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B E R S A G L I O

Edoardo Tortarolo, Annie Jourdan, Jack A. Goldstone, Simone


Neri Serneri, Peter S. Onuf discutono
L’era delle rivoluzioni
democratiche
di Robert R. Palmer

Edoardo Tortarolo

Vecchia e nuova storia atlantica

Robert R. Palmer pubblicò The Age of questo tema con gli strumenti, già ampia-
the Democratic Revolution in due volumi mente sorpassati negli anni Cinquanta, di
usciti rispettivamente nel 1959 e nel 1964, una storia enciclopedico-compilativa, che
ma la preparazione fu avviata all’inizio de- soprattutto nel secondo volume stenta a
gli anni Cinquanta e fu punteggiata da an- mostrare un ordito chiaro nello sviluppo 125
ticipazioni in saggi e relazioni a convegni degli avvenimenti e nei criteri di selezione
che diminuirono e sviarono in gran parte dei personaggi e degli avvenimenti, avan-
l’impatto dell’opera. Nel 2005 Bernard zando da un episodio all’altro con una
Bailyn ha accennato alla gestazione del- narrazione faticosa delle vicende, limitate
l’opera di Palmer all’interno di una serrata essenzialmente alla «grande politica». Un
ricostruzione dell’interesse recente per libro, quindi, se vogliamo semplificare, che
la storia atlantica1: la sua genesi e il suo mostra una doppia faccia: da una parte un
contesto spiegano molte delle caratteristi- «manualone» di storia dell’ultimo quarto
che di quest’opera, tradotta in italiano nel del XVIII secolo, basato prevalentemente
19712. Bailyn rimanda alla contraddittoria su testi ben noti o su raccolte di fonti già
vicenda di un libro che ha colto un tema fortemente selezionate, dall’altra un’in-
importante destinato a lunga e duratura terpretazione vigorosa di un complesso di
fortuna e che per questo merita a quasi problemi che la storiografia successiva ha
mezzo secolo dalla sua pubblicazione un ripreso e approfondito uscendo dalle sec-
interesse specifico, ma che ha analizzato che della storiografia nazionale.

1
B. Bailyn, Atlantic History. Concept and Contours, Cambridge-London, Harvard University Press, 2005.
2
L’era delle rivoluzioni democratiche, Milano, Rizzoli, 1971, in un unico massiccio volume. Da notare che
il titolo modificava l’originaria intenzione interpretativa di Palmer incentrata sull’esistenza di un’unica
rivoluzione democratica articolatasi nel tempo e nello spazio in manifestazioni multiple.

Contemporanea / a. X, n. 1, gennaio 2007


■ La dimensione atlantica dell’Atlantico i tradizionali sistemi di potere,
Il primo libro di Palmer, pubblicato nel costituendo una vicenda unitaria.
1939, Catholic and Unbelievers in 18th-Cen- Le reazioni alla relazione dei due storici
tury France, non lasciava prevedere un in- furono in generale molto fredde, in qual-
teresse tanto accentuato per la dimensione che caso ostili: quella più caratteristica del
transnazionale. Assai più che la lettura della clima di quei decenni fu l’accusa di Hob-
Méditerranée di Braudel, fu il dialogo con sbwam che la civiltà atlantica era un’inven-
Jacques Godechot, che trascorse nel 1954- zione per giustificare l’esistenza della Nato
55 un periodo di ricerca a Princeton Uni- (Hobsbawm commentò anche in quella me-
versity, dove Palmer era docente dal 1952, desima occasione che si poteva definire lo
ad essere il catalizzatore di quest’interesse. spazio atlantico come quell’area del mondo
Durante quel periodo, Palmer e Godechot in cui si bruciavano le streghe). I libri suc-
scrissero insieme un lungo intervento da cessivi di Godechot sulla diffusione delle
presentare al X Congresso Internazionale di idee della rivoluzione francese e i volumi
Scienze Storiche, che si tenne nell’estate del di The Age of the Democratic Revolution
1955 a Roma. Il suo titolo era Les problèmes non superarono mai in pieno la diffidenza
de l’Atlantique du XVIIIème au XXème siècles. (a dire il vero, non limitata esclusivamente
L’idea di una civiltà atlantica era al centro alla storiografia di sinistra) suscitata a
dell’intervento di Palmer e Godechot e si Roma nel 1955. Nel 1979, a un convegno
126
analizzavano in qualche dettaglio le que- in Germania, Palmer riconobbe che la tesi
stioni legate all’emergere dello spazio trian- della rivoluzione atlantica fondatrice di una
golare formato dall’America colonizzata da cultura democratica aveva incontrato e con-
inglesi e francesi, dall’America latina e dal- tinuava a incontrare forti resistenze3. Pur
l’Europa. Nell’intervento gli autori sostene- difendendo la validità della sua prospettiva,
vano che nell’età dell’illuminismo c’era stata Palmer non affrontò nuovamente il tema
una connessione molto stretta tra Europa e della rivoluzione democratica in ambito
America, una condivisione di elementi di atlantico in modo esplicito. I suoi libri suc-
cultura, sintetizzabili nelle «idées maîtres- cessivi tornarono ad esaminare temi della
ses» della civiltà ebraico-cristiana, della storia francese dell’età moderna: Palmer
legge romana, della ragione greca. Questa aggiornò l’interesse concepito durante gli
unità si era rotta con la diversa evoluzione anni Trenta, conservando tuttavia, anche di
delle diverse parti della civiltà atlantica nel fronte al parcellizzarsi delle ricerche, una
corso dell’Ottocento. Insieme prova di una sensibilità spiccata per la formulazione di
condivisione e origine del suo declino era grandi problemi interpretativi che si era
la serie di movimenti rivoluzionari che rafforzato con la ricerca svolta per The Age
avevano coinvolto da una parte e dall’altra of Revolution4.

3
E. Schmitt e R. Reichardt (a cura di), La «Révolution atlantique» – Vingt ans après, in Die Französische
Revolution – Zufälliges oder notwendiges Ereignis. Akten des internationalen Symposiums an der Universität
Bamberg vom 4.-7. Juni 1979, München-Wien, Oldenbourg, 1983, pp. 89-104.
4
R.R. Palmer, A Century of French History in America, «French Historical Studies in America», 1985, 14, pp.
■ Codici politici e percorsi luzione costruttiva delle tensioni generate
storiografici dal clima rivoluzionario di quegli anni6.
Politicamente il fuoco di sbarramento euro- A distanza di tempo si può rilevare che sia
peo contro Palmer era fondamentalmente la comunicazione presentata a Roma sia il
ingiustificato ed era il riflesso di un contesto vocabolario in particolare dei capitoli intro-
europeo, assai più che il frutto di una lettura duttivi del primo volume utilizzavano con-
attenta e di una valutazione del testo. Pal- cetti che si potevano facilmente interpretare
mer non fu certo uno storico della sinistra come espressioni di un codice politico forte-
(americana), ma neppure un agente provo- mente conservatore, anche se questa – pa-
catore infiltrato nel dibattito storiografico lesemente – non era l’intenzione di Palmer7.
o un propagandista della Nato. Nel 1970, In The Age of the Democratic Revolution il
al culmine di una carriera anche ammini- capitolo introduttivo insisteva sul concetto
strativa ai vertici del sistema accademico di una western civilization equivalente a
americano, Palmer fu eletto presidente una atlantic civilization attraversata negli
della American Historical Association, dopo ultimi quarant’anni del Settecento da una
un periodo di convulse discussioni e scon- rivoluzione democratica che ebbe successo
tri interni infiammati dalla guerra del Viet- solo negli Stati Uniti e in Francia: malgrado
nam e dalla rivolta studentesca5. Palmer fu le ovvie differenze, sosteneva Palmer, le
votato dalla maggioranza di conservatori due rivoluzioni avevano molto in comune,
127
e liberali, contro il candidato della sinistra così come avevano molto in comune con
Staughton Lynd. Nel discorso inaugurale, i tentativi abortiti nel resto dell’Europa e
tuttavia, si propose un atteggiamento di nelle isole britanniche. Nel 1963, Hannah
cauto dialogo tra tutte le componenti della Arendt avrebbe sostenuto, con riferimento
professione accademica, consapevole delle alla rivoluzione americana e francese,
divisioni interne e della necessità di salva- l’esatto contrario8. E Soboul a più riprese
guardare collettivamente i principi della avrebbe contestato che si potesse negare il
ricerca storica contro le invasioni di campo valore assoluto ed esemplare della rivolu-
da parte delle passioni politiche: l’appello zione francese facendone un episodio della
conclusivo andava nell’auspicio di una so- «civiltà atlantica»9. Entrambe le posizioni

160-175, e Id., The Improvement of Humanity. Education and the French Revolution, Princeton, Princeton
University Press, 1985.
5
Cfr. P. Novick, That Noble Dream. The «Objectivity Question» and the American Historical Profession, Cam-
bridge, Cambridge University Press, 1988, in particolare pp. 415-468.
6
R.R. Palmer, The American Historical Association in 1970, «American Historical Review», 1971, 1, pp. 1-15
(anche on-line in http://www.historians.org/info/AHA_History/rrpalmer.htm).
7
Palmer, tra l’altro, aveva tradotto la sintesi di G. Lefebvre, Quatre-vingt-neuf, Paris, Maison du livre
français, 1939, con il titolo di The Coming of the French Revolution, Princeton, Princeton University Press,
1947 (ultima riedizione con nuova Prefazione di T. Tackett nel 2005).
8
H. Arendt, On Revolution, London, Faber and Faber, 1963.
9
Ad esempio A. Soboul, La Rivoluzione francese, Bari, Laterza, 1974 [Paris, 1948], vol. II, p. 629, dove si de-
finisce il primo volume un «lavoro che risente di un pregiudizio “atlantico” e “occidentale” inammissibile
in questo campo».
interpretative, opposte quanto a implica- ■ La crisi del sistema atlantico
zioni politiche, nei paesi europei ebbero settecentesco
una fortuna che mancò a lungo all’opera di La prospettiva con cui ora si guarda a quei
Palmer. decenni si è notevolmente trasformata, sotto
The Age of the Democratic Revolution ap- il segno della spiegazione di una crisi pro-
pare ora datato e superato laddove vede in fonda del sistema transatlantico settecente-
quei decenni del Settecento l’incubatore di sco, più che della ricerca delle radici di una
uno slancio verso maggiore democrazia rivoluzione democratica. I volumi di Sette-
politica e maggiore uguaglianza che, con cento riformatore di Venturi, a partire dal
un’esplicita ripresa di Tocqueville, Palmer terzo, seguono grosso modo la cronologia
vede operanti, con ovvie differenze, in e la geografia indicata da Palmer (Venturi
America e in Europa. Questo slancio venne in realtà richiama anche il più antico Jau-
dall’attacco degli anni Sessanta, Settanta e rès), proponendosi però di seguire innan-
Ottanta del Settecento alle istituzioni oli- zitutto molto da vicino la documentazione
garchiche che perpetuavano meccanismi contemporanea e concentrandosi sulle ma-
di distribuzione del potere e della ricchezza nifestazioni del crollo progressivo dell’an-
a favore di gruppi chiusi. Palmer guardava tico regime in tutt’Europa, che avvolsero a
alla superficie di queste forme di autorità e cerchi concentrici la capitale intellettuale e
nessuna delle sue descrizioni di Ginevra, politica del continente, Parigi, sino a travol-
128
della società inglese, della rivolta nobiliare gerla10. Le gazzette e gli scrittori, i monar-
in Francia o del governo di Maria Teresa e chi riformatori e i viaggiatori sono i prota-
Giuseppe II ha lasciato il segno nella sto- gonisti dei volumi di Venturi che mostrano
riografia successiva per profondità e origi- l’Europa e le colonie inglesi in America alle
nalità. L’assedio alla cittadella del privilegio prese con i problemi alla fine intrattabili
è alquanto sfuocato nella narrazione di Pal- generati da quello che, retrospettivamente,
mer. Ironicamente, è proprio dove si sente si definisce Ancien Régime. Nel suo recente
maggiore l’eco della storiografia marxista, e magistrale Empires of the Atlantic World
con le sue grandi categorie sociali e il disin- John Elliott non solo non utilizza la catego-
teresse per l’individualità dei singoli o dei ria di civiltà atlantica, ma trova gli elementi
gruppi, che l’opera mostra i segni del dibat- comuni nella crisi degli imperi inglesi e
tito in cui è nata. D’altro canto, la tematica spagnoli pur riconoscendo la loro evidente
affrontata e le dimensioni del fenomeno diversità11.
hanno avuto dagli anni Ottanta una ripresa Lo sguardo che Palmer aveva fissato sulle
evidente, che pone la ricerca di Palmer in due sponde dell’Atlantico (ma escludendo
una luce diversa e nettamente più positiva. inspiegabilmente la Spagna e il Portogallo)

10
Ad esempio la breve discussione in F. Venturi, Settecento riformatore. IV. La caduta dell’Antico Regime
(1776-1789). Tomo primo. I grandi stati dell’Occidente, Torino, Einaudi, 1984, p. XV. Lo schema interpreta-
tivo era già stato presentato in Id., Utopia e riforma, Torino, Einaudi, 1970, pp. 145-166.
11
J.H. Elliott, Empires of the Atlantic World. Britain and Spain in America 1492-1830, New Haven-London,
Yale University Press, 2006.
e che Venturi aveva allargato e reso più l’Atlantico come spazio di scambio, model-
acuto, è quindi ora più generalmente rivolto lato dalla ricerca del profitto, dalla volontà
a considerare le connessioni tra Europa e di sopravvivenza dei singoli, dai disegni di
America, settentrionale e meridionale, dal potere mondiale delle corti e delle cancelle-
punto di vista sia degli scambi mai unidire- rie ha rinnovato dalla metà degli anni Cin-
zionali di merci, uomini e idee, sia del loro quanta la storia del secondo Settecento in
inserimento in un sistema mondiale basato una misura difficilmente immaginabile da
su equilibri che si stavano alla fine del Set- Palmer, ma cui The Age of the Democratic
tecento rinnovando in modo inedito12. Revolution ha dato un qualche impulso non
Una sterminata letteratura storica sul- trascurabile.

