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LE INFORMAZIONI

SUGLI ALIMENTI AL CONSUMATORE:


IL CASO DEL VINO ALLA LUCE ANCHE DELLA NUOVA
OCM UNICA E DEL REG. (UE) N. 1169/2011

A CURA DI
LAURA SPAGNOLO
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

CAPITOLO I
LA TUTELA DEL CONSUMATORE

Sommario: 1. La tutela del consumatore e sicurezza alimentare - 2. Pratiche sleali commerciali - 3. La


tutela della salute - 4. Diritto ad essere informato, diritto all’educazione e responsabilità del consuma-
tore

1. Tutela del consumatore e sicurezza alimentare


In ambito europeo si è assistito, nel corso del tempo, a tutta una serie di interventi sempre a
più ampio raggio finalizzati alla tutela del consumatore in tutti quei settori in cui, tendenzial-
mente, lo stesso assurge ad un ruolo di parte debole del rapporto. Rientrano in tale raggio
d’azione le direttive: 84/450 in materia di pubblicità ingannevole; 85/374 in tema di responsabi-
lità per danno da prodotti difettosi; 85/577 sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali;
87/102 in tema di credito al consumo; 90/314 in materia di pacchetti turistici; 93/13 in tema di
clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; 94/47 sulla multiproprietà; 97/7 sulle
vendite a distanza; 98/6 sull’indicazione dei prezzi; 98/27 sulle azioni inibitorie; 99/44 sulle
vendite dei beni di consumo; 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali1.
Non è chi non veda come strumento prescelto dal legislatore europeo in tale ambito sia stato
quello della direttiva che, com’è noto, necessita un’azione di recepimento da parte degli Stati
membri con tutto ciò che ne consegue in tema di “asimmetrie di tutela” tra i vari provvedimenti
di attuazione nazionali.
Diverso, invece, è il caso del settore alimentare che, come i settori sopra citati, non è restato
esente da un “invasivo” intervento da parte del legislatore europeo che, addirittura, ha ritenuto
di intervenire in tale ambito con lo strumento del regolamento e, pertanto, con una normativa
direttamente ed immediatamente applicabile a tutti gli Stati membri e, quindi, a tutti i cittadini
europei, dettando direttamente disposizioni giuridiche e stabilendo regole di comportamento.
Tali sono, ex multis: il Reg. (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e requisiti generali della le-
gislazione alimentare, istituisce l’Autorità europe per la sicurezza alimentare e fissa procedure
nel campo della sicurezza alimentare; il Reg. (CE) n. 1924/06 relativo alle indicazioni nutrizionali
e sulla salute fornite sui prodotti alimentari; il Reg. (CE) 1925/06 sull’aggiunta di vitamine e mi-
nerali e di talune altre sostanze sugli alimenti; nonché, in ultimo, il Reg. (UE) n. 1169/2011 rela-
tivo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori che modifica, inter alia, il Reg.
(CE) n. 1924/06 ed il Reg. (CE) 1925/06 ed abroga la direttiva 2000/13/CE relativa al ravvicina-
mento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei
prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità.
Sicuramente ruolo centrale in tale quadro normativo svolge il Reg. 178/2002, pietra miliare del-
la “european food law”: suo scopo ultimo è quello di porre le basi per un diritto alimentare eu-
ropeo attraverso la “disciplina giuridica del mercato alimentare” mediante l’adozione di principi
di sicurezza ispirati alla ricerca di un elevato livello della salute umana e un approccio integrato
lungo l’intera filiera del prodotto agricolo, principi che, pertanto, regolano l’accesso al mercato

1
A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natura) e i segni degli alimenti, in Riv. dir. agr., 2012, II, p. 216; G. ALPA, G. CONTE E L.ROSSI CAR-
LEO, La costruzione del diritto dei consumatori, in G.ALPA (a cura di), I diritti dei consumatori, in G. AJANI E G.A. BENACCHIO (diretto da), Trattato di
diritto privato dell’Unione europea, vol. III, tomo I, Torino, 2009, p.1.

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alimentare e bandiscono gli operatori di quei prodotti che pur potendo essere ingeriti sono
dannosi per la salute o non sono destinati al consumo umano2.
Con l’introduzione del regolamento sulla sicurezza alimentare, quindi, il diritto alimentare eu-
ropeo oltre alla funzione di disciplinare il diritto di far circolare gli alimenti liberamente, si as-
sume direttamente anche la responsabilità di proteggere la salute e/o sicurezza dei destinatari
finali degli alimenti3.
Ed invero, il TFUE contiene disposizioni che riguardano direttamente, o anche indirettamente,
la salute disponendo l’art. 168 che l’azione dell’UE debba completare le politiche sulla sanità
pubblica, e l’art. 169 che l’Unione debba contribuire a tutelare la salute dei consumatori. Non
dispone, invece, alcunché sull’alimentazione. Ma poiché il cibo per poter essere ingerito deve
essere inevitabilmente “sano”, non può che concludersi che alimentazione e salute sono impre-
scindibilmente legate e che, attraverso le disposizioni sulla salute, debba ritenersi implicita nel
TFUE anche la materia dell’alimentazione che, per l’effetto, ne assume la qualifica di materia
concorrente, al pari anche di quella di tutela dei consumatori, ben legittimando, quindi,
l’individuazione di un diritto alimentare comunitario di spettanza dell’Unione Europea4.

2. Pratiche commerciali sleali


Ad ogni modo, se la tutela della salute può ritenersi uno degli obiettivi principali del Reg. (CE) n.
178/2002 (vedesi art. 5 del medesimo), allo stesso modo non può che porsi in evidenza come
tale diritto debba in ogni caso concorrere con la libertà di circolazione garantita a livello euro-
peo e dalle disposizioni del TFUE e della costante giurisprudenza della Corte di Giustizia: la salu-
te, quindi, non come valore assoluto e primario, ma come valore concorrente con tutti gli altri
essenziali valori economici dovendo, in ogni caso, sottoporsi ad un continuo bilanciamento con
gli stessi.
Non è un caso che anche in tale settore abbia sino ad ora trovato applicazione - nonostante la
sua natura di direttiva “quadro” ed il suo ambito di applicazione limitato a tutti quei casi in cui
<<non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle
pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di pre-
sentazione delle informazioni al consumatore>> offrendo, quindi, la stessa una tutela ai consu-
matori ove non sussista a livello comunitario una specifica legislazione di settore (vedesi 10°
considerando della medesima) - la dir. 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra
imprese e consumatori nel mercato interno che considera, inter alia:

• sleale quella pratica commerciale contraria alle norme sulla diligenza professionale e
che falsa o che è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in
relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta (o del
membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determina-
to gruppo di consumatori) (art. 5 della direttiva);

2
A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natura) e i segni degli alimenti, cit., p. 213; cfr. L. COSTATO, Principi e requisiti generali della
legislazione alimentare, in L. COSTATO, A. GERMANÒ E E. ROOK BASILE (diretto da), Trattato di diritto agrario, vol. 3, Il diritto agroalimentare, Torino,
2011, p.19.
3
A. FORTI, Il (doppio) valore del diritto alla salute nel diritto alimentare (la trasformazione dei diritti sociali nel diritto comunitario), in Riv. dir.
agr., 2013, IV, p. 607. Emblematica, a riguardo, è la definizione fornita da Costato sul diritto alimentare in generale: <<il diritto alimentare si
configura come un complesso di regole giuridiche di origine nazionale, comunitaria e internazionale informate alla finalità di proteggere il con-
sumatore di alimenti. La protezione si manifesta, in via generale, vietando la messa in circolazione di alimenti i cui vizi sono direttamente danno-
si per chiunque, anche se assunti in modiche quantità>> in L. COSTATO, I principi del diritto alimentare, in Studium iuris, 2003, p. 1051.
4
A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natura) e i segni degli alimenti, cit., p. 215; Cfr. L. COSTATO, Principi e requisiti generali della
legislazione alimentare, cit., p. 27.

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• ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto
non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o
possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, ri-
guardo ad uno o più degli elementi indicati e in ogni caso lo induca o sia idonea ad in-
durlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti
preso (art. 6, 1° paragrafo, della direttiva);
• ingannevole, inoltre, una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto
conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il
consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe
altrimenti preso con le modalità ivi nel dettaglio indicate (art. 6, 2° paragrafo, della di-
rettiva);
• ingannevole, anche, una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, sempre te-
nuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo
di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio
ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commer-
ciale e induca e sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere
una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso (art. 7, 1° paragrafo, della
direttiva);
• un’omissione ingannevole, infine, quando un professionista occulta o presenta in modo
oscuro ed incomprensibile, ambiguo ed intempestivo le informazioni rilevanti di cui il
consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevo-
le di natura commerciale, tenendo conto di tutte le caratteristiche e circostanze del ca-
so, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, o non indica l’intento
commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quan-
do, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo ad indurre il consumatore medio ad
assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 7,
2° paragrafo, della direttiva);
• aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte
le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ri-
corso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idoneo a limitare conside-
revolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione
al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di
natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 8 della direttiva).

Evidente, quindi, come oggetto di tutela della direttiva citata che, si ricorda, ha trovato applica-
zione sino ad ora anche in ambito alimentare, siano gli interessi economici del consumatore e la
sua libertà di assumere decisioni commerciali non condizionate, ratio questa che trova fonda-
mento anche nell’art. 1 della medesima direttiva ove leggesi chiaramente che lo scopo della
stessa è quello di <<contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al consegui-
mento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposi-
zioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pratiche
commerciali sleali lesive degli interessi dei consumatori>>5. L’art. 7, 5° paragrafo, della direttiva
5
Cfr. M. GIUFFRIDA, Pratiche leali di informazione e informazioni, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 81 e ss.; S. BOLOGNINI, Claims nutrizionali e sulla salute
e pratiche commerciali scorrette: quando l’inganno da dolce diventa amaro, in Riv. dir. agr., 2012, IV, p. 323 e ss.; A. DI LAURO, La comunicazione
e la disciplina della pubblicità dei prodotti alimentari, in L. Costato, A. Germanò e E. Rook Basile (diretto da), Trattato di diritto agrario, vol. 3, Il
diritto agroalimentare, Torino, 2011, p.547 e ss..

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2005/29/CE, tuttavia, riconosce, al fine di definire se una pratica omissiva sia ingannevole o
meno, come <<rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi
alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing di cui l’allegato II fornisce
un elenco più completo>>: ed è proprio in linea con tale disposizione che, come verrà argomen-
tato meglio successivamente, sono state introdotte con il Reg. (UE) n. 1169/2011 disposizioni
più dettagliate che specificano quali pratiche, mediante un ragionamento a contrario, sono da
ritenersi sleali in ambito alimentare (i.e. art. 7 rubricato <<Pratiche leali d’informazione>>) alla
luce anche di quanto sancito in maniera del tutto generica dallo stesso Reg. (CE) n. 172/2002 al
suo art. 8, rubricato come <<Tutela degli interessi dei consumatori>> ove leggesi che <<la legi-
slazione alimentare si prefigge di tutelare gli interessi dei consumatori e di costituire una base
per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che con-
sumano. Essa mira a prevenire le seguenti pratiche: (a) le pratiche fraudolente o ingannevoli;
(b) l’adulterazione degli alimenti; (c) ogni altro tipo di pratica in grado di indurre in errore il
consumatore>>.

3. La tutela della salute


Ma vi è di più. Il Reg. (UE) n. 1169/2011 si presenta come completamento generale del Reg.
(CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare in virtù del quale l’obbligo di comunicare le infor-
mazioni che possono incidere sulla salute dei consumatori, al momento dell’immissione sul
mercato dell’alimento, costituisce componente strutturale del sistema di sicurezza alimentare
divenendo questo lo strumento indispensabile per governare il controllo sui rischi. E difatti, ai
sensi dell’art. 14, 1° paragrafo, del regolamento sulla sicurezza alimentare, non possono essere
immessi sul mercato gli alimenti a rischio dovendo ritenersi tali quelli dannosi per la salute e
quelli inadatti al consumo umano (art. 14, 2° paragrafo). In particolare, poi, l’art. 14, 3° paragra-
fo, lettera b), specifica che per determinare se un alimento sia a rischio o meno è necessario
prendere in considerazione, inter alia, <<le informazioni messe a disposizione dal consumatore,
comprese le informazioni riportate sull’etichetta o altre informazioni generalmente accessibili
al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento
o categoria di alimenti>>. Tale disposizione non può che leggersi attraverso il Reg. (UE) n.
1169/2011 che in maniera dettagliata disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti al
consumatore.
In particolare tale regolamento, in linea anche con l’obiettivo generale individuato all’art. 3 di
garanzia <<di un elevato livello di protezione della salute e degli interessi dei consumatori me-
diante la fornitura ai medesimi delle basi per effettuare scelte consapevoli e per utilizzare gli
alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, am-
bientali, sociali ed etiche>>, individua tra le informazioni obbligatorie da fornirsi al consumatore
le seguenti due categorie rilevanti per la salute dei medesimi: le informazioni sulla protezione
della salute dei consumatori e le informazioni sull’uso sicuro dell’alimento. Accanto a tali infor-
mazioni, poi, si ritrovano anche quelle che producono un effetto solo indiretto sulla salute dei
consumatori, ovvero le dichiarazioni nutrizionali, che permettono agli stessi di effettuare
<<scelte consapevoli>> contribuendo, in sostanza, ad orientare le loro scelte alimentari e ri-
chiedendo, però, un comportamento attivo del consumatore non soltanto nella ricezione, ma
anche nella selezione ed interpretazione, nonché utilizzo, delle stesse6. Non è un caso, difatti,
che proprio alla luce di tale differenza di fondo lo stesso regolamento preveda, ad esempio, un
6
I. CANFORA, Informazioni a tutela della salute e conformazione del contenuto negoziale tra diritto europeo e diritti nazionali, in Riv. dir. agr.,
2014, II, p. 122 e ss..

