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INSEGNAMENTO

6 lezione (2021)
Abbiamo visto tutte le attività che sono previste nel QCER e siamo arrivati alle strategie di
mediazione. Vediamo cosa intende il QCER per strategie di comunicazione e guardiamole.
Strategie di mediazione. Cosa intende il QCER per strategie di mediazione. Le definisce come la
capacità di chi usa e apprende la lingua di mediare. Però non semplicemente andando a prevedere
la competenza linguistica, ma andando anche a utilizzare delle strategie che siano appropriate alla
convenzione, alle condizioni e al contesto comunicativo. Quindi non ci deve essere solo la
competenza linguistica. Cosa intende per strategie? Si riferisce a tecniche che il mediatore usa per
chiarire il significato e per facilitare la comprensione. Sono le due parole chiave. Il mediatore svolge
la funzione di ponte, non solo tra le persone ma anche tra i testi. Con il concetto di strategie si
allarga anche alle modalità, alle funzioni. Vediamo delle strategie di comunicazione intese come
modi per aiutare le persone a capirsi durante questo processo. Vedremo in che modo viene
elaborato il contenuto di partenza. Quindi cosa c’è da fare, se bisogna svilupparlo, condensarlo,
spiegarlo, semplificando? Il QCER ce le presenta in modo separato perché sono molte le attività in
cui si possono applicare. La slide 62 è riassuntiva e ci dà in un colpo d’occhio la situazione. Le divide
principalmente in strategie per spiegare un nuovo concetto e strategie per semplificare un testo.
inizia con le strategie per spiegare un nuovo concetto. Troviamo il richiamare e collegarsi alle
conoscenze pregresse. Il concetto delle conoscenze pregresse è importante, perché lo studente
non è mai una tabula rasa, non è mai una persona che non ha avuto altre esperienze o che non
conosce altre cose. Come spesso veniva inteso negli approcci formalisti, più antichi. Quindi mentre
prima era considerato come una tabula rasa, una persona che partiva da zero assieme al docente;
negli approcci più moderni invece si tiene conto molto del vissuto, dell’expetancy grammar; quindi,
della grammatica che già si possiede e che si attiva andando a contestualizzare. Quindi c’è una
sorta di richiamo alle conoscenze pregresse. Viene inteso come una parta significativa del processo
di mediazione perché si collega al processo di apprendimento. Non possiamo non tenere conto di
ciò che il soggetto già conosce. Il mediatore più spiegare informazioni nuove, confrontando con ciò
che il destinatario già conosce, quindi con l’expetancy grammar. Questi collegamenti possono
rimandare ad altri testi, come scritti, orali, un’immagine. E andare a mettere in relazione delle
informazioni nuove con la enciclopedia del mondo che ogni persona ha. Nella scala troviamo 3
concetti chiave, che sono porre domande per incoraggiare le persone ad attivare le loro
conoscenze pregresse, fare confronti e collegamenti tra le nuove conoscenze e quelle pregresse,
fornire esempi e definizioni. Tutto quello che ci serve per spiegare qualcosa di nuovo. La parte di
porre domande ecc., se abbiamo studiato l’esame della triennale, le fasi dell’unità didattica, ma
sappiate che nella glottodidattica è consigliabile sempre una sorta di introduzione. Nell’unità
didattica di Balboni la si chiama motivazione, ma è una fase che si presenta prima di lavorare sul
testo, perché nella glottodidattica tutto ruoto intorno al testo linguistico. Quindi prima di andare a
lavorare su questo testo, riscaldo lo studente con un brainstorming, oppure mostrando
un’immagine chiedendo cosa vedono, oppure con qualche domanda aperta che li prepara
sull’argomento. Anche con delle parole chiave. Ad esempio, stiamo parlando della casa, scrivo la
parola “casa” alla lavagna e faccio brainstorming, cosa ci viene in mente. Un’attività del genere si
può fare a tanti livelli. Perché un livello A mi parlerà del lessico della casa, però anche ad un livello
C si può lavorare con la parola casa, ad esempio casa è il luogo in cui ci sono le persone che
amiamo. Importante è attivare quelle che loro già sanno. Anche il docente, in questo modo,
conosce e si rende conto da dove si parte. Per quanto riguarda il lessico è importante, perché
l’attivazione delle conoscenze pregresse risveglia le preconoscenze lessicali; quindi, dà una base
per comprendere il lessico nuovo.
C’è poi adattare la lingua. Ci può essere il bisogno di cambiare lo stile o il registro. Per trasferirlo di
testo in testo possiamo dover adattare questo genere e questo registro. Si può fare ricorrendo a
delle strategie come uso di sinonimi, similitudini, esemplificazioni e parafrasi. Quindi nella scala
troviamo questi descrittori: parafrasare, adattare il discorso e la velocità del parlato (molto
importante anche nella didattica, calibrare la velocità del parlato sull’interlocutore), spiegare la
terminologia tecnica.