Annie Jourdan

Apologia per una vera storia comparata


delle rivoluzioni. A proposito di Robert Palmer
e Jacques Godechot

Il XVIII secolo, come è noto, ha conosciuto diritti». Di contro questa visione, per certi
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una serie di rivoluzioni che hanno scosso aspetti teleologica o franco-centrica, Ro-
l’Europa e l’America, ma nella memoria bert Palmer e Jacques Godechot ebbero il
collettiva una sola ha acquisito il carattere coraggio di mettere l’accento sui precedenti
di evento universale: la rivoluzione fran- e i paralleli2. In effetti, è difficile negare che
cese, troppo presto dotata di maiuscole e i fu l’America a dare il segnale d’inizio. E,
cui protagonisti per primi ne hanno cantato nonostante tutto, un segnale d’inizio abba-
l’universalità e l’eccezionalità1. Li seguirono stanza brutale da riecheggiare nel mondo
gli storici marxisti del XX secolo, che vi intero. Prima ancora dell’America, anche
videro la vittoria della borghesia e l’emer- la Corsica e la Svizzera avevano provato ad
gere del capitalismo, e a questi sono succe- innescare la lotta per autentiche libertà, ma
duti gli storici «revisionisti», che però non invano. Lo scacco di queste rivoluzioni («in
hanno rimesso in questione l’eccezionalità un bicchier d’acqua», disse Georges Gus-
della Francia, patria de «l’universalità dei dorf) è il motivo per cui esse furono ben

12
M. Carmagnani, L’altro occidente. L’America Latina dall’invasione europea al nuovo millennio, Torino,
Einaudi, 2003, p. 121.
1
Cfr. A. Jourdan, Il n’y a pas d’exception française!, «L’Histoire», 2004, ottobre-dicembre, pp. 88-91.
2
R.R. Palmer, The Age of the democratic Revolution, Princeton, Princeton University Press, 1959-1964; J.
Godechot, La Grande Nation. L’expansion révolutionnaire de la France dans le monde, Paris, Aubier, 1954-
1956, voll. 2; la seconda edizione francese del 1983 tiene maggiormente conto delle realtà estere, ma ancora
nella prospettiva dell’espansione francese.
presto dimenticate ed ebbero scarso im- di una Europa delle nazioni – che potevano
patto sul continente3. Quella dell’America dunque scomparire, a dispetto del diritto dei
del nord, al contrario, ispirò non solamente popoli. Studi recenti dimostrano eloquente-
i francesi, ma anche i belgi e gli olandesi mente che cosmopolitismo e patriottismo
e i suoi echi giunsero fino in Germania e procedevano di concerto e che gli scambi di
in Italia, come in Svizzera ed in Polonia4. E idee si alternavano con il rifiuto dell’Altro.
saremmo curiosi di sapere in quali ambiti D’altronde, è concetto ormai condiviso che i
e sotto quali prospettive. Infatti, Robert Pal- Lumi europei brillarono proprio per la loro
mer studiò molto seriamente le diverse ri- varietà. In breve, il XVIII secolo si compone
voluzioni che turbarono la fine del secolo e tanto di ombre quanto di luci, ed è molto
dimostrò che i protagonisti condividevano meno univoco di quanto lo presenti The Age
una stessa cultura, ma fu meno attento alle of the Democratic Revolution6.
interazioni e alle differenze5. Ancor di più, Questa cecità di fronte alle differenze nazio-
ignorò le contraddizioni che quegli uomini nali e al patriottismo crescente, che gioca-
esprimevano. L’immagine che ci presenta è rono un ruolo eminente nella formazione
un ritratto di famiglia, ma non un album di delle idee rivoluzionarie, è dovuta al fatto
ritratti. che Palmer s’interessa anzitutto all’ideolo-
Si potrebbe ad esempio osservare che egli gia delle élite e meno alle pratiche, alle isti-
insiste troppo sul cosmopolitismo del Se- tuzioni e dunque alle culture7. In effetti, Pal-
130
colo dei Lumi e omette di notare che que- mer non dice niente di nuovo riguardo alle
sto cosmopolitismo si accompagna ad un pratiche e alle rappresentazioni, né sulla
patriottismo a volte esasperato. Infatti, la cultura rivoluzionaria: elezioni, petizioni,
guerra dei Sette anni riattizzò l’odio franco- feste e quant’altro, passano sostanzialmente
britannico e rinfocolò il risentimento con- sotto silenzio. Lo stesso silenzio avvolge le
tro l’egemonia culturale francese, special- istituzioni introdotte nel fuoco degli eventi
mente nei paesi protestanti. La prima spar- che hanno lo scopo di «repubblicanizzare»
tizione della Polonia suscitò uno scandalo il popolo. Perché le rivoluzioni che definirei
senza pari nel continente e risvegliò l’idea occidentali tentarono di uniformare a sé le

3
Tra gli studi più interessanti su questo problema, cfr. W. Te Brake, Regents and Rebels. The Revolutionary
World of an Eighteenth-Century Dutch City, London, Basil Blackwell, 1989, che si interroga sugli esiti delle
rivoluzioni fallite e riconosce la rappresentatività delle rivoluzioni minori.
4
F. Venturi, Settecento riformatore. 4. La caduta dell’antico regime, 1776-1789, Torino, Einaudi, 1984.
5
Lo ripete nel 1979: «Noi riteniamo che nel XVIII secolo esisteva una sorta di legame o di unità culturale
tra le due sponde dell’Atlantico settentrionale […]. Le medesime concezioni, i medesimi fini», in R.R. Pal-
mer, La Révolution atlantique – vingt ans après, in E. Schmitt e R. Reichardt (a cura di), Die Französische
Revolution-Zufälliges oder notwendiges Ereignis, München-Wien, Oldenbourg, 1983, p. 95.
6
Sui Paesi Bassi cfr. i saggi contenuti in M. Jacob e W. Mijnhardt (a cura di), The Dutch Republic in the
Eighteenth Century. Decline, Enlightenment and Revolution, Ithaca, Cornell University Press, 1992.
7
D. Bell, The Cult of the Nation in France. Inventing Nationalism, 1680-1800, Cambrdige (Mass.), Harvard
University Press, 2003; J.M. Smith, Nobility Reimagined. The Patriotic Nation in Eighteenth-Century France,
Ithaca, Cornell University Press, 2005; L. Colley, Britons. Forging the Nation, 1707-1837, New Haven, Yale
Univiersity Press, 1992.
loro popolazioni. Nacquero in nome della mula informazioni e non attribuisce molta
nazione o del popolo – due termini intesi importanza all’analisi dei dettagli. Invece,
come sinonimi8 – e tutte tesero ad acquisire solo questi permettono una vera compa-
una carattere «nazionale». Ne sono testimo- razione. Non che lo storico americano non
nianza i simboli concepiti in quell’epoca: confronti tra loro i diversi paesi, ma lo fa
bandiere, sigilli, monete, emblemi, allego- per mettere a fuoco le analogie e delineare
rie, motti. Tutto questo nacque allora, anche la marcia dell’Occidente verso la democra-
negli Stati Uniti, la cui costituzione federale zia. Lo storico di oggi, che conosce l’esito
del 1787 annunzia l’entrata nel circolo della della vicenda, resta perplesso. Certo, vi
nazioni. L’aquila e la bandiera furono intro- sono sicuramente delle comuni domande
dotte in quel momento, così come i motti E di libertà ed eguaglianza, ma nascono dalle
Pluribus Unum e We, The People, mentre le stesse cause e generarono gli stessi effetti?
dichiarazioni degli Stati proclamavano i di- E parlando, correttamente, di cause: quali
ritti naturali dell’uomo. In queste si colgono esse furono? E quale fu la causa prima? Per-
senza dubbio delle somiglianze, che però ché di cause ve ne furono molteplici e ben
svelano anche delle specifiche priorità. Così, diverse tra loro. Se sovente la causa scate-
la rivoluzione francese si fece in nome del- nante fu un problema finanziario, questo
l’unità e dell’indivisibilità. La Costituzione stesso problema scaturiva dalla scarsa in-
del 1791 non parla in nome del «popolo», tenzione dei «sudditi» di Sua Maestà di ve-
131
ma in nome dell’Assemblea nazionale. E i nire in soccorso del monarca, per quel che
diritti naturali dell’uomo vi si duplicano in riguarda la Francia, o lo staatholder, nel
quelli del cittadino. E non è che una della caso dell’Olanda. Si tratta dunque di ricer-
differenze. Le quali sono numerose, come care «la causa della causa». Volendo cercare
tra le nazioni9. ad ogni costo delle cause, lo schema pro-
posto da Lawrence Stone sarebbe più ade-
■ Comparazioni, dettagli guato di una semplicistica raffigurazione
e contesti delle grandi tendenze dell’Illuminismo e
Palmer, in realtà, è un seguace della storia- dei conflitti tra aristocrazia e «borghesia»10.
racconto, non della storia-problema. Una Invece di concentrarmi sulle cause e le ana-
storia primariamente politica, che accu- logie, preferirei perorare una analisi che pri-

8
Si dovrebbe pure distinguere tra rivoluzioni progressiste (Olanda, Svizzera, Italia) e rivoluzioni conser-
vatrici (Polonia, Belgio), ma anche tra rivoluzioni antistataliste (Belgio) e rivoluzioni stataliste (Corsica,
Polonia).
9
Tanto più che nel XVIII secolo esse presero coscienza d’essere nazioni indipendenti e sovrane. Un primo
esempio illuminante a questo proposito è il libro di E. de Vattel, Droit des gens, Leyde, 1758, secondo il quale
la nazione era sinonimo di corpo politico, di stato e di stato sovrano.
10
L. Stone, Causes of the English Revolution, 1529-1642, London, Routledge, 1972. Dopo la pubblicazione
del mio libro (La Révolution, une exception française?, Paris, Flammarion, 2004), altri storici sono giunti
a conclusioni simili, cfr. P.R. Campbell (a cura di), The Origins of the French Revolution, London, Palgrave
MacMillan, 2006, pp. 1-34.
vilegi le modalità degli eventi in relazione alla lettera il modello americano e enun-
al contesto «nazionale»11, i rapporti di forza, ciò le ragioni di questo rifiuto. In tal modo,
le continuità e palesemente le congiunture. essa esplicitò quel che pareva confacente
Ciò significa anche che i medesimi riferi- alle specificità della propria situazione: un
menti possono valere per obiettivi opposti o paese antico, le tradizioni feudali, una po-
dissimili. Ad esempio, in nome della libertà polazione poco istruita, un regno segnato
e dell’eguaglianza, il Belgio (ovvero i Paesi da forti ineguaglianze, una nazione circon-
Bassi austriaci) attuò una rivoluzione anti- data da nemici, ecc. Niente a che fare con
statalista ed anti-uniformatrice, la Svizzera il Nuovo Mondo! In Olanda, lo stesso sce-
e l’Olanda sperimentarono una rivoluzione nario: l’America è ammirata in quanto re-
anti-oligarchica, laddove in Corsica e in pubblica federale (dai federalisti olandesi)
Polonia ci si preoccupò soprattutto di cac- o per aver saputo rinsaldare i legami unitari
ciare l’occupante straniero e di rafforzare (dagli unitari), ma non certo perché sia un
lo Stato, piuttosto che di democratizzare modello da seguire alle lettera. D’altronde,
quelle società12. i rivoluzionari del Brabante volevano co-
Tutte queste rivoluzioni utilizzarono con- stituirsi in Stati Uniti del Belgio e, al tempo
cetti simili, ma con delle sfumature. E qui stesso, conservare le loro istituzioni seco-
deve intervenire lo studio tanto dei con- lari. La stessa ambivalenza predomina nei
cetti, quanto della loro trasmissione. Alla confronti del modello francese.
132
comparazione, che coglie le differenze e le
somiglianze, deve aggiungersi anche l’ana- ■ Definizioni: democratici,
lisi delle interazioni, delle interferenze, dei rivoluzionari, giacobini
parallelismi, delle accoglienze e dei rifiuti. Lo studio dei trasferimenti culturali, è vero,
Tutti i rivoluzionari europei invocavano non aveva diritto di cittadinanza negli anni
l’America e la sua Great Revolution, ma oc- Sessanta e sarebbe ingeneroso criticare Pal-
corre notare cosa pareva loro atto ad essere mer per non averli indagati. Resta il fatto
adottato e cosa invece non lo si riteneva che le sue comparazioni si rivelano super-
tale. In queste interazioni e riferimenti si ficiali, perché trascurano troppo le disso-
riflette in definitiva la percezione che essi nanze e si limitano alla dimensione «alta»
avevano di «sé come nazione». La Francia e «centrale» della politica13. Ma anche per
del 1789, in particolare, si rifiutò di seguire quel che riguarda la politica, si può lamen-

