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Presentazione
Può forse sembrare superfluo ribadire ancora una volta quanto grande sia
nel nostro Paese il divario tra la eccezionale dimensione del patrimonio
storicoartistico —risultato di millenarie vicende— e la scarsità dei mezzi
che le dissestate finanze pubbliche mettono a disposizione per la sua
salvaguardia e valorizzazione.
È tuttavia da sottolineare come appunto in questo contesto sia da
inquadrare, quale recente manifestazione di una lunga tradizione di
interventi, l'impegno del Monte dei Paschi di Siena nel contribuire ad
avviare a soluzione il problema di una idonea destinazione del vastissimo
complesso edilizio dell'antico Spedale di Santa Maria della Scala, ormai
pressoché liberato dalla vocazione ospedaliera.
In collaborazione con il Comune di Siena, titolare dell'immobile, e con
altre pubbliche istituzioni, il Monte dei Paschi è infatti entrato a far parte
del Comitato permanente per il recupero dello Spedale e si è assunto gli
oneri per il conferimento dell'incarico della progettazione di massima per
il riutilizzo dell'immobile: supporto indispensabile per la tutela di un
patrimonio culturale appartenente a una città le cui attuali risorse non
sono ormai più a misura del retaggio lasciato da un incomparabile
passato.
A tale riguardo, come necessaria premessa perché la storica vicenda dello
Spedale potesse essere inquadrata nel contesto ambientale nel quale essa
si è manifestata, è stato promosso lo scavo archeologico affidato al Prof.
Riccardo Francovich dell'Università di Siena e ai suoi collaboratori, dei
cui risultati la presente pubblicazione dà esauriente conto.
Uno scavo, questo, che si propone di esemplare significatività, con
applicazione di metodologie giudicate indispensabili dalla moderna
scienza storica a fianco delle tradizionali fonti documentarie, e che si
qualifica pertanto come essenziale passo per la rivisitazione non solo delle
vicende dell'istituzione ospedaliera, ma di una importante area nel cuore
stesso di Siena. Che è città legata nella sua storia alla attività del
millenario edificio, oggi all'alba di una seconda vita quale centro di
memorie e di studi, che negli auspici trascenderanno i pur vasti confini
della civiltà senese.
Ben volentieri quindi il Monte dei Paschi si unisce agli altri promotori nel
presentare questo pregevole contributo di conoscenza, nella convinzione
di quanto la consapevolezza delle proprie radici e degli svolgimenti del
proprio maturarsi attraverso i tempi sia fattore di crescita culturale e di
civile progresso per una socetà autenticamente avanzata.
Pierluigi Piccini
Sindaco di Siena
Una parte per il tutto. Le vicende costruttive della facciata
dello Spedale e della piazza antistante
1. Premessa
1. 4. Tecniche di indagine
2
Per quanto i processi culturali non siano ininfluenti nelle modifiche al processo 'naturale' di
trasformazione del paesaggio, specie in centri urbani dove maggiore è stata ed è l'attività antropica,
si conoscono pochi studi sulle relazioni che possono intercorrere fra geomorfologia ed
antropizzazione (MANNONI 1970). La limitatezza della scala e l'impossibilità di proporre
generalizzazioni che siano valide in ambiti più ampi, spiega la necessità di mirati e appositi studi,
centro per centro, quasi cantiere per cantiere (ARNOLDUS-HUYZENVELD 1988). Si pensi che a
Siena, lungo il percorso delle mura pianificate nel 1327, nel fondo della valle fra porta S.Marco e
porta Tufi, esiste un dislivello di ben sette metri fra interno ed esterno della cortina. Anche
ipotizzando una costruzione della cinta in parte addossata a riporti di terreno e un'azione erosiva
esterna —ma dal l604 (epoca di un restauro complessivo) ad oggi il livello non può essersi
abbassato oltre circa 60 centimetri— nel corso di circa sei secoli si è avuto un interro naturale di
almeno 4-5 metri. Per i processi di modellazione dei versanti vedi anche CASTIGLIONI 1989.
3
La volontà di migliorare la situazione della viabilità, da parte delle istituzioni comunali, si può
cogliere in moltissime rubriche della Distinzione III del Constituto del 1262. Anche limitandosi alle
attività programmate nei dintorni di piazza del Duomo, si può avere un'idea del senso dei lavori.
Dall'edizione del Constituto del 1897 a cura di L. Zdekauer, così recita la rubr XXV De reactanda
via de Casato: « quad dicta via explanetur...recta corda, (p. 283); rubr. LXVIIII sempre De via de
Casato: « Et via de Casato...examplari et iravgari faciam... (p. 294); rubr. LXX, De ampliarda via
que est super Posterulam,:« ..faciam actari et amplari et diriçari viam, sicut trahit...recta linea et
ad cordam... »(p. 295); rubr. LXXXXVIIII, De diricçanda via de Valle Piatta: « Et faciam diriçari
viam de valli Piacta, sicut trahit recta linea... »(p. 304).
di una seconda giovinezza, dopo gli ottimi risultati ottenuti nella temperie
culturale legata al positivismo della seconda metà dell'Ottocento4.
L'importanza dell'aspetto tecnico-costruttivo ha attinto nuovo vigore da
messa a punto di una metodica di 'lettura' che è riuscita ad enucleare i
risultati delle diverse azioni costruttive5. I risultati ottenibili applicando le
due tecniche di indagine —lettura stratigrafica e aspetti tecnico
costruttivi— convergono nella 'descrizione' di ciò che, in vari momenti
della storia urbana, ha avuto come teatro l'attuale piazza del Duomo.
Benché estremamente parziali —l'area di scavo ha interessato circa 180
mq di fronte al palazzo del Rettore mentre la lettura stratigrafica è stata
volutamente limitata alle facciate prospicienti la piazza e via dei Fusari,
per complessivi 2160 mq, e alla parte inferiore del vicolo di San Gerolamo
e della piazzetta della Selva, per altri 430 mq (fig. 1)— le informazioni
ottenute sono, però, attendibili e, in certi casi, assolutamente fuori
discussione.
Ci pare opportuno, infatti, raccogliere preliminarmente tutta la serie di
piccoli, e meno piccoli, indizi, costituiti dalle registrazioni delle evidenze
materiali, dalle fonti archivistiche6 o, dalla situazione geomorfologica e da
tutti quei collegamenti e rimandi che facciamo quasi automaticamente e
che corrispondono al livello, forse inconscio, della conoscenza collettiva
del fatto urbano. Questi indizi, convogliati e mixati in un melting-pot,
dovranno restituire una descrizione cui deve corrispondere in modo
aderente, l'idea, l'immagine della conoscenza che ci siamo costruiti.
Come già accennato, ci è sembrato opportuno collegare alla descrizione
delle diverse fasi costruttive dello Spedale —la periodizzazione
archeologica— anche le vicende edilizie legate a quel 'vuoto' urbano
4
La carenza quasi assoluta di trasmissione della conoscenza empirica, acquisita nel campo delle
tecniche costruttive tradizionali, porta a rivalutare lo studio dei testi classici, ai quali devono
aggiungersi un'attenta rassegna dell'iconografia coeva e, soprattutto, la costituzione di un Atlante
locale basato sulla registrazione delle caratteristiche leggibili sulle murature stesse. Inoltre le fonti
orali possono rivelarsi un serbatoio, purtroppo in via di esaurimento, di fondamentale importanza
come già osservato da ADAM 1988 p. 8.« Così l’archeologo si avvicina all’etnologo nel raccogliere
le testimonianze che provano la sorprendente continu ta delle tecniche manuali di cui risulta
evidente l'urgenza della classificazione ».
5
Si veda la problematica relativa nello specifico contributo di Bianchi e Corsi sulla lettura
stratigrafica dell’elevato.
6
Che nel nostro caso —pur non essendo mancati controlli mirati, si veda il contributo Milani, la
trascrizione della Delibera del Consiglio Generale e il controllo di alcuni documenti particolarmente
importanti per le fasi edilizie— appare piuttosto come una rassegna bibliografica delle diverse
interpretazioni date sulla base anche delle fonti archivistiche.
compreso fra il fronte dello Spedale, quello del Duomo, quello
dell'Arcivescovado e quello del palazzo Reale, anche per le fasi precedenti
alla sistemazione che oggigiorno ci è sotto gli occhi e che risale (con la
definizione degli attuali corpi di fabbrica) al periodo cronologico
compreso fra il 1658 e il 1720. Siamo convinti, infatti, che esista una
correlazione strettissima fra le vicende costruttive dello Spedale e le
operazioni di sistemazione della facciata del Duomo prima, e degli edifici
adiacenti poi. D’altronde questa unitarietà dello spazio era già stata
individuata da san Bernardino che, nelle prediche da piazza del Campo del
1427, comparava il complesso Spedale-piazza-vecchio Arcivescovado ad
una faccia umana: « L'ochio ritto è il Vescovado e 'l sinistro è lo Spedale:
el naso è la piazza che è in mezzo. Vedi che è lunghetta come è il naso »7.
In questa operazione di rilettura generale ci siamo avvalsi delle ipotesi,
delle interpretazioni, delle proposte di ricostruzione dell'aspetto —anche
spaziale— pubblicate in quest'ultimo secolo e integrate con alcuni
documenti inediti e —ad esclusione dello Spedale— con un sommario
controllo autoptico delle strutture attuali. Naturalmente si dovrà dare un
peso diverso —nelle proposte che presenteremo successivamente— alle
vicende costruttive dello Spedale —controllato a fondo—rispetto a quelle
della facciata del Duomo— per la quale ci siamo avvalsi acriticamente
delle proposte più tradizionalmente accettate—. Infine le vicende
costruttive dell'attuale arcivescovado—già esistente alla metà del XVII
secolo secondo la documentazione grafica inedita che abbiamo
rinvenuto—e quelle del vecchio Arcivescovado—anche per esso ci siamo
avvalsi di documentazioni inedite—meriterebbero una cura e una ricerca
più attenta alla luce delle considerazioni emerse dallo studio della
Middeldorf Kosegarten.
Una breve digressione, infine, sui criteri che hanno guidato la messa a
punto e l'esposizione dei risultati conseguiti nello studio delle strutture
edilizie dello Spedale. Mentre abbiamo raggiunto una discreta
standardizzazione nella presentazione dei dati, dei risultati ottenuti con lo
scavo (siamo arrivati ormai all'affinamento dei criteri espositivi
dell'edizione)8, lo stato di relativa giovinezza della lettura degli elevati,
secondo i criteri stratigrafici, fa mancare una serie di rassicuranti punti di
appoggio, tra i quali quelli relativi o comprensivi di una gamma delle
7
BERNARDINO (SAN) 1880-88, III, p. 323.
8
Si veda quanto ci hanno comunicato D. Manacorda ed amici, durante la terza (1989) Summer
School alla Certosa di Pontignano (Siena), ai cui atti Lo scavo archeologico 1990, pp. 961-502, si
rimanda.
possibili varianti. Ogni nuova presentazione può costituire la via più giusta
per la sperimentazione successiva; ne ricade, quindi, la necessità di
approfondire o ripercorrere strade già battute, ma anche di tentare nuove
esperienze, lungo alcune delle molteplici linee che si intravedono
attraverso il poliedrico sfaccettamento dei modi di indagine9.
Tra i numerosi dati emersi dallo scavo dell'area prospiciente il palazzo del
Rettore, uno, soprattutto, colpisce per l'assoluta mancanza di evidenze, per
il vuoto, per lo iato della documentazione materiale tra VII e XIII secolo.
Ben poco, infatti, si può ipotizzare, a proposito delle strutture edilizie, per i
secoli compresi fra il VII e il XIII, tranne che osservare come il disegno
della trama edilizia del VI secolo, sostanzialmente ricalcato su quello
precedente, si discosta notevolmente dagli allineamenti murari successivi,
o almeno da quelli che sono stati rinvenuti nell'area di scavo. A voler trarre
delle indicazioni più generali dagli scarsissimi resti materiali rinvenuti,
sembrerebbe che si fosse creata una cesura fra VII e XIII secolo. Ma quel
poco che possiamo dedurre dalla documentazione archivistica ci prospetta
una vicenda istituzionale legata ad un centro egemone (i problemi legati
alla confinazione fra le diocesi di Siena ed Arezzo) anche se non molto
9
Le ricostruzioni grafiche sono state considerate il veicolo ideale per l'esposizione dei risultati, ma
attualmente si rivelano necessarie anche come momento di riflessione sia per le interpretazioni
proposte in fase di elaborazione, sia per un più attento —e curioso— spirito di osservazione le
ricostruzioni grafiche che abbiamo proposto si basano ovviamente, sulla registrazione dei resti
materiali, integrata con la documentazione grafica coeva al periodo che ci interessa (quando
possibile) e con alcune parti plausibili —ma estremamente argomentate— e non come enunciazioni
di ipotesi che devono, poi, passare il vaglio del riscontro con i resti materiali. Per una breve sintesi
dei supporti metodologici sottesi nelle ricostruzioni, si veda PARENTI 1990b.
definita negli aspetti più propriamenti urbani 10. Si tratta, ora, di
determinare le cause cui addebitare la mancanza di resti materiali
riscontrata nell'area di scavo per capire se ciò sia il frutto della
trasformazione delle tecniche costruttive degli edifici, oppure di uno
spostamento dei centri d'interesse all'interno del nucleo urbano o, infine, se
ciò sia dovuto a vicende antropo-geologiche di diversa natura.
Una asportazione dei livelli superficiali del terreno è avvenuta sicuramente
una volta nei primi anni del XIV secolo e, forse, anche in precedenza ma,
oltre a questo, è ormai assodato che siamo in presenza di un'area aperta
dove non furono mai costruiti edifici di una certa importanza prima della
metà del XIII secolo. Anche se ci mancano i dati e le chiavi di lettura per
determinare la potenza della stratificazione asportata, si può affermare, con
una ragionevole certezza, che nessun tipo di fondazione, in muratura o per
strutture lignee, ha intaccato il deposito geologico. La particolare
stratificazione geologica, sulla quale è stato costruito il centro di Siena,
permette di individuare i livelli del letto di fondazione di edifici di un certo
spessore tecnico —torri o palazzi— perché, nei casi che vedremo, la
ricerca dello strato di "puddinga", in funzione di solida base per la posa del
piano delle fondazioni, risulta essere una caratteristica comune e costante.
Così appaiono le fondazioni del Palazzo del Rettore, sul bordo dell'area
scavata, ma una situazione del genere compare anche in via di Monna
Agnese (figg. 3 e 4), sul retro del palazzo del Magnifico, dove tre filari di
"scapoli" arrotondati, inequivocabilmente la fondazione dell'edificio
10
Secondo BORTOLOTTI 1983, riferendosi ad un’immagine di Siena altomedievale ormai
sedimentata, « ...nell'alto Medioevo abbiamo una città vecchia, probabilmente derivata per
contrazione dalla città romana...e un insieme di castellari...e di borgate, .. » (p. 7), mentre, per
quanto riguarda il polo religioso « non è possibile accertare dove sia stata la sede e la chiesa
vescovile quando Rotari ricostituì il Vescovato. Sembra che sia stato edificato un nuovo episcopio
ed una nuova chiesa al di fuori dell'antico Castelvecchio » (MORANDI 1979, p. 9). « Questo
Duomo, che almeno dal 913 in poi viene sempre designato come chiesa di Santa Maria con annessa
canonica ed episcopio, sorgeva iuxta castrum Senae, cioè non più intra castrum, in un’area, o
altopiano, posto all'incirca tra la facciata del Duomo attuale e quella dello Spedale, e come si può
dedurre da successivi documenti, aveva la facciata volta verso il decumano ..cioè verso lo sbocco
dell'attuale via del Capitano e aveva davanti un sacellum col Fonte Battesimale ancora in uso nel
XII accolo. » (CARLI 1979, p. 11).« E’ definita anche ecclesia maior... Accanto alla chiesa
maggiore sorgeva la casa canonicale, anch'essa dedicata alla Madonna, ove dimoravano i canonici
che costituivano il capitolo della chiesa cattedrale .. Unito alla canonica era il vescovato, sede della
più alta autorità cittadina. » (MORANDI - CAIROLA 1975, pp 17-l8). « con il passare del tempo
quest'altura sarebbe diventata sempre più una sorta di monte sacro, un complesso di luoghi, di
oggetti, e di attività ritenuti sacri dalla cittadinanza intorno al Duomo e allo Spedale vi trovarono
posto il Battistero, il Cimitero, cappelle ed altari di famiglie e di corporazioni, sedi di confraternite,
reliquie e opere d'arte —molto spesso dedicate alla vergine Maria. » (ISAACS 1988, p. 20).
soprastante, si appoggiano alla "puddinga", un paio di metri più in alto del
livello stradale attuale (fig. 4.3). Sull'altro lato dell'edificio, presso lo
spigolo del Battistero, si presenta la medesima situazione (fig. 4.2). Anche
all'inizio di via Stalloreggi, presso piazza della Postierla, la base di una
torre —probabilmente la fondazione rimasta allo scoperto— si appoggia
allo strato di "puddinga" (fig. 4.4) che possiamo intravedere tra le lacune
dei successivi rimpelli11. Anche nel perimetro dello Spedale, lungo il
vicolo di San Gerolamo —a sinistra scendendo la rampa— si intravede un
ampio lacerto murario (USM 6 e 27 del settore VIII) costruito direttamente
sopra lo strato di "puddinga" (US 5 del settore VIII), successivamente
tagliata per l'abbassamento del piano di campagna (fig. 4.1).
Si tratta, quindi, di un'area che nel periodo prossimo alla fine dei secoli
centrali del medioevo, era circondata da edifici. Come abbiamo visto,
alcune strutture edilizie in muratura sono presenti negli immediati dintorni
dell'area indagata —ed anche poco oltre il bordo stesso dell'area di
scavo— mentre tutta la zona è stata individuata come rientrante nel
castrum Sancte Marie, dove fu costruito il Duomo 12.
Gli esempi che abbiamo citato, il Duomo stesso e la torre che fu,
successivamente, rivestita di marmi bicolori e trasformata in campanile,
sono cronologicamente ascrivibili al XII e XIII secolo e, quindi, assai
vicini alla fine dello iato nella registrazione delle evidenze di scavo e si
riferiscono, inoltre, a tipologie di un certo spessore tecnico (torri, palazzi e
il Duomo stesso). Anche la probabilissima esistenza di strutture precarie,
quali si sono dimostrate le costruzioni in legno o in terra e, per certi versi,
quelle "negative", cioè scavate nel sabbione pliocenico —il tufo senese—,
non sembra che abbia interessato la limitata area dove si è riscontrato un
11
Mentre la presenza della "puddinga' tagliata presso lo spigolo del Battistero, ha suscitato la
curiosità e le interpretazioni degli studiosi fin dalla fine del secolo scorso —cfr ZDEKAUER 1896,
p. 35 « .. le prime abitazioni riuscivano come un connubio tra la roccia viva ed il materiale
laterizio… il che si vede benissimo in vari edifici, specialmente, in piazza San Giovanni » e nella
parte inferiore della torre di via Stalloreggi, presente nelle illustrazioni che accompagnano il lavoro
di BALESTRACCI – PICCINNI 1977, fig. 9, f.t, tutte le altre situazioni non sembrano aver avuto
una, pur minima, fortuna bibliografica.
12
Dalla documentazione del X e Xl secolo si ipotizza che episcopio, canonica e cattedrale forse con
il lato sinistro parallelo al fronte dello Spedale, sorgessero nell'attuale piazza del Duomo. Lo
spostamento della cattedrale verso la sede attuale, il punto più alto del pianoro, « ..sembra abbia
avuto luogo nel 1089. Sicuro invece è che nel 1075 era ultimata la nuova canonica... Anche la casa
del vescovo fu ingrandita. Denominata semplicemente episcopio nel 1056 prese presto l'aspetto di
un vero castello, ricordato in un atto del 1080 come castelo S. Marie; ed un altro del novembre 1105
nomina il gardingo, cioè la torre o rocca dell'episcopio, mentre quello del 28 ottobre 1131 definisce
palatium la dimora del vescovo. » (MORANDI 1979, pp. 9-11).
maggior deposito archeologico 13 e si deve riconoscere che entrambe le
costruzioni —edifici in muratura o strutture precarie— non dovevano
avere nessuna connessione con le stratificazioni relative alla
frequentazione antropica 14.
2.2.Il 'costruito'
13
Nell'area che fronteggia lo Spedale esistono almeno due ambienti scavati, raccordati da una,
relativamente lunga, galleria (cfr. pianta alla quota della Piazzetta della Selva —livello primo — in
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 460-461) e variamente interpretati in funzione di
drenagglo delle acque meteoriche. Anche se ciò non è completamente da escludere, 1'esperienza ci
ha insegnato che una tale funzione deve considerare singolare. Sull’ aspetto più propriamente
"rupestre" del centro senese si veda NEPI et alii 1976 e il catalogo della mostra dei bottini in
BALESTRACCI 1984. Interessante, invece, l’ accertata azione di 'taglio' della galleria nei confronti
di almeno due silos da granaglie, indice di relativa modernità. Per la conservazione delle granaglie
in silos sotterranei, oltre alla tavoletta attribuita a Giacomo Cozzarelli, —La misurazione del Grano,
già coll. Figdor, Vienna, poi Londra, coll. privata VAVASOUR ELDER 1932— si veda il recente
rinvenimento a San Giovanni Valdarno (BOLDRINI - DE LUCA 1988 pp. 64-68, figg 37-42) e a
Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro e Campiglia 1987 p. 155 fig. 2.
14
Dallo scavo è emerso chiaramente che in passato si sono avute una o più asportazioni del
materiale superficiale, ma qualunque fosse stata la potenza, lo spessore dello strato rimaneggiato —
dallo scavo delle tombe ma anche da un battuto stradale quasi certamente non rivestito e quindi
sottoposto a vicende saltuarie di 'pesticciamento' e dilavamento, il cosiddetto 'ambiente di
superficie' (ARNOLDUS- HUYZENVELD 1988)—non si sono rinvenute le tracce di altre strutture
edilizie—oltre a quelle di cui è già stato riferito—che raggiungessero lo strato di "puddinga".
15
Si veda il rilievo del complesso alla quota intermedia tra gli orti e piazza del Duomo (III livello),
in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985, pp. 464-465 e in GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI
1987, p.29, fig. III, 27.
senza una visibile riutilizzazione degli allineamenti murari 16(fig. 2). Già in
precedenza era stata notata la presenza delle murature a forte spessore,
interpretate come una struttura difensiva sulla cinta muraria del castello
Sancte Marie17 , « assimilabile a un'antiporta o a un rivellino » 18 oppure «
come torre di vedetta » 19. Poiché gli ambienti intorno alla torre (e la torre
stessa) sono ancora utilizzati dalle strutture ospedaliere, abbiamo potuto
effettuare solo dei sopralluoghi, mentre non è stato possibile controllare il
tipo di apparecchiatura o la cronologia relativa di costruzione (posizione
degli spigoli o presenza di appoggi murari) perché gli ambienti sono,
ovviamente, intonacati. L'esistenza della torre, anche se situata in una
posizione inconsueta, è indubbia, mentre, da quello che abbiamo potuto
controllare sul lato dello scavo, sussistono serie perplessità a proposito di
un eventuale circuito murario collegato alla torre stessa e coincidente col
fronte dello Spedale (si è rivelato negativo anche un controllo
endoscopico).
Sulla base di quanto è emerso dalla elaborazione delle indagini georadar20,
potrebbero esistere altre strutture murarie presso l'angolo della casa dei
Gettatelli e parallelamente alla facciata dell'Arcivescovado attuale, ma al
momento non pare possibile elaborare delle ipotesi o fornire una
descrizione più dettagliata di quanto è coperto dal lastricato ottocentesco.
Per ciò che concerne le restanti parti di piazza del Duomo ci sembra troppo
impegnativo, oltre che metodologicamente scorretto, proporre delle
ricostruzioni che, seppur parziali, diventerebbero assai divergenti dal
nostro modus operandi.
E allora, se cerchiamo di descrivere o di ricostruire l'aspetto dell'ambiente
urbano che ha il suo perno nell'area dell'attuale piazza del Duomo, in un
16
Non ci pare opportuno operare delle generalizzazioni basate su quei pochi documenti ove le torri
sono citate presenti nel contado e, soprattutto, in alcuni centri toscani, tuttavia non sembra possibile
dimostrate l'esistenza di torri in epoche anteriori agli ultimissimi anni del X secolo, mentre la fine
della stagione di costruzione della torre come tipologia edilizia privata, adibita non esclusivamente
a scopi militari o di status symbol, a Siena si può collocare fra la fine del XII e i primissimi decenni
del XIII secolo. A Firenze viene proibito il rialzamento o la costruzione di nuove torri nel 1250
(SANTINI 1887, p. 26), mentre a Siena non siamo a conoscenza di una situazione simile, forse
addirittura regolamentata dagli statuti, ma dall'Estimo del 1318 si può osservare quante di quelle
torri esistenti in precedenza siano ormai inglobate in edifici, perdendo il significato principale che
avevano rivestito. Nei tre terzi sono segnalate solo 16 torri e 15 "casa con torre", in confronto alle
circa 50 torri individuabili ancora oggi (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 128-129).
17
GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 29-30, fig. III,27.
18
Ibidem, p. 25.
19
Ibidem, p. 31.
20
Le indagini sono state condotte nel febbraio 1988; cfr. il contributo Finzi, in questo volume.
ristretto arco cronologico culminato nel momento precedente alla
costruzione della cappella (tradizionalmente gli anni intorno alla metà del
XIII secolo), avremo di fronte un coacervo di parti costruite ed aree
scoperte, su un terreno con un andamento molto più ondulato ed
accidentato dell'attuale21, con tipologie edilizie che si ricollegano ad una
situazione che, apparentemente, corrisponde ad una intensa attività edilizia
sostenuta da notevoli investimenti finanziari22.
Tali interventi, interpretati e misurati con il linguaggio dei media attuali,
potrebbero essere assimilati alla costituzione di un polo urbano con
intendimenti assolutamente centripeti, dominato da due grandi enti: il
Duomo e lo Spedale, costituito, quest'ultimo, da diversi edifici non ancora
adibiti a funzioni specialistiche 23.
21
Riguardo alle originarie ondulazioni del terreno, esse sono difficilmente ricostruibili sulla base
delle conoscenze attuali; per situazioni parziali si può fare riferimento alle vicende della scalinata
del Duomo e alle sue variazioni così come appaiono nel contributo di Morandi: « I lavori di
livellazione e contenimento si conclusero con la costruzione di alcuni gradini che sono ricordati fin
dal 1147 » (MORANDI - CAIROLA 1875 pp 18-20) Non è improbabile però, che si possa
collegare una variazione del livello del suolo a molti dei continui rifacimenti della scalinata.
22
Dall'Estimo del 1318, anche in assenza di alcuni volumi telativi, il popolo di San Giovanni —
entro i cui confini ricadono la Cattedrale e lo Spedale— appare costituito, per il 62%, da edifici con
valore superiore alle 100 lire e con cinque casamenti e torri di valore oscillante dalle 1116 alle 3176
lire (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, p. 117), benché in posizione marginale risperto alla
maggiore direttrice di traffico medievale, la via Francigena.
23
Costituito in seno al Capitolo dei Canonici della Cattedrale, l'ente ospedaliero si emancipa, non
senza difficoltà, verso la fine del XII secolo. Nel corso del XIII secolo appare, dalla
documentazione scritta, che la gestione dello Spedale, dei beni e delle persone che vi confluiscono,
si può considerare autonoma, sotto la responsabilità di un proprio Rettore. Una delle prime funzioni
specialistiche ad apparire nella documentazione è la cura dei Gettatelli, anche se « nel 1274 non
esisteva ancora una casa destinata appositamente ed esclusivamente agli Esposti » (ZDEKAUER
1898, p. 455). Per le vicende istituzionali dello Spedale fra XII e XIII secolo, oltre ai contributi di
BANCHI 1877, di ZDEKAUER 1898 e di Morandi (MORANDI - CAIROLA 1975) si veda anche
REDON 1985 e ISAACS 1988.
cappellano (concesso nel 1262) 24. Sebbene non ci sia l'assoluta certezza
che la parte di muratura in conci di calcare cavernoso sia attribuibile alla
primitiva parete della cappella (e vedremo successivamente quanto
possano aver influito, nel complesso edilizio, i restauri e le modifiche
posteriori), è indubbio che da questo momento inizia una sorta di
specializzazione funzionale delle varie parti dello Spedale. I diversi corpi
di fabbrica che, fino ad allora, dovevano costituire il complesso dello
Spedale, e che possiamo ipotizzare dalla documentazione archivistica,
sono da considerarsi solamente un involucro (o una serie di involucri) che,
anche se non è da escludere completamente una vera e propria
specializzazione, sembrano essere stati utilizzati per i più svariati scopi
connessi con l'istituzione ospedaliera. Allo stato attuale della ricerca,
comunque, di tali edifici non rimangono tracce chiaramente distinguibili e
non è stato possibile individuare dei resti materiali interpretabili, a parte
quei piccoli lacerti a cui abbiamo accennato precedentemente ed altre assai
dubbiose presenze.
Per questo la cappella viene ad acquistare una importanza notevole, un
valore quasi emblematico nelle vicende costruttive dello Spedale: è il
primo segno tangibile, misurabile (anche se limitato alle parti
corrispondenti all'attuale facciata) di un edificio con specifica destinazione
funzionale. Le dimensioni di questa cappella non sono facilmente
quantificabili per le modifiche subite dalla struttura funzionale, per i
restauri e per le aggiunte eseguite durante il corso della sua utilizzazione,
sia nel senso della larghezza che in quello della lunghezza (ma anche in
altezza). Uno sforzo interpretativo deve, comunque, essere fatto e allora
proveremo a confrontare la pianta del piano terreno (vedi ancora la fig. 2)
con quella delle strutture immediatamente sottostanti. È questa
un'operazione che può essere compiuta, grazie ai rilievi dello Spedale
eseguiti, a partire dal 1981, da un gruppo di architetti senesi guidati da
Terrosi, Gherardi e Putti con la collaborazione di Valacchi, per conto
dell'Unità Sanitaria Locale. Sebbene esistano delle imprecisioni nei "fili"
delle aperture e degli allineamenti murari verticali
(facilmente verificabili sovrapponendo i rilievi planimetrici dei diversi
livelli) ed in alcuni allineamenti orizzontali delle murature interne (per
esempio, da un controllo effettuato personalmente, nella Sagrestia
24
Non sembrano esserci stati dubbi nell'interpretare quanto appare nella concessione ad edificare
una cappella all'interno dello Spedale, pubblicata una prima volta in BANCHI 1877, pp. 11-13, e
ripresa, successivamente, da molti degli studiosi che si sono interessati delle vicende costtuttive
dello Spedale; tra gli altri si veda GALLAVOTTI CAVALLERo 1985a, pp. 60-61 e 415.
Grande), l'appunto maggiore che può essere mosso ai rilievi riguarda le
parti non misurate perché difficilmente accessibili (ad esempio
immediatamente sotto il pavimento del Pronto Soccorso, con le volte a
crociera entro la controsoffittatura e, allo stesso livello, la parte confinante
con il vicolo di San Gerolamo). La conoscenza delle strutture, comunque,
risulta enormemente avvantaggiata da questi disegni e, per capire ciò,
basta confrontare la ricchezza dei dettagli presente in questi rilievi con le
imprecisioni contenute nei precedenti, e la stessa analisi stratigrafica degli
interni, se e quando verrà eseguita, non potrà prescindere dalla loro
esistenza.
Adesso poniamoci nella condizione di voler individuare lo spigolo
originario della primitiva cappella e cerchiamo di capire quale potrebbe
essere il punto più verosimile in cui localizzarlo. Se convogliamo tutti i
dati materiali in nostro possesso, quali il materiale costruttivo, la
cronologia relativa fra le varie parti della facciata (i risultati della "lettura"
stratigrafica) e la corrispondenza degli ingombri planimetrici a due diversi
livelli (quello di piazza del Duomo e quello immediatamente sottostante)
tale spigolo dovrebbe ricadere sulla facciata, a destra dell'ingresso attuale
dello Spedale, in corrispondenza della prima arcata del portico (USM 4 del
settore I), di cui costituisce lo stipite sinistro. Da questo punto
relativamente sicuro (al momento attuale della ricerca è il più probabile)
possiamo partire per ricostruire le altre dimensioni della cappella. Se
immaginiamo la cappella disposta parallelamente al fronte del Duomo,
quasi con lo stesso allineamento dell'attuale, dato che non sussistono gli
elementi per ipotizzare un'altra soluzione, alla domanda: — quale poteva
essere la lunghezza originaria? — la prima impressione ci suggerisce la
seguente risposta: l'intera muratura in calcare, perché il materiale
costruttivo e la posa in opera a filari paralleli sembrano omogenei. Tale
ipotesi, però, non regge ad una analisi più approfondita. Intanto perché la
datazione relativa non ci conforta: infatti, sul bordo sinistro, la muratura in
calcare si "appoggia" alla muratura in laterizio della casa dei Gettatelli
(che sappiamo costruita successivamente) e, nello stesso punto (se la
cappella fosse stata orientata nel medesimo senso dell'attuale), non
sembrerebbe esserci nessuna struttura sottostante che potesse fungere da
fondazione al muro dell'abside: al livello inferiore corrisponde addirittura
la volta di copertura di un ambiente scavato. E poi la supposta omogeneità
della muratura è più il frutto di una osservazione superficiale che di una
realtà costruttiva: vedremo in seguito di quali operazioni di restauro e
rimpello sia stata oggetto. Se procediamo per esclusione, l'ipotesi
dimensionale più plausibile resta quella di una coincidenza planimetrica
con la parte interrata corrispondente, individuata al livello inferiore 25,
coincidenza valida sia per la lunghezza che, forse, per la larghezza.
La larghezza attuale deve essere, tuttavia, esclusa dall'ipotesi ricostruttiva
perché utilizza un tipo di muratura in laterizio con caratteristiche
costruttive e funzionali nettamente diverse da quelle del muro di calcare,
come abbiamo potuto controllare autopticamente sul brano di muro a
comune con la Sagrestia Grande (vedi infra). L'incongruenza maggiore,
però, sembra essere l'assoluta mancanza di allineamento verticale del muro
di una possibile facciata con le murature della "torre" sottostante l'attuale
Pronto Soccorso. Sebbene sia mancata la possibilità di un controllo
autoptico del materiale costruttivo, per i motivi già espressi, lo spessore di
tali murature varia da 2,30 a circa 3 metri e, stranamente, non sembrano
essere state utilizzate come piano fondale del muro d'ambito della
cappella, che cade esattamente al centro della canna interna della "torre".
Tuttavia proprio questa mancanza di coincidenza può spiegare l'esistenza
del muro a corsi alternati di calcare e laterizi, visibile sulla facciata e
costituente parte di un piccolo portico antistante l'accesso o, più
probabilmente, accesso comune sia allo Spedale che alla cappella 26 (fig.
B).
Una tale tecnica costruttiva denota quasi sempre un reimpiego del
materiale, in questo caso il calcare, che potrebbe provenire dalla
demolizione della "torre". È vero che l'uso di una tecnica costruttiva simile
è documentata nella cappella di Montesiepi —della fine del XII secolo—
presso San Galgano, ma è preser,te anche in numerosissime costruzioni
civili senesi più tarde, come la fonte di Follonica del 1250, e in qualche
chiesa della diocesi volterrana27, come l'eremo di Rosia del 1252.
Ma torniamo alle dimensioni più probabili della primitiva cappella. Se
accettiamo le ipotesi e le preclusioni cui abbiamo accennato, la larghezza
dovrebbe collocarsi intorno agli 11 metri, in corrispondenza delle due
campate più esterne dell'ambiente che adesso ospita il Pronto Soccorso, e
25
Ipotesi già formulata da GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 35, fig. IV.31, livello -
1.
26
Che si sia trattato di un portico aperto, si può facilmente desumere dalla finitura arrotondata degli
spigoli dei pilastri —che trovano uno stretto confronto in alcune situazioni senesi, anche all'interno
del palazzo Pubblico stesso— e dalla successione cronologica delle tamponature tutte posteriori alla
costruzione dei pilastri e dello spigolo delle tre aperture.
27
Sull'impiego della "bicromia struttiva" in edifici religiosi dei dintorni di Siena, cfr. MORETTI
1982.
la lunghezza intorno ai 1920 metri, con la parete terminale in
corrispondenza dell'attuale accesso alla chiesa e, al livello sottostante,
delle murature del bar28. Le incongruenze stratigrafiche sono spiegabili
con operazioni di foderatura e di sostituzione dei conci della facciata,
documentate già dal XVII
secolo (vedi infra). Se troviamo plausibile che almeno una parte della
parete di calcare corrispondesse al lato della cappella, l'altezza sarebbe
dovuta essere di almeno 7,5 metri, se non vogliamo tenere in
considerazione eventuali limitate demolizione della vecchia cresta muraria
della cappella, eseguite in occasione degli ampliamenti successivi o dello
spostamento del livello della piazza.
La sproporzione dimensionale che avvertiamo chiaramente, se escludiamo
per un momento le ampie masse murarie degli accrescimenti posteriori, fra
porta di accesso dello Spedale e paramento in calcare, ci induce ad
ipotizzare una diversa soluzione del passaggio cappella-piazza. Abbiamo
già accennato alla possibilità di un ingresso principale sul lato corto della
cappella a cui sarà, poi, addossato il portico a tre arcate e, forse, due
campate, ma esistono ancora tracce ben leggibili di una apertura archiacuta
successivamente tamponata, posta tra le due attuali porte su piazza del
Duomo (USM 94 del settore III). Se teniamo in considerazione gli spessori
che doveva avere la ghiera, ora mancante e che riducevano l'ampiezza
della luce, si ha l'immagine di un'apertura ben più proporzionata alla
superficie della parete laterale e tale modello di lettura è suffragato, con un
peso documentario ben maggiore, dall'affresco di Domenico di Bartolo,
che si trova nel Pellegrinaio dello Spedale stesso, e che mostra l'interno
della cappella, con le due aperture ancora in funzione nella prima metà del
28
Cfr. anche in AA.VV. 1986, p. 78.
XV secolo, e uno scorcio del lato opposto della piazza, con il portale della
facciata del Duomo e una parte dell'edificio dell'Arcivescovado29.
Quasi immediatamente dopo la costruzione della cappella si dà l'avvio alla
realizzazione di un porticato (Fase B, att. 20), del quale, sulla facciata
dello Spedale, rimangono ben visibili le tre arcate a corsi alternati di
calcare e laterizio. Non possono esserci dubbi sulla cronologia relativa
delle due costruzioni, perché è nettissima la relazione di "appoggio" della
ghiera che appartiene alla prima arcata del porticato, che "riempie" un
"taglio" praticato sullo spigolo della cappella. La cronologia assoluta non è
determinabile con precisione, ma è circoscrivibile all'arco cronologico
compreso fra la fine del VI decennio e il 1290, anno in cui veniva portato a
termine un ampliamento del palazzo del Rettore. E, allo stato attuale della
ricerca sulle strutture murarie, un'oscillazione di meno di trent'anni paò
essere considerata come estremamente precisa.
Per quanto riguarda l'altro lato del fronte dello Spedale, quello a sinistra
della muratura in calcare e che conclude questo lato della piazza, con la
caratteristica forma sinuosa, si deve ammettere che, finora, siamo in
possesso di una serie di tessere di un mosaico che appare assai discordante.
Per cercare di ricollocare gli eventi secondo una trama e un ordito
plausibile con le vicende costruttive, ci sembra opportuno premettere una
brevissima descrizione di quanto è stato "letto" su questa parte del fronte
dello Spedale, focalizzando il nostro interesse sul periodo preso in
considerazione, ma tenendo conto delle vicende posteriori, anche se
dobbiamo ammettere una nostra grande difficoltà nell'individuare alcune
delle azioni relative al restauro novecentesco e buona parte di quelle dei
restauri precedenti, generalmente ottocenteschi. Per quanto non si
riscontrino aggiunte di nuovi volumi, per il nostro metodo di studio non ci
sentiamo affatto sicuri che « nessuno degli interventi posti in atto a partire
dalla seconda metà del settecento ha alterato la leggibilità delle costruzioni
originarie »32, anzi sono proprio gli interventi degli ultimi
cento-centotrenta anni che hanno alterato più profondamente e reso
estremamente difficoltosa la "leggibilità" della costruzione, trattandosi di
operazioni di sostituzione del materiale reintegri con materiali e tecnologie
tradizionali oppure con materiali frutto di una tecnologia più recente (ma
quest'ultimi visibilissimi), di "omogeneizzazioni" delle superfici, con
finiture a gradina o penna di martello, che hanno falsato anche i piani
verticali originari.
Il criterio che abbiamo seguito nella descrizione, in questo caso molto
analitica e puntigliosa, è stato, in un primo momento, esclusivamente
topografico e solo successivamente cronologico-interpretativo, in modo da
far risaltare i passi seguiti nella ricerca. Cominciando da sinistra,
sull'angolo con via del Capitano, abbiamo individuato le grandi masse
murarie costituite dalla facciata di quella che sarà, poi, la corsia
Marcacci33, composta da un piano terra e un primo piano, comprendendo
la cornice del davanzale, le finestre del primo piano e il caratteristico
coronamento ad uncinelli e saettoni — oggi scalpellato o tamponato —
visibile anche nel palazzo del Rettore, con la porta e due finestre per piano
— monofore a piano terreno, bifore al primo piano —. Questa parte è
costruttivamente collegata con la parte sinistra della casa dei Gettatelli,
32
GALLAVOTTI CAVALLERO-BROGI 1987, p. 93.
33
Utilizziamo, per semplicità, il termine Marcacci, al posto del più corretto « Spedale delle Donne
», anche se la definizione deriva dal nome del medico attivo nello Spedale nella seconda meta
dell'Ottocento, in quanto il grande ambiente posto al livello della piazza e quelli soprastanti, sono
stati adibiti, in tempi diversi e non sempre facilmente distinguibili, a cappella, a convento delle
donne, forse anche a pellegrinaio delle donne, etc., ed oggi sono in procinto di diventare museo
archelolgico.
limitata, però, alle due bifore del primo piano e all'ingresso (ora
tamponato) a piano terra34.
Continuando a scorrere lo sguardo sulla facciata si incontra la casa dei
Gettatelli, con le sue otto bifore al primo piano (ma che in origine
dovevano essere almeno nove e forse più), l'ingresso carraio ai livelli
inferiori (molto più ampio prima dei restauri del 1905-1907), le altre due
aperture tamponate e le monofore (anch'esse tamponate); infine la
muratura in calcare che si "appoggia" al piano terra della casa dei
Gettatelli e la soprastante muratura in laterizio, con le medesime relazioni
stratigrafiche, prima della muratura in calcare della cappella.
Descritte le grandi masse murarie che interessano questo periodo
costruttivo, passiamo ad una prima interpretazione che tenga conto delle
relazioni fisiche fra le varie parti (i rapporti stratigrafici) ed iniziamo,
com'è d'uso in archeologia, con le attività costruttive più antiche,
all'interno del periodo considerato. Il lato sinistro dello Spedale era
caratterizzato dai volumi della casa dei Gettatelli e, nonostante la presenza
di una precisa epigrafe nel timpano di un'apertura del piano terreno, tale
casa si deve individuare nel corpo centrale, a due piani, con le otto bifore
al primo piano e le aperture del piano terreno, due tamponate già in antico
e l'altra ridotta più volte di dimensione (vedi infra e fig. 5); non sappiamo
se il fronte della casa si prolungasse oltre i bordi che abbiamo individuato:
sicuramente un'altra bifora continuava il fronte verso destra, mentre a
sinistra mancano completamente gli elementi per un qualsiasi giudizio.
Successivamente viene costruita l'ala sinistra del fronte dello Spedale, fino
all'odierna via del Capitano35— ala che ospiterà il pellegrinaio delle donne
e, poi, la corsia Marcacci — unitamente alle prime due bifore del primo
piano — con pause di cantiere — e al portone, poi ridotto a finestra, della
facciata principale. Probabilmente negli stessi anni vengono aperte le due
monofore sul fronte della casa dei Gettatelli, se non erano già state previste
34
Più precisamente, abbiamo rinvenuto una perfetta ammorsatura delle due murature che
costituiscono i fronti della corsia Marcacci e della casa dei Gettatelli; l'ammorsatura è riscontrabie
—a parttre dal sedile in ietra a livello della piazza— dalla cornice che corre all'imposta delle
aperture dei piano terreno della casa dei Gettatelli, fino alla cornice dell'imposta degli archi delle
bifore, al primo piano della medesima casa. Poi abbiamo una situazione di relativa recenziorità,
sempre della casa dei Gettatelli, fino al liveilo dei conci in pietra per gli uncinelli della copertura al
di sotto dell’ampliamento della chiesa.
35
Ormai non sembrano sussistere molti dubbi sull'esatta cronologia costruttiva di questa parte, dopo
il rinvenimento dell'epigrafe apposta in occasione del completamento dello Spedale nel 1338. Se ne
veda l'esegesi nel contributo di Gabbrielli, pp. 105-109, al quale vanno i meriti della scoperta.
in origine36; come abbiamo già visto, viene, inoltre, costruita la quinta
muraria destinata ad essere affrescata dai Lorenzetti.
Ora cerchiamo di collocare cronologicamente le attività costruttive che
abbiamo individuato e che devono essere comprese nell'arco di tempo che
va dal 1298 al 1466-72, data dell'ampliamento e rialzamento della chiesa
che suggella i volumi della casa dei Gettatelli. Ma si può provare ad essere
più precisi, se utilizziamo le altre informazioni archivistiche disponibili e
le fonti materiali ricavabili dalle murature stesse, quali l'apparecchiatura e
le dimensioni dei laterizi che costituiscono le facce a vista delle murature.
La mensiocronologia può costituire un valido punto di appoggio, pur con i
limiti imposti dalla sperimentalità del metodo e dall'impossibilità, o dalla
difficoltà, di accedere a tutte le diverse azioni costruttive, quali quelle
poste in alto, per registrare le dimensioni medie dei laterizi. Infine anche i
criteri della cronotipologia ci possono venire in aiuto. Le due monofore
esistenti al piano terreno della casa dei Gettatelli (USM 40 e 42) sono
quasi perfettamente coincidenti con i resti di altre due monofore
individuate "sotto" le attuali finestre del piano terreno della corsia
Marcacci (USM 70,5 e 71,29 del VI settore; figg. 6 e 7). Le dimensioni
coincidono per quanto riguarda la larghezza (m 1,47) mentre differiscono
nell'altezza (m 4,50 contro 3,70).
Passiamo ora in rassegna le chiavi che ci potrebbero aiutare a trovare un'e-
satta collocazione cronologica assoluta a tali attività. Dobbiamo ammettere
che questa precisazione che, a prima vista, sembrava ovvia e scontata per il
conforto di una lettura ormai sedimentata delle fonti archivistiche e data la
presenza di una apposita e circostanziata epigrafe che ha peregrinato per
tutta la facciata della casa e che, attualmente, si trova nel timpano della
prima apertura — da sinistra — del piano terreno della casa dei Gettatelli,
si è dimostrata, invece,
una operazione ostica e complessa e, soprattutto, non proprio indiscutibile.
36
La descrizione della tecnica costruttiva di queste aperture meritercbbe un capitolo a parte, sono,
infatti, delle monofore ottenute "tagliando" la muratura già esistente, con lati strombati e senza
soluzione di continuità con il resto della muratura per quanto riguarda gli stipiti, con la costruzione
di un arco a tutto sesto per quanto riguarda la ghiera. La cronologia relativa indica, quindi, un prima
e un dopo, ma il lasso di tempo intercorso fra questi due momenti costruttivi, attività edilizie
positive e negative, non deve essere stato molto ampio, se consideriamo che sono stati usati i
medesimi mattoni, disponendoli con la medesima cura anche all'interno della muratura, dove,
generalmente, si aveva il sacco o una messa in opera nettamente più trascurata. Segno evidente che
si intendeva costruire un'apertura con quelle caratteristiche e i
mattoni "tagliati" possono essere la conseguenza di una mancanza di appositi pezzi sagomati, se
non addirittura l'unica tecnica costruttiva considerata valida.
È indubbio che una qualche struttura doveva già esistere per accogliere i
trecento « gettatelli » che troveranno riparo nella nuova casa, ma non
possiamo indicare con sicurezza a quali delle attuali parti edificate fare
riferimento. Così, per avere la base per una determinazione cronologica di
questa parte del complesso ospedaliero, dobbiamo partire dal 1298. Ma
quali azioni costruttive possiamo, a buon diritto, far rientrare in questa
periodizzazione (Fase E)? Nella costruzione di tutto il piano terreno
sembra siano stati utilizzati gli stessi laterizi e le cronologie relative
concordano. Alcuni dubbi cominciano ad affacciarsi quando passiamo in
rassegna il primo piano che — per quanto riguarda la casa dei Gettatelli —
mostra alcune incongruenze stilistiche e di distribuzione. Innanzi tutto le
monofore dovevano dar luce ad ambienti più alti di quelli ottenuti con la
costruzione del primo piano (la ghiera della monofora ricade sul davanzale
sotto le bifore e, quindi, la presenza di un solaio avrebbe "tagliato" la luce
libera), poi non c'è nessuna corrispondenza fra le aperture del piano terreno
e quelle del primo piano, come se fosse stata ripudiata quell'attenzione
all'aspetto formale che era stata, invece, seguita nella costruzione,
cronologicamente dilatata del Palazzo del Rettore e, successivamente,
ripristinata negli ampliamenti settecenteschi. Una attenzione più analitica
alle caratteristiche di finitura dei laterizi, per esempio la graffitura a
spina-pesce o quella inclinata — presente sopra le due bifore a sinistra
oltre la casa dei Gettatelli e nella parte inferiore del lato su via del
Capitano — dimostra che alcune parti della facciata sono state risparmiate
dalla gradinatura effettuata, in occasione dei restauri, tra il 1905 e il 1913 e
che, forse, esistevano diversi piani verticali del costruito.
Si deve presumere, allora, che queste parti siano il risultato di attività
costruttive differenziate, che saranno riunite, poi, nei volumi di quelle case
dei Gettatelli e delle Balie, delle quali non si riesce a delineare con
sicurezza un'immagine chiara ed inoppugnabile. Se rileggiamo la
trascrizione del documento del dicembre del 1379, o meglio ancora se
rileggiamo il documento stesso, non possiamo riferirlo alla costruzione
della struttura edilizia ma solo alla provvisione degli arredi di un
pellegrinaio delle donne, già esistente perché si parla di « scialbare et
dipignare »37 degli ambienti evidentemente già costruiti e probabilmente
poco o male utilizzati38.
37
Pe una trascrizione recente del documento si veda MILANI 1988-89, p. 61.
38
L’esistenza di un pellegrinaio delle donne diviso da quello degli uomini appare nei documenti fin
dagli inizi del XIV secolo – BANCHI 1877, cap. LXII, p. 74, ed esistente ancora nel 1361 – cfr.
MILANI 1988-89,pp.62-63.
A ben vedere è quasi impossibile, allo stato attuale dello spoglio
archivistico, riuscire a collegare la funzione di "pellegrinaio" ad una
qualsiasi struttura edilizia degli inizi del XIV secolo, ma se accettiamo
come plausibile l'identificazione della corsia Marcacci come pellegrinaio
delle donne, la sua data di costruzione viene a collocarsi posteriormente al
1298 (perché si "appoggia" ad una parte della casa dei Gettatelli) e
precedentemente al 1379 (Fase F).
Dalla scarsa documentazione archivistica sappiamo che, intorno a questa
zona, nel 1336 si dava inizio alla costruzione di una nuova ala fra il corpo
principale e il pellegrinaio sul terreno di due chiassi posti fra lo Spedale e
il palazzo Squarcialupi39. Inoltre, fra il 1334 e il 1359, si veniva a formare
l'attuale via del Capitano larga almeno 10 braccia, circa 6 metri40, ottenuta
con l'ampliamento di chiassi già esistenti o con apposite demolizioni. Tutti
segnali che indicano una situazione urbana in fase di definizione ed è,
quindi, molto probabile che anche l'ampliamento verso sinistra della casa
dei Gettatelli, con una parte destinata alle Balie e ad un nuovo
"pellegrinaio", rientrasse in queste operazioni, così come viene attestato
dall'epigrafe recentemente individuata e trascritta in occasione di questo
studio. A sostegno della veridicità dell'epigrafe, possiamo far confluire
anche le indicazioni che ci fornisce una nuova linea di ricerca: la
cronotipologia. La forma e il partito decorativo delle bifore della corsia
Marcacci sono assolutamente identiche a quelle del primo piano della casa
dei Gettatelli, e molto simili a quelle del secondo piano del palazzo del
Rettore (pressoché coevo — vedi infra—).
Ci sembra fondamentale, però, aver capito che, su questo lato della piazza
tra la fine del XIII secolo e i primissimi decenni del successivo, si attua il
compimento di un disegno formale unitario, che verrà, successivamente,
solo marginalmente interessato da piccoli interventi di ripristino ed
adattamento.
Ma torniamo alla piazza del Duomo (o meglio dello Spedale, come veniva
a quei tempi designata l'ampia cavità fra le parti edificate). Tra il 1305 e
l'anno successivo vengono deliberate alcune autorizzazioni per interventi
che interessano la destinazione e, soprattutto, la sistemazione del lato nord
della piazza, antistante il Duomo e lo Spedale, spazio aperto che finora non
sembra avere rivestito, nel contesto urbano, un ruolo di riunione o di
39
La trascrizione del documento è alle pp. 113-114; un accenno al medesimo documento era già
presente in BALESTRACCI – PICCINI 1977, pag. 152 (anche n. 36).
40
BALESTRACCI – PICCINI 1977, pp. 49-50.
transito, destinato com'era (o come appare dalla documentazione scritta) a
cimitero ad uso dello Spedale e del Duomo.
Le operazioni deliberate sembrano rivolte ad una regolarizzazione delle
quote della piazza, che si richiede "spianata", con asportazioni dei livelli
più superficiali41e la sistemazione delle tombe con lastre di marmo (che
possiamo supporre limitata a quelle delle famiglie più abbienti). Tutti gli
autori sono concordi nel ritenere che queste operazioni portarono ad un
ampliamento dell'area "pubblica" della piazza e, forse, ad un inizio o ad un
rafforzamento della funzione di passaggio fra Vallopiatta e il Duomo. Ma
la nuova destinazione ad area "pubblica" potrebbe aver avuto un riflesso
anche sulle strutture fisiche dello stesso Spedale, tant'è che, forse, la porta
attuale dello Spedale, così alta ed ampia per la relativamente limitata area
della vecchia cappella, può essere correlata alla nuova funzione di spazio
urbano dilatato. E diventa interessante, per le implicazioni di carattere
formale e di 'controllo' dell'intera struttura ospedaliera, collegare a questa
situazione anche la sistemazione dell'accesso principale della casa dei
Gettatelli, che viene formalizzato in un portone di dimensioni
apparentemente identiche a quelle dell'attuale accesso dello Spedale e
quindi di ben altra e monumentale importanza rispetto a quello che era
venuto a determinarsi in seguito alla trasformazione del palazzo in chiesa e
definitivamente sistemato nel corso dei restauri posteriori alle operazioni
di stonacatura effettuate nel 1905.
In tutto questo fervore costruttivo non pare fuori luogo porre anche
l'ampliamento della precedente cappella dello Spedale, che può essere
collocato in una fase posteriore alla costruzione della casa dei Gettatelli e
che già nel 1327-1328 doveva avere la larghezza attuale, se concordiamo
nell'identificare la « cappella del pellegrinaio » con quella dedicata ai SS.
Gioacchino ed Anna, attuale cappella della Madonna42, che ha il muro di
divisione con l'aula della chiesa allineato con quello che la separa dalla
Sagrestia Grande, attuale muro
41
Si veda il contributo Boldrini sulla interpretazione dei dati di scavo, relativi a questo periodo.
42
La trascrizione settecentesca del documento relativo alla costruzione della cappella, « Anco
nell'anno 1328 fu conceduto...che nel pellegrinaio nuovo degli infermi potesse fare una cappella...a
riverenza di S.Gioacchino e di S.Anna », è pubblicato in CAVALLOTTI-CAVALLERO 1985a
Regesto 6, p. 415.
destro della chiesa. Per quello che abbiamo potuto constatare sul lato della
Sagrestia Grande, dove la muratura è priva di intonaco fino agli affreschi
del Vecchietta, quest'ultimo muro è costituito da brani di murature
reimpiegate, con piccole finestre o nicchie, ampie aperture, forse pertinenti
al collegamento cappella-sagrestia, e altre numerose tracce di attività
edilizie differenziate (fig. 8), che fanno chiaramente intendere, laddove ce
ne fosse stato ancora bisogno che l'avvicendamento costruttivo — studiato
dalla stratigrafia degli elevati edilızi — sia stato particolarmente
effervescente ed inserito in un contesto che non si può mai considerare
sgombro da preesistenze.
Torniamo ora alla facciata e alla piazza. A dar credito a quanto espresso
dal Macchi e dal Faluschi, sulla base di una documentazione cartacca che
sembra ormai perduta, fu al tempo del rettore Tese Tolomei (1314-1339 e
più precisamente 1310-1320) che si fece costruire un muro « per riempire
l'angolatura dell’edificio nella parte superiore e predisporre la facciata a
ricevere la decorazione e la tettoia »43. Il frutto di tale attività costruttiva
potrebbe essere individuato nell'USM 91 del settore III44, la parte in
laterizio soprastante l'attuale accesso alla chiesa, limitata, a destra, da un
visibilissimo spigolo e, a sinistra, dalle bifore del primo piano della casa
dei Gettatelli.
I famosissimi affreschi che Pietro e Ambrogio Lorenzetti (e forse Simone
Martini)45 eseguirono sulla facciata dello Spedale — quattro storie della
Vergine - sono, tradizionalmente, attribuiti agli anni 1335-1337 o
1331-1340, ma le due antiche trascrizioni dell'epigrafe coeva agli affreschi
ci indicano l'anno 133546. Non sembrano esserci dubbi sulla collocazione,
per così dire, 'topografica' delle Storie (USM 91 e 92), che doveva essere
fra la parete in calcare della cappella e quella che si può interpretare come
la "rasatura" di una cornice in muratura (USM 93 vedi infra) e fra
l'orologio e le bifore della casa dei Gettatelli. E’ quindi, facilmente
43
MACCHI, Memone, II, c. 199v.; FALUSCHI, Le Chiese, c. 183, così come citato in
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985, p. 131, n. 60.
44
Si veda quanto viene interpretato da Mennucci, p. 212
45
Tra gli ultimi contributi apparsi, sul problema della attribuzione degli affreschi, si veda
GALLAVOTTI- CAVALLERO 1987b, favorevole ad un intervento di Simone Martini.
46
L’epigrafe, ora perduta, «Hoc opus fecit Petrus Laurentij et Ambrosius eius frater 1335» fu
trascritta una prima volta dall’UGURGIERI AZZOLINI 1649, II, pp. 336-338 e poi ripresa da
PECCI 1761, pp. 38-39.
constatabile che il primo piano della casa dei Gettatelli con le sue otto
bifore (ma che dovevano essere almeno nove) è precedente alla esecuzione
degli affreschi. Se riprendiamo l'ipotesi espressa precedentemente, con le
due diverse fasi costruttive della casa dei Gettatelli: a destra e a sinistra
dell'attuale accesso alla compagnia di S.Caterina della Notte, la
realizzazione della parte destra deve collocarsi in un ambito cronologico
anteriore, nell'ipotesi più sfavorevole al 1320, anno di esecuzione della
parete sulla quale saranno eseguiti — nel 1335 — gli affreschi.
Ma l'attività edilizia non si limitava soltanto alla costruzione dei vari corpi
funzionali dello Spedale. Sulla piazza del Duomo, nel medesimo periodo,
erano attivissimi i cantieri della nuova facciata della Cattedrale
(1284-1296), del palazzo vescovile (1257-1273) e di tutta una serie di
rifacimenti e di nuove sistemazioni dell'intera piazza, occupata dai gradini
del Duomo, dal sagrato dellachiesa di San Giovanni, da una loggia del
palazzo vescovile, da un cimitero e, forse, da una serie di costruzioni o da
un palazzo destinato all'operario dell'Opera del Duomo e/o dei Canonici.
Con una operazione resa facilissima dall'impiego di altri veicoli espressivi,
proviamo ad immaginare quale dovesse essere l'aspetto della piazza per chi
vi entrava dall'attuale via del Capitano, in una giornata della fine del XIII
secolo (fig. C). Immediatamente sulla destra, dopo alcune case di proprietà
dello Spedale, si trovava la facciata della pieve di San Giovanni — il
Battistero dei senesi fino alla costruzione di quello nuovo, posto sotto la
crociera del Duomo — nelle immediate vicinanze della Pieve c'era la
loggia del vescovado — che doveva intralciare il traffico da e per lo
Spedale — poi il lungo allineamento murario costituito dal lato del palazzo
vescovile e dalla nuova facciata del Duomo — che, nel 1296, Giovanni
Pisano aveva lasciato incompiuta all'altezza dei tre timpani sovrastanti i
portali — quindi, di seguito il palazzo dei Canonici (e dell'operario
dell'Opera) che, probabilmente, doveva formare un angolo verso la
facciata dello Spedale. Forse un piccolo vicolo divideva la Canonica da un
edificio che sarà poi del Camarlingo dello Spedale e che, attraverso il
cimitero, doveva portare sul sagrato della Cattedrale. Sul lato sinistro della
piazza si era ormai completato l'intero fronte dello Spedale, con il palazzo
del Rettore, fino al primo piano, la cappella con i due diversi paramenti
murari e, infine l'edificio (o gli edifici) dei Gettatelli che tornavano a
chiudere la piazza.
4. I nuovi corpi di fabbrica e l'immagine del fronte dello Spedale
fra 1338 e 1404. Periodo VI
52
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 79.
53
Ibidem, Regesto 79-86, p. 418.
54
MACCHI, Memorie, II, C. 123.
mostra come l'afflusso popolare dovette essere assai notevole e certamente
comportò una modifica nelle potenzialità dinamiche delle direttrici di
interesse urbano, probabilmente assai più incidente della presenza dello
stesso Duomo.
Uno dei primi provvedimenti governativi è, infatti, la demolizione della
loggia del Vescovado, nel 1379, così descritta nella cronaca del
contemporaneo Donato di Neri: « La loggia del vescovado di Siena, che
era in sul canto del duomo che era in fuore in fino a la via, si guastò; e
questo si fe' per aver magior piaza per mostrare l'arliquia,... »55. Negli
stessi anni si registra il restauro (o la costruzione) del sedile di pietra: « li
murelli di marmo nella piazza di detto spedale attaccati alla chiesa, li quali
furono fatti per sedere la Signoria e Magistrati di Siena quando venivano
alla benedizione delle Reliquie »56.
Il successo dell'operazione non poteva non creare attriti con il Capitolo del
Duomo, forse mai sopiti dal momento dell'affrancazione dell'ente
ospedaliero, che portano, nel 1383, alla delimitazione delle rispettive aree
di influenza, mediante l'apposizione del « rigolo » di marmo bianco,
ancora oggi esistente, e con la sistemazione delle sepolture afferenti ai due
Enti (fig. D).
Nel 1397 viene, infine, ammattonata una parte piuttosto ampia della
piazza, ma non la sua totalità, se ancora nel 1442 Priamo della Quercia,
nell'affresco nel pellegrinaio dello Spedale, ne mostra la superficie terrosa
(fig. 11a).
Con il 1404, in concomitanza del nuovo indirizzo più spiccatamente
popolare del governo senese, le autorità della città concludono
un'operazione già avviata nei secoli precedenti, sancendo, anche
formalmente, con la nomina diretta del Rettore, il sostanziale assorbimento
delle attività economico-finanziarie dell'ente ospedaliero57.
55
Dalla Cronaca Senese di Donato di Neri in Cronache senesi 1931-39, p. 636.
56
MACCHI, Memorie, II, c. 123; MACCHI Origine, cc. 17-23.
57
Il mutamento delle strutture politiche e sociali del potere pubblico ha un riflesso
simbolico-ideologico nella nascita della storia del beato Sorore, che può essere letta come il
tentativo di affermare una origine laica dell'ente, che ne giustificasse l'autonomia dal potere
ecclesiastico. « L'estrazione prettamente popolare del ciabattino doveva avere infatti una specifica
risonanza politico-soeiale in quell'epoea caratterizzata dalla conquista dello stato da parte dei
"monti" popolari. » ISAACS 1988, p. 25.
« Ai primi del Quattrocento un nuovo governo, accanitamente
repubblicano, sancì la propria posizione commissionando opere in cui si
mescolavano temi relativi alle tradizioni storiche senesi: la protezione
della Madonna sulla città, il buon governo, le libertà civiche...La volontà
di creare un'immagine pubblica fu un fattore determinante per queste
commesse: per l'incarico del fonte battesimale del Duomo la ragione che il
Comune addusse fu che quello esistente era "...non... altro che sozo e
vituperoso e noto ad ogni cittadino" »58.
« Le commissioni di opere civiche venivano affidate dagli organismi del
governo cittadino: il Concistoro...il Consiglio Grande e il Consiglio del
Popolo...o dalle altre due istituzioni: il Duomo e l'ospedale di Santa Maria
della Scala... »59 e solo « Le commissioni ufficiali di un'unica istituzione,
lo Spedale di Santa Maria della Scala, si scontravano apertamente con
questo modo di vedere il mantenimento di uno stile tardogotico e
incoraggiavano uno stile moderno, realistico. »60.
Questa lunghissima citazione ci introduce ad uno dei quesiti più dibattuti
dalla storiografia artistica che si occupa del XV secolo senese, poichè
accenna all'irrisolto problema del perché nello Spedale, ma anche in Siena
stessa, si effettuarono interventi costruttivi perfettamente adeguati ai
modelli culturali ormai imperanti in altri centri della Toscana, inframezzati
o immediatamente seguiti da ritorni a modelli stilistici e costruttivi molto
più tradizionali. Dibattito che potrà attingere nuova linfa, per quanto
riguarda l'architettura, quando riusciremo a 'smontare' ed isolare i singoli
elementi costitutivi dell'edilizia, ad individuare i passi veramente
innovativi e a confrontare in quale contesto reale si venivano ad inserire e
quale seguito, quale meccanismo di emulazione erano riusciti ad innescare.
58
CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 41.
59
CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 49.