Infine, semplificare un’informazione complessa. In questo caso possiamo migliorare la
comprensione del testo se scomponiamo l’informazione complessa, in parti costitutive. Quindi
sezioniamo e mostriamo come queste parti si integrano, e se messe insieme formano un unico
concetto. Nella scala troviamo scomporre un processo in una serie di fasi, presentare le idee o le
istruzioni sottoforma di elenco o di punti, presentare separatamente i punti principali in una
sequenza di argomenti. La scala in questo caso ha tre colonne, quindi la scala delle strategie per
spiegare un nuovo concetto, ha tre colonne. Per quello delle conoscenze pregresse vediamo che ai
livelli alti si è in grado di presentare concetti complessi, fornendo definizioni dettagliate, basate su
conoscenze pregresse. Ai livelli alti se mi baso su conoscenze pregresse, ma sono concetti
complessi, anche l’utenza, l’interlocutore avrà buone conoscenze pregresse sull’argomento, se
parliamo di concetti così complessi. Nel C1 già si abbassa un po’, perché si parla di porre
spontaneamente domande per sollecitare le persone a pensare a ciò che conoscono. aiutare a
collegare le conoscenze alle spiegazioni che si sono date. Per quanto riguarda l’adattamento della
lingua abbiamo una grande varietà di testi che si riescono ad adattare e quindi presentare il
contenuto essenziale, anche con un grado di ricercatezza e dettaglio appropriati. Mentre già con il
C1 ci si accontenta della terminologia tecnica, dei concetti difficili, perché sappiamo che la persona
che abbiamo difronte è specializzata in quel campo. Quindi c’è tutto l’adattamento della lingua
legato alla sintassi, alle espressioni idiomatiche, al gergo. Quindi per semplificare e rendere
accessibile un argomento. Poi anche il parafrasare, quindi semplificare, interpretare testi
complessi, per gli ascoltatori che on hanno la conoscenza specialistica. Infine, sul semplificare, nel
C2 ci dà facilitare la comprensione del contenuto complesso spiegando le relazioni tra le parti del
testo e sul suo insieme e si promuovono anche dei modi per affrontarlo. Invece il C1 ci parla di
mettere in evidenza e riuscendo a classificare i punti importanti. Quindi con uno schema o
ripetendo, per rafforzare il messaggio. I B non li vediamo nel dettaglio. Nei livelli A abbiamo solo
per quanto riguarda l’adattamento della lingua, c’è la semplificazione, che per forza deve essere
fatta da un livello B a salire. Nell’A2 rimane solo la colonna centrale, dove ci parla dell’essere in
grado di ripetere il punto principale ma di un messaggio su un argomento quotidiano. Quindi
riuscire a riformularlo in maniera diversa se gli altri non comprendono. Le strategie che abbiamo
appena visto erano quelle legate a spiegare un nuovo concetto.
Adesso abbiamo le strategie per espandere un testo. troviamo sviluppare e rendere fruibile un
testo denso, perché se c’è un testo che presenta molte informazioni, è più difficile da
comprendere. In questo caso quando cerchiamo di sviluppare il testo, lo espandiamo, aggiungendo
dei dettagli, delle informazioni, degli esempi, e possiamo commentare, ragionare, per spiegarlo.
Abbiamo come descrittori della scala, utilizzare la ripetizione e la ridondanza; quindi, parafrasando
fino a che non avviene la comprensione, codificare lo stile per spiegare le cose in modo più
esplicito, fornire degli esempi.
Per semplificare un testo invece, noi riduciamo, soprattutto se è un testo scritto, quindi prendiamo
solo le informazioni essenziali. Esporre la stessa informazione in un modo più economico, quindi
eliminando le ripetizioni o digressioni che ci distolgono l’attenzione dai nodi principali. Si fa una
sorta di riassunto, perché escludo le parti che non aggiungono informazioni nuove o pertinenti.
Anche qui un altro modo per semplificare può essere quello di prendere le idee del testo di
partenza, mettere in evidenza i punti importanti, trarre delle conclusioni o confrontarli con altri
testi e evidenziare le differenze. Abbiamo tre concetti chiave: mettere in evidenza le informazioni
chiave, eliminare le ripetizioni e le digressioni, escludere ciò che non è pertinente per il
destinatario. Anche qui abbiamo due uscite, strategie per semplificare un testo: sviluppare e
rendere fruibile un testo esteso, semplificare un testo. nel C2 nel primo troviamo chiarire le
informazioni, su argomenti accademici, professionali e complessi. Nel C1 rendere più accessibile un
contenuto complesso o impegnativo spiegando in modo più esplicito e aggiungendo dettagli utili, e
quindi l’uso della ridondanza è positiva. Mentre nella semplificazione si riscrive un testo
migliorando coerenza, coesione, ordine degli argomenti, eliminando le parti non necessarie. Con il
C1 ricentrarlo sui punti più pertinenti per il pubblico. Ai livelli A abbiamo ad esempio solo l’A2 nella
semplificazione. Nella B, quando sono divisi c’è il B2 + e il B1+. La differenza principale sono gli
argomenti. Ai livelli B abbiamo argomenti dell’ambito di interesse. Nell’A2 c’è la possibilità di
individuare, segnalare, ad esempio con le sottolineature, frasi chiave in un testo breve sui temi di
tutti i giorni.
Fine parte del QCER. L’importante è capire quali sono le azioni, le strategie e cosa si richiede.