11
O, meglio detto: le modalità degli eventi svelano in filigrana il peso della configurazione nazionale e per-
mettono, a ritroso, di ricostruirla meglio (il mio volume, citato alla nota precedente, è un primo tentativo,
nient’affatto conclusivo, in questo senso).
12
Palmer semplifica dunque oltre misura, quando conclude che queste rivoluzioni si rivolgono tutte contro
le élite chiuse e le caste ereditarie, nel suo The Age of the Democratic Revolution, cit., vol. II, p. 572.
13
Al contrario, W. Te Brake, Regents and Rebels, cit., p. 178, incoraggia uno studio comparativo che muova
dai contesti regionali e locali. Anche W. Frijhoff invita a rinnovare l’approccio comparativo e fornisce
numerose suggestioni interessanti, in Postfazione in Atti del convegno internazionale Repubbliche Sorelle,
organizzato dal Comitato Secondo Centenario delle Rivoluzioni Olandese e Francese (Roma, maggio 1998),
«Papers of the Netherlands Institute in Rome», 2002, 57, pp. 197-206.
tare che il concetto di democrazia sia uti- sotto silenzio altri fatti: la Spagna, il Por-
lizzato così frettolosamente per qualificare togallo e la Gran Bretagna si mostrarono
i cambiamenti in atto tra il 1780 e il 1800. insensibili alle sirene riformatrici, men-
Palmer legge lo scontro tra rivoluzionari e tre nell’Europa orientale la Polonia adottò
contro-rivoluzionari come lotta tra demo- una Costituzione ricalcata sul modello in-
crazia ed aristocrazia e l’interpreta dunque glese ed americano a partire dal maggio
come un conflitto sociale. Tuttavia, ad esa- 1791, vale a dire prima della Francia, che
minare da vicino questi pretesi democra- proclamò la propria Costituzione solo nel
tici, si è costretti ben presto a ricredersi. I settembre successivo. E dal 1796 anche
sommovimenti delle gerarchie sociali che l’Italia sogna di dar vita ad uno stato uni-
allora si verificarono spinsero sul prosce- tario. L’Atlantico, di conseguenza, è ormai
nio le élite borghesi, non il popolo. Nei fatti, largamente oltrepassato.
nuove élite ed élite tradizionali ben presto si Anche Jacques Godechot ha avuto il grande
riconciliarono, al fine di riportare i ceti po- merito di ricondurre avvenimenti assai di-
polari nella collocazione subordinata che versi nel contesto di quel che egli definisce
mai avrebbero dovuto abbandonare. Così, «la rivoluzione d’Occidente». Come Palmer,
i membri delle sezioni parigine nell’anno II si è preso la briga di leggere studi originali
sono invitati a rientrare nei loro quartieri, e, più ancora di Palmer, il suo punto di par-
mentre le milizie rivoluzionarie, pur’esse tenza è la rivoluzione francese, come testi-
133
popolari, sono smobilitate. Quanto all’ari- monia il titolo dell’opera più completa da
stocrazia tradizionale, è ormai assodato lui scritta su questo argomento: La Grande
che una sua componente contribuì alla Nation. Tutto quel che accade all’estero è
rivoluzione. D’altronde, per aristocrazia si dunque esplicitamente o implicitamente
può intendere tanto le oligarchie quanto le in relazione con il caso francese. I radicali
élite, come già riconobbe lo stesso Palmer, sono assimilati ai giacobini; i moderati ai
senza però chiarire le proprie definizioni14. conservatori, vale a dire ai reazionari. Ma
Democrazia contro aristocrazia: è un’anti- come descrivere allora gli effettivi termini
tesi pratica, che però non spiega molto. di contrasto? Queste interpretazioni «in-
Altrettanto improprio è il fatto di collocare terne» sono ancora e sempre forzate. E lo
queste rivoluzioni nel mondo atlantico15. Il restano finché gli storici delle rivoluzioni
termine presenta certo il vantaggio di com- assumono come premessa la rivoluzione
prendere gli Stati Uniti d’America così come francese e non i paesi da loro studiati, per
gli stati dell’America del Sud, anch’essi en- partire dalle rivoluzioni proprie di quelli.
trati in una fase rivoluzionaria a partire dal Per studiare le rivoluzioni europee, è ne-
periodo del Consolato. Ma significa passare cessario ritrovare la voce dei diversi attori

14
Perché tornava a sostenere che si trattava di una lotta dell’aristocrazia contro l’aristocrazia.
15
Il termine è stato impiegato da Palmer e Godechot nel 1955. Ma, a sua volta, anche il termine da me
impiegato (rivoluzioni occidentali) non è adeguato. Il che dimostra quanto è difficile, in realtà, trovare un
denominatore comune per degli avvenimenti diversi e dispersi: in ogni caso è preferibile parlare di rivolu-
zioni, al plurale, anziché di «rivoluzione occidentale».
e comprendere quel che dicono alla luce gli studiosi stranieri19. Secondo loro, la re-
delle loro specifiche esperienze e dei loro pubblica batava (1795-1805) fu il prodotto
obiettivi, che sovente furono diversi da di una «rivoluzione di velluto»: non solo
quelli dei francesi. Così, i dibattiti parla- per l’aiuto della truppe francesi accampate
mentari dei Batavi permettono di compren- nel paese, ma anche perché la popolazione
dere non solo «chi» loro erano, ma anche olandese avrebbe brillato per la sua flemma.
«da dove» venivano e perché volevano quel Il radicalismo sarebbe inconcepibile nella
che volevano. Il discorso di un deputato repubblica della tolleranza. Tutti stereotipi
della provincia di Overijssel, ad esempio, ri- altrettanto vecchi quanto le tassonomie
vela tutt’altre priorità rispetto a quello di un nazionali. Invece, chi si prende la briga di
deputato della provincia di Olanda16, che esaminare da vicino gli archivi dei comitati
difende fortemente l’unità e l’indivisibilità. rivoluzionari, delle assemblee di quartiere
E poi, anche in questa vi sono delle ecce- e i giornali popolari, trova un’immagine
zioni, come Coert van Beyma, già reggente ben differente. Anche in Olanda, ci furono
frisone, divenuto robespierrista, che si pro- degli uomini e delle donne di idee radicali,
nuncia per il federalismo (opzione «consi- che lottarono per una maggiore giustizia,
derata» moderata) e la democrazia diretta per una maggiore uguaglianza e una vera
(opzione «considerata» giacobina). Per lui, libertà. Ma dato l’assetto del paese – molto
non sono incompatibili: ciò significa che il decentrato – raramente poterono far in-
134
radicalismo olandese non si cala forzata- tendere la propria voce fuori dalla propria
mente nello stampo preparato da Godechot municipalità, la quale in caso di pericolo
e Palmer17. Non vi è dubbio che lo stesso ac- chiamava le truppe francesi. Ed infatti, in
cade nelle altre repubbliche sorelle. quel periodo, ci furono ad Amsterdam tre
Un altro mito, al quale dedico un capitolo sollevazioni assai pericolose, per cui la mu-
del mio prossimo lavoro18, è stato diffuso nicipalità ne richiese l’aiuto20. Quella che
dagli stessi storici olandesi e ripreso poi da- era la debolezza della repubblica batava

16
Ciascuno difendeva gli interessi della propria provincia. L’Overijssel, avendo pochi debiti, non voleva
che fossero confusi con quelli della provincia di Olanda, che era pressoché fallita. Questo dimostra anche
quali fossero le priorità in un paese ove tutto era molto decentrato: operare per l’unità avrebbe rafforzato
lo Stato, ma anche rischiato di alienarsi 7 delle 9 province. Vi erano comunque coloro che restavano fedeli
alle proprie idee: di libertà o di unità, a dispetto dei propri interessi, ma senza pertanto essere «giacobini».
Nei fatti, c’erano tante tendenze quanti erano gli individui e, per quanto quelle agissero diversamente, le
resistenze erano più diversificate che in Francia.
17
Palmer, Godechot e altri storici francesi considerano i federalisti come dei moderati e gli unitari come
dei «giacobini» o dei democratici, cosa che è del tutto scorretta.
18
Nell’ambito di una ricerca sui trasferimenti culturali e politici tra Francia e Paesi Bassi tra il 1795 e il 1813,
finanziata dall’ente olandese per la ricerca scientifica (Nwo). Personalmente sono responsabile per l’epoca
rivoluzionaria e un dottorando da me diretto, Martijn van der Burg, si occupa del periodo successivo.
19
Ad opera di Simon Schama, per esempio, che non poteva concepire un radicalismo olandese autoctono.
Anche Pieter Geyl era della medesima opinione.
20
L’ultima grande sollevazione fu dell’agosto 1798 e fu rivolta contro il colpo di Stato di giugno e i provve-
dimenti annunciati subito dopo, cfr. il mio saggio Amsterdam en révolution. Un jacobinisme batave?, una
prima versione del quale è disponibile sul sito www.es.nl.
ne faceva, paradossalmente, la forza. Il de- ste specificità, qualunque esse siano: con-
centramento iniziale impedì l’aggregazione giunturali, strutturali o culturali. Facciamo
delle forze popolari. Non ci fu dunque un ricerca non su documentazione di secondo
raggruppamento potente assimilabile a o terza mano, ma negli archivi e nelle fonti
quello dei giacobini21. Lo stesso vale, del re- a stampa, «prima» di confrontare quegli
sto, per gli Stati Uniti, ove le società demo- eventi con la rivoluzione francese e «prima»
cratiche erano pure disperse e isolate. di ricondurli frettolosamente a realtà simili
Per concludere, dobbiamo esser grati a e a iniziative simili22. Soltanto allora sarà
Palmer e a Godechot per aver rimesso possibile operare una comparazione e uno
in discussione il mito della eccezionalità studio dei trasferimenti culturali. Una pra-
francese, ma spingiamoci più lontano di tica del genere porterà delle sorprese23, ma
loro e indaghiamo quel che di ciascuna anche un rinnovamento effettivo degli studi
rivoluzione è specifico e le ragioni di que- sulla storia delle rivoluzioni.

Jack A. Goldstone

Tra vecchio e nuovo: le rivoluzioni atlantiche


in una prospettiva globale
135

La classica opera di Robert R. Palmer, L’era movimenti d’indipendenza nazionale come


delle rivoluzioni democratiche, ha aperto la parti di un’unica vasta ondata di movimenti
strada allo studio comparativo delle rivo- di «libertà», che attinsero al linguaggio ed
luzioni europee e del Nuovo Mondo della all’immaginario della libertà e del patriot-
fine del Settecento1. Spaziando da Santo Do- tismo per modificare il fondamento dell’au-
mingo (Haiti) alla Polonia, Palmer ha consi- torità politica.
derato la molteplicità delle rivoluzioni e dei La tesi di Palmer conserva ancora il suo

