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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE IL MANIFESTO

AGAMBEN DI DONATO MURAKAMI BOWEN BENNETT W.B. YEATS EGAN DUBUS III RICHTER

DOMENICA

11 DICEMBRE 2011 ANNO 1, NO 1

di CHIARA FRUGONI

San Francesco ed Enrico Scrovegni, due persone divise nel tempo: Francesco mor nel 1226 poco pi che quarantenne, Enrico nel 1336 settantenne. Divise sideralmente nel modo di impostare la loro vita, eppure accomunate dallavere dedicato molto del loro tempo al danaro, il primo nel riutarlo, e con esso nel riutare ogni forma di propriet, perch possedere un bene diceva Francesco implica la necessit della spada, della violenza, per difenderlo; il secondo nel volerlo spasmodicamente accrescere. La Chiesa diede una risposta diversa ai loro desideri. Le fu pi facile accettare il punto di vista dello Scrovegni e il papa di allora, Benedetto XI. fu grande amico di Enrico, che pretendeva di seguire le orme di Gioacchino, il padre di Maria, gradito a Dio perch divideva le ricchezze, un terzo per s, un terzo per i poveri e un terzo per il Tempio. Reciproche convenienze allora, reciproche convenienze oggi? La Chiesa, una Chiesa ricca e profondamente implicata nei giochi politici di questo mondo, si trov invece in difcolt ad accettare la proposta di vita cristiana di Francesco. Innocenzo III, al quale il futuro santo si rivolse, fu tentato di riutarla. Cedette quando gli fu fatto notare che respingerla sarebbe equivalso a respingere il Vangelo, e il suo autore, Cristo. Lo sguardo di Francesco, tuttavia, di fronte ai soprusi e alle vessazioni dei potenti, non fu uno sguardo quieto, di chi ritiene che sia dovere delluomo peccatore sopportare patimenti e sperequazioni per acquistare la vita eterna. Francesco, usando solo le parole del Vangelo, elabor un modello destabilizzante per i destinatari cui fu proposto, continuando a professare obbedienza alla Chiesa e nella pi completa ortodossia. Gli affreschi di Giotto a Padova, nella cappella di Enrico Scrovegni, sono sempre stati ritenuti dagli storici dellarte unopera voluta dal committente per espiare i peccati di usura propri e del padre Rainaldo, cacciato da Dante allInferno, fra gli usurai (Inf., XVII, 64-70). Gli affreschi - dove uno spazio particolarmente ampio dedicato ai genitori di Maria, i ricchi e pii Gioacchino e Anna, due personaggi non presenti nelle Sacre Scritture - proclamano invece quanto sia gradito a Dio il buon uso della ricchezza e del denaro oculatamente impiegato per il proprio benessere e per opere caritative. La cappella Scrovegni, divenuta chiesa, non a caso, sintitola Santa Maria della Carit. Enrico Scrovegni, come dimostra il suo testamento, non si mostra affatto come un peccatore pentito, al contrario. Gli affreschi ostentano il successo personale del committente che vuole pilotare il consenso urbano - no a trasformarlo in gratitudine - verso il magnico mecenate. Le ricchezze sono un merito per comprarsi il Paradiso. Personalmente Enrico Scrovegni non disdegn certo di prestare su pegno ma fu soprattutto un grande nanziere. Un i patrimoni di fratelli e sorelle e mise in piedi una banca di famiglia e da abilissimo uomo daffari sostenne, impoverendolo, il comune di Padova impegnato in un vasto programma edile nelle maggio-

SAN FRANCESCO SPREAD

ri chiese della citt. Enrico soccorse il comune con prestiti ingenti ma con un tasso dinteresse moderato, prestiti sicuri per via delle imposte che lente riscuoteva e per le sue ingenti propriet. Il comune di Padova incassava ma non poteva migliorare i suoi bilanci, obbligato a indebitarsi sempre pi nei confronti di Enrico Scrovegni. Un circolo vizioso, lantesignano del nostro debito sovrano da una parte, e del falso compenso di buoni interessi che il cittadino riceve se sottoscrive titoli di Stato, compenso che costringe il medesimo Stato a continuare a indebitarsi per onorarlo. Allora alme-

no la Chiesa poteva minacciare lInferno per chi si arricchiva prestando denaro; e la gente, che allInferno davvero ci credeva, trovava in questa punizione ultraterrena motivo di soddisfazione, anche se la rivalsa si proiettava nellaldil. Esistevano i colpevoli in carne e ossa. Chi sono oggi i colpevoli? I banchieri delle agenzie di rating, i mutevoli umori dei mercati, limmaginario collettivo della paura? Entit inconoscibili, sulle quali impossibie esprimere condanne tangibili. Proprio perch lo Scrovegni sapeva di non godere di quella perfetta buona fama a cui tanto teneva (quasi cer-

tamente avrebbe voluto in un futuro immediato scendere in campo, avere un peso politico in citt), nella cappella prese in corso dopera alcune precauzioni perch non si collegasse negativamente la sua persona al denaro. Per esempio alla virt della Carit Giotto non contrappone, come di solito, Avarizia, ma Invidia. Nella scena di Cristo che caccia i mercanti del tempio c tutta la furia del Redentore che rovescia i banchi dei prestatori ma non si vedono le monete cadute a terra. Giuda rappresentato come traditore perch preda del demonio, seguendo Luca 22, 1-6, ma non come avaro. Giotto ha avuto cura

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RADICALIT DI ASSISI E CRISI DEL CAPITALISMO FINANZIARIO: LA STUDIOSA FRANCESCANA RILEGGE LA GENESI CULTURALE DEL DENARO CHE CREA DENARO

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ALIAS DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

CAPITALISMO E REGOLA MONASTICA

RIPENSANDO IL MODELLO DI SAN FRANCESCO

CHIARA FRUGONI

La Padova del nanziere Enrico Scrovegni: lontano da Assisi


SEGUE DALLA COPERTINA
di non mostrare il denaro che passa di mano in mano nellincontro segreto della vendita di Cristo. Nellarco trionfale della cappella, a sinistra, Giuda discute con i sommi sacerdoti mentre stringe la sacca colma delle invisibili monete: la sua ombra il demonio stesso che abbranca da dietro la preda di cui ripete laguzzo prolo. A destra invece Maria abbraccia la cugina Elisabetta: Maria attende la nascita di Cristo ed Elisabetta quella di Giovanni Battista. Anne Derbes e Mark Sandona, in the Usurers heart del 2008, basandosi su un passo del domenicano Remigio de Girolami contemporaneo di Giotto, che contrappose il peccato contro natura dellusura (di cui subito dir) al parto contronatura di Maria, in quanto, dopo avere dato alla luce Cristo, Maria rimase vergine, ritengono che il programmatore degli affreschi abbia voluto contrapporre Giuda e il suo peccato a Maria. Secondo gli Atti degli apostoli, 1, 18, Giuda non mor impiccato ma gli scoppi il ventre e le sue viscere si sparsero a terra perch si riteneva anticamente che il ventre dei posseduti fosse la sede dei demoni che, con la morte, si ritiravano dal corpo. Giotto rappresent Giuda nel Giudizio universale impiccato s, ma con gli intestini fuoriusciti e senza borsa al collo, come hanno invece gli altri avari dannati. Ecco dunque, secondo i due autori, Giuda e il suo sterile parto di immondi spiriti, morendo; ecco, nel momento del tradimento, la borsa di denaro che sembra un utero (sic!), loro che genera oro; ecco la grande carit nellincontro con Elisabetta, il fertile grembo della Vergine che genera Cristo. Giuda rappresenterebbe la concreta ammissione di colpa di Enrico e Rainaldo, la divina gravidanza della Vergine la remissione del peccato di usura. In effetti nella speculazione losoca della Scolastica lusura era ritenuto un peccato contro natura perch il denaro partoriva denaro, mentre ovviamente solo gli organismi naturali possono avere prole. Gi il Decretum di Graziano, notissima raccolta di testi di diritto canonico, del 1180 circa, asseriva: Ex ipso auro aurum nascitur, lusura fa nascere loro dalloro. Alessandro Bonini, teologo e ministro francescano attivo mentre Giotto era al lavoro, spiegava: Per usura si intende quando loro genera oro. E loro cresce dentro lusura come attraverso la fecondazione e il parto. Voci dal Medioevo che ci raggiungono oggi con fresca e perversa attualit. Solo il serrato e parziale accostamento testuale proposto da Derbes e Sandona e non laccostamento visivo degli affreschi crea per un legame fra la gravidanza di Maria e quella metaforica di Giuda che partorisce attraverso gli intestini fuoriusciti. Remigio de Girolami, poi, pone una sostanziale differenza fra lusuraio e Giuda, e in favore di Giuda, perch Giuda si pent e lusuraio invece non si pente mai, nemmeno mentre si confessa. Le riessioni medioevali partivano da un concetto per noi non pi condivisibile: poich il tempo appartiene a Dio, come vendere il tempo dandogli un prezzo, il tempo che non appartiene alluomo? Dunque chi restituisce un prestito deve rendere la medesima somma senza aggiungere gli interessi. Si riteneva poi che si dovesse corrispondere denaro solo per un lavoro o un bene tangibile, mentre loro che genera oro un mecca-