Iniziamo a parlare di didattica. Facciamo un excursus storico. Ci concentriamo su le relazioni che ci
sono state principalmente con l’occhio sulla didattica della cultura. Vedremo che le lingue
straniere, apprendere una lingua straniera, è un concetto che abbiamo da sempre. Quindi quando
nascono le lingue straniere, nasce anche già il loro apprendimento. Mentre quello della ricerca dei
metodi per insegnarle è un qualcosa di più recente. Vediamo dall’origine agli anni 60 quello che è
successo. 5000 anni fa, abbiamo già delle notizie su come si apprendevano le lingue. Però fino agli
anni 60 individuiamo due tipi di approcci. Uno è l’approccio naturale, anche detto diretto. Naturale
è quello che ricalca il modo del bambino di apprendere la lingua, quindi con l’esposizione diretta
alla lingua, tramite la conversazione. Poi l’altro tipo di approccio è quello più formalistico, il suo
metodo principale è quello grammaticale traduttivo, legato soprattutto alle lingue classiche.
Questo metodo grammaticale traduttivo poi si afferma dalla fine del medioevo. Viene codificato
sull’insegnamento delle lingue classiche, che oggi consideriamo lingue morte. Ancora si utilizza
l’importanza della traduzione. Nella glottodidattica intere generazioni di insegnanti si sono formate
con questo approccio formalistico. In Italia è durato a lungo e si insegnavano un po’ tutte le lingue
così, attraverso la traduzione, attraverso la grammatica. È l’approccio in cui si dà più importante
alla forma; quindi, la lingua come un insieme di regole e si dà tanta importanza alla correzione
grammaticale, quindi si lavora molto sulla traduzione, sui brani letterari e si lavora sulla forma
scritta principalmente e poco sull’oralità. Infatti, gli insegnanti non dovevano essere a volte
nemmeno in grado di parlarla la lingua. Tornando alla cultura, gli aspetti culturali sono sempre stati
distinti, come aspetti di cultura con la C maiuscola, che erano quelli che si riferivano alle arti, alla
letteratura, ai grandi personaggi, legati a quella cultura. E una cultura con la c minuscola, quindi la
vita quotidiana, gli usi, i costumi delle persone comuni. Dal tardo medioevo oltre alle lingue
classiche che si studiavano, chi poteva permettersi un’istruzione, perché studiavano solo i ricchi,
però già dal tardo medioevo si iniziano a studiare anche le altre lingue straniere. Per motivi
economiche o commerciali. Era un motivo pratico. Quindi il latino e il greco rimanevano come
lingue della cultura e le lingue straniere iniziano ad essere viste come lingue per l’interazione
economica e commerciale. Anche qui avevamo nelle testimonianze che c’erano coloro che
studiavano le lingue andando direttamente nel paese straniero, quindi immergendosi totalmente
in una sorta anche di apprendimento spontaneo. Ma c’era anche chi studiava solo in situazioni
formali o scolastiche e quindi usava questo metodo grammaticale, non aveva tanto contatto con la
cultura, ma principalmente con i testi letterari. Tutto ciò si collega con quella che Balboni chiama
sindrome del pendolo. abbiamo nell’immagine tutti gli approcci che si sono succeduti. Il
formalistico, il metodo diretto, il reading metodo, l’approccio naturalista, metodi situazionali.
Questa sindrome del pendolo descrive come si alternano le stagioni nella glottodidattica. Sono
sempre delle reazioni che si hanno. C’è chi dà più l’importanza alla grammatica, chi dà più
importanza alla comunicazione. C’è questa oscillazione da momenti in cui la lingua si analizza di più
a momenti in cui si usa la lingua. Quindi se guardiamo ciò in prospettiva storica, abbiamo andare e
tornare di un pendolo. da un qualcosa che ci dà una reazione contraria e poi viceversa. Però in
questo avanzamento della glottodidattica, anche quando ritorniamo indietro non abbiamo
dimenticato quello che c’era prima, anzi lo arricchisce. Non sono approcci staccati, ma ogni fase
lascia la traccia sul momento successivo. C’è un avanzamento. Non va interpretato in maniera
troppo rigida. È un cambio di focus.
Torniamo alla parte storica. Dal mondo classico al medioevo. Ci si basa andando a analizzare le
notizie storiche. Possiamo vedere che c’era il metodo diretto, quindi l’apprendimento legato a un
contatto diretto con i parlanti della lingua straniera. Già dall’origine, era una didattica che veniva
seguendo un metodo alquanto naturale. Anche se quello diretto era uno dei metodi, c’era però
anche il metodo funzionale legato più alla parte dello studio della lingua e della grammatica. Però
la necessità di comunicare con un altro popolo c’è sempre stata. Pensiamo a tutte quelle figure
come i militari, i diplomatici, mercanti che dovevano incontrarsi con una popolazione straniera,
scambiare delle informazioni e non commettere gravi errori culturali, perché poteva mandare a
monte la comunicazione e creare degli incidenti o far saltare un affare. Vediamo che nella storia dei
Sumeri e gli Egizi, avevano una burocrazia di tipo plurilingue. Una figura chiave è quella di
Alessandro Magno, che attua una politica id pluringuismo, legata alla questione di interculturalità.
Infatti, di Alessandro Magno si poteva dire che era macedone con i macedoni, greco con i greci e
parto con i parti. Una bella definizione è quella di Ferrarotti, che vede nella figura di Alessandro
Magno, questo ideale cosmopolitico dell’ellenismo, quindi l’ideale di avere una convivenza pacifica
tra culture e popolazioni diverse, non solo per la lingua, ma anche per la religione, quindi
comunque per la loro cultura. Ad esempio, pensiamo al caso della Grecia, dove si elabora una
cultura di tipo unitario anche ci sono più lingue. È già dalla Grecia che c’è il giudizio nei confronti
delle lingue barbare, perché c’era il concetto del barbaro, che voleva dire colui che balbetta.
