen, che vuoi dire Fiume del Tiranno. All'imboccatura, lo stesso muretto protettivo descritto nei rapporti dell'esercito italiano. La gente del posto ha gi elaborato magicamente l'evento, racconta che gli scheletri trovati davanti alla grotta sono caduti dal cielo come monito e poi sono stati spostati nella chiesa di Jigem, ora irraggiungibile perch infestata di briganti. Dentro la caverna non c' pi andato nessuno, da allora. Si dice che sia piena di spiriti, pronti a spegnerti la candela con un soffio per inghiottirti nel buio. Ma Dominioni ha una dotazione di torce elettriche che nessun Grande Spirito pu toccare, cos molti giovani del villaggio si fanno coraggio e decidono di accompagnarlo nella caverna, in una missione scientifica che per loro diventa esorcismo. Dentro, un labirinto, in parte impercorribile. Ma bastano i primi cento metri alla luce incerta delle torce per dare conferme. Ossa dappertutto racconta il ricercatore quattro teschi, di cui uno con addosso la pelle della schiena; proiettili, vestiti abbandonati, ceste per il trasporto delle granaglie. E poi rocce annerite, forse dai bivacchi (ma era difficile che i ribelli accendessero fuochi il cui fumo li segnalasse all'aviazione italiana) o forse dai lanciafiamme. Gli italiani, raccontano i figli e i nipoti di chi vide, calarono verso l'imboccatura della grotta dei pesanti bidoni che poi furono fatti esplodere con i mortai. Era quasi certamente l'iprite, il gas che corrode la pelle e brucia le pupille. E ancora: chi non fu fucilato, fu buttato nel burrone sotto la grotta. Fu colpa degli ascari, le truppe indigene inquadrate nell'esercito italiano l'obiezione ricorrente di fronte ai massacri in Abissinia. Ma gli ascari - ribatte Dominioni - non si muovevano mai senza l'ordine di un ufficiale bianco. La ferocia di queste repressioni era anche il segno dell'esasperazione dei fascisti di fronte alla resistenza degli etiopi. La rabbia per un controllo incompleto del territorio. No, il camerata Kappler non fu peggio di noi. Il governatore della regione di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli, di rinomata famiglia di esploratori, fece buttare i capitrib nelle acque del Lago Tana con un masso legato al collo. Achille Starace ammazzava i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersaglio, e poich non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Fu quella la nostra missione civilizzatrice? L'Africa per noi non fu solo strade e ferrovie. Fu anche il collaudo del razzismo finito poi nei forni di Birkenau. Negli stessi anni, un altro personaggio con la fama di buono Italo Balbo governatore della Libia fece frustare in piazza gli ebrei che si rifiutavano di tenere aperta la bottega di sabato. Quanti perfidi depistaggi della coscienza. Ambaradan, per esempio. Da noi una parola che fa ridere; vuoi dire allegra confusione. Ma quando sai cosa accadde nella battaglia dell'Amba Aradam, montagna fatale dell'Etiopia, quel termine sembra coniato apposta per coprire l'orrore. Migliaia di tonnellate di iprite per stanare i nemici arroccati nelle grotte, cio morte orrenda, inflitta vigliaccamente con sofferenze inaudite. Badoglio fece agli etiopi ci che Saddam fece ai Curdi. Solo che Saddam alla sbarra, e l'Italia non ha risposto dei suoi crimini. C' bisogno di parlarne spiega Dominioniil vuoto storico e morale da riempire enorme. A ottobre sar la prima volta che italiani ed etiopi dibatteranno insieme ad un convegno, a Milano, sull'Africa orientale italiana sotto vari aspetti, organizzato dall'Insmli. Prima non s'era fatto mai. La cosa, ovviamente, d fasti-

77

dio. Chiss che agli etiopi non venga in mente di chiederci danni di guerra, cosa che finora non hanno fatto. Gli etiopi non hanno mai capito perch l'Italia ha voluto quella guerra dopo innumerevoli trattati di pace, fratellanza e promesse di coesistenza pacifica va gi duro il professor Abebe Brehanu, uno dei massimi storici di Addis Abeba. E che sia chiaro insiste la vostra non fu una colonizzazione, ma una semplice invasione, contro tutti i trattati internazionali. Un atto di illegalit totale di cui ci chiediamo ancora il senso.

ALCUNE CONCLUSIONI DEDICATE AI BIPEDI IMPLUMI ACEFALI


Non sono altro che alcune informazioni fondamentali per persone pensanti ma, appunto, occorre essere pensanti. Come sappiamo i fascisti non lo sono e danno giudizi senza mai preoccuparsi di informarsi. Il loro cervello piccino e vi sono pochi neuroni, tutti disastrati, molti zoppi e quindi non in grado di trasferire informazioni. Bisogna accarezzarli e dir loro sempre s, in fondo sono come cagnolini sempre obbedienti al padrone. Riguardo al sindaco di Affile, Ercole Viri, probabilmente non sa chi era anche Almirante. Per ricordarglielo parto un poco indietro nel tempo. Quando Milano cadeva perch i partigiani la stavano via via occupando tutta, Almirante scapp dal palazzo del potere in cui era rifugiato, si travest da partigiano con il foulard rosso al collo e scapp verso il Sud dItalia. Ora, o Mussolini era un quaquaraqu oppure ci che diceva aveva un senso. Ricordate il Se avanzo seguitemi e se indietreggio uccidetemi!? Ebbene i partigiani che lo hanno catturato non hanno fatto altro che rendere onore alle sue volont, lo hanno ammazzato anche perch scappava con varie casse doro degli italiani verso la Svizzera. Un altro fuggiasco era proprio Almirante, un noto massacratore della RSI che firmava manifesti che condannavano alla fucilazione tutti coloro che avessero collaborato con la Resistenza. Fu Terracini che cerc di farlo arrestare ma un Parlamento imbelle fatto di democristiani e fascisti in doppio petto lo ha impedito. Fare un monumento ad Almirante ed intestargli una piazza pu essere iniziativa solo di un paesino sperduto di una Repubblica delle Banane. Occorre inviare giornalisti e fotografi e fotografare alcuni strani abitanti della Repubblica. In questa Repubblica delle banane il Presidente appeso ad una liana e si dondola senza sapere nulla del mondo in cui vive. Cos Graziani sarebbe una brava persona? Uno assolto dal crimine di collaborazionismo con i tedeschi. Bravo lumano sulla liana! E uno che sa tante cose! Solo che Graziani non ha commesso crimini contro lumanit perch ha collaborato con i tedeschi ma per altro, per moltissimo altro che in queste pagine raccontato. Pu darsi che ad un fascista le cose dette non facciano impressione, infatti sono crimini contro lumanit e non contro quelli della Repubblica delle banane. Ma il sindaco che tra unoscillazione ed unaltra della liana adocchia qualche notizia ci racconta di foibe e massacro degli italiani dIstria. Poverino, non ne azzecca una. Ma poich occorre salvare dal degrado tanta persona occorre raccontargli come stanno le cose.