nismo autorieferenziale che premia chi possiede il denaro perch ha il merito o la fortuna di possederlo e, possedendolo, passivamente sarricchisce ai danni dei pi deboli. A tutto questo reag san Francesco e da par suo decise di non tenerne conto. Francesco era glio di un mercante di stoffe, ricchissimo usuraio. Nel tempo matur per il denaro un vero e proprio orrore e decise che lui e i compagni ne avrebbero fatto a meno. Si sarebbero mantenuti lavorando, nei campi, nelle case, come artigiani, in servizio del prossimo, dei contadini, dei malati e dei poveri che negli ospizi, nei lebbrosari, lungo le strade, attendevano la morte. I frati avrebbero accettato come compenso soltanto il cibo per sopravvivere. Calati in una societ in cui era il denaro che regolava laccesso ai beni, i frati, bandendone luso, riutavano di accordargli una funzione nella loro vita. Non entravano nel sistema dei legami e dei favori, delle elargizioni e dei donativi, non contraevano alcun debito di gratitudine rispetto alla carit altrui. Ma se Francesco e i suoi frati, lavorando, erano autonomi e ben sapevano argomentare e controbattere, i poveri erano soli, dunque incapaci di esprimersi. Francesco e i frati parlarono allora anche per loro, e accogliendoli nella comunit come fratelli fecero sapere agli emarginati di non essere pi senza diritti. Francesco, che condivideva le idee economiche del suo tempo, riteneva che la quantit di denaro e di ricchezza nel mondo fosse stabile e che non potesse aumentare. Nellesplosivo capitolo IX della regola non bollata (una regola operante, pur senza lappovazione ufcile della bulla, del sigillo ponticio) formula un appello non violento ma a suo modo rivoluzionario. Non parla di carit ma di giustizia. Francesco spiega che non bisogna appellarsi al buon cuore dei cristiani perch a loro discrezione facciano la carit, ritenendosi i custodi della morale pubblica. I ricchi al contrario sono tenuti a restituire ai poveri parte di ci che possiedono (in un certo senso quella che da pi di un mese sentiamo agitare nel dibattito politico come redistribuzione della ricchezza!). Dopo il peccato dei Progenitori e dei loro immediati discendenti si ruppe la giusta distribuzione dei beni e lavidit dei ricchi tolse ai poveri i mezzi per sopravvivere. Dio, immensamente ricco, incarnandosi si fatto uomo e povero, ricevendo in elemosina ci che era gi suo per diritto divino. In questo modo Cristo ha riaffermato che i poveri devono poter partecipare alla mensa del Signore. E lelemosina - scrive Francesco - leredit e la giustizia che dovuta ai poveri; lha acquistata per noi il Signore nostro Ges Cristo. Francesco dunque reclamava dai contemporanei una maggiore equit e una maggiore solidariet, due principi che le altalene delle borse e degli speculatori ci stanno facendo dimenticare. Le ricchezze che quotidianamente vediamo disgregarsi non sono le sole: si disgrega la societ.

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La biopolitica di Agamben nello specchio francescano


Qualcosa di inaudito, una nuova relazione tra norma e vita, una nuova religio: lassoluto losoco della regola francescana al centro di Altissima povert, il recente saggio di Giorgio Agamben edito da Neri Pozza

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CIOL, UN FOTOGRAFO PER LILIANA CAVANI Assisi; le citt medievali dellItalia centrale; lopera di William Congdon il grande artista astratto americano, fattosi cattolico, che si innamor dellItalia venendo a viverci stabilmente e a morirci: sono alcuni dei temi del fotografo Elio Ciol, classe 1929, friulano di Casarsa della Delizia (paese nato di Pasolini

di cui era amico dinfanzia), che di recente stato invitato ancora una volta a Mosca per un omaggio alla carriera di maestro dellimmagine (sue opere sono esposte al MoMa di New York e in diversi altri musei di arte contemporanea americana). La cifra contemplativa e creaturale del lavoro di Elio Ciol, che lo ha imposto soprattutto come paesaggista, lo ispir anche come fotografo di scena

del Francesco dAssisi di Liliana Cavani, 1966 (test restaurato): al cui album risalgono le immagini di queste pagine, da lui ristampate apposta per il nuovo Alias domenica. Un lm appartenente a un dopoguerra del cinema italiano contrassegnato, in un bianco-e-nero che risulta oggi fortemente politico, da un nuovo tipo di ricerca evangelica, prima col Giullare di Dio di Rossellini, poi con il Cristo militante di Pasolini. Bercovitch). E il glio di Geremia, Paul (trasparente riferimento allautore, dodicenne quando il padre mor in circostanze analoghe), cui non resta che farsi carico della madre Annunziata e dei sei fratelli e sorelle, lasciando infanzia, scuola e fede cattolica per riprendere il lavoro sul cantiere, capir alla ne di essere stato beffato dal Job, come tutti i suoi parenti e amici. La forza e la carica rivoluzionaria di questo romanzo di protesta, pubblicato nel 1939 dopo che il capitolo iniziale era uscito due anni prima, in forma di short story, sulla rivista Esquire, fu subito chiara. Il grido del nuovo Cristo-Geremio era il pi semplice ed efcace documento delle minacce che incombevano sullesistenza di una famiglia italoamericana, e sullintera classe operaia. Non certo un caso che nel 39 Christ in Concrete venisse preferito al capolavoro di John Steinbeck, The Grapes of Wrath (Furore), anchesso un libro radicale e proletario, come main selection del Book of the Month Club. N che Give Us the Day, il lm che ne fu tratto nel 1949, avesse un regista (Edward Dmytryk) e un attore protagonista (Sam Wanamaker) entrambi nella lista nera degli Hollywood Ten, e pertanto si dovesse interamente girare a Londra. Per molti versi, dunque, Cristo tra i muratori, come il romanzo fu subito intitolato nella tempestiva edizione italiana (Bompiani 1941), pu ritenersi un classico. Che paga il suo debito a un certo clima culturale, per esempio al teatro di denuncia di Clifford Odets (e del resto anche Di Donato riprese i personaggi del proprio romanzo per ottenerne, in The Love of Annunziata, una versione per la scena), ma si offre in una straordinaria complessit stilistica. Non solo il risultato del ricco impasto linguistico (fatalmente depotenziato in traduzione, dove per esempio il Lissenyawopbastard! del truce impresario Murdin rivolto al coscienzioso Geremia che vorrebbe per il palazzo fondamenta pi solide, diventa Senti un po, pezzo di scimunito), ma pure lespressione di un pensiero originale, una forma di spiritualismo sensuale, se cos si potesse dire, che in Di Donato assegna alluomo, alla sua indomita corporalit e allamore, la missione di redimere il mondo a partire dalla presa di consapevolezza che egli Dio: uno schema su cui Di Donato torner pi volte negli anni, dal secondo romanzo This Woman (1958) no allestremo e ancora inedito The American Gospel. Le insistenti suggestioni evangeliche, n dai titoli, sono del resto il segnale di una religiosit rivolta al nucleo pre-cristiano del cattolicesimo, a un mondo matriarcale in cui, come Di Donato ebbe a dire a uno dei suoi principali studiosi, Love is God, and woman is love (Matthew Diomede, Pietro Di Donato, the Master Builder, Bucknell University Press, 1995).

CRISTO E LAVORO

GERENZA
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Di Donato '39, quel romanzo operaista antiamericano


di FRANCESCO DURANTE

Credo che non esista un romanzo pi potente di Cristo fra i muratori nella rappresentazione dellorrore della morte sul lavoro. Nel primo, folgorante capitolo del libro di Pietro Di Donato, riproposto dallabruzzese Textus, a centanni dalla nascita dellautore, nella traduzione aggiornata di Sara Camplese (prefazione di Fausto Bertinotti, pp. 326, euro 22,50), quella tragedia pare un sacricio umano reso al Dio Job, ossia al credo secolare americano del duro e alienante lavoro (quello che trasforma luomo in una machinelike entity) come unica via alla ricompensa terrena. E non esiste un romanzo che, nella stagione del cosiddetto modernismo etnico, sia una eccezione altrettanto vistosa alla regola di storie vissute da uomini e donne che faticosamente lottano per diventare americani, e di solito ci riescono. Il sogno americano, Pietro Di Donato lo riuta. Arriva anzi a opporgli unaltra radice. Cos, mentre Geremio-Geremia (il personaggio in cui rivive la gura del padre dello scrittore) agonizza nel giorno di Venerd Santo, crocisso come un Cristo al metallo e al cemento in cui sta affondando dopo il crollo del palazzo in costruzione, e in una specie di joyceano stream of consciousness si attacca alla sua famiglia e ai suoi sogni di felicit, a un certo punto possiamo sentirlo gemere le canzoni semplici della sua infanzia scalza, ed solo un momento, ma vale quasi come un ritorno alla culture di partenza dopo gli orrori della civilization (Sacvan

FRUGONI, STORIA DI CHIARA E FRANCESCO

UNA PAIDEIA DI SAPORE GIOTTESCO


Con una abesca notte di luna in copertina, tratta dagli affreschi assisiati di Pietro Lorenzetti, Chiara Frugoni si ripresenta ai suoi lettori: Storia di Chiara e Francesco (Einaudi, pp. 200, euro 18,00). Nuovo capitolo di una saga francescana fatta di gusto del narrare e acribia lologica, il libro lega come complementari le vocazioni e utopie dei due santi umbri, a ciascuno dei quali la Frugoni aveva gi dedicato una fortunata biograa. Quel che colpisce in questa studiosa illustre e appartata la capacit di trasformare un oggetto intensamente analizzato sulle carte e sulle gure (Francesco e l'invenzione delle stimmate, Einaudi 1993) in moderna paideia, modello per l'oggi. Funzione prima di questo intendimento, il nitore di una prosa essenziale, incantevolmente compitata e a pannelli mobili: lontana erede della sintassi narrativa dei pittori del Trecento (Giotto), dalla Frugoni studiati e amati.

