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FELICE RA M O R IN O

MITOLOGIA
CLASSICA
I L L U S T R A T A

SEDICESIMA EDIZIONE

con 120 incisioni

E D I T O R E ULRICO H O E P L I M IL A N O
234 Mitologia classica

X. — Demetra - Cerere.

1. Ed eccoci alla più grande delle Divinità greco­


italiche riferentesi alla terra produttrice, Demetra, che
vuol dire la madre terra. Era figlia di Crono e di Rea,
perciò sorella di Zeus; essa era propriamente la Dea delle
biade, ma in genere le si attribuiva una sovranità asso­
luta su tutto ciò che concerne l’agricoltura, che essa stessa
aveva insegnato agli uomini. E perciò l’agricoltura sup­
pone un cotal grado di civiltà, così era naturale s’attri­
buisse a Demetra il merito di aver incivilito gli uomini e
di averli ridotti dalla condizione di rozzi cacciatori e pa­
stori a uno stato civile, con sedi fisse e città ordinate.
Così Demetra veniva a far riscontro a Dioniso, la cui mis­
sione civilizzatrice già è stata da noi rilevata; il che ha
porto occasione a mettere in rapporto le due Divinità, e
infatti Dioniso-Bacco fu nei misteri venerato come figlio
di Demetra e sposo di Cora-Persefone. E poiché d’ogni
società civile il primo fondamento è la famiglia, così De­
metra veniva anche considerata come la Dea che dà sta­
bilità ai matrimoni; e per altro rispetto era pure patrona
e direttrice delle popolari adunanze.
Tra le sacre leggende che si connettono col nome di
questa Dea, nessuna c più conosciuta e più importante
per capire il culto di lei, che il ratto di Perselonc (Pro-
serpina) o Cora sua figlia. Un giorno Persefonc, in com­
pagnia delle Oceanine sollazzavasi in un verde prato ed
era tutta intenta a cogliere i più bei fiori; in un momento
ch’essa erasi scostata dalle compagne e dalla madre per
cogliere un bel narciso, eccoti all’improvviso aprirsi da­
vanti a lei la terra e sbucarne fuori Ades o Pluto sulla sua
carrozza tirata da cavalli immortali; costui afferra non
visto la giovinetta, e non distolto dalle sue pietose grida,
la pone in carrozza e via sprofondandosi nelle viscere della
terra se la trasporta in Inferno per farne la sua sposa.
Tutto ciò avveniva non senza il consenso di Zeus. Demetra
aveva udito a distanza le grida della figlia, ma non sapeva
che cosa fosse accaduto. Poiché vide ch’ella non rispondeva
più alla sua chiamata, e nessuno sapeva darle notizia,
Divinità della Terra - Demetra 235

cominciò a ricercarla da per tutto, e, accese fiaccole, errò


nove giorni e nove notti senza prender cibo, senza prender
riposo, per tutti i paesi della terra, invan cercando con
sempre crescente ansia le tracce della smarrita figliuola.
Alla fine Elio, che tutto vede e tutto sente, le rivelò la
verità, nè tacque che Ades aveva rapito Persefone col
consenso di Zeus. Allora Demetra crucciata contro il
re degli Dei appartossi dalPOlimpo, e prese a vivere in
luoghi solitari immersa nel suo dolore, mentre intanto
cessava la fertilità della terra e una universale carestia
minacciava di sterminare l’umana schiatta. Invano Zeus
le inviò i suoi messi per ammansir la corrucciata e indurla
a tornar nell’Olimpo; essa giurò non avrebbe ridonato
fertilità alla terra finché non le fosse restituita l’amata
figliuola. Zeus fu obbligato a mandar Ermes nell’inferno
per indurre Ades a restituire Persefone; ma questa aveva
già gustato il melograno, simbolo d’amore, datogli da
Ades e non poteva più tornare definitivamente alla madre.
Finalmente si convenne che per due terzi dell’anno Per­
sefone tornasse sopra la terra ad allietare della sua pre­
senza la madre, e il resto dell’anno vivesse in Inferno col
suo sposo e signore. Così avviene che ogni anno all’apparire
della primavera Persefone torna sulla terra e vi rimane
fino al tardo autunno, per poi ridursi novellamente d’in­
verno alla stanza infernale. Chi non riconosce in Perse­
fone la personificazione della vegetazione, figlia della terra
che comparisce in primavera ad allegrare gli uomini e
d’inverno sparisce? Si confronti il mito di Adone amato
da Venere, mito che ha lo stesso significato.
Un’altra leggenda connessa coll’origine dei misteri Eleu­
sini è la seguente. Allorquando Demetra errava corruc­
ciata pel mondo in cerca di sua figlia, capitò ad Eieusi.
Ivi, in forma di povera vecchierella, sedutasi sulla via
presso il pozzo delle Vergini, al rezzo d’un olivo fronzuto,
ad alcune ragazze venute ad attingere acqua chiese soc­
corso ed asilo. Erano esse le figlie di Celeo, re d’EIeusi.
Costoro, tornate a palazzo, indussero la loro madre Meta-
nira ad accogliere la vecchia affidandole la cura dell’ultimo
figlio suo Demofoonte. Così Demetra entrò nella reggia
di Celeo. Il suo aspetto era più che di donna, e la regina
236 Mitologia classica

