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Indice
1. Periferia e provincia
2. Il caso italiano
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13. Vasari
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1. Periferia e provincia.
Periferia, o provincia? Forse meglio parlare di periferia, termine pi neutro, meno carico di implicazioni
valutative. Ma anche lapparente neutralit del termine
periferia non priva di trabocchetti. stato un geografo a scrivere, a proposito dellopposizione paradigmatica centro/periferia, che questultimo termine va
inteso come unallegoria nello stesso tempo spaziale e
politica1. Ma qual il peso rispettivo di questi elementi? In quale sistema sinseriscono di volta in volta
le coppie, piuttosto complementari che antitetiche, centro/periferia?
Queste domande, evidentemente cruciali per i geografi, potrebbero esserlo altrettanto per gli storici dellarte2. Ma c il rischio di sentirsi dare la risposta un po
disarmante contenuta nelle parole di Sir Kenneth Clark:
La storia dellarte europea stata, in larga misura, la storia di una serie di centri da ciascuno dei quali si irradiato
uno stile. Per un periodo pi o meno lungo questo stile ha
dominato larte del tempo, divenuto di fatto uno stile internazionale, che al centro era uno stile metropolitano e diveniva sempre pi provinciale quanto pi raggiungeva la periferia. Uno stile non si sviluppa spontaneamente in unarea
vasta. la creazione di un centro, di una singola unit da cui
2. Il caso italiano.
Per uno studio del nesso centro/periferia in campo
artistico, lItalia appare un laboratorio privilegiato. Per
molte ragioni: anzitutto, geografiche. Ricordiamo subito i dati pi appariscenti: la lunghezza della penisola; il
rapporto tra il perimetro delle coste e la superficie; la frequenza delle insenature; la presenza di due catene montuose trasversale luna, longitudinale laltra come le
Alpi e gli Appennini; labbondanza di valli e di valichi.
Questi elementi hanno configurato un paesaggio quanto
mai contraddittorio e diversificato. Una relativa facilit
di scambi con paesi lontani stata accompagnata da
comunicazioni scarse e difficoltose tra zone interne
magari vicinissime. (Ancora oggi, del resto, pi facile
andare in treno da Torino a Digione che da Grosseto a
Urbino).
Questa contraddizione stata accentuata, anzich
smorzata, dalla storia della penisola fin dalla tarda antichit. La presenza di una fitta rete di strade romane e
di una quantit eccezionale di centri urbani, la spaccatura politica della penisola fin dalla guerra greco-gotica,
hanno esaltato la diversificazione da un lato e labbondanza delle comunicazioni dallaltro. Fin da allora la produzione artistica in Italia era destinata a fare i conti con
una fortissima tendenza al policentrismo, non solo: un
policentrismo consapevole, caratterizzato il pi delle
volte da molteplicit e non da mancanza di contatti. Si
tratt del resto di contatti spesso pi subiti che cercati:
basta pensare agli imperatori dOriente e a quelli del
Sacro Romano Impero, ai califfi arabi e ai re franchi, agli
invasori ungari e ai pirati normanni. Ripensare la fisionomia della produzione artistica italiana dal punto di
vista dei rapporti tra centro e periferia sia pure soffermandosi soprattutto sulla pittura, molto meno sulla
scultura, e quasi per nulla sullarchitettura significa
dunque ripensare, intera, la storia dItalia.
ca del disegno, che tante scuole partitamente descrive quante furono nazioni che le produssero. N altramente veggo
aver fatto nella sua storia de popoli Mr. Rollin...5.
Solo le scuole, dunque, forniscono un criterio di classificazione immune da rigidit o da schematismi, tale da
poter tessere una storia piena come lItalia la desidera. La ricchezza della storia pittorica italiana non
riducibile allindividuazione delle maniere o alla narrazione delle biografie dei capiscuola. Ma di quali scuole
precisamente si trattava?
La geografia dellItalia pittorica si precis con lentezza nella mente del Lanzi. Il progetto originario prevedeva due volumi, che avrebbero dovuto ricalcare la
divisione di Plinio in Italia superiore e inferiore:
Nel primo volume io pensai di comprendere le scuole
[...] dellItalia inferiore; giacch in essa le rinascenti arti
ebbero pi presto maturit; e nel secondo le scuole dellItalia superiore, la cui grandezza apparve pi tardi.
formulata al principio del Seicento da monsignor Agucchi, che di scuole, per, ne aveva menzionate soltanto
quattro (lombarda, veneta, toscana e romana) ricalcate
a loro volta sulle quattro maniere de gli antichi (attica, sicionia, asiatica e romana)8. Di ordini, classe o
vogliam dire schole aveva parlato Giulio Mancini, prescindendo per da considerazioni di ordine geografico,
per distinguere i principali indirizzi stilistici presenti a
Roma attorno al 16209. E prima ancora, nel 1591, il pittore G. B. Paggi aveva visto operare in Italia tre famose scuole di pittura, in Roma, in Firenze, e in Venezia;
e di virtuosa scuola aveva discorso, a met del Cinquecento, il Cellini10.
Nel definire le scuole pittoriche italiane il Lanzi sinseriva dunque in una discussione che durava ormai da
pi di due secoli. In questo arco di tempo il numero delle
scuole riconosciute era via via cresciuto, sia perch centri gi esistenti avevano assunto una posizione di primo
piano (Bologna, Genova) sia perch la reazione municipalistica del Seicento aveva cercato di sostituire, nellambito della letteratura artistica, un quadro policentrico allimmagine sostanzialmente monocentrica tracciata dal Vasari. La novit del Lanzi consisteva nellaver affiancato alle maggiori una ricca costellazione di
scuole minori: in tutto, quattordici, compreso il Piemonte che senzavere successione di scuola s antica
come altri Stati, ha per altri meriti considerabili per
esser compreso nella storia della pittura11. Ne risultava un quadro molto pi articolato di quelli precedenti:
la novit maggiore era rappresentata forse dalle cinque
scuole (modenese, parmense, mantovana, cremonese,
milanese) in cui veniva scomposta la generica etichetta
di scuola lombarda. Eppure si trattava pur sempre di
un quadro fortemente squilibrato dal punto di vista geografico.
