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Iliade: riassunto del primo libro

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Dopo il proemio, il poeta prosegue narrando i motivi dell’ira di Achille, cui si
era accennato nella protasi. Crise, sacerdote di Apollo si reca da Agamennone
per offrire un riscatto per Criseide, sua figlia, prigioniera del comandante dei
greci, ma è severamente cacciato. Offeso, invoca Apollo che punisce
aspramente i Greci mandando una terribile pestilenza. Si diffonde
rapidamente il timore per la causa sconosciuta di diversi lutti; Achille decide
di convocare l’assemblea dei capi e Calcante, un indovino, spiega essere
la peste mandata dal Dio per aver offeso il suo sacerdote. Agamennone,
infuriato per le parole dell’indovino, che sembrano essere l’unica speranza, è
deciso a consegnare Criseide a patto che gli venga fatto un dono. Achille cerca
di persuaderlo e ingannarlo ma alla fine ottiene solo la determinazione
dell’Atride ad avere la sua schiava prediletta: Briseide. Tra i due si scatena
una furibonda e violenta lite, in cui emergono solo brutali offese, fino a
quando Achille, per risolvere la disputa, è quasi deciso a sguainare la spada.
Ecco che, improvvisamente, arriva Atena: i due hanno una conversazione in
cui la dea rivela di essere stata mandata da Era per invitarlo al temperamento
e Achille, al termine, cede e accetta. Criseide viene riportata da Ulisse al padre
mentre Achille, offeso e piangente si reca dalla madre Teti per farsi aiutare a
vendicare l’oltraggio. La Dea, allora, addolorata per il figlio si reca da Zeus e
lo implora di assicurargli la vittoria dei Troiani sugli Achei, i quali saranno
costretti a presentarsi inginocchiati a suo figlio, per risollevare le sorti della
battaglia.

Libro 23
Mentre a Troia si piange Ettore, i guerrieri Mirmidoni rientrati
all’accampamento insieme ad Achille danno inizio al compianto funebre per
Patroclo, finché Agamennone non li esorta a ristorarsi nella sua tenda; di
rimando, Achille gli chiede, allora, di far preparare il rogo per il cadavere
di Patroclo.
Mentre tutti gli Achei dormono, Achille, appena assopito, sogna l’amico che
ricorda i momenti felici della loro amicizia, gli chiede di celebrare i riti per
consentirgli di entrare nell’Ade, auspicando che una stessa urna raccolga le
ossa sue e di Achille, destinato anch'egli a morire entro breve tempo.
Innalzata la catasta di legna per sorreggere la salma, e incendiatala, la pira
prende a bruciare sotto gli occhi dei guerrieri. Achille intanto si è reciso le
lunghe chiome per offrirle in onore di Patroclo e le ha poste nelle sue mani,
perché lo accompagnino nel viaggio all’oltretomba; poi decide di immolare i
dodici giovani Troiani catturati, oltre a una gran quantità di animali: il rogo
brucia tutta la notte.
In seguito Achille bandisce i giochi funebri e i migliori eroi greci, con vivace
spirito di competizione, si cimentano in otto specialità sportive: nella corsa
dei carri, nel pugilato, nella lotta, nella corsa podistica, nel duello, nel
lancio del disco, nel tiro con l’arco e nel lancio dell’asta. Le contese che
sorgono fra i partecipanti sono tutte facilmente sedate e il canto si chiude
con il riconoscimento da parte di Achille dell’eccellenza di Agamennone nel
lancio con l’asta.
odissea libro 5
La dea Atena riferisce a Zeus, che i Proci ( 108 giovani nobili di Itaca,
che volevano la mano di Penelope), stavano marciando
contro Telemaco ( figlio di Penelope ed Ulisse), intanto che il padre era
sull’isola di Ogigia da Calipso. Zeus chiede ad Atena di proteggere
Telemaco e lo riferisce a Ermes.
Odisseo (altro nome con cui viene chiamato Ulisse), deve ripartire
dall’isola e Calipso sta protestando contro il volere degli dei, ma sa che
non può sottrarsi al volere di Zeus e quindi a malincuore accetta la sua
partenza.
Ermes, intanto, accolto il messaggio del capo degli dei, indossa i suoi
sandali d’oro, prende la verga velata su cui ci sono due serpentelli e si
dirige verso l’isola di Ogigia.
Omero, a questo punto, descrive il bellissimo paesaggio della grotta di
Calipso che è avvolta dalla natura fresca ed è pieno di vegetazione e
animali che Ermes ammira.
Ulisse, intanto è pronto a partire, ma passa l’ultima notte in compagnia
di Calipso e la mattina comincia a costruire la zattera, che finisce dopo
quattro giorni, per mettersi in mare verso Scheria, guidato dalle stelle.
Odisseo, sapeva che gli dei lo avrebbero tormentato durante il viaggio, e
aveva ragione, perché al diciottesimo giorno, già vicino alla terra ferma,
Poseidone, vedendo la zattera, comincia a scatenare delle tempeste.
Ulisse viene buttato in mare varie volte. In suo soccorso interviene Ino
Leucotea, divinità buona del mare, e gli propone di spogliarsi e buttarsi
in mare per nuotare verso Scheria con un velo che li avrebbe sostenuto
in mare. Odisseo, pensando che sia un altro inganno, non lo ascolta ma,
appena viene di nuovo buttato in mare da un’altra onda, decide di fare
come gli ha proposto Ino: prende il velo e comincia a nuotare verso la
terra dei Feaci, dove arriva dopo quattro giorni.
Arrivato sulla terra ferma, si reca verso il bosco in cerca di riparo per la
notte e Atena lo fa addormentare per farlo riposare dal lungo viaggio.