stessa sentivasi inclinata a una cotal soggezione e rispetto


in presenza di lei; pure rimase da principio incognita.
Assunto l’ufficio suo, Demofoonte cresceva così presto come
fosse Dio, senza gustare latte nè pane. La Dea Fungeva
d’ambrosia e tenendolo tra le sue braccia gli soffiava sopra,
e nottetempo celandosi allo sguardo dei genitori, lo met­
teva nel fuoco per purificarlo. Una volta Metanira inso­
spettita stette in agguato e colse la nutrice in atto di
gettar suo figlio nel fuoco. Die’ un acuto grido temendo
per Demofoonte. La Dea allora lo toglie dal fuoco, ma con
dolci rimproveri lascia capire alla madre che quel fuoco
doveva purificare il fanciullo da ogni elemento terrestre e
renderlo immortale. Poiché la madre s’è opposta, non
avrà l’immortalità; pur tuttavia sarà imperitura la sua
gloria perchè ha riposato sulle ginocchia di una Dea. In
così dire svela a Metanira e a Celeo l’essere suo e li esorta
a fondare un tempio in Eieusi. Compiuto il quale, con­
sacrò Celeo e altri tre principi Eleusini, Trittolemo. Eu-
molpo e Diocle, come suoi sacerdoti, iniziandoli ai misteri
del proprio culto. Secondo altre leggende, era Trittolemo
il figlio di Celeo a cui la Dea prestò le sue cure. D’allora
in poi Trittolemo, ammaestrato da Demetra, prese a gi­
rare il mondo sopra un carro tirato da draghi, insegnando
a tutti l’agricoltura e il culto di Demetra; e col diffondere
l’agricoltura diffondeva pure un migliore assetto della
società e più civili ordinamenti. Non però da tutti fu
accolto benignamente; trovò le sue opposizioni e i suoi
nemici; onde la Dea dovè intervenire castigando i ribelli,
come avvenne di Linceo re della Scizia e di Erisittone
(Erysichthon) figlio di Driope Tessalo (la Scizia e la Tes­
saglia regioni meno adatte all’agricoltura).

2. Diffusissimo era, in tutte le regioni della Grecia, il


culto di Demetra e Persefone, ma il vero centro di questo
era la piccola città di Eieusi, situata nella baia di Sala-
mina, a quattro ore di distanza da Atene. Celebravansi
annue feste, dette E 1e u s i n i e , in onore di Demetra
e degli altri Dei con essa connessi. Si distinguevano le
p i c c o l e e le g r a n d i Eleusinie. Le piccole, dette
anche di Agra, dal nome della collina sulle sponde dell’Isso
Divinità della Terra - Demetra 237