21
Nel 1797, si assistette al diffondersi in tutto il paese delle «Società per l’unità e l’indivisibilità», ma il
governo le sorvegliava da vicino e, nella primavera del 1798, dopo che la Costituzione era stata accettata,
esse si sciolsero.
22
Un buon esempio di conclusione sbrigativa ci è fornita da L. Jaume, che legge nel riferimento all’«Essere
supremo», presente nella Costituzione batava del 1798, un segno di simpatia per l’incorruttibile e nel pri-
mato dell’eguaglianza coglie lo spirito giacobino. In realtà, il riferimento all’«Essere supremo» non data
dalla rivoluzione, ma la precede. Quanto all’eguaglianza, a partire dalla Riforma e da Locke, essa è sempre
stata la prima rispetto agli altri diritti naturali, perché Dio ci ha creati tutti uguali: da questa eguaglianza
naturale discendono gli altri diritti. E in questo non c’è niente di robespierrista, cfr. Les déclarations des
droits de l’homme du débat 1789-1793 au préambule de 1946. Textes préfacés et annotés par Lucien Jaume,
Paris, Flammarion, 1989, pp. 315-317.
23
Per esempio, a Napoli, dove i rivoluzionari misero il culto di San Gennaro al servizio della propria
causa, e persuasero i generali francesi ad assistere alla messa o alle processioni. O anche in Olanda, dove
le fazioni erano in gran numero e non disdegnavano di rilanciare a turno le proprie pretese, nonostante i
cliché sulla moderazione olandese.
1
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, Milano, Rizzoli, 1971 [Princeton, 1959 e 1964].
valore, nella misura in cui filoni ideologici tigiani tradizionali e da contadini, non dai
comuni hanno effettivamente connesso il nuovi operai industriali, mentre le rivolte
linguaggio ed i programmi rivoluzionari su delle élite erano dirette prevalentemente
entrambe le sponde dell’Atlantico del XVIII da esponenti delle professioni liberali e da
secolo. Allo stesso tempo, questa interpreta- membri recenti della nobiltà o da aspiranti
zione è stata criticata sia per aver trascurato tali, non dalla borghesia mercantile o indu-
le peculiarità dei diversi movimenti nazio- striale.
nali che per aver posto l’accento, come mo- Le cause fondamentali delle principali ri-
tore del cambiamento, sulle idee comuni, a voluzioni – nelle colonie americane dell’In-
spese dei più fondamentali rapporti sociali ghilterra nel 1776; in Francia nel 1789; nel-
ed economici2. l’America Latina negli anni 1820; nell’Im-
In questa occasione, vorrei collocare i quat- pero Austro-Ungarico, in Germania e, an-
tro decenni di rivoluzione indagati da Pal- cora nel 1848, in Francia; in Cina negli anni
mer (1760-1800) in un contesto di eventi 1850 (la rivolta dei Taiping) ed in Giappone
non solamente europei, ma globali. Questa negli anni 1860 (la «restaurazione» Meiji)
prospettiva mostrerà, da un lato, come le – furono combinazioni diverse di problemi
rivoluzioni atlantiche, nei loro presupposti fiscali dello Stato, di conflitti tra le élite, cau-
economici e sociali, furono imparentate con sati dal cambiamento dei modelli di mobi-
una più ampia ondata mondiale di rivolta lità sociale, e da crisi di sussistenza dovute
136
e rivoluzione e, dall’altro, come esse, nella alla caduta dei salari reali e/o alla scarsità
loro dimensione ideologica, operarono una di terra per i contadini. Le crisi più catastro-
rottura con il passato specificamente atlan- fiche (la Francia nel 1789, la Cina negli anni
tica. 1850) furono indotte dall’intreccio di tutti e
tre questi fattori, mentre gli altri casi da due
■ Le onde lunghe delle fattori solamente. Ciò che comunque tutti i
rivoluzioni globali casi ebbero in comune fu il fatto che scon-
Come ho mostrato nel mio primo studio, volsero stati o imperi agrari. In tali imperi,
la rivoluzione francese del 1789 fu parte la stabilità dipendeva dal mantenimento di
di un’ondata di rivoluzioni globali che, nel un equilibrio tra spese dello Stato e livelli di
periodo che va all’incirca dal 1770 al 1870, tassazione accettabili, tra aspirazioni e re-
si estese dal Nuovo Mondo alla Cina ed al sponsabilità dei differenti settori delle élite
Giappone3. Tale ondata, però, non fu in ge- e tra popolazione operaia e contadina e di-
nere determinata dai nuovi soggetti emersi sponibilità di terra e di lavoro.
per la prima volta nel XVIII secolo. Le sol- Il fatto che questi sconvolgimenti si verifi-
levazioni popolari erano composte da ar- carono negli stessi decenni in gran parte

2
C. Matson, The Atlantic Economy in an Era of Revolutions: An Introduction, «William and Mary Quar-
terly», 2005, 3, pp. 357-364.
3
J.A. Goldstone, Revolution and Rebellion in the Early Modern World, Berkeley, University of California
Press, 1991.
dell’Eurasia è dovuto in parte alla crescita parte indotta dall’elevata crescita demogra-
demografica che il continente conobbe nel fica verificatasi nel continente eurasiatico
corso del Settecento e del primo Ottocento. tra il XVI secolo e la metà del XVII, che,
Queste popolazioni operaie e contadine, analogamente alla successiva, compresse i
sottoposte a pressione, accrebbero il nu- salari, aumentò la scarsità di terra, allargò
mero dei gruppi di élite in competizione il numero di coloro che reclamavano posi-
per raggiungere posizioni dominanti ed in- zioni di potere e spinse al limite la capacità
crementarono i costi dell’amministrazione degli stati di raccogliere tasse sufficienti per
e le richieste di benefici e di cariche rivolte sopperire alle spese crescenti.
agli Stati. Laddove i governanti dovevano Ci sono molti altri aspetti che queste due
affrontare anche debiti accumulati, o im- ondate di rivolte e rivoluzioni hanno in
previsti militari, o coinvolgimenti in con- comune ma che, in questa sede, non ho lo
flitti loro contigui, essi divennero vulnera- spazio per affrontare, compresa la crescita
bili alle proteste delle élite o antifiscali, le delle città e delle reti commerciali, l’acce-
quali, spesso, fomentarono rivolte popolari lerazione della mobilità sociale verso l’alto
e culminarono in rivoluzioni. e verso il basso, la diffusione dei pamphlet
Indubbiamente, in ciascun paese i caratteri come forma di letteratura politica e le lotte
specifici dei conflitti tra i diversi settori del- sulla tassazione. Ciò che colpisce, tuttavia, è
l’élite, le vulnerabilità dell’amministrazione l’ampiezza del crollo delle amministrazioni
137
statale, e le dinamiche della mobilitazione statali indotto da rivolte di élite e popolari
popolare variarono a seconda dei contesti in due ondate ben distinte che, tra il 1580
locali. Ogni rivolta o rivoluzione ebbe ideo- e il 1660 e poi ancora tra il 1770 e il 1860,
logie unificanti diverse da luogo a luogo, interessarono tutto il continente eurasiatico
determinate sia dalle tradizioni locali di e in contesti economici e sociali eccezional-
resistenza all’autorità che dalle teorie del mente simili.
cambiamento sociale elaborate dalle élite. Sotto questo aspetto, le grandi «Rivoluzioni
Sotto questo profilo, l’ondata di rivolte e ri- Atlantiche» di Palmer non furono un feno-
voluzioni che si registra tra la fine del XVIII meno solamente atlantico, bensì parte di
e l’inizio del XIX secolo ebbe molto in co- una tipologia plurisecolare e mondiale di
mune con quelle verificatesi tra fine Cin- rivolte e rivoluzioni. Anche i casi più ati-
quecento e primo Seicento. Anche quest’ul- pici tra quelli considerati da Palmer – la ri-
tima ondata – che comprende le rivoluzioni volta degli schiavi ad Haiti e la rivoluzione
inglesi e la Fronda, le rivolte nell’Impero dei «patrioti» olandesi – furono innescati
spagnolo, dal Portogallo a Napoli, la caduta dal travalicare delle crisi amministrative e
della dinastia Ming in Cina e le rivolte de- delle guerre rivoluzionarie in Francia. Le
gli jelali nell’Impero Ottomano – trovava le peculiari strutture economiche e politiche
proprie origini in crisi militari e fiscali dello di Haiti e dell’Olanda – governate rispetti-
Stato, in conflitti tra i vari gruppi delle élite e vamente da ex-schiavi e dalla borghesia, in
nelle sollevazioni popolari per la mancanza un mondo guidato al contrario ancora dalle
dei mezzi di sussistenza. Anch’essa fu in nobiltà nazionali o da élite di proprietari ter-
rieri – produssero in questi casi dinamiche diante la lettura diretta e la riflessione sulla
rivoluzionarie uniche. Probabilmente però, Bibbia, mentre i principi rinascimentali
senza le più grandi crisi politiche e sociali costruirono amministrazioni più centraliz-
delle colonie britanniche e della Francia zate e più potenti sulla base del diritto ro-
alla fine del Settecento, in questi due casi mano. Dal Trecento al Seicento, la ragione
non ci sarebbe stata alcuna rivoluzione. riplasmò quindi la società europea, ma lo
Possiamo quindi considerare anche questi fece restando subordinata allo scopo di per-
due casi singolari come prodotti delle crisi fezionare la ricerca di salvezza dell’uomo e
sociali e politiche globali della fine del XVIII quella di maggiore autorità da parte dello
secolo e dell’inizio del XIX. Stato.
Le ideologie che caratterizzarono le guerre,
■ L’unicità delle rivoluzioni le rivolte e le rivoluzioni del Cinque e Sei-
atlantiche cento rimasero pertanto incentrate sulla
Se fin qui ho sottolineato gli aspetti che questione religiosa e su quella, gemella,
accomunano le grandi «Rivoluzioni Atlan- delle libertà tradizionali. La prima riflet-
tiche» di Palmer ad ondate mondiali più teva ansie terribilmente serie circa il modo
ampie di rivolta e rivoluzione, sarebbe tut- migliore di raggiungere la salvezza; la se-
tavia sbagliato dire che esse furono sem- conda esprimeva vive preoccupazioni per
plicemente «più» uguali alle altre. Se esse le crescenti pretese dei monarchi di esten-
138
furono simili ad altre sul piano delle cause dere il proprio potere e disporre delle pro-
economiche e sociali, la loro comunanza prietà dei sudditi.
ideologica evidenziata da Palmer è proprio Tuttavia, nel Seicento, la ragione cercò pro-
ciò che le rende uniche, anche se non co- gressivamente di liberarsi da questi vincoli
stituisce una spiegazione sufficiente per la e diventare una guida per la vita degli uo-
loro esplosione. mini, a prescindere da ogni Chiesa o Stato.
Se il Medioevo rappresentò un’epoca in cui Dalle osservazioni di Galileo, Keplero e
i pensieri e le azioni umane erano guidate Boyle alle filosofie di Cartesio e Spinoza, gli
dalla Fede, il Rinascimento segnò l’inizio di esperimenti nutriti dalla ragione comincia-
un’era in cui l’umanità venne sempre più rono a sfidare il primato delle autorità spi-
guidata dalla Ragione. Inizialmente la ra- rituali o temporali quali arbitri della cono-
gione fu impiegata per ricostruire la vera scenza e della morale. Questo movimento
natura della civiltà classica: la filologia, avrebbe raggiunto il suo apogeo nel XVIII
la pittura e l’architettura restaurarono ed secolo con l’opera di Kant, che pose la ra-
emularono i testi ed i monumenti del pas- gion pura e pratica al centro della specu-
sato4. Successivamente essa fu messa al ser- lazione filosofica. Dalla sfida di Hobbes ad
vizio della religione e dell’amministrazione Aristotele, ai trattati di Locke sul governo
statale: la Riforma ricercò un cristianesimo civile ed agli studi di Rousseau sull’edu-
più puro che potesse essere appreso me- cazione e sul contratto sociale, l’emergere

4
T. Rabb, The Last Days of the Renaissance, New York, Basic Books, 2006.
della ragione come guida del pensiero e del per definire qualcosa di nettamente nuovo.
comportamento si estese anche al campo La «Libertà» non è più il privilegio tradi-
della politica. Dal Seicento in poi, tanto i zionale di una consuetudine locale, bensì
sapienti quanto i possidenti cercarono di una libertà universale, consistente nell’es-
fondare il potere di governo su principi ra- sere soggetti solo alle autorità liberamente
zionali, e non sull’autorità tradizionale od il scelte dai cittadini. «Patriota» non indica più
diritto divino dei re. qualcuno che ama e difende la sua nazione,
All’epoca della rivoluzione americana tale bensì colui che cerca di arrecare ed assicu-
movimento era forte, tuttavia non ancora rare la libertà (nella sua nuova accezione
compiuto. I rivoluzionari delle colonie in- universale) al proprio paese. «Virtù» non
glesi si appellavano alla ragione, ma pure significa più semplicemente conformità a
rimproveravano a Giorgio III di aver cal- codici morali tradizionali o sacrificio per la
pestato, in quanto sudditi inglesi, le loro difesa della comunità; essa è la devozione
libertà tradizionali e intesero giustificare la ad un ordine sociale e politico razional-
loro ribellione mediante l’appello a Dio e ai mente fondato.
diritti naturali donati agli uomini dal loro In breve, le «Rivoluzioni Atlantiche» pon-
Creatore. Ma con la rivoluzione francese, gono per la prima volta la ragione laica a
appena un decennio dopo, per la prima volta fondamento dell’opposizione alle autorità
il predominio della ragione appare pieno. I religiose e tradizionali, una ragione incar-
139
rivoluzionari francesi non si appellarono nata nelle nuove costituzioni che esse, così
più a Dio e la difesa delle libertà tradizio- spesso, produssero. Il merito de L’era delle
nali del 1788 cedette rapidamente il passo rivoluzioni democratiche di Palmer è di
all’insistenza su «diritti dell’uomo» del tutto focalizzare la nostra attenzione su quanto
astratti ed universali. L’opera di Thomas rapidamente ed ampiamente si è diffusa la
Paine su I diritti dell’uomo afferma in modo nuova ideologia della ragione laica come
fragoroso che solo la ragione può guidare principale guida dell’organizzazione poli-
la riorganizzazione della società finalizzata tica. Sarebbe errato considerare queste ri-
al bene dell’umanità. Invece di sostenere la voluzioni come completamente differenti
ricerca della salvezza e l’espansione della dalle molte altre rivolte e rivoluzioni che
potenza dello stato, la ragione diviene ora il interessarono il continente eurasiatico tra
fondamento dell’opposizione e del sovverti- XVII e XIX secolo: le loro cause economi-
mento dell’autorità religiosa e politica. che e sociali di fondo furono tutt’altro che
L’elemento chiave delle rivoluzioni atlan- nuove. Eppure, è solo comprendendo le
tiche non è quindi il loro diffuso uso dei sorprendenti innovazioni ideologiche sca-
termini «libertà» e «patriota». La loro spe- turite dalle «Rivoluzioni Atlantiche» che
cificità consiste piuttosto nell’aver riformu- possiamo apprezzare il loro ruolo cruciale
lato i termini «Libertà», «Patriota» e «Virtù» nel dar forma al mondo contemporaneo.
Simone Neri Serneri

