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Modulo 10 – La diffusione della droga e l’evoluzione legislativa

La legislazione italiana sulla droga


La legislazione italiana ha costantemente considerato reato la produzione e il traffico
illecito di stupefacenti, adottando, al riguardo, misure repressive e sanzionatorie
sempre più incisive, anche in ossequio agli impegni assunti, con l’adesione ad alcune
importanti convenzioni internazionali.

Nei confronti del consumatore di droghe, l’ordinamento giuridico ha, invece, previsto, nel corso
degli anni, provvedimenti anche molto differenti l’uno dall’altro. La prima legge sulla droga, la n.
396 del 18 febbraio del 1923, espressione di un orientamento politico-sociale che, a differenza di
quello attuale, considerava il consumo di droga un vizio, prevedeva la punibilità del consumatore
solo qualora la sua condotta potesse rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico; tale rigidità
di giudizio si accentuò con la legge n. 1041 del 1954 che arrivava a considerare il consumatore di
stupefacenti pienamente equiparato al produttore e allo spacciatore, applicando, sia pure in
ritardo, le disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1936 tendenti a ribadire la necessità di
incriminazione a cascata, per evitare possibili impunità per coloro che entrassero anche
occasionalmente nel mondo della droga. Nel corso degli anni Settanta, si determinò, nella
giurisprudenza italiana, la necessità di distinguere i consumatori di droga dagli spacciatori e dai
trafficanti.

L’approccio in questo senso si concretizzò nella legge n. 685 del 1975 che applicava le direttive
impartite dalle Convenzioni di New York del 1961 e di Vienna del 1971.

La premessa fondamentale di questa svolta nella legislazione italiana fu la crescente


consapevolezza della natura di malattia sociale dell’abuso di droghe e la visione dell’assuntore
di sostanze stupefacenti quale persona bisognosa di un supporto medico, psicologico e sociale. Pur
ribadendo l’illiceità della detenzione di droga, la legge contemplava un’ipotesi di non punibilità,
caratterizzata da due elementi essenziali: uno, soggettivo, legato alla finalità di uso personale non
terapeutico della droga, l’altro oggettivo, costituito dalla modica quantità di sostanza detenuta.

La causa di non punibilità poteva essere accertata solo mediante procedimento penale, la persona
che deteneva una modica quantità di droga non era passibile di pena ma, qualora si fosse rifiutata
di sottoporsi volontariamente al trattamento disintossicante, poteva essere obbligata a curarsi
con provvedimento giurisdizionale.

Dopo alcuni anni di applicazione, si manifestarono in Italia numerose critiche a tale approccio
normativo. In particolare, secondo l’opinione prevalente, si ritenne che il concetto di modica
quantità poteva determinare una certa impunità degli spacciatori, e non contrastare
sufficientemente l’attività del consumatore-spacciatore.

La legge n. 162 del 26 giugno 1990 (racchiusa nel T.U. delle leggi in materia di stupefacenti e
sostanze psicotrope, approvato con D.P.R. 309 del 9 ottobre 1990) ha segnato una svolta
nell’evoluzione legislativa italiana in materia, in quanto, insieme al divieto dell’uso personale di
sostanze stupefacenti e a un rifiuto di qualsiasi tesi antiproibizionistica, ha potenziato sia gli
strumenti destinati all’attività di prevenzione e recupero, attraverso il finanziamento di
innumerevoli attività informative e socio-sanitarie, sia la risposta sanzionatoria e i poteri
investigativi nei confronti delle attività illecite.
Tale normativa ha introdotto l’assoggettamento a sanzioni amministrative, come il ritiro del porto
d’armi, del passaporto e della patente di guida, per tutti coloro che, per uso personale,
illecitamente importino, acquistino o comunque detengano sostanze stupefacenti (art. 75). Prima
del referendum popolare dell’aprile del 1993, l’uso personale, inoltre, era rigidamente legato al
quantitativo della sostanza usata, che non doveva
comunque, superare la dose media giornaliera.

Il ricorso all’Autorità Giudiziaria ed alle sanzioni penali, avveniva soltanto se la condotta illecita
era più volte reiterata (art. 76). Inoltre, il consumatore di stupefacenti poteva evitare
l’applicazione delle sanzioni (sia amministrative che penali), sottoponendosi ad un programma
terapeutico, l’inosservanza del quale, faceva irrogare nuovamente altre sanzioni. Tali previsioni,
così come l’intero articolo 76, sono state tutte abrogate dal referendum del 1993. La portata
innovativa della legge non è stata però intaccata dal referendum, anzi, ne è risultata invigorita.
Essa consiste nell’attività di recupero del tossicodipendente, ricercata costantemente dal Prefetto
durante l’applicazione del procedimento amministrativo di cui all’art. 75.

Accanto alle norme inerenti il consumo, vi sono poi quelle che sanzionano la produzione ed il
traffico illecito di stupefacenti e che non si differenziano in modo sostanziale dalla disciplina
precedente alla riforma del 1990. Il sistema è costituito da due gruppi di reati, che si distinguono
in base al carattere individuale o associativo.

In ciascuno dei sottogruppi, le sanzioni si differenziano e si basano sulla natura della sostanza
stupefacente, a seconda che si tratti di droghe pesanti (indicate nelle Tabelle I- III del D P R
309/90) o leggere (Tabelle II- IV). Le condotte prese in considerazione dall’art. 73 del D.P.R.
309/90 coprono tutte le possibili ipotesi in cui la produzione e il traffico di stupefacenti può
concretamente manifestarsi. È punita anche la illecita detenzione, ovviamente fuori dalle ipotesi di
utilizzazione di droga per uso personale.

Sono previste alcune circostanze che comportano un consistente aumento della pena, in relazione
a condotte di produzione o traffico riferite ad ingenti quantitativi di stupefacenti o ad uso di armi.
Queste circostanze, aggravanti, trovano sovente applicazione nei casi di traffico internazionale di
stupefacenti.

L’altro sottogruppo di reati è rappresentato dal delitto di associazione finalizzata al narcotraffico


che, rispetto alla originaria norma incriminatrice prevista dalla vecchia legge, si differenzia per un
sensibile inasprimento delle pene detentive e per una migliore precisazione delle condotte
criminose (art. 74). Tali norme si sono rivelate particolarmente efficaci nella repressione della
produzione e del traffico della droga, soprattutto nei confronti delle grandi organizzazioni
criminali che operano a livello internazionale.

Nell’ambito del sistema repressivo penale delle condotte finalizzate alla produzione e al traffico di
stupefacenti, l’ordinamento riserva un trattamento particolare al tossicodipendente,
privilegiando, nella fase detentiva, l’aspetto del recupero e assecondando le scelte trattamentali e
curative. In particolare, tra le misure cautelari alternative alla custodia in carcere, il giudice può
ritenere opportuno adottare nei confronti del tossicodipendente, gli arresti domiciliari nella
comunità terapeutica o di riabilitazione presso cui il tossicodipendente ha in corso un programma
terapeutico di recupero, qualora l’interruzione dello stesso possa pregiudicare la sua
disintossicazione.

L’art. 89 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (provvedimenti restrittivi nei confronti di
tossicodipendenti) vieta, addirittura, che il giudice possa disporre la custodia in carcere, salvo per
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, del tossicodipendente che abbia in corso un
programma terapeutico di recupero nell’ambito di una struttura autorizzata, nel caso in cui una
forzata interruzione possa pregiudicare la disintossicazione dell’imputato.

Gli artt. 90 − 93 prevedono che, nei confronti di persona condannata a pena detentiva non
superiore a 3 anni per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza,
il Tribunale di Sorveglianza possa sospendere l’esecuzione della pena per una durata di 5 anni,
qualora accerti che la persona si sia sottoposta o abbia in corso un programma terapeutico. L’art.
94 prevede l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale, nel caso di pena detentiva inflitta
nel limite di 3 anni.

Presupposti di questo istituto − così come di quello contemplato dall’art. 90 – sono il


riconoscimento dello stato di tossicodipendenza e un programma terapeutico già iniziato o
concordato.

Il D.L. 14 maggio 1993 n. 139, convertito nella legge 14 luglio 1993, n. 222, contenente
disposizioni urgenti relative al trattamento di persone detenute affette da infezioni da HIV e di
tossicodipendenti, ha introdotto alcune importanti modifiche nel regime della detenzione per il
tossicodipendente. Ha, infatti, modificato parzialmente l’art. 89, introducendo la possibilità di
revocare la custodia cautelare già in fase di esecuzione, qualora il soggetto manifesti l’intenzione
di sottoporsi a un programma di recupero, anche se non ancora iniziato.

L’art. 286-bis c.p. prevede il divieto di mantenere la custodia cautelare in carcere nei confronti di
chi sia affetto da infezione da HIV in stato avanzato, qualora si verifichi una situazione di
incompatibilità con lo stato di detenzione; inoltre, è stato modificato l’art. 146 c.p., mediante la
sospensione temporanea dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti di persona affetta
dalla medesima infezione.

Il D.P.R. 309/1990, pur rappresentando il cardine della normativa sulla tossicodipendenza in


Italia, è stato oggetto di aspre critiche che hanno condotto al referendum dell’aprile del 1993, i cui
esiti sono stati recepiti dal D.P.R. 5 giugno 1993, n.171. L’intervento referendario ha abrogato
alcune norme della legge del 1990, modificando in parte l’approccio normativo, soprattutto per
quanto riguarda il consumatore di droga. In sintesi, il sistema legislativo italiano in materia di
tossicodipendenza, dopo gli effetti abrogativi del referendum del 1993, vieta penalmente solo le
attività destinate alla produzione, vendita, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti. È venuto
meno − in base all’abrogazione del comma 1 dell’art. 72 − il divieto dell’uso personale non
terapeutico, senza, tuttavia, optare per la liberalizzazione delle sostanze stupefacenti e
mantenendo l’illiceità dell’uso personale.

Altra conseguenza del referendum è stata l’abolizione della dose media giornaliera, che non
presenta più il discrimine per distinguere tra consumo personale e spaccio. L’uso personale può
essere, quindi, desunto da qualsiasi circostanza e non è più legato a un prefissato parametro
normativo.

Bisogna precisare che l’esclusione di ogni rilievo penale riguardo il semplice uso personale non si
è tradotto, però, in un atteggiamento di indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno del consumo
di droga.

Al contrario, in base alla normativa vigente (art. 75), il Prefetto convoca dinanzi a sé o ad un suo
delegato, la persona segnalata per uso personale di sostanze stupefacenti al fine di accertare, a
seguito di colloquio, le ragioni della violazione nonché individuare gli accorgimenti utili per
prevenire ulteriori violazioni.
Il Prefetto, ove l’interessato volontariamente richieda di sottoporsi a un programma
terapeutico socio-riabilitativo, sospende il procedimento amministrativo avviato dalla
segnalazione e, decide l’invio del segnalato al Servizio per le Tossicodipendenze, che
predispone il programma terapeutico di disassuefazione e concorda il luogo più idoneo
dove svolgerlo.
Il programma deve essere, in ogni caso, formulato nel rispetto della dignità della persona
ed in considerazione anche delle esigenze di lavoro, nonché delle condizioni familiari e
sociali del tossicodipendente. Al termine del programma, il Servizio Sanitario pubblico locale,
redige una relazione sul comportamento del soggetto, che dovrà essere sottoposta al Prefetto per
valutare in merito alla eventuale archiviazione del procedimento sanzionatorio.

