Sei sulla pagina 1di 42

lOMoARcPSD|4491718

Riassunto - Manuale di diritto agrario - Diritto agrario - A.A.


2016/2017
Diritto agrario (Università degli Studi di Foggia)

StuDocu is not sponsored or endorsed by any college or university


Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

MANUALE DI DIRITTO AGRARIO (VI EDIZIONE)


ALBERTO GERMANO’

CAPITOLO I : LE RAGIONI DELLO STUDIO DEL DIRITTO AGRARIO


1. POSIZIONE DEL PROBLEMA DELLO STUDIO DEL DIRITTO AGRARIO

Perché si studia nello specifico il diritto agrario?


È difficile riconoscere principi generali propri del diritto agrario. I suoi istituti risultano un mix tra elementi
pubblici ed elementi privati da analizzare in maniera unitaria.
Possiamo definire in diritto agrario attraverso due strade : la prima, considera diritto agrario l’ attività che si
svolge nel fondo rustico e il suo godimento, la seconda identifica il diritto agrario nell’ attività economica in
agricoltura.
Attualmente il diritto agrario è fortemente “comunitarizzato” grazie alla forte presenza normativa dell’ Unione
Europea in materia di agricoltura.
Diciamo quindi che il diritto agrario è un complesso di norme di diritto privato, di diritto pubblico, di diritto
nazionale e di diritto comunitario, aventi ad oggetto l’ agricoltura, ma ancora non abbiamo detto perché esso è
meritevole di uno studio “separato”.

2. I DATI DIFFERENZIATI DELLA DISCIPLINA GIURIDICA DELL’ ATTIVITà ECONOMICA


AGRICOLA RISPETTO A QUELLA DELLE ATTIVITà ECONOMICHE EXTRAGRICOLE : IL
FISCO, LA PREVIDENZA, IL LAVORO, IL CREDITO
Analizziamo ora gli aspetti caratterizzanti ogni operatore economico e vediamo quali sono le differenze rilevanti
che distinguono l’ operatore agricolo dal suo omologo commerciale.
Analizziamo quattro caratteristiche molto importanti :
a) ASPETTO FISCALE : non vi è differenza tra gli imprenditori agricoli-società (sia di persone sia di
capitali) e le società commerciali. Un avvicinamento tra i due istituti è dovuto alla coltivazione industriale
di vegetali disposta dalla legge, e riguardo all’ imposta sul valore aggiunto (IVA), uguale per i due tipi di
imprenditore, commerciale e agricolo;
b) POSIZIONE PREVIDENZIALE : inizialmente vi era una disciplina differente per i due tipi di
imprenditori. Inizialmente la tutela previdenziale riguardava solo il lavoro subordinato, con riguardo al
settore industriale e successivamente il settore agricolo. Oggi grazie all’ art.35 Cost. imprenditore
agricolo e imprenditore commerciale sono equiparati, la Costituzione infatti tutela il lavoro in tutte le sue
forme, per cui le due figure sono equiparate per ciò che riguarda i criteri relativi alla previdenza sociale;
c) LAVORO : vi è diversità fra la tipologia del lavoro agricolo e quella del lavoro non agricolo per ciò che
riguarda le mansioni, gli orari di lavoro, il riposo domenicale e settimanale. È invece il medesimo il
sistema delle assunzioni, dei licenziamenti, della disoccupazione e del trattamento previdenziale;
d) RICORSO AL CREDITO : il ricorso al credito è il medesimo sia per gli agricoltori che per gli altri
imprenditori. Sono le banche libere o meno di accettare le richieste di mutuo.

3. IL REGISTRO DELLE IMPRESE, I LIBRI CONTABILI, IL FALLIMENTO, L’ ESERCIZIO


COLLETTIVO DELL’ ATTIVITà

Non vi è differenza di disciplina tra i contratti dell’ imprenditore agricolo e quelli dell’ imprenditore commerciale,
tranne che per le norme che tutelano i terzi che stipulano un contratto con l’ imprenditore commerciale. L’
imprenditore commerciale è infatti tenuto ad avere i libri contabili ad è assoggettato al fallimento e alle procedure
concorsuali, tutto questo a tutela dei terzi.
L’ art. 320.5 c.c. ci dice che l’ esercizio dell’ impresa commerciale non può essere continuato da un minore senza
l’ autorizzazione del tribunale. Analoga norma manca invece per l’ impresa agricola.
Gli impiegati pubblici non possono svolgere attività commerciale mentre non è vietato l’ esercizio dell’ attività
agricola.
Tuttavia va precisato che anche l’ imprenditore agricolo è tenuto a tenere la contabilità dei prodotti soggetti ad iva
se vuole avere accesso ai finanziamenti comunitari.
Le imprese agricole, se vogliono godere delle agevolazioni fiscali, sono tenute a iscriversi presso il registro delle
imprese, ciò anche se desiderano vendere i propri prodotti.
L’ iscrizione nel registro delle imprese inoltre contribuisce a creare un mercato trasparente, anche se l’ iscrizione
non ha efficacia costitutiva : si è imprenditori agricoli anche se non iscritti nel registro.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

4. LA RESPONSABILITà PER INQUINAMENTO E PER PRODOTTI DIFETTOSI

Prima vi era una disciplina differente per gli imprenditori agricoli e per quelli commerciali. Oggi non è più così.
Una differenza tra industria e agricoltura riguarda l’ inquinamento in quanto l’ agricoltore ha la necessità di non
inquinare il suolo in quanto ciò andrebbe a svantaggio della sua produzione. Al contrario dell’ imprenditore
industriale, l’ agricoltore, può per legge, riutilizzare i propri rifiuti (ad esempio può utilizzare le deiezioni animali
come concime), senza essere sottoposto alle regole riguardanti lo smaltimento dei rifiuti industriali e commerciali.
Per ciò che riguarda la responsabilità per prodotti difettosi. La disciplina è la medesima sia per l’ imprenditore
agricolo che per quello industriale, sono entrambi tenuti alla massima diligenza.

5. I FINANZIAMENTI, GLI AIUTI PUBBLICI ED IL MERCATO COMUNITARIO ED


INTERNAZIONALE

L’ agricoltura è un settore assistito. L’ art.44 Cost. sancisce l’ obbligo per il legislatore di assistere la piccola e
media proprietà terriera, ossia l’ impresa agricola, attraverso delle sovvenzioni pubbliche. Ovviamente sono state
riconosciute delle sovvenzioni anche agli imprenditori commerciali.
Sono stati stanziati dei finanziamenti anche dalla Comunità Europea per gli imprenditori, sia agricoli che
commerciali, volti a proteggere le aziende sfavorite da condizioni strutturali o naturali.
Abbiamo sia degli aiuti comunitari, sia degli aiuti nazionali (aiuti di Stato). Questi aiuti sono in grado di incidere
sui prezzi.
Tutte le imprese agricole ricevono dei sussidi, perché oltre a essere utili per le proprie produzioni, esse preservano
il territorio dal degrado offrendo così un servizio all’ intera collettività, parliamo a proposito di multifunzionalità
dell’ agricoltura.

6. LA CONCORRENZA CON GLI ALTRI AGRICOLTORI

I vari imprenditori si incontrano e si scontrano nel mercato, per questo la Comunità Europea e i singoli
ordinamenti nazionali hanno configurato un sistema di norme anticoncorrenziali che consentano a tutti gli
operatori commerciali di accedere e di confrontarsi nel mercato evitando comportamenti sleali.
La normativa comunitaria mira a evitare accordi e intese che eliminano e falsano la concorrenza tendendo a creare
delle posizioni dominanti.
Queste disposizioni generali vanno adattate al settore specifico dell’ agricoltura con norme speciali e specifiche.

7. PRIME CONCLUSIONI

Da ciò che abbiamo detto possiamo ricavare tre conclusioni :


1) il diritto agrario disciplina non solo il fondo rustico o la titolarità degli animali, ma disciplina l’ esercizio
di tutte le attività economiche che prendono il nome di agricoltura;
2) le norme che regolano l’ impresa agricola sono diverse da quelle che regolano l’ impresa commerciale;
3) lo statuto giuridico dell’ imprenditore agricolo è ricco di vanatggi e privilegi se raffrontato con quello
dell’ imprenditore commerciale.

8. LE RAGIONI DELLA DIFFERENZA DI DISCIPLINA

Già nel diritto romano la disciplina relativa all’ imprenditore agricolo e quella relativa all’ imprenditore
commerciale erano differenti.
Le ragioni della differente disciplina risiedono nel fatto che prima di tutto la produzione agricola è diversa rispetto
al commercio in senso lato, ossia un’ intermediazione tra lavoratori e consumatori, mentre invece in agricoltura l’
agricoltore non compra ciò che poi venderà (come fa il commerciante, o l’ industriale che acquista e trasforma per
poi rivendere). Altra differenza di disciplina può riguardare il fatto che la realtà economica agricola è
caratterizzata da fattori ingovernabili da parte dell’ uomo come ad esempio i rischi ambientali o biologici, o la
deperibilità dei prodotti, i rischi atmosferici, la lunghezza dei cicli produttivi dell’ agricoltura a differenza dell’
accelerazione della produzione propria dell’ impresa in grado di soddisfare a pieno la domanda.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

9. CONCLUSIONE
L’ agricoltore deve sperare di produrre a sufficienza e al tempo stesso deve sperare di non avere una
superproduzione rispetto alla domanda.

CAPITOLO II :
LE FONTI DEL DIRITTO AGRARIO

1. L’ AGRICOLTURA COME MATERIA DI COMPETENZA NORMATIVA DELL’ UNIONE


EUROPEA E DELLE REGIONI

La competenza normativa della materia agricoltura, ai sensi dell’ art. 117 Cost., è della Comunità Europea e delle
Regioni. Da questa competenza sembra invece essere escluso lo Stato.

2. LA COMPETENZA COMUNITARIA

La Comunità Europea ha competenza esclusiva (assoluta) riguardo alla materia agricoltura e al commercio dei
prodotti agricoli. È la Comunità a disciplinare questa materia, per cui le norme comunitarie sono direttamente
applicabili, costituiscono le fonti primarie e sono autorizzate a derogare la legge nazionale.
La costituzione di un mercato unico dei prodotti agricoli, con la suddivisione dei costi fra gli stati membri non
poteva che essere gestito direttamente ed esclusivamente dalla Comunità Europea.
La comunità cerca di armonizzare con un diritto unico le diverse legislazioni degli stati membri attraverso le
direttive comunitarie.

3. LE COMPETENZE LEGISLATIVE DELLO STATO E DELLE REGIONI

L’ art 117 Cost. definisce le materie in cui è competente lo Stato, quelle in cui è competente la regione e quelle in
cui Stato e regione hanno competenza concorrente. Le regioni a statuto speciale hanno competenza esclusiva con
riguardo alla materia agricoltura, mentre si deduce che per ciò che riguarda le ragioni a statuto ordinario vi sia
competenza concorrente tra stato e regione, in quanto la materia agricoltura rientra in maniera trasversale nella
tutela della salute, dell’ alimentazione, del governo del territorio e della valorizzazione dei beni ambientali, tutte
materie di competenza concorrente.
La Comunità Europea detta i principi fondamentali la cui attuazione ed esecuzione spetta alle Regioni.

4. LE LEGISLAZIONE AGRARIA DELLE REGIONI

Prima della riforma costituzionale del 2001 per agricoltura si intendeva la coltivazione del fondo agricolo. In
seguito alla riforma per agricoltura deve intendersi l’ attività di cura dei vegetali e degli animali, produttiva di
ricchezza e diretta alla produzione di beni (alimentari) e di servizi, ad opera di soggetti inseriti in un mercato
regolato da norme anticoncorrenziali.
Alcuni tratti della materia sono di competenza esclusiva delle Regioni (ad es. impianti abusivi di vigneti), altri
sono di competenza esclusiva dello Stato (ad es. profilassi internazionale).
Vi sono poi tratti della materia in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva ai fini di un trattamento unitario che
va al di la dell’ ambito regionale.

5. LA “RESPONSABILITà” INTERNAZIONALE DELLO STATO VERSO L’ UNIONE EUROPEA ED


IL RISPETTO DELLO STATO VERSO L’ AUTONOMIA LEGISLATIVA DELLE REGIONI

Lo Stato deve garantire l’ attuazione della normativa europea. Le Regioni devono dare attuazione alle direttive
comunitarie e qualora queste non provvedano è lo Stato a doversi attivare, altrimenti viene ritenuto responsabile
dell’ in attuazione da parte delle Regioni. In casi del genere lo Stato può sostituirsi alle Regioni in caso di mancato
rispetto della normativa comunitaria (art.120 Cost.).
Per ciò che riguarda la normativa europea va precisato che, i regolamenti sono immediatamente obbligatori per
tutti i cittadini comunitari, essi vanno applicati, non c’ è bisogno di un’ attuazione nazionale, attuazione invece
necessaria per le direttive.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

6. LA MATERIA AGRICOLTURA NELLA NORMATIVA DELLA COMUNITà

Per la Comunità Europea il mercato comune comprende l’ agricoltura e il commercio dei prodotti agricoli
(prodotti del suolo, dell’ allevamento, della pesca,e i prodotti di prima trasformazione connessi a tali prodotti
primari).
L’ ordinamento comunitario si occupa dunque sia dei prodotti primari sia delle produzioni, prodotti individuati
nell’ allegato I del Trattato.
Per la Comunità Europea sono prodotti agricoli alcuni beni che per il diritto italiano sono invece prodotti
industriali, come ad es. l’ aceto e lo zucchero.
Agricoltura per la Comunità Europea è il commercio dei beni elencati nell’ allegato I, ossia beni prodotti allo stato
naturale e beni che hanno subito una trasformazione.

7. IL POSSIBILE “CONFLITTO” TRA NORMA COMUNITARIA E NORMA INTERNA

Abbiamo più fonti nel diritto agrario, vi sono fonti comunitarie e fonti di diritto interno. Questi due sistemi di
fonti sono autonomi, ma devono essere compatibili fra loro. Quando una norma interna è incompatibile con una
norma comunitaria. La norma interna va disapplicata.
Unico limite all’ applicazione delle norme comunitarie è quello del rispetto dei principi fondamentali dl nostro
ordinamento e quindi della nostra Costituzione.

8. I PRINCIPI DEGLI ARTT. 41 E 44 COST.

Il tema agricoltura si ricollega agli artt. 41 e 44 Cost. che riguardano lo sfruttamento razionale del suolo e la
possibilità per il singolo di concorrere all’ organizzazione economica del paese per produrre nuove utilità.
Ai sensi dell’ art.41 Cost. l’ iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’ utilità
sociale, per cui la legge determina programmi e controlli opportuni perché l’ iniziativa privata sia indirizzata e
coordinata ai fini sociali.
Ai sensi dell’ art.44 Cost. invece la legge impone dei limiti ed impone dei vincoli volti a conseguire il razionale
sfruttamento del suolo e a stabilire equi rapporti sociali.

9. LE MATERIE PROPRIETà ED IMPRESA E LA RISERVA DI LEGGE, CON RIFERIMENTO ALLA


NORMATIVA COMUNITARIA

La Comunità Europea in tema di agricoltura si esprime tramite :


a) REGOLAMENTI : norme aventi efficacia immediata e diretta nei confronti di tutti i cittadini dell’ U.E.;
b) DIRETTIVE : norme che obbligano gli stati membri ad armonizzare la propria legislazione nazionale
alle regole espresse dalla C.E..
Questi atti hanno valore di legge.

10. CENNI SUI PROVVEDIMENTI COMUNITARI E SUI LORO EFFETTTI NEL DIRITTO INTERNO

In caso di mancata attuazione o di mancato rispetto delle direttive o dei regolamenti comunitari, lo Stato
inadempiente e i suoi cittadini potrebbero essere destinatari di conseguenze dannose. Lo Stato è generalmente
tenuto al risarcimento del danno. I cittadini possono farsi valere nei confronti dello Stato che non abbia
provveduto al rispetto delle direttive e dei regolamenti comunitari, chiedendo al proprio giudice nazionale l’
applicazione della norma comunitaria e il risarcimento del danno.

11. LEGGI DI ORIENTAMENTO AGRICOLO E CODICE AGRICOLO

In forza della legge delega 5 marzo 2001 n.57, il Governo (Ministro dell’ agricoltura on.Pecoraro Scanio) ha
emanato tre decreti legislativi intitolati all’ orientamento e modernizzazione dei settori della pesca ed
acquacoltura, forestale ed agricolo.
I tre decreti hanno riportato l’ attenzione sui problemi attuali dell’ agricoltura italiana, che necessita di moderni
strumenti normativi per porsi nel mercato europeo e mondiale in termini di efficienza e competitività.
Con l’ entrata in vigore del nuovo art.117 Cost. (con il quale la materia agricoltura viene a far parte dell’ elenco
“silenzioso” comprensivo di tutte le materie attribuite alla competenza residuale ed esclusiva delle Regioni) allo
Stato è rimasto il compito di elaborare le linee direttrici di politica agricola.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Nel programma legislativo del nostro paese vi è poi un altro impegno che si riferisce all’ agricoltura : ossia la
legge delega 7 marzo 2003 n.38, che riguarda la realizzazione di un codice agricolo mediante il riassetto delle
disposizioni legislative vigenti riguardanti la pesca, l’ acquacoltura e le foreste, alla luce del nuovo art.117 Cost..
Questo compito fu affidato dal Ministero delle politiche agricole e forestali all’ Istituto di Diritto Agrario
Internazionale e Comparato di Firenze (IDAIC).
Questo codice agricolo avrebbe avuto la forma e gli effetti di un testo legislativo, ma sostanzialmente sarebbe
stato un “testo unico” delle norme agricole nazionali.
Il codice è stato elaborato da 70 collaboratori dell’ IDAIC, e si compone di 11 libri preceduti da un libro di
“disposizioni generali”, e seguiti da un libro di “disposizioni finali e delle abrogazioni”, per un totale di 960
articoli.

12. IL DIRITTO AGRARIO COME DIRITTO DELL’ IMPRESA AGRICOLA NELLO SPAZIO
RURALE

Alla luce di tutte queste informazioni possiamo definire il diritto agrario semplicemente come il diritto che
riguarda l’ agricoltura.
Possiamo dire che il diritto agrario è il complesso di norme che disciplinano l’ attività che in modo
imprenditoriale (dunque in vista del mercato), è diretta alla creazione di beni che avendo nella natura il loro
supporto ed il loro radicamento, si presentano come manifestazione della vita animale e vegetale.
Il diritto agrario come diritto dell’ impresa agricola nello spazio rurale è dunque il nostro oggetto di studio.

CAPITOLO III :L’ IMPRESA AGRICOLA

1. IL TITOLO II “DEL LAVORO NELL’ IMPRESA” DEL LIBRO V DEL C.C.

Cosa è l’ impresa agricola ?


La formula è composta da due termini, un nome, impresa, ed un aggettivo, agricola, dobbiamo accertare il
significato di entrambi.

Il Titolo II del Codice Civile sotto il titolo “del lavoro nell’ impresa”, è organizzato in tre distinti capi :
- “dell’ impresa in generale” (artt.2082-2134)
- “dell’ impresa agricola” (artt.2135-2187)
- “delle imprese commerciali e delle altre imprese soggette a registrazione” (artt.2188-2221).

Ai sensi dell’ art.2082 c.c. è imprenditore chi esercita professionalmente un’ attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Gli artt.2135 e 2195 c.c. invece elencano le attività che rispettivamente danno corpo all’ impresa agricola e a
quella commerciale, senza indicare come debbano essere esercitate queste specifiche attività.

L’ art.2135 c.c. elenca quattro attività :


1) coltivazione del fondo
2) silvicoltura
3) allevamento degli animali
4) attività connesse.

L’ articolo chiarisce in cosa consistano queste attività ma non come queste debbano svolgersi.

L’ art.2195 c.c. ne elenca invece sei :


1) attività industriale
2) attività del negoziante
3) attività di trasporto
4) attività bancaria
5) attività assicurativa
6) attività ausiliaria delle precedenti.

L’ articolo non chiarisce ne in cosa consistano queste attività ne come debbano svolgersi.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Si deve inoltre constatare che gli articoli seguenti all’ art.2135 c.c. che riguardano l’ impresa agricola in generale
sono ben pochi.
Questa scarsità di disposizioni fa pensare ad una artificiosa simmetria tra impresa agricola ed impresa
commerciale.

2. LA CATEGORIA UNITARIA DELL’ IMPRESA

Appoggiamo l’ opinione maggioritaria secondo cui “impresa” significa “attività”.


Lo stesso art. 2082 c.c. definendo la figura dell’ imprenditore ci parla di “attività economica professionalmente
esercitata” ed identifica quindi l’ impresa con tale attività.
Possiamo a questo punto cogliere la differenza tra impresa ed azienda che il nostro legislatore sancisce all’ art.
2555 c.c., definendo l’ azienda come il complesso dei beni organizzati dall’ imprenditore per l’ esercizio dell’
impresa.
Analizzando l’ art. 2082 c.c. possiamo affermare che il soggetto è imprenditore :
a) quando esercita un’ attività economica organizzata;
b) quando la esercita professionalmente;
c) quando la esercita al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Dobbiamo innanzitutto analizzare il termine “organizzazione”. Solo le attività produttive organizzate sono
imprenditoriali, e non importa che l’ organizzazione abbia proporzioni rilevanti, è organizzazione del proprio
lavoro tanto quella posta in essere da un ciabattino, tanto quella posta in essere da un broker.

Il secondo termine da analizzare è “professionalità”. Per essere imprenditore non occorre ne un titolo di studio, ne
l’iscrizione ad albi o a registri, anche se essi sono sempre più richiesti per l’ esercizio dell’ attività imprenditoriale,
o quantomeno per l’ attribuzione di finanziamenti pubblici, o per essere ammessi a certe agevolazioni.
La professionalità attiene all’ attività : l’ attività è svolta in modo professionale quando non è occasionale, ne
saltuaria, ossia quando è esercitata con continuità.

Il terzo termine da analizzare è in realtà una proposizione, ossia l’ espressione “produzione o scambio” di beni o
di servizi. Sia lo scambio che la produzione riguardano il mercato. Non vi è attività di impresa che non si concluda
con l’ immissione nel mercato dei beni o dei servizi prodotti. Non vi è dunque attività imprenditoriale che non
sbocchi in una serie indefinita di negozi giuridici con i consumatori ed utenti per uno scopo di lucro e di profitto,
per questo motivo non è impresa l’ attività, che pur economica, sia un’ attività di autoconsumo.