Partiamo da una considerazione brutalmente quanti-
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la scuola napoletana rimase il De Dominici (Vite dei pittori... napoletani, Napoli 1742-43), con laggiunta, per
la Sicilia, o meglio per Messina, delle Memorie de pittori messinesi apparse a Napoli nel 1792 sotto il nome
dello Hackert, ma redatte in realt da un erudito locale, il Grano. Dal De Dominici il Lanzi volle prendere
le distanze con una vera e propria stroncatura, in cui un
isolato e generico apprezzamento positivo suonava ironico perch accompagnato da una serie di critiche nettissime:
La recente Guida o sia Breve descrizione di Napoli desidera in questa voluminosa opera [del De Dominici] pi
cose, miglior metodo, meno parole. Si pu aggiungere,
rispetto ad alcuni fatti pi antichi, anche miglior critica, e
verso certi pi moderni meno condiscendenza. Nel rimanente Napoli ha per lui a luce una storia pittorica assolutamente pregevole pe giudizi che presenta sopra gli artefici, dettati per lo pi da altri artefici, che col nome loro ispirano confidenza a chi legge. Se larchitettura e la scultura
vi stian bene ugualmente, non di questo luogo muoverne
questione13.
Le Memorie de pittori messinesi, daltra parte, dovettero ispirare al Lanzi una diffidenza perfino maggiore,
visto che le notizie chegli ne trasse furono scrupolosamente relegate in nota.
In conclusione, il capitolo sulla scuola napoletana
prende in considerazione soltanto due centri, Napoli e
Messina. Gli accenni ai pittori operanti nel Regno al di
fuori di Napoli (Cola dellAmatrice, Pompeo dellAquila, G. P. Russo da Capua, Pietro Negroni) sono pochi e
generici. Viene auspicata unopera sui pittori siracusani, e in genere sulla Sicilia. La Sardegna e la Corsica non
sono neppure ricordate.
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Dallaltro, alcune citt suddite di Roma nel momento in cui Lanzi scrive, hanno dato vita in passato a scuole autonome:
non segno i confini di questa scuola con quei dello stato
ecclesiastico; perch vi comprenderei Bologna e Ferrara e
la Romagna, i cui pittori ho riservati ad altro tomo. Qui
considero con la capitale solamente le provincie a lei pi
vicine, il Lazio, la Sabina, il Patrimonio, lUmbria, il Piceno, lo stato dUrbino, i cui pittori furono per la maggior
parte educati in Roma, o da maestri almeno di l venuti17.
Dunque, i due criteri, quello stilistico e quello politico, spesso coincidono, perch ogni scuola presuppone
un centro, che un centro anche politico. Talvolta per
divergono, perch esistono centri artistici che sono stati
in passato centri politici, e ora non lo sono pi. In altre
parole, la geografia pittorica e la geografia politica dellItalia nel momento in cui Lanzi scrive, non sono sempre sovrapponibili. In questi casi il criterio determinante , per il Lanzi, quello stilistico. Si vedano le affermazioni, particolarmente nette, a proposito del Piemonte:
i Novaresi, i Vercellesi e alcuni del Lago Maggiore [...] che
furono prima di questa epoca, nacquero, vissero, morirono
sudditi di altro Stato; e per le nuove conquiste non pi
divennero torinesi di quel che divenisser romani Parrasio e
Apelle dal momento che la Grecia ubbid a Roma. Per tal
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In un caso, tuttavia, il Lanzi costretto a confessare che tale metodo inadeguato. Arrivato al momento
di esporre i princpi e i progressi della pittura nella
Lombardia, che fra quelle dItalia la meno cognita,
il Lanzi rileva come la sua storia pittorica dovesse
distendersi con un metodo affatto diverso da tutte le
altre. Ci dovuto allassenza di un centro unificatore, una capitale:
La scuola di Firenze, quelle di Roma, di Venezia e Bologna, possono riguardarsi quasi come altrettanti drammi,
ove si cangiano ed atti e scene, che tali sono lepoche di ogni
scuola; si cangiano anche attori, che tali sono i maestri di
ogni nuovo periodo; ma la unit del luogo, ch una medesima citt capitale, si conserva sempre; e i principali attori
e quasi protagonisti sempre rimangono se non in azione,
almeno in esempio [...]. Diversamente interviene nella storia della Lombardia, che ne miglior tempi della pittura divisa in molti domni pi che ora non , in ogni Stato ebbe
scuola diversa da tutte le altre, e cont epoche pur diverse; e se una scuola influ nello stile dellaltra, ci non intervenne o s universalmente, o in un tempo cos vicino che
unepoca istessa possa convenire a molte di loro. Quindi
infino dal titolo di questo libro ho io rinunziato al comun
modo di favellare, che nomina scuola lombarda, quasi ella
fosse una sola.
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Le pitture sono divenute dunque un ramo del commercio: anche per esse valgono i princip della concorrenza. Si
veda la pagina che conclude la sezione sulla scuola romana:
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Dopo che Cosimo I spogli i Senesi di una libert chessi avrian ceduta con men dispetto a qualunque altra italica
nazione che alla fiorentina, decaddero in Siena le arti non
solamente perch queste sieguono dordinario la fortuna
civile delle Citt; ma perch due terzi de cittadini in tale
occasione cangiaron suolo, ricusando di viver sudditi overano nati liberi31.
In questo modo il nesso libert fortuna civile prosperit delle arti, proposto nella prima edizione, veniva
cancellato. Tra le due formulazioni si era inserito Napoleone, il nuovo Alessandro cui il Lanzi, alla fine delledizione del 18o9, rendeva laconicamente omaggio.
Laccento, discreto ma eloquente, alla libert, aveva
un timbro molto winckelmanniano. Nella Storia delle
arti del disegno, la sua opera maggiore, egli aveva scritto per esempio che la libert fu la principal cagione de
progressi dellarte [greca]. un principio favorito del
sig. Winckelmann annotava a questo punto il curatore della traduzione italiana (Roma 1783) C. Fea che
la libert abbia sempre avuta una grandissima influenza
sulla perfezione delle arti; ma il ragionamento, e la storia provano sovente lopposto...33. A quanto pare il
Lanzi si sentiva su questo punto, almeno nel 1792, pi
vicino alle idee del Winckelmann che a quelle del Fea.