Il mancato rispetto di tale programma prevede l’applicazione di sanzioni amministrative.

Prima del referendum abrogativo del ‘93, i tossicodipendenti che persistevano nel consumo di
droga o non ottemperavano al programma terapeutico, erano passibili di sanzioni penali mentre
ora, il Prefetto dopo aver invitato − anche ripetutamente – il tossicodipendente segnalato al
rispetto del programma terapeutico, deve applicare le sanzioni amministrative previste per legge.

Il T.U. 309/1990, oltre a regolare in termini giurisdizionali il consumo e il possesso di sostanze


stupefacenti ha provveduto − in maniera organica e globale − a regolamentare tutti i profili
relativi alla politica contro la droga. Infatti, ha individuato gli organismi preposti alle attività di
coordinamento degli interventi, sia a livello centrale (Governo, Ministeri) che periferico (Regioni,
Province e Comuni).

Nel suddetto T.U., recentemente modificato per effetto dell’entrata in vigore della legge 18
febbraio 1999, n. 45 (cosiddetta legge Lumia), sono state definite anche le risorse finanziarie per
l’attuazione degli interventi (Fondo Nazionale di Intervento per la lotta alla Droga, Fondo
Sanitario Nazionale), nonché gli strumenti legislativi per l’organizzazione della lotta al traffico e
gli ostacoli all’esplicazione delle attività delle grandi organizzazioni criminali.

La nuova legge ha definito in maniera organica gli strumenti di rilevazione epidemiologica del
fenomeno nonché di monitoraggio degli interventi. Il governo deve presentare al Parlamento, ogni
anno, una relazione sull’andamento del fenomeno, onde consentire alle forze politiche di
promuovere iniziative legislative adeguate alle nuove esigenze; inoltre, deve convocare ogni 3
anni una Conferenza Nazionale a cui partecipano tutte le istituzioni pubbliche e private che
operano nel settore. (La prima Conferenza Antidroga si è tenuta a Palermo dal 24 al 26 giugno
1993. La seconda Conferenza dal 13 al 15 marzo 1997 a Napoli).

La normativa vigente (art. 13 D.P.R. n. 309/90) stabilisce che le sostanze stupefacenti o psicotrope
sottoposte alla vigilanza e al controllo del Ministero della Sanità sono raggruppate, in conformità
ai criteri di cui all’articolo 14 del citato D.P.R., in sei tabelle, approvate con decreto del Ministro
della Sanità. Le predette tabelle contengono l’elenco di tutte le sostanze e i preparati indicati nelle
convenzioni e negli accordi internazionali e sono sottoposte a continuo aggiornamento.

L’articolo 14, nello stabilire i criteri per la formazione delle tabelle, distingue le sostanze dalle
preparazioni.

Con il termine sostanze (stupefacenti o psicotrope) si indicano, generalmente, le droghe aventi


origine naturale o di sintesi, mentre il termine preparazione si riferisce alle soluzioni o ai miscugli
che, indipendentemente dal loro stato fisico, contengono una o più sostanze psicotrope:

- nelle tabelle I e III sono ricomprese le c.d. droghe pesanti quali l’oppio e suoi derivati, le foglie di
coca e gli alcaloidi ad azione eccitante da queste estraibili, le sostanze di tipo amfetaminico ad
azione eccitante, le sostanze di tipo barbiturico ad effetto ipnotico e sedativo, nonché ogni altra
sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare
dipendenza fisica o psichica nell’assuntore. Vi rientrano, altresì, le preparazioni che contengono le
sostanze elencate nelle tabelle I e III;

- le tabelle II e IV contengono le c.d. droghe leggere (es. cannabis indica e i prodotti da essa
ottenuti − i.e. marijuana, olio di hashish) e le preparazioni che contengono le sostanze in esse
indicate.

Nella tabella IV sono comprese le sostanze di corrente impiego terapeutico, per le quali sono stati
accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica e psichica di intensità e gravità minori
rispetto a quelle delle tabelle I e III;

- nella tabella V sono elencate le preparazioni contenenti le sostanze indicate nelle tabelle I, II, III e
IV quando, per la loro composizione qualitativa e quantitativa e per le modalità del loro uso, non
presentano rischi di abuso e, pertanto, non devono essere assoggettate alla disciplina (penale)
delle sostanze con cui vengono prodotte;

- nella tabella VI sono indicati i prodotti ad azione ansiolitica, antidepressiva o psicostimolante


che possono dar luogo al pericolo di abuso e alla possibilità di farmacodipendenza.

Le sostanze e le preparazioni delle Tabelle I, II, III, e IV costituiscono oggetto della repressione
penale, mentre quelle delle Tabelle V e VI sono sottoposte soltanto a controlli amministrativi.

La nuova e recente legge sulla droga, in Italia, prevede, sostanzialmente: la depenalizzazione del
consumo; l’eliminazione del concetto quantitativo per distinguere tra uso personale e spaccio; la
reintroduzione della divisione delle sostanze per tabelle, e conseguente distinzione tra droghe
pesanti e leggere; l’ampliamento delle pene alternative al carcere. Il consumo personale di
sostanze stupefacenti resta un illecito, ma viene sanzionato solo se comporta azioni irresponsabili
o pericolose verso terzi. La guida in stato di alterazione, il consumo di droga per via endovenosa in
un luogo pubblico, l’abbandono di siringhe incustodite, il coinvolgimento attivo di minori nel
consumo, sono puniti con sanzioni, che vanno dalle multe alla perdita di punti della patente, al
divieto di guidare. Per i minori, è inoltre previsto l’obbligo di segnalazione ai servizi sociali e ai
genitori.

La nuova normativa sulle droghe elimina la dose massima consentita, restituendo al giudice la
discrezionalità di decidere − caso per caso − se la quantità di sostanze detenuta dal
tossicodipendente sia destinata ad uso personale o a spaccio. Nel secondo caso viene comunque
previsto un riequilibrio del sistema delle pene (la precedente legge trattava parimenti la cannabis,
la cocaina e l’eroina, con la reclusione da 6 a 20 anni), in modo da distinguere il piccolo
spacciatore-consumatore dalle grandi organizzazioni mafiose di spaccio.

Si allarga, inoltre, il ventaglio di ipotesi di pene alternative al carcere. La certificazione dello stato
di tossicodipendenza torna di esclusiva competenza del servizio pubblico, con l’estensione, ai
privati, della possibilità di certificare lo stato di tossicodipendenza ai fini delle misure alternative
al carcere e della sospensione dell’esecuzione della pena
.
Per quanto riguarda il capitolo della riduzione del danno, la nuova normativa fissa i criteri
generali a cui devono conformarsi i progetti (ad esempio, le sperimentazioni si devono basare su
evidenze scientifiche) ma lascia alle singole Regioni la libertà di decidere le modalità concrete con
cui attuarli.
Consumatori, tossicodipendenza e tossicomania

a) Consumatori

Circa il 3% della popolazione mondiale (185 milioni di persone) ha abusato di droghe durante lo
scorso anno, secondo l’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime). Una piccola
percentuale della popolazione mondiale abusa di cocaina (13 milioni di persone) o di oppiacei (15
milioni abusano di eroina, morfina e oppio). Ma la sostanza più consumata è la cannabis (usata
nell’ultimo anno da più di150 milioni di persone), seguita dalle ATS, le sostanze stimolanti di tipo
amfetaminico (38 milioni, di cui 8 milioni consumatori di ecstasy). Questi i dati presentati nella
nuova edizione del World Drug Report, in due volumi. Il primo volume illustra le tendenze del
mercato e fornisce analisi dettagliate delle tendenze in atto; il secondo volume comprende
statistiche particolareggiate sul mercato internazionale della droga. Ci sono, inoltre, 1,3 bilioni di
fumatori nel mondo, sette volte più dei consumatori di droga. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità stima che circa 200.000 persone sono morte a causa dell’abuso di droga durante il 2000,
l’equivalente dello 0,4% di tutti i decessi nel mondo. Il tabacco, invece, vanta decessi pari a 25
volte (4,9 milioni), l’equivalente dell’8,8% di tutte le morti. Se la misura usata per liquidare
l’invalidità sono gli anni di vita, l’abuso di droga causerebbe la perdita di 11,2 milioni di anni di
salute di vita, ma il tabacco causerebbe una perdita di cinque volte maggiore (59,1 milioni). Tra i
punti salienti del World Drug Report 2005, vi sono alcune buone notizie che giungono dalle due più
vaste aree di produzione di droghe: nel sud-est asiatico, la coltivazione del papavero da oppio
continua a calare in Myanmar e Laos, mentre nella regione delle Ande la coltivazione di coca
registra un sostanziale declino per il quarto anno di seguito in tutti e tre i principali paesi
produttori (Colombia, Perù e Bolivia). In termini di impatto sulla salute, gli oppiacei sono la droga
più problematica del mondo. Essi causano la morte per il 67% dei trattamenti per droga in Asia,
per il 61% in Europa e per il 47% in Oceania. Nel sud-est dell’Asia, le metamfetamine stanno
costituendo il problema principale. La cocaina è ancora al primo posto nell’intero continente
americano, ma negli USA, l’abuso di cocaina tra gli studenti sta declinando. In Africa, la cannabis
continua a dominare la domanda (65%). Ecco alcuni dei nuovi dati presentati nel rapporto: nel
corso di dieci anni la quantità complessiva di sostanze illecite sequestrate è cresciuta, con gli
incrementi più alti per le sostanze stimolanti di tipo amfetaminico (ATS); la conversione di
quantità di droghe sequestrate in unità equivalenti (una dose tipica assunta dai consumatori di
droga) riflette un forte incremento del totale dei sequestri, da 14 bilioni di dosi nel 1990 a 26
bilioni nel 2000 con segnali di stabilizzazione nel 2001/2002. I sequestri in termini unitari sono
più alti nel continente americano (10,4 bilioni di dosi), seguito dall’Europa (7,4 bilioni), dall’Asia
(5,5), dall’Africa (2,4) e dall’Oceania (0,08); su base pro-capite, comunque, la classifica subisce
questi cambiamenti: le Americhe (12,1 unità o dosi sequestrati pro-capite), l’Europa (10,2),
l’Africa (2,9), l’Oceania (2,6) e l’Asia (1,5); la produzione illecita globale di oppio è rimasta stabile,
tra le 4.000-5.000 tonnellate dai primi anni ‘90, ma ha avuto un incremento quella concentrata in
Afghanistan; le coltivazioni di coca sono diminuite del 30% dal 1999 al 2005 a seguito
dell’incremento dei sequestri dei laboratori dalla metà degli anni ‘90 nei paesi sviluppati, il
consumo di sostanze stimolanti di tipo amfetaminico (ATS) sembra aver avuto un picco negli
ultimi due anni; il mercato della cannabis resta costante, con un incremento di consumo nel
Sud America, in espansione sui mercati dell’Europa occidentale ed orientale, così come dell’Africa;
sebbene il mercato delle sostanze stimolanti di tipo amfetaminico (ATS) sia in espansione, il tasso
di incremento sembra essere rallentato, rispetto al rapido incremento che lo ha caratterizzato
negli ultimi dieci anni.

b) Tossicodipendenza

La tossicodipendenza può essere definita come un comportamento compulsivo o una condotta


tossicomanica per cui, una persona si trova progressivamente a non potere controllare il suo
desiderio di assumere una certa sostanza presente in natura o di sintesi, legale o illegale,
nonostante i rischi e i danni che derivano tanto sul piano sociale o relazionale che sanitario.
Nonostante l’avvio delle campagne di prevenzione, in questi ultimi anni, il numero di giovani che
ricorrono a sostanze psicoattive non ha cessato di aumentare. Da alcuni anni, l’assunzione di
droghe sembra sempre più motivata dal desiderio del cosiddetto sballo o dalla volontà di
aumentare le prestazioni. Per questi motivi, le modalità di assunzione sono cambiate: si osservano
maggiormente forme di poliabuso per meglio controllare o sfruttare gli effetti delle singole
sostanze, e anche per riscontrare il rischio di dipendenza.