ove si celebravano, avevano luogo nel mese Antesterione


v (Febbraio), e alludevano al ritorno di Persefone sulla terra,
al risveglio primaverile della vegetazione. Le grandi Eleu-
sinie, celebravansi nel mese Boedromione (seconda metà
di Settembre) e alludevano alla discesa di Persefone agli
Inferi, ossia al rientrare della vegetazione nel letargo in­
vernale. Queste duravano ben nove giorni e consistevano
in una serie di riti, cerimonie, pubbliche preghiere e pra­
tiche di pietà, anche rappresentazioni mimiche dei fatti
relativi a Demetra e Persefone; il momento più splendido
della festa era la grande processione che aveva luogo il
quinto giorno, e che movendo da Atene si recava ad Eieusi,
Chi vi prendeva parte, talvolta non meno di 30.000 per­
sone, si cingevan la testa con corone d’ellera e di mirto,
e siccome si usciva d’Atene sul far della sera, portavano
fiaccole in mano, e così entravano in Eieusi nel silenzio
della notte e tra lo splendore di migliaia di faci.
Un’altra festa, meno importante delle Eleusinie, aveva
luogo in principio del mese di Novembre, e vi si onorava
Demetra come Dea di legittime nozze e datrice di leggi.
Erano le T e s m o f o r i e . Duravan cinque giorni, e
vi potevan prendere parte solo le donne maritate.
Il culto di Demetra per il senso riposto de’ suoi riti, de’
suoi simboli, per la connessione di Demetra colle Divinità
ctoniche, prese fin dai più antichi tempi la forma di mi­
stero, cioè di culto segreto, a cui non potevan prender
parte che gli iniziati. Si esigevano certe condizioni di
moralità per essere ammessi, e da principio n’erano esclusi
i barbari; col progresso di tempo anche questi s’ammisero.
Gli ammessi facevano una specie di noviziato, appunto le
piccole Eleusinie erano una specie di preparazione, senza
cui non si poteva prendere parte alle feste maggiori. Tra
gli iniziati poi v’eran dei gradi; giacche da semplici misti
(mystae) si passava al grado di epopti o spettatori, e più
in su di tutti era il ierofante o sacerdote supremo. Si pro­
metteva agli iniziati la felicità d’oltre tomba, dalla quale
si dicevano preclusi gli altri mortali. I segreti della congre­
gazione erano mantenuti con grande scrupolo, pene seve­
rissime essendo comminate al trasgressore. Questa forma
di religione segreta nella quale penetrarono presto gli
238 Mitologia classica

elementi orfici, trasse a se le più elette intelligenze e il


tempio di Eieusi divenne come il centro del paganesimo
ellenico, e tale rimase fino a che, alla fine del quarto se­
colo dell’e. v., Teodosio il grande lo fe’ chiudere

3 . Quello che era Demetra per i Greci, era Cerere pei


Romani, come Dea delle biade, antichissima fra gli Ita­
lici, ma molto presto confusa colla greca Demetra: giac­
ché poco dopo la cacciata dei Tarquini, in occasione di
una carestia, per suggerimento dei libri sibillini, fu adot­
tato il culto greco. Così le leggende relative a Demetra
furon ripetute a Roma, e il ratto di Proserpina (tale
suonò il nome di Persefone, secondo la pronunzia latina),
si credette avvenuto in Sicilia, nelle vicinanze di Enna.
Nel culto ai tre Dei Demetra, Dioniso e Persefone, si
fecero corrispondere Cerere, Libero e Libera. Un tempio
a queste tre Deità sorse verso il 494 av. C. (260 R.) nelle
vicinanze del Circo e ne fu affidata la sorveglianza agli
edili plebei che pure avevano la cura dell’annona. Le feste
di Cerere, o Cerealia, celebravansi dal 12 al 19 Aprile
con solenni cerimonie, anche con giuochi del Circo. Tali
feste erano inaugurate con una solenne processione alla
quale prendevano parte tutti vestiti di bianco. In Agosto
poi le matrone romane facevano un’altra festa per ce­
lebrare il ritrovamento di Proserpina e a questa inter­
venivano in bianche vesti portando in dono primizie di
frutta.
La bestia che solitamente si sacrificava a Cerere era
il porco, simbolo di fertilità, talvolta un giovenco, e le
si offriva frutta e favi col miele.

4 . La più bella e antica rappresentazione letteraria di


Demetra si trova nell’inno omerico a questa Divinità,
inno di grande interesse perché rappresenta le più antiche
tradizioni del culto eleusinio in una redazione già del
tutto compiuta. L’Elena di Euripide invece riflette tra­
dizioni più recenti, secondo le quali Demetra e Rea erano
insieme confuse in un’unica divinità (v. il coro che co­
mincia al v. 1301). Ci rimangono pur frammenti di inni
orfici ove del ratto di Proserpina si parla secondo le tra­
Divinità della Terra - Demetra, Cerere 239

dizioni più recenti. Del resto in molti altri autori si trova


cenno di questi miti; ricordiamo solo la vivace narrazione

Fig. 92. - Demetra di Cnido.