Libro 8
L’ottavo libro dell’Odissea si apre con l’assemblea dei Feaci, mentre Atena
gira per la città per fare propaganda per Odisseo, appena sottoposto allo
stesso trattamento rigenerante che gli aveva infuso all’incontro con Nausicaa.
È chiaro che la dea ci tiene a che il suo beniamino faccia bella figura! Alcinoo
propone di scegliere cinquantadue giovani che accompagnino a casa lo
straniero, ma subito gli anziani “portatori di scettro” (la gerontocrazia non è
un portato del regime repubblicano) tornino a palazzo per onorare Odisseo,
dove poi saranno raggiunti dai giovani. Per tutta quella bella gente Alcinoo
sacrifica dodici pecore, otto maiali e due buoi: ché onorare gli ospiti mette
appetito! Dopo aver saziato la fame, Demodoco, il cantore cieco, eleva il canto
rievocando la contesa tra Achille e Odisseo. Lui, il re d’Itaca, si copre il volto
con il mantello per non mostrarsi in lacrime ai Feaci. Alcinoo dà quindi il via
alle gare in onore dell’ospite. I giovani si sfidano nella corsa, in cui primeggia
Clitoneo. Eurialo vince nella lotta, mentre Anfialo si aggiudica la gara di
salto. Elatreo vince nel lancio del disco, Laodamante nel pugilato.

È proprio quest’ultimo a proporre l’idea di chiedere a Odisseo se voglia


confrontarsi in qualche disciplina. Ma Odisseo si schernisce, ricevendo per
tutta risposta gli insulti di Eurialo che gli dà del commerciante (l’insulto più
pesante che si potesse fare, evidentemente, a un sovrano guerriero). L’eroe
spiega al giovane che gli dei distribuiscono agli uomini qualità e pregi,
evitando di concentrarli tutti in uno: Eurialo per esempio è bello come un dio,
ma ha il cervello vuoto. Poi scaglia il disco più lontano di quello di tutti gli
altri e lancia la sfida ai Feaci, tranne che a Laodamante perché non sta bene
che uno straniero sfidi il suo ospite.

Proseguendo nella sua lezione di bon-ton Odisseo rifiuta il paragone con gli
antichi, tra cui Eracle, e spiega che gli uomini non devono macchiarsi di
tracotanza (hybris) sfidando gli dei. Eurito che lo fece, fu ucciso da Apollo
che l’aveva presa bene. Alcinoo gli risponde che i Feaci sono i migliori nelle
gare di corsa e come naviganti, aggiungendo:
“E ci piacciono i banchetti, la cetra, le danze
le belle vesti, i bagni caldi e l’amore”.
Mica fessi ‘sti Feaci!