60
Ibidem, p. 54.
più nebulosa appare l'identificazione della sede topografica del Battistero
precedente. Lusini era convinto che il primitivo San Giovanni sorgesse
vicino alla facciata del Duomo, dalla parte del palazzo vescovile 61, ma
sembra identificare quest'ultimo edificio con il più recente, a sinistra della
facciata e modificato ad Arcivescovado solo dal 1720, mentre l'antico si
trovava sul lato destro della facciata del Duomo, allineato con essa fino,
quasi, all'imbocco di via del Capitano (figg. 11 e 12)62. Balestracci e
Piccinni ritengono che l'antico San Giovanni « si trovava in primo tempo
vicino alla sua facciata principale [ del Duomo ], dalla parte del palazzo
vescovile »63. Il controllo dell'immagine del palazzo vescovile, quale
possiamo vedere nell'affresco di Priamo della Quercia, ci suggerisce un
partito decorativo
omogeneo e, quindi, la pieve di San Giovanni doveva trovarsi al di fuori
dell'ingombro del palazzo — a meno di non ipotizzare una completa
'rifoderatura' della facciata dopo il 1404 e prima del 1442 —,
probabilmente nei pressi (o in parte coincidente) con lo spigolo del
successivo palazzo Reale, forse a stretto contatto della loggia del
Vescovado (demolita pochi decenni prima — vedi supra) (fig. 13). Queste
operazioni rientrano, ancora, nella fase di risistemazione dell'area della
piazza, per adeguarla alle esigenze apparentemente nate con l'arrivo delle
reliquie - vedi periodo precedente — ed evidentemente non ancora risolte
o portate a compimento. Dopo la fine del terzo decennio del Quattrocento,
con il rettore Buzzichelli (1433-1444) si possono considerare accantonate
le ricorrenti crisi finanziarie, alle quali non dovevano essere stati
ininfluenti i piani di espansione di un suo predecessore, il rettore Carlo
61
LUSINI 1901, P. 14.
62
La presenza del palazzo vescovile è ampiamente documentata nelle fonti documentarie,
specialmente iconografiche. A cominciare dai citati affreschi di Priamo della Quercia e di
Domenico di Bartolo nel Pellegrinaio, per arrivare alle vedute del Marcucci e di Nasini all'interno
del Palazzo Comunale—Palazzo Pubblico di Siena 1983, p. 175, fig. 202—e della pianta, redatta in
occasione della domanda di demolizione del 1658, nel fondo Chigi a Roma (vedi infra).
63
BALESTRACCI – PICCINNI 1977, p. 110.
64
Intorno a questi anni si hanno le prime attestazioni di un "oriuolo", posto sulla facciata dello
Spedale. Mentre una sibillina attestazione, nel 1413, « per gli oriuoli » nello Spedale non ci
permette una sicura collocazione del meccanismo, dall'affresco di Domenico di Bartolo se ne nota il
retro posto all'interno della chiesa. A Siena è documentato un orologio sulla torre del Mangia fin dal
1360 (Palazzo Pubblico di Siena 1983, p. 57). Una ricca bibliografia accompagna lo sviluppo di
questi meccanismi, dalla fine del XIII o agli inizi del XIV secolo e il significato sotteso ad una
misurazione del tempo resa pubblica e non più limitata a pochi 'eletti'. Già Dante — Paradiso, X,
139-144 — fa entrare il meccanismo nella letteratura: « Indi, come orologio che ne chiami / nell'ora
che la sposa di Dio surge / a mattinar lo Sposo perché l'ami, / che l'una parte l'altra tira e urge, / tin
tin sonando con si dolce nota, / che 'l ben disposto spirto d'amor turge; ».
d'Agnolino Bartali64. Se escludiamo la ciclopica operazione costruttiva
delle muraglie e degli speroni sul lato del fosso di Sant'Ansano —
probabilmente reimpieganti interi tratti di mura urbane dismesse — cui
sono attestate delibere ed acquisti di materiale dal 1415, ma che
continueranno per tutto il XV secolo, solo dopo il 1440 si assiste ad un
rinnovato fervore costruttivo, e questa volta accompagnato da una
ricchissima messe di materiale archivistico.
La realizzazione degli affreschi del Pellegrinaio costituisce un momento
importante, in quanto gli affreschi permettono di confrontare le tracce
leggibili sulle murature (le fonti materiali) con la situazione in essere ad un
determinato momento. Abbiamo già accennato all'affresco di Domenico di
Bartolo, con la presenza delle due porte sulla parete laterale della chiesa, e
che ci permette una agevole interpretazione della situazione del nodo
chiesa-ingressi-piazza-Duomo, ma anche l'affresco di Priamo della
Quercia ci aiuta a comprendere l'evolversi della sistemazione della piazza,
con i gradini del Duomo, le operazioni di ammattonatura e selciatura e
l'aspetto della loggia dei Canonici e del palazzo vescovile al 1442. Ci sono
altre linee di ricerca che ci possono aiutare a comprendere un po' di più
quanto veniva effettivamente eseguito, o quale peso esercitavano le
preesistenze, nel caso dei lavori deliberati dagli organi della Repubblica e
dello Spedale o attestati dalle ricevute dei pagamenti. Per quanto riguarda
lo Spedale conosciamo il salario giornaliero dei mastri muratori e dei
manovali, conosciamo le cifre pagate per determinati lavori e sappiamo
che, generalmente, il materiale era fornito dallo stesso Spedale. Se la
conoscenza del cantiere bassomedievale e rinascimentale fosse molto più
approfondita di quanto in effetti sia si potrebbe tentare di risalire alla
quantità e al tipo di lavoro eseguito, una sorta di computo metrico inverso,
confrontando e incrociando i dati provenienti dalle singole azioni
costruttive omogenee (le USM), l'ammontare delle paghe e la quantità dei
materiali impiegati, per arrivare a determinare la quantità di lavoro
giornaliero di un certo tipo, la produzione giornaliera per addetto (scavo
delle
fondazioni, preparazione della malta e dei ponteggi, murature in pietra, in
laterizio o con materiali deperibili, intonacatura, etc.) ed avere, così, una
65
Un tentativo di percorrere questa linea di ricerca, un primo passo per sondare tale direzione deve
essere inteso il paragrafo relativo nel contributo Milani.
base più attendibile per la interpretazione della documentazione
archivistica relativa alle costruzioni edilizie65.
66
ASS, Spedale, 23, c. 66, pubblicata da Milanesi in Documenti per la storia dell'arte senese
1854-56, II, p. 369 e in MILANI 1988-89, p. 69.
67
Sulla base di quanto ci è stato comunicato da Ascheri (ASCHERI 1988) la data 1399 non è più
sufficientemente probante per la redazione della dettagliata descrizione dello Spedale, dove si parla
anche di una « Sacrastia ». Ma una sagrestia poteva, comunque, esistere, dopo che la chiesa era
stata ampliata, alla metà del XIV secolo.
duplice impegno di servire come sagrestia e come cappella per le reliquie,
già nel corso del XV secolo68.
Anche sulla facciata si effettuano leggere sistemazioni, forse operazioni di
ordinaria manutenzione, come la sostituzione di alcune travi della tettoia 69,
dei sedili in pietra — 1445 — mentre il Vecchietta viene pagato « per
dipentura anchora de l'oriuolo70.
68
Dopo i lavori deliberati nel 1443, sono attestati pagamenti al Vecchietta per la decorazione
dell'Arliquiera (aprile-dicembre 1445 « si cominciò il cassetto della sagrestia dello spedale di cori
overo è sedi e depenture » e poi, sempre al Vecchietta, gli affreschi relativi alla celebrazione della
reliquia del Sacro Chiodo (fine 1446 per le volte, settembre 1449 per le pareti). Durante i lavori al a
nuova chiesa vengono restaurate le volte (1467) evidentemente danneggiate dagli interventi. Con
l'allungamento della chiesa (1466-1472 e il cantiere successivo) la Sagrestia, ormai situata a metà
della navata, perdeva la funzione specifica di locale accessorio alla chiesa. Così fra il 1475 e il
1478, si costruisce il baldacchino di marmo « in forme rinascimentali più consone alla nuova
architettura della chiesa » e si interviene con operazioni di muratura — probabilmente relativi alla
nuova destinazione — per le quali sono attestati, nel 1479, « quatro cento matoni compramo...per la
chapella per le rifichui » (MILANI 1988-89, p. 78). Tra il 1579 e il 1584 la Sagrestia, forse già
scialbata, veniva concessa in uso alla congregazione del S.Chiodo. Nel 1610 vi venivano trasferiti
l'affresco della Madonna del Manto e il ‘corpo' del 'beato' Sorore. Poi diventa corsia femminile (sala
S.Pietro) e, dall'8 maggio 1784, aula di chirurgia. Tra il 1864 e il 1866 ricomparvero gli affreschi
del Vecchietta e diventò biblioteca (GAVALLOTTI CAVALERO) 1985a, pp. 173-183).
69
Durante la sostituzione di legni « ritti in alto », alla tettoia della « porta delle donne » — nel 1440
— si ha l'attestazione di un tragico incidente di cantiere. Il maestro Guidoccio di Andrea — che
ritroveremo venticinque anni dopo come direttore del cantiere di ampliamento della chiesa — narra
come avvenne l'incidente che causò la morte di una « citolina » dello Spedale (Documenti per la
storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 199).
70
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, Regesto 290-291, p. 426.
71
Ibidem, p. 200.
nuova chiesa è richiesto « che sia bella, honorevole et magnifica »72. Dai
registri delle Entrate e delle Uscite dello Spedale emerge molto
chiaramente sia la personalità di Guidoccio d'Andrea, come capomastro
direttore dei lavori, sia la durata complessiva del cantiere, che possiamo
suddividere — dalle compere dei materiali e dai pagamenti alle maestranze
— in due fasi distinte: una prima che va dal 1466 al marzo del 1472, nella
quale si desume che sia stato portato a compimento poco più di quello che
oggi verrebbe chiamato il rustico e cioè le pareti, le finestre e i cornicioni
— opera di Urbano di Pietro, a favore del quale sono registrati pagamenti
nel 1467 e 1471 — la copertura e il soffitto della chiesa, mentre una
seconda fase — che va dal 1472 fino al 1483 (ma vengono fatti lavori per
la chiesa anche oltre tale data) — sembrerebbe relativa alle opere di
finitura e di decorazione, e vi appare, come responsabile di cantiere,
Galgano di Giovanni73.
Il ripudio completo di stilemi formali prettamente senesi ha eccitato la
fantasia di moltissimi storici dell'arte, che si sono cimentati in esercizi
attributivi a volte di grande acume e finezza dialettica, ma spesso solo
funambolici. Anche il nome suggerito in questi ultimi anni, quello di
Francesco di Giorgio, alla luce degli ultimi spogli archivistici, non appare,
oggi, così convincente, come appariva nel 198574, pur non potendo
escludere assolutamente l'apporto dello stesso Francesco di Giorgio al
progetto della nuova chiesa — ma in quanto allievo del Vecchietta,
l'esecutore più attento alle istanze artistiche del Consiglio dello Spedale —
, progetto di cui non conosciamo assolutamente nulla oltre al laconico «
secondo el disegno d'esso maestro Guidoccio e degli altri maestri ». Non è
improbabile che il Vecchietta e Guidoccio d'Andrea avessero costituito
essi stessi una sorta di compagnia per l'esecuzione di determinati lavori —
ad esempio l'Arliquiera — ed è sicura una loro frequentazione comune in
altri cantieri dello Spedale. Ma Guidoccio stesso non è una personalità di
secondo piano nel ristretto mondo, se confrontato ad altri centri toscani,
della cultura architettonica senese della metà del XV secolo. Sono
conosciuti suoi interventi alla grancia di Spedaletto in val d'Orcia, ma è
72 Il documento fu publicato da BANCHI 1877, pp. 124-125, ed è stato, poi, ripreso ed interpretato
variamente da tutti gli studiosi delle vicende costruttive della chiesa dello Spedale. In questa sede ci
preme tratteggiare solamente l'andamento delle fasi di cantiere, rimandando il lettore alla tesi
MILANI 1988-89 per un resoconto più dettagliato dei capitoli di spesa, del personale e dei tempi
impiegati.
73 Le fonti scritte testimoniano con precisione ogni singolo passo di avanzamento del cantiere. Per
un riscontro puntuale si veda la tesi MILANI 1988-89.
74
Su questo specifico aspetto, si veda quanto sostenuto da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985b.
suo il progetto della fortificazione della rocca di Sarteano e, sempre per
conto del Comune, è a Guidoccio che si chiedono pareri e sopralluoghi per
uno dei più incredibili progetti senesi, quello della diga sul Bruna, presso
Ribolla in Maremma — dove sarà impegnato anche Francesco di
Giorgio75, Gli altri maestri, citati nella delibera, possono essere maestranze
con responsabilità subordinate, quali quei maestri muratori che appaiono
nelle fonti archivistiche.
75
Si vedano i disegni e la documentazione relativa in ADAMS 1982.
76 Mentre non sembrano sussistere dubbi sugli autori di tale decorazione, in quanto i nomi di
Onofrio di Frosino e Battista di Cristofano emergono chiarissimi dalle fonti, molti problemi
rimangono sull'iconografia o sul tipo di decorazione eseguita.
relative alle necessità di una struttura che continuava ad assolvere, con
sempre maggiori difficoltà, il suo compito assistenziale.
Probabilmente un accurato spoglio archivistico potrebbe riservare delle
sorprese sulle vicende costruttive dell'inizio del XVI secolo, ma nella
situazione attuale dobbiamo accettare quanto afferma la Gallavotti,
secondo la quale, tra il 1507 e il 151277, si conoscono solo cinque
documenti riguardanti modestissimi lavori nella nuova chiesa, mentre dalla
fine del 1512 vengono attestati lavori edilizi preparatori ad una nuova
decorazione della cappella del Manto78, cominciata nel 1513 e limitata alla
prima campata interna, verso l'attuale Passeggio. E quasi certamente
durante il XVI secolo viene rialzato il coronamento della corsia Marcacci,
con una quinta in muratura che doveva assolvere il compito di rendere
visivamente meno improvviso il mutamento di quota fra il coronamento
della chiesa e l'ala adiacente.
Anche la costruzione del primo organo, deliberata nel 1514 ma forse
iniziata in precedenza79 ha un leggero riflesso sulla forma esterna della
facciata, in quanto vengono accecate alcune monofore della chiesa. Ma
ormai la struttura ospedaliera pare cristallizzata in se stessa, e dal periodo
successivo al rettorato di Giovanni di Filippo Tondi (1519-1527) sembra
che l'attività costruttiva e di mantenimento degli edifici cessi quasi
completamente (almeno per il cinquantennio successivo), trovandosi l'ente
opedaliero alle prese con un progressivo depauperamento delle risorse
finanziarie, che continuerà a peggiorare fino alla caduta della repubblica
senese.
77
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 267.
78
Si tratta del primitivo portico d'accesso allo Spedale, nel XIV secolo trasformato in cappella delle
Reliquie e che, ancora nel XVI secolo, conservava la Madonna di Domcnico di Bartolo detta del
Manto, alla quale erano riconosciute proprietà taumaturgiche.
79
Se è interpretata correttamente la funzione dei due elementi decorativi, ora alla Pinacoteca
Nazionale, che dovevano servire a coprire le canne di un organo e datati, in base allo stemma del
Rettore, al 1478-80 o 1485-97; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 253.
chontigue nel terzo di città ne la strada publicha e in su la piaza de lo
spedale »80. Il nuovo palazzo di Jacopo Petrucci — che alla fine del XVI
secolo sarà scelto come residenza senese dei Medici e prenderà il nome di
palazzo Reale (ora Prefettura e sede della Provincia) — si viene
costituendo come un polo di interesse a livello urbano e, lentamente,
porterà alle sostanziali modifiche della forma stessa dell'invaso della
piazza, con la costituzione di un nuovo, ampio, 'vuoto' urbano all'interno
della cinta, quasi a soggellare l'avvenuto passaggio del centro decisionale
dal palazzo Pubblico, sul Campo, al palazzo Reale, sulla nuova Piazza.
Probabilmente, in seguito alla ristrutturazione del palazzo, fra il 1593 e il
1594, viene creato un passaggio aereo fra il palazzo Reale e l'adiacente
palazzo Vescovile. Palazzo che, nel periodo compreso fra il 1442 e il
1600, più probabilmente intorno alla prima metà del XVI secolo81 (fig.
14), era stato rialzato di un piano, almeno sul fronte di piazza del Duomo.
Le vicende costruttive dei due palazzi che affiancavano la facciata del
Duomo, a destra quello vescovile e, a sinistra, quello del Rettore
dell'Opera del Duomo, sono, come abbiamo visto, poco conosciute o
studiate. Questo stato di cose deve essere messo in relazione al fatto che,
nel primo caso, l'edificio viene completamente demolito nel 1658, mentre,
nell'altro caso, è accettata acriticamente la convinzione che sia stato
costruito intorno agli anni 1718-1720.
Dalla sola documentazione iconografica si può, invece, presupporre che la
storia costruttiva dei due edifici abbia giocato un ruolo importante nella
definizione formale della piazza stessa. A partire dal 1441-1442,
l'immagine degli edifici e della piazza è affidata ai due affreschi di
Domenico di Bartolo e di Priamo della Quercia nel Pellegrinaio dello
Spedale, e successivamente alle rappresentazioni di Francesco Vanni e
Agostino Marcocci (vedi infra), e, pochi anni dopo, ai disegni del fondo
Chigi e, relativamente alla documentazione della trasformazione del
80
ASS, Spedale, 520, c. 94 come riportato dalla MORVIDUCCI 1980, p. 165 e MORVIDUCCI
1990, p. 79 n. 5.
81
Mancano quasi completamente le notizie relative al primitivo palazzo arcivescovile, demolito nel
1658. La documentazione grafica che presentiamo, inedita, ci mostra
unedificio a pianta irregolarmente quadrangolare costruito addossato alla parete del Duomo e
intorno alla cappella della Madonna delle Grazie, con il prospetto verso la piazza dello Spedale
chiaramente suddiviso in due registri orizzontali: il piano terreno — già presente ncll'affresco di
Domenico di Bartolo — decorato a fasce bicrome e con il coronamento ad archetti su beccatelli —
analogamente all'altro palazzo, del Rettore dell'Opera — sul quale si imposta un primo piano
scandito da nove finestre, suddivise da lesene affiancate e con una ricchissima trabeazione che, a
Siena, trova un pallido confronto nell'opera di Anton Maria Lari (Palazzo Palmieri Nuti in piazza
Tolomei).
palazzo del Rettore dell'Opera del Duomo in palazzo Arcivescovile, si
deve fare riferimento ai fondi conservati negli archivi dell'Opera e alla
Biblioteca Comunale senese.
Le recentissime vicende restaurative dell'attuale palazzo Arcivescovile
hanno lasciato scoperti dall'intonaco pochissimi tratti di muratura e, ad un
rapido sopralluogo autoptico, appare chiaro che l'edificio non può essere
considerato come il prodotto di un'unica operazione costruttiva omogenea,
bensì debba essere visto, anch'esso, come il risultato di modifiche operate
su edifici preesistenti, in accordo con la documentazione iconografica (fig.
15).
Il XVI secolo è testimone delle modifiche edilizie legate alle fortune delle
famiglie signorili senesi, mentre, all'opposto, assiste ad un rapido
deterioramento delle potenzialità decisionali e imprenditoriali dello
Spedale. Sul lato dell'immagine pubblica il riflesso è notevole e ci sono
tutti i presupposti per le modifiche che avranno luogo nel periodo
seguente.
6. Una istantanea della piazza del Duomo alle soglie del XVII
secolo: le vedute di Francesco Vanni ed Agostino Marcucci
88
Situazione che abbiamo riscontrato nell’allungamento, costruito dopo il 1720, del palazzo del
Rettore, con l’arcata (USM 15) ‘rincassata’ rispetto al piano in muratura.
Le aperture individuabili nel dipinto — nell'incisione la parte inferiore
della facciata del palazzo è coperta quasi completamente — a partire da
destra e secondo le indicazioni date da Girolamo Macchi nel 1697 89 (fig.
20), sono: la « Porta della Casa del Sig. Rettore e del Sig. Cam(arling)o »
con lo stemma mediceo (?), la « Rimessa per la Carrozza » oggi
tamponata90, infine un'arcata cieca e la nuova « Porta Principale dello
Spedale che va nell'Infermarie ». A ben guardare l'alone puntinato che, nel
dipinto, in una prospettiva assai scorciata, appare situato fra i due accessi
principali della chiesa e dello Spedale, potrebbe corrispondere alla « Pila a
dove sono messi gli esposti di nascita », ancor oggi individuabile dalle
tracce della tamponatura (USM 80) dell'arcata del primitivo portico (ormai
non distinguibile né nel dipinto né nell'incisione). Le aperture del primo e
del secondo piano corrispondono perfettamente a quelle odierne.
Passando al volume della chiesa risaltano immediatamente le anomalie
proporzionali fra i vari elementi ma, nel complesso, si conferma una
corrispondenza abbastanza puntuale. Sempre da destra appare la « Porta
Principale della Chiesa », poi la « Porta murata che andava anticam(en)te
nel Capitolo e Inferm(eri)e e in Chiesa », che a questa data sembra ancora
aperta. Fra le due aperture, nell'incisione appare la « Linghiera murata a
dove anticam(en)te si dava la bened(izion)e delle Reliq(ui)e », che,
probabilmente, doveva aver esaurito il suo scopo se viene omessa dal
Marcocci (ma lo spazio a disposizione, nel dipinto, è estremamente
limitato). L'orologio della facciata, una macchia indistinta sia nel dipinto
che nel disegno, appare leggermente spostato rispetto alla posizione
attuale. Le due monofore accecate sono appena accennate sia nell'incisione
che nel dipinto ed assai sproporzionate nelle dimensioni, rispetto a quanto
si vede attualmente, tanto che paò sorgere il dubbio che in quello scorcio
di tempo fosse presente una diversa soluzione formale. Anche se ciò non è
totalmente da escludere, specie se all'epoca della redazione delle
raffigurazioni ci fosse stato un paramento in parte intonacato, sembra,
però, più probabile una imprecisione nella preparazione dei bozzetti,
imprecisione che può essere rilevata anche per le due arcate cieche del
piano terreno, visibili sia nel dipinto che nell'incisione, e per le numerose «
Ferrate delle Stalle e altre Stanze né fondi », visibili soprattuto
nell'incisione. Infine il « Portone Comune che va a' Granari, Stalle e altri
89
MACCHI, Origine, cc. 59v-60.
90
Per l'esatta individuazione di questa apertula, stante il diverso numero di porte presenti nel
disegno del Macchi citato, rispetto alla realtà, si veda quanto espresso da Corsi, Gabbrielli nel loro
contributo sul settore VII.
luoghi », nelle dimensioni ridotte in seguito all'ampliamento della chiesa e
sormontato dalla Balzana, è presente sia nel dipinto che nell'incisione.
A questo punto sono riscontrabili delle differenze sostanziali fra incisione
dipinto e strutture materiali attuali: l'incisione sembra presentare una
soluzione di continuità, un distacco fra i volumi della casa dei Gettatelli
(ora chiesa) e la corsia Marcacci (probabilmente allora convento delle
donne). Piuttosto che ipotizzare una costruzione ex novo che, tra la fine del
'500 e i primi anni del '600 avesse riunito i volumi dei due corgi di
fabbrica, è più probabile, come soluzione, una imprecisione dell'incisione,
evidente soprattutto nella posizione del sedile in pietra, che falsa
completamente la prospettiva. Più difficilmente spiegabile, sempre
nell'incisione, è la situazione del corpo superiore della chiesa, a cui
mancherebbero due monofore e anch'esso staccato dalla corsia Marcacci.
Anche in questo caso, però, poiché non c'è interruzione, non esiste una
soluzione di continuità nel tratto di muratura tra le monofore interessate,
siamo più propensi a dare maggior credito alla situazione mostrata nel
dipinto, piuttosto che a quella dell'incisione, escludendo una fase
costruttiva nel breve periodo che intercorre fra le due rappresentazioni, per
l'assoluta similitudine della muratura e dei laterizi che la compongono. Si
accetta, quindi, la presenza di un portone che dà accesso al « Convento de
Fanciulli Minori », visibile nel dipinto e oggi trasformato in finestra.
Per quanto riguarda la parte superiore del corpo di fabbrica della chiesa,
oltre a quanto abbiamo detto relativamente al numero delle monofore e al
problema della mancata connessione strutturale fra chiesa e corsia
Marcacci, vorremmo sottolineare la presenza della tettaia, che correva
ininterrottamente dal palazzo del Rettore fino a via del Capitano, a
protezione degli affreschi dei Lorenzetti, delle decorazioni della fine del
XV secolo — area decorata che nel dipinto del Marcucci viene restituita
con colore diverso dal resto della parete della chiesa — e delle due bifore
sulla parete della corsia Marcacci. Anche in questo caso la situazione
'leggibile' sulle strutture murarie attuali ci permette di affermare che, nel
dipinto, esiste una maggiore aderenza alla realtà rispetto all’incisione, e
una riprova di ciò la possiamo riscontrare nella diversa altezza cui è posta
la tettoia stessa e nella forma delle aperture della parete della stessa corsia
Marcacci (o « Convento delle Fanciulle di Casa e Infermarie delle Donne »
con cappella).
E proprio quest'ultimo tratto di parete merita un maggiore
approfondimento, per le circostanziate ed interessanti ipotesi ricostruttive
recentemente proposte91. Dall’analisi delle due raffigurazioni non appare
però, nessun elemento che confermi l’esistenza di un loggiato o porticato
come invece e visibile nella figura della pubblicazione citata. Molto
probabilmente la riproduzione utilizzata, vista la grafia dei numeri
presenti, è la copia della veduta del Vanni eseguita da Lazzaro Bonaiuti
nel 1873 attualmente custodita nel Museo Civico di Siena e facilmente
accessibile, della quale non esistono numerose edizioni. Ma torniamo alle
due raffigurazioni originali. Oltre alla presenza della tettoia, sono
chiaramente distinguibili: a) il rialzamento del primo piano (ancora privo
delle tre finestre) della corsia Marcacci e che diventerà, successivamente,
il secondo piano, b) le due bifore del primo piano — in posizione più
centrale, che hanno uno strettissimo rapporto con le scarse tracce materiali
rimaste (USM 46 e 69 del settore VI) - , c) le due finestre a piano terra -
con archi a tutto sesto nel disegno e rettangolari nel dipinto —, d) un
portone architravato, pure a piano terreno, e poi ancora uno stemma-trofeo,
probabilmente in maiolica, e la Balzana, mentre sembra mancare l'epigrafe
trecentesca. Nell'incisione, inoltre, sono — forse — individuabili anche le
due aperture a bocca di lupo presso il sedile in pietra: tutti elementi che
determinano un termine post quem per la collocazione cronologica delle
trasformazioni. Interessanti osservazioni si possono trarre pure sulla
carpenteria della gronda delle coperture, specialmente quella del palazzo
del Rettore, nel dipinto assai più sporgente ed aderente alle tracce materiali
rilevabili oggidì.
Finito così il nostro giro sulla facciata dello Spedale, passiamo all'altro lato
della piazza. Subito dopo aver attraversato via del Capitano ci appare la
mole del palazzo Reale, trasformato nel 1593-94 a residenza del
governatore mediceo92, poi abbiamo il palazzo arcivescovile, con
l'interessante primo piano a colonne binate, finestre rettangolari ed ampia
trabeazione, che verrà demolito dopo qualche decennio (vedi infra), la
facciata del Duomo separa il palazzo arcivescovile dal loggiato che chiude,
verso la piazza, il cortile dei Canonici. Infine, aiutandoci con altri disegni
(fig. 21), possiamo dire che la piazza si completa con la casa del Rettore
dell'Opera del Duomo—l'attuale Arcivescovado, anche allora rivestito di
91
GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI, VIII.73 a p. 77, GALLAVOTTI CAVALLERO
1985a, p. 17, AA. VV. 1986, p. 14.
92
Le vicende costruttive del palazzo sono state analizzate dalla Morviducci. Una prima, sintetica,
informazione fu presentata alla mostra I Medici e lo stato senese (MORVIDUCCI 1980).
Recentissimamente è apparso un secondo, esaustivo, contributo nella monografia sul Palazzo Reale
(MORVIDUCCI 1990)
marmi con una bicromia chiara e scura — con cinque bifore al primo
piano e due accessi al piano terreno. Oltre l'imbocco di quella che sarà,
poi, via dei Fusari si intravedono gli edifici destinati alle Balie (1601) e, a
lato, la porzione dell'edificio del Camarlingo, che verrà demolito nel 1720.
Una prima, timida, ripresa delle attività edilizie dello, e nello, Spedale
coincide con il rettorato di Agostino Chigi, iniziato nel 1597 e che
continuerà fino al 1639. Nel 1601, e negli anni immediatamente
successivi, le funzioni svolte nella casa delle Balie e in quella dei Gettatelli
vengono trasferite in edifici già esistenti, ed adattati alla nuova bisogna,
posti all'imbocco di quelle vie che prenderanno il nome, nella
documentazione archivistica, di « chiasso ripido delle Balie » (oggi vicolo
San Girolamo) e « strada detta delle Balie » (oggi via dei Fusari). Tali
edifici — e più ancora la funzione che vi si svolgeva — generarono una
persistenza nella toponomastica che ci pare un chiaro segno, se ancora ce
ne fosse bisogno, dello stretto legame, quasi una simbiosi, che allora
esisteva fra la popolazione e la struttura ospedaliera.
Ma anche all'interno dei corpi edilizi più antichi, quelli che si erano
formati per accrescimenti successivi intorno al nucleo 'storico' dello
Spedale, la situazione non appare per niente statica. Le nuove funzioni
richieste dalle mutate condizioni sociali (si pensi all'infermeria —
costituita nel 1617 — per i nobili probabilmente caduti in povertà)93, una
diversa attenzione posta alle strutture e alle abitudini ormai sedimentatesi
nella memoria popolare, fanno sì che si dia inizio alla pianificazione di
interventi edilizi — ma non solo edilizi — attenti e desiderosi di rispettare
e di riportare all'antico splendore l'immagine stessa dello Spedale.
7.2. I "racconci"
95
Per le vicende relative allo scoprimento dei resti dell'affresco e della loro interpretazione si veda
GALLAVOTTI CAVALLERO 1974.
deve aver tardato molto a mostrare i suoi difetti96, probabilmente dovuti
alla gelività o alla scarsa consistenza del cemento calcareo del macigno. È
ancora Pietro di Domenico Maggidini il muratore che esegue sia le copie,
in laterizio formato entro stampi con le identiche forme, decorazioni e
dimensioni degli originari macigni (fig. 22), per braccia 20 integro a lire 8;
2 braccia per braccia 35, rifatto a lira 4 », individuate nelle USM 85 e 86
del settore III, che gli interventi nella muratura di sostegno e alla copertura
stessa97. Nello stesso anno viene deciso di « riunire la cornice di travertino
nella facciata di pietra sotto le figure della nostra chiesa » con «
quarantaquattro opere di scalpello »98 cioè di collegare con una nuova
cornice, i tratti delle due cornici marcapiano già esistenti sulle facciate del
palazzo del Rettore e della casa dei Gettatelli. Attualmente l’USM 90 del
settore III risulta composta da 39 pezzi, ma non è da escludere che in un
successivo restauro alcuni conci lavorati della cornice siano stati sostituiti
con un certo numero di pezzi di maggiore lunghezza e quindi non appare
del tutto improbabile identifcare le « opere », citate nel documento, con i
singoli pezzi. Interessante appare, inoltre, la citazione alle « figure » gli
affreschi dei Lorenzetti, che dovevano essere ancora oggetto di attenzioni.
Sempre nel medesimo documento, il riferimento che viene fatto ad « altre
pietre rimesse » nella parete in calcare cavernoso ci introduce al problema
della sostituzione delle pietre degradate, con altre aventi le medesime
misure. Allo stato attuale delle conoscenze si possono forse ipotizzare tali
sostituzioni con quei conci in travertino, diversi dal calcare originario della
parete. Bisogna, infatti amettere che oggi è ben difficile riuscire ad
individuare e a discernere con precisione ed esattezza i conci originari da
quelli sostituiti nei successivi restauri — sia settcenteschi che più recenti
— in quanto sembrano essere stati trattati e lavorati con gli stessi attrezzi
usati in antico per tale motivo possono sussistere dei dubbi per alcune delle
intetpretazioni che sono state date ad attività edilizie realizzate con la
medesima tecnica costruttiva, con i medesimi attrezzi e con gli stessi modi
di finituta prtinenti ad azioni costruttive differenziate nel tempo.
96
Il pericolo costituito dalla caduta di frammenti delle decorazioni in pietre serena è stato oggetto i
ricorrenti attestazioni, ma il recente restauro del 1986-87 non sembra che abbia mostrato le tracce di
precedenti restauri, ad esclusione della cornice di gronda (vedi infra).
97
ASS, Spedale, 5938, c. 59v.
98
ASS, Spedale,789, c. 179r.
Se la cura dell’immagine di una struttura edilizia, giunta alla metà del
XVII secolo attraverso una serie numerosa di ampliamenti e modifiche,
sembra costituire la preoccupazione costante dei curatori dell’istituzione
ospedaliera, altrettanto non possiamo dire per le vicende edilizie del lato
opposto della piazza. Nel 1658 il Rettore e i Savi presentano una richiesta
affinchè il papa si degni di « concedere la dermolitione della Casa
Archiepiscopale di questa Città, ridotta hormai inabitabile et in istato
d’inevitabile rovina »99.
Tutto lascia pensare che la demolizione del palazzo arcivescovile sia stata
effettuata nello spazio di pochissimi anni, durante i quali l’arcivescovo
Piccolomini abitò nel proprio palazzo in via di Città, e l’improvvisa
‘sparizione’ dell’imponente corpo di fabbrica generò un processo di
modifiche e trasformazioni tali che, nel giro di pochi decenni, porterà a
cambiare radicalmente sia i prospetti che le volumetrie dei corpi di
fabbrica che si affacciano sulla piazza - che ora si concede la possibilità si
sperimentare nuove prospettive dilatandosi nella sua attuale planimetria –
sia, infine, per le operazioni di finitura degi edifici circostanti (figg.
23-24).
Senza voler entrare nel merito di un'esatta cronistoria degli interventi di
demolizione e di modifica dei diversi corpi di fabbrica, che esulano dagli
obiettivi del nostro contributo, ci pare utile, però, puntualizzarne almeno
alcuni, soprattutto in previsione delle modifiche che tali operazioni
porteranno all'aspetto stesso dello Spedale.
Il primo problema che dovette essere affrontato e che era già presente nella
stessa richiesta del 1658, è la definizione della parete laterale del Duomo.
La proposta è « che restando quella parte isolata si potrebbe incrostare di
marmi come è il restante del Tempio esteriore et inoltre adornare e
ricignere con l'ordine stesso delle scalinate che sono dalla parte d'avanti
»100 (figg. 25-26). Di pochissimi anni posteriore, quasi da poterlo
considerare contestuale, è il progetto di costruzione della nuova cappella
della Madonna del Voto (1659-1663), che nella planimetria del Duomo si
trova in posizione simmetrica rispetto all'altra —intitolata a San
Giovanni—e la cui realizzazione determina lo spostamento di un ingresso
laterale del Duomo, dal luogo occupato ora dalla cappella al fianco del
campanile (l'attuale porta del Perdono) (fig. 27).
99
BORGHESI-BIANCHI 1898, p. 642.
100
BORGHESI – BANCHI 1898, p. 642.
Ma una diversa sensibilità verso le strutture monumentali sembra animare,
ora, le istanze estetiche del ceto 'dirigente', i 'nuovi' mecenati. A Siena la
famiglia Chigi, dalla quale proviene il papa Alessandro VII e suo nipote, il
cardinale Flavio, riesce a rendere impercettibile il confine fra sacro e
profano, tra pubblico e privato, e molti degli interventi che si dimostrano
più incisivi sulla forma del tessuto urbano, prendono le mosse dalle loro
iniziative. In mancanza di un puntuale spoglio archivistico non possiamo
essere assolutamente sicuri —come abbiamo gìà osservato— dei tempi e
dei modi che vedono l'applicazione dei principi di questa nuova estetica,
ma è assai probabile, secondo quanto risulta dalla documentazione grafica
che siamo riusciti a reperire, che immediatamente dopo la costruzione
della cappella della Madonna del Voto, si cominci a pensare e a
'progettare' un maggior isolamento del corpo di fabbrica del Duomo,
ottenibile con la demolizione del cortile dei Canonici (fig. 28) e,
successivamente, con
la proposta della sistemazione di una nuova sede (fig. 29): per gli
arcivescovi « che succederanno al presente, il quale habita in casa propria
... si offerisce la Casa dell'Opera »101.
E proprio il restauro e le modifiche da apportare alla casa del Rettore
dell'Opera del Duomo costituiscono la parte più consistente della
documentazione raccolta102. Un iter progettuale assai lungo, redatto,
probabilmente, con l'intervento di architetti romani (in molti rilievi appare
la scala in palmi romani, insieme con quella in braccia senesi) con
proposte di interventi più o meno diversificati, ma sempre con una
consistente parte di strutture che dovevano essere riutilizzate, tanto da far
scrivere al Golzio: « È questa una sistemazione edilizia assai importante,
fatta in pieno periodo barocco, in una città come Siena, che da quest'arte si
tenne generalmente lontana: ed è interessante vedere come il barocco ha
saputo continuare lo stile gotico preesistente con fedeltà di carattere »103.
Anche il Palazzo Reale segue la medesima sorte degli altri edifici: sebbene
interessato in piccolissima parte dalla demolizione del vecchio palazzo
arcivescovile (sembre che esistesse soltanto un passaggio aereo di
collegamento fra i due edifici) si coglie l'occasione del cantiere aperto
nella nuova piazza per ampliare il suo lato occidentale, inglobando lo
spazio di un « vicolo ferrato » posto all'esterno ed immediatamente
101
BORGHESI – BANCHI 1898, p. 642.
102
Si sono rinvenuti documenti, rilievi e progetti a Roma nel fondo Chigi, e a Siena, nella raccolta
Franchini alla Biblioteca Comunale e, ovviamente, all'Archivio dell'Opera del Duomo.
103
GOLZIO 1939, p. 79.
adiacente al vecchio muro laterale del Duomo Nuovo e che viene utilizzato
come nuovo ambito perimetrale insieme ad un « muro da farsi da S.A. per
riquadrare il Palazzo » (vedi fig. 36b). Si confronti la situazione del
palazzo, così com'era nella seconda metà del XVII secolo, secondo una
relazione del 1668 dell'architetto Pietro Tacca: « Il Palazzo di V.A.S. a
Siena ... non è perfezionato mancandoli un braccio dalla parte del Duomo
vecchio » e come appare in un disegno coevo104(fig. 36a), con i rilievi di
G.Ruggeri del 1742105 (figg. 37-38) ormai già aderenti alla situazione at-
tuale.
Prima ancora che la nuova sede arcivescovile sia terminata, e siamo ormai
a cavallo fra secondo e terzo decennio del '700, il richiamo di un
'rinnovamento' del partito decorativo della facciata dello Spedale diventa
un'esigenza improcrastinabile. Anche negli anni immediatamente
precedenti, però, non erano mancate proposte per una nuova definizione
della facciata, almeno per la parte corrispondente alla chiesa. Il Macchi
stesso allega ai suoi manoscritti un progetto con un 'loggiato' e una
soluzione per l'ingresso, che vede ripartito in tre fasce orizzontali e
culminante con un frontone timpanato accoppiato ad un
campaniletto106(fig. 39). A tutt'oggi non sappiamo se, e per quanta parte,
tale progetto — che prevedeva la definitiva scomparsa delle storie della
Vergine (evidentemente ridotte a mal partito dall'esposizione agli agenti
atmosferici) — sia stato realizzato. Una annotazione interessante, a tale
proposito, è la presenza, sui rilievi appartenenti al fondo Chigi che
interessano la piazza del Duomo (fig. 35), di sette pilastri —
apparentemente delle semicolonne binate — poste sull'angolo fra la corsia
Marcacci e la casa dei Gettatelli, più o meno coincidenti con l'area della
piazza che ha mostrato, all'indagine geofisica condotta con apparecchiature
georadar, la maggior quantità di anomalie107.
Contornato da tutto questo fervore edilizio lo Spedale non resterà
immutato e, in seguito alle scelte dei suoi reggitori, dapprima — 1718 —,
vengono tolte, le protezioni agli affreschi e alle bifore della corsia
104
ASF, Mediceo, 2025, c. 162, come pubblicato da MORVIDUCCI 1980, p. 170 e MORVIDUCCI
1990, p. 67.
105
Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, coll. 3.B.1.5 - Mss. G. F. 181-.
106
Pubblicato da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 23, fig. 7.
107
Si veda la pianta allegata al contributo Finzi (fig. 35, p. 173).
Marcacci — la tettoia —, dopodiché, per un adeguamento alle esigenze di
decoro urbano, viene deciso che le case del Camarlengo e del vinaio' con
alcune botteghe, vengano alienate all'Opera del Duomo (1718-1719),
affinché possano essere demolite con lo scopo di rendere più ampio e più
regolare108 l'imbocco di via dei Fusari in piazza del Duomo. Nel contratto
stipulato si conveniva che « il rifacimento delle muraglie, demolite che
saranno le dette case, debba farsi con la totale uniformazione alla facciata
esteriore dell'abitazione dei Signori Rettori di questo Spedale in tutte le sue
parti e tanto rispetto all'altezza che grossezza, da collegarsi con le muraglie
interiori e con le muraglie che corrisponde dalla parte di vicolo di
S.Girolamo »109. Probabilmente questa scelta era stata influenzata anche
dalle condizioni statiche degli edifici ospedalieri, solo pochi anni prima
oggetto di restauri e consolidamenti — la costruzione di sproni in
muratura110. Ci pare utile far rimarcare che, in questo caso come in altri a
Siena, la pedissequa aderenza alle raccomandazioni di « totale
uniformazione » sia stata tale che venissero usate, come modello
strutturale delle nuove aperture, centine costruite sulle forme delle finestre
del palazzo del Rettore111.
Poi, fra il settembre 1720 e il gennaio 1721, la « nuova facciata di chiesa
palazzo del signor rettore facciata del convento delle fanciulle viene tutta
scialbato e con fregi neri »112.
Fra tutti gli interventi che hanno avuto come campo di applicazione la
facciata, l'intonacatura generale è sicuramente l'operazione che muta
maggiormente l'impatto visivo del complesso Spedale-piazza,
trasformando una quinta muraria in gran parte laterizia, anche se in parte
intonacata per supportare gli affreschi, ormai perduti, e, forse, anche con
zone protette da veli più sottili di intonachino, in una superficie
uniformemente levigata e decorata a bande scure ad imitazione dei
rivestimenti marmorei del nuovo arcivescovado e delle pareti laterali del
Duomo.
Questo tipo di operazione segna il mutamento di un modo locale di cura ed
attenzione alla forma edilizia e ci introduce, ormai, in un mondo di
108
Con un notevole riflesso nella sedimentazione archcologica che appare asportata fino ai livelli
del VII secolo. A questo proposito, si veda quanto è stato individuato nello scavo, periodo VIII.
109 ASS, Spedale, 351, 219, 219v., come pubblicato da BANCHI 1877, pp. 276-277 e da
GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 110-111.
110
Parte di tali adeguamenti statici sono ancora visibili nel vicolo di San Gerolamo, che non appare
sostanzialmente modificato dalle demolizioni su via de' Fusari.
111
Come ha ipotizzato Gabbrielli nel suo contributo sulla cronotipologia.
112
GALLAVOTTI CAVALLARO 1985a, Regesto 675, p. 443.
trasformazioni, via via sempre più rapide, della forma architettonica. Da
un lato l'operazione di intonacatura della facciata può essere considerata
come l'inizio di un nuovo periodo ma, dall'altro, segna anche l'ultimo
episodio di una 'progettazione' del costruito che teneva conto della
globalità dell'organismo edilizio e vedremo, nel prossimo capitolo, come
gli interventi sul costruito saranno sempre più numerosi, ma episodici e
comunque caratterizzati da un bassissimo profilo progettuale.
113
La veduta dello Spedale è inserita nel terzo dei tre volumi in folio che furono pubblicati tra il
1801 e 11 1803 (cfr. FONTANI 1801-1803). In formato ridotto (con nuove incisioni ricavate dalle
stampe) l'opera fu ristampata negli anni 1817 e 1818 dall'editore Marenghin, tradotta in francese e
ripresa in innumerevoli edizioni. Nel 1978 la Cassa di Risparmio di Firenze curò una ristampa
anastatica della prima edizione, e su di essa abbiamo ricavato la fig. 43.
114
PELLEGRINI 1987, p. 73.
un piano terreno nel quale si aprono due finestre rettangolari (i cui resti
sono individuabili, probabilmente, nelle USM 58 e 60 del settore VI —
tav. D, p. 251), l'ingresso, ancora rettangolare, sormontato da un timpano
semicircolare vuoto (il tamponamento di questo timpano, con la
trasposizione della balzana dall'angolo in alto a sinistra in questa sede, è
avvenuta, quindi, successivamente al 1803) e con i due sedili in pietra —
che coprono le bocche di lupo dei livelli inferiori — ai quali si accede con
due gradini — oggi scomparsi. Al primo piano si aprono due finestre
rettangolari (anche queste ben individuabili nell'USM 62 e 64 del settore
VI — tav. D, p. 251) con due cornici marcapiano — fino a quella data in
ottimo stato di conservazione — corrispondenti alle primitive cornici in
travertino dell'imposta e del davanzale delle bifore (USM 76,77,78 e
43,44,45). Il secondo piano, completo nella sua volumetria, è ancora privo
delle finestre, mentre è visibile uno strano oggetto che — se fosse più in
basso — potrebbe essere interpretato come un fanale per l'illuminazione,
ma che potrebbe anche essere — viste le lesioni presenti in questa zona —
un capochiave di catena impiegata per il consolidamento statico. Senza
voler entrare nel merito della diagnosi del quadro fessurativo, ci sembra
interessante, però, osservare che le lesioni presso l'angolo di via del
Capitano (USM 6 e 89), si sono venute a creare lungo una linea di minor
resistenza, passante per le due finestre (piano terreno e primo piano —
USM 5 o 58 e 62, tav. D, p. 251), precedentemente all'accecamento della
finestra 62 con il tamponamento 49 — perché quest'ultimo è perfettamente
aderente ai bordi dell'apertura —. L'apertura del finestrone centrale (USM
63) è, probabilmente, attribuibile agli interventi del 1841-1842, preceduta
da un accocamento della finestra 64 con il tamponamento 48.
Se crediamo plausibile un simmetrico intervento di accecamento delle
finestre, il tamponamento 49 deve essere stato costruito fra il 1803 (anno
di redazione del disegno del Terreni) e gli anni immediatamente
antecedenti al 1841, cioè dopo la scossa tellurica del 1798. Non vogliamo,
qui, dibattere ulteriormente sulla genesi della lesione, che esula dagli
interessi del nostro intervento, ma ci pare, tuttavia, opportuno, riportare un
passo della perizia tecnica che l'ingegner Guido Dringoli stese, a proposito
delle medesime lesioni, nel 1966: « Sono certamente lesioni di origine
sismica non avendo riscontrato segni di cedimento di fondazioni o di
spinte di volte. D'altra parte le lesioni sono passanti e creano una soluzione
di continuità nelle pareti perimetrali e portanti »115.
115 Archivio Ufficio Tecnico USL 30, n.48, fasc.2, come trascritto in AA.VV. 1986, p. 54.
Purtroppo mancano quasi del tutto studi approfonditi sogli effetti del sisma
che investì Siena nel 1798 e in particolar modo su quelli subiti sia dalle
strutture edilizie dello Spedale, che da altre parti della città, ma ci sembra
sufficiente aver accennato al problema, nella speranza che qualche
studioso cominci lo spoglio della ricca documentazione archivistica,
conservata presso il locale Archivio di Stato, concernente gli effetti del
terremoto sull'edilizia delle diverse parti della città.
Ma torniamo all'analisi dell'immagine dello Spedale disegnata dal Terreni.
Tutta la porzione della facciata che coincide con il lato della chiesa risulta
essere intonacata e decorata con le solite fasce più scure. Anche il palazzo
del Rettore appare intonacato, con un partito decorativo più ravvicinato
che, nella realtà, era ancor più fitto e simile al rivestimento dei Duomo e
dell'Arcivescovado. Al piano terreno della parte coincidente con la chiesa
si notano, da sinistra verso destra, una porta rettangolare con una
finestrella soprastante — nel luogo occupato attualmente dall'epigrafe del
1298 —, poi il grande ingresso agli uffici e ai depositi situati al di sotto del
livello della piazza, con l'ampio arco a sesto acuto decorato con una
marcata bicromia. La decorazione corrisponde alla ghiera della primitiva
apertura della fine del XIII o dei primissimi anni del secolo successivo —
che contiene nel suo intradosso il posteriore arco a sbarra di tipo senese del
secolo XV — e che verrà rimosso con i restauri iniziati nel 1907 (vedi
infra); inoltre sono visibili le cinque bocche di lupo per l'aereazione dei
locali sottostanti, tre probabili stemmi, l'apertura principale della chiesa
(l'attuale ingresso principale dello Spedale) e la serie dei sedili in pietra
addossati alla parete.
Mancano completamente le tracce dell'apertura originaria della chiesa,
tamponata nel corso del XVII secolo (vedi supra) e ogni minimo accenno
ad un'apertura che coincide con quella, successiva, fatta aprire dal Corbi
nel 1895. Concordemente a quanto sostenuto dalla Gallavotti, che
interpreta il documento del 1608 sulle quattro « porte honorevoli di
macigno », la quarta porta che, all'interno, doveva aprirsi simmetricamente
a quella della cappella della Madonna, non dovette arrivare a 'sfondare' la
cortina di calcare116. Naturalmente non si vedono le tracce della linghiera
da dove venivano esposte le reliquie, demolita e con le lacune della
murature risarcite, probabilmente con materiale lapideo, già nel XVII
116
« Fabbricò quattro porte di macigno due delle quali con porte di legno, quella cioè d’ingresso, e
l’ altra del Pellegrinaio, con compartimenti sfondati e ripieni di grate di ferro », ASS, Spedale,
5938, c. 59v. L’interpretazione è in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 301.
secolo, prima dell'intonacatura generale del 1720-1721. Si nota, invece
nella sua interezza, la cornice marcapiano che corre all'altezza del
davanzale delle finestre — allora obliterate — del primo piano.
Nel registro superiore sono individuabili, in basso, due piccole finestrelle
rettangolari, aperte nelle luci della seconda e sesta bifora della casa dei
Gettatelli, e il quadrante dell'orologio — più simile all'attuale, di marmo,
che a quello affrescato nel 1720117. Sulla parte superiore del registro,
infine, si vedono le dieci monofore, indubitabilmente quelle attuali, anche
se notevolmente rimpicciolite nelle proporzioni.
Per quanto riguarda il palazzo del Rettore, anch'esso completamente
intonacato, le differenze più notabili — nel confronto con la situazione
attuale — sono date dalla mancanza del sedile di pietra e dal
tamponamento della seconda arcata a piano terreno, che in quel tempo
doveva essere aperta ed utilizzata come accesso principale allo Spedale.
Tutto il resto corrisponde quasi perfettamente alla situazione attuale, se
escludiamo le due piccole finestrelle rettangolari, poste sotto il davanzale
della quarta e quinta bifora del secondo piano e della serie di aperture
all'interno delle arcate del piano terreno — porte e finestre — che
subiranno una serie continua di modifiche fino al 1966.
117
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 377, n. 66 e PECCI 1761, p. 38.
118
La redazione del rilievo del piano terreno deve essere avvenuta nel 1835 (GALLAVOTTI
CAVALLERO 1985a p. 1838 (AA.VV. 1986, p. 21).
nel vestibolo, già cappella delle Reliquie fino al 1608-1610. Tuttavia la
'lettura' delle informazioni contenute nella planimetria non può limitarsi
soltanto a dei piacevoli confronti con le interpretazioni proposte, specie se
limitati allo studio della sola facciata dello Spedale; una tale planimetria
può, e dovrà, costituire la base per un accurato controllo autoptico delle
strutture murarie, una guida che ci aiuti a districarsi nei labirintici locali,
nel 'ventre molle' dello Spedale stesso, luogo di trasformazioni e modifiche
che non hanno avuto la fortuna di essere state oggetto di una decorazione
particolarmente raffinata — o anche solo 'decorate' — che comunque ci
'parlano' con un linguaggio assai forte, ma per certi aspetti ancora
inintellegibile o poco chiaro.
Sembra che non tutti i lavori di restauro progettati da Agostino Fantastici
siano stati realizzati in modo conforme alle intenzioni dell'autore, se pure
furono intrapresi, ma è probabile che tutta una serie di interventi 'minori',
quali quelli che emergono da uno spoglio per 'campioni' della
documentazione archivistica dell'Ufficio Tecnico dello Spedale o da una
analisi puntuale delle strutture materiali, rientrino in quel processo
generale di 'ammodernamento' degli spazi dello Spedale. E così
l'ampliamento o la nuova apertura di enormi finestroni nelle testate dei
vecchi pellegrinai, ora infermerie o corsie ospedaliere, realizzati con lo
scopo di migliorare l'illuminazione e l'aereazione dei locali, è la chiave che
permette di collocare in una cronologia meno approssimativa l'apertura del
grande finestrone posto quasi al centro del primo piano della facciata della
corsia Marcacci, in asse con l'accesso. Dopo un primo tamponamento di
almeno una delle due finestre rettangolari (vedi supra) — che, forse, si può
collegare al documento della fine del giugno del 1818 119— vengono aperti,
analogamente a quanto avviene nei locali del Pellegrinaio e del Passeggio
(1841-1842)120, un ampio finestrone con arco a tutto sesto (USM 63 del
settore VI, tav. D, p. 251) e, poco dopo, « un finestroncello in fondo alla
Infermeria alta delle Donne, quale corrisponde nella loggia dell'antico
tenditoio »121. Le esigenze dello Spedale si dovevano modificare
velocemente, se dopo qualche decennio — e siamo ora nel periodo X —
un nuovo documento ci permette, in maniera indiretta, di ricostruire le
tormentate vicende delle aperture della corsia Marcacci. Nel 1877 « si è
reso necessario portare un cambiamento nella facciata dello Spedale delle
119
Quando viene rifatta una parte della decorazione affrescata sull’intonaco della corsia Marcacci,
AA.VV. 1986, p. 21.
120
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 379.
121
13-14 febbraio 1846, AA.VV. 1986, p. 22.
Donne che prospetta sulla piazza del Duomo »122, cambiamento non
meglio precisato, ma che possiamo far corrispondere (vedi infra) alla
creazione delle nuove finestre del secondo piano, in asse con le aperture
già esistenti al piano terreno (che, comunque, vengono modificate per
adattarle al nuovo partito decorativo) e con le nuove finestre del primo
piano, in numero di tre previa tamponatura del finestrone centrale.
L'ipotesi che tutte, o almeno una buona parte, delle finestre che possiamo
vedere attualmente sulla facciata della corsia Marcacci, siano state
costruite in quegli anni è basata principalmente sulla lettura del prosieguo
del documento, nel quale vengono presentati due diversi progetti per la
'riduzione di questa facciata': uno che prevede una muratura a faccia vista
in materiale laterizio, simile a quella del lato prospiciente via del Capitano,
per un importo di L. 2197, l'altro, intonacato a fasce bianche e nere, per un
importo di L. 850. Questa differenza sensibile nell'ammontare delle
perizie, ci prospetta la possibilità di un'operazione di completo
rivestimento o di ampia sostituzione dei materiali ammalorati con altri, e
forse nuovi, laterizi, resa necessaria da quanto, oggi, si può evincere dalle
complicate vicende costruttive, peraltro facilmente leggibili sulla stessa
facciata.
122
AA VV. 1986, pp. 25-27.
123
Ibidem, p. 99.
nel 1905)124, di aprire un nuovo ingresso alla chiesa (su progetto di
Augusto Corbi del 1895) ed infine il progetto di un restauro complessivo
della facciata (dell'architetto Vittorio Mariani), con un lungo iter
burocratico che va dal 1905 al 1907.
L'apertura di un nuovo accesso alla chiesa permette di rendere molto più
indipendenti i due corpi di fabbrica — chiesa ed ospedale — e la scelta è
dovuta ad una esigenza legata non più al timore di profanare un luogo
sacro, ma bensì ad una diversa dimensione assistenziale raggiunta dallo
Spedale. La chiesa, pur conservando un passaggio diretto con lo Spedale
— attraverso la cappella della Madonna ed una corticella — si presenta ora
come un nucleo autonomo, al quale si accede tramite una porta costruita
replicando le forme e i modi costruttivi del portone già esistente125 ed
utilizzando la nicchia retrostante, intorno alla quale era stata costruita, nel
1608, la cornice in macigno per necessità di simmetria, ma mai veramente
utilizzata come passaggio. Lo Spedale, con un accesso reso indipendente
dalla chiesa mediante una tramezzatura che riduceva la lunghezza della
stessa chiesa, attua una specie di 'cannocchiale' visivo, fra la piazza del
Duomo e la campagna circostante, attraverso il Pellegrinaio e due di quelle
porte « honorevoli di macigno », secondo quanto recita la relazione tecnica
che accompagnava il progetto del Corbi. Negli stessi anni, alla fine del
XIX secolo, si chiude l'accesso attraverso le sale del piano terreno del
palazzo del Rettore, che vengono ora utilizzate per impiantarvi il Pronto
Soccorso.
L'operazione di stonacatura, o scraping, rimette in luce molti degli
elementi costitutivi dei diversi corpi di fabbrica, unificati con
l'ampliamento della chiesa, che costituiranno il presupposto 'ideologico'
per alcune proposte del progetto Mariani (fig. 41). Dato che le due
operazioni — stonacatura e progetto di restauro della facciata — sono da
considerarsi consequenziali e complementari, ci pare utile analizzare
entrambe le attività in un'unica fase costruttiva (periodo X, fase B). Il fatto
che molti degli elementi costitutivi della casa dei Gettatelli siano stati « a
vita nova restituiti », si dimostra punto di partenza assolutamente
essenziale dal quale il Mariani non può prescindere. Tra il 1905 e il 1907
vengono fatti esaminare alle Commissioni gli elaborati del progetto, con i
lavori previsti. « Essi consistono nella:
124
« Rassegna d'Arte Senese », 1905, pp. 40-41.
125 Sulle caratteristiche costruttive della nuova apertura, si veda il confronto proposto nel
contributo Gabbrielli.
— parziale battitura della cortina esistente
— riapertura o scoprimento delle finestre bifore scoperte collo
scrostamento dell'intonaco
— ripresa degli archi acuti e degli archetti nelle parti mancanti
— messa in opera di colonne di marmo con base e capitello per le suddette
finestre
— riparazione e rinnuovamento di alcuni pezzi di cornice in pietra
serena nelle grandi finestre della Chiesa e nella cornice sottostante
alla gronda
— riapertura delle finestre della Chiesa, ora murate, e ferrate e vetrate a
piccolo vetro per le finestre riaperte, simili a quelle esistenti »126.
Dalla discussione di tali proposte — che si dimostrò insolitamente lunga e
laboriosa dato che riguardavano la facciata dello Spedale, luogo dove
maggiormente si appuntava l'attenzione del pubblico e delle commissioni
competenti (Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della
Toscana e Commissione Provinciale conservatrice dei Monumenti di
Siena) — emersero diverse serie di raccomandazioni che, confrontate col
dato materiale, con i particolari leggibili sulla foto Alinari eseguita
successivamente all'operazione di scraping (fig. 5) e con il prospetto
allegato alla richiesta di restauro della facciata (fig. 41), ci permettono di
seguire con maggiore precisione gli interventi che si andavano a realizzare
e di percepire, in filigrana, la filosofia sottesa in tali operazioni. Si
raccomanda, infatti, che127:
1— « ...siano scrupolosamente conservate tutte le tracce, anche le più
piccole di quanto vi si vede di antico, e perciò di lasciare come si vedono
attualmente tutti gli archi di porte, compresa quella con archi raddoppiati
che dà ingresso a' vari uffici ed oratori. »
Le operazioni di ripristino devono essere state eseguite secondo una
gerarchia, non scritta, di importanza via via decrescente. Si chiede di «
lasciar come si vedono » tutte le aperture rinvenute, ma la realtà ci mostra
una serie di sostituzioni dei materiali delle vecchie ghiere degli archi con
nuovi mattoni trafilati
(con l'accortezza di esercitare una graffitura a crudo sulla superficie in
vista) anche se, formalmente ed almeno apparentemente, non vengono
modificate le dimensioni di tali aperture. Ciò non avviene, invece, per la
126 Archivio Storico Comunale, Lavori Pubblici, cat. X, dall'anno 1907 al l909, n. 7 come trascritto
in AA.VV. 1986, p. 34.
127
« Rassegna d'Arte Senese », 1905, pp. 40-42.
porta di accesso agli uffici, « quella con archi raddoppiati ». La ghiera del
primitivo arco della porta di accesso alla casa dei Gettatelli, viene fatta
sparire completamente e per la reintegrazione della cortina vengono
impiegati quasi esclusivamente mattoni vecchi, tanto che la stessa
individuazione dei contorni dell'intervento è resa estremamente
problematica. Nel progetto Mariani si preferisce far risaltare la porta con
arco a sbarra di tipo senese, probabile adattamento alle modifiche del
livello del piano pavimentale della chiesa, conseguente all'ampliamento
quattrocentesco. Una balzana viene riportata sulla chiave dell'arco e molte
buche pontaie sono ricostituite con mattoni trafilati o tamponate con
vecchi laterizi. Tutte queste operazioni vengono sicuramente terminate nel
1913, come mostra la foto pubblicata nella Guida dello Spedale che uscì in
quell'anno128 (fig. 42). Problemi molto più complicati ci vengono posti
dall'individuazione dei restauri del 1932, quando, con l'apporto del
soprintendente Bacci, prendiamo atto che « Il 29 febbraio 1932 si dà
avvio...alla sistemazione dell'ingresso agli Uffici dalla piazza del Duomo
»129.
E ancora, riferendoci alla discussione seguita alle proposte progettuali del
Mariani, si raccomanda:
2 — « Togliere quei ringrossi di muro che furono fatti per chiudere le
finestre bifore del primo piano...completandole solamente in quelle parti
mancanti e ritirando il muro, lasciandolo...come si vede nell'unica finestra
intatta, e lasciando pure come stanno le cornici d'imposta tagliate ».
Le bifore, come oggi appare ovvio, esistevano già in antico, e quelle
ancora quasi del tutto intatte nel 1907 erano: da sinistra, la seconda e la
sesta — per quanto riguarda la ghiera e parte della cornice — mentre
l'ottava ha, a tutt'oggi, il timpano e gli archetti originali (fig. 43). Tutte e
dieci le bifore, sono state oggetto di sostituzioni dei vecchi laterizi con altri
trafilati, sia sagomati sia con dimensioni speciali; inoltre le colonnine e i
capitelli sono stati tutti rifatti — probabilmente prendendo a modello
quelle del palazzo del Rettore —, così come nuove sono le cornici
d'imposta, contravvenendo a quanto disposto nelle raccomandazioni, che
così continuavano:
3 — « La tettoia che stava sopra alle dette finestre...non dovrebbe essere
rifatta, ...poiché non solo non sappiamo come fosse quella antica, ma non
128
DE NICOLA 1913, p. 9.
129
AA.VV. 1986, p. 39.
possiamo vedere nessun altro esempio di tettoie consimili in altre
fabbriche senesi. »
La raccomandazione viene seguita in toto, obliterando anche gli alloggi
per i saettoni. Bisogna comunque osservare, a proposito del passo della
raccomandazione relativo alla localizzazione degli affreschi antichi, che
sulle bifore, ormai tamponate ed intonacate, erano stati eseguiti, da Battista
di Cristofano ed Onofrio di Frosini negli anni intorno al 1480-82, degli
affreschi.
Le raccomandazioni dicevano, poi, che:
4 — « Le dieci bellissime finestre superiori quattrocentistiche della
chiesa...dovranno essere restaurate nelle parti affatto guaste, lasciando il
più che sia possibile del pietrame antico ». La raccomandazione appare
pleonastica, in quanto non si sono rinvenute le tracce di nessun tipo di
intervento sulle cornici di macigno, come possono testimoniare i restauri
del 1986-1987.
E che:
5 — « Dovranno essere conservate le due tettoie nello stato attuale nei due
fabbricati con le finestre bifore a destra del fabbricato principale » senza
dubbio da interpretarsi come il palazzo del Rettore. La raccomandazione si
riferisce alle proposte del progetto, che prevedeva l'asportazione del tetto
sopra il secondo piano del palazzo del Rettore — ripristinando il
coronamento merlato — e la costruzione di un nuovo coronamento, anche
questo merlato, sul corpo di fabbrica a due piani prospicente via dei Fusari
(fig. 41).
E infine:
6 — « In quanto agli archi del piano terreno di questo fabbricato, se si
vuole praticarvi delle finestre, si faccia pure, ma non seguendo
l'andamento degli archi stessi e con quelle particolarità ...quasi si volesse
far credere quelle aperture originarie della costruzione... ». La
commissione si preoccupa, attraverso le raccomandazioni, che non
vengano attuate le aperture delle finestre di forma ogivale, aderenti
all'intradosso delle arcate cieche del piano terra così come appniono nel
disegno di progetto. In questo caso la raccomandazione fu accolta e
costituì, anche in seguito, il criterio da seguire quando si dovettero
affrontare le domande inerenti l'apertura delle nuove finestre e degli
accessi ubicati in questa parte dell'edificio.
Bisogna aggiungere, poi, anche l'ultimo paragrafo, che suggerisce di «
togliere completamente l'intonaco in questa parte della fabbrica Palazzo
del Rettore (fig. 44b), per rimettere in luce quello che vi è sotto ».
Quest'ultima operazione fu eseguita pochi anni dopo, sicuramente prima
del 1913, ma fortunatamente senza quella "battitura della cortina
esistente", realizzata in parte a gradina e in parte a penna di martello, che
ha reso assai complicato seguire, ed applicare, i criteri di lettura analitica
dell'elevato.
Ma gli interventi sulla facciata continuano ancora per molti anni: abbiamo
accennato alla lunga durata dei lavori di restauro (nel 1926 si lavora alla
facciata della corsia Marcacci, nel 1932 viene sistemato l'ingresso agli
uffici) e ad essi si devono aggiumgere episodiche attività, tra le quali
vanno ricordate — nel 1924 —: la copertura per circa quattro metri del
vicolo di San Gerolamo — nonostante il lungimirante párere negativo
dell'Ufficiale Sanitario — realizzata con longarine e volticine, eseguita per
allargare il passaggio verso la Clinica Oculistica e Patologia Medica; nel
1929 si riapre la porta della Farmacia, chiusa quattro anni prima, e nel
1963 si crea un mezzanino, che « si potrà ottenere abbassando il soffitto
del locale di vendita della Farmacia e della camera del medico di guardia
del Pronto Soccorso, nonché utilizzando il palco morto interposto fra tali
soffitti e il solaio sovrastante »130. La realizzazione del mezzanino com-
porta l'apertura di due finestre nel prospetto su piazza del Duomo-via dei
Fusari. Nel 1966 si eseguono lavori ai manti di copertura e, dopo aver
iniziato il trasferimento di alcuni reparti nel nuovo Policlinico delle Scotte,
agli inizi degli anni '80, si restaura la sala del piano terreno della corsia
Marcacci, che dapprima verrà usata come locale per mostre e poi, 1987-88,
come deposito dei materiali del Museo Archeologico.
I lavori all'interno e sulla facciata dello Spedale non terminano, comunque,
con il trasferimento dei reparti, perché alcuni degli spazi lasciati vuoti
vengono subito dati in uso ai reparti rimasti, previa la solita serie di piccoli
lavori di finitura, di adattamento funzionale, di trasformazioni d'uso e
ancora oggi possiamo vedere che si continua, in questo caso si potrebbe
dire fortunatamente, ad eseguire l'ordinaria manutenzione delle strutture
fisiche dello Spedale, in maniera tale che un'analisi puntuale delle azioni
130
Archivio Ufficio Tecnico USL30, n. 3, come trascritto in AA.VV. 1986, p. 52.
costruttive risulta, al momento della pubblicazione, superata dal divenire
degli eventi.