(Museo Britannico, Fornirà).

che è nel quarto dei Fasti ovidiani (vv. 417-613) ove il


ratto avviene in Sicilia, e Trittolemo è fatto figlio di
Celeo, e la Dea l’avrebbe guarito da una grave malattia
240 Mitologia classica

per guadagnarlo poi al suo culto. Ancora nei tardi tempi


della letteratura latina Claudio Claudiano compose un
poemetto in quattro libri sul Ratto di Proserpina, dove
descrisse in sonori versi le diverse scene di questo dramma
con belle descrizioni, con parlate piene di sentimento,
sebbene in genere
con un’intonazione
alquanto r e t o r i c a
ed esagerata.
In arte si soleva
figurar De me t r a -
Ce r e r e con una
espressione di di­
gnità maestosa in­
sieme e di mite dol­
cezza. È facilmente
r i c o n o s c i b i l e dal
fascio di spighe che
ha in mano e dalla
c o r o n a di spighe
c h e generalmente
porta in testa; an­
che ha una fiaccola
e una scatola chiu­
sa, la così detta ce­
sta mistica. La più
antica statua che
ancora oggi si pos­
siede è quella che
trovavasi sul fron­
tone orientale del
Partenone, oper a
di Fidia. Quasi contemporaneo è il rilievo trovato nel­
l’anno 1850 ad Eieusi, rappresentante il principe Tritto-
lemo tra le due Dee. A un tipo più recente, del 4° secolo,
appartiene la bella Demetra sedente del Museo Britannico,
trovata presso Cnido (fig. 92). Nè è men bella la Cerere
della pittura pompeiana, conservata nel Museo di Napoli,
dov’essa figura sedente in trono con fiaccola e fascio di
spighe in mano e a pie’ del trono un paniere carico pure
Fig. 94. - Cerere.
(Galleria Borghese, (Roma). ( Alinarì)
242 Mitologia classica

di spighe (fig. 93). Nella fìg. 94 riproduciamo la statua di


Cerere esistente nella Galleria Borghese di Roma.

XI. — Persefone - Proserpina.

1. S’è parlato di Persefone come la bella figlia di De-


metra, personificazione di quella forza indefettibile delk
natura, per cui ogni anno la più ricca vegetazione ricom­
parisce a’ nostri occhi, per avvizzire di nuovo e ritornare
nel nulla al tardo autunno. Gli Attici chiamavano questa
Dea preferibilmente Cora, la fanciulla. Ma Persefone aveva
un altro significato giacché come moglie del tenebroso re
dell’inferno, anch’essa era una potenza tenebrosa, colei
che ogni essere vivo trae con sé nell’oscuro grembo della
terra. E Persefone con Ade formava il riscontro di Era
e di Zeus. Tale è il concetto che unicamente è accennato
nelle opere omeriche, dove non si sa ancora nulla del rapi­
mento di lei e del ritorno periodico alla terra. Quando
queste leggende si formarono, Persefone aveva un doppio
aspetto, quello d’una gentil fanciulla che risorge ogni
anno a nuova vita e quello della tenebrosa e inesorabile
regina dell’Orco. Di qui si capisce facilmente come nelle
segrete dottrine dei misteri, Persefone divenisse simbolo
dell’immortalità dell’anima. Giacché sembra che gli ini­
ziati ai misteri Eleusini, scostandosi dalle idee popolari
circa le ombre de’ morti, apprendessero più sane dottrine
intorno alla vita d’oltre tomba, ammettendo che il morire
non sia altro che un rinascere dell’anima a più lieta esi­
stenza, supposto sempre che l’uomo si renda degno di que­
sta vita felice con una condotta retta e approvata dagli Dei.
Templi speciali non sembra siano stati eretti a Per­
sefone; come a Divinità infernale le si sacrificavano vacche
nere e sterili.

2. I romani accolsero, per le cose d’oltretomba, quasi


tutte le idee greche, quindi anche per loro valse Proserpina
come moglie di Plutone e regina dell’Inferno. Già s’é
detto che nel culto di Cerere con lei si identificò la Dea
Libera, il contrapposto femminile di Liher o Bacchus.
Divinità della Terra e dellTnferno - Proserpina 243

Fig. 95. - Hydria Attica, Artemio, Apollo e Persefone.


