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MERCURIO

Mercurio è il pianeta più vicino al Sole; compie un giro completo su se stesso in


59 giorni, precede il Sole all’alba e lo segue al tramonto; il suo periodo di
rivoluzione è di 88 giorni; governa il segno dei Gemelli e quello della Vergine.

IL MITO DI MERCURIO

Ermete (Mercurio per i Romani) era figlio di Maia, una ninfa, e di Zeus.La
madre dimorava in una grotta ombrosa e là si recava Zeus per possederla
mentre Era dormiva. Nessuno sapeva di questo segreto di Zeus; Maia partorì
quindi un figlio molto astuto, talmente furbo che già nella primissima infanzia
rubò le giovenche di Apollo, la spada di Ares e perfino le tenaglie di Efesto; egli
dunque era un dio ladro, un bandito e uno spione notturno. Nato all’alba, a
mezzogiorno già aveva fabbricato la lira con cui suonava e la sera aveva
rubato i buoi a Helios: ed era appena uscito dal corpo della madre! Ecco come
si svolsero i fatti: con il guscio di una tartaruga costruì la lira e poi andò in
cerca dei buoi di Helios per rubarli; per trafugare il bestiame lo fece passare su
un terreno sabbioso camminando a ritroso, in modo che fosse impossibile
seguire la strada fatta, e lo portò fino al fiume Alfeo. Lì decise di mangiarselo,
perciò abbattè due bestie, accese il fuoco (il primo fuoco acceso sulla terra), lo
alimentò con la legna e pose la carni ad arrostire, però, per quanto avesse
voglia di mangiarsele, resistette per offrire un sacrifico agli dèi, poi mangio e
lasciò i resti a bruciare sul fuoco. Tornato nella grotta, si stese nella culla, si
avvolse le fasce addosso e si mise a giocare come un bambino piccolo. Ma sua
madre, che aveva visto tutto, gli chiese: “Da dove vieni a quest’ora di notte?
Tuo padre ti ha forse generato per infastidire gli uomini sulla terra?”. Ermete
era buono però, perché parte del bestiame lo aveva sacrificato prima agli dèi
dell’Olimpo e la sua mamma era a conoscenza di tutto. Sapeva della lira e che
aveva rubato le giovenche sacre ad Helios (Apollo).

Helios intanto le cercava e vide le loro orme, ma messe alla rovescia, e non si
lasciò ingannare dal fatto che, entrando nella grotta, vedesse Ermete scalciare
nella culla come un bambino appena nato. Così gli disse: “Guarda, o tu mi ridai
le vacche oppure io ti scaraventerò nell’Ade dove non c’è salvezza”; allora
Ermete, che era scaltro, gli rispose: “Ma di quali vacche stai parlando? Io non
ho udito niente, non posso dirti niente; non sono un uomo robusto, sono un
bambino, devo bere il latte materno e devo stare fra le fasce “. Allora Helios si
mise a ridere, molto divertito: “Tu che parli come un ladro perfetto sarai capo
dei ladri per tutta l’eternità”. Quindi lo afferrò e lo portò davanti a Zeus che gli
disse, anche lui ridendo: “Restituisci subito le giovenche a tuo fratello! Sei
appena nato e già compi di queste imprese! Apollo era già un grande dio, i due
però erano comunque fratelli e dovevano andare d’accordo; così questi
meravigliosi figli di Zeus riandarono a Pilo alla grotta; già da lontano Helios
scorse le pelli stese a seccare e vide così che il suo fratellino era riuscito ad
abbattere ben due vacche; riprese allora le giovenche rimaste. Ermete per
rabbonirlo incominciò a suonare la lira, le cui note armoniose penetrarono nel
suo cuore; allora Apollo desiderò ardentemente quello strumento, e trovò che
esso valeva l’armento che il fratello gli aveva rubato, anche perché la lira
infondeva serenità e amore e favoriva un sonno magnifico. Disse che avrebbe
perdonato il fratello purchè gli avesse regalato la lira; lo scaltro Ermete allora
accondiscese e ottenne da Helios in cambio la verga e la dignità di pastore;
però prima dovette giurare al fratello che non avrebbe mai cercato di rubargli
la lira e nemmeno l’arco; quando ebbe giurato, Helios gli consegnò una verga
fatta d’oro e ornata di tre foglie, che produceva ricchezza, e inoltre regalò ad
Ermete il dono del vaticinio, gli trasmise il suo potere sugli animali, lo nominò
messaggero presso la casa di Ade (Plutone) negli Inferi e, ninfe, gli dette
l’incarico di guida delle anime, cioè di psicopompos.