Dobbiamo ora fare un’ ultima riflessione. Dobbiamo chiederci se lo scopo dell’ impresa sia il lucro o invece la
produzione. Non vi è dubbio che dall’ immissione della produzione nel mercato ci si attende un ricavo, ovverossia
che sia realizzato un fine, almeno astrattamente, lucrativo onde evitare decozione e fallimento.

3. IL DECRETO LEGISLATIVO DEL 18 MAGGIO 2001 N.228 E LE RAGIONI DELLA NUOVA


FORMULAZIONE DELL’ ART. 2135 C.C.

La dottrina prima si chiedeva se l’ impresa agricola fosse un’ impresa in senso tecnico; si chiedeva se fosse
agricola solo la coltivazione dei vegetali sul terreno e se fosse necessaria la cura dell’ intero ciclo biologico della
pianta; aveva inoltre sollevato la questione dell’ equiparazione del termine “bestiame” a quello di “animali”.
Ma la dottrina discuteva soprattutto sulla natura e sui limiti delle attività connesse alle attività agricole principali.
Si può dire che si erano date a tutte queste domande delle risposte soddisfacenti, ma allora perché il legislatore nel
2001 è voluto intervenire con la riscrittura dell’ art. 2135 c.c.?
In effetti erano rimaste delle zone d’ ombra e delle divergenze ermeneutiche che in alcuni casi avevano dato vita a
liti e processi.
Occorreva quindi una sorta di interpretazione autentica che consentisse l’ eliminazione, o almeno la riduzione del
contenzioso agricolo per il futuro.
In virtù della nuova formula dell’ art. 2135 c.c. si può sperare in un minor carico di lavoro per i giudici e in un’
interpretazione unitaria.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

4. L’ IMPRESA AGRICOLA, COME DEFINITA DAL VECCHIO E DAL NUOVO ART. 2135 C.C., ERA
ED è UN’ IMPRESA IN SENSO TECNICO

Si può notare che la nuova formula dell’ imprenditore agricolo di cui all’ art. 2135 c.c. si ricollega alla definizione
dell’ art. 2082 c.c. che ci da atto di un soggetto che “esercita professionalmente un’ attività economica organizzata
al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
In altre parole l’ impresa agricola è un’ impresa in senso tecnico e l’ imprenditore agricolo non è, e non lo è mai
stato, un semplice produttore.
La conferma che l’ operatore agricolo di cui ci parla l’ art. 2135 c.c. è un imprenditore, ovvero un soggetto che
produce utilità per il mercato, è ormai acquisita.

5. LA VENDITA DEI PRODOTTI AGRICOLI E LE CONTRATTAZIONI DELL’ AGRICOLTORE


NELLE BORSE MERCI

Analizziamo ora l’ art. 4 del D.Lgs. 228/2001. Tale articolo consente agli imprenditori agricoli, singoli od
associati, di vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti “su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico”
dopo averne dato comunicazione al sindaco, senza per questo cadere nella disciplina del commercio,
comunicazione tra l’ altro non necessaria qualora l’ agricoltore venda al dettaglio su superfici all’ aperto nell’
ambito della propria azienda o di altre aree private di cui abbia la disponibilità.
Non si tratta di vendita all’ ingrosso ma di vendita al minuto, si tratta di portare il prodotto direttamente al
consumatore e già una legge del 1959 consentiva al produttore agricolo di vendere i propri prodotti senza licenza
di commercio.
Anche il D.Lgs. 31 marzo 1998 n.114, riformando e liberalizzando la disciplina relativa al settore del commercio,
ne ha escluso l’ estensione ai produttori agricoli che vendono i propri prodotti, confermando così la “separatezza”
dai commercianti.

6. LE ATTIVITà AGRICOLE PRINCIPALI

Leggendo congiuntamente l’ art. 2082 e l’ art. 2135 del codice civile si rileva che è imprenditore agricolo colui
che esercita professionalmente e mediante un’ organizzazione “una delle seguenti attività : coltivazione del fondo,
selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”, al fine della produzione per il mercato.
Sono imprenditori agricoli tanto modesti operatori economici del settore primario, quanto coloro che esercitano
attività agricola con imponenti complessi aziendali.

7. SEGUE : LA CURA DI ESSERI VEGETALI

La prima delle attività agricole elencate è la “coltivazione del fondo”.


Che cosa vuol dire fondo? Per coltivazione del fondo non si deve intendere la coltivazione del “campo” ma la
coltivazione delle “piante”. L’ agronomia, ovvero la scienza che studia il modo di conseguire dalla terra,
sfruttandone le risorse naturali, la maggiore quantità e la migliore qualità dei prodotti vegetali necessari all’
esistenza degli uomini e degli animali allevati, non studia come viene coltivata la terra, studia invece come si
coltivano le piante.
Il nuovo art. 2135 c.c. recita che “per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si
intendono la attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso
di carattere vegetale o animale”.
Coltivazione del fondo vuol dire dunque coltivazione delle piante, vuol dire cura e attenzione al ciclo biologico
dell’ essere vegetale, cura che può riguardare l’ intero ciclo biologico o parte di esso.
Tra l’ altro la coltivazione dl fondo oltre che per la produzione di alimenti, può essere utile per produrre biogas ed
energia elettrica.
la necessità, per aversi impresa agricola, della cura del ciclo biologico di esseri vegetali ha come conseguenza il
fatto che la semplice raccolta di frutti naturali, ancorché organizzata e destinata al mercato, non costituisce attività
di impresa agricola e resta fuori dall’ art. 2135 c.c. insieme alla caccia, alla raccolta dei funghi, tartufi, bacche,
more, mirtilli e lamponi.
Costituisce attività agricola come abbiamo già detto anche una fase essenziale del ciclo biologico dell’ essere
animale e vegetale. Ad es. l’ allevamento con mangimi sarà attività agricola se avrà una durata minima, cioè se si
svolgerà lungo un periodo di tempo adeguato per lo svolgimento del ciclo biologico, sicché non sarà agricoltore il
mercante di bestiame che lo nutre in attesa di rivenderlo; invece sarà agricoltore colui che si specializzerà nel
produrre e vendere barbatelle e ne seguirà la crescita.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Per “fase necessaria del ciclo biologico vegetale ed animale” va intesa quindi una tappa di apprezzabile durata.

8. SEGUE : LA CURA DEL BOSCO E LA FILIERA BOSCO-LEGNA-ENERGIA

La seconda attività agricola elencata è la selvicoltura.


La parola significa coltivazione della selva. Parliamo quindi del bosco che non da solo legname ma “produce”
ambiente, garantendo la saldezza del suolo, la purezza dell’ aria, la conformazione dl paesaggio.
Queste funzioni del bosco sono state riconosciute in realtà a tutta l’ agricoltura in generale.
Va detto poi che il legno (ossia il frutto della selvicoltura), ha un lungo ciclo biologico, sicché esso si ottiene dopo
un periodo di tempo nel corso del quale il bosco soddisfa le altre sue funzioni.
L’ attività di cura del bosco e le sue modalità sono prescritte dalle leggi forestali e costituiscono obblighi per il
titolare del godimento di esso.
I selvicoltori sono stati da sempre inseriti tra gli agricoltori essendo il legno un prodotto del fondo, e poi tra gli
imprenditori agricoli.
Con riguardo al bosco dobbiamo ricordare la legge Galasso che ha elevato a beni ambientali tutti i territori coperti
da foreste e boschi, aree in cui non possono compiersi opere che alterino in modo permanente lo stato dei luoghi;
il taglio colturale è consentito nel rispetto delle prescrizioni delle leggi forestali.
Attualmente la produzione eccedentaria di vegetali destinati all’ alimentazioni degli uomini e degli animali, ha
indotto la Comunità a sostenere la produzione delle c.d. biomasse, ovvero di organismi vegetali destinati a
produrre biogas ed elettricità.
Tra le biomasse sono specificatamente elencati la legna da ardere, i prodotti residui lignocellulosi puri e le colture
forestali a ciò dedicate.
Alla luce di queste informazioni possiamo dire che colui che si dedica professionalmente alla produzione di
biomasse deve essere qualificato imprenditore agricolo in quanto produttore del fondo e/o del bosco.

9. LA RACCOLTA DEI FRUTTI SPONTANEI DEL SOTTOBOSCO E LA LORO NATURA


GIURIDICA DI RES NULLIUS

Abbiamo detto che per poter parlare di coltivazione delle piante come attività dell’ impresa agricola occorre la
cura del ciclo biologico, e ciò distingue l’ agricoltura dell’ art. 2135 c.c. dalla semplice raccolta dei c.d. frutti
spontanei, che tra l’ altro possono anche corrispondere a quelli coltivati.
La raccolta di frutti spontanei destinata al mercato quando è organizzata da un imprenditore agricolo sul proprio
terreno boscato, acquista il valore di attività connessa e come tale soggiace alla disciplina dell’ impresa agricola.
Al contrario quando l’ organizzazione di tale attività viene posta in essere nei boschi altrui, da chi non è
imprenditore agricolo, il quale provvede ad immettere sul mercato i prodotti del sottobosco, si è in presenza di un’
impresa commerciale.
Sono definiti frutti spontanei tanto i vegetali cresciuti spontaneamente (funghi, tartufi), quanto i frutti prodotti
dalle piante spontanee (fragole, mirtilli, lamponi, bacche, more), e la loro raccolta non è attività agricola perché
manca la coltivazione.
La questione essenziale attiene la possibilità di definire i c.d. frutti spontanei come “frutti” in senso giuridico ai
sensi dell’ art. 820 c.c.
Per tale disposizione del codice “sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o
no l’ opera dell’ uomo”; per il successivo art. 821 c.c. tali frutti naturali appartengono al proprietario della cosa
che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri, che l’ acquistano con la separazione. Sono dunque
frutti in senso giuridico i beni derivati da una cosa madre, ma distinti da questa, per ciò “nuovi” rispetto ad essa, e
capaci di essere oggetto autonomo di diritti al momento della separazione.
Il proprietario della cosa madre diventa proprietario dei frutti; mentre il concessionario del diritto (reale o
personale) di godimento della cosa madre diventa, al momento della separazione, proprietario dei frutti a titolo
originario e non ha titolo derivativo, dato che prima della separazione non esistono beni nuovi.
I c.d. frutti spontanei (funghi, tartufi, fragole, mirtilli, lamponi, bacche…) non sono di proprietà del titolare di
godimento (reale o personale) della terra in cui spontaneamente nascono; esse sono quindi res nullius e da
chiunque occupabili, salvo che la chiusura del fondo (art. 841 c.c.) ne impedisca di fatto l’ occupabilità.
La legge-quadro 16 dicembre 1985 n.752 dichiara “libera” la raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non
coltivati, mentre la legge-quadro 23 agosto 1993 n.352 consente alle Regioni di autorizzare coloro che hanno
diritto di “uso” del bosco di delimitare, con apposite tabelle, specifiche aree per affermarvi il diritto di esclusiva
raccolta dei funghi.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

È proprio la tabellazione concessa dalle Regioni a coloro che hanno il diritto di godimento del fondo ciò che
conferma, che solo in tal caso i coltivatori di questo abbiano diritto, in via esclusiva, ai funghi e ai tartufi delle
loro terre.
Le dette leggi prevedono la confisca dei tartufi e dei funghi che vengano raccolti in violazione delle disposizioni
riguardo il loro peso e la loro misura, o sulle modalità di raccolta e di trasporto.
Qualora il titolare del diritto di godimento del bosco chiedesse ed ottenesse la tabellazione e la conseguente
riserva a se della raccolta dei funghi ivi esistenti, ma lo facesse solo ed esclusivamente per impedire l’ accesso a
terzi al suo terreno, si può dire che la sua condotta costituisce un atto illecito (atti di emulazione).

10. LA CURA DI ESSERI ANIMALI

La terza attività agricola considerata è l’ allevamento di animali.


Quando è stato redatto il codice gli animali erano legati al fondo da un rapporto di necessità (lavoro) o da un
rapporto di complementarietà (alimentazione e concimazione).
I primi commentatori dell’ art. 2135 c.c. enumeravano tra il “bestiame” solo i bovini, gli equini, i caprini e gli
ovini, mentre l’ allevamento degli altri animali, detti di bassa corte, non assurgeva di per se ad attività agricola
principale ma era stimato come attività connessa qualora essi fossero stati alimentati con prodotti di risulta o di
scarto dell’ attività di coltivazione o con quanto naturalmente avessero potuto trovare sul terreno.
Ma quando i buoi, i cavalli, i muli, le capre, sono stati sostituiti dai trattori, dai veicoli a motore, dai concimi, si è
persa la distinzione tra allevamento degli animali grossi e allevamento di animali da bassa corte, dato che
entrambi non servivano più al fondo e per entrambi gli alimenti potevano non provenire dal fondo.
La “rottura” tra l’ allevamento e la coltivazione del fondo da un lato, e lo sviluppo delle moderne pratiche di
allevamento, hanno imposto una riflessione sul significato della parola “bestiame” adoperata dall’ art. 2135 c.c., e
ci si chiede se con essa si possa intendere il complesso delle bestie, ovvero “l’ insieme degli animali allevati per l’
agricoltura e l’ alimentazione dell’ uomo” che si distinguono in bestiame “grosso” (mucche, buoi, equini),
“minuto” (capre, pecore) e “da cortile” (conigli, pollame e tutti i volatili domestici”).
Tra l’ altro l’ ordinamento giuridico italiano considera agricolo anche l’ allevamento di suini, conigli, polli, rane,
mitili, crostacei, ostriche, molluschi, api, bachi da seta e persino cani, per cui si è giunti alla conclusione che il
termine “bestiame” della vecchia formula dell’ art. 2135 c.c. non può essere inteso nel senso attribuito dai primi
commentatori.
Con il D.Lgs. 228/2001 che ha voluto riformulare l’ art. 2135 c.c. viene abbandonato il termine bestiame e viene
invece adottato il termine “animali”.
Una volta che l’ allevamento veniva scisso dalla coltivazione dl fondo e una volta che si era allargato l’ oggetto
dell’ allevamento al di la dei bovini, degli equini, dei caprini ed ovini, si poneva la necessità di individuare dei
criteri che consentissero di circoscrivere l’ attività di allevamento e di delimitare gli animali-prodotti agricoli.
Riguardo il termine allevamento la dottrina riconduce la parola all’ etimologia intendendo con questo termine il
prendersi cura della crescita dell’ animale. In questo modo veniva esclusa, come attività necessaria, la
riproduzione.
“Allevamento” è dunque la cura del ciclo biologico dell’ animale, quella che fa di un soggetto un imprenditore
agricolo. L’ allevamento degli animali è agricolo quando consiste nella cura e nello sviluppo del ciclo biologico
dell’ animale o di una fase di tale ciclo.
Ma per potersi parlare di allevamento dobbiamo intendere la cura di qualsivoglia animale?
La dottrina si divideva; una parte sosteneva che tutti gli animali possono rientrare nella categoria dei prodotti
agricoli, l’ altra parte sosteneva che l’ elenco degli animali che potevano essere allevati da un imprenditore
agricolo doveva essere circoscritto.
Il D.Lgs. 228/2001 stabilisce che sono agricole le attività si dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico di
carattere animale, ma che “utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, o le acque dolce, salmastre o marine”.
La formula dunque delimita l’ oggetto dell’ allevamento agricolo ai soli animali che vengono allevati sul fondo.
Vengono quindi esclusi gli animali carnivori come gatti, visoni, cincillà e volpi, nonché scimmie, coccodrilli e
pitoni.
Diverso è il caso dei cani, per cui tramite legge l’ allevatore di cani è stato assimilato all’ agricoltore quando
possiede più di cinque fattrici ed almeno trenta cuccioli l’ anno, ed ottenga da tale attività un reddito prevalente
sui redditi a lui imputabili da altre attività extragricole.
Sono poi da includere nelle attività agricole la fauna selvatica allevata nelle aziende agro-turistiche-venatorie,
nonché l’ allevamento delle api.
Anche l’ acquacoltore (colui che alleva pesci, mitili, ostriche, molluschi e crostacei) è di pieno diritto un
imprenditore agricolo.

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

11. LA CATTURA DEI PESCI

Parliamo ora di un’ attività equiparata a quella agricola ossia l’ attività di pesca.
La pesca e la caccia non sono mai state considerate dalla legislazione italiana come facenti parte dell’ attività
agricola. Quando però il Trattato di Roma all’ art. 32 ha compreso tra i prodotti agricoli, oltre a quelli del suolo e
dell’ allevamento, quelli della pesca, il sistema giuridico italiano si è trovato dinnanzi a due normative differenti,
una nazionale e una comunitaria.
Una tale situazione aveva creato del caos relativamente all’ applicazione della normativa, per questo motivo il
Parlamento diede delega al Governo perché disciplinasse l’ attività di pesca equiparandola all’ attività agricola,
per evitare così la duplice normativa esistente.
L’ art. 2 del D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 226, tratta dell’ imprenditore ittico e lo equipara all’ imprenditore agricolo;
si tratta di un’ equiparazione ai fini della disciplina giuridica.
Il D.Lgs. 153/2004 invece disciplina l’ attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in mare
disponendo che l’ attività di pesca marittima deve ispirarsi al principio di sviluppo sostenibile e di pesca
responsabile che impone di coniugare le attività economiche di settore con la tutela degli eco-sistemi, ed impone l’
obbligo di registrazione per i pescatori marittimi e per le imprese di pesca, nonché il controllo delle navi tramite
licenza di pesca e la vigilanza sulla pesca.
Sono stati elaborati dei programmi nazionali della pesca e dell’ acquacoltura con l’ obiettivo di perseguire la tutela
della biodiversità e della durabilità delle risorse ittiche, nonché la promozione della cooperazione e dell’
associazionismo tra pescatori e l’ istituzione del c.d. Tavolo azzurro e di uno specifico Fondo di solidarietà
nazionale della pesca e dell’ acquacoltura.

12. LE ATTIVITà CONNESSE ED IL CRITERIO DELLA PREVALENZA

Anche il nuovo art. 2135 c.c. elenca accanto alle tre attività che abbiamo menzionato (coltivazione del fondo,
selvicoltura, allevamento degli animali) altre attività denominate “connesse”, ciò ci porta a compiere una
distinzione tra queste tre attività considerate “essenzialmente agricole”, e tutte le altre ad esse connesse
considerate appunto “attività agricole per connessione” , attività che comunque sono assoggettate alla stessa
disciplina giuridica dell’ impresa agricola.
Tra le attività connesse il legislatore comprende “la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti
rinnovabili agroforestali”, ovvero la trasformazione delle colture vegetali e forestali dedicate all’ ottenimento delle
biomasse da cui estrarre poi biogas, calore ed elettricità.
La connessione si instaura non quando le biomasse ottenute vengono utilizzate dalla stessa impresa, ma quando si
ha appunto una cessione, per cui le biomasse ottenute vengono immesse sul mercato, per cui l’ attività connessa è
un’ attività di per se commerciale che però, per effetto della connessione è sottoposta alla disciplina dell’
agricoltura.
Queste attività sono considerate dalla legge “produttive di reddito agrario”.
Ma che cosa significa connessione? Il dizionario Devoto-Oli ci dice che per connessione si intende “legame di
relazione e interdipendenza”, e che “connesso” significa “strettamente congiunto o collegato sul piano ideale;
intimamente unito, interdipendente”. Dunque la connessione implica un legame di relazione e di interdipendenza e
comunque uno stretto collegamento sia pure ideale.
Lo stretto collegamento non è fra due attività poste sullo stesso piano ma fra attività che si distinguono per essere
una la principale e l’ altra la secondaria; ciò avviene quando la secondaria è funzionalmente collegata alla
principale, è ad essa complementare e servente, non ha un proprio fine ma tende a perseguire lo stesso fine
perseguito dall’ imprenditore che svolge l’ attività principale. In altre parole l’ attività connessa deve “servire”
allo sviluppo dell’ attività agricola principale integrandone il reddito.

Della connessione tratta il terzo comma dell’ art. 2135 c.c. ed impone all’ interprete di mettere in evidenza i
seguenti punti :
a) per connesse si intendono le attività esercitate dal medesimo imprenditore dirette a determinati e
specificati fini;
b) queste attività devono essere dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione dei prodotti;
c) i prodotti manipolati, conservati, trasformati, commercializzati e valorizzati devono essere ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’ allevamento di animali;
d) connesse sono poi le attività dirette alla fornitura di beni o di servizi mediante l’ utilizzazione prevalente
di attrezzature o di risorse dell’ azienda normalmente impiegate nell’ attività agricola esercitata e che tra

10

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

tali attività di fornitura sono comprese le attività di valorizzazione dl territorio e del patrimonio rurale e
forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definiti dalla legge.

Va quindi precisato che queste attività devono essere svolte dallo stesso soggetto che svolge l’ attività principale
per essere considerate connesse giuridicamente (principio dell’ uni soggettività).
Da dire poi ancora che oltre alle attività espressamente indicate dal terzo comma dell’ art. 2135 c.c. si reputano
connesse, salva prova contraria (gravemente su chi intende contestare la connessione), le attività accessorie,
collaterali, dipendenti, “serventi” delle attività principali di coltivazione dl fondo, della silvicoltura e dell’
allevamento di animali.
Oggi possiamo considerare connesse le offerte di insaccati, porchetta e polli cotti, quali beni ottenuti dalla
produzione di carni e della loro macellazione. Invece non può essere considerato tale il gelato ottenuto dallo
yogurt perché frutto di una successiva trasformazione dello yogurt, questo si prodotto derivato dal latte e come
tale prodotto agricolo.
Al termine “trasformazione” si ricollega poi quello successivo di “valorizzazione” del prodotto, ossia l’ attività
con cui si provvede a dare al prodotto destinato al mercato, un valore in più, ad esempio l’ aggiunta di vitamine o
di specifiche sostanze nutritive nel corso delle operazioni di trasformazione del prodotto di base.
La “valorizzazione” da al prodotto una presentazione migliore, un prezzo più alto di vendita (si pensi al lavaggio e
al confezionamento della frutta con appositi bollini riportanti il marchio dell’ impresa).
Da tutto ciò che abbiamo detto si evince che non vi è nulla di nuovo rispetto a quello che la dottrina aveva
ricavato dalla formula dell’ originario art. 2135 c.c.; la novità è data dal fatto che attualmente un soggetto non
perde la sua qualità di imprenditore agricolo quando manipola, conserva, trasforma, commercializza e valorizza,
assieme ai propri prodotti, prodotti altrui, che ha acquistato appunto, per manipolarli, conservarli, trasformarli e
valorizzarli per poi commercializzarli con i (prevalenti) propri, e ciò “al fine di ottenere anche un mero aumento
quantitativo della produzione e un più efficiente sfruttamento della struttura produttiva”.
Successivi decreti legislativi annoverano tra le attività agricole connesse anche quelle “dirette alla manipolazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell’ allevamento di animali”.
Tra le attività connesse peraltro, non sono elencate solo quelle che hanno per oggetto prodotti agricoli, tanto allo
stato naturale, quanto quelli trasformati, perché il nuovo art. 2135 c.c. elenca anche “attività dirette alla fornitura
di beni o servizi”, “le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale” e “le attività di
ricezione ed ospitalità”.
Da ricordare che l’ imprenditore per essere considerato tale deve svolgere un’ attività proiettata sul mercato.