Questa realtà plurilingue ci prova che esistevano già persone, che o per motivi di necessità o anche
per diletto, si parlava quindi più di una lingua. Questo apprendimento avveniva principalmente per
contatto. Oltre al contatto linguistico, c’era anche una sorta di contagio culturale, quindi si
apprendevano anche dei valori, degli atteggiamenti di un’altra cultura. Anche l’Impero Romano era
una realtà plurilingue, dove il latino fungeva da lingua franca e spesso diventava un latino
igienizzato, perché spesso diventava il sostrato che c’era al di sotto della lingua e creare il pidgin.
Ovviamente chi doveva commerciare, un politico, doveva conoscere il latino almeno a livello
comunicativo, mente chi era un uomo di cultura, aveva un bilinguismo latino – greco. Perché il
greco era la lingua internazionale della cultura. Soprattutto era legata ai testi letterari. Quelle
famiglie che erano benestanti facevano studiare ai figli il greco, di solito prendendo un precettore,
una bambinaia o una schiava madrelingua, perché veniva insegnata già da piccoli la lingua tramite
la conversazione. Quindi ci sono già delle basi del metodo diretto. Quando si raggiungeva l’età
scolare, si istruivano i bambini in modo più formale; quindi, si partiva dalla conversazione e poi si
andava a dare un’istruzione vera e propria. il contatto che avevano avuto con lo straniero
madrelingua veicolava anche dei contenuti culturali. Possiamo anticipare l’uso dei termini, non più
moderni, pensando a questa logica situazionale. (quello che sto per dire non lo chiede all’esame) ci
sono addirittura dei manuali, abbiamo notizia, non ce li abbiamo, del III secolo a.C. dal titolo
lunghissimo, in cui troviamo delle conversazioni quotidiane, ci sono dei dialoghi. Ad esempio, in
dialogo c’è una situazione in cui il pater famiglia va verso un amico e dice buongiorno e l’abbraccia.
E lui ricambia il saluto. Se analizziamo questa conversazione vediamo che c’è una testimonianza di
un linguaggio non verbale, che dà il senso dell’abbraccio e di come si ricambia il saluto. Quindi
anche se lo guardassimo con l’occhio della sociolinguistica, la funzione comunicativa di salutare un
amico di vecchia data. E anche una parte pragmatica sulla risposta al saluto. Quindi un dialogo che
potremmo ritrovare anche in un moderno manuale, ai livelli base. Durante il medioevo il latino
rimane come lingua franca della comunicazione e continua ad essere insegnanti secondo il metodo
diretto, perché si parlava. Il latino per tutto il medioevo ha questa dimensione sia orale e sia scritta.
L’insegnamento più della forma scritta, continua essere appannaggio dell’ambito religioso, quindi
dei monasteri. E studiando sui testi scritti non c’erano particolari implicazioni culturali. Degno di
nota è vedere il caso dell’Inghilterra, dove c’è una situazione diversa dal resto d’Europa, perché
oltre al latino e all’inglese si affianca il francese, che era la seconda lingua della nobiltà. Fino alla
fine del medioevo si studia, si parla e poi l’inglese prende il sopravvento. Anche qui abbiamo
notizie di un manuale per l’insegnamento del francese (1396), e ne esistevano di altri, che
venivano chiamati Maniere de langage, è un testo che un po’ anticipa i manuali che oggi si ispirano
al metodo situazionale. Quindi c’erano una serie di dialoghi che potevano essere usati dal
viaggiatore che doveva andare in Francia e qui c’è un aspetto culturale che si lega alla quotidianità
ai costumi; quindi, emerge anche se spesso è stereotipato, perché è legato solo alle situazioni
presentate.
Dal Rinascimento all’Ottocento. Siamo arrivati al tardo medioevo, primo Rinascimento, il latino
cessa di essere la lingua di comunicazione quotidiana, perché ormai i volgari iniziano ad avere
questo status di lingua nazionale, veniva ancora usato il latino per le comunicazioni in campo di
cultura e politica, ma per gli scambi commerciali si usava la lingua nazionale. ad esempio, fino a
che nell’ambito della curia, della cancelleria, dell’università, il latino veniva usato nelle due forme,
parlato e scritto, abbiamo l’insegnamento legato sia alla parte comunicativa per usarlo
quotidianamente e sia legato al feedback del contesto. Perché fino a che si parlava c’era la
caratteristica di lingua franca. Però con gli anni, piano piano si va ad attenuare, perché non c’è più
questo status e quindi non viene più insegnato in modo diretto, non c’è più il parlante
madrelingua; quindi, viene a mancare la dimensione orale. Infatti, tutt’oggi il latino è solo lingua di
uno stato, lo stato Vaticano. Se manca la parte orale non ci sono più i riferimenti legati alla variabile
sociale, situazionale. Però si continua ad insegnare, perché veniva legato alla trasmissione del
sapere. Nel Rinascimento, con l’inizio dello studio della ricerca filologica, si continuava a studiare.