di ANDREA CAVALLETTI

La vita monastica trasforma tutto, azione, pensiero, volont, amore in una suite liturgica. Cos scriveva nel suo diario Jean Fallot, in visita ad Assisi la domenica di Pasqua del 1953. E aggiungeva: San Francesco ha avuto la passione della povert. Nella forza di questo sentimento vi era quasi la radice di un'altra religione. Cristo era carit prima di essere povert. San Francesco era povert si ritrova in Francesco, nella sua povert, la ricerca e la buona novella di un'identit. Ci che identico all'uomo, la sua povert. Tutto il resto gli giunge dal mondo. dunque nella povert, che ci rende conformi al nostro vero destino temporale, che compiamo il nostro destino religioso: nato povero, vivente povero, salvato perch povero. Nella

povert di Francesco vi di pi che un metodo di imitazione del Cristo, o di vita devota o monacale, vi un vero principio di identit: a cosa l'uomo identico? In che cosa consiste la sua immutabile realt? Di qui il riuto dei vestiti, che non soltanto simbolico. Torna alla mente questa pagina, leggendo l'ultimo, importante libro di Giorgio Agamben, Altissima povert Regole monastiche e forme di vita. Homo sacer IV, 1 (Neri Pozza, pp. 189, euro 15,00). Che cos' il francescanesimo? La trasformazione di tutto e prima di tutto del paradigma dell'azione umana, che dal piano della prassi si sposta a quello della forma di vita e del vivere, facendosi cio attraverso la grandiosa articolazione dell'anno liturgico sequela inseparabile dall'esistenza dei soggetti. Meglio: il francescanesimo, molto di

pi che un metodo di imitazione del Messia, qualcosa di inaudito e di nuovo, una nuova religio ossia secondo il signicato che Agamben restituisce a questa parola una nuova relazione tra norma e vita. E la povert di Francesco identicazione di un piano di consistenza (Fallot parlava di identit col testo empirico dell'uomo), ossia di un dominio impensato e forse ancora oggi impensabile, che i sintagmi vita vel regula, regula et vita, forma vivendi, forma vitae cercano faticosamente di nominare. proprio alla denizione di questa forma-di-vita che mira in fondo l'intera ofcina agambeniana, sin dalle pagine nali di Homo sacer I (1995). Gi quel volume aveva mostrato come il diritto, e in ragione della sua origine propriamente biopolitica, distingua continuamente zo e bos isolando, nell'uomo, una nuda vita sacricabile. E aveva indicato il compito di una ricerca che esponesse le modalit e vericasse i limiti di questa separazione. Dopo gli studi sullo stato di eccezione, dopo L'aperto (2002) e la denizione della macchina antropologica, il grande lavoro del 2006, Il Regno e la Gloria, aveva posto in luce il paradigma teologico della biopolitica, declinato nelle forme dell'economia e del governo, proponendo un'uscita nell'idea di vita inoperosa o di habitus della potenza (l'acquiescentia in se ipso di Spinoza). Altissima povert segue e sviluppa questa teoria. E riprende, nei capolavori della Scolastica e nelle denizioni mi-

nuziose degli horologia monastici, una suggestione del grande romanista Yan Thomas, secondo cui la oritura di regulae a partire dal V secolo resta irriducibile alla tradizione del diritto romano cos come alla sua glossa cristiana. Con una prima mossa straniante, secondo la quale ogni fenomeno si rende intelligibile nella sua parodia (cos la regola monastica nella Thlme di Gargantua e nelle 120 giornate di Sodoma), Agamben svolge e radicalizza questa intuizione. E addentrandosi poi nella tradizione cenobitica vera e propria dimostra come qui sia in questione qualcosa che eccede costitutivamente tanto l'osservanza o l'ingiunzione del precetto quanto la natura della norma canonica. Raggiungendo un tenore ultra-legale la regola si situa anzi in una zona di indistinzione con la vita, mentre questa non sar la materia in cui si imprime il progetto normativo, ma una forma in se stessa. Due, si pu dire, sono i documenti esemplari. Uno viene dal pi antico commentario alla regola dei frati minori, l'Expositio dei quattro maestri. Si tratta di una massima sullo stato di necessit: se in condizioni eccezionali i frati possono essere dispensati dalla regola (camminare a piedi nudi), tuttavia non portare scarpe si precisa non la loro regola, ma la forma di vita. Si affaccia cos la gura di un vero stato di eccezione, che non fonda il diritto, come nello schema schmittiano, ma affranca dal diritto stesso. Il secondo documento quel passo in cui la Regola del ma-

estro prescrive la sua stessa lettura. Leggendo la regola, il monaco cos la esegue ipso facto; in questo momento enunciazione ed esecuzione coincidono, e la vita di chi legge non altro che regola mentre la regola unicamente il suo uso. Vivere nell'uso, e sciogliere l'uso dal diritto, ossia dall'appropriazione, stato il grande tentativo e l'insegnamento pi attuale del francescanesimo. E tuttavia, se la dottrina dell'usus facti svelava la vera natura della propriet, quale mitico intreccio di psicologia (intenzione di possedere) e rivendicazione procedurale, d'altra parte gli eredi di Francesco non riuscivano a denire la forma di vita se non in termini negativi, in opposizione e in costante riferimento al diritto. Di qui la loro scontta storica, sotto l'attacco intenso dei giuristi curiali, di qui l'affermazione del progetto rivale, quello ecclesiastico che separa la liturgia dalla vita. Ma l'altissima povert resta viva per Agamben nella visione antidottrinaria ed escatologica di Olivi, si congiunge col piuttosto fa uso della Lettera ai Corinzi, con la forma messianica e impersonale degli usanti il mondo come non abusanti. Benjamin deniva le sue Tesi sul concetto di storia come una regola monastica, la cui meditazione doveva liberare dagli errori della socialdemocrazia del suo tempo. Si dia una lettura performativa anche di questo libro, un uso che ci liberi dalle riserve del diritto, e cos da ogni governo, con le sue tristi liturgie operative.

Illustrano queste pagine e la copertina tre foto di scena scattate da Elio Ciol sul set del Francesco d'Assisi di Liliana Cavani, 1966

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ALIAS DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

IL CASO LETTERARIO DELLANNO: 1Q84

Deviare il mondo su un altro binario per denunciarne il disordine e lefferata violenza: la tecnica immaginativa dello scrittore giapponese e il segreto di un successo planetario incondizionato

MURAKAMI
chi sa che alle dinamiche e ai gusti del mercato arduo (impossibile?) sottrarsi. Eppure Murakami, schivo, estraneo alla societ letteraria dominante, sembra percorrere una via serena che privilegia il rapporto diretto il patto di ducia con i lettori e procede appartata anche in virt della sua resistenza alle classicazioni. Murakami al suo pubblico offre romanzi ricchi e variegati che ben si prestano, per costruzione e disegno, per molteplicit di richiami musicali, letterari e cinematograci, a essere ampiamente condivisi. Ci che meno gli appartiene una griglia interpretativa che individui e spieghi simboli e metafore. I suoi romanzi garantiscono entrata e uscita: sono per statuto aperti, il contrario del settarismo. Ogni lettura una delle possibili innite. Come ogni mondo , per Murakami, solo uno degli inniti possibili. Ecco perch nelle sue storie la realt sensibilmente scivola nellirrealt, o con lirrealt convive, la sostituisce, la trascende, le scorre parallela e risonante. Luna deforme e verdastra Nellanno 1984 agli occhi di Aomame, la protagonista femminile di 1Q84, alcuni dettagli iniziano ad apparire non congruenti: il mondo che conosceva sembra scomparso, deviato su un altro binario. Il cielo notturno ospita una seconda luna, pi piccola di quella solita, un po deforme e verdastra, forse coperta da un leggero strato di muschio. Il dubbio prende forma in un question mark, e Aomame decide di distinguere lanno nel nome: 1Q84. Se in giapponese il numero 9 suona come la pronuncia inglese di Q, il risultato graco e narrativo della sostituzione gravido di conseguenze. Il Leader di una setta religiosa, uomo controverso e sofferente, violentatore (forse suo malgrado) di bambine, spiegher ad Aomame che non fantascienza, che il 1Q84 non un mondo parallelo ma solo una ramicazione del 1984; entrambi gli anni hanno la stessa origine, pochissimi si sono accorti dello scambio. Anche nel 1Q84 ci sono dolore e sangue: in qualunque mondo la linea che separa lipotesi dai fatti invisibile. La trentenne Aomame rimane se stessa: listruttrice di arti marziali e lesperta di corpi altrui, la professionista di stretching che cura pazientemente muscolo per muscolo, e lelegante assassina che spedisce dallaltra parte uomini che hanno violentato o picchiato donne, topi di fogna. La violenza in Murakami tanto intollerabile quanto assiduamente indagata. Stigmatizzata sia nelle forme individuali, cellulari, sia in quelle collettive assunte dai settarismi religiosi. Nel romanzo duri e stolti sono i seguaci della Societ dei Testimoni che vietano trasfusioni di sangue e pretendono frugalit e continenza. Forme antidemocratiche, fondamentaliste, a cui Murakami non concede spiragli di simpatia, n potrebbe essere diversamente per chi, come lui, ha intervistato le vittime degli attentati al gas sarin organizzati dalla setta Amu nella metropolitana di Tokyo (Underground, traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, 2003 e 2011). Aomame, glia di due Testimoni, ha rotto ogni legame con la famiglia e con la comunit; Tengo, il coetaneo protagonista maschile del romanzo, che da bambino ha patito non limitazioni religiose ma la freddezza e il rigorismo lavorativo del padre, vive, come Aomame, in un equilibrio di solitudine: professore di matematica in una scuola preparatoria, un aspirante romanziere che attende il suo esordio. 1Q84 costruito dalle storie di Aomame e Tengo sviluppate a capitoli alterni: tutto fa pensare che convergeranno o che una storia scaturisca dallaltra, che una scriva laltra. Ma in eco armonica, anzi in reciprocit quasi fossimo davanti al lampante Escher delle Mani che disegnano. Perch proprio a Tengo si deve la scrittura nellombra e su commissione di un romanzo in cui compaiono due lune identiche a quelle che vede Aomame: La crisalide daria. Densit dei simboli aperti In questo romanzo del romanzo, dalla bocca di una capra cieca morta aforano gli indenibili Little People capaci di tessere laria, creature misteriose e inquietanti che rimandano al 1984 di Orwell, perch sembrano moltiplicate miniature del Big Brother. Anche nel mondo del 1Q84, peraltro, possibile riscrivere il passato. La crisalide daria, che una grossa chiave di lettura fortissimo qui il livello metanarrativo , stata immaginata (vissuta) da una diciassettenne fuggita da una comunit, la dislessica e bellissima Fukaeri, che leditor Komatsu vuole lanciare sul mercato grazie alla riscrittura di Tengo. Ma loperazione editoriale ha forse come primo, coperto stratega il tutore di Fukaeri, lantropologo Ebisuno che, usando una leva, aveva sollevato una grossa roccia minacciosa e aspettava di guardare cosa sarebbe emerso strisciando. Dallimmaginazione di Murakami, sempre sica e descrittiva, ogni cosa dotata di forma consistenza e temperatura, odore colore e sapore.