Le rivoluzioni di Palmer

Alla metà degli anni Cinquanta, pareva di ispirazione marxista – ora con sche-
tornato ad aleggiare lo spettro della rivolu- matismi dottrinari, ora con ricostruzioni
zione. Invero, in Europa lo spettro era più originali – andavano additando nelle rivo-
consistente ed attuale della rivoluzione, luzioni le crisi drammatiche, ma feconde,
anche se l’assurgere dell’Unione Sovietica con cui classi e idee nuove irrompevano
a potenza mondiale, la lacerazione del con- sulla scena della storia. In quella francese,
tinente, la forza dei partiti comunisti, suo- in particolare, riconoscevano l’evento fon-
navano al mondo occidentale come una dante della storia contemporanea, perché
minaccia incombente. Analogamente si aveva sancito il crollo dell’antico regime
temeva che altrove, in Asia e in Africa spe- e l’emergere della società borghese-capi-
cialmente, le istanze di liberazione scaturite talistica, ma pure di quelle classi popolari
dalla crisi del dominio europeo facilmente destinate a dominare con forza crescente
si tramutassero in ideologie rivoluzionarie i centocinquant’anni successivi e, almeno
variamente egualitaristiche, socialisteg- secondo alcuni, a trovare nella successiva
140 gianti e illiberali, quando non dichiarata- e più «autentica» rivoluzione del 1917 una
mente comuniste. prima vittoriosa affermazione. Il sostanziale
Così, anche gli storici erano tornati ad in- eccezionalismo della vicenda francese, pur
terrogarsi sulla natura delle rivoluzioni, temperato dal riconoscimento degli echi,
anzitutto di quelle che le maggiori potenze delle ripercussioni, delle conseguenze
occidentali portavano nel cuore della pro- economiche e militari, fu sancito da Hob-
pria storia. Senza dimenticare, però, che sbawm1 con l’immagine – fortunatissima e
anche un convitato di pietra turbava quanti ormai canonica – dei due vulcani, l’uno in
ambivano a rinsaldare le fondamenta della Francia e l’altro nelle isole britanniche, da
democrazia liberale: quel nazifascismo che cui sarebbe sgorgato il magma della «du-
plice rivoluzione», appunto, di qua politica,
pochi anni prima aveva sconvolto la civiltà
di là economica, poi consolidatosi nel basa-
europea.
mento della società borghese-capitalistica.
Senza attendere quella affascinante inter-
■ Le scuole pretazione, in casa liberale si era da tempo
Come è ben noto, convergendo con i più avvertito come la consolidata tradizione
agguerriti eredi della storiografia classica che aveva riassorbito nella storia delle na-
della rivoluzione, i Lefebvre e i Labrousse zioni europee il trauma della rivoluzione
prima, quindi i Soboul e i Rudé, gli studiosi francese, a sancirne l’indubbia grandiosità

1
E.J. Hosbawm, Le rivoluzioni borghesi, 1789-1848, Milano, Il Saggiatore, 1963 [London, 1962]. Il titolo
dell’edizione originale era più significativo, perché al singolare: The Age of Revolution.
assieme alla non ineluttabilità delle rivo- ■ Rivoluzioni e democrazia
luzioni stesse2, avesse perso ogni vitalità, I fantasmi del presente rinsaldavano le mi-
avendone la guerra civile europea dimo- tologie nazionali e gli eccezionalismi, con
strata l’incapacità di arginare sia il demone esiti liquidatori inaccettabili per chi, come
del nazionalismo interno sia il risorgere di Robert Palmer, pur non indifferente al clima
pulsioni egualitarie e rivoluzionarie3. ideologico del momento, era tra i più pro-
Argine ben più robusto si era dunque cer- mettenti studiosi statunitensi di storia della
cato rinserrandosi nel mondo anglosas- rivoluzione francese. Fin dal titolo, la sua
sone e individuando i fondamenti presso- ponderosa opera5 sintetizzava la tesi, ma
ché esclusivi delle democrazie occidentali soprattutto la sfida concettuale proposta.
nelle «rivoluzioni britanniche», che tra il Anzitutto, la rivoluzione non è esito obbli-
XVII e il XVIII secolo, tra la Gran Bretagna gato di eventi insurrezionali, ma dipende
e gli Stati Uniti d’America, avevano sancito dalle forze in campo, dalle loro strategie ed
l’affermazione degli ordinamenti liberali, alleanze. Né è sempre il motore della storia,
costituzionali e rappresentativi. Rivolu- perché assetti consolidati possono mutare
zioni con violenza a bassa intensità, gra- per integrazione di istanze e soggetti nuovi.
dualiste negli obiettivi, sostanzialmente La rivoluzione evoca un’immagine «sgra-
rispettose dell’ordine sociale, immuni da devole», ma è «come la guerra: scoppia
derive autoritarie. Esemplari e vincenti, al quando ogni compromesso diventa insoste-
141
contrario di quella francese, dal cui radica- nibile»6. Era accaduto negli ultimi quattro
lismo politico e sociale sarebbero scaturiti decenni del XVIII secolo, quando un moto
prima il Terrore, poi le reazioni bonapar- rivoluzionario aveva investito larga parte
tiste, infine la restaurazione monarchica. dell’Europa e dell’America settentrionale e
Anzi, a voler essere coerenti, sostenne in alcuni di quei paesi la sua vittoria aveva
– non da solo – Talmon, l’intero totalita- mutato definitivamente l’ordine politico e
rismo contemporaneo. Varcare l’Oceano, sociale e i suoi valori. Quella rivoluzione
dunque, per incardinare nella «comunità non fu un demone, bensì il processo do-
atlantica» – allora come ora – le origini loroso e violento da cui nacquero i nostri
della western civilisation4. ordinamenti statali.

2
Sinteticamente espressa in C. Curcio, Le probléme historique, in R.R. Palmer e J. Godechot, L’Europe du
XIX. et XX. siécle (1815-1870). Problémes et interpretations historiques, Milano, Marzorati, 1959, pp. 122-
129.
3
Sulla riflessione critica avviata nella storiografia europea, cfr. M. Verga, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI,
Roma, Carocci, 2004, pp. 117 ss.
4
Un percorso riproposto ancora di recente in R. Vivarelli, I caratteri dell’età contemporanea, Bologna, Il
Mulino, 2005, specialmente alle pp. 101 ss.
5
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, Milano, Rizzoli, 1971 (1128 pp.). Anche in questo caso
l’edizione originale portava il più significativo titolo al singolare, in The Age of the Democratic Revolution;
il primo volume [Princeton, 1959] recava il sottotitolo The Challenge ed il secondo [1964] quello di The
Struggle.
6
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni, cit., pp. 20-22.
Inoltre, gli eventi che portarono alla nascita e il prestigio sociale come usurpazione9.
degli Stati Uniti d’America, al crollo della Quella lacerazione sociale aveva assunto
monarchia francese, come gli altri moti ben presto carattere rivoluzionario, alimen-
che scossero vari paesi europei, dalla Sviz- tata nei diversi paesi da molte e sovrappo-
zera alla Polonia, dall’Italia ai Paesi Bassi, ste ragioni: dagli esiti della guerra dei Sette
alla stessa Gran Bretagna, ebbero cause, anni alla crisi fiscale delle monarchie as-
protagonisti, rivendicazioni, dinamiche ed solute, dalle tensioni economiche alla «ri-
esiti diversi, ma ebbero carattere unitario scossa aristocratica», fino alla forza espan-
perché accomunati da «obiettivi e principi siva di moti rivoluzionari scoppiati altrove.
simili». Ma essa aveva radici più profonde e comuni
Questa comunanza fece della rivoluzione nella crisi dell’antico regime, in quanto fon-
un fenomeno «epocale» e connotò quei de- dato sul dominio di una élite, più o meno
cenni – ed invero anche alcuni successivi7 ampia, che governava, e si riproduceva, in
– come «età della rivoluzione», anche se nome e per mezzo di condizioni di privile-
non ovunque vittoriosa. Epocale perché ne gio e particolarismo sociale, economico e
«fu completamente travolta» la «civiltà oc- giuridico. A questa «aristocrazia», che non
cidentale nel suo complesso», nel periodo coincideva con la nobiltà di sangue e invece
della «civiltà atlantica», definizione, aggiun- incorporava di volta in volta e di paese in
geva Palmer, più appropriata all’epoca che paese altre figure sociali, come grandi fun-
142
al nostro tempo8. La specificazione «nel suo zionari ed ecclesiastici, proprietari terrieri,
complesso» rimarcava l’unitarietà, tempo- mercanti e beneficiari di residui privilegi
rale e spaziale, del moto rivoluzionario, ma feudali, era andato contrapponendosi uno
valeva anche a distinguersi da chi spostava schieramento altrettanto composito, ma as-
oltre Atlantico il baricentro della «civiltà» sai più vasto, accomunato dall’insofferenza
e delle «rivoluzioni», dimenticando quanto per quel regime di privilegi. Imperniato su
accaduto in Francia come nel resto del con- una nascente borghesia dalle mille sfac-
tinente e – in quegli stessi anni – nelle isole cettature e interessi, agrari e commerciali,
britanniche. professionali e intellettuali, finanziari e
Era accaduto, come Palmer mostrava con imprenditoriali, esso pure si allargava, a
una approfondita disamina degli studi di- comprendere tanto aristocratici in cerca di
sponibili, che a partire dal 1760 in «quella nuova legittimazione quanto – in misura e
civiltà» si era rapidamente incrinata la le- con affinità d’intenti assai mutevoli – i ceti
gittimazione delle istituzioni e dei poteri popolari delle città e delle campagne.
costituiti e, mentre declinava il senso di Cruciale, per l’esito del moto rivoluzionario,
obbligazione nei confronti del sovrano, le fu il fatto che nel suo corso, quasi sempre
leggi erano vissute vieppiù come arbitrio apertosi come contrasto tra i sovrani più o

7
Cfr. R. Palmer e J. Colton, Storia del mondo moderno. I. Dalla nascita dell’Europa alla rivoluzione fran-
cese, Roma, Editori Riuniti, 1985 [New York, 19846], pp. 343 ss., 359.
8
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni, cit., p. 14.
9
Ivi, p. 33.
meno assoluti e le rappresentanze corpora- mento, dallo stesso assolutismo monarchico,
tive di antico regime controllate dagli «ari- quel senso comune si era forgiato nel fuoco
stocratici», queste ultime furono investite degli eventi, enucleandosi ed imponendosi
– e in vari casi spazzate via – da una dirom- in forza dell’asprezza stessa del conflitto. Di-
pente richiesta di «democrazia». Generica, vampato nelle colonie americane, l’incendio
variegata, talora contraddittoria, essa sorse si era propagato all’intero «mondo euro-ame-
per chiedere l’abbattimento dei privilegi, ricano» e vi aveva diffuso il principio che «il
l’allargamento della rappresentanza, la fine potere pubblico doveva provenire da coloro
dell’esclusione e delle ingiustizie. Ma pre- sui quali veniva esercitato»11. La rivoluzione
sto, nel radicalizzarsi del conflitto imposto americana giocò dunque un ruolo cruciale,
dalle resistenze delle aristocrazie e, poi, dal non solo per le ripercussioni ideali, militari
divampare dello scontro armato, divenne ed economiche, ma perché dimostrò per
affermazione di eguaglianza e dunque di la prima volta la possibilità di attuare quei
sovranità su questa fondata. principi, avviando un processo costituente
In quel quarantennio, queste istanze, e le per iniziativa popolare e fondando su que-
istituzioni che intesero incarnarle, oppo- sta la sovranità del proprio ordinamento12.
sero le forze della rivoluzione a quelle della Di contro alla storiografia «imperiale», che
controrivoluzione, in tutti i paesi «atlantici», ne aveva fatto un episodio interno al mondo
anche se – in ciascuno di quelli – diversi anglosassone, e a quella «progressista», che
143
furono gli obiettivi specifici e complessivi, ne aveva sminuito fortemente la portata, ma
come la composizione sociale, le forze e soprattutto distinguendosi dall’eccezionali-
dunque le capacità di successo dell’uno o smo della coeva storiografia «del consenso»,
dell’altro schieramento. Tuttavia, all’occhio laudatrice di un’America intrinsecamente
dello storico, appariva chiaro il denomi- «borghese» e perciò democratica nonché
natore comune di una democrazia intesa protagonista di una «rivoluzione conserva-
non come rappresentanza allargata, limi- trice» a tutela delle sue libertà originarie,
tazione dei poteri, elencazione di libertà, Robert Palmer rimarcava il carattere rivolu-
costituzionalismo, governo monarchico o zionario della vicenda americana e lo indivi-
repubblicano, bensì come affermazione duava tanto nella natura violenta e intestina
dell’eguaglianza dei diritti e doveri indivi- del conflitto tra patrioti e lealisti, ovvero tra
duali quale fonte della sovranità politica e i «democratici» e gli «aristocratici», dell’élite
della legittimità della legge10. imperiale britannica come della società co-
Ispirato dai Lumi, dal puritanesimo o financo loniale, quanto – anticipando Bernard Bai-
dalle tradizioni corporative e, per rispecchia- lyn e Gordon Wood13 − nella novità radicale