13. SEGUE : LE ATTIVITà “TURISTICHE”

Come abbiamo appena detto l’ art. 2135 c.c. elenca tra le attività connesse la “fornitura di beni o servizi”.
Parliamo a proposito dell’ offerta di alimenti e di bevande “ricavati da materie prime dell’ azienda agricola” e in
particolare si può parlare in merito dell’ attività propria dell’ agriturismo.
L’ attività di ristorazione si compone del servizio della selezione, cottura e somministrazione degli alimenti agli
ospiti e non della sola vendita di prodotti agricoli.
Per “attività agrituristiche” vanno intese le attività di ricezione ed ospitalità, di somministrazione di pasti e
bevande e di svolgimento di attività ricreative e culturali da svolgersi “nell’ ambito dell’ azienda”, altre attività
ricreative, culturali, didattiche, escursionistiche, di pratica sportiva e ippoturismo “ancorché svolte all’ esterno dei
beni fondiari nella disponibilità dell’ impresa” ovvero fuori dai confini dell’ azienda che molto spesso si rivela
ristretta per pratiche come l’ escursionismo.
Sono le Regioni a disciplinare l’ attività di servizio di alloggio e di prima colazione nella propria abitazione (il c.d.
bed and breakfast), anche da parte di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli, chiarendo che se il servizio viene
reso da questi, rientra fra le attività agrituristiche.
Per potersi parlare di attività agrituristica sono necessari gli elementi dell’ unisoggettività e dell’ uniaziendalità
(attraverso l’ utilizzo da parte degli imprenditori agricoli della propria azienda).
Il reddito proveniente dalle attività agrituristiche è considerato reddito agrario.
I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimiliabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali.
Gli alimenti e le bevande che i turisti consumano possono provenire da “lavorazioni esterne” anche a carattere
industriali, compiute da altri e fuori dall’ azienda (come previsto dall’ art. 2135 c.c. che considera agricoli non
solo i prodotti ottenuti dall’ imprenditore agricolo attraverso i suoi campi, ma anche quelli dei campi altrui che
siano stati acquistati, manipolati e trasformati da lui purchè questi prodotti non siano prevalenti).
Sono le Regioni a disciplinare l’ attività dell’ agriturismo e a predisporre programmi di sviluppo rurale miranti a
sostenere il reddito degli imprenditori agricoli attraverso aiuti a colore che operano in zone svantaggiate.

11

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Prima abbiamo parlato dell’ imprenditore ittico, e abbiamo detto che questo viene equiparato all’ imprenditore
agricolo, sia con riguardo all’ attività di pesca e di raccolta di organismi acquatici, sia riguardo alle attività
connesse (attività di prima lavorazione dei prodotti del mare, loro conservazione, trasformazione, distribuzione e
commercializzazione).
Parliamo ora di altre due attività connesse alla pesca, ossia del “pescaturismo” e dell’ “ittioturismo”.
Per pescaturismo si intende l’ andare in barca on i pescatori e mangiare il pesce appena pescato, mentre con il
termine ittioturismo si intende il passare le vacanze nelle case dei pescatori, partecipando alla loro vita e al loro
mondo socio-culturale.
Generalmente queste prestazioni non possono essere offerte da imprenditori individuali.
Queste attività devono essere autorizzate dall’ autorità marittima, sono considerate “attività assimilate” alle
attività agrituristiche, e la loro disciplina è la medesima delle attività connesse alle attività agricole.

14. SEGUE : LE ALTRE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Vi sono poi altre attività che possono essere connesse ossia le attività dirette alla fornitura di servizi. Ma di quali
servizi parliamo?
La dottrina aveva enucleato con la legge sull’ agriturismo, delle ipotesi di servizi che l’ agricoltore può prestare ad
una massa indefinita di consumatori (ad esempio offrire dietro pagamento le pratiche di semina e di raccolta, o
mettere a disposizione il proprio autocarro per il trasporto dei prodotti agricoli del proprio vicino).
Per rispondere alla nostra domanda l’ art.2135 c.c. ci dice che sono connesse le attività poste in essere dal
medesimo imprenditore agricolo e dirette alla fornitura di servizi “mediante l’ utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse dell’ azienda normalmente impiegate nell’ attività agricola esercitata”.
Per ciò le attrezzature impiegate non solo devono essere “prevalenti” sul complesso di macchine e attrezzi
utilizzati nell’ attività, ma soprattutto devono essere quelle che “normalmente vengono impiegate nell’ attività
agricola dall’ imprenditore”.
Altre attività connesse possono essere quelle ottenute “dalla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e
forestale”. Rientrano fra queste le offerte di musei o di farm shops, quando siano dirette ad illustrare ad es. la
storia degli attrezzi agricoli o delle varie forme di agricoltura.

Quando parliamo di “valorizzazione del territorio” bisogna comprendere che l’ agricoltura in genere e la
selvicoltura in particolare non producono solo beni materiali, ma producono anche beni e ambiente, producono
cioè risorse naturali.
I benefici ambientali che provengono dall’ agricoltura dipendono ovviamente anche dalle modalità di gestione dei
fondi rustici, per questo motivo la Comunità Europea ha promosso una serie di “misure agro-ambientali” volte
appunto a regolare queste attività.

15. L’ ORGANIZZAZIONE COMUNE DEI MERCATI AGRICOLI : LA POLITICA COMUNITARIA


DEI PREZZI

Il prezzo dei prodotti agricoli (quantità di moneta data in cambio della merce), non è determinato dalla perfetta
relazione dell’ offerta e della domanda.
Le imprese agricole non sono in grado di influire sui prezzi. Per questo motivo il Trattato di Roma si occupa dell’
organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli e della disciplina sui prezzi.
Il prezzo indicativo è quello che gli organi comunitari fissano annualmente quale prezzo d’ obiettivo del mercato,
tenendo presente la zona più deficitaria della Comunità.
Sulla base di tale prezzo viene fissato il prezzo di entrata, ovverossia quel prezzo che garantisce la protezione del
mercato comune dai più bassi prezzi del mercato mondiale, attraverso la determinazione di dazi mobili o prelievi
all’ importazione che determinano l’ aumento del prezzo d’ ingresso del prodotto extracomunitario nell’ area della
Comunità.
Sulla base del prezzo indicativo poi viene fissato il prezzo di intervento, ovvero quel prezzo pagato dagli
organismi statali di intervento per i prodotti agricoli che gli agricoltori ad essi conferiscono quando il prezzo di
mercato scende al di sotto di quello d’ intervento.
Al fine poi di indurre i produttori comunitari ad immettere sul mercato mondiale i proprio prodotti la Comunità
può concedere restituzioni all’ esportazione calcolate sulla differenza fra i costi comunitari e i minori prezzi
mondiali.

12

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

CAPITOLO IV :
GLI IMPRENDITORI AGRICOLI

1. PREMESSA

Bisogna precisare che ci sono dei provvedimenti comunitari relativi all’ organizzazione comune dei mercati e al
sostegno alle strutture agricole.
In questo capitolo parleremo dell’ imprenditore agricolo professionale, del coltivatore diretto, della famiglia
coltivatrice, di società e di enti (pubblici e privati) quali agricoltori; parleremo poi della politica comunitaria
riguardo le strutture agricole.
L’ imprenditore può essere sia una persona fisica che una persona giuridica, sia un individuo che una collettività,
sia un soggetto privato che un ente pubblico, sia un modesto operatore economico che un’ imponente
organizzazione.
Saremo in presenza di un imprenditore agricolo quando detto soggetto esercita l’ attività di coltivazione del fondo
o quella di selvicoltura o quella di allevamento di animali, con lo scopo di immettere la produzione sul mercato.

2. L’ IMPRENDITORE AGRICOLO PROFESSIONALE

Abbandonato nel 1972 dalla comunità Europea il programma Agricoltura ’80 di Sicco Mansholt, la direttiva
72/159 del 17 aprile 1972 introdusse la figura dell’ imprenditore agricolo a titolo principale (i.a.t.p.).
Questo soggetto, destinatario delle sovvenzioni comunitarie, si caratterizzava per il fatto che possedendo una
sufficiente capacità professionale (titolo di studio e/o esperienza di attività agricola), elaborando un piano di
sviluppo ed impegnandosi a tenere la contabilità, esercitava l’ attività agricola per almeno il 50% del suo tempo di
lavoro realizzando da essa almeno il 50% del suo reddito.
Da subito la figura dell’ i.a.t.p. ha iniziato a subire degli aggiustamenti : prima si è cambiato il parametro dello
sviluppo (richiedendosi un miglioramento non in senso quantitativo ma in senso qualitativo), poi estendendo gli
aiuti umanitari agli agricoltori part-time, ed infine considerando destinatari degli aiuti comunitari “gli imprenditori
agricoli” tout court.
In sostanza la figura dell’ i.a.t.p. è sparita nel diritto comunitario.
Ciò che il diritto comunitario richiede all’ agricoltore non è più una particolare quantità di lavoro o una particolare
quantità di reddito agricolo, ma è una dedizione all’ azienda agricola tale da renderla capace di produrre utili,
nonostante i costi occorrenti per rispettare i requisiti minimi di ambiente, igiene e benessere degli animali.
Bisogna poi ricordare che gli imprenditori agricoli destinatari di sovvenzioni comunitarie non sono solo persone
fisiche, ma anche società, sia di persone che di capitali. Dunque per il diritto comunitario l’ efficienza è misurata
sulla capacità di stare sul mercato (la redditività appunto).
L’ Italia ha elevato a 2/3 la misura minima tanto del lavoro da dedicare all’ agricoltura quanto del reddito dall’
agricoltura ricavato (restringendo così la platea dei destinatari degli aiuti comunitari).
Il legislatore italiano pretende quindi che l’ agricoltore per essere IAP dedichi alle attività agricole almeno il 50%
del suo tempo di lavoro complessivo e ricavi da esse almeno il 50% del proprio reddito globale di lavoro, oppure
un lavoro e un reddito pari al 25% qualora operi in zone svantaggiate.

3. IL PICCOLO IMPRENDITORE AGRICOLO : IL COLTIVATORE DIRETTO

La figura del coltivatore diretto è tipica del diritto italiano e risale alla legge 15 luglio 1906 n.383 sull’ agricoltura
meridionale.
Il codice civile, dopo la definizione generale di imprenditore (art.2082), nel dettare quella di piccolo imprenditore
vi include “i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’ attività
professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia” e ciò al fine di
escludere i piccoli operatori economici dalle complessità proprie dell’ imprenditore tout court.
Quando è stato redatto il codice civile, coltivatore diretto poteva essere tanto il proprietario del fondo, quanto l’
affittuario di esso, e si caratterizzava per il modo personale con cui svolgeva l’ attività, (l’ imprenditore era il
lavoratore, partecipava alla fatica dei suoi eventuali dipendenti, svolgeva quindi mansioni esecutive non
limitandosi alla sola attività di direzione ed organizzazione).
Abbiamo detto di una divaricazione della figura del coltivatore diretto nei due sottotipi dell’ affittuario e del
proprietario.
Oggi sono coltivatori diretti tutti “coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia,
sempre che tale forza lavorativa costituisca almeno 1/3 di quella occorrente per le normali necessità di

13

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

coltivazione dl fondo” tenuto conto anche delle macchine e dell’ uguaglianza del lavoro della donna rispetto a
quello dell’ uomo.
L’ appartenenza del piccolo imprenditore alla stessa categoria dei suoi dipendenti fa si che il suo lavoro sia
direttivo ed esecutivo insieme : direttivo perché così deve essere e non può non essere il lavoro dell’ imprenditore,
esecutivo perché solo così il piccolo imprenditore si differenzia da colui che non è coltivatore diretto o
commerciante ambulante o artigiano.
Inizialmente quando si parlava di coltivatore diretto si faceva riferimento al suo lavoro “con le braccia”, poi è
stato preso in considerazione anche l’ uso delle macchine.
Ai fini dell’ iscrizione presso l’ INPS è coltivatore diretto chi si dedica “con abitualità alla diretta e manuale
coltivazione del fondo o all’ allevamento e al governo del bestiame” : sicché si può dire che sotto questo profilo si
può sostenere che esista ancora una differenza tra coltivatore diretto e IAP, perché mentre il primo dovrebbe
svolgere attività manuale (oltre che di direzione dell’ impresa), l’ attività manuale non è richiesta al secondo che
può limitarsi a svolgere la direzione dell’ impresa agricola.

4. L’ EQUIPARATO AL COLTIVATORE DIRETTO

Analizziamo ora la figura dell’ equiparato al coltivatore diretto.


Dell’ equiparato vi sono due sottofigure :
a) il laureato e il diplomato in materie agraristiche;
b) la cooperativa ed i gruppi di coltivatori diretti.

L’ equiparazione fra queste figure e il coltivatore diretto altro non è che l’ espressione del principio di trasparenza.
Diversa è però la figura dell’ equiparato quando si tratta di un infra-cinquantacinquenne laureato in agraria o in
veterinaria o di un diplomato di “qualsiasi scuola” di indirizzo agrario o forestale, perché rispetto a questo
soggetto, si pongono le questioni del significato del suo impegno ad esercitare in proprio la coltivazione dei fondi
per almeno nove anni” e della quantità di tale suo impegno.
La formula per il quale l’ equiparato deve impegnarsi ad esercitare in proprio la coltivazione non può essere intesa
come attività manuale o esecutiva, perché altrimenti non si avrebbe “equiparazione” ma assoluta identità con la
figura del coltivatore diretto “puro”.
Il lavoro che il laureato o diplomato deve prestare nell’ azienda è quel lavoro che il suo specifico titolo di studio
gli consente di apportare alla sua impresa : cioè non l’ attività direttiva ed organizzativa che ogni imprenditore
deve svolgere, ma il lavoro tecnico-professionale per il quale il corso di studi lo ha abilitato.
Ad es. il veterinario equiparato al coltivatore diretto svolgerà attività di veterinario al posto o in aggiunta di
dipendenti veterinari.
Per ciò che riguarda invece la “quantità” dell’ impegno, come al coltivatore diretto è richiesto almeno 1/3 del
lavoro esecutivo occorrente per il fondo, all’ equiparato è richiesto 1/3 del lavoro esecutivo (manuale, tecnico e
professionale) necessario per l’ esercizio dell’ impresa.

5. GLI EQUIPARATI ALL’ IMPRENDITORE AGRICOLO

Abbiamo già detto che per estendere i vantaggi riservati agli imprenditori agricoli, il legislatore ne ha dichiarato l’
equiparazione.
Si tratta degli imprenditori ittici, ovvero coloro che svolgono un’ attività professionale ed organizzata, volta alla
cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri e dolci, mentre i veri imprenditori
agricoli sono coloro che “allevano” i pesci, che cioè attraverso l’ attività di acquacoltura ne curano il ciclo
biologico.
Si tratta ancora delle cooperative di imprenditori agricoli, considerate agricole quando utilizzano per la
coltivazione del fondo la silvicoltura e l’ allevamento di animali, prevalentemente prodotti dai soci.
E si tratta infine delle cooperative che forniscono servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni
idraulico-forestali.
L’ art. 15 della legge 23 dicembre 2000 n.388, ha ampliato il novero dei servizi che i coltivatori diretti possono
svolgere nelle zone di montagna, qualificando agricoli pure i lavori di aratura, semina, potatura, falciatura,
mietitrebbiatura, trattamenti antiparassitari, raccolta di prodotti agricoli e taglio del bosco, purché di importo non
superiore per ogni anno, a cinquanta milioni delle vecchie lire, ossia € 25.822,84.
Per l’ assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro sono qualificati agricoli “tutti i lavori inerenti alla
coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all’ allevamento del bestiame ed attività connesse”.

14

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

6. GLI AGRICOLTORI “GIOVANI”

Il legislatore ha poi predisposto delle norme di aiuto e dei benefici a favore dei giovani agricoltori, cioè dei
soggetti che avendo meno di quaranta anni ma competenza ed esperienza professionale, si dedicano all’
agricoltura come titolari o contitolari di aziende agricole nelle zone montane e svantaggiate, o come successori dei
precedenti titolari che hanno aderito al regime di aiuti al prepensionamento.
Si vuole in questo modo favorire il primo insediamento dei giovani agricoltori, con una sostituzione generazionale
e un conseguente svecchiamento del settore, attraverso una serie di vanatggi fiscali e finanziari e delle attribuzioni
di priorità.
Sono state inoltre predisposte delle misure straordinarie per la promozione e lo sviluppo dell’ imprenditoria
giovanile nel Mezzogiorno.

7. L’ IMPRESA FAMILIARE COLTIVATRICE

Abbiamo detto che il lavoro esecutivo può essere svolto dall’ imprenditore e dai suoi familiari. Ora appunto
analizziamo la famiglia come comunità non di affetti ma di lavoro.
In agricoltura è ricorrente la figura della famiglia contadina, che oggi si identifica con l’ art.230 bis c.c. con il
nome di impresa familiare.
L’ impresa familiare non nasce da un contratto ma dal fatto di esercitare in comune un’ attività economica, si
limita ai coniugi, ai parenti fino al terzo grado ed agli affini fino al secondo.
La gestione dell’ impresa è perfettamente democratica, tutti i familiari partecipano alle decisioni più importanti, e
le decisioni vengono prese secondo il principio maggioritario.
Tutti i familiari, al di là di chi ha agito, sono responsabili per le obbligazioni assunte.
Ogni familiare partecipa alle decisioni di straordinaria amministrazione.
Ogni familiare gode di legittimazione processuale attiva e passiva.
Oltre all’ attività di direzione, organizzazione e gestione i componenti dell’ impresa familiare devono occuparsi
anche del lavoro esecutivo.
Il gruppo viene considerato coltivatore diretto perché tutti i suoi componenti sono coltivatori diretti, perciò tutti i
familiari nessuno escluso oltre che con-dirigere devono svolgere attività esecutiva.

8. LA SOCIETA; IN PARTICOLARE LE COOPERATIVE DI LAVORO, DI CONSUMO E DI


SERVIZI

Imprenditori agricoli non sono solo soggetti individuali ma anche soggetti collettivi.
L’ impresa collettiva nasce non di fatto (come l’ impresa familiare), ma attraverso il contratto di società.
Per l’ esercizio dell’ agricoltura di gruppo le forme societarie sono :
a) la società semplice (artt. 2251-2290 c.c.)
b) la società di persone nelle sue due sottospecie di società in nome collettivo (artt. 2291-2312 c.c.) e di società
in accomandita semplice (artt. 2313-2324 c.c.)
c) la società di capitali nella sua quadruplice articolazione di società per azioni (artt. 2325-2451 c.c.), società in
accomandita per azioni (artt. 2452-2461 c.c.), di società a responsabilità limitata (artt. 2462-2483 c.c.) e si
società uni personale a responsabilità limitata (art. 2475 c.c.)
d) e la società cooperativa (artt. 2511-2545 octiesdecies c.c.).

La società semplice è la forma giuridica dettata per l’ esercizio in comune delle attività non commerciali (art.
22492 c.c.), ed è la forma tipica della società cui possono ricorrere gli agricoltori.
La qualifica “agricola” consente alla società di acquisire la qualifica di IAP o di coltivatore diretto e con esse le
agevolazioni finanziarie e creditizie spettanti alle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto.
Una società per essere considerata agricola se ha quale oggetto sociale “l’ esercizio delle attività” che l’ art. 2135
c.c. elenca.
Ci sono dei requisiti che la società agricola deve possedere per ottenere la qualifica di IAP o di coltivatore diretto
: le società agricole sono IAP se uno dei soci è IAP, quelle di capitali se uno degli amministratori è IAP.
Per le società cooperative (art. 2511 c.c.) invece i soci cooperatori ricavano vantaggi proporzionalmente alla loro
partecipazione all’ attività sociale, e non proporzionalmente al capitale versato.
Ogni socio ha diritto al voto; la cooperativa si costituisce tra soggetti appartenenti alla stessa professione o
mestiere.

15

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

9. SOGGETTI COLLETTIVI, ENTI PRIVATI E PUBBLICI COME IMPRENDITORI AGRICOLI

Le Associazioni e le Università agrarie dell’ Italia centromeridionale, le Comunanze, le Partecipanze, le


Comunioni familiari montane, le Consorterie, e tutti gli altri enti titolari di pascoli, prati e campi arabili, per il
fatto di essere proprietari di fondi rustici, hanno l’ obbligo di sfruttarli (anche) nell’ interesse generale, hanno
quindi l’ obbligo di farsi imprenditori agricoli.
Tali enti godono dell’ esenzione dall’ imposta sul reddito delle società (IRES) a causa del fatto che svolgono nell’
esercizio della loro attività economica produttiva di reddito, anche una funzione di tutela ambientale.
Imprenditori agricoli possono essere anche gli enti pubblici.
Vi sono :
a) enti pubblici imprenditori commerciali, i c.d. “enti pubblici economici” che svolgono attività
commerciale in via esclusiva o principale e come tali sono soggetti alla registrazione ma non al
fallimento;
b) enti pubblici che hanno (anche) delle “imprese” svolgendo attività economica in via non esclusiva e
quindi secondaria, i quali non sono soggetti ne alla registrazione ne al fallimento.

È poi possibile che l’ ente pubblico che svolge un’ attività economica in modo non principale, eserciti un’ attività
imprenditoriale agricola, e quindi che sia anche un imprenditore agricolo.

10. IL SISTEMA INFORMATIVO AGRICOLO NAZIONALE E LA CARTA DELL’ AGRICOLTORE

Il legislatore ha predisposto un sistema informativo nazionale a cui ricorrere per conoscere i vari dati attinenti alla
struttura, superficie, colture delle aziende agricole italiane, nonché quelli relativi alle sovvenzioni ed agli aiuti
goduti dagli agricoltori.
Con la L.4 giugno 1984, n.194 è stato istituito il Servizio informativo agricolo nazionale (SIAN), a cui è stata
attribuita la funzione di semplificazione amministrativa dei rapporti tra P.A. e singoli imprenditori agricoli, al
fine di fornire agli utenti servizi efficaci e di assicurare l’ interscambio di dati rilevanti fra operatori pubblici e
privati del settore.
L’ accesso al SIAN avviene attraverso la c.d. Carta dell’ agricoltore, ossia una carta d’ identità elettronica in cui
sono concentrate le informazioni minime idonee a garantire il riconoscimento del titolare e il collegamento con il
sistema SIAN.
Il titolare della Carta ha poi un fascicolo aziendale che riporta le informazioni anagrafiche dell’ impresa agricola.
L’ accesso al SIAN non è concesso al singolo agricoltore ma ai Centri autorizzati di assistenza agricola (CAA).