FOIBE: GLI ASSASSINI RECLAMANO LA MEMORIA


www.fisicamente.net
Tanti anni fa, nel 1945, le brigate di Tito in Jugoslavia, si liberarono dal nazifascismo senza alcun intervento di qualche potenza esterna. Da soli, dopo anni sulle montagne e soggetti alle violenze criminali degli occupanti sostenuti da una Chiesa fascista, quella di Beato Stepinac, riuscirono a cacciare gli occupanti. Chi erano in dettaglio questi ultimi? Tedeschi ed italiani che misero in piedi 22 campi di concentramento per sterminare i serbi, gli zingari, gli ebrei, i gay, ... ogni persona che puzzasse di antifascismo 78

o risultasse diversa. Da questa operazione che tra gli italiani era guidata da generali e da ladri come Gelli che si addestrava alla professione rubando lingotti d'oro alla Banca di Belgrado. Nei campi di sterminio nazisti e fascisti, dove si veniva ammazzati anche da una mazza spaccapietre che ti colpiva sul cranio sfondandolo, furono fatte fuori 800 mila persone gettate in fosse comuni (vedi:
http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-612.htm , http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-299.htm, http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-52.htm). La Jugoslavia ebbe nella Seconda Guerra Mondiale ben

1 milione e 400 mila morti civili (e 300 mila militari), l'11 per cento della popolazione. E l'Italia, uno dei Paesi che aveva scatenato i massacri, solo 400 mila morti di cui 80 mila civili per un totale dello 0,9 per cento della popolazione (sempre furbi!). Mano a mano che avanzava la sconfitta dei criminali, i tedeschi si ritirarono verso Nord mentre gli italiani scapparono verso Ovest inseguiti dalle brigate di Tito furiose per i 4 anni di crimini e violenze che avevano dovuto subire. I primi italiani li incontrarono in Istria e nei territori ex italiani della Dalmazia. La furia era incontenibile e gli italiani erano tutti uguali, tutti nemici acerrimi da sterminare. Ne presero a caso, li gettarono, alcuni ancora vivi, in fosse carsiche presenti nel territorio, le foibe. In totale questo secondo orrore comport secondo la maggioranza degli storici dagli 8 mila ai 10 mila ammazzati. Questi i fatti che la retorica bolsa degli italiani brava gente non ha mai voluto riconoscere, Solo pochi storici ne hanno scritto ma le cose che documentavano non avevano alcuna risonanza perch gli italiani continuavano ad essere brava gente. A questa retorica si associato anche Napolitano quando ha esaltato in modo commosso le vittime che sarebbero state della barbarie degli jugoslavi. Vi fu la protesta del Presidente della Slovenia ma Napolitano aveva ed ha certezze incrollabili che discendono dalle amicizie anticomuniste dei tempi miglioristi. E la storia non maestra di nulla con i fondamentalisti. I fascisti, la loro parte pi ottusa (quasi tutti), esaltano la festa del 10 febbraio. Eppure grazie ad altri storici come Del Boca abbiamo appreso delle stragi che i nostri fulgidi eroi al comando di Roatta, Graziani ed altri banditi hanno fatto in Africa. I gas che ammazzavano insieme all'Iprite, un napalm allo stato brado, contro popolazioni inermi per dare un impero al Duce esercitandosi nel razzismo mai morto in quei banditi (poveri diseredati italiani potevano e possono finalmente sentirsi superiori a qualcuno ...). Quindi tutti felici e tra memorie e contromemorie non ve n' mai una che ricordi il sacrificio di migliaia di partigiani che hanno ridato la libert (oggi gravemente offesa) a questo Paese. Ma noi stiamo vivendo in diretta un falso continuo giornaliero e quindi non dobbiamo stupirci. Cosa altrimenti la telenovela dellex buon Presidente del Consiglio che vittima di magistrati cattivi? Mai nessuno ha avuto tanti processi come me, dice! Ma nessuno gli dice che forse perch mai nessuno con tanti crimini da verificare si azzardato ad assumere il potere. Ed ora sindaco, se impara la lezione pu scendere dalla liana. Altrimenti resti pure l, ce ne faremo una ragione e continueremo la nostra grama vita senza il suo pendolare. Ununica avvertenza non spenda i soldi pubblici per sciocchezze ma pensi ad un asilo, ad un ambulatorio, a cose utili a tutti Ma gi, da lass lei non in grado di vedere .

79

Potrebbero piacerti anche