10
Ivi, pp. 1147-1148.
11
Ivi, p. 207.
12
Ivi, p. 238.
13
B. Bailyn, The Ideological Origins of the American Revolution, Cambridge, Mass., Harvard University
Press, 1967; G.S. Wood, I figli della libertà. Alle radici della democrazia americana, Firenze, Giunti, 1996
[New York, 1972]; Id., The Radicalism of the American Revolution, New York, Random, 1991.
dell’affermazione per via costituente, tra la denza di libertà e potere e poi, per difendere
Dichiarazione di indipendenza e la Costitu- questo principio, tradusse in pratica «la teo-
zione federale del 1787, di un potere sovrano ria del popolo come potere costituente»18.
fondato sulla volontà popolare14. Su questa strada, incontrò la guerra, che
L’originalità dell’esperienza americana15 in altri paesi rafforzò il dominio «aristocra-
non impediva di cogliervi nel «potere costi- tico», ma alla rivoluzione diede carattere
tuente» agito dal «popolo» il tratto comune ancor più democratico e ne diffuse le idee,
con i moti europei e specialmente con la anche laddove infine la contro-rivoluzione
pur eccezionale vicenda francese. Diversa- sarebbe prevalsa19.
mente dai fautori di una lettura «costituzio- Non ci fu un internazionalismo democra-
nalista» della rivoluzione americana – da tico centralmente diretto, ma la guerra,
McIlwain ad Hannah Arendt16 – Palmer almeno fino ai successi napoleonici di fine
spostava l’attenzione da una forma costitu- secolo, acuì e ovunque inasprì il conflitto tra
zionale, che si voleva funzionale anzitutto «aristocratici» e «democratici», tra rivolu-
alla tutela delle libertà, ad un processo co- zione e contro-rivoluzione. Fu un conflitto
stituente guidato dalla sovranità popolare, trasversale, che si intrecciò a quello tra gli
che egli vedeva rinnovarsi, certo su altre stati e solo in taluni casi infranse il lealismo
premesse e con altri esiti ideali, sociali ed interno. Ovunque, però, contestò il potere
istituzionali, ma con analoga radicalità, delle élite in nome di istanze «democrati-
144
nella lunga e drammatica rivoluzione di che», dalla Polonia – di cui si repressero i
Francia tra l’89 e la fine del secolo. pur cauti esperimenti costituzionali consi-
Rivoluzione «senza eguali sotto molti derandoli pericolosi non solo per l’impero
aspetti»17 e dagli effetti incommensurabili, russo, ma anche per l’austriaco e la Germa-
la francese procedette sotto la spinta della nia – fino alla Gran Bretagna, significativa-
sollevazione contadina, timorosa della re- mente additata come capofila della «contro-
pressione monarchica, incalzata dai ra- rivoluzione» e modello di conservatorismo
dicali, e, tra l’89 e il ’92, affermò – come i filosofico e istituzionale per tutta l’Europa,
rivoluzionari americani – prima la coinci- capace però di contemperare al meglio re-

14
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni, cit., pp. 211-213; 237 ss.
15
T. Bonazzi, Introduzione, in Id. (a cura di), La rivoluzione americana, Bologna, Il Mulino, 19862, pp.
7-11.
16
Il riferimento è a C.H. McIlwain, La Rivoluzione americana: una interpretazione costituzionale, Bologna,
Il Mulino, 1965, apparso originariamente nel 1923, ma ripubblicato con maggior fortuna nel 1958 [Ithaca,
N.Y], e a H. Arendt, Sulla rivoluzione, Milano, Comunità, 1983 [New York, 1963]. Su entrambi cfr. N. Mat-
teucci, La rivoluzione americana: una rivoluzione costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1987. Un raffronto
coevo tra l’opera di Palmer e quella di Arendt era già nella recensione di J.P. Greene ad entrambi i volumi
apparsa in «The William and Mary Quarterly», 1965, luglio, pp. 498-504. Infine, per una riflessione sulle
implicazioni costituzionali delle due rivoluzioni, cfr. P. Raynaud, America e Francia: due rivoluzioni a con-
fronto, in F. Furet (a cura di), L’eredità della Rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza, 1988.
17
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni, cit., p. 481.
18
Ivi, p. 590.
19
Ivi, pp. 551-552, 567.
pressione e integrazione per tutelare la Old in ciascun paese considerato. Obiezioni cui
Corruption dalla pur consistente mobilita- in qualche modo Palmer intese rispondere,
zione democratica interna20. richiamandosi alle quattro rivoluzioni con-
fluenti indicate da Lefebvre, per spiegare il
■ Al di là dei confini successo o meno del moto «democratico»
Scompigliando le carte, e scontentando un nei diversi paesi23. Senza dubbio, anche in
po’ tutti, Palmer non negava il rilievo, la quell’occasione, il suo racconto suonava as-
complessità, le specificità21, bensì l’ecce- sai più convincente nel descrivere la crisi
zionalità del caso francese, esaltata invece delle oligarchie, che nel dimostrare, certo
dalla ricchezza di soggetti, dinamiche e con eccessivi entusiasmi, il rigoglio delle
implicazioni che tendenze storiografiche idee democratiche nei giardini d’Europa.
pur diverse e contrastanti non mancavano Lo stand by di quelle idee nel mondo tede-
– allora e in seguito – di scovare. Difatti, sco era forse il sintomo più eloquente del
se oltreoceano agli iniziali apprezzamenti rischio, non sempre eluso, di intendere in
per le qualità sintetiche e sinottiche seguì modo esclusivo e cogente il nesso tra ri-
un sostanziale oblio, in Europa un intenso fondazione della sovranità e affermazione
fuoco di sbarramento investì il metodo e il della democrazia.
merito22. Ovvero la possibilità di una com- Peraltro, egli non ambiva a enucleare una
parazione, anche solo intra-europea, basata qualche fase «democratica» da inserire ne-
145
sul parametro di un moto rivoluzionario e gli schemi socio-storici delle rivoluzioni,
«democratico», facilmente smentito dalla sulla scia di Crane Brinton24 o di chiunque
palese eterogeneità dei contesti sociali, altro, né a individuare i fattori scatenanti,
delle forze in campo, delle rivendicazioni gli attori sociali o il tasso di radicalismo
agite, della radicalità e gli esiti del conflitto delle rivoluzioni. Neppure ad assemblare

20
Ivi, pp. 1028 ss.
21
Si veda in proposito anche la discussione degli studi di Soboul, Cobb e Rudé, in R.R. Palmer, Popular
Democracy in the French Revolution: Review Article, «French Historical Studies», 19602, 4.
22
Cfr. le recensioni di D. Ogg, «Journal of Southern History», 1960, 1; P.W. Buck, «The American Slavic
and East European Review», 1960, 2; J.F. Ramsey, «Journal of Politics», 1960, 2; W.L. Dorn, «Political Sci-
enze Quarterly», 1960, 3; C. Brinton, «Journal of Modern History», 1960, 2; G. Bruun, ivi, 1965, 3; P. Beick,
«American Historical Review», 1965, 4; si veda inoltre B. Mazlish, The French Revolution in comparative
Perspective, «Political Science Quarterly», 1970, giugno; W.E. Lipsky, Comparative Approaches to the Study
of Revolutions: a historiographic Essay, «The Review of Politics», 1976, ottobre; M. Cox, A Reassessment of
R. R. Palmer’s The Age of Democratic Revolution, «The History Teacher», 1991, maggio. In Europa cfr. le re-
censioni di M. Reinhardt, «Annales historiques de la Révolution francaise», 1960, 2, e A. Cobban, «History»,
1960, 2, pp. 234-239, e le considerazioni di A. Saitta, Presentazione ai lettori italiani, e A. Goodwin, Introdu-
zione, entrambe in A. Goodwin (a cura di), Storia del Mondo Moderno. VIII. Le rivoluzioni d’America e di
Francia (1763-1793), Milano, Garzanti, 1969 (edizione italiana della New Cambridge Modern History pub-
blicata presso Cambridge University Press nel 1965), rispettivamente alle pp. VIII ss. e 3-4, nonché quelle
di G. Rudé, L’Europa rivoluzionaria, 1783-1815, Bologna, Il Mulino, 1985 [London, 1964], pp. 47, 208-210.
23
L’aristocratica, la borghese, la contadina e quella del proletariato urbano, il cui convergere avrebbe
determinato il successo della rivoluzione francese, cfr. R.R. Palmer, Presupposti sociali e culturali dell’età
rivoluzionaria, in A. Goodwin (a cura di), Storia del Mondo Moderno. VIII, cit.
24
Il richiamo è al fortunato C. Brinton, Anatomy of Revolution, New York, Norton, 1938, riedito nel 1952
e di nuovo nel 1965.
l’eterogeneo mondo euro-americano in un ricostruzioni apparivano sommarie e forse
cumulo di simultanei rivolgimenti, tanto sfocate rispetto ai casi di volta in volta consi-
socio-economici quanto politico-culturali, derati e dunque inutili a costruire un quadro
che avrebbe connotato quella generale «età comparativo. Ma Palmer non comparava
delle rivoluzioni» salutata da Jacques Gode- per conformare. Evidenziava quel che era
chot – il compagno di strada a lui troppo in vario grado condiviso, seppur declinato
facilmente assimilato – con entusiastiche nelle accezioni più variegate: dal ruolo do-
semplificazioni riecheggianti le coeve teo- minante di élite chiuse al diffondersi del-
rie della «modernizzazione»25. l’egualitarismo «democratico», passando per
Palmer si sforzava di guardare al di là dei la crisi degli imperi più o meno assolutistici,
confini entro i quali, proprio a partire da quel la necessità di riforme istituzionali, il for-
secondo Settecento e per i due secoli a venire, marsi di una sfera pubblica colta, il prota-
lo stato nazionale avrebbe saldamente im- gonismo di classi «borghesi» ormai mature
brigliato le società «occidentali» e, con esse, per esercitare un ruolo politico non margi-
pure gli storici. Parimenti, ambiva a ritrovare nale, le inedite capacità di mobilitazione dei
quella circolazione e soprattutto comunanza ceti popolari urbani e rurali. In definitiva, la
che nel XVIII secolo ancora affratellava le conclamata necessità di restaurare su nuove
sponde dell’Atlantico, ma che gli storici ave- basi la sovranità degli stati europei. Una
vano perso di vista, assumendo come dato necessità che l’espansione imperiale aveva,
146
originario proprio la divergenza innescata assieme, enfatizzato e proiettato fuori del
dai processi rivoluzionari di quei decenni. vecchio continente.
Così, per spiegare quel «periodo critico» A sua volta, l’unitarietà del contesto ove
della storia della «comunità atlantica», la lo scontro tra «aristocratici» e «democra-
narrazione rispettava l’articolarsi degli am- tici» palesava la crisi dell’antico regime gli
biti nazionali, ma puntava a cogliere le re- consentiva di evocare convincentemente
lazioni tra contesti interni ed esterni, nel l’esistenza di uno spazio comune, giunto
duplice senso di interazioni e di trasversalità alla sua massima estensione proprio at-
dei fenomeni. Quell’approccio, che oggi fa- torno alla metà del Settecento. Il tentativo
cilmente chiameremmo globale, ricercava di delimitarlo si arenava nella ricorrente
nei diversi contesti gli spazi e i tramiti della oscillazione lessicale e semantica tra «occi-
circolazione di informazioni, istanze, ideali, dente» ed «atlantico», che a sua volta evo-
concetti. Al tempo stesso, riscontrava le con- cava, senza mutua esclusione, «oriente» e
dizioni che favorivano il diverso e talora di- «europeo», proprio a suggerire – e Venturi
vergente svilupparsi di movimenti, progetti, lo avrebbe più tardi magistralmente mo-
conflitti, istituzioni. Agli specialisti quelle strato26 – quanto gli spazi interni del vec-

25
J. Godechot, L’epoca delle rivoluzioni, Torino, Utet [1969], ma vedi anche Id., Le rivoluzioni (1770-1799),
Milano, Mursia [1975] [Paris, 1963].
26
Un riconoscimento a Palmer – accostato ad Albert Sorel e Jean Jaures – è nella Prefazione di Venturi al
suo Settecento riformatore. IV, La crisi dell’Antico Regime (1776-1789). 1. I grandi stati dell’Occidente, Torino,
Einaudi, 1984, p. XV.
chio continente fossero, non omologhi, accolta con discreta freddezza, in parte pro-
ma intimamente connessi tra loro e con le prio perché – nonostante gli ideologismi che
opposte sponde oceaniche. Certo è che in la condivano – finiva per farsi troppi avver-
quello spazio comune si dispiegava una sari, tanto nell’affermare l’esistenza di una
«civiltà», intesa come unità socio-culturale, «civiltà atlantica» settecentesca, quanto, nel
che Palmer preferiva appellare «atlantica», dirsi scettica sul suo protrarsi oltre i primi
piuttosto che «occidentale»27, con una de- decenni dell’Ottocento30.
finizione troppo presto soffocata dalle esi- Era un punto cruciale. Se la sua esistenza
genze ideologiche della guerra fredda e aveva consentito il dispiegarsi della «rivolu-
dalle affrettate continuità con il presente. zione democratica», ora vincente, ora scon-
Invece, essa scaturiva dall’intuizione, poi fitta, il suo venir meno confermava l’intrin-
variamente declinata dalla storiografia e seco valore periodizzante di quel quaran-
infine riscoperta e valorizzata dall’odierna tennio. Palmer, nella relazione romana e
world-history28, del carattere permeabile e nel volume, appariva poco consapevole di
«interno» dello spazio oceanico centro-set- quanto la rivoluzione «democratica» si in-
tentrionale alla metà del XVIII secolo, tanto trecciasse con le dinamiche degli imperi
in termini di flussi migratori e commerciali europei – e non solo con la ristrutturazione
quanto di sfera pubblica. e ricollocazione di quello britannico31 – e
di quale impulso essa diede allo scomporsi
147
■ L’Atlantico: uno spazio e al riplasmarsi di quella comunità «atlan-
periodizzante? tica». Pure poco avvertito fu dell’effettivo
Ispirata da suggestioni circolanti già alla significato periodizzante de The Age of
fine degli anni Quaranta29, quella intuizione Revolution, che egli tendeva a ridurre, nel
aveva preso forma nella relazione redatta a clima dell’epoca, alle implicazioni circa
quattro mani con Godechot e presentata al l’impianto dei regimi democratici e la so-
X Congresso internazionale di Scienze sto- pravvivenza degli imperi autoritari nel vec-
riche, tenuto a Roma nel 1955, ove era stata chio continente32.