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regime differente tra le informazioni che incidono direttamente sulla salute di determinate ca-
tegorie di consumatori (quali, ad esempio, le indicazioni relative a sostanze in grado di determi-
nare allergie o intolleranze di cui all’art. 9, par. 1, lett. c)), rispetto alle altre di rilevanza nutri-
zionale e per le quali il regolamento prevede un approccio meno rigoroso soprattutto per i pro-
dotti messi in vendita sfusi per i quali è obbligatoria la sola fornitura delle informazioni di cui all’
art. 9, par. 1, lett. c).7
Dallo scenario sino ad ora brevemente descritto non possono che sorgere le seguenti conside-
razioni spontanee: si assiste ad un concetto di salute piuttosto ampio, o, se vogliamo, piuttosto
limitato, che concorre con un sempre più “reclamato” diritto del consumatore ad essere infor-
mato il quale, non camminando spesso e volentieri di pari passo con un altrettanto ben delinea-
to diritto del consumatore all’educazione, non può che far spostare la linea della responsabilità
dall’operatore alimentare al consumatore medesimo.
Ed invero, come già argomentato poc’anzi, non è chi non veda come il diritto alla salute sia, per
certi versi, sottoposto ad una pressione, o meglio limitazione, in quanto continuamente sotto-
posto ad un’opera di bilanciamento con tutti gli altri interessi in gioco e le varie esigenze del
mercato alimentare, e, per altri versi, invece, sia “ampliato” al più generale concetto di “benes-
sere”8 distinguendosi le tipologie di informazioni sulla salute e, pertanto, ça va sans dire, il loro
impatto sulla stessa, e affidando al consumatore, in sostanza, l’utilizzo consapevole delle mede-
sime e, pertanto, il <<corretto uso del cibo>>9.
Il concetto di benessere non coincide con il concetto di salute noto ai più e consistente con il bi-
sogno di essere curati, ma si configura come il diritto di ogni persona al <<mantenimento dello
stato di salute>> e a vivere in un ambiente salubre divenendo, in sostanza, una questione pret-
tamente privata. La salute, quindi, diviene conseguenza della gestione personalizzata della pro-
pria vita e delle proprie abitudini alimentari quasi vi fosse in capo al consumatore non soltanto
un diritto a mantenersi in salute, ma un altrettanto dovere avente il medesimo contenuto: il
consumatore, pertanto, diviene l’unico responsabile di tutte le proprie scelte di consumo10.

4. Diritto ad essere informato, diritto all’educazione e responsabilità del consumatore


Ed è proprio alla luce di tale scenario che il diritto del consumatore ad essere informato assume
sempre più un ruolo fondamentale nell’ambito della legislazione alimentare. D’altra parte lo
stesso regolamento sulla sicurezza alimentare, come già sopra analizzato, arriva a porre in
stretta correlazione il concetto di alimento a rischio con la presenza o meno di tutte le informa-
zioni messe a disposizione del medesimo (comprese le informazioni riportate sull’etichetta o al-
tre informazioni generalmente accessibili al consumatore) sul modo di evitare specifici effetti
nocivi per la salute provocati da un alimento o da una categoria di alimenti: in sostanza, il fatto
che un alimento possa dirsi a rischio o meno dipenderà esclusivamente dalla “ricezione” del
consumatore, condizionata peraltro dalla sua identità personale e concreta ed attuale predi-
sposizione culturale, il quale viene quindi a tramutarsi da passivo beneficiario della protezione a
giocatore principale nel perseguimento della sicurezza alimentare11.

7 Cfr. I. CANFORA, Informazioni a tutela della salute e conformazione del contenuto negoziale tra diritto europeo e diritti nazionali, cit., p. 127 e
ss.
8
Cfr. A. FORTI, Il (doppio) valore del diritto alla salute nel diritto alimentare (la trasformazione dei diritti sociali nel diritto comunitario), cit., p.
610 e SS.
9 Cfr. I. CANFORA, Informazioni a tutela della salute e conformazione del contenuto negoziale tra diritto europeo e diritti nazionali, cit., p. 123.
10 Cfr. A. FORTI, Il (doppio) valore del diritto alla salute nel diritto alimentare (la trasformazione dei diritti sociali nel diritto comunitario), cit., p.
619 e SS..
11 Cfr. ALBISSINI, The new European Regulation on the provision of food information to consumers, in Riv. dir. alim., 2, 2011, p. 5; cfr. anche sul
punto S. MASINI, Diritto all’informazione ed etichettatura di alimenti, in Riv. dir. agr., IV, 2011, p. 576 e ss..

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L’etichetta, dunque, assume un ruolo di <<garanzia di informazione>> all’interno della quale


vengono fornite tutte le informazioni prescritte al consumatore ed in virtù della quale si viene a
delineare la responsabilità in capo all’operatore nel caso in cui le stesse dovessero essere alte-
rate o non vengano fornite del tutto12.
Tuttavia, in un contesto di “ultra informazione” in ambito alimentare quale quello attuale, non
ci si può esimere dal chiedersi se il consumatore sia effettivamente posto nelle condizioni di
correttamente leggere tutte le informazioni fornite e sia munito degli strumenti per farlo. Pro-
prio da tale riflessione nasce l’idea, o ancor meglio l’esigenza, sempre più stringente di un al-
trettanto disciplinato e dettagliato diritto all’educazione.
D’altra parte, lo stesso Comitato economico sociale ed europeo nel suo parere sulla proposta
della Commissione di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitu-
ra di informazioni alimentari ai consumatori del 31.03.2009 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
dell’Unione Europea C 77/81) ha più volte richiesto uno sforzo da parte di Commissione e Stati
membri nell’articolare i giusti strumenti di formazione del consumatore. Leggesi, difatti nel pa-
rere: <<il CESE fa tuttavia osservare che l’informazione se non è prima accompagnata da debite
azioni di formazione del consumatore finale, perde una gran parte del suo valore e dei suoi
obiettivi. In questo senso, il CESE si rammarica che la proposta non sia affiancata da misure di
sostegno alla formazione dei consumatori, tanto a livello comunitario che nazionale. […] Nello
stesso spirito, il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di compiere uno sforzo per
articolare gli strumenti di informazione e, in particolare, una base di dati aperta alla consulta-
zione pubblica, che contenga le informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate
sulle etichette dei diversi alimenti>>. Precisa, in ultimo, che <<occorre cominciare con una ri-
flessione sulla necessità dell’educazione nutrizionale destinata ai consumatori europei affinché
essi siano in grado di adottare un regime alimentare equilibrato. Il consumatore europeo ha bi-
sogno di una formazione di base in materia di nutrizione perché altrimenti qualsiasi informazio-
ne che gli sia fornita non sarà né compresa né ben utilizzata. Le misure di aumento
dell’informazione nutrizionale sono ragionevoli, ma non va dimenticato che, in mancanza di una
formazione nutrizionale, queste misure non avranno l’effetto voluto. Tenuto conto degli squili-
bri nutrizionali della popolazione europea, sarà necessario accompagnare ogni misura di infor-
mazione con grande sforzo di formazione>>.
Il parere del CESE mette chiaramente in evidenza come l’educazione/formazione svolga un ruo-
lo fondamentale per rendere effettivo il diritto all’informazione, posto che l’educazione alla ba-
se si presenta essere l’unico modo per permettere ai consumatori di effettuare le tanto “ambi-
te” scelte consapevoli di cui al regolamento sulla sicurezza alimentare. Lo stesso reg. (UE) n.
1169/2011 al suo 10° considerando afferma che <<le campagne di educazione e informazione
sono un meccanismo importante per migliorare la comprensione delle informazioni alimentari
da parte dei consumatori>> dimostrando la consapevolezza della necessarietà dell’effettiva ca-
pacità del consumatore di cogliere il significato dei dati forniti13.
Tuttavia nessuna disposizione specifica a riguardo è stata inserita nel corpo normativo del rego-
lamento con la conseguenza che il legislatore ha nuovamente perso la chance di “far quadrare il
cerchio” contribuendo a delineare, invece, sempre più in dettaglio una responsabilità del con-
sumatore in ambito alimentare.
E difatti, l’utilizzo di una regolamentazione sempre più dettagliata e minuziosa in luogo di una
regolamentazione più generale e di ampio respiro fanno sì che il mancato inquadramento di un

12 Cfr. A. GERMANÒ, M.P. RAGIONIERI, E.ROOK BASILE, L’informazione alimentare, in Diritto agroalimentare, le regole del mercato degli alimenti e
dell’informazione alimentare, 2014, Torino, p. 69 e ss.
13Cfr. sul punto E. SIRSI, Il diritto all’educazione del consumatore di alimenti, in Riv. dir. agr., IV, 2011, p. 495 e ss.

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dato comportamento in una fattispecie prevista rende non perseguibile il comportamento e


conforme, invece, ai precetti normativi. Questo, in aggiunta alla pluralità di informazioni forni-
te, che spesso e volentieri, tra l’altro, richiedono delle conoscenze scientifiche e giuridiche di
base, ed in aggiunta alla totale assenza di formazione in tal senso, fa sì, in sostanza, che ogni ri-
schio venga trasferito in toto in capo al consumatore14.

14
Cfr. sul punto A. DI LAURO, Nuove regole per le informazioni sui prodotti alimentari e nuovi alfabetismi. La costruzione di una responsabilità del
consumatore“, in, Riv. dir. alim., 2, 2012, p. 1 e ss.

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CAPITOLO II
IL REG. (UE) N. 1169/2011 RELATIVO ALLA FORNITURA DI INFORMAZIONI
SUGLI ALIMENTI AL CONSUMATORE

Sommario: 1. Finalità e principi generali del Reg. n. 1169/2011 - 2. L’etichetta - 3. Le informazioni ob-
bligatorie – 3.1. L’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza – 3.2. La dichiarazione
nutrizionale – 4. Le indicazioni volontarie – 5. Pratiche leali di informazione – 6. La responsabilità
dell’operatore del settore alimentare

1. Finalità e principi generali del Reg. (UE) n. 1169/2011


Nel Capitolo I che precede, si è già avuto modo di brevemente analizzare le finalità ed i principi
sottesi al regolamento in oggetto in un’ottica, soprattutto, di suo collocamento all’interno della
più generica categoria della tutela del consumatore e, più nello specifico, di individuazione del
suo ruolo nel settore della sicurezza alimentare.
Una sua più dettagliata analisi, ora, non può che prendere le mosse dalla proposta di regola-
mento presentata dalla Commissione (COM(2008) 40 Definitivo) che nella sua relazione accom-
pagnatoria enuclea quello che è il contesto della proposta e sue finalità.
Il progetto, ormai il Regolamento, aggiorna principalmente due settori della legislazione in ma-
teria di etichettatura: l’etichettatura generale dei prodotti alimentari disciplinata dalla dir.
2000/13/CE e l’etichettatura nutrizionale disciplinata dalla dir. 90/496/CEE, direttive queste en-
trambe abrogate dal Reg. (UE) n. 1169/2011 all’interno del quale sono state poi trasposte e rin-
novate congiuntamente a tutte le specifiche normative di carattere verticale applicabili a speci-
fiche tipologie di alimenti.
La Commissione, in particolare, pone in rilievo come lo scopo del primo strumento in ambito di
etichettatura alimentare sia stato quello di fissare le regole applicabili all’etichettatura dei pro-
dotti al fine di agevolarne la libera circolazione all’interno della Comunità, e come, altresì, tale
scopo sia poi passato in secondo piano rispetto all’obiettivo specifico dell’allora Comunità eu-
ropea di tutela dei diritti dei consumatori. Allo stesso modo in ambito di etichettatura nutrizio-
nale è emersa la necessità di dare al consumatore accesso ad informazioni sempre più <<chiare,
coerenti e sostenute da elementi concreti>> rafforzandone la sua efficacia al fine di agevolare la
<<presa in considerazione del fattore salute nelle scelte alimentari […] e aiutare il consumatore
nello scegliere un’alimentazione più equilibrata>>.
Ed invero, il contesto normativo piuttosto “frastagliato” non soltanto creava dei disagi in capo
al consumatore, ma, soprattutto, all’industria medesima che spesso e volentieri aveva difficoltà
ad orientarsi tra i vari testi composti da norme tecniche particolareggiate. Motivi questi tutti
per cui, cercando di raggiungere un equilibrio tra i vari protagonisti del settore, la Commissione
individuava una serie di cambiamenti volti tutti ad una maggiore chiarezza, e quindi efficienza,
delle disposizioni in materia di etichettatura sugli alimenti (i.e., ex multis, chiarire le responsabi-
lità dei vari operatori; stabilire la dimensione minima dei caratteri per le informazioni obbliga-
torie; imporre l’obbligatorietà delle indicazioni sugli ingredienti allergenici per i prodotti non
preimballati venduti nel commercio al dettaglio e nei punti di ristoro collettivo; stabilire per
l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza – pur restando facoltativa di base –
la sua obbligatorietà qualora l’omissione di tale informazione possa indurre in errore il consu-
matore).
La ratio sottesa alla proposta della Commissione, ovviamente, è stata poi interamente fatta
propria e sviscerata dal regolamento e, in particolare, nei propri considerando. Leggesi difatti al
8
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