(Stile vascolare bello 440 av. C.).
(Museo Etrusco Gregoriano, Vaticano). (Minati)
244 Mitologia classica

3. Chi ricorda i furvae regna Proserpinae di Orazio


e il suo:
Mixta senum ac iuvenum densentur funera, nullum
Saeva caput Proserpina fugit (1).

si persuade come l’immagine della Dea infernale fosse


viva nella mente dei poeti. Anche l’arte la rappresentò
sia come regina dell’Èrebo sia come graziosa figlia di
Demetra, ma molto più nelle pitture vascolari, di cui
diamo un saggio nella fig. 95; e nelle scene a rilievo che
non in statue isolate. Come regina dell’Èrebo viene ri­
conosciuta dallo scettro e dal diadema onde si figurava
adorna; anche le si assegnava il melograno e il narciso.
XII. — Ades - Plutone.

1. Ades (Aides, Aidotieus), figlio di Crono e di Rea,


quindi fratello di Zeus, era il re dell’Inferno. Allorquando,
dopo la vittoria di Zeus, questi aveva diviso co’ suoi fra­
telli il dominio dell’universo, toccò ad Ades il mondo sot­
terraneo, come a Posidone toccò il regno delle acque.
Di Ades è compagna Persefone, come Era di Zeus, Anfi-
trite di Posidone. Già s’è riferita la leggenda del rapi­
mento di Persefone, ma è da avvertire che essa si è for­
mata relativamente tardi, perchè ancora è sconosciuta
ad Omero. Come re delle ombre Ades aveva nel concetto
degli antichi qualcosa di sinistro e di misterioso; egli è
un re occulto e che occultamente opera, anzi un elmo lo
rende invisibile (donde il suo nome); ma tanto più è ter­
ribile la sua potenza. Ognuno che entra nel regno di lui
ogni speranza lasci; le porte di esso sono tenute ben chiuse
e ben custodite, e niuno dei trapassati può, senza un’ec­
cezionale concessione degli Dei, rivedere la luce della
vita. In origine era lui pure che con inflessibile rigore si
impadroniva dell’anima d’ogni mortale, non appena fosse
scoccata l’ora sua, per trascinarla con sè nell’Inferno;

P) Carni. I, 28, 20: «Senza distinzione s’ammucchiano le morti de


vecchi e de’ giovani; niuna vita sfugge alla crudel Proserpina».
Divinità dell’Inferno - Ades, Plutone 245

più tardi quest’ufficio di psicopompo fu assegnato ad Ermes.


Come accoglitore di molte anime, Ades era anche detto
Polidette o Polidegmone. E perchè odiosa è quasi sempre
la morte, era detto Ades il più odiato fra tutti gli Dei.
Ma oltre questo aspetto truce e terribile, Ades ne aveva
anche un altro mite e benefico. Non era il Dio di sotterra
quella forza misteriosa per cui si nutrono e crescono le
piante? E donde si ricavano le ricchezze minerali, gli ori
gli argenti, ecc., se non di sotterra? Non deve essere lo
stesso Dio sotterraneo il signore di tutte quelle ricchezze
e colui che ne fa dono ai mortali? Ecco altri aspetti che
rendevano venerando questo Iddio, che perciò chiamavasi
Pluton o Pluteus, colui che fa ricchi.

2. Appena si può dire che il misterioso Dio dell’ombre


avesse un pubblico culto in Grecia; qualche tempio gli
fu eretto in unione con Persefone e Demetra, ad es. a
Pilo nella Trifilia, provincia dell’Elide, presso cui scor­
reva un fiume chiamato Acheronte; lo stesso a Ermione,
città dell’Argolide. Ma lo si invocava abbastanza spesso
nelle preghiere comuni, e in far ciò si batteva colle mani
in terra. In sacrifizio non gli offerivano che bestie nere,
e si torceva lo sguardo dalla vittima nell’atto d’immolarla.
Delle piante erangli sacri il cipresso e il narciso.

3. Già dicemmo che, rispetto all’oltretomba, i Ro­


mani adottarono in genere le idee greche. Questo è vero
anche rispetto al re dell’altro mondo, che essi chiamarono
Plutone o Dis Pater (ossia dives pater, il padre della ric­
chezza). A Plutone diedero compagna Proserpina, e questa
le venne associata come nel regno così nel culto. Anche
Plutone e Cerere si trovano menzionati spesso insieme con
Ades e Demetra. Un tempietto a Dite sorgeva presso
l’altare del tempio di Saturno nel Foro. Un altro altare
sacro agli Dei infernali trovavasi nel campo Marzio, co­
struito sotterra; ivi si sacrificavano nere vittime (furvae
hostiae) in determinate notti.