27
Come egli stesso ha ricordato in R.R. Palmer et al., American Historians remember Jacques Godechot,
«French historical studies», 1990, 4, p. 883.
28
Cfr. D. Armitage e M.J. Braddick (a cura di), The British Atlantic History, 1500-1800, London, Palgrave,
2002; B. Bailyn, Atlantic History. Concepts and Contours, Cambridge, Harvard University Press, 2005; A.
Games, Atlantic History. Definitions, Challenges and Opportunities, «American Historical Review», 2006,
giugno.
29
Formulate, tra gli altri, dal maestro di Palmer, L.R. Gottschalk, ma specialmente da H. Perenne e P. e H.
Chaunu, cfr. B. Bailyn, Atlantic History, cit., pp. 21 ss.
30
J. Godechot e R.R. Palmer, Le problème de l’Atlantique du XVIIIème au XXème siècle, in Comitato In-
ternazionale di Scienze Storiche, X Congresso internazionale, Roma 4-11 settembre 1955, Relazioni. V.
Storia contemporanea, a cura della Giunta centrale per gli studi storici, Firenze, Sansoni, 1955, e per la
discussione cfr. Comitato Internazionale di Scienze Storiche, Atti del X Congresso internazionale, Roma
4-11 settembre 1955, a cura della Giunta centrale per gli studi storici, Roma, 1957, pp. 565 ss.
31
P.J. Marshall, Britain without America. A second Empire?, in Id. (a cura di), The Oxford History of the
British Empire. II. The Eighteenth Century, Oxford, Oxford University Press, 1998.
32
Una lettura ancora riproposta da M. Cox, A Reassessment, cit.
Eppure, la sua opera non solo allargava ghe concezioni diffuse nel mondo non-eu-
l’orizzonte geografico della tradizionale ropeo33.
distinzione anglosassone tra early-modern Ci è perciò assai più evidente quanto Robert
e modern history, ma nella centralità attri- Palmer abbia contribuito a ridefinire la pe-
buita alla lotta tra «aristocratici» e «demo- riodizzazione della storia contemporanea
cratici» raffigurava pienamente quella dila- su scala planetaria. Difatti, a lungo scettica-
tazione dello «spazio politico» che avrebbe mente considerata, la sua interpretazione
impregnato di sé la storia contemporanea e oggi riecheggia negli indici e tra le righe di
che solo il provincialismo europeo può con- diversi testi manualistici. Eppure, che siano
tinuare a mettere a carico (o, prima, a me- nostrani o che rivendichino un più aggior-
rito) esclusivo della rivoluzione francese. nato taglio «globale», anche in alcuni dei
Quarant’anni dopo, siamo assai più con- migliori accade di intitolare un intero mo-
sapevoli delle interazioni planetarie tra le dulo alle «rivoluzioni atlantiche» senza mai
crisi economiche e militari che nella se- spiegare quella espressione, o di delineare
conda metà del Settecento palesavano la una «età delle rivoluzioni liberali e demo-
delegittimazione delle autorità di antico cratiche, o delle “rivoluzioni borghesi”», che
regime, nel continente eurasiatico e nelle dalla Gloriosa rivoluzione passando per la
Americhe, così come della forza irresistibile guerra d’indipendenza americana giunge
con cui le dottrine della sovranità popolare fino al 1789, senza richiamare alcuna con-
148
e della cittadinanza di massa andarono da nessione tra quegli eventi, o, altrimenti, di
allora declinandosi in vario modo in molte trattare dei Revolutionary Changes in the
parti del globo, conseguendo sovente vit- Atlantic World, 1750-1850 senza considerare
torie decisive. D’altra parte, ciò avvenne pressoché alcun accadimento europeo ol-
anche perché al fondo di quelle dottrine tre i francesi, né dedicare più di tre parole
stava un’ideologia delle pubbliche virtù e al tema della democrazia34. Affiora il timore
dei valori comunitari – piuttosto che del li- che esigenze editoriali e gabbie narrative an-
beralismo proprietario e del mercato – che cora fortemente «stato-centriche» continuino
accomunava le due sponde dell’Atlantico, a ostacolarci non poco nel guardare – come
ma non era così dissimile da altre analo- Palmer suggeriva – attraverso i confini.

33
C.A. Bayly, The Birth of the Modern World, 1780-1914, Oxford, Blackwell, 2004, pp. 93 ss., 101 ss., 286 ss.
34
Cfr. nell’ordine F. Della Peruta, G. Chittolini e C. Capra, Dall’Europa al mondo. 2. L’età delle rivoluzioni,
Firenze, Le Monnier, 2003, pp. 129 ss.; G. Sabbatucci e V. Vidotto, Storia contemporanea. L’Ottocento, Roma,
Laterza, 2002, p. 3; R.W. Bulliet et al., The Earth and its Peoples. A Global History. Brief Third Edition. II.
Since 1500, Boston, Houghton Mifflin, 2006. Da segnalare invece, per la maggiore sensibilità in proposito,
almeno A. Prosperi e P. Viola, Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 2000, ad
esempio alle pp. 343-345 e 387, e P.N. Stearns, World History. Pattern of Change and Continuity, New York,
Harper-Collins, 1995², pp. 401-405.
Peter S. Onuf

Democrazia, rivoluzione e storiografia


del mondo contemporaneo

Nella sua magistrale opera The Age of the delle idee dell’Illuminismo e della potenza
Democratic Revolution Robert Palmer ha dello stato rivoluzionario francese, nel qua-
tentato di storicizzare e, così facendo, ri- dro di un’epoca di guerra cronica e di insta-
dimensionare l’idea di «rivoluzione»1. In bilità politica. La dialettica tra rivoluzione e
un’epoca in cui gli storici e gli scienziati so- controrivoluzione che ne risultò accelerò il
ciali andavano affannosamente costruendo processo, già avviatosi, di formazione degli
genealogie e modelli della mobilitazione stati, pose nuove fondamenta per la legitti-
rivoluzionaria, Palmer ha mostrato che mazione politica e trasformò la «geografia
non è possibile definire un unico schema politica» del mondo occidentale5.
che si adatti ad ogni caso: le trasformazioni
politiche che scossero l’Europa e l’America ■ Rivoluzione e modernità
sul finire del XVIII secolo assunsero varie Scopo di Palmer era forse quello di smon-
forme e produssero effetti differenti. Egli tare la teoria di una grande tradizione ri-
sosteneva che queste differenziazioni locali voluzionaria che, cominciata in Francia, 149
illuminassero un motivo più ampio che ri- si riprometteva, un giorno, di cambiare il
corre in tutto l’Occidente, una grande lotta mondo intero. Le sue simpatie andavano
tra i «fautori di una società “aristocratica” comunque in modo evidente ai «democra-
da una parte, e di una “democratica” dall’al- tici» ed al loro attacco a «le élite chiuse, i
tra»2 che ha preso consistenza a partire dal gruppi potenti che si eleggevano da sé, le
1760 ed ha dato origine ad una «nuova esi- caste ereditarie e le forme di privilegi spe-
genza di eguaglianza»3. Non si trattò tuttavia ciali»6 e non ai controrivoluzionari, che ave-
di un unico e monolitico movimento, gene- vano resistito in modo così autodistruttivo
rato da un conflitto di classe e generante alle trasformazioni rivoluzionarie attizzate
quella «rivoluzione, dinamica, continua e dallo stesso «risorgimento» degli aristo-
perpetua»4 che avrebbe fissato l’immagina- cratici dell’antico regime. Palmer non sop-
rio dei progressisti e dei reazionari come portava molto i conservatori moderni e la
quello delle generazioni successive. Il ca- loro nostalgia neo-burkeiana per l’antico
rattere pan-occidentale delle rivoluzioni di regime, né gli «storici del consenso» statu-
Palmer fu una conseguenza della diffusione nitensi che, con Freidrich Gentz, pensavano

1
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, Milano, Rizzoli, 1971 [Princeton, 1959; 1964].
2
Ivi, p. 34.
3
Ivi, p. 15.
4
Ivi, p. 1025.
5
Ivi, p. 568.
6
Ivi, p. 1147.
che la rivoluzione americana non fosse la rivoluzione non solo può scoppiare e so-
stata affatto una rivoluzione7. Innalzandosi pravvivere, ma aprire la strada ad una so-
al di sopra della dialettica ideologica che cietà migliore»10. È tuttavia importante sot-
negli anni 1790 per prima ha plasmato la tolineare che la rivoluzione democratica di
percezione della rivoluzione francese – e Palmer non prevedeva «teorie e programmi
che da allora in avanti ne avrebbe definito costruttivi» per le epoche future. Malgrado
le interpretazioni – Palmer ha tentato di la mitologia rivoluzionaria, non c’era alcuna
valutare l’impatto «contemporaneo» della formula per una trasformazione in senso
rivoluzione «democratica» e della reazione progressivo: la rivoluzione non avrebbe as-
«aristocratica» intese in un senso più am- sunto il ruolo di «una specie di toccasana che
pio, sia su ogni nazione europea che sulla avrebbe guarito tutti i mali della società»11.
«civiltà» occidentale nel suo complesso.
La «rivoluzione democratica» ha prodotto ■ Democrazia e nazione
il mondo attuale. Ma se può anche esserci La parola chiave per Palmer è «democratico».
un’altra rivoluzione analoga per scala e La democrazia è stata, secondo lui, un’idea
portata, essa potrebbe non essere «demo- potente che ha consentito ai suoi sostenitori
cratica» nel senso inteso da Palmer: con di concepire disegni più vasti e di dirigere
quel «trionfo» ambiguo della rivoluzione, in senso costruttivo la trasformazione della
non ci fu né il ritorno indietro ad un antico società. La spinta democratica si è definita in
150
regime idealizzato, né l’avanzata verso una opposizione ad un «rinascimento» aristocra-
destinazione già annunciata. Una diffusa tico: l’età rivoluzionaria è stata infatti iniziata
e sempre più profonda «coscienza di ine- non dai democratici, bensì dagli «organi uffi-
guaglianze e di ingiustizia»8 può produrre ciali» aristocratici nella misura in cui hanno
anche uno «sfacelo della società»9 dalle con- cominciato a difendere «le loro libertà cor-
seguenze catastrofiche. I popoli moderni (o porative e la loro indipendenza»12, sia con-
post-moderni) dovrebbero quindi meditare tro l’azione modernizzante dei sovrani che
sugli insegnamenti della rivoluzione demo- contro le «pressioni popolari»13 dal basso. La
cratica di Palmer: «se vengono offerte delle democrazia venne quindi definendosi dialet-
teorie e programmi costruttivi, come erano ticamente, nel contesto delle nette contrap-
quelli dell’Illuminismo europeo del XVIII posizioni che attraversavano tutte le società
secolo, se le capacità dei capi e dei seguaci politiche occidentali. Con l’espansione della
sono all’altezza del compito, e se sono forti guerra in tutta Europa «il conflitto divenne
abbastanza da sopraffare gli avversari, allora ideologico»14, illuminando e trascendendo i