11. LA POLITICA COMUNITARIA DELLE STRUTTURE SINGOLE

La locuzione “struttura agricola” è preferita dal diritto comunitario rispetto a quella di impresa.
La parola struttura da l’ idea di un sistema, di un qualcosa di più ristretto dell’ impresa.
Ci da l’ immagine :
a) di un insieme;
b) delle parti di tale insieme;
c) dei rapporti di queste parti fra loro.

Per il diritto comunitario dunque va preso in considerazione il complesso degli elementi economici e giuridici in
presenza dei quali, il soggetto che noi chiamiamo imprenditore, svolge la sua attività.
La politica comunitaria in particolare si occupa dei fattori di produzione, ossia dei beni agricoli, dei modi di
circolazione di essi, del rapporto fra produzione e commercializzazione, e in fine del rapporto fra produzione e
organizzazione e attività pubblica, che la tutela, la sorregge, la sovvenziona.
Molto importante in merito è il Programma “Agricoltura 80” di Sicco Mansholt del 1986, fondato sulla
conservazione delle imprese familiari contadine e diretto a migliorare e modernizzare le aziende agricole, per
renderle competitive sul mercato mondiale.

Per lo sviluppo del mercato comune era necessario sostenere il reddito degli agricoltori attraverso :
a) una politica di garanzia del prezzo;
b) una politica di orientamento dei sistemi produttivi.

16

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Dopo questi primi intenti della Comunità negli anni 90 ne abbiamo degli altri innovativi volti ad aumentare la
competitività dell’ agricoltura, garantire la sicurezza dei prodotti agricoli a tutela dei consumatori, assicurare una
stabilità dei redditi agricoli.
È poi senz’ altro da mettere in evidenza l’ aspetto della multifunzionalità dell’ agricoltura, infatti l’ agricoltore
coltivando la terra nel rispetto delle leggi della natura, “conserva” l’ ambiente, “produce” ambiente.
La Comunità mira al rispetto e alla garanzia di questa multifunzionalità, per cui il mancato adempimento di
determinati obblighi ambientali porta alla riduzione o alla revoca dei sostegni finanziari europei.
La Comunità ha poi istituito dei sistemi di audit aziendale volti alla gestione e al controllo delle aziende.

CAPITOLO V :
LA TERRA, IL BOSCO ED IL BESTIAME: BENI CENTRIPETI DELL’ ORGANIZZAZIONE
AZIENDALE AGRARIA

1. L’ ESERCIZIO DELL’ ATTIVITà ECONOMICA A MEZZO DI UN COMPLESSO ORGANIZZATO


DI BENI : I BENI DELL’ AZIENDA AGRARIA

L’ imprenditore per esercitare l’ impresa, ha bisogno di un’ organizzazione : l’ organizzazione di beni di cui si
serve è detta azienda (art. 2555 c.c.).
L’ azienda è “il complesso dei beni organizzati dall’ imprenditore per l’ esercizio dell’ impresa” tanto
commerciale che agricola.

Lo sviluppo rurale deve articolarsi lungo quattro assi :

1) il miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale;


2) il miglioramento dell’ ambiente e dello spazio rurale;
3) il miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e della diversificazione dell’ economia rurale;
4) il miglioramento dello sviluppo locale svolto dai gruppi di azione locale o GAL.

In generale si cerca di modernizzare le aziende agricole, valorizzare economicamente le foreste, promuovere lo


sviluppo di nuovi prodotti, nonché aumentare il valore aggiunto dei prodotti agricoli.

I beni che l’ imprenditore organizza sono strutturalmente coordinati in funzione all’ esercizio dell’ attività; tali
beni sono sia materiali (mobili e immobili), che immateriali; tra i beni possiamo ricomprendere i contratti, i crediti
e i debiti.
Sono beni dell’ azienda agraria la terra, il bosco, il bestiame, gli attrezzi, le macchine, i contratti necessari all’
imprenditore nell’ organizzazione della sua attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento.
L’ utilizzazione di un bene all’ interno dell’ impresa gli attribuisce la qualità di “bene economico”.

2. IL FONDO RUSTICO

Il passaggio di un terreno da porzione di crosta terrestre a fondo rustico dipende dalla manifestazione di volontà
con cui il titolare del diritto di proprietà di quel terreno lo destina, attraverso un comportamento concludente, all’
esercizio dell’ agricoltura.
Abbiamo già detto che per il combinato disposto degli artt. 41 e 44 Cost. l’ inziativa economica che ha per oggetto
un fondo rustico è doverosa.
L’ ordinamento stabilisce quindi vincoli e obblighi al proprietario terriero in vista del razionale sfruttamento del
suolo.
Quando attraverso strumenti urbanistici,vengono individuate le aree urbane e quelle agricole, la P.A. svolge un
ruolo fondamentale nella creazione dell’ impresa in agricoltura.
Quando la P.A. definisce la destinazione agricola della terra tuttavia non impone al suo proprietario la
coltivazione da impiantarvi, e non impedisce neppure al proprietario di utilizzare come agricolo, fino a quando gli
aggraderà, un terreno destinato all’ edificazione.
Sul fondo rustico possono insistere case padronali, case coloniche ed edifici aziendali che costituiscono
miglioramenti del fondo rustico.

17

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

3. IL SUOLO, I SUOI CONFINI E LA SUA ESTENSIONE

Elemento costitutivo del fondo rustico è il suolo, ossia lo strato più superficiale della crosta terrestre e che rende
possibili attraverso tutte le sue componenti organiche l’ esercizio dell’ agricoltura, per questo motivo il suolo è
considerato una risorsa naturale rinnovabile da tutelare sia contro fatti naturali che contro comportamenti umani.
Per ciò che riguarda i confini del fondo rustico il proprietario può esercitare il godimento nel sottosuolo e nel
soprasuolo entro i limiti previsti dalla legge evitando danni ai vicini.
I confini verticali si pongono la dove termina naturalmente la possibilità di godimento, mentre i confini orizzontali
sono segnati da fossi, siepi, alberi e strade, nonché da segni lapidei che il proprietario può chiedere che siano
giudizialmente apposti.
L’ individuazione dei confini orizzontali consente al proprietario del terreno di chiuderlo vietando così l’ accesso
anche ai cacciatori, ma soprattutto permette di determinare la superficie del fondo rustico, creando così latifondi e
minifondi.
Con il termine latifondo si intende un terreno molto vasto, parzialmente incolto appartenente ad un unico
proprietario.
Con il termine minifondo si individuano una frammentazione del fondo rustico in tante porzioni distanti
appartenenti allo stesso titolare, oppure la polverizzazione del fondo ossia un “fazzoletto di terra”.
Entrambi i fenomeni sono manifestazione di diseconomie e distruzione di ricchezza sicchè sollecitano l’
intervento dell’ ordinamento.
L’ art. 44 Cost. segna la lotta al latifondo attraverso l’ esproprio dei terreni che hanno più di una certa estensione e
previo pagamento di un’ indennità pari al valore del terreno.
Per la lotta al minifondo invece è vietato il frazionamento dei fondi rustici al di sotto della superficie necessaria e
sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola.
Vi sono svariate disposizioni che vietano i frazionamenti inter vivos e mortis causa, infatti molto spesso la
frammentazione e la polverizzazione dei fondi rustici dipendono dalle regole di uguaglianza tra eredi e di
divisione dei beni. In casi del genere vi sono delle operazioni di ricomposizione fondiaria finalizzate al riassetto
delle proprietà frammentate attraverso l’ accorpamento delle particelle disperse appartenenti allo stesso
proprietario.

4. SEGUE : IL COMPENDIO UNICO

Come abbiamo detto il fondo rustico deve avere una determinata estensione economicamente conveniente, deve
costituire un’ “unità produttiva sufficiente”.
Il legislatore indica con l’ espressione “compendio unico” l’ estensione della superficie minima indivisibile.
La costituzione del compendio unico implica la coltivazione del fondo per 10 anni, la sua indivisibilità per 15
anni, imponendo quale sanzione della violazione di tale indivisibilità il pagamento di un imposta.
Successivamente con l’ art. 117 Cost. il legislatore ha rimesso la definizione del compendio unico alle singole
Regioni, anche se la sua disciplina spetta allo Stato.
L’ impossibilità di frazionare il compendio unico nella successione ereditaria implica la violazione di regole
relative all’ uguaglianza tra coeredi, per questo motivo la legge prevede che in casi del genere gli eredi esclusi
hanno diritto ad un conguaglio.
Il compendio unico ha per oggetto i terreni rustici e non l’ azienda agricola.
Il compendio unico è costituito con dichiarazione del proprietario dei terreni che per sua volontà, vengono a far
parte del compendio, il quale è unico e indivisibile per 10 anni.
A raggiungere detto livello minimo possono concorrere terreni già di proprietà di colui che vuole costituire il
compendio unico nel momento in cui acquista nuovi terreni agricoli.
Il compendio unico dei terreni montani è indivisibile per 10 anni e sono nulli gli atti sia inter vivos che mortis
causa che ne dispongano il frazionamento, inoltre il suo costitutore è obbligato a coltivarlo per almeno 10 anni,
sanzionando eventuali violazioni con la revoca dei vantaggi fiscali concessi al momento della costituzione.
Abbiamo già detto che il compendio è un istituto volto a conservare l’ integrità fondiaria e solo mediatamente a
tutelare l’ integrità dell’ azienda.
A quest’ ultimo fine concorrono invece altre due fattispecie :
a) la ricomposizione aziendale a mezzo del contratto di affitto ;
b) la ricomposizione aziendale attraverso la stipula di contratti di società cooperativa tra imprenditori
agricoli che conferiscono in godimento della società i rispettivi terreni.

Anche in queste ipotesi le imposte dovute sono ridotte di 2/3.

18

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

5. GLI ALTRI ELEMENTI DEL FONDO RUSTICO : LE ACQUE, LE ADDIZIONI, I


MIGLIORAMENTI, I IURA FUNDI

Tra gli elementi del fondo rustico erano annoverate le acque, sia superficiali che sotterranee, purché non fossero
utilizzate per usi di pubblico interesse generale ovverossia non fossero pubbliche.
In seguito la L.5 gennaio 1994 n.36 ha dichiarato pubbliche tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non
estratte dal suolo.
Per questo motivo per apprendere l’ acqua dalle falde acquifere tramite pozzi era necessario denunciarne l’
esistenza e la quantità dell’ acqua prelevata.
Inoltre va precisato che nella scala gerarchica della priorità dell’ uso dell’ acqua è collocata dopo il consumo
umano.

Fanno poi parte del fondo rustico anche le addizioni e i miglioramenti.


Le addizioni sono opere che mantengono la loro individualità rispetto al terreno (ad es. una casa colonica o un
impianto di irrigazione), mentre i miglioramenti sono investimenti di capitale che inscindibilmente si incorporano
nel terreno (ad es. la bonificazione dei terreni paludosi).
Sia i miglioramenti che le addizioni possono essere apportati al fondo dal proprietario, dall’ enfiteuta e dal
possessore, mentre tale potere non è riconosciuto all’ usufruttuario.
I miglioramenti non devono essere confusi con le spese di conservazione (ad es. riparazione del tetto della casa
colonica o degli edifici aziendali).

Tra gli elementi del fondo rustico abbiamo poi i c.d. iura fundi ovvero quei diritti che si collegano strettamente
alla natura rustica del terreno o alla sua posizione topografica rispetto ai fondi vicini (in pratica sono delle servitù
ad es. di passaggio o di acquedotto).
Si qualificano quindi come utilità funzionali all’ aumento della produttività del fondo agricolo.

6. IL BOSCO

Abbiamo già parlato della silvicoltura. Ora parleremo del suo oggetto cioè del bosco, bene fondamentale dell’
azienda silvicola.
Per bosco o foresta si intende un’ associazione di alberi formatasi naturalmente o per opera dell’ uomo.
Giuridicamente è molto rilevante la distinzione tra bosco ceduo e bosco d’ alto fusto.
Il bosco oltre ad altre funzioni ha anche la funzione di garantire l’ equilibrio ecologico e la saldezza del suolo. Per
questi motivi il bosco è sottoposto al vincolo idrogeologico, vincolo che si traduce con l’ obbligo di rispettare la
destinazione d’ uso del terreno vincolato e quindi nei divieti di romperlo con lavorazioni periodiche o di
trasformarlo in diversa coltura o in altro uso, nonché l’ obbligo di utilizzarlo secondo le prescrizioni di massima e
di polizia forestale, e con il divieto di taglio a raso e della conversione dei boschi ad alto fusto a boschi cedui.
Per questi motivi ogni intervento sulle aree boschive richiede l’ autorizzazione dell’ autorità forestale.
Il bosco è un bene ambientale in se e per se, vi sono numerose norme che concedono aiuto all’ imboschimento,
mirano al miglioramento, alla trasformazione e alla commercializzazione dei prodotti legnosi.
La L.31 gennaio 1994 n.97 favorisce la costituzione di consorzi forestali tra i diversi proprietari di boschi.

7. LE TERRE MONTANE E “SVANTAGGIATE”

La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane volte a promuovere l’ attività agricola necessaria per
il mantenimento di un livello minimo di popolazione o per la conservazione dell’ ambiente naturale nelle zone
svantaggiate, tra le quali rientrano le zone montane, evitando così un veloce degrado del territorio.
Sono diverse le disposizioni, sia nazionali che comunitarie, dettate a favore degli imprenditori agricoli che
operano in montagna o nelle zone svantaggiate.
Sono considerati montani i comuni situati per almeno l’ 80% della loro superficie al di sopra di 600 metri di
altitudine sul livello del mare.
Sono definite zone di montagna quelle caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione
delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro dovuti all’ altitudine o all’ esistenza di forti pendii che
rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l’ impiego di materiale speciale assai oneroso.
Alle zone di montagna sono assimilate le zone svantaggiate, cioè le aree caratterizzate da scarsa densità
demografica o tendenza alla regressione, da una popolazione dipendente in modo preponderante dall’ attività
agricola, nonché dall’ esistenza di terre poco produttive con risultati inferiori alla media europea.

19

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

8. LE TERRE D’ USO CIVICO E LE PROPRIETà COLLETTIVE

Per la Legge Galasso sono poi beni ambientali anche le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da
usi civici.
Si tratta di diritti goduti in comune da una collettività senza divisione per quote, ma occorre fare una distinzione
tra :
a) usi civici in senso stretto : ovvero il diritto di ritrarre alcuna utilità da una terra altrui : pascolo, legna,
funghi, caccia, pesca, acqua, sassi, semina;
b) terre civiche : ovvero terre dalle quali si ha il diritto di ritrarre tutte le utilità che esse possono dare alla
collettività che è costituita da tutti i cittadini della circoscrizione in cui essa risiede (terre civiche aperte);
c) terre collettive : quando le terre civiche sono si della collettività, ma di una collettività costituita da soli
discendenti e vecchi originari (terre civiche chiuse).

9. IL MASO CHIUSO

Campo e bosco sono presenti nel maso chiuso, un’ unità fondiaria indivisibile propria dell’ Alto Adige,
caratterizzata da un fondo dotato di casa colonica e di annessi rustici, costituito da terreni coltivati, prati, boschi e
pascoli e capace di dare lavoro e mantenimento ad almeno quattro e a non più di dodici persone.
Il maso chiuso è l’ esempio paradigmatico di unità aziendale, la cui ottimale organizzazione di capitale e di lavoro
non deve subire attentati ne inter vivos ne mortis causa.

10. IL BESTIAME

Nell’ azienda agraria di allevamento il bene centrale è dato dal bestiame. Mandrie, greggi, branchi (costituenti
universalità di beni mobili), rappresentano quel bene al quale gli altri beni aziendali si rapportano e dal quale
questi sono condizionati.

CAPITOLO VI :
I MODI DI APPRENSIONE DEI BENI FONDAMENTALI DELL’ ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
AGRARIA

1. POSIZIONE DEL PROBLEMA

I modi generali per i quali un bene diviene pertinente ad un soggetto ed il diritto di godimento su di esso entra a
far parte del patrimonio di lui, sono quello dell’ acquisto a titolo originario, della successione mortis causa e del
contratto, quest’ ultimo scindendosi, in ordine agli effetti, in contratti ad effetti reali ed in contratti ad effetti
obbligatori.

2. L’ USUCAPIONE SPECIALE DEI FONDI RUSTICI

Disciplinata dagli artt.1158-1167 c.c. l’ usucapione è un modo di acquisto di diritti a titolo originario in virtù del
possesso protratto per un certo tempo, il quale produce l’ acquisto della proprietà o degli altri diritti reali di
godimento a seconda del differente animus del possessore.
Se un soggetto con l’ animus rem sibi habendi possiede per vent’anni un bene immobile o un’ universalità di beni
mobili ne diviene il proprietario (art.1158 c.c.).
Ma qualora oltre il possesso vi sia anche a) buona fede, b) un titolo valido e idoneo a trasferire il diritto, c) la
trascrizione del titolo, l’ usucapione si consegue con la durata di dieci anni (art.1159 c.c.).
Qualora invece si tratti di fondi rustici con annessi fabbricati in comuni classificati montani, l’ usucapione
ordinaria e quella abbreviata si conseguono con la protrazione del possesso rispettivamente per quindici e cinque
anni (art.1159 bis c.c.).

3. IL CONTRATTO DI COMPRAVENDITA DELLA TERRA E DEL BOSCO E GLI INCENTIVI PER


LA FORMAZIONE DELLA PROPRIETà CONTADINA

Il modo più usuale di divenire proprietari di beni è quello della loro compravendita. Ciò vale anche con riguardo
al fondo rustico.
Non si rinvengono sostanziali diversità di trattamento dalla compravendita di fondo rustico rispetto allo schema
generale del contartto di cui all’ art.1470 c.c.

20

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

La natura del bene rileva invece sotto un profili fiscale : l’ imposta di registro dell’ atto di acquisto di terreni
agricoli che è pari al 15%, scendeva all’ 8% se l’ acquirente era un imprenditore agricolo, mentre è dovuta in
misura fissa se l’ acquirente è coltivatore diretto e se il fondo acquistato è idoneo alla formazione o all’
arrotondamento della piccola proprietà contadina.
L’ imprenditore agricolo professionale è equiparato al coltivatore per le agevolazioni tributarie in materia di
imposizione indiretta. Tali agevolazioni si perdono se l’ acquirente rivende il fondo prima che siano trascorsi
cinque anni dall’ acquisto.
La L.26 maggio 1995 n.590, autorizza lo Stato, le province, i comuni, gli enti di colonizzazione, i consorzi di
bonifica, a vendere i fondi rustici facenti parte dei loro patrimoni o acquistati, lottizzati e trasformati per tale
scopo, a coltivatori diretti e a cooperative di coltivatori diretti con agevolazioni fiscali, con concessione di mutui o
di fideiussioni e con il concorso dello Stato nel pagamento degli interessi.
Vi sono poi delle norme che assoggettano a vincolo di indivisibilità per 15 anni i fondi rustici acquistati con le
agevolazioni creditizie concesse dallo Stato per la formazione e l’ ampliamento della proprietà coltivatrice, perciò
sono nulli i negozi compiuti in violazione di tale divieto.

4. L’ ASSEGNAZIONE DELLE TERRE NEI COMPRENSORI DI BONIFICA E NELLE ZONE DI


RIFORMA

La funzione specifica dell’ Opera nazionale combattenti era quella di destinare i terreni pervenuti nel suo
patrimonio, ma in generale quelli facenti parte di comprensori di bonifica, alla formazione della proprietà
contadina attraverso contratti di compravendita.
I fondi rustici così acquistati sono sottoposti ad un vincolo di indivisibilità sia inter vivos che mortis causa.
Il contratto di assegnazione era un contratto di compravendita con pagamento rateale del prezzo, ma aveva una
particolarità, perché era condizionato da un periodo triennale di prova il cui esito negativo determinava la
risoluzione del contratto.
La prova era da considerarsi negativa quando il soggetto dimostrava la sua incapacità nella gestione dell’ impresa.
All’ assegnatario divenuto proprietario era vietato per un periodo di 30 anni alienare il fondo ad altri che non
fossero lo stesso Ente di riforma o coltivatori diretti e ciò al prezzo ritenuto congruo dall’ Ispettorato provinciale
dell’ agricoltura, e gli era vietato frazionarlo per lo stesso periodo di tempo.
Alla luce di tutte queste informazioni possiamo quindi dire che i poteri dell’ acquirente sono ridotti da divieti
temporanei di alienabilità e di divisibilità.

5. LA PRELAZIONE AGRARIA

Si diviene proprietari di fondi rustici anche in virtù del diritto di prelazione, cioè del diritto di essere preferito, a
parità di condizioni, quando il proprietario del terreno decide di alienarlo e ha già concluso con un terzo un
preliminare di vendita.
Deve trattarsi di un fondo rustico, quindi di un terreno destinato, dagli strumenti urbanistici, all’ agricoltura,
sicché sono estranei alla fattispecie i terreni che nei piani regolatori risultano essere destinati ad un uso diverso da
quello agricolo.
La prelazione è riconosciuta solo al coltivatore diretto, più precisamente :
a) a colui che da almeno due anni sia affittuario coltivatore diretto, mezzadro, colono, compartecipante;
b) al proprietario vicino che da almeno due anni sia coltivatore diretto singolo o associato in cooperativa;
c) alle società di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore
diretto.
Il diritto di prelazione non spetta a quel coltivatore diretto che nel biennio precedente abbia venduto terreni
agricoli per un imponibile fondiario superiore a € 0,52, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione
fondiaria, e si ritiene che non spetti a chi sia solo silvicoltore o solo allevatore.
Il legislatore in caso di più proprietari confinanti, titolari del diritto di prelazione, stabilisce dei criteri
preferenziali, richiede prima di tutto che si tratti di coltivatori diretti.
Il diritto di prelazione diventa attuale con la formazione del contratto preliminare.

6. L’ ENFITEUSI, L’ USUFRUTTO, LE COLONIE MIGLIORATARIE ED IL COMPASCOLO

Se la prelazione attribuisce al coltivatore un diritto di acquistare il fondo ma non ancora il diritto reale su di esso,
l’ enfiteusi (art. 957 c.c.) e l’ usufrutto (art. 958 c.c.), concedono al loro titolare un diritto reale (più o meno
ampio) sul bene in proprietà di altri.