Una foto di Daido Moriyama da Visioni del mondo, Skira 2010

Gli anticorpi di un romanzo orwelliano

di CECILIA BELLO MINCIACCHI

Cosa sia il vero mondo, un problema estremamente complicato. Si tratta di una questione metasica. Tuttavia sul fatto che questo mondo sia vero, non ci sono dubbi. I dolori che si provano sono veri. Anche la morte cui si va incontro vera. Quello che scorre sangue vero. Non un mondo di nzione. E nemmeno un mondo immaginario. N metasico. Glielo garantisco. Ma questo, non lanno 1984 che conosce lei. Infatti il deviante e impressivo 1Q84 di Murakami Haruki (traduzione dal giapponese di Giorgio Amitrano, Einaudi, Supercoralli, pp. 722, euro 20,00), anno/libro corposo e denso di rimandi, caso letterario presentito anzitempo, al pi completo buio, opera nuova di uno scrittore amato e atteso come pochi altri, in Giappone e nel resto del mondo. Nel 2009, in Giappone, luscita del romanzo non era stata preceduta da lanci pubblicitari: si era scelta la via elegante discreta quanto accorta della riservatezza, cui ha corrisposto un immediato e durevole tripudio di vendite. Nel resto del mondo sarebbe stato impossibile mantenere lo stesso rigoroso riserbo, e i primi due volumi della trilogia, gi mitizzata e diffusamente desiderata, appaiono ora in diverse nazioni europee. Da anni il pubblico risponde a Murakami (Kyoto 1949) con grande vitalit, se non con espansivo trasporto: i cultori dei suoi primi slittamenti tra realt e irrealt che si sentirono traditi, nel 1987, dal tono elegiaco e realistico di Norwegian Wood (traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, 2006) furono presto superati dagli ammiratori nuovi. sempre difcile giudicare fenomeni di mercato tanto massicci da far vibrare allunisono lettori di lingue e culture diverse nellaccordo crescente di editori e critici. Il successo incondizionato genera sospetto in

La struttura binaria di 1Q84, gi diversamente sperimentata nel 1985 con La ne del mondo e il paese delle meraviglie (traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, 2008), accresce la compattezza del romanzo, ne bilancia le tensioni. La calibrata tecnica di anticipazione dei dettagli messa in campo da Murakami scopre tra le due storie rapporti via via pi stringenti. Uno dei nuclei vitali e polisemici del romanzo il suo stesso scriversi, diventare veicolo, costruendo la propria funzione, il suo ruolo di anticorpo per contrastare la forza esercitata dai Little People. Probabilmente, a favorire la diffusione ecumenica dellopera di Murakami, accanto alla sostanza sentimentale (e inne amorosa), accanto alla densit dei simboli aperti e dei rimandi culturali dalla Sinfonietta di Jancek allaneddoto dellombra di Jung e al Ramo doro di Frazer, da Orwell a Carroll, dai labirinti di Kafka allavvertimento di Cechov se in una storia compare una pistola, a un certo punto dovr sparare concorre il fatto che a soprusi economici, a violenze belliche e a dittature politiche si allude con severit pacata e dolore partecipe, senza esibire rancore, in modo da innescare la riessione, non da gridarne le conclusioni. Basta il destino dei lavoratori coreani mandati in Manciuria e mai fatti tornati in Giappone per sbalzare il male della storia. Basta notare che a una bambina la rivoluzione sembra un modo di pensare appuntito, e la pace una forma arrotondata. La realt qualcosa che include il disordine e la contraddizione, e se mai ne venissero eliminati, non sarebbe pi la realt, scriveva Murakami nelle ultime pagine di Underground, che non era un romanzo. Oggi, nella nzione di 1Q84, il senso della luna di carta tutto nel suo rapporto con un mondo reale, pieno di smagliature, difformit, anticlimax.

LA TRADUZIONE UN'OFFICINA COMPLESSA

Io e Murakami: artigianato e magia per penetrare una realt labirintica


di GIORGIO AMITRANO

Alcuni anni fa si tenne a Tokyo un convegno sulle traduzioni delle opere di Murakami in varie lingue. Poich uno degli autori pi pubblicati nel mondo, i traduttori invitati erano numerosi. A causa di un impegno non mi fu possibile partecipare, ma dover rinunciare mi dispiacque. Sarebbe stata per me unopportunit unica di incontrare tanti colleghi stranieri che lavoravano su Murakami e confrontarmi con loro. Vi una strana parentela tra persone che senza conoscersi fanno lo stesso lavoro in luoghi diversi. Mi era gi successo una o due volte di fare questo tipo di incontri e avevano sempre lasciato il segno. Non credo che degli artisti, avendo occasione di fare conoscenza, provino lo stesso senso di fratellanza. Potrebbe succedere, credo, a tecnici e artigiani. Persone che in paesi, o addirittura continenti diversi, lavorano a uno stesso prodotto, che si tratti della costruzione di violini o della manifattura di gioielli. Perch la traduzione non unarte: artigianato e magia.

Tradurre Murakami significa, dallinizio alla fine, affrontare problemi concreti, cercare pazientemente nella propria cassetta degli strumenti la parola giusta e, una volta trovata, valutarne il colore, il peso, la densit; giudicarla perfetta e doverla poi, con rammarico, mettere da parte perch non lega col resto della frase. Oppure capita di usare la lima per ridurre le ripetizioni, sapendo che in giapponese sono accettate e in italiano no. Alcuni giudicano la ripetitivit di Murakami un difetto, ma anche se a volte io stesso la trovo irritante, devo ammettere che le sue ripetizioni non indeboliscono il racconto, anzi lo rafforzano. E alla fine diventano una cifra stilistica. Per questo bisogna fare attenzione. Limare troppo modificherebbe il profilo dei suoi testi, alterandone i lineamenti. Allo stesso tempo, riprodurre integralmente ogni ripetizione, ignorando che giapponese e italiano obbediscono a diverse regole di logica e ritmo, provocherebbe nel lettore un rifiuto. Lavorare preoccupandosi di simili questioni artigianato.

ALIAS DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

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BERSAGLI BRITISH

TRE FOLLETTI
MARJORIE BOWEN ALAN BENNETT W.B. YEATS

VRIDE
DI ANDREA DI SALVO

A botte di alchimia, nella magia di inizio '900


di LUCA SCARLINI

Libertinaggio come scoperta e maturazione: due storie


di GRAZIELLA PULCE

Attanagliato da Cuchulain nel dramma folklorico


di CATERINA RICCIARDI

LE INVENZIONI DI PIETRO PORCINAI


Per quanto osservata con lo sguardo afsso su di un ambito specico, sempre emerge per differenza la ricca, unitaria complessit della gura e dellopera del maggior paesaggista italiano del Novecento, Pietro Porcinai. Finalmente investito dalla serie di manifestazioni celebrative che, nel centenario della nascita, ne illustrano e valorizzano lopera oltre il circuito degli specialisti, con lapertura straordinaria di alcuni dei suoi giardini, con studi che per approssimazioni successive ancora attingono al ricco patrimonio documentario di testi e disegni conservato nella serraarchivio del suo studio-laboratorio nella esolana villa Rondinelli. E certo affatto specica, tutta esolana, la prospettiva del volume curato da Ines Romiti, Pietro Porcinai Lidentit dei giardini esolani. Il paesaggio come immenso giardino (Edizioni Polistampa, pp. 272, 34,00). A partire dallassunto di una sorta di imprinting sullopera di Porcinai, che dalla Gamberaia a Settignano, dove nasce, glio del capo giardiniere della villacompendio della riscoperta dinizio secolo del giardino allitaliana, muove e si dilata per aprirsi alla trama di segni del paesaggio collinare esolano. Come lui stesso lo rappresenta, Palinsesto assimilabile a un giardino [di cui possiede] logica e identit. Impronta destinata a riproporsi variata come cifra del suo linguaggio compositivo. E se della Gamberaia spesso accadr di ritrovare lattenzione per le direttrici prospettiche, per il gioco dei rapporti volumetrici di quinte vegetali, lesedra conclusiva e il dissolvere verso il selvatico attraverso parterre, limonaie, orti-giardino, lo scenario del paesaggio che nel disegno di una natura segnata dal lavoro di generazioni qui specialmente si impone nella cornice particolare dettata dallorograa delle colline di Fiesole. Anche se, ben oltre gli interventi esolani cos fortemente connotati e condizionati da quello scenario , si ritrova nella geograa diffusa delloperare di Porcinai il rispettoso legame con il paesaggio e assieme per sempre nelle audaci geometrie, nel governo del dettaglio, delle consonanze vegetali linvenzione. Dagli interventi in relazione al paesaggio di pietra e mare ligure, a quelli in Piemonte e Lombardia, ai giardini pugliesi, no al progetto di riqualicazione per lItalsider. In un percorso, fecondo di incontri e esperienze internazionali, che coniuga tutela e sperimentazione e che lo vedr afancare la riessione sul ruolo del verde in unurbanistica da ripensare a interventi per la sistemazione degli esterni della Olivetti e della Mondadori, occuparsi di progettare il paesaggio dellautostrada del Brennero come il parco di Pinocchio a Collodi; scrivere per Domus, propugnare anche per lItalia laffermarsi di speciche gure professionali destinate al paesaggio. Tutto, sempre tornando nel suo studio-laboratorio, in quella esolana villa Rondinelli dove vorrebbe istituire una sorta di accademia del giardino e dove nei primi anni sessanta propone di ospitare una mostra di scultura contemporanea che avr per quadro il giardino perch la scultura non arte da salotto.