Ma nel richiamo alla fortuna civile non si pu esclu-
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La societ civile analizzata da Rousseau e da Ferguson la societ borghese basata sulla concorrenza.
Non si vuol caricare di troppe implicazioni laccenno isolato del Lanzi alla societ civile: certo per chegli
sottoline sia gli effetti propulsivi della concorrenza
sullo sviluppo della pittura, sia il dilagare del meccanismo a danno della qualit dei prodotti causa la crescente commercializzazione dellattivit artistica.
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distorsione presente nella Storia pittorica del Lanzi riflette in sostanza una distorsione, o meglio la distorsione che
caratterizza la storia (non solo pittorica) dItalia.
Abbiamo parlato di una conclusione ovvia. Ma la
distribuzione geografica dei centri artistici italiani non
ovvia. Varr la pena di analizzarla.
Proviamo a considerare i centri artistici italiani come
una specie di club. Quali erano le condizioni per iscriversi a questo club? e quando si chiusero le iscrizioni?
Fuor di metafora: perch i centri artistici italiani sono
stati, storicamente, certi e non altri? e quando (e perch) cessarono di emergere centri nuovi?
Per rispondere bisogner partire da molto lontano.
Lantichit e la persistenza dei centri urbani infatti
una delle caratteristiche pi evidenti della storia della
penisola. Secondo il Sereni, su un campione di 8000 centri pi di un quarto (2684) risulta fondato in et romana o preromana, un po meno di un terzo tra lviii e il
xii secolo, e meno di un ottavo nel periodo posteriore
al xiv secolo42. Ma questo dato quantitativo, di per s
impressionante, ne nasconde un altro, qualitativo, ancora pi denso di conseguenze per la storia, anche artistica, italiana: e cio che un contrasto fondamentale tra i
centri urbani della penisola si era gi delineato nel corso
del i secolo a. C.43.
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dai municipi ex alleati. Anche se una consapevole politica di assorbimento della manodopera disoccupata
attraverso ledilizia sembra da escludere, il risultato fu
comunque quello di alleggerire la pressione migratoria in
direzione di Roma. Antichi centri si ampliarono, cingendosi di mura, e numerose comunit uscirono dallo
stato tribale per passare a una vita associata di tipo
urbano. Queste iniziative municipali si verificarono in
tutto il Centro-Sud, con leccezione (significativa, per
motivi che vedremo) della fascia centrale dove si erano
avuti in passato insediamenti etruschi: lEtruria, e parte
dellUmbria odierna.
Allincirca nello stesso periodo si venne attuando la
colonizzazione romana della Gallia cisalpina. Anchessa
fu accompagnata dalla fondazione di centri urbani, ma
secondo modalit molto diverse da quelle del
Centro-Sud. Non solo perch il numero dei nuovi centri fu di gran lunga minore, ma soprattutto perch la loro
fondazione avvenne secondo un vero e proprio piano
regolatore, che implicava una riorganizzazione del territorio, la costruzione di opere idrauliche e cos via44. Da
un lato, quindi, una sorta di urbanizzazione selvaggia
gestita dai singoli municipi; dallaltro, unurbanizzazione
regolata e pianificata da Roma. In definitiva, diversi, e
diversamente equilibrati, rapporti tra citt e campagna.
Anni fa, esponendo in maniera pi precisa una sua
vecchia idea, il Salvatorelli sostenne che di storia dItalia in senso proprio si poteva cominciare a parlare fin dal
i secolo a. C., e precisamente dalla guerra sociale, seguita dalla concessione della cittadinanza romana agli italici45. Le considerazioni esposte or ora portano ulteriori
elementi a favore di questa tesi. La storia dItalia, cos
povera di rivoluzioni, sarebbe nata dunque sotto il segno
di una rivoluzione vittoriosa a met.
Con questo non si vuol dire, evidentemente, che la
questione meridionale sia cominciata allora. vero per
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si fruitori50, cicli di affreschi dipinti da botteghe di pittori itineranti, impegnati nella decorazione di oratori
campestri o di pievi di piccole cittadine; oppure opere
di pittori rinomati che di colpo si trovano respinte ai
margini del mercato artistico.
Prendiamo un prodotto contadino, sia esso un utensile o un oggetto liturgico. Le forme fondamentali si
basano su un repertorio limitato (spirali, cerchi, stelle
ecc. variamente combinati) che rimane pressoch immutabile per secoli, al punto che alcune di esse sembrano
risalire addirittura al periodo neolitico. In questo ambito la vischiosit, la persistenza tipologica sono particolarmente forti. Se ci volgiamo invece ai prodotti degli
ateliers itineranti, per esempio quelle squadre di artisti
operose nel Vercellese attorno al 1450-70 cui si deve tra
laltro la decorazione pittorica delloratorio di San Bernardo a Gattinara51, vediamo che essi riprendono con
minime variazioni modelli risalenti magari agli ultimi
decenni del Trecento. Come esempio del terzo tipo si
potr ricordare quanto scriveva il Vasari a proposito di
alcuni dipinti del Perugino per la chiesa della Santissima Annunziata a Firenze:
Dicesi che quando detta opera si scoperse, fu da tutti i
nuovi artefici assai biasimata; e particolarmente perch si
era Pietro servito di quelle figure che altre volte era usato
mettere in opera: dove tentandolo gli amici suoi dicevano,
che affaticato non sera, e che aveva tralasciato il buon
modo delloperare o per avarizia o per non perder tempo.
Ai quali Pietro rispondeva: Io ho messo in opera le figure
altre volte lodate da voi, e che vi sono infinitamente piaciute: se ora vi dispiacciono e non le lodate, che ne posso
io? Ma coloro aspramente con sonetti e pubbliche villanie
lo saettavano.
Onde egli, gi vecchio, partitosi da Fiorenza e tornatosi a Perugia, condusse alcuni lavori a fresco nella chiesa di
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san Severo [...]. Lavor similmente al Montone, alla Fratta, e in molti luoghi del contado di Perugia52.