2° considerando, sulla scorta dell’art. 169 del TFUE che stabilisce che l’Unione deve contribuire
ad assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori (1° considerando), che <<la libera
di circolazione di alimenti sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato interno e
contribuisce in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizza-
zione dei loro interessi sociali ed economici>> e che <<per ottenere un elevato livello di tutela
della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire
che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano. Le scelte dei
consumatori possono essere influenzate, tra l’altro, da considerazioni di natura sanitaria, eco-
nomica, ambientale, sociale ed etica>> (3° considerando). La legislazione alimentare, pertanto,
<<si prefigge quale principio generale, di costituire una base per consentire ai consumatori di
compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano e di prevenire qualunque
pratica in grado di indurre in errore il consumatore>> (4° considerando).
Ma vi è di più. Il Reg. (UE) n. 1169/2011 non soltanto ha adottato tali principi quali “linee gui-
da”, ma li ha resi parte integrante del proprio corpo normativo. Al suo art. 1, rubricato <<Ogget-
to e ambito di applicazione>>, si stabilisce che il regolamento <<stabilisce le basi che garanti-
scono un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti,
tenendo conto delle differenze di percezione dei consumatori e delle loro esigenze in materia di
informazione, garantendo al tempo stesso il buon funzionamento del mercato interno>> (1° pa-
ragrafo) e <<[…] fissa gli strumenti volti a garantire il diritto dei consumatori all’informazione e
le procedure per la fornitura di informazioni sugli alimenti, tenendo conto dell’esigenza di pre-
vedere una flessibilità sufficiente in grado di rispondere alle evoluzioni future e ai nuovi requisi-
ti di informazione>> (2° paragrafo).
Il Reg. (UE) n. 1169/2011, inoltre, si prefigge come obiettivi generali <<un elevato livello di pro-
tezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per
effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in
particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche>> (art. 3, 1°
paragrafo), nonché di garantire <<le condizioni per la libera circolazione degli alimenti legal-
mente prodotti e commercializzati, tenuto conto, ove opportuno, della necessità di proteggere
gli interessi legittimi dei produttori e di promuovere la fabbricazione di prodotti di qualità>>
(art. 3, 2° paragrafo).
La sua portata applicativa, in ultimo, è piuttosto ampia applicandosi lo stesso agli <<operatori
del settore alimentare [i.e., ai sensi del Reg. (CE) n. 178/2002) cui si fa rimando, <<la persona
fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimen-
tare nell’impresa posta sotto il suo controllo>>] in tutte le fasi della catena alimentare quando
le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori>>, nonché
<<a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale [i.e., ai sensi del Reg. (CE) n. 178/2002) cui
si fa rimando, <<il consumatore finale di un prodotto alimentare che non utilizzi tale prodotto
nell’ambito di un’operazione o attività di un’impresa del settore alimentare>>], compresi quelli
forniti dalle collettività [i.e ristoranti, mense, ospedali, catering], e a quelli destinati alla fornitu-
ra delle collettività >>, ivi inclusi, inoltre, << i servizi di ristorazione forniti da imprese di traspor-
to quando il luogo di partenza si trovi nel territorio di Stati membri cui si applica il trattato>>
(cfr. art. 1, 3° e 4° paragrafo del regolamento).

2. L’etichetta
Come già più volte ribadito, e come sottolineato dalla sua stessa rubricazione, il Reg. (UE) n.
1169/2011 disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori in generale.

9
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

Ma cosa deve intendersi esattamente per <<informazioni sugli alimenti>>? L’art. 2, rubricato
<<Definizioni>>, 2° paragrafo, lettera i), definisce tali: <<le informazioni concernenti un alimen-
to e messe a disposizione del consumatore finale mediante un’etichetta, altri materiali di ac-
compagnamento o qualunque altro mezzo, compresi gli strumenti della tecnologia moderna o
la comunicazione verbale>>.
Alla luce di ciò, pertanto, l’<<etichettatura>> di un alimento – dovendosi intendere per tale
<<qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo
che si riferisce a un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, eti-
chetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento>> (art. 2, 2° paragrafo,
lettera j)) – effettuata sull’<<etichetta>> – dovendosi intendere per tale <<qualunque marchio
commerciale o di fabbrica, segno, immagine o altra rappresentazione grafica scritto, stampato,
stampigliato, marchiato, impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un
alimento che accompagna detto imballaggio o contenitore>> (art. 2, 2° paragrafo, lettera i)) –
costituisce uno dei possibili strumenti attraverso i quali possono essere trasmesse le informa-
zioni sugli alimenti (unico strumento, tra l’altro, che sarà oggetto di trattazione)15.
L’etichetta, termine che deriva dal francese <<étiquette>> che, a sua volta, deriva dal francese
antico <<estiquer>> ovvero <<attaccare>>, è costituita dalla strisciolina di carta incollata sulla
confezione dell’alimento e che assolve, con riguardo nello specifico ai prodotti alimentari,
<<all’ulteriore finalità di dare trasparenza ad un mercato speciale fornendolo di sicurezza, so-
prattutto quando i vocaboli adoperati sono stati definiti dal legislatore>>16.
L’etichetta si incorpora con il prodotto e circola con il bene e diventa essa stessa bene, con la
conseguenza che la circolazione di prodotti etichettati finisce con l’incidere sulle regole di mer-
cato ben potendo potenzialmente costituire una barriera non-tariffaria alla circolazione dei
prodotti nel mercato intracomunitario. Ed invero, se ogni singola normativa nazionale di ogni
Stato membro dovesse disporre in maniera differente sull’etichettatura, queste potrebbero co-
stituire ostacoli tecnici agli scambi, motivo per cui si è resa necessaria un’armonizzazione della
materia valida per tutti gli Stati membri17. Così come, stante quanto affermato al 26° conside-
rando, l’informazione contenuta nell’etichetta può influenzare al massimo il pubblico e le in-
formazioni illeggibili sul prodotto sono una delle cause principali dell’insoddisfazione dei con-
sumatori nei confronti delle etichette alimentari, pertanto è opportuno tenere conto di tutti gli
aspetti relativi alla leggibilità, compresi carattere, colori e contrasto.
Alla luce di ciò, il Reg. (UE) n. 1169/2011, innanzitutto, distingue quali informazioni debbano
obbligatoriamente essere inserite sull’etichetta e quali invece abbiano natura volontaria ed in-
dividua, anche, quali siano le modalità da seguire nella redazione dell’etichetta, ovvero come
rendere esplicite le informazioni obbligatorie.
L’art. 15 del regolamento, innanzitutto, stabilisce che occorre utilizzare una lingua <<facilmente
comprensibile>> da parte dei consumatori degli Stati membri nei quali l’alimento è commercia-
lizzato con facoltà per gli Stati membri in cui è commercializzato l’alimento di imporre che dette
informazioni siano fornite in una o più lingue ufficiali dell’Unione Europea.
L’art. 13, poi, impone che le indicazioni obbligatorie vengano sistemate in modo evidente e che
siano quindi facilmente visibili e chiaramente leggibili, nonché scritte in modo indelebile. Indivi-

15
Cfr. sul punto A. GERMANÒ, M.P. RAGIONIERI, E.ROOK BASILE, L’etichetta. Informazioni obbligatorie. Informazioni volontarie, in Diritto agroalimen-
tare, le regole del mercato degli alimenti e dell’informazione alimentare, cit., p. 83 e ss ; A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natura)
e i segni degli alimenti, cit., p. 221 e ss.; L. COSTATO, P. BORGHI, S. RIZZIOLI, Le regole di produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari, in
Compendio di diritto alimentare, 2011, Padova,p. 220 e ss..
16 Cfr. A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natura) e i segni degli alimenti, cit., p. 221.
17 Cfr. A. GERMANÒ, M.P. RAGIONIERI, E.ROOK BASILE, L’etichetta. Informazioni obbligatorie. Informazioni volontarie, in Diritto agroalimentare, le
regole del mercato degli alimenti e dell’informazione alimentare, cit., p. 85.

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

dua anche quale debba essere l’altezza della parte mediana di tali indicazioni (altezza della x) ed
impone, per le informazioni obbligatorie di cui all’art. 9, 1° paragrafo, lettera a), e) e k) (ovvero
denominazione dell’alimento, sua quantità netta e il titolo alcolometrico volume effettivo per le
bevande che contengono più dell’1% di alcol), che le stesse appaiano nello stesso campo visivo
costituito, ai sensi dell’art. 2, 2° paragrafo, lettera k), da tutte le superfici di un imballaggio che
possono essere lette da un unico angolo visuale18.

3. Le informazioni obbligatorie
L’art. 2, 2° paragrafo, lettera c), del Reg. (UE) n. 1169/2011, definisce <<informazioni obbligato-
rie>> tutte quelle <<indicazioni che le disposizioni dell’Unione impongono di fornire al consu-
matore finale>>. Orbene, prima di entrare nel dettaglio ed individuare con esattezza quali siano
le informazioni che debbano essere fornite al consumatore, il regolamento al suo art. 4 indivi-
dua i principi generali che disciplinano le informazioni obbligatorie sugli alimenti, statuendo che
quelle eventualmente richieste dalla normativa (dovendosi ricomprendere, pertanto, anche
tutte le eventuali informazioni imposte da atti normativi futuri) devono rientrare in una delle
seguenti categorie:

- informazioni sull’identità e la composizione, le proprietà e altre caratteristiche


dell’alimento;
- informazioni sulla protezione della salute dei consumatori e sull’uso sicuro dell’alimento
(i.e. gli attributi collegati alla composizione del prodotto che possono avere un effetto
nocivo sulla salute di alcune categorie di consumatori; la durata di conservazione, le
condizioni di conservazione e l’uso sicuro; l’impatto sulla salute, compresi i rischi e le
conseguenze collegati a un consumo nocivo e pericoloso dell’alimento);
- informazioni sulle caratteristiche nutrizionali che consentano ai consumatori, compresi
quelli che devono seguire un regime alimentare speciale, di effettuare scelte consapevo-
li.

Fissati, quindi, tali principi generali, l’art. 9, 1° paragrafo, del regolamento elenca nel dettaglio
le <<indicazioni obbligatorie>>, cui dovranno, ai sensi dell’art. 10, poi aggiungersi le <<indica-
zioni obbligatorie complementari>> previste per tipi o categorie specifiche di alimenti ed identi-
ficate nel dettaglio all’allegato III del regolamento. Ad ogni modo, le informazioni obbligatorie
di cui all’art. 9 valevoli per tutti gli alimenti sono le seguenti:

- la denominazione dell’alimento, che, ai sensi dell’art. 17, coincide con la sua <<denomi-
nazione legale>> (ovvero la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni
dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione previ-
sta dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello stato
membro nel quale tale alimento è venduto al consumatore finale o alle collettività) o, in
mancanza, con la sua <<denominazione usuale>> (ovvero, una denominazione che è ac-
cettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale
alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni) o, in mancanza an-
che di tale denominazione, con una <<denominazione descrittiva>> (ovvero una deno-

18 Cfr. sul punto A. GERMANÒ, M.P. RAGIONIERI, E.ROOK BASILE, L’etichetta. Informazioni obbligatorie. Informazioni volontarie, in Diritto agroali-
mentare, le regole del mercato degli alimenti e dell’informazione alimentare, cit., p. 88; . A. GERMANÒ, Le indicazioni in etichetta (e la loro natu-
ra) e i segni degli alimenti, cit., p. 223.