Ed è in questo momento in cui si inizia a sentire la necessità di codificare le lingue classiche. Fino
ad allora non c’erano delle vere e proprie grammatiche. Ma adesso si codificano ancorandole a dei
modelli. Per esempio, per il latino si indica la lingua di Cicerone. In questo periodo, dal
Rinascimento in poi, si continua a sviluppare in Europa l’interesse per le lingue moderne. Quindi i
volgari, le lingue nazionali, principalmente per gli scambi economici. Più perde peso il latino come
lingua franca e più si iniziano a studiare le alter lingue. Il francese fu tra le prime lingue studiate,
nel diciassettesimo secolo, perché era considerato importante per l’educazione del gentiluomo.
Verso la fine del secolo inizia a studiarsi anche l’inglese per gli stessi motivi. Erano lingue studiate
dall’alta borghesia o dalla nobiltà. Ma era anche uno studio concreto, quindi si guardava la
doversela cavare nelle situazioni di vita quotidiana. Ancora non c’erano delle grammatiche per le
lingue moderne, perché non venivano considerate un mezzo di allenamento mentale, come invece
lo era il latino. C’era un’utilità immediata, quindi la padronanza della lingua per utilizzarla nei
rapporti sociali, negli affari o nei viaggi all’estero. Questo metodo che era pratico non cambia fino
alla pubblicazione di teorie contenute in questa grammatica. Perché erano lingue vive e quindi
dovevano essere acquisiste in maniera attiva, quindi attraverso il contatto diretto con gli stranieri.
O durante il contatto con quelli che facevano parte della servitù o con i viaggi. Questo portava con
sé, la conoscenza diretta anche del popolo, degli usi e dei costumi della società straniera. Quindi
era visto come un arricchimento. Questo contagio culturale era un qualcosa che plasmava la
comprensione e l’atteggiamento dell’allievo. La grammatica di Port Royal è una grammatica
compilata da Lancelot nel 1600, influenza l’insegnamento delle lingue in tutta Europa; quindi,
sostituisce il francese al latino e si basa sulla considerazione che la lingua; quindi, la grammatica è
una costruzione perfetta e logica. Quindi tutte le deformazioni della lingua sono colpa dei parlanti.
Con la nascita di questa grammatica ci sono due assiomi che si vengono a creare nell’applicazione
della didattica. Quindi bisogna creare le regole formali della lingua, bisogna quindi insegnare la
grammatica e limitare anche le deviazioni dalle regole. Quindi è molto legato all’approccio
formalistico, dove l’errore è visto come qualcosa da punire, perché si voleva in questa grammatica
evitare le varianti; quindi, le parlate legate alla geografia o anche i riferimenti culturali.
Ricordiamoci l’immagine del pendolo. c’è un metodo grammaticale traduttivo evidente. Ad
esempio, possiamo ricordare come eccezione quella di Comeno. Il Comenius nell’ambito dei
progetti europei, era la formazione per i docenti, quindi una sorta di Erasmus per i docenti, perché
ciò che ha scritto Comeno lo possiamo considerare un pioniere del metodo diretto. Anche se nei
suoi scritti non ci sono riferimenti alla cultura. Però Comeno ha delle intuizioni e dà delle basi alla
didattica moderna, con due testi, “Il Didattica Magna” e siamo nel 1632, lo pubblica prima in ceco
e poi in latino. E poi un altro testo nel 1631 in cui dà dei principi che ancora oggi possiamo ritenere
validi, ossia il concetto di situazione, l’importanza di associare le parole alle immagini e la priorità
dell’uso rispetto all’analisi della lingua. Quindi mentre prima c’era la grammatica di Port Royal,
grande attenzione sulla forma della lingua, Comeno ci riporta alla priorità dell’uso. Alter
personalità che possiamo citare (all’esame non chiede tutti i nomi, è per avere un’ottica di insieme)
Michel de montagne, anche lui parla dell’importanza della pratica orale; quindi, si critica già questo
eccessivo grammaticalismo. Dice che è importante avere un contatto diretto con i parlanti nativi,
venire a contatto non solo con la lingua ma anche con la mentalità, con i costumi e con la cultura
del popolo straniero. Ci parla anche di dare spazio alle lingue materne. Questa idea la troviamo
dopo, in un concetto che si chiama area study, dove si integrava la conoscenza della lingua con
quella del Paese in cui la si parla. Quindi si fondeva la lingua e la cultura. Nel 1768 c’è un altro
testo, una pubblicazione sull’Italia di Baretti, che spesso veniva inserita nelle letterature di viaggio,
però ci pone anche il problema della conoscenza degli usi e dei costumi. Quindi chi viaggiava in
Italia, cosa doveva conoscere. Baretti pubblica anche dei dizionari, ad esempio inglese – Spagnolo,
Spagnolo – Inglese, e un manuale di apprendimento dell’italiano, che era pensato soprattutto per