Erodoto le storie libro 2


Libro II - L' Egitto

Da un sacerdote egizio Erodoto apprende un fatto riguardante il faraone


Psammetico il quale, curioso di sapere quale fosse il popolo più antico, decise di
far crescere due bambini presso la casa di un pastore, senza che quest’ultimo
proferisse parola e insegnasse loro a parlare. Dopo due anni, il pastore udì dai due
bimbi la parola “becos” che in Frigio significa “pane”. Il re capì perciò che il popolo
più antico era quello dei Frigi.
In un lungo capitolo, lo storico, espone alcuni dati geologici (seppur imprecisi) sul
territorio dell’Egitto nonché le cause delle piene del fiume Nilo, indicando tre teorie
che circolavano in quei tempi. La prima causa di piena per alcuni era dovuta ai forti
venti Efesi che impedivano alle acque di riversarsi in mare. La seconda era per altri
dovuta dall’influenza dell’Oceano. La terza teoria invece dalla fusione delle nevi
delle regioni più fredde. Navigando sul Nilo, Erodoto incontra vari popoli fra i quali
gli Etiopi e i Disertori (egiziani al servizio del faraone che, stufi di servirlo,
passarono dalla parte Etiope).
Gli egiziani avevano usi e costumi diversi da quelli dei greci: si rasavano il capo, le
donne lavoravano e gli uomini tessevano in casa, sacrificavano molti animali alle
divinità tranne le vacche, sacre ad Iside. I loro dei erano molto simili a quelli degli
Elleni infatti anche loro veneravano Eracle, Zeus (Amon), Dioniso (Osiride) e Pan.
Secondo una leggenda due donne di Tebe furono vendute come schiave dai Fenici,
una a Dodone e l’altra in Libia, i due luoghi dove sorsero proprio i templi dedicati a
Zeus/Amon. Gli animali sacri, oltre alla vacca, sono l’ibis e il coccodrillo (anche se
per alcuni è un essere malvagio e per questo lo uccidono).
Dopo la morte i defunti, in base al ceto di appartenenza, vengono imbalsamati e
riposti nei sarcofagi (a seconda del grado di parentela, l’imbalsamazione passa da
metodi più nobili a meno nobili).
Presso la città di Chemis v’è un tempio dedicato a Perseo. Lungo il fiume ci sono
diverse coltivazioni di loto che gli abitanti consumano dopo averli essiccati al sole
e pestati. Contro le zanzare non usano il lino, facilmente forabile ma delle reti.
Finita la descrizione delle usanze del luogo, Erodoto racconta la storia del Regno
Egizio, errando l’ordine cronologico di diversi faraoni che si sono succeduti col
tempo, dimostrando così le difficoltà intrinseche dei racconti storici orali
dell’epoca.
Inizia con MIN che ritiene il primo re e che fondò Menfi dopo aver prosciugato una
parte del fiume Nilo. Segue la descrizione della regina NITOCRI (IV dinastia) che
vendicò il fratello ucciso annegando in una stanza interrata i colpevoli. SESOSTRI
(XIX- XVIII sec. a. C.) allargò il regno dell’Egitto e nei paesi dei popoli più deboli,
per scherno, fece erigere steli con disegnati genitali femminili. Per Erodoto, pur
essendo una fonte inattendibile, Sesostri arrivò fino al fiume Fasi, nella Colchide. I
Colchi perciò, sono discendenti degli egizi. Il fratello tenta di ucciderlo bruciandolo
dentro casa sua e il faraone, per scampare alle fiamme, getta sul rogo due dei suoi
sei figli. A tutti gli egiziani diede un lotto di terra e in suo onore, dopo la morte, gli
tributarono una grande statua. Gli successe il figlio FERONE che divenne cieco
improvvisamente per dieci lunghi anni finchè un oracolo di Buto gli predisse che
avrebbe riavuto la vista bagnandosi gli occhi con l’urina di una donna fedele al
marito. Molte furono le donne con le quali tentò di avere di nuovo la vista ma solo
l’urina di una lo guarì. Le donne infedeli, per punizioni, le fece mettere tutte al rogo.
Poi fu la volta di PROTEO del quale si diceva c’entrasse con le vicende del ratto di
Elena da parte di Alessandro (Paride). Questi, con la donna rapita, fece tappa in
Egitto in seguito ad un naufragio. I suoi servi raccontarono al guardiano egizio
Thoni del ratto ed egli, consultatosi con il faraone Proteo, portò i due alla sua
corte. Il faraone, indispettito per l’oltraggio fatto ad un uomo (Menelao), decise di
cacciare Alessandro e tenersi Elena fino alla venuta del suo marito legittimo. Si
narrava poi che dopo la guerra di Troia, Menelao fosse giunto in Egitto a riprendersi
la sposa (per Erodoto se Elena fosse stata a Troia, i troiani l’avrebbero certamente
riconsegnata agli achei, senza che scoppiasse la guerra).
Curiosa invece è la vicenda legata al re RAMPSINITO (forse Ramses II, XX sec. a.
C.). Egli fece costruire un grande magazzino in cui ripose il suo tesoro da un