Così Helios comincio ad amare il figlio di Maia e di Zeus e conferì ad Ermete il


privilegio del contatto con gli immortali e con i mortali e la carica di
messaggero degli dèi; Ermete, inoltre, compose con le Moire l’alfabeto, inventò
il pugilato, l’astronomia e anche i giochi divinatori. Astuto, scaltro e arguto,
donava all’umanità la facondia, la forza, la prudenza ed era talmente
apprezzato nell’antichità che le erme con la sua testa ripetuta anche per
quattro volte si alzavano nei crocicchi, ma anche nelle piazze, perché gli si
attribuiva l’invenzione dei pesci, delle misure e delle bilance usati nei mercati e
inoltre gli si offrivano tanti sacrifici al momento della morte, perché, come
psicopompo, guidava agli Inferi le ombre dei defunti, spingendole con la verga
chiamata caduceo. Zeus quindi lo aveva eletto suo ministro e perfino Era, che
era tanto gelosa degli amori del marito, non riuscì a sfuggire al fascino del
furbissimo Ermete e addirittura, lo allattò al seno. Zeus regalò poi a questo suo
figlio il berretto alato che portava sempre, i talari – calzari anch’essi alati- e gli
affidava ogni tanto degli incarichi, come ad esempio aiutare Ade per rapire
Persefone, addormentare i greci per consentire a Priamo di recarsi presso
Achille per la restituzione del corpo di Ettore, accompagnare Era e Afrodite da
Paride per il giudizio sulla bellezza, portare in dono ad Ulisse l’erba magica che
lo protesse dagli incantesimi di Circe, affidare Dionisio in fasce alle ninfe perché
lo allevassero, e infine accompagnare Orfeo agli Inferi per riavere Euridice.
Ermete ebbe numerosi amori: Afrodite gli partorì Ermafrodito, che ebbe una
strana storia; infatti Salmace…ninfa lacustre, innamoratasi di lui mentre faceva
il bagno, gli si avvinghiò talmente stretta, pregando di non esserne mai
separata, che i loro corpi si fusero formando un essere metà uomo e metà
donna.

Da Mirto Ermete ebbe Mirtilo, da Penelope ebbe Pan, da Chione Otolico, da


Erse Cefalo. Ermete è una delle divinità più complesse della mitologia per le
innumerevoli sfaccettature di caratteri che gli si attribuivano; tra l’altro uccise
Argo dai cento occhi che era guardiano di Io, incatenò Prometeo ad una roccia
come voleva Zeus, liberò Ares prigioniero degli Aloadi. Molte delle sue
incombenze lo avvicinavano agli uomini, più di ogni altro dio; era lui a
proteggere i viaggiatori e i mercanti; veloce e agile nei suoi compiti, era anche
dio dei ginnasti; di notte scortava le ombre nel loro ultimo viaggio verso gli
Inferi. La sua verga alata, il caduceo, con due serpenti attorcigliati, ridonava la
salute e infatti divenne l’emblema dei medici. Il suo più caro amico era e
restava il fratello Helios, il Sole: ecco spiegato perché Mercurio (il nome
romano di Ermete) non si allontana mai molto dal Sole; infatti è il pianeta del
sistema solare, come abbiamo detto, più vicino. Mercurio simboleggia le qualità
dell’intelletto, la duttilità della mente, la capacità di comunicare con il
prossimo. Si identifica nei giovanissimi fino alla pubertà; indica i fratelli, i figli
maschi, i ragazzi, la gioventù in genere; il suo metallo naturalmente è il
mercurio; il colore è il giallo paglierino. Sul piano medico l’astrologia classica lo
collega a tutte le vie di comunicazione: udito, favella, le vie respiratorie che
comprendono l’intero sistema di bronchi e polmoni, e al sistema nervoso
centrale. Il pianeta – se positivo – indica la logica, la capacità di afferrare al
volo le cose, e in un oroscopo, secondo il settore in cui si trova, chiarisce anche
il modo in cui la persona esercita le proprie facoltà intellettuali e quindi
favorisce la comunicazione in tutte le sue forme; purtroppo, se è negativo, sul
piano fisico si hanno difficoltà o ritardi nell’apprendimento, nell’udito, nel
linguaggio e, sul piano spirituale, tendenza alla doppiezza, alla falsità,
all’astuzia e al raggiro. Il segno grafico di Mercurio è costituito da un cerchio
sormontato da una mezzaluna; nella parte inferiore di questo cerchio è
attaccata una croce capovolta, lo stesso simbolo di Venere (che però è priva
della parte superiore della mezzaluna); dunque questo geroglifico di Mercurio
lo rende un tramite tra la terra e il cielo; il paio di ali che lo portano in alto ne
fa una spola fra l’umano e il divino, tra il genere terrestre e la trascendenza,
sottolineando ancora una volta le sue funzioni di “messaggero” tra l’uomo e
Dio.

Dante colloca nel Canto V del Paradiso (vv. 85- 139). Dante insieme a Beatrice
ascende velocissimo alla seconda sfera celeste, a Mercurio, dove per la luce
emanata dal riso di Beatrice si illumina tutto il pianeta e subito intorno ai due
viandanti si affollano più di mille splendori, come nell’acqua limpida di una
peschiera affiorano a galla numerosi pesci, attirati dalla lusinga del cibo. Ogni
ombra traspare nella vivida luce che la circonda e che emana da lei,
espressione della sua gioia e del suo ardore di carità. Uno degli spiriti,
interrogato da Dante sulla condizione, si fa ancora più fulgido perché, nella
gioia di accondiscendere al desiderio del poeta, diventa ancora più brillante e si
alimenta della sua fiamma di carità, a un punto tale che l’immagine fisica,
viene cancellata e sparisce dentro l’alone luminoso, a somiglianza del Sole che,
quando c’è troppa luce, non è percepibile all’occhio umano, perché con il calore
dei suoi raggi ha diradato e quasi consumato i vapori che lo volevano e ne
temperavano il fulgore.

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