Giunti alla fine della narrazione sulle vicende costruttive della facciata
dello Spedale, ci sembra utile accennare — in una rapidissima rassegna —
anche a quelle manifestazioni che hanno lasciato ben poche tracce
materiali sulle strutture murarie, vuoi per la deperibilità dei componenti
utilizzati vuoi per l'aleatorietà delle esigenze o per il significato espressivo
insito nelle occasioni dalle quali erano scaturite.
Per tale ragione è nostra intenzione tratteggiare appena le linee di questo
paragrafo, anche se alcune riflessioni si riferiscono a problemi che
costituiscono dei punti poco noti e comunque ancora da discutere. Ci pare,
però, che un dibattito non potrà esimersi dal confronto con questi
problemi, da qualunque parte, con l'angolazione propria delle diverse
discipline, li si affronti.
131
Si tratta del suo contributo alla sczione il Patere e lo Spazio (p.31) nell’ambito della mostra «
Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquccento », tenutasi a Firenze e in altre sedi
toscane nel 1980.
Le si fa incontro la 'città idealizzata', avvolta in un manto dorato che lascia
intravvedere un corpo vecchio e sofferente; la accompagnano poeti e
filosofi cercando di persuaderla a salire la scala che conduce al mondo
iperuranio.
Ma i due personaggi, che sembrano elidersi a vicenda per l'esilità della
loro condizione, vengono messi in disparte all'apparire sulla scena della
'città ideologizzata'. E il Principe stesso, autorevole ed arrogante, che
impersona questa parte, addobbato e imbiancato come un catafalco, e
seguito da una formazione paramilitare di artisti, intellettuali, cortigiani.
Alla 'città ideale' e alla 'città idealizzata' — le quali, utopiche e
anacroniche, indicano qualcosa con la mano verso l'alto, come il Platone
della Scuola di Atene — la 'città ideologizzata' risponde con un monito
perentorio a restare coi piedi per terra e poi con un invito mellifluo a
entrare nelle sue schiere dopo un giuramento di fedeltà. ».
Comunque gli argomenti reali, quelli che devono essere gettati nell'arena
del dibattito, sono pochissimi, così come finora sono assai scarsi sia i dati
a nostra disposizione sia quelli che siamo riusciti a reperire in proposito. Si
tratta, essenzialmente, di studiare gli apparati straordinari che venivano
eretti per occasioni specialissime, con cadenze episodiche e comunque non
pianificabili: la salita al soglio pontificio di una persona proveniente da
una famiglia particolarmente legata a Siena, i pontefici e gli imperatori che
transitavano sulla via Francigena e che decidevano di sostare a Siena —
non mancando di compiere una visita alla chiesa Cattedrale —
coinvolgendo tutti gli enti che si affacciavano nell'invaso della Piazza. Non
possiamo, poi, trascurare l'uso degli apparati saltuari, che venivano
approntati per le solenni celebrazioni, la cui ricorrenza era stabilmente
fissata una o più volte durante l'anno liturgico: principalmente
l'esposizione delle reliquie (25 marzo e 15 agosto), ma non dovevano
mancare, per la presenza di compagnie laicali o di corporazioni negli
ambienti dello stesso Spedale, numerose altre occasioni.
Ed ancora non ci sembra inutile accennare ad un terzo punto — il
trattamento delle superfici — che possiamo ulteriormente suddividere in
altri due aspetti direttamente dipendenti: le modifiche apportate, durante il
corso degli anni, alle operazioni di finitura delle superfici degli edifici che
si affacciavano sulla piazza e la durabilità dei materiali utilizzati in tali
finiture.
Sarebbe interessante ricostruire i modi propri e le loro variazioni, le
modifiche dei rapporti, il confronto incrociato fra liturgia, culto delle
reliquie e devozione popolare come causa principale di alcune attività
edilizie rintracciabili sulle murature dello Spedale, ma tale impegno —
oltre a quello affrontato nei paragrafi precedenti — ci avrebbe condotto su
binari divergenti dalla lettura edilizia, volutamente limitata alle sole fonti
materiali.
Per questa ragione non bisogna assolutamente cercare una parvenza di
completezza a quanto andremo ad esporre, principalmente frutto degli
'incontri' con la documentazione edita e non già il risultato di apposite
ricerche archivistiche od iconografiche.
Tra le più antiche attestazioni di un apparato provvisorio od effimero,
eretto in occasione della visita di un pontefice, ritroviamo i dati
provenienti, curiosamente, da due tipi distinti di fonti: le cronache di un
contemporaneo e la trascrizione pittorica della stessa struttura.
Nel 1443, dal marzo al settembre, papa Eugenio IV sostò a Siena. « I
preparativi per il suo arrivo erano iniziati fin dal giugno del 1441, quando
in Duomo fu innalzata una struttura temporanea perchè 's'aspettava papa
Ugieno'. Questo baldacchino, descritto nelle cronache, è rappresentato
nell'affresco di Priamo della Quercia »132, posto all'interno del
Pellegrinaio, del quale è già stato ricordato un pagamento nel 1442 (fig.
11a).
Da quanto possiamo ricostruire dalle cronache133 e dalla minuziosa
rappresentazione pittorica, il baldacchino, a pianta quadrata, sembrerebbe
addossato alla muratura dello Spedale, con una volta a crociera sostenuta
da colonne (forse esistenti solo per le esigenze compositive dell'affresco) e
pilastri quadrangolari. Il lato prospicente il Duomo era suddiviso in due
parti verticali, una aperta e l'altra chiusa; a quest'ultima era addossato un
altare e sopra l'altare stava una nicchia contenente una statua della
Madonna col Bambino.
Ad aprile, « nel 1536 lo Spedale partecipava, come il resto della
cittadinanza, alle entusiastiche accoglienze tributate a Carlo V »134, in
occasione del suo secondo viaggio attraverso l'Italia dopo la vittoriosa
battaglia di Tunisi135. Secondo quanto narra uno spettatore dell'epoca,
l'imperatore « guardò con diletto li carri delli angeli ch'el signore dello
Spedale haveva fatto mettere fuora, come suol farsi per la festa di marzo di
132
CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 55.
133
Cronaca Senese di T. Fecini, in Cronache senesi 1989, p. 853.
134
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 265.
135
Il Potere e lo Spazio 1980, p. 32.
Nostra Donna e per l'Assunta »136. « In Siena l'itinerario prescelto per le
solennità aveva inizio dalla Porta Nuova (Romana) e raggiungeva il
Palazzo dei Petrucci dopo il passaggio in Piazza del Duomo. La Piazza del
Campo, sede della Signoria senese, fu esclusa dal percorso
intenzionalmente, tanto che la stessa Signoria si recò a rendere omaggio a
Carlo V nella residenza del Palazzo Petrucci »137.
Un altro importante avvenimento portò, pochi decenni dopo, alla
costruzione di architetture effimere in tutti i luoghi di maggior prestigio,
dove maggiormente si esercitava il potere civile e religioso senese. Si
trattò dell'ingresso in Siena di Cosimo I, del 25 ottobre 1560, primo atto
della glorificazione del potere da lui recentemente acquisito. Tutti gli
apparati furono eseguiti sotto la direzione di Bartolomeo Ammannati (« In
quel tempo il Duca se n'andò a far l'entrata a Siena, e l'Ammannato era ito
certi mesi innanzi a fare gli archi trionfali »)138 ma, se escludiamo la
tavoletta di Biccherna del 1561139 abbiamo scarsissime tracce grafiche
degli apparati costruiti. E se, « all'esiguità dell'iconografia relativa
all'ingresso di Cosimo si accompagna altrettanta 'sfortuna' in sede
cronachistica e letteraria: gli storici senesi infatti comprensibilmente
tacciono sull'argomento »140, una testimonianza aderente al progetto che
sovrintese alle costruzioni è data dalla narrazione del percorso senese
allestito per Cosimo di Don Vincenzo Borghini141: Cosimo I entrò dalla
porta Camollia, innanzi alla quale stava « ...un arco dorico per la forteza...
Dentro alla porta apparato di panni d'arazzo dove erono a sedere tutti i
magistrati della città et sopra l'arme di Siena... In sulla piaza de' Tolomei
dove è la colonna della lupa di bronzo erano due statue che le metterono in
mezo... Nella testata della Croce del Travaglio in banchi era la statua
d'Ottaviano... Alla porta del palazo dove stanno i signori un ornamento di
colonne doriche, et sopra il frontispicio la statua della pace... Alla porta
dove sta il Capitano di giustizia il medesimo ornamento... Fra l'una porta et
l'altra uno ornamento di festoni et maschere di teste di leoni che faceva
fregio fra una porta e l'altra di braccia 70... Nel mezo della piaza un
basamento alto braccia 6 la statua del Duca Cosimo armato... A sinistra la
136
VIGO (a cura) 1884, p. 30.
137
Il Potere e lo Spazio 1980, p. 38.
138
ASF, Carteggi d’artisti, II, I. 14-lettera di G. Vasari a V. Birghini del 4 gennaio 1561, pubblicata
da GAYE 1839-1840, III p. 43.
139
Biccherne, tav. 109, pp. 258-259.
140
ACIDINI LUCHINAT 1978, p. 5.
141
BNCF Magliabechiano, II.X.100 (circa 1565) pubblicato da ACIDINI LUCHINAT 1978 PP.
17-20.
statua di Siena...et sotto un lione et una lupa... Nella contrada detta il
Casato nel mezo della strada Costerella la statua di Junone... Alla piaza
della postierla una statua di pallade... Al canto del duomo un Arco
trionfale alto braccia 30 con ancora sopra un mondo messo in mezo da dua
statue Prudentia e felicità... Sotto l'arco nelle facciate in dua medaglioni il
Duca Alexandro... Dirimpetto il signor Giovanni a cavallo... Sotto queste
medaglie erono dua storie in una l'acquisto di Mont'alcino... Nel'altra il
ritorno dei cittadini in Siena che presentano le chiavi al Governatore et lo
ricevono... Dalla parte di drieto che guardava verso il duomo in quattro
nicchi grandi dua per banda, l'un sopra l'altro in mezo di 4 colonne co-
rinthie fu dipinto nell'uno Leone X... Dall'altra parte era Clemente... Sotto
Leone era il cardinale Hypolito...sotto papa Clemente era il cardinale
Giovanni figlio di S.E... Nella fine dell'arco di sopra un epitaghio...
Metteve in mezo l'epitaphio da una banda Hilaritas publica. Dall'altra
Quies diuturna.
Sopra l'Arco di rilievo una statua di braccia 6 di papa Pio IIII... In sulla
piazza del duomo a canto alla scala la figura di Noè a diacere con molti
puttini in torno vendemmiatorj. Et Noè premeva uve con le mani et
empieva una tinella... Alla porta del palazo dove era alloggiato S.E. un
Arco dorico con 4 pilastri dua di qua et dua di là in mezo de' quali era da
ogni banda dua storie in un quadro quando S.E. fu detto Duca da i 48...
Nel'altro Carlo V gli rende la chiave della forteza... Dall'altra banda in un
quadro la Duchessa che presentava al Duca un ramo pien di frutti...et
l'altro tutti i figliuoli del Duca ne' loro habiti et il principe nel mezo
armato... Nella sommità del'arco sopra'il frontispitio la statua di Toscana.
».
Sembra che l'incredibile ricchezza dell'apparato effimero costruito in
questa occasione — ma l'arco eretto « al canto del duomo », ora «
restaurato e resarcito », era già stato usato per l'arrivo di Carlo V142 non
abbia più avuto un seguito neppur lontanamente paragonabile, almeno in
questa parte della città143 mentre un successo più limitato, ma costante,
sembrano avere avuto gli apparati saltuari che venivano montati o
rappresentati in occasione di speciali ricorrenze. Abbiamo appena
142
PELLEGRINI 1903, p. 168.
143
Si pensi che 30 braccia corrispondevano a circa 18 metri (e altri 360 cm erano per la statua),
pressoché la medesima altezza in gronda deidue edifici fronteggianti, ai quali l’arco si doveva
appoggiare. In epoche a noi vicinissime possiamo far rientrare nello stesso ordine, consciamente od
inconsciamente, i concetti che hanno guidato la progettazione degli apparati costruiti da alcune delle
contrade per festeggiare la vittoria del Palio.
accennato a li carri delli angeli che il Rettore faceva sfilare, nel XVI
secolo, per celebrare le solennità delle due principali feste dello Spedale, la
Concezione e l'Assunzione, e che in altri tempi venivano officiate,
scegliendo soluzioni di tenore nettamente diverso. Un esempio può essere
tratto dal confronto con i sedili di pietra fatti costruire (in maniera assai
poco effimera se ancora oggi rimangono a testimoniare un compito ormai
desueto)144 appositamente per i Magistrati della Repubblica affinchè
potessero sedere in occasione dell'ostensione delle Reliquie.
Che, col passare degli anni, sia avvenuta una variazione dei valori
rappresentativi, dei canoni religiosi o spettacolari, è desumibile anche dal
confronto con l'apparato di legno e tessuto costruito, dal falegname
Michelangelo Grilli nel corso della prima metà del XVII secolo, in
occasione del solenne ingresso in duomo del nuovo Arcivescovo, che il
Macchi così descrisse: « La facciata dello Spedale in faccia al Duomo, ci
messero Panno di broccato n°10 e sotto ad essi ci fù fatto una scaldenza
grande di legniami di circa a br.80 a Poveri, da Micalagnolo Grilli
Lignaiolo perchi voleva vedere dovesse pagare soldi 13, 4 e 10 e fu alta
braccia 8. Alle fanciulle dello Spedale perchè vedessero, ci fu messo le
residenze della Signoria e banche di detto Spedale dentro alla loro porta in
cappella.
Questa residenza nella facciata dello Spedale, come si dice di sopra, ci fu
fatta dal suddetto maestro perchi voleva vedere la funzione dell'ingresso di
Monsignore Illustrissimo Arcivescovo nuovo che si deve fare il di 11
agosto eciò fece a tutte sue spese di legniami, maestranze chiodi garzoni e
altro »145.
Un più accurato spoglio archivistico potrà riservare ulteriori sorprese e,
quindi, non ci pare opportuno voler trarre delle sintesi di valore generale,
dall'esigua documentazione reperita.
Anche l'altro aspetto che volevamo affrontare ha le sue radici nel passato
ma è più collegato alla presente situazione ed, indubbiamente, può
influenzare e determinare anche scelte progettuali future. Il nodo da
144
La quasi totalità delle parti in pietra dei sedili si è riscontrata sostituita con pezzi recenti. Fanno
eccezione alcune limitatissime parti, rinvenute presso l’area di scavo (USM 52 e 58 del settore I,
tav. C, p. 198).
145
MACCHI, Memorie, V, c. 392, riprodotto in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 327, fig.
319.
sciogliere è legato ai problemi relativi agli aspetti materici e ai modi che
furono attuati per ottenere la finitura delle superfici — e,
conseguentemente, la loro durabilità — perchè non appare mai
chiaramente come siano stati affrontati i termini del problema. Le scelte
progettuali passate sembrano dettate più da situazioni momentanee o
contingenti — si pensi all'intonacatura generale del 1720 o, al contrario,
all'operazione di "battitura" del 1905-1907 — che conseguenti ad una
rigorosa analisi filologica delle strutture murarie e da una lungimirante
pianificazione.
Non è facile determinare quale impatto visivo potesse significare una
intonacatura, quanta parte della facciata fosse interessata da una tale
finitura e come si presentasse la superficie stessa dell'intonaco, dal
momento che mancano le fonti materiali sulle quali basare le nostre
interpretazioni. La definizione di "strato di sacrificio", avanzata per le
soluzioni — adottate in passato — tese a proteggere la struttura stessa
delle murature, mai come in questo caso ha un valore strettamente
collegato alla definizione stessa.
Qualche considerazione, però, può essere tratta dalla struttura stessa del
supporto murario146 e dalle variegate vicende che una iconografia non
troppo scarna ci permette di intravedere. Pensiamo alla situazione
immediatamente successiva all'esecuzione degli affreschi del 1335: che
l'impatto sia stato fortissimo è dimostrato da numerosi fattori, quali il
seguito e la fortuna avuta dall'iconografia, testimoniata anche dalla
richiesta, dopo più di un secolo, di 'sintetizzare' nella predella della tavola
destinata alla cappella dei Signori, nel palazzo comunale, la complessa
iconografia delle Storie della Vergine147. Anche la quantità totale della
muratura affrescata è calcolabile, ma appare ben difficile calcolare la
durata delle tonalità, delle coloriture degli affreschi stessi. Ben prima del
1720 doveva esserci stato un deperimento delle qualità cromatiche della
decorazione, se non addirittura della consistenza e dell'aderenza dello
stesso supporto, e se ci troviamo in difficoltà nel determinare la velocità
della modificazione di un'opera sottoposta a tutte le attenzioni possibili,
immaginiamoci quale doveva essere la situazione di un intonaco comune,
146
Al problema si è accennato, nel giugno del 1990, al convegno di Bressanone, cfr. PARENTI
1990a.
147
Il documento è stato pubblicato già dal Milanesi in Documenti per la storia dell arte senese
1854-56, II, pp. 256-257. Successivamente — e molto più recentemente — è stato oggetto di un
accurata disamina da parte di EISEMBERG 1981, e nel catalogo La pittura del Rinascimento
(CHRISTIANSEN - KANTER - STREHLKE 1981), pp. 160-162.
sul quale, oltre al degrado naturale — che inizia subito dopo la stesura
della lisciatura finale — si interveniva anche con opere di manutenzione
ordinaria e con i piccoli "racconci". La risposta al problema di come, ad
uno sguardo ravvicinato, si presentasse la superficie dello Spedale nella
sua tessitura più minuta, diventa praticamente irrisolvibile data l'enorme
quantità di variabili che dovrebbero essere tenute in considerazione. Il
passare del tempo ha, in questo caso, una fortissima, duplice valenza: sia
sotto l'azione erosiva degli agenti atmosferici sia come specchio di una
continua serie di racconci. La formazione di una microstratigrafia148, in
questo caso, può essere soltanto immaginata per l'assoluta mancanza del
dato materiale, ma non sembra del tutto improponibile una sorta di
sperimentazione basata sulle "interfacce negative", alla luce delle
modifiche 'lette' nella forma e nelle successioni delle aperture, in special
modo al livello della piazza, dove maggiore è stata l'attenzione prestata e
più accurata la registrazione delle evidenze materiali.
Oltre alle consuete difficoltà nella valutazione di questo specifico aspetto,
si devono aggiungere anche le resistenze che la sedimentazione
dell'immagine storica si porta dietro. Che la facciata sia stata intonacata in
parti più o meno ampie, per una buona parte della sua storia costruttiva è
ormai assodato, e laddove non si abbiano più le possibilità di un controllo
autoptico, come nel caso della cortina intorno alle grandi monofore
dell'ampliamento quattrocentesco della chiesa, il semplice confronto con
edifici funzionalmente e strutturalmente coevi, come la facciata
dell'oratorio di Santa Maria delle Nevi, ci lascia ben pochi margini di
incertezza nell'immaginare il tipo di finitura da accostare al macigno149.
Che uno strato di intonaco sia stato sicuramente disteso sulla totalità delle
murature di facciata per quasi due secoli non è sufficiente a controbattere
la forza e il peso di un'immagine formatasi in seguito ad un'operazione di
restauro, eseguita in sintonia con gli argomenti tipici del dibattito culturale
del secolo scorso, e che si modifica giorno per giorno con l'apporto di un
velo di depositi carboniosi, ormai il frutto più tipico dei nostri tempi.
148
Sulle potenzialità di registrazione offerte dal sovrapporsi degli 'strati di sacrificio', si veda ancora
PARENTI 1990a, pp. 49-50.
149
La facciata dell'oratorio di Santa Maria delle Nevi, in via Montanini a Siena, affianca alla pietra
serena una raffinata superfice ottenuta con lastre di travertino, anticipando, per quanto ne sappiamo,
gli accostamenti materici e cromatici che Michelangelo sperimentò nel Vestibolo (Ricetto) della
Biblioteca Laurenziana in San Lorenzo a Firenze.
Ci sarà, e quando, la forza e la fantasia progettuale di intervenire sulla
facciata dello Spedale seguendo criteri meno pedissequi e più attenti ai
risultati e alle necessità della ricerca storica e scientifica?
Gli indicatori cronologici utilizzati nello studio degli elevati del
Santa Maria.
13
ASS, Sp.31, cc. 78rv (cfr. BANCHI 1877, pp. 373-374).
14
Per le collocazioni si veda, in questo volume, il contributo di Roberto Parenti.
15
Circa i lavori alle strutture di via dei Fusari cfr. BANCHI 1877, pp. 416-417, e GALLAVOT TI
CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377 n. 62.
16
16 MACCHI, Origine, cc. b, 59v-60r, MACCHI, Memorie, I, c. 93v, V, cc. 276, 392 (i disegni
sono pubblicati in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 23, 34, 327). MACCHI l712, cc. 52v,
56v.
17
MACCHI, Origine, cc. 59v-60r.
18
Vedi ad es. le osservazioni a pp. 222-223 n. 9.
località della regione19. La stampa raffigura, in modo alquanto puntuale e
dettagliato, il prospetto principale, ovvero la facciata della « Corsia
Marcacci », vista di scorcio, la chiesa dell'Annunziata e gran parte del
Palazzo del Rettore (fig. 40, p. 79). Si tratta dell'ultima veduta realistica
dell'intera facciata, di cui siamo a conoscenza, prima dei restauri
novecenteschi che portarono al ripristino delle bifore della Casa dei
Gettatelli, all'apertura del nuovo portale della chiesa e alla rimozione
dell'intonacatura a bande bianche e « turchiniccie », ben visibile nella
stampa del Terreni, realizzata negli anni 1720-172120. È da segnalare che
in alcune edizioni successive figura, in formato ridotto, una nuova stampa
che, pur essendo un'imitazione della precedente, presenta consistenti
modifiche nella definizione dei dettagli, soprattutto per quanto riguarda le
strutture situate all'interno delle arcate del pianoterra del Palazzo del
Rettore21.
Per l'Ottocento e il Novecento un contributo importante proviene dalle
fotografie e da alcuni rilievi tra i quali tre piante dell'intero complesso
ospedaliero relative agli anni 1838, 1912 e 1940 22. Tali fonti hanno
fornito utili indicazioni sui lavori eseguiti alla facciata di piazza del
Duomo negli ultimi due secoli, quali la rimozione dell'intonaco, la
sistemazione dell'ingresso principale, l'apertura e la tamponatura di porte
e finestre.
Passiamo adesso alle datazioni dirette. Queste si basano sulle fonti
archeologiche ed archeometriche e quindi, al contrario delle altre,
provengono dall'esame degli stessi manufatti e dei reperti in essi
contenuti. Tali datazioni possono essere relative o assolute. Quelle di tipo
relativo, caratterizzate da rapporti di anteriorità, contemporaneità o
posteriorità, derivano da informazioni presenti nelle stesse strutture
dell'edificio oppure dai rapporti esistenti tra le strutture murarie e i reperti
mobili contenuti nel sedime o nell'elevato. Nel primo caso le datazioni si
23 I dati stratigrafici relativi alla « strada interna » saranno nubblicati in altra sede. Per il momento
si può vedere, anche per altre indagini, la tesi di laurea di DOLCE - MARGARIA - SBAFFO
1988-89.
quelle chiavi cronologiche locali applicabili ad ogni tipo di muratura 24.
Solo in qualche occasione abbiamo utilizzato fin da ora tali informazioni
in termini datanti. È il caso ad esempio del tratto di muratura in pietra
situato nel prospetto dello Spedale relativo al vicolo San Girolamo, in
prossimità di via dei Fusari. Il paramento murario, direttamente impostato
su uno strato naturale di puddinga, è costituito da corsi orizzontali di
conci di tuio e calcare alquanto deteriorati (fig. 4.1, p. 28). Tale muratura
sembra approssimativamente collocabile, in ambito locale, per la tecnica
impiegata ed il tipo di materiale utilizzato, intorno al secolo XII25.
Le datazioni dirette di tipo assoluto possono essere di origine naturale o
antropica. Quelle di origine naturale derivano dalla dendrocronologia,
dall'archeomagnetismo, dalla termoluminescenza e dall'analisi
radiocarbonica26. Nessuno di questi metodi è stato per il momento
utilizzato nella presente ricerca. Le datazioni di origine antropica
provengono dalle epigrafi e dalla mensiocronologia dei laterizi e dei
materiali litici. Circa l'impiego della mensiocronologia è valido quanto
abbiamo precisato per le tecniche murarie e la cronotipologia delle
aperture: i dati sistematicamente raccolti durante l'indagine saranno infatti
utilizzabili come veri e propri strumenti di datazione solo quando sarà
sufficientemente affidabile una sequenza mensiocronologica locale, di cui
è già stata realizzata una prima curva dei laterizi, in grado di definire
eventuali corrispondenze tra le dimensioni dei materiali e la loro
collocazione cronologica27. È comunque da sottolineare che tali indagini
24
Come esempi di applicazione della cronotipologia delle tecniche murarie e delle aperture si può
vedere FERRANDO - GARDINI - MANNONI 1978, FERRANDO CABONA - CRUSI 1980,
MANNONI L. e T. 1980; FERRANDO - MANNONI - PAGELLA 1989, a cui rimandiamo anche
per altre indicazioni bibliografiche. Per quanto riguarda Siena un’indagine analoga sulle tecniche
murarie è stata recentemente svolta nella tesi di laurea di BIANCHI 1988-89. A tali risultati si
aggiungeranno tra poco quelli di una mia ricerca, attualmente in corso, sulla cronotipologia delle
aperture e delle tecniche murarie delle grance del Santa Maria della Scala.
25
Cfr.. in questo volume, la lettura stratigrafica del settore VIII, pp. 248 ss. Sulle tecniche murarie e
sui materiali da costruziome impiegati nell’edilizia urbana di Siena si veda RODOLICO 1953,
pp.280-285; BALESTRACCI – PICCINNI 1977, passim; MORETTI – STOPANI 1981, p.169 (per
l’architettura religiosa) e la già citata tesi di BIANCHI 1988-1989.
26
Circa i riferimenti bibliografici si veda MANNONI 1984a, pp. 402-403, a cui possiamo
aggiungere CASTELLETTI 1988 e ARIAS 1988.
27
Per quanto riguarda la mensiocronologia dei laterizi si può vedere, ad esempio, BONORA 1979b;
FOSSATI 1984; MANNONI 1984a, pp. 400-403; FOSSATI 1985; MANNONI MILANESE 1988
GHISLANZONI - PITTALUGA 1989; in questo volume contributo di Corsi, Mennucci. Circa le
variazioni dimensionali dei materiali litici cfr. ANDREWS 1978, MANNONI - MILANESE 1988,
pp. 400-402. Sulla curva mensiocronologica senese dei laterizi si veda la recente tesi di laurea di
CORSI 1988-89.
(mensiocronologia, tecniche murarie, cronotipologia delle aperture), pur
non essendo state ancora sistematicamente utilizzate come strumenti
autonomi di datazione, in molti casi hanno offerto utili indicazioni di
ordine relativo tra le strutture stesse dello Spedale, indicazioni che hanno
contribuito a confermare e ad arricchire i risultati della stratigrafia. Un
esempio significativo riguarda il rapporto tra la Casa dei Gettatelli,o
Palazzo delle Balie, e lo Spedale delle Donne, o « Corsia Marcacci »
(figg. 26, p. 201 e 30, p. 202). Una netta soluzione di continuità disposta
verticalmente lungo il prospetto della Casa dei Gettatelli, tra la seconda e
la terza bifora a sinistra guardando lo Spedale, indica nella costruzione di
tale edificio due fasi stratigraficamente distinte. Per la prima, quella
compresa tra la terza e la decima bifora, abbiamo proposto, come
datazione assoluta, il 1298, anno indicato da un'epigrafe, sulla quale
torneremo in seguito, riguardante la costruzione della Casa dei Gettatelli,
mentre per la seconda fase, corrispondente alle prime due bifore a
sinistra, abbiamo suggerito gli anni compresi tra il 1336, quando viene
deliberato un ampliamento dello Spedale in tale direzione28, e il 1338,
anno indicato da un'iscrizione relativa ad un grosso intervento costruttivo
del rettore Giovanni di Tese Tolomei. Ma la collocazione della seconda
fase dell'edificio coinvolge, indipendentemente dalle datazioni assolute
proposte, anche quella del pianoterra e del primo piano del palazzo
corrispondente alla Corsia Marcacci, situato perpendicolarmente ad esso.
L'impiego di una tecnica costruttiva analoga, l'utilizzazione di mattoni
dalle misure medie simili, la presenza in piani sfalsati di bifore dai
caratteri identici, la stessa rifinitura originale a spinapesce della superficie
relativa ai primi piani e la contemporaneità stratigrafica accertata per un
tratto non rimaneggiato della linea di contatto tra i due edifici,
consentono infatti di assegnare la facciata della « Corsia Marcacci » e
l'ampliamento della Casa dei Gettatelli ad una stessa fase costruttiva,
ipotesi finora mai presa in considerazione29.
28 ASS, Consiglio Generale 119, cc. 36v-38v. Cfr. BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pD.
81,152, e 1'intervento di Di Pietro - Donati in AA.VV. 1986, p. 6. Si veda in questo volume ~a tra-
scrizione di Alessandra Carniani e Roberta Mucciarelli.
29
Per quanto riguarda le datazioni assolute proposte per la casa dei Gettatelli e per la « corsia
Marcacci » si veda infra nn. 34-48 e relativo testo.
Cinque sono le epigrafi presenti nei due prospetti dello Spedale
esaminati30. Una di queste è situata nel Palazzo del Rettore, al di sopra di
un'arcata del pianoterra:
34
Precedenti trascrizioni: MACCHI, Memorie, II, C. 201, PECCI 1730 c. 72r; ZDEKAUER 1898,
p. 455 n. 1; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 63; Di Pietro - Donati, in AA.VV. 1986 P. 6;
GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI, 1987, p. 104. Una fotografia dell epigrafe è in
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 31.
35
MACCHI, Memorie, II, c. 201r .
36
PECCI 1730, c. 72r.
37
Cfr. in questo volume la lettura stratigrafica del settore III e il contributo di Roberto Parenti, pp.
40, 46-47 tav D. Sugli affreschi si veda GALLAVOTTI CAVALLERO 1987b, a cui rimanidiamo
anche per le indicazioni bibliografiche. Cfr. pure infra n. 52.
38
MACCHI, Memorie, V, c. 276r; MACCHI, Origine, c. 59v; MACCHI 1712, c. 52v.
39
Circa la tettoia cfr. MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v.
delle indicazioni fornite dal Macchi e dal Pecci circa l'ubicazione
precedente a quella attuale, con il corpo principale della Casa dei
Gettatelli, corrispondente alla prima delle due fasi costruttive
dell'edificio, ovvero con il prospetto compreso tra il limite sinistro del
paramento in conci di calcare della facciata e la soluzione di continuità
visibile poco prima dell'arcata in cui la stessa epigrafe è inserita. Tale
prospetto risulta infatti stratigraficamente anteriore alla muratura
soprastante il rivestimento in calcare sulla quale Pietro e Ambrogio
Lorenzetti affrescarono, nel 1335, le Storie della Vergine37.
In corrispondenza del primo piano dell'edificio indicato dal Macchi come
Palazzo Squarcialupi38 e meglio conosciuto come Spedale delle Donne o,
generalizzando la denominazione di una sala ospedaliera, Corsia
Marcacci, vicino allo spigolo sinistro della facciata su piazza del Duomo
troviamo la seguente epigrafe:
sotto alla Scala, Arma dello Spedale, detto di S.Maria della Scala, si leggono i seguenti caratteri »
(PECCI
1730, c. 71V).
43
Circa il suo rettorato vedi BANCHI 1877, pp. 176-181.
Mariani, presentato nel 1907, e di una fotografia pubblicata nell'anno
1913, quando i lavori di ripristino alla facciata erano ormai conclusi41.
Per quanto riguarda le fonti scritte non siamo a conoscenza di alcun
riferimento all'esistenza dell'epigrafe, o alla notizia in essa contenuta, nei
manoscritti di Girolamo Macchi, cosa sconcertante se teniamo presente
l'abbondanza di informazioni, anche riguardanti le attività costruttive, che
lo studioso ha raccolto sul Santa Maria della Scala. Pure gli accurati
manoscritti di Giovanni Antonio Pecci sulle iscrizioni senesi non
riportano l'epigrafe. Non è però del tutto da escludere che ad essa lo
studioso faccia riferimento quando segnala la presenza di un'iscrizione
situata nella facciata su piazza del Duomo dello Spedale delle Donne. È
vero che la posizione dell'epigrafe segnalata sembra, almeno
apparentemente, in relazione con il portale d'ingresso dell'edificio ma è
da sottolineare che a tale indicazione segue, nel manoscritto, una mezza
pagina lasciata in bianco, in attesa di una trascrizione mai eseguita 42. Se
al tempo del Pecci la lapide avesse avuto la stessa posizione attuale non ci
stupiremmo infatti che lo studioso avesse incontrato qualche problema di
trascrizione: in effetti è posta così in alto che è praticamente impossibile,
senza l'aiuto di un binocolo o di un potente teleobiettivo, leggerne il
contenuto. Ciò potrebbe spiegare pure il silenzio del Macchi. Del resto è
probabilmente questa la ragione per cui è stata completamente ignorata in
tutti i recenti studi di carattere storico-artistico e architettonico sullo
Spedale, e noi stessi ci siamo accorti della sua presenza solo in una fase
avanzata della ricerca.
Sulle motivazioni del silenzio delle fonti scritte ed iconografiche non
possiamo comunque escludere altre ipotesi. La lapide, ad esempio,
potrebbe essere stata intonacata per un certo periodo e poi riscoperta in
occasione di qualche intervento alla facciata successivo alle suddette
rappresentazioni e ai manoscritti del Pecci e del Macchi. Oppure potrebbe
essere stata ritrovata durante qualche rimaneggiamento, sempre
posteriore a tali fonti, alle strutture interne o esterne dello Spedale e
successivamente collocata nel posto attuale, eventualità non remota se
pensiamo che un caso del tutto simile si è verificato per l'epigrafe del
1298, di cui abbiamo precedentemente parlato, ritrovata durante alcuni
lavori del 1720 e quindi trasferita in un nuovo sito.
44
Vedi supra n. 28.
45
ASS, Sp., Diplomatico, 1351 gennaio 19; cir. pure ASS, Sp.175, c. 109r.
46
MACCHI 1712, c. 52v; MACCHI, Memorie, V, c. 276r; cir. pure il retro del documento citato in
n.45.
Altrettanto problematica è la seconda questione, in parte collegata alla
prima, quella relativa all'anomala ubicazione dell'epigrafe. Questa infatti
è situata così in alto, a circa undici metri da terra, da rendere impossibile,
come abbiamo detto, una lettura ad occhio nudo; un controsenso di non
poco conto dato che un'iscrizione, com'è ovvio, è destinata ad essere letta.
Ciò sembra in qualche modo avvalorare l'ipotesi del reimpiego poiché è
difficile che il committente, o meglio il promotore dei lavori, non si sia
preoccupato che fosse ben in vista e leggibile a tutti l'esplicita
testimonianza, scolpita nella pietra, della sua iniziativa. Al contrario è
possibile che in un eventuale reimpiego, attuato in un periodo ormai
lontano dalla costruzione dell'edificio, ci si preoccupasse più del simbolo
della Scala, quello sì ben visibile, per le notevoli dimensioni, anche ad
una certa distanza, che del contenuto dell'iscrizione.
È comunque probabile che, indipendentemente dal rapporto stratigrafico
con la muratura circostante e dalle varie ipotesi sulla collocazione
originaria, il contenuto dell'epigrafe, in base al confronto con i risultati
provenienti da altre fonti e da altre indagini, sia da mettere in relazione
con l'edificio in cui attualmente si trova. E’ ovvio che la notizia della
costruzione dello Spedale, costruzione assegnata all'anno 1338 per opera
del rettore Giovanni di Tese dei Tolomoi, in carica dal 1314 al 1339 43,
non si riferisca all'edificazione dell'intero complesso ma ad un suo
consistente ampliamento, del quale siamo informati pure da un
documento del Consiglio Generale del 29 agosto 1336. In questo anno il
Comune di Siena concede infatti al Santa Maria della Scala l'utilizzazione
di due chiassi situati tra lo Spedale e il Palazzo Squarcialupi per ampliare
gli edifici dello Spedale stesso44. I risultati stratigrafici, nonché il
contenuto del documento, suggeriscono, malgrado qualche incertezza
dovuta alla difficoltà di individuare l'esatta ubicazione e consistenza del
sopraddetto palazzo, di identificare tale attività nel prolungamento della
Casa dei Gettatelli e nella costruzione dello Spedale delle Donne, o «
Corsia Marcacci », proprio l'edificio dove si trova l'epigrafe. A tale
proposito è da notare che le due date, 1336 e 1338, sono tra loro
perfettamente compatibili poiché la prima si riferisce, come indica il
documento, all'approvazione della richiesta di ampliamento, mentre la
47
Ass, Sp.20, c. 63v.
48
Cfr. supra n. 37 e infra n. 52. In effetti il documento del 1352 contiene alcuni riferimenti
topografici che
potrebbero anche essere collegati con l'edificio della « Corsia Marcacci », ma occorre sottolineare
che è
seconda è probabilmente riferibile alla conclusione dei lavori,
evidentemente realizzati entro due anni.
L'unica perplessità circa la datazione assoluta della « Corsia Marcacci »,
e con essa quella della prima fase della Casa dei Gettatelli, deriva
dall'interpretazione di un documento del 19 gennaio 1352, nel quale
donna Verde, moglie di Pietro Squarcialupi, dona allo Spedale la sua
parte di un palazzo situato nel popolo di San Giovanni, nella contrada
Squarcialupi, accanto al palazzo degli eredi di Manno Squarcialupi 45.
Secondo Girolamo Macchi tale edificio sarebbe identificabile con quello
dello Spedale delle Donne, o « Corsia Marcacci »46. Se l'identificazione
dello studioso fosse topograficamente esatta sarebbe impossibile
collegare la costruzione, o meglio la ricostruzione, di tale edificio con i
lavori di ampliamento del 1336-1338 poiché in quegli anni l'immobile
non sarebbe ancora stato di proprietà dello Spedale. L'edificazione
dell'attuale palazzo, e con essa l'ampliamento della Casa dei Gettatelli
(prime due bifore a sinistra), stratigraficamente coevi, andrebbe così
posticipata al periodo compreso tra il 1352, anno in cui lo Spedale ne
avrebbe acquisito il possesso, e il 1379, quando una delibera capitolare
testimonia l'esistenza del pellegrinaio delle donne, identificabile della
sala Marcacci47.Ciò comporterebbe pure uno spostamento della datazione
assoluta del prospetto principale della Casa dei Gettatelli, cioè del tratto
compreso tra la terza bifora, partendo da sinistra, e la decima,
precedentemente assegnato all'anno 1298. La sua costruzione dovrebbe
essere infatti collegata all'epigrafe del 1338 e al documento del 1336
attestante, ricordiamo, un ampliamento verso il Palazzo Squarcialupi. Di
conseguenza l'iscrizione del 1298, non in sito, sarebbe da riferire ad una
attività di cui non rimarrebbero in vista tracce apparenti, essendo le
relative strutture sostituite o nascoste dall'intervento del 1336-1338. Con
alquanto difficile ricostruire con certezza l'assetto urbanistico trecentesco di tale zona. Sicuramente
gli
Squarcialupi avevano possessi in quest'area, tra i quali l'edificio, o la serie di edifici, dove risiedeva
il Capitano di Guerra (cfr. AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, in Cronache senesi, p. 521;
MACCHI 1712, cc. 51v-52r; BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 50 e n. 34, 106 n. 17, 152).
Oggi ne ricordano la presenza la via del Capitano e un palazzo, ampiamente ristrutturato
nell'Ottocento, recante la stessa denominazione. Sia il PECCI 1730, cc. 71rv, che il LUSINI 1921,
p. 315, indicano come antica proprietà degli Squarcialupi pure l'edificio situato a sinistra, verso
piazza Postierla, dell'attuale Palazzo del Capitano. I1 LUSINI, ibid., inoltre riferisce citando Agnolo
di Tura, che l'edificio dello Spedale delle Donne sarebbe stato costruito (una prima volta) all'inizio
del Duecento dagli Ugurgieri (cfr. pure ANONIMO in Cronache senesi, p. 45 n. 3.)
49
Già trascritta dal PECCI 1730, c. 73r. Una sua foto è pubblicata in GALLAVOTTI
CAVALLERO
questa diversa sequenza di datazioni assolute, fondamentalmente
giustificata dall'indicazione topografica del Macchi, sono però in
contrasto i risultati stratigrafici, dai quali risulta che il corpo principale
della casa dei Gettatelli, che secondo la nuova ipotesi sarebbe terminato
nel 1338, è anteriore al tratto di muro che ospitava gli affreschi di Pietro e
Ambrogio Lorenzetti, per la collocazione dei quali l'unica datazione
assoluta che abbiamo indica l'anno 133548.
Nella tamponatura dell'arcata del Palazzo del Rettore sottostante
l'epigrafe del 1290, di cui abbiamo in precedenza parlato, è situata la
seguente iscrizione:
Limosine
di grano
a(nno) D(omini) MDLXXXIIII
L'epigraie49, ben conservata, è costituita da una tabella rettangolare di
marmo priva di cornice (fig. 6). La scritta è semplicemente inquadrata da
un rettangolo inciso. In alto si trova il simbolo dello Spedale, in basso
l'arme, anch'essa incisa ma con minore spessore, della famiglia Saracini.
Quest'ultima è chiaramente in relazione con il rettorato di Claudio di
Sinolfo Saracini,in carica dal 1572 al 159350. L'inserimento dell'epigrafe
sembra contemporaneo alla costruzione del tamponamento dell'arcata in
cui è inserita. I lati verticali della lapide sono infatti perfettamente
connessi con i mattoni circostanti e non si notano nella tessitura muraria
tagli praticati per un eventuale reimpiego. È inoltre molto probabile che
sia coeva pure alla realizzazione della sottostante finestra. È infatti
perfettamente centrata rispetto alla piattabanda di quest'ultima, in una
posizione che non può essere casuale poiché la finestra risulta nettamente
decentrata rispetto al tamponamento. Il rapporto stratigrafico tra la
finestra e la tamponatura non è invece determinabile, senza saggi
sull'elevato, con assoluta certezza, per la presenza di una patina scura che
ricopre gran parte della superficie; un rapporto di contemporaneità si può
tuttavia dedurre dalla reciproca relazione con la sopraddetta epigraie.
Una sola iscrizione figura nel prospetto relativo al vicolo di San
Girolamo e alla piazzetta della Selva. E situata subito al di sopra del
portale di ingresso alla « strada interna »:
Restaurato
1985a, p. 31
50
Circa tale rettore si veda BANCHI 1877, pp. 346-356.
51
Una sua fotografia è pubblicata in AA.VV. 1986, p. 155.
l'anno
1848.
La targa51, formata da una tabella rettangolare priva di cornice ed
elementi decorativi, in ottimo stato di conservazione, è coeva alla
muratura nella quale e inserita o comunque in relazione con essa (fig. 7).
I mattoni disposti per fascia situati a contatto con i suoi lati verticali sono
tutti tagliati. Ciò dovrebbe indicare un inserimento stratigraficamente
successivo alla muratura ma in questo caso è possibile che il taglio dei
mattoni sia stato eseguito in corso d'opera, al fine di non modificare, con
l'inserimento dell'epigrafe, la rigorosa regolarità dell'apparecchiatura
"gotica", costituita da mattoni alternati per fascia e per testa, che
caratterizza l'intera superficie restaurata. Del resto i mattoni disposti per
testa sono tutti integri e la targa risulta perfettamente connessa con il
circostante paramento. In ogni caso è da considerarsi datante dell'intero
restauro, consistente nel totale rivestimento di un lungo tratto delle
originarie strutture murarie.
Da un manoscritto di Giovanni Antonio Pecci sappiamo che all'inizio del
Settecento altre due iscrizioni erano ancora presenti nella facciata dello
Spedale. Una era situata al di sotto dei « due primi quadri » degli
affreschi trecenteschi che ornavano la parete esterna della chiesa, e dei
quali, come è noto, non rimane traccia: « Hoc opus fecit Petrus Laurentii
et Am / brosius eius frater MCCCXXXV »52. L'altra si trovava subito al
di sotto dell'epigrafe del 1298 relativa alla Casa dei Gettatelli: «
Expositorum/ Et eorum Nutricum / In pueritia domicilium / A.D.
MDLXVI »53. Il Pecci mette in relazione l'epigrafe con un'arme, tuttora
esistente ma posta al di sopra, e non al di sotto, dell'iscrizione del 1298.
La lapide è formata da una tabella rettangolare modanata ai lati e scolpita
a bassorilievo con uno scudo al cui interno è l'insegna del Santa Maria
della Scala e quella della famiglia Chigi (fig. 8). È difficile che vi possa
essere stata una relazione cronologica tra l'iscrizione del 1566 e tale
stemma poiché in questo caso gli attributi araldici sarebbero stati quelli
dell'arme della famiglia del rettore Girolamo di Giovanni Biringucci, in
carica appunto negli anni 1562157254. È invece molto probabile che il
52
PECCI 1730, c. 72v.. Identica è la trascrizione dell’URGURGIERI AZZOLINI 1649, p. 338,
mentre
quella del CHIGI 1939, p. 302, riportata l’anno 1337 o 1327. Sugli affreschi si veda il recente
intervento di GALLAVOTTI CAVALLERO 1987b.
53
PECCI 1730, c. 72v.
54
Circa il suo rettorato si veda BANCHI 1877, pp. 342-346.
suo inserimento risalga al tempo del rettorato di Agostino d'Agostino
Chigi, in carica dal 1598 al 1639, e sia da mettere in relazione con uno
dei numerosi lavori eseguiti nella facciata dello Spedale e negli ambienti
ad essa corrispondenti durante quel periodo55. L'arme tuttavia non offre
utili indicazioni cronologiche poiché, pur presentando una posa in opera
abbastanza accurata, non risulta coeva alla muratura in cui è attualmente
situata, né emergono altri elementi, e ciò è valido anche per l'iscrizione
scomparsa del 1566, per ipotizzare un preciso collegamento con le
strutture architettoniche.
Il contributo delle epigrafi alla datazione assoluta delle attività
costruttive dei due prospetti esaminati è stato perciò notevole. La Casa
dei Gettatelli, lo Spedale delle Donne, l'ampliamento del Palazzo del
Rettore e il rivestimento ottocentesco di alcune strutture prospicienti la
piazzetta della Selva costituiscono infatti interventi macroscopici di
ampia portata che interessano gran parte della superficie presa in esame.
Il numero degli indicatori cronologici fino a questo momento utilizzati
nell'esame del Santa Maria della Scala risulta inferiore a quello offerto
dai metodi di datazione dell'edilizia storica, soprattutto se teniamo
presente che alcuni di essi non sono stati applicati al massimo delle loro
potenzialità in quanto strettamente dipendenti da più vaste indagini di
ambito locale attualmente in corso. Malgrado ciò la ricerca,
espressamente incentrata su metodi di indagine finora non applicati allo
studio dello Spedale, in primo luogo l'analisi stratigrafica del sedime e
dell'elevato, ha fornito nuove indicazioni cronologiche, soprattutto di
ordine relativo, ma anche di ordine assoluto, che hanno confermato,
integrato o modificato le conoscenze fin qui acquisite con i metodi
tradizionali di indagine. Ulteriori dati potrebbero in futuro emergere sia
da sistematiche ricerche sulla vastissima documentazione archivistica
dello Spedale che dall'individuazione di quelle chiavi cronologiche locali
di cui abbiamo in precedenza parlato.
55
Sul rettorato d'Agostino di Agostino Chigi si veda ancora BANCHI 1877, pp. 360-378 Sui lavori
svolti si veda pure ASS, Sp. 31, cc. 78rv; MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v, 290v (cfr.
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 442).
La delibera del Consiglio Generale
Il documento che qui si trascrive è una delibera presa dal Consiglio
Generale del Comune di Siena e trascritta nei verbali dell'adunanza del 29
agosto del 1336. Secondo una prassi consolidata il Consiglio Generale, un
organismo molto largo che constava all'epoca di circa 300 membri ed era
presieduto dal Podestà, ascoltava, discuteva e metteva in votazione
proposte del Governo che potevano scaturire anche da memorie rimesse da
esperti o da « petizioni » o suppliche di istituzioni, singoli cittadini o
gruppi di essi. Nel caso che qui ci interessa a chiedere una sorta di licenza
edilizia per costruire su uno spazio pubblico fu un personaggio eminente a
nome di una delle più importanti istituzioni cittadine, il rettore
dell'ospedale di Santa Maria della Scala Giovanni di Tese Tolomoi.
Giovanni in primo luogo motivò la richiesta con i bisogni dell'istituzione
da lui diretta in rapporto al momento di grande espansione devozionale che
l'ospedale viveva e della quale erano prova tangibile le donazioni di beni
che esso riceveva, il numero crescente di poveri, malati, bambini
abbandonati che vi trovavano accoglienza e quello di frati e suore che
sceglievano di vivere in comunità per dedicarsi alla loro assistenza: e in
secondo luogo prospettò una soluzione di transito per gli abitanti di due
casette che sarebbero state isolate dalla nuova costruzione, segnalando al
Consiglio l'esistenza di un secondo accesso più ampio a lato del palazzo
Squarcialupi.
Il Consiglio Generale discusse ed approvò la proposta e la deroga agli
Statuti con la larghissima maggioranza di 239 voti favorevoli e 11 contrari.
1. Premessa
1
La documentazione archivistica che riguarda l'ospedale è ricchissima e ancora in gran parte
inesplorata: si tratta di circa 6000 pezzi che sono conservati presso l'Archivio di Stato di Siena.
2
Le ricerche di maggiore utilità consultate preliminarmente per questo lavoro sono . GAL-
LAVOTTI CAVALLERO 1985a e GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987. Da segnalare
inoltre il numero monografico del « Bollettino d'arte », tutto incentrato a ricostruire le vicende
architettoniche dell'ospedale nel lungo arco della sua esistenza: AA.VV. 1986 ed infine Spedale di
Santa Maria della Scala, Atti del Convegno Internazionale di studi, Siena, 20-22 novembre 1986,
Siena 1988.
AVVERTENZA
Tutti i documenti inediti citati sono conservati presso l'Archivio di Stato di
Siena.
L'omissione di certe parti del testo è indicata col secuente seano: (...).
Per quanto riguarda la datazione, lo stile adottato a Siena è ab incarnatio
Domini e perciò conta gli anni a partire dal 25 di marzo; si è preferito
pertanto, per una migliore comprensione, trasferirlo nello stile moderno di
datazione.
ABBREVIAZIONI
ASS Archivio di Stato di Siena
Sp. Spedale
c. p. carta/ pagina
r/ v retto/ verso
Lo spoglio sistematico delle fonti archivistiche ha così permesso la
ricostruzione più o meno completa delle varie fasi di vita dell'edificio
ospedaliero, soprattutto nel secolo XV, quando il Santa Maria della Scala
era divenuto per estensione, volumetria e struttura, il maggiore complesso
pubblico esistente a Siena, raggiungendo dimensioni complessive molto
vicine a quelle attuali.
La scelta di questo preciso arco cronologico è apparsa inoltre significativa
dal momento che ci troviamo di fronte ad uno dei momenti più floridi dal
punto di vista edilizio, che vede la realizzazione di opere imponenti come
la costruzione della nuova chiesa, e anche perchè, soprattutto per il
Quattrocento, la documentazione non era stata sufficientemente indagata e
le nostre conoscenze risultavano nel complesso limitate.
La documentazione analizzata si basa sui registri delle Entrate e Uscite dei
denari, in cui veniva registrato dal Camarlengo3 tutto il movimento di
denaro speso o riscosso dallo Spedale e che, rispecchiando in ogni
momento la situazione di cassa dell'ente, hanno permesso di individuare
tutte le spese sostenute per effettuare i vari interventi edilizi, dall'acquisto
dei materiali, ai pagamenti alla manovalanza e ai maestri che hanno preso
parte ai lavori4.
3
Il Camarlengo veniva eletto ogni sei mesi per scrutinio e aveva competenze molto vaste che
investivano ogni settore dell'amministrazione. Alla fine del semestre veniva letta la situazione
contabile e il Capitolo dei frati doveva approvarla (Archivio dello Spedale di Santa Maria della
Scala p. XLIX).
4
Di questi registri sono stati consultati quelli che coprono il periodo che va dal 1385 (tomo n. 852)
al 1 maggio 1500 (tomo n. 880).
Tutto questo materiale è stato inoltre integrato dalla lettura di alcuni
registri delle Deliberazioni5, da quelli dei Contratti e Protocolli (dal tomo
n. 106 al tomo n. 109) e dallo Spoglio dei Contratti dello Spedale6, nel
tentativo di riscontrare precisi accordi tra l'ente e il personale attivo nei
suoi cantieri, tentativo che ha condotto, però, a risultati limitati.
L'indagine dei documenti ha così permesso di fare luce su una vasta
gamma di aspetti che non solo riguardano strettamente la parte
architettonica dell'edificio e la sua evoluzione e trasformazione nel tempo,
ma coinvolgono anche tutto quel vasto ventaglio di lavoratori, maestri,
manovali, fornitori, vetturali e « dipentori » che hanno permesso la sua
concreta realizzazione.
In questa sede verranno presi in esame i più grossi interventi che hanno
caratterizzato l'attività costruttiva dello Spedale nel corso del Quattrocento.
Si tratta dell'ampliamento della chiesa e della sopraelevazione e
"allungamento" del palazzo del Rettore che vengono effettuati nella
seconda metà del secolo e i lavori attinenti alla tettoia della facciata, che
potremmo considerare quasi legati l'un l'altro. È infatti al termine
del'ampliamento della chiesa, che modifica l'assetto formale della facciata,
che nasce anche l'esigenza di sopraelevare il palazzo del Rettore, per
adeguarlo in altezza alla nuova costruzione, e di rinnovare la tettoia a
protezione degli affreschi.
A1 di là dell'importanza che hanno nella storia dello Spedale, questi tre
interventi appoiono significativi in quanto offrono, per l'imponenza delle
operazioni e la durata dei lavori, gli esempi più completi di organizzazione
di un cantiere. Essi ci permettono non solo di avere una visione dettagliata
di una vasta gamma di addetti e dei loro specifici compiti, ma anche di
individuare le varie fasi costruttive che hanno caratterizzato la
realizzazione di opere edilizie: dallo scavo delle fondamenta alla rifinitura
e decorazione degli ambienti ormai completati.
5
I registri delle Deliberazioni consultati hanno coperto l'arco cronologico compreso tra l'aprile 1435
(tomo n. 23) e l'ottobre 1487 (tomo n. 24), mentre per la documentazione trecentesca e stata
utilizzata l'accurata schedatura della Dott.ssa Lucia Nardi, dal tomo n. 20 (1 gennaio 1379-28
ottobre 1381) al tomo n. 22 (19 marzo 1402-27 marzo 1435). Lo spoglio è in corso di stampa.
6
ASS, Spoglio dei contratti dello Spedale della Scala, B.56-B. 66; in particolare i registri B. 64,
B.65, B. 66.
2. La nuova chiesa e i materiali da costruzione
18
Un esempio può essere il pagamento a Filippo di Mariano « per un huopera aiutò » (ASS, Sp.
858 c. 47r).
19
ASS, Sp. 8S8, c. 4Ov; 1471 giugno 29.
20
ASS, Sp. 857, c 31r; 1466 ottobre 11. A questa data è registrato il primo
pagamento riferibile ai lavori che si effettuavano per il nuovo impianto. L'ultima
registrazione in proposito reca la data del 13 luglio 1481 (ASS, Sp. 867, c. 34v).
fondamenti della chiesa »21 e il verbo usato ad un tempo passato
suggerisce come questo tipo di intervento fosse stato già precedentemente
effettuato, forse quando si registrano le più alte forniture di rena. È
probabile quindi che le notizie dei pagamenti del materiale riportate nei
documenti siano posteriori alla realizzazione dei lavori, dal momento che
si può ipotizzare che le registrazioni delle spese non venissero effettuate
immediatamente al momento della fornitura, ma solo in un secondo tempo,
quando gli interventi si erano già conclusi22.
21
ASS, Sp. 858, c. 50v, 1471 ottobre 1.
22
I vetturali interessati al trasporto durante la realizzazione della chiesa sono perciò più numerosi
rispetto ad altri periodi. Pietro di Giovanni porta la rena dalla Merse fino alla nuova costruzione e
riceve un compenso di 50 soldi (ASS, Sp. 858, c. 70r. 1471 marzo 30) che verrà poi integrato da
altri 10 soldi per un'ulteriore fornitura (ASS, Sp. 858, c. 71r; 1471 aprile 30). Da Ravacciano
proviene la rena trasportata da Lorenzo d'Antonio, tedesco (ASS, Sp. 858, c. 41v. 1471 luglio 6),
che per ben cinque mesi rifornisce l'ospedale: un periodo analogo a quello di Giovanni di Niccolò,
che dall'agosto (ASS, Sp. 858, c. 45r; 1471 agosto 13) fino al mese di novembre (ASS, Sp. 858, c.
54r. 1471 novembre 90 riscuote 66 soldi. Un solo pagamento ricevono invece Niccolò di Battista
(ASS, Sp. 858, c. 44v. 1471 agosto 10; il pagamento è di 22 soldi) e Andrea di Niccolò (ASS, Sp.
858, c. 58v. 1471 dicembre 19; per la trainatura di rena riscuote lire 6), che nei documenti analizzati
compaiono una sola volta. Dall'agosto 1471 (ASS, Sp. 858, c. 45r, 1471 agosto 13) all'ottobre 1475
(ASS, Sp. 861, c. 64r. 1475 ottobre 14) è registrata una seconda serie di pagamenti al « trainatore »
Bartolomeo di Marco di Tressa, che sembra perciò avere un rapporto continuativo con l'ospedale.
Sette trasporti vengono da lui effettuati nel corso del 1475 da maggio ad ottobre, e ciò è
probabilmente da mettere in relazione ai lavori che si stavano effettuando all'interno della chiesa,
essendo in atto la costruzione di una cappella di marmo (ASS Sp. 860, c. 69r. 1475 gennaio 8; i
lavori si protraggono fino all'agosto 1476: ASS, Sp. 862, c. 45v). Numerosi sono infatti i documenti
che attestano la costruzione di quest'opera, che presuppone anche delle modifiche edilizie, in quanto
oltre alla rena vengono acquistati anche altri materiali per la « nuova fabbrica ». Francesco di
Bartolomeo, scalpellino, riceve numerosi pagamenti per la lavorazione di marmi che vengono
condotti all'edificio ospedaliero da appositi « portatori ». Essi provvedono sia al trasporto del
materiale allo stato grezzo che deve essere lavorato in loco, che a quello di colonne già pronte per
essere subito montate. Se infatti viene registrato un pagamento « a dodici portatori portaro una
pietra » (ASS, Sp. 861 c. 62v; 1475 ottobre 6; la spesa per il trasporto è di 32 soldi), viene anche
segnalata una spesa li 16 lire e 16 soldi « per pagare la vittura delle colonne » (ASS, Sp. 862, c. 44r;
1476 agosto 14). Questi lavori durano circa otto mesi anche se le registrazioni dei pagamenti più
frequenti si hanno da maggio a ottobre, con un curioso scarto del mese di settembre. Il direttore del
cantiere sembra comunque Francesco di Bartolomeo in quanto non solo riceve più di ogni altro un
numero maggiore di pagamenti, ma è sempre lui che e addetto ad ordinare il materiale e a pagare sia
i « cavatori » che i vetturali (ASS, Sp. 861, c.72v; 1475 dicembre 12: « Francesco di Bartolomeo
schalpellino lire quattordici cioè per lui a Michelagnio di Giusto chavatore ». Altro esempio un
pagamento di « lire vintidue e soldi 8 contanti a lui disse per dare alli chavatori del macigno» in
ASS, Sp. 862, c. 45v: 1475 agosto 21). Un'altra cappella che viene realizzata all’interno della nuova
chiesa, sempre nel corso del Quattrocento, è quella del Vecchietta, che aveva personalmente
richiesto allo Spedale di costruire, secondo un modello da lui presentato, « una cappella murata e
scialbata » (ASS, Spoglio del diplomatico , l476 febbraio 20),
nella quale chiede di essere sepolto (ibid.,1479 maggio 11). Interessante anche una petizione
presentata al Rettore il 26 Dicembre 1476 che viene approvata il 20 febbraio dell'anno successivo.
In essa il Vecchietta chiede che «1a decta capel1a non si possi levar del luogo dove mi sia
2.2 Gesso
Durante gli anni della costruzione della nuova chiesa e particolarmente nel
decennio 1470-1480, i documenti attestano 1'acquisto di une notevole
quantità di gesso. I1 primo pagamento registrato risale al luglio 1470 e
l'ospedale spende 11 lire e 6 soldi « per some dicesette e mezo di geso »23.
Non è annotata nessuna altra fornitura fino all'aprile dell'anno successivo,
quando ne vengono omprate 24 some e mezzo per una spesa complessiva
di 13 lire 19 soldi e 6 denari 24.
n generale si hanno poche forniture l'anno e dal 1474 al 1480 non viene
registrato nessun acquisto. Non sempre emerge il luogo di provenienza del
materiale, non sempre la quantità ordinata, né il nome di chi lo trasportasse
o di chi lo fornisse. Si apprende comunque che quasi sempre veniva
comprato direttamente del maestro che dirigeva i lavori nel cantiere, che
ne amministrava la fornitura: la spesa da lui sostenuta viene poi risarcita
del Camarlengo dello Spedale.
Nel complesso, nell'arco dei dieci anni considerati, vengono comprate più
di 58 some di gesso per una spesa complessiva di 86 lire 172 soldi e 6
denari. Questo materiale, oltre ad essere utilizzato, insieme ai cannicci per
pareti divisorie, costituiva anche un'ottima preparazione per sfondi e
veniva utilizzata soprattutto dai « dipentori » come indispensabile base su
cui stendere il colore.
consegnato et edificata nè cavare la imagine (…) et quando accadesse pure per ampliare la chiesa, o
la casa, facesse bisogno di permutare la detta cappella si debbi fare et molto più ampla et più degna
et più sumptuosa…». ( Documenti per la storia dell’arte senese,1854-56,II, p. 366). I documenti
analizzati attestano la realizzazione di questa nuova costruzione e la casa spende 3 lire e 10 soldi
per l’acquisto di una «tarsia» e per una graticola di ferro da porsi in detta cappella (ASS, Sp. 863, c
72v; 1477 dicembre 6). Le fonti non ci forniscono comunque nessun’altra notizia riguardante questa
costruzione nè riguardo ai materiali acquistati, ne ai pagamenti di manovali o maestri che vi hanno
lavorato.
23
ASS, Sp. 858, c. 36v; 1470 luglio 11.
24
ASS, Sp. 858, c. 71v; 1471 aprile 9.
25
Una conferma a queste ipotesi può riscontrarsi nei documenti che interessano alcuni
2. 3. Legname
lavori di segatura eseguiti per la nuova chıesa. Andrea di Francho di Santa Colomba riceve un paga-
mento di 5 lire e 12 soldi « per uno mese che lui à aiutato » a segare e preparare la legna per la
nuova chiesa alla lama del Sasso (ASS, Sp. 857, c. 3 lr. 1466 ottobre 11). Lo stesso segatore riceve
lire 4 nel dicembre 1466 « per cinque settimane che lui à servito la casa a conciare legname e altre
facende per la decta chiesa » (ibid., c. 37r; 1466 dicembre 26). Sempre da questo stesso luogo
provengono « sette legni lunghi » condotti da Menico di Gorino e compagni trainatori fino allo
Spedale, ricevendo un compenso di 31 lire (ASS, Sp. 857, c. 35r; 1466 ottobre 8). Da registrare
inoltre un pagamento dı lıre 7 ad un certo Marco, legnaiuolo, per fornitura di una trave di quercia
(ASS, Sp. 857, c.42v; 1467 novembre 7) e
2.4. Le fornaci e i fornaciai
ancora un'ulteriore spesa di 44 soldi per una « travicella » di castagno fornita dal legnaiuolo Cosimo
(ASS, ibid.). Sembra perciò chiaro che ci fossero tre ruoli ben distinti: quello del fornitore o
legnaiuolo, quello del segatore e quello del trainatore. In alcunı cası comunque, ıl lavoro del
segatore si attuava direttamente sul cantiere. Francesco di Giglio e il suo compagno provengono dal
contado di Parma e ricevono 33 soldi « per due dì aiutò a segare e' bovoli per la chiesa » (ASS,
Sp.859, c. 59r; 1473 dicembre 8) e anche altri segatori riscuotono 40 soldı per svolgere lo stesso
lavoro (ASS, Sp. 859, c. 67r. 1474 febbraio 24. Nella motıvazıone del pagamento e infatti
specificato: « per segare certi rochi vechi per far bovoli ») E’ ıpotızzabile che anche Meio di Senso
e i suoi compagni abbiano svolto « una huopera con la sega a segare certi regoli » (ASS, Sp. 860, c.
40v; 1474 maggio 25. Per il lavoro riscuotono 20 soldi) direttamente sul cantiere come Simone
d'Antonio e compagno che riscuotono 5 lire e 12 soldi « per huopere dodici aiutano a segare le
fodere del chancello della chappella » (ASS, Sp. 860 c. 70v; 1475 gennaio 28). Non sempre
conosciamo esattamente il periodo di tempo che questi segatori hanno lavorato per l'ospedale, ma
apprendiamo comunque le paghe percepite, che cı permettono di stabilire le spese sostenute
dall'ente per la lavorazione del legno durante la realizzazione della nuova chiesa.
26
A Firenze i documenti dell'Arte non fanno distinzione tra i fornaciai e una
legislazione che risale al 1325 sancisce che nessuna fornace possa cuocere mattoni senza produrre
anche calce (GOLDTHWAITE 1984, p. 267).
27
ASS, Sp. 852, c. 38r; 1395 (...).
fornaciaio di Cuna e l'ente ospedaliero sussistesse un preciso contratto che
prevedeva la produzione di un determinato quantitativo di mattoni,
ciascuno dei quali doveva essere « ben cotto e mercantile et à misura
conforma alle forme fatte fare tra di noi, delle quali ne tiene una misura
per uno... »28
La fornace di Costalpino, che produce per il Santa Maria della Scala, è
documentata in una delibera che ne attesta la costruzione, per rispondere
alle necessità sempre crescenti della produzione di mattoni29. Nel 1380 si
delibera anche la costruzione di una fornace a Monastero, presso Siena,
perché possa produrre « mattoni e tegole che bisognano per lo pellegrinaio
nuovo che si dee fare »30.
Durante il rettorato di Bartolomeo Tucci, il Consiglio Generale del
Comune aveva ordinato che lo Spedale portasse a compimento la
fortificazione di Buonconvento31.