11
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

minazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente


chiara affinché i consumatori determino la sua reale natura e lo distinguano da altri
prodotti con i quali potrebbe essere confuso). La denominazione dell’alimento, tra
l’altro, non può essere sostituita con una denominazione protetta come proprietà intel-
lettuale, marchio di fabbrica o denominazione di fantasia;
- l’elenco degli ingredienti, ovvero, ai sensi dell’art. 2, 2° paragrafo, lettera f), di qualun-
que sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e di qua-
lunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella
preparazione di un prodotto alimentare e ancora presente nel prodotto finito, anche se
sotto forma modificata (i residui non sono considerati ingredienti). Ai sensi dell’art. 18,
gli ingredienti dovranno essere inseriti nell’elenco in ordine decrescente di peso, così
come registrati al momento del loro uso nella fabbricazione dell’alimento e, soprattutto
(novità questa inserita nel regolamento), tutti gli ingredienti presenti come nanomate-
riali, ovvero gli ingredienti prodotti intenzionalmente, dovranno anch’essi essere indicati
nell’elenco con la dicitura <<nano>> tra parentesi che dovrà seguire la denominazione
di tali ingredienti;
- le sostanze allergeniche o comunque suscettibili di provocare intolleranze tassativamen-
te elencate nell’allegato II del regolamento che, ai sensi dell’art. 21, dovranno anch’esse
essere inserite nell’elenco degli ingredienti (a meno che la denominazione dell’alimento
non faccia chiaramente riferimento alla sostanza in questione) e, soprattutto, essere
evidenziate attraverso un tipo di carattere chiaramente distinto (per dimensioni, stile,
colore dello sfondo);
- la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti: è richiesta, ai sensi dell’art. 22,
quando, tale ingrediente figura nella denominazione dell’alimento o è generalmente as-
sociato dal consumatore a tale denominazione; è evidenziato in rilievo nell’etichettatura
con parole, immagini o rappresentazione grafica; è essenziale per caratterizzare un pro-
dotto alimentare e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso per la
sua denominazione o il suo aspetto. Questa norma è chiaramente volta ad evitare che,
stante il consueto significato di una certa denominazione di un prodotto, o la sua appa-
renza, si possa ingannare il consumatore utilizzando componenti diversi da quelli indica-
ti nel nome dell’alimento o associati generalmente dal consumatore ad una certa de-
nominazione di vendita;
- la quantità netta dell’alimento;
- il termine minino di conservazione o la data di scadenza: ove per <<termine minimo di
conservazione>> si intende, ai sensi dell’art. 2, 2° paragrafo, lettera r), la data fino alla
quale tale prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di con-
servazione, mentre per <<data di scadenza>> si intende la data entro cui il prodotto va
consumato e che, ai sensi dell’art. 24, sostituirà sempre il <<termine minimo di conser-
vazione>> nel caso di alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico che po-
trebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salu-
te umana;
- le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni di impiego;
- il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui
all’articolo 8, 1° paragrafo (di cui si dirà innanzi più in dettaglio);
- il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto dall’art. 26 (di cui si dirà innanzi
più in dettaglio);
- le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso ade-
guato dell’alimento;
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

- il titolo alcolometrico volume effettivo per le bevande che contengono più di 1,2% di al-
col in volume;
- una dichiarazione nutrizionale19.

Di tali informazioni obbligatorie, meritano un breve approfondimento l’indicazione del pae-


se d’origine o del luogo di provenienza e la dichiarazione nutrizionale in quanto informazio-
ni solo “potenzialmente” obbligatorie le prime ed obbligatorie, per taluni alimenti, a partire
dal 13 dicembre 2016 le seconde.

3.1. L’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza


Il 29° considerando del Reg. (UE) n. 1169/2011 stabilisce che <<le indicazioni relative al pae-
se d’origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero esser fornite ogni volta
che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese
d’origine o luogo di provenienza del prodotto. In tutti i casi l’indicazione del paese d’origine
o del luogo di provenienza dovrebbe essere fornita in modo tale da non trarre in inganno il
consumatore e sulla base di criteri chiaramente definiti in grado di garantire condizioni
eque di concorrenza per l’industria e di far sì che i consumatori comprendano meglio le in-
formazioni relative al paese d’origine e al luogo di provenienza degli alimenti>>.
Prima, quindi, di analizzare la disciplina in materia, occorre preliminarmente capire quale sia
la distinzione tra <<paese d’origine>> e <<luogo di provenienza>>. Il regolamento al suo art.
2, 2° paragrafo, lettera g), definisce solo, a contrario, cosa debba intendersi per <<luogo di
provenienza>>:

- qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il
<<paese di origine>> come individuato ai sensi degli articoli da 23 a 26 del Regolamento
(CEE) n. 2913/92;
- il nome, la ragione sociale o l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare apposto
sull’etichetta non costituisce un’indicazione del paese di origine o del luogo di prove-
nienza del prodotto alimentare ai sensi del regolamento.

Da tale definizione, quindi, è possibile ricavare anche quella di <<paese d’origine>> che ver-
rà a coincidere con quella fornita dagli articoli da 23 a 26 del Regolamento (CEE) n. 2913/92,
ovvero il <<codice doganale comunitario>> (peraltro abrogato e sostituito in primis dal Reg.
(CE) 450/2008 e, ad oggi, dal Reg. (UE) n. 952/2013, che istituisce il <<codice doganale
dell’Unione>> e che per tali disposizioni entrerà in vigore a partire dal 1 giugno 2016, recanti
disposizioni parzialmente differenti, contenendo il primo codice un elenco puntuale di quali
norme debbano intendersi <<interamente ottenute>>, con la conseguenza che dubbi po-
trebbero sorgere su quale definizione effettivamente il Reg. (UE) n. 1169/2011 abbia inteso

19
Cfr. sul punto L. COSTATO, Le etichette alimentari nel nuovo regolamento n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., IV, 2011, p. 658 e ss; L. COSTATO, P.
BORGHI, S. RIZZIOLI, Le regole di produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari, in Compendio di diritto alimentare, cit,p. 227 e ss.; V.
MAGLIO, Il nuovo regolamento sull’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari, in Contratto e Impresa/ Europa, 2, 2011, p. 743 e
ss.; A. GERMANÒ, M.P. RAGIONIERI, E.ROOK BASILE, L’etichetta. Informazioni obbligatorie. Informazioni volontarie, in Diritto agroalimentare, le rego-
le del mercato degli alimenti e dell’informazione alimentare, cit., p. 88 e ss.; G. ROGGERO, Linee guida sull’applicazione del Regolamento (UE)
1169/2011 sull’informazione ai consumatori in vista del 2014, in Riv. dir. alim., 2, 2013, p. 45 e ss. nonché il citato documento orientativo ema-
nato dalla DG SANCO (Direzione Generale per la salute e i consumatori) della Commissione Europea il 13 gennaio 2013 denominato “Domande
e risposte sull’applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”.

13
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

far riferimento) che nella sua versione in vigore, all’art. 36, 1° paragrafo, stabilisce che <<le
merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di ta-
le paese o territorio>>, e che, prosegue poi al 2° paragrafo, <<le merci alla cui produzione
contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio
in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale>>. Tale ultimo paragrafo sarà ulte-
riormente modificato, o meglio “completato”, a partire dal 1 giugno 2016 (data in cui l’art.
60, del nuovo <<codice doganale dell’Unione>> di cui al Reg. (UE) n. 952/13 entrerà in vigo-
re) come segue: <<le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori so-
no considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o
lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa at-
trezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia
rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione>>.
L’art. 26 del Reg. (UE) n. 1169/2011, dopo aver al 1° paragrafo fatte salve tutte le disposi-
zioni applicabili in materia di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni
d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (i.e. il Reg. (CE) n. 509/2006 ed il Reg. (CE) n.
510/2006, abrogati e trasposti tutti nell’attuale Reg. (UE) n. 1152/2012 sui regimi di qualità
dei prodotti agricoli e alimentari), individua al 2° paragrafo i casi in cui l’indicazione del pae-
se d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria stabilendo, di conseguenza, che la
stessa debba ritenersi facoltativa in tutti quei casi non rientranti nelle fattispecie di seguito
elencate:

- nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in
merito al paese di origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se
le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insie-
me potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine
o luogo di provenienza;
- per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI […].

L’art. 26, poi, al 3° paragrafo, entra più nel dettaglio ed introduce una disciplina del tutto
nuova per quanto riguarda l’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza di
un prodotto alimentare nel caso in cui il Paese di origine o luogo di provenienza del prodot-
to medesimo sia diverso da quello del suo ingrediente primario (i.e., ai sensi dell’art. 2, 2°
paragrafo, lettera q), <<l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più
del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale ali-
mento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione
quantitativa>>). In tal caso, secondo la disposizione citata, deve essere indicato anche il
Paese di origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario (3° paragrafo, lettera a),
dell’art. 26). In alternativa si deve segnalare che il paese di origine o il luogo di provenienza
dell’ingrediente primario è diverso da quello del prodotto alimentare (3° paragrafo, lettera
b), dell’art. 26).
A completamento delle disposizioni sul Paese di origine o luogo di provenienza, interviene,
poi, l’art. 39, 2° paragrafo che stabilisce che <<in base al paragrafo 1 [ovvero per motivi di
protezione della salute pubblica, protezione dei consumatori, prevenzione delle frodi e pro-
tezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza,
delle denominazioni di origine controllata e repressione della concorrenza sleale], gli Stati
membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del Paese
d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra
talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali di-
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
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sposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la
maggior parte dei consumatori attribuisce una valore significativo alla fornitura di tali in-
formazioni>>. Tale specifica disposizione, si inserisce in quella più generica di cui all’art. 39
che prevede la possibilità per gli Stati membri, per i medesimi motivi appena elencati, di
prevedere disposizioni nazionali che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie comple-
mentari per tipi o categorie specifici di alimenti. E’ chiaro ed evidente come tali riserve in
favore degli Stati membri possano essere idonee a far sorgere difficoltà ove
l’implementazione da parte degli Stati membri dovesse dare origine a gradi di tutela diffe-
renti per medesimi prodotti alimentari20.

3.2. La dichiarazione nutrizionale


Una grande novità introdotta con il Reg. (UE) n. 1169/2011 è l’obbligatorietà della dichiara-
zione nutrizionale per tutti gli alimenti preconfezionati a partire dal 13 dicembre 2016, di-
sciplina questa sino ad ora contenuta nella dir. 90/496/CEE, ora abrogata, che disponeva
per la facoltatività della dichiarazione nutrizionale (nella direttiva, <<tabella nutrizionale>>)
salvo divenire obbligatoria nel momento in cui veniva data un’informazione nutrizionale, in-
tesa come descrizione e/o messaggio pubblicitario che affermi, suggerisca o richiami che
l’alimento possiede particolari caratteristiche nutrizionali inerenti al valore energetico che
esso fornisce o non fornisce, ovvero ai nutrienti che esso contiene o non contiene. Ed inve-
ro, stante quanto affermato al 34° considerando, <<la presentazione obbligatoria
sull’imballaggio di informazioni sulle proprietà nutritive dovrebbe supportare azioni dieteti-
che in quanto parte delle politiche sanitarie pubbliche, che possono anche prevedere
l’indicazione di raccomandazioni scientifiche nell’ambito dell’educazione nutrizionale per il
pubblico e garantire scelte alimentari informate>>.
Alla luce di ciò, l’art. 30 stabilisce che la dichiarazione nutrizionale obbligatoria reca
l’indicazione del valore energetico e della quantità di grassi saturi, carboidrati, zuccheri,
proteine e sale (1° paragrafo). Tale contenuto, poi, potrà essere integrato con l’indicazione
della quantità di uno o più dei seguenti elementi: acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi po-
linsaturi, polioli, amido, fibre e sali minerali o vitamine (2° paragrafo).
Ai sensi dell’art. 34, 1° e 2° paragrafo, tali informazioni tutte dovranno comparire nello stes-
so campo visivo ed essere riportate in modo chiaro e, se lo spazio lo consente, in formato
tabulare, altrimenti in formato lineare.
Il 3° paragrafo dell’art. 30 stabilisce, inoltre, che quando l’etichettatura di un alimento
preimballato contiene la dichiarazione nutrizionale obbligatoria possono essere ripetute le
informazioni relative al valore energetico oppure il valore energetico accompagnato dalla
quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale. In tal caso, ai sensi dell’art. 34, 3° para-
grafo, tali indicazioni dovranno comparire, anche in formato non tabulare, tutte nel campo
visivo principale (i.e., ai sensi dell’art. 2, 2° paragrafo, lettera l) << il campo visivo di un im-
ballaggio più probabilmente esposto al primo sguardo del consumatore al momento
dell’acquisto e che permette al consumatore di identificare immediatamente il carattere e
la natura del prodotto e, eventualmente, il suo marchio di fabbrica. Se l’imballaggio ha di-

20
Cfr. sulle disposizioni relative al Paese di origine e luogo di provenienza: F. CAPELLI, Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 e le sue guide spirituali,
in Riv. dir. alim., 2, 2014, p. 22 e ss.; A. VETTOREL, L’indicazione obbligatoria relativa al Paese d’origine o al luogo di provenienza degli alimenti:
quale informazione?, in Riv. dir. alim., 2, 2014, p. 26 e ss; F. ALBISINNI, La comunicazione al consumatore di alimenti, le disposizioni nazionali e
l’origine dei prodotti, in Riv. dir. agr., 1, 2012, p. 66 e ss.