architetto furbacchione che lasciò aperto un passaggio nascosto grazie a cui
chiunque poteva entrare e rubare l’oro. Alla sua morte, l’architetto confessò ai suoi
due figli il varco del magazzino affinchè rubassero i beni del re e potessero vivere
dignitosamente. I due una sera rubarono un po’ di oro ma il giorno dopo, il faraone,
fece mettere dentro al magazzino delle trappole per incastrare i ladri. Durante il
secondo furto, uno dei due restò incastrato in una tagliola e chiese al fratello di
ucciderlo e scappare via per non finire arrestati entrambi. Il fratello lo decapitò e
scappò via con altro oro. La madre però lo rimproverò per aver lasciato il corpo
dell’altro figlio in mano alle guardie. Infatti Rampsinito fece legare il cadavere
davanti al magazzino, curato a vista da due soldati. Per portare via il corpo del
fratello e fare un favore alla madre, il ragazzo ubriacò con del vino i due soldati e
scappò via col corpo. Il faraone, indispettito, chiese alla figlia, mediante la
prostituzione, di scovare l’identità del ladro e, una volta trovatolo, non lasciarlo
sfuggire per nessun motivo. Venutolo a sapere, il ragazzo andò nella casa della
figlia e, consumato il rapporto e confessato il suo nome, sfuggì alle strette della
ragazza lasciandole fra le mani un braccio di un cadavere da lui staccato. Il faraone
sempre più curioso di trovare il ladro, offrì una ingente somma di denaro a chi si
confessasse da lui come il vero ladro del magazzino. Il ragazzo, una volta rivelata
la sua identità, fu ospitato dallo stesso faraone nel suo palazzo, felice di esser
venuto a conoscenza del delinquente, e maritato con la figlia.
Dopo di lui CHEOPE e il fratello CHEFREN (in realtà vissuti molto prima di
Rampsinito, nel xxv sec. a. C.) che fecero costruire diverse piramidi in un duro
regime di lavoro e di potere. MICERINO invece divenne uno dei faraoni più lodati.
Fece erigere una statua di una vacca nella quale seppellì la figlia defunta. Un
oracolo di Buto gli predisse la sua morte nel giro di 6 anni ma in realtà furono 12.
Costruì una piramide che però alcuni storici credono fosse di Rodopi, una etera
della Tracia che divenne famosa in Egitto e alla quale Saffo scrisse dei versi in suo
onore. ASICHI invece costruì una piramide di mattoni anziché in pietra come i
precedenti citati. Il re cieco AMISI fu costretto ad abdicare in favore dell’avanzata
etiope guidata da SABACO. Questi regnò in Egitto per 50 anni dopo di che se ne
andò dopo aver fatto un incubo che lo invitava a commettere un sacrilegio contro
dei sacerdoti. Al suo posto tornò Amisi che nel frattempo si era costruito con
sabbia e cenere una isoletta poi chiamata Elbo. Il faraone SETONE (V sec. a. C.) fu
attaccato dagli Assiri ma una notte, una invasione di topi, fece scappare i nemici.
Nel VII sec. a. C. fu la volta dei dodecarchi, 12 re che si spartirono l’Egitto. Uno di
questo, PSAMMETICO (664-610 a. C.) venne da loro esiliato dopo che bevve del vino
dal suo copricapo di bronzo ed accendendo così il vaticinio che aveva predetto ai
faraoni che chi avesse bevuto dal bronzo anziché da una coppa d’oro avrebbe
regnato da solo l’Egitto. A sua volta un oracolo di Buto, vaticinò all’esiliato la
vittoria contro gli 11 re grazie ad un esercito di bronzo. Questo esercito,
dall'armatura bronzea che proveniva dalla Ionia e dalla Caria, salpò casualmente in
Egitto e Psammetico ne approfittò per amicarselo e per sconfiggere i faraoni. A lui
successe il figlio NECO (609-594 a. C.) che fece costruire un lungo canale fino al
Mar Rosso e che sconfisse i Siri. Poi fu la volta del figlio PSAMI (595-589 a. C.) che
morì in Etiopia durante uno scontro e il figlio di lui APRIE (589-569 a. C.). Egli perse
duramente una battaglia contro i Cirenesi e i suoi soldati gli si ribellarono contro.
Per calmare le acque mandò in ambasciata ai ribelli l’amico AMASI che però si
alleò coi soldati e dichiarò guerra al faraone. Aprie allora ordinò al collaboratore
PATARBEMI di convincere Amasi a riportarlo a corte ma quest’ultimo rifiutò e, una
volta ritornato dal faraone, fu mutilato del naso e delle orecchie per non aver
portato a termine la missione richiesta. Si alleò così ad Amasi ed insieme
sconfissero il faraone. Amasi divenne un re saggio e che non disdegnava comunque
la bella vita. Inizialmente i sudditi non gli prestavano attenzione poiché
discendente di una umile famiglia ma poi col tempo lo apprezzarono e lo reputarono
un re giusto

Antigone

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