Anche al Piano delle Fornaci esisteva un impianto che apparteneva al
Santa Maria della Scala, in quanto un documento del tardo Quattrocento
attesta una spesa di 31. e 5 s. « ...per libbre 12 d'auti di 24, di 36 e per (...)
bulette compramo per la nostra fornace e fu fatto el tetto in nel piano delle
fornaci »32.
Della struttura di queste impianti non si hanno notizie. Si trattava
certamente di fornaci permanenti che sorgevano in genere in località
collinari ed erano impianti di carattere industriale di una certa importanza.
Dallo studio effettuato risulta che fossero attivi tutto l'anno, come testimo-
niano le registrazioni dei pagamenti ai vari fornaciai, anche se le richieste
maggiori si concentrano tra maggio e ottobre.
Ai fornaciai che « cuocono i mattoni et tegole et pianelle et quadrucso o
altro arnese »33 sottostavano al Breve del'Arte dei maestri di pietra che
28
FRANCHI - COSCARELLA 1985, p. 79.
29
ASS, Sp. 20, c. 46r; 1379 agosto 31.
30
ibid., cc. 107r/v; 1380 ottobre 15. La stessa notizia viene riportata da
FALUSCHI Le chiese, c. 110r, in data 8 nttobre 1380 « che si facci per lo Spedale una fornace
nella possessione che lo Spedale comprò nella contrada di Monistero presso Siena e che il Missere
facci fare nella detta fornace mattoni e egole che bisognao per lo pellegrinaio nuovo che si deve fare
».
31
BANCHI 1877, addizioni, p. 204. Il Consiglio Generale aveva inoltre sancito che
se i lavori non fossero stati portati a compimento entro l'anno 1382 sarebbero stati a carico del
Rettore stesso e dei frati.
32
ASS, Sp. 874, c. 67r; 1489 novembre 19.
33
Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, I, p. 118.
34
FALLETTI 1881 p. 91.
35
Il18 giugno 1415 vengono pagate 24 1. e 14 s. a Domenico d'Agnolo, il fornaciaio
comprendeva tutte le attività legate all'edilizia, anche se poi nel 1489
muratori e fornaciai formeranno a parte un nuovo organismo.
Il loro compito consisteva, oltre che nel fare i mattoni, nel cuocerli bene
attenendosi ad una misura che « era continuamente appesa al muro esterno
del palazzo », al fine di evitare litigi che nascevano sia sulle dimensioni
che sulla cottura dei laterizi34.
Una delle località più segnalate dai documenti per la più alta
concentrazione di « calcinaroli » è Toiano, dove la fornace è attiva almeno
dal 141535 e continuerà a produrre calcína almeno fino agli ultimi decenni
del secolo36. Altre fornaci specializzate nella procluzione cli calcina erano
quelle di Ancaiano e S.Colomba.
I fornaciai attivi a S.Colomba hanno però dei rapporti meno continuativi
con l'ente ospedaliero rispetto a quelli di Toiano.
Altre località emergenti dai documenti, nelle quali erano attive fornaci di
calcina, sono Cerreto e Pontignano.
di più vecchia data che conosciamo attivo in questo impianto (ASS, Sp. 853, c. 36r).
36
ASS, Sp. 874, c. 26v; 1489 maggio 14.
37
ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 29. La spesa registrata è di 20 soldi.
FORNACI ATTIVE A SIENA E NEL CONTADO SENESE NEL XV
SECOLO
48
ASS, Sp. 857, c. 21v; 1466 maggio 20
49
ASS, Sp. 858, c. 68v; 1472 marzo 5.
50
Se infatti si confrontano le paghe riscosse prima del grosso incarico da lui ottenuto, con quelle
riferibili ai pagamenti durante le fasi di costruzione della nuova chiesa, è evidente la grande
differenza di paga percepita. Se una delle cifre più alte segnalate nelle registrazioni dei pagamenti
nel ventennio 1445- 1466 è di 21 lire (ASS, Sp. 856, c. 22v; 1460 maggio 9), negli anni successivi
giunge anche a riscuotere 100 lire (ASS, Sp. 858, c. 63v; 1471 novembre 29).
51
ASS, Sp. 858, c. 68v; 1472 marzo 5.
52
Uno dei primi pagamenti riportati nelle fonti si riferisce infatti ad un certo Andrea di Francio, che
provvede a segare e preparare il legname per la nuova chiesa per un intero mese (ASS, Sp. 857,
c.31r; 1466 ottobre 11) e che riceve anche ulteriori pagamenti perchè « à servito a cociare legname
e altre facende per la decta chiesa » (ASS, Sp. 857, c. 37r; 1466 dicemhre 26). Questo è fra l'altro
l'unico segatore che appare attivo nel cantiere in auesto primo decennio e si paò supporre che sia
stato l'unico fornitore e conciatore di legname nella prima parte dei lavori. Dalle fonti si apprende
che era originario di Santa Colomba e che il
Spedale, in quanto negli anni precedenti non aveva rivestito, alle
dipendenze dell'ente incarichi di grande entità50.
Come testimoniano i documenti riguardanti questa attività costruttiva,
Guidoccio non segue i lavori per tutta la loro durata, ma cessa la sua
attività nel marzo 1472, quando si registra l'ultimo pagamento da lui
percepito51.
È interessante perciò analizzare questo intervento edilizio distinguendolo
in due fasi ben distinte: la prima che vede il cantiere organizzato intorno
alla figura di Guidoccio e che investe gli anni 1466-1472, e la seconda,
posteriore, che prosegue e conclude i lavori nel 1481.
Nel primo decennio, nel quale si suppone si svolgano gli interventi di
maggior rilievo, gli uomini presenti nel cantiere sono circa una ventina,
distinti in maestri, manovali, segatori e « dipentori ».
Sono tutti sottoposti a maestro Guidoccio che ordina i compiti specifici
che si devono svolgere e provvede a riferire al Camarlengo dello Spedale
le giornate lavorative che essi hanno prestato per provvedere al loro
pagamento.
Sulla base dei dati che ci vengono offerti dai documenti è difficile stabilire
con precisione quale parte dell'edificio fosse stata realizzata in questa
prima fase dei lavori, anche perché le notizie relative ai singoli manovali
non sempre specificano le motivazioni del pagamento da essi ricevuto, ma
a questa lacuna possiamo ovviare con la lettura delle fonti materiali (vedi
in questo stesso volume l'intervento di Parenti).
Si può comunque osservare che è in questo arco di tempo che si registrano
i più alti acquisti di materiale, soprattutto legname, che veniva utilizzato
per gli usi più disparati, ma soprattutto per realizzare impalcature e
strutture di copertura52.
Talvolta è lo stesso Guidoccio, in quanto specializzato nella lavorazione
del legname, a provvedere personalmente sia all'acquisto che alla
lavorazione del materiale e forse è proprio per questo motivo che al di là di
materiale da lui lavorato proveniva dalla Lama del Sasso, tra l'altro di proprietà dello Spedale. Il suo
nome appare solo in occasione di questo intervento, come se fosse stato ingaggiato un'unica volta,
dal momento che, anche successivamente, la casa non si servirà più di lui per lavori di questo tipo.
53
Nel giugno 1466, proprio agli inizi di questa nuova costruzione, egli riscuote dal Camarlengo 3
lire e 12 soldi per comprare 10 « fastella d'assari » (ASS, Sp. 857, c. 23r. 1466 giugno 13) e nel
novemhre 1467 è registrata un'ulteriore spesa da lui sostenuta di 9 lire e 4 soldi, per l'acquisto di una
trave di quercia e di una travicella di castagno per la nuova chiesa (ASS, .Sp. 857, c. 42v; 1467
novembre
54
ASS, Sp. 857, c. 41r; 1467 marzo 20
un aiutante, non fossero necessari, nel cantiere, altri uomini addetti a
questo tipo di lavorazione53.
Oltre a Guidoccio che dirige il lavoro, nel cantiere sono attivi anche altri
due maestri specializzati però nella realizzazione di opere di muratura. Si
tratta di Adamo d'Antonio e Martino di Jacomo, provenienti entrambi da
Bellinzona e che riscuotono un pagamento di 17 lire e 2 soldi « per opere
XXII ànno date alla casa in XI dì »54.
I maestri sembrano comunque lavorare in società in quanto anche in occa-
sione di altri lavori svolti all'interno dell'edificio ospedaliero, come la
costruzione di una volta dentro la sacrestia, di un arco e di un parapetto
nell'edificio delle donne e di un palco e due archi nella cucina dei fanciulli,
vengono sempre pagati in coppia55.
Più numerosi sono invece i manovali che appaiono attivi nel cantiere e di
cui apprendiamo non solo i salari percepiti, ma talvolta anche il tipo di
lavoro svolto e le giornate lavorative prestate56.
55
ASS, Sp. 857, c. 41r; 1467 marzo 20.
56
Bartolomeo di Giovanni riscuote 12 soldi per “ 2 huopare aitò al fondamento per detto maestro
Guidoccio nostro ” (ASS, Sp. 858, c. 32r, 1470 giugno 7) e questa è una notizia che riveste una
notevole importanza per un duplice motivo, in quanto testimonia come nel 1470 fossero state
realizzate le fondamenta della nuova chiesa e come il detto Bartolomeo sia stato uno dei primi
uomini di cui si sia servita la casa per svolgere il lavoro della nuova costruzione in atto. E
probabilmente uno dei manovali che lavora più a lungo in questo cantiere dal momento che appare
attivo anche nella seconda fase dei lavori, ricevendo un pagamento di 30 soldi nell'agosto 1478
(ASS, Sp. 864, c. 41v; 1478 agosto 11) e un'altra paga di 28 soldi nel novembre 1479 “ per tre
huoere aiutò a maestro Galgano per soldi 4 denari 4 el dì ” (ASS, Sp. 865, c. 53r 1479 novembre
12). Sempre nel corso del 1470 troviamo attivo nel cantiere della chiesa Andrea di Scozia che
riscuote un solo pagamento per un intero mese di lavoro da lui prestato, anche se in questo caso le
fonti non ci forniscono alcuna notizia riguardante la somma percepita (ASS, Sp. 858, c. 54v, 1470
novembre 24). Un altro manovale citato nei documenti è Filippo di Mariano che riscuote 7 soldi “
per una huopera aiutò per detto di maestro Ghuidoccio nostro ” (ASS, Sp. 858, c. 37r, 1471 maggio
25) e che troviamo unicamente attivo in questo cantiere. Con lui lavorano Piero di Ramondo, un
manovale siciliano che “ à servito alle muraglie della nostra chiesa per manovale ” e che riscuote “
oltre cinque e soldi cinque per resto di tempo servito ” (ASS, Sp. 858, c. 40v, 1471 giugno 29) e
Martino d'Antonio, che “ per due dì serve le nostra frabicha per manovale ” riscuote 12 soldi (ASS,
Sp. 858, c. 44r; 1471 agosto 8). Egli continua a lavorare attivamente nel cantiere anche nella
seconda fase dei lavori, dal momento che le registrazioni dei pagamenti da lui percepiti mostrano
come abbia servito lo Spedale anche dall'agosto all'ottobre del 1476 (il primo pagamento è
registrato in data 3 agosto 1476: cfr. ASS, Sp. 862, c. 41r,1'ultimo in data 26 ottobre 1476: cfr. ASS,
Sp. 862, c. 54v), percependo, con regolarità, sempre la stessa paga. E’ nel corso del 1471 che viene
registrato un pagamento di 4 lire e 4 soldi a Bernardo di Bartolomeo “ per sei huopere (à) aiutatto
per manovale a soldi 7 el dì e per 6 huopere (à) aiutatto Tongnio di Martino lombardo ” (ASS, Sp.
858 c. 44r, 1471 agosto 10). Anche gli ultimi due manovali che sono attivi in questa prima fase
dell'intervento sono lombardi e riscuotono 22 soldi per il lavoro svolto. In questo caso i documenti
Si può osservare come in genere i compiti degli uomini che lavoravano
nell'ambito di queste piccole squadre fossero svariati: dallo scavo delle
fondamenta, alla conciatura del legname e alla realizzazione di muraglie e
anche se vi erano degli addetti specializzati in alcune di queste attività, in
effetti non possiamo escludere neppure che, alcuni di questi lavoratori
fossero in grado di realizzare
tutte queste lavorazioni.
Un altro dato che emerge da questa prima analisi è l'instabilità
dell'occupazione e il fatto che solo alcuni dei manovali continuano a
lavorare in questo cantiere anche nella fase successiva, durante la quale
verranno soprattutto effettuate opere di copertura e interventi interni, come
la realizzazione delle cappelle e il loro ornamento.
La maggior parte degli uomini lavora a giornata: solo pochi riescono a
rimanere nel cantiere per più di un mese e forse essi potevano fare
affidamento su un impiego regolare nello stesso luogo e per un lungo
periodo, solo nel caso in cui avessero goduto della fiducia del maestro
direttore del cantiere. Inoltre quasi tutti provengono da località lontane: la
maggior parte sono lombardi e vi è anche il caso di un manovale siciliano.
Questo può spiegare il motivo per cui di alcuni di essi, oltre al lavoro
prestato per l'ampliamento della chiesa, non si hanno ulteriori notizie: per
molti, infatti, il rapporto che li vede legati allo Spedale senese si conclude
dopo poco tempo.
In questo primo decennio di attività non troviamo presenti nel cantiere solo
manovali e segatori, ma anche un maestro di pietra e due “ dipentori ”.
Nell'aprile 1471 viene infatti assunto dallo Spedale uno scalpellino per la
chiesa: si tratta del maestro Urbano di Pietro57, originario di Cortona, che
lavorerà nell'ambito di questo cantiere per un lungo periodo anche se poi, a
partire dal 1479, prenderà parte agli interventi in casa del Rettore58.
non ci forniscono né i loro nomi né ci danno ulteriori informazioni sul tipo di attività effettuate
(ASS, Sp. 858, c. 60r; 1471 dicembre 24).
57
ASS, Sp. 24, c. 222v; 1471 aprile 25.
58
ASS, Sp. 865, c. 51r; 1479 novembre 3. Da un documento pubblicato da Milanesi (Documenti per
la
storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 460), si apprende come questo maestro fosse un intagliatore di
marmo che nel corso del 1453 aveva fornito la lapide marmorea per la sepoltura del Rettore Urbano
e aveva svolto anche altri lavori. E’ quindi chiaro che i suoi rapporti con lo Spedale, anche se
sporadici, erano di vecchia data, come risulta chiaramente da questo documento: “ maestro Urbano
di Pietro e Bartolomeo suo fratello intagliatore di marmo deno avere per infino questo dì 12 d'aprile
(1453) lire 60 sò per la lapide marmorea posta a la sepoltura di misser Urbano Rettore stato. Et deno
avere per infino a dì detto lire 12 per la pila di marmo posta a la porta dela sagrestia nuova ”.
I pagamenti da lui riscossi sono numerosi e regolari e quello che colpisce è
l'entità delle cifre che riceve, anche rispetto a quelle di altri maestri.
Probabilmente nei pagamenti vengono incluse, al di là del salario per le
opere prestate, anche le spese sostenute, e poi risarcite dal Camarlengo, per
l'acquisto del materiale. È questo maestro che si occupa della realizzazione
delle cornici decorative in pietra, sia interne che esterne alla chiesa59, senza
contare che appare specializzato anche in opere di copertura, fornendo
docci e cornici per il tetto 60. 0ltre infatti a questo intervento, gli vengono
affidate altre opere del genere sia in casa del Rettore61 che nei dormitori62 e
in altri luoghi del complesso.
Queste notizie sono interessanti perché testimoniano come, nel corso di
questo primo periodo considerato, i lavori di copertura e di decorazione
esterna ed interna fossero stati almeno in parte iniziati, mettendo in
evidenza come la nuova costruzione si presentasse almeno in buona parte
compiuta.
Per quanto riguarda i due pittori, essi sono Pellegrino di Mariano 63 e Do-
menico di Cristofano che lavoreranno per la nuova chiesa fino al termine
della sua realizzazione. Già in questa prima fase infatti, vengono acquistate
colle64, colori65 e gesso66, indispensabili sia per intonacare che per
dipingere e decorare.
In conclusione, nel primo decennio in cui si procede ai lavori di
ampliamento della chiesa vengono realizzate opere di fondazione e di
muratura, provvedendo anche in parte alle decorazioni interne ed esterne e
alla copertura della nuova costruzione. Questo farebbe supporre che il
grosso del lavoro fosse stato all'epoca realizzato, anche se nella seconda
parte dell'intervento, che comprende gli anni 1473-1481, numerose sono
ancora le attività edilizie che vengono effettuate.
59
BANCH1 1877, p. 266, n. 1.
60
ASS, Sp. 869, c. 70r; 1483 novembre 21 e ASS, Sp. 869, c. 76r; 1483 dicembre 24.
61
ASS, Sp. 865, c. 51r; 1479 novembre 3.
62
ASS, Sp. 869, c. 70r; 1483 novembre 21.
63
Pellegrino di Mariano è un pittore e miniatore senese scolaro di Sano di Pietro. Delle sue opere di
pittura non resta quasi niente, ma sappiamo che ha restaurato le miniature dei libri corali del Duomo
e
quelle dell'ospedale (Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 380).
64
ASS, Sp. 858, c. 34r; 1470 giugno 23.
65
ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 29 e ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 31.
66
ASS, Sp. 858, c. 36v; 1470 agosto 29.
In questa seconda fase il maestro responsabile del cantiere è Galgano di
Giovanni, che lavorerà attivamente per lo Spedale fino alla fine del
secolo67.
Le numerose notizie che le fonti ci forniscono di lui, ci permettono di
avere un'idea precisa sulla sua attività, sulla sua formazione professionale
e sui suoi rapporti con lo Spedale.
I primi documenti che lo riguardano risalgono al giugno 1460 68; in essi
Galgano di Giovani viene definito manovale e muratore della casa e
probabilmente l'uso dell'aggettivo “ nostro ” lascia supporre che si tratti di
un famiglio di casa. La prima serie di pagamenti da lui percepiti come
manovale occupa un arco cronologico di circa due anni e le cifre riscosse
non sono mai eccessivamente elevate, dal momento che la somma
maggiore ammonta a 44 soldi69.
Il fatto curioso è che a partire dal 1466, Galgano viene citato dalle fonti
come “ maestro garzone a la butigha del legname ”70 e in questa veste
riscuote una serie di pagamenti per circa tre mesi, ricevendo un totale di 5
lire e 52 soldi71. Solo a partire dal gennaio 1467 viene definito “ nostro
maestro di casa ”72 e tale rimarrà per tutto il periodo analizzato.
L'idea che emerge da questa analisi è che il maestro avesse una formazione
che implicava una conoscenza generale di tutte le attività che si
67
L'ultimo pagamento registrato a suo nome è in data 15 giugno 1500 (ASS, Sp. 881, c. 57v).
68
Il primo pagamento è in data 16 giugno 1460 e la cifra riscossa è di 20 soldi (ASS, .Sp.
69
ASS, Sp. 856, c. 38v; 1461 marzo 11.
70
I primi due pagamenti sono di 20 soldi ciascuno. Il primo è in data 21 giugno 1466 (ASS, Sp.
857, c. 26v); il secondo è in data 2 agosto 1466 (ibidem). L'ultimo pagamento riscosso il 13 agosto
1466 è di 5 lire e 12 soldi (ASS, Sp. 857, c. 27v).
71
ASS, Sp. 857, c. 36v; 1466 gennaio 10.
72
Un maestro di legname, Pavolo d'Ambrogio, riscuote 40 soldi per “ due chalzuoli di tarzia da
mettere alle spallette del coro ” (ASS, Sp. 860, c. 39v, 1474 maggio 11) e Meio di Senso con i
compagni riscuote 20 soldi “ per una huopera colla sega a segare certi regoli per la fabricha della
chiessa ” (ASS, Sp. 860, c. 40v; 1474 maggio 25). Ancora per la detta costruzione vengono ordinati
da un certo Crescenzo “ tre pontoni vecchi ” per realizzare il palco (ASS, Sp. 860, c. 60v 1474
ottobre 25) e Simone d'Antonio con il compagno viene pagato 5 lire e 12 soldi per “ huopare dodici
aiutaro a segare le fodere del chancello della chapella ” (ASS, Sp. 860, c 70v; 1475 giugno 28). Un
altro maestro di legname che compare nelle registrazioni dei pagamenti in questo periodo è Giorgio
di Guglielmo che riscuote 3 lire; “ per più chalzuoli di tarsia per lo choro ” (ASS, Sp. 865, c. 65r;
1480 gennaio 18) e 40 soldi “ per certa tarsia per lo choro della chapella ” (ASS, Sp. 867, c. 34v;
1481 luglio 13). Numerosi sono anche i manovali e i maestri muratori specializzati attivi in questo
cantiere. Pietro di Guglielmo con i suoi compagni “ per channe trenta due di spazo fecero nella
nostra chiesa ” (ASS, Sp. 859, c. 67r; 1474 febbraio 14) riscuote 11 lire e 4 soldi e sono sempre
questi stessi uomini che si occupano anche di fare “ lo scialbo della chiesa ” ricevendo un compenso
di 9 lire (ASS, Sp. 859, c. 74v; 1474 aprile 28).
svolgevano in un cantiere: dalle opere di manovalanza e muratura, a quelle
della lavorazione del legname.
Se per Guidoccio d'Andrea tutte le fonti concordano nel definirlo un mae-
stro di legname, in questo caso non si può parlare di una specializzazione
vera e propria in un qualche settore, dal momento che dalle fonti emerge
chiaramente una sua generale preparazione in ogni tipo di attività. Si può,
comunque, supporre che, per lo più, si trovasse a svolgere dei compiti di
muratura, in quanto le prime notizie che abbiamo di lui ce lo presentano
come manovale e muratore. La sua attività come garzone in una bottega di
legname si delinea solo in un secondo momento, quando probabilmente
nasce l'esigenza di formare un maestro in grado di dirigere e coordinare gli
uomini di un cantiere e che quindi mostrasse una certa conoscenza anche
riguardo alla lavorazione del legno. Questa ipotesi potrebbe essere
confermata anche dal fatto che, rispetto al primo decennio, in questa
seconda fase dei lavori si registra un numero più alto di maestri di legname
e segatori che lavorano attivamente nel cantiere fino al termine della
costruzione, giungendo anche a realizzare opere di grande prestigio, ben
oltre la normale routine decorativa.
È nel 1473 che Galgano prende le redini del cantiere della nuova chiesa,
ma una lunga serie di pagamenti attesta chiaramente una sua attiva
presenza nello Spedale anche negli anni precedenti, pur non possedendo
nessun dato che possa delucidarci sul tipo di lavori da lui effettuati, prima
di questo importante intervento. Anche Galgano, come tutti coloro che
organizzavano il cantiere, si occupa principalmente di due distinti compiti:
quello di provvedere alla fornitura del materiale e alla realizzazione vera e
propria della costruzione. Le paghe da lui percepite sono regolari e si
registrano in tutti i mesi dell'anno: le cifre non sono mai eccessivamente
alte, ma i pagamenti vengono effettuati anche due volte in un mese.
Insieme a lui nel cantiere sono attivi diversi uomini. Molti sono segatori e
maestri di legname che con i loro compagni offrono la loro collaborazione
nell'eseguire lavori di conciatura e di lavorazione di travi e di strutture
lignee73.
L'impressione è di una vera e propria organizzazione, costituita da un
capomastro e da alcuni manovali che, originari della Val di Lugano, erano
73
In questo periodo, infatti, viene segnalata una spesa di 5 lire e 18 soldi “ per huopere si m~sse
allo sgombro della chiesa ” (ASS, Sp. 8GO, c. 47v; 1474 luglio 9) e un ulteriore pagamento di 11
lire e 18 soldi “ a otto lombardi manovali per soldi sette al dì che aiutano huopere trenta quatro allo
sgombro della chapella de' relicui ” (ibidem). Senza dubbio si tratta sempre della stessa società che
rimane a lavorare nel cantiere per tutta la durata dei lavori.
stati ingaggiati dallo Spedale per svolgere dei lavori di un certo rilievo e
che richiedevano di conseguenza la disponibilità di un numero maggiore di
uomini74.
C'è da tenere inoltre presente che i manovali che fanno parte di questa im-
presa vengono aiutati anche dagli uomini di casa, come Bernardo di
Jacomo che riscuote 3 lire “ per dodici dì aiutò allo sgombro della chiesa
”75 e del quale non si hanno altre notizie al di là di questa.
E’ quindi evidente che dal 1473 al 1475 i lavori concernenti l'ampliamento
della cappella sono stati completati e si iniziano opere di finitura all'interno
della nuova chiesa, volte sia ad arricchirla tramite decorazioni e pitture,
che alla costruzione di nuove cappelle76.
Le notizie riguardanti il nuovo coro, realizzato da Antonio del Minella,
non sono molto precise e l'unica indicazione che ci viene offerta è il nome
del garzone, Niccolò di Marco, che lo aiuta in quest'opera. Un dato sicuro
è che questo è stato l'ultimo lavoro effettuato all'interno della nuova
chiesa, ormai completata in ognl sua parte.
In questa seconda fase dei lavori emerge che la maggior parte dei
manovali, a differenza di quanto si verifica nel primo decennio, permane
più a lungo nel cantiere, tanto che molti di essi rimarranno alle dipendenze
del Santa Maria della Scala per tutto il secolo. C'è inoltre da osservare
come maggiori siano i maestri specializzati: da Galgano di Giovanni che
dirige tutti gli uomini del cantiere, al maestro di pietra Francesco di
Bartolomeo, dal fabbro Agnolo di Rota, all'intagliatore e incisore del
legname Antonio del Minella.
Un altro dato interessante è che anche il semplice manovale non sembra la-
vorare a giornata ma presta la sua opera per un periodo decisamente più
lungo,che solo in casi eccezionali è inferiore ad un mese. Inoltre
compaiono anche altre organizzazioni di manovali che sono guidate da un
capomastro specializzato e che rimangono alle dipendenze dello Spedale
per un lungo arco di tempo, variamente impiegate nei lavori più consistenti
e di lunga durata.
74
ASS, Sp. 860, c. 57r; 1474 ottobre 10.
75
Interessante tra le altre, anche l'attività del fabbro Agnolo di Rota, che riscuote 50 soldi per “
trenta paia di dubioni per li sedi del choro ” (ASS, Sp. 865, c. 74v, 1480 marzo 15), come quella
dell'artista Antonio di Minella che realizza il coro (ASS, Sp. 866, c. 28r; 1480 giugno 28) anche
all'interno della precedente chiesa gli era stato commissionato lo stesso lavoro.
76
Una di esse è quella definita dalle fonti “ cappella del marmo ” che sembra essere statarealizzata
nel gennaio 1475 (ASS., Sp. 860, c. 69r) all agosto dell'anno successivo, quando viene registrata
l'ultima spesa per l'acquisto del materiale (ASS., Sp. 862, c. 45v).
I documenti ci offrono inoltre notizie più dettagliate riguardo alla
formazione di alcuni degli uomini che troviamo coinvolti in questi lavori
edilizi. Da una parte i maestri veri e propri, specializzati in settori della
muratura, della pietra e del legname e dall'altra i manovali, alcuni dei quali
da semplici garzoni riescono ad avere un ruolo sempre più specifico e
determinato nel cantiere.
L'organizzazione del lavoro appare dunque piuttosto complessa: al gradino
più basso troviamo i garzoni, che potremmo considerare dei semplici
aiutanti variamente addetti alla lavorazione del legname o ad opere di
muratura e che svolgevano i compiti più disparati. Poi c'erano i manovali,
le cui competenze erano svariate, come la realizzazione di muraglie, di
coperture e anche opere di stuccatura e imbiancatura, ma che, a differenza
dei garzoni, sembrano avere più esperienza e quindi non solo erano in
grado di saper svolgere tutte queste operazioni, ma insegnavano il mestiere
ai giovani apprendisti, che li aiutavano in queste mansioni.
Talvolta i manovali sembrano a loro volta guidati da un capomastro e ciò
avviene quando si riuniscono tra loro formando una piccola impresa di
costruzioni. Questo è il caso di Pietro d'Antonio, che viene definito
maestro muratore, e dei suoi compagni, tutti muratori, provenienti dal
Canton Ticino.
Tutti gli altri uomini, in genere famigli di casa, sono invece guidati dal
maestro che era incaricato dal Capitolo dello Spedale di provvedere alla
direzione del lavoro. Anche il maestro ha per un certo periodo una
determinata formazione che lo porta a svolgere varie attività, anche se poi
finisce per avere una specializzazione in un determinato settore. In genere
risulta essere un famiglio dello Spedale che intreccia perciò un rapporto
assai lungo con l'ente, il quale provvede direttamente alla sua formazione e
poi lo assume a tempo pieno come direttore delle sue opere edilizie. Si può
perciò supporre che venisse pagato in base ad un salario annuale e non a
compenso giornaliero o in base alle opere prestate, e in genere i suoi
introiti superano le quotazioni più alte previste dai normali livelli tariffari.
Negli stessi anni in cui si lavorava alla copertura del palazzo del Rettore
(vedi infra), si assiste anche alla risistemazione della lunga tettoia che
copriva gli affreschi eseguiti dai Lorenzetti e, forse, da Simone Alartini
sulla facciata principale dell'edificio ospedaliero77 e che era stata realizzata
per proteggere le Stone della Vergine dietro consiglio degli stessi pittori78.
Intorno al 1480 questa copertura, che si appoggiava a dei grandi
mensoloni, viene probabilmente risistemata o sostituita, dopo i grossi
interventi di sopraelevazione della chiesa e del palazzo del Rettore, che
vengono a modificare in modo radicale il fronte principale dell'edificio.
Questo lavoro si protrae per quasi un intero anno, anche se nelle
registrazioni dei pagamenti appare un evidente 'vuoto' nei mesi invernali,
quando, probabilmente, il cantiere era fermo.
Dalle date delle registrazioni dei pagamenti per l'acquisto dei materiali da
costruzione è infatti possibile dedurre la durata del lavoro: se la prima
spesa riportata nelle fonti reca la data del settembre 148079, l'ultima, che si
riferisce all'acquisto di elementi di decorazione, è registrata nel mese di
agosto del 148180.
In occasione di questo intervento emerge dai documenti un impiego consi-
derevole di legname. Gli acquisti del materiale sono regolari e appaiono
registrati con continuità coprendo per intero la durata del lavoro81.
77
Anche Girolamo Macchi ritorta la notizia: “ Pitture antiche che sono sotto il tetto nella plazza
dello Spedale (...). Pietro Lorenzetti pittore senese ce ne dipinse due delle istorie sotto il tetto verso
il convento delle fanciulle l'anno 1331 ” (MACCHI, Origine, c.25r). Lo stesso ci informa inoltre
che i1 27 febbraio 1481 vengono terminate altre pitture “ che sono sotto il tetto dela piazza e che
costarono complessivamente 300 lire ”(ibidem, c. 12r).
78
“ Nel 1720 fu demolito un lungo tetto che sporgeva fuori della faccciata dello spedale, in-
cominciando dal conservatorio delle donne fino alla chiesa, ossia alla porta principale di essa. Era
stato fatto questo tetto col saggio consiglio di Pietro e Ambrogio di Lorenzo suo fratello i quali poi,
dipingendo le Storie rammentate dal Vasari e da altri, dovevano porgere un giocondo spettacolo a
chi passava per la piazza del Duomo alla facciata del quale stavano di fronte, cosicchè restavano al
coperto dell'intemperie delle stapioni, e fu un colpo fatale ner esse pitture la stravagante barbarie di
chi ebbe parte a rovinare quel tetto per dare a quella fabbrica un liscio insignificate ” (DELLA
VALLE 1782-86, II, pp. 208-209).
79
ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23.
80
ASS, Sp. 8G7, c. 25v; 1481 maggio 30.
81
Ben sette viaggi effettuano Andrea d'Antonio e compagni per trasportare delle querci “ per fare e'
montoni per la tettoia ” (ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23. Il pagamento riscosso è di 4 lire e
12 soldi. Il materiale proviene dalla località della Querciola), mentre Domenico d'Antonio,
trainatore, porta “ quatro chastagni ” ricevendo un compenso di 40 soldi ( ASS, Sp. 866, c 52r; 1480
dicembre 15). All'edificio ospedaliero vengono anche condotti “ fastella dodici d'asari ”, acquistati
da un certo Piero da “ semignano ” (ASS, Sp. 866, c. 76v, 1481 aprile 16. La spesa sostenuta dallo
Spedale è di 3 lire e 12 soldi) e quattro castagni venduti dalle monache di S. Prospero e condotti poi
a destinazione da Niccolò di Damiano famiglio di casa (ASS, Sp. 867, c. 25v; 1481 maggio 30. “ Lo
nuovo tetto faciamo sopra le storie di fuori adì XXX detto lire 9 soldi 8 contanti alle monache di
Santo Prospero e per loro portò Niccolò di Mariano per quatro chastangni comprò maestro Galgano
nostro ”).
Complessivamente vengono almeno comprati 8 castagni, ma nei
documenti non viene specificato né il numero delle querce né il tipo di
legno delle assi.
In tutti i casi conosciamo i nomi dei fornitori, ma non sempre emerge la lo-
calità di provenienza del materiale. Le spese complessive per l'acquisto del
legname, stando alle informazioni contenute nei registri delle Entrate e
Uscite di denari, ammonterebbe a 16 lire e 72 soldi.
Nella lavorazione di questo materiale vengono impiegati alcuni segatori,
ma le fonti sono piuttosto avare nel fornirci informazioni più dettagliate
riguardo a tutta la manodopera che ha preso parte a questo intervento,
contrariamente a quanto avviene per i cantieri della chiesa e del palazzo
del Rettore82.
Un dato interessante, che emerge dall'analisi di questo intervento costrutti-
vo, è l'acquisto, oltre che del legname e delle tavole di castagno e di
quercia83, anche di pezze d'oro che venivano utilizzate per la sua
decorazione84. Sembra infatti che la tettoia venisse decorata con delle
piccole stelle, dopo essere stata lucidata e preparata con delle apposite
lacche85.
È ipotizzabile quindi che per la sua completa realizzazione fosse
necessaria una notevole quantità di oro86, Le forniture avvengono
regolarmente, anche se le quantità maggiori sono registrate durante il mese
di giugno del 1481. Sano di maestro Andrea è il fornitore87, ma non
abbiamo notizie riguardo alla località di provenienza del materiale. Quello
che è certo, è che lo stesso Sano aveva già precedentemente venduto il
medesimo materiale all'ospedale, in quanto nell'aprile 1479 riscuote un
pagamento di 25 lire e 14 soldi “ per 500 pezze per lo palcho della
chapella ”88, che forse presentava lo stesso motivo decorativo della tettoia.
82
Uno dei pochi uomini che conosciamo è Rosso, che lavora insieme ad un suo compagno e che
riceve un compenso di 4 lire e 10 soldi per un totale di sei giornate lavorative prestate (ASS, Sp.
866, c. 51r; 1480 dicembre 8).
83
ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23 e ASS, Sp. 866, c. 52r; 1480 dicembre 15.
84
ASS, Sp. 867, c. 29v; 1481 giugno 16.
85
ASS, Sp. 867, c. 24r, 1481 maggio 21: “ El nuovo tetto faciamo di fuori alle fighure a dì XXI lire
12 per soldi due non uno di lacha fina e per soldi dicesete di lacha più grosa compramo ”.
86
Nel periodo considerato vengono infatti acquistate in totale 2425 c~ pezze d'oro ”, per una spesa
di lire 104 e 48 soldi.
87
ASS, Sp. 867, c. 23v; 1481 maggio 17.
88
ASS, Sp. 864, c. 77r; 1479 aprile 30.
5. Gli interventi al palazzo del Rettore.
93
ASS, Sp. 866, c. 39r; 1480 settembre 9.
MAESTRI E MANOVALI ATTIVI NEL CANTIERE DELLA NUOVA
CHIESA DAL 1473 AL 1481
Un altro manovale che ha preso parte ai lavori è Menico di Santi che “ per
tre huopare aiutò a' nostri maestri a sghomberare in casa di Misere tera ”,
riscuote 21 soldi 92.
Nel corso di questi lavori si provvede inoltre anche alla realizzazione
dell'impianto di smaltimento in questa parte dell'edificio. La casa spende
infatti 34 soldi “ per dodici chanoni da privali e una dopia per li privali di
94
Ibidem.
casa di Missere ”93 e ancora 40 soldi per “ vincti canoni grandi da privali
per fornire il privale di Missere conpramo da Mateio di Lorenzo fornaciaio
”94.
Al termine di questi interventi si provvede anche ad imbiancare l'abita-
zione 95.
E’ interessante come sia stato possibile seguire con una certa precisione
tutte le fasi che hanno caratterizzato i lavori all'interno di questa
abitazione: dalla costruzione del camino, all'imbiancatura finale. Per
quanto concerne la durata dell'intervento, sembra che questo sia stato
effettuato in tre precisi periodi: nel primo, da novembre a gennaio, si
provvede al camino, nel secondo, avvenuto nel mese di settembre, si
costruiscono le fognature e nel terzo, che si protrae fino al 1483, si
provvede ad interventi di rifinitura e di imbiancatura
95
È registrato infatti un pagamento a Jacomo di Daniello e compagni “ dipentori ” di 27 lire e 8
soldi, per
“ resto di loro dipentura e colori ànno fatto nella casa di Missere ” (ASS, Sp. 865, c. 66r, 1480
gennaio
23). Gli stessi riscuotono inoltre 50 soldi per un'ulteriore “ dipentura fa in casa di Missere e per due
tazzie ” (ASS, Sp. 868, c. 73r; 1483 marzo 29).
Il metodo di lettura stratigrafica
Generalità
1
CARANDIN1 1981, p. 199.
2
La bibliografia inerente questo ambito di studi è ormai alquanto numerosa. Basti citare in questa
sede PARENTI 1985a e 1988; BROGIOLO 1988a e b; DE MINICIS 1986; DOGLIONI 1988.
3
Sull'argomento cfr. FRANCOVICH 1985; FRANCOVICH 1988-89.
4
HARRIS 1983.
immediatamente, una volta individuati i rapporti fisici intercorrenti tra le
varie parti di una struttura in elevato.
Da questo tipo di cronologia sarà poi possibile passare ad una cronologia
assoluta, individuando tra le varie attività succedutesi nell'edificio quelle
cronologicamente sicure e raggruppando poi tutte le altre in stretta
relazione con queste.
L'esperienza compiuta sul Santa Maria della Scala, dove è stato possibile
ap plicare in concomitanza diversi metodi archeologici (prassi quanto
meno auspicabile nello studio di manufatti compositi e complessi quali i
prodotti edilizi), ha dimostrato ancora una volta quanto l'indagine
stratigrafica si riveli imprescindibile base di partenza di un corretto
approccio finalizzato alla conoscenza "storica" dell'oggetto indagato.
La ricerca ha voluto, fin dall'inizio, mantenere separata la fase della
raccolta e dell'elaborazione dei dati (che deve rimanere il più possibile
oggettiva) dal momento interpretativo, che rappresenta la fase conclusiva
del lavoro5.
La prima parte della ricerca è quindi consistita nel riconoscimento delle
varie unità stratigrafiche murarie leggibili sul paramento della facciata. I
loro limiti sono stati successivamente evidenziati sul prospetto, eseguito a
pantografo, in scala 1:20, per la parte inferiore della facciata e sul rilievo
fotogrammetrico, in scala 1:50, per l'area soprastante.
Tutti i dati relativi ad ogni USM (collocazione topografica, descrizione,
rapporti stratigrafici con le unità circostanti) sono stati, quindi, riportati
nell'apposita scheda.
Proprio questa fase del lavoro, finalizzata all'elaborazione del matrix, si è
rivelata di fondamentale importanza per il riconoscimento delle diverse
fasi costruttive e per il chiarimento dei rapporti cronologici. Talvolta
questo ha significato la rimessa in discussione di ipotesi formulate in studi
precedenti: l'aver individuato, ad esempio, la cesura presente (USM 118)
sul paramento esterno del piano terra della Casa dei Gettatelli, ha, infatti,
permesso di comprendere che questo corpo dello Spedale è nato in due
tempi, seppur molto ravvicinati6.
Al secondo di questi momenti costruttivi, costituito dall'ampliamento verso
est della Casa dei Gettatelli (comprendente due bifore al primo piano ed un
portale d'ingresso al piano terra), si deve anche la costruzione del nucleo
5
Lo stesso criterio è stato seguito in questo volume nell'esposizione dei dati, che si è cercato di
mantenere il più possibile distinta dalla loro interpretazione.
6
Si veda relazione settore III
originario della Corsia Marcacci7, considerata fino ad oggi successiva di
diversi anni al suddetto edificio8. Il rapporto di contemporaneità tra queste
due parti dello Spedale è dimostrato dal fatto che nell'angolo formato dai
due corpi di fabbrica, le murature si legano9. Ancora riguardo a questa
zona dello Spedale, è stato possibile verificare che le due monofore (USM
40 e USM 42 del III settore), oggi tamponate, sono nate
contemporaneamente al primitivo corpo dell'edificio, a differenza di ciò
che precedentemente era stato ipotizzato10.
Un altro importantissimo contributo dell'analisi stratigrafica va indicato nel
riconoscimento della cesura (USM 117) situata sul paramento in calcare
dell'ori ginaria chiesa dello Spedale (settore III). L'individuazione di
questa USM ha permesso di delimitare la porzione di muratura in pietra,
fino ad oggi non riconosciuta, che è servita da raccordo tra la Casa dei
Gettatelli e la chiesa. I rapporti stratigrafici dimostrano, infatti, che 1'USM
89 poggia (quindi è stratigraficamente successiva) sia al paramento in
pietra, USM 33, sia alla muratura in mattoni (USM 110)11.
Gli esempi finora citati sono solo alcuni tra i più significativi risultati
dell'analisi stratigrafica compiuta sul complesso ospedaliero. Nonostante
ciò, va sottolineato che alcune difficoltà sono nate a causa degli interventi
restaurativi subiti dall'edificio. In particolare ci riferiamo ai restauri operati
tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, che, proprio per il loro
intento imitativo, hanno reso talvolta difficilmente riconoscibili le porzioni
di muratura originali ed alcuni rapporti stratigrafici 12.
Al di là di questa difficoltà, dovuta essenzialmente alla traumaticità
dell'intervento di restauro, la cronologia ricostruita tramite l'apporto della
7
Non ci pare opportuno operare delle generalizzazioni basate su quei documenti che citano la
presenza di torri nel contado e, soprattutto, in alcuni centri toscani, tuttavia non sembra possibile
dimostrare l'esistenza di torri in epoche anteriori agli ultimissimi anni del X secolo, mentre la fine
della stagione di costruzione della torre come tipologia edilizia privata, adibita non esclusivamente
a scopi militari o a status symbol, si può collocare fra la fine del XII e i primissimi decenni del XIII
secolo. A Firenze viene proibito il rialzamento o la costruzione di nuove torri nel 1250 (SANTINI
1887, p. 26), mentre a Siena non siamo a conoscenza di una situazione simile, forse addirittura
regolamentata dagli statuti, ma dall'Estimo del 1318 si può osservare quante di quelle torri esistenti
in precedenza siano ormai inglobate in edifici, perdendo il significato principale che avevano
rivestito. Nei tre terzi sono segnalate solo 16 torri e 15 « casa con torre », in confronto alle circa 60
torri esistenti ancora oggi. (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 128-129).
8
Vedi ad esempio GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 132.
9
A tale proposito si veda la relazione del settore VI.
10
Una relazione delle due monofore con l'ampliamento trecentesco della cappella era stata proposta
da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 64.
11
Vedi relazione settore III.
12
Vedi in particolare i restauri riguardanti il settore III.
stratigrafia ha permesso di comprendere lo Spedale nel suo sviluppo
storico. La stessa complessità ed il gran numero degli elementi evidenziati
sul tessuto edilizio, come già detto, propri di un complesso inserito in un
contesto urbano, hanno reso questo tipo di analisi un imprescindibile
strumento di conoscenza, da impiegare come punto di partenza per un
corretto progetto restaurativo.
Osservazioni di cronotipologia sulle aperture a sesto acuto della facciata
dello Spedale
1
Sulle possibilità di datazione offerte dalla cronotipologia delle aperture si veda, ad esempio,
FERRANDO CABONA GARDINI - MANNONI 1978; FERRANDO CABONA - CRUSI 1980;
MANNONI L. e T. 1980; MANNONI 1984a; in particolare FERRANDO MANNONI- PAGELLA
1989 a cui rimandiamo anche per altre indicazioni bibliografiche. Per alcune osservazioni sulla
tipologia degli archi e delle aperture senesi si può vedere CANESTRELLI 1904, pp. 1l6-117,
CHIERICI 1921, DE VECCHI 1949; BRANDI 1983, pp 18-19.
2
I rilievi a nostra disposizione, pubblicati in questo volume, sono quello geometrico, in scala 1:20,
riguardante la parte inferiore della facciata, e quello fotogrammetrico, in scala 1:50 relativo
all'intero prospetto. Il rilievo geometrico, sebbene la scala 1:20 sia senz'altro più indicata per alcune
esigenze delia nostra indagine, non è utilizzabile, almeno per quanto riguarda le problematiche
1. Le finestre (figg. 9-10)
1.1. Le finestre più antiche della facciata del Santa Maria della Scala sono
le prime tre bifore a sinistra, guardando lo Spedale, del primo piano del
Palazzo del Rettore, situate subito al di sopra del tratto di muratura a corsi
alterni di mattoni e conci di calcare (fig. 21, p. 199). La loro costruzione
risulta stratigraficamen te compresa tra le sottostanti arcate,
immediatamente posteriori alla chiesa, edificata a partire dall'anno 1257, e
l'ampliamento del Palazzo del Rettore realizzato, come attesta un'epigrafe,
nel 1290 3. Le bifore, probabilmente collocabili intorno agli anni centrali
di questo periodo, sono formate da un'arco in mattoni a sesto acuto
compresso, sia nella curva dell'intradosso che in quella dell'estradosso
(figg 10.1, 11) L'archivolto è leggermente ricassato rispetto al paramento
murario, appena appena estradossato, impostato su mensole in cotto e
circoscritto da un'esile cornice sgusciata. Quest'ultima, rivoltata in piano
verso l'interno in corrispondenza dell'imposta, riporta l'archivolto al livello
del circostante paramento murario. Le mensole sono modanate con un
tondino, un doppio smusso e due listelli (fig. 21) 4. Nel timpano si aprono
due archetti a sesto acuto equilatero, ricassati, impostati sulle stesse
mensole e su un abaco modanato con uno sguscio e due listelli. Al centro è
situata una colonnina con base ornata a fogliami (in un caso a toretti), fusto
liscio a sezione circolare e capitello scolpito con un giro di quattro foglie,
otto dentelli e un piano smussato sul quale appoggia l'abaco. Gli stipiti
presentano una doppia ricassatura mentre la sottostante cornice
marcapiano, in travertino, che funge anche da davanzale delle bifore, è
sagomata con un tondino, un ampio sguscio e due listelli (fig. 22). Le tre
legate ai centri e alle curvature degli archi. Nella rappresentazione grafica infatti questi ultimi sono
semplicemente intesi come luoghi di riferimento visivo in funzione del rilievo delle sottostanti
strutture realizzato, questo sì, con estrema precisione e accuratezza poiché finalizzato al massimo
grado di approfondimento stratigrafico. La nostra indagine si è quindi basata sul rilievo
fatogrammetrico in scala 1:50. Circa tale rilievo è da precisare che nella definizione esatta dei centri
e dei raggi degli archi influiscono le irregolarità delle curvature in parte determinate dal grado di
approssimazione del ridisegno della restituzione fotogrammetrica probabilmente dovuto all'impiego
di una scala troppo piccola. La necessità, e al tempo stesso la difficoltà, di avere a disposizione
rilievi molto precisi per indagini che hanno come oggetto gli archi, è stata recentemente ribadita
anche da AMBROSI 1990, p. 80.
3
Circa la costruzione della chiesa si veda ASS, Sp., Diplomatico 1257 giu. 27 (cfr. BANCHI 1877,
PP.151-153). Sull'iscrizione del 1290 si veda, in questo volume, il mio intervento a p. 103. Nella
fig. 9 abbiamo indicativamente datato le tre bifore agli anni 1270-80 circa.
4
Un rilievo delle mensole è pubblicato in CHIERICI 1921, p.377.
finestre hanno costituito il prototipo formale di tutte le bifore inserite nella
facciata. Queste infatti, pur differenziandosi, in diversa misura, nelle
dimensioni, nei dettagli decorativi e nell'andamento degli archi,
sostanzialmente ripetono, come vedremo, i caratteri tipologici essenziali
delle prime aperture.
1.2. Nella seconda metà inoltrata del XIII secolo il Palazzo del Rettore
viene ampliato sulla destra con un vasto corpo di fabbrica (fig. 23, p. 199).
Tale intervento, eseguito o concluso, secondo quanto attesta un'epigrafe
posta sulla facciata, nel 1290 5, determina l'inserimento di altre sei bifore,
situate sullo stesso piano delle prime e aventi forme e dimensioni a queste
molto simili (fig. 10.2). Le variazioni riguardano il raggio e la freccia
dell'arco, leggermente maggiori quelli delle bifore più antiche, i pilastri
che separano le aperture, più larghi quelli relativi all'ampliamento, le basi e
i capitelli delle colonnine, caratterizzati da nuove soluzioni formali. In
particolare le basi sono ornate con foglie molto più stilizzate di quelle
precedenti e i capitelli in origine dovevano presentare due giri di foglie
ricurve disposte alternatamente e otto dentelli soprastanti sui quali
appoggiava direttamente, come oggi, l'abaco. Allo stato attuale i capitelli
sono alquanto rovinati tanto che solo i primi quattro a sinistra presentano,
e limitatamente alla faccia rivolta verso la piazza, l'aspetto originale 6. Le
mensole d'im posta degli archi, in cotto, e la sottostante cornice
marcapiano, in travertino e qualche pezzo di "tufo", sono invece identiche
alle precedenti.
1.3. Negli ultimi anni del Duecento e nella prima metà del XIV secolo
l'attività costruttiva principale relativa alla facciata si trasferisce nella parte
opposta, a sinistra guardando il prospetto. Nel 1298 infatti, secondo quanto
indica un'iscrizione non in fase con la muratura nella quale è attualmente
inserita, viene costruita la Casa dei Gettatelli, e nel 1336 il Consiglio
Generale concede allo Spedale l'utilizzazione di due vicoli per potersi
ampliare sulla sinistra, verso il Palazzo Squarcialupi7. Quest'ultima notizia
5
Vedi n. 3.
6
Nel terzo capitello la foglia centrale, a differenza delle altre, è distesa. Nel quinto e nel sesto le
foglie sono completamente, o quasi, rovinate. I sei abachi, in parte frutto di restauri, presentano
varie forme.
7
ASS, Consiglio Generale 119, cc. 36v-38v (cfr. BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 81 152).
Si veda, in questo volume, la trascrizione a p. pp. 113-114. Circa l'epigrafe del 1298 e i problemi ad
essa relativi si veda il mio contributo a p. 103.
è indirettamente confermata da un'epigrafe del 1338, evidentemente
riferibile alla conclusione dei lavori8. A questi anni risale l'inserimento, in
due diverse fasi costruttive, delle dieci bifore situate nella parte sinistra
della facciata (fig. 26, p. 201). In origine il loro numero doveva essere
superiore come sembra indicare la traccia di un'altra finestra posta a
continuazione della stessa sequenza, all'estremità destra. L'assetto di tali
aperture è il risultato di un consistente intervento di ripristino dei primi del
Novecento. Il 22 luglio 1907 infatti il sindaco autorizza l'esecuzione dei
lavori alla facciata dello Spedale secondo il progetto di Vittorio Mariani
approvato nel 1905: « parziale battitura della cortina esistente, riapertura o
scoprimento delle finestre bifore scoperte collo scrostamento dell'intonaco,
ripresa degli archi acuti e degli archetti nelle parti mancanti, colonne di
marmo con base e capitello per le suddette finestre »9. Da una fotografia
pubblicata nel 1913 risulta che in quell'anno tali lavori erano già stati
eseguiti e che la parte della facciata relativa alle dieci finestre presentava
un assetto identico a quello attuale 10. Come risulta dalle testimonianze
scritte, da alcune fotografie anteriori al restauro e soprattutto dall'esame
della tecnica muraria, il rifacimento di tali bifore non è stato totale ma ha
riguardato soltanto gli elementi mancanti o gravemente deteriorati11. Per
quanto riguarda le strutture in laterizi risultano completamente integri
infatti, partendo da sinistra, l'arco maggiore della seconda e della sesta
bifora, il timpano e gli archetti minori dell'ottava, il timpano della nona e
della decima. Nelle altre finestre tali strutture sono completamente o
parzialmente rifatte (fig. 12) 12. Più radicale è stato l'intervento sugli
elementi in pietra. Malgrado che la Commissione Conservatrice dei
Monumenti di Siena, riferendosi al ripristino di tali bifore, raccomandi
espressamente di usare ogni cautela « per salvare tutto ciò che vi può
essere nascosto e completandole solamente in quelle parti mancanti, . . .
lasciando pure come stanno le cornici d'imposte tagliate »13, di fatto gli
attuali capitelli e le attuali mensole d'imposta, ad eccezione forse, per
8
Per la trascrizione dell'epigrafe e alcune questioni ad essa relative vedi, in questo volume,
9
9 Si veda il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA. VV. 1986, PP.33-34, 46 fig. 21. Circa i
lavori si veda pure Restauro 1905, pp. 40-42, e LUSINI 1907, pp. 67, 104.
10
[DE NICOLA] 1913, p. 9 (in questo volume fig. 42, p. 85).
11
Circa le fotografie si veda LUCHINI 1987, P.106, e Archivio Alinari, coll. Fratelli Brogi n 13431
(in questo volume fig. 5, p.37). Per quanto riguarda le testimonianze scritte cfr. supra n. 9.
. 12 Le differenze tra i materiali originali eguelli restaurati sono ben visibili, anche a distanza, con
l'uso di un semplice binocolo. I nostri dati coincidono con quelli raccolti da Roberto Parenti durante
un sopralluogo eseguito alcuni anni fa in occasione della presenza di ponteggi.
13
Restauro 1905, pp. 40-41.
queste ultime, di qualche piccolo frammento, risultano tutti rifatti.
Sembrano invece originali, o comunque precedenti ai restauri, alcuni pezzi
di travertino della sottostante cornice marcapiano, anch'essa ripristinata,
che funge da davanzale. La presenza di quest'ultima, del resto, è
chiaramente testimoniata dalle fotografie anteriori al restauro 14. È da
notare che i mattoni originali delle prime due bifore sono caratterizzati da
una rifinitura a spinapesce. Quelli originali delle altre aperture presentano
invece una semplice lavorazione a liste oblique. Tale diversità, coerente
con la rifinitura del paramento murario circostante le finestre, non è
casuale. Le otto bifore con mattoni rifiniti a liste oblique appartengono
infatti alla prima fase costruttiva della Casa dei Gettatelli, presumibilmente
databile al 1298, mentre le altre due sono riferibili ad un ampliamento
dell'edificio, probabilmente collegabile con la notizia documentaria del
1336 e con l'epigrafe del 1338 15. Tali rifiniture sono abbastanza diffuse
nell'edilizia gotica senese. Quella a spinapesce figura ad esempio nei
laterizi della Fonte Nuova di Ovile e della facciata del Palazzo Pubblico,
costruite tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento 16. I mattoni
utilizzati nel restauro novecentesco delle dieci bifore della Casa dei
Gettatelli, per quanto anch'essi rifiniti, con un intento chiaramente
imitativo, a liste oblique e a spinapesce, sono ben riconoscibili da quelli
originali17. L'appartenenza di tali bifore a due distinte fasi costruttive, per
quanto cronologicamente vicine, risulta evidenziata, oltre che dalla diversa
rifinitura della superficie, dall'improvviso cambiamento di ritmo del
pilastro compreso tra la seconda e la terza bifora, la cui larghezza è quasi
doppia di quella degli altri, e soprattutto da una soluzione di continuità che
corre verticalmente lungo l'edificio. Non è invece percepibile dalla forma e
dalle dimensioni delle finestre, sulla cui identità ha evidentemente influito
il fatto di essere disposte lungo la stessa sequenza.
Le dieci bifore della Casa dei Gettatelli presentano la stessa tipologia delle
tre finestre più antiche del Palazzo del Rettore ma si differenziano da
queste per un aspetto più slanciato dovuto sia alla maggiore altezza del
vano di apertura compreso tra il davanzale e la linea d'imposta dell'arco
14
Vedi n. 11 e la foto pubblicata in AA.VV. 1986, p. 165.
15
Cfr. fig. 12. Per le datazioni vedi nn. 7 e 8. Circa alcuni problemi relativi alle datazioni assolute
che abbiamo proposto per le due fasi della Casa dei Gettatelli rimandiamo, in questo volume,
all'articolo sugli indicatori cronologici.
16
Per la datazione si veda BARGAGLI PETRUCCI 1974, I, pp. 292-299; CORDARO 1983, pp.
33-36.
17
Cfr. n. 12.
che all'andamento più acuto dell'arco stesso (fig. 10.3). Quest'ultimo infatti
presenta una freccia della stessa misura ma un raggio di lunghezza
maggiore e una corda di lunghezza minore. L'arco inoltre, pur essendo
ancora compresso, si avvicina al tipo equilatero. Se facciamo il confronto
con le sei finestre relative all'ampliamento del Palazzo del Rettore a tali
divergenze, che risultano ancor più accentuate, si aggiungono pure quelle
determinate dalla maggior lunghezza della freccia dell'arco. Per quanto
riguarda il vano di apertura compreso tra il davanzale e la linea di imposta
è da sottolineare che mentre in tutte le bifore del primo piano del Palazzo
del Rettore, comprese tra il 1257 e il 1290, la larghezza è maggiore
dell'altezza, nelle finestre della Casa dei Gettatelli, databili tra il 1298 e il
1338, la larghezza è minore dell'altezza. Il confronto tra gli elementi
ornamentali è decisamente compromesso dal rifacimento novecentesco,
per quanto una foto anteriore ad esso mostri come i restauratori abbiano
avuto a disposizione una bifora in buona parte ancora integra, l'ottava, alla
quale potrebbero essersi ispirati per la tipologia delle colonnine, delle basi
e dei capitelli18. È probabilmente questa la « finestra intatta » di cui si parla
nella delibera del 1905 della Commissione Conservatrice dei Monumenti
di Siena19. Allo stato attuale tuttavia
gli unici elementi originali della bifora, come abbiamo già sottolineato,
sono gli archetti minori e il timpano. Le basi delle dieci colonnine del
Mariani presentano la stessa tipologia di quelle delle bifore del 1290,
mentre i capitelli si avvicinano a quelli presenti nelle finestre del 1350, di
cui parleremo in seguito, i quali comunque ripetono, pur con varianti
stilistiche, lo schema tipologico 'inaugurato' nel 1290. Da un'altra foto
inoltre risulta che le mensole d'imposta degli archi erano tagliate soltanto
sul lato esterno, a filo del paramento murario circostante, mentre erano
ancora integre, o lo erano almeno in parte, sul lato interno, in
corrispondenza dell'intradosso 20. Un frammento forse originale delle
mensole d'imposta dell'arco della prima bifora presenta le stesse
modanature della cornice di travertino che funge da davanzale delle dieci
finestre, solo parzialmente rifatta. Quest'ultima è caratterizzata da
modanature simili a quelle che abbiamo osservato nella cornice-davanzale
del primo piano del Palazzo del Rettore (un tondino, uno sguscio e due
listelli).
18
La foto è pubblicata in LUCHINI 1987, p. 106.
19
Restauro 1905, p. 41.
20
Archivio Alinari, coll Fratelli Brogi, n. 13431.
1.4. Il prospetto su piazza del Duomo del palazzo disposto
perpendicolarmente alla Casa dei Gettatelli, conosciuto con varie
denominazioni e nel presente volume chiamato, ampliando
convenzionalmente all'intero edificio il titolo di una sala ospedaliera,
Corsia Marcacci, è caratterizzato, al primo piano, da una complessa
sequenza stratigrafica21. Tra le varie aperture e tamponature sono ben
riconoscibili le tracce di una finestra appartenente all'assetto originale,
evidentemente una bifora, consistenti nei resti di un arco a sesto acuto
circoscritto da una cornice in cotto sgusciata (Tav. D p. 251, USM 46). Si
conservano pure, sebbene in gran parte tagliate, la cornice d'imposta
dell'arco e la sottostante cornice-davanzale, in travertino, le quali si
differenziano da quelle del primo piano del Palazzo del Rettore e della
Casa dei Gettatelli per uno sguscio meno pronunciato e la quasi totale
assenza del tondino22. L'arco invece, per la parte che rimane, presenta uno
spessore e una curvatura identici, addirittura 'sovrapponibili', a quelli delle
bifore della Casa dei Gettatelli. Della stessa altezza era inoltre il vano di
apertura compreso tra la linea d'imposta e il davanzale, deducibile dalla
distanza tra le mensole d'imposta dell'arco e la sottostante cornice
marcapiano. In questo caso l'esatta corrispondenza formale e dimensionale,
per quanto limitata ad alcuni elementi, può essere cronologicamente
significativa poiché tali aperture non sono situate sulle stesse direttrici
orizzontali o verticali e perciò non risultano condizionate da un'eventuale
esigenza estetica di rispettare il ritmo compositivo della facciata (i
prospetti dei due edifici, come abbiamo detto, sono perpendicolari e i
rispettivi primi piani sono tra loro sfalsati). Ma vi è ancora un altro
elemento particolarmente significativo. Malgrado che i restauri dell'inizio
del secolo abbiano, con un'operazione di gradinatura, asportato la parte
superficiale dei mattoni che costituiscono il prospetto, sono ancora visibili
deboli tracce di una decorazione a spinapesce identica a quella che
abbiamo osservato nell'ampliamento della Casa dei Gettatelli, decorazione
che in origine doveva interessare l'intera facciata dell'edificio. Tali tracce
sono riconoscibili in alcuni laterizi situati nell'estremità sinistra del
prospetto, tra l'epigrafe del 1338 e lo spigolo, e in alcuni mattoni
21
Ad esempio MACCHI, Origine, c. 59v (« già Palazzo di casa Squarcialupi hoggi Convento delle
fanciulle »); PECCI 1730, c. 71v (« Spedale delle Donne »); LUSINI 1921, P 315 e n. 5 (« Palazzo
Ugurgieri »).
22
Il tratto di cornice situato al pianoterra della stessa facciata, formato da laterizi intonacati, è
invece frutto di un restauro.
appartenenti proprio all'archivolto della nostra bifora. Questi elementi, in
primo luogo l'esatta corrispondenza degli archi e la presenza della stessa
rifinitura di superficie, costituiscono un'importante conferma della
contemporaneità costruttiva tra la « Corsia Marcacci » e l'ampliamento
della Casa dei Gettatelli, che abbiamo assegnato al 1336-1338, emersa
dall'esame della tecnica muraria, dalla mensiocronologia e dall'analisi
stratigrafica23.
Decisamente scarse sono le tracce di un'altra finestra situata a destra della
precedente, alla stessa altezza. Di tale apertura, che le fonti iconografiche
rappresentano come una bifora identica a quella di cui abbiamo parlato 24,
si conserva soltanto il tratto inferiore destro della cornice in cotto, tra
l'altro tagliata, che in origine ornava l'estradosso dell'archivolto. Molto
probabilmente le due bifore erano simili a quelle tuttora presenti nella
facciata dello stesso edificio prospiciente via del Capitano, facciata non
inclusa nell'attuale indagine stratigrafica sul Santa Maria ma di grande
importanza per una migliore comprensione delle strutture prese in esame
poiché coeva al prospetto su piazza del Duomo. Pur essendo stata
interessata da successivi interventi, tra cui la soprelevazione di un piano,
tale facciata costituisce una delle più interessanti testimonianze della Siena
trecentesca25. E caratterizzata da due portali sestiacuti al pianoterra, adesso
tamponati, da due monofore con archi a sesto ribassato al soprastante
mezzanino e da quattro bifore con archi a sesto acuto al primo piano.
L'intera superficie muraria, compresi gli archi, i timpani e gli stipiti delle
aperture, presenta una bella finitura a spinapesce uguale a quella che
abbiamo riscontrato in alcuni mattoni della facciata su piazza del Duomo
dello stesso palazzo (fig. 13). Soltanto l'occhio del pianoterra, le
tamponature dei due portali e gli archetti minori delle finestre non sono
decorati. Le mensole d'imposta e le cornici del primo piano e del
pianoterra (fig. 24) presentano le stesse modanature di quelle dell'altra
facciata dell'edificio, mentre le quattro bifore ripetono, con leggere
23
Sui dati stratigrafici e mensiocronologici rimandiamo ai contributi specifici presenti in questo
volume.
24
In particolare si veda il dipinto di Agostino Marcocci, dei primi del Seicento, conservato nel
Museo Civico di Siena (fig. 17, p. 59).
25
All'anno 1926 risale un intervento di ripristino consistente nella riapertura di una finestra al
mezzanino e di due bifore al primo piano e nella chiusura di un finestrino situato sotto la prima
bifora a sinistra (si veda il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, pp.37, 104 fig. 9).
Per quanto riguarda la costruzione del secondo piano si veda, in questo volume, la lettura
stratigrafica del VI settore.
varianti, i caratteri tipologici essenziali delle finestre sestiacute del
prospetto principale dello Spedale26.
1.5. Dopo l'edificazione e l'ampliamento della Casa dei Gettatelli e della «
Corsia Marcacci » l'attività costruttiva torna ad avere per oggetto il
Palazzo del Rettore il quale viene rialzato con un secondo piano
caratterizzato da cinque bifore (fig. 35, p. 213). Per la costruzione di tali
finestre Girolamo Macchi esplicitamente indica, in due diverse carte dello
stesso manoscritto, sia l'anno 1350 che l'anno 1479 27. I risultati dell'analisi
stratigrafica sono favorevoli alla prima delle due date poiché la muratura
in cui sono inserite le bifore è posteriore al 1290, anno in cui viene
terminato l'ampliamento del Palazzo del Rettore, e anteriore al 1466, anno
in cui iniziano i lavori di ampliamento della chiesa 28. Tra la terza e la
quarta bifora, a partire da sinistra, è visibile una soluzione di continuità.
L'omogeneità dell'apparecchiatura muraria e della finitura della superficie
tuttavia suggerisce di interpretare tale soluzione in un dissesto o in una
semplice stasi di cantiere. Pure i caratteri formali e dimensionali delle
cinque bifore sono tra loro del tutto identici. La loro tipologia ancora una
volta ripete le caratteristiche fondamentali delle precedenti aperture (fig.
10.4). Essendo tali finestre disposte lungo le direttrici verticali relative alle
bifore del primo piano i costruttori hanno ripetuto le misure orizzontali,
ovvero la corda degli archi, l'ampiezza delle aperture e la larghezza dei
pilastri di divisione, di queste ultime, in particolare delle prime tre bifore a
sinistra, le più antiche (le finestre inserite con l'ampliamento del 1290
hanno pilastri di maggiore larghezza). Più significativo è il confronto
relativo agli elementi verticali essendo questi meno condizionati dalla
disposizione delle aperture preesistenti. Per quanto riguarda l'arco è da
notare che sebbene la freccia e la corda siano quasi uguali a quelle delle tre
26
Circa le dimensioni delle bifore non disponiamo di elaborati grafici. Gli abachi sono caratterizzati
da uno smusso, uno sguscio e due fistelli. I capitelli ripetono, con qualche variante stilistica, la
tipologia di quelli del 1290 e del 1350 (per una corretta valutazione degli elementi costituenti le
colonnine occorrerebbe comunque un'accurata indagine volta a verificare l'entità dei lavori di
restauro).