15
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

verse parti principali del campo visivo, la parte principale del campo visivo è quella scelta
dall’operatore del settore alimentare>>) utilizzando una dimensione di carattere conforme
a quella di cui all’art. 13, 2° paragrafo (ovvero in modo chiaramente leggibile e con
un’altezza mediana dei caratteri non inferiore a 1,2 mm per la “x” minuscola).
L’art. 35, 1° paragrafo, in ogni caso, prevede che oltre alla modalità di presentazione in for-
mato tabulare di cui all’art. 34, 2° paragrafo, il valore energetico e le sostanza nutritive di
cui all’art. 30, paragrafi da 1 a 5, possono essere indicati mediante altre forme di espressio-
ne e/o presentati usando forme o simboli grafici oltre a parole o numeri, purché siano ri-
spettati i seguenti requisiti: (a) si basano su ricerche accurate e scientificamente fondate
condotte presso i consumatori e non inducono in errore il consumatore; (b) il loro sviluppo
deriva dalla consultazione di un’ampia gamma di gruppi di soggetti interessati; (c) sono volti
a facilitare la comprensione, da parte del consumatore, del contributo o dell’importanza
dell’alimento ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una dieta; (d) sono sostenuti da
elementi scientificamente fondati che dimostrano che il consumatore medio comprende tali
forme di espressione o presentazione; (e) nel caso di altre forme di espressione, esse si ba-
sano sulle assunzioni di riferimento armonizzate di cui all’allegato XIII del regolamento op-
pure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati riguardanti
l’assunzione di elementi energetici e nutritivi; (f) sono obiettivi e non discriminatori; (g) la
loro applicazione non crea ostacoli alla libera circolazione delle merci. Il tutto con facoltà
per gli Stati membri di raccomandare agli operatori del settore alimentare l’uso di una o più
forma di espressione o presentazione supplementari della dichiarazione nutrizionale che ri-
tengono più adeguati al soddisfacimento degli obiettivi sopra elencati.
Alla luce dell’introduzione dell’obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale e di tutte le di-
sposizioni che nello specifico ne disciplinano la rappresentazione grafica, non ci si può esi-
mere dal fare una breve riflessione sul rapporto tra tali nuovi disposizioni e la disciplina sui
claims nutrizionali e salutistici di cui al Reg. (CE) n. 1924/2006. Ed invero, tale regolamento
disciplina le condizioni alle quali le indicazioni nutrizionali e sulla salute possono essere im-
piegate nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari im-
messi sul mercato comunitario. In particolare, ai sensi di tale regolamento, sono da inten-
dersi <<indicazioni nutrizionali>> qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottin-
tenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche dovute all’energia
che apporta, apporta a tasso ridotto o accresciuto o non apporta, e/o alle sostanze nutritive
o di altro tipo che contiene, contiene in proporzioni ridotte o accresciute, o non contiene;
mentre sono da intendersi <<indicazioni sulla salute>> qualunque indicazione che affermi,
suggerisca o sottintenda l’esistenza di un rapporto tra una categoria di alimenti, un alimen-
to o uno dei suoi componenti e la salute, o che, più specificamente, trattandosi in questo
caso di <<indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia>>, affermi, suggerisca o
sottintenda che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi
componenti riduce significativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia uma-
na. Orbene, ai sensi di tale regolamento e, in particolare, dell’art. 7 del medesimo che risul-
ta essere stato modificato dal Reg. (UE) n. 1169/2011, l’etichettatura nutrizionale è obbliga-
toria in tutti quei casi in cui viene formulata un’indicazione nutrizionale o sulla salute (ad
eccezione della pubblicità generica): ferma restando, quindi, l’obbligatorietà
dell’etichettatura in tali casi, i claims nutrizionali e salutistici restano, alla base, indicazioni
volontarie, con la conseguenza che gli stessi rimarrebbero estranei da tutte le imposizioni di
natura grafica incombenti sulle informazioni obbligatorie con il rischio di ricevere in realtà
una capacità attrattiva maggiore in quanto è assai probabile che il consumatore, anche per

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

ragioni concrete di tempo, dato il numero crescente di informazioni somministrate, rivolga


la propria attenzione alle espressioni sintetiche presenti in etichetta21.

4. Le indicazioni volontarie
A completamento dell’analisi delle tipologie di informazioni da fornirsi ai sensi del Reg. (UE)
n. 1169/2011, un breve cenno meritano, le c.d. <<informazioni volontarie>>.
Il Capo V, dedicato a tali tipologie di informazioni, individua dei criteri di natura generale
applicabili alle stesse. In particolare, l’art. 36, 1° paragrafo, stabilisce, innanzitutto, che ove
le informazioni obbligatorie ai sensi del regolamento dovessero essere fornite, ove possibi-
le, su base volontaria, le stesse dovranno essere conformi a quanto imposto dal regolamen-
to di norma sulle stesse. In ogni caso, prosegue il 2° paragrafo, le informazioni sugli alimenti
fornite su base volontaria, devono soddisfare i seguenti requisiti:

- non devono indurre in errore il consumatore, come descritto dall’art. 7;


- non sono ambigue né confuse per il consumatore; e
- sono, se del caso, basate sui dati scientifici pertinenti,

rimandando, in ultimo, al 3° paragrafo, alla Commissione l’emanazione di atti di esecuzione


sull’applicazione di tali requisiti per le seguenti specifiche informazioni volontarie sugli ali-
menti:

- informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale negli alimenti di sostan-
ze o prodotti che provocano allergie o intolleranza;
- informazioni relative all’idoneità di un alimento per vegetariani o vegani; e
- indicazione delle assunzioni di riferimento per gruppi specifici di popolazione oltre alle
assunzioni di cui all’allegato XIII del regolamento.

A livello di presentazione grafica, in ultimo, l’art. 37 contiene l’unica clausola generale appli-
cabile alle stesse secondo cui le informazioni volontarie sugli alimenti non possono occupa-
re lo spazio disponibile per le informazioni obbligatorie sugli alimenti.

5. Pratiche leali di informazione


Nonostante la netta distinzione intercorrente tra <<informazioni obbligatorie>> ed <<in-
formazioni volontarie>>, il Reg. (UE) n. 1169/2011 individua al suo Capo III i requisiti genera-
li applicabili a tutte le informazioni sugli alimenti e riferibili, in particolare, alle modalità di
fornitura delle informazioni medesime e alla responsabilità degli operatori del settore ali-
mentare.
Procedendo con ordine, e a completamento di quanto già anticipato nel Capitolo I, al para-
grafo 2 <<Pratiche commerciali sleali>>, che precede, la prima disposizione applicabile a tut-
te le informazioni sugli alimenti, siano esse obbligatorie o volontarie, è l’art. 7 disciplinante
le <<pratiche leali di informazione>> che, ai sensi del 5° considerando del regolamento, si
pone come integrazione dei principi generali sulle pratiche commerciali sleali di cui alla di-
rettiva 2005/29/CE per lo specifico settore delle informazioni sugli alimenti.
21
Cfr. sull’argomento S. BOLOGNINI, Claims nutrizionali e sulla salute e pratiche commerciali scorrette: quando l’inganno da dolce diventa amaro,
cit., p. 345; V. RUBINO, Gli “health claims” e l’etichettatura degli alimenti, in Riv. dir. alim., 1, 2014, p. 22.

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

In sostanza tale articolo stabilendo, in primis, che le informazioni sulla salute devono essere
<<precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore>> (2° paragrafo), individua,
a contrario, quali debbano considerarsi le “informazioni vietate” che non posso essere ri-
portate in etichetta e da applicarsi anche alla pubblicità e alla presentazione degli alimenti,
in particolare forma, aspetto o imballaggio, materiale d’imballaggio utilizzato e modo in cui
sono disposti o contesto nel quale sono esposti (4° paragrafo).
Sono vietate, quindi, ai sensi del 1° paragrafo, le informazioni sugli alimenti che inducono in
errore il consumatore:
- per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità,
le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o
il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione;
- attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
- suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli
alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in
modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive;
- suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un partico-
lare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presen-
te o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un di-
verso componente o un diverso ingrediente.

Così come sono vietate, ai sensi del 3° paragrafo, fatte salve le deroghe previste dalla legislazio-
ne dell’Unione in materia di acque minerali naturali e alimenti destinati a un particolare utilizzo
nutrizionale, le informazioni sugli alimenti che attribuiscono a tali prodotti la proprietà di pre-
venire, trattare o guarire una malattia umana, o che fanno riferimento a tali proprietà. E’ chiaro
ed evidente come tale ultima disposizione debba ritenersi in parte superata dalla vigente disci-
plina sui claims salutistici, il Reg. (CE) n. 1924/2006 come successivamente modificato, e deb-
bano pertanto ritenersi ammissibili tutte quelle indicazioni sulla salute che siano state autoriz-
zate ai sensi di tale regolamento22.

6. La responsabilità dell’operatore del settore alimentare


Ulteriore disposizione applicabile a tutte le informazioni sugli alimenti, siano esse obbligatorie o
volontarie, è quella prevista dall’art. 8 in tema di responsabilità dell’operatore del settore ali-
mentare. Tale disposizione si presenta come una grande innovazione posto che la precedente
direttiva 2000/13/CE nulla aveva disposto a riguardo consentendo ai singoli Stati membri di as-
sumere posizioni differenti con risultati inevitabilmente orientati a generare conflitti in sede
giudiziale. Recita, difatti, il 21° considerando, <<per evitare la frammentazione delle norme rela-
tive alla responsabilità degli operatori del settore alimentare in relazione agli alimenti, è oppor-
tuno chiarire la responsabilità di tali operatori in questo ambito. Tale chiarimento dovrebbe es-
sere conforme agli obblighi nei confronti del consumatore di cui all’art. 17 del Regolamento
(CE) n. 178/2002 [il quale, in maniera piuttosto generica, impone l’obbligo “in generale” in capo
agli operatori del settore alimentare e dei mangimi di garantire che nelle imprese di esse con-
trollate gli alimenti ed i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti
alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e di
verificare che tali disposizioni siano soddisfatte]>>.

22
Cfr. sull’argomento M. GIUFFRIDA, Pratiche leali di informazione e informazioni, cit., p. 81 e ss.

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
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L’art. 8 del Reg. (UE) n. 1169/2011 individua, innanzitutto, una nuova figura: <<l’operatore del
settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti>>. Tale nuova figura, poi, po-
trà coincidere:
- con l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodot-
to; oppure
- se tale operatore non è stabilito nell’Unione, con l’importatore nel mercato dell’Unione
(1° paragrafo)

In ogni caso, l’operatore responsabile delle informazioni sugli alimenti dovrà assicurare la
presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa ap-
plicabile in materia di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni
nazionali (2° paragrafo). Tant’è che gli operatori del settore alimentare che non influiscono
sulle informazioni relative agli alimenti e, quindi, quand’anche non direttamente responsa-
bili delle informazioni sugli alimenti, non forniscono, in ogni caso, alimenti di cui conoscono
o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità di professionisti, la non
conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti applicabile ai requisiti
delle pertinenti disposizioni nazionali (3° paragrafo).
Sempre in tale ottica, poi, incombono una serie di ulteriori oneri in capo agli operatori del
settore alimentare nell’ambito delle imprese che controllano quali il non dover modificare
(divenendo altrimenti responsabili di tali modifiche) le informazioni che accompagno un
alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore o ridurre il livello di prote-
zione e la possibilità di far effettuare scelte consapevoli (4° paragrafo), così come il dover
verificare e assicurare la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di infor-
mazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività (5°
paragrafo), il dover assicurare che le informazioni sugli alimenti non preimballati vengano
trasmesse agli operatori che ricevono tali alimenti affinché gli stessi possano fornirle, ove ri-
chiesto, al consumatore finale (6° paragrafo), e, nei casi espressamente previsti dal 7° para-
grafo (i.e. quando l’alimento preimballato è destinato al consumatore finale, ma commer-
cializzato in una fase precedente alla vendita al consumatore finale e quando in questa fase
non vi è vendita a una collettività; e quando l’alimento preimballato è destinato ad essere
fornito a collettività per esservi preparato, trasformato, frazionato o tagliato), il dover con-
trollare ed assicurare che le indicazioni obbligatorie appaiano sul preimballaggio o su
un’etichetta apposta oppure sui documenti commerciali qualora si possa garantire che tali
documenti accompagnino l’alimento cui si riferiscono o siano stati inviati prima o contem-
poraneamente alla consegna.
Come disposizione di chiusura, infine, l’8° paragrafo prevede poi che gli operatori del setto-
re alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non destinati
al consumatore finale o alle collettività assicurano che a tali altri operatori del settore ali-
mentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso, di adempie-
re agli obblighi imposti dal 2° paragrafo della norma.
Alla luce di quanto sopra analizzato risulta chiaro ed evidente l’intento del legislatore euro-
peo di voler specificare espressamente la distribuzione delle responsabilità degli operatori
della filiera in relazione alle rispettive possibilità di intervenire effettivamente sul contenuto
delle informazioni fornite ai consumatori, il tutto, ça va sans dire, a vantaggio anche della
grande distribuzione organizzata la cui organizzazione esula dai confini nazionali e la cui at-

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
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tività è suscettibile di estendere il controllo sulla produzione anche oltre il proprio segmen-
to della filiera23.

23
Cfr. sull’argomento I.CANFORA, La responsabilità degli operatori alimentari per le informazioni sugli alimenti, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 115 e
ss.; L. RUSSO, La responsabilità del produttore e del distributore, in Riv. dir. alim., 1, 2014, p. 34 e ss.; F. CAPELLI, Il Regolamento (UE) n. 1169/2011
e le sue guide spirituali, cit., p. 14 e ss.; V. Rubino, La responsabilità degli operatori del settore alimentare per violazione degli obblighi informa-
tivi del consumatore dopo il Regolamento (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., 4, 2012, p. 668 e ss..