Mentre il numero dei tossicodipendenti da eroina in cura presso i Ser. T., cioè i servizi per le
tossicodipendenze, o le comunità terapeutiche, è relativamente costante negli ultimi anni, si stima
che più della metà dei ragazzi abbia fatto uso occasionale di sostanze psicoattive o frequenti amici
che le assumono.

Come tutte le condotte tossicomaniche, la dipendenza nei confronti di una droga si manifesta con
una serie di sintomi che si possono così riassumere: a) impossibilità di resistere all’impulso di
ricercare la sostanza; b) tensione interna crescente prima di iniziare il comportamento; c) piacere
o sollievo al momento dell’assunzione o della sua preparazione; d) perdita del controllo già
all’inizio del comportamento. Almeno 5 degli 8 criteri seguenti:

- preoccupazione frequente per il proprio comportamento;

- la ricerca della sostanza richiede più impegno di quanto si vorrebbe; sforzi ripetuti per ridurre
smettere;

- molto tempo passato ad attivare il comportamento o a rimettersi dai suoi effetti;

- riduzione delle attività sociali, professionali, familiari determinata dal comportamento;

- impegno nel comportamento che impedisce di assolvere agli obblighi sociali, familiari o
professionali;

- perseveranza nonostante i problemi sociali, finanziari o fisici; agitazione o irritabilità se è


impossibile attuare il comportamento.

La tossicodipendenza è un processo per cui sotto gli effetti associati della sostanza ripetutamente
assunta (sia a livello dell’organismo che del sistema nervoso) e delle condotte necessarie per
procurarsela, si producono delle modificazioni a livello delle sinapsi che portano l’individuo a
desiderare sempre più di ripetere l’esperienza della tossicomania.

c) Tossicomania

L’utilizzo di sostanze voluttuarie è un fenomeno normale del comportamento umano, diffuso in


ogni società. Nella progressione verso lo stato di tossicomania si possono distinguere diverse fasi.

L’avvicinamento iniziale alla droga o fase di induzione, che determina il primo contatto con la
droga stessa è, di solito, caratterizzato dalla disponibilità della droga, dalla curiosità e dallo spirito
di emulazione. Quasi sempre, la prima esperienza con la droga non è piacevole, suscita, anzi,
spesso, ansia e malessere. Presto, tuttavia, si passa alla fase in cui l’individuo ottiene sensazioni
piacevoli ed effetti gratificanti. Dopo un certo intervallo di tempo dall’ultima somministrazione
della droga, l’individuo accusa una sensazione di malessere e di inquietudine, secondo alcuni
legata alla diminuzione dei livelli ematici e cerebrali del farmaco.
Il soggetto sa che tale malessere va combattuto con un’ulteriore somministrazione di droga che
produce in lui benessere ed euforia. Con il progredire della tolleranza e dello stato di dipendenza
fisica, l’intervallo di tempo che separa la somministrazione della droga dalla comparsa dei sintomi
di privazione diventa sempre più breve.

La tossicomania, infatti, è la condizione determinata dal ripetuto impiego di certe sostanze


psicoattive ed è caratterizzata da tre elementi: 1) assuefazione al farmaco; 2) tolleranza ai suoi
effetti; 3) tendenza alla intossicazione cronica.

1) L’assuefazione, si manifesta con il desiderio di un certo farmaco, dal cui impiego si ricercano
effetti psichici piacevoli. Con la brusca sospensione del farmaco, si viene a creare il cosiddetto
quadro clinico della sindrome dell’astinenza e l’instaurarsi della dipendenza; 2) la tolleranza,
invece, può essere definita una forma di adattamento cellulare a un ambiente chimico estraneo. A
causa della tolleranza, l’attività del farmaco psicoattivo diminuisce graduatamente; 3) tendenza
alla intossicazione cronica: a questi due aspetti possono essere attribuite le conseguenze nefaste
delle tossicomanie. Il desiderio di evitare la sofferenza della sindrome di privazione costituisce un
potente meccanismo di rinforzo dei fattori psichici che, in origine, hanno spinto il soggetto all’uso
di droghe voluttuarie, d’altra parte, la tolleranza obbliga ad usare dosi sempre più elevate e rende
perciò sempre più difficile, costoso e pericoloso evitare la sindrome di astinenza.

L’assumere queste sostanze regolarmente fa si che l’organismo non abbia il tempo di eliminare le
sostanze tossiche ad esse associate, e si instaura lentamente un’intossicazione cronica con grave
danno degli organi (es. fegato e cervello).

Le sostanze stupefacenti

La classificazione, di seguito riportata, tiene conto, altresì, delle nuove sostanze che,
pericolosamente, stanno circolando tra gli adolescenti.

a) Eroina
L’eroina che si acquista nel mercato illecito è una polvere fine oppure in piccoli granuli, di colore
dal bianco al marrone chiaro, di odore leggermente pungente e dal sapore amaro, costituita in
realtà da una miscela di sostanze la cui composizione è molto variabile.

La dose è, in genere, confezionata in un piccolo pezzo di carta argentata (quella che si trova dentro
i pacchetti di sigarette), oppure in bustine di plastica. Anche la percentuale di eroina contenuta
nella dose o bustina può variare notevolmente a seconda del numero di passaggi intermedi dal
produttore al consumatore: si va dal 50% e oltre, alla traccia minima (meno dell’1%). In media, la
percentuale di eroina contenuta in una dose, si aggira attorno al 10%. Proprio a causa della
notevole variabilità della percentuale di eroina che si può trovare nella bustina, il consumatore,
non ha alcun modo di sapere la quantità di eroina pura che sta per assumere. Le altre sostanze che
possono essere presenti nella eroina da strada sono classificabili in:

- sostanze che, pur non avendo effetto stupefacente, simulano alcune caratteristiche dell’eroina
(ad esempio, il sapore amaro). Queste sostanze sono indicate con il nome di adulteranti (ad
esempio caffeina, procaina, lidocaina, fendimetrazina, aminofenazone, barbiturici, chinina,
stricnina);
- sostanze aggiunte con l’unico scopo di diluire l’eroina e di realizzare quindi un maggior profitto
dalla vendita. Queste sono indicate con il nome di diluenti (ad esempio, zuccheri, acido citrico,
bicarbonato, acido borico);

- sostanze estratte dall’oppio assieme alla morfina e presenti nella bustina da strada come
impurezze (ad esempio, acetilcodeina, narcotina, papaverina).

A volte, oltre all’eroina, possono essere presenti altre sostanze stupefacenti, come ad esempio
cocaina (la miscela di eroina e cocaina è nota con il nome di speedball) o amfetamina (bombitas).
Al contrario di quanto comunemente si crede e di quanto generalmente viene riportato dai media,
quello che rende pericolosa l’eroina da strada, e che in genere causa fenomeni di aumento della
mortalità in un’area geografica e/o in un ristretto arco di tempo, non sono le sostanze aggiunte
all’eroina (il cosiddetto taglio) ma, invece, la variabilità della percentuale di eroina che può essere
contenuta nella bustina che si acquista dallo spacciatore. All’origine di questi fenomeni, vi è,
infatti, la temporanea presenza sul mercato di preparati contenenti percentuali di eroina più
elevate di quelle normalmente reperibili e tali da non essere tollerate da molti consumatori
di eroina. In altre parole, non è la natura del taglio, ma la occasionale riduzione del taglio a rendere
pericolosa l’eroina da strada. Nei paesi occidentali, il modo più diffuso di somministrazione o
auto-somministrazione dell’eroina è l’iniezione in vena (pera, buco) dopo avere sciolto il
contenuto della bustina in acqua.

Gli strumenti che vengono utilizzati per il buco sono la siringa da insulina, dell’acqua (spesso
vengono usate le fiale di acqua distillata per preparati iniettabili che si comprano in farmacia), il
cucchiaino, un accendino o un’altra fonte di calore, del succo di limone (che servono a sciogliere la
polvere in acqua), e un filtro (per rimuovere sostanze non disciolte dalla soluzione che verrà
iniettata; in genere viene usato il filtro di una sigaretta). Generalmente, l’iniezione viene fatta nelle
vene degli avambracci; in alcuni casi, vengono scelte altre aree del corpo che sono normalmente
coperte da indumenti, come le gambe, i piedi o anche gli organi genitali. L’eroina viene anche
inalata (sotto forma di polvere, sniffata), o fumata. Un’altra modalità di assunzione, indicata come
“chasing the dragon” (“inseguendo il drago”), consiste nel bruciare l’eroina sopra ad una lastra e
nell’inalare i fumi attraverso un piccolo tubo o una banconota arrotolata. La via inalatoria viene in
genere scelta, sia nella convinzione (sbagliata) che l’eroina se non è iniettata in vena non produca
dipendenza, sia per evitare i rischi di infezione che sono associati al buco. Per questa ragione, è
stata riscontrata una recente tendenza all’aumento della scelta di questa via di assunzione rispetto
all’iniezione in vena. Quest’ultima, è, in ogni caso, la via di assunzione che produce un effetto
stupefacente più rapido e più intenso.

Negli ultimi anni, si sta diffondendo tra i consumatori di eroina la tendenza ad assumere anche
altre sostanze d’abuso assieme all’eroina. Tra queste ci sono soprattutto l’alcol, alcuni farmaci
sedativi e tranquillanti (Valium, Darkene, Roipnol, Tavor) e altre sostanze stupefacenti (cocaina,
ecstasy, hashish e marijuana).

Questo comportamento è molto pericoloso perché agli effetti dell’eroina sull’organismo si possono
aggiungere quelli prodotti dalla/e altra/e sostanza/e, aumentando significativamente il rischio
che si producano effetti tossici anche in soggetti consumatori abituali di eroina.

Per la stessa ragione, è molto pericoloso, per un soggetto in trattamento con metadone o con altri
farmaci sostitutivi dell’eroina (es. buprenorfina), continuare ad assumere eroina, oppure, anche
altre sostanze d’abuso (alcol, sedativi, tranquillanti, stupefacenti, ed anche altro metadone al di
fuori di quello prescritto).
Un consumatore cronico di eroina assume, in genere, tra i 100 milligrammi ed 1 grammo al giorno,
divisi in 2-4 dosi. L’eroina è una sostanza che produce assuefazione.
Ciò vuol dire che in un consumatore che continuasse ad assumere tutti i giorni sempre
la stessa dose, l’effetto prodotto sull’organismo sarebbe progressivamente minore. Per
questo motivo, i consumatori di eroina tendono con il passare del tempo ad aumentare
la dose assunta.