Ai diversi livelli che abbiamo schematicamente distinto corrispondono dunque diversi gradi di vischiosit (e
una correlativa maggiore o minore possibilit di datazione). Non sar arrischiato concludere che in una situazione di autoconsumo artistico come quella dei contadini la spinta allinnovazione sia praticamente nulla. In una
situazione di semimonopolio come quella in cui operavano i pittori itineranti vercellesi della met del Quattrocento, ci si poteva servire tranquillamente di modelli
in certi casi assai antichi, senza correre il rischio di deludere le attese di un pubblico che non aveva alcuna possibilit di confronto. In una situazione di concorrenza
come quella di Firenze attorno al 1505, la critica esercitata dai nuovi artefici colleghi e rivali che spinge il
Perugino a lasciare (sia pure non definitivamente) la citt
per il contado umbro. Non possiamo parlare in questo
caso di ritardo periferico in senso proprio: ma in
periferia che il pittore costretto a rifugiarsi per poter
continuare a lavorare e a ricevere commissioni per una
produzione che al centro non soddisfa pi.
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sionata da Francesco monaco di San Galgano, camerlengo della Biccherna, finiva con lessere fruita, anzich
dai governanti senesi, a cui era stata originariamente
destinata, da un pubblico socialmente infimo54. Capita,
in altre parole, che monumenti, arredi e opere del passato a un certo momento vengano ceduti o gettati in un
canto come vestiti smessi. Una raccolta sistematica di
questo tipo di testimonianze sarebbe quanto mai rivelatrice dei mutevoli rapporti che intercorsero storicamente tra i singoli centri e le rispettive periferie.
Quanto detto fin qui mostra a sufficienza che il nesso
centro/periferia non pu essere visto come un rapporto
invariabile tra innovazione e ritardo. Si tratta, al contrario, di un rapporto mobile, soggetto a brusche accelerazioni e tensioni, legate a modificazioni politiche e
sociali, oltre che artistiche. Varr la pena di analizzare
a questo proposito il panorama tracciato da Vasari, dato
che nelle Vite egli forn un modello canonico, destinato
a pesare e a durare, della periferia come ritardo.
13. Vasari.
Per Vasari, lunica possibilit per un artista nato ed
educato in provincia e quella di venire a contatto con il
centro: solo cos potr entrare nel gioco dellinnovazione e del progresso. La vocazione egemonica che era
stata propria di Firenze fin dalla fine del Duecento verr
assunta dal secondo decennio del Cinquecento, da
Roma. E a Roma, spinti da una specie di inarrestabile
tropismo, tendono artisti di ogni parte dItalia che si
sono resi magari vagamente conto di quello che c nellaria. Cos il Parmigianino, che
venuto in desiderio di veder Roma, come quello che era in
sullacquistare e sentiva molto lodar lopere de maestri
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buoni, e particolarmente quelle di Raffaello e di Michelagnolo, disse lanimo e disiderio suoi ai vecchi zii55.
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e cio
smorbatosi e levatosi da dosso quella maniera di Pietro per
apprender quella di Michelagnolo, piena di difficult in tutte
le parti, divent quasi, di maestro, nuovo discepolo, e si sforz
con incredibile studio di fare, essendo gi uomo, in pochi mesi
quello che arebbe avuto bisogno di quella tenera et che meglio
apprende ogni cosa, e dello spazio di molti anni60.
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della lingua di Machiavelli, a testimonianza di una concezione altrettanto monocentrica tanto pi palese
quando si consideri che la vita del Garofalo era nelle
intenzioni del Vasari destinata a fare
brievemente un raccolto di tutti i migliori e pi eccellenti
pittori, scultori ed architetti che sono stati a tempi nostri
in Lombardia...82.
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Ma se quando noi veggiamo in qualche provincia nascere un frutto che usato non sia a nascerci ce ne maravigliamo; tanto pi duno ingegno buono possiamo rallegrarci,
quando lo troviamo in un paese dove non nascano uomini
di simile professione66.
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mentre
costui non arebbe fatto se non ragionevolmente, se egli
avesse la sua arte esercitata in luoghi, dove la concorrenza
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La funzione svolta dai committenti quindi strategicamente decisiva. E della committenza napoletana il Vasari d, nella vita di Polidoro, unimmagine ben pi negativa di quella or ora citata. Polidoro, arrivato a Napoli,
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essendo quei gentiluomini poco curiosi delle cose eccellenti di pittura, fu per morirvi di fame80,
per cui
... veggendo poco stimata la sua virt, deliber partire da
coloro che pi conto tenevano dun cavallo che saltasse, che
di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive81.
Lo stigma del provincialismo appare particolarmente evidente in un papa come Sisto IV, bersaglio tradi-
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Il passo ha un evidente valore di topos, anche se lesistenza storica del Menighella accertata. Ma questo
non cinteressa, qui. Importa piuttosto notare che agli
occhi del Vasari i gusti della clientela contadina del
Menighella, che ordina quadri con i santi tipici della
devozione rurale (san Rocco, santAntonio, san Francesco) e ama i colori squillanti e vistosi, coincidono con le
predilezioni di un papa come Sisto IV, di cultura e formazione fratesca, legato a un ambiente attardato per
Vasari, sintende come quello della Roma quattrocentesca. Periferia sociale e periferia geografica ancora una
volta si sovrappongono.
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E Bernhard Berenson nel 19o8 a proposito della pittura umbra prima del Perugino: Nelli was and remains
an idiot99. Lo stesso Berenson intitolava nel 1918 un
saggio dedicato allorvietano Cola Petruccioli A Sienese
little Master in New York and elsewhere il che, come
notava R. Longhi,
dice abbastanza sia sul basso grado assegnato allartista, sia
sulla sua supposta incondizionata sudditanza alla scuola
senese. Era allora infatti in gran voga lossessiva esaltazione per i prodotti senesi di tutto il Trecento e la istantanea
subordinazione a essi di tutto ci che in qualche modo li rassomigliasse. [...]. Una specifica cultura pittorica orvietana
nella seconda met del Trecento sembrava inammissibile:
che dico, impensabile. Eppure essa era esistita100.
Identificare senzaltro la periferia col ritardo significa, in definitiva, rassegnarsi a scrivere eternamente la
storia dal punto di vista del vincitore di turno.