4. Come intorno alla figura di Ades non sorsero nume­


rosi miti, così ben di rado le arti o della parola o del di­
246 Mitologia classica

segno tolsero a descriverla, o rappresentarla. I poeti


greci e romani lo ricordano di sfuggita, con epiteto come
imus tyrannus, vex silentum, umbrarum dominus (Ovidio),
ecc., ma non indugiamo a descriverlo. La statuaria, quando
lo rappresentò, gli assegnò una espressione di volto se­
vera ed arcigna, labbra ben chiuse, arruffata la chioma.
Tale il Plutone sedente con il cane Cerbero a lato, che tro­
vasi nella Villa Borghese a Roma. Noi riproduciamo
nella fig. 96 il busto di Plutone che trovasi nel Museo
Nazionale delle Terme a Roma. Gli *si poneva in mano
anche lo scettro e una cornucopia. Il bidente che si vede
in alcune statue non è che un’aggiunta degli artisti mo­
derni fatta per analogia del tridente di Posidone.

XIII. — LTnferno.

1. Giova qui ricordare l’immagine che del mondo in­


fernale s’erano formata gli antichi pagani, i quali anche in
mezzo all’oscuramento generale della verità dell’ordine na­
turale avevano conservata la convinzione che i gravi
delitti non espiati dovevano essere puniti nell’oltretomba
con delle pene incessanti. Ma si avverta che l’immagine
che essi si erano formata di questo luogo di punizione
non è sempre stata la stessa, nè sempre ebbe il medesimo
ambito. Nell’età più antica, rappresentata per noi dal-
l’Iliade d’Omero, l’Inferno era creduto sotterra, a non
molta distanza dalla superfìcie attribuendosi alla terra la
forma di un disco: tantoché, allorquando scoppiò aspra
contesa, tra gli Dei presso Troia, come si descrive nel
20° canto, avendo Posidone dato col tridente una tre­
menda scossa alla terra, dicesi che Ades saltasse giù
spaventato dal suo trono per tema che si squarciasse la
terra e comparisse agli occhi dei mortali e degli immortali
l’odiato suo soggiorno. Più tardi invece, nell’età del­
l’Odissea, si collocava l’entrata dell’Inferno nell’estremo
Occidente. È in genere, in quegli antichi tempi, si aveva
un’idea molto vaga e indeterminata del mondo d’oltre­
tomba: era detto uno spazio deserto e tenebroso, dove
i morti soggiornavano in forma d’ombre e come in sogno;
Descrizione dell’Inferno 247

Fig. 96. - Plutone.


(Museo Nazionale delle Terme, Roma). (Alinari)
248 Mitologia classica

nè ancora si faceva distinzione tra i buoni ed i cattivi,


e l’Eliseo, dove venivano mandati quelli che eran cari a
Zeus per vivervi beati senza alcun affanno, non era ancor
concepito come parte delPInferno ma era creduto una
terra posta all’estremo Occidente (detta Visola dei beati
in Esiodo). Allora anche dal mondo sotterraneo di Ades
si stimava ben lontano il Tartaro, il carcere di bronzo dei
Titani, immaginati sotto il disco terrestre a tanta distanza
quanta è quella del cielo al di sopra: e si diceva che una
incudine di bronzo come avrebbe impiegato nove dì e
nove notti per giungere dal cielo in terra, così altrettanto
tempo avrebbe impiegato per giungere al Tartaro. Ma
queste idee nella età seguenti si mutarono, e a poco a
poco venne formandosi quell’immagine dell’Inferno che è
più comunemente nota. Era uno spazio largo e tenebroso
dentro terra, al quale si poteva accedere di qua su per
molte entrature, giacché dappertutto dove si trovava
una caverna, una fenditura che paresse internarsi nelle
viscere della terra, ivi si supponeva un accesso all’Inferno.
Nel quale poi si diceva che scorressero e s’incrociassero
parecchi fiumi, il Cocito (pianto), il Piriffegetonte (tor­
rente di fuoco). l’Acheronte (corrente di dolore) e lo Stige
(fiume dell’odio). Quest’ultimo avvolgevasi più volte in­
torno all’inferno, e non si poteva passare senza l’aiuto
del nocchiere Caronte, un vecchio bianco per antico pelo,
severo il volto e gli occhi di bragia. Perciò i Greci usavano
mettere in bocca al morto un obolo, piccola moneta di
bronzo, come nolo per passaggio dello Stige. Di là dai
fiumi, alla porta dell’inferno, sta custode il terribile cane
Cerbero, con tre teste, che non impedisce al alcuno l’en­
trata, ma respinge abbaiando chi tentasse riuscire a ri­
veder le stelle. Appena entrate le anime nel regno di Ades,
erano sottoposte a giudizio davanti al tribunale di Mi­
nosse, Radamanti (Rhadamantys) ed Eaco. La sentenza
di costoro decideva se esse dovessero seguire la sorte dei
giusti o dei reprobi. I giusti erano inviati ai Campi Elisi
ove erano eternamente felici, i reprobi nel Tartaro, ove
dalle Erinni e da altri infernali mostri erano in diverse
guise tormentati. Quelli che erano giudicati nè buoni, nè
cattivi, erano obbligati a rimanere nel prato di Asfodillo,
Descrizione dell’Inferno 249