A volte la gioia di trovare le soluzioni adatte ai problemi pi diversi si trasforma in orgoglio. Credo che questo peccato meriti indulgenza: mal pagato, spesso vessato dagli editori, criticato nei forum di internet da dilettanti astiosi, il traduttore ha diritto a qualche momento di solitaria e innocua autoesaltazione. Vi per un peccato di orgoglio che non pu essergli perdonato: quello di ritenersi un creatore. Linvenzione assoluta appartiene allo scrittore. Il traduttore ha il compito di trasmettere il suo messaggio, conservando tutte le informazioni che contiene, e di offrirlo al destinatario attenzione non nella forma pi bella di cui capace, ma in quella che pi si avvicina, pur in una lingua diversa, alla scrittura dellautore. La sua dunque una libert condizionata. Se poi volesse esercitarsi in prove di virtuosismo, Murakami non gliene offrirebbe la possibilit. Lestro visionario di questo scrittore non si esercita nella scelta di parole ricche e insolite o nella costruzione di frasi particolarmente elaborate. La sua straordinaria immaginazione fantastica si esprime attraverso un linguaggio sobrio e realistico. Artigianato e magia, dicevo. S, c nella traduzione un elemento magico. Quando, dopo aver lavorato a lungo a un libro di Murakami, lo vedo stampato in italiano e rilegato, come se il mondo vasto e labirintico in cui ho vissuto per mesi si fosse rimpicciolito di colpo per entrare nei confini fisici del libro. Mi successo anche con 1Q84. Vedendo il volume pubblicato nella bella copertina einaudiana ho avuto la sensazione che il genio, dopo aver scorrazzato in ogni direzione insieme a me, fosse tornato nella lampada e avesse richiuso il coperchio lasciandomi fuori. Ma la traduzione magica anche per unal-

Lo stile fantastico dello scrittore di Kyoto non fatto di parole ricche o di frasi particolarmente elaborate, ma di una lingua sobria e realistica
tra ragione. A volte un problema appare irrisolvibile. Si tenta ogni soluzione, per a un certo punto bisogna deporre le armi di fronte allo spettro pi pauroso: lintraducibile. Il traduttore, chiuso in un vicolo cieco, pensa a chi riuscito a tradurre il Pasticciaccio di Gadda e Finnegans Wake in giapponese e assapora fino in fondo il proprio amaro fallimento. Vorrebbe aguzzare lo sguardo alla ricerca della soluzione nascosta, ma non vede nulla: una fitta cortina di nebbia calata sulla pagina nascondendo il paesaggio. Passa del tempo senza che niente nella mente si muova; poi, misteriosamente il barlume di unidea si accende, prima fioco, quindi a poco a poco pi vivido, e infine la sua luce disperde la nebbia e il paesaggio di nuovo visibile. La frase giusta prende forma. Ma anche la magia non va scambiata con larte. Il traduttore materializza il coniglio dal cilindro, vero. Per si limita semplicemente, con abile gioco di illusionismo, a tirarlo fuori dalla tasca in cui era nascosto. A crearlo, cio a estrarre il coniglio dal nulla e a raccontarne la storia, Murakami.

Il gotico in versione storica una linea fortunata a cui si dedica la casa editrice romana Gargoyle, che propone felicemente titoli dimenticati di questo pressoch inesauribile repertorio. Arriva in libreria Magia nera (traduzione di Bernardo Cicchetti, prefazione di Fabrizio Foni, pp. 304, euro 14,50) di Marjorie Bowen (18851952), artigiana del genere con nome proprio e con una panoplia quasi inverosimile di pseudonimi, proposta varie volte in Italia no agli anni trenta e poi per solito connata a poche presenze nelle antologie di ghost stories. Lautrice aveva iniziato le proprie attivit nel 1906 con un feuilleton di ambiente italiano, La vipera di Milano, puntualmente proposto come racconto quotidiano sul Corriere della Sera, con il profetico titolo Il biscione. Il romanzo che ora viene proposto risale al 1909, unepoca intensamente magica per la letteratura inglese, quando cio i temi dellocculto avevano trovato una larghissima diffusione, per tramite di gruppi come la Golden Dawn, cui afferivano scrittori importanti. Qualche anno dopo, nel '13, usc la notevolissima raccolta di racconti Rosa alchemica, sequenza di misteri e rivelazioni, e poco prima, nel 1908, in una chiave di maggiore divulgazione popolare, era arrivato al successo Il mago di Somerset Maugham, che riecheggiava le gesta di Aleister Crowley, che di l a poco si sarebbe trasferito dopo lennesimo scandalo a Cefal per dar vita alla nera abbazia satanica di Thelema. La storia si apre nelle Fiandre allinizio del Quattrocento, luogo favorito dallimmaginazione britannica per le sue seduzioni medievali, evidenti tanto nel celebre romanzo A dog of Flanders di Ouida che nelle opere liberty-eclettiche di Frank Brangwyn, pittore attivo a Bruges e a Londra su temi amminghi. Dirk Renswoude, giovanissimo scultore e adepto di ricerche oscure, viene rafgurato allinizio della storia mentre d gli ultimi tocchi a un ritratto del diavolo. Presso di lui giungono il nobile Thierry di Courtrai, che condivide le stesse passioni, e il giovane Balthasar. Dal primo momento i destini dei tre personaggi sono legati per sempre: dai pentacoli e dai rituali di mezzanotte, i nostri cercano potere sulla realt. Al primo toccher di essere papa, allaltro imperatore, ma il terzo sbaraglier entrambi, incarnando un imbattibile potere militare. Lautrice rifonde nella sua movimentata invenzione numerose leggende, tra cui quella del pontece Silvestro II (il nome assunto dal protagonista quello di Michele II), vissuto con la fama di essere alchimista e morto in odore di negromanzia. I colpi di scena si susseguono e moltiplicano; la storia perde decisamente ala quando leccesso di ricostruzione antiquaria diventa di impaccio al usso narrativo. Lavventura dei due cercatori del potere per tramite della via oscura si presta a disegnare una piacevole saga on the road, destinata a concludersi in tragedia nelle lugubri sale del Vaticano.

Sotto il titolo ammiccante di Due storie sporche (trad. M. Gini, Adelphi, pp. 134, euro18,00) Alan Bennett ha compreso due brevi testi narrativi sul tema antico e sempreverde della trasformazione, qui declinato secondo il paradigma dellantitesi e dellirriverenza e osservato dal buco della serratura: ovvero loscenit del libertinaggio come scoperta gioiosa e maturazione. Una sorta di Bildungsroman anomalo e di fatto capovolto, dove la crescita dei personaggi consiste nel raggiungimento di una totale libert che fa rima con furbizia, senso pratico e vantaggio economico. Nel primo testo si racconta lavventura di Mrs Donaldson, vedova, che per arrotondare le entrate aftta una camera a studenti squattrinati. Quando si lascia coinvolgere in sedute di voyeurismo, la donna, che gi di suo sta su una china poco perbene (in ospedale simula patologie), entra in una dimensione sconosciuta che il matrimonio non le aveva mai consentito. Il tutto raccontato per ellissi che aumentano la velocit e lefcacia del ritmo ma anche la velenosit della puntura inferta al lettore, del quale vengono allegramente frantumati convinzioni e pregiudizi. Leggere Bennett permette di sperimentare la liberazione e la felicit di perdere vecchie pelli e sgusciare fuori dalle proprie angustie per assaporare le semplici e irrinunciabili gioie di essere se stessi. Anche nellaltro racconto, ritmato sui tempi del vaudeville, c lavventura di una metamorfosi scaturita da un matrimonio imprevisto e da una serie di rivelazioni. La storia, ancora pi divertente della prima, presenta una situazione da commedia, cui Wilde sembra fornire il pattern, con segreti e imbarazzi che si risolvono senza drammi grazie allaudacia e alla prontezza di spirito. Istintivamente teatrale, Bennett modula i tempi con mano felice e fa cadere le battute con tempismo inarrivabile. Prescrivere la lettura di questo scrittore e drammaturgo britannico, che si inchina solo dinanzi allintelligenza, a tutti coloro che hanno la tendenza a scivolare nellautocommiserazione o nella malinconia potrebbe contribuire a un alleggerimento della spesa sanitaria per quel che riguarda il consumo di ansiolitici e euforizzanti.