21

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

È quindi possibile costituire l’ azienda agricola anche acquisendo la terre in usufrutto od in enfiteusi, senza quindi
ricorrere al contratto di compravendita.
Obbligo fondamentale dell’ enfiteuta è quello di migliorare il fondo (oltre che di pagare un canone).
Obblighi fondamentali dell’ usufruttuario sono quelli di rispettare la forma e la sostanza del bene, ovverossia la
sua destinazione economica.
Tanto l’ enfiteuta quanto l’ usufruttuario , trattandosi di fondo rustico, sono tenuti ad esercitare l’ attività agricola,
in quanto solo la gestione produttiva del fondo agricolo da luogo alle utilità che spettano all’ usufruttuario in
quanto tale.
L’ enfiteusi può essere perpetua o comunque superiore ai vent’ anni (art. 958 c.c.), mentre l’ usufrutto non può
eccedere la vita dell’ usufruttuario (art. 979 c.c.).
L’ enfiteuta ha il potere di acquistare la proprietà del fondo mediante il pagamento di una somma di denaro pari a
quindici volte l’ ammontare del canone cui egli è tenuto, ricorrendo al giudice onde ottenere l’ ordinanza di
affrancazione.

Le colonie miglioratarie o colonie ad meliorandum erano un tempo istituti consuetudinari del basso Lazio. Si
caratterizzavano per la lunga durata (perpetua o oltre un trentennio) e per la circostanza della concessione in
cambio di un modesto canone parziario, di un terreno nudo che a cura del colono doveva essere sistemato con
colture arboree od arbustive (ad es. noccioleti o vigneti).
Le leggi 25 febbraio 1963 n. 327 e 22 luglio 1966 n. 607 hanno secondo alcuni convertito le colonie miglioratarie
in enfiteusi.

Il compascolo è un diritto reale regolato dalla consuetudine ed è un istituto tipico di alcune regioni alpine. Qui i
proprietari di piccoli fondi hanno il diritto di far pascolare ciascuno i propri animali sul terreno dei vicini.
Il compascolo o pascolo reciproco nasce dal tacito consenso dei proprietari dei fondi e cade sulla seconda erba per
l’ utile scambievole di tutti.

7. IL CONTRATTO DI COMPRVENDITA DEL BESTIAME

Colui che intende esercitare l’ impresa agricola di allevamento deve in primis acquistare il bestiame.
Degli animali, bene fondamentale dell’ azienda zootecnica, si diventa titolari innanzitutto attraverso il contratto di
compravendita che si articola sul modello civilistico dell’ art.1470 c.c.
Nell’ acquisto che ha per oggetto gli animali assume particolare rilievo la garanzia per i vizi e quindi la
“mancanza di qualità” del bestiame compravenduto, soprattutto con riguardo al breve termine di decadenza (8
giorni) e a quello di prescrizione (un anno) fissati dall’ art.1495 c.c.
Le disposizioni in esame si applicano non tanto in caso di vizi quanto nell’ ipotesi di consegna di un bene che per
le sue qualità non è idoneo all’ uso al quale è destinato.

8. LA SUCCESSIONE NELLA PROPRIETà DEL FONDO RUSTICO E LE REGOLE ANOMALE DI


SUCCESSIONE

Altro modo di acquisire la terra è la successione ereditaria.


Della disciplina generale occorre mettere in evidenza, per ciò che riguarda la successione dei figli, le tre regole
fondamentali, ossia :
1) l’ uguaglianza delle quote (art.566 c.c.)
2) il diritto di chiedere in ogni momento la divisione (art.713 c.c.)
3) il diritto di pretendere la divisione in natura (art.718 c.c.).

In virtù di queste regole, generalmente in occasione di ogni eredità la divisione del fondo si riduce fino ad
assumere la dimensione di un fazzoletto di terra (fenomeno della polverizzazione, riguardare i rimedi contro la
divisione).
Ad es. nel nostro ordinamento è stato introdotto l’ istituto del compendio unico, il quale non può essere frazionato
per effetto di trasferimenti mortis causa essendo prevista la nullità delle disposizioni testamentarie contrarie al
divieto.
È raro che gli eredi al momento della divisione si accordino circa il fatto che il fondo rustico faccia parte tutto
intero di una sola quota, dovendo così colui a cui spetta l’ intero lotto pagare ai coeredi il conguaglio (art.728
c.c.), ovverosia sborsare denaro per compensarli della quota-parte cui hanno diritto in virtù del principio di
uguaglianza delle quote.

22

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

In caso di controversie fra eredi, essi potranno rivolgersi ad un arbitro, ed inoltre qualora nessuno dei coeredi
voglia addossarsi il debito del conguaglio e quindi non chieda l’ assegnazione del compendio unico, vengono
revocati gli aiuti comunitari e nazionali che erano stati attribiuti all’ imprenditore defunto per i terreni oggetto
della successione.
Questa disposizione mira ovviamente ad indurre uno dei coeredi a continuare nell’ esercizio dell’ attività agricola.
Si può quindi dire che in tutte le ipotesi in cui l’ unità aziendale si è formata con l’ esborso di pubblico denaro, l’
ordinamento si è preoccupato di mantenere siffatta unità anche dopo la morte del titolare.
Secondo la legge 3 giugno 1940 n.1078 le unità poderali costituite nei comprensori di bonifica non potevano
essere frazionate ne inter vivos, ne mortis causa per un periodo di trent’anni (questo non tanto per tutelare la
proprietà quanto per tutelare la gestione produttiva).
In caso di attribuzione preferenziale i coeredi avevano diritto al conguaglio che veniva determinato secondo il
valore che il podere aveva sul mercato; il conguaglio poteva essere pagato in 10 anni.
Abbiamo poi il caso (territorialmente limitato all’ Alto Adige) del maso chiuso, che proprio per la caratteristica di
essere un’ azienda agraria familiare autosufficiente, pretende la conservazione della sua unità e consistenza.
La regola dell’ indivisibilità implica l’ impossibilità di variarne la consistenza senza l’ autorizzazione della
Commissione locale per i masi chiusi e l’ attribuzione del maso ad un solo erede.
Costui, che viene detto assuntore, viene designato dal testatore o dagli eredi o in ultimo dal giudice che lo sceglie
tra i coeredi cresciuti nel maso e hanno partecipato abitualmente alla sua conduzione e coltivazione.
Un tempo l’ assuntore veniva scelto fra i figli maschi, con precedenza del più anziano. Oggi non vi è più
distinzione fra maschi e femmine.
Anche in questo caso l’ erede preferito deve pagare il conguaglio entro 5 anni.

9. IL CONTRATTO DI AFFITTO DI FONDO RUSTICO

La terra ed il bosco oltre che in proprietà possono essere acquisiti in affitto. Parliamo ora questo istituto
analizzandone le caratteristiche principali.

Natura di diritto reale o personale dell’ affitto :


La posizione dell’ affittuario è opponibile ed efficace non nei confronti di tutti i terzi ma solo di chi sia il locatore
della cosa.
Il contratto di affitto di fondi rustici è un contratto con effetti obbligatori e non reali.

L’ affitto come contratto intuitu personae?


Era insegnamento tradizionale che il contratto di affitto fosse un contratto intuitu personae, ovverossia che la
prestazione dovuta dal debitore (l’ affittuario) non consentisse la sostituzione ad opera di altri se non con il
consenso del creditore, l’ unico che potesse valutarne la legittimità e la convenienza.
Oggi la legge prevede il diritto dell’ erede dell’ affittuario di succedere nel contratto, nonché una serie di ipotesi di
cedibilità del contratto senza il consenso del locatore.

Le due tipologie dell’ affitto :


Esistono due tipi di affitto, quello a coltivatore diretto e quello a conduttore non-coltivatore diretto.
Le differenze a favore dell’ affittuario coltivatore diretto attengono soltanto al suo potere di compiere i c.d. piccoli
miglioramenti e alla forma libera del contratto, oltre che al suo diritto di prelazione.
I due tipi di affitto trovano la loro origine nel contratto, che deve essere sempre interpretato in buona fede
(art.1366 c.c.) circoscrivendo entro un’ area di prevedibilità i rischi ed i vantaggi che si intendono assumere con l’
operazione economica concreta.

Libertà contrattuale ?
Esigenze pratiche e motivazioni economiche e politiche hanno spinto il legislatore a :
a) prorogare i contratti agrari con i coltivatori diretti;
b) ridurre l’ enorme numero di tipi sociali di contratti esistenti nel mondo dell’ agricoltura italiano
limitandoli ai 4 tipi legali dell’ affitto, della colonia parziaria, dell’ enfiteusi e del lavoro subordinato;
c) disciplinare in maniera cogente il rapporto di colonia e delle residue mezzadrie e quello dell’ affitto;
d) vietare i contratti agrari associativi aventi ad oggetto la terra;
e) convertire in affitto le residue mezzadrie e colonie parziarie;
f) ricondurre all’ affitto tutti i nuovi contratti agrari aventi ad oggetto la concessione di fondi rustici.

23

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

È stata inoltre vietata la creazione di contratti agrari atipici, disponendo la nullità di tutti quei contratti stipulati
contra legem.
La compressione dell’ autonomia negoziale riguarda dunque solo il contenuto del rapporto, essendo libero il
proprietario del fondo rustico di decidere se ed a chi concedere in affitto la sua terra.

Quale la causa dell’ affitto?


La funzione dell’ affitto è quella di attribuire al soggetto non-proprietario il potere di esercitare l’ attività agricola
su un bene produttivo altrui.
L’ intenzione di esercitare l’ attività su di esso fa della concessione in godimento del fondo rustico un affitto che si
distingue dalla locazione.
Può quindi dirsi che la causa dell’ affitto è l’ esercizio dell’ impresa agricola .

L’ incidenza delle deroghe ex.art.45 legge 203/1982 sull’ interpretazione e sull’ integrazione del contratto :
in base all’ articolo suddetto le parti hanno la possibilità di derogare alla disciplina legale dell’ affitto e dunque
possono rimettere la determinazione del contenuto contrattuale all’ autonomia negoziale, in questo caso dunque
riprende vigore l’ applicazione degli artt.1362-1371 c.c. sull’ interpretazione del contratto alla ricerca della
comune intenzione delle parti.
Generalmente le parti per stipulare questi contratti chiedono l’ assistenza dei sindacati, ma qualora essi non si
rivolgessero alle organizzazione professionali, i contratti di affitto di fondo rustico stipulati in deroga alle norme
imperative , non sono nulli, sono nulle le sole clausole che siano in contrasto con i precetti della legge.
In casi del generale è richiesta la necessaria presenza di entrambe le contrapposte associazioni sindacali al
momento dell’ effettiva stipulazione.

La durata dell’ affitto e la stabilità dell’ affittuario :


Analizziamo ora l’ aspetto che riguarda la durata dell’ affitto.
La durata dell’ affitto tanto a coltivatore diretto che a conduttore è di 15 anni, rinnovabili per un pari periodo se
non viene data disdetta un anno prima della scadenza del contratto da parte del locatore, essendo comunque
riconosciuto all’ affittuario il diritto di recesso in ogni momento con il preavviso di un anno.
Se si tratta invece di terreni montani inidonei a costituire un’ unità produttiva la durata è di sei anni.
La stabilità dell’ affittuario e poi garantita da disposizioni come quella che attribuisce ad esso il diritto di essere
preferito al terzo qualora il proprietario intenda nuovamente affittare il fondo.
Salvo i casi dell’ urbanizzazione del fondo, della risoluzione per inadempimento e del recesso anticipato da parte
dell’ affittuario, il rapporto di affitto dura dunque 15 anni.

Il canone dell’ affitto :


Per ciò che riguarda il canone d’ affitto c’è un problema : il problema di un canone che non comprima in danno
dell’ affittuario (specie se coltivatore diretto) la possibilità di ricavare dal fondo quella quantità di frutti che gli
consenta un’ esistenza libera e dignitosa (art.36 Cost.).
Il canone (che è da pagarsi in denaro) era dato dal prodotto della moltiplicazione del reddito dominicale del
terreno fissato nel 1939 per una serie di coefficienti specificamente previsti dalla legge. La misura del canone era
riferita alla produttività del fondo.
Successivamente la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il sistema di determinazione legale del canone,
che è tornato così ad essere libero fra le parti.

I poteri dell’ affittuario, i miglioramenti ed il diritto di ritenzione :


Con riguardo a tali poteri essi si articolano in poteri di gestione dell’ impresa e poteri di organizzazione dell’
azienda.
L’ affittuario ha il diritto di prendere tutte le iniziative di organizzazione e di gestione. Tutti i patti che limitano
tali poteri sono nulli.
Questi poteri dunque non possono essere compressi.
Per ciò che riguarda invece i miglioramenti apportati dall’ affittuario va detto che questi non possono incidere
sulla destinazione agricola del fondo. I miglioramenti inoltre possono essere ovviamente apportati anche dal
proprietario, il dominus, del fondo.
I c.d. piccoli miglioramenti (quelli che possono essere compiuti con il lavoro personale dell’ affittuario
coltivatore diretto) necessitano di un’ autorizzazione da parte del proprietario.
È tuttavia necessario dare comunicazione al locatore onde permettergli, nello spazio di 20 giorni, di decidere se
assumere su di se l’ impegno dell’ esecuzione.

24

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Se a migliorare è il proprietario egli ha diritto di chiedere l’ aumento del canone, mentre se a migliorare è l’
affittuario egli ha diritto, al termine dell’ affitto, ad una indennità pari all’ aumento del valore del fondo nonché a
ritenerlo fino a che l’ indennità non gli venga pagata.

La forma del contratto di affitto :


Gli atti che da un punto di vista economico si appalesano i più importanti richiedono, a pena di nullità, la forma
scritta, e talvolta una forma solenne.
La forma scritta serve a far conoscere il contratto ai terzi rendendolo ad essi così opponibile (nesso tra forma e
pubblicità).
Tra l’ altro è espressamente prevista, secondo la legge, la forma scritta per le locazioni ultranovennali di beni
immobili e la pubblicità attraverso la trascrizione.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte soltanto l’ affitto a coltivatore diretto non richiede ne forma scritta
per essere valido fra le parti, ne trascrizione per essere opponibile ai terzi; mentre l’ affitto a conduttore richiede si
la scrittura, ma solo ad probationem, nonché la trascrizione per la sua opponibilità .

10. LA CONCESSIONE DELLE TERRE INCOLTE

Un altro modo di acquisire la terra che da luogo ad un diritto personale e temporaneo di godimento (modalità
attualmente superata), è la concessione delle terre incolte.
Trattasi di un atto della pubblica amministrazione, nella specie la Regione, che determina il sorgere di un rapporto
di diritto privato tra il concessionario e il proprietario del terreno, rapporto che è integralmente assoggettato alle
norme che disciplinano l’ affitto dei fondi rustici ma che si risolve anche qualora l’ assegnazione venga revocata
per omessa utilizzazione della terra da parte dell’ assegnatario entro due annate agrarie dalla concessione.
L’ incoltura o l’ insufficiente coltivazione legittima quindi qualsiasi interessato a chiedere l’ attribuzione del
fondo.
L’ individuazione di questi fondi avviene soprattutto attraverso un censimento cui procedono le Regioni, tuttavia
non occorre che il terreno sia censito e classificato come incolto per poterne chiedere la concessione.
Contro questa evenienza al proprietario è data la possibilità di impegnarsi a coltivare direttamente le sue terre.

11. I CONTRATTI DI SOCCIDA E DI AFFITTO DI BESTIAME

I contratti di soccida sono quei contratti che consentono di acquisire il bene fondamentale dell’ azienda
zootecnica, ossia il bestiame.
La soccida con conferimento di pascolo deve essere considerata come un contratto di scambio e non come un
contratto associativo.
In questo caso parliamo però di soccida semplice (art.2171 c.c.) e di soccida parziaria (art.2182 c.c.) con cui il
proprietario del bestiame si associa con l’ allevatore (che nella soccida parziaria conferisce oltre al lavoro anche
parte del bestiame nella misura inferiore all’ 80%) al fine di dividere gli utili dell’ attività comune di allevamento
(art.2170 c.c.).
L’ impresa che nasce da questa combinazione di capitale e lavoro è un’ impresa collettiva essendo imprenditori
agricoli sia il soccidante che il soccidario, ed è un’ impresa la cui disciplina è rimessa alla libera regolamentazione
delle parti.
Quindi sono solo due i veri contratti associativi di soccida, dato che il terzo cui fa riferimento il codice civile all’
art.2186 (soccida con conferimento di pascolo) è effettivamente un contratto di scambio, spettando al soccidario la
direzione dell’ impresa e limitandosi il soccidante a conferire il pascolo.
Possiamo quindi dire che la soccida è un contratto per l’ impresa agraria di allevamento tipizzato da obbligazioni
inerenti al bestiame e dunque è un contratto agrario (nello specifico vedi artt. 2171, 2175, 2176, 2181, 2183, 2184
c.c.).
Anche il bestiame (gregge, mandria, branco) può essere oggetto di affitto, dovendosi riconoscergli la qualità di
cosa produttiva.

12. I CONTRATTI PER COLTURE STAGIONALI OD INTERCALARI ED IL PASCIPASCOLO

I contratti di integrazione agro-industriali sono contratti fra imprenditori appartenenti a settori economici distinti :
agricoltori da un lato ed industriali dall’ altro.

25

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Ma in agricoltura sono possibili anche contratti fra imprenditori agricoli diversi, e tuttavia anche qui rivolti ad
integrare rispettivamente le rispettive imprese.
Ora parleremo di questo.
L’ ordinamento colturale classico è quello che comprende in successione per un anno, il maggese (ossia il terreno
lavorato ma non seminato) e per due anni consecutivi il cereale, con una rotazione nei tre campi in cui è suddivisa
l’ azienda.
Talvolta il maggese è sostituito dalla c.d. coltura da rinnovo, ovverosia colture che rilasciano nel terreno un
residuo di effetti positivi (la c.d. caloria o “forza vecchia”) a vantaggio delle coltivazioni successive.
Gli intervalli di tempo rimasti liberi dalle colture principali possono poi essere utilizzati per colture di più breve
durata, dette colture intercalari o stagionali o di “secondo raccolto”, così dette perché impegnano il terreno tra due
colture principali, o a cavallo di due stagioni, o per il loro modesto reddito economico trattandosi di colture di
minore importanza agronomica.
Nella realtà italiana possono ricorrere contratti con i quali un imprenditore agricolo concede ad un altro
imprenditore agricolo i propri terreni o parte del proprio fondo, per l’ impianto di colture intercalari o stagionali o
per l’ apprensione delle erbe a mezzo degli animali condotti sul posto (il c.d. pasci pascolo).
Le suddette concessioni non sono assoggettate alle norme inderogabili di affitto del fondo rustico. Si tratta invece
di sfruttamento delle altrui attività di coltivazione o di allevamento da parte dell’ imprenditore agricolo
concedente il terreno, perché le colture compiute hanno capacità di “rinnovo” e lasciano “caloria” e “forza” al
fondo e gli animali condotti a pascolo nel campo vi lasciano il loro sterco quale ottimo concime naturale.
In altre parole il contratto per colture stagionali o intercalari e quello di pasci pascolo creano un rapporto tra due
imprenditori agricoli : uno di essi attribuisce all’ altro lo sfruttamento di una parte del proprio fondo che resta per
un certo periodo privo della coltura principale, e ne attribuisce al secondo lo sfruttamento non tanto al fine di
riscuotere un canone, quanto allo scopo di riottenere al termine del ciclo agrario del maggese o delle colture
secondarie, il terreno in condizioni più fertili di quanto non fosse al momento della concessione e questo grazie
all’ imprenditore che esercita una specifica e diversa attività agricola.
Vi è quindi una reciproca integrazione delle economie delle rispettive imprese, sono quindi contratti strumentali
all’ organizzazione aziendale.

13. IL CONTRATTO DI SOCIETà

L’ acquisizione della terra o del bestiame come fattore produttivo e quindi come bene fondamentale dell’ azienda
agraria, può aversi anche qualora si costituisca una società, quando cioè terra e bestiame sono oggetto del
conferimento del socio o dei soci.
L’ esercizio in comune di un’ attività economica è possibile se l’ organizzazione di persone e di beni, preordinata
e coordinata a quello scopo, nasce da un contratto (il contratto di società appunto, art.2247 c.c.), nel quale sono
fissati i contributi che i soci dovranno dare alla società per costituirne il capitale.
Oggetto dei conferimenti dei soci possono essere beni o servizi. Quando si tratta di beni essi possono essere
conferiti sia n proprietà che in godimento.
Vi sono numerose società dette di fatto perché in poche parole sono nate dall’ accordo dei soci ma non hanno i
requisiti per essere iscritte nel registro delle imprese.
La legge n.662 del 1995 ha introdotto la possibilità di regolarizzare con modica spesa le società di fatto esistenti in
Italia e ha previsto una spesa ancora più contenuta per la regolarizzazione delle società di fatto operanti in
agricoltura e la loro assunzione nella categoria delle società semplici.
A tal fine dobbiamo ricordare che la qualifica di “società agricola” e di “imprenditore agricolo” sono
indispensabili per poter beneficiare delle agevolazioni creditizie e fiscali che l’ ordinamento riconosce agli
imprenditori individuali coltivatori diretti.

14. GLI ORMAI SUPERATI CONTRATTI AGRARI ASSOCIATIVI DI COLTIVAZIONE

La legge n.756 del 1964 aveva vietato per il futuro i contratti di mezzadria, ritenendo che questi non fossero più
adatti alle esigenze di un moderno ordinamento dell’ agricoltura.
La legge n.203 del 1982 ha inoltre disposto la conversione in affitto dei contratti associativi in corso in cui vi
fosse concessione di fondo rustico, e dunque ha convertito in affitto le mezzadrie, le colonie parziarie e le soccide
con conferimento di pascolo ancora esistenti, attribuendo al concessionario il diritto potestativo di chiederne la
conversione entro il 6 maggio 1986.
Per effetto della conversione si sarebbe avuta non la stipulazione di un nuovo contratto, ma solo la mera modifica
del rapporto in corso.

26

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Contestate di illegittimità le norme sulla conversione hanno superato il controllo della Corte Costituzionale.
I contratti agrari non convertibili o non convertiti avevano prefissato la scadenza massima al 10 novembre 1993,
sicché contratti di mezzadria o di colonia non dovrebbero più esserci, salvo qualche accordo in deroga volto a
prolungare la vita di qualche vecchio rapporto mezzadrile.