dove, ombre senza sostanza, conducevano un’esistenza


oscura e priva di gioie.
Celebri le invenzioni antiche circa le pene riservate
ad alcuni famosi malfattori. Di cui i più noti erano
Tizio (T ityos), T a n t a l o , Sisifo (Sisyphos),
I s s i o n e e le D a n a i d i . Tizio gigante, figlio della
Terra, per aver assalito con turpi desideri Leto sulla via
di Pito, è disteso a forza in terra, e due avvoltoi gli ro­
dono di continuo il fegato, che di continuo rinasce. —
Tantalo, il re asiatico, antenato degli Atridi, Agamennone
e Menelao, in punizione di aver abusato della confidenza
degli Dei rivelando agli uomini i loro segreti, o come
da altri si raccontava, per aver dato in cibo agli Dei
le membra cotte di suo figlio Pelope, è condannato ad
un’eterna fame e sete, inasprita dal fatto di esser im­
merso fino al mento in un lago d’acqua, che però s’abbassa
quand’egli fa l’atto di bere, e di aver pendenti davanti
agli occhi i più saporiti frutti della terra che si ritirano
appena egli stende la mano per coglierli. — Sisifo, re di
Corinto, che, colla sua astuta malvagità, più volte ha
destato l’ira degli Dei, si ebbe questo castigo di dover
spingere un pesante masso su su fino alla cima d’un monte,
da cui esso precipita inevitabilmente al piano, ond’egli
deve ripigliare da capo l’inutil fatica. — Issione, re de’
Lapiti, reo anch’egli di aver offeso Zeus, ebbe la pena
di essere legato mani e piedi a una ruota che sempre gira.
Infine le Danaidi, ossia le cinquanta figlie di Danao, che
per ordine del padre avevano in una notte ucciso i loro
mariti, erano condannate ad attingere continuamente
acqua con vasi senza fondo.

2. Descrizioni dell’Inferno se ne trovano parecchie


nelle opere letterarie. È noto a tutti ITI0 libro dell’Odis­
sea, dove si descrive l’andata di Ulisse nel paese dei Cim-
merii e l’evocazione dell’ombre e la predizione a lui fatta
de’ suoi casi futuri. Qui però non si parla di una discesa
all’Inferno; son le ombre che evocate dal sacrifizio fatto
da Ulisse gli passano davanti ed egli le interroga. Una
vera descrizione dell’Inferno comparisce più tardi; la­
sciando i minori, noi ricorderemo solo la bella pittura che
250 Mitologia classica

fece Virgilio nel sesto deìYEneide, narrando la discesa di


Enea nell’Averno, e la non meno vivace descrizione che
leggesi nel quarto delle Metamorfosi di Ovidio, a pro­
posito della venuta di Giunone al regno delle ombre per
trarne la furia Tisifone e ottener per mezzo di lei vendetta
contro Ino sua rivale (v. 432 e segg.).
Fra le rappresentazioni figurate, va menzionata la pit­
tura fatta da Poiignoto (celebre artista dell’età di Pericle)
nella lesche o sala di convegno, che quei di Cnido avevano
eretto a Delfo. Riproduceva la visita di Ulisse alle ombre
secondo il racconto di Omero. Ancor se ne legge la descri­
zione in Pausania. Noi possediamo ancora delle pitture
vascolari di questo stesso tema; generalmente rappre­
sentandosi il mito di Ercole che rapisce Cerbero o di
Orfeo che va a riprendere la sua Euridice, si aveva oc­
casione di raffigurar l’Inferno col palazzo regale di Plu­
tone e Persefone e con vari gruppi di esseri infernali.