27
27 MACCHI, Origine, cc. 17r, 60r.
28
In MACCHI, Origine, C. 60r, la data 1480 è stata inoltre successivamente corretta, dallo
studioso, con la data 1350. Agli anni 1479-1482 è invece assegnabile, come indica, questa volta
senza esitazioni, lo stesso Macchi, il piano soprastante le bifore, corrispondente al coronamento
merlato, stratigraficamente posteriore all'ampliamento della chiesa (MACCHI, Origine, cc b, 17r
MACCHI, Memorie, II, c. 198v). Sullla questione cfr. pure GALLAVOTTI CAVALLERO, 1985a,
pp. 6364. Circa 1'ampliamento della chiesa vedi ASS, Sp. 24, c. 169r (cfr. BANCHI 1877, pp. 124
125 GALLAVOTTI CAVALLERO1985a, p. 430 n. 375).
bifore più antiche del primo piano l'andamento della curvatura è diverso.
Ciò sembra derivare dalla differente posizione dei centri dei rispettivi raggi
che, dai rilievi a nostra disposizione, risultano situati al di sotto della linea
d'imposta. I raggi inoltre hanno una lunghezza quasi uguale a quella della
corda. Ma la differenza più marcata tra le due serie di bifore riguarda,
anche in questo caso, la maggiore verticalità complessiva di quelle
assegnate al 1350, dovuta alla maggiore altezza del vano di apertura
compreso tra la linea d'imposta e il davanzale. Sotto questo aspetto le
finestre del secondo piano, collocate alla metà del XIV secolo, si
avvicinano, pur avendo complessivamente maggiori dimensioni, a quelle
della Casa dei Gettatelli, che abbiamo datato al 1298 e al 1336-1338; come
nel loro caso infatti, al contrario di quanto avviene nelle bifore del primo
piano del Palazzo del Rettore, l'altezza del vano di apertura compreso tra la
linea d'imposta dell'arco e il davanzale è maggiore della larghezza.
Caratteri innovativi infine presentano gli elementi ornamentali: i capitelli
ripetono lo schema tipologico di quelli delle bifore del 1290 ma presentano
fogliami più pronunciati e vigorosi (il confronto con quelli della Casa dei
Gettatelli, a causa dei rifacimenti, è poco significativo), mentre le mensole
d'imposta e la sottostante cornice marcapiano, in travertino, semplicemente
modanate con uno sguscio e due listelli, si differenziano nettamente, per
l'assenza del tondino, sia da quelle del Palazzo del Rettore che da quelle
della Casa dei Gettatelli (fig. 25). Nel loro caso il confronto più vicino è
con le cornici della « Corsia Marcacci », databili al 1336-1338.
Modanature identiche alle imposte e al davanzale figurano negli abachi
sopra
stanti i capitelli.
Le cinque bifore del secondo piano sono le uniche finestre della facciata
che attualmente presentano altrettante armi inserite nei rispettivi timpani.
Si tratta di cinque lapidi di forma rettangolare delimitate da una cornice a
listello, all'interno delle quali sono altrettanti scudi a mandorla che recano
scolpite la scala dello Spedale, la balzana del Comune, la scritta libertas
della Repubblica, il leone rampante del Popolo e l'emblema cuneato della
famiglia Cinughi29. Secondo il Macchi le cinque armi sarebbero state
inserite dal rettore Cino di Checco Cinughi nel 1479 30. La questione è
complessa. A parte il fatto che il rettorato del Cinughi è compreso tra
29
Gli stemmi sono elencati secondo la loro disposizione, da sinistra a destra guardando la facciata.
Per il loro riconoscimento abbiamo utilizzato GALLACCINI 1719, cc. 205-207, 238.
30
MACCHI, Origine, c. 17r.
l'agosto 1480 e il gennaio 1483 31, lo studioso mette in relazione il loro
inserimento con la costruzione delle cinque finestre le quali, come
abbiamo sottolineato, non possono appartenere, per ragioni stratigrafiche,
a quegli anni. A tal proposito è da notare che l'unico stemma di famiglia
presente non ci offre, sotto questo aspetto alcun aiuto poiché pure nel
1350, anno in cui tali aperture sembrano collocabili, era rettore un
Cinughi, Mino di Cino 32, La notevole altezza a cui si trovano le cinque
armi ci ha impedito di accertare o meno la loro contemporaneità con le
murature in cui sono inserite. Da un esame non ravvicinato risulta che il
paramento murario circostante il terzo e il quarto stemma, cioè quelli della
Repubblica e del Popolo, è rimaneggiato in corrispondenza del lato destro,
mentre il paramento relativo alle altre armi sembra ben connesso. Almeno
per i primi due stemmi sembra quindi da escludere la contemporaneità
stratigrafica con le rispettive finestre 33.
31
BANCHI 1877, pp. 275-279.
32
Ibid., pp. 42-45.
33
Nel caso di un'azione di taglio è generalmente difficile capire se l'inserimento della lapide
(stemma, epigrafe, ecc.) sia immediatamente successivo alla muratura, e quindi appartenga alla
medesima attività costruttiva, o sia il risultato di un intervento decisamente posteriore, magari
inerente ad un'azione di reimpiego (sulla questione, relativamente alle epigrafi, si veda PARENTI
1988, p. 286).
34
ASS, Sp. 351, cc. 219rv (cfr. BANCHI 1877, pp. 416-417; GALLAVOTTI CAVALLERO
1985a, pp. 349, 377 n. 62). Circa l'assetto delle strutture relative a via dei Fusari precedente la
demolizione cfr. in questo volume le figg. 15a p. 56; 20, p. 60.
finestre, disposte sulla stessa direttrice orizzontale delle aperture
tardo-duecentesche, a continuazione della stessa sequenza.
*
* *
2.1. Per quanto riguarda le arcate cieche e i portali a sesto acuto della parte
inferiore della facciata i risultati dell'indagine svolta indicano nelle prime
tre aperture a sinistra del Palazzo del Rettore, adesso tamponate, gli
elementi più antichi, probabilmente riferibili a poco dopo il 1257 (fig. 18,
p. 194). Le tre arcate, identificabili in un porticato affiancato alla parete
nord della chiesa dello Spedale, risultano infatti stratigraficamente
successive a quest'ultima, edificata a partire da tale data, e anteriori alle
soprastanti bifore, costruite precedentemente all'ampliamento del Palazzo
del Rettore, realizzato o concluso nel 1290 35. L'arco dell'apertura centrale
è rifatto. I pilastri e gli altri due archi sono caratterizzati, come il
circostante paramento, da una tecnica muraria a corsi alterni di mattoni e
conci di calcare squadrati e spianati (la sequenza è costituita da tre file di
laterizi ed una in pietra). La squadratura dei conci non è particolarmente
accurata e i giunti sono alquanto spessi. Gli archi (fig. 16), con l'intradosso
e l'estradosso a sesto acuto compresso, sono privi di ricassatura, circoscritti
da una cornice di mattoni situata sullo stesso piano dell'archivolto e del
paramento murario, e impostati su grosse mensole di calcare
semplicemente squadrate e appena smussate negli spigoli inferiori 36
Presentano inoltre il concio di chiave e sono caratterizzati da un
andamento decisamente estradossato, ovvero un consistente aumento dello
spessore dalle imposte alla chiave. I giunti sono prevalentemente
35
Vedi n. 3. Nella fig. 14 abbiamo indicativamente proposto una datazione agli anni 12601270
circa.
36
Mensole di imposta di questo tipo sono comuni a molti edifici in pietra della città assegnati alla
fase più arcaica del gotico civile senese (per un quadro generale si veda CHIERICI 1921, pp. 351
ss., e DE VECCHI 1949, pp. 17-31).
direzionati verso la zona centrale della corda (fig. 15.6). I pilastri
presentano spigoli leggermente arrotondati.
2.2. Con l'ampliamento del Palazzo del Rettore, realizzato nel 1290, alle
tre aperture vengono affiancate, sul lato destro, altre sei arcate, in origine
aperte e successivamente tamponate in più fasi (fig. 23, p. 199)37. Pur
avendo archi a sesto acuto compresso, archivolti e cornici degli estradossi
posti sullo stesso piano del paramento murario e dimensioni abbastanza
simili alle precedenti arcate si differenziano nettamente da queste sia per il
materiale utilizzato, interamente costituito da laterizi ad eccezione
dell'ultimo pilastro a destra, in pietra, che per alcuni aspetti tipologici quali
l'andamento meno estradossato dell'arco, la presenza di pilastri a spigoli
vivi e l'impiego di mensole d'imposta modanate (fig. 17). Pure il ritmo
delle arcate si differenzia leggermente da quelle più antiche per la
maggiore ampiezza dei pilastri su cui si impostano. Per quanto riguarda
l'arco la minore estradossatura deriva principalmente dalla maggior
lunghezza della freccia e del raggio dell'intradosso (fig. 15.7). I giunti sono
direzionati verso la zona centrale della corda mentre la presenza della
chiave sembra del tutto casuale (figura in tre casi). Le mensole, di
travertino e qualche pezzo di "tufo", sagomate con un tondino, uno sguscio
e due listelli, sono identiche, anche nelle proporzioni, alla cornice
sottostante le bifore del primo piano dello stesso palazzo,
cronologicamente coeve (fig. 23). Con tali bifore gli archi del pianoterra
hanno pure in comune, malgrado le diverse dimensioni, la stessa lunghezza
del raggio dell'intradosso e quindi lo stesso tipo di curvatura. Non è perciò
da escludere che nella costruzione delle bifore siano state riutilizzate le
stesse centine, adeguatamente modificate, impiegate nella costruzione
delle sottostanti arcate38.
2.3. Al pianoterra della Casa dei Gettatelli figurano quattro arcate a sesto
acuto (fig. 26, p. 201). La prima, a partire da sinistra guardando la facciata,
è inserita nel tratto dell'edificio relativo all'ampliamento del 1336-1338, le
altre sono situate nel corpo originale del 1298 39. Tutte sono state
37
Vedi n. 3. Circa i tamponamenti cfr. in questo volume la lettura stratigrafica del settore I.
38
Uno dei grandi vantaggi dell'impiego dell'arco acuto è quello di oter eseguire con lo stesso raggio
archi di dimensioni diverse. Ciò consente di utilizzare conci dalle misure standardizzate, aspetto che
non riguarda il nostro caso, e di reimpiegare le stesse centine (sull'argomento si veda BECHMANN
1984, PP. 162-1641).
39
Cfr. nn. 7 e 8.
radicalmente interessate dai lavori di restauro dei primi del Novecento. In
particolare sono state parzialmente rifatte la terza e la quarta arcata e
completamente ricostruite la prima e la seconda. Di queste ultime
parleremo più avanti. In alcune fotografie anteriori ai restauri del Mariani
la terza e la quarta arcata, come oggi tamponate, presentano un aspetto
simile a quello attuale40. Le due arcate, identiche per forma e dimensioni,
sono caratterizzate da archi a sesto acuto compresso leggermente
estradossati e da sottostanti archi a sesto ribassato impostati sul loro
intradosso (figg. 15.8, 18). Il timpano è delimitato da una cornice a smusso
mentre l'estradosso dell'arco sestiacuto è ornato da una cornice sgusciata
simile a quella delle soprastanti bifore41. I materiali impiegati evidenziano,
come abbiamo detto, consistenti rifacimenti. Le due arcate conservano
alcuni tratti originali negli archi acuti, con mattoni rifiniti a spinapesce, e
probabilmente nei timpani, con mattoni rifiniti a liste oblique 42. Gli stipiti
e gli archi ribassati sono invece del tutto rifatti. Frutto del ripristino
novecentesco è anche la cornice in cotto modanato che scandisce
orizzontalmente la facciata in corrispondenza delle linee di imposta degli
archi. La direzione dei giunti dei due archi tende verso la zona centrale
della corda (i rilievi a nostra disposizione non sembrano in questo caso
pienamente attendibili). È da sottolineare che i loro caratteri formali si
differenziano nettamente da quelli di tutte le aperture del pianoterra della
facciata, ad esclusione delle altre due arcate della Casa dei Gettatelli, sia
per la minima estradossatura dell'archivolto che per la presenza del
timpano, dell'arco ribassato e della doppia cornice.
2.4. Allo stesso periodo, forse all'inizio del XIV secolo, dovrebbe
appartenere l'attuale portale di ingresso allo Spedale, in precedenza portale
principale della chiesa. Di quest'ultima non dovette comunque costituire
l'ingresso originale. Tale apertura infatti deve essere stata costruita quando
ormai il prospetto dello Spedale aveva raggiunto un certo sviluppo in
altezza poiché le notevoli dimensioni risultano assolutamente
sproporzionate alla piccola chiesa duecentesca, presumibilmente
corrispondente ad una parte del tratto di facciata caratterizzato dal
40
LUCHINI 1987, p. 106, e in questo volume fig. 5, p. 37.
41
Nel rilievo 1:50 la cornice del timpano non è stata riportata.
42
La rifinitura a spinapesce presenta caratteri diversi (i tratti sono più fitti) da quelli visibili negli
archi delle due bifore appartenenti all'ampliamento della Casa dei Gettatelli, del 1336-1338.
paramento murario in calcare43. Il portale è formato da un arco a sesto
acuto, anch'esso in calcare, ricassato in corrispondenza dell'intradosso e
impostato su mensole completamente prive di decorazioni sul lato esterno
e scolpite a fogliami stilizzati nell'imbotte (fig. 19). Allo stato attuale
queste ultime risultano tagliate verticalmente sul lato interno. Gli stipiti
sono ricassati a spigoli vivi. I conci che formano il portale sono ben
squadrati e spianati, separati da giunti sottili e perfettamente connessi.
L'archivolto, leggermente rientrante rispetto al paramento murario,
presenta un andamento estradossato ed è circoscritto da una cornice in
serpentina scura sgusciata e rivoltata in piano verso l'interno. Sia
l'intradosso che l'estradosso sono a sesto acuto compresso e i loro centri
sono leggermente situati al di sopra della linea di imposta (fig. 15.9). I
giunti sono prevalentemente direzionati verso il centro della corda e nel
concio di chiave è inserita una croce di serpentina a bracci uguali. Insieme
ad altri elementi, che però risultano ampiamente diffusi, come vedremo, in
tutta l'architettura gotica senese, la ricassatura degli stipiti e soprattutto la
ghiera sgusciata di serpentina, avvicinano il portale alle arcate del
pianoterra del Palazzo Pubblico di Siena, costruito tra la fine del Duecento
e i primi del Trecento, dalle quali potrebbero derivare. Da queste tuttavia il
portale dello Spedale si differenzia per l'assenza del timpano e del sottarco
a sesto ribassato, la diversa sagomatura delle mensole d'imposta e la
presenza di un arco di tipo compresso anziché equilatero44.
44 Circa l'ipotesi della derivazione di alcuni elementi dalle arcate del Palazzo Pubblico si veda
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 61. E’ da segnalare che nella restituzione
fotogrammetrica 1:50 i fogliami delle mensole d'imposta non sono stati disegnati e che nel rilievo
geometrico 1:20 figura, erroneamente, un archivolto di tipo equilatero anziché compresso (vedi
comunque le osservazioni in n. 2).
timpano e dell'arco a sesto ribassato e la presenza di conci di pietre scure
nell'intradosso. Le mensole d'imposta ornate con una grande foglia
richiamano inoltre, in qualche modo, quelle tuttora presenti nel
sopraddetto portale 45.
2.6. Un'altra apertura sembra avere avuto in origine caratteri molto simili a
quelli dell'attuale portale di accesso allo Spedale. Si tratta dell'ingresso
principale della Casa dei Gettatelli, corrispondente alla seconda arcata a
sinistra dell'edificio, arcata completamente rifatta all'inizio di questo
secolo. Alcune fotografie anteriori a tale rifacimento mostrano che il
portale originale aveva forme e dimensioni ben divererse da quelle attuali
(fig. 5, p. 37). Il portale, presumibilmente databile con l'epigrafe del 1298,
interamente formato da laterizi, era caratterizzato da un grande arco a sesto
acuto estradossato, da un sottostante arco, anch'esso a sesto acuto, dal
timpano e da un arco a sesto ribassato. L'arco maggiore era circoscritto da
una cornice nell'estradosso e probabilmente ricassato in corrispondenza
dell'intradosso46. La sagoma dell'estradosso è ancora visibile nella
muratura soprastante l'attuale arco acuto. Malgrado il diverso materiale da
costruzione il portale doveva avere strette analogie, come abbiamo
accennato, con quello della chiesa, adesso ingresso dello Spedale, sia per
le dimensioni che per i caratteri formali dell'archivolto maggiore. Non è da
escludere inoltre che in origine sia stato privo, come quello, dell'arco acuto
minore, del timpano e dell'arco ribassato. Quest'ultimo infatti non si
impostava direttamente sull'intradosso dell'arco a sesto acuto, come nel
tipico abbinamento senese dei due archi, bensì subito al di sotto di esso,
secondo una soluzione particolarmente rara nell'architettura della città47.
L'arco a sesto acuto minore inoltre non costituiva una semplice ricassatura
dell'arco maggiore ma presentava, insolitamente, un andamento del tutto
diverso da quest'ultimo ed era impostato sul suo intradosso48.
45
È comunque da notare che le mensole del portale principale, tuttora esistenti, non sono state
disegnate. Ilcarattere realistico, quasi 'fotografico', di tale affresco è stato più volte sottolineato (si
veda ad esempio GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 160, GALLAVOTTI
CAVALLERO - BROGIOLO 1987, pp. 40, 54-55; TORRITI 1987, p. 69).
46
Per le foto cfr. n. 11; per la datazione n. 7.
47
L'unico esempio noto è quello del portale centrale del prospetto, molto rimaneggiato, del Palazzo
Tolomei su via dei Termini (cfr. CHIERICI 1921, pp. 372, 374, DE VECCHI1949, pp. 21 33;
BRANDI 1983, p. 18).
48
In alcune fotografie anteriori alla rimozione dell'intonaco la somiglianza tra il portale della Casa
dei Gettatelli e quello dell'attuale ingresso dello Spedale è accentuata dall'intonacatura degli
archivolti a finti conci bianchi e neri, probabilmente risalente agli anni 1720-1721 (le foto sono
pubblicate m AA.VV. 198G, pp. 30, 165). Nelle stesse fotografie le strutture del timpano del portale
2.7. Qualche accenno meritano, per quanto non inclusi nell'indagine
stratigrafica, pure le due arcate situate nella facciata dello Spedale delle
Donne prospiciente via del Capitano, probabilmente databili tra il 1336 e il
1338. Come nella Casa dei Gettatelli siamo in presenza di archi acuti
leggermente estradossati, ricassati e circoscritti da una cornice sgusciata. A
differenza delle precedenti aperture presentano però stipiti arrotondati e
sono privi, almeno nell'assetto attuale, del timpano e dell'arco ribassato.
Circa la finitura a spinapesce dei mattoni che li costituiscono abbiamo già
parlato49.
della Casa dei Gettatelli risultano nascoste dai battenti della porta, probabilmente gli stessi che
furono poi trasferiti nel nuovo portale di accesso alla chiesa, costruito nel 1895-189G dove sono
tuttora. Circa l'intonacatura vedi MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v.
49
Non disponiamo di rilievi per identificare l'esatta tipologia degli archi. Circa la datazione
proposta cfr. supra nn. 7, 8, 15 e, in questo volume, le mie osservazioni nell'articolo sugli indicatori
cronologici.
50
Vedi n. 34.
51
Si veda la lettura stratigrafica del settore VII. Le tamponature delle ultime due arcate a destra del
Palazzo del Rettore sembrano databili all'anno 1584 (cfr. la lettura stratigrafica del settore I). Per
altre indicazioni sulla tipologia degli archi acuti vedi paragrafo 2.2.
relativo accesso, in ingresso principale dello Spedale e nella costruzione di
un nuovo portale per accedere alla medesima. Il progetto, dell'architetto
Augusto Corbi, fu realizzato tra il 1895 e il 1896 52. Il nuovo portale,
inserito nel tratto in calcare della facciata, presenta caratteri formali,
tecnici e dimensionali del tutto simili, anche nei dettagli, a quelli del
portale originale, compreso il numero dei conci che compongono l'arco e
la presenza della croce in serpentina nel concio di chiave (figg. 15.11, 20).
Sotto questo aspetto esso costituisce un ottimo esempio delle capacità
tecniche raggiunte dagli architetti e dalle maestranze senesi di fine
Ottocento nel riprodurre aperture medievali. Le uniche differenze
apprezzabili tra i due portali, a parte il diverso stato di conservazione dei
materiali, particolarmente evidente nelle cornici di serpentina, riguardano
la finitura dei conci e l'andamento di alcuni giunti. I conci del portale
medievale, ad eccezione di quelli situati nella parte inferiore degli stipiti,
chiaramente sostituiti, presentano tracce di una finitura originale ottenuta
con una polka, mentre i conci del portale ottocentesco sono rifiniti con una
gradina53. È inoltre da notare che nel portale originale i giunti dei conci
che formano l'archivolto in calcare, la cornice in serpentina e il sottostante
arco ricassato, anch'esso in serpentina, sono prevalentemente direzionati
verso il centro della corda dell'arco. Anche nel portale neogotico i giunti
dell'archivolto principale seguono fedelmente tale andamento ma quelli
relativi agli elementi in serpentina (cornice e arco ricassato) sono
direzionati verso due zone situate vicino alle estremità della corda, dove si
trovano i centri dei due segmenti di circonferenza che formano l'arco
acuto. Sotto questo aspetto il portale ottocentesco più che a quello dello
Spedale si avvicina alle arcate del pianoterra della facciata del Palazzo
Pubblico le quali presentano, nel diverso andamento tra i giunti degli
archivolti e quelli delle cornici, una soluzione del tutto analoga54.
52
L'approvazione del progetto è del 27 agosto 1895 Ivi veda l'intervento di Dezzi Bardeschi et alii,
in AA. VV. 1986, p. 28). Dal progetto di Vittorio Mariani relativo alla sistemazione di nuovi fanali
a gas sulla facciata, presentato al Comune il 24 dicembre 1896, risulta che il nuovo portale e già
stato eseguito (ibid., pp. 28-29).
53
Cfr. in questo volume il contributo di G. Bianchi e R. Parenti. Sugli strumenti utilizzati a Siena
per il taglio e la lavorazione delle pietre si può vedere la recente tesi di BIANCHI 1988-89.
54
Per un confronto tra i giunti dei vari elementi dei due portali dello Spedale si possono vedere, in
mancanza di rilievi specifici, le fotografie pubblicate in AA VV. 1986, p. 103. Il confronto con i
giunti delle arcate del Palazzo Pubblico deriva da una semplice osservazione de visu (a tal proposito
è da segnalare che il disegno pubblicato in CHIERICI 1921, P. 371, per quanto riguarda
l'andamento dei giunti delle cornici è errato).
2.10. Con il totale rifacimento delle prime due arcate a sinistra della Casa
dei Gettatelli, realizzato all'inizio del Novecento in occasione dei restauri
del Mariani, si chiude la sequenza delle aperture a sesto acuto del
pianoterra della facciata (tav. B p. 197). Alla prima arcata corrisponde
attualmente una finestra, alla seconda un portale. In una fotografia
anteriore a tali restauri la prima arcata, visibile solo in parte, sembra avere
dimensioni simili a quelle attuali55. I materiali impiegati indicano tuttavia,
come abbiamo accennato, un completo rifacimento. Quella attuale presenta
caratteri formali e dimensionali alquanto simili a quelli della terza e quarta
arcata della Casa dei Gettatelli, di cui abbiamo già parlato e alle quali
rimandiamo per la descrizione. La principale differenza sembra costituita
dalla forma dell'arco a sesto ribassato, in questo caso caratterizzata da una
forte estradossatura56. E presente la chiave e i giunti sono in prevalenza
direzionati verso la zona centrale della corda.
Nella ricostruzione del portale principale della Casa dei Gettatelli, il
secondo a sinistra, le forme e le dimensioni dell'arcata originale non sono
state invece rispettate. Con l'attuale assetto, di forme simili a quelle delle
altre arcate dello stesso edificio ma di maggiori dimensioni, il portale
figura prima nel progetto di restauro del Mariani, del 1907, e poi in una
fotografia pubblicata nel 1913 57. È formato da un arco a sesto acuto
compresso leggermente estradossato e da un arco a sesto ribassato che
insiste sul suo intradosso (figg. 15.12 e 53, p. 243). I grossi mattoni che
formano i due archivolti, caratterizzati da una moderna finitura a
spinapesce uguale a quella dei laterizi ripristinati delle soprastanti bifore,
risultano tutti nuovi. Come negli altri portali l'arco acuto, leggermente
ricassato, è ornato nell'estradosso da una cornice sgusciata mentre il
timpano è circoscritto da una cornice a smusso. È presente la chiave e i
giunti sono direzionati verso il centro della corda.
3. Conclusioni
55
Vedi fig. 5, p. 37. Al suo interno, al posto dell'attuale finestra, figura una porta.
56
Dal rilievo 1:50 sembra inoltre che le posizioni dei centri dell'arco acuto siano tra loro alquanto
differenti (vedi però le osservazioni in n. 2).
57
Il progetto del Mariani è pubblicato da Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, p. 46 la foto in
[DE NICOLA] 1913, p. 9. Si confronti il nuovo portale con quello originale, visibile nelle foto
segnalate supra in n. 11.
medievale, tra la seconda metà del XIII secolo e la metà del XIV
presentano, almeno nei caratteri essenziali, una tipologia comune, la cui
prima espressione, per quanto riguarda il prospetto esaminato, risale alle
prime tre finestre situate a sinistra del Palazzo del Rettore, databili negli
anni centrali compresi tra il 1257 e il 1290. Le dimensioni e la tipologia di
tali bifore, tra l'altro comuni, almeno nei caratteri generali, a quelle di altri
edifici civili della città, risultano chiaramente vincolate dall'intento di
uniformare stilisticamente il prospetto principale dello Spedale. Quattro
secoli più tardi, dopo la parentesi rinascimentale che vede inserire, con una
decisa rottura ritmica e formale, le grandi monofore dell'ampliamento della
chiesa, tale intento viene ripreso dai costruttori settecenteschi che
prolungano la facciata verso via dei Fusari con arcate e bifore sestiacute
ispirate alla medesima tipologia. Malgrado i vincoli dettati dall'adesione,
diretta o indiretta, ad un comune prototipo e dalla disposizione sulle stesse
direttrici orizzontali e verticali del prospetto è tuttavia possibile
apprezzare, ad un attento esame, tra i vari gruppi di bifore, tutta una serie
di variazioni o strette concordanze, nelle dimensioni, nella forma, nei
dettagli ornamentali e nella rifinitura dei mattoni, che potrebbero in
qualche modo riflettere tendenze locali cronologicamente significative,
tendenze comunque accertabili soltanto da un'eventuale indagine condotta
a tappeto sulle aperture della città e in ogni caso non prima di aver
individuato un numero quantitativamente affidabile di elementi
sicuramente databili. Per fare qualche esempio possiamo citare il maggiore
slancio verticale, tale da ribaltare il rapporto tra la lunghezza e la larghezza
del vano di apertura sottostante la linea di imposta, delle bifore collocabili
tra il 1298 e il 1350 (Casa dei Gettatelli e secondo piano del Palazzo del
Rettore) rispetto a quelle comprese tra il 1257 e il 1290 (primo piano del
Palazzo del Rettore). Per quanto riguarda la tipologia dell'arco è da
sottolineare che le bifore databili tra il 1257 e il 1290 sono caratterizzate
da archi a sesto acuto decisamente compresso, mentre quelle del
1298 -1338 presentano archi che tendono ad avvicinarsi al tipo equilatero.
A tal proposito è da notare che una tipologia equilatera, o quasi equilatera,
presentano pure gli archi maggiori delle trifore della facciata del principale
edificio civile della città, il Palazzo Pubblico, costruito proprio tra gli
ultimi anni del Duecento e il primo decennio del Trecento 58. Caratteri
58
Così gli archi acuti dei portali e delle arcate del pianoterra. Per la rappresentazione grafica si veda
CHIERICI 1921, PP.360,371, e Palazzo Pubblico 1983, fig. 537, per la collocazione cronologica
cfr. CORDARO 1983, pp. 33-57.
ancora diversi presentano infine gli archi delle bifore del 1350, con i centri
situati decisamente al di sotto della linea di imposta.
Valutazioni simili possono essere fatte anche per i portali e le arcate del
pianoterra della facciata. Tra quelle del porticato della chiesa, databili
subito dopo il 1257, e quelle appartenenti all'ampliamento del Palazzo del
Rettore, del 1290, si nota ad esempio il passaggio dall'impiego di pietre e
mattoni all'uso del solo laterizio e soprattutto da una mensola d'imposta
priva di sagomature ad una cornice accuratamente modanata 59. Tra le
arcate comprese negli anni 1257 e 1290 e quelle comprese tra il 1298 e il
1338 (Casa dei Gettatelli, ex portale della chiesa e facciata su via del
Capitano della « Corsia Marcacci »), si nota il passaggio, per fare un altro
esempio, da archivolti posti sullo stesso piano del circostante paramento
murario a soluzioni più elaborate, caratterizzate da archivolti che, pur
differenziandosi nella forma e nei materiali, sono tutti ricassati e riportati
in piano da una cornice sgusciata60. Interessanti variazioni formali, talvolta
caratterizzate da un'evoluzione costante, si notano inoltre nelle colonnine
delle bifore, nelle cornici marcapiano e nelle mensole d'imposta di finestre,
arcate e portali (figg. 21-25)61. Naturalmente si tratta di osservazioni che,
come abbiamo già sottolineato, hanno un valore puramente relativo, valide
per la facciata dello Spedale ma non generalizzabili, allo stato attuale della
ricerca cronotipologica, all'architettura della città.
59
Pur essendovi numerose eccezioni esiste senz'altro un rapporto, almeno a grandi linee tra il
materiale da costruzione impiegato (in prevalenza calcare cavernoso e laterizi) e la cronologia degli
edifici medievali di Siena (cfr. CHIERICI 1921, pp.345-380; DE VECCHI 1949, pp.3-52;
RODOLICO1953, pp.282-285; PARENTI 1988, p.284). Per quanto riguarda le mensole d’ imposta
prive di modanature cfr. la nota 36. Sulla tipologia delle cornici si veda in particolare CHIERICI
1921 pp.377-378.
60
Nelle bifore dello Spedale tale tipologia è invece presente fin da quelle più antiche, anteriori
all'ampliamento del Palazzo del Rettore del 1290.
61
Decisivo sembra ad esempio il passaggio dalla tipologia dei capitelli delle tre bifore più antiche a
quella dei capitelli del 1290. Quest'ultima infatti, sostanzialmente diversa dalla precedente per
l'aggiunta di un secondo giro di foglie e per l'eliminazione del piano smussato soprastante i dentelli,
ebbe una notevole fortuna nella facciata dello Spedale, dove venne ripresa, pur con differenti
soluzioni stilistiche, in tutte le bifore successivamente inserite. Si tratta di una tipologia molto
diffusa a Siena, impiegata in numerosi capitelli di bifore e trifore, comprese quelle della facciata del
Palazzo Pubblico. Per quanto riguarda le cornici marcapiano e le mensole d'imposta prevale una
stretta adesione all'uniformità stilistica quando vi è una continuità fisica in senso orizzontale (tutte
le cornici e le mensole dei tre gruppi di bifore del primo piano del Palazzo del Rettore,
rispettivamente databili al 1270-80 circa, 1290 e 1720 circa, presentano gli stessi materiali e le
stesse modanature o comunque modanature molto simili). Quando non vi è una continuità fisica in
senso orizzontale assistiamo invece ad una maggiore libertà formale (nelle modanature in travertino
degli anni 1298, 1336-38 e 1350 si nota ad esempio la progressiva scomparsa del tondino).
Nel caso dei portali e delle arcate è comunque da notare che, a differenza
delle bifore, sembra non esservi stato un prototipo comune. Le sei arcate
relative all'ampliamento del Palazzo del Rettore, della fine del Duecento,
mostrano nel complesso notevoli differenze rispetto a quelle
immediatamente posteriori al 1257, malgrado qualche affinità tipologica e
la presenza di dimensioni abbastanza simili. L'attuale portale di ingresso
allo Spedale, per il carattere palesemente monumentale, si distacca
nettamente dalle une e dalle altre e casomai suggerisce, come abbiamo
notato, possibili analogie con il portale principale della Casa dei Gettatelli,
poi ricostruito, ed eventuali affinità tipologiche con strutture appartenenti
ad altri edifici della città. Caratteri ancora diversi presentano le altre
aperture, rifatte o quasi completamente rifatte, della Casa dei Gettatelli e
quelle, originali, del prospetto su via del Capitano della « Corsia Marcacci
» Le arcate settecentesche di via dei Fusari, infine, hanno avuto come
modello quelle del 1290 mentre l'attuale portale neogotico di accesso alla
chiesa costituisce quasi una fedele copia di quello relativo all'ingresso
principale.
Gli archi esaminati, soprattutto quelli dei portali e delle arcate del
pianoterra mostrano, pur nei limiti di una campionatura quantitativamente
modesta, una notevole varietà di soluzioni, evidenziando un quadro
alquanto articolato del gotico senese: archi fortemente estradossati o privi
di estradossatura, decisamente compressi o quasi equilateri, isolati o
collegati ad archi ribassati, situati sullo stesso piano del paramento o
leggermente rientranti, ecc. Nonostante ciò è tuttavia possibile riscontrare
alcune costanti che vale la pena sottolineare. In primo luogo ci sembra
significativo che tutti i portali e le arcate della facciata riferibili al periodo
medievale presentino, pur nella varietà delle soluzioni, archi estradossati a
sesto acuto compresso. L'estradossatura, eccetto che negli archi della Casa
dei Gettatelli e della « Corsia Marcacci », è alquanto pronunciata. L'arco a
sesto ribassato impostato sull'intradosso dell'arco a sesto acuto, soluzione
tipica dell'architettura gotica senese, ha avuto un impiego molto limitato,
figurando soltanto in alcune arcate, tra l'altro del tutto o quasi del tutto
ripristinate, della Casa dei Gettatelli. Pure gli archi maggiori delle bifore
sono a sesto acuto compresso. Nel loro caso l'estradossatura è assente o
quasi impercettibile. Gli archetti minori delle finestre sono invece di tipo
equilatero o comunque ad esso molto vicini. I giunti dei conci e dei
mattoni che compongono gli archi dei portali e delle arcate medievali del
pianoterra sono prevalentemente direzionati verso la zona centrale della
corda, secondo uno svolgimento analogo a quello dell'arco a tutto sesto62.
Tutti gli archi medievali in pietra presentano inoltre il concio di chiave
mentre gli archi in laterizi, sia del pianoterra che delle bifore, non
sembrano seguire una regola fissa.
Da una rapida e sommaria indagine sull'edilizia gotica civile di Siena
sembra che certi caratteri, quali l'estradossatura degli archivolti, la
prevalente tendenza dei giunti verso la zona centrale della corda, la
presenza della chiave nelle strutture in pietra e la casualità di quest'ultima
nelle strutture in laterizi, siano comuni alla grande maggioranza degli archi
medievali a sesto acuto della città63. Ma questi elementi, che perciò
sembrano costituire, almeno per quanto riguarda l'architettura civile, alcuni
aspetti caratterizzanti dell'arco gotico senese, figurano pure nelle arcate e
nelle bifore del prospetto settecentesco dello Spedale relativo a via dei
Fusari, nell'attuale portale neogotico della chiesa e nelle prime due arcate,
interamente ricostruite all'inizio del Novecento, della Casa dei Gettatelli.
La loro presenza in tali strutture diventa quindi testimonianza della
continuità, o della ripresa, di una tradizione costruttiva medievale, sia da
parte degli architetti settecenteschi che dei restauratori "puristi" del
XIX-XX secolo, gli uni e gli altri attenti osservatori delle forme e delle
tecniche locali64. Ciò naturalmente non vuol dire che sia impossibile
individuare efficaci chiavi cronologiche anche per l'identificazione di
62
Alquanto confuso sembra, a giudicare dai rilievi a nostra disposizione, l'andamento dei giunti
degli archi delle bifore. In questo caso però, dato il limitato spessore degli archivolti, ci chiediamo
quanto possa avere inciso il grado di approssimazione del ridisegno della restituzione
fotogrammetrica (cfr. n. 2).
63
La presenza di tali caratteri sembra confermare, per quanto concerne Siena, quelle divergenze
tecniche e formali dal "codice" architettonico francese già sottolineate, per il gotico toscano o
genericamente italiano, dalla critica ottocentesca; cfr. VIOLLET-LE-DUC 1854-68, I, pp. 3334, VI,
p. 424 n. 1, ed ENLART 1894, pp. 7, 52 (sull’ argomento si vedano pure le recenti osservazioni del
BRANDI 1983, pp. 18-19). La nostra affermazione relativa alla diffusione, in ambito locale, di
questi caratteri non deriva da uno studio specifico ma da un'indagine preliminare de visu
sull'architettura civile della città. Non sono perciò da escludere eccezioni e parziali rettifiche. Una
di queste sembra costituita, come è stato fatto notare (CHIERICI 1921, pp. 371-372), da alcune
finestre e dal portale del prospetto di via dei Termini del Palazzo Tolomei, dove figurano archi in
pietra privi del concio di chiave. Su questo palazzo pesano comunque i forti restauri integrativi per
quanto riguarda i1 portale, ad esempio, proprio i due conci posti al vertice dell'arco presentano una
lavorazione diversa dagli altri. A proposito della chiave ci sembra invece senz'altro da rettificare
quanto è stato affermato sulla sua assenza nelle trifore in mattoni del Palazzo Pubblico (CHIERICI
1921, pp. 371-372; DE VECCHI 1949, p. 21): in realtà, come negli archi in laterizi dello Spedale, la
presenza di tale elemento sembra del tutto casuale.
64
Sull'attività degli architetti "puristi" nello Spedale del Santa Maria cfr. l'intervento di Dezzi
Bardeschi, in AA. VV. 1986, pp. 99-104.
aperture che imitano tipologie più antiche. Si tratterà probabilmente di
affinare l'indagine, e dalla presente ricerca sono già emerse alcune
indicazioni in questo senso, non soltanto sugli elementi macroscopici,
quali le forme e le proporzioni delle aperture o le leggi che regolano
l'andamento degli archi, ma anche su alcuni dettagli tecnici, come la
lavorazione, la finitura e le dimensioni dei materiali, che possono, in
operazioni culturali di recupero formale, più facilmente 'tradire' la fedeltà
al modello65.
65
Si pensi ad esempio alla differenza negli archi delle bifore e dei portali della Casa deiGettatelli tra
le finiture originali dei laterizi e quelle del restauro novecentesco.
La teoria mensiocronologica
***
1
Cfr. LUGLI 1957.
2
MANNONI - POLEGGI 1974.
3
BONORA 1979b.
4
Cfr. in particolare FOSSATI 1985 ed i risultati esposti in MANNONI - MILANESE 1988.
5
MANNONI - MILANESE 1988, p. 384.
6
Oltre al diffuso miglioramento della situazione economica europea, la generale crisi del legno
deve aver inoltre sicuramente influenzato la scelta del materiale edilizio. Cfr., a questo riguardo,
CIPOLLA 1974.
questa industria soprattutto a partire dal XIII secolo, sono le numerose
attestazioni, nei documenti del periodo, riguardanti l'attività di fornaciai7.
L'importanza raggiunta dalla produzione di laterizi è inoltre confermata
dalla costante attenzione che le autorità di governo prestarono nel
determinare le caratteristiche di questi manufatti. I fornaciai avevano
infatti l'obbligo di attenersi alle disposizioni vigenti che, fissando qualità
dell'argilla, modalità di cottura e dimensioni dei mattoni, comportarono
una relativa uniformità dei prodotti di fornace di una data epoca8.
Le indagini compiute sul lungo periodo, sempre all'interno di un territorio
omogeneo dal punto di vista amministrativo, hanno evidenziato però una
serie di graduali e costanti cambiamenti delle dimensioni dei laterizi, che
possono portare alla definizione di « chiavi cronologiche locali »9.
Differenze dimensionali sono però presenti anche all'interno di un insieme
omogeneo di mattoni ed è, in realtà, piuttosto raro trovare esemplari aventi
identiche misure; ciò è dovuto alla foggiatura manuale dei mattoni, ad una
minore o maggiore quantità di sabbia sul fondo dei modani (le cassette
nelle quali si dava forma all'argilla), a diversi ritiri in fase di essiccamento
e di cottura, al grado di usura degli stampi.
Sono questi i fattori che influenzano in modo casuale le dimensioni finali
del laterizio.
Questo genere di variazioni sono facilmente riconoscibili perché, se
disponiamo le misurazioni effettuate su un insieme omogeneo di laterizi in
diagrammi di frequenza (istogrammi), esse tendono a formare una curva a
campana che, secondo leggi statistiche, è tipica di fenomeni di ordine
casuale10. Tali differenze, normalmente, non sono in grado di alterare le
medie delle singole dimensioni, che rimangono sufficientemente
attendibili.
Di diverso genere sono invece quelle variazioni dovute alla presenza,
all'interno di una stessa USM, di mattoni riutilizzati da murature più
antiche, o di mattoni spezzati, non sempre riconoscibili immediatamente.
Questo tipo di variazioni dimensionali influisce notevolmente sulla media
matematica delle misurazioni del campione, comportando
7
In alcune città medievali, li troviamo organizzati come gruppo distinto, all'interno delleArti
cittadine. A Siena il primo breve senese conservato che riguardi l'attività dei fornaciai risale al
1426. Cfr. Dell'arte del Legname innanzi al suo statuto del 1426, 1904, a cura di V. Lusini.
8
Documenti di questo genere sono relativi a moltissime città italiane. A Siena, già il Constituto del
1262 stabiliva per legge le caratteristiche dei prodotti di fornace. Cfr. Constituto, r.
CCCCLXXXXVI e sgg.
9
MANNONI 1984
10
MANNONI - MILANESE 1988, p. 385. Cfr. inoltre BONORA 1979b, fig. 2, p. 234.
un'approssimazione, nel calcolo delle dimensioni medie di un gruppo di
laterizi, troppo elevata.
Ponendo le misurazioni effettuate su un campione in un grafico, che abbia
indicate sull'asse delle ascisse le misure di larghezza e lunghezza e su
quello delle ordinate le rispettive altezze (fig. 26), otterremo degli insiemi
di punti, delle "nuvole", corrispondenti a partite di mattoni simili;
eliminando le misure devianti, quelle cioè che appaiono isolate o troppo
distanti dai gruppi più compatti, è possibile ottenere una media più precisa
ed affidabile.
Accade talvolta, ed è il caso della USM 32, settore III del Santa Maria
della Scala, che per ogni dimensione si ottengano più di due
raggruppamenti di punti, ossia tre o più nuvole distinte: le cause sono
appunto dovute all'uso, stavolta sistematico, di riutilizzi o di mattoni
spezzati. Nel caso specifico dell'esempio citato, dovrebbe trattarsi di una
serie di mattoni tagliati appositamente per l'uso, essendo la USM 32
un'operazione di ricucitura, probabilmente del nostro secolo, che, per
riprendere la muratura deteriorata, si è avvalsa di laterizi le cui dimensioni
erano state ridotte.
Dopo aver individuato e neutralizzato alcune delle variazioni interne ad
ogni insieme, si passa allo studio delle differenze che intercorrono tra
insiemi diversi, differenze che sono tanto maggiori quanto più le varie
USM sono distanti tra loro temporalmente.
Proprio le variazioni dimensionali su lungo periodo della produzione dei
mattoni, permettono alla mensiocronologia di fornire datazioni assolute. È
molto difficile analizzare le cause di queste lente e graduali modificazioni
delle dimensioni del prodotto, che come già accennato, avvengono nel
corso di secoli all'interno di un territorio omogeneo da un punto di vista
politicoamminıstrativo.
Le precedenti esperienze condotte dall'ISCUM di Genova, sia in quella
città che, in modo parziale, ad Asti, Venezia e Pisa avevano sempre
evidenziato una costante diminuzione delle dimensioni dei laterizi 11. Per
spiegare il fenomeno, che ha operato molto lentamente nel tempo, si è
ipotizzato che i produttori cercassero di risparmiare sulle spese
producendo laterizi sottomisura, determinando in qualche modo una
graduale diminuzione dimensionale.
11
Cfr. MANNONI - MILANESE 1988, p. 386, n. 9.
Uno studio concernente la città di Siena ha però evidenziato, nella
produzione laterizia dell'area, una graduale crescita dimensionale del
prodotto nel corso del periodo considerato12,
A1 di là delle spiegazioni che si danno nel tentativo di motivare la
tendenza alla diminuzione e quella alla crescita13, lo strumento operativo,
là dove si riscontri in effetti l'esistenza di una curva delle medie
dimensionali con un andamento sufficientemente regolare, sarà comunque
creato.
Una volta distinti ed eliminati gli eventuali mattoni di reimpiego o di
restauro per evitare, come già detto, un'alterazione della media
dimensionale, si passa perciò alla costruzione delle curve tramite un
grafico avente, per esempio, sull'asse delle ascisse, le misure medie delle
tre dimensioni e, su quella delle ordinate, la scansione temporale. Ulteriori
elaborazioni dei dati possono poi dimostrare come più indicativo
l'andamento tenuto dal volume del laterizio medio (calcolato, cioè,
utilizzando le medie delle tre dimensioni) 14, oppure le graduali variazioni
dell'area di una delle facce (larghezza x lunghezza, nel caso di Siena)15.
Dobbiamo precisare, inoltre, che, per l'applicazione di questo metodo,
esistono elaborazioni matematiche più complesse che permettono un
maggiore grado di precisione16, ma in pratica, è stato notato che anche
procedimenti più semplici mantengono il grado di approssimazione a
livelli piuttosto contenuti.
La mensiocronologia è sicuramente meno costosa di altri metodi di
datazione dei laterizi (per esempio, della termoluminescenza) ma perché
possa funzionare (e non è detto che sia applicabile in ogni ambito
territoriale), abbisogna di un metodo rigoroso che inizia dal rintracciare
una serie di murature, sufficientemente ben datate, appartenenti a diverse
epoche. Il rilevamento delle misure dovrà essere il più preciso possibile, in
quanto è dalla sua accuratezza che dipenderà in gran parte l'affidabilità
12
I dati provengono dalla tesi di laurea in Archeologia Medievale discussa da R. Corsi presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena, rel. Prof. Riccardo Francovich (1988-'89).
Cfr. CORSI 1988-89.
13
Sono attualmente in corso delle analisi mineralogiche, volte a verificare variazioni della
percentuale di minerali argillosi nell'impasto, che potrebbero, nel corso dei secoli, aver
gradualmerlte ridotto l'entità del ritiro del volume del laterizio durante le fasi di essiccamento e cli
cottura. E tuttavia prematuro, per il momento, fornire ulteriori ipotesi sulla tendenza all'aumento dei
valori.
14
È il caso della curva mensiocronologica genovese. Cfr. MANNONI - MILANESE 1988.
15
15 Ciò è dovuto al fatto che queste due dimensioni presentano nel corso del tempo cambiamenti
più costanti ed evidenti.
16
Cfr., ad esempio, FOSSATI 1985 e 1984.
dello strumento di datazione; dovremo quindi spingerci ad un
approfondimento dell'ordine del millimetro, che rappresenta una scala
sufficientemente indicativa.
Bisogna infine tenere presente che la mensiocronologia risulterà più
precisa in quelle aree in cui la variazione delle misure dei laterizi è stata
abbastanza continua. La gradualità e l'entità delle modificazioni
verificatesi nel corso del tempo, permetteranno datazioni più o meno
puntuali, che oscilleranno da una a qualche decina d'anni 17.
Anche nello studio della facciata del Santa Maria della Scala è stata
applicata la mensiocronologia e un primo risultato può essere indicato
nell'estrema similitudine delle medie dei mattoni in murature risultate
coeve o molto vicine ad una lettura stratigrafica; è il caso di due pilastri
della Casa dei Gettatelli l'USM 8 e l'USM 9 coevi all'USM 2 della Corsia
Marcacci. Oppure nel caso di due pilastri dell'ampliamento settecentesco
del Palazzo del Rettore, verso via dei Fusari, coevi ad un altro, facente
parte del lato dello Spedale che dà sul vicolo delle Balie (USM 15 e 17, del
settore VII ed USM 1 del settore VIII).
Ulteriori indicazioni sono state fornite dal confronto dei dati provenienti
dai rilevamenti compiuti sul complesso del Santa Maria della Scala con
quelli relativi a una serie di murature di sicura cronologia della città di
Siena.
L'elaborazione della curva mensiocronologica descrivente le variazioni
dimensionali della produzione senese di laterizi18 ha infatti permesso di
proporre una cronologia assoluta per le parti della facciata dello Spedale
costruite in laterizio, cronologia che si è rivelata sostanzialmente analoga a
quella a cui si è giunti usando altri metodi di datazione.
La scelta dei luoghi dove effettuare le campionature per l'applicazione
sperimentale del metodo mensiocronologico è stata guidata dalle
indicazioni fornite dallo studio stratigrafico dell'edificio, in modo che si
potessero ottenere informazioni relative alle diverse fasi edilizie, dalle
datazioni più o meno discusse: una serie di misurazioni sono state perciò
effettuate sulla facciata della cosiddetta Corsia Marcacci (campioni A e B,
17
La curva genovese è in grado di stabilire datazioni con errori molto contenuti (più o meno 5-15
anni). L'escursione dei valori dimensionali, oltre ad essere praduale, è infatti molto elevata. Il
volume del mattone nel corso di sei secoli (dalla metà del XÌI alla metà del XVIII) si riduce di più
del 50%. Cfr. MANNONI, 1984a. La minore escursione tra i valori dei laterizi di XIII secolo e
quelli di XIX che si è registrata a Siena, rispetto allle differenze dimensionali dei mattoni di diversa
età della città ligure, comporta un più ampio margine di imprecisione delle datazioni.
18
Cfr. nota 12.
situati rispettivamente a destra e a sinistra del portone centrale). Nella zona
dello Spedale denominata Casa dei Gettatelli si sono effettuate altre tre
campionature: la prima è situata all'immediata sinistra del portone
sormontato dalla balzana (campione C), la seconda e la terza arcata cieca
(campione D), e l'ultima nell'area contigua al paramento litico della chiesa
(campione E). Altre misurazioni sono state effettuate sui laterizi della
muratura a conci alterni di pietra e mattoni del Palazzo del Rettore
(campione F), su quelli del terzo pilastro dell'ampliamento duecentesco del
Palazzo del Rettore (campione G) ed infine sul paramento della terza
arcata cieca della parte settecentesca, situata su via dei Fusari (campione
H) 19(fig. 27).
Di ogni campione si sono elaborate le curve di frequenza che hanno fornito
indicazioni riguardo l'omogeneità dei diversi gruppi di laterizi misurati.
Per ciò che concerne i primi tre campioni (A-C) (figg. 28-30) ad una
notevole concentrazione dei valori della dimensione h.(altezza), non
corrisponde un'altrettanto buona concentrazione delle misure delle altre
due dimensioni del laterizio. Consistente appare infatti la dispersione sia
dei valori di L. (lunghezza) che di quelli di 1. (larghezza). Va inoltre
sottolineato che in nessuno degli edifici senesi da noi analizzati per la
costruzione della curva mensiocronologica (quasi sessanta) ci sono esempi
di laterizi con lunghezze inferiori ai 28 cm. e larghezze al di sotto dei 12
cm.20. E quindi è molto probabile che le dimensioni comprese tra 9 cm.
circa e 12 cm. vadano interpretate come laterizi spezzati nel senso della
larghezza21, mentre è più difficile spiegare la relativamente alta
concentrazione delle misure tra 27 e 28 cm. propria dei campioni A-C (cfr.
figg. 2729). Osservando inoltre la forma del grafico di frequenza delle
larghezze del campione B (costituito da un numero di misure abbastanza
consistente), sembra di poter distinguere due diversi istogrammi: il primo
con moda su 12.5 e l'altro con moda su 13 22, L'alta frequenza del valore
12.7 sarebbe quindi da spiegarsi come la somma dei valori periferici dei
due istogrammi. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che nel
19
Per la documentazione esistente, relativa alle diverse fasi costruttive del complesso cfr. il
contributo di Parenti in questo volume.
20
Fin dal XIII secolo, periodo a cui vanno riferiti gli esempi più antichi di edilizia senese in
laterizio di età medievale, le dimensioni medie dei mattoni non sono mai inferiori a cm. 28.2 x 12.4
x 5.7. Questi valori tenderanno poi gradualmente a crescere, fino a superare, nel corso del XVIII
secolo, i cm. 30 x 15 x 7.
21
Lo stesso si può dire, osservando la disposizione delle misurazioni nel grafico, dei valori
compresi tra cm. 14 e cm. 27 circa.
22
Il termine indica il valore più frequente di un istogramma.
campione fossero presenti due diverse partite di laterizi, precedentemente
non riconosciute, una delle quali forse da mettere in relazione con
l'intervento di restauro che sappiamo avvenuto nel XX secolo su questa
parte della facciata23.
Di più semplice lettura si presenta la distribuzione delle dimensioni dei
laterizi relativi agli ultimi cinque campioni (D-H): benché anche in questo
caso siano presenti laterizi spezzati, più decisa è la concentrazione intorno
ad un valore, che può essere assunto come indicativo delle dimensioni del
prodotto.
Dopo aver purificato i dati in base alla distribuzione dei valori degli
istogrammi24, si sono calcolati i seguenti laterizi medi:
- campione A = cm.28.3 x 13.1 x 5.2
- campione B = cm.28.2 x 13 x 5.3
- campione C = cm.28.4 x 12.8 x 5.2
- campione D = cm.28.4 x 13.1 x 5.2
- campione E = cm.28.2 x 13 x 5.2
- campione F = cm.28.7 x 12.4 x 6
- campione G = cm.28;6 x 12.7 x 5.9
- campione H = cm.30.4 x 15.2 x 6.1
Questi valori sono stati poi confrontati con quelli degli edifici senesi di
certa cronologia ed i risultati, come già accennato, confermano le datazioni
a cui si è pervenuti con gli altri elementi datanti (epigrafi, documenti,
lettura stratigrafica, etc.): per la Corsia Marcacci e la Casa dei Gettatelli
per quattro campioni su cinque (campioni A,B,D ed E) si ha un'analogia
con le dimensioni dei laterizi di edifici di fine XIII-prima metà XIV
secolo25. La parte relativamente più antica del Palazzo del Rettore risulta
23
La difficoltà che si incontra nel riconoscimento dei particolari di questo e di altri interventi è
dovuta probabilmente all'intento imitativo che guidò a suo tempo il restauro. Questa logica
restaurativa ebbe enorme diffusione tra XIX e XX secolo ed a Siena ne sono riscontrabili numerosi
esempi. Molto istruttivo è, ad esempio, il caso di Palazzo Bonsignori, edificio risalente al XV
secolo, ma la cui facciata è quasi totalmente frutto di un restauro di fine XIX (del 1848) ad opera
dell'architetto G. Rossi. Le misurazioni effettuate su questa parte dell'edificio hanno permesso di
calcolare un laterizio "medio" di cm. 28.2 x 13.5 x 5.8. Se teniamo conto che nel XIX secolo i
laterizi comuni avevano dimensioni di circa cm. 30 x 15 x 7, risulta evidente che il restauro
imitativo ha in qusto caso utilizzato mattoni prodotti appositamente per l'uso, di dimensioni molto
ridotte (probabilmente leggermente inferiori anche ai mattoni originali).
24
Il laterizio medio si è calcolato scartando i valori presumibilmente attribuibili ai mattoni spezzati
ed a quelli sottomisura (cfr. nota 20), interpretati come prodotto del restauro di cui si è detto.
25
Per il campione C, le dimensioni delle larghezze farebbero ipotizzare una datazione di poco
precedente (tra la fine del sec. XIII e gli inizi del successivo si raggiungono infatti i 13 cm. di
larghezza). La scarsità delle misurazioni di l. di cui è stato possibile disporre per questo campione
rendono comunque il dato poco attendibile.
di qualche anno antecedente (metà XIII secolo) e ad una data molto vicina
risale anche l'ampliamento di questa parte dello Spedale verso via dei
Fusari (ancora XIII secolo). I dati mensiocronologici confermano, inoltre,
anche la datazione alla prima metà del XVIII secolo per la parte terminale
della facciata, ancora lungo via dei Fusari26.
E’ interessante notare anche la datazione suggerita dalla mensiocronologia
per gli avelli rinvenuti a ridosso delle fondazioni della chiesa e del
porticato a piano terra del Palazzo del Rettore. Questi avelli sono dunque,
per la loro posizione stratigrafica, sicuramente posteriori alla metà del XIII
secolo. Le dimensioni medie dei laterizi di rivestimento della fossa e dei
muretti divisori tra gli avelli stessi sono di cm. 5 x 12.6 x 28.2, misure
riscontrate finora, in Siena, solo in edifici duecenteschi. La costruzione di
questi avelli risulterebbe dunque compresa tra la metà e la fine del XIII
secolo. Se si considera d'altra parte che per il periodo compreso tra la metà
del XIII secolo ed il primo ventennio del secolo successivo i dati
mensiocronologici presentano un margine di errore di + /- 30 anni (cfr.
nota 26) possiamo in linea di ipotesi avvicinare il dato stratigrafico e
quello mensiocronologico al dato archivistico, che cita la costruzione di
avelli nel 1306 27.
I risultati sinora esposti non sono assolutamente da considerarsi definitivi:
due ordini di fattori possono di fatto influenzare negativamente la
puntualità delle conclusioni. Da un lato, la curva mensiocronologica
elaborata per la città di Siena, basata inizialmente su un campione di circa
sessanta edifici, non potrà, con l'ampliamento del campione stesso, che
acquisire una maggiore definizione ed aumentare di conseguenza la sua
funzionalità. Dall'altro lato, non va dimenticato il problema che si pone nel
caso specifico dello Spedale: ci riferiamo ai diversi interventi di restauro a
cui l'edificio è andato soggetto, che hanno presumibilmente comportato
sostituzioni di materiali, delle quali importerebbe conoscere l'entità
effettiva. Un'indagine per campioni ristretti di misurazioni, come nel caso
26
Gli studi compiuti sulla città hanno inoltre condotto all'elaborazione di un'equazione che descrive,
con diversa approssimazione a seconda del periodo considerato, l'andamento dimensionale del
laterizio da costruzione senese. Tramite questa equazione, che permette di calcolare (sulla base
della dimensione dell'area L. x l.) un anno preciso, si sono ricavate le seguenti datazioni: campione
A = anno 1322 c. B = a. 1303, c. C = a. 1289, c. D = a. 1328, c. E = a. 1303 c. F = a. 1253, c. G = a.
1287, c. H = a. 1745. È evidente che le date hanno un valore indicativo, in quanto, per esempio, per
il periodo compreso tra la metà del XIII secolo ed il primo ventennio del secolo successivo è
previsto un risultato con un margine di errore di + /- 30 anni. La stessa inesattezza è possibile nel
calcolo di datazioni per edifici di XVIII secolo.
27
Cfr. periodo V, fase F, att. 20 e 21 e interpretazione relativa.
di questo studio, non permette di soddisfare compiutamente questa
esigenza. Futuri approfondimenti, nell'uno e nell'altro caso, potranno
conferire all'analisi mensiocronologica esiti via via più precisi.
Prospezione elettromagnetica georadar in Piazza del Duomo a Siena
Nel corso del mese di gennaio 1988 è stata condotta un'indagine georadar
in Piazza del Duomo a Siena, la cui finalità essenziale era l'individuazione
di eventuali strutture sepolte, soprattutto in connessione con l'antico
edificio dello Spedale di Santa Maria della Scala, situato di fronte alla
Cattedrale.
La ricerca è frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Archeologia
e Storia delle Arti dell'Università, il Comune e il Monte dei Paschi di
Siena. I1 rilievo è stato condotto dallo scrivente e da personale della
"Geofisica Toscana" S.r.l. di Firenze, che ha anche fornito la
strumentazione, consistente in un georadar SIR-3 equipaggiato con
un'antenna monostatica da 500 MHz e acquisizione dati su nastro
magnetico, oltre ad un monitoraggio grafico analogico in tempo reale.
L'indagine si configura come uno dei primi esperimenti di tal genere
condotti in Italia su un'ampia superficie urbana (circa 2000 mq). La tecnica
adottata è stata quella del profilaggio continuo su linee, mediamente di
lunghezza pari a 50 m, equidistanti con passo di 1 m tra profili contigui e,
in qualche caso, di 50 cm. A1 termine della battuta principale, orientata
circa E-W sono stati eseguiti anche alcuni profili in direzione
perpendicolare in zone dimostratesi di particolare interesse.
I problemi incontrati sono tutti legati alla destinazione della Piazza a
spazio pubblico: circolazione di autoveicoli (in particolare le ambulanze
dell'ospedale), zone destinate a parcheggio, piccole aree transennate
(compresa quella, ad W dell'ingresso del Santa Maria, già recintata per i
saggi di scavo successivi), sono stati elementi di disturbo per la
prospezione. Anche la presenza di opere di urbanizzazione all'interno degli
strati più superficiali (condutture varie e cavi interrati), pur riconosciute
come tali, hanno comportato alcune difficoltà interpretative.
Com'era facile prevedere, pressoché tutto lo spazio indagato (si veda la fig.
35) presenta indicazioni di anomalie non giustificate sulla sola base della
geologia locale. D'altronde, è abbastanza logico che un'area in posizione
centrale qual'é la piazza sia stata oggetto di ripetuti interventi su un arco di
tempo assai lungo, forse plurimillenario, ognuno dei quali può aver
lasciato tracce consistenti. Dovendo comunque scegliere un criterio di
classificazione che ne consentisse un'immediata leggibilità, si è ritenuto di
poterle raggruppare in tre sole categorie:
Sulla base di tale classificazione, vediamo quali sono, con riferimento alla
planimetria di fig. 35, le zone che si possono considerare più interessanti.
a) Fascia settentrionale (antistante il Duomo) - Tutti i profili che è stato
possibile estendere fino all'estremità occidentale della piazza, cioè
fino alla facciata del Palazzo Arcivescovile, hanno evidenziato
anomalie notevoli nel settore W: si veda a tale proposito la fig. 40,
nella quale è presentato il tratto più occidentale di uno di questi
profili. Valutando la situazione in pianta, ne risulta un'area anomala
definita entro una quindicina di metri verso E a partire da facciata
dell'Arcivescovado e una dozzina in direzione S iniziando dalla
scalinata che conduce al Duomo. All'interno di un potente strato
rimaneggiato (1.5-2 m) sono spesso percepibili strutture massicce con
un profilo verticale molto netto: potremmo trovarci qui in presenza
dei resti di un ampio edificio, che parrebbe assai rimaneggiato verso
N, forse in conseguenza dell'erezione della possente platea su cui
sorge il Duomo.
b) Fascia meridionale (antistante lo Spedale) - In questo caso è stato
impossibile indagare in maniera sistematica i primi 25 m verso W, a
causa della recinzione e dei rimaneggiamenti relativi alla
preparazione del cantiere di scavo; in compenso, ne sono stati coperti
altrettanti più ad E di quanto fatto nella fascia settentrionale,
arrivando fino all'imbocco di Via del Capitano. Anche in questo caso
è stata riscontrata l'assenza di anomalie di qualche interesse verso il
centro della piazza, a parte i consueti rimaneggiamenti localizzati
relativamente allo strato più superficiale (50-60 cm). Elementi degni
di attenzione si sono rilevati, per una fascia di circa 5 m a partire dal
piano di facciata dello Spedale, verso il centro in senso E-W: essi
potrebbero anche essere associabili, però, ad interventi di
sistemazione del suolo per l'erezione dell'edificio. La porzione più
interessante sembra essere invece quella corrispondente alla piazzuola
transennata sita all'estremità sud-orientale: vi sono stati infatti
registrati echi dovuti con tutta probabilità a strutture di notevole
consistenza; in qualche caso, addirittura, si ha l'impressione che
sussistano ambienti a volta in buono stato di conservazione (fig. 41).
Conclusioni
I SETTORI
- settore I - area di scavo: si tratta del saggio di 180 mq. compreso tra
l'ingresso dello Spedale e il secondo pilastro relativo all'ampliamento
duecentesco del Palazzo del Rettore;
- settore VII: è il prospetto lungo via dei Fusari, realizzato nel primo
settecento;
- settore VIII: si tratta del prospetto est che fiancheggia il vicolo di San
Girolamo,
da via dei Fusari alla Piazzetta della Selva.
I settori II, IV e V sono stati accorpati agli altri nel corso della ricerca e
non compaiono quindi nell'esposizione.
LA PERIODIZZAZIONE
Dal confronto tra i dati emersi dallo scavo e dall'indagine stratigrafica
dell'elevato e la ricca documentazione storica, edita e parzialmente inedita
(si vedano gli interventi di Gabbrielli, Milani e Piccinni), sono stati definiti
11 periodi, con alcune fasi interne (in molti casi scanditi per grandi linee e
dunque suscettibili di ulteriori precisazioni) che definiscono e segnano i
momenti salienti dello sviluppo edilizio dello Spedale e delle
trasformazioni urbanistico-insediative dello spazio urbano ad esso
antistante, a partire dal III-II sec. a.C.
L'esposizione dei dati, da noi elaborati, all'interno di questa pubblicazione
si svolge dunque rispettando la successione di questa periodizzazione. Per
ogni singoio periodo si elencano le attività identificate, con una breve
descrizione, partendo dal settore I - area di scavo (quando vi siano dati
relativi a quest'area) e, di seguito, dal VI, al III, al I, al VII settore,
muovendosi da sinistra a destra lungo la facciata. Segue un'interpretazione
storica del periodo che commenta i dati dell'indagine, verificandoli con
quelli provenienti da altre fonti.
All'inizio di ogni periodo un disegno schematico del prospetto su Piazza
del Duomo evidenzia le parti edilizie pertinenti al periodo in esame,
mentre una pianta illustra i dati di scavo. Il settore VIII (vicolo di San
Girolamo) viene illustrato a parte, per l'impossibilità di inserire con
certezza i dati risultanti dall'indagine stratigrafica della parte bassa del
prospetto nello schema di periodizzazione generale.
Qui di seguito presentiamo il matrix, redatto per attività e corredato degli
inquadramenti cronologici; ad esso si aggiungono un elenco delle attività e
uno delle US/USM, con funzioni di indice analitico.
Le quote (di piante, prospetti, sezioni) sono relative ad un punto zero,
localizzato a quota 346,42 s.l.m.
La lettura stratigrafica
Fase A
Nella zona all'estremo limite ovest dell'area di scavo rimane una serie di
buche di palo e buche non identificabili (US 333, 334, 335, 336, 345, 364,
350, 352, 354, 356, 358, 360, 362, 366, 368, 348, 393) tagliate nel terreno
vergine (fig. 3).