le donne, per imparare la parte colloquiale del linguaggio italiano. Infatti, è una raccolta di 56
dialoghi su temi quotidiani, con una lingua semplice e familiare. Quindi dagli studi fatti sui testi del
Baretti ci risulta che lui sostenesse che chi vuole apprendere una lingua non deve cominciare dalla
grammatica, ma legava ai temi quotidiani, a una lingua più semplice e familiare. Anche perché nei
suoi studi si riferiva alle giovani donne, però troviamo già delle basi dell’approccio comunicativo. Si
parlava anche di pratiche culturali. Arriviamo all’800. Abbiamo visto che ancora abbiamo
l’insegnamento delle lingue straniere modellate sull’indicazione più formalistica, con questi
pensatori che ci riportano un po’ al metodo diretto. Già è emersa la concezione dello studio del
latino come una ginnastica mentale. Il latino, quindi, era visto come qualcosa che si continuava a
studiare per assicurare una coerenza logica, per formare il pensiero, per dare queste basi di studio
sistematico. Ma questo è un concetto che ancora oggi penso che sia vivo, si impara il latino per
imparare a ragionare. quindi era legato alla disciplina mentale. Però ad un certo punto ci si rende
conto che vanno inserite le lingue straniere anche nei programmi scolastici. In questo senso
diventa una cosa naturale. Però ci si va ad appoggiare su ciò che si era dimostrato. Quindi se le
metodologie applicate per insegnare il latino, vengono applicate anche per lingue moderne. Quindi
l’attività didattica per l’insegnamento delle lingue moderne, quindi comunque si basava sulla
traduzione della lingua, dalla lingua straniera e nella lingua straniera. Le frasi che si incontravano
erano costruite principalmente in base a criteri grammaticali, perché si dava più importanza alla
forma. Quindi non c’era questa situazione, il contesto, ma c’era una frase che andava tradotta in
maniera più vicina possibile all’originale. Questa cosa ancora viene adottata da alcuni docenti
vecchio stampo. Si deve a questo. Siamo nell’800, quindi c’è un diffondersi dell’industrializzazione
e quindi grazie al bisogno pratico, anche le classi più basse iniziano ad avere la necessità di
conoscere altre lingue, quindi diventa un fenomeno di massa. E piano piano si unisce questo alla
nozione di educazione democratica. Quindi ancor di più si inizia a parlare di didattica delle lingue.
Anche se l’insegnamento alla fine era nelle scuole private, con questa prassi formalistica. Gli
obiettivi principalmente erano sviluppare il pensiero logico, quindi capacità intellettuali ecc. l’abilità
principalmente di lettura; quindi, erano tutte mete più educative che comunicative. Quindi quando
si studiava la cultura del Paese si studiava quella che abbiamo definito Cultura con la C maiuscola,
quindi principalmente l’arte e la letteratura. Quindi venivano usati come oggi possiamo definire
come materiale autentico. Ma anche questo, non pensate che questo voler studiare la Cultura, non
sia un po’ rimasto come approccio, perché quando studiamo alle superiore, i manuali, ad esempio
l’inglese si inizia a studiare Shakespeare, la regina Elisabetta. Essendo un approccio molto legato
alla parte scritta, non c’era quasi una produzione orale. Non veniva data l’importanza all’orale.
Dobbiamo anche pensare che la maggior parte della comunicazione avveniva attraverso lettera e si
fruiva dei testi letterari. Alla fine, quando si insegnava ci si basava sulle caratteristiche morfologiche
e sintattiche. Per parlare del viaggio c’è questa prassi che inizia nel 700, fino ai primi dell’800, che
era quello del Grand Tour. Un europeo lo doveva fare almeno una volta nella vita un viaggio in
Italia. Invece per i Nord Americani c’era il viaggio in Europa che era d’obbligo. Invece la cultura con
la c minuscola, che era quella viva, era un qualcosa che solo le classi ricche potevano esperire
durante la propria vita, tramite questi viaggi. Quindi vivevano l’arte e letteratura dal vivo, ma anche
i modi di vita del paese in cui andavano. Questi viaggi erano molto lunghi, con grandi soste. Quindi
mettevano in pratica la lingua che avevano imparato a scuola, però affrontavano anche il
cosiddetto Language shock, perché si rendevano contro di avere una grande difficoltà a capire la
lingua parlata. Quindi soffrivano della lentezza, dello sforzo, del produrre oralmente. Perché le
parole comuni, nella lingua viva poi si discostano, quindi immaginiamo queste persone messe in
contesti quotidiani, dove loro utilizzavano un lessico più alto della produzione letteraria. Invece
nell’interazione quotidiana c’erano altre scelte lessicali. Quindi il Gran Tour era visto come un
banco di prova per utilizzare la lingua e questo dimostrava che ci voleva un approccio comunicativo
per preparare a questa esperienza.