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Per Vasari la contrapposizione tra maniera e invenzioni netta: la maniera moderna perfettamente
in grado di assimilare le invenzioni dei tedeschi. Lerrore del Pontormo, nellottica normativa del Vasari,
stato di abbandonare le forme tipiche della maniera
moderna, per assumere la maniera stietta tedesca. A
noi le invenzioni, cio le composizioni, possono apparire elementi pi profondi e caratterizzanti di uno stile
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I protagonisti di questa guerriglia anticlassica operano in situazioni eccentriche, o si servono di armi importate da una cultura periferica come quella tedesca. Tale
almeno essa appariva al Vasari, che notava sarcasticamente:
... sono le cere di tutti que soldati fatti alla tedesca con arie
stravaganti, chelle muovono a compassione chi le mira
della semplicit di quelluomo, che cerc con tanta pacienza e fatica di sapere quello che dagli altri si fugge e si cerca
di perdere, per lasciar quella maniera che di bont avanzava tutte laltre, e piaceva ad ognuno infinitamente. Or non
sapeva il Puntormo che i Tedeschi e Fiaminghi vengono in
queste parti per imparare la maniera italiana, che egli con
tanta fatica cerc, come cattiva, dabbandonare?107.
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La prima conseguenza che ebbe a Firenze e in Toscana sugli inizi del Trecento limporsi del paradigma giottesco fu quella di periferizzare un buon numero di artisti e, addirittura, di antichi centri111. In un primo tempo
coesistette tuttavia a Firenze, assieme a Giotto e ai giotteschi di pi stretta osservanza, un gruppo di pittori eterodossi che, pur accettando alcuni elementi basilari delle
proposte di Giotto il che li salv dal rischio di una
immediata periferizzazione divergevano su alcuni
punti dal nuovo paradigma e, per esempio, tentavano di
portare avanti le esperienze espressive che erano state
di Cimabue. Questa dissidenza fu dapprima tollerata;
ma presto le cose cambiarono, come mostra con evidenza la situazione fiorentina intorno al 1340-50 se la
si confronta con quella attorno al 1310-1320.
Verso il 1340-5o dopo la morte di Giotto la sua visione continuava a condizionare talmente i pittori fiorentini allora operanti in citt, che lortodossia giottesca
non solo dominava, ma respingeva qualsiasi alternativa
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alla sua linea. Dai primi del secolo agli anni 20 la pittura fiorentina invece presenta uno spettacolo tuttaltro
che unitario e accanto ai giotteschi di stretta osservanza (Maestro della santa Cecilia, Pacino di Bonaguida,
Jacopo del Casentino) cerano casi di aperta dissidenza
portati avanti da maestri (Maestro di Figline, Lippo
di Benivieni, Buffalmacco, Maestro del Codice di san
Giorgio, ecc.) che tentavano unapertura verso i modi
pi apertamente gotici o un recupero delle antiche tendenze espressive e patetiche112.
Si tratta di un episodio di resistenza a Giotto da
parte di un gruppo di pittori che, pur ritenendo certi
aspetti fondamentali della lezione giottesca, non solo
non intendono rinunciare alla ricerca espressiva della
fine del Duecento, ma ne sostengono lattualit. quindi chiaro che non si tratta di ritardo o di attaccamento
a un modello superato, quanto di una proposta alternativa che intende mostrare quali sviluppi si possano trarre da certe premesse di cui si scorge tutta la fecondit.
Per certi aspetti la situazione si potrebbe paragonare a
quella degli architetti che operano nel senso della resistenza a Chartres e che proclamano lattualit di un
sistema derivato dal muro spesso anglonormanno113.
Quando in un centro si impone un sistema di forme
e di schemi che riceve lappoggio di un potente gruppo
di committenti e che pertanto finisce col determinare le
domande e le attese del pubblico, i diversi debbono
piegarsi o espatriare verso situazioni culturali meno
determinanti. proprio quando le tendenze irregolari vengono meno a Firenze che cessano le notizie sullattivit di Buffalmacco nella citt e cominciano le menzioni di questo pittore in altri centri114. Buffalmacco, che
rappresenta una linea scartante rispetto a quella di
Giotto, sar dunque costretto nel corso del terzo decennio del Trecento a lasciare il centro pi prestigioso per
lavorare ad Arezzo, Pisa, Bologna; analogamente una
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fronda espressionistica potr trovare accoglienza e sviluppo a Pistoia115. Va ricordato a questo punto il quadro
geografico di questa vicenda, una
... Italia municipale, non regionale, che esistita per secoli, indomita, troppo vigorosa e aspra per essere selvaticamente paga di s, per potersi chiudere nel suo guscio, ma
troppo anche per accettare una docile subordinazione politica o letteraria alla regione o alla nazione116.
Politica, letteraria o artistica; questultima produzione infatti una componente importante dellidentit
municipale cos gelosamente custodita. La periferia che
fornisce alleventuale scarto una base territoriale non
mai una periferia amorfa o indifferenziata, al contrario.
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venzali, lionesi, inglesi, tedeschi120. La rete dei riferimenti disponibili, infine, include esempi gotici di maestri della Francia del Nord o dInghilterra, e una cultura figurativa occitanica, in grave declino dopo la guerra
contro gli albigesi, ma pur sempre esistente. Tutti questi elementi fanno di Avignone in quegli anni un caso di
doppia periferia artistica: nel tramonto della cultura
occitanica i punti di riferimento sono la pittura dellItalia centrale e il disegno gotico del Nord.
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pare che con summa hu | militate la inefabile sapientia clementissimamente si exhibischa et | con quale gratia la materna compassione al coresponder si monstra | con affanato cordoglio (resultante et maiore) per la memoria | del parato
suplicio che nel cuore fixamente | inpresso teneva considerato bene124.
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vero che queste tinte si debbono variare, et aver parimente considerazione ai sessi, alle et et alle condizioni. Ai
sessi ch altro colore generalmente conviene alle carni duna
giovane et altro ancora dun giovane; allet, ch altro si
richiede a un vecchio et altro pure a un giovene; et alle condizioni, ch non ricerca a un contadino quello che appartiene a un gentiluomo127.
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Ci significa che gli esempi pi moderni del Lotto troveranno qui un luogo di libert, non di avvenire e che
la sua linea non avr continuatori n propagandisti, se
non in qualche episodio locale e molto limitato130.