15. I CONTRATTI DI ANTICRESI E DI COMODATO

La terra può essere acquisita anche con un contratto di comodato e può venire nella disponibilità di un soggetto
con un contratto di anticresi. In queste due situazioni (art. 1362 c.c.) la comune intenzione, non è data dallo
scambio del godimento temporaneo di un fondo contro un canone in denaro o in natura.
Nel contratto di comodato infatti il proprietario della terra la consegna ad altri perché se ne servano gratuitamente
per un certo tempo e la restituiscano al termine del rapporto (art. 1803 c.c.).
Mentre nel contratto di anticresi un debitore consegna il fondo rustico, di cui è proprietario, al creditore, affinché
questi ne percepisca i frutti.
Una volta acquisita la terra (gratuitamente nel comodato e con l’ imputazione dei frutti nell’ anticresi), il
comodatario e il creditore anticretico si trovano in quella situazione an relazione alla quale l’ art.44 Cost. impone
di esercitare l’ impresa agricola.

16. IL DIRITTO DI OPZIONE COATTIVA

La fattispecie di cui parleremo ora non è un modo di acquisizione della terra al fine d costituire un’ azienda
agricola.
La famiglia coltivatrice proprietaria di un fondo rustico, può, per legge acquistare coattivamente, ossia “riscattare”
la quota del familiare che abbia lasciato l’ azienda da oltre cinque anni.
Il prezzo d’ acquisto viene stabilito dall’ Ispettorato provinciale dell’ agricoltura, ma la sua determinazione è
sindacabile in sede contenziosa.
In questo caso l’ imprenditore agricolo, da comproprietario, diviene proprietario solitario o proprietario del fondo
che è già nel suo godimento.
Questa fattispecie non deve essere assimilata al diritto di prelazione bensì al diritto di opzione (art.1331 c.c.).

CAPITOLO VII :
GLI ALTRI BENI DELL’ AZIENDA AGRARIA : ATTREZZI, BENI IMMATERIALI, DIRITTI,
CONTRATTI

1. GLI ATTREZZI ED I BENI OCCORRENTI PER L’ ESERCIZIO DELL’ ATTIVITà: DA


PERTINENZE A BENI AZIENDALI

L’ operatore economico che intende svolgere un’ attività agricola deve possedere una serie di macchine e di
attrezzi che gli consentano di ricavare dalla terra i prodotti, di conservarli, e quindi di trasformarli ed alienarli.
Se prima tra le “cose” venivano compresi anche gli animali posti al servizio del fondo, perché strumenti di lavoro,
oggi il loro posto viene preso dai trattori e dagli automezzi.
Con il termine “attrezzi” indichiamo tutti quei beni mobili inanimati, destinati in modo durevole all’ esercizio
dell’ attività agricola.
Va detto che quando gli attrezzi e le macchine utilizzate dall’ imprenditore agricolo che non è proprietario del
bene principale, i detti attrezzi e macchine si qualificano soltanto come beni aziendali, mentre se l’ imprenditore è
anche proprietario della terra essi si qualificano anche come pertinenze, oltre che come elementi dell’ azienda.
Va precisato che mentre i beni dell’ azienda sono tra loto collegati da un rapporto di complementarietà che
esclude la rilevanza di un bene principale, le cose del complesso pertinenziale sono invece disposte secondo un
rapporto di accessorio a principale.
Finalità degli attrezzi sono, la produzione nel caso dell’ azienda, e il servizio o l’ ornamento nel caso del
complesso pertinenziale.
Possiamo giungere alla conclusione che l’ azienda agricola non coincide con il fondo attrezzato; colui che
organizza i beni dell’ azienda e li destina e li coordina all’ esercizio dell’ attività economica può anche non essere
proprietario del fondo. E questa è la prima motivazione.
Vi è poi una seconda motivazione e cioè che il complesso pertinenziale è costituito solo da cose, ovvero da entità
corporali, mentre l’ azienda è costituita da beni.

27

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

2. I BENI COMUNEMENTE DENOMINATI IMMATERIALI : LA DITTA E L’ INSEGNA

Parliamo ora di due elementi che seppure privi del tratto della corporalità, costituiscono nuove forme di ricchezza.
Parliamo a proposito di beni immateriali, dotati di valore patrimoniale e non connotati da materialità o fisicità.
Nello specifico parliamo dei due segni distintivi della ditta e dell’ insegna, a cui l’ ordinamento ricollega una
tutela funzionale alla loro protezione.
Analizziamole nello specifico.
La ditta (artt.2563-2566 c.c.), è il contrassegno dell’ impresa; è il nome sotto il quale l’ imprenditore esercita la
sua attività, e che per il principio della verità deve contenere il cognome o la sigla di costui, e che non può essere
trasferito senza l’ azienda.
La ditta consente al pubblico di ricondurre una certa attività di impresa ad un soggetto .
L’ insegna (art.2568 c.c.), è il segno distintivo della sede in cui si esercita l’ attività imprenditoriale.
Contraddistingue quindi il luogo in cui il complesso di beni aziendali è organizzato.

3. SEGUE : IL MARCHIO INDIVIDUALE

Il marchio è il segno distintivo del prodotto. È interesse dell’ imprenditore marchiare i propri prodotti per
distinguerli da prodotti uguali di altri imprenditori presenti sul mercato.
Ma è anche interesse del consumatore, che soddisfatto da un determinato prodotto, può facilmente rintracciarlo
grazie al marchio.
Il marchio determina nell’ animo del consumatore l’ idea di un prodotto che gli garantisce la presenza di qualità
che ha riscontrato precedentemente.
È sinonimo di non confondibilità e facilita dunque il consumatore nella sua libertà di scelta.
Oggi però il marchio non ha più queste sole funzioni; oggi il marchio è un valore a se, è esso stesso un prodotto
appetibile per il consumatore. La possibilità di brevettare un marchio è stata concessa a chiunque e quindi anche a
colui che non produce alcun prodotto.
La pubblicità è uno strumento utilizzato per la valorizzazione del marchio, che ha finito con l’ assumere rilievo di
capitale pubblicitario.
Il marchio di cui stiamo parlando è il marchio individuale.
Il marchio individuale può essere registrato come abbiamo già detto anche da chi non è imprenditore. In altre
parole colui che sta procedendo all’ organizzazione di una nuova azienda agraria ha facoltà di registrare il marchio
con il quale intenderà poi contrassegnare i prodotti ottenuti.
Il marchio individuale distingue i prodotti di un solo imprenditore, che ne è titolare e che ne ha il diritto esclusivo
di utilizzazione (una sorta di monopolio legale).
Gli agricoltori, singoli o associati, si servono sempre più di marchi per conquistare il mercato : pensiamo ai bollini
sulle banane o sulle mele, le veline che avvolgono le arance e le etichette sulle bottiglie di vino e di olio.
Ai sensi dell’ art.2573 c.c., oggi è consentito il trasferimento del marchio anche senza l’ azienda o un ramo di
essa, purché però ciò avvenga “per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato” ed
in ogni caso purché dal trasferimento “non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono
essenziali nell’ apprezzamento del pubblico”. In altre parole è vietato il peggioramento qualitativo dei beni
contraddistinti dallo stesso marchio in assenza di adeguata informazione (il codice industriale infatti prevede
anche la decadenza del marchio qualora esso sia divenuto idoneo ad ingannare il pubblico, in particolare circa la
natura, la qualità o la provenienza dei prodotti o servizi).
I prodotti industriali sono di regola qualificati da un know how facilmente “separabile” dal luogo originario di
produzione; quelli agricoli invece sono qualificati invece soprattutto dalla localizzazione geografica che potrebbe
essere essenziale per la realizzazione di quel determinato prodotto.
Il richiamo della terra, del suolo, del sottosuolo, del clima, del profumo e del gusto dei prodotti agricoli,
propongono il rilievo del marchio come segno idoneo a trasmettere un messaggio. Il messaggio che i produttori
lanciano ai consumatori.
Può però crearsi un problema con la comunicazione simbolica, derivante dall’ utilizzo di un toponimo, ossia il
nome di un’ entità geografica (nazione, regione, provincia, città, monte, lago, fiume…) per distinguere un
prodotto.
Infatti in casi del genere il nome di una zona, indicando la provenienza da un certo territorio, costituisce una sorta
di patrimonio comune di tutti i produttori di quel determinato luogo, i quali hanno tutti il diritto di utilizzarlo.

28

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Si comprende benissimo allora perché “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio(individuale)
di impresa i segni privi di carattere distintivo, in particolare quelli che in commercio possono servire a designare
la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica”. Salva l’ ipotesi di utilizzare
un nome geografico adoperato in chiave fantastica ovvero collegato ad un luogo che nulla ha a che fare con il
prodotto (ad es. frigoriferi Polo Nord o carte da gioco Las Vegas), in casi del genere il collegamento prodotto-
zona geografica serve esclusivamente ad evocare un’ immagine suggestiva del prodotto.
Al marchio in se il produttore non affida un messaggio pubblicitario, quanto tutta una serie di informazioni che il
produttore indirizza ai consumatori.
Con il passare del tempo il marchio ha poi finito per assorbire i messaggi e le promesse pubblicitarie alle quali il
consumatore tenderà costantemente ad associarlo.
Dobbiamo sempre ricordare che il marchio non può essere utilizzato in modo od in un contesto tale che possa dar
luogo ad ingannevolezza; perciò se le comunicazioni che si accompagnano al marchio sono ingannevoli queste si
riverberano su di esso e ne provocano la decadenza.

4. LE PRIVATIVE PER LE NOVITà VEGETALI ED I BREVETTI PER LE INVENZIONI


BIOTECNOLOGICHE

Anche le invenzioni danno luogo a beni immateriali.


La fattispecie dell’ invenzione si completa giuridicamente con la brevettazione, che attribuisce all’ inventore il
diritto esclusivo di utilizzare economicamente il trovato e che gli riconosce la paternità dell’ invenzione.
Il nostro ordinamento stimola l’ attività inventiva, in quanto essa determina nuove ricchezze nell’ interesse di tutti,
con il premio all’ inventore, del diritto di sfruttare in maniera esclusiva l’ invenzione, nonché il fatto che il
brevetto costituisce il capitale tecnologico dell’ azienda.
Il brevetto può essere ceduto o concesso in godimento (volontariamente e coattivamente) a chi in cambio di un
prezzo o di un canone (royalty), provvederà alla riproduzione del frutto dell’ idea inventiva, facendo sue le utilità
economiche che derivano da siffatta attività di riproduzione (artt.2589 e 2591 c.c.).
Il brevetto dunque può essere considerato il capitale tecnologico dell’ azienda, destinato insieme alla terra, al
lavoro e agli altri beni, allo svolgimento di una determinata attività di coltivazione.
Sono ammesse dalla legge solo le invenzioni relative ai vegetali, le c.d. novità vegetali, per effetto di ibridazione,
incroci e selezione, mentre non sono riconosciute e tutelate le invenzioni di nuove razze animali.
Oggi sono esclusi dalla brevettabilità europea sia le varietà vegetali che le razze animali, ad eccezione dei
procedimenti microbiologici e dei prodotti con esso ottenuti. Dunque non è possibile richiedere il brevetto
europeo neanche per le varietà vegetali.
Originariamente in Italia era possibile ottenere il brevetto anche quando si trattava di varietà vegetali atte ad avere
un’ applicazione agricola o industriale, attraverso il medesimo sistema adoperato per le invenzioni industriali.

La protezione delle varietà vegetali è oggi sottoposta a dei limiti che consistono :
a) nell’ obbligo dell’ inventore di sfruttare l’ invenzione nel territorio della Comunità;
b) nell’ adattamento della disciplina dell’ invenzione industriale alla peculiarità del nuovo bene vegetale
“inventato”.

Non sono mai tutelabili le invenzioni di procedimento per l’ ottenimento dei vegetali (perché è un procedimento
naturale) ma solo le invenzioni di un prodotto nuovo e capace di conservare nelle nuove riproduzioni i suoi
caratteri morfologici e fisiologici fondamentali che devono avere la capacità di essere descritti e riconosciuti.
Alla nuova varietà occorre poi dare un nome (la c.d. denominazione varietale) che identifica il prodotto e va
tenuta distinta dall’ eventuale marchio.
Un tempo il brevetto per le varietà vegetali durava 15 anni, ora invece il marchio brevettato è tutelato per 20 anni
rinnovabili.
È interesse generale che l’ invenzione delle nuove varietà generali sia sfruttata : sicché quando motivi di interesse
pubblico sollecitano l’ utilizzazione di varietà vegetali utili all’ alimentazione umana o al bestiame, ad usi
terapeutici o alla fabbricazione di medicinali, sono possibili licenze obbligatorie in forza delle quali il titolare
della privativa è tenuto a mettere e disposizione del licenziatario, dietro il compenso fissato dalla P.A., il materiale
di propagazione necessario.
Per ciò che riguarda invece la brevettabilità dei prodotti in cui sono presenti organismi geneticamente modificati
(OGM), e quindi delle piante transgeniche , attualmente esse sono oggetto di una direttiva del Parlamento Europeo
che le ritiene legittime.

29

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Con tale direttiva si da obbligo agli stati membri di proteggere le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto
nazionale dei brevetti, stabilendo che sono brevettabili le invenzioni caratterizzate da innovatività tecnica e
applicazione industriale, che hanno per oggetto prodotti contenenti materiale biologico (ovvero materia
contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico) o
procedimenti che implichino la trasformazione di materiale biologico, ed escludendo dalla brevettabilità i
procedimenti di clonazione umana.
Questa direttiva europea consente dunque la brevettabilità della clonazione animale e delle piante transgeniche nei
singoli stati membri.

5. LE QUOTE DI PRODUZIONE E I DIRITTI DI REIMPIANTO

Il progresso tecnologico ha determinato l’ aumento della produttività della terra e del lavoro umano, e la politica
comunitaria dei prezzi ha portato ad una sovrapproduzione dei prodotti agricoli il cui ritiro è assicurato dal prezzo
di intervento.
Il problema delle eccedenze agricole è divenuto per la Comunità Europea uno dei problemi più difficili da gestire,
sia per l’ aggravio del bilancio comunitario, sia per i contrasti con gli altri imprenditori mondiali.
Così prima la Comunità dopo aver incentivato il volontario abbandono delle produzioni eccedentarie, ha
introdotto limiti alla produzione ricorrendo al c.d. sistema delle quote.
Con il termine “quote di produzione” ci si riferisce a quel tipico intervento comunitario di contingentamento delle
produzioni agricole, con lo scopo di mantenere la produzione di determinati prodotti entro una quantità
predefinita.
Alcune volte questo sistema opera attraverso il ridimensionamento delle agevolazioni e dei premi assicurati sino a
quel momento ai produttori (utilizzato ad es. per il riso, il tabacco, il grano duro, i semi oleosi…), altre volte
invece agisce direttamente sulla produzione, disincentivandola attraverso costosi prelievi parafiscali che gravano
sul singolo agricoltore, qualora superi appunto la sua “quota”.
Il sistema delle quote è particolarmente importante per ciò che riguarda la produzione del latte.
Nel settore lattiero-caseario è stato infatti stabilito che la sovrapproduzione comporta il pagamento di una misura
fiscale a carico di quel produttore di latte che abbia commercializzato un quantitativo di latte superiore alla quota
che gli è stata riconosciuta. In altre parole i produttori di latte non sono obbligati a non produrre, ma sono tenuti a
pagare, per ogni litro di latte commercializzato in più della rispettiva quota di produzione, una somma talmente
alta (per 100 kg di latte 28,54 €) da scoraggiarne la produzione.
Con un regolamento europeo fu fissato per l’ intera Comunità un anno di riferimento onde calcolare la produzione
globale di latte che ogni Stato membro aveva avuto in quel periodo (per l’ Italia l’ anno di riferimento era il 1983).
Sulla base di tale quantitativo di riferimento è stato assegnato ad ogni Stato un quantitativo globale garantito
(QGG).
Ogni Stato ha poi provveduto a ripartire tale quantitativo tra i vari produttori di latte, tenendo conto della quantità
da essi prodotta nell’ anno di riferimento (QRI).
A questo punto i produttori che commercializzano più latte rispetto a quello previsto dalla propria quota devono
pagare il prelievo supplementare, prelievo supplementare che sarà raccolto dall’ impresa di trattamento e
commercializzazione del latte (la c.d. latteria). Lo Stato provvede poi a versare alla Comunità il “prelievo”
raccolto dalle latterie.
Era possibile concedere un quantitativo maggiorato ai giovani agricoltori, agli imprenditori a titolo principale e a
coloro che si erano impegnati a realizzare un piano di sviluppo della produzione lattiera.
Ovviamente il prelievo supplementare serve a scoraggiare la produzione eccessiva mantenendola dunque al di
sotto della quota.
Va però precisato che l’ allevatore fin dall’ entrata in vigore del sistema delle quote può rinunciare al suo
quantitativo ottenendo dalla Comunità un indennizzo.
La quota diviene in questo modo un bene immateriale avendo un valore patrimoniale di scambio, e diviene così
meritevole di tutela giuridica.
La quota può così essere oggetto di pignoramento, di costituzione in pegno, come qualsiasi altro bene.

In Italia il regime delle quote latte è così organizzato :


a) gli adempimenti comunitari relativi al prelievo supplementare, sono di competenza delle Regioni;
b) la determinazione delle quote individuali che doveva essere fatta grazie all’ anno di riferimento, in realtà
è stata fatta non in base al numero di vacche possedute e dalla media di produzione di ogni vacca, ma
sull’ esibizione delle fatture di vendita del latte;

30

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

c) la mancata utilizzazione del 70% del proprio QRI per 12 mesi è causa di decadenza della titolarità della
quota, salvo casi particolari di forza maggiore;
d) il prelievo dovuto dall’ Italia all’ Unione Europea è versato dalle latterie;
e) l’ individuazione dei singoli produttori tenuti al pagamento è effettuata dall’ AGEA a livello nazionale;
f) ai produttori soci è attribuito il diritto di prelazione delle quote poste in vendita da altri soci della stessa
cooperativa o della stessa organizzazione di produttori;
g) l’ attivazione di un programma di abbandono totale della produzione lattiera, con confluenza delle quote
dismesse, prevede la loro assegnazione ai produttori, esclusi quelli che hanno ceduto a titolo oneroso in
tutto o in parte la propria quota.

Abbiamo detto prima che la quota latte può essere considerata un bene aziendale. Tale può essere considerato
anche il c.d. diritto di reimpianto di vitigni.
In base ad un regolamento europeo infatti il diritto di reimpianto può essere esercitato su una superficie
(equivalente a quella in cui aveva avuto luogo l’ estirpazione) dello stesso fondo appartenente ad altri purché
destinato alla produzione di vini di qualità prodotti in regioni determinate.
La quota ed il diritto di reimpianto come beni aziendali mai potrebbero costituire la “cose” che per l’ art.817 c.c.
sono poste al servizio della cosa principale, cioè nel caso di specie della terra.
Dunque possiamo ribadire che il fondo attrezzato non è sinonimo di azienda.

6. LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE CONSEGUITE DA SPECIFICHE MODALITà DI


ORGANIZZAZIONE DELL’ AZIENDA AGRARIA : IL RISPETTO DI NORME E DI DISCIPLINARI
DI PRODUZIONE DA PARTE DI AGRICOLTORI “AFFILIATI” AD ENTI O A CONSORZI

Fino ad ora abbiamo parlato di beni immateriali e di beni corporali che colui che intende svolgere attività di
coltivazione, silvicoltura e allevamento deve organizzare e coordinare al fine del tipo di impresa agricola che
intende realizzare, ed abbiamo detto che questi sono beni perché possono formare oggetto di diritti con un loro
mercato.
Ora parliamo invece dell’ esistenza di altri diritti che possono essere acquisiti dall’ agricoltore solo una volta che
egli abbia già iniziato a svolgere la sua attività di impresa.
Ci riferiamo :
a) al diritto di utilizzare i segni di indicazioni geografiche protette o denominazioni di origine protetta;
b) al diritto di servirsi di marchi collettivi;
c) al diritto di utilizzare attestazioni comunitarie e regionali di biologicità nella commercializzazione dei
prodotti.

Più in particolare si tratta del diritto di utilizzare certi nomi geografici o di fregiare il proprio prodotto con
attestazioni di qualità, diritto che l’ imprenditore ottiene a particolari condizioni, ossia:
a) qualora rispetti un certo disciplinare;
b) qualora ottenga l’ affiliazione dell’ organismo che concede l’ uso del nome o l’ attestazione di qualità.

I diritti di utilizzazione di questi segni, sono rilevanti per i consumatori, e rappresentano un valore economico di
non poco conto per l’ impresa. Infatti più che ricollegarsi alla figura dell’ imprenditore si ricollegano e fanno parte
dell’ azienda stessa.
Questi diritti sono generalmente ricollegati al fatto che l’ imprenditore che ne fa utilizzo partecipi a determinati
consorzi ed organismi, o alla sua iscrizione in certi albi.
Si può quindi dire che contratto di consorzio o iscrizione all’ albo danno all’ azienda il suo maggior valore, dando
alle aziende in questione il privilegio di utilizzare questi segni, a differenza invece di quelle che ne sono prive.

7. I MARCHI COLLETTIVI; IN ISPECIE IL MARCHIO GEOGRAFICO ED I MARCHI REGIONALI


DI ORIGINE; I C.D. MARCHI DI QUALITà

Il marchio collettivo individua i prodotti di più imprenditori che fanno capo ad un ente o fanno parte di un
consorzio, ente o consorzio che sono titolari del bene immateriale marchio collettivo, lo hanno brevettato e ne
concedono l’ uso agli imprenditori collegati od associati, previo l’ accertamento del rispetto di determinate regole
che ne garantiscono la produzione secondo certe modalità.
A differenza del marchio individuale, il marchio collettivo non è in grado di identificare il prodotto come
realizzato da un’ impresa anziché da un’ altra. Esso assolve una funzione di garanzia di qualità del prodotto
assicurato dal controllo da parte dell’ ente o del consorzio.

31

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

È l’ ente o il consorzio infatti che organizza i controlli di qualità.