7
Ivi, pp. 341-351 e 1025.
8
Ivi, p. 1149.
9
Ibidem.
10
Ibidem.
11
Ivi, p. 688.
12
Ivi, p. 35.
13
Ibidem.
14
Ivi, p. 567 (corsivo mio).
conflitti locali: «la rivoluzione francese vera oggi sopravvive in una storiografia «ecce-
e propria si inquadrava in un movimento ri- zionalista» che pure non ignora il resto del
voluzionario più generale, che abbracciava mondo. Nessuna interpretazione significa-
tutta la civiltà dell’Occidente»15. In altre pa- tiva della rivoluzione americana è ancora
role, i democratici divennero consapevoli uscita dallo stampo eccezionalista: gli sto-
di essere tali solo quando una rivoluzione rici americani del periodo rivoluzionario,
ancora più grande promise – o minacciò provengano essi dalla destra celebrativa o
– di rovesciare un ordine tradizionale che dalla sinistra ultra critica, considerano la
improvvisamente sembrò illegittimo. I rivo- propria rivoluzione come un’eccezione e
luzionari democratici non erano guidati da quindi non come parte del più ampio pa-
una visione del progresso e dello sviluppo norama della «rivoluzione democratica» di
coerente e fondata su una prospettiva di Palmer. Per costoro il quesito fondamentale
classe. Essi immaginarono, al contrario, resta: che tipo di regime hanno costruito i
l’idea moderna della «nazione», cancellando rivoluzionari (o i «padri fondatori») ed in
i privilegi e le distinzioni che sorreggevano che modo la loro eredità dovrebbe influen-
un ordine sociale eterogeneo e gerarchico e zare la nostra politica attuale? Nella misura
dando vita ad «una comunità politica, consi- in cui presuppongono che i rivoluzionari
derata senza riferimento a organi, al rango o americani non abbiano dovuto costruire
alle classi sociali»16. una nazione, gli storici americani sempli-
151
Il più grande contributo di Palmer è stato cemente non possono concordare con la
quello di storicizzare l’emergere dei mo- tesi di Palmer. Essi non vedono proprio che
derni stati-nazione e quindi il sistema in- cosa possa avere a che fare la «democrazia»
ternazionale che essi, nel loro complesso, – la prassi di autogoverno da lungo tempo
costituiscono. Fino a tempi recenti gli sto- familiare alla provincia angloamericana –
rici americani si sono scarsamente interes- con il modello europeo di nation building.
sati a quest’ordine di problemi, il che forse
spiega perché Palmer abbia avuto così poca ■ L’eccezione democratica
influenza sul loro lavoro17. Placatesi le lotte Per gli americani l’ostacolo principale a pren-
di partito degli anni 1790, «negli Stati Uniti dere seriamente in considerazione Palmer
prevalse per lungo tempo una sensazione di è rappresentato indubbiamente dalla loro
volontario e felice isolamento», che ancora convinzione che la propria storia nazionale

15
Ivi, p. 554.
16
Ivi, p. 297.
17
La principale eccezione a questo quadro generale è costituita dall’influenza esercitata dall’analisi dei
primi sviluppi costituzionali dello stato, svolta da Palmer nel capitolo VIII della parte prima dell’opera:
La Rivoluzione americana: il popolo come potere costituente, pp. 237-262. Gli storici americani, seguendo
B. Bailyn, sottolineano le «origini ideologiche» della loro rivoluzione e non il suo contesto e le sue conse-
guenze. Secondo Palmer le formulazioni ideologiche sorgono dai conflitti politici e consentono agli attori di
essi di scorgere più chiaramente disegni e tendenze, cfr. B. Bailyn, The Ideological Origins of the American
Revolution, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1967. Per una rassegna di questi studi, cfr. P.S.
Onuf, Reflections on the Founding: Constitutional Historiography in Bicentennial Perspective, «William and
Mary Quarterly», 1989, 2, pp. 341-375.
sia l’unica «democratica». La democrazia co- poco a che fare con la democrazia che carat-
stituisce il punto di partenza di un racconto terizza l’«era della rivoluzione democratica»
della vicenda nazionale che comincia con i di Palmer.
primi insediamenti coloniali ed è progressi- La nota positiva è che l’eccezionalismo
vamente diretta al compimento (o, in alter- autoreferenziale degli storici americani
nativa, alla frustrazione) della «promessa – il loro presupposto secondo cui la demo-
democratica» dell’America. Persino i critici crazia definisce l’America – sembrerebbe
più polemici e disincantati trovano efficace perdere terreno. Il recente interesse per il
questo meta-racconto nella misura in cui nazionalismo, per la sfera pubblica e per la
tentano di recuperare e rinfrescare le re- formazione dello stato indica che almeno
presse o dimenticate vie democratiche verso alcuni storici hanno cominciato a conside-
un futuro migliore18. Oppure, come dimostra rare la democrazia in termini che Palmer
il successo incontrato dalla recente opera di avrebbe trovato congeniali. The Age of the
Sean Wilentz19, i critici disincantati di un Democratic Revolution infatti fornisce una
tempo possono fare marcia indietro verso vasta cornice interpretativa ed un utile pro-
l’interpretazione dominante. E, ovviamente, gramma di lavoro per una nuova stagione
gli storici influenti che, come Gordon S. di studi sulla rivoluzione americana e sui
Wood, non hanno mai messo seriamente in «padri fondatori».
questione il mondo americano, possono of- La debolezza dello stato, la più equa distri-
152
frire al grande pubblico nuove ed avvincenti buzione della ricchezza e la relativa assenza
versioni di questo meraviglioso racconto20. di privilegi corporativi fecero sì che i pretesi
Sebbene la storia della democrazia sia con- «aristocratici» delle colonie inglesi non fos-
testualizzata all’interno di queste narrazioni, sero in una posizione tale da poter imporre
la «democrazia» di per se stessa trascende la il proprio dominio ad una cittadinanza
storia: essa costituisce sia l’eredità che la ten- composta di proprietari, colta e cosciente
denza immanente di questo popolo speciale, dei propri diritti. Ma la crisi dell’impero
o di ogni popolo – la «nazione di immigrati» consentì alle élite «patriottiche» di rendere
– in questo luogo speciale (delimitato ora da universali le loro rivendicazioni corpora-
eccezionali qualità naturali, ora dalla lon- tive e di sublimare i loro istinti aristocra-
tananza dalla corruzione o confusione del tici in una più ampia difesa della libertà e
«vecchio mondo», ora da qualche particolare della proprietà «del popolo». «Le assemblee
combinazione di entrambi questi elementi). coloniali angloamericane», scrive Palmer,
Ad ogni modo, la democrazia trascendente «[erano] gli organismi più democratici che
e metastorica degli americanisti ha molto si potessero trovare nel mondo della civiltà

18
Per un ottimo esempio di questa tendenza, che sintetizza la recente storiografia «radicale», cfr. G.B. Nash,
The Unknown American Revolution: The Unruly Birth of Democracy and the Struggle to Create America,
New York, Viking, 2005.
19
S. Wilentz, The Rise of American Democracy: Jefferson to Lincoln, New York, Norton, 2005.
20
G.S. Wood, I figli della libertà. Alle radici della democrazia americana, Firenze, Giunti, 1996 [New York,
1992].
occidentale»21. Altrove questi «organi uffi- zionale alla «finzione» della sovranità popo-
ciali» erano i bastioni dell’aristocrazia e la lare, dall’altro ha attenuato l’impatto diretto
«libertà» era il grido di battaglia dei gruppi del dominio popolare spostando la sovranità
privilegiati contro le minacce provenienti dal governo del popolo al popolo esercitante
sia dall’alto che dal basso. In America «ari- il proprio potere sovrano come artefice della
stocratici» e «democratici» non emersero da propria costituzione24. Gli americani hanno
questa dialettica di conflitto sociale, bensì pertanto elaborato ed applicato l’idea della
all’interno di un’alleanza, talvolta non fa- sovranità popolare – la premessa che fonda
cile, contro il dispotismo imperiale britan- ed anima l’era rivoluzionaria – pur man-
nico. «Senza il sorgere di questa aristocrazia tenendo una certa continuità tra vecchio e
coloniale – sostiene Palmer –, nessun mo- nuovo regime e realizzando quindi quel-
vimento contro l’Inghilterra sarebbe stato l’assetto post-rivoluzionaro «moderato» così
coronato da successo»22. Durante la guerra, differente da quelli delle diverse realtà eu-
questa fragile alleanza venne rafforzata da ropee.
una straordinaria esplosione di entusiasmo
patriottico popolare, dall’espulsione dei lea- ■ Aristocrazia e nazione
listi e dallo stentato sviluppo della capacità Gli aristocratici hanno svolto un ruolo fon-
dello stato di tassare e governare. damentale nella storia americana, sia nel
Lo sviluppo costituzionale americano, nei portare avanti la rivoluzione che nella loro
153
suoi raffinati meccanismi per tutelare la successiva volontà di essere inclusi in una
proprietà e vanificare pericolose concentra- definizione del «popolo» o della «nazione»
zioni di potere, ha rispecchiato la mobilita- ampia e costituzionalmente definita – una
zione interclassista del periodo rivoluzio- definizione che non ostacolò, bensì agevolò
nario. L’approccio comparativo di Palmer in sostanza la loro intraprendente aspira-
illumina le radicali implicazioni di questa zione e capacità di acquisire una posizione
straordinaria – e temporanea – convergenza sociale di rilievo. La minaccia aristocratica
tra i «padri fondatori» americani. Tanto gli non venne pertanto eliminata in America.
aristocratici quanto i democratici trovarono Al contrario, fu solo in conseguenza della
una garanzia nel dominio della legge e nel- rivoluzione che gli americani – prima nel
l’ampia distribuzione dei poteri, fondata sul- quadro del dibattito sulla ratificazione della
l’idea legittimante secondo cui «il popolo do- Costituzione federale che minacciava i «pri-
veva creare il proprio stato assumendo il po- vilegi corporativi» degli «organi ufficiali» (i
tere supremo»23. Di conseguenza il governo governi dei vari stati) e poi nelle divisioni
costituzionale, da un lato, ha permesso la di partito sulla reazione alla rivoluzione
democrazia, dando realtà storica ed istitu- francese da parte dell’amministrazione

21
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, cit., p. 64.
22
Ivi, p. 219.
23
Ivi, p. 296.
24
E.S. Morgan, Inventing the People: The Rise of Popular Sovereignty in England and America, New York,
Norton, 1988.
Washington – presero parte alla «rivolu- masti – vulnerabili tanto ai capricci di un
zione democratica» definite da Palmer. Solo sistema di stati europei al tracollo quanto
allora l’opposizione binaria di «aristocra- al vacillante impegno degli americani per
tico» e «democratico» assunse un significato una «unione più perfetta» sempre sull’orlo
così pregnante. del collasso (finché non finì per collassare
Edificando sulle fondamenta di un’idealiz- effettivamente nella catastrofica guerra ci-
zata identità imperiale britannica, o di un vile del 1861-65). La valutazione compa-
«nazionalismo coloniale», gli americani del rata della traiettoria della democrazia for-
periodo rivoluzionario riuscirono con suc- nita da Palmer apre la strada a questa assai
cesso a mobilitare una resistenza contro la più tragica visione della storia della nuova
tirannia inglese che attraversò le divisioni nazione. A causa della forza formidabile
di classe e venne codificata nelle loro nuove detenuta da un’aristocrazia arroccata sulle
costituzioni statali25. Essi hanno quindi po- proprie posizioni, in Europa «il movimento
tuto concepirsi come un «popolo» – «im- democratico mirava a una repubblica unita-
maginare» una nuova identità nazionale ria, omogenea, con potere giuridico accen-
– senza aver prima abbattuto un’aristocra- trato»27. Per contrasto, negli Stati Uniti esso
zia potente, privilegiata e rinascente. La era «contrario a un governo centrale, omo-
nazione venne prima di tutto. La versione geneo o unitario, e insisteva accanitamente
americana della grande lotta tra aristocra- sui privilegi locali e sui diritti degli stati»28.
154
tici e democratici fu incanalata nella lotta Le spinte aristocratiche e corporative sono
– in gran parte incruenta – di partito degli state democratizzate durante l’infanzia
anni 1790 che trovò il suo culmine nella «ri- della nazione americana (la concezione
voluzione del 1800» di Jefferson e nell’ap- jeffersoniana del federalismo esemplifica al
parente trionfo della democrazia. Infatti, meglio questa tendenza), ostacolando così
come nota acutamente Palmer, con l’ascesa la costruzione di uno stato democratico su
di Jefferson e di Napoleone «si calmò l’agita- scala continentale e minando in definitiva
zione democratica»26 su entrambe le sponde la forza riequilibratrice di un’identità na-
dell’Atlantico e si concluse così l’era della ri- zionale superiore ed unificante29. L’aristo-
voluzione democratica. crazia, nelle sue classiche forme europee,
L’isolamento – considerato provvidenziale è forse stata annientata, ma forme repub-
– della nuova nazione non dovrebbe essere blicanizzate di poteri «corporati» hanno
esagerato. Come mostrarono le reazioni proliferato negli Stati Uniti, sia nella società
americane alle guerre rivoluzionarie fran- civile e nel settore privato che all’interno
cesi, gli Stati Uniti erano – e sarebbero ri- del sistema federale. Ed alla fine, al posto di

25
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, cit., p. 186.
26
Ivi, p. 1146.
27
Ivi, p. 578.
28
Ibidem.
29
P.S. Onuf, Jefferson’s Empire: The Language of American Nationhood, Charlottesville, University Press
of Virginia, 2000.
un’unica nazione moderna, ne sono emerse libertà, cioè, e l’estensione dei diritti, invece
due. Invocando la volontà democratica dei di indebolire un paese, come sosteneva la
propri popoli contro il dispotismo «stra- vecchia dottrina, potevano effettivamente
niero» del governo centrale egemonizzato contribuire alla sua potenza ed alla sua ca-
da yankee ostili, i nazionalisti sudisti die- pacità di sopravvivenza»30. Su entrambe le
dero inizio ad una guerra terribile che ha sponde dell’Atlantico la dialettica tra rivo-
mostrato l’enorme potenzialità distruttiva luzione e controrivoluzione ha dato origine
dei moderni stati-nazione. Gli americani alle «grandi nazioni» che hanno definito – e
prendano quindi a cuore «una delle idee devastato – il mondo contemporaneo, così
dell’era rivoluzionaria» di Palmer, che «la in guerra come in pace31.

155

30
R.R. Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, cit., p. 470.
31
N. Onuf e P.S. Onuf, Nations, Markets, and War: Modern History and the American Civil War, Charlotte-
sville, University Press of Virginia, 2006.

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