Fase B
Strati di consistenza argillosa (US 235, 371, 233, 259, 289, att. 3; 261, att.
5; 238, att. 7) obliterano le canalette, gli scannafossi, le buche di palo nella
zona est.
Fase C (fig. 7)
INTERPRETAZIONE
1
Per una esemplificazione delle varie tecniche di costruzione di capanne e delle relative tracce sul
terreno, riscontrabili a distanza di secoli, cfr. Sorgenti della Nova 1981.
2
L'evoluzione riconosciuta nelle forme abitative del periodo etrusco vede l'uso delle capanne di
tradizione protostorica ancora in tutto il VII secolo, alla fine di questo secolo si segnalano i primi
cambiamenti verso abitazioni con fondazioni in pietra ed « alzati in mattoni crudi o in murature a
graticcio con rinforzi di pali e travi... ».Cfr. Torelli in Case e Palazzi d'Etruria 1985 p.24. Nella
stessa sede l'autore offre un quadro riassuntivo dei termini del problema. Un'esemplificazione, nello
stesso volume, è offerta dall'insediamento di Ficana, nel Lazio, con testimonianze di un passaggio
da strutture abitative a capanna (fine VII-metà VI sec.a.C.) a edifici con fondazioni in blocchi di
tufo ed alzati non dissimili da quelli delle capanne stesse (pali sottili e ravvicinati, tra i quali si
intrecciavano canne e paglia, poi ricoperte di argilla) o, in edifici leggermente più tardi, costituiti da
un telaio ligneo tamponato da mattoni crudi (cfr. Magagnini - Rathje in Case e Palazzi d'Etruria
1985, p.164). Nel nostro caso, manca qualunque dato per identificare i materiali utilizzzati per
l'alzato e per la copertura, che, tendenzialmente, nelle capanne era costituita da una trama in legno
ricoperta da paglia. L'evoluzione verso l'abitazione parzialmente in muratura coincide anche con
l'avvento della copertura fittile (embrici e coppi). Sullo stesso argomento cfr. OSTENBERG 1975.
Le unità stratigrafiche 236 - 237 (att. 6) e 260 (att. 4) sono incompatibili
con l'uso della capanna/recinto sopra descritta e possono indicare una
successione di restauri e/o ricostruzioni. La buca di palo 264 (att. 2)
sembra poi troppo vicina all'US 213 per poter rappresentare l'altro lato
dell'accesso alla capanna, ma può anch'essa essere collegabile ad una sua
ristrutturazione. La fossa 344/370 (att. 2) può invece delimitare un
interno/spazio d'uso la cui presenza è comunque, in linea di ipotesi,
compatibile con la capanna 212.
Di più difficile interpretazione l'att. 66, poichè l'asportazione evidenziata
su tutta l'area (att. 32, periodo VIII, fase B) può aver cancellato un
deposito coevo all'attività stessa e più recente rispetto al periodo in esame.
Quello che dobbiamo sottolineare è la presenza di forme insediative, pur se
"povere", sul futuro piano di S.Maria, in una fase (III-II sec. a.C.) finora
documentata solo da ritrovamenti relativi a tombe/necropoli ai margini
della città3.
Il successivo scavo della fossa 23044, sulla obliterazione delle strutture
lignee, può far ipotizzare che a quelle si sia sostituita una nuova realtà
insediativa, forse non molto dissimile nell'entità e nella tipologia: altre
capanne o edifici, parte in muratura e parte in terra, come lascerebbe
supporre il lacerto 293.
3
Si ricordano i ritrovamenti di tombe nella zona della Rocca Salimbeni (IV-II a.C.), di Porta
Camollia (III-II a.C.), di Campansi (IV-II a.C.), della Coroncina (IV-III a.C.), di Porta S.Marco per
i quali si veda Cimino in Siena: le origini 1979, pp.191-194. Per una riflessione complessiva
sull'insediamento nell'area senese in questo periodo (III-II a.C.), cfr. CIACCI 1979, pp.26-27, dove
si segnala un fiorire di centri, nel comprensorio territoriale tra i due torrenti Bozzone e Sorra legato
ad un « fenomeno di rivitalizzazione delle strutture agricole, che interessa tanto l'area chiusina
quanto quella volterrana ». Non si fanno ipotesi esplicite sull'insediamento in area urbana, ma si
segnala un modello del popolamento che si avvale di « centri...dislocati su alture intorno ai 3/400
metri d'altezza, sul tipo dei castelli medievali... ». Un centro insediativo di piccola o media entità
dislocato sul piano di S.Maria e su altre aree consimili del circuito cittadino risponderebbe a queste
caratteristiche. Per quanto riguarda infine le ipotesi sul suo ordinamento giuridico istituzionale, si
veda Scardigli Foster in Siena: le origini 1979, pp.95-96,l'autrice dubita che Siena sia stata un
municipio autonomo « già molto prima della guerra sociale », sostenendo come ipotesi più
probabile che « dipendesse fin dalle sue origini, o da poco dopo, da una vicina città etrusca e più
precisamente da Volaterrae... » e che abbia acquistato la cittadinanza romana in base alla lex julia
de civitate del 90 a.C., divenendo poi nell'87 municipio autonomo (in base alla lex Cornelia di
Cinna) con iscrizione alla tribù Oufentina (86 a.c.).
4
La fossa 230 trova riscontro in altre strutture di servizio identificate in insediamenti di età
pre-romana e romana; poste nelle immediate vicinanze delle abitazioni (in cortili aperti per es.)
venivano utilizzate per ogni sorta di rifiuti domestici, fino alla loro totale occlusione oppure
regolarmente svuotate, per ricavarne concime. Per un simile ritrovamento cfr.ancora l'insediamento
di Ficana, già citato, in Siena: le origini 1979, p. 164.
Dal punto di vista topografico, è interessante sottolineare fin da adesso
come l'orientamento delle emergenze del periodo pre-augusteo sia
leggermente ruotato in senso est-ovest rispetto alla facciata dello Spedale.
Questo dato (che sarà poi riconfermato dalla struttura augustea e da quella
altomedievale) può essere indice di una diversa conformazione del pianoro
ed in particolare di un andamento diverso del ciglio lungo il lato sud (verso
il F.so di S.Ansano)5.
PERIODO II: I SECOLO A. C . (fig. 8)
Il canale di scarico (US 250), che dalla fossa 230 giunge, con andamento
rettilineo, alla facciata dello Spedale, è risultato obliterato da uno strato di
consistenza argillosa (US 251).
5
Il piano di S.Maria è sicuramente stato sottoposto a continue variazioni orografiche nel corso dei
secoli. Tra quelle attestate da documenti, la più ingente è sicuramente quella che ha interessato il
fronte nord (area tergale del Duomo), per la costruzione del S.Giovanni e per la quale si veda
PIETRAMELLARA 1980, pp. 7-8.
ATT.68 – 69 – 70 - 71: IMPIANTO ED USO DI UNA FOSSA
CIRCOLARE
INTERPRETAZIONE
1
Si veda ancora Scardigli Foster in Siena: le origini 1979, p. 96.
2
Osserva giustamente Cristofani, in Siena: le origini 1979, p. 99, che « l'estensione della colonia
romana di Saena Julia può essere indicata dalla consistenza dei rinvenimenti archeologici in città
più che dal perimetro della cinta muraria, spesso supposto dalla letteratura erudita ». Zone di
insediamento sono quindi da identificarsi con certezza in Castelvecchio, intorno al Poggio dei
Malavolti, nel Terzo di S.Martino (ibidem). In linea di ipotesi, l'estensione della città romana nel
suo complesso doveva ricalcare « l'area della cinta urbana così come si presentava nel XII secolo »
(ivi, p. 100). Si veda ancora nello stesso volume (pp. 104-114) il quadro riassuntivo delle
testimonianze di età romana visibili in città e lo schedario topografico in appendice al volume.
Posizione ben diversa è quella di Lusini (LUSINI 1921) che traccia il percorso della cinta muraria
della città romana attorno a Castelvecchio e al piano di S.Maria, con il cardo ed il decumano che si
incontrano in Piazza del Campo, identificando anche la posizione delle quattro porte (pp. 245249) e
accettando dunque nella sostanza tutta la tradizione erudita.
A tal riguardo, le emergenze documentate nell'area di scavo vanno lette
come una conferma della frequentazione nella prima età augustea del
piano di S.Maria, fino ad oggi solo ipotizzata sulla base di ritrovamenti
sporadici3 i e di teorie erudite, ampiamente esposte e correttamente
commentate da Cristofani4.
Di difficile lettura la funzione della fossa 406; possiamo solo identificare
come probabile alloggio per un palo rettangolare il taglio 408.
D.D.L.
Fase A
3
Per l'area di Piazza del Duomo, si veda Sangineto in Siena: le origini 1979, p. 113 con la
descrizione ed il commento sul sarcofago romano (II-III secolo d.C.) oggi al Musco dell'Opera del
Duomo, che secondo il Pecci doveva provenire dall'area del palazzo Arcivescovile (PECCI 1761,
ASS, D.4, c.142). Ed ancora lo schedario topografico, in appendice al volume (Siena: le origini
1979) alle pagine 192-193. Di particolare interesse i rinvenimenti del 1914 (lavori acquedotto) in
via del Capitano (frammenti ceramici e, in particolare, anfore, di età romana).
4
Secondo la letteratura erudita nella zona del Duomo si collocava il Tempio di Minerva
(BENVOGLIENTI 1571, p. 21; TOMMASI 1625, I, pp. 53-54). Quest’ultimo in particolare «
immagina il tempio "fatto a colonne dall'usanza atheniese". Come prove archeologiche vengono
ricordati frammenti di colonne, una base in travertino e un frammento in marmo sul quale era inciso
in "lettere maiuscole antiche" molto corrose la parte finale del nome della dea Diana o Minerva »,
cfr. Della Fina - Pistoi in Siena: le origini 1979, p. 149.
Contemporaneamente al muro 170, viene abbattuto anche il muro 293 (US
295).
Con una parte dei materiali di spoglio (US 204, 196, 194), provenienti
dalle distruzioni di queste murature e dell'edificio in generale (frammenti
di marmo, laterizi, pietrame), viene riempita una fossa (US 205)
(dimensioni: cm. 160x90, profondità m. 343,95/344,33 s.l.m.
Fase B
Addossato al lato ovest del muro 293 si costruisce il muro 191 (USM 191,
193) (fig. 13), utilizzando in parte i materiali edilizi (pietre, frammenti
laterizi — coppi, mattoni, embrici — e anforacei) provenienti dalla
distruzione dell'edificio romano ed un legante poverissimo di calce (che si
rinviene ancora in grumi) mal diluita nell'inerte sabbioso. La nuova
muratura si incastra ad L sulla rasatura del muro 293 (US 297). Da questo
livello, doveva alzarsi un elevato in terra (o a prevalente componente
argillosa). Il lato nord di questa nuova costruzione è invece definito dal
muro 202, di cui non si è rinvenuta che una labile traccia di fondazione nel
terreno sabbioso (USM 263) ed il piede della fondazione stessa,
caratterizzato da sabbia e pietrisco, con rari grumi di calce. Il lato ovest
dell'edificio, può, con ogni probabilità, essere rappresentato dal lacerto di
muratura 382, composto da due pietre (calcare cavernoso, di riutilizzo)
sbozzate e dal solito legante a base sabbiosa, con grumi di calce friabile.
ATT. 16: EMERGENZE DELL’ASSETTO ABITATIVO
All'interno del perimetro delineato dai muri 191/ 297, 202, 382 sono state
individuate scarse ma significative tracce della frequentazione quotidiana:
un focolare, dato da pietre (US 192) poggianti direttamente sul piano di
calpestio e addossato al muro 191; un'anfora (US 225 - 228) infissa nel
terreno ad uso di dispensa per cereali (fig. 14); due fori per pali di servizio
(US 217, 278), usati cioè per appendere masserizie o per creare dei trespoli
in funzione del focolare. Tracce di battuti pavimentali o di livelli di
frequentazione sono rappresentati dagli strati 215 e 216.
Ad est del muro 293 è stato messo in luce un lacerto di muratura (USM
208) con andamento est-ovest, costituito da frammenti di laterizi, pietrisco
e pezzame di pietra, con legante povero di calce, analogo al muro 202. La
struttura risulta tagliata (US 209) nello strato 220 ( = 221), in parte
asportato dalla fossa 81 (posa dei tubi del gas, att. 45, periodo XI).
Fase C
ATT. 73 – 74 – 75 - 76 – 77 - 83
1
La guerra greco-gotica è invece ben documentata per Firenze, e per essa si rimanda a DA-
VIDSOHN 1977, P. 75.
2
CONTI 1973, pp. 63 e sgg.
3
Un fenomeno di regresso demografico si evidenzia nel territorio circostante Siena, sulla base di
dati archeologici (abbandono delle ville di età romana), nel V sec. d.C . Cfr. CRISTOFANI 1979, p.
102. Lo stesso Cristofani (ibidem) dà come probabile anche un fenomeno di riflusso dell'attività
produttiva in Siena, ma ciò sembra in parte contrastare con i dati dello scavo, sebbene più tardi, che
mostrano un buon livello nella produzione ceramica e rapporti di interscambio anche con aree
piuttosto lontane.
nel medio periodo4 e questo si evidenzia anche sulla base dei reperti
ceramici relativi a questa fase (per i quali cfr., in questo stesso volume, pp.
366 - 374), che offrono un quadro piuttosto ampio delle relazioni
commerciali senesi del tempo.
Per tornare alle emergenze dello scavo, quella che è stata identificata è
un'abitazione all'apparenza povera, che rispecchia nelle modalità
d'impianto e nell'assetto i caratteri più comuni dell'edilizia minore
tardo-antica e altomedievale5: l'elemento del reimpiego di materiali edilizi
di spoglio, l'uso del legno, i focolari sul piano di calpestio, l'utilizzazione
dell'argilla per gli alzati e per il legante delle pareti (secondo tecniche che,
abbiamo visto in questo stesso scavo, non sono nuove ed importate, ma si
riallacciano ad una non mai sopita tradizione pre-romana).
I1 muro 208 è, ipoteticamente, ciò che resta di una struttura analoga a
quella descritta, seppure con orientamento leggermente diverso, ma più
decisamente danneggiata dalle attività successive.
Nessuna ipotesi concreta può essere fatta sul tipo di copertura del tetto di
queste strutture, ma non è escluso che questo fosse di frasche su travatura
lignea, dato che negli strati di distruzione non è stata trovata traccia di
fittili per copertura.
D.D.L.
4
Nella seconda metà del VI secolo, per modifiche alla viabilità dettate da motivazioni politiche (la
creazione del « corridoio » bizantino con conseguente impraticabilità della via Flaminia) e da
motivazioni ambientali (impaludamento della viabilità lungo costa e di alcune zone interne come la
Val di Chiana, dove passava la Cassia) Siena viene a trovarsi lungo l'unico percorso possibile tra il
nord Italia e Roma. BORTOLOTTI 1987, p. 4; CAMERON et alii 1984, pp. 63-66.
5
Cfr. BROGIOLO 1984a, p. 88 (su Brescia) e pp. 49-51 per un discorso più generale sulla
tecnologia edilizia nelle città altomedievali. Sullo stesso tema si veda anche LA ROCCA HUDSON
1986 che critica la visione negativistica, derivante direttamente dalle tesi del Pirenne che vede la
città « ruralizzarsi » nell'alto medioevo, anche e soprattutto in conseguenza del totale crollo del
commercio su lunga distanza. Sulla base delle esperienze archeologiche nella città di Verona,
l'autrice offre ad esempio una reinterpretazione del fenomeno del « riuso » deali edifici romani: «
Al posto di crolli per mancanza di manutenzione sia degli edifici pubblici che di quelli privati, che
avrebbero sepolto 'sotto metri di detriti' (BROGIOLO 1984b, n.d.r.) il piano romano, sembra
piuttosto delinearsi un quadro di un più cosciente e meno casuale riuso e sfruttamento dell'antico,
che include sia il voluto abbattimento di edifici ritenuti inutili, sia l'adattamento e la manutenzione
di quelli ancora sfruttabili. » (LA ROCCA HUDSON, cit., p. 70). Naturalmente le emergenze del
nostro scavo, pur evidenziando alcuni elementi di notevole interesse non permettono di leggere in
un senso o nell'altro il livello di riutilizzo attuato dall'abitazione altomedievale nei confronti
dell'edificio romano ed è inoltre impossibile, data l'assenza di altri scavi, un discorso generale su
questo problema per la città di Siena.
Settore I — Area di scavo
E.B.
Settore III
A.M.
1
I mattoni (14 visibili) hanno queste dimensioni medie: h. cm. 6,3 (min. 5 cm., max. 7 cm.); largh.
12,5 cm. (su 4 campioni) (min. 12 cm.; max. 13 cm.); lungh. 28,7 (su 9 campioni) (min. 28 cm.;
max. 29,5 cm.). A circa 45 cm. dal piede della fondazione è presente una risega, con spessore di 6
cm.
2
Cfr. periodo VIII.
Fase B
E.B.
Settore I — Elevato
R.C. — F.G.
Fase C
Settore III
Muro in laterizi (USM 92) edificato sopra la parte destra del paramento in
pietra, pertinente alla stessa azione costruttiva del primo piano del Palazzo
del Rettore (settore I, USM 25) (fig. 21).
A.M.
Settore I — Elevato
R.C. — F.G.
3
Per comodità nel matrix abbiamo raggruppato in un'unica USM ciascuna serie omogenea di
aperture del primo e del secondo piano della facciata (USM 8, 19, 37, 42). Ciò è del resto
giustificato dal minor grado di approfondimento di lettura stratigrafica attuato nelle parti superiori
dell'edificio rispetto al piano terra. Facciamo presente che una prima analisi stratigrafica della
facciata relativa al settore I è in FRANCOVICH - PARENTI 1988, pp. 119-123.
Fase D
Come i tre pilastri (att. 20) sopra descritti, anche questi ultimi due (USM
307 e 308) si fondano non su plinti, ma su un'unica fascia muraria (USM
375) (fig. 22), in mattoni, disposti, con qualche irregolarità, due di fascia e
uno di testa. Lungo tutta la muratura è stata rilevata una stretta fossa di
fondazione (US 403), il cui riempimento (US 402) ha restituito solo una
moneta di età romana, evidentemente residua.
La murature 375 si appoggia in modo chiaro alla fondazione dei primi tre
pilastri (USM 415).
Tra il pilastro 307 e la fondazione 375 si segnala una soluzione di
continuità, da imputare con ogni probabilità ad una stasi di cantiere.
E.B.
Settore I — Elevato
R.C. — F.G.
Fase E
Settore III
Questa struttura posta alla sinistra della chiesa, confinava, verso la Corsia
Marcacci, con la cesura USM 118 rintracciabile alla sinistra della porta
USM 112 e della bifora USM 52. Articolata su due piani, divisi tra loro
soltanto dal cornicione in pietra USM 48, comprendeva le USM 110, 19,
13, 8, 23, costituenti il paramento murario del piano terreno sul quale si
aprivano le porte USM 112, 27, 38 e le due monofore (USM 40 42) oggi
tamponate e la USM 49 corrispondente alla muratura del piano di cui
fanno parte le otto bifore (USM 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59). L'edificio
terminava con un tetto posto poco al di sopra della chiave di volta delle
bifore ora mensionate. Di questo sono individuabili una serie di bozze di
pietra, oggi scalpellate ma ancora ben visibili nel 19074 (forse dentelli per
l'alloggio del dormiente) e gli alloggi delle saette, facilmente rintracciabili
tra bifora e bifora (vedi tavv. B, G).
A.M.
4
LUSINI 1907, p. 104.
ATT. 21: CREAZIONE DI AVELLI PER DEPOSIZIONI MULTIPLE
(fig. 27)
Sul fondo degli avelli sono stati rinvenuti resti scheletrici (US 271, 272,
273) solo parzialmente conservati, date le distruzioni subite in fasi
successive (vedi periodo VII B) dalla fossa e le particolari condizioni del
terreno che hanno deteriorato le ossa fino a far perdere loro consistenza
(fig. 29).
Le deposizioni erano orientate in senso sud-nord, cosicché i crani sono
risultati al di sotto della panca addossata alla facciata, e ciò ha creato
alcune difficoltà nella fase di recupero6.
I resti scheletrici, posti l'uno sopra l'altro in modo incoerente nei singoli
avelli, poggiavano sul piano di puddinga, leggermente abbassato rispetto
alla quota originaria e coperto da un velo di calce (US 274).
Come vedremo meglio in seguito, gli avelli cadranno in disuso intorno
all'ultimo quarto del XV secolo e la fossa verrà sconvolta e nuovamente
colmata con i resti scheletrici rimossi e frammentati e con terre di riporto
(vedi periodo VII B); solo sul fondo dunque sono state evidenziate
deposizioni conservate nella loro posizione originale.
5
Dimensioni medie dei laterizi: h. cm 5,03; largh. cm 12,6; lungh. cm 28,2.
6
Per la descrizione dettagliata dei resti scheletrici, si vedano pp. 411-446.
E.B.
Settore VI
Anche per questo piano sono state distinte due USM, l'USM 41 a sinistra
della grossa tamponatura centrale (USM 47) e 1'USM 42 a destra di
questa, poiché anche la muratura del primo piano a causa di questo
tamponamento è divisa in due parti non contigue tra loro. Una cornice
marcapiano in pietra (USM 43, 44, 45) divide il piano terra dal primo
piano. Di una delle due finestre bifore che si aprivano a questo piano è
ancora visibile una parte dell'arco acuto, USM 46, mentra dell'altra rimane
solo la traccia dell'imposta dell'arco, USM 69, alla cui altezza,
simmetricamente all'altra finestra, quale elemento decorativo, fu apposta
una cornice in pietra (USM 76, 77, 78) oggi particolarmente deteriorata e
in alcune zone tagliata dalle successive aperture che si susseguirono in
questo piano nell'arco dei secoli.
Sono inoltre visibili gli alloggi per saette (USM 79, 80, 81, 82) e mensole
(USM 83, 84, 85, 86, 87), al di sotto della cornice marcapiano, USM 68,
relative all'originario sistema di copertura dell'edificio.
ATT. 3: APERTURA E SUCCESSIVA TAMPONATURA DI UNA
PICCOLA APERTURA (vedi tavv. D, H)
G.B.
Settore III
Tale muro (USM 91) si appoggia da un lato al primo piano della Casa dei
Gettatelli, dall'altro alla muratura in cui è visibile l'orologio (fig. 34 e tav.
B).
Comprende la struttura in cotto situata tra il corpo originario della Casa dei
Gettatelli, dal quale è separata dalla cesura USM 118, e l'edificio oggi
denominato « Corsia Marcacci »; è definita da un primo piano (USM 116)
con due bifore (USM 50 e 51 ), che vanno a sommarsi alle otto già
esistenti, diviso dal piano terra (USM 1, 3, 113, 114) con portale d'ingresso
(USM 4) soltanto dalla cornice in pietra USM 115.
A.M.
INTERPRETAZIONE
Fasi A, B, C, D
Settore I
E.B.
Settore III
La lettura stratigrafica ha indicato come parte più antica il tratto del settore
coincidente con l'att. 1, che, originariamente, doveva corrispondere,
seppure non completamente, al lato sinistro della cappella ascrivibile, visti
14
Si veda a tal proposito l'ipotesi interpretativa in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987,
p. 25, riferita alla struttura quadrata, dalla muratura possente, visibile al di sotto dei locali del pronto
soccorso (zona radiologia): « Finché rimase un'entità a sé stante il castello di Santa Maria ebbe
probabilmente più di un'entrata. Certamente ne ebbe una in corrispondenza dell'attuale pronto
soccorso ...situata in un punto di massima e quindi facilmente difendibile e indicata dalla presenza,
alla quota sottostante la piazza, di una struttura assimilabile a un'antiporta o ad un rivellino ». Nello
stesso testo l'ipotesi è illustrata a p. 33, tav. IV. 29. Attualmente però, l'ipotesi non appare
verificabile anche se la presenza della struttura indicata è incontestabile. Morandi e Cairola
(MORANDI-CAIROLA 1985, pp. 83, 89) denotano invece come nucleo più antico i locali d’
angolo tra il vicolo di S.Girolamo e la via de' Fusari, datandoli tra la fine del X secolo e i primi
dell'XI. Anche qui di fatto è presente (all'inizio del vicolo) un brano murario in blocchi di calcare,
fondato sullo strato geologico di puddinga e inglobato nelle strutture ospedaliere.
15
Anche Gallavotti e Brogi (GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 32) interpretano co
me sagrato lo spazio attualmente occupato dal pronto soccorso, a partire dalla seconda metà del XIII
secolo. Si veda anche, in questo stesso volume, pp. 32-33.
i documenti che ne autorizzano la costruzione16, alla seconda metà del XIII
secolo. Abbiamo scelto di adottare il termine cappella in conformità con la
definizione data da Alessandro IV nell'ultima autorizzazione, risalente al
1257, per la costruzione di tale edificio17; questa denominazione coincide
anche con quella usata dal rettore Tese Tolomei quando, nel 1316, chiede
di essere sepolto infra capellam hospitalis18.
Per la complessa questione della esatta identificazione dell'originario corpo
di fabbrica, si rimanda al contributo di Parenti in questo stesso volume.
Qui sottolineiamo soltanto l'evidenza del taglio operato nel paramento in
calcare per l'inserimento dell'arco sormontante l'apertura 48, relativo al
porticato a piano terra dello stesso Palazzo del Rettore (cfr. periodo VB,
att. 20).
Per quanto riguarda l'att. 2, questa veniva messa in opera poco prima del
1290 al momento della costruzione del Palazzo del Rettore.
A.M.
Settore I — Elevato
L'attività 20 consiste nella costruzione di tre archi a sesto acuto, tre pilastri
e il tratto di muratura soprastante a filari di pietre e mattoni. Tale struttura,
affiancata alla parete nord della cappella, è forse interpretabile in un
porticato avente funzione di sagrato19. La sua collocazione cronologica
risulta stratigraficamente posteriore alla costruzione della cappella,
databile, sulla base di fonti documentarie, al 1257 o agli anni
immediatamente seguenti20. L'attività successiva, indicata col numero 121,
è costituita dal rialzamento del Palazzo del Rettore con un piano
16
Dal Breve di Alessandro IV, pubblicato integralmente in BANCHI 1877, pp. 11-13; cfr.
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 415, reg. 1 e 2.
17
Vedi nota 16 e GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 6O-61.
18
ASS, Sp., Dipl. ad annum; cfr. BANCHI 1877, pp. 40-41.
19
Circa l'ipotesi del sagrato cfr. supra e n. 15.
20
ASS, Sp Dipl. 1257, giugno 27; cfr. BANCHI 1877, pp. 151-153. Sulla base della tecnica muraria
e della tipologia degli archi DE VECCHI 1949, p. 26, assegna tale struttura alla prima metà del
Duecento (la datazione alla seconda metà del secolo accennata a p. 17 è probabilmente una svista).
Gallavotti (GALLAVOTT1 CAVALLERO 1985a, pp. 58, 66-67 nn. 54-58) distingue invece il
brano murario dagli archi a sesto acuto, assegnando il primo alla fine del XII secolo, sulla base di
analogie architettoniche con edifici romanici della città e del contado, e i secondi ad un periodo
posteriore, coevo a quello della sistemazione definitiva del pianterreno. In una successiva
pubblicazione la datazione del brano murario viene spostata alla fine del secolo XI (GALLAVOTTI
CAVALLERO - BROGI 1987, p. 31).
caratterizzato da tre bifore. Questo intervento si inserisce tra l'attività 20,
collocabile dopo l'anno 1257, e l'attività 49, databile al 1290.
Il complesso delle strutture fin qui descritto è stato successivamente
ampliato sul lato destro tramite l'attività 49 consistente in un vasto corpo di
fabbrica caratterizzato da sei arcate al piano terra e sei bifore al primo
piano. Le bifore sono formate da archi a sesto acuto e presentano forme e
dimensioni simili a quelle del precedente intervento. Le arcate del piano
terra pur essendo a sesto acuto si differenziano da quelle dell'attività 20 in
quanto meno estradossate ed impostate su mensole sagomate. Sulla base
del contenuto di un'epigrafe ( USM 12), inserita nella muratura 11,
l'ampliamento è da considerarsi ultimato nell'anno 129021.
R.C. — F.G.
Fase E
Settore II
A.M.
Fase F
26
MACCHI;, Origine, c. 60; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 63 e 68, n. 90.
Occorre qui sottolineare alcuni dati desunti dallo studio dei reperti,
eseguito su un numero minimo di individui, calcolato in 54.
Su questi 54 individui, 40 sono adulti, prevalentemente maschi, e 14
infantes e giovani fino a 18 - 19 anni di età.
Pur nella ristrettezza del campione, lo studio ha segnalato alcuni dati
demografici di particolare significato: 1) il 20% degli individui considerati
supera i 50 anni di età, indicando una certa propensione alla longevità, con
una diffusa "speranza di vita" 27; 2) gli individui considerati risultano di
costituzione particolarmente robusta, in alcuni casi addirittura maggiore
alle medie attuali28; 3) dall'analisi di precisi elementi antropometrici
emerge « una vita di tipo sedentario e forse una buona alimentazione
almeno nel periodo dell'accrescimento, accompagnata da un discreto
esercizio fisico, ma forse mai di tipo lavorativo »29; 4) le stature rilevate
rientrano nei valori medio-alti, per maschi e per femmine.
Tendenzialmente sembra dunque trattarsi di un campione di individui di
alto stato sociale 30.
La lettura e l'interpretazione di queste significative emergenze può dunque
muoversi su più piani: documentario, archeologico, antropologico e
paletnologico.
Esiste un buon numero di fonti relative alle diverse aree cimiteriali usate
dallo Spedale nel corso del suo sviluppo; alcune permettono una sicura
identificazione con le emergenze ancora visibili all'interno del complesso
ospedaliero, altre risultano più lacunose ed incerte.
Nel 1192 viene nominato per la prima volta il cimitero sulla piazza di
fronte alla chiesa di S.Maria 31, il cui uso probabilmente si accrebbe con il
consolidarsi dell'attività ospedaliera 32
È questo stesso cimitero quello a cui fa riferimento un documento del
1215, la famosa cronaca della cerimonia processionale officiata dal
canonico Oderigo 33.
27
Cfr. p. 417.
28
Cfr. p. 422.
29
Cfr. p. 422.
30
Cfr. p. 424.
31
MACCHI, Memorie, II, f . 333 t.
32
GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 31. Su questa evoluzione delle strutture
ospedaliere si veda l’ intervento di Balestracci e Piccinni in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a
(BALESTRACCI - PICCINNI 1985, pp. 21-39).
33
« Faciunt processionem per Claustrum Canonicae et veniunt ante Januas majoris ecclesiae,
et...Sacerdos qui spartit aquam per Cimiterium, et Officinas, et in Hospitali, cum redierit, stans in
Januis Ecclesiae dicit... »« ...ascendit super gradum in Januis et verso vultu ad eos qui sunt in
platea... », in Ordo Officiorum Ecclesiae Senensis, pp. 12, 74, 116-17, 162, 178, 234, 251, 299, 300.
Tra lo Spedale e il Duomo, ancora nel XIII secolo, vi è dunque un'area
riservata, protetta, destinata alle deposizioni almeno dal XII secolo.
Ma di questo cimitero non abbiamo trovato traccia, a causa delle
operazioni di sbancamento e di livellamento subite dalla piazza stessa,
documentate dalle fonti ed ora indicate anche dall'indagine archeologica.
Una nuova area cimiteriale viene disposta dal Constituto del Comune di
Siena nel 126234 sull'area già occupata da alcune case iuxta hospitale,
insieme alla creazione di un « carnaio ». Il documento indica una
distinzione tra le sepolture, in relazione probabilmente allo status sociale
dei morti: per alcuni si destinano loculi sulla piazza, per altri (malati,
infermi, poveri assistiti) una fossa comune.
Ma neppure questi loculi sembrano corrispondere agli avelli evidenziati
dallo scavo, seppure la cronologia potrebbe coincidere; a quest'epoca
infatti è impossibile che vi fossero case addossate, sul lato della piazza,
all'oratorio già edificato (o in via di costruzione) e al porticato limitrofo.
Il carnaio indicato dal documento si situa « alle spalle del palazzo del
rettore a ridosso, all'esterno, della prima cinta urbana, ma pur sempre
all'interno della cerchia urbana, giacché era già esistente l'ampliamento del
1257 » 35.
Più interessante, per la lettura dei nostri avelli, un documento del 1306 36.
Il documento ci mostra il Duomo, « elevato su una scalinata, con triplice portale aperto su un'ampia
piazza e fiancheggiata dalla canonica eretta ai primi del Duecento e dal Palazzo Vescovile,
situazione che resterà immutata fino alla demolizione del palazzo vescovile nel 1262 »
(GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 58). Inoltre troviamo localizzato il cimitero di fronte
all'ingresso del Duomo ed è ricordata la presenza di Officinas (botteghe o spazi per attività
artigianali collegate allo Spedale) più o meno nella stessa area. Un documento del 1147 sancisce
l'acquisto da parte dello Spedale di una casa « ante gradus Sante Marie » (ASS, Sp. Dipl., ad diem).
Nel 1210 lo Spedale acquista una casa e una piazza « iuxta ecclesiam Sancti Johannis » (ASS, Sp.,
Contratti, 70, f. 71), cioè presso l'antico battistero, da localizzare con ogni probabilità nell'area della
piazza verso via del Capitano (Cfr. LUSINI 1901, p. 14, che localizzava invece il battistero nell'area
oggi occupata dal Palazzo arcivescovile; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 58 e note
64-65). Dunque, almeno dal XII secolo, ma certamente anche in precedenza, il piano di S.Maria si
mostra non solo occupato dagli edifici del potere ecclesiastico (Duomo, Battistero, Canonica,
Palazzo Vescovile), ma anche da abitazioni e botteghe, scandite da una viabilità minore, che lo
Spedale mano a mano acquisisce per il suo ampliamento.
34
Si veda Constituto, Dist. I, rubr. XXIV e XXX). Si noti anche qui l'acquisizione di case per le
necessità dello Spedale.
35
GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 37.
36
ASS, Sp. 351, f. 122, «memoria settecentesca del privilegio originale che non esiste più », anche
in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 104 e AOD, pergamena 597, in Documenti
per la storia dell'arte senese 1854-56, vol.I, pp. 165-166.
Si tratta di una delibera dei Nove con cui si stabilisce di spianare la piazza
antistante al Duomo e di lastricare di marmo le sepolture che sono in detta
piazza a spese di coloro cui tali sepolture appartengono. Oltre a segnalare
una trasformazione dello spiazzo antistante il Duomo e lo Spedale « da
spazio urbano conchiuso quale era stato fino ad allora a luogo di riunione e
di transito » 37, a vero e proprio spazio urbano, il documento indica o può
essere indice della rimozione di una serie di sepolture (forse pertinenti
ancora all'area cimiteriale descritta nella processione di Oderigo) e la
creazione di avelli privilegiati, di famiglia, coperti da lastre tombali in
marmo. Che i nostri avelli siano sepolture di famiglia, e di famiglia
nobiliare o comunque di alto ceto, sembra essere segnalato dalla presenza,
accanto ai maschi adolti, di donne e di bambini, seppure in percentuale
minore, come abbiamo visto nelle note antropologiche.
Avelli in apparenza analoghi a quelli da noi rinvenuti furono segnalati nel
1941 da Peleo Bacci, durante alcuni scavi di sondaggio « per esplorare la
fondazione della facciata attuale del Duomo... Al di sotto (della scalinata)
tutto il ripiano era ingombro di una serie di loculi, l'uno accanto all'altro,
divisi da muretti... » 38, In conformità al documento del 1306, queste
sepolture erano coperte da lastre marmoree, tre frammenti delle quali sono
conservati al Museo dell'Opera del Duomo.
Nel 1378 le sepolture tra lo Spedale e il Duomo erano ancora in uso, come
attesta la lite sorta tra l'ente assistenziale e quello ecclesiastico
sull'occupazione e l'uso degli spazi della piazza che portò alla
realizzazione del "rigolo" di divisione ancora oggi presente sotto forma di
una fila di pietre bianche nell'area tra i due edifici 39.
Che poi nel 1306 o comunque all'inizio del '300 vi sia stato uno
spianamento dell'area è confermato indirettamente dalla documentazione
archeologica che non segnala depositi anteriori a quel periodo se non
risalendo alle emergenze di VI/VII secolo.
E.B.
Settore VI
37
GALLAVOTTI CAVALLERO -BROGI 1987, p. 39.
38
PIETRAMELLARA 1980, p.15, che però non riporta la fonte.
39
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, nota 47, p. 131. Se è vero, come afferma il
Macchi,(MACCHI, Origine, c. 60 bis, erratica), che le panche o murelli furono costruiti nel 1378
(ma non sappiamo quali porzioni), è probabile che la porzione insistente sugli avelli non fosse
prescnte in questa prima fase.
Tutta una serie di risultati provenienti dall'analisi stratigrafica e da quella
mensiocronologica portano, in mancanza di dati documentari editi certi, a
formulare l'ipotesi che il nucleo originario dell'attuale facciata della Corsia
Marcacci sia stata costruita sull'ingombro probabilmente di un precedente
edificio40, contemporaneamente all'ampliamento della Casa dei Gettatelli
(att. 5, settore III), deliberato nel 133641. Questa ipotesi è, come si è detto,
confermata sia dall'analisi stratigrafica, che attesta che nei punti di contatto
tra i primi due piani della Corsia Marcacci e questo edificio, le murature in
molte zone si legano e quindi sono contemporanee, sia dai risultati
dell'analisi mensiocronologica, che confermano una identità di misure per
quanto riguarda l'altezza e la larghezza dei mattoni. Del resto un'ulteriore
conferma all'ipotesi che la Casa dei Gettatelli sia stata edificata in un
periodo di poco anteriore alla costruzione di questo corpo di fabbrica,
proviene dal confronto tra le due originarie monofore della Casa dei
Gettatelli e quelle al piano terra della Corsia Marcacci, di cui oggi restano
visibili i davanzali inferiori e una parte dei sovrastanti archi a tutto sesto.
Si può notare, infatti, quanto queste siano simili tra loro non solo nella
forma, ambedue strette, lunghe e sormontate da un arco a tutto sesto, ma
anche nelle misure. Malgrado infatti si riscontri nelle monofore della Casa
dei Gettatelli un'altezza maggiore di quelle della Corsia Marcacci,
misurando le prime 4.50 m. e le seconde 3.70 m., nella larghezza le misure
sono perfettamente coincidenti, essendo ambedue di 1.47 m.
Tutto questo porterebbe quindi ad ipotizzare che le due monofore della
Corsia Marcacci siano state realizzate su modello di quelle già presenti, in
un periodo molto vicino all'apertura delle prime due.
G.B.
Settore III
40
Si veda a tale proposito il contenuto del documento: ASS, Consiglio Generale, c. 36v, 37r.
41
Si veda relazione settore III.
di costruzione della Casa dei Gettatelli a cui si appoggia e dall'edificazione
dell'USM 91 che la copre e che appartiene all'attività successiva (att. 4).
Non è stato neppure possibile stabilire i motivi che portarono alla sua
messa in opera, ma è ipotizzabile che si trattasse di un primo intervento
teso ad ottenere una maggiore omogeneità della facciata del complesso.
Qui sottolineiamo soltanto la contemporaneità tra questa porzione del
paramento in calcare e la porta USM 94 a cui si lega la soglia USM 96.
Nell'att. 4, invece, possiamo forse riconoscere quel muro che il rettore
Tese Tolomoi fece innalzare, tra il 1314 e il 1320, sopra la cappella, per
ricevere i famosi affreschi del Lorenzetti ed una tettoia42; questa è
documentata sia nel quadro di Marcucci (Processione sulla Piazza del
Duomo) che dal disegno del Vanni, alla fine del XVI secolo e da una serie
di disegni successivi.
Per quel che riguarda la Casa dei Gettatelli, nell'att. 5 siamo propensi a
riconoscere quell'ampliamento, di cui troviamo notizia in una richiesta al
Consiglio generale recante la data del 29 agosto 133643, che avrebbe
obliterato un chiasso multum ripidum et obscurum, posto tra le case dello
Spedale (probabilmente quelle preesistenti alla costruzione della Corsia
Marcacci) e la Casa dei Gettatelli. Tale intervento, che riprendeva i modi
costruttivi della facciata edificata nel 1298, si era reso necessario a causa
della grande quantità di esposti, che, evidentemente, gli spazi disponibili
non riuscivano più ad ospitare.
A.M.
Fase A
Settore III
A.M.
Settore I — Elevato
Fase B
Settore VI
G. B.
Settore III
Vengono messi in opera i muretti con funzione di sedili (USM 14, 9) che
corrono lungo buona parte della facciata.
A.M.
Settore I - Elevato
E.B.
INTERPRETAZIONE
Fase A
Settore III
A.M.
1
ASS, Sp.515, c.15; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p.417, reg.44.
Settore I — Elevato
R.C.—F.G.
Fase B
Settore VI
2
MACCHI, Origine, c. 60rv.
3
MACCHI, Origine, c. 17r.
4
Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp.63- 64
5
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 430, reg. 375 e, in questo stesso volume, l'intervento di
Milani.
6
Cfr. infra, periodo VII.
7
MACCHI, Memorie, I, c. 17; II, c. 123; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 133, n. 199.
corrisponda anche la costruzione delle due panche in travertino, relative al
piano terra della Corsia Marcacci, il cui aspetto originario sicuramente è
stato, almeno in parte, alterato da frequenti rifacimenti e restauri.
G.B.
Settore III
A.M.
Settore I — Elevato
8
Cfr. nota 7.
9
Un primo restauro risale al 1740, MACCHI, Memorie, II, c. 144, cfr. GALLAVOTTI
CAVALLERO 1985a, p. 362.
10
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, nota 117, p. 132.
11
Ibidem, p. 80.
12
Ibidem, p. 105.
Manto, posta esattamente nello spazio retrostante le tre arcate di piano
terra del palazzo del Rettore, là dove oggi è il pronto soccorso 13.
Comunicava con la chiesa tramite una porta posta sul lato breve 14 e doveva
invece essere totalmente chiusa all'esterno, in seguito appunto al
tamponamento della struttura porticata.
I visitatori dello Spedale, dunque, dovevano passare dalla chiesa per
accedere all'interno15. Questa situazione fu modificata, perché disagevole e
disdicevole per il luogo di culto, solo nel 1608, quando venne aperta
l'arcata centrale della cappella delle reliquie 16.
Pur se hanno subito successivi interventi (per apertura di finestre e, come
vedremo, per la messa in opera e la rimozione della « pila degli esposti »)
il primo ed il terzo tamponamento delle tre arcate dovrebbero essere
ancora quelli della seconda metà del '300, mentre quello dell'arcata
centrale corrisponde alla chiusura dell'ingresso allo Spedale, operata alla
fine dell'800.
Ancora « per la benedizione di dette reliquie »17, nel 1378 furono costruiti,
a detta del Macchi, i « murelli » o panche addossati alla facciata. Ma,
come abbiamo visto, questi hanno subito nel tempo modifiche e
ricostruzioni; solo la fondazione al di sotto dell'ultima arcata (USM 96)
mantiene elementi di originalità 18.
E.B.
13
La cappella fu affrescata nel 1370 da Cristoforo di Bindoccio e da Meo di Piero, come dimostra
la loro "firma" sull'arcone della prima campata verso la piazza. Cfr.GALLAVOTTI CAVALLERO
1985a, pp. 106-107 e nota 206, p. 133.
14
Ciò è mostrato anche da Domenico di Bartolo nell'affresco La Distribuzione dell'elemosine
(1442), posto nel pellegrinaio dello stesso Spedale. Conferma di ciò viene anche dalla relazione
della visita fatta dall'ambasciatore di Gian Galeazzo Visconti, nel 1399 (in GALLAVOTTI
CAVALLERO - BROGI 1987, da una copia cinquecentesca in TIZIO, Historiarum senensium e
dalla relazione inviata a Francesco Sforza nel 1456 (in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI
1987, pp. 107-108, da LEVEROTTI 1984, pp. 276-291).
15
Si vedano le visite sopra citate.
16
All'interno della cappella, sulla parete opposta all'arcata in esame, « rispondeva un grande varco
di accesso alle infermerie, aperto nel luogo dell'affresco della Madonna del Manto ». Cfr.
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 301, 165-168 e note 113-135, p. 260. L’autrice sottolinea
l’ alto valore taumaturgico che l'affresco di Domenico di Bartolo doveva aver raggiunto nel corso
degli anni, tanto da venir ritagliato e trasferito con gran pompa nella sagrestia (ibidem, p. 168).
17
MACCHI, Origine, c. 60 bis, erratica.
18
Nel quadro di Agostino Marcucci, Processione sulla Piazza del Duomo, (posteriore al 1610),
conservato nel Museo Civico, Palazzo Pubblico di Siena, le panche sono raffigurate più alte di
come appaiono oggi. Ma in molti particolari il quadro non è fedelissimo.
Fase A
Settore III
Viene distrutto il tetto (cfr. att. 3) di questo edificio posto poco al di sopra
della chiave di volta delle dieci bifore.
Ne fanno parte la USM 106 che, dalla Corsia Marcacci, si prolunga fino al
Palazzo del Rettore uniformando alla medesima altezza tutte le murature
sottostanti, l'ultimo piano (USM 73), comprendente le dieci grandi
monofore (USM 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83) e la USM 84, il
cornicione in pietra inserito fra la USM 73 ed il tetto.
Tamponamenti (USM 41, 43) delle monofore presenti sulla destra della
Casa dei Gettatelli.
Si tratta del tamponamento (USM 16,21) di due porte (USM 27,38 già
descritte) della Casa dei Gettatelli e di modifiche (USM 10) che vanno ad
interessare la porta USM 112 del medesimo edificio.
Fase B
Le fodere in laterizio della fossa 199 ed i muretti divisori degli avelli sono
stati rinvenuti parzialmente asportati (US 270).
La fossa è risultata riempita con i resti scheletrici sconvolti dalla rimozione
stessa degli avelli, da strati con numerosi grumi di calce, frammenti di
mattoni e terreno argilloso, rimosso e compattato (US 178, 186, 189, 195,
211, 219, 280, 281, 244, 198).
Pur se distinti in fase di scavo, per caratteristiche compositive
differenziate, l'analisi dei materiali ceramici contenuti ha confermato
trattarsi di un'unica operazione, volta ad annullare ed estinguere le
sepolture (figg. 37 e 38).
E.B.
Settore III
A. M.
Settore I — Elevato
R. C.—F. G.
Fase C
Settore VI
Il secondo piano, USM 53, fu diviso dal primo per mezzo di una cornice
marcapiano in laterizio, formata da mattoni posti di coltello„ USM 68,
oggi particolarmente deteriorata. Il tetto, USM 57, copre l'edificio, anche
se molto poco è rimasto della sua struttura originaria essendo questo stato
soggetto a numerosi restauri e rifacimenti.
G.B.
Settore III
A. M.
Settore I — Elevato
L'apertura 16, situata al piano terra del Palazzo del Rettore, viene
tamponata dalla muratura in mattoni 503. A quest'ultima sembra coeva la
finestra 504 che taglia (USM 506) il contiguo pilastro 502. Al di sopra
della finestra è presente l'epigrafe 505 che si lega alla muratura 503. Alla
stessa operazione sembra riconducibile la parziale tamponatura delle arcate
17 e 18 (USM 508, 509, 513, 518).
L'attività 125 (USM 53) indica il restauro dello spigolo destro del palazzo,
relativo alle USM 41 e 42. L'attività 126 (USM 525) indica invece una
lesione con dislocazione situata nel coronamento, in corrispondenza delle
USM 42 e 43 (tav C).
R.C.—F. G.
Fase D
Settore VI
ATT.6: MODIFICA DELLE LUCI DELLE DUE FINESTRE DEL
PIANO TERRA (fig. 31; tav. D)
Di queste due finestre, che tagliano sia la muratura USM 2 che la USM 22,
rimangono visibili solo gli stipiti esterni, USM 58 per la finestra a sinistra
della porta di ingresso, USM 60 per quella a destra e le due piattabande,
rispettivamente USM 72 per l'apertura a sinistra e USM 73 per quella a
destra. La parte inferiore di quest'ultime venne poi tamponata (USM 10 per
la tamponatura della monofora a sinistra e USM 30 per quella a destra).
G. B.
INTERPRETAZIONE
Fase A
Settore III
Una volta abbattuto il tetto della Casa dei Gettatelli (att. 3), si attua
l'ampliamento della cappella dello Spedale approvato dal capitolo nel
luglio 14662; tale ampliamento dovette interessare non soltanto l'esterno,
ma anche l'interno, dato che la nuova chiesa, che da questo momento sarà
chiamata dell'Annunziata, avrebbe compreso, oltre all'antica cappella,
anche la Casa dei Gettatelli.
La USM 106 è da interpretarsi come l'ultima regolarizzazione, prima della
costruzione dell'ultimo piano.
Per altro da un'indagine un po' più approfondita che ha tenuto conto non
solo dell'apparecchiatura muraria ma anche dell'impasto dei mattoni, la
USM 106 è risultata essere praticamente identica alla USM 73; le due
USM erano state distinte per la presenza di una fascia in pietra serena che,
secondo il metodo di lettura dell'elevato da noi applicato, costituiva, di per
se stessa, una cesura tra le due.
Questi lavori si protrassero certamente per oltre un decennio 3 , e
terminarono con la messa in opera del tetto (USM 86) che, se anche non
2
ASS, Sp. 24, c. 169t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 430, reg. 375.
3
ASS, Sp. 24, c. 219 e 222t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a p. 432, reg. 413 e 417 vedi
inoltre il contributo di Milani in questo stesso volume, pp. 117-118.
coincide con l'attuale a causa dei numerosi, probabili, rifacimenti,
occupava senz'altro la medesima posizione del tetto attuale.
Per quel che riguarda i due tamponamenti che costituiscono l'att. 15, così
come per le USM che fanno parte dell'att. 9, è impossibile stabilire una
datazione precisa ma è pensabile che siano stati operati in questo
momento. I primi furono forse motivati da esigenze funzionali, relative al
nuovo impianto della chiesa o, forse, tutti quanti si resero necessari per
problemi statici, dato che le vecchie murature della Casa dei Gettatelli
avrebbero dovuto sostenere il nuovo, imponente carico delle opere murarie
costituenti la sopraelevazione della chiesa (att . 6) .
Con l'intervento USM 10, facente anch'esso parte dell'att. 9, si viene a
modificare inoltre la porta USM 112. Tale intervento ne riduce la luce e ne
utilizza l'intradosso dell'arco come nuovo estradosso. Si delinea in questo
momento, dunque, la forma di questa porta che, nonostante i restauri
successivi (cfr. att. 22) resterà pressocchè inalterata fino ai nostri giorni.
Anche riguardo all'apertura delle finestrelle (att. 10) non possediamo
notizie valide per una cronologia; la loro datazione risulterà dunque
compresa fra questo momento (visto che tagliando i tamponamenti delle
porte descritti risulteranno più tarde degli stessi) e la fine del XVI secolo
(dato che sembrano essere già state operate nel disegno del Vanni
ascrivibile a questo periodo).
È inoltre probabile che in questo momento sia stata praticata una prima
intonacatura della facciata, forse parziale, che avrebbe obliterato e celato le
bifore del primo piano, donando al complesso un aspetto completamente
nuovo e corrispondente, ormai, a quello attuale.
Si conclude così il periodo dei grandi lavori a questo tratto dell'edificio; gli
interventi che seguiranno non saranno che rimaneggiamenti e restauri, mai
tali da alterarlo completamente.
A.M.
Fase B
E. B.
Settore III
A. M.
Settore I — Elevato
3
Sull'attribuzione dell'intervento a Francesco di Giorgio Martini, cfr. GALLAVOTTI
CAVALLERO 1985a, p. 200 e sgg.
4
Sull'attribuzione dell'intervento a Francesco di Giorgio Martini, cfr. GALLAVOTTI
CAVALLERO 1985a, p. 200 e sgg.
5
MACCHI, Memorie, II, c. 213t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 263, n. 338
6
MACCHI, Origine, cc. b, 17r; MACCHI, Memorie, II, c. 198v. Sull'argomento cfr., anche per
ulteriori indicazioni, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 63 - 64, e, in questo volume, l’
R.C.—F. G.
Fase C
Settore VI
Tra gli anni 1466 e 1471 venne eseguito l'ampliamento della chiesa dello
Spedale. Questo comportò non solo un ingrandimento della chiesa nel suo
interno, ma anche un rialzamento della facciata che interessò la Casa dei
Gettatelli nella sua interezza. Dai rapporti stratigrafici risulta che il
secondo piano della Corsia Marcacci si appoggia al sopraddetto
rialzamento confermando pertanto che l'ultimo piano della Corsia è
successivo a quest'ultimo.
Poiché nella veduta eseguita dal Vanni nel 1595, nella quale è
rappresentata abbastanza chiaramente la facciata dello Spedale, si nota che
nella Corsia Marcacci il secondo piano era già stato costruito, è probabile
che questo sia stato allora edificato nel periodo compreso tra la data del
rialzamento della chiesa e l'anno in cui fu eseguita la veduta dal Vanni.
G. B.
Settore III
A. M.
Settore I — Elevato
intervento di Milani. Circa la datazione è da precisare che il rettorato di Cino di Francesco Cinughi
riguardò gli anni 1480 - 82 (BANCHI 1877, pp. 275 sgg.).
7
Vedi il contributo di Milani, in questo stesso volume, pp. 130 - 132.
L'attività 136 è databile, in base all'epigrafe 505, all'anno 1584 8. È però da
precisare che i rapporti stratigrafici tra la tamponatura e la finestra, a causa
di una patina scura che ricopre gran parte delle strutture, non sono stati
determinati con certezza. Una finestra rettangolare situata subito a destra
della porta del Palazzo del Rettore figura sia in un dipinto di Agostino
Marcucci, dell'inizio del Seicento, che in un disegno di Girolamo Macchi,
del 1697 9. In una fotografia della fine dell'Ottocento o dei primi del
Novecento l'arcata 16 presenta una sistemazione identica a quella attuale10.
Per alcune analogie tecniche e formali, tra le quali la presenza di un filare
di mattoni messi "a coltello", le USM 508, 509, 513 e 518, rispettivamente
riferibili alle arcate 17 e 18, sembrano coeve alla tamponatura 503 11.
8
Cfr. in questo volume, Gabbrielli, p. 109.
9
MACCHI, Origine, c. 60r. Il quadro del Marcucci, raffigurante la Processione sulla Piazza del
Duomo, è conservato, come abbiamo già detto nel Museo Civico del Palazzo Pubblico di Siena.
Nella Veduta dello Spedale di Antonio Terreni, del 1803, al posto della finestra figura invece una
piccola porta (FONTANI 1801 - 1803, III, p. 12). Per quanto riguarda l'identificazione delle attuali
arcate del piano terra del Palazzo del Rettore con quelle raffigurate nel disegno del Macchi occorre
fare qualche precisazione. Indipendentemente dal numero e dalla sequenza delle arcate
rappresentate, sia nel quadro del Marcucci che nelle vedute del Macchi e del Terreni ricorre una
costante: l'apertura principale è rappresentata in corrispondenza della prima arcata, partendo da
sinistra, del corpo a due piani di tale palazzo ovvero la nostra USM 15. Il fatto che alla sua sinistra
manchino, rispetto alla situazione attuale, una arcata nel Macchi e due arcate nel Marcucci può
essere dovuto o a difficoltà di rappresentazione oppure all'impossibilità di identificare tutte e
originali arcate per la presenza dell’ intonaco. A conferma di questa seconda ipotesi potrebbe essere
il poco giustificabile taglio praticato nel XVIII secolo nel pilastro 307 per l'inserimento di
un'apertura (vedi att. 110). A queste considerazioni si potrebbe obiettare che nel disegno del Macchi
figura complessivamente un numero di arcate uguale a quello attuale (la prima a sinistra è
chiaramente "nascosta" dalla pila degli esposti). E’ però da notare che l'ultima apertura, quella
all'estremità destra del palazzo, doveva appartenere ad un corpo aggiunto successivamente, che è
stato distrutto con le demolizioni del 1720 circa. Tale apertura infatti è posta nettamente a destra
della sequenza delle soprastanti bifore. A conferma di ciò è un disegno della metà del Seicento (fig.
23, p. 66) dove figura un assetto simile a quello presente nel Macchi, ovvero un'apertura in questo
caso una lunga finestra, posta a destra della sequenza delle bifore e della sottostante cornice
marcapiano. In conclusione, nel confronto tra il disegno del Macchi e la situazione attuale del
pianoterra del Palazzo del Rettore proponiamo di escludere la prima apertura sull'estremità destra e
di aggiungere un'apertura sulla sinistra della porta principale, ovvero della porta che in tale disegno
è indicata con il numero 12.
10
Si veda fig. 44b, p. 87. La fotografia è pure pubblicata in BORTOLOTTI 1983 P. 125, e in
AA.VV. 1986, p. 58. Circa la datazione della foto, che nella didascalia di quest'uitimo volume è
assegnata agli anni'40, è indicativo il confronto con un'altra fotografia pubblicata in [ DE NICOLA
] 1913, p. 9, la quale riproduce una sistemazione del Palazzo del Rettore chiaramente successiva (in
particolare si veda l'assetto delle bifore del secondo piano).
11
È da segnalare che nel rilievo fotogrammetrico pubblicato in questo volume il filare di mattoni "a
coltello" nella tamponatura 503 non figura.
Per quanto riguarda le attività 125 e 126 non abbiamo elementi per una
datazione precisa. Nel matrix abbiamo perciò convenzionalmente inclicato
una collocazione cronologica fluttuante che parte dalla fase
immediatamente successiva a quella dell'attività 124, stratigraficamente
anteriore. L'attività 125 è comunque visibile in alcune fotografie della fine
dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento12.
R.C. — F.G.
Fase D
Settore VI
G.B.
Fase A
Settore III
12
Ad esempio AA.VV. 1986, pp. 30, 58.
13
A. MARCUCCI, Processione sulla Piazza del Duomo, (1610), per il quale vedi nota 9.
Costruzione (USM 90) della cornice in pietra che separa il paramento in
calcare dalle murature sovrastanti, in modo da unire le due cornici già
esistenti della Casa dei Gettatelli e del Palazzo del Rettore.
Tamponamento (USM 95) della porta compresa fra gli attuali accessi alla
chiesa e all'ospedale (figg. 40a, 40b).
A.M.
Settore I — Elevato
E.B.
ATT. 137: APERTURA DI TRE FINESTRE
R.C. — F.G.
Fase B
Nella porzione nord-est dell'area di scavo è emersa una grande fossa (US
171) di forma quadrangolare (dimensioni: lungh. m 6; largh. max. cm
320), prolungata, in direzione est, al di là dei limiti di scavo. Sul fondo,
sotto ad una serie di strati di terreno argilloso, rimosso, contenenti
frammenti ossei e materiale edilizio di risulta (mattoni, grumi di malta)
(US 203, 187, 183, 185, 172) era conservato uno strato composto da soli
resti scheletrici frammentati e compattati (US 188), evidentemente in
giacitura secondaria.
ATT. 32: ASPORTAZIONE DEL DEPOSITO SULLA PIAZZA (fig. 44)
Su tutta l'area nord-est si sono rilevati strati di terra compatta (US 156,
162, 159, 149, 153, 158, 161, 163, 165), conservanti in alcune zone le
tracce di una pavimentazione in cotto a lisca di pesce (US 154, 119, 115,
323; att. 48) con andamento nord-sud, su file parallele (fig. 45).
E.B.
In alcuni punti del tracciato viario (att. 34) sono visibili rattoppi in seguito
a rotture e a logorio dei mattoni (US 142, att. 35, asportazione) (US 145,
143, 136, att. 36, restauri).
E.B.
Settore III
A.M.
Settore I — Elevato
E.B.
ATT. 140 E 141: TAMPONAMENTO DELL’ ARCATA I8 E
APERTURA DI UNA FINESTRA
Settore VII
4
ASS, Sp. 800, c. 271; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377 n. 66, 443. Si veda
anche MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v.
5 Si vedano BANCHI 1877, pp. 416 - 417, e GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 349. Circa l’
assetto dello Spedale precedente la demolizione cfr.MACCHI, Origine, c. 60 e in questo volume le
figg. 15 p. 56 e 20 p. 60.
L'intera struttura, completamente realizzata in mattoni e coperta dall'USM
46, eccetto le successive modifiche, è il risultato di un unico intervento
costruttivo. Le aperture 1, 10, 20 e l'arcata cieca 15 infatti legano con i
relativi pilastri 5, 12, 17 e 22 e con le USM 23, 26 e 33. Queste ultime, a
loro volta, legano con le finestre 36, 37, 38 e 39 e con la soprastante
muratura 40. Al primo piano le quattro bifore (USM 42) legano con la
muratura 41.
R.C.—F.G.
INTERPRETAZIONE
Fase A
Settore III
3
ASS, Sp., 789, c. 179; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p.442, reg. 666.
4
MACCHI, Memorie, II, c. 199t; ASS, Sp. 5938, Annali Corbani, c. 59t; cfr. GALLAVOTTI
CAVALLERO 1985a, p. 305.
5
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 198.
6
ibidem, pp.347 - 348.
separati dal seguente (att. 18) soltanto dalla già citata operazione di
stonacatura ed intonacatura della facciata7.
A.M.
Settore I — Elevato
E.B.
R.C.—F.G.
Fase B
Sul finire del XVII secolo Gerolamo Macchi eseguì il celebre schizzo della
facciata dello Spedale; per le osservazioni sulla 'fedeltà' del disegno
rispetto alla disposizione delle aperture al piano terra del Palazzo del
Rettore si rimanda, in questo stesso volume, alla nota 9, pp.222 - 223,
relativa al periodo VII.
Sulla base di quelle stesse osservazioni, la soglia 376 (att. 89) Si può
dunque interpretare con quella relativa alla rimessa delle carrozze.
I1 tamponamento inferiore delle aperture 13 e 14 non può essere datato
con precisione; sappiamo solo che nel disegno del Macchi almeno una (US
14) risulta ancora funzionante. Sui tamponamenti viene probabilmente
steso uno strato di intonaco che annulla la visione dei pilastri e delle
arcate, tanto che, in un momento successivo, nello spigolo del pilastro 307,
verrà tagliata l'apertura 346. I1 tamponamento originario dell'apertura 14
non è il 309, che risale probabilmente al periodo X ed è sicuramente
posteriore al taglio 346.
È ancora il Macchi a suggerirci16 una lettura possibile per l'att. 102, la
bocca di lupo che oggi si affaccia nei locali limitrofi a radiologia: (a. 1702,
22 novembre): « si pratica un'apertura al sepolcreto antico dei rettori, verso
la pila deg1i esposti, per dare aria ai granai ».
13
Circa l'identificazione di tale porta con l'arcata 15 vedi p. 223 n. 9.
1
Per alcune osservazioni sull'interpretazione delle fonti iconografiche di questa parte della facciata
vedi ancora n. 9 p. 223.4
15
Vedi fig. 40 p. 79.
16
MACCHI, Memorie, II, f. 262.
Nel suo schizzo della facciata, lui stesso ci mostra la pila degli esposti
nella prima arcata a piano terra del Palazzo del Rettore, esattamente al di
sopra della bocca di lupo 59 e in diretta corrispondenza con la
localizzazione degli avelli.
Posto che queste identificazioni siano corrette, ne consegue che gli avelli
sono stati il luogo di deposizione dei Rettori almeno fino alla fine del XV
secolo. Ma vi sono molti elementi che rendono dubbia questa
affermazione; il Macchi cita una traslazione dei sepolcreti dei rettori
(dall'esterno?) all'interno della chiesa ospedaliera nel 1613 17, più di un
secolo dopo che gli avelli da noi rinvenuti erano stati rimaneggiati e
comunque non svuotati ai fini di una traslazione. Inoltre, come abbiamo
visto, all'interno degli avelli risultano donne e fanciulli, accreditando
piuttosto l'identificazione con tombe familiari.
Ma l'operazione più importante, che caratterizza questa fase e l'intero
periodo, è l'intervento urbanistico (1718 - 1720) che comprende la
ristrutturazione del Palazzo Vescovile 18e la ridefinizione di via dei Fusari.
Di conseguenza furono abbattute le costruzioni poste ad angolo rispetto al
Palazzo del Rettore e ancora ben visibili nello schizzo tardo seicentesco
del Macchi. Sempre di questi anni è la porzione di facciata in stile, dopo la
nona bifora, verso la via dei Fusari19.
E.B.
Settore I
E.B.
22
La notizia è riportata in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, n. 47, p. 131, da ASS, Sp. 21, c.
3, Regesto, n. 99. Di questa pavimentazione tardo trecentesca non abbiamo trovato traccia nell'area
di scavo, perché probabilmente asportata da rifacimenti posteriori. L'uso di ammattonare le strade a
Siena risale al XIII secolo (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, p. 57 e nota 67: « essendo la strada
precedentamente ricoperta di selci secondo l'uso romano... Questo lavoro di sostituzione della selce
con il mattonato procedette piuttosto lentamente tanto che, agli albori del XIV secolo, le due forme
ancora coesistevano ».
Settore III
A.M.
Fase A
23
ASS, Sp. 800, c. 271; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 443, reg. 675; p. 349 e 377 n.
66 ; MACCHI, Memorie, II, c. 198t.
24
PECCI 1761, p 38; GALLAVOTTI CAVALLE RO 1985a, p. 377, n 66.
25
DELLA VALLE 1782-86 II, pp.208 - 209; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 72, 131 n.
61.
Si tratta di piccoli interventi (fosse e loro riempimenti, costituiti da sabbie
e terre di riporto) forse per piccole opere di restauro o per verifiche
strutturali (US 319, att. 57; US 379, 320, att. 58; US 321, att. 59; US 315,
att. 60).
E.B.
Settore VI
Queste due finestre (USM 11, 33), simmetriche alla porta di ingresso,
(USM 11 a sinistra e USM 33 = 39 a destra di questa) sono ambedue
sormontate da un arco a tutto sesto leggermente ricassato (USM 74 a
sinistra e USM 75 a destra) e poiché la loro larghezza è leggermente
minore rispetto a quella delle precedenti finestre, una piccola parte di
queste anteriori aperture fu tamponata (USM 59, 61) (vedi tav. D).
G.B.
Settore III
A.M.
Settore I — Elevato
ATT. 109: RIMOZIONE DELLA PILA DEGLI ESPOSTI (vedi fig. 16)
Al centro del tamponamento 420 si evidenzia una rottura (USM 304) per la
creazione di una piccola finestra con davanzale in mattoni (USM 306) (att.
94); al limite ovest del pilastro 307 si nota invece la rottura (USM 346) per
la creazione di una finestra definita in alto da una arco ribassato (USM
310) (att. 110).
E.B.
Settore VII
R.C.—F.G.
Fase B
In tutta l'area di scavo sono state documentate piccole fosse (US 381, att.
53; US 99, att. 103; US 131, att. 99; US 140 att. 105; US 138 att. 106),
stratigraficamente inseribili in questo periodo, ma di difficile
interpretazione a livello di microstoria. I loro riempimenti (US 100, att.