Il marchio collettivo garantisce al consumatore l’ origine, la natura, e il rispetto di tutti gli standard di qualità dei
prodotti marcati.
In agricoltura è ricorrente l’ uso di marchi collettivi.
L’ utilizzo di questo marchio è molto interessante in quanto questo mette in evidenza il luogo di produzione, la
qualità del suolo e del sottosuolo, la qualità del clima, tutti fattori molto importanti capaci di imprimere al
prodotto sapore e profumi particolari.
L’ uso del marchio geografico individuale è vietato al fine di impedire all’ imprenditore che ha per primo l’
accortezza, di riferire al suo prodotto la rinomanza dell’ area geografica in cui lo produce. In casi del genere non si
ha un diritto di esclusiva.
Ma vietato il marchio geografico individuale, l’ ordinamento ammette il marchio geografico collettivo, diretto a
contrassegnare i prodotti di una serie plurima di produttori di una determinata località, anche al fine di identificarli
e distinguerli dai prodotti identici di aree geografiche diverse.
I titolari di marchi geografici collettivi non possono vietare ai produttori della zona di servirsi del toponimo come
indicazione di origine o di provenienza, e devono prevedere nel regolamento dell’ uso del marchio collettivo
geografico, la possibilità dei produttori della zona di diventare membri dell’ associazione titolare del marchio.
Il soggetto titolare del marchio è tenuto a garantire l’ origine, la natura o la qualità dei prodotti.
Prima dell’ emanazione del regolamento comunitario n.2081 del 1992 il marchio collettivo geografico poteva nel
settore agricolo individuare anche tutto il paese Italia. In seguito all’ emanazione di questo regolamento invece l’
origine di un prodotto agricolo può essere segnalato solo a marchio DOP e IGP.
La nostra legislazione prevede anche che il Ministero delle politiche agricole, alimentari o forestali (MiPAAF),
con il Ministero dello sviluppo economico, possa istituire d’ intesa con la Conferenza Stato-Regioni, il “marchio
identificativo della produzione agroalimentare nazionale” di cui potranno fregiarsi i prodotti (industriali) ottenuti
con solo materie prime (agricole) italiane o i prodotti direttamente realizzati da impresa agricole italiane.
Il marchio geografico dunque circoscrive limitate aree, collegando la qualità del prodotto ad un origine
geografica.
Abbiamo poi anche i marchi collettivi regionali, chiamati comunemente “marchi di qualità”, e anche questi
ricollegano la qualità del prodotto all’ origine territoriale.
Altro marchio di qualità è quello concesso dal soggetto titolare a tutti quegli imprenditori rispettosi di un
disciplinare; il soggetto titolare può essere sia un ente pubblico che un ente privato.
Si tratta di marchi di garanzia o di certificazione, e sono accessibili a tutti quegli imprenditori che rispettino le
procedure del disciplinare.
Le Regioni nell’ ambito delle proprie funzioni amministrative, hanno il compito di effettuare dei controlli circa la
qualità dei prodotti agricoli e forestali.
Il marchio di qualità costituisce dunque una garanzia per il consumatore.
Al fine di armonizzare le varie legislazioni in merito al marchio, la Comunità Europea emana delle direttive in cui
stabilisce i requisiti essenziali che i prodotti devono avere per circolare liberamente nel mercato unico.
Il ricorso alla prassi della certificazione è volontario, ma essa è incentivata da motivazioni economiche,
commerciali e dalle pretese dei consumatori.
L’ ente certificatore quindi garantisce che i prodotti certificati sono stati ottenuti nel completo rispetto delle norme
di riferimento, ad esempio dei requisiti igienico-sanitari. In tal modo la certificazione di qualità mette il
consumatore in grado di conoscere la qualità del prodotto non dopo l’ acquisto, ma in anticipo, proprio in virtù e
sulla base dell’ attestazione rilasciata dall’ organo certificatore.

8. LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE PROTETTE E LE DENOMINAZIONI GEOGRAFICHE


PROTETTE

L’ indicazione geografica come abbiamo detto prima, collega al prodotto la bellezza e la rinomanza che un
particolare luogo suggerisce al consumatore.
È quindi molto importante il messaggio che il toponimo esercita sul pubblico, ed è per questo che l’ ordinamento
interviene per evitare false suggestioni e frodi.
In questo quadro assumono particolare importanza , l’ indicazione geografica protetta (IGP) e la denominazione di
origine protetta (DOP).
La designazione geografica tutelata dal diritto comunitario con il termine di “indicazione geografica protetta” o
IGP, indica il nome di una regione o di un luogo determinato, diretto ad indicare un prodotto agricolo originario di
tali aree, e di cui le qualità possono essere attribuite all’ origine geografica, e la cui produzione, elaborazione,
trasformazione, avvengono nell’ area determinata.

32

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Con il termine “denominazione di origine protetta” o DOP invece, viene indicato il nome di una regione o di un
luogo determinato diretto ad indicare un prodotto agricolo originario di tali aree, la cui qualità od i cui caratteri
sono dovuti essenzialmente od esclusivamente all’ ambiente geografico comprendente fattori naturali e fattori
umani, e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono nell’ area determinata.
Prima, per la dottrina italiana le differenze esistenti tra la mera indicazione di provenienza (ad es. “vino toscano”,
“arance siciliane”) e la denominazione di origine controllata o DOC, erano date dal fatto che alla prima era
attribuito il ruolo di segnalare semplicemente il luogo di produzione del prodotto, mentre con la seconda si dava
conto non solo dei fattori geografici ma anche dei fattori umani, nel senso che la qualità del prodotto era
attribuibile, oltre che al clima, al suolo e al sottosuolo di quel territorio, anche agli usi sperimentati e costanti di
produzione e di elaborazione, includendo così nella denominazione anche la tecnica di produzione di quell’ area.
La conseguenza era che nell’ ipotesi di indicazione di provenienza era necessario solo che fosse garantita la
veridicità del messaggio; nell’ ipotesi di denominazione di origine controllata invece, occorreva che il produttore
di quell’ area geografica fosse rispettoso del disciplinare che regolava la concessione dell’ uso della doc.
Oggi la registrazione a livello comunitario dei nome dell’ IGP e della DOP è compiuta sempre sulla base di un
disciplinare cui i produttori devono adeguarsi per poter fregiare i propri prodotti con il segno corrispondente alla
IGP o alla DOP e il fattore umano rileva in qualche modo anche nella IGP.
Ne deriva che la differenza fra IGP e DOP sta nel fatto che con la seconda viene indicato in prodotto agricolo il
cui intero ciclo produttivo, dalla produzione della materia prima fino all’ ottenimento del prodotto finito, è
localizzato in una determinata area geografica (comprensiva di fattori naturali e di fattori umani) alla quale sono
attribuibili le qualità del prodotto, mentre con la prima viene designato un prodotto agricolo il cui processo
produttivo non è necessario che si svolga tutto all’ interno di una determinata area geografica alla quale tuttavia
possa farsi risalire la reputazione o delle qualità o delle caratteristiche del prodotto stesso.
Ogni Stato membro deve poi creare delle “strutture di controllo”, pubbliche o private o miste, che controllino che i
prodotti con IGP o DOP rispondano ai requisiti dei disciplinari, e devono garantire che il produttore che rispetta il
disciplinare abbia “diritto di accesso al sistema di controllo”.
In Italia è il MiPAAF ad occuparsi di questi controlli. Prima si occupavano di questi controlli gli stessi Consorzi,
ma il consorzio finiva con l’ essere allo stesso tempo controllore e controllato, e si creandosi in questo modo una
sovrapposizione.
Attualmente i Consorzi hanno in merito funzioni propositive e consultive, di definizione di programmi e di
adozione di delibere che, se approvati del MiPAAF, valgono per tutti i consorziati.
I costi dell’ attività dei Consorzi di tutela sono sostenuti da tutti gli utilizzatori della denominazione anche se non
aderenti alla struttura consortile.
Il “diritto di accesso” al sistema di controllo di cui abbiamo parlato prima, consiste nel diritto dell’ imprenditore di
richiedere all’ organismo di controllo la certificazione che egli rispetta il disciplinare, e dunque che è legittimato a
servirsi delle IGP o delle DOP. Ne consegue che il rispetto del disciplinare implica, il diritto di servirsi del nome
geografico, contro chi di tali segni non può avvalersi, e quindi indirettamente ha funzione concorrenziale.
La tutela delle denominazioni geografiche non è rimessa solo alle azioni civilistiche contro la concorrenza sleale,
ma anche ad eventuali sanzioni penali e sanzioni amministrative, per il loro uso indebito.
Con queste sanzioni si intende combattere l’ utilizzazione indebita di un nome geografico notoriamente indicativo
di prodotti tipici e di qualità, non solo per evitare che imprenditori senza scrupoli approfittino della fama e della
reputazione di un certo prodotto per smerciare i propri prodotti, simili ma mancanti di quelle qualità
organolettiche che soltanto il terreno ed il clima di una determinata area geografica sono capaci di attribuire, ma
anche di impedire che il nome si “volgarizzi” e perda di istintività.

CAPITOLO VIII :
L’ AZIENDA AGRICOLA E LA SUA CIRCOLAZIONE

1. L’ AZIENDA AGRICOLA COME COMPLESSO ORGANIZZATO DI “BENI”

Parliamo ora delle differenze tra fondo attrezzato ed azienda.


L’ azienda non può confondersi interamente con il fondo rustico.
Non può accettarsi la tesi che vi sia in agricoltura una perfetta assimilazione tra fondo rustico ed azienda, tesi
sostenuta da Giuseppe Valeri che all’ entrata in vigore del codice del 1942 affermava che “esercitare il diritto di
proprietà sul fondo attrezzato equivale ad esercitare l’ impresa agricola”.
L’ affermazione di Valeri è stata per un cinquantennio ripetuta nei nostri manuali.

33

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

L’ azienda agricola è un complesso organizzato di beni, beni in cui rientrano :


a) cose corporali, di per se idonee allo scambio e alla capacità di essere oggetto del diritto di proprietà;
b) beni immateriali, come le invenzioni, le opere dell’ ingegno e i segni distintivi dell’ azienda e dei
prodotti;
c) i “servizi” che circolano e si scambiano sul mercato in forza di un contratto di lavoro o di opera o che
consente al lavoratore di cedere le proprie energie, le proprie capacità, il proprio potere creativo, senza
alienare se stesso come uomo;
d) i contratti in quanto elementi concretamente legati all’ esercizio di un’ attività rivolta a realizzare un
ulteriore fine economico protetto mediante il diritto sull’ azienda;
e) i diritti di credito come oggetto di un godimento indiretto e mediato attraverso l’ organizzazione costituita
per lo svolgimento di un’ attività economica e dunque come beni che divengono tali in quanto e soltanto
perché inseriti in una determinata organizzazione funzionale;
f) i privilegi, i contingentamenti, le concessioni, le autorizzazioni, le largess, biens patrimoniaux o new
properties, anche essi rilevanti in modo oggettivo perché funzionalmente coordinati all’ esercizio di un’
attività imprenditoriale e goduti in modo mediato attraverso la costituita organizzazione aziendale.

2. LE PROBABILI RAGIONI DELLA SCORRETTA OMOLOGAZIONE FONDO ATTREZZATO-


AZIENDA AGRICOLA

Abbiamo detto che l’ azienda è l’ organizzazione di vari strumenti per la produzione di utili; nell’ azienda
commerciale nessuno di questi strumenti è in grado naturalisticamente di produrre beni; i beni (prodotti) si
ottengono solo svolgendo l’ attività economica; l’ utile è dato dal ricavo dei beni prodotti dedotte tutte le spese, le
spese occorrenti per l’ acquisto delle materie prime, per i contratti di utenza, per le assicurazioni, per i trasporti, il
salario spettante agli operai e lo stipendio spettante agi impiegati.
Nell’ esercizio dell’ attività agricola invece vi è un elemento dell’ organizzazione, la terra, capace per sua natura
di produrre frutti, cioè beni che possono essere facilmente scambiati per gli utili.
È evidente che i frutti naturali della terra non possono essere considerati utili o redditi, dato che anche essi
rappresentano nel conto economico solo le entrate che occorrerà depurare da tutte le spese al fine di avere l’ utile.
Il fondo rustico è uno dei tanti beni strumentali che l’ agricoltore organizza per ottenere utili.
Dobbiamo vedere se c’è qualche specifico referente normativo capace di segnare in modo inequivocabile, la
differenza ontologica tra fondo attrezzato ad azienda agricola, nonché quando sia possibile avvertire il momento
del “passaggio” dal fondo attrezzato all’ azienda agricola.
Sono gli stessi articoli 817 e 2555 c.c. che danno conto della differenza, e non solo per la diversità delle entità che
ricorrono nel complesso pertinenziale (cose intese secondo la loro corporalità), rispetto alle entità che fanno parte
dell’ azienda (beni intesi non solo come beni corporali, ma anche come entità incorporali come servizi, contratti,
crediti, privilegi), ma anche e soprattutto perché il complesso pertinenziale è creatura del proprietario del fondo
rustico, mentre l’ azienda agricola è creatura dell’ imprenditore agricolo che potrebbe non essere proprietario del
terreno.
Il problema dell’ individuazione del cuore dell’ azienda non è un problema da poco.
L’ azienda è il complesso di beni organizzato per l’ esercizio dell’ impresa (art.2555 c.c.), è questo è un
complesso dinamico, mentre la destinazione di una cosa al servizio o all’ ornamento di un’ altra (art.817 c.c.) è un
qualcosa di statico.
La Suprema Corte ritiene che si abbia trasferimento d’ azienda quando “ferma restando l’ organizzazione del
complesso dei beni destinati all’ esercizio dell’ impresa, si abbia la sostituzione della persona del titolare”.
Siamo pervenuti ad una non identità concettuale tra complesso pertinenziale ed azienda (il primo come somma, e
la seconda come sintesi di utilità, caratterizzati entrambi da un’ unica vicenda giuridica per propagazione degli
effetti dalla cosa principale alle cose accessorie nel primo (art.818 c.c.) e per la sussunzione dei vari beni nel
“tutto” della seconda (art.2556 c.c.)), non esima, anzi obbliga a definire cosa sia sul piano del diritto l’ azienda e
per conseguenza, l’ azienda agricola.

3. L’ AZIENDA COME UNIVERSITAS

La tesi dell’ azienda come un unico bene immateriale, rappresentato dall’ idea organizzativa, diversa dai singoli
beni ma nucleo centrale e di attrazione di tutti gli elementi organizzati, non trova oggi più consenso nella dottrina
italiana.
La disputa attuale è tra i sostenitori della c.d. teoria atomista, per la quale l’ azienda non sarebbe un unico oggetto
unitario, ma solo una pluralità di beni giuridicamente disarticolati, ed i sostenitori della universitas i quali rilavano
che le formule degli artt.2556, 2561 e 2562 c.c., e quella dell’ art.670 n.1 c.p.c. (sequestro dell’ azienda e delle

34

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

altre “universalità di beni”) risultano ispirate da esigenze unitarie dal complesso, sicché sostengono che al genere
logico dell’ universalità di beni corrispondano nel concreto la specie delle universalità di cose mobili (art.816) e
dell’ azienda (art.2555), con la conseguente affinità tra l’ azienda e l’ universalità di cose.
Se è vero che nell’ universalità di mobili (art.816) vi è un’ aggregazione di cose (si parla di universitas rerum e
universitas facti), mentre l’ azienda è caratterizzata da una profonda eterogeneità dei suoi elementi (beni mobili ed
immobili e diritti, ossia univeritas iurium o universitas iuris), la problematica dell’ azienda non può che essere
risolta sulla base delle sue specifiche disposizioni normative, che appaiono secondo la dottrina e la giurisprudenza
determinare un’ unificazione del complesso aziendale secondo la formula dell’ universalità di beni.
Per il giurista romano Pomponio, le res si distinguevano in corpora unita (cose semplici), in corpora ex
contingenti bus (cose composte), ed in corpora ex distanti bus (cose complesse).
Nella cosa complessa da una pluralità ontologica di cose si passa ad un’ unitaria considerazione logica, per cui
secondo il diritto le varie cose sono considerate una cosa ed un nuovo oggetto e come tale sono regolate.
Sul piano economico l’ azienda non è una semplice addizione degli elementi che la compongono, ma è un
complesso ed una sintesi di beni organizzati : sicché la destinazione funzionale dei vari beni è ciò che li unifica sul
piano dell’ economia.
Per il diritto l’ azienda è intesa come un unico nuovo oggetto sotto la specie delle universalità, e questo può
evincersi anche da come il legislatore attraverso vari articoli del codice civile (artt.2556, 2661, 2562), si riferisce
all’ azienda come un quid unitario e non come una somma di singoli elementi.

“L’ esserci dell’ azienda” modifica le regole che concernono i singoli beni che la compongono :
a) se i singoli beni circolano senza vincoli di forma, quando sono organizzati in azienda richiedono la prova
scritta (art.25561.1 c.c.);
b) se i singoli beni circolano senza bisogno di pubblicità, quando sono organizzati in azienda la richiedono
(art.2556.2 c.c.);
c) gli atti di disposizione dei beni organizzati in azienda sono arricchiti dagli effetti del dirritto dio
concorrenza (art.2557 c.c.);
d) la cessione dei crediti dell’ azienda si svolge secondo un paradigma diverso da quello ex art.1264 c.c.
(art.2559 c.c.);
e) la cessione dei rapporti di lavoro si verifica in modo automatico in caso di trasferimento dell’ azienda
(art.2112 c.c.);
f) la cessione dei contratti dell’ azienda pretende requisiti diversi da quelli richiesti dall’ art.1406 c.c.
(art.2558 c.c.).

Possiamo quindi accettare la tesi che riconosce nell’ azienda una universitas.
È irrilevante l’ appartenenza dei beni facenti parte del complesso aziendale all’ imprenditore, la forza unificatrice
della loro destinazione all’ esercizio dell’ impresa è tale da travalicare il requisito della loro appartenenza in
proprietà alla stessa persona.
Ciò che ci preme più di tutto, al di là delle varie discussioni in dottrina, è che è sicuro che la titolarità dell’ azienda
è riconosciuta all’ imprenditore.

4. L’ AVVIAMENTO

L’ elemento coagulante dei beni che costituiscono l’ azienda è dato dall’ organizzazione, ossia dal modo con cui i
beni stessi vengono coordinati ed utilizzati per l’ esercizio di attività economica in forma imprenditoriale.
L’ organizzazione è dunque un modo di essere di beni aziendali, che si traduce in una maggiore o minore
efficienza del complesso, e quindi in maggiori o minori guadagni.
L’ aspettativa di lucri futuri viene detta “avviamento” e il suo coefficiente è la clientela, ossia l’ insieme di
persone che tendenzialmente in modo permanente, domandano i prodotti ed i servizi di quell’ imprenditore.
La tesi dominante in dottrina e in giurisprudenza è quella che considera l’ avviamento una qualità dell’ azienda e
non uno dei suoi beni.
Il primo caso giudiziario in cui si parlò di avviamento risale al 1620, quando davanti ad una corte inglese, si
discuteva della legittimità dell’ impegno di un mercante che nel cedere tutta la sua scorta di merci ad un prezzo
superiore a quello di inventario, si era obbligato a non fare concorrenza all’ acquirente (in sostanza si discuteva
del fatto che l’ acquirente avesse acquistato il diritto di controllare l’ offerta di certi beni ad opera della sua
controparte, e dunque del diritto di pretendere che l’ ordinamento vietasse al venditore dell’ azienda di smerciare
ulteriormente quei particolari prodotti, in poche parole il cedente si astiene dallo svolgere in futuro la stessa
attività già esercitata, ceduta con l’ azienda).

35

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Nella pratica degli affari viene riconosciuto al complesso organizzato, un valore economico più alto della somma
dei valori dei singoli beni, questo sovraprezzo è imputato all’ avviamento, che l’ art.2426.1, n.6, c.c., permette di
iscriverlo nell’ attivo di bilancio qualora sia stato acquistato a titolo oneroso, e ciò obbligherebbe a considerarlo
necessariamente come un bene aziendale, conclusione questa che non trova molti consensi in dottrina.

Definito come qualità dell’ azienda, l’ avviamento dipende :


a) dall’ ubicazione o avviamento di posizione;
b) dall’ organizzazione oggettivamente intesa (ad es. qualità degli impianti, competenza dei dipendenti);
c) dalla capacità e dal prestigio dell’ imprenditore, o avviamento soggettivo.

Ma poiché tutto dipende dall’ imprenditore (anche la scelta del luogo dove impiantare l’ azienda e la scelta dei
dipendenti), l’ avviamento esprime la capacità del soggetto di avere successo negli affari : il sovraprezzo dell’
avviamento altro non è che la saggezza dell’ imprenditore nello scegliere e nel coordinare i vari elementi che
occorrono per vincere la gara per l’ acquisizione del mercato.
Parlando di avviamento in agricoltura, esso veniva ricollegato alla qualità della terra, cui si faceva discendere la
capacità di profitto dell’ agricoltore.
Il successo dell’ agricoltore si faceva dipendere in maniera esclusiva da fattori intimamente connessi al suolo, e
quindi dalla posizione geografica, dal clima, dall’ altitudine e dalla natura geologica del terreno che incidono sulla
fertilità.
Ma dobbiamo precisare che, se l’ avviamento altro non è che la capacità di profitto dell’ azienda, va detto che la
probabilità di guadagno dell’ agricoltore non dipende solo dal fatto che ha impiantato l’ azienda su un terreno
fertile , ma anche dal fatto che egli ha introdotto coltivazioni adatte, eseguito specifici miglioramenti, adottato
rotazioni convenienti, scelto dipendenti capaci ed efficienti, procurato ai propri prodotti rilevanti sbocchi sul
mercato, attratto la clientela con marchi individuali e marchi collettivi di prestigio, nonché con attestati di
biologicità o di qualità. Negare tutto questo sarebbe negare la realtà.

Una monetizzazione della perdita della propria organizzazione aziendale viene riconosciuta all’ agricoltore in due
determinate situazioni :
a) in caso di esproprio del fondo, l’ agricoltore agricolo (tanto se proprietario, quanto se affittuario), ha
diritto ad un’ indennità aggiuntiva pari a quella del valore agricolo del terreno;
b) in caso di “risoluzione incolpevole” del contratto, l’ affittuario tanto se coltivatore diretto, quanto se
conduttore capitalista, ha diritto ad un equo indennizzo.

Possiamo serenamente affermare che l’ indennità aggiuntiva e l’ equo indennizzo altro non sono che il
corrispettivo per la “disintegrazione” dell’ azienda agricola, ossia per la perdita di quel particolare modo con cui l’
agricoltore aveva organizzato, su quel terreno, la sua attività imprenditoriale.
Alla luce di tutte queste informazioni possiamo dire che anche in agricoltura si può parlare di avviamento come
qualità dell’ azienda, se è vero che vi sono ipotesi in cui è previsto il diritto dell’ agricoltore ad essere
indennizzato dalla “perdita” della sua organizzazione.

5. LA CESSIONE DELL’ AZIENDA E L’ ART.2557 C.C.

Parliamo ora della cessione dell’ azienda.