Questo fenomeno, legato al progressivo adattamento dell’organismo all’eroina (tolleranza), è


reversibile: l’astinenza volontaria o forzata, per esempio conseguente ad un periodo di detenzione
in carcere, dall’eroina, per un periodo anche relativamente breve (un paio di settimane sono
sufficienti) causa una riduzione della tolleranza. Ciò significa che, se un soggetto, dopo un periodo
di astinenza, riprende a usare l’eroina nelle stesse dosi che assumeva prima, rischia di incorrere,
quasi certamente, negli effetti tossici della sostanza. Il fenomeno della perdita della tolleranza è
considerato una delle principali cause di morte per intossicazione acuta da eroina. Oltre ai segni
più evidenti nei consumatori di eroina per iniezione, e cioè i segni di agopuntura o buchi,
generalmente agli avambracci, ma anche in altre parti del corpo (gambe, piedi, organi genitali),
sono:
a) la parola impastata; b) il rallentamento nei movimenti; c) la tendenza alla sonnolenza; d) il
prurito insistente; e) le pupille a spillo.

L’iniezione di eroina provoca nel giro di pochi secondi una forte sensazione di piacere,
denominata flash, spesso descritta come un intenso orgasmo sessuale, accompagnata da una
sensazione di euforia e da vampate di calore. Dopo questo effetto, che dura pochi minuti, subentra
una seconda fase caratterizzata da calma, rilassatezza, soddisfazione, e distacco da quanto succede
all’esterno. Questo effetto si esaurisce, entro 2- 6 ore dall’iniezione. Se l’eroina viene inalata o
fumata, gli effetti sono qualitativamente uguali, ma sono meno rapidi e meno intensi. L’eroina ha
anche una potente azione depressiva sul sistema nervoso e ottunde sia gli stimoli esterni che
quelli interni sgradevoli: il dolore, le angosce, le paure, l’urgenza del sesso. Entro un periodo di
tempo che va da 2 sino a 6 ore dopo l’iniezione o l’inalazione di eroina, agli effetti piacevoli
cominciano a subentrare quelli spiacevoli: agitazione, dolori diffusi, bisogno che a poco a poco
diventa irrefrenabile di assumere un’altra dose. In un tempo piuttosto rapido (bastano poche dosi),
si sviluppa una forte dipendenza che si manifesta come desiderio prepotente di assumere
nuovamente la droga, e come spinta a procurarsela con ogni mezzo. L’assunzione abituale di
eroina determina una progressiva riduzione delle sostanze che nel cervello agiscono sui
meccanismi che regolano la percezione del dolore (le più note delle quali sono le endorfine), oltre
che la perdita di gran parte dei recettori, attraverso i quali la sostanza agisce sulle cellule nervose.
Se non viene assunta una nuova dose di eroina, la mancanza della sostanza, in aggiunta alla
riduzione delle endorfine e dei recettori, provoca la comparsa della crisi da astinenza. La crisi da
astinenza comincia a manifestarsi dopo poche ore dall’ultima assunzione e raggiunge il massimo
di intensità entro 1 o 2 giorni. I principali sintomi della crisi da astinenza comprendono
agitazione, allucinazioni, insonnia, dolori diffusi, tremori, aumento della produzione di sudore, di
saliva e di muco nasale, nausea, vomito, diarrea e crampi addominali, e sono tanto più intensi
quanto maggiore è stata la durata del consumo di eroina. La crisi da astinenza scompare dopo
l’assunzione di una nuova dose o, nel caso in cui l’astinenza prosegua, nel giro di 3-7 giorni.
Quando la dose di eroina è superiore a quella che l’organismo è in grado di sopportare (overdose),
o quando l’eroina viene assunta unitamente ad altre sostanze che ne potenziano gli effetti (alcool,
sedativi, tranquillanti), la sensazione di calma e rilassatezza si trasforma in una progressiva
depressione del respiro e del sistema circolatorio, sino a giungere all’arresto cardiocircolatorio e
quindi alla morte.

A parte il rischio di contrarre patologie infettive, l’uso prolungato di eroina produce una
progressiva debilitazione fisica. Gli organi più direttamente interessati sono fegato,
reni e polmoni. La presenza di particelle insolubili nel liquido iniettato può causare fenomeni di
otturamento dei vasi sanguigni e la conseguente morte delle cellule irrorate da questi vasi. La
reazione immunitaria ai vari contaminanti presenti nell’eroina di strada è all’origine dell’artrite
(infiammazione delle articolazioni) e di altri problemi reumatici.

b) Cocaina

La cocaina è uno stimolante molto potente che ha effetto direttamente sul cervello. Conosciuta
come la droga degli anni Ottanta e Novanta per la sua popolarità in quel periodo, non è
certamente una sostanza nuova, ma una delle più antiche. L’effetto stimolante e di riduzione della
sensazione di fatica che si ottiene masticando foglie di coca è conosciuto da migliaia di anni, la
sostanza pura è invece utilizzata da oltre 100 anni.

La cocaina è estratta dalle foglie di alcuni arbusti del genere delle eritoxilacee, diffusi e coltivati nel
Sud America. Nei primi del Novecento, essa fu utilizzata come ingrediente principale di numerosi
tonici ed elisir per alleviare i sintomi di diverse malattie. Oggi, è considerata una sostanza
estremamente pericolosa ed è classificata fra le più potenti droghe d’abuso. La cocaina si trova nel
mercato illecito in due forme: il cloridrato, che ha l’aspetto di una polvere bianca o bianco-avorio
ed ha sapore amaro, e la base libera che si presenta, invece, sotto forma di scaglie o tavolette di
varia forma e dimensioni e di colore dal bianco sporco al marrone. Il cloridrato può essere inalato,
sciolto in acqua, oppure iniettato in vena. La base libera normalmente viene fumata.

La cocaina venduta dagli spacciatori è spesso tagliata (diluita) con sostanze come l’amido di
granturco, lo zucchero a velo, raramente il bicarbonato o il talco. Nella cocaina di strada, può
anche essere presente procaina, lidocaina o altri anestetici locali che simulano alcune
caratteristiche della cocaina (sapore, effetto di anestesia locale sulla lingua). Inoltre, la cocaina
può essere mischiata con altre droghe come l’eroina o le amfetamine.

Crack è il nome in gergo che viene dato ai cristalli di cocaina (base libera). Il termine crack deriva
dal particolare rumore che questa sostanza produce quando viene bruciata. Il crack produce una
forte euforia in meno di dieci secondi. La sua popolarità tra gli emarginati delle periferie urbane,
in particolare negli Stati Uniti, è dovuta ai bassi costi di produzione e al prezzo contenuto. La
cocaina può essere inalata, iniettata o fumata (da sola o mescolata a tabacco o a marijuana).
L’assunzione mediante masticazione delle foglie è limitata esclusivamente ad alcune popolazioni
sudamericane. Se inalata, normalmente con dei cannelli o con banconote arrotolate, la sostanza
attiva passa attraverso le mucose nasali nel sangue. L’iniezione, invece, è la via più diretta e
produce effetti istantanei e più marcati. Il fumo, attraverso speciali pipette, passa dai polmoni,
nel sangue, quasi con la stessa velocità dell’iniezione. Molti tossicodipendenti la inettano
o la inalano, mescolata all’eroina.

Il consumo di cocaina può variare da occasionale a ripetuto e compulsivo. Non esiste una modalità
di utilizzazione sicura o priva di rischi. Qualunque tipo di uso può portare all’assunzione di
quantità tossiche di sostanza, provocando seri problemi cardiovascolari o cerebrali, che possono
dar luogo anche a una morte improvvisa. L’uso ripetuto di cocaina, in qualunque forma, provoca
dipendenza e altri danni alla salute. Sono state realizzate molte ricerche per studiare il modo in
cui la cocaina produce i suoi effetti piacevoli, e la ragione per cui provoca dipendenza. Ciò avviene,
probabilmente, attraverso il suo effetto sulle strutture profonde del cervello. Gli scienziati hanno
scoperto che quando vengono stimolate alcune zone del cervello si produce una sensazione
di piacere. Uno dei sistemi neurali che sembra siano più interessati dalla cocaina trova origine in
una regione molto profonda del cervello chiamata area ventrale del tegmento (Avt). Le cellule
nervose che partono dalla Avt si estendono alla regione conosciuta come nucleus accumbens, una
delle aree chiave del piacere nel cervello. In studi su animali, ad esempio, tutto ciò che produce
piacere, dal bere al mangiare, dal sesso a molte droghe, aumenta l’attività del nucleus accumbens.
Gli studiosi hanno scoperto che quando si sta svolgendo un’azione che provoca piacere, i neuroni
nella Avt aumentano la secrezione di dopamina nel nucleus accumbens. I segnali di piacere
vengono cioè comunicati da neurone a neurone, attraverso la emissione di dopamina nei punti di
connessione (sinapsi) tra i neuroni. Le droghe possono interferire proprio con questo processo. La
cocaina, ad esempio, blocca l’eliminazione della dopamina dalla sinapsi provocandone l’accumulo.
La conseguente stimolazione continua dei neuroni è all’origine dell’euforia riferita dai
consumatori.

L’uso continuo di cocaina crea tolleranza. Ciò significa che la persona che la assume, ha bisogno di
dosi sempre maggiori e frequenti per ottenere lo stesso effetto. Secondo recenti ricerche, durante
il periodo di astinenza dall’uso di questa droga, il ricordo dell’euforia associata al consumo o
soltanto alla stessa può causare il desiderio incontrollabile di assumerla anche dopo lunghi
periodi in cui non è stata consumata.

Gli effetti della cocaina si manifestano quasi subito dopo il suo uso, e possono durare da alcuni
minuti ad ore. Coloro che utilizzano cocaina in piccole quantità (fino a 100 milligrammi) si
sentono euforici, pieni di energia, disposti alla conversazione e mentalmente attivi, attenti, in
particolare, alle sensazioni visive, uditive e tattili. La cocaina può anche diminuire,
temporaneamente, il desiderio di mangiare e dormire. Alcuni consumatori riferiscono che la droga
li aiuta a compiere sforzi intellettuali e fisici più rapidamente; altri, parlano di effetti opposti.

La durata degli effetti euforici di questa droga dipende dal modo in cui è stata utilizzata. Più veloce
è l’assorbimento nel sangue (come nel caso dell’iniezione in vena o dell’inalazione del fumo), più
intenso è l’effetto e più breve la sua durata. Le sensazioni di benessere provocate dall’inalazione
possono durare dai quindici ai trenta minuti, mentre, quelle conseguenti al fumo variano dai
cinque ai dieci minuti.

Gli effetti fisiologici a breve termine che la cocaina produce sono: contrazione dei vasi sanguigni,
dilatazione delle pupille, aumento della temperatura corporea, del ritmo cardiaco e della pressione
arteriosa. Se le quantità utilizzate superano i 100 milligrammi, gli effetti si intensificano e possono
provocare comportamenti inusuali e violenti. I consumatori possono provare tremori, vertigini,
spasmi muscolari, paranoia e, dopo successive assunzioni, reazioni tossiche simili a quelle
prodotte dall’avvelenamento da amfetamina. Tra gli effetti a breve termine della cocaina, è da
segnalare la riduzione della percezione del rischio che può originare comportamenti pericolosi
per il consumatore stesso e per la salute di terzi (ad esempio, guida pericolosa). Alcuni utilizzatori
riferiscono di sentirsi irritabili, agitati e di soffrire di ansia. In qualche rara occasione, l’uso di
cocaina per la prima volta può provocare una morte improvvisa. I decessi per cocaina sono
provocati generalmente da arresto cardiaco o da convulsioni causate da blocco respiratorio.

