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Le Esperidi sono ninfe che, secondo le leggende, custodivano il giardino dei pomi d’oro di Era, dono di

nozze di Gea. La leggenda greca le pone in un’isola dei mari occidentali.

Genealogia
La genealogia delle ninfe varia a seconda della versione. I più antichi le considerano figlie della Notte e di
Erebo. Altre versioni posteriori le fanno figlie di Atlante o di Teti ed Oceano, oppure di Zeus e Temi, ma
anche di Forco e Ceto. La teoria più accreditata le vede figlie di Atlante ed Esperide.

Anche il loro numero è incerto, tanto che alcuni mitografi nominano cinque Esperidi, altri ne nominano
sette. Chi sottolinea invece che erano tre, le collega alla triplice dea della Luna (Ecate, Selene e Artemide)
nel suo aspetto di sovrana della morte. I numeri riferiti vanno comunque da una a undici.

I nomi delle Esperidi principali sono Egle, Aretusa, Esperetusa (o Esperia) ed Eritea.

Miti
La leggenda delle Esperidi si incontra per la prima volta nella Teogonia di Esiodo: al confine occidentale
della terra, dove il giorno e la notte s’incontrano, in un’isola dell’Oceano sorge un giardino, dove le Esperidi
dall’amabile canto custodiscono i pomi d’oro col drago dalle cento teste Ladone, figlio di Forco e di Ceto,
che si assicurava che le ninfe non prendessero alcuni frutti. Davanti a esse sta Atlante, loro padre, che
sorregge la volta celeste. Sempre nella Teogonia, le ninfe venivano chiamate anche “Figlie della Notte”,
dato che il sole tramonta in occidente. Infatti, Elios, divinità del sole, terminato il suo corso quotidiano,
scendeva nel giardino e vi lasciava i cavalli e il suo carro a pascolare, e con loro riposava durante la notte.
Per questo le Esperidi vengono collegate al tramonto, quando i colori che assume il cielo ricordano,
appunto, quelli di un melo carico di frutti dorati.

Secondo un mito, le Esperidi furono imprigionate dal re Egitto, per poi essere liberate dal padre. Strappate
alla loro terra insieme con le loro greggi da alcuni pirati agli ordini di Busiride re d’Egitto, le Esperidi furono
poi liberate da Ercole, che le restituì al padre Atlante, ottenendo quale ricompensa l’insegnamento
dell’astronomia.

Il mito più celebre legato alle Esperidi fa parte del ciclo delle fatiche di Eracle. Nella sua undicesima fatica,
l’eroe fu incaricato dal re Euristeo di trafugare i pomi dorati per portarli al sovrano. Dopo molto vagare per
trovare il giardino delle Esperidi, vi giunge valendosi delle indicazioni di Prometeo. Per conquistare le
preziose mele, Eracle dovette ricorrere all’aiuto di Atlante e sostituirlo temporaneamente nel reggere i
pilastri del cielo, portando il mondo intero sulle spalle. Fu Eracle a offrirsi di reggere il cielo al posto di
Atlante purché il titano gli portasse i frutti. Successivamente Atlante tornò da Eracle ma, dopo aver
apprezzato la liberta, disse ad Eracle che non sarebbe più tornato a sostenere il cielo. Eracle, essendo stato
ingannato, decise di usare l’astuzia: disse che, se avesse dovuto reggere il cielo per mille anni (come aveva
fatto il titano), si sarebbe dovuto sistemare meglio il carico sulle spalle e chiese quindi ad Atlante di
reggergli il fardello per un momento. Egli ingenuamente accettò, lasciando a terra le mele rubate, cadendo
nel tranello di Eracle, il quale legò il gigante e, una volta prese le mele, corse a consegnarle a Euristeo. Un
altro ostacolo era però costituito dal drago Ladone. Non è chiaro se Ercole dovette ricorrere alla violenza o
se riuscì a farsi consegnare i pomi in altro modo. Alcune fonti affermano che Eracle lo uccise con un colpo di
freccia (in quel caso, Era poté solo attenuare il suo dolore per la morte di Ladone ponendone l’immagine tra
gli astri, come costellazione del Serpente), mentre altri parlano di una consegna pacifica dei frutti da parte
di Atlante o delle Esperidi stesse. Secondo la versione che vuole che i pomi siano stati rubati da Ercole, le
Esperidi, per il gran dolore, si trasformarono in alberi (un pioppo nero, un salice e un olmo). Altri invece
raccontano che esse, o per intervento di Atena, o grazie alla restituzione degli Argonauti, sulla cui nave
Ercole aveva lasciato il suo bottino, recuperarono i pomi e seguitarono per l’eternità la loro missione di
custodi. Un’ulteriore conclusione vede gli Argonauti arrivare nel giardino il giorno successivo al
compimento dell’impresa di Ercole e assistere alla trasformazione delle ninfe in alberi.

I pomi delle Esperidi compaiono, secondo Nonno, anche in occasione delle nozze di Cadmo e di Armonia;
una leggenda dice che dal giardino delle Esperidi provenissero pure i pomi donati da Afrodite a Ippomene,
per vincere nella corsa Atalanta.