La prima metà del Novecento. Anche nel 900 continuiamo ad avere come punto di riferimento
l’approccio formalistico, che accompagna tutta la storia della didattica delle lingue. E questo fino
alla prima metà, per questo ci fermiamo agli anni 60. Però già alla fine dell’800 si inizia a riflettere
su quale sia il modo migliore per insegnare le lingue. Quindi iniziano a farsi strada delle nuove
teorie che andranno a influenzare anche la glottodidattica. Ancora il metodo diretto si lega alle
esigenze di una società legata agli scambi commerciali. Anche questo metodo diretto nasce sempre
in reazione al formalismo grammaticale. Sindrome del pendolo. Vieto e Espersen portano avanti il
metodo diretto, ma sappiamo che negli USA, si inizia a diffondere il metodo Berli ad esempio. Ci fu
un congresso dove si iniziò a parlare di questo rinnovamento metodologico e veniva qualificato da
questi aggettivi: moderno, razionale, naturale e diretto. Quindi possiamo parlare di un movimento
di riforma che dava importanza alla dimensione orale e lo scambio comunicativo. Inoltre, in quegli
anni troviamo cambiamenti anche legati a nuove discipline, quindi c’è la nascita della psicologia,
l’antropologia e di una linguistica di tipo scientifico e sono scienze che sono alla base della didattica
delle lingue e danno una maggiore consapevolezza. Quindi quando si presenta la glottodidattica si
dice sempre che è una somma di tante discipline, non c’è solo la didattica, ma anche la parte della
psicologia e così via. Intanto negli USA, che vanno più veloci rispetto all’Europa, c’erano il metodo
Berlioz che stava dando buoni successi. Quindi nei primi decenni del 900 riporta il metodo diretto
in Europa. E viene sviluppato, soprattutto nel Regno Unito. Tre autori, Sere, Jespersen e Palmer,
anche Balboni, li indica come i tre autori della nuova glottodidattica e ci dà come unica possibile
corretta sequenza di acquisizione, quella che va dall’orale allo scritto. Questa viene ripresa poi
anche da altri approcci, pensiamo a quello comunicativo. Nelle scuole del metodo Berlioz, all’inizio
del 1878 in cui vengono fondate, la traduzione viene messa in discussione, quindi c’è l’importanza
dell’oralità. Per la prima volta non c’è il tramite della lingua madre. Nell’approccio formalistico
spesso le lezioni venivano fatte nella L1. Ciò+ ti spiego le regole grammaticali di una lingua
straniera ma nella tua lingua madre. Quindi torniamo un po’ all’insegnamento delle lingue che
abbiamo visto nell’antichità. C’è la centralità dell’allievo, che però ancora non viene fuori,
dobbiamo ancora aspettare. Nel metodo Berlioz, per esempio, non ci sono dei riferimenti diretti
allo studio della cultura, anche se dobbiamo contestualizzare l’uso; quindi, a volte ci sono delle
immagini significative a livello culturale. Quindi quella della cultura con la c minuscola. I tre studiosi
operano principalmente nel Regno Unito, Germania, Francia e Danimarca. Ci danno degli assiomi
che fondano queste nuove metodologie. Sono che l’insegnamento si deve basare su conoscenze
anche scientifiche della lingua. Il percorso di studi deve iniziare dall’abilità di produzione orale. Le
parole e le frasi devono essere presentate in un contesto che sia significativo. E inizia a comparire i
concetti di grammatica che va insegnata induttivamente. Differenza tra grammatica induttiva e
deduttiva. Una grammatica deduttiva è quando presento prima la regola grammaticale e poi la
applico. Una grammatica induttiva è quando presento prima un esempio di lingua e osservandolo
andiamo a ricavarci la grammatica attraverso delle ipotesi. È il processo che si è affermato, perché
ricalca il funzionamento del cervello. Si inizia a vedere che la traduzione che dovrebbe essere
evitata e dare invece più importanza alla fonetica. Altrimenti rimango sempre attaccato alla mia L1.
Siamo ancora agli inizi del 900, Jespersen ad esempio parla di fine ultimo dell’insegnamento;
quindi, alla fine la visione della cultura è ancora una cultura intrisa di letteratura, di arte, di musica.
Però in questi testi c’è l’utilizzo di immagini. Perché si cerca di contestualizzare il testo. nella
glottodidattica moderna l’utilizzo dell’immagine a fine didattico aiuta la contestualizzazione. A
volte in queste immagini c’erano dei riferimenti culturali. Anche in Palmer troviamo altre riflessioni,
però l’aspetto culturale viene sempre ancora toccato da lontano. Quando c’è una svolta? Inizia ad
esserci negli anni 20 e 30, perché la psicologia inizia ad essere un approccio più scientifico per lo
studio dell’apprendimento. Quindi si collega di più alla linguistica. Questo influenza le proposte
metodologiche successive. Quindi abbiamo altre scienze come la sociologia, l’antropologia,
l’etnografia, e anche diventa sempre meno descrittiva. Per esempio, Malinowsky inizia a parlare del
concetto di contesto situazionale. Questo concetto fa superare i limiti che c’erano stati legati
all’analisi linguistica formale, dove non c’era il contesto come criterio di analisi, ma veniva preso in
considerazione solo se ci fossero stati delle difficoltà di interpretazione, non si sarebbe partito mai
dal contesto. Quindi c’è l’espressione contest of situation, che indica il contesto d’uso in cui avviene
lo scambio comunicativo. Il contesto, anche nel QCER è un qualcosa che ci ritroviamo. Siamo negli
anni 20. Quindi dobbiamo considerare contesto sociale e culturale, le way of life, per interpretarlo.
Quindi superare lo studio solo della lingua in senso stretto. Anche Firth evidenzia che per
interpretare il significato dobbiamo analizzare l’azione e i ruoli sociali. qui già vediamo
l’antropologia linguistica e i suoi primi passi. Negli anni 70 con Hims si inizierà a parlare di
etnografia del parlato. Quindi questa svolta è legata anche al saper utilizzare, non solo la lingua,
ma anche alcune competenze comunicative. Quindi abbiamo queste due nozioni: contesto
situazionale e situazione comunicativa.
Ci aiutano a vedere come si è giunti a dare importanza al contesto e alla situazione comunicativa.
Agli albori era qualcosa di naturale, imbrigliato nell’insegnamento della grammatica, della lingua in
quanto codice e forma. Poi con una nuova consapevolezza si ritorna al contesto, all’uso della
lingua. Quindi questo pendolo.