La cocaina provoca una forte assuefazione. Una volta provata, è molto difficile controllarne
e limitarne l’uso. Si ritiene che la dipendenza da questa sostanza e i suoi effetti stimolanti, siano
il risultato della sua capacità di impedire l’assorbimento della dopamina da parte delle cellule
nervose e di provocarne, quindi, un accumulo nell’organismo. Il cervello produce dopamina come
sistema di gratificazione e il funzionamento di molte droghe dipende, direttamente o
indirettamente, dalla maggiore o minore presenza di questa sostanza nell’organismo.

La cocaina può, inoltre, provocare una considerevole tolleranza in chi la assume, tanto che molti
tossicodipendenti riferiscono di non riuscire a provare le stesse sensazioni di piacere dopo un uso
continuato. Allo stesso tempo, alcuni individui possono sviluppare nel tempo una maggiore
sensibilità agli effetti anestetici e convulsivi di questa sostanza, tanto da provocarne la morte dopo
l’assunzione di quantità relativamente piccole.
Esiste una notevole quantità di complicazioni mediche associate all’uso di cocaina. Fra le più
frequenti: complicazioni cardiovascolari, come irregolarità nella frequenza del cuore, malattie
cardiache, problemi respiratori che provocano dolori al petto, effetti neurologici che causano
ictus, convulsioni ed emicranie, complicazioni gastrointestinali che provocano dolori addominali e
nausea.

L’uso di cocaina provoca vari tipi di malattie cardiache. Si sa che questa droga causa fibrillazione
ventricolare, accelera i battiti del cuore e la respirazione, aumenta la pressione arteriosa e la
temperatura del corpo. I sintomi fisici possono includere confusione mentale, dolore al petto,
febbre, spasmi muscolari, convulsioni e coma.

Gli effetti negativi della droga sono collegati alle diverse modalità di assunzione. Quando la
si inala regolarmente, ad esempio, la cocaina può provocare una perdita di sensibilità dell’olfatto,
causare emorragie nasali, problemi di deglutizione, raucedine ed una irritazione del setto nasale
che causa una condizione cronica di irritazione delle narici e di secrezione di muco. Quando viene
ingerita, la cocaina può provocare cancrena all’intestino perché riduce il flusso di sangue. Coloro
che la iniettano, possono contrarre flebiti ed altre infezioni, come anche reazioni allergiche alla
droga o alle altre sostanze da taglio ad essa associate. La cocaina tende a ridurre il desiderio di
alimentarsi, per cui il suo uso abituale provoca perdite di peso e malnutrizione.

Gli scienziati hanno dimostrato che esiste un’interazione potenzialmente pericolosa tra
cocaina e alcol.

c) Cannabis

La cannabis contiene più di 400 composti chimici, di cui 61 cannabinoidi, tra i quali, il delta 9-
tetraidrocannabinolo (THC) è il più potente come attività psicoattiva; inoltre, nel fumo di
cannabis, sono presenti più di 350 sostanze chimiche, simili a quelle del fumo di sigaretta. I
cannabinoidi, molto liposolubili, attraversano rapidamente le membrane cellulari ed entrano nel
cervello dopo pochi minuti dalla inalazione del fumo di uno spinello ed entro un’ora dalla
ingestione orale. Il THC si lega nel cervello a dei recettori specifici scoperti nel 1988, i recettori
endogeni, attivando una serie di reazioni cellulari che portano all’effetto acuto dei cannabinoidi.
Ad essere coinvolti sono i sistemi cerebrali che controllano il tono dell’umore: la memoria, le
funzioni intellettuali e cognitive, il dolore, il controllo dei movimenti, le attività delle ghiandole
endocrine, il sistema cardiovascolare e altre funzioni vitali. La cannabis produce, così, uno stato di
coscienza oniroide (sognante), nel quale le idee appaiono sconnesse, incontrollabili e liberamente
fluenti. In genere, si produce una sensazione di benessere e rilassamento (il cosiddetto sballo),
effetti che non durano più di 2 o 3 ore dopo l’assunzione. Mancano, ad oggi, evidenze convincenti
di un effetto prolungato o di postumi. Uno studio specifico ha confrontato le abilità di memoria,
attenzione e apprendimento tra due gruppi di studenti di college: uno di consumatori abituali di
marijuana e uno di consumatori occasionali. Dopo 24 ore di sobrietà da tutte le droghe e alcol, i
test hanno rivelato, nei consumatori abituali, un maggior numero di errori e maggiore
difficoltà nel mantenere la concentrazione.

Come ogni sostanza che causa euforia e riduce l’ansia, la cannabis può provocare dipendenza,
tuttavia, il consumo intenso e le lamentele di incapacità a smettere sono rari. La cannabis può
essere usata in maniera episodica, senza evidenze di disfunzionalità sociale o psicologica. Nel 16-
29% dei consumatori abituali, alla brusca sospensione della droga, può comparire una
sindrome da astinenza con agitazione, ansia, aggressività, insonnia e tremori, mentre il
rischio di sviluppare una dipendenza in chi la usa saltuariamente è stimato nel 10%.
È vero, infatti, che negli USA, ogni anno, 120.000 persone iniziano un trattamento per la loro
tossicodipendenza da marijuana ma, d’altro canto, i soggetti che risultano positivi ai test sul posto
di lavoro, spesso, sono obbligati a chiedere il trattamento. L’uso di marijuana costituisce,
comunque, un problema di droga, sebbene la sua importanza tossicologica sia incerta. Come
incerto è un altro argomento molto dibattuto: il rischio di passare ad altre droghe illecite. Secondo
alcune stime, i soggetti dipendenti da cannabis hanno una probabilità 28 volte superiore rispetto
ai non consumatori di passare ad altre droghe illecite, ma si tratta di un’associazione più forte per
l’età di 14-15 anni.

In ogni caso, le conoscenze attuali non consentano di affermare che la cannabis abbia un impatto
significativo sul tasso di decessi. Il buon senso, però, suggerisce di tentare di non minimizzarne gli
effetti negativi, ovvero di scoraggiarne l’uso da parte degli adolescenti, di non usarla quando si
guida o si lavora, e di evitarla, se si soffre di disturbi cardiaci.

d) Allucinogeni

Gli allucinogeni naturali estratti dal psylocibe mexicana (fungo magico) furono, in passato,
utilizzati nelle cerimonie religiose dei popoli del Messico e dell’America Centrale. In particolare,
erano molto utilizzati, a tali scopi, i funghi di psilocibina, lunghi funghi scuri che, con il
deperimento, tendono a scurirsi ulteriormente, fino a diventare bluastri, i quali contengono due
sostanze allucinogene: la psilocibina e la psilocina. I sacerdoti messicani pensavano che questo
fungo (teonanacatl: “carne di dio”) permettesse di entrare in comunicazione con gli dei e portasse
ad acquisire facoltà magiche e curative. Gli Aztechi, invece, ritenevano sacro il cactus peyotl, la
pianta da cui si ricava un allucinogeno naturale, la mescalina, che si consuma in forma di bottoni
freschi o secchi e da effetti simili a quelli dell’LSD. I mescaleros, indios del centro America,
avevano fatto dell’assunzione del cactus peyotl (peyote), il fulcro dei cerimoniali religiosi come
strumento di illuminazione e trascendenza.

La mescalina ha ispirato un’opera letteraria: Le Porte di Aldous Huxley, il quale riteneva che tale
sostanza fosse il mezzo più efficace per gettare luce su le zone della coscienza umana che la
cultura occidentale, improntata alla razionalità, aveva messo in ombra. L’autore fece anche da
cavia agli esperimenti con cui gli psichiatri Osmond, Smythies, Hoffer stavano indagando la
possibilità di studiare i meccanismi biologici della schizofrenia attraverso l’induzione di psicosi
sperimentali con mescalina. Gli allucinogeni non producono assuefazione ma ingenerano una
fortissima tolleranza: la stessa sostanza, assunta a distanza di pochi giorni, non fa più effetto.

L’LSD è un prodotto di sintesi che viene commercializzato sotto forma di pillole di varia
dimensione, di piccoli francobolli, o zollette di zucchero. La composizione del prodotto è varia e
incerta, così come i dosaggi: si pensa che esistano diversi tipi di LSD. Questa è un’unica sostanza,
ma compare sul mercato con diversi tagli (amfetamine, ecstasy, stricnina). I tagli influenzano
fortemente gli effetti, in particolare la fase finale nella quale l’effetto della sostanza scende.

La PCP (fenciclidina), altra sostanza di sintesi, può essere ingerita o fumata. La dose efficace di
questa sostanza è di 2-5 milligrammi. Essa viene spesso addizionata ad altre sostanze per
potenziarne gli effetti.

Il fungo psilocibina, l’LSD, la mescalina e il peyote sono assunti oralmente. Il peyote e la


fenciclidina (PCP) possono essere anche fumati. Raramente gli allucinogeni sono assunti per
endovena.

La dietilamide dell’acido lisergico o LSD è un allucinogeno di semisintesi derivato dall’acido


lisergico, presente negli alcaloidi della segale cornuta. L’LSD viene sintetizzato a partire dall’acido
lisergico che viene ottenuto da alcaloidi (ergometrina) estratti dagli sclerozi, che rappresentano la
forma vegetativa della Claviceps purpurea, parassita sulle piante di segale. Sul mercato
clandestino, l’LSD, nei primi anni ‘80, circolava in forme diverse: polveri farmacologiche usate, poi,
per riempire capsule di gelatina, cubetti di zucchero e carta assorbente. L’LSD veniva anche
incorporata in una matrice di gelatina che veniva tagliata, dopo solidificazione, in cubetti detti
vetro di finestra. Attualmente, le formulazioni più frequenti sono strisce di carta o compressine.
L’uso è per via orale (compresse, micropunte o francobolli imbevuti di una soluzione alcolica di
LSD), specie in locali di ritrovo giovanile. Può causare l’insorgenza di bad trip (attacco di panico,
talora episodi psicotici transitori) e flash-back che persistono per mesi dopo l’interruzione
dell’uso. Il problema più grave può essere l’insorgenza di una psicosi cronica, probabilmente legata
alla slatentizzazione di elementi psicopatologici in personalità ad elevata vulnerabilità. A basse
dosi possono intensificarsi i suoni e le luci, accentuando gli impulsi sensoriali esterni. Non si è
dimostrata l’instaurazione della dipendenza fisica dopo uso cronico, anche se si instaura il
fenomeno della tolleranza. Un uso prolungato di LSD, anche fino a diversi mesi dopo la cessazione
dell’uso, provoca difficoltà di memoria, turbe comportamentali, ansia e depressione fino
all’allontanamento dalla vita sociale. L’assunzione di allucinogeni, quindi di LSD, può comportare:
allucinosi, disturbo delirante, disturbo percettivo post-allucinogeno, disturbo dell’umore.
Nell’allucinosi si notano turbe percettive in stato di piena vigilanza (illusioni, allucinazioni,
sinestesie). Nel disturbo delirante, il soggetto ha la convinzione che le turbe percettive di cui fa
esperienza nel corso dell’allucinosi corrispondano alla realtà. Il disturbo dell’umore può insorgere
entro 1-2 settimane dall’inizio dell’uso della sostanza e persistere per più di 24 ore dopo la
cessazione dell’uso stesso. Ci possono essere elementi depressivi o maniacali. Il disturbo
percettivo post-allucinogeno (flash-back) consiste nel ricorrere all’esperienza allucinogena (pochi
secondi), anche dopo diverso tempo (mesi) che la si è interrotta. I flash back si fanno meno
frequenti con l’andare del tempo.