Nellultimo di un ciclo di cinque drammi (1904-'39), dedicato a Cuchulain, leroe guerriero dellUlster, il vecchio W.B. Yeats si auto-omaggia: in unepoca abietta come questa siamo nel 1938 gli spettatori devono conoscere lepica antica e i drammi di Yeats che la riguardano. Per epica antica egli intende lepica gaelica che, con mossa strategica, accosta a Omero e Virgilio, quasi a voler consacrare in suo personale gesto di congedo lappartenenza del materiale mitico di unIrlanda nalmente libera al patrimonio comune dellepos classico. Il glio di Cuchulain (cura di Dario Calimani, Marsilio, pp. 178, euro 16,00) raccoglie il primo e lultimo di quei drammi: Sulla spiaggia di Baile e il postumo La morte di Cuchulain (pi inuenzato dal No giapponese), intervallati da Purgatorio (1939), una breve pice, anchessa postuma, da leggere come u n rifacimento moderno in chiave demotica di un episodio cruciale della vita delleroe pre-cristiano: il glicidio. Da qui il titolo di questa nuova selezione in italiano. Da sempre tormentato dal problema di una progenie in cui trasmettersi, placato solo da una tardiva paternit, e dal dovere verso unarte alta e civile in cui eternarsi (come in Veleggiando verso Bisanzio), Yeats trova nel folklore nazionale materia degna di riessione, e la gura di Cuchulain, in particolare, lo attanaglia. Non labbandoner mai. Vi torner sopra a pi riprese anche nei suoi versi, no a pochi giorni dalla morte. Figlio di Lugh, dio della luce dalla testa di falco, e, lungo le linee di un fato da tragedia greca, ignaro assassino sulla spiaggia di Baile del glio avuto dalla soggiogata Aoife, la vendicativa regina guerriera di Scozia, Cuchulain, che, come Yeats, ha amato con frenesia molte donne, morir senza eredi, decapitato, ma inne trasgurato in un uccello canoro. La discendenza del suo seme combattivo e passionale dovr incarnarsi nella Storia che, nel suo inevitabile deperimento ciclico, genera una giornata gloriosa di rinascita pari alla nobilt del mito delle origini con il sacricio dei martiri della Pasqua di Sangue del 1916. in loro memoria che si chiude, nel canto di una prostituta, il dramma dedicato alla parabola delleroe, padre spirituale di nuovi gli immolati allirredentismo repubblicano, un evento (la terrible beauty) di ri-fondazione irlandese. Fu Patrick Pearse a invocarne il nome valoroso quando incit i compagni ribelli al fatale attacco patriottico, un nome che continua a risuonare l, davanti allUfcio Postale di Dublino, teatro dellinsurrezione, dove nel 1929 fu eretto un monumento a Cuchulain morente scolpito da Oliver Sheppard (C una statua a segnare quel luogo, dice la prostituta). Agli occhi di Yeats quel Cuchulain michelangiolesco non proprio un Fidia, ma in una delle ultime poesie, Le statue, non gli dispiace suggerirne la discendenza e saldare la parte migliore dellIrlanda moderna (destinata a sbrarsi), e lantica, con larte eterna del mondo classico.

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ALIAS DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

SCRITTORI AMERICANI

di FRANCESCA BORRELLI

A volte, i gesti con i quali si mettono gi i libri dopo essere arrivati allultima pagina (quando ci si arriva) sono gesti eloquenti: tradiscono il rammarico che si accompagna alla interruzione di un piacere, o il sollievo della liberazione da qualcosa che era venuto a noia, o la rabbia subentrata alle aspettative deluse. Il romanzo di Jennifer Egan, Il tempo bastardo (minimum fax, Sotterranei, traduzione impervia e riuscita di Matteo Colombo, pp. 391, euro 18,00) mi sono ritrovata a chiuderlo lentamente e con ammirato stupore, per poi riaprirlo subito dopo, come se limpulso a riavvolgere il nastro fosse irresistibile. Ma pi che ripercorrerla dallinizio alla ne, la struttura del romanzo suggerisce di saltare da una scena allaltra, perch tra queste pagine la freccia del tempo non procede lineare, bensi zigzagando come la traccia di un diagramma, che incrocia landamento di vite parallele. Tutto si svolge principalmente tra San Francisco e New York, con un intermezzo a Napoli e uno in Africa, in un tempo compreso tra la vigilia degli anni 80 e un imprecisato futuro prossimo. Due sono le gure ricorrenti, ma contrariamente agli altri personaggi principali non parlano con voce propria: dunque, di loro veniamo a sapere da un narratore pi o meno onnisciente la cui lingua raccoglie e restituisce il gergo di quel mondo di giovani sballati, aderisce alle loro incongruenze, assorbe i loro assurdi valori e sotto di essi va a scovare quellidealismo che proprio dei ragazzi, ma che non ti aspetteresti in ragazzi come loro. Sasha la protagonista femminile, il suo repertorio conta una fuga a diciassette anni con il batterista di un gruppo rock, molta dimestichezza con la droga, una sequenza considerevole di arresti per taccheggio, e ben tre tentativi di suicidio, con relativo ingaggio di altrettanti psicoanalisti. Ma tutto questo lo apprenderemo molto avanti nel romanzo, quando il montaggio ci proporr la scena in cui Sasha ricompare a Napoli, sotto gli occhi esterrefatti dello zio, che avrebbe dovuto essere l per cercarla e intanto perde i giorni vagando tra i musei, poi telefona alla madre della ragazza e piange sui risultati infruttuosi delle sue ricerche mai effettuate. Un giorno, per, Sasha gli traversa la strada, lo riconosce e, sottomettendo la sua riluttanza a quella educazione che le viene naturale, accetta linvito a cena che lo zio si sente obbligato a proporle. Poi lo porta a ballare, e mentre lo stringe a s gli ruba il portafoglio. Eccolo il suo vizio pi insidioso, quel gesto irrefrenabile con il quale si era presentata a noi n dallinizio del romanzo, quando

EGAN che sopravvivono Quelli


mo, Bennie ha gi quarantaquattro anni, un divorzio alle spalle e un glio, poco da perdere e molto da ritrovare, per esempio il suo desiderio sessuale misteriosamente scomparso, che tenta di riportare in vita ingurgitando piccole scaglie doro preventivamente sciolte nel caff. Cos usano nel suo mondo, che quello del rock, un mondo nel quale Bennie ha fatto una discreta fortuna nanziaria, lui che era il pi negato dei bassisti al tempo in cui suonava con gli amici del liceo, la inascoltabile band che aveva cambiato nome almeno dieci volte e contava tra i suoi punti di forza il magnetico e sfortunato chitarrista Scotty, e le due grandi amiche Rhea e Jocelyn, la prima dotata di capelli verdi, collare da cane al collo e una miriade di lentiggini che medita di farsi estirpare una a una, e la seconda trivellata di buchi, non solo alle orecchie, con una faccia mezza cinese che lamica le invidia, perch come dice - quella fa molto. Sia Rhea che Jocelyn scrivono i testi, se cos li si pu chiamare, per le improbabili canzoni della band, poi tutti insieme si radunano in un garage, dove suonano e sbraitano come pazzi, trasformandosi in belve sonore. Finch trovano il locale che ospita il loro primo concerto, affrontano il pubblico che n dalle prime note li insulta, gli scaglia contro ogni genere di oggetti, li afferra dal palco mentre loro pestano pi forte sulle percussioni, e c chi balla, chi spintona, chi fa sesso, chi agita come mazze le magliette grondanti di sudore, cos che se mai era stato un concerto ora una valanga umana inferocita. Ma alla ne sono tutti daccordo, la serata stata un successo. Ragazzi droga e peluche Siamo in piena era punk, i ragazzi vivono ancora in casa dei genitori e le ragazze hanno i letti sommersi di peluche; ma si strafanno di droga, consumano sesso pi o meno in pubblico e lo fanno con straniato disincanto. Si sentono al tempo stesso invulnerabili e perduti, mille miglia lontani da quegli hippy invecchiati che osservano con ribrezzo chiedere lelemosina agli angoli delle strade di San Francisco, i canellevoluzione di unidentit nazionale. La spirale di violenza vendicativa in cui la societ americana si lasciata avvolgere e cullare nei primi dieci anni del nuovo millennio risuona con toni di verit e con penetrazione psicologica nelle pagine in cui il giovane Andre Dubus III, costretto dal divorzio dei genitori a crescere con la madre, il fratello e le due sorelle in cittadine dove lunica legge quella di pugni, rissa e stupro, abbraccia la disciplina del corpo e scopre quanto sia facile, sfondata la sottile membrana che separa la paura e laggressivit, picchiare a sangue un proprio simile n quasi a ucciderlo. Ambientata in un New England di reietti che ricorda da vicino quello rievocato nei migliori romanzi e racconti di Russell Banks (forse lautore cui Dubus III pi facilmente accostabile), la narrazione sembra risolversi, nella sua parte centrale, in una lunga teoria di risse feroci e di vendette trasversali, e la scrittura asseconda pelli sporchi e orrendamente annodati, il cervello bruciato dagli acidi. Ci fanno schifo, sentenziano gli amici di Bennie, poi si passano a turno la siringa di eroina. Ma per loro niente mai sul serio, e soprattutto, come Sasha dir a un amico che si tagliato le vene mentre gli scivola nel letto allospedale, noi siamo quelli che sopravvivono. Entusiasmante nella sua capacit di farci provare al tempo stesso distacco e empatia per questi ragazzi violentemente sconsolati, Jennifer Egan esibisce un repertorio di scene una pi riuscita dellaltra; ma, soprattutto, risolve in modo esaltante il problema capitale di ogni romanziere: come rendere vivi i personaggi. Qui, per di pi, lincantesimo si ripete allincirca una decina di volte, tanti sono i caratteri cui Jennifer Egan presta la sua versatilit espressiva, inventando per ognuno di loro una voce diversa da tutte le altre, e ritagliando per ciascuno scene distribuite lungo un arco temporale di decenni, che si chiudono in dissolvenza su un dettaglio o si aprono a ospitare una parentesi narrativa, o si allungano in rapidissime fughe in avanti, dove si intravede il destino del personaggio in questione, spesso contradittorio con le premesse della vita gi trascorsa. Cos, per esempio, nonostante i molti guai accumulati, Sasha avr ragione del tempo bastardo, si sposer e avr tre gli, una delle quali racconter la storia della sua famiglia restituendola come fosse proiettata in power point: una serie di slides che verrebbe spontaneo saltare, tanto straniante la loro presenza in un romanzo, e dalle quali invece ci si ritrova irretiti, ancora una volta grazie alla bravura della scrittrice americana nellimmedesimarsi nella voce del suo per sonaggio, in questo caso una bambina di dodici anni. Ma non a tutti va bene come a Sasha: suo marito Drew, per esempio, si porta addosso il ricordo dellamico Rob, che un giorno si era buttato nellEast Reaver per emularlo, ma non essendo un nuotatore altrettanto bravo si era fatto vincere dalla forza della corrente: tutto il capitolo che si conclude con lannegamento raccontato in seconda persona, rivolgendosi con il tu le esplosioni di energia distruttiva assumendo un ritmo insieme franto e accelerato, nel quale labbandono di ogni razionalit e la dura regola delladrenalina sono riprodotti con stupefacente furia mimetica. Ma non c soltanto questo, ne I pugni nella testa. Perch questo memoir emozionante ci racconta anche, e meglio di qualunque romanzo, un lento, inesorabile processo di guarigione, che coincide con laccettazione di un padre carente, certo, ma al contempo umano e affascinante nella sua fragilit. E laccettazione del padre (Andre Dubus, uno dei pi grandi autori di racconti del secondo dopoguerra) da parte del glio Andre Dubus III, coincide con la scoperta della propria vocazione di scrittore. Scoperta non scontata che passa per uno snodo fondamentale: la rinuncia al racconto come terapia diretta e autograticazione e la ricerca di percorsi pi difcili, scanditi dalla negazione di s e dallimmersione empatica nel