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Lesule periferico assume questa volta le vesti del salvatore mancato. In uno spirito forse non dissimile si
supposto che unaffermazione di Lotto in patria avrebbe
avviato larte veneziana (e forse non larte soltanto) [...]
in direzione del Rembrandt e non del Tintoretto133.
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gueux del Ceruti cresce sui muri delle ville del Bresciano. Esiste in provincia, almeno in una certa provincia
disposta agli investimenti simbolici, una committenza
relativamente indipendente nelle scelte dai dettami
della metropoli.
La ripresa della tradizione municipale costituisce uno
dei fatti centrali della cultura settecentesca. Di questo
rinnovato fervore di ricerca le Lettere Pittoriche raccolte dal Bottari, quindi aumentate e ripubblicate dal
Ticozzi, forniscono pi di un esempio. A Cento scrive lAlgarotti a un suo corrispondente veneziano io vi
so ben io dire che avreste trovato dove puntare il vostro
occhialino135. Luigi Crespi, che incoraggia la pubblicazione di descrizioni e guide locali, biasima le descrizioni dellItalia allora pi diffuse per non aver nominato
Volterra, Cortona o Pescia, e lamenta lassenza di scritti sulle citt delle Romagne:
Cos fosse stato fatto delle pitture di tante citt della
Romagna che i molti valenti professori che vi fiorirono, non
rimarrebbero tuttora in buona parte incogniti, e le tante
belle operazioni loro non sarebbero o state disperse, o tuttavia neglette con danno notabile delle rispettive citt, de
professori e delle famiglie, ma sarebbero state, e tuttora
sarebbero, nella dovuta stima conservate, ammirate, e da
viaggiatori visitate!
Ha ella, per esempio, cognizione dun certo Cristofano
Lanconello? di un Gio. Batista Bertuccio? dun Palmeggiani?136.
Per il Crespi
tutto ci che in qualche maniera pu illustrare una citt,
deve sempre manifestarsi, per eternare al possibile la memoria di chi ne fu il promotore o il produttore [...]. Che se ci
pur vero di qualunque cosa virtuosa in generale [...] quan-
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dellaltro i lamenti sulla situazione del patrimonio artistico delle citt di provincia, tanto frequentemente
documentati nelle Lettere Pittoriche.
Discorso pi lungo merita la razzia dei beni simbolici.
Da Carlo Magno che porta da Ravenna ad Aquisgrana la
statua equestre del cosiddetto Teodorico, alle requisizioni estese in tutta Europa per la costituzione del Muse
Napolon142 a quelle hitleriane in vista della creazione del
supermuseo di Linz143, la storia di queste romanzesche e
avventurose rapine largamente divulgata. Biblioteche
(come la Palatina di Heidelberg sottratta dopo la battaglia della Montagna Bianca dal duca di Baviera allElettore palatino e donata quindi al papa, come segno di vittoria sui protestanti e di reverente sottomissione) raccolte darte, statue equestri, pale daltare, ritratti, sculture
abbandonano i loro luoghi di origine per essere trasferiti
nelle capitali di cui occorre incrementare il primato simbolico144. Il fatto si produce puntualmente nel corso del
processo di periferizzazione di molte regioni italiane dopo
la ristrutturazione cinquecentesca. Un caso esemplare ,
ancora una volta, quello di Ferrara, al momento dellestinzione della dinastia estense, e della devoluzione dello
stato alla Santa Sede. Scrive il Lanzi, evocando le conseguenze artistiche di questi avvenimenti:
Il cangiamento del governo fu a tempo di Clemente
VIII pontefice massimo, nel cui ingresso solenne operarono per le pubbliche feste lo Scarsellino ed il Mona, scelti
come i pennelli pi abili a far molto in poco tempo. Furono di poi impiegati vari pittori, e specialmente il Bambini
e il Croma, a copiar varie tavole scelte della citt, che la
corte di Roma volle trasferite nella capitale; lasciandone a
Ferrara le copie e aglistorici ferraresi i lamenti145.
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Tra i lamenti degli storici ferraresi giover ricordare quello di Antonio Frizzi146:
Disgustoso a nostri cittadini riusc il vedere lA. 1617
spogliate le Chiese di molti de migliori quadri loro, di mano
de Dossi, dellOrtolano, del Garofalo, del Carpi, del Tiziano, di Gio. Bellino, del Mantegna e daltri pi insigni pittori nazionali e forestieri, e sostituire a essi copie, stimabili per, del Bononi, dello Scarsellino, del Bambini, del
Naselli e daltri. Chi e dove li trasportasse non ci vien detto,
ma sappiamo che di simili preziosi nostri monumenti, e di
manoscritti, e danticaglie andaron molti, in diversi tempi,
ad arricchirne la capitale.
Girolamo Baruffaldi testimonia di queste spoliazioni, scrivendo la vita di Giacomo Bambini, uno degli artisti impiegati a copiare i quadri rapinati:
Nel tempo della devoluzione di questa citt al governo
ecclesiastico, cio lanno 1598, era egli uno de professori
che in Ferrara operassero, e perci come tale fu impiegato
a ricopiare varie preziose pitture di maestri eccellenti per
poterne mandare a Roma gli originali desiderati dalla corte
Pontificia che qui trovavasi. Di due certamente io posso
darne sicuro conto, e sono la tavola dellAscensione di Cristo in s. Maria in Vado, e laltro di s. Margherita nella chiesa della Consolazione. Questera dellOrtolano, e laltra di
Benvenuto da Garofalo147.
Valga quello di Ferrara come modello di una situazione che si potrebbe suffragare con altri casi. Non
molto dissimili per esempio furono le conseguenze della
devoluzione alla Chiesa dei beni dei Della Rovere148.