Una reazione tossica comune a tutti gli allucinogeni è il viaggio (trip): una reazione ansiosa acuta
simile a un episodio schizofrenico acuto. Tale effetto dura dalle quattro alle dodici ore, ma può
prolungarsi per giorni o mesi, in quanto gli allucinogeni sono liposolubili e permangono nei
depositi adiposi diversi tempo dopo l’assunzione. Persone che hanno sperimentato il viaggio
provano il fenomeno del flash-back, istanti nei quali si ha l’impressione di rivivere la situazione
psichedelica originale, anche quando la sostanza non è stata assunta. L’uso prolungato può
provocare psicosi; personalità fragili e vulnerabili possono rimanere gravemente squilibrate per
moltissimo tempo, fino ad arrivare a danneggiare permanentemente l’equilibrio psichico. Gli
effetti sono: vertigini, debolezza e sonnolenza, nausea, sinestesie; vedere/odorare i suoni,
sentire/odorare i colori, tensione interna che trae sollievo da risate o pianto; allucinazioni visive,
ondate ricorrenti di fenomeni percettivi, ipervigilanza e riflessi muscolari iperattivi, ipertensione
e ipertermia, sudorazione e tremori, contrazioni uterine. I casi di morte che si sono verificati
sotto l’effetto di LSD e di altri allucinogeni derivano da azioni incontrollate dovute
all’alterata percezione della realtà circostante.

e) Amfetamine

Le amfetamine sono derivati sintetici dell’efedrina e appartengono al gruppo dei farmaci


simpaticomimetici, stimolanti del sistema nervoso centrale. Usate in medicina come terapia
sintomatologica della narcolessia e del morbo di Parkinson, provocano assuefazione ed effetti
collaterali (aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, insonnia e allucinazioni).
L’abuso di amfetamine viene classificato tra le tossicodipendenze e può causare psicosi acute e
collasso cardiocircolatorio o respiratorio. L’assunzione provoca senso di benessere e
invulnerabilità, riduce l’appetito, facilita il rendimento fisico solo per prove di resistenza, in
quanto riduce la sensazione di fatica. Da un punto di vista sportivo è a tutti gli effetti doping e, a
prescindere da considerazioni morali, l’uso di amfetamine da parte di un atleta è del tutto
irresponsabile. Infatti:

a) i benefici (riduzione del senso di fatica) sono comunque temporanei a causa di una rapida
dipendenza; occorre aumentare le dosi, aumentando però anche il senso d’eccitazione per
bloccare il quale l’atleta deve ricorrere ai barbiturici che a loro volta danno dipendenza. Basta
questo quadro perché un soggetto normale si astenga da questa forma di doping;

b) sono frequenti disordini cardiaci molto gravi, a volte mortali, causati da dosi eccessive o dalla
soppressione del senso di fatica che spinge l’atleta oltre i propri limiti;

c) fra gli effetti collaterali c’è l’ipertermia, un nemico che è già difficile combattere nelle prove di
una certa durata in condizioni non ottimali di temperatura.

Le nuove droghe
Ecstasy: è una droga sintetica con effetto allucinogeno e stimolante. I danni acuti dell’ecstasy sono
legati al rialzo termico (che può arrivare fino a 41 °C con rischio di morte): coagulazione del
sangue, autodistruzione delle cellule muscolari, alterazione della funzionalità epatica (epatite
acuta) e renale, attacchi cardiaci; in alcuni casi, si è verificata un’epatite fulminante non collegata
all’ipertermia. Fra le reazioni acute all’ecstasy si devono segnalare anche crisi d’ansia o
depressive. I danni cronici sono soprattutto psichici, in quanto la droga agisce sul sistema di
recupero della serotonina: psicosi, dissociazione dell’io e, probabilmente, con l’uso continuato, la
lesione delle cellule cerebrali che rilasciano e recuperano la serotonina. Accanto all’ecstasy, si
stanno affermandodroghe naturali, un ulteriore esempio di come anche il naturale possa essere
dannoso:

- Gotu kola − droga vegetale ricavata dalla centella asiatica; l’assunzione provoca tachicardia,
ipertensione, ansia, irritabilità e, a forti dosaggi, insonnia.

- Hoja madre − droga vegetale ricavata dalla calea zacatechichi, detta anche “hoja de Dios”;
l’assunzione a forti dosaggi provoca tachicardia, ipertensione, ansia, irritabilità e insonnia.

- Lattuga silvestre − droga ricavata dalla lactuca virosa; l’assunzione inibisce la libido.

- Kava o kawa − droga ricavata dalla pianta omonima (Piper mesthysticum) della famiglia delle
Piperacee diffusa in Polinesia e nelle Hawai; l’assunzione a forti dosaggi provoca tachicardia,
ipertensione, ansia, irritabilità e insonnia. Da notare che a bassi dosaggi è ansiolitica e sedativa. È
stata comunque accertata la sua tossicità epatica: dal 1999 si sono verificati in Germania, Svizzera
e Stati Uniti 11 casi di pazienti che, dopo aver assunto prodotti a base di Kava kava, hanno
sviluppato un quadro clinico di insufficienza epatica tanto grave da richiedere il trapianto del
fegato.

- Yohimbe o iohimbe − droga ricavata dalla corteccia di una Rubiacea (Corynanthe yohimbe)
dell’Africa tropicale; l’assunzione provoca ansia, vomito, nausea, tachicardia, ipertensione,
vertigini e irritabilità.

- Muirapuama o mirapuama − droga ricavata da un albero (Lyriosma ovata) della famiglia delle
Olacacee, che cresce nel Brasile settentrionale, in Cile e in Guiana; l’assunzione provoca
tachicardia, ipertensione, ansia, irritabilità e, a forti dosaggi, insonnia.
- Ska pastora − droga (detta anche “hierba de la virgin”) derivata dalla Salvia divinorum, la cui
assunzione ad alti dosaggi causa distorsioni nella percezione spaziotemporale; se fumata, provoca
gravi irritazioni a naso, bocca e gola.

- Rosa lisergica − droga vegetale ottenuta dalla Argyreia nervosa, la cui assunzione causa nausea e
vomito.

Relazione tra sostanze stupefacenti e delitto


La correlazione fra tossicodipendenza e criminalità può considerarsi uno dei campi di studio
maggiormente affrontati dalla criminologia moderna. Preliminarmente, distinguiamo: a) una
criminalità diretta, quale risultato della commissione di reati sotto l’effetto di sostanze psicoattive;
b) una criminalità da sindrome da carenza, quale risultato della commissione di reati durante tale
situazione clinica; c) una criminalità indiretta, quale risultato della necessità di procurarsi il
denaro per acquistare le sostanze usate; d) una criminalità da ambiente, quale risultato della
interazione fra il contesto sottoculturale di alcuni tossicodipendenti e le aree criminose nelle quali
essi sono soliti confluire.

Nel primo caso, è difficile comunque distinguere quando il comportamento delittuoso sia favorito
dall’effetto propriamente farmacologico della sostanza, oppure se sia espressione del
deterioramento della personalità o dell’appartenenza a una sottocultura criminosa e violenta, da
cui, non raramente, provengono i più gravi tossicomani.

È da osservare che l’uso di droga non induca di per sé alla commissione di atti violenti o di altri
delitti; le alterazione psichiche legate all’effetto acuto delle droghe, solo raramente, inducono ad
uno stato di alterazione facilitante gesti insensati, azioni incontrollate o violente. I delitti
commessi per l’effetto diretto di droga sono, perciò, statisticamente poco rilevanti.

I dati scientifici indicano che in situazioni eccezionali, sotto l’effetto di alcune droghe, si possono
avere disturbi psichici che si evidenziano in: alterazioni del controllo, perdita o diminuzione delle
inibizioni, stati psicotici, stati confusionali o di eccitazione, esaltazione del tono dell’umore.
Disturbi psicopatologici di tal genere possono provocare reati violenti, aggressioni sessuali o
d’altro tipo, azioni incongrue, condotte pericolose. Sono, peraltro, manifestazioni che possono
verificarsi con l’uso di tutte le sostanze psicoattive, e perciò anche di psicofarmaci.
Comportamenti inconsulti o violenti direttamenti legati all’effetto farmacologico delle
amfetamine, o della cocaina o degli allucinogeni sono stati segnalati, ma raramente. Sembra,
invece, palese che l’assunzione di cannabinoidi, stimoli l’effetto di comportamenti astensionistici,
stati di quiete e di piacevole inerzia o di bonaria euforia: atteggiamenti difficilmente di natura
criminogenetica.

L’eroina è, invece, una droga criminogena, non tanto per l’azione farmacologia immediata,
ma, soprattutto, per cause indirette. La percezione sociale della pericolosità
dell’eroinomane si ricollega, almeno in parte, a comportamenti per lo più imprevedibili,
sulla base degli effetti farmacologici della sostanza.

Nel secondo caso (comportamenti dovuti a sindrome da carenza o astinenza), si tratta, invece, di
atti delittuosi che vengono commessi in una particolare condizione di sofferenza angosciosa, che
può portare a difficoltà di autocontrollo, fino alla perdita completa dello stesso, legata all’urgenza
di procurarsi rapidamente la droga. Particolarmente importante risulta, ai fini dell’imputabilità
per reati commessi in stato intensivo astinenziale, l’individuazione del c.d. punto K, che consente di
conoscere, con dati approssimativi, il passaggio che conduce il soggetto nella fase denominata
“passaggio all’atto criminale”. In sostanza, man mano che la sindrome da astinenza aumenta, il
fattore temporale (tempo), diventa nullo, in quanto lo stato di assenza della coscienza tenderà ad
estraniarsi dalla realtà, e necessariamente all’assenza dal tempo e dallo spazio (A. Silvestri, Il
punto K, I.S.G, 2000).

Più frequente è, invece, la criminalità indiretta, in cui si individua una correlazione mediata con la
droga (soprattutto eroina). In questo caso, ci si trova di fronte, spesso, a uno stato di dipendenza
da oppiacei grave, associato a un’alterazione dell’introiezione normativa morale. In particolari
condizioni personali e sociali, l’eroinomane, può adottare comportamenti tipici di un delinquente
abituale: le vessazioni e le estorsioni verso i familiari, e ben più spesso i furti, le aggressioni, le
rapine, gli scippi, la prostituzione, lo spaccio di stupefacenti al minuto sono, in questi casi, i mezzi
utilizzati per procacciarsi il denaro. Si tende, dunque, ad attribuire a tali soggetti una particolare
pericolosità sociale, sia per l’elevato numero e costo per la collettività dei reati contro la proprietà,
sia per la diffusione capillare delle attività di spaccio. Vi è, anche, tra droga e criminalità, una
correlazione ambientale: vi sono, cioè, alcuni contesti sociali dove il consumo di droghe è
particolarmente intenso e dove confluiscono i tossicomani; spesso, sono aree urbane dove anche
la criminalità comune è uno degli aspetti strutturali tipici.