Gli studi di area. Queste idee di questi studiosi Skeet, Jespersen e Palmer, alla fine non ebbero una
grande influenza nella didattica. Quindi gli insegnanti ignorarono oppure non conobbero mai
queste proposte. Molti invece che magari li hanno sentiti, erano un po’ spaventati, c’era la paura e
poca propensione a cambiare. Quindi alla fine ci fu una reazione e molti tesero a mantenere la
metodologia grammaticale, che continua ad essere utilizzata. È il Nord America che poi ci dà un
cambiamento forte, perché negli USA il contesto era diverso. Per la storia che hanno, hanno
sempre avuto una composizione etnica più variegata e avevano una lingua ufficiale comune,
l’inglese. C’è un documento sullo stato dell’arte che si chiama Rapporto del comitato di 12 stati.
Viene pubblicato nel 1900 e un gruppo di ricerca che era presieduto dalla Moderni Language
Association, ci dà un quadro di quale fosse la situazione legata all’insegnamento delle lingue nelle
scuole secondarie degli USA. Emergono 5 metodologie: il metodo grammaticale, il metodo
naturale, il metodo psicologico, uno fonetico e uno della lettura. Si davano delle conclusioni, delle
indicazioni su come utilizzare questi metodi. Ad esempio, si suggeriva l’utilizzo di un metodo
naturale per i bambini fino a 10 anni. 10 anni ci ricorda il periodo critico, nei primi 10 anni si
apprendono meglio le lingue. Però non si parla alla fine molto di cultura. Si parla principalmente di
lingua. La vera svolta l’abbiamo negli anni 40, perché ci sono gli eventi bellici, la 2GM, gli USA
vengono coinvolti nel conflitto e quindi si inizia a dare un’altra marcia. Ci si velocizza sullo studio
delle lingue. Infatti, basti pensare all’accadimento di Pearl Arbora. Ci fu la necessità di creare una
rete di contro spionaggio e quindi si trovano a dover insegnare le lingue su vasta scala, perché fino
ad allora venivano studiate le metodologie, ma le lingue studiate erano più che altro quelle
dell’Heritage Language, quindi più le lingue di origine delle comunità. C’è l’esigenza id preparare in
breve tempo un gran numero di persone: i militari, i diplomatici. Perché venivano trasferiti in modo
rapido dall’altra parte del mondo. Quindi viene creato un progetto, l’ILP, nell’ambito di questo
programma di addestramento per l’arma. Quindi c’era lo scopo di raggiungere velocemente un’alta
padronanza orale, nelle lingue o dei nemici o degli alleati. Perché fino a quel momento non c’era
questo scopo nei corsi di lingue, quindi c’era bisogno di ipotizzare metodi nuovi per dare tutta
questa importanza all’oralità. Questo programma coinvolge sia i college, ma anche le università,
che all’inizio erano impreparate a dare un percorso del genere con tempi molto brevi. Quindi si
creò un progetto ex novo. Ci fu Bloomsfield che ideò un progetto, era all’epoca il maggior linguista
americano, aveva fondato la Linguistici Society of America e quindi aveva anche creato queste linee
guida per lo studio pratico delle lingue straniere. Portandoci poi anche le teorie degli antropologi
culturali, perché erano coloro che studiavano sul campo. In America, il padre dell’antropologia fu
Franz Boas, che partecipò al progetto. La sua partecipazione vede questa riflessione più culturale.
Ce lo ricordiamo per lo stretto legame tra la lingua e la cultura del popolo. Quindi la lingua da Boas
veniva definite come la chiave per penetrare la cultura del popolo che la parla. Perché è uno
strumento di interpretazione, ma anche un modo per classificare la realtà. Infatti, Boas poi aveva
studiato sullo stimolo e reazioni. Questa prospettiva venne data anche agli area study. Quindi
c’erano in questi corsi un esperto di area study, che presentava la cultura on la c minuscola. Quindi
due terzi del corso erano dedicati al contatto intensivo con la lingua. L’ultimo terzo era dedicato
alla cultura. Quindi c’erano dibattiti, conferenze, venivano visti film in lingua originale. C’era un
abbinamento tra lo studio e della lingua e si faceva riferimento alla cultura. Si vedeva il modello di
comportamento, come era organizzata la società, la politica, gli usi, i costumi. Quindi venivano
trattati tutti questi temi. Quando finisce la 2GM nel 46, gli USA istituiscono il Foreign Service Act e
il Foreign Service Institute. Negli anni 50 vengono reclutati linguisti e antropologi per formare i
diplomatici, tutti coloro che dovevano andare all’estero. In questo caso, non c’erano degli
strumenti adeguati, perché l’ASTP si era concentrato su materiali di formazione linguistica. Quella
culturale era avvenuta in maniera partecipativa. Edward Hall, un antropologo, che negli anni 30,
nelle sue ricerche si era concentrato sulle lingue indigene e aveva studiato principalmente le tribù
degli Hopi e dei Navaho e aveva anche partecipato, era stato al comando in Europa e nelle Filippine
e venne chiamato per fare parte di questo istituto. Grazie a lui e alla base antropologica, nasce
questo altro filone legato agli effetti della cultura sulla comunicazione. Legato a ciò c’è un testo
“The Silente Language”, in cui vengono fissati i capisaldi della comunicazione interculturale. quindi
questa comunicazione interculturale è sorta dal bisogno di applicare questi concetti antropologici
astratti al mondo pratico dei diplomatici inizialmente.

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