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

CAPITOLO III
IL CASO DEL VINO ALLA LUCE ANCHE DELLA NUOVA OCM UNICA
E DEL REG. (UE) N. 1169/2011

Sommario: 1. Il vino – 2. L’etichettatura del vino – 2.1. Il Reg. (UE) n. 1169/2011 – 2.2. Il Reg. (UE) n.
1308/2013 – La nuova OCM Unica – 2.2.1. Le indicazioni obbligatorie – 2.2.2. Le indicazioni facoltative
– 2.2.3. Disposizioni comuni alle indicazioni obbligatorie e facoltative – 3. I claims salutistici e il vino

1. Il vino
Il Reg. (CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare, definisce al suo art. 2, 1° paragrafo, “alimen-
to” <<qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato,
destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede possa essere ingerito, da essere umani>>, speci-
ficando, poi, al suo 2° paragrafo, che <<sono comprese le bevande, le gomme da masticare e
qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso del-
la loro produzione, preparazione o trattamento […]>>.
Il vino, dunque, è un “alimento” ai sensi del regolamento sulla sicurezza alimentare sottoposto,
quindi, alle sue disposizioni ed a quelle della legislazione alimentare in generale finalizzata, si
ripete, ad un livello elevato di tutela della vita e della salute umana.
Il vino, tuttavia, pur rappresentando uno degli alimenti “di punta” dell’Unione Europea, non
svolge certamente una funzione prettamente nutrizionale e, in ogni caso, non possiede proprie-
tà o caratteristiche essenziali per la sopravvivenza delle persone. A ciò aggiungasi, peraltro, che
se un uso moderato di vino può generare dei benefici per il benessere di una persona umana (si
pensi alle proprietà antiossidanti del vino rosso), un suo abuso, come di alcolici in generale, può
generare delle gravi ritorsioni sulla salute e, quindi, sulla vita di un uomo, contravvenendo, ça
va sans dire, a tutti i precetti ed obiettivi posti a fondamento delle politiche unionali e, in parti-
colare, della legislazione alimentare e, quindi, del sopra citato regolamento sulla sicurezza ali-
mentare.
Tale ultimo aspetto del vino e delle bevande alcoliche in generale, ha sempre generato degli in-
terventi legislativi da parte dei singoli Stati membri finalizzati ad affrontare il problema
dell’alcolismo con l’intento di contrastarlo ma con il risultato, talvolta “voluto”, di causare osta-
coli alla libera circolazione delle merci costituendo, di fatto, tali misure un indiretto restringi-
mento degli scambi e, pertanto, una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitati-
va alle importazioni vietata dall’art. 34 del TFUE.
In tale frammentario scenario, la Corte di Giustizia è sempre intervenuta tentando di calibrare
le varie libertà in gioco con l’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra le medesime.
Basti pensare, ad esempio, alla famosa, nonché saliente, sentenza Cassis de Dijon (C-120/78)
con la quale la Corte di Giustizia, ha ritenuto “ingiustificata” ed equivalente ad una misura di ef-
fetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni la normativa tedesca che im-
pediva di importare il liquore Cassis perché avente un tasso alcolico differente (peraltro più
basso!) rispetto a quello previsto dal diritto tedesco per i liquori. Con tale sentenza, peraltro, la
Corte di Giustizia ha affermato il fondamentale principio del “mutuo riconoscimento” in virtù
del quale ogni prodotto legalmente fabbricato e posto in vendita in uno Stato membro deve es-
sere ammesso, in linea di massima, sul mercato di ogni altro Stato membro.

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

Tali misure, tuttavia, possono essere ritenute legittime qualora necessarie a soddisfare esigenze
imperative quali, inter alia, la tutela della salute delle persone e, pertanto, fatte rientrare nella
deroga prevista dall’art. 36 del TFUE.
Non sono mancati anche casi in cui, difatti, la Corte di Giustizia si è dovuta pronunciare in favo-
re della legittimità di tali misure in virtù della “sopraordinata” tutela della sanità pubblica. Nella
deroga di cui all’art. 36 del TFUE, pertanto, sono state fatte rientrare le normative nazionali e
regionali intese a limitare le possibilità di pubblicità di alcuni prodotti, ovvero alcune forme di
pubblicità (tra cui, in particolare, quelle in grado di influenzare i comportamenti di categorie
sensibili o a rischio come i giovani), e a combattere in questo modo, quindi l’alcolismo. La pub-
blicità, com’è noto, può costituire mezzo idoneo a incitare il consumo di bevande alcoliche (Cfr.
la sentenza 25 luglio 1991, nelle cause riunite C-1/90 e C-176/90, Aragonesa de publicidad exte-
rior SA e Publivia SAE/Departamento de sanidad y seguridad social de la generalitat de Catalu-
na). Opinione della Corte era, difatti, che l’assenza di discipline armonizzate in materia di pub-
blicità delle bevande alcoliche lasciasse discrezionalità agli Stati membri di determinare il grado
di tutela della sanità pubblica e le modalità con cui tale tutela dovesse essere realizzata, il tutto
purché le misure poste in essere fossero proporzionate allo scopo da raggiungersi e non com-
portassero, di fatto, delle mere discriminazioni nei confronti dei prodotti degli altri Stati mem-
bri.
Ha riconosciuto, pertanto, troppo restrittiva la normativa nazionale contro l’alcolismo francese
ritenendola sproporzionata rispetto all’obiettivo della salute pubblica imponendo la stessa, di
fatto, norme sulla pubblicità di alcolici che la rendevano del tutto libera per i vini dolci naturali
prodotti nel territorio nazionale e piuttosto restrittiva per quelli importati, così come prodotti
come il whisky o il gin importati dagli altri Stati membri pativano normative sulla pubblicità del
tutto restrittive a fronte, anche in questo caso, di una pubblicità libera per prodotti nazionali
concorrenti quali il rum (cfr. la sentenza 10 luglio 1980, causa C- 152/78, Commissione/Francia).
Analogo ragionamento logico giuridico è stato applicato dalla Corte di Giustizia nella valutazio-
ne di quelle normative nazionali negli Stati membri in cui la gestione delle bevande alcoliche è
affidata a un monopolio nazionale. A riguardo ha ritenuto, ad esempio, che non potesse rien-
trare nella deroga di cui all’art. 36 TFUE il monopolio stabilito in Svezia nel settore delle bevan-
de alcoliche che conferiva solo ai titolari di licenze di fabbricazione o di commercio la facoltà di
importare bevande provenienti da altri Stati membri, posto che le condizioni per il rilascio di tali
licenze era piuttosto complesso e restrittivo richiedendo lo stesso una serie di garanzie onerose
che si riflettevano, in sostanza, in un ostacolo alle importazioni dei prodotti stranieri peraltro
non giustificate in alcun modo da ragioni di tutela della salute pubblica (cfr. la sentenza del 23
ottobre 1997, nella causa Frazén C-189/95)24.

2. L’etichettatura del vino


Le peculiarità che hanno sempre contraddistinto i prodotti alcolici e il vino in particolare, non-
ché la perdurante attenzione rivolta dalla giurisprudenza comunitaria allo scopo di raggiungere
e preservare il “delicato” equilibrio tra libertà di circolazione di uno dei prodotti cardine del
mercato unionale e tutela della salute pubblica, è stata inevitabilmente trasposta anche nelle
normative comunitarie medesime che del vino hanno sempre fatto un unicum a sé stante. Basti
pensare al remoto Reg. (CEE) n. 822/87 istituente l’organizzazione comune del mercato vitivini-

24
Per una più compiuta analisi degli orientamenti della Corte di Giustizia sul rapporto tra tutela della salute e bevande alcoliche, cfr. la tesi di
laurea della Dott.ssa ALESSANDRA PIOVENE PORTO GODI, Vite e vino tra fattori di mercato e patrimonio culturale: profili giuridici europei ed interna-
zionali, dell’Università degli Studi di Padova, disponibile sul sito http://paduaresearch.cab.unipd.it/4895/1/tesi_fronte_30_gen.pdf, p. 141 e ss.

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

colo rimasta in vigore sino all’ultimo Reg. (CE) n. 479/2008 poi abrogato dal Reg. 491/2009 che
ne ha trasposto i contenuti all’interno del Reg. (CE) 1234/2007 recante l’organizzazione comune
dei mercati agricoli, a sua volta abrogato quest’ultimo dal vigente Reg. (UE) n. 1308/2013 (di
seguito, OCM Unica).
Non è restato esente da “rifiniture ad hoc” dovute alla peculiarità del prodotto, anzi alimento,
“vino” l’ambito delle informazioni da fornire al consumatore nella più ampia e “sovraordinata”
ottica, come accennato nei capitoli precedenti, della tutela del consumatore alla luce del rap-
porto direttamente proporzionale che viene ad instaurarsi tra le informazioni fornite al consu-
matore su di un alimento ed il consumo dell’alimento stesso.
A tal riguardo, trovano applicazione, quindi, sia le misure di carattere orizzontale di cui al Reg.
(UE) n. 1169/2011 disciplinante la fornitura di informazioni sugli alimenti al consumatore in ge-
nerale ed incentrato, come detto, sulla presa in considerazione da parte del consumatore del
criterio “salute” nelle decisioni di acquisto dei prodotti alimentari, nonché quelle di carattere
verticale previste per lo specifico settore vitivinicolo di cui alla nuova OCM Unica, ovvero il Reg.
(UE) n. 1308/2013, e, in ultimo, quelle relative ai claims nutrizionali e salutistici di cui al Reg.
(UE) n. 1924/2006.

2.1. Il Reg. (UE) n. 1169/2011


Il Reg. (UE) n. 1169/2011, nonostante si prefigga come scopo quello di individuare norme di ca-
rattere generale applicabili tendenzialmente di base a tutte le tipologie di alimenti, mantiene
una “zona d’ombra”, o ancor meglio un “limbo”, all’interno della quale far rientrare il vino,
nonché le bevande con contenuto alcolico superiore al 1,2% in volume, nell’attesa che la Com-
missione elabori una relazione specifica sull’impatto dell’applicazione di alcune sue disposizioni
su tale alimento (relazione che, peraltro, sarebbe dovuta essere stata pubblicata entro il 13 di-
cembre 2014 ma che, tuttora, non è stata pubblicata).
Leggesi, difatti, al 40° considerando: <<viste le specificità delle bevande alcoliche, risulta oppor-
tuno invitare la Commissione ad analizzare ulteriormente i requisiti riguardanti le informazioni
per tali prodotti. Pertanto la Commissione, tenendo in considerazione l’esigenza di provvedere
alla coerenza con le altre politiche pertinenti dell’Unione, entro tre anni dall’entrata in vigore
del presente regolamento, stila una relazione concernente l’applicazione del requisito riguar-
dante le informazioni da fornire sugli ingredienti e le qualità nutrizionali delle bevande alcoli-
che. Inoltre, tenendo in considerazione la risoluzione del Parlamento Europeo, del 5 settembre
2007, su una strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre
i danni derivanti dal consumo di alcol, il parere del Comitato Economico e Sociale Europeo, il la-
voro della Commissione ed i timori che nutre il grande pubblico in relazione ai danni provocati
dall’alcol tra i giovani e soggetti vulnerabili, la Commissione, previa consultazione delle parti in-
teressate e di concerto con gli Stati membri, stabilisce una definizione per le bevande quali gli
<<alcopops>> che sono specificatamente rivolte ad un pubblico giovanile. La Commissione do-
vrebbe inoltre proporre, se del caso, requisiti specifici riguardanti le bevande alcoliche nel con-
testo del presente regolamento>>.
Dispone, pertanto, l’art. 16 del regolamento in questione, al suo 4° paragrafo che <<fatte salve
altre disposizioni dell’Unione che prevedono un elenco di ingredienti o una dichiarazione nutri-
zionale obbligatoria, le indicazioni di cui all’art. 9, paragrafo 1, lettera b) e l), non sono obbliga-
torie per le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume>>.
Per il vino, dunque, non è obbligatorio, per lo meno al momento, inserire in etichetta né
l’elenco degli ingredienti, né la dichiarazione nutrizionale che sarà obbligatoria a partire dal 13
dicembre 2016 per tutti gli alimenti.
23
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

E difatti, come anticipato già al 40° considerando del regolamento, sempre il 4° paragrafo
dell’art. 16 prosegue nel disporre che <<entro il 13 dicembre 2014 [oramai trascorso invano], la
Commissione stila una relazione sull’applicazione dell’art. 18 [disposizione disciplinante, come
già analizzato nel capitolo precedente, l’elenco degli ingredienti] e dell’art. 30, paragrafo 1 [di-
sposizione disciplinante, come già analizzato nel capitolo precedente, il contenuto obbligatorio
della dichiarazione nutrizionale], ai prodotti di cui al presente paragrafo [quindi alle bevande
con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume] e intesa a chiarire se alcune categorie di
bevande alcoliche debbano essere in futuro esentate, in particolare, dall’obbligo di fornire le
informazioni relative al valore energetico, precisando altresì i motivi che giustificano eventuali
deroghe, tenuto conto della necessità di assicurare la coerenza con altre politiche pertinenti
dell’Unione. In tale contesto la Commissione valuta l’esigenza di proporre una definizione di al-
copops>>.
Ma vi è di più. L’ultimo capoverso del paragrafo prevede anche che tale relazione venga corre-
data da una proposta legislativa avente ad oggetto, se del caso, le regole relative all’elenco de-
gli ingredienti o alla dichiarazione obbligatoria per tali prodotti.
Fermo restando, quindi, il buon proposito di meglio e più nel dettaglio normare l’ambito delle
informazioni da fornire al consumatore in relazione a determinati alimenti quali il vino, ad oggi,
probabilmente anche non propriamente in linea con lo scopo ultimo di raggiungimento di un
alto livello della salute umana, proprio tali prodotti sono di fatto esentati dal fornire obbligato-
riamente tutte quelle informazioni prettamente attinenti alla composizione dei medesimi, do-
vendosi rimandare al momento, nell’attesa dell’adozione di specifici provvedimenti da parte
dell’Unione, alle disposizioni nazionali allo stato vigenti negli Stati membri per quanto concerne
l’elencazione degli ingredienti delle bevande di contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume
(art. 41).
Aggiungasi, anche, alla deroga de qua, la “deroga della deroga” di cui all’art. 30, 4° paragrafo,
per la dichiarazione nutrizionale nelle specifico. E difatti tale paragrafo prevede che, in deroga a
quanto stabilito dall’art. 36, 1° paragrafo, che dispone che qualora le informazioni obbligatorie
vengano fornite su base volontaria, quest’ultime dovranno attenersi alle regole stabilite per
ciascuna di esse dal regolamento, il contenuto della dichiarazione nutrizionale potrà limitarsi al
mero valore energetico (non essendo obbligatorio, quindi, indicare la quantità di grassi, acidi
grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale) per le bevande con contenuto alcolico supe-
riore all’1,2% in volume tra cui, quindi, il vino.