103; US 132, att. 99; US 141, att. 105; US 139, att. 106) non sono stati
inseriti in attività diverse dalle fosse stesse, tranne nel caso dell'att. 54 (US
380, 391) che presenta una sua articolazione interna.
E.B.
Settore VI
G.B.
Settore III
A.M.
Settore I — Elevato
La piccola finestra 304 nel tamponamento 420 viene chiusa dalla muratura
305 e al suo posto viene costruita una nuova finestra rettangolare, adesso
non più esistente6.
E.B.
6
Cfr la foto pubblicata in AA.VV. 1986, p. 58.
ripristina inoltre lo spigolo del pilastro 307 (USM 311) e si costruisce una
nuova finestra rettangolare, adesso non più esistente2.
Settore VII
R.C.—F.G.
PERIODO IX — INTERPRETAZIONE
Fase A
2
Ibidem.
3
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 362, da MACCHI, Memorie, II, c. 144. I muretti sono le
panche addossate alla facciata, ma è certo anche un restauro precedente.
E.B.
Settore VI
G.B.
Settore III
4
A. TERRENI, Veduta dello Spedale di Siena, in FONTANI 1803, vol. III, p. 12.
5
MACCHI, Origine, c. 61 bis ematica.
6
MACCHI, Memorie, II, f. 198t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, p.111.
È forse da mettere in relazione con le modifiche all'abside della chiesa,
risalenti al 17307, la necessità di operare il tamponamento (USM 101),
costituente l'att. 18, che oblitera la finestra USM 74.
A.M.
Settore I — Elevato
Più incerta la collocazione dell'att. 109; sappiamo solo, dal Macchi, che la
pila degli esposti era ancora presente nel 17028 ed è possibile solo una
datazione relativa. Lo stesso vale per le attività 94 e 110, che non sono
rappresentate nel disegno del Macchi e dunque si collocano
necessariamente dopo la fine del XVII secolo.
E.B.
Settore VII
Non abbiamo elementi per una precisa datazione dell'attività 149. La sua
realizzazione deve essere comunque anteriore alla rimozione dell'intonaco
della facciata poiché la tamponatura 11 presenta mattoni scalpellati e
tracce di intonaco. In una fotografia dei primi del Novecento il tratto della
facciata prospiciente via dei Fusari conserva ancora l'intonacatura9. Nel
matrix abbiamo convenzionalmente indicato una cronologia compresa tra
il periodo immediatamente successivo a quello relativo alle strutture
originali e i primi del Novecento, quando viene rimosso l'intonaco.
Difficilmente databili sono pure le attività 146 e 152, caratterizzate da
piccoli interventi. Anche in questo caso abbiamo indicato una datazione
fluttuante che parte dal periodo successivo a quello dell'assetto originale.
R.C.—F.G.
Fase B
7
Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 352. Si veda nota 9, periodo VIII.
8
Si veda nota 9, periodo VIII.
9
La foto è pubblicata in Un volo a Siena 1985, fig. 1-23.
Settore I — Area di scavo
Gran parte delle operazioni descritte risale con ogni probabilità al primo
XIX secolo ed è relativa alla distruzione della fascia di pavimentazione in
cotto e alla successiva realizzazione della pavimentazione in pietra ancora
oggi in uso.
Prima della posa di questa nuova pavimentazione si realizzano alcune
fosse per interrare i materiali di risulta dalla asportazione dell'ammattonato
e si prepara il terreno, garantendo le pendenze necessarie allo scorrimento
delle acque piovane.
L'uso della pietra per la lastricatura delle strade è piuttosto tardo, come
mostra un documento del 7 maggio 1771, in cui si attesta che l'ufficio delle
strade urbane di Siena fa « costruire il lastrico nuovo di pietre di cava
concia e murate in calcina balzana » nella via di Camollia e vi è il progetto
di lastricare la maggior parte delle pubbliche strade, per i vantaggi che
questa soluzione offre rispetto all'ammattonato 10.
E.B.
Settore VI
10
ASS, Governatore, 1152, filza del maggio 1771.
11
Il disegno del Mariani è pubblicato in AA VV. 1986, p. 46.
Inoltre il finestrone è analogo alle grandi aperture ad arco eseguite,
appunto, durante i restauri di metà Ottocento nel fronte a valle del
Passeggio e del Pellegrinaio e nel fronte nord, prospiciente la piazzetta
della Selva. Quindi è probabile che l'apertura del finestrone avvenne in
questo arco di tempo, mentre con i successivi restauri ci fu la sua
tamponatura.
Tra i restauri, tra l'altro, fu compresa anche, nel 1877, una intonacatura
della facciata a strisce bianche e nere12.
G.B.
Settore III
Non possiamo affermare con certezza che proprio a questa fase risalga
l'apertura della porta costituente l'att. 29; è certo però che nel 1803 era già
stata aperta dato che viene rappresentata nel disegno del Terreni pubblicato
nel libro del Fontani.
A.M.
Settore I — Elevato
Nei tamponamenti 420 e 309 vengono aperte due finestre rettangolari, non
più leggibili attualmente ma visibili in alcune foto d'epoca 13, e forse
presenti pure nella veduta del Terreni, del 1803.
Settore VII
12
AA VV. 1986, p. 25.
13
Vedi ad es. supra n. 1
14
La foto, pubblicata in Un volo a Siena 1985, I-23, è databile tra il 1897, essendo già inseriti i
fanali a gas di Vittorio Mariani (AA.VV., 1986, pp. 28-29), e i primi anni del secolo seguente, non
essendo ancora stata rimossa l'intonacatura della facciata.
Spedale dei primi del Novecento e probabilmente anche dal rilievo del
1838 15.
R.C.—F.G.
Settore VI
G.B.
Settore III
Lacerto murario (USM 2) presente sulla Casa dei Gettatelli nell'angolo più
prossimo alla Corsia Marcacci.
15
AA.VV. 1986, pp. 24, 47.
ATT. 19: TAMPONAMENTO DI UNA PORTA (vedi tavv. B, G)
La porta della Casa dei Gettatelli più prossima alla Corsia Marcacci (USM
4) viene parzialmente obliterata (USM 5) e ridotta a finestra (USM 6); sul
tamponamento di questa apertura si pratica, inoltre, un taglio (USM 7).
Si asportano alcuni mattoni, operando un taglio (USM 71) fra le USM 106
e 49, sovrastante nove delle dieci bifore della Casa dei Gettatelli; tale
taglio viene obliterato di nuovo tramite un restauro (USM 72) che si serve
di mattoni trafilati.
A.M.
Settore I — Elevato
R.C.—F.G.
Fase B (1909-1932)
Settore VI
G.B.
Settore III
Sono riconoscibili alcuni interventi agli archi delle porte della Casa dei
Gettatelli (USM 44, 45, 46, 47) e due di queste (USM 10, 38) (fig. 53)
subiscono addirittura dei tagli (USM 37, 15 relativamente all'apertura
USM 10 e USM 22 relativamente all'apertura USM 38) agli stipiti che
vengono ridefiniti tramite un restauro (USM 11, 12 relativamente all'USM
10 e USM 119 relativamente alla USM 38).
Sono individuabili inoltre, in prossimità del confine di questo edificio con
la porzione in calcare cavernoso, il taglio USM 31 e il suo tamponamento
(USM 32) e, alla sinistra della porta USM 38, l'intervento USM 26.
A.M.
Settore VII
R.C. —F.G.
INTERPRETAZIONE
Fase A
Settore VI
Tra il 1894 e il 1910 furono eseguiti tutta una seconda serie di importanti
interventi di restauro ed è in quegli anni che la facciata della Corsia
Marcacci assunse il suo aspetto attuale, come dimostra anche un disegno
eseguito dall'architetto Mariani nel 1907 (vedi periodo precedente), che ci
presenta la facciata così come è oggi.
Al primo piano fu tamponato il finestrone centrale e di conseguenza aperte
le tre finestre oggi esistenti, sormontate da un arco a tutto sesto, simile agli
archi delle due finestre a piano terra, e aperte le tre finestre del secondo
piano sormontate da una piattabanda. Inoltre è durante i restauri operati dal
Mariani che viene eseguita una gradinatura della facciata7.
G.B.
Settore III
A.M.
7
AA.VV. 1986, p. 34.
2
Vedi la foto in fig. 44b p. 87 (Archivio Alinari, n.9088. Con un'errata didascalia, indicante gli anni
'40, la foto è pubblicata in AA.VV. 1986, p. 58).
3
Cfr. AA. VV. 1986, pp. 28.
4
Cfr. AA. VV. 1986, pp. 28-29.
5
Cfr. AA.VV. 1986, pp. 33, 34. Circa tali lavori si vedano anclle i brevi interventi in « Rassegna
d'arte senese », I, 1905 e LUSINI 1907.
Settore I — Elevato
R.C.—F.G.
Fase B
Settore VI
G.B.
Settore III
I restauri alla facciata del S.Maria della Scala proseguono anche durante i
primi decenni del nostro secolo sotto la tutela della Soprintendenza e sono
riconoscibili negli interventi agli archi delle porte della Casa dei Gettatelli
e, probabilmente, nel rifacimento degli stipiti delle porte (USM 10 che, ai
tempi del Macchi, conduceva alle stalle ed ai granai e USM 38) del piano
terreno.
Siamo propensi a ritenere che appartengano a questa fase anche interventi
quali la USM 31, un taglio operato probabilmente per l'inserimento nel
muro di un pluviale, oppure quali la USM 26, un restauro che sostituisce
quattro mattoni della cortina originaria.
6
AA.VV. 1986, p. 28.
7
Ibidem, pp. 28-29 e fig a p 31.
A.M.
Settore VII
L'attività 151 risulta databile alla prima metà del nostro secolo. La
scalpellatura presente nei mattoni della tamponatura 21 sembra indicare
una realizzazione anteriore alla rimozione dell'intonaco della facciata,
attuata all'inizio del Novecento. Ma la planimetria dello Spedale eseguita
nei primi anni di questo secolo contraddice tale osservazione segnalando,
in corrispondenza dell'arcata 20, la presenza di un ingresso 8. È perciò
probabile che l'operazione di scalpellatura non sia legata ad una eventuale
intonacatura ma alla volontà di uniformare la nuova muratura con le
strutture originali. Nella planimetria dello Spedale del 1940 vi figura,
come oggi, una finestra9.
R.C. — B.G.
PERIODO XI (1935-1988)
8
Ibidem, p. 47
9
Ibidem, p. 52.
E.B.
Settore VII
R.C.—F.G.
INTERPRETAZIONE
E.B.
Settore I — Elevato
L'attività 132 risale agli anni 1963 - 64 quando viene ampliata la farmacia
dello Spedale attraverso la realizzazione di un piano ammezzato2. Tale
operazione comporta la costruzione di tre finestre rettangolari, tra loro
identiche per forma, tecnica e dimensioni, situate in corrispondenza dei
mezzanini, e la realizzazione di una porta (USM 604) e due ampie finestre
con arco a sesto ribassato (USM 602 e 603), relative al pianoterra. Queste
ultime sostituiscono due grandi aperture rettangolari, di cui non è rimasta
traccia, chiaramente visibili in alcune fotografie della fine dell'Ottocento e
della prima metà del XX secolo 3; è probabile che tali finestre siano state
realizzate nel Settecento inoltrato poiché sembrano figurare nella Veduta
dello Spedale di Antonio Terreni, pubblicata nel 18034.
Per quanto riguarda l'arcata 15 è da notare che le fonti iconografiche, dal
Marcucci al Macchi, al Terreni, alle fotografie della fine dell'Ottocento e
dei primi del Novecento, raffigurano sempre un portale, quello relativo
all'ingresso principale del Palazzo del Rettore, sormontato da un arco a
tutto sesto 5. L'unica eccezione è costituita da una foto pubblicata nel 1935,
ma databile a qualche anno prima, dove figura una grande finestra
sormontata da un arco a sesto ribassato molto simile a quello attuale e
8
Cfr nota 3, periodo II.
2
AA.VV. 1986, pp. 52 - 53, 62, 66.
3
Si veda ad esempio le foto pubblicate in [ DE NICOLA ] 1913, p. 9; AA.VV. 1935, p. 90;
AA.VV. 1986, pp. 30, 58.
4
Si veda ad esempio le foto pubblicate in [ DE NICOLA ] 1913, p. 9; AA.VV. 1935, p. 90;
AA.VV. 1986, pp. 30, 58.
5
MACCHI, Origine, c. 60r, FONTANI 1801-1803, p. 12, [ DE NICOLA ], 1913, p. 9,
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 15, 42; AA.VV. 1986, p. 58.
situato nella stessa posizione 6. Da fonti documentarie risulta che nel 1924
l'apertura era stata trasformata in finestra e che nel 1929 era stata di nuovo
modificata in portale 7.
Abbastanza recente sembra l'intervento relativo all'attività 156,
probabilmente in relazione con l'ultima sistemazione della parte inferiore
dell'arcata 17, fino a pochi anni fa adibita a vetrina della farmacia. In una
fotografia dei primi del Novecento al posto dell'attuale apertura figura
un'ampia finestra 8. Sicuramente recente è infine il davanzale 507 (att. 138)
poiché realizzato con legante in cemento.
Settore VII
R.C. - F.G.
6
MACCHI, Origine, c. 60r, FONTANI 1801-1803, p. 12, [ DE NICOLA ], 1913, p. 9,
GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 15, 42; AA.VV. 1986, p. 58.
7
AA.VV. 1986, pp. 38, 62, 66.
8
La foto è pubblicata in Un volo a Siena 1985, fig. 1-23.
9
Ibidem
10
AA.VV. 1986, p. 47.
Vicolo di San Girolamo.
1
Circa le possibili fasi costruttive dello Spedale relative al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta
della Selva si vedano i contributi di Carlucci et alii, in AA.VV. 1986, pp. 61 - 74, Di
Pietro - Donati, in ibidem, pp. 75-97; e GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, passim.
2
E’ da sottolineare che pure l'applicazione della mensiocronologia, non essendo ancora
particolarmente affinata per quanto riguarda l'area senese, pone notevoli difficoltà per la frequente
presenza di materiale di reimpiego.
rapporto di contemporaneità tra le USM 4 e 8. La relazione tra le USM 27
e 33, impossibile da determinare nella superficie esaminata a causa di un
rimaneggiamento proprio nella linea di contatto, è stata definita sulla base
delle indicazioni stratigrafiche provenienti da un esame non ravvicinato
delle murature soprastanti.
Il tratto più antico e di gran lunga più interessante della superficie
analizzata è quello corrispondente alle USM 5, 6 e 21, situato nella parte
del vicolo vicino a via dei Fusari. In questo caso, utilizzando un ponte
mobile, abbiamo esteso l'analisi stratigrafica fino a circa cinque metri e
mezzo dal suolo. L'USM 5 è costituita da uno strato naturale di puddinga
simile a quello rinvenuto nello scavo di piazza del Duomo. Su questo
strato è stata edificata l'USM 6, caratterizzata da un paramento murario,
non particolarmente accurato, a corsi orizzontali e paralleli di grossi conci
di "tufo" e calcare (tav. H). La muratura, in un certo periodo ricoperta da
uno strato di intonaco oggi in gran parte caduto, presenta pure alcune
zeppe di laterizi, evidentemente inserite per il forte degrado delle pietre 3.
Tale rivestimento per alcuni metri continua, con pietre di dimensioni più
piccole, anche al di sopra della parte esaminata stratigraficamente. Coeve
alla muratura 6 sono le tracce dell'apertura 21, consistenti nei primi due
conci di un arco il cui tipo di curvatura non è con certezza identificabile. Il
resto dell'apertura risulta infatti tamponato dal contrafforte 8. In base alla
tecnica muraria abbiamo ipotizzato per le USM 6 e 21 una collocazione
cronologica intorno al secolo XII 4.
Successivamente lo strato di puddinga, con un'operazione comune ad altri
edifici della città5, è stato tagliato (USM 52) per abbassare il livello di
pavimentazione del vicolo. Non è da escludere che questo primo
abbassamento sia da mettere in relazione con una notizia fornita da
Girolamo Macchi secondo il quale « 1'8 dic. 1326 si dirizzò la strada di
Vallepiatta nelle case dello Spedale che prima era torta, scoscesa e ripida,
quale strada hoggi è il chiasso detto delle balie... »6.
3
In tempi recenti vi è stato praticato il taglio 14 per l'inserimento della cornice 7 relativa alla volta
soprastante il vicolo.
4
Sulle tecniche murarie e i materiali da costruzione impiegati nell'edilizia senese si veda
RODOLICO 1953, pp. 280 - 285; BALESTRACCI - PICCINNI 1977, passim;
MORETTI - STOPANI 1981 p. 169 (per l'architettura religiosa); e la recente tesi di BIANCHI
1988-89.
5
Ad esempio in via di Monna Agnese n. 12 e in piazza San Giovanni nn. 4 e 5.
6
MACCHI, Origine, c. 83r. Vedi pure MACCHI, Memorie, II, cc. 260v, 264v.
Dalla famosa veduta di Siena di Francesco Vanni (fig. 16 p. 58) 7 risulta
che alla fine del Cinquecento i caratteri volumetrici e architettonici
fondamentali delle strutture dello Spedale relative al vicolo di San
Girolamo e alla piazzetta della Selva erano ormai formati. Tuttavia, come
abbiamo sottolineato, non è possibile ricostruire, dalla limitata superficie
presa in esame, il processo costruttivo che nei secoli precedenti aveva
portato alla formazione di tali strutture. Le murature 44 e 49, situate nella
piazzetta della Selva, in parte tamponate da contrafforti settecenteschi,
sono forse riferibili, almeno nella parte inferiore, alle strutture relative al
granaio dello Spedale la cui costruzione è stata recentemente assegnata,
sulla base di notizie indirette e considerazioni storicourbanistiche, alla fine
del Trecento o all'inizio del Quattrocento8. Per la datazione del contrafforte
51, che risulta comunque caratterizzato da più interventi e che nella parte
superiore si appoggia ad una muratura preesistente, un termine ante quem
è rappresentato proprio dalla veduta del Vanni dove tale struttura è già
chiaramente riconoscibile.
Le prime unità stratigrafiche databili con certezza sulla base di fonti
documentarie risalgono all'inizio del XVIII secolo. I contrafforti 41, 47 e
48 infatti, situati all'estremità destra del prospetto, nella piazzetta della
Selva, sono senz'altro da mettere in relazione con la notizia riportata dal
Macchi riguardante la costruzione di « pilastri grandi di mattoni n. tre
principiati l'anno 1701 e terminati il mese di ottobre 1702 con havergli
dato il riposo, li quali si sono fatti sotto la nostra cappanna del fieno per di
fuori in S.Bastiano in Vallepiatta, vicino alla chiesa delle monache di
S.Bastiano, li quali vi si fecero perché pativa la volta del granaio... »9. Tali
pilastri si appoggiano alle murature 44 e 49 e al contrafforte 51 (fig. 55).
Ancora il Macchi riferisce che nell'anno 1707 la casa del camarlengo
venne rinforzata con due speroni, uno situato in via dei Fusari e l'altro «
per scendare il chiasso ripido sotto alle nostre balie fattoci ... con un altr
arco dall'uscetto che mette dalle sepolture a man sinistra di detto chiasso
»10. Da un disegno dello stesso autore risulta che tale edificio era situato
all'estremità destra della facciata di piazza del Duomo11. Il contrafforte del
7
Biblioteca Comunale di Siena, senza collocazione. Cfr. le mie osservazioni nell'intervento sugli
indicatori cronologici.
8
Cfr. l’intervento di Di Pietro Donati , in AA. VV. 1986, pp. 88- 89, 94. E’ da segnalare che al di
sopra della zona esaminata le due murature presentano una diversa apparecchiatura.
9
MACCHI, Memorie, II, c. 226r.
10
MACCHI, Memorie, II, c. 263v.
11
MACCHI, Origine, cc. 59v - 60r.
vicolo attualmente più vicino alla piazza è quello costituito dalla muratura
8 e dalla sua fondazione 15. La porta di cui parla il Macchi, evidentemente
identificabile con una delle due aperture della parte alta del vicolo
raffigurate nella veduta del Vanni, potrebbe corrispondere alla USM 11,
attualmente tamponata (USM 12), mentre l'arco potrebbe essere quello
impostato sull'attuale pilastro 3, inserito con il taglio 20. Un termine ante
quem per la datazione di quest'ultimo è costituito dalla planimetria dello
Spedale del 1838 12.Non esistono comunque elementi certi per dimostrare
la corrispondenza con le strutture attuali e non è da escludere che lo
sperone di cui parla il Macchi sia stato abbattuto pochi anni dopo, quando
venne distrutta la casa del camarlengo13.
Negli anni immediatamente seguenti al 1718 - 1719, in occasione della
ristrutturazione del Palazzo Vescovile, venne risistemata tutta la zona dello
Spedale situata all'inizio di via dei Fusari 14. Dalle notizie documentarie
non sappiamo in quale misura questi lavori abbiano interessato anche il
vicolo di San Girolamo. Dal punto di vista stratigrafico l'unica muratura
riconducibile a questa attività è il pilastro 1 in quanto si lega all'USM 22
del VII settore, appartenente al tratto di facciata su via dei Fusari costruito
in quella occasione. Tale pilastro taglia (USM 54) la muratura 2.
Quest'ultima, per la rozzezza della tecnica muraria, caratterizzata da un
rivestimento quasi interamente formato da mattoni spezzati e qualche
pietra non lavorata presenta, in ambito locale, analogie con murature del
XVI-XVII secolo. Molto probabilmente l'attuale assetto del vicolo di San
Girolamo in prossimità di via dei Fusari, compreso l'ulteriore
abbassamento del livello di pavimentazione evidenziato dalle USM 4, 15,
53, è in gran parte il risultato dei lavori eseguiti nei primi decenni del
XVIII secolo, tra il 1707 e il 1720 circa.
Nessun elemento ci aiuta a datare con certezza l'altro contrafforte situato
nel vicolo, caratterizzato da una situazione particolarmente complessa in
cui sono riconoscibili, nella sola parte esaminata, ben tredici unità
stratigrafiche. Nella veduta del Vanni tale contrafforte non è rappresentato
o meglio figura uno sperone molto più piccolo situato a valle del
corrispondente corpo di fabbrica. Per l'insieme delle unità stratigrafiche
che costituiscono il contrafforte (USM 13, 16, 19, 24 e 27) abbiamo quindi
12
Il rilievo è pubblicato in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 48.
13
Per le indicazioni bibliografiche vedi n. 14.
14
Circa tali lavori si veda BANCHI 1877, pp. 416 - 417, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a,
p.349; GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, pp. 110- 111.
proposto, senza ipotizzare precise datazioni, una collocazione tra il XVII
secolo e il 1848, anno a cui risale la muratura 33, posteriore alla USM 27.
All'anno 1848 è con certezza riferibile il totale rivestimento murario di una
notevole porzione della superficie esaminata, relativa alle USM 33, 37, 38,
39 e 40, stratigraficamente legate. La datazione di tali strutture,
caratterizzate da una regolare apparecchiatura "gotica" (mattoni alternati
per fascia e per testa) è indicata da una targa posta al di sopra dell'ingresso
della cosiddetta "strada interna", un vicolo in origine aperto e in seguito
inglobato nelle strutture dello Spedale.
Per quanto riguarda le altre unità stratigrafiche esse consistono, come
abbiamo precedentemente accennato, in tutta una serie di interventi di
carattere funzionale formati da tagli e riempimenti per scarichi di servizi
igienici e canalette di pluviali, piccoli restauri e tamponamenti. Quelli
caratterizzati dalla presenza di malta cementizia sono stati collocati a
partire dal 1930 circa (USM 9, 10, 25, 26, 35, 36, 45 e 46), gli altri sono
stati convenzionalmente datati tra il XIX e il XX secolo, periodo a cui
risale una ricca documentazione relativa a questo tipo di lavori (USM 17,
18, 28, 29, 30, 32, 42, 43, 50) 15. Nell'ultimo periodo abbiamo infine
inserito l'attuale pavimentazione della strada (USM 22, 23, 31 e 34)16.
F. G.
15
Cfr. il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, pp. 19 ss.
16
Cfr. ibidem, pp. 12, 20, 25.
I reperti ceramici degli scavi di Piazza Duomo in Siena
1. Introduzione
Lo studio analitico dei reperti ceramici rinvenuti nello scavo di Piazza Duo-
mo a Siena, condotto valendosi di una gestione informatizzata dei dati di
seguito esaminati, ha inteso recuperare dai frammenti studiati dettagliate
informazioni non solo di carattere tipologico-formale, ma anche relative alle
caratterizzazioni delle matrici argillose e dei clasti in esse contenuti, nonché
sulle relazioni diacroniche e sincroniche fra argille e tipologie, ai fini di una
più attendibile definizione dei tipi ceramici e del loro più ampio significato
storico nei vari ambiti cronologici esaminati dallo scavo.
Osservazioni preliminari effettuate con microscopia ottica portatile (10 x; 20
x) ed in seguito più approfondite con uno stereomicroscopio (20 x; 40 x; 80 x
ed oltre) hanno permesso di riconoscere, fra gli oltre 7000 reperti ceramici
rinvenuti nello scavo, disposti in una diacronia stratigrafica di circa 2.200
anni, oltre 140 tipi diversi di associazione fra corgi argillosi e tipologie
ceramiche.
Alla complessità di questa situazione si deve aggiungere l'alto indice di
frammentarietà dei reperti e di residualità degli stessi nella periodizzazione
stratigrafica, che non hanno certo giovato ad una visione sintetica di una tale
dispersione di informazioni.
Nonostante l'esistenza di questi problemi, si è scelta la via della redazione di
un archivio reperti il più analitico possibile, trattandosi di materiali prove-
nienti da uno scavo in cui la filologia stratigrafica non aveva subito quelle
interferenze e pressioni esterne che sono proprie all'archeologia degli ambiti
urbani.
La natura dello scavo, uno scavo di ricerca (il primo dell'archeologia urbana
senese) e non un'operazione d'emergenza, ha perciò certamente condizionato
la scelta metodologica di questo studio, nella convinzione che — potendosi
basare su attendibili contesti di provenienza — la caratterizzazione analitica
di ogni aspetto 'registrabile' dei reperti fosse la via preferibile da
intraprendere.
2. La gestione informatizzata dello studio
2.1. La gestione dello studio dei reperti dello scavo di piazza Duomo a Siena,
attuata attraverso un database elaborato per tale scopo, costituisce un aspetto
sperimentale del progetto archeologico condotto a termine: tale aspetto
rientra comunque nella più generale strategia perseguita dal Dipartimento di
Archeologia dell'Università di Siena, mirante alla messa a punto di un ciclo
completo per la gestione computerizzata della ricerca archeologica sul
terreno, in ogni sua fase, dalla registrazione delle evidenze stratificate all'
archiviazione dei dati relativi ai reperti rinvenuti.
L'enorme quantità di documenti materiali che emergono dagli scavi — in
specie urbani — anche di media e ridotta portata, unitamente al forte grado di
analiticità che il loro studio ormai comporta, trova nella gestione
computerizzata di queste informazioni un traguardo non più dilazionabile, per
ottimizzare l'attendibilità dei risultati delle ricerche.
Per questo motivo, sia a livello nazionale che internazionale, negli ultimi anni
si sono moltiplicati tentativi ed esperienze orientati in questa direzione.
La schedatura degli oltre 7000 reperti ceramici dall'età preromana ai giorni
nostri, sperimentalmente condotta negli scavi di un'area antistante il
complesso di Santa Maria della Scala in Siena, costituisce quindi un
contributo nella direzione sopra delineata e si colloca come esperienza da
sottoporre a discussione.
Lo studio dei reperti, la progettazione informatica e la registrazione compu-
terizzata dei dati analitici relativi sono stati attuati da chi scrive nel cantiere
di scavo, parallelamente all'avanzare dell'indagine stratigrafica. Si è in tal
modo evitato lo scollamento fra registrazione delle evidenze stratificate e
studio dei materiali e si è reso possibile un dialogo fra problemi stratigrafici
(di periodizzazione, suddivisione in fasi, etc.) e risposte derivate dall'analisi
dei reperti.
2.5.1. Indicizzazione. Per una più agevole gestione dei dati, è stato
indispensabile creare un certo numero di indici che raccogliessero,
ordinate secondo criteri prestabiliti, le informazioni sui reperti ceramici in
corso di schedatura.
Questo si è ottenuto con il comando "index on", selezionando i
campi da sottoporre ad indice e l'ordine logico dei campi di ciascun indice:
si sono, in tal modo, ottenuti files con estensione ".NDX", secondo alcuni
esempi qui riportati:
. use c:sms88.dbf
. index patcimatr
. set alternate to testo5.txt
. set alternate on
. list classeprod,forma, disegno for attività = "23" .and. classeprod =
"ACROMA DEPURATA" .and. disegno < > 0 all
Record classeprod forma disegno
951 A. DEPURATA Microvasetto 190
1916 A. DEPURATA Catino 304
1917 A. DEPURATA Catino 305
1918 A. DEPURATA Catino 306
1919 A. DEPURATA Catino 307
1920 A. DEPURATA Catino 308
1921 A. DEPURATA Catino 309
1922 A. DEPURATA Catino 310
1924 A. DEPURATA Vaso da fiori 311
1925 A. DEPURATA Coperchio 312
1927 A. DEPURATA Anforetta 314
950 A. DEPURATA Orcio? 189
1581 A. DEPURATA FC 276
1582 A. DEPURATA Pelvis 277
1926 A. DEPURATA Coperchio 313
*
* *
Matrice 2: matrice assai fine e compatta, di colore rosso chiaro (E8), con
schiarimento superficiale dello spessore di circa 1 mm, di colore beige
rosato (C6). Fra gli inclusi, quarzo microcristallino con qualche grano
apprezzabile a 40 x, di colore bianco latte. Inclusi allungati, opachi e scuri
(lamelle micacce).
1
In questa parte dello studio ci si è valsi di due determinanti collaborazioni. Il prof. Tiziano
Mannoni dell’università di Genova ha effettuato le caratterizzazioni allo stereomicroscopio dei
campioni delle argille delle anfore e delle ceramiche acrome grezze. Il dott. Giovanni Baldi e la
dott.ssa Laura Grassi del Laboratorio di Analisi Chimiche delle Industrie Bitossi 90 s.p.a.
(Sovigliana-Vinci) hanno messo a disposizione le loro competenze per una più precisa caratterizza-
zione dei corpi ceramici, grazie al rapporto di collaborazione esistente fra il citato Laboratorio ed il
Laboratorio di Archeometria operante con una convenzione tra il Museo Archeologico e della
Ceramica di Montelupo Fiorentino (Firenze) e l'Università degli Studi di Siena.
2
Macchie causali di polvere biancastra, talora visibili sulle foto eseguite allo stereomicroscopio,
sono imputabili al caolino utilizzato nel fissaggio dei campioni.
risolvibile. Inclusi neri puntiformi (da 15 x), altri color ambra e rossi,
visibili da 40 x.
Matrice 13: matrice di colore bruno rosato (D 11), con porosità fine e
dispersa, talora concentrata parallelamente alla superficie del manufatto.
Quarzo microcristallino abbondante, clasti quarzosi diffusi, da
subarrotondati ad angolosi; altri di colore rosso con struttura finissima,
arrotondati; concentrazioni (rare) di inclusi quarzosi si notano entro cavità
arrotondate.
Matrice 18: matrice di colore rosso bruno (E 11), nero (A 12) sulle
superfici, porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo
microcristallino. Abbondanti clasti di quarzo angoloso e subangoloso e di
varia dimensione. Rari inclusi di colore rosso bruno e bruno, con forme
generalmente subangolose e con tessitura assai fine, non dissimili dalla
matrice, interpretabile come chamotte moderatamente classata.
Matrice 19: matrice di colore rosa intenso (F 9), con porosità fine e
dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi quarzosi, di colore
bianco latteo, angolosi, sino ad 1 mm. Inclusi puntiformi, difficilmente
risolvibili anche a 40 x, di colore rosso, bruno e nero, assai diffusi e di
varia granulometria. Abbondanti inclusi di colore rosso bruno e di tessitura
molto fine, forse interpretabili come scisti microclastici.
Matrice 20: matrice di colore rosa (D 6), con porosità da molto fine ad
apprezzabile macroscopicamente, ricca di quarzo microcristallino. Rari
inclusi di colore bruno scuro, con tessitura assai fine, non identificati. Altri
inclusi, non risolvibili a 40 x, sono bruni, neri e rossi.
Matrice 21: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità fine e
dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi bianchi e bruni, oltre
a lamelle di mica bianca.
cavità arrotondate.
Matrice 18: matrice di colore rosso bruno (E 11), nero (A 12) sulle
superfici, porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo
microcristallino. Abbondanti clasti di quarzo angoloso e subangoloso e di
varia dimensione. Rari inclusi di colore rosso bruno e bruno, con forme
generalmente subangolose e con tessitura assai fine, non dissimili dalla
matrice, interpretabile come chamotte moderatamente classata.
Matrice 19: matrice di colore rosa intenso (F 9), con porosità fine e
dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi quarzosi, di colore
bianco latteo, angolosi, sino ad 1 mm. Inclusi puntiformi, difficilmente
risolvibili anche a 40 x, di colore rosso, bruno e nero, assai diffusi e di
varia granulometria. Abbondanti inclusi di colore rosso bruno e di tessitura
molto fine, forse interpretabili come scisti microclastici.
Matrice 20: matrice di colore rosa (D 6), con porosità da molto fine ad
apprezzabile macroscopicamente, ricca di quarzo microcristallino. Rari
inclusi di colore bruno scuro, con tessitura assai fine, non identificati. Altri
inclusi, non risolvibili a 40 x, sono bruni, neri e rossi.
Matrice 21: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità fine e
dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi bianchi e bruni, oltre
a lamelle di mica bianca.
Matrice 2: matrice argillosa di colore beige (C6), dura, molto più compatta
della matrice 1, con pori piccolissimi, non risolvibili ad occhio nudo. Gli
inclusi si apprezzano a partire da 10 x: è presente abbondante quarzo
microcristallino, oltre ad inclusi finissimi e molto fitti bruni, rosati e
trasparenti.
MACULATE VERDI
TERRAGLIA BIANCA
GRES
INGUBBIATE
Matrice 1: matrice molto fine, di colore, di colore rosato (D6),
caratterizzata da quarzo microcristallino non risolvibile ad occhio nudo. A
40 x si notano inclusi di colore giallo ambra. Corpo ceramico assai simile
al n. 4 della ceramica invetriata.
ITALO-MORESCA (fig. B: 7)
Matrice 1: massa di fondo di colore rosa (D7), fine, piuttosto porosa, con
vacuoli arrotondati. Allo stereomicroscopio si osserva una matrice
brillante, ricca di quarzo microcristallino e di inclusi rossi. A 90 x, si
apprezzano inclusi di natura simile alla matrice ma di tonalità di colore
differenti, talora sfumanti nella matrice stessa (argillite?).
Matrice 2: matrice di colore rosso (F8), omogenea e compatta, con
porosità addensata in pori grandi. Rari inclusi, quarzo di varia
granulometria, forse frammenti di argillite.
Matrice 12: matrice di colore beige rosato (C 8), bruno (A 10) al nucleo,
porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino.
Nella massa di fondo, a 40 x, si riconoscono inclusi di morfologia varia,
neri, rossi e bruni. Ad ingrandimenti inferiori si risolvono invece più rari
inclusi di varia natura, da policristallini, a clasti bruni e rossi con struttura
fine angolosi o subarrotondati (argillite). Rari feldspati (?) 2 mm, dubbia la
presenza di chamotte.
Matrice 13: matrice di colore rosso bruno (F 11), compatta, con porosità
rara e dispersa. Aloni di alterazione di inclusi, di colore giallo chiaro,
caratterizzano cromaticamente la matrice, similmente a quanto osservato
per il tipo n. 6. Abbondante quarzo di varia natura, con classazione eolica.
Matrice 14: matrice da rosa (D 7) a bruno rosato (E 8), con porosità fine
ma piuttosto diffusa. Inclusi cristallini di colore quasi nero e verde chiaro
sembrano augite, con quarzo classato e cristalli di sanidino. Aloni di
alterazione, di granulometria inferiore, simili al tipo precedente.
Matrice 15: matrice di colore bruno rosato (D 10), con porosità puntiforme
assai diffusa, ricca di quarzo microcristallino. Inclusi bruni e rosati (max
0,5 mm), da angolosi ad arrotondati, con tessitura finissima, assai simile
alla matrice; quarzo di varia granulometria. Inclusi più fini, non risolvibili
a 40 x, diffusi nella massa di fondo.
Matrice 16: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità di forma
allungata e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. A 40 x non si
risolvono gli inclusi, che sono puntiformi e di colore nero, rosso e bruno,
non interpretabili.
Matrice 17: matrice di colore rosso bruno (E 12), con abbondante porosità
dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari clasti quarzosi 0,5 mm (non
classati), infine feldspati.
Matrice 19: matrice di colore rosa (D7), compatta, con porosità sporadica.
Inclusi diffusi in modo omogeneo ed apprezzabili anche ad occhio nudo
sono cristalli (clinopirosseni della serie dell'augite da allungati ad
arrotondati) di colore verde (scuro e chiaro), sino a 2 mm, mentre nella
massa di fondo sono abbondanti clasti puntiformi (ancora a 40 x), di colore
rosso e nero.
Matrice 20: matrice bicroma, di colore bruno scuro (A 10) nella metà
interna (del manufatto), rosso bruno (F 11) nella metà esterna. Abbondante
porosità di forma allungata. Elevata presenza di quarzo (0,5 mm), con
diversi gradi di arrotondamento, talora evidentemente eolico.
Matrice 21: matrice di colore grigio molto scuro (A 11) al nucleo, rosso
bruno (F 12) alle superfici, con addentramento di 3 mm nella frazione.
Inclusi angolosi di colore rosso bruno e grigio scuro, con tessitura identica
alla matrice < 0,5 mm (chamotte?), assumono il colore della parte della
frazione argillosa in cui sono collocati, secondo il tenore di ossigeno
presente nella camera di cottura. Altri inclusi, di colore bianco opaco,
(talora > 1 mm) sono costituiti da quarzo e feldspati.
Matrice 22: matrice di colore quasi violaceo (H 6/ I-I 7), con porosità
dispersa, di varia granulometria. Elevata quantità di cristalli (max 0,5 mm)
di augite verde, classati o prismatici, che rappresenta virtualmente l'unico
incluso osservabile, oltre a rari cristalli di sanidino e granuli subrotondi di
argillite di colore rosso bruno.
Matrice 23: matrice di colore bruno rosato (E 8), con porosità dispersa di
granulometria generalmente molto fine, ricca di quarzo microcristallino.
Nella frazione, si osserva microfauna fossile di forma elissoidale
(nummolite?), rotonda (radiolari?) e conica (gasteropodi?), mentre i clasti
apprezzabili a 40 x sono solo sporadici quarzi subarrotondati ed inclusi
bruni non determinati.
Matrice 25: matrice di colore beige rosato (C 7), assai compatta, con
porosità puntiforme risolvibile da 40 x, ricca di quarzo microcristallino.
Rari inclusi grigi e bruni (max 2 mm), alcuni allungati (forse diallagio),
oltre a quarzo di varia classazione e tonalità cromatica ed a scaglie
lamellari di medie dimensioni.
Matrice 3: matrice di color crema (C2), non molto porosa, con scarsa
presenza di quarzo microcristallino. Sporadici inclusi quarzosi di maggiori
dimensioni, si nota un incluso cristallino nero, probabilmente augite.
Matrice 9: matrice di colore grigio molto chiaro (A2), con porosità fine e
concentrata. La massa di fondo presenta un elevato tenore di quarzo
microcristallino, non risolvibile a 128 x: in essa sono inclusi grani di
quarzo di maggiori dimensioni. Dubbia presenza di cristalli di augite.
Matrice 10: matrice di colore grigio (A 8), ricca di quarzo molto fine,
risolvibile da 60 x. Altri inclusi neri non cieterminati.
Matrice 11: matrice di colore rosa (D 6), con porosità irregolare, ricca di
quarzo microcristallino. Inclusi quarzosi e feldspatici ed altri puntiformi di
colore rosso.
IMITAZIONE SIGILLATA
Matrice 2: matrice di colore rosa (F 8), più scura della precedente, con la
quale tuttavia mostra qualche punto di contatto, come la massa con molto
quarzo microcristallino, la porosità irregolare e dispersa, inclusi puntiformi
di colore rosso e nero. Il corpo ceramico in esame è tuttavia molto più
compatto e duro e presenta (fitti e diffusi in modo omogeneo) aloni di
colore giallo chiaro, di varia granulometria, la cui dispersione nella massa
di fondo ne determina un aspetto — anche macroscopico —
cromaticamente disomogeneo.
3. I reperti ceramici
Scheda n. 1
Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: acroma depurata;
Forma: forma chiusa; Tipo: Luni II gruppo 36g; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice n. 7, Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni:
confronto pertinente anche per il tipo di matrice; N. fr.: 1; Peso in gr: 2;
Cfr.: Luni II, p. 624: gruppo 36 della ceramica comune.
Scheda n. 2
Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: vernice nera; Forma:
coppa; Tipo: MOREL 2851 a; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
3; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: triplice rotellatura
esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: MOREL 1981, pp. 232-233 e tav. 78
(tipo 2851 a); Datazione: 90-50 a.C. circa.
Scheda n. 3
Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: vernice nera; Forma:
anfora; Tipo: MOREL 3632 a 1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice
n. 8; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: prototipo matrice 8
(nel campionario); N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: MOREL 1981, pp. 275 e
tav. 107; Datazione: 150 a.C. circa.
Scheda n. 4
Periodo: I, Fase B; Attività: 7; U.S.: 238; Classe: vernice rossa non id.;
Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: verniciate internamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 11.
Scheda n. 7.
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata;
Forma: olla biansata; Tipo: disegno 450; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 10; Peso in gr: 302;
Datazione: II secolo a.C.
Scheda n. 8 (tav. I/451)
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata;
Forma: olla; Tipo: disegno 451; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 110; Cfr.: DE
MARINIS 1977, tav. X (Poggio del Boccaccio); Datazione: II secolo a.C.
Scheda n. 10
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 255; Classe: acroma depurata;
Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3;
Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 14.
Scheda n. 12.
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata;
Forma: olla; Tipo: disegno 452; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 27; Datazione: II
secolo a.C.
Scheda n. 47
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: ceramica riutilizzata;
Forma: tappo; Tipo: disegno 407; Tipo di lavorazione: manuale; Matrice n.
5; Trattamento superfici: profilo segato?; Osservazioni: matrice 5 acroma
grezza; N. fr.: 1; Peso in gr: 90; Datazione: II secolo a.C. (dal contesto).
Scheda n. 57
Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 255; Classe: vernice nera; Forma:
coppa; Tipo: avv. MOREL 1173; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice
n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Cfr.:
MOREL 1981, tav. 6 e p. 90.
PERIODO II
Scheda n. 108
Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma:
forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce entro stampo; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: figura femminile
panneggiata; N. fr.: 1; Peso in grammi: 2.
Scheda n. 117
Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma grezza;
Forma: olla; Tipo: scheda 116; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n.
11; Trattamento superfici: lisciate; N.Fr.: 8; Peso in gr.: 216; Datazione:
VI secolo d.C.
Scheda n. 132
Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 148; Classe: acroma grezza;
Forma: olla; Tipo: disegno 43; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
4; Trattamento superfici: lisciatura in argilla fine; Osservazioni: prototipo
matrice 4 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr.: 14.
Scheda n. 134.
Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza;
Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento
superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 8; Datazione: VI secolo.
Scheda n. 138
Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: acroma grezza;
Forma: olla; disegno 258; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11;
Trattamento superfici: lisciate N. fr.: 1; Peso in gr.: 17.
Scheda n. 141
Periodo: III, Fase B; Attività: 10; U.S.: 191; Classe: acroma grezza;
Forma: dolio; Tipo: disegno 236; Tecnica di produzione: manuale; Matrice
n. 17; Trattamento superfici: rozzamente lisciate; Osservazioni: prototipo
matrice 17; N.Fr.: 6; Peso in gr.: 2926.
Scheda n. 152
Periodo III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 227; Classe: verniciate rosse
altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 192; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1;
Peso in gr.: 2; Datazione: VI secolo d.C.
Scheda n. 157
Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica;
Forma: Piatto; Tipo: avv. Pucci IX; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 2;
Decorazione: rotellatura su orlo e carena; Cfr.: Atlante II, tav.CXVIII e p.
283; Datazione: età augusteo-tiberiana.
Scheda n. 158
Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica;
Forma: Piatto; Tipo: avv. Pucci X; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice
n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 12; Cfr.:
Atlante II, tav.CXIX-CXXI; Datazione: età augustea-età flavia.
PERIODO V
PERIODO VII
Scheda n. 171
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig.
177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento
superfici: lisciate, ingobbiate esternamente; Decorazione: a pettine (onde,
bande e tocchi); N. Fr.: 3; Peso in gr: 72; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig.
99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 172
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig.
177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento
superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a
pettine (onde, bande e tocchi); N. Fr.: 2; Peso in gr: 37; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà
XV secolo.
Scheda n. 173
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig.
177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento
superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a
pettine (onde, bancie e tocchi); N. Fr.: 2; Peso in gr: 54; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà
XV secolo.
Scheda n. 174
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig.
177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento
superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a
pettine (onde, bande e tocchi); N. Fr.: 10; Peso in gr: 98; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà
XV secolo.
Scheda n. 175
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99; Tipo
di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate;
Decorazione: a pettine (onde, bande); N. Fr.: 2; Peso in gr: 24; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 99; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 176
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata;
Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 191, na
28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici:
lisciate; Decorazione: a pettine (nastri e bande); N. Fr.: 8; Peso in gr: 103;
Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 191, na 28; Datazione: seconda metà XV
secolo.
Scheda n. 177
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: acroma depurata;
Forma: orcio; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento
superfici: lisciate; Decorazione: oncie a pettine e gocce di ingobbio rosso;
N. Fr.: 2; Peso in gr: 122; Datazione: XV secolo.
Scheda n. 198
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: graffita policroma;
Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, C.4.1.; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne e interne
(ingobbiate e graffite); Decorazione: FRANCOVICH 1982: S.3.1./2; N.
Fr.: 1; Peso in gr: 43; Cfr.: FRANCOVICH 1982, forma: C.4.1.; dec:
S.3.1/2 e fig. 223; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 206
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma:
pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19;
Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici:
invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na
42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto).
Scheda n. 224
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma:
catino; Tipo: FRANCOVICH 1982: B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: invetriate verdi esterne ed
interne; Osservazioni: vetrina verde spessa e lucida; prototipo matrice 7;
N. Fr.: 8; Peso in gr: 92; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 70 e p. 131;
Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 227
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: italo moresca;
Forma: forma aperta; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2;
Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: segmenti obliqui, paralleli;
N. Fr.: 1; Peso in gr: 6; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 272: 112;
Datazione: metà XV secolo.
Scheda n. 230
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne
invetriate esterne; N. Fr.: 17; Peso in gr: 234; Cfr.: FRANCOVICH 1982,
B.1.1.; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 231
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne,
invetriate esterne; Decorazione: treccia ramina sotto l'orlo; N. Fr.: 1; Peso
in gr: 45; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 125: 5; Datazione: seconda metà
XV secolo.
Scheda n. 232
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne,
invetriate esterne; Decorazione: filettatura in manganese, banda in ramina;
N. Fr.: 1; Peso in gr: 50; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 125: 6 e 7;
Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 235
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: avvicinabile FRANCOVICH 1982, B.1.4; Tipo di
tornitura: tornio veloce; Matricen. 1; Trattamento superfici: smaltate
interne invetriate esterne; Decorazione: simboli Speciale (scala e croce in
bruno); N. Fr.: 94; Peso in gr: 3004; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B 1.4.;
Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 236
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.4.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne;
Decorazione: simboli Spedale in bruno manganese; N. Fr.: 5; Peso in gr:
42; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.1.4.; Datazione: seconda metà XV
secolo.
Scheda n. 237
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica;
Forma: catino; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione:
avvicinabile FRANCOVICH 1982, M.1.4.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, M.1.4.; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 242
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica;
Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne,
invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale schematizzata; N. Fr.:
2; Peso in gr: 28; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 126,1; Datazione:
seconda metà XV secolo.
Scheda n. 243
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne,
invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale orlo tipo servizio
Speciale; N. Fr.: 1; Peso in gr: 58; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; es.
fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 244
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne,
invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale orlo tipo servizio
Spedale; N. Fr.: 5; Peso in gr: 140; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; es.
fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 246
Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate
esterne; N. Fr.: 3; Peso in gr: 51; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.4.2.;
Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 256
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione:
simboli Spedale in bruno; N. Fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: seconda metà
XV secolo.
Scheda n. 257
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione:
simboli Spedale in bruno; N. Fr.: 2; Peso in gr: 14; Datazione: seconda
metà XV secolo.
Scheda n. 258
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione:
avvicinabile tipo FRANCOVICH 1982, M.1.3.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 10;
Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 259
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica;
Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento
superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: Simboli
Spedale in bruno; N. Fr.: 2; Peso in gr: 17; Datazione: seconda metà XV
secolo.
Scheda n. 267
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica
rinascimentale; Forma: boccale; Tipo: FRANCOVICH 1982, 238, fs 6;
Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici:
smaltate; Decorazione: reticolo puntinato con stelle; N. Fr.: 1; Peso in gr:
12; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 238 fs 6; Datazione: seconda metà XV
secolo.
Scheda n. 268
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica
rinascimentale; Forma: boccale; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig.239; Tipo
di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate;
Decorazione: scaletta in blu, ocra e bruno; N. Fr.: 8; Peso in gr: 26; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 239; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 269
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica
rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: ghirlande con
foglie definite in blu; N. Fr.: 2; Peso in gr: 2; Cfr.: FRANCOVICH 1982,
fig. 283; Datazione: seconda metà XV secolo.
Scheda n. 270
Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica
rinascimentale; Forma: Piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, fs 20; Tipo di
tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate;
Decorazione: girali bianco-blu su fondo arancio; N. Fr.: 1; Peso in gr: 7;
Cfr.: FRANCOVICH 1982, fs 20, fig. 241; Datazione: seconda metà XV
secolo.
Scheda n. 276
Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: acroma depurata; Forma:
forma chiusa; Tipo: disegno 276; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice
n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 38; Cfr.: affine
Luni II, gruppo 21 a.
Scheda n. 279
Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: pareti sottili; Forma:
Bicchiere; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5;
Trattamento superfici: lisciate ed incise; Decorazione: a rotella, affine tipo
RICCI dec. 5; Osservazioni: prototipo matrice 5; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9;
Cfr.: Atlante II, p. 316; Datazione: età augustea-II secolo d.C.
Scheda n. 280
Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: vernice nera; Forma:
coppa; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4;
Decorazione: impressa ed incisa (palmette, cerchielli e fiori di loto); N.
Fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: prima metà II secolo a.C.
PERIODO VIII
Reperti datanti
Scheda n. 285
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 48; U.S.: 115; Classe: maiolica
bianco-blu; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 49; Tipo di tornitura:
tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smalto su velo
d'ingobbio; Decorazione: bande blu sotto orlo, punti blu; N. fr.: 1; Peso in
gr: 1; Datazione: XVII-XVIII secolo.
Scheda n. 286
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 316; Classe: maiolica
bianco-blu; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: fioraccio in blu
diluito; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Datazione: XVIII secolo.
Scheda n. 310
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 149; Classe: maiolica
compendiaria; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ghirlanda floreale in arancio
e blu; N. fr.: 2; Peso in gr: 5; Datazione: XVI-XVII secolo.
Scheda n. 311
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 161; Classe: maiolica
compendiaria; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ghirlanda floreale stilizzata
in arancio e blu; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Datazione: XV-XVII secolo.
Scheda n. 312
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: maiolica
policroma rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: reticolo
puntinato; N. fr.: 3; Peso in gr: 10; Datazione: tardo XV-XVI secolo.
Scheda n. 313
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: maiolica
policroma rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 3; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ovale in
arancio e blu con trigramma bernardiniano; N. fr.: 1; Peso in gr: 7;
Datazione: tarcio XV-XVI secolo.
Scheda n. 325
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 220; Classe: acroma depurata;
Forma: Olpe?; Tipo: Luni II, gruppo 17; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: l'inserimento
nel gruppo 17 è motivato anche dall'identità delle matrici; N. fr.: 1; Peso in
gr: 1; Cfr.: Luni II, pp. 610-611, gruppo 17.; Datazione: II-V secolo d.C.
Scheda n. 343
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: pareti sottili;
Forma: bicchiere; Tipo: RICCI decorazione 2; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice n.3; Trattamento superfici: lisciate con decorazione a
barbottina; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Cfr.: Atlante II, p. 328 e tav. CVII: 2;
Datazione: I sec.a.C.- età augustea.
Scheda n. 368
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: sigillata italica;
Forma: non id.; Tipo di tornitura: entro matrice; Matrice n. 6; Trattamento
superfici: verniciate; Decorazione: allineamento di cerchielli e testa di
personaggio; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.:OXÉ 1968, 31, 105, 310, 317.
Scheda n. 378
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: vernice nera;
Forma: coppa;
Tipo: disegno 104; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2;
Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5.
Scheda n. 379
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: vernice nera;
Forma: coppa; Tipo: disegno 137; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice
n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Datazione:
II-I secolo a.C.
Scheda n. 382
Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:325: Classe: vernice nera;
Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento
superfici: verniciate; Decorazione: bollo quadrangolare con motivo
romboidale; N. fr.: 1; Peso in gr: 50; Cfr.: Luni II, tav. 63: 13 e pp. 88-89;
Datazione: I secolo a.C.
PERIODO IX
Fase A
Scheda n. 397
Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: dipinta ingobbio sotto
vetrina; Forma: pentola; Tipo: disegno 296; Tipo di tornitura: tornio
veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione:
ingobbio giallo sotto vetrina; N. fr.: 3; Peso in gr: 35; Cfr.: affine
FRANCOVICH-GELICHI 1980, p. 148: n. 147; Datazione: XVIII secolo.
Scheda n. 401
Periodo: IX; Attività: 38; U.S.: 108; Classe: dipinta ingobbio sotto
vetrina; Forma: tegame; Tipo: disegno 61; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne, colature esterne;
Decorazione: dipinta ingobbio sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 24;
Datazione: XVIII secolo.
Scheda n. 405
Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma:
piatto; Tipo: disegno 83; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: Smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 23;
Datazione: XVIII secolo.
Scheda n. 409
Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma:
piatto?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento
superfici: smaltate su ingobbio interno, colato esternamente; N. fr.: 1; Peso
in gr: 8; Datazione: XVIII secolo.
PERIODO IX
Fase B
Reperti in fase
Scheda n. 439
Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: terraglia nera; Forma:
scaldino; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento
superfici: Vetrina interna e sterna; Osservazioni: corpo di scaldino =
matrice 2; N. fr.: 1; Peso in gr: 7.
Scheda n. 502
Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: maiolica bianca; Forma:
forma chiusa; Tipo: disegno 78; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.
1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 23;
Datazione: XVI-XVIII secolo?
Scheda n. 443
Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma:
catino; Tipo: disegno 161; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3;
Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 83.
Scheda n. 444
Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 88; Classe: acroma depurata; Forma:
orcio; Tipo: disegno 42; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2;
Trattamento superfici: lisciate con strato argilla fine; N. fr.: 1; Peso in gr:
1560.
Scheda n. 486
Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: zaffera a rilievo; Forma:
boccale; Tipo: disegno 14; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smalto interno-esterno; Decorazione: foglie di
quercia stilizzate in zaffera; N. fr.: 4; Peso in gr: 35; Cfr.: FRANCOVICH
1982, p. 80; Datazione: XIV-XV secolo.
Scheda n. 468
Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma:
piatto; Tipo: disegno 28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;
Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 3; Peso in gr: 20; Cfr.:
FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3.
Scheda n. 485
Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: maiolica bianco su azzurro;
Forma: forma aperta; Tipo: disegno 90; Tipo di tornitura: tornio veloce;
Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: bianco su
smalto berettino; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Datazione: XVI secolo?
PERIODO XI
C. CONCLUSIONI :
1.2. I rapporti fra le varie produzioni sono sintetizzati alle figg. 1 -2, che
esprimono le quantificazioni numeriche dei reperti (per numero di
frammenti) e quelle relative al loro peso in grammi: i ciati si riferiscono
all'attività 9 del periodo I, definizione stratigrafica della citata fossa di
scarico. Come si può osservare, il rapporto fra le acrome grezze (la cd.
ceramica "ad impasto") e le acrome depurate, ovvero le procluzioni
"figuline" subisce un ribaltamento nei due metodi d'analisi, dovuto
principalmente ai caratteri tipologici e tecnologici delle due classi
ceramiche.
Le acrome depurate, rappresentate specialmente da forme chiuse (olle ed
oinochoai) con pareti di limitato spessore ed alto indice di
frammentazione, occupano il 45% dei reperti secondo la quantificazione
numerica, mentre nel quadro relativo al peso questo valore scende al 25%.
Al contrario di tale situazione, i dati relativi alla ceramica grezza attestano
questa classe al 30% delle presenze nello scarico preromano se osserviamo
la quantificazione numerica, mentre la presenza viene praticamente
raddoppiata (58%) secondo la quantificazione per peso in grammi, a causa
dell'elevato spessore delle pareti della classe in esame e della presenza di
forme massicce (dolia), che risulta certo determinante in questo tipo di
quantificazione, analogamente a quanto, sia pure in scala minore, accade
anche alle anfore, che passano dal 4% (quantif. per peso) all'1% (quantif.
numerica).
Fra la ceramica decorata, che naturalmente si configura come elemento
ciatante dello scarico, la cd. "presigillata volterrana" risulta appena
quantificabile, con un 1% inalterato con entrambi i metodi di
quantificazione, mentre ben più massiccia risulta essere la presenza della
ceramica a vernice nera, che occupa il 20% dei reperti dello scarico
secondo la quantificazione numerica, mentre solo l'8% secondo la
quantificazione per peso, dati comunque sempre elevati, dovuti alla
vicinanza dei centri di fabbrica.
Un fenomeno apparentemente marginale, come la riutilizzazione ciel rotta-
me ceramico per ricavarne più che altro tappi, contrappesi o pedine da
gioco, occupa dal 4% (secondo il peso) al 2% (quantificazione numerica),
mentre alcune classi, come la ceramica a pareti sottili, non sono
quantificabili in modo apprezzabile, attestandosi su valori nettamente
inferiori all'1%.
1.3.1. Un esame più analitico evidenzia (fig. 3) che il 98% della ceramica
acroma depurata (la cd. ceramica "figulina") è rappresentata da forme
chiuse, mentre le forme aperte occupano il solo 2%, rapporto descritto
anche dal grafico comparato dei ciati relativi al numero dei frammenti ed
al loro peso (fig. 4).
Il predominio pressochè assoluto delle forme chiuse su quelle aperte si
spiega con la massiccia presenza nello scarico di ceramica a vernice nera,
rappresentata per l'80% (fig. 12) da forme aperte da mensa.
Il quadro tipologico delle forme delle acrome depurate appare alquanto
limitato, esprimendosi in olle di varie dimensioni ad orlo più o meno
accentuatamente estroflesso (schede 8, 15, 16, 181, qui foggiate con argille
depurate, ma morfologicamente affini a tipi presenti anche nelle acrome
grezze. Una forma maggiormente caratterizzata è l'olla globulare biansata,
con anse rialzate ma impostate orizzontalmente e contrapposte (schede 5 e
7), che si ritrova anche fra le acrome grezze (scheda 201: essa tuttavia non
costituisce elemento utile ai fini i circoscrivere la ciatazione del contesto,
poichè risulta largamente iffusa in ambito etrusco, con varianti c]'impasto
e i finiture, dal VII (CAVAGNARO VANO NI 1980, p. 179 ss.) al tardo II
secolo a.C. (Pistoia II **, p. 1231. ) confronti indicati nelle schede della
ceramica acroma depurata con materiali analoghi da contesti della val
d'Arno e della vicina val d 'Elsa mostrano comunque un areale omogeneo
di diffusione delle forme, anche se con una dilatazione diacronica spesso
non indifferente.
La quantificazione dei rapporti fra le varie forme chiuse foggiate in
acroma depurata (fig. 5) evidenzia il prevalere delle olle senza anse ed in
minore misura anche di quelle biansate sulle oinochoai, mentre la maggior
parte dei reperti attribuibili a forme chiuse non sono definibili in modo più
analitico, a causa della loro elevata frammentazione.
Il problema del riconoscimento dei luoghi di fabbricazione delle acrome
depurate dello scarico del II secolo a.C. è certamente un problema
immaturo, al pari della definizione crono-tipologica i tale classe, nel
contesto geografico e cronologico.
Le ceramiche in esame risultano foggiate in cinque differenti matrici
argillose (fig. 6), che probabilmente riconducono a diversi centri di
fabbrica, forse subregionali o adirittura locali in senso più stretto. In
assenza i evidenze tipologiche caratterizzanti, l'identificazione dei centri i
fabbrica di queste ceramiche ad impasto depurato non può trovare
un'immediata risposta da indagini scientifiche applicate (com'è quella
fornita dall'esame petrografico in sezione sottile), a causa dell'eccessiva
depurazione dei corpi ceramici.
Per questo motivo, al momento attuale è possibile la sola caratterizzazione
stereomicroscopica delle matrici, ai fini di un più puntuale riconoscimento
delle produzioni, mentre lo stuio dell'ubicazione dei centri i fabbrica dovrà
essere progettato in modo più ampio, con la efinizione i raggruppamenti di
reperti sulla base degli elementi chimici in traccia, possibilmente mediante
una campagna i analisi chimica (con la metodica della fluorescenza ai
raggi x o con quella dell'assorbimento atomico), che coinvolga anche
campioni di ceramiche coeve e contestuali, come la vernice nera, e
campioni di argille non lavorate prelevate dai bacini sedimentari del
territorio senese.
Strette somiglianze macroscopiche e microscopiche fra la matrice 3 delle
acrome depurate e la matrice 3 della ceramica a vernice nera, nonchè
l'elevata incidenza di questo impasto ceramico fra le acrome depurate
(78%: fig. 6), inducono ad ipotizzarne un'origine locale o quanto meno
circumlocale, mentre su valori assai più bassi si collocano la matrice 5
(con il 10%) e la matrice 2 (9%) ed a valori irrilevanti troviamo la matrice
7 (2%) e la matrice 11 (1%).
2.3.2. Dalle anfore (primi dati per questo problema a Siena: PAPI 1989,
pp. 618-619), proviene un elemento problematico dall'unico frammento
morfologicamente identificabile (scheda n. 90), avvicinabile alla forma
DRESSEL 28 (Pistoia II **, p.264) e foggiato nella matrice n. 21,
confrontabile con impasti spagnoli di area tarraconese. Per la DRESSEL
28 esistono effettivamente informazioni dirette sulla sua fabbricazione
tarraconense (TCHERNIA 1971; ID. 1986, p. 174 ss.): tale evidenza
indicherebbe una datazione ai decenni centrali del I secolo d.C. (SEALEY
1985, pp.97-98) ed oltre (Pistoia II *, p. 352), costituendo in tal modo il
termine cronologico più basso per il contesto in esame.
3.1. Tracce significative di un utilizzo dell'area con fini abitativi sono state
individuate per un'epoca collocabile agli inizi dell'altomedievo.
Tali tracce, oltre a consentire una certa comprensione dei modi costruttivi
e delle modalità di organizzazione degli spazi domestici di una modesta
casa urbana dell'epoca in questione, disegnano per la prima volta un
interessante quadro della cultura materiale di questo periodo in area
senese.
La costruzione, nell'area già occupata dal muro romano U.S. 170, di una
casa altomedievale, con elevato almeno parzialmente in terra (attività 10,
13, 16, 46, 18), determinò una ridefinizione dell'assetto del suolo, cui è
imputabile un significativo indice di reperti residui, prevalentemente di
epoca romana (19%: fig. 18), nei contesti stratigrafici appartenenti al
periodo III.
3.2. La fossa di scarico dell'attività 14, pur con la limitazione di uno scarso
indice quantitativo di reperti (n.fr.: 107; peso in gr: 2289), è parso il
contesto più
omogeneo di questo periodo stratigrafico e con un indice di residualità
(valutato fra il 3% ed il 4%), decisamente inferiore alla media (19%) del
periodo. Per questo motivo, i reperti dell'attività 14 sono stati presentati,
nella schedatura, raggruppati e separati da quelli delle rimanenti attività. In
tale logica si inseriscono anche i grafici delle figure 19 e 20, che
sintetizzano i rapporti quantitativi (secondo il numero di frammenti e
secondo il loro peso in grammi) fra le varie classi ceramiche rinvenute
nelle U.S. riferibili all'attività 14.
Per l'elaborazione di valutazioni statistiche più attendibili si sono invece
considerati i reperti del periodo III nel loro complesso, dopo aver eliminato
le produzioni residue, operazione che è naturalmente risultata più
complessa per alcune classi meno caratterizzate, come le acrome grezze,
per i cui dati non è quindi possibile garantire una completa affidabilità
statistica.
Analizzando comparativamente i grafici dei rapporti fra classi ceramiche
emerse dall'attività 14 (fig. 21) e dal periodo III nel suo complesso (fig.
22), pur con la limitazione quantitativa insita nel campione dell'attività 14,
si possono osservare alcune significative differenze.
Le acrome depurate, innanzitutto, attestate al 26% delle presenze nel perio-
do III, sono assenti nello scarico dell'attività 14, fatto che potrebbe
imputarsi a lacune di dati dell'attività 14, ma anche al 19% di residui del
periodo III ed all'insufficiente caratterizzazione morfologica di questi
reperti, che non consente di ipotizzarne una almeno parziale collocazione
in fase: una determinazione in tal senso incrementerebbe in modo
significativo oltre il 19% l'indice di residualità del periodo, basato sulle
produzioni meglio definibili (terra sigillata italica; ceramica a vernice nera;
anfore riconoscibili, etc.).
L'oscillazione delle anfore dall'8% al 18% è imputabile al ritrovamento di
un'anfora africana del tipo cilindrico di grandi dimensioni infissa nel piano
di calpestio dell'abitazione, come dispensa per cereali o altre riserve
alimentari.
Mentre su valori omogenei si collocano le classi decorate, di sicura caratte-
rizzazione e sicuramente in fase (le ceramiche a colature rosse e quelle
verniciate in rosso, nonché le imitazioni della terra sigillata chiara), le
acrome grezze si attestano al 63% nell'attività 14 ed al 31% nel complesso
del periodo III, rendendo per il momento di ardua definizione la
valutazione di tali dati quantitativi (di contro, tuttavia, da tali contesti
emergono preziose indicazioni morfologiche e petrografiche per la
definizione tipologica di questa classe nel periodo in esame).
3.3. I reperti rinvenuti nelle U.S. dell'attività 14 e quelli in fase del periodo
III in generale, definiscono un interessante quadro tipologico delle
produzioni ceramiche presenti a Siena fra il VI ed il VIl secolo d.C., in un
epoca che il livello embrionale delle conoscenze sui reperti ceramici di
questo periodo permette con difficoltà di circoscrivere in modo più
soddisfacente.