XIV. — Le Erinni - Furie.

1. Tra gli Dei che han sede in Inferno, son da anno­


verare le terribili Erinni, le Dee della vendetta, le quali
hanno il compito di perseguitare chi s’era reso colpevole
di qualsiasi violazione dell’ordine morale, specialmente
nel cerchio dei rapporti di famiglia. Secondo Esiodo erano
nate dal sangue che cadde sulla terra dalle ferite di Urano
allorquando questi fu mutilato dal figlio Crono, sicché il
primo delitto di sangue nella più antica famiglia divina
si supponeva avesse generato subito lo spirito della ven­
detta e della punizione. Altri assegnò loro altra origine;
come Eschilo che le disse figlie della notte, e Sofocle che
le fece figliuole delle tenebre. Da principio non era deter­
minato il numero di queste Dee; Euripide fu il primo a
parlare di tre Erinni; solo nell’età Alessandrina se ne
seppero dire anche i nomi, che erano Aletto (la inquieta),
Tisifone (la punitrice dell’omicidio), e Megera (l’odiosa).
Furono i poeti tragici che più contribuirono a svolgere il
concetto delle Erinni e a diffondere tra la gente un’im­
magine di esse viva e paurosa. Nessun delitto, si diceva,
Divinità dell’Inferno - Le Furie 251

sfugge al loro acuto sguardo, e appena scorto il delitto,


subito con implacabile severità si mettono alle calcagna
del colpevole, e più non l’abbandonano; la loro presenza
colla faccia di Gòrgóni, colla testa anguicrinita, incute
un indicibile spavento; l’infelice non ha scampo; per
quanto tenti non riesce a sfuggir loro; le fiaccole che esse
portano in mano rischiarano di una sinistra luce i passi
di lui, e il tormento suo non ha più fine se non quando
egli impazzisce e muore. Senonchè, come altre Deità in­
fernali avevano un doppio aspetto, uno terribile, e l’altro
più mite e quasi benevolo, così anche le Erinni vennero
ad avere un significato buono; questo specialmente in
connessione colla leggenda di Oreste. Costui, colpevole
di aver vendicato la morte di suo padre Agamennone uc-
uccidendo la madre Clitennestra insieme coll’amante di
lei Egisto, era perseguitato dalle Erinni; errò molto tempo
sulla terra non trovando pace; ma a Delfo fu protetto da
Apollo, il quale dopo molti riti di espiazione lo mandò
ad Atene perchè là fosse giudicato dal celebre tribunale
dell’Aeropago, presieduto dalla Dea Atena. Anche là lo
seguirono le Erinni sitibonde di sangue; ma chiuso il
dibattimento a parità di voti avendo Atena stessa ed
Apollo votato in favore di lui, fu assolto. Le Erinni vole­
vano far le loro vendette su Atene disertando i raccolti,
c portando calamità a tutta la terra; ma alfine furono
placate da Atena, colla promessa che sovra il colle del­
l’Areopago sorgerebbe un tempio a loro dedicato. Così
le Erinni si piegarono, ridonarono pace e prosperità al­
l’Attica, e col nome di Eumenidi, le ben pensanti, e Semne,
venerande, vennero onorate dagli Ateniesi quali Dee
benefattrici, terribili bensì contro i colpevoli, ma be­
nigne verso chi si pentisse e datrici di bene agli onesti.

2. Non solo in Atene le Erinni erano oggetto di culto,


ma anche in Argo, in Sicione, nell’Arcadia, nell’Acaia, e
generalmente con un nome esprimente il loro aspetto
buono, come Eumenidi, o Semne, o Potnie (venerande),
o Ablabie (innocenti). Loro attributo costante nel culto
era il serpente, simbolo in genere delle Divinità ctoniche.
Nell’Attica era loro sacro il colle e il bosco di Colono,

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