Va osservato, comunque, che fra i delinquenti comuni, l’uso di droghe è molto diffuso (di
eroina e anche di cocaina) e che, in certe aree di delinquenza comune, molti delinquenti
abituali, divengono tossicomani; questa condizione può chiamarsi tossicomania dei
delinquenti, accanto a quella della delinquenza dei tossicomani.

Questa distinzione risulta comunque piuttosto artificiosa nel contesto quotidiano, in quanto, si
osserva, quasi, una sovrapposizione dei modelli comportamentali segnalati.

I delitti compiuti dai tossicomani in connessione con l’uso e l’abuso di sostanze


stupefacenti possono collocarsi in tre categorie ben distinte:

- delitti specifici, in violazione del T.U. 309/90;

- delitti compiuti sotto l’azione di sostanze stupefacenti;

- delitti compiuti allo scopo di procurarsi sostanze stupefacenti o i mezzi per acquistarle.

I delitti specifici, frequentemente compiuti dai tossicomani in violazione del T.U. 309/90, si
riferiscono alla detenzione illecita di stupefacenti, in quantità non modiche per uso proprio, o in
quantità per uso altrui. La norma consente, cioè, la detenzione per uso personale di sostanze
stupefacenti e colpisce il tossicodipendente che, per alimentare la sua abitudine, si dedica al
piccolo spaccio di stupefacenti, che è, probabilmente, il delitto di più frequente riscontro, fra quelli
commessi in violazione della legge speciale.

Un altro delitto relativamente frequente, ma difficilmente dimostrabile in concreto, è


rappresentato dall’induzione all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 76): è, appunto,
questo delitto che alimenta il proselitismo.

Secondo Ponti, si possono rilevare alcuni tipi di carriera criminale che ricorrono
con frequenza:

- soggetti che hanno conservato l’integrazione sociale: fanno uso di canapa, passano alle
amfetamine, qualche volta agli oppiacei: la presunzione della loro pericolosità è immotivata;
- soggetti inseriti nella sottocultura dei drogati: l’appartenenza ad una specifica associazione
differenziale costituisce un alto rischio di criminalità e gli appartenenti ne subiscono le
conseguenze;

- i dipendenti da eroina: essi stanno divenendo, nella quasi totalità, autori abituali di atti criminosi,
trovando solo nel delitto la possibilità di reperire i mezzi per procurarsi la droga.

Le sostanze stupefacenti interferiscono con le funzioni psichiche e possono alterare la capacità di


intendere e di volere (art. 85 del codice penale). Si distinguono: a) intossicazione acuta: in
riferimento agli articoli 92 e 93 del codice penale, si ha che lo stato di intossicazione acuta da
sostanze alcoliche o stupefacenti, che non derivano da caso fortuito o da forza maggiore, non ha
rilevanza sull’imputabilità. Quindi per quanto riguarda le droghe, il Legislatore attribuisce
all’individuo la responsabilità della condizione in cui si viene a trovare. Gli atti compiuti in
condizioni di non capacità di intendere e di volere sono la conseguenza di una scelta operata in
condizioni di normalità psichica; b) intossicazione cronica: in riferimento all’articolo 95 del Codice
penale, si ha che, per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o
sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 (vizio totale di
mente) e 89 (vizio parziale di mente) del codice penale. Il tossicodipendente cronico può essere
giudicato ma non necessariamente incapace di intendere e volere.

L’intossicazione cronica, per essere riconosciuta come malattia e, quindi, vizio totale o parziale di
mente, deve indurre un’alterazione psichica permanente. Tale concetto è stato ribadito dalla Corte
di Cassazione con una sentenza del 1995: la psicopatia permane indipendentemente dal
rinnovarsi dell’azione di assumere le sostanze psicotrope.

Il perito clinico quindi deve cercare le alterazioni psichiche permanenti che devono essere
documentate da un danno organico definitivo e non suscettibile di modificazioni anche con la
sospensione della sostanza.

L’alcolismo

L’alcoldipendenza o alcolismo è un fenomeno che si verifica in una percentuale di consumatori di


alcolici, ed è caratterizzata dall’impossibilità di smettere l’uso di alcol, nonostante la persona si
renda conto che quella sostanza (alcol etilico) le fa male e che quindi voglia smettere di assumerla.
In altre parole, quella persona si trova a essere schiava dell’alcol e a non poterlo più controllare.

Si possono fare diagnosi di dipendenza alcolica se ci si trova in presenza di almeno tre o più
delle seguenti caratteristiche:

1. bisogno di dosi sempre più elevate di alcol per raggiungere l’effetto desiderato (aumento della
tolleranza o assuefazione);

2. comparsa di malessere (fisico e/o psichico), se la persona non beve (sindrome di astinenza);

3. impossibilità di controllarsi nel bere;

4. desiderio persistente della sostanza e impossibilità di ridurne l’uso;

5. continua ricerca della sostanza, fino ad arrivare al punto che gran parte del suo tempo viene
speso in questa ricerca o per riprendersi dagli effetti dell’intossicazione;

6. interruzione di attività lavorative, ricreative, contatti sociali, a causa dell’uso della sostanza;
7. persistenza nell’uso della sostanza, nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative
(fisiche, psichiche, sociali).

L’alcolismo si sviluppa progressivamente in un periodo di tempo più o meno lungo (di solito anni),
e comporta una serie di conseguenze a livello fisico, psichico e sociale. I danni possono colpire
qualunque persona, di ogni età sesso e ceto sociale e possono colpire vari settori della vita di una
persona. Si può parlare, infatti, di:

- danni fisici epatici, neurologici, cardiaci, sessuali, e così via;

- danni psichici come ansia, depressione, psicosi, disturbi di personalità, e così via;

- danni sociali come perdita di lavoro, divorzi, violenza sui minori, incidenti stradali, infortuni sul
lavoro, e così via.

Fino a non molti anni fa, si pensava che l’alcolismo fosse un vizio, cioè un comportamento
volontario negativo e quindi moralmente riprovevole.

Negli ultimi anni, invece, è apparso sempre più evidente, in seguito al progresso delle conoscenze
scientifiche sull’argomento, che la dipendenza da alcol è dovuta, non tanto alla mancanza di
volontà del soggetto, ma a una serie di fattori che possiamo raggruppare in:

- fisico-genetico, metabolici, neurologici;

- psichici: disturbi psichici di varia natura che provocano sofferenza e facilitano la ricerca dell’alcol
come conforto;

- sociali: cultura del bere, pressione sociale, abitudini e stile di vita.

Ciascuno di questi fattori, da solo, non è in grado di creare disturbo, e, quindi, perché il problema
si manifesti, è necessario che siano contemporaneamente presenti più fattori come condizione
predisponente, e che sopravvenga una causa occasionale scatenante. Una volta che il disturbo è
apparso, il suo mantenimento sarà reso possibile da altri fattori, cosiddetti perpetuanti, vale a dire
da fattori che contribuiscono a far continuare il legame del soggetto con l’alcol. In base alle nuove
conoscenze, sappiamo che il soggetto dipendente da alcol non ha più il controllo volontario sulla
sostanza. I suoi comportamenti sono dettati da meccanismi che scattano automaticamente e lo
rendono schiavo, impedendogli di staccarsi dalla sostanza, anche quando egli, si rende conto che è
indispensabile farlo. È per questo motivo che attualmente gli studiosi considerano l’alcolismo una
malattia, e non più un vizio.

Nel vizio, è il soggetto che controlla l’alcol, nella malattia, è l’alcol che controlla il soggetto. Un
tempo, l’alcolismo, essendo considerato un vizio, veniva solo biasimato e condannato. Ora che è
apparso chiaro che si tratta di una malattia, viene affrontato come tutte le altre patologie, cioè, con
la ricerca di rimedi efficaci per risolvere i tanti danni che provoca sia all’individuo che all’intera
società.

Negli ultimi anni, sono stati sviluppati molti programmi terapeutici che si sono sempre più
affinati, permettendo di vedere risultati concreti che un tempo erano impensabili. Tali risultati
costituiscono una realtà per tante persone che riescono a trarne beneficio, e al contempo, una
fonte di speranza e di incoraggiamento per quanti sono ancora in preda alla dipendenza, ma che
vogliono venirne fuori.
Si può, quindi, affermare, senza dubbio, che l’alcolismo si può curare, anche se questo non significa
che sia facile farlo. Questa malattia è caratterizzata, infatti, dal rischio costante di ricaduta, per cui,
non basta smettere di bere, ma è fondamentale non ricominciare a farlo. Smettere può non essere
difficile, ma continuare a restare in sobrietà non è altrettanto facile. Perché una persona possa
curarsi, è indispensabile che abbia la spinta giusta a farlo, che sia, cioè, motivata correttamente. La
motivazione scatta quando una persona si rende conto che l’alcol costituisce un problema e che
non riesce a risolverlo da sola. Constata che la sua vita viene pesantemente condizionata da quella
dipendenza e che i problemi che ne derivano gettano la persona stessa, e chi le vive accanto, in un
vero e proprio inferno. Arriva un momento in cui non è possibile andare avanti a vivere in quel
modo. Questo è il momento giusto per smettere. Per alcuni, purtroppo, questa consapevolezza non
si verifica o arriva troppo tardi, e cioè, quando i danni sono ormai irreversibili. Spesso, la persona
può tentare da sola di smettere ma, se non ci riesce, non deve demoralizzarsi, perché questa
malattia è un macigno soffocante che la sovrasta; allora, è necessario chiedere aiuto ad esperti che
possano fornire tutto l’appoggio e le conoscenze per affrontare il problema.

Etilismo acuto e cronico


L’intossicazione può essere acuta (alcolismo acuto) o cronica (alcolismo cronico).

a) L’alcolismo acuto è dovuto all’effetto, dapprima disinibente e poi depressivo, dell’alcol sul
sistema nervoso centrale; si distinguono tre quadri: 1. l’ebbrezza semplice, in cui, da un iniziale
stato di eccitamento psicomotorio con euforia, senso di benessere, iperattività, si passa,
gradualmente, a uno stato depressivo con ottundimento della coscienza, rallentamento
ideomotorio, fino al sonno profondo o, in alcuni casi, al coma; 2. l’ebbrezza complicata, le cui
manifestazioni, simili alle precedenti, sono più rilevanti; 3. l’ebbrezza patologica, caratterizzata da
manifestazioni particolarmente intense o abnormi, che compare anche per dosi modeste di alcol e
si osserva in caso di psicopatie, lesioni cerebrali, insufficienze mentali, epilessie.

b) L’alcolismo cronico, dovuto all’abuso prolungato di alcol, comprende alterazioni della


personalità e alterazioni psicotiche legate al danno cerebrale organico prodotto dall’alcol. Il
deterioramento della personalità si manifesta con accentuazione di tratti del carattere, deficit
dell’attenzione e della volontà, perdita di interessi, turbe dell’emotività, labilità dell’umore,
comportamento sociale inadeguato, diminuzione della capacità di critica e di giudizio, turbe del
pensiero e della memoria. La compromissione di tutte queste funzioni può condurre a un quadro
di demenza alcolica. Tra le alterazioni psicotiche (o psicosi alcoliche), si possono osservare: il
delirium tremens; il delirio di gelosia nei confronti del partner, spesso accompagnato da
atteggiamenti diffidenti e aggressivi; encefalopatie carenziali, come la encefalopatia di Wernicke
(quadro psicotico acuto con disturbi della coscienza, deliri, allucinazioni, ipertonia, discinesie ecc.)
e la sindrome di Korsakoff (con perdita della memoria, disturbi della coscienza, discorsi sconnessi).