Un altro mito che riguarda le mele delle Esperidi è il mito di Atalanta, fanciulla velocissima nella corsa che
sfidava i suoi pretendenti mettendo sé stessa come premio. Uno di questi corteggiatori era Melanione (o
Ippomene) che, chiedendo aiuto ad Afrodite, ricevette dalla dea tre mele d’oro del giardino, che a sua volta
Ercole le aveva regalato. Mentre si svolgeva la gara, Ippomene lanciò i pomi uno dopo l’ltro a terra, così che
Atalanta, irresistibilmente attratta, si fermò a raccoglierli perdendo la contesa.

In tutti i racconti, comunque, le Esperidi sono custodi di oggetti magici: è quindi possibile che possano
essere associate a dei riti segreti, che si tenevano al sopraggiungere della sera con dolci melodie, perché
anche il canto, insieme con la danza, è una delle prerogative a loro assegnate.

Il Giardino delle Esperidi


Il giardino si trovava ai confini occidentali del mondo conosciuto, ben oltre i luoghi abitati dagli uomini.
Secondo alcuni, era situato tra i monti di Atlante e l’oceano, ai confini del mondo e ai piedi del cielo retto
dal padre delle ninfe, ma per il poeta siciliano Stesichorus ed il geografo Strabo, invece, si trovava
nell’estremo sud della Penisola Iberica.

Il meraviglioso giardino era conosciuto anche come “il frutteto di Era” e custodiva un magnifico albero di
mele d’oro che donavano l’immortalità. I rigogliosi frutti crescevano dall’albero che Gaia, la Terra, aveva
regalato ad Era nel giorno delle sue nozze con Zeus. Era diede alle ninfe il compito di proteggere e custodire
il prezioso albero ed i suoi frutti. Non sapeva però che le Esperidi di tanto in tanto raccoglievano e tenevano
per sé qualcuna delle splendide mele. Era decise quindi di mandare nel giardino Ladone, un drago a cento
teste che non dormiva mai, figlio di Forco e di Ceto o di Tifone ed Echidna, con il compito di sorvegliare
solamente l’albero. Nonostante la presenza di Ladone, però, Eris, la dea della discordia, riuscì ad eludere la
sorveglianza del terribile drafo e a rubare una delle mele d’oro. Su questa incise la famosa frase “Alla più
bella” e si recò al matrimonio tra Peleo e Teti, a cui non era stata invitata. Lasciò cadere la mela sul tavolo
che Zeus aveva allestito per gli sposi, causando così l’inizio della guerra di Troia.

Negli anni, dopo diversi studi, si è stati portati a credere che le leggendarie mele d’oro fossero in realtà
delle arance, frutti allora sconosciuti in Europa: da ciò deriva il nome dato dai Greci a tutte le specie di
agrumi: Hesperidoeide.

Simboli
Mitologicamente le Esperidi simboleggiavano i doni dei frutti del giardino, in particolare della mela.

I pomi che il dragone aveva il compito di sorvegliare sono simbolo della fecondità e dell’amore.
Rappresentazioni e iconografia
L’iconografia riguardante le Esperidi è sviluppata maggiormente sul tema di Ercole e le mele d’oro, mentre i
soggetti pressoché infrequenti sono quelli del rapimento delle sorelle e la loro metamorfosi in alberi. Le
figurazioni più antiche delle Esperidi giunte fino a noi sono quelle sui vasi attici a figure rosse del V secolo
a.C., dove peraltro non appaiono molto frequentemente. Meno rare sono invece le rappresentazioni nella
ceramica dell’Italia meridionale.

La produzione artistica caratterizzata dal soggetto delle Esperidi è molto scarsa, ma mai del tutto assente,
durante il Rinascimento e per l’intero periodo che decorre dal XVII al XVIII secolo.

Le mele d’oro e il serpente Ladone sono gli attributi distintivi delle Esperidi, figurate come graziose fanciulle
che il più delle volte compaiono in numero di tre e sono caratterizzate da un’espressione nostalgica.
Rappresentate generamente vestite a differenza delle Grazie, vengono collegate al tramondo e contengono
perciò un alone di magico mistero.

Le Esperidi sono raffigurate come delle giovani e belle donne, che si tengono per mano in un giardino.

Opere

La Minerva che scaccia i Vizi dal giardino delle Virtù


“La Minerva che scaccia i Vizi dal giardino delle Virtù” è un dipinto tempera su tela di Andrea Mantegna,
completato nel 1502 e conservato al Louvre. L’opera fu eseguita per lo studiolo di Isabella d’Este a Mantova
e rappresenta la fabula antica in un giardino Simbolico.

Albert Herter – Il Giardino delle Esperidi

Giambologna – Ercole e il drago Ladone

Frederic Leighton – Il Giardino delle Esperidi


Hans di Marées – Le Esperidi II

Edward Burne-Jones – Il Giardino delle Esperidi


John Singer Sargent – Atlante e le Esperidi

Pieter Paul Rubens – Ercole nel giardino delle Esperidi


Sitografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Esperidi

https://it.wikipedia.org/wiki/Giardino_delle_Esperidi

https://www.treccani.it/enciclopedia/esperidi/

https://www.treccani.it/enciclopedia/esperidi_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://www.sullacrestadellonda.it/mitologia/esperidi.htm

https://www.unamelaalgiorno.com/il-giardino-delle-esperidi-il-mitico-frutteto-di-hera.html

http://gardenofhesperides.blogspot.com/2012/07/le-esperidi-e-il-loro-giardino.html

https://www.limmi.it/i-pomi-doro-delle-esperidi/

http://www.pittau.it/Sardo/esperidi.html

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