Il tempo bastardo, un romanzo compreso tra l'era punk e il futuro prossimo, raccontato da voci magnicamente orchestrate

perch nulla mai sul serio


a Rob, che non pu parlare perch gi morto, in una scena tecnicamente magistrale, afdata a brevi e sobrie descrizioni dalle quali esiliata ogni ricerca delleffetto. Molto del fascino che questo romanzo lascia dietro di s dovuto proprio allequilibrio dei dettagli cui Jennifer Egan afda le sue inquadrature e alla orchestrazione singolare delle voci, il cui montaggio nale non ricorda n la avvolgente e rassicurante polifonia di una trama tradizionale, n la sconcertante proiezione centrifuga dei personaggi faulkneriani. Il tempo bastardo Linventario delle scene memorabili che la scrittrice americana riversa nel suo romanzo comprende, tra laltro, la parabola nale di Scotty, che a ventanni di distanza dal suo esordio punk, ormai ridotto al guscio tremolante di se stesso, si esibisce in un concerto improbabile al quale tutti accorrono dietro compenso, contribuendo inconsapevoli alla formazione di una leggenda. Ma anche quando lhabitat ideale della musica non la aiuta, Jennifer Egan capace di scrivere pagine stupefacenti, per nulla intimidita dai paragoni che si trova a evocare: cos, non soltanto allestisce la imponente coreograa di un safari, ma accentua la sda alle atmosfere hemingwayane facendo montare la rivalit fra il ricco produttore discograco, che ha portato in Africa la sua amante, e il cacciatore esperto che, almeno per una notte, gliela porter via. Il tempo bastardo, s, ma non su tutti i personaggi inerisce con la stessa violenza, e una delle ricorrenze tematiche pi convincenti del romanzo si risolve nella esibizione delle incongruenze che spesso si determinano tra le premesse di una vita e i suoi approdi: incongruenze a volte crudeli, altre volte pi clementi, lesplicitazione delle quali occupa interi capitoli in cui i diversi destini si incrociano e si condizionano, o altrettanto efcacemente si annunciano nella digressione di una frase isolata e fulminea. Wolfgang Tillmans, After Warriors, 1996 mondo degli altri. Scoperta, quindi, che comporta il ripudio di qualunque forma di violenza, nella misura in cui ogni aggressione equivale a una dichiarata volont di non conoscere le ragioni dellaltro. La scrittura asseconda questo processo di scoperta (nel quale si arriva alla radice di se stessi attraverso la rinuncia al proprio io e laccettazione del simile) subendo a sua volta una metamorfosi: si addolcisce, prende un ritmo pi lento e maestoso, no alle pagine conclusive, dedicate alla morte e alla sepoltura del padre, nelle quali lautore tocca corde di autentica pietas e commozione. Se La casa di sabbia e nebbia, il romanzo con il quale Andre Dubus III assurto a fama internazionale, rappresentava la consacrazione di un grande talento narrativo, I pugni nella testa forse qualcosa di pi: una storia irrinunciabile, individuale e universale al contempo, che rischia di diventare un classico contemporaneo.

linquadratura stretta della prima scena aveva messo a fuoco la sua mano nella borsa di una donna, poi si era aperta sugli interni della casa dove Sasha aveva accumulato tutti gli oggetti rubati e mai usati, arnesi anche del tutto privi di valore, arrivati no a lei grazie a una forza misteriosa e pi tenace della sua ragione: quasi un imperativo, che ogni volta le si riproponeva sotto forma di sda, alle sue capacit e alla tenuta degli affetti che la circondavano. Proprio questa sua coazione obbligher il protagonista maschile, Bennie Salazar a licenziarla dalla sua casa discograca, dopo dodici anni di comune lavoro e di avances teneramente respinte. La prima volta che lo incontriadi LUCA BRIASCO

Alla sua quarta prova narrativa, l'americana Jennifer Egan risolve brillantemente il problema di come rendere vivi i personaggi
anni a questa parte, autori di prima grandezza e di diverse generazioni stanno convogliando molte delle proprie energie migliori, creando una vera e propria contro-geograa, parallela e complementare a quella romanzesca. Non casuale che il termine memoir non abbia ancora un corrispettivo a livello italiano (o, quanto a questo, europeo): la fusione di tecniche tipiche della narrativa di nzione e di ricordi e riessioni personali, lo sfondamento della ction e labbandono delle pretese di veridicit e completezza che il genere autobiograco reclamava per s, la predilezione per storie di formazione e riscatto, fanno del memoir un fenomeno tipicamente americano. Ad apparire internazionale invece la volont, presente nei migliori memoir, di fondere lampio raggio di riessione proprio del romanzo storico con la meditazione personale; di rinunciare alla grande narrazione pubblica e utilizzare la matrice autobiograca per rileggere decenni decisivi

ANDRE DUBUS III

New England risse e reietti, poi il riscatto: un memoir dallo stile mimetico

In cinquecento pagine tra le pi intense che la letteratura americana degli ultimi anni abbia saputo regalarci, Andre Dubus III ci racconta molte cose: uneducazione alla violenza e una, parallela ma opposta, alla scrittura e allempatia; la perdita e poi il recupero del rapporto con un padre assente e lontano; il mondo crudo e spietato delle piccole citt nella cinta di Boston, colpite a morte dalla deindustrializzazione; lAmerica tra la ne degli anni sessanta e gli anni novanta, con i suoi rivolgimenti sociali, le sue mutazioni di costume, i suoi sogni infranti. I pugni nella testa (Nutrimenti, eccellente traduzione di Chiara Vatteroni, pp. 510, euro 19,50) ci viene presentato, n dalla copertina, come un romanzo. In senso tecnico, non di romanzo si tratta. I pugni nella testa un memoir, invece: appartiene quindi a un genere letterario nel quale, da diversi

ALIAS DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

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MOSTRE

di STEFANO JOSSA
LONDRA

DA LONDRA
Godfrey e Nicholas Serota, Tate Publishing, 44,99). Divisa (un po troppo schematicamente) per decenni, la mostra consente di leggere larte di Richter nelle sue costanti, al di l di inutili etichette come sperimentatore concettuale o artista polare. Lapertura di un punto di vista altro al centro della sua estetica, che possiamo chiamare ironica, se ironia , con Janklvich, un muoversi al conne, per rimettere tutto in questione: anche quando il dettaglio sembra isolato, come nella Sedia di prolo (Stuhl im Prol, 1965), in risposta alle fotograe di Joseph Beuys, ci che conta non lestetizzazione del dato di realt, come nella pop art, ma la sua trasposizione dal piano oggettivante e individualizzato, perci arricchibile di signicati allegorici imposti dallesterno, della fotograa, a quello sfuocato e sfuggente, quindi costitutivamente dotato di intrinseche potenzialit di senso, della pittura. uno sguardo allucinato quello che la pittura introduce, sospesa tra la pretesa di catturare la realt della fotograa e lossessione di oltrepassarla dellastrattismo. Inafferrabile la realt e irrealizzabile la forma, alla pittura non resta che muoversi in quello spazio in cui la realt perduta e la forma incompiuta, tra inattingibilit del mondo e smarrimento dellarte. Se si leggesse un quadro come Horst mit Hund (1965), rafgurante il padre di Richter, Horst, col suo barboncino, solo nella simmetria tra i capelli laterali delluomo e le orecchie del suo cane, senza tener conto di quelle pennellate orizzontali che spostano limmagine dal realismo fotograco allallucinazione pittorica, larte di Richter si spegnerebbe. proprio lorizzontalit della pennellata, invece, a riportare al centro della sua riessione la pittura: in polemica col Duchamp del Nu descendant un escalier n 2 (1912), con Ema (Nudo su una scala) (Ema Akt auf einer Treppe, 1966) Richter rivelava proprio le potenzialit della tecnica pi tradizionale nel momento in cui se ne decretava la morte. Il corpo di Ema, la sua prima moglie, viene al tempo stesso esaltato e sublimato dalle tratture che le linee degli scalini le iniggono: se limmagine fotograca blocca e irrigidisce, il corpo sico ritorna quello che , attraversabile, solo grazie alla pittura che cancella la differenza tra principio di realt e principio di piacere. Mentre altri pittori tedeschi scrivevano Hrt auf zu malen! (Basta dipingere!) su una tela a fondo rosso (Jrg Immendorf, 1966), o riducevano lastrattismo a una serie di segni-base variamente riproducibili (Sigmar Polke in Moderne Kunst Arte moderna, 1968), Richter restava un pittore che esplora lo scarto tra realt e rappresentazione: Non che non mi do della realt, di cui so pi o meno nulla, diceva nel 1972: Non mi do della pittura della realt trasmessaci dai nostri sensi, che imperfetta e circoscritta. Di qui il bisogno di confrontarsi con la tradizione, perch larte non pu che occupare una posizione intermedia tra ci che dato, ma passato, e ci cui ambisce, sapendolo irraggiungibile, il divino immobilizzato dalla morte e il desiderio prigioniero della vita. Larte un archetipo, sublime come la divinit, inspiegabile come la vita, indenibile e senza scopo, ha ripetuto Richter sulla scorta di Kurt Schwitters: nei paesaggi danneggiati, che mettono in discussione il motivo romantico della contemplazione della natura attraverso la capacit dellarte di crearne unaltra, di natura, cos come nei rifacimenti di Ingres o Vermeer,