4.3.1. L'acroma depurata è costituita dal 17% delle forme, secondo il loro
numero minimo (fig. 27): esaminando i rapporti fra le forme di questa
classe (fig. 31), si può osservare il prevalere dei catini e delle anforette e
solo una minoritaria presenza di altre forme, i coperchi, i vasi da fiori ed
un microvasetto.
I catini (schede nn. 162-168), con orlo sporgente a desinenza
assottigliata, sia pure con varianti morfologiche, sono riconducibili al tipo
FRANCOVICH 1982,nb11, da un coevo contesto urbano senese
tardoquattrocentesco, presso la contrada del Nicchio: in tale ritrovamento,
effettuato in un ambiente produttivo, l'acroma depurata si colloca su valori
(calcolati con il numero dei frammenti) oscillanti fra il 24 ed il 27%
(FRANCOVICH 1982, pp. 227 e 275), assai vicini a quelli ottenuti per il
contesto ora in esame con simili metodi di quantificazione (numero fr.:
24%; peso fr.: 27%).
Le anforette sono del tipo con ansa complanare (scheda n. 170), confronta-
bili con il tipo FRANCOVICH 1982, fig. 231, fn 15, con bande parallele,
ondulazioni e tocchi ottenuti a pettine, forme ben note nei coevi contesti
del Nicchio e nel quadro complessivo delle conoscenze archeologiche del
periodo (FRANCOVICH 1982, na 28, fn 15 e p. 68 ss.). Anche i coperchi
riconducono a confronti noti nei contesti produttivi del Nicchio, sia il tipo
con ansa a nastro e fori di sfiato sul piano (scheda n. 179), sia quello con
presa apicale e foro al margine della stessa (scheda n. 178), noti anche nei
recuperi dal convento senese di Santa Marta (FRANCOVICH 1982, fig.
250, nn. 8 e 97.
5.2.1. L'attività stratigrafica più rilevante del Periodo IX per lo studio dei
reperti ceramici e della circolazione mercantile nel tardo Settecento è
costituita dall'attività 37, una fossa d'interro di rifiuti d'uso, che ha fornito
un quadro interessante delle problematiche del periodo, anche a causa
dell'assenza di residui.
La scarsa base quantitativa della restituzione (circa 200 fr.) impedisce pur-
troppo un approfondimento statistico analitico all'interno delle varie classi,
suggerendo di limitare la lettura quantitativa del contesto al solo quadro
generale di ripartizione fra le classi (fig. 44).
5.2.5. A fabbrica senese (scarti inediti dal palazzo comunale di Siena) sono
attribuibili anche maioliche deocorate in bruno o in blu e bruno,
quantificabili all'11% delle presenze nel contesto: la forma documentata è
sempre la stessa, lo scodellone (schede nn. 410-411) con orlo ad argione
ribattuto e base con piede ad anello, assai diffusa nelle produzioni toscane
d'età moderna, specialmente in ceramica marmorizzata.
Il repertorio decorativo si basa su una trina di elementi penduli corrente
lungo la linea dell'orlo e da un motivo centrale a mazzetto fiorito:
l'associazione di questi elementi rimanda in modo esplicito alla sintassi
decorativa della maiolica ligure della seconda metà del Settecento, che la
convergenza dei ciati archivistici ed archeologici (cfr. 5.2.6) conferma
essere di grande diffusione nel Granducato di Toscana.
5.4.2. Fra i reperti rinvenuti in tali contesti (fig. 46) si notano tipologie in
chiara giacitura secondaria, come la maiolica arcaica e l'acroma grezza
(8% e 10%), mentre per alcune, meno caratterizzate (invetriata, acroma
depurata), solo la presenza di elementi morfologicamente significativi può
chiarirne l'ambito cronologico di appartenenza.
La frammentazione del materiale e la sua scarsità non consentono
comunque un efficace confronto con le ciatazioni note per la posa in opera
delle tubature pubbliche, al di là di alcune osservazioni che comunque
caratterizzano il Periodo XI rispetto alle restituzioni precedentemente
esaminate.
Un elemento importante per il termninus post quem dei contesti è fornito
dalla terraglia decorata a decalcomania, che potrebbe fissare tale
cronologia alla metà del XI:X secolo (MILANESE 1985, pp. 71 e 87),
mentre una cronologia più dilatata è, infine, quella che si evince dalla
terraglia bianca (schede nn. 504-506) e dagli scaldini in terraglia nera,
indipendentemente dalle problematiche specifiche della datazione precoce
di questa forma (MILANESE 1985, p. 40 ss.)*.
*
Alcune persone hanno messo a disposizione le loro competenze su aspetti specifici esaminati nello
studio: F. Cambi mi ha dato utili suggerimenti per lo studio delle anfore, J.W. Hayes ha compiuto
una verifica autoptica su sigillate del Periodo III; R. Francovich, oltre a stimolarmi a condurre a
termine questo lavoro, mi ha fornito utili indicazioni sul materiale altomedievale G. Pucci ha
cortesemente verificato la mia lettura di alcuni bolli di terra sigillata italica, L. Saguì ha esaminato
sigillate del Periodo III, escludendone una produzione africana, ringrazio infine il Museo
Archeologico e della Ceramica di Montelupo per avermi consentito di concludere in tempi più brevi
questa ricerca e di elaborare i grafici delle figg. 1-46 con la stazione di editoria elettronica
Honeywell-Bull Italia in dotazione ai Museo stesso ed in particolare il personale dell'Istituto (F.
Berti, E. Daini, A. Ferrari, G. Migliori) per avermi aiutato a vario titolo. Ringrazio infine per
suggerimenti bibliografici: A. Molnari, S. Gutierrez Lloret.
I vetri
Nel corso delle operazioni di scavo sono stati rinvenuti 215 frammenti di
vetro di piccole dimensioni, tali da non permettere di risalire alla forma
completa, e nella maggior parte dei casi con un notevole processo di
degrado dovuto alla giacitura.
Si tratta per lo più di frammenti residuali provenienti dalle attività che
hanno determinato il cambiamento d'uso dell'area indagata e questo può
anche spiegare l'alto grado di frammentazione determinato dai ripetuti
movimenti di terra.
La scarsa leggibilità e la modesta quantità dei reperti 1, di cui il 71% è
rappresentato da pareti non riconducibili ad una forma precisa, hanno reso
difficile sia individuare le varie produzioni che attribuire a forme note
dalle seriazioni tipologiche esistenti il complesso dei frammenti, quindi per
fornire il maggior numero di informazioni l'analisi dei dati ha dapprima
investito l'aspetto tecnologico. I frammenti in base alle loro caratteristiche
tecniche sono stati così distinti:
All'interno di questi gruppi i reperti sono stati classificati in base alla parte
del corpo del vaso cui presumibilmente appartenevano: orli, fondi, pareti,
colli,
anse. Solo in pochi casi è stato possibile formulare una attribuzione
circoscritta
e benché non ci siano pervenuti esemplari integri tra le forme è stato
possibile
1
Si tratta del primo nucleo di materiale vitreo rinvenuto nel tessuto urbano (si conoscono soltanto
altri due frammenti, un orlo ed un fondo a conoide rientrante attribuibile alla forma del bicchiere
troncoconico, rinvenuti nel corso dell'indagine conoscitiva che ha investito un pozzo di butto posto
nella contrada della « Civetta » e pur con tutti i limiti già esposti pone l'accento sulle problematiche
concernenti la produzione vetraria a Siena, attestata dalle fonti documentarie. Sull'argomento si
veda PICCINNI 1981.
1
Il tipo di bicchiere è ampiamente discusso in Crypta Balti 5, pp. 501-503.
individuare: la coppa, il bicchiere a calice e troncoconico, piccole ampolle
e la bottiglia presumibilmente con corpo a forma di "cipolla".
2
Si tratta di un repertorio decorativo largamente diffuso sui manufatti toscani del XIV secolo cfr.
BUERGER 1975; FRANCOVICH et alii 1978; MENDERA 1989.
Fornaci di bicchierai sono attive a Siena in Castelvecchio, San Cristoforo e San Vincenzo, cfr.
PICCINNI
Per concludere, i dati in nostro possesso sono così lacunosi che non
contribuiscono a far luce sulla presenza di una produzione locale, nota per
il basso medioevo dalle fonti documentarie 4 , né sull'articolazione e
diffusione dei manufatti d'uso5. Dobbiamo, infine, sottolineare come per i
tipi individuati vengono tendenzialmente confermate le cronologie
proposte dalle seriazioni note.
Periodo I
Periodo II-III
Periodi V-VII
4
1981, p. 594.
5
Un uso di recipienti in vetro per i servizi legati alle attività ospedaliere è testimoniato dagli
affreschi di Domenico di Bartolo, presenti nelle sale del Pellegrinaio.
varietà di motivi decorativi geometrici ottenuti mediante soffiatura entro lo
stampo (bugne, losanghe, coste) e applicati (gocce, cordoncini applicati a
foggia di festoni) che non si riscontra né nei periodi precedenti né in quelli
successivi e che forse può trovare un riscontro nelle normative applicate
dal Comune di Siena (PICCINNI 1981, pp. 590-591) per incrementare e
rilanciare le attività produttive artigianali.
Tra le forme individuate segnaliamo il bicchiere troncoconico con fondo a
conoide rientrante, al quale possono essere attribuite le pareti decorate e gli
orli leggermente ingrossati dove la decorazione non compare fino all'orlo,
e la bottiglia con il corpo cosiddetto "a forma di cipolla".
Il vetro sempre trasparente presenta variazioni cromatiche, dovute in gran
parte al fenomeno del riutilizzo dei materiali rifusi, nelle quali prevalgono
sui vetri incolori, le tonalità del verde chiaro, verde-oliva e più raramente
del verde azzurro.
Periodo VIII
I materiali vitrei provenienti dagli strati del Periodo VIII (1608-1723) sono
per lo più pareti di piccole dimensioni mentre caratterizzante rimane la
presenza di frammenti di piccole anse, pertinenti probabilmente a lampade
a sospensione.
Infine un frammento di bordo in vetro spesso verde che sembra relativo ad
una damigiana di capacità media la cui forma risulta purtroppo non
definibile.
Periodo IX-XI
PERIODO I
Fase IA - Att. 1
US 239
1 piccolo frammento di parete in vetro trasparente incolore con iridescenza
e incrostazioni.
> <0.001.
Fase IB - Att. 3
US 259
11 frr. di pareti in vetro soffiato, trasparente incolore con avanzato stato di
devetrificazione.
> <0.001.
PERIODO II
US 223
1 fr. di orlo arrotondato, mediante molatura, con avvio di parete pertinente
ad una coppa lavorata con la tecnica del mosaico a "nastri". La
decorazione è costituita in parete da una serie di "canne" colorate di vetro
traslucido in serie alternate: giallo, verde, porpora, giallo e bianco opaco,
mentre l'orlo termina con una striscia di vetro verde chiaro con una spirale
giallo-bruna.
Patina di devetrificazione opaco-iridescente sfaldabile (tav. XXXII, 1).
Il fr. trova cfr. in Ostia II, p. 82, tav. XVI, nn. 273 a-b, 274 a-b. Per la
tecnica di decorazione, ottenuta mediante dei bastoncini preformati fusi in
o sopra uno stampo, successivamente levigati, cfr. GROSE 1984, pp.
28-29.
PERIODO III
Fase A - Att. 14
US 196
4 frr. di vetro trasparente incolori con tonalità tendente al giallino, fra cui
due di orlo arrotondato e leggermente ingrossato appartenenti
probabilmente ad una forma aperta.
Lieve iridescenza.
> <0.002 (orlo); > <0.001 parete; > <0.001.
US 204
1 fr. di orlo in vetro incolore fortemente alterato dal processo di
devetrificazione. > <0.002.
Fase C - Att. 74
US 400
1 fr. di fondo concavo, non riconducibile con certezza ad alcuna forma, in
vetro trasparente con tonalità giallo-verde e con rare bolle dovute alla
soffiatura.
> < - 0.002.
Att. 29
US 256
1 fr. di un piede a disco con breve avvio di stelo, probabilmente pertinente
a calice, in vetro trasparente con tonalità verde. Il piede che è ottenuto
spingendo verso l'interno il corpo vetroso si nota sul fondo la traccia
lasciata dal puntello presenta un profilo inclinato ed è riferibile
probabilmente, alla forma del bicchiere a calice (tav. XXXII, 2). Il tipo di
profilo di piede trova confronti in ROFFIA 1988, p. 208, tav. VIII, n. 6
dove viene riferito al tipo Ic della suddivisione tipologica effettuata sul
materiale di Invillino; cfr. BIERBRAUER 1987, pp. 271-281; ed ora anche
in CURINA 1990, p. 191, tav. 25, n. 8.
Il bicchiere a calice sembra rappresentare una forma di "lunga durata"
essendo attestata nel bacino del Mediterraneo per un periodo che va dal IV
al XI-XII secolo. L'assenza di evidenti cambiamenti morfologici rende
difficoltosa la costruzione di una seriazione tipologica per una forma che
sembra registrare la massima diffusione fra il VI e i primi decenni-seconda
metà dell'VIlI secolo (STIAFFINI 1985, p. 669). Mentre è possibile
delineare un quadro della diffusione della forma (CURINA 1990, p. 192),
più problematica rimane l'individuazione dei centri di produzione: l'unico
finora noto rimane infatti quello di Torcello collocabile tra l'inizio VII e la
fine VIII secolo. In Toscana troviamo attestazioni della forma a Firenze
(BUERGER 1975) e a Pistoia (Pistoia II**).
Att. 17
US 147
1 piccolo fr. di parete in vetro trasparente con tonalità verde-chiaro, con
bolle e iridescenza.
> <0.001.
US 150
1 fr. di parete attribuibile ad una forma chiusa in vetro blu, spesso,
decorato con motivo geometrico di rettangoli in serie realizzato a stampo
entro matrice (tav. XXXII, 3).
1 fr. di fondo piano con avvio di parete verticale in vetro trasparente
incolore. Leggera patina di devetrificazione e bolle d'aria (tav. XXXII, 4).
Il fr. trova analogia morfologica in Luni II, 399, tav. 198 n. 15, dove viene
considerato probabilmente pertinente ad una bottiglietta quadrangolare
Isings forma 50 oppure alle bottigliette note come "mercuriali" (cfr.
ISINGS forma 84). In entrambi i casi si tratta di forme diffuse dalla
seconda metà del I sec. d.C. al III sec. d.C.
PERIODO V
Fase F- Att. 22
US 271
3 frr. di pareti in vetro trasparente con tonalità giallina e con bolle di
soffiatura.
> < - 0.001.
1 fr. di tessera musiva in pasta vitrea rossa e oro.
h. 0.007 x 1 cm.
PERIODO VII
Fase B - Att. 23
US 178
1 fr. di parete di minute dimensioni in vetro trasparente verdino con
motivo decorativo, ottenuto a stampo, di piccola "losanga" ovale a rilievo.
> <0.001.
US 195.
2 frr. di parete in vetro trasparente verde chiaro, di cui una con motivo
decorativo, eseguito a stampo, di costole con andamento spiraliforme, e
l'altra di piccole bugne; 1 fr. di orio, ingrossato ottenuto alla fiamma,
attribuibile ad un bicchiere in vetro trasparente incolore. Tutti i vetri
presentano iridescenza, incrostazioni dovute alla devetrificazione e bolle di
soffiatura.
> <0.001; Ø 0.6 (orlo ric).
US 211
12 frr. di pareti di piccole dimensioni, in vetro trasparente, sottile di cui
quattro con colorazione verde-chiaro, sette incolori ed una in vetro spesso
verde-oliva. Presenza di lieve iridescenza.
> < 0.001; > < 0.002.
1 fr. di parete in vetro trasparente verde-chiaro con motivo decorativo di
costole a rilievo, ottenute per soffiatura entro lo stampo. Presenta
iridescenza e incrostazioni.
> <0.001.
1 fr. di fondo e avvio di parete attribuibile probabilmente ad un bicchiere
in vetro trasparente sottile, di colore verde-chiaro, con iridescenza dovuta
alla devetrificazione.
> < +0.001.
Cfr. ANDREWS 1977, P. 174, tav. XXXIII, 60. Il fr. trova analogia
morfologica con US 280.59.
US 219
1 fr. di parete decorato con un cordoncino applicato a foggia di festone, in
vetro trasparente con tonalità verde-oliva.
> < +0.001.
Le ridotte dimensioni del frammento non consentono una puntuale
attribuzione, sappiamo che il motivo decorativo compare oltre che su colli
di bottiglia riferibili a contesti di XIII-XV sec. (vedi ANDREWS 1977,
con rimandi a LAMARQUE 1973; con riferimento a produzione veneta
con importazione del motivo dall'area siriaca dove compare nell'XI e XII
secolo: GASPARETTO 1979) anche su steli cilindrici pertinenti a calici
(vedi inoltre WHITEHOUSE 1966).
1 fr. di fondo concavo con decorazione a righe ottenute entro matrice, in
vetro trasparente azzurrino-chiaro. Soggetto a devetrificazione.
> <0.002.
Il frammento trova cfr. in Crypta Balti 3. p. 544, tav. LXXXVIII n. 974
dove viene attribuito alla bottiglia del tipo con corpo a forma di "cipolla".
1 fr. di parete con decorazione di goccia applicata e rifinita a pinzetta, in
vetro trasparente azzurro-chiaro.
> <0.001; > <0.004 (sulla goccia).
Tale decorazione si ritrova sui cosiddetti "bicchieri a botte" databili alla
metà del sec. XV (GASPARETTO 1986 n. 244 dove vengono riferiti ad
una produzione di Murano).
1 fr. di parete pertinente ad un fondo di probabile bottiglia, in vetro
trasparente con tonalità giallina con motivo decorativo di costole a rilievo
ottenute per soffiatura entro lo stampo. Presenta molte bolle d'aria con
inclusi e lieve devetrificazione.
> <0.002.
4 frr. pertinenti ad orlo, di probabile bicchiere, in vetro soffiato trasparente
con tonalità verde-oliva. Presenta bolle d'aria sulla superficie esterna ad
asola e iridescenza.
> < - 0.001; > <0.001 orlo; 0 7 cm. Cfr. STIAFFINI 1989, tav. XXXIV n.
13.
19 frr. di pareti, non attribuibili considerate le ridotte dimensioni ad alcuna
forma, di cui quattordici in vetro trasparente, sottile, con colorazione
verde-oliva, tre in vetro trasparente incolori, due in vetro spesso,
trasparente, con tonalità verde-azzurro. Tutti presentano iridescenza.
> <-0.001; > < 0.002.
1 fr. di parete pertinente alla spalla di una bottiglia, in vetro trasparente
con tonalità verde-oliva, con decorazione a righe sottile ritorte ottenute
entro matrice per soffiatura.
Lieve iridescenza.
> < +0.001.
Per il motivo decorativo cfr. GASPARETTO 1986, p. 206, n. 231.
1 fr. di scoria vetrosa.
US 280
8 frr. di pareti tra cui una con motivo decorativo geometrico di dischi a
rilievo ed un'altra con costolature verticali eseguite a stampo; un fondo a
conoide rientrante frammentario, un fr. di orlo estroflesso pertinente
probabilmente ad una bottiglia ed un fr. d'orlo leggermente ingrossato.
Tutti i frammenti in vetro trasparente con tonalità verdechiaro presentano
una lieve iridescenza e bolle da soffiatura. > <+ 0.001; Ø 4.1 cm (orlo ric.),
> <0.003.
PERIODO VIII
Fase B - Att. 30
US 172
5 frr. di pareti in vetro trasparente, con tonalità verde.
> < -0.002
1 piccolo fr. di parete di collo di bottiglia con motivo decorativo di filini in
vetro scuro applicati. Il pessimo stato di conservazione non consente di
definirne il colore. > < - 0.001.
1 fr. di ansa "a bastoncello" con l'estremità interna appiattita, in vetro
incolore. Iridato e con incrostazioni che ricoprono gran parte della
superficie. Ø 0.003.
2 piccoli frr. fondi concavi, non attribuibili ad una forma ben precisa, in
vetro verde in pessimo stato di conservazione.
> <0.001; > <0.003.
US 183
4 frr. di piccole dimensioni fra cui tre frgg. di pareti ed un orlo in vetro
trasparente, di tonalità verde. Notevole stato di devetrificazione.
> < 0.001; > < 0.002.
US 185
6 frr. di pareti di cui cinque in vetro trasparente incolore ed uno in vetro
spesso con colorazione tendente all'azzurro chiaro.
> < 0.001; > < 0.003.
1 fr. di ansa a nastro, pinzata, a sezione ovoidale con superfide interna
piatta, in vetro trasparente incolore. Soggetto a devetrificazione.
larg. 1.1; lung. 1.9; > < 0.004 .
Cfr. ANDREWS 1977, p. 186, tav. XXXVII, n. 146.
1 fr. di orlo arrotondato e ingrossato, attribuibile probabilmente ad una
damigiana in vetro spesso con colorazione verde-tendente all'azzurro.
2 frr. pertinenti probabilmente ad un piede di calice in vetro trasparente
incolore. Presenta bolle di soffiatura e devetrificazione.
Cfr. NEPOTI 1978, p. 230, fig. 59, n. 46.
1 fr. di piede ad anello cavo di probabile bicchiere, in vetro verde
trasparente con colorazione tendente al giallino. Bolle di soffiatura e
leggera iridescenza.
0 0.6 cm, > < + 0.002.
US 203
1 estremità di ansa a nastro in vetro color porpora scuro. Superfide porosa
e soggetta a devetrificazione (tav. XXXII, 51).
Att. 78
US 179
3 frr. di pareti in vetro trasparente incolore, sottile, soggetti a
devetrificazione.
> < 0.001.
US 316
3 frr. di vetro trasparente verdino di cui una parete di collo di piccola
bottiglia, un orlo su parete verticale ed una parete. Iridescenza e bolle di
soffiatura.
Ø ric. 0.02; > < 0.002>; > < 0.001.
Att. 33
US 149
1 fr. di minute dimensioni di parete in vetro sottile trasparente con tonalità
verde chiaro.
> < -0.001.
US 162
2 frr. di pareti di piccole dimensioni in vetro trasparente-verdino, con lieve
iridescenza.
> <0.001.
US 163
1 piccolo fr. di parete in vetro trasparente incolore, con bolle di soffiatura.
> < 0.001.
US 165
1 fr. di ansa a sezione drcolare con evidente segno di piegatura, in vetro
trasparente incolore.
> <0.005.
2 fr. Crypta Balti 1985, n. 1019 dove viene attribuita ad una lampada.
4 frr. di pareti in vetro trasparente azzurro-chiaro di cui uno con motivo
decorativo a "costole" a rilievo ottenuta per soffiatura entro lo stampo.
Bollicine e presenza di iridescenza.
> <0.001, > <0.002.
2 frr. contigui di probabile fondo ripiegato, pertinente, forse, ad una forma
chiusa, in vetro trasparente azzurro-chiaro.
> <0.002.
Cfr. VANNINI 1987, p. 624, n. 3459.
Att. 48
US 115
5 frr. di pareti in vetro trasparente incolore molto iridescenti.
> <0.001, > <0.002.
US 154
1 fr. di parete estremamente piccolo in vetro trasparente incolore, sottile,
con bolle di soffiatura e iridescenza.
> <- 0.001.
Att. 36
US 136
3 frr. molto piccoli di pareti in vetro trasparente incolore, con lieve
iridescenza.
> <0.001.
US 302
5 frr. di pareti, fra cui una pertinente ad un collo di bottiglia, in vetro
trasparente di cui quattro con tonalità verde chiaro ed uno giallino.
Bollicine d'aria e devetrificazione.
> < 0.001; > < 0.002 (un solo fr.).
US 303
4 frr. di pareti di cui due pertinenti ad un collo di una forma chiusa in vetro
sottile trasparente con tonalità verde azzurro, e gli altri verde chiaro.
Bollicine d'aria e iridescenza.
> < 0.001.
2 frr. di vetro piano da finestra in vetro trasparente, con tonalità verde
chiaro, soggetto ad una notevole devetrificazione.
> < 0.001.
1 piccolo fr. di vetro piano con motivo decorativo di foglie lanceolate
inciso su un lato, probabilmente con punta di diamante; presenta su
entrambe le superfici una patina biancastra. In frattura il frammento si
presenta incolore.
> < 0.001.
Cfr. per la tecnica usata dopo il Rinascimento GASPARETTO 1958, p.
240, Crypta Balti 3 1985, p. 556 n. 909, dove la decorazione è posta sotto
il fondo di un piatto.
US 312
1 fr. perimetrale di rullo a disco da finestra con corona cava in vetro
incolore, soggetto a lieve devetrificazione.
Cfr. NEPOTI 1978, P. 234, fig. 61 n. 67.
PERIODO IX
Fase A-Att.37
US 126
1 fr. di collo attribuibile ad una piccola bottiglia in vetro trasparente
incolore. Piccole bolle di soffiatura e lieve iridescenza (Tav. XXXII, 6).
> < (orlo) 0.003, Ø 1.75 cm; > < 0.001.
Il fr. trova analogia morfologica in NEPOTI 1978, p. 234, fig. 61 n. 70.
1 fr. di cannello cavo, in vetro trasparente incolore, forse pertinente ad un
alambicco
(Tav. XXXII, 7)
Cfr. FOSSATI - MANNONI 1975, pp. 59-60, n. 67 b.
Att. 58
US 320
1 piccolo fr. di fondo concavo in vetro trasparente di tonalità giallina con
piccole bollicine d'aria ed incrostazioni causate dal processo di
devetrificazione.
> < 0.002 (max), 0.001 (min).
Att. 38
US 110
3 frr. di pareti di cui due in vetro verde trasparente ed una in vetro incolore
con numerose bolle d'aria di varie dimensioni e iridescenza.
> <0.001;0.002.
US 114
4 frr. di pareti di cui tre in vetro trasparente incolori e l'altro con tonalità
verde chiaro,soggetti a notevole devetrificazione.
> < 0.001
1 piccolo grano di collana a corpo cilindrico in pasta vitrea rossa con
filamenti bianchi inglobati. Lieve iridescenza e superfide porosa.
US 120
4 frr. di pareti di cui tre in vetro trasparente verde chiaro ed una con
tonalità azzurro chiaro.
> < 0.001.
Att. 40
US 86
10 piccoli frr. di pareti in vetro trasparente con tonalità verde chiaro, liscio
e con bollicine di soffiatura. Alcuni frr. presentano una leggera
devetrificazione.
> < 0.001.
1 fr. di fondo in vetro spesso, trasparente incolore (recente).
> < 0.003; Ø 0.050; > < 0.004.
2 frr. di vetri piani da finestra, trasparenti, incolori di cui uno presenta una
superficie scabra. Bollicine d'aria e lieve iridescenza.
> < 0.002.
US 104
1 fr. di parete attribuibile ad un collo di bottiglia, in vetro verde trasparente
con tonalità verde-chiaro. Bollicine da soffiatura e lieve iridescenza.
> < 0.001.
US 106
1 fr. di parete in vetro verde trasparente con tonalità azzurro chiaro.
Bollicine da soffiatura e lieve iridescenza.
> < 0.001.
US 102
4 frr. di pareti di cui tre di collo di bottiglia in vetro verde scuro, con
numerose bollicine e inclusi ed una in vetro trasparente giallino.
> <0.003; > < 0.001.
Att. 86
US 113
1 piccolo fr. di fondo a conoide rientrante e avvio di parete in vetro
trasparente, incolore.
> < 0.001.
Nonostante le piccole dimensioni il confronto più diretto sembra trovarsi
in ANDREWS 1977, p. 170, tav. XXXII n. 22 dove il fr. viene attribuito
ad una bottiglia.
1 fr. di orlo arrotondato e leggermente ingrossato in vetro trasparente
incolore, con lieve iridescenza.
> < 0.001.
1 piccolo fr. di parete in vetro trasparente incolore soffiato a stampo con
motivo di "costole" a rilievo. Bollicine e lieve iridescenza.
> < 0.001.
4 frr. di pareti in vetro trasparente con tonalità giallognola.
> < 0.001; > < 0.002.
Att. 41
US 83
1 fr. di orlo ingrossato leggermente rientrante, pertinente ad una bottiglia
in vetro trasparente incolore. Presenta bolle anche grandi ad asola;
soggetto a devetrificazione.
Ø 0.030; > < 0.002.
Cfr. ANDREWS 1977, p. 170, tav. XXXI n. 17.
1 piccolo fr. di orio in vetro trasparente incolore.
> < 0.001.
1 minuto fr. di parete pertinente ad un fondo concavo in vetro trasparente
incolore, con iridescenza.
> < 0.001
Att. 61
US 322
1 fr. di parete di dimensioni molto minute, in vetro trasparente incolore,
con lieve devetrificazione e piccole bolle.
> < 0.001
Att. 54
US 380
1 piccolo fr. di parete in vetro spesso trasparente incolore. Presenta
entrambe le superfici ruvide e bollicine d'aria; soggetto a devetrificazione
con sfaldature irregolari.
> < 0.003.
Att. 44
US 69
2 frr. di vetro piano da finestra in vetro trasparente incolore di cui uno
presenta la superficie resa opaca.
> < - 0.003.
1 fr. di orlo leggermente ingrossato attribuibile probabilmente ad una
forma aperta, in vetro trasparente con tonalità giallina. Lieve iridescenza e
bollicine dovute alla soffiatura.
> < - 0.002.
US 85
2 frr. di fondo piano attribuibili ad una bottiglia in vetro spesso marrone
(recente).
> < 0.007.
1 piccolo fr. di orlo leggermente arrotondato, pertinente, probabilmente, ad
una forma aperta, in vetro trasparente con tonalità verde chiaro.
> < +0.001.
4 piccoli frr. di pareti pertinenti ad un collo di bottiglia in vetro sottile,
trasparente con tonalità verde chiaro. Presentano piccole bollicine d'aria e
devetrificazione.
> < 0.001.
US 301
3 frr. di pareti di piccole dimensioni in vetro sottile, trasparente e con
tonalità verde chiaro, giallino e incolore. Lieve iridescenza e bollicine
d'aria relative alla soffiatura.
> < 0.001.
1 fr. di fondo con conoide rientrante attribuibile, molto probabilmente, ad
un bicchiere, in vetro trasparente verde.
> < 0.003, 0 ric. 5.3. (Tav. XXXII, 8).
FRANCOVICH et alii 1978, p. 106, tav. XXXI, X/III
US 302
5 Frr. di pareti, fra cui una pertinente ad un collo di bottiglia, in vetro
trasparente di cui quattro con tonalità verde chiaro ed uno giallino.
Bollicine d'aria e devetrificazione.
> <0.001; > <0.002 (un solo fr.)
US 303
4 frr. di pareti di cui due pertinenti ad un collo di una forma chiusa in vetro
sottile trasparente con tonalità verde azzurro, e gli altri verde chiaro.
Bollicine d'aria e iridescenza.
> <0.001
2 frr. di vetro piano da finestra in vetro trasparente, con tonalità verde
chiaro, soggetto ad una notevole devetrificazione.
> <0.001.
1 piccolo fr. di vetro piano con motivo decorativo di foglie lanceolate
inciso su di un lato, probabilmente con punta di diamante; presenta su
entrambe le superfici una patina biancastra. In frattura il frammento si
presenta incolore.
> <0.001
Cfr. per la tecnica usata dopo il Rinascimento GASPARETTO 1958, p.
240, Crypta Balbi 3 1985, p. 556 n. 909, dove la decorazione è posta sotto
il fondo di un piatto.
US 312
1 fr. perimetrale di rullo a disco da finestra con corona cava, in vetro
incolore, soggetto a lieve devetrificazione. Cfr. NEPOTI, p. 234, fig. 61 n.
67.
PERIODO XI
Att. 45
US 91
1 piccola ciotola, ricostruibile, con sagoma esagonale, fondo concavo,
pareti leggermente svasate. Presenta un motivo decorativo geometrico di
dischi concavi disposti in serie ottenuti mediante molatura. Vetro spesso,
incolore e con lieve iridescenza (tav. XXXII, 9). Ø 0.06 (orlo).
3 frr. contigui di fondo di bottiglia in vetro incolore con impressa l'unità di
misura “400”.
Recente, trova confronti con forme ancora in uso.
2 minuti frr. non identificabili di cui un fondo concavo ed una parete non
contigui, in vetro sottile, lisdo, trasparente, di tonalità verde-chiaro.
> < 0.001; > < 0.002.
Metalli
Reperti in ferro
Fr. di ansa in bronzo con appliques figurata di testina femminile con alto
diadema (tav. XXXIII, 1 1)
Presenta un'accondatura con scriminatura centrale, capelli che scendono ai
lati sulle orecchie e raccolti sulla nuca. La capigliatura è resa mediante
sottili linee incise, mentre rimangono illeggibili i tratti del viso. Il diadema,
che corona il capo, presenta un motivo decorativo di piccole baccellature
disposte in serie. Nella parte superiore dell'ansa, subito al di sotto della
"crocchia", rimane la traccia di un motivo circolare impresso (forse un
marchio) non ben leggibile a causa della corrosione presente su gran parte
dell'oggetto. L'imposta dell'ansa trova analogia in MENZEL 1986, tav. 175
n. 549.
3. 2 Analogo al precedente.
4. Periodi IXA (att. 40, 86): 6 interi e 8 frr.; IXB (att. 38): 1 fr.; VIIIB
(att. 33, 36): 3 interi e 1 fr.
12. 7 Spillo grande con capocchia sferica. Periodo IXB (att. 86): 1 intero.
1
Una descrizione più accurata degli strumenti citati e del loro tipo di tracce si ritrova in
BIANCHI-PARENTI 1991
2
Per un approfondito confronto tra queste due aperture si veda il contributo di F. GABBRIELLI in
questo stesso volume.
3
I lavori di ampliamento e rifacimento dell'antico palazzo furono iniziati nel 1298 e si protrassero
per tutto il primo decennio del XIV secolo, quando la facciata, almeno per quanto riguarda il suo
nucleo centrale, assunse la sua forma definitiva. Si veda BALESTRACCI-PICCINNI 1977 p. 110 e
per una trattazione più completa Palazzo Pubblico di Siena 1983.
4
Un'epigrafe in situ posta sulla facciata data in maniera piuttosto precisa la costruzione di questo
edificio attorno all'anno 1234.
5
Anche se questo è l'unico esempio a Siena conservato di abside semicircolare di età romanica, è
molto probabile che questa zona della chiesa fosse ricostruita durante i lavori di restauro eseguiti
subito dopo i danneggiamenti subiti dall'edificio durante la distruzione delle case di Provenzan
Salvani nel 1271. A questo proposito si veda LIBERATI 1 95 7, pp. 186- 191. MORETTI
STOPANI 1981, p.68.
precedente. La malta a base di calce, di colore nocciola chiaro, è
abbastanza tenace. Sulla superficie dei conci lapidei, come nel precedente
campione, alle originarie tracce lasciate dalla lama dentata di una polka, si
sovrappongono quelle di una martellina dentata a punte grosse, impiegata
durante uno degli interventi di restauro. Le superfici dei laterizi recano,
invece, chiari segni di "punzecchiatura", lasciati da una subbia o dalla
punta di un picconcello, con l'intento di fare aderire meglio l'intonaco
durante un'operazione di intonacatura.
Muratura databile tra il 1257 e il 1290, probabilmente intorno agli anni '60.
Per confronti in Siena e dintorni si vedano poi le due porte a Stalloreggi 6;
la fonte di Follonica 7; il transetto della chiesa dell'eremo di S. Lucia a
Rosia 8; la cappella di Montesiepi 9; la pieve di S. Giusto a Balli presso
Sovicille 10.
6
Databile ai primi anni del secolo XIII o agli ultimi del secolo precedente. DE VECCHI 1949, p.5.
7
Tra il 1240 e i1 1259 sono attestati dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento della fronte che le
conferiscono l'aspetto definitivo. DE VECCHI 1949, p. 27, mentre le notizie relative ai recenti scavi
archeologici di cui è stata oggetto la fonte si ritrovano in FRANCOVICH 1982, pp. 179 e sgg.
8
Sappiamo, da un'iscrizione, ora conservata presso la
Biblioteca Comunale di Siena, che l'eremo fu costruito nel 1252. L'iscrizione pubblicata per la
prima volta in DONATI 1872-76 pp. 24-25, è riportata in MORETTI-STOPANI 1981, p. 162.
9
La cappella fu fondata nel 1181 dal vescovo di Volterra, Ugo de' Saladini e consacrata nel 1 185.
MORETTI-STOPANI 1981, p. 160; MORETTI 1982, p. 63.
10
La pieve fu rinnovata fra la fine del XII secolo e l'inizio di quello successivo. MORETTI 1982,
p.64.
segni lasciati da una gradina utilizzata, con tutta probabilità, per rifinire
ulteriormente la facciata durante i restauri dei primi anni del nostro secolo
(1905-1907).
La muratura è databile alla fine del XIII secolo (1298). Per il confronto
con altre murature a Siena che presentano un'apparecchiatura in laterizio
abbastanza irregolare si veda: Fonte di Pescaia 11; Porta S. Marco 12; Porta
a Ovile 13.
Campione n. 6. Rettifica del Palazzo del Rettore verso via dei Fusari. USM
15, settore VII. Dal momento che i pilastri ed i tamponamenti che si
11
Si fa riferimento in particolare all'arcata maggiore in laterizi che, pur essendo sicuramente più
tarda delle due arcate più piccole in pietra, datate da un'epigrafe all'anno 1247, è comunque
attribuibile ad un periodo costruttivo di poco posteriore, compreso quindi nella prima metà del XIII
secolo. DE VECCHI 1949, p. 30, BARGAGLI-PETRUCCI 1906, vol. I, pp. 313-315, vol. II, pp.
90-91.
12
La porta fu edificata durante i lavori per la costruzione delle nuove mura iniziati nel 1257.
LUSINI 1921, pp. 285-286; DE VECCHI 1949, p. 27.
13
La porta è databile al decennio compreso tra il 1250 e il 1260, poiché nel 1251 il Comune
contrasse un debito per la costruzione deia porta e ciò poi concorderebbe con la revisione delle
fortificazioni in tutta la zona, avvenuta in questo periodo. DE VECCHI 1949, p. 27.
alternano sulla facciata peresentano due tipi di apparecchiatura diversi, si è
ritenuto opportuno differenziare la loro descrizione.
14
Per la terminologia usata e la classificazione dei diversi tipi di apparecchiature si veda PARENTI
1988, pp . 249-279.
I1 muro a scarpa fu costruito tra il 1798 ed il 1800, durante i lavori di restauro a seguito del
terremoto del
15
1798. Si veda Palazzo Pubblico di Siena 1983, pp. 126-128.
I reperti numismatici
1 — Impero Romano, zecca di Roma. Tiberio a nome di Ottaviano
Augusto (a.D. 1437); Asse o Dupondio.
Ae, diam.* mm. 28 g. 8,4 d.c. 165° n. 402
D/ Tracce del busto radiato di Ottaviano
(DIVVS AVGVSTVS P) ATE (R)
R/ Grande altare accostato dalle lettere S e C, quest'ultima illeggibile per le
incrostazioni di ossido rameoso. Sotto: (P) ROV (IDE) N (T)
COHEN, I, p. 94 n. 228
I reperti antropologici oggetto del presente studio sono stati rinvenuti nel
corso della campagna di scavo condotta nella primavera 1988
dall'Insegnamento di Archeologia Medievale del Dipartimento di
Archeologia e Storia delle Arti dell'Università degli Studi di Siena
nell'area antistante la facciata dello Spedale di S. Maria della Scala.
Tali reperti coprono un vasto intervallo cronologico, corrispondente a
numerose US cronologicamente comprese tra il il ed il XIX-XX secc. Esse
sono state riunite, per ottenere campioni sufficientemente ampi, in tre fasi
principali, datate rispettivamente al VI sec., al primo XIV sec.-ultimo
quarto del 1400, al XVI-XVIII secc.
La seconda fase (primo XIV-ultimo quarto XV secc.) è risultata essere la
più interessante, sia per la documentazione dell'epoca che la accompagna,
che per il volume di materiale osteologico restituito dallo scavo, divenendo
così oggetto di maggiore attenzione dello studio antropologico.
Sappiamo che nel 1306, infatti, viene istituita un'area cimiteriale, con
impianto di "Avelli" (cfr. periodo V, fase F, att. 21-22). Si tratta di una
fossa rettangolare divisa da muretti in mattone in settori corrispondenti alle
US 271, 272, 273, 280 e 281, con orientamento delle deposizioni sud-nord.
Le sepolture circostanti e quelle appartenenti alle suddette US risalgono
alla stessa epoca e, oltre a rappresentare un'area privilegiata di
deposizione, sono risultate tra le meglio conservate.
Tutto il materiale risulta notevolmente sconvolto. Non è stato possibile
ricostruire le singole entità scheletriche, ma si è proceduto allo studio
esaminando le ossa in connessione e non, sulla base di datazioni,
associazioni stratigrafiche, foto e note di scavo.
I resti scheletrici si presentano inoltre in precarie condizioni di
conservazione, avendo subito posI mortem rotture, compressioni,
deformazioni.
A causa di un terreno di sepoltura particolarmente sfavorevole alla loro
conservazione, tutti gli elementi ossei in studio tendevano a perdere
consistenza, rendendo ogni fase del lavoro molto complessa. Le operazioni
di reintegrazione dei reperti, quando possibili, sono risultate
particolarmente difficili ed in molti casi, come ad esempio in quello dei
calvari, del tutto insufficienti agli effetti di corrette valutazioni
morfometriche e morfologiche. Una situazione del tutto opposta si è
invece presentata per gli elementi scheletrici poveri di tessuto osseo
spugnoso, quali le mandibole e le ulne, che hanno permesso di valutare
meglio il numero degli individui, il sesso e l'età di morte.
Metodologia di studio
1
Individui: US 280, maschio di circa 22 anni, US 280 al, maschio di circa 30 anni; 280 a3, maschio
di circa 30 anni; US 271 d6, maschio di circa 45 anni; US 280 a2, maschio di età senile; US 280,
sesso incerto di età senile.
presenza minima di 48 individui adulti, dei quali 40 riferibili al XIII-XV
secc. ed 8 al XVIXVIII. Sommando il valore ottenuto operando in questo
modo al numero degli infantes e/o juvenes riconosciuti dall'analisi delle
ossa dello scheletro postcraniale, si ottiene un totale complessivo di 66
individui, dei quali 54 (40 adulti, 14 infantes) riferibili al XIII-XV secc., e
13 (8 adulti e 5 infantes) al XVI-XVIII. Si può perciò concludere che il
campione di S. Maria della Scala risulta costituito da un numero di
individui difficilmente quantificabile, a causa sia delle caratteristiche del
deposito archeologico stesso (elevatissimo numero di deposizioni
sconvolte) che dello stato di conservazione dei reperti (ossa estremamente
incomplete e frammentarie in molti casi risultate non assodabili),
compreso tra un minimo di 66 individui ed un massimo di 129, e
verosimilmente più vicino (cfr. supra) al valore più basso di questo
intervallo.
Paleodemografia
Mazzi, ad esempio riporta, per la Firenze del 1385-1430, una mortalità infantile pari al 40,6% del
totale,
Canavese, Paciuri, Villa dei Gordiani (cfr. FORNACIARI et alii 1986, p.
85), anche se può apparire in contrasto con quanto è storicamente noto
circa le condizioni di vita, sia in ambiente urbano che rurale, in età
medievale, che indicano elevatissime mortalità infantili e giovanili2.
Presentano un quadro "anomalo" soltanto due delle necropoli toscane
sopra citate: Impruneta e S. Vito di Calci, caratterizzate entrambe da
un'elevata mortalità infantile, spiegata, nel primo caso (FORNACIARI
1981, p. 472) con l'appartenenza delle sepolture, tutte monosome, ad
un'area sepolcrale riservata alle deposizioni giovanili, e nel secondo
(FORNACIARI et alii 1986, pp.90,105) con una serie di inumazioni in una
fossa comune, in seguito ad un evento bellico o epidemico di breve durata
temporale.
La scarsità di resti di infantes e di giovani viene abitualmente messa in
relazione ad una loro mancanta conservazione, sfavorita o impedita sia
dalle piccole dimensioni che dalla fragilità delle loro ossa, o a tipi meno
accurati di sepoltura, oppure, infine, ipotizzando che ai non adulti fossero
riservate aree cimiteriali particolari.
Nel caso dell'area sepolcrale di S. Maria della Scala si osserva che la
mortalità infantile non si distribuisce uniformemente nelle varie classi di
età (tabelle 4 e 6). Tra gli 8 individui giovanili per i quali è stata possibile
una attendibile determinazione dell'età di morte, uno è neonato, 3 hanno
età comprese tra 6 e 10 anni, 4 sono compresi tra 15 e 18 anni. Anche se la
scarsità, l'incompletezza e le precarie condizioni di conservazione dei resti
dei soggetti giovanili rendono sconsigliabile, almeno per il momento,
qualsiasi interpretazione delle mortalità infantile e giovanile a S. Maria
della Scala, si può notare però che essa appare, anche in questo caso,
piuttosto lontana da quella osservata nella maggior parte delle necropoli,
localizzata prevalentemente nei primi mesi di vita e nella prima infanzia,
in corrispondenza cioè dei momenti di maggiore stress, quali la nascita e lo
svezzamento. La maggior parte dei decessi appare invece, a S. Maria della
Scala, localizzata tra 6-10 (3 casi) e 15-19 (4 casi) anni di età, fasce che
nei modelli di mortalità delle altre necropoli mostrano, specialmente la
seconda, il minor numero di decessi in assoluto o, addirittura, la loro totale
mancanza. Nel caso del gruppo umano in studio il relativamente alto
numero di individui deceduti tra 15 e 19 anni potrebbe ipoteticamente
2
e, per l’Europa preindustriale in genere, valori del 15-35% nel primo anno di vita, e del 10-20%
entro il decimo anno (MAZZI 1981, pp. 329-330).
essere interpretato come legato alla mortalità di soggetti femminili, già in
età feconda e deceduti per cause legate alle gravidanze ed ai parti.
Riguardo alla mortalità degli adulti è necessario premettere alcune
considerazioni che si deducono dall'esame della tabella 4 e dei Quadri
sinottici della situazione dentaria.
Si osserva infatti che la maggior parte dei resti scheletrici è attribuibile ad
individui di sesso maschile, mentre le femmine sembrano piuttosto scarse,
riguardo soprattutto ai resti dentari. Non è stato infine possibile attribuire
un notevole numero di resti al sesso maschile o femminile. Anche
ammettendo che una parte di questi ultimi sia da riferire a femmine, si può
concludere che esse appaiono complessivamente poco rappresentate nel
campione di studio. Si nota inoltre che resti riferibili con certezza a
soggetti femminili mancano completamente nelle US 280 e 281, e sono
piuttosto scarsi nell'US 271; relativamente alle US 272 e 273 la presenza
degli individui femminili appare maggiore dall'esame della tabella 4, ma è
sempre piuttosto scarsa in base ai resti dentari.
Sembra quindi, in conclusione, che gli Avelli siano stati prevalentemente
(esclusivamente quelli corrispondenti alle US 280 e 281) adibiti alla
deposizione di individui di sesso maschile. Si può quindi avanzare l'ipotesi
che l'area cimiteriale di S. Maria della Scala rappresenti una necropoli
"specializzata", deputata doè alla sepoltura di individui adulti di sesso
maschile, appartenenti forse ad un particolare gruppo sodale.
Relativamente alla mortalità femminile, la scarsità dei reperti dentari ha
fatto sì che sia stato possibile stabilire con apprezzabile precisione l'età di
morte di 3 soli soggetti, dei quali 2 risultano deceduti in età adulta ma
piuttosto giovane (28 e 30 anni) ed uno in età senile. Questi dati appaiono,
ovviamente, troppo scarsi per consentire di ottenere modelli della mortalità
femminile a S. Maria della Scala.
I decessi maschili appaiono invece ripartiti in tutte le classi dell'età adulta,
con punte massime tra 20 e 30 anni e nell'età senile. Mentre la mortalità
senile ovviamente non meraviglia, (eventualmente appare invece degno di
nota il numero di soggetti che riesce a raggiungere tale età), appare
difficilmente spiegabile quella dei soggetti tra 20 e 30 anni, se non
ammettendo qualche particolare evento, magari bellico o, più
verosimilmente, una carestia o una epidemia, che ha colpito
particolarmente queste classi di età, doè i maschi adulto-giovani, che, nei
momenti di "crisi", presentando un minor grado di mortalità "naturale",
offrivano un maggior numero di individui all'evento stesso.
Anche se, quindi, l'area cimiteriale di S. Maria della Scala appare
"specializzata" verso le sepolture maschili senili ed adulto-giovani, e
quindi non è rappresentativa della popolazione della Siena del XIII-XV
secc., ma piuttosto soltanto di un particolare gruppo umano, è stata
elaborata la relativa tavola di mortalità (tabella 6). Si osserva, in accordo a
quanto precedentemente osservato, che le fasce comprese tra 20 e 30 anni,
ed in minor misura, quella dei 36-40, oltre a quella dei soggetti maggiori di
50 anni, corrispondono ai momenti critici per la sopravvivenza degli
individui appartenenti al gruppo in studio, come si coglie dal confronto tra
la percentuale di sopravviventi e la probabilità di morte, mentre, tuttavia,
una notevole parte dei soggetti arriva a superare i 50 anni di età. Questo
ultimo dato riveste una particolare rilevanza, significando una certa
facilità, per gli individui appartenenti a questo gruppo, di raggiungere una
notevole longevità.
La numerosità del gruppo si dimezza intorno ai 30 anni di età: nella fascia
tra 26 e 30 anni è infatti ancora vivente il 62,22% degli individui, mentre
in quella tra 31 e 35 anni il gruppo è ridotto al 44,44%; quasi il 47%
dell'intera popolazione riesce però a superare 40 anni, ed il 20% del totale
oltrepassa i 50.
La speranza di vita appare particolarmente elevata in tutte le fasce, con
flessioni corrispondenti a quelle in cui è più evidente la probabilità di
morte q(x), considerato soprattutto il periodo storico in cui viveva i1
gruppo umano in studio; alla nascita essa è pari a poco più di 26 anni, ed
anche se, come è logico attendersi, il suo valore assoluto diminuisce
sempre più, escluse due piccolissime oscillazioni, nelle fasce successive si
nota che gli individui sopravviventi possono, teoricamente, raggiungere età
sempre più avanzate. Ad esempio, un bambino di 6 anni può viverne altri
22 circa, arrivando all'età di 28 anni; un ragazzo di 11 altri 19; un giovane
di 20 anni, se riesce a superare le fasce "a rischio" tra 20 e 30 anni, può
raggiungere i 34 anni, mentre un adulto di 36 anni può viverne altri 10
circa, raggiungendo 46 anni; infine, un cinquantenne ha una speranza di
vita di altri 5 anni, potendo così superare i 55.
Gli elevati valori della speranza di vita all'interno di questo gruppo umano,
particolarmente alti in rapporto al periodo storico in esame, fanno
ipotizzare che gli individui sepolti nel cimitero di S. Maria della Scala
appartenessero a categorie sociali "privilegiate", e che quindi potessero
vivere in condizioni igieniche, ambientali ed economiche particolarmente
favorevoli, che determinavano una minore esposizione a quei fattori, come
le carestie, le carenze alimentari (fino alla vera e propria "fame"), le
malattie, le infezioni di varia natura, i traumi, che colpivano con altissima
incidenza gli strati inferiori della popolazione urbana determinando una
forte mortalità non solo in età infantile e giovanile, ma anche nell'età
adulta (la durata media della vita, secondo BELLETTINI 1987, raramente
superava i 30 anni) e permettevano loro di raggiungere frequentemente
l'età adulto-matura o senile.
Analisi antropologica
Posizione dei fori mentonieri: nella maggior parte dei casi esaminati (9 su
13) i fori mentonieri si aprono sotto il secondo premolare; solo in 4
mandibole si aprono tra il primo ed il secondo premolare.
I dati metrici e morfometrici sono stati rilevati per ogni singolo elemento
scheletrico sufficientemente completo e quindi risultato misurabile e sono
stati tabulati segnalandone appartenenza stratigrafica e cronologia. I quadri
risultanti, non riportati, per brevità, in questa sede, sono depositati
nell'archivio della Cooperativa "Anthropos" e consultabili su richiesta.
La maggior parte degli elementi scheletrici risultati misurabili proviene
dagli individui deposti negli Avelli (XIII-XV secc.); quelli riferibili agli
altri intervalli cronologici sono stati, ovviamente, esclusi dalle medie
operate su indici e valori significativi ottenuti.
Le caratteristiche del materiale in studio, ed in particolar modo la
conseguente elevata frequenza di resti molto incompleti, non attribuibili a
maschi o femmine, non ha consentito il calcolo degli indici separatamente
per i due sessi.
Paleopatologia
ARTROSI
Risultano interessate da artrosi sia le colonne vertebrali che tutte le ossa
degli arti; tutti i distretti scheletrici postcraniali presentano frequentemente
neoformazioni osteofitiche a livello delle epifisi, che interessano tutte le
articolazioni, sia quelle tra le ossa lunghe degli arti che quelle tra gli
elementi della mano e del piede.
La particolare frequenza delle stigmate di questa patologia tra gli inumati
di S. Maria della Scala può essere facilmente spiegata in quanto l'artrosi
più che una vera e propria malattia rappresenta una degenerazione del
tessuto osseo legata all'età, e nel campione in studio sono presenti
numerosi individui adultomaturi e senili.
Abbiamo ritenuto opportuno focalizzare l'attenzione sulle alterazioni
artrosiche a carico della colonna vertebrale (spondiloartrosi) che nel
gruppo in studio sembrano, almeno in alcuni individui, essere state
piuttosto gravi. E però necessario specificare che, per i motivi
precedentemente citati, non è stato possibile, per ogni individuo, valutare
esattamente le condizioni dell'intero rachide e quindi la gravità della
spondiloartrosi. La fragilità delle vertebre, elementi scheletrici
particolarmente ricchi di tessuto osseo spugnoso e quindi diffidlmente
conservabili integri, non ha in nessun caso consentito la ricostruzione dei
diversi rachidi vertebrali; la frammentarietà di molte di esse, ridotte
prevalentemente al solo corpo, ha impedito in molti casi di riconoscerne la
posizione nella colonna vertebrale, permettendo solo la distinzione tra
cervicali, toraciche e lombari.
Le spondiloartrosi rappresentano, infatti, la maggior parte delle patologie
rilevate in assoluto. Risultano colpiti 12 individui in forma leggera (da 1 a
4 vertebre coinvolte); 5 in modo più grave.
In un individuo adulto-senile di sesso femminile (US 219) sono interessate
4 vertebre cervicali, 9 toraciche e 4 lombari.
Due individui adulti di sesso maschile (US 244) sono stati interessati da
spondiloartrosi, il primo a 4 cervicali, 7 toraciche e 3 lombari; l'altro a 4
lombari.
Un individuo adulto di sesso incerto (US 271/a) presenta colpite 6
cervicali e 1 lombare.
In un individuo adulto di sesso maschile (US 281) 4 vertebre cervicali
(II-III, V-VI) sono state interessate da spondiloartrosi complicata da
saldatura dell'epistrofeo con la terza vertebra cervicale, eburneizzazione di
parte del dente dell'epistrofeo stesso e degenerazione dei dischi
intervertebrali.
ERNIE DI SCHMORL
Rappresentano le stigmate lasciate dai cosiddetti Noduli di SchmorI,
ovvero aree di tessuto discale che prolassano attraverso le lamine
cartilaginee erniandosi nella spongiosa del corpo vertebrale. Questo
provoca una riduzione in altezza del disco intervertebrale e la
neoformazione di lamelle ossee, che contengono l'ernia dall'interno della
spongiosa. Le ernie di Schmorl possono essere conseguenza sia
dell'esposizione della colonna vertebrale a carichi eccessivi in età
giovanile, che di un difetto di resistenza delle stesse piacche cartilaginee
vertebrali, se non proprio conseguenza della malattia di Scheuermann
(dfosi degli adolescenti).
Di seguito è riportata la descrizione delle stigmate patologiche di maggior
interesse tra quelle riconosciute nel materiale scheletrico in studio.
Odontologia
USURA DENTARIA
Dai Quadri sinottici delle situazioni dentarie mascellari e mandibolari si
osserva il grado di usura dentaria relativa ad ogni individuo. Si tratta
constantemente di un'usura notevolmente avanzata rispetto a quanto si
riscontra nelle popolazioni attuali, ma del tutto analoga a queste rilevate su
numerosi gruppi umani antichi e medievali.
Anche se esistono alcune variazioni da soggetto a soggetto, l'usura dentaria
sembra essere correlata all'età degli individui in studio, aumentando in
proporzione a questa. Essa riguarda tutti i denti di entrambe le arcate, dagli
incisivi e canini, che presentano, invece del margine tagliente, una faccia
di occlusione con dentina scoperta, ai premolari e molari, che in alcuni casi
presentano superfici occlusali piane o addirittura concave, con smalto
assente o confinato ai bordi.
Il notevole numero di frammenti di arcate appartenti a soggetti di sesso
non determinabile, e la scarsità di reperti attribuibili con certezza a
femmine, impediscono di cogliere eventuali variazioni nel grado di usura
dentaria nei due sessi.
La forte usura dentaria, che nelle popolazioni del passato sembra
rappresentare (FORNACIARI-MALLEGNI 1981, p. 354) non una
condizione parafisiologica, ma una vera e propria malattia, che costituiva,
tra l'altro, la causa prima dell'edentazione intra vitam, provocando
l'insorgenza di cisti, granulomi ed ascessi alveolari, viene in genere messa
in relazione, se non ad ipotetiche e sconosciute attività extradietetiche, a
particolari abitudini alimentari. Cibi particolarmente duri, ricchi di fibre
vegetali consistenti, e/o di farine di cereali macinate grossolanamente o
con macine di pietra tenera, produrrebbero infatti una vera e propria azione
di abrasione della superficie masticatoria dei denti.
Nel caso del campione in studio essa potrebbe essere legata
all'alimentazione ricca anche di sostanze vegetali, messa in evidenza dalle
analisi paleonutrizionali (cfr. il contributo di Bartoli), evidentemente di
tipo fibroso e piuttosto dure.
Tra le patologie dentarie sono state rilevate: carie, ascessi, granulomi,
ipoplasia dello smalto e presenza di depositi di tartaro.
CARIE
Risultano cariati 32 denti su 310 presenti (10,32%). I denti mascellari
sembrano più colpiti (17,44%) di quelli mandibolari (7,59%). Sono
interessati dalla carie 1 canino superiore (3,12%) e 2 inferiori (6,23%), 8
premolari superiori (25%) e 4 inferiori (12,5%), 6 molari superiori
(18,73%) ed 11 inferiori (34,4%) (fig. 53). Gli incisivi non risultano mai
cariati. I denti complessivamente più colpiti dalla carie sono i molari
(53,12%), seguiti dai premolari (37,50%) e dai canini (9,37).
Appaiono interessati 7 individui su 16 (43,75%) nel mascellare e 12 su 38
(31,58%) nella mandibola. Non si osserva nessuna differenza significativa
nella distribuzione della carie riguardo all'età dei soggetti colpiti.
Riteniamo utile, però, sottolineare che l'incidenza di questa patologia nel
gruppo umano in esame può essere stata maggiore di quanto sembrerebbe
dai dati ricavati, in quanto essa probabilmente non è stata riscontrata sia in
numerosi denti che in numerosi soggetti proprio a causa dell'elevato
numero di cadute intra vitam e post mortem.
Anche nel caso della carie le caratteristiche del materiale in studio (cfr.
supra) non consentono di rilevare eventuali somiglianze e/o differenze
circa l'incidenza tra i due sessi.
Considerando l'incidenza della carie nei singoli soggetti (cfr. Quadri
sinottici delle situazioni dentarie mascellari e mandibolari) si osserva che
nella maggior parte dei casi risultano interessati 1-2 denti.
Colpito in modo particolarmente grave appare l'individuo 280 a4 (sesso
incerto, ca. 22 anni), nel cui mascellare risultano cariati il seconcdo
incisivo sinistro (carie penetrante distale), il canino destro ed i due primi
premolari destro e sinistro (ciascuno interessato da carie destruente) e il
secondo molare destro (carie penetrante mesiale).
L'individuo 280 b (adulto maturo) è interessato, nell'emimascellare
sinistro, dalla carie destruente del secondo premolare, e dalle carie
penetranti distali del colletto del primo premolare e del secondo molare.
Nell'individuo 280 a2 (maschio di età senile) sono cariati, nel mascellare,
il secondo premolare ed il terzo molare destro (carie penetrante mesiale), il
primo premolare destro (carie non penetrante distale) ed il secondo
premolare sinistro (carie penetrante vestibolare).
L'insorgenza e la frequenza della carie, quando non sono legate a
particolari condizioni patologiche o ad una imperfetta amelogenesi,
responsabile di scarsa resistenza della dentatura (dovuta a diete
estremamente carenti e squilibrate), appare legata,come altamente
probabile nel caso di questo gruppo umano, ad un'alimentazione ricca di
sostanze zuccherine, di cibi raffinati e di consistenza collosa, tipica,
quindi, del cosiddetto "benessere alimentare" (FORNACIARIMALLEGNI
1981, p. 354 e 1989, p. 1465) di una popolazione.
ASCESSI E GRANULOMI
Dal momento che sono stati rilevati soltanto i casi di ascessi e granulomi
dell'apice radicale riscontrabili macroscopicamente, la loro incidenza nel
gruppo umano in studio è certamente sottostimata.
Sono stati osservati complessivamente 8 casi di ascessi e 3 di granulomi
dell'apice radicolare. Appaiono quindi colpiti 11 denti su un totale di 585
alveoli esaminati, cioè l'1,88%.
Risultano più interessati i denti mandibolari (7 casi di ascessi, 2 di
granulomi) rispetto a quelli mascellari (1 ascesso ed 1 granuloma), ma
questo potrebbe dipendere soltanto dalla scarsa rappresentatività delle
poche arcate superiori presenti.
Osservando l'incidenza di queste patologie nei diversi soggetti (vedi
Tabelle dentarie) si osserva che per quanto riguarda il mascellare sono
interessati 2 individui su 16; nelle mandibole appaiono invece colpiti 5
soggetti su un totale di 38. Nel caso di un solo individuo (280 a2, maschio
di età senile) si osserva che sono interessati denti appartenenti ad entrambe
le arcate. Si rileva inoltre che sono colpiti sia soggetti di età piuttosto
avanzata che altri più giovani.
Tra gli individui particolarmente colpiti da queste patologie l'individuo
280 b (adulto maturo di sesso incerto) presenta un ascesso a livello del
primo incisivo superiore sinistro, caduto intra vitam, oltre a carie (cfr.
supra) del primo e del secondo premolare e del secondo molare della stessa
emiarcata.
Nell'individuo 273 g5 (maschio di circa 32 anni di età) sono colpiti da
ascessi il primo molare, il canino ed il primo premolare inferiori destri,
questi ultimi probabilmente in conseguenza alle carie destruenti che li
hanno colpiti provocando l'infezione delle loro radici.
L'individuo 219 (femmina di età senile) presenta 3 ascessi a livello del
primo incisivo inferiore sinistro, del primo incisivo e del canino inferiori
destri, questi ultimi caduti intra vitam.
Nell'individuo 280 a2 (maschio di età senile) 2 granulomi hanno
interessato il secondo indsivo superiore sinistro, provocancdone la caduta
intra vitam, ed il primo premolare inferiore destro. Anche se non si
conosce la completa situazione dentaria di questo soggetto (non è
conservata parte dell'emimandibola e dell'emimascellare sinistri), si
osserva che la funzionalità delle arcate dentarie era inoltre compromessa
dalla presenza di almeno 4 carie a livello dei denti mandibolari (cfr. supra)
e dalla perdita intra vitam di altri 3 denti superiori e di almeno 2 inferiori.
TARTARO
Complessivamente 51 denti su 310 osservabili (16,45%) presentano
depositi, di maggiore o minore entità, di tartaro. Sono interessati 8 denti
mascellari su 86 presenti (9,30%) e 43 denti mandibolari su 224 (19,19%).
Presentano tartaro sui denti mascellari 3 individui su 16 presenti (18,75%);
sui mandibolari 12 individui su 38 (31,58%).
Particolarmente interessato dal tartaro appare l'individuo 280 b5 (sesso
incerto, ca. 38 anni di età) nella cui arcata mandibolare (il mascellare non è
conservato) quasi tutti i denti presentano notevoli accumuli di tartaro.
Colpiti in misura minore appaiono gli individui 271 c (maschio di ca. 25
anni) nella cui mandibola presentano depositi di tartaro il secondo incisivo
destro, il primo premolare sinistro ed, in misura minore, il secondo
premolare ed i tre molari sinistri, e 280 al (maschio di ca. 30 anni) nella
cui mandibola sono interessati da accumuli di lieve entità i secondi
incisivi, 1 canino ed i primi premolari di entrambi i lati.
Negli altri soggetti l'incidenza del tartaro è ancora minore, risultando
interessati, nei tratti alveolari conservati, da 1 a 4 denti in media.
Conclusioni
Ringraziamenti
Ringraziamo la Dott.ssa Barbara Wilkens, della Cooperativa
"Anthropos", che ha partecipato al lavoro preliminare di restauro,
schedatura e misurazione dei reperti.
Un particolare ringraziamento al Prof. Francesco Mallegni, del
Dipartimento di Sdenze Archeologiche dell'Università di Pisa, per la
squisita supervisione scientifica e la revisione critica del lavoro.
Calcio (Ca)
Stronzio (Sr)
Zinco (Zn)
Conclusioni
Abbreviazioni
AEA = Archivio Español de Arqueologia
AM = Archeologia Medievale
Am. Jour. Phys. Anthrop. = American Journal of Physical Antropology
Ann. New York Ac. Sci. = Annals of the New York Academy of Sciences
Antrop. Contemp. = Antropologia Contemporanea
AOD = Archivio Opera del Duomo
Arch. Antrop. Etnol. = Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia
ASS = Archivio di Stato di Siena
BAR = Britisch Archeological Report
BEFAR = Bibliotèque des Écoles française d'Athènes et the Rome
BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenzeù
BSSP = Bollettino Senese di Storia Patria
Clin. Orthop. = Clinic Ortopedic
EAA = Enciclopedia dell'Arte Antica
Jour Arch. Sci. = Journal of Archeological Sciences
Journ. For. Sci. Soc. = Journal of Forensic Science Society
MEFRA = Mèlangès de l'Ercole française de Rome - Antiquitè
MEFRM = Mèlangès de l'Ercole française de Rome - Moyen Âge/Temps
modernes
Monogr. Sc. Arch. Atene e Miss. It. Or. = Monografie della Scuola
Archeologica di Atene e della Missioni Italiane in Oriente
Quad. Sci. Antrop. = Quaderni di Scienze Antropologiche
Rass. Stor. Saler. = Rassegna Storica Salernitana
Riv. Antrop. = Rivista di Antropologia
Symposia Soc. Hum. Biol. = Symposia of the Society of Human Biology
Zeit Morph. Antrop. = Zeitschrift für Morphologie und Antropologie
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Archivio dello Spedale. Inventario 1960 - Archivio dello Spedale di Santa
Maria della Scala. Inventario, a cura di G. Cantucci, U. Morandi, vol. I,
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BANCHI 1877 - L. BANCHI, Statuti senesi scritti in volgare ne' secoli XIII e
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