Una ricerca di questi momenti negativi della storia artistica italiana sarebbe ricca di insegnamenti sulle vicende del rapporto centro-periferia; n andrebbero dimen-
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dipendenza economica o politica. Nella chiesa parrocchiale di Calvi in Corsica un grande polittico che orna
laltar maggiore firmato da Giovanni Barbagelata, de
Janua (un repertorio dei casi in cui il luogo dorigine
segue nella firma il nome dellartista, confrontato con i
luoghi di destinazione delle opere potrebbe fornire indicazioni assai utili). I documenti ci informano che il polittico fu commissionato da due cittadini di Calvi, che lo
vollero eseguito a somiglianza di quello dipinto da Giovanni Mazone nel 1465 per Santa Maria di Castello di
Genova151. Significativo il prestigio esercitato dallopera pi antica (un caso analogo a quello delle copie fatte
sul modello del quadro del Ghirlandaio a Narni di cui
si parlato) e il fatto che il prototipo sia genovese e che
della commissione venga incaricato un pittore genovese. In questo momento lisola politicamente ed economicamente dominata da Genova, ma la subordinazione culturale pu durare anche quando si interrompe
quella politica. Di ci testimoniano in Sardegna gli invii
di opere pisane (sculture, polittici, campane)152 che continuarono anche quando lisola fu stabilmente nelle mani
degli Aragonesi, ma non ancora lambita da quella circolazione mediterranea gotico - ispano - napoletana di
cui conserva significativi documenti153. Questo ancora
documentano le opere pisane o genovesi frequenti in
Sicilia nel corso del Trecento, cos come quelle venete
del Tre e Quattrocento nelle Puglie.
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Potremo utilizzare per la pittura negli stati di terraferma della Serenissima quanto stato detto a proposito
della persistenza a Verona nel Settecento di una cultura letteraria locale:
una tradizione letteraria municipale che quattro secoli di dominazione veneziana non riescono a ridurre conforme n tanto meno succube a quella della capitale Venezia
[...]. Ho detto che quattro secoli di dominazione veneziana
non riescono a piegare Verona, ma sia ben chiaro che non
ci fu mai, da parte di Venezia, il proposito di piegare...154.
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Vico, uno dei maggiori artisti attivi in Liguria nel Quattrocento, che era originario della Corsica e per questo
appunto conosciuto come Niccol Corso; o ancora del
geniale maestro Tuccio dAndria de Apulia che dipinge nel 1487 un trittico per la Cattedrale di Savona con
lo sposalizio di santa Caterina (i rapporti con il Mediterraneo occidentale furono probabilmente facilitati dallorigine provenzale dei signori di Andria, i Del Balzo);
di altri artisti pugliesi come Reginaldo Piramo di Monopoli che illustra manoscritti a Napoli e a Venezia157; di
tanti calabresi, come il miniatore Cola Rapicano, larchitetto Francesco Mormando, il pittore Marco Cardisco, pi tardi, fra Sei e Settecento, di Mattia Preti o di
Francesco Cozza158; di siciliani come il messinese Agostino, detto Sarrino a Genova nel 1400, o Pavanino da
Palermo nella seconda met del secolo nel Salernitano159. Questo per non parlare dei due pi celebri emigranti siciliani, Antonello da Messina e Francesco Juvarra. In questi due ultimi casi Venezia alla fine del Quattrocento e Torino agli inizi del Settecento forniscono
delle basi da cui i modelli proposti potranno avere una
diffusione italiana o addirittura europea.
Altre circostanze possono spingere gli artisti a prendere la fuga in direzione opposta a quella del centro politico: quanto accade, per esempio, a Pisa dopo la conquista fiorentina. Diversamente da quanto era avvenuto nei centri di terraferma occupati da Venezia, una gran
parte dei pittori pisani lascia la citt e ripara a Genova.
Il loro numero tanto rilevante che unassemblea dellarte dei pittori genovesi nel 1415 dove su venti partecipanti tre sono genovesi e ben nove pisani decide
di modificare lo statuto della corporazione per favorire
i maestri forestieri che vengono a lavorare nella citt160.
Un altro esempio da prendere in considerazione in
questa tipologia sommaria, sar quello degli artisti che
dal centro si spostano verso aree che pi che periferiche
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chiesa fosse cattedrale, collegiata, parrocchiale, succursale o monastica, e loratorio fosse o no destinato alla
celebrazione della messa. Daltra parte la costituzione di
luoghi deputati di formazione come le accademie, il cui
sistema si impone nel Settecento, ha un suo rilevante
peso specifico nellassicurare un preciso controllo culturale. Tuttavia la codificazione della tipologia e la centralizzazione dellinsegnamento avranno anche effetti
opposti a quelli di una meccanica estensione di una sorta
di conformismo periferico, facilitando la circolazione di
esperienze internazionali e la conoscenza di un pi vasto
repertorio. Ne offre un esempio lopera di Bernardo Vittone, una delle pi grandi e geniali figure del Settecento europeo, che, pur lavorando quasi esclusivamente
nella provincia piemontese, intento essenzialmente alla
costruzione di pievi di paesi e di oratori campestri, propone soluzioni innovatrici che dialogano con le pi avanzate esperienze europee.
Attraverso i mutamenti che si verificano nella formazione degli artisti e nella circolazione delle informazioni, il Settecento assiste a profonde modificazioni delle
strutture culturali, del loro funzionamento e addirittura
del loro quadro di riferimento geografico. Linserirsi
della provincia piemontese nella problematica architettonica dellarea alpina europea ne un segno tangibile:
ma questa favorevole situazione non generalizzabile.
Il 14 settembre 1755 un architetto periferico, certo
Lorenzo Daretti, scrive da Ancona al Vanvitelli per chiedergli lautorizzazione a continuare la costruzione della
chiesa degli Agostiniani, e cos umilmente si presenta:
Dopo il ritorno in questa citt dAncona mia patria di
studi debolmente fatti sulla architettura, avendo occasione
di fare debolmente diverse picole fabriche, le quali anno
incontrato qualche sorte di compatimento...