Nel 1962 Gerhard Richter, appena trasferitosi da Est a Ovest, prese una foto della rivista di design Domus, la traspose su tela e la dipinse a olio. Con pennellessa e solvente confuse in un groviglio grigio la parte centrale dellimmagine, col risultato che il suo Tisch (Tavolo) presenta una grossa macchia informe sullo sfondo di due piani, uno grigio con una tavola bianca in alto e uno nero con i piedi di un oggetto in basso. Al centro, al di l della macchia, sintravvede il sostegno del tavolo, che era loggetto di design rappresentato nella foto originaria. Se si pensa che in quegli stessi anni Lacan andava elaborando la sua teoria estetica della macchia come ci che impossibile a rafgurarsi, eccedenza esclusa dalla conquista del signicante, non si pu non concentrarsi su quel groviglio grigio, punto di congiunzione, e di rottura, tra fotograa e pittura, stilizzazione e astrattismo: luna non esiste senza laltra, ma n luna n laltra sono sufcienti per rappresentare la realt contemporanea. Al momento di sistemare la sua produzione nel suo Atlas. Inventario di immagini (1969), Richter assegn alla tela il posto n. 1, bench non fosse la sua prima, con un chiaro valore programmatico. Se si pensa che in tedesco -tisch anche il sufsso aggettivale degli -ismi, il passaggio al concettuale risulta immediato: non socialistico n capitalistico, neanche realistico o formalistico, ma solo istico, il quadro serve come terza via fra le opposizioni binarie che la cultura del tempo imponeva. Anzich isolare gure o colori o forme o tecniche, come nellastrattismo o nel design allora dominanti, Richter puntava a confondere, nella convinzione che larte debba rendere conto delle compresenze, commistioni e contraddizioni. Era questo lunico modo di fare i conti col nazismo, che la Germania pretendeva di espungere dalla propria storia: come la fotograa non ha senso senza la pittura, che la immette nel movimento, n la pittura senza la fotograa, che le consente di stabilire un contatto con la realt, cos la Storia non pu fare a meno della dialettica tra memoria e oblio, permanenza del passato e sua trasformazione. La coppia di tele Onkel Rudi e Tante Marianne, lo zio generale nazista e la zia adolescente presto sterilizzata e poi forzata a morire, del 1965, riconosce che storia nazista e storia familiare, nella Germania degli anni sessanta, sono inestricabilmente intrecciate. Unestetica politica, quindi, quella di Richter, come dimostra la retrospettiva dedicatagli dalla Tate Modern di Londra (Gerhard Richter | Panorama, no all8 gennaio 2012, 12,70; catalogo a cura di Mark

Fotograa e astrattismo sono l'estetica politica di Gerhard Richter: una opzione generazionale per fare i conti con il realismo e la Colpa

TATE MODERN LA RETROSPETTIVA DEL GRANDE PITTORE TEDESCO

Richter, contaminare per distruggere la pittura della realt


ALBERS A MODENA

Richter scopre il valore della transizione, che sta nellevitare tanto limitazione quanto il superamento, tanto il fotorealismo quanto lastrattismo puro. Seestck (See See) (Paesaggio marino Mare mare, 1970) sembra un mare in tempesta sovrastato da un cielo nuvoloso, ma in realt costruito attraverso la sovrapposizione di due foto di mare in tempesta, di cui una capovolta per rappresentare il cielo; mentre Verkndigung nach Titian (Annunciazione, da Tiziano, 1973) rivela limpossibilit di uniformarsi al proprio ideale, offuscato non tanto dal tempo quanto dalla distanza insuperabile tra individuo e individuo. Proprio perci il grande contaminatore di fotograa e astrattismo ha potuto sperimentarli entrambi, la maestro americano per definire i termini di una poetica strutturale tutta tesa allosso della forma. Hokusai, Gakutei, Shinsai, penetrando la geometria interna della forma, ne fanno scaturire, indipendentemente dallapparente semplicit, vaghezza o evanescenza del soggetto, cio dai dati puramente culturali, quello che il platonico Wright definisce potere magico della forma, qualcosa di simile, forse, al senso dellordine formulato da Gombrich. Tutto struttura nellUkiyoe, anche il colore, al quale Wright dedica le pagine pi ispirate del suo saggio, apprezzandone, da conoscitore, le trasformazioni nel tempo: ma lammorbidirsi delle antiche tinte vegetali a contatto con la luce solare di un clima umido, come avviene nei tappeti orientali, nulla toglie alla loro forza superbamente decorativa. (f.d.m.)

DAL BAUHAUS AL COLORE


Minimi mezzi per un massimo effetto la ricetta del maestro del Bauhaus Josef Albers (Bottrop, 1888-New Haven, 1976), al quale la Galleria Civica e il Palazzo Santa Margherita di Modena, nella persona di Marco Pierini, dedicano, no all8 gennaio e con catalogo Silvana, la prima retrospettiva antologica in Italia ma nel 1994 cera stata, bella!, la mostra sui suoi vetri colorati, al Guggenheim di Venezia e al Palazzo delle Esposizioni di Roma. In questo caso, potendo considerare lintero percorso dagli anni di Weimar (vi era giunto nel 1920) no agli esiti nali americani (e negli Stati Uniti aveva dovuto riparare negli anni trenta a causa del nazismo; dal 50, poi, e no alla morte, si trasferisce a New Haven

Josef Albers in un ritratto del 1928, rmato da Otto Umbehr (Umbo); sopra, Gerhard Richter, Donna che scende le scale, 1965, Chicago,The Art Institut

per insegnare alla Yale University), si pu apprezzare plasticamente il forte interesse di Albers per linstabilit della forma, a fronte di una ricerca tutta orientata, apparentemente a contrario, sul costrutto geometrico, sulla fermezza ortogonale. In realt Albers, formatosi alla rigida funzionalit del segno, decide di provocarlo, questo segno, attraverso la produzione di effetti ottici che lo rendono ambiguo. La linea di ricerca che meglio esplicita questa opzione percettiva lOmaggio al quadrato, serie cominciata nel '49, dove Albers, inscrivendo uno o pi quadrati in un quadrato, di volta in volta crea rapporti di colore o a contrasto, o secondo nuances che niscono per ammorbidire la struttura geometrica e renderla permeabile allo spazio, in anticipo sullEspressionismo astratto (Rothko) e la Op art. Ma a parte quest'Albers pi canonico, in mostra si ha modo di apprezzare la sua eccezionale versatilit tecnica, tutta Bauhaus, dinanzi ai mobili, ai vetri, alle incisioni, alle fotograe. (f.d.m.)

LLOYD WRIGHT

STAMPE GIAPPONESI DEL MODERNISTA


Nel 2008 la Electa ha pubblicato un aureo libretto di Frank Lloyd Wright Le stampe giapponesi. Uninterpretazione, risalente al 1912. Adesso Francesco Dal Co, curatore (insieme a Margo Stipe) di quelledizione, presenta fino al 20 dicembre, in Casabella Laboratorio (Milano), una scelta della collezione di grafica Ukiyoe messa s da Wright sin da quando, in un viaggio del 1905, si innamor di Hiroshige e dellantica architettura orientale, con risultati immediati sul piano progettuale e nella messa a punto del suo romantico sistema modernista. In particolare, la xilografia a colori giapponese serve al

fotograa e lastrattismo, una volta acquisita la coscienza che la realt non riproducibile e la forma non imprescindibile: le concretissime foto dei membri della banda BaaderMeinhof e le astrattissime tavole dei colori non sono in una dialettica oppositiva, ma occupano lo spazio dellutopia, il non-luogo dove abita larte, senza la violenza del dolore e senza la perfezione dellarmonia, l dove il desiderio non si scontra coi limiti del vissuto e non si sublima nella rinuncia, ma contempla solo se stesso, innitamente potenziale e irrealizzato. Art is the highest form of hope. Politica e immaginazione, allora, in endiadi, perch lo spazio del punto di vista altro sia anche uno spazio dellindividuo, dove ci che fuori di noi, loggetto su cui si esercita la nostra proiezione, e ci che dentro di noi, linconscio cui vogliamo dare risposte, non siano pi separati: se la rappresentazione della banda Bader-Meinhof (18 October 1977, 1989), della guerra in Iraq (War Cuts, 2004) e dell11 settembre (September, 2005) sono apparse troppo dolci rispetto alle fotograe che li immortalano, perch Richter non punta alla violenza che sciocca, ma allo spazio aperto tra limmagine e chi la riceve, che insinua il dubbio. Moltiplicando la percezione attraverso la ripetizione della stessa immagine da angolature leggermente differenti, Richter esplora la possibilit e riuta il giudizio: nessuna simpatia per i membri della banda, ma anche nessuna assoluzione per i responsabili della loro morte. La storia un trauma, ma compito dellartista abitarlo, questo trauma, anzich sfruttarlo scandalisticamente o valutarlo moralisticamente; con John Cage, Richter ripete e ammonisce: I have nothing to say and I am saying it (Non ho niente da dire e lo dico).

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