2.2. Il Reg. (UE) n. 1308/2013 – La nuova OCM Unica


A completamento disposizioni di carattere orizzontale di cui al Reg. (UE) n. 1169/2011, che ab-
biamo visto ritagliare una disciplina particolare per il vino, e le bevande alcoliche in generale, si
presentano le disposizioni di carattere verticale di cui al Reg. 1308/2013, ovvero la nuova OCM
Unica, disciplinanti nello specifico al Titolo II (Norme applicabili alla commercializzazione e alle
organizzazioni di produttori), Capo I (Disposizioni in materia di commercializzazione), Sezione 3,
come da rubricazione della sezione, l’“etichettatura e presentazione nel settore vitivinicolo”.
Dispone, difatti, l’art. 118 (Applicabilità alle regole orizzontali) <<salvo ove altrimenti disposto
dal presente regolamento, all’etichettatura e alla presentazione si applicano la direttiva
89/396/CEE del Consiglio, la direttiva 2000/133/CE, la direttiva 2007/45/CE del Parlamento Eu-
ropeo e del Consiglio, la direttiva 2008/95/CE e il Reg. (UE) n. 1169/2011>>. In particolare, di-
spone poi che <<l’etichettatura dei prodotti di cui ai punti da 1 a 11, 13, 15 e 16 dell’allegato
VII, parte II, può essere completata da indicazioni diverse da quelle previste dal presente rego-
lamento soltanto ove soddisfino i requisiti della direttiva 2000/13/CE o del Reg. (UE) n.
1169/2011>>.
24
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

La nuova OCM Unica, pertanto, in linea con il generale principio secondo cui lex specialis dero-
gat lex generali, stabilisce che salvo il caso di disposizioni specifiche al suo interno riguardanti
determinate categorie di prodotti, troveranno applicazione, inter alia, le regole generali, di ca-
rattere orizzontale, di cui alla direttiva 2000/13/CE e al Reg. (UE) n. 1169 e, quindi, ad oggi, le
sole disposizioni di cui al Reg. (UE) n. 1169/2011 entrato definitivamente in vigore a partire dal
13 dicembre 2014 previa abrogazione della direttiva 2000/13/CE, a seguito di un breve periodo
di tre anni circa di “convivenza” con la stessa.
Tale disposizione dell’OCM Unica, peraltro, specificamente dispone che indicazioni differenti ri-
spetto a quelle dalla stessa previste potranno essere inserite purché soddisfacenti i requisiti di
cui al Reg. (UE) n. 1169/2011 (ormai l’unico, come detto, in vigore) per le seguenti categorie di
prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II:

- vino: ovvero il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o


parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve, recante un titolo acolometrico ef-
fettivo, di base, non inferiore a 8,5% vol per determinate zone vitivinicole indicate in
dettaglio nell’Appendice I di tale allegato (tra le quali nessuna zona dell’Italia rientra) e
non inferiore a 9% in tutte le altre zone (salvo le specifiche deroghe ivi previste), ed un
titolo alcolometrico totale non superiore al 15% (salvo le specifiche deroghe ivi previ-
ste);
- vino nuovo ancora in fermentazione: ovvero il prodotto la cui fermentazione alcolica
non è ancora terminata e che non è ancora stato separato dalle fecce;
- vino liquoroso: il prodotto le cui peculiarità sono dettagliatamente indicate in allegato,
cui per maggiore completezza si rimanda, ma avente, di base, un titolo alcolometrico ef-
fettivo non inferiore a 15% vol e non superiore a 22% vol, nonché un titolo alcolometri-
co volumico totale non inferiore a 17,5% (salvo specifiche eccezioni di cui all’allegato);
ottenuto da mosto di uve parzialmente fermentato, vino, una miscela dei prodotti sud-
detti, oppure mosto di uve o una miscela di questo prodotto con vino per alcuni vini li-
quorosi a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta; avente
un titolo alcolometrico volumico naturale iniziale non inferiore a 12% vol (salvo specifi-
che eccezioni di cui all’allegato); e ottenuto mediante aggiunta, da soli o miscelati, di al-
cole neutro di origine vinica e di distillato di vino o di uve secche con un titolo alcolome-
trico volumico effettivo non inferiore a 52% vol e superiore a 86% vol, nonché, even-
tualmente, di mosto di uve concentrato e/o una miscela dei prodotti sopra menzionati e
specificati in dettaglio nell’allegato;
- vino spumante: ovvero il prodotto ottenuto dalla prima o seconda fermentazione alcoli-
ca di uve fresche, mosto di uve, o di vino, caratterizzato alla stappatura del recipiente da
uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione e
che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta una sovrappres-
sione non inferiore a 3 bar dovuta all’anidride carbonica in soluzione, ed il cui titolo al-
colometrico totale delle partite (cuveés) destinate all’elaborazione del quale non è infe-
riore a 8,5% vol;
- vino spumante di qualità: ovvero il prodotto ottenuto dalla prima o seconda fermenta-
zione alcolica di uve fresche, mosto di uve, o di vino, caratterizzato alla stappatura del
recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fer-
mentazione; e che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta
una sovrappressione non inferiore a 3,5 bar dovuta all’anidride carbonica in soluzione,

25
Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

ed il cui titolo alcolometrico totale delle partite (cuveés) destinate all’elaborazione del
quale non è inferiore a 9% vol;
- vino spumante di qualità del tipo aromatico: ovvero il prodotto ottenuto, durante la co-
stituzione della partita, soltanto da mosti di uve o mosti parzialmente fermentati che
derivano da varietà di uve divino specifiche da individuarsi dalla Commissione mediante
appositi atti delegati; che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, pre-
senta una sovrappressione non inferiore a 3 bar dovuta all’anidride carbonica in solu-
zione, ed il cui titolo alcolometrico effettivo non può essere inferiore a 6% ed il cui titolo
alcolometrico totale non può essere inferiore a 10%;
- vino spumante gassificato: ovvero il prodotto ottenuto da vino senza denominazione di
origine protetta o indicazione geografica protetta, caratterizzato alla stappatura del re-
cipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente, in tutto o in parte,
dall’aggiunta di tale gas; e che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi,
presenta una sovrappressione non inferiore a 3 bar dovuta all’anidride carbonica in so-
luzione;
- vino frizzante: ovvero il prodotto ottenuto da vino, vino nuovo ancora in fermentazione,
mosto di uve o mosto di uve parzialmente fermentato che presentano un titolo alcolo-
metrico totale non inferiore a 9% vol, avente un titolo alcolomentrico effettivo non infe-
riore a 7% vol; che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta
una sovrappressione, dovuta all’anidride carbonica endogena in soluzione, non inferiore
a 1 bar e non superiore a 2,5 bar, e che viene presentato in recipienti di 60 litri o meno;
- vino frizzante gassificato: ovvero il prodotto ottenuto da vino, vino nuovo ancora in fer-
mentazione, mosto di uve o mosto di uve parzialmente fermentato; avente un titolo al-
colometrico totale non inferiore a 7% vol e un titolo alcolometrico totale non inferiore a
9% vol; che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta una so-
vrappressione, dovuta all’anidride carbonica in soluzione, totalmente o parzialmente
aggiunta, non inferiore a 1 bar e non superiore a 2,5 bar, e che viene presentato in reci-
pienti di 60 litri o meno;
- mosto di uve: ovvero il prodotto liquido ottenuto naturalmente o con procedimenti fisici
da uve fresche e per il quale è ammesso un titolo alcolometrico effettivo pari o non infe-
riore a 1% vol;
- mosto di uve parzialmente fermentato: ovvero il prodotto proveniente dalla fermenta-
zione di mosto di uve e avente un titolo alcolometrico effettivo superiore a 1% vol e in-
feriore ai tre quinti del suo titolo alcolometrico volumico totale;
- mosto di uve concentrato: ovvero il mosto di uve non caramellizzato ottenuto mediante
disidratazione parziale del mosto di uve effettuata con qualsiasi metodo autorizzato,
escluso il fuoco diretto, in modo che il valore indicato alla temperatura di 20 °C dal ri-
frattometro, utilizzato secondo un medo da stabilirsi ai sensi del regolamento, non sia
inferiore a 50,9% e per il quale è ammesso un titolo alcolometrico effettivo pari o infe-
riore a 1% vol.
- vino ottenuto da uve passite: ovvero il prodotto ottenuto senza alcun arricchimento da
uve lasciate al sole o all’ombra per una disidratazione parziale; avente un titolo alcolo-
metrico totale non inferiore a 16% vol e un titolo alcolometrico effettivo non inferiore a
9% vol; ed avente un titolo alcolometrico naturale non inferiore a 16% vol (o 272g di
zucchero/l);
- vino di uve stramature: ovvero il prodotto ottenuto senza alcun arricchimento; avente
un titolo alcolometrico naturale superiore a 15% vol; avente un titolo alcolometrico to-
tale non inferiore a 15% vol e un titolo alcolometrico effettivo non inferiore a 12% vol
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

(gli Stati membri potranno eventualmente imporre un periodo di invecchiamento per ta-
le prodotto).

Restano, quindi, esclusi il mosto di uve parzialmente fermentato ottenuto con uve appassite, il
mosto di uve concentrato rettificato, e l’aceto di vino che, peraltro, restano altresì esclusi dalle
specifiche disposizioni previste dalla nuova OCM Unica in materia di etichettatura e presenta-
zione che l’art. 119, 1° paragrafo, espressamente prevede essere applicabili esclusivamente alle
categorie di prodotti sopra elencati.
Venendo ora all’analisi di tali disposizioni, preliminarmente il Reg. (UE) n. 1308/2013 al suo art.
117 chiarisce cosa debba intendersi con i termini <<etichettatura>> e <<presentazione>> defi-
nendo il primo <<i termini, le diciture, i marchi di fabbrica o di commercio, le immagini o i sim-
boli figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartello, etichetta, nastro o fascetta che ac-
compagnano un dato prodotto o che ad esso si riferiscono>> (definizione, quindi, parzialmente
differente rispetto a quella resa nel Reg. (UE) n. 1169/2011 parlando quest’ultimo di <<menzio-
ne>> ed <<indicazione>> in luogo dei più generici <<termini>> e <<diciture>>, nonché di <<avvi-
so>> in luogo dello più specifico <<cartello>>), ed il secondo <<qualsiasi informazione trasmes-
sa ai consumatori tramite il condizionamento del prodotto in questione inclusi la forma e il tipo
di bottiglie>> (definizione questa mancante del tutto nel Reg. (UE) n. 1169/2011 che individua
direttamente quali siano le modalità di presentazione di un alimento).
L’OCM Unica, poi, traccia una distinzione preliminare tra <<indicazioni obbligatorie>>, che si
aggiungeranno, quindi, alle <<informazioni obbligatorie> di cui all’art. 9 del Reg. (UE) n.
1169/2011 fatta eccezione per l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale (la qua-
le, si ricorda, se fornita su base volontaria potrà limitarsi al mero valore energetico), e le <<indi-
cazioni facoltative>> cui potranno affiancarsi le eventuali <<informazioni volontarie>> di cui
all’art. 36 del Reg. (UE) n. 1169/2011.