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Se per gli stranieri lItalia un passato in cui si scorge il futuro, il rapporto con lantichit degli artisti italiani di questo periodo ben lungi dallessere drammatico e dirompente. Dopo la morte di Piranesi, che nella
ricognizione delle rovine romane e nelle Carceri aveva
creato prototipi di interpretazione sublime e visionaria
della colossale grandezza dellantichit, nessun italiano
aveva saputo seguirne la strada. In un certo senso il paradigma neoclassico finir per guadagnare lItalia solo di
rimbalzo, attraverso legemonia politica e militare prima
ancora che artistica della Francia napoleonica. Negli
anni della Restaurazione permangono ancora i differenti centri regionali, rinforzati dalla presenza delle accademie che avevano dato struttura istituzionale alle diverse scuole regionali, ma la loro tenuta assai differenziata. Parma o Modena, Lucca o Mantova sono ormai
definitivamente al rimorchio dei centri maggiori, Venezia attraversa una crisi assai profonda che si prolungher per decenni, mentre Milano accanto a quello politico di capitale del Lombardo Veneto rafforza il suo
ruolo culturale. a Milano, appunto, che viene a stabilirsi il veneziano Francesco Hayez, Nestore imperturbabile che dominer il paesaggio artistico lombardo fin
dopo l8o, ricevendo le commissioni dei patrioti lombardi, i certificati di buona condotta dellimperatore
dAustria e le onorificenze del regno dItalia. Torino
mantiene i suoi legami privilegiati con la Francia, ma in
un clima mortificato e bigotto dove un Gioacchino
Serangeli, dopo esser stato allievo di David e aver ricevuto dalla Convenzione lincarico di incidere la grande
icona rivoluzionaria del Marat assassinato, finisce per
dipingere una Vergine che appare a san Bernardo per labbazia di Hautecombe, ricostruita da Carlo Felice come
monumento dinastico sabaudo. Grazie alla presenza di
importanti colonie artistiche straniere, Roma, Firenze o
Napoli perpetuano rapporti ancora intensi con le cultu-
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digmi quale fu lOttocento questa scelta particolarmente grave. Quando lemergere delle avanguardie
segner in Francia la crisi dellarte dei Salons, molti
artisti, e addirittura molti centri artistici italiani, si troveranno completamente emarginati. Un caso esemplare
quello della scuola napoletana che, fiancheggiata e
incoraggiata a livello internazionale dai vari Goupil,
Fortuny, Meissonier, finisce per sparire dal panorama
artistico europeo. Le tappe di questa vicenda sono note:
dai limpidi paesaggi della scuola di Posillipo allapertura dei Palizzi verso la Francia, dallambiguo realismo
simbolico di Domenico Morelli alla breve parentesi della
scuola di Resina, per finire con il tocco impastato e i
lustrini del Mancini, artista dal grande successo europeo,
occhio acutissimo, ma ineducabile. Non difficile
ravvisare le cause degli incidenti di percorso e degli esiti
finali di questo progressivo slittamento: un aggiornamento su esperienze francesi mal selezionate e male
intese, una perenne tendenza al compromesso tra realt
e idealizzazione, verit e simbolo, una arrendevolezza
alle attese sia di un pubblico europeo di grosse disponibilit finanziarie e di gusto facile, sia di mercanti internazionali alla ricerca di virtuosismi tecnici e di sfoggi di
mestiere. Il tutto nella cornice del crescente decadere
economico della citt.
Gli equivoci di cui intessuta questa vicenda sono
riassunti nella biografia di Vincenzo Gemito, in potenza uno dei grandi scultori europei del suo tempo. Con
straordinaria efficacia e immediatezza questi da un lato
rappresenta una galleria di pescatori, di scugnizzi, di
malatielli, ricercando nel bronzo con virtuosismo gli
effetti dei capolavori ellenistici; dallaltro fa il ritratto
di Fortuny, ammira incondizionatamente Meissonier e
ottiene un gran successo ai Salons. La lunga crisi psicologica che lo tiene segregato per oltre ventanni pu
essere vista come lo sbocco del divario tra attese e rea-
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non sentirsi periferici. Luscire dalla periferia presuppone quindi il fare i conti con la tradizione, col museo.
E qui emergono le due proposte pi radicali, quella dei
futuristi e quella di De Chirico: bruciare il museo o
allontanarlo in una luce ironica e sublime.
Cfr. y. lacoste, Gographie du sous-dveloppement, e particolarmente lAvertissement critique et autocritique de la troisime dition,
Paris 1976.
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Il recente e positivo moltiplicarsi delle indagini sul territorio, testimoniato dalle campagne per il rilevamento dei beni artistici e culturali
dellAppennino emiliano promosse dalla Soprintendenza di Bologna, dal
rilevamento dellAppennino pistoiese da parte della Soprintendenza di
Firenze, dalle ricerche sulla pittura del Sei e Settecento in Umbria a cura
di una quipe della facolt di Magistero di Roma, e da numerose mostre
quali Arte in Calabria (Cosenza 1976), Arte a Gaeta (Gaeta 1976), Opere
darte a Vercelli e nella sua provincia (Vercelli 1976), Valle di Susa. Arte
e storia dallxi al xviii secolo (Torino 1977), potr permettere in avvenire indagini pi precise sui rapporti tra centro e periferia. mancata
tuttavia in Italia per molto tempo una riflessione e una discussione sui
metodi, i limiti e le possibilit della geografia artistica, quale si svolge
in Germania da oltre un cinquantennio. Su ci si veda: k. gerstenberg,
Ideen zu einer Kunstgeographie Europas, Leipzig 1922; d. frey, Die
Entwicklung nationaler Stile in der mittelalterlichen Kunst des Abendlandes, in Deutsche Vierteljahrsschrift fr Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, xvi, 1938, pp. 1-74; p. frankl, Das System der Kunstwissensehaft, Brnn-Leipzig 1938, pp. 893-939; h. lehmann, Zur Problematik der Abgrenzung von Kunstlandschaften dargestellt am Beispiel der
Po Ebene, in Erdkunde, xv, 1961, pp. 249-64; r. hausherr, Ueberlegungen zum Stand der Kunstgeographie, in Rheinische Vierteljahrsbltter, xxx, 1965, pp. 351-72; d. frey, Geschichte und Probleme der
Kultur und Kunstgeographie, in Archaeologia Geographica, iv, 1965,
pp. 90-105; gli interventi di r. hausherr, g. von der osten, p. pieper
e altri, in Der Mittelrhein als Kunstlandschaft, in Kunst in Hessen und
am Mittelrhein, 1969, Beiheft 9, pp. 38 sgg.; r. hausherr, Kunstgeographie Aufgaben, Grenzen, Mglichkeiten, in Rheinische Vierteljahrsbltter, xxxiv, 1970, pp. 158-71 e il catalogo dellesposizione
Kunst um 1400 am Mittelrbein, Frankfurt 1975, in cui i problemi della
geografia artistica sono visti in rapporto alle situazioni sociali e politiche, anzich stemperati in una mitica e unitaria Kunstlandschaft.
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