Due sono le considerazioni preliminari da farsi : innanzitutto nell’ ipotesi di trasferimento dell’ azienda (per
compravendita, per usufrutto, per affitto), il cessionario aspira all’ intero potenziale economico espresso dall’
organizzazione aziendale, e dunque anche alla clientela; in secondo luogo, tra i possibili concorrenti del
cessionario è il cedente quello che riveste la posizione più temibile e pericolosa, non solo perché egli conosce i
punti deboli dell’ azienda ceduta, ma anche perché per lui è facile “recuperare” la vecchia clientela.
Ne consegue che se alla cessione dell’ azienda non fosse imposto al cedente un divieto di concorrenza, si
vanificherebbero le aspettative dell’ acquirente.
Ecco perché nella prima formula dell’ art.2557 c.c., il divieto di concorrenza a carico dell’ imprenditore che
cedeva la sua azienda, era considerato quale effetto naturale del negozio traslativo in attuazione del principio di
esecuzione del contratto secondo buona fede.
La particolarità dell’ art.2557 c.c. che a noi interessa non è data tanto dal fatto che l’ alienante deve astenersi per
cinque anni dall’ iniziare una nuova impresa, che per oggetto, ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la
clientela dell’ azienda ceduta, quanto invece dal fatto che il legislatore parla esplicitamente di “azienda agricola” e
che detta una specifica disciplina per la sua cessione.

36

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

Più precisamente il 5° comma dell’ art.2557 c.c. stabilisce che il divieto di concorrenza è imposto al cedente solo
nell’ ipotesi in cui siano svolte attività connesse e quando rispetto ad esse sia possibile lo sviamento della clientela
In altre parole, il principio temporaneo di concorrenza in caso di cessione dell’ azienda (regola) non vale nell’
ipotesi di cessione dell’ azienda agricola (eccezione), ma torna a valere quando si tratti di cessione di azienda
agricola organizzata anche per l’ esercizio di attività connesse.
Come sappiamo l’ attività dell’ imprenditore agricolo si conclude con la vendita dei prodotti : sicché l’ art.2557.5
c.c. ha per riferimento la cessione dell’ azienda agricola a cui l’ imprenditore ha “impresso” l’ esercizio delle
attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti,
nonché la fornitura dei servizi, l’ esercizio di attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e
forestale, e l’ esercizio di ricezione ed ospitalità di tipo turistico.
È necessario tener presente anche l’ altra regola contenuta nell’ art.2557 c.c., ossia la disposizione che consente
alle parti di negoziare un patto di astensione della concorrenza ma che ne sancisce la validità solo nei limiti di
durata di cinque anni e purché “non impedisca ogni attività professionale dell’ alienante”.
Possiamo poi aggiungere un ulteriore considerazione per spiegare la ratio dell’ art.2557.5 c.c. ossia la
constatazione che qualora il cedente volesse continuare a fare l’ agricoltore, non ha la possibilità di costituire ex
novo un’ azienda, potendo solo insediarsi su un’ altra azienda agricola già esistente, migliorandone, se ne è
capace, l’ organizzazione.
Quindi qualora voglia, o non sappia fare altro, l’ agricoltore cedente, può impiantare un’ azienda su un altro fondo
rustico, purché essa sia limitata ad attività essenzialmente agricole come la coltivazione, la silvicoltura e l’
allevamento, senza estendersi per cinque anni alle attività connesse in precedenza esercitate nell’ azienda ceduta.

6. LA CESSIONE DELL’ AZIENDA ED IL SUBENTRO DEL CESSIONARIO NEI CONTRATTI DELL’


IMPRESA

L’ aspetto caratteristico dell’ azienda (come complesso di beni organizzati), impone che non si possa parlare di
cessione dell’ azienda se non trapassino nel cessionario tutti i valori economici che la fanno più o meno grande.
La cessione dell’ azienda implica dunque la cessione dei beni essenziali che se nel settore industriale possono
essere rappresentati dal semplice know-how o da una ricetta segreta, nel settore agricolo non possono che essere la
terra, il bosco o il bestiame.
Come abbiamo già detto però, l’ azienda è composta da una pluralità di beni che possono appartenere all’
imprenditore anche a titolo diverso dalla proprietà. Anzi si è precisato che i beni aziendali non sono solo cose
corporali, ma anche beni immateriali, servizi, diritti di credito, contratti, concessioni ed autorizzazioni
amministrative : sicché il titolare dell’ azione gode dei beni che la compongono in forza di distinti diritti di
godimento reale e personale in virtù di contratti stipulati con terzi o di privilegi concessegli dalla pubblica
amministrazione.
Orbene, se l’ acquirente dell’ azienda deve acquisire l’ intero potenziale economico di questa, occorre che con l’
unico negozio di trasferimento dell’ azienda (art.2556 c.c.) avvenga la circolazione dei diritti sui beni corporali ed
immateriali e delle posizioni giuridiche attive e passive correlate ai contratti ed alle autorizzazioni o concessioni
amministrative che la compongono.
È per questo che il codice disciplina in caso di cessione dell’ azienda, la circolazione dei contratti (art.2558 c.c.),
dei crediti (art.2559 c.c.) e dei debiti aziendali (art.2560 c.c.), nonché dei contratti di consorzio (art.2610 c.c.) e di
quelli di lavoro (art.2112 c.c.), di mezzadria e di colonia parziaria (art.2160 c.c.), derogando alle norme ordinarie
di circolazione dei contratti, dei crediti e dei debiti.
Per ciò che riguarda la disciplina della circolazione dei contratti conclusi dall’ imprenditore alienante, essa è
sostanzialmente identica in tutte le ipotesi : l’ acquirente subentra nel contratto, salvo la possibilità del contraente
ceduto di recedere dallo stesso, entro uno (artt.2610 e 2160 c.c.) o tre mesi (art.2558 c.c.) dalla notizia del
trasferimento, qualora sussista una giusta casa nei casi disciplinati dagli artt.2558 e 2610, o per mera sua volontà
contraria nel caso di contratto di lavoro o di contratto agrario associativo (art.2160 c.c.). Peraltro al di là degli
specifici casi di circolazione dei contratti di consorzio, di lavoro e di associazione agraria, nonché dei contratti di
coltivazione, allevamento e fornitura, il legislatore detta nell’ art.2558 c.c., la disciplina generale del subentro da
parte dell’ acquirente dell’ azienda, nei contratti stipulati dall’ imprenditore alienante, stabilendo che “se non è
pattuito diversamente, l’ acquirente dell’ azienda subentra nei contratti stipulati per l’ esercizio dell’ azienda stessa
che non abbiano carattere personale”.
Vanno fatte allora tre considerazioni :
a) il subentro nella posizione attiva e passiva di contraente avviene ex lege quale effetto automatico del
contratto di trasferimento dell’ azienda;
b) la possibilità di escludere volontariamente e pattiziamente dal trasferimento dell’ azienda, alcuni contratti
è necessariamente limitata ai c.d. contratti dell’ impresa, ovverossia quei contratti che l’ imprenditore

37

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

stipula per l’ esercizio della sua attività, dovendosi nettamente distinguere i contratti con i quali sono stati
acquisiti i beni essenziali per la stessa esistenza dell’ azienda;
c) è necessario che i contratti non abbiano carattere personale, ovverossia che non siano caratterizzati dall’
intuitus personae, cioè dalla natura soggettivamente infungibile della prestazione che per sua natura o per
disciplina legale non è ne trasmissibile mortis causa, ne cedibile inter vivos.

Quindi se la cessione dell’ azienda implica necessariamente il trasferimento dei beni essenziali (mentre potrebbero
non essere trasferiti quelli non essenziali, come ad esempio la ditta ed il marchio individuale), la cessione dell’
azienda agricola importa che il cessionario acquisti sulla terra e sul bosco lo stesso diritto che il cedente su tali
beni essenziali aveva.
Nessun problema sorge quando l’ imprenditore agricolo è proprietario della terra o del bosco. Il problema invece
si pone se l’ imprenditore agricolo è titolare del diritto di godimento della terra in forza di un contratto di affitto.
Posto che la terra è bene fondamentale dall’ azienda agricola, se il titolare dell’ azienda non fosse in grado di far
subentrare l’ acquirente nel contratto di affitto del fondo rustico e dunque s limitasse a trasferirgli solo gli altri
beni (ad es. trattori, macchine, tini…) non si avrebbe cessione di azienda perché l’ acquirente non potrebbero
esercitare la stessa attività del cedente.

7. SEGUE : LE CESSIONE DELL’ AZIENDA COSTITUITA SU TERRENO ALTRUI ; IL PROBLEMA


DELLA CESSIONE DELL’ AFFITTO

Ora parleremo della cessione del contratto di affitto di fondo rustico.


Nel 1942 il legislatore aveva attribuito all’ affitto le caratteristiche di contratto intuitu personae, dipendendo la
sostituzione di altri all’ affittuario sempre dal consenso del locatore.
Punto di partenza di questa disciplina è l’ art.21 della legge 3 maggio 1982 n.203, il quale vieta “i contratti di
subaffitto, di sublocazione e comunque di sub concessione dei fondi rustici”, tralasciando di inserire nel divieto la
cessione dell’ affitto.
L’ omissione della fattispecie “cessione dell’ affitto” nella formula dell’ art.21, l.203/1982, è stata volutamente
disposta dal legislatore.
In altre parole oggi e in via generale, la cessione del contratto di affitto di fondi rustici non è vietata e la sua
disciplina è rimessa alle regole ordinarie del codice, ovverossia gli artt.1406 e 1594 c.c. che richiedono il
consenso del ceduto.
L’ art.48, ultimo comma della l.203/1982 prevede la possibilità per l’ affittuario, in assenza di famiglia
coltivatrice, di cedere, senza il consenso del locatore, il proprio contratto ai familiari che lo coadiuvano e che
esercitano attività agricola a titolo principale.
Inoltre l’ affittuario che abbia effettuato miglioramenti, ha la potestà di cedere, senza necessariamente il consenso
del locatore, il contratto ai familiari ancorché non coadiuvanti ne agricoltori a titolo principale.
Possiamo dire quindi che oggi è venuta meno la natura personale della prestazione, la cui fungibilità/infungibilità
non dipende dalla volontà del locatore, ma (ovviamente in determinate situazioni come quelle descritte sopra)
dalla volontà dell’ affittuario, senza che nelle suddette ipotesi il locatore possa nemmeno esprimere una volontà di
recesso.
Può dirsi quindi che il contratto di affitto di fondo rustico :
a) non è un contratto di cui si possa convenire la non-cessione;
b) non è legalmente disciplinato in modo che ne sia vietata la cessione;
c) non è caratterizzato dall’ intuitu personae che ne impedisce la cessione.

Può concludersi che quando è l’ affittuario di fondo rustico ad organizzare , sul terreno altrui, la sua azienda, egli
può cedere, appunto perché nel contratto di affitto della terra subentra automaticamente, ex art.2558 c.c., l’
acquirente, con la sola possibilità per il locatore del fondo, contraente ceduto, di recedere, entro tre mesi, dal
contratto di affitto qualora però sussista una giusta causa.
È inoltre ammissibile trarre un’ ulteriore conclusione : il nostro ordinamento rende possibile la circolazione di
tutte le aziende agricole e non solo di quelle gestite da imprenditori che siano anche proprietari del fondo rustico
su cui esse sono esercitate.
Così la dottrina riconosce che anche l’ affittuario di fondi rustici, cui è consentito cedere la sua azienda, possa
capitalizzare il frutto del suo lavoro e della sua capacità professionale, trasformando in valore di scambio il
proprio successo negli affari.

38

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

8. LA SUCESSIONE NEL COMPENDIO UNICO E NELL’ AZIENDA FAMILIARE COLTIVATRICE

L’ azienda come complesso di beni organizzati per l’ esercizio dell’ impresa pretende di essere conservata,
passando indenne attraverso le vicissitudini che riguardano la persona dell’ imprenditore.
Ora parleremo del fenomeno successorio per ciò che riguarda l’ azienda agricola e non solo la proprietà del fondo
rustico.
Nello specifico parliamo degli istituti del compendio unico e della successione anomala.

Iniziamo dal compendio unico. Questo istituto è diretto a tutelare l’ integrità fondiaria dei terreni costituiti in
compendio unico, perché ne è stabilità la decennale indivisibilità per atti inter vivos e mortis causa.
La suddetta indivisibilità reagisce anche con riguardo all’ integrità aziendale nel caso di successione, perché
impone che il compendio che necessariamente è stato organizzato in azienda agricola, passi tutto intero all’ erede
che ne chiede l’ attribuzione preferenziale.
Se nessuno degli eredi chiede l’ attribuzione preferenziale, è disposta la revoca degli aiuti comunitari e nazionali e
delle quote di produzione che erano stati assegnati all’ imprenditore defunto per i terreni oggetto della
successione. In questo modo gli eredi vengono sollecitati a continuare nell’ esercizio dell’ azienda del de cuius.

Quanto alla successione anomala, da collegarsi al disposto dell’ art.230 bis c.c. sull’ ereditarietà dell’ impresa
familiare, con lo scopo di evitare lo smembramento dei fattori produttivi allorché il titolare o uno dei suoi titolari
muoia, occorre fare due premesse.
Prima premessa. In caso di morte, i diritti che il defunto vantava sull’ azienda e sui singoli beni aziendali
trapassano ai suoi eredi, i quali possono già essere membri dell’ impresa familiare o possono esserle estranei.
Qualora tali eredi non intendano continuare l’ attività economica intrapresa o non possano assumerla, e dunque
non vogliano divenire membri partecipi dell’ impresa familiare, e si proceda alla divisione ereditaria, alla quale
concorrono tutti od alcuni dei partecipanti originari dell’ impresa familiare, ecco che la legge preferisce costoro
nell’ assegnazione dell’ azienda, essi “hanno diritto di prelazione sull’ azienda”.
Seconda premessa. L’ affitto forzoso delle quote dei coeredi del quale è titolare ex lege l’ erede preferito, è
possibile in quanto quest’ ultimo coltivava o conduceva il fondo assieme al defunto proprietario dello stesso. In
altre parole, per il fatto della coltivazione o della conduzione in comune, tra il de cuius ed il familiare (che poi
sarà preferito dal legislatore) si era instaurata un’ impresa familiare, e dunque si era formata un’ azienda.
Per ciò al momento della morte dell’ originario proprietario del fondo rustico, cadono in successione tanto la terra
quanto la quota parte dei beni aziendali che a lui personalmente appartenevano. Ne deriva che il prezzo del
conguaglio non sarà rapportato al valore di tutta l’ azienda, ma solo a quello dei beni che erano del de cuius.
In questi casi ai familiari già collaboratori del defunto, è riconosciuto il diritto di continuare l’ attività agricola,
servendosi dell’ azienda familiare, questo in via transitoria.
Quando poi i coeredi chiedano la divisione l’ art.230 bis c.c. assicura la conservazione dell’ unità aziendale
riconoscendo il diritto di prelazione agli eredi partecipi, i quali però sono tenuti al pagamento dell’ eventuale
conguaglio a favore dei coeredi non preferiti.

9. LA SUCCESSIONE NELL’ AZIENDA COSTITUITA SU TERRENO ALTRUI : LA SUCCESSIONE


NEL CONTRATTO D’ AFFITTO

Ogni volta che un imprenditore organizza un complesso di beni per l’ esercizio di un’ attività economica si ha un’
azienda.
Pertanto è un’ azienda agricola quella che l’ affittuario di un fondo rustico organizza attorno al terreno preso in
affitto.
Il fondo rustico è nella composizione dell’ azienda agricola, l’ elemento fondamentale e caratterizzante, sicché
senza di esso, non è possibile pensare all’ esercizio imprenditoriale della coltivazione del campo o della selva.
Orbene la vicenda circolatoria mortis causa del contratto di affitto è così disciplinata : in caso di morte dell’
affittuario il contratto non si scioglie ma continua, qualora “tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e
continui ad esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore a titolo principale” o
meglio di imprenditore agricolo professionale.
Dobbiamo ora analizzare nello specifico quando l’ erede è un coltivatore diretto.
In tal caso sorge un problema, per il quale in presenza di impresa familiare coltivatrice, il rapporto di affitto
continua in caso di morte o di dimissioni di familiari, purché il familiare rimasto sia capace di soddisfare un terzo
delle esigenze lavorative del fondo affittato.
Vi è un conflitto tra la regola che riguarda il subentro dell’ erede nel contratto d’ affitto, e quella che disciplina la
continuazione del rapporto di affitto in caso di morte di coloro che fanno parte della famiglia coltivatrice.

39

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

La necessità di escludere la concorrenza fra queste due regole impone di ritenere :


a) che quando l’ erede coltivatore diretto faceva già parte della famiglia coltivatrice, non si ha successione
nel contratto d’ affitto ma continuazione del rapporto agrario;
b) che quando non esisteva impresa familiare coltivatrice e tranne nell’ ipotesi in cui il familiare fosse
vincolato da un contratto di lavoro con l’ affittuario, l’ erede successore nel contratto d’ affitto debba
svolgere la sua attività agricola, come coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, su un
fondo diverso da quello oggetto del contratto caduto in successione;
c) che il fatto che il successore sia individuato come “erede” qualifichi il subentro nel contratto d’ affitto
giuridicamente si come successione a causa di morte, ma come ipotesi di successione a titolo particolare
peraltro anomala, dato che il subentro si verifica in capo al successore “idoneo”, senza necessità di una
sua accettazione, salva naturalmente la facoltà di rinuncia.

Il fatto che esistano della regole che attribuiscono il diritto di succedere in via preferenziale fa si che non operi più
il principio di eguaglianza fra gli eredi, e che non abbia spazio di operatività il principio dell’ intuitu personae che
un tempo caratterizzava il contratto d’ affitto.
In virtù dell’ art.1627 c.c. in caso di morte dell’ affittuario tutti gli eredi succedono nel contratto con possibilità dl
locatore di recedere entro tre mesi dalla morte della controparte mediante disdetta da comunicarsi con un
preavviso di sei mesi.

10. L’ AFFITTO DI AZIENDA AGRICOLA

Ma se l’ azienda agricola è ontologicamente diversa dal fondo attrezzato, è possibile pensare ad un affitto di
azienda agricola (art.2562 c.c.) e come tale ad un contratto che sfugga alla legislazione speciale che ha per oggetto
l’ affitto di fondi rustici?
La dottrina è divisa.
Occorre ricordare che tutta l’ evoluzione normativa è nel senso della riduzione dei contratti agrari nell’ unico tipo
legale dell’ affitto.
Partendo da questo dato storicamente certo, passiamo alla lettura combinata degli artt. 58, 45 e 27 della
l.203/1982.
Si rileva che l’ art.58 afferma il principio di inderogabilità della legislazione speciale : sicché in caso di clausole
pattizie difformi da quanto disposto dalla legge, ci sarà la loro sostituzione di diritto con le clausole fissate dalla
legge, e ciò in virtù delle regole degli artt.1339, 1418.1, 1419 c.c.
Tale principio può essere eluso qualora le parti contraenti vengano assistite dalle associazioni sindacali ai sensi
dell’ art.45 (autonomia negoziale assistita) in quanto in contratto che possono stipulare non può che essere diretto
a realizzare interessi meritevoli di tutela (art.1322.2 c.c.).
L’ autore del libro è d’ accordo con quella dottrina seconda la quale la libertà negoziale, è anche quella di poter
modificare la “clausole” legali dell’ unico contratto agrario (avente ad oggetto la concessione di fondi rustici) oggi
ammesso dall’ ordinamento, quello di affitto appunto.
Analizziamo l’ ultimo articolo citato prima, l’ art.27, secondo cui il contratto di affitto di fondo rustico è il
contratto agrario che ha per oggetto la concessione di un fondo rustico, o tra le cui prestazioni vi sia il
conferimento di un fondo.
Nell’ affitto d’ azienda però, il bene oggetto del contratto, non è il fondo rustico, ma un complesso organizzato di
beni costituenti poer il diritto una universitas : sicché quando si discute di contratti agrari aventi ad oggetto la
concessione del fondo si parla di altra cosa, di un qualcosa di estremamente diverso dal contratto il cui oggetto è
la concessione di un’ azienda.

11. L’ ESPROPRIO DEL FONDO RUSTICO E L’ INDENNIZZO DELLA PERDITA DELL’ AZIENDA

Il rilievo dell’ azienda agricola come diversa dal fondo rustico è evidente quando si esamina la disciplina dell’
espropriazione per pubblica utilità.
L’ indennità spetta a coloro che hanno la proprietà dei terreni soggetti ad espropriazione perché al loro valore
essa è commisurata.
Quando l’ immobile è locato od affittato, il terzo non ha azione diretta nei confronti dell’ espropriante, ma
esclusivamente nei riguardi dell’ espropriato al quale è attribuito il ristoro delle utilità derivanti dalla cosa e perciò
anche di quelle che, per diritto personale, sono invece di spettanza di terzi : e si parla di indennità unica.
L’ unicità dell’ indennizzo è stata “spezzata” in una parte risarcitoria del valore del terreno ed in altra parte
risanatoria dell’ attività di coltivazione, che a seguito dell’ esproprio, viene dismessa : al proprietario coltivatore

40

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)
lOMoARcPSD|4491718

diretto o imprenditore agricolo professionale spetta infatti un’ indennità aggiuntiva di ammontare pari all’
indennità di esproprio, indennità che è ugule al valore agricolo corrispondente al tipo di coltura effettivamente
praticato.
Altro aspetto rilevante è dato dal fatto che ove esista contratto agrario, le indennità vengono percepite
separatamente dal proprietario del terreno e dall’ affittuario che coltivi il fondo da almeno un anno.
Inoltre, in caso di cessione volontaria del terreno, è prevista a favore del proprietario del fondo rustico, un’
ulteriore indennità aggiuntiva che porta a triplicare l’ indennità-base in caso di terreno effettivamente coltivato,
mentre è pari al 50% dell’ indennità-base per le aree non edificabili.
Messo in evidenza che l’ indennità aggiuntiva è dovuta al coltivatore (proprietario od affittuario che sia), la ratio
della normativa va individuata nell’ esigenza di assicurare un equo ristoro del lavoro dell’ agricoltore esercitante
la sua attività sul terreno espropriato, ovverossia della sua perduta organizzazione aziendale.
Alla medesima conclusione si perviene anche qualora l’ ablazione derivi dalla costruzione di un’ opera pubblica
che abbia prodotto l’ irreversibile trasformazione del fondo e renda quindi definitivamente impossibile il
godimento in forma agricola del terreno.

41

Downloaded by aa aa (sars@ladymjsantos.org)

Potrebbero piacerti anche