2.2.1. Le indicazioni obbligatorie


Ai sensi dell’art. 119 della nuova OCM Unica, l’etichettatura e la presentazione dei prodotti viti-
vinicoli sopra elencati, commercializzati nell’Unione o destinati all’esportazione, dovranno con-
tenere le seguenti, per la maggior parte “ulteriori”, indicazioni obbligatorie:

- la designazione della categoria di prodotti vitivinicoli in conformità all’allegato VII, parte


II, sopra nel dettaglio elencate. Tale riferimento potrà, ai sensi del successivo 2° paragra-
fo, essere omesso per i vini sulla cui etichetta figura il nome di una denominazione di
origine protetta o di un’indicazione geografica protetta;
- per i vini a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta:
l’espressione “denominazione di origine protetta” o “indicazione geografica protetta”, e
il nome della denominazione di origine protetta o dell’indicazione geografica protetta.
Ai sensi del successivo 3° paragrafo, tale riferimento all’espressione “denominazione di
origine protetta” o “indicazione geografica protetta” potrà essere omesso qualora
sull’etichetta figuri, conformemente al disciplinare, una menzione tradizionale in con-
formità all’art. 112, lettera a) (ovvero quell’espressione usata tradizionalmente negli
Stati membri, in relazione ai prodotti vitivinicoli di cui all’art. 92, paragrafo I, per indica-
re che il prodotto reca una denominazione di origine protetta o un’indicazione geografi-
ca protetta dal diritto unionale o nazionale), oppure in circostanze eccezionali e debita-
mente giustificate che stabilirà la Commissione con atti delegati al fine di garantire
l’osservanza delle norme vigenti in materia di etichettatura;
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

- il titolo alcolometrico volumico effettivo;


- l’indicazione della provenienza;
- l’indicazione dell’imbottigliatore o, nel caso di vino spumante, del vino spumante gassi-
ficato, del vino spumante di qualità o del vino spumante aromatico di qualità, il nome
del produttore o venditore;
- l’indicazione dell’importatore nel caso dei vini importati, e
- nel caso di vino spumante, del vino spumante gassificato, del vino spumante di qualità o
del vino spumante aromatico di qualità, l’indicazione del tenore di zucchero.

A tali indicazioni obbligatorie, in ultimo, dovrà aggiungersi l’indicazione del lotto del prodot-
to obbligatorio ai sensi della direttiva 89/396/CEE, sostituita poi dalla direttiva 91/2011/UE,
relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene
una derrata alimentare, e la cui applicazione, come detto, il Reg. (UE) n. 1308/2013 fa salva
al suo art. 118.

2.2.2. Le indicazioni facoltative


Ai sensi, poi, dell’art. 120 della nuova OCM Unica, l’etichettatura e la presentazione dei
prodotti vitivinicoli sopra elencati, potranno contenere anche le seguenti indicazioni facol-
tative:

- l’annata;
- il nome di una o più varietà di uve da vino;
- per i vini diversi dal vino spumante, dal vino spumante gassificato, dal vino spumante di
qualità o dal vino spumante aromatico di qualità, termini che indicano il tenore di zuc-
chero;
- per i vini a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta, le
menzioni tradizionali conformemente all’art. 112, lettera b), ovvero quelle espressioni
usate tradizionalmente negli Stati membri per indicare il metodo di produzione o di in-
vecchiamento oppure la qualità, il colore, il tipo di luogo o ancora un evento particolare
legato alla storia del prodotto a denominazione di origine protetta o a indicazione geo-
grafica protetta;
- il simbolo dell’Unione che indica la denominazione di origine protetta o l’indicazione
geografica protetta;
- termini che si riferiscono a determinati metodi di produzione;
- per i vini a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta, il no-
me di un’altra unità geografica più piccola o più grande della zona che è alla base della
denominazione di origine o dell’indicazione geografica.

Il 2° paragrafo dell’art. 120, inoltre, stabilisce che - fermo restando quanto stabilito dall’art.
100, 3° paragrafo, ovvero che <<il nome di una varietà di uva da vino, se contiene o è costi-
tuito da una denominazione di origine protetta o da un’indicazione geografica protetta, non
può essere utilizzato nell’etichettatura dei prodotti agricoli>> - con specifico riferimento
all’indicazione dell’annata e del nome di una o più varietà da vino, per i vini che non vanta-
no una denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta:

- gli Stati membri devono introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministra-


tive finalizzate a porre in essere procedure di certificazione, di approvazione e di con-
trollo atte a garantire la veridicità delle informazioni in questione;
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

- gli Stati membri, sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori e nel rispetto della
concorrenza leale, possono stilare, per i vini ottenuti da varietà di uve da vino sul loro
territorio, elenchi delle varietà di uve da vino escluse se, in particolare, esiste per i con-
sumatori un rischio di confusione circa la vera origine del vino in quanto la varietà di uva
in questione fa parte integrante di una denominazione di origine o di un’indicazione
geografica protetta già esistenti; o se i controlli sarebbero antieconomici in quanto la
varietà di uva da vino in questione rappresenta una parte molto esigua dei vigneti dello
Stato membro;
- le miscele di vini di diversi Stati membri non danno luogo ad etichettatura della varietà
di uve da vino, a meno che gli Stati membri interessati non stabiliscano diversamente e
assicurino la fattibilità delle pertinenti procedure di certificazione, approvazione e con-
trollo.

2.2.3. Disposizioni comuni alle indicazioni obbligatorie e facoltative


In ultimo, la nuova OCM Unica prevede delle disposizioni che troveranno applicazione sia alle
indicazioni obbligatorie che alle indicazioni facoltative.
In particolare, l’art. 121 prevede che tali indicazioni figurino, se espresse in parole, in una o più
delle lingue ufficiali dell’Unione. Tuttavia il nome di una denominazione di origine o di
un’indicazione geografica protetta o una menzione tradizionale di cui all’art. 112, lettera b), figu-
rano sull’etichetta nella lingua o nelle lingue per le quali si applica la protezione, mentre nel caso
di denominazioni di origine protette o indicazioni geografiche protette o denominazioni nazionali
specifiche che utilizzano un alfabeto non latino, il nome potrà figurare anche in una o più lingue
ufficiali dell’Unione.
A chiusura della normazione in ambito di etichettatura e presentazione nel settore vitivinicolo, poi,
il Reg. (UE) n. 1308/13 prevede ai suoi artt. 122 e 123 la possibilità per la Commissione, <<data la
peculiarità del settore vitivinicolo>>, di adottare atti delegati concernenti regole e restrizioni speci-
fiche per le indicazioni obbligatorie, le indicazioni facoltative, la presentazione e l’uso delle lingue
in particolare, nonché in ambito di presentazione ed impiego di indicazioni differenti da quelle
previste in etichetta, lasciando, quindi, ben intendere, come l’etichettatura e la presentazione del
settore vitivinicolo sia ancora in fase di definizione.

3. I claims salutistici ed il vino


A completamento dell’analisi delle disposizioni vigenti attualmente in materia di etichettatura nel
settore vitivinicolo e del loro ruolo all’interno della politica unionale di tutela del consumatore, si
rende indispensabile analizzare il rapporto sussistente tra questo settore ed il Reg. (CE) n.
1924/2006 al fine di entrare nel “vivo” del rapporto esistente tra vino e salute in particolare.
L’art. 4, rubricato <<Condizioni per l’uso delle indicazioni nutrizionali e sulla salute>>, stabilisce al
suo paragrafo 4 che le bevande contenenti più dell’1,2% di alcol non possono recare:

- indicazioni sulla salute;


- indicazioni nutrizionali diverse da quelle relative a una riduzione nel contenuto alcolico o
energetico,

specificando poi, al paragrafo che segue, che in mancanza di norme comunitarie specifiche sulle
indicazioni nutrizionali riguardanti la riduzione o l’assenza del contenuto alcolico o energetico in
bevande che di norma contengono alcol, possono essere applicate norme nazionali pertinenti ai
sensi delle disposizioni del trattato.
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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

Divieto assoluto, quindi, per l’etichettatura del vino di recare al suo interno <<indicazioni sulla
salute>> ovvero, come detto, <<qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda
l’esistenza di un rapporto tra una categoria di alimenti, un alimento o uno dei suoi componenti e la
salute>>.
Orbene, caso ha voluto che la prima pronuncia interpretativa della Corte di Giustizia del Reg. (CE)
n. 1924/2006 fosse la sentenza del 6 settembre 2012 nella causa C-544/10, Deutsches Weintor e G
c. Land Rheinland-Plaz, riguardante il caso di un produttore di vino, una cooperativa tedesca di
viticoltori, che sull’etichetta e sul collarino delle bottiglie, come pure sul listino prezzi, aveva inseri-
to espressioni relative alla facile digeribilità (<<facilmente digeribile>>) del proprio vino grazie ad
un ridotto tenore di acidità. Veniva, quindi, interpellata la Corte di Giustizia dal competente giudi-
ce del rinvio tedesco in merito alle seguenti questioni pregiudiziali “a cascata”:

- se la valenza per la salute di un’indicazione sulla salute ai sensi del regolamento richieda
un effetto nutrizionale o fisiologico benefico finalizzato ad un miglioramento costante
dello stato fisico o se sia anche sufficiente un mero effetto temporaneo, ossia limitato al
periodo dell’assunzione e della digestione dell’alimento;
- in caso di risposta affermativa, se per asserire, come richiesto dall’art. 5 del regolamen-
to, che un siffatto effetto sia fondato sull’assenza o sul contenuto ridotto di una sostan-
za, sia sufficiente che con una tale indicazione si sostenga semplicemente che un effet-
to, solitamente prodotto da alimenti di questo tipo e spesso percepito come negativo,
sia ridotto nel caso concreto;
- in caso di risposta affermativa anche a tale domanda, in ultimo, se sia compatibile con la
libertà professionale e libertà di impresa vietare, senza eccezione alcuna, ad un produt-
tore o a un distributore di vini la pubblicità recante un’indicazione sulla salute quale
quella oggetto di questione, anche ove tale indicazione dovesse essere veritiera.

La Corte di Giustizia, sposando le conclusioni dell’avvocato generale Jàn Màzak presentate in data
29 marzo 2012, chiamata a rispondere in primis, quindi, se un’indicazione quale <<facilmente
digeribile>> potesse essere o meno qualificata quale indicazione sulla salute ai sensi del Reg. (CE)
n. 1924/2006, rispondeva positivamente. La Corte, difatti, partendo dal presupposto che la dige-
stione, essendo collegata all’assunzione momentanea di un alimento, consiste in un processo
fisiologico che provoca soltanto effetti temporanei e passeggeri, affermava che l’indicazione <<fa-
cilmente digeribile>> dovesse ritenersi una valida <<indicazione sulla salute>> ai sensi del Reg. (CE)
n. 1924/2006 posto che lo stesso al suo art. 2, 2° paragrafo, punto 5 (recante la definizione di
<<indicazione sulla salute>>) non impone nessun tipo di restrizione o precisazione in relazione né
al carattere diretto o indiretto che tale rapporto deve avere, né in ordine alla sua durata o intensi-
tà, potendo quindi essere inclusi tanto gli effetti sulla salute temporanei e passeggeri
dell’assunzione di un dato alimento, quanto gli effetti cumulativi del consumo ripetuto e di lunga
durata dello stesso. Tuttavia, sosteneva la Corte, un’indicazione di tal tipo ben può essere legitti-
mamente vietata tout court per bevande avente contenuto alcolico, come nel regolamento in
oggetto, posto che la lamentata restrizione delle libertà professionali e d’impresa non era di un
livello tale da non garantire l’esercizio di tali libertà per gli aspetti essenziali e, in ogni caso, risulta-
va essere proporzionata in quanto volta a garantire, dall’altro lato la tutela della salute. E difatti,
ad avviso della Corte, l’indicazione de qua si presenterebbe come incompleta e fuorviante poiché
non specificherebbe che, a prescindere dalla digeribilità, i pericoli inerenti al consumo di bevande
alcoliche non sono né esclusi, né limitati, risultando quindi ambigua ed ingannevole ai sensi

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Le informazioni sugli alimenti al consumatore:
il caso del vino alla luce anche della nuova OCM Unica e del Reg. (UE) n. 1169/2011

dell’art. 3, lett. a) e di fatto incoraggiante il consumo di vino aumentandone, conseguentemente, i


rischi per la salute25.

Avv. Laura Spagnolo

25
Cfr. sulla sentenza in questione, G. JESU, Vino e indicazioni sulla salute nella pronuncia delle Corte di giustizia europea: un vino non può defi-
nirsi “facilmente digeribile”, in Riv. dir. agr., 4, 2012, p. 392 e ss.; V. RUBINO, Le indicazioni sulla salute nell’etichettatura degli alimenti fra orien-
tamenti della Corte di Giustizia UE e prime di sposizioni applicative: siamo ancora a metà del guado? , in Riv. dir. agr., 2, 2013, p. 319 e ss.; L.G.
VAQUÉ, El TJUE interpreta el Reglamento n° 1924/2006 relativo a las declaraciones de propriedades saludables en los alimentos: la sentencia
“Deutsches Weintor”, in Riv. dir. alim., 3, 2012, p. 1 e ss.; D. GORNY, Advertising for wine after Regulation (EC) 1924/2006 – Health claims regula-
tion, or how to communicate health benefits of wine to the consumer, in RIv. dir. alim., 3, 2007, p. 1 e ss.

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