Terapia

Il trattamento dell’alcolismo nelle forme acute gravi (in particolare nel coma) prevede una terapia
intensiva con tutte le misure di rianimazione; impiego di antibiotici, polivitaminici, soluzioni
glucosate; con alcune cautele, si induce sedazione (particolarmente usate a tale proposito le
benzodiazepine nella sindrome di astinenza). Nell’alcolismo cronico, il trattamento presenta
maggiori difficoltà, per le implicazioni a livello organico, psicologico e sociale: fondamentali, sono
la motivazione e la collaborazione del soggetto; a volte, si consiglia il ricovero in reparti
specialistici. In questi casi, la terapia, si basa sull’abolizione dell’alcol, sulla disintossicazione, cioè
sul trattamento della patologia organica (epatoprotettori, vitamine ecc.), e sul divezzamento, per
annullare il desiderio dell’alcol e la dipendenza. Indispensabili sono, inoltre, azioni psicoterapiche
individuali o di gruppo, nonché interventi psicosociali protratti in stretta collaborazione con
l’ambiente familiare e sociale del soggetto.

Relazione tra alcolismo e delitto

Nonostante siano state condotte numerosissime ricerche sul legame tra abuso di alcool e condotte
criminose, esistono, ancora, sul problema, dei luoghi comuni che vanno abbattuti. Risulta, infatti,
fuorviante e privo di solido fondamento scientifico, ritenere esistente una sorta di predisposizione
genetica, a carattere ereditario, nell’abuso di sostanze alcoliche. Anche il generico richiamo ad un
presunto rapporto diretto tra abuso di alcool e criminalità è affermazione imprecisa ed
incompleta. Vi sono, infatti, tutta una serie di reati che, per la loro stessa indole e commissione,
necessitano di una lucidità di intelletto che non può avere un soggetto etilista. Alcune ricerche
hanno, inoltre, dimostrato, come la relazione tra gli effetti dell’alcool e criminalità sfumi e venga
mediata da molteplici variabili cognitive ambientali e socio-culturali. L’unica distinzione rilevante
ai fini criminologici può essere fatta tra etilismo acuto e cronica intossicazione da alcool. Nel primo
caso, la perdita dei freni inibitori e morali e del controllo delle pulsioni ha come diretta
conseguenza quella di agevolare il soggetto a tenere condotte aggressive sia verbali che fisiche.

Nel secondo caso, l’intossicazione acuta da alcol (o da stupefacenti) sia essa volontaria, colposa o
preordinata non è, di per sé idonea ad eliminare l’imputabilità, fatte salve le ipotesi del caso
fortuito o della forza maggiore.

Discorso a parte meriterebbe tutta la delinquenza colposa legata alla violazione delle norme sulla
circolazione stradale a seguito di abuso di alcol. Sta di fatto che taluni casi di intossicazione acuta
da alcol hanno pacificamente assunto, nell’ottica clinica, valore di malattia in senso proprio, senza
che ciò abbia alcuna rilevanza dal punto di vista giuridico. Al criminologo spetta, dunque, il
compito di superare queste differenze intrinseche, operando nella complessità e tentando di
spiegare il fenomeno nella globalità della sua manifestazione e nelle sue conseguenze dal punto di
vista sociale.

Tossicomania e adolescenza

I comportamenti a rischio adolescenziali possono essere considerati dei modi per provare
sensazioni nuove e forti, con la componente relativa alla sfida e alla sperimentazione di sé.

Negli ultimi anni, è aumentato considerevolmente, da parte della criminologia moderna, lo studio
sui comportamenti ad alto rischio dei giovani adolescenti, comportamenti messi in atto da soli o in
gruppo, segnalati perché contengono elementi di auto o etero-distruttività: lanciarsi da un ponte
legati a un elastico senza misure di sicurezza; camminare sui cornicioni; attraversare torrenti in
piena; guidare a forte velocità; sdraiarsi sulla riga di mezzeria di una strada; sfidarsi a chi si toglie
per ultimo da una situazione pericolosa come: dai binari del treno, da uno scatolone in mezzo alla
strada; a ciò si accompagnano, uso di sostanze stupefacenti o alcoliche.

Il rischio che questi comportamenti hanno sulla salute può essere immediato, come nel caso della
guida pericolosa, prima causa di morte in età adolescenziale, oppure, posticipato nel tempo, come
nel caso dei disturbi dell’alimentazione, delle condotte sessuali a rischio, del fumo di sigarette,
dell’assunzione di droghe e dell’abuso di alcol.

In generale, correre dei rischi fa parte della norma in questa fase dello sviluppo; A. Tursz (1989),
infatti, sottolinea la necessità di considerare gli aspetti positivi e funzionali del rischio che, per
l’adolescente, può corrispondere a una volontà profonda di rinnovarsi, a un desiderio di
indipendenza e di autonomia oppure all’esplorazione delle proprie capacità e dei propri limiti.

Jeammet (1991) sottolinea come la stessa fase adolescenziale potrebbe costituire di per sé un
rischio, mettendone in evidenza la dimensione di crisi evolutiva corrispondente ad una esigenza di
cambiamento puberale, psichico e psicosociale.

Ciò che caratterizza l’adolescenza, statisticamente parlando, è infatti la presenza di alcuni compiti
evolutivi specifici, che riguardano l’acquisizione di una identità sessuale stabile, il riconoscimento
del sé corporeo, il distacco dal mondo infantile, la costruzione degli ideali.

Bisogna, quindi, sottolineare come i comportamenti a rischio assolvono spesso, a questa età,
funzioni ben precise, sebbene siano dannose dal punto di vista fisico, psichico e sociale, sembrano
fornire all’adolescente una via di uscita alle insicurezze e alle incertezze sperimentate in questa
fase della vita. Per quanto pericolosi per sé e per gli altri, essi potrebbero venire ricercati, perché
permettono di raggiungere alcuni obiettivi che sono molto importanti per gli adolescenti, quali, ad
esempio, l’affermazione della propria identità e la costruzione di relazioni sociali affettive.

Molti ragazzi riescono a raggiungere questi scopi, attraverso strade adattive, senza mettere in
pericolo il loro benessere fisico, psicologico e sociale; sono, quindi, in grado di gestire le ansie e i
problemi della discontinuità, senza distruggere il loro senso di unità interiore; altri adolescenti,
invece, non trovano altro modo per realizzare questi obiettivi, se non attraverso quelli che
abbiamo definito comportamenti a rischio.

Per affermare la loro adultità ed autonomia, essi ricorrono, allora, a condotte sessuali sconvenienti
e, a volte, molto precoci, in opposizione alle norme sociali e/o familiari, ecc. (molte fra le condotte
a rischio aiutano l’adolescente a sentirsi adulto facendo ciò che fanno i grandi). Inoltre, alcuni
comportamenti specifici permettono anche l’identificazione con il gruppo dei pari: fumare
sigarette, bere, avere rapporti sessuali come fanno i propri amici, permette loro di sentirsi al pari,
facilitando, in tal modo, l’accettazione nel gruppo. Il gruppo dei coetanei ha, infatti, una funzione
molto precisa e fondamentale per lo sviluppo e la crescita individuale: nei coetanei, il ragazzo ha
modo di riconoscere meglio la propria identità di adolescente, ha una conferma di ciò che egli è
per sè stesso e per gli altri e la possibilità di condividere con loro nuove norme e nuove
esperienze.

I conflitti e le crisi possono essere considerati una componente insita di questo periodo, una sorta
di patologia latente che va seguita con attenzione e vigilanza allo scopo di evitare che essa si
radichi nei meccanismi profondi di maturazione della personalità (Laufer, Laufer, 1986).

Choquet, Marcelli, Ledoux (1993), sulla stessa linea, affermano che l’adolescenza stessa è un
rischio, ovvero, che non ci sarebbe adolescenza senza assunzione di rischi, a tal punto che
un’adolescenza silente, senza nessun colpo di testa, potrebbe anche insospettire.

Jack (1989) ha osservato che l’assunzione di rischi e la sperimentazione in genere, durante


l’adolescenza, sono considerati comportamenti normali perché aiutano gli adolescenti a
raggiungere una sana indipendenza, un’identità stabile e una maggiore maturità. Ciò nonostante,
l’assunzione di rischi sembrerebbe essere una delle maggiori cause di mortalità tra gli adolescenti
soprattutto quando vittime di incidenti. L’autore osservò che anche le gravidanze adolescenziali
sono spesso favorite dalla convinzione di una sorta di immunità personale, rispetto alle
conseguenze negative, come se gli incidenti, ad esempio, capitassero solo agli altri, come se si
fosse superiori anche al contagio di malattie come l’Aids, insomma, come se gli eventi negativi
reali della vita non riguardassero l’adolescente che, quindi, potrebbe ritenersi, sempre, al di sopra
di tutto questo. Purtroppo, le cronache, così come anche i dati statistici, confermano il contrario.
Ritenere che l’adolescenza comporti inevitabilmente manifestazioni comportamentali autolesive
può indurre la convinzione che qualsiasi condotta bizzarra e pericolosa rientri nella normalità;
adottando un punto di vista simile, il rischio è quello di minimizzare la gravità di certe
manifestazioni e quindi di non prevenire e di compromettere l’avvenire dell’adolescente
(Carbone, 2000).

Una serie consistente di studi ha messo in rilievo che i comportamenti a rischio sono tra loro
collegati; tali comportamenti includono il consumo di alcol, di tabacco e di droghe, il sesso non
protetto, la guida pericolosa.

Emerge, così, un altro aspetto molto importante dei comportamenti a rischio, questi non si
presentano in modo isolato, ma si collegano in vere e proprie sindromi, o costellazioni, che
comprendono differenti comportamenti (Bonino, Fraczek, 1996).

Gli adolescenti sarebbero protagonisti di rapporti sessuali promiscui e non protetti, sono altresì
coinvolti, rispetto ai soggetti non promiscui sessualmente, negli altri comportamenti a rischio. Nel
sottogruppo dei promiscui, il consumo forte e abituale di tabacco riguarda il 37% dei soggetti, il
consumo forte di alcol riguarda il 60%, e quello abituale di marijuana sfiora il 44%. Ma anche la
guida pericolosa e la devianza sono più frequenti fra gli adolescenti promiscui rispetto ai non.

Si riscontrano risultati analoghi anche esaminando la ricerca sul consumo di sostanze: gli
adolescenti che usano abitualmente marijuana, sono in maggior misura forti bevitori, forti
fumatori di sigarette e sono maggiormente coinvolti nella guida pericolosa e nell’attività sessuale
a rischio. Anche la guida spericolata, così come quella in condizioni psicofisiche alterate, non si
presenta come un comportamento isolato, ma è legata ad altri comportamenti a rischio.

La metà dei soggetti che guidano pericolosamente è altamente implicata anche nell’uso di
sostanze psicoattive e nelle condotte devianti. All’interno del gruppo dei soggetti che guidano
infrangendo il codice penale (poiché guidano in condizioni psicofisiche alterate) e che
rappresentano il 10% del campione totale, i 2/3 fumano sigarette e consumano alcolici, i 3/4
fumano spinelli e, inoltre, sono maggiormente coinvolti in forme persistenti di devianza.

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