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Mediazione: la Cassazione interviene sulla condizione di procedibilità

Cassazione civile, sez. III, sentenza 27/03/2019 n° 8473

Con un provvedimento destinato a far discutere (sentenza 27 marzo 2019, n. 8473) la Suprema
Corte ha affrontato alcune questioni in merito alla condizione di procedibilità di cui all'art. 5 co. 1
bis del novellato D.lgs. 28/2010, ed in particolare alla partecipazione delle parti al primo incontro.
La Corte rileva come la lettera dell'art. 8 del D.lgs. 28/2010 non lasci adito a dubbi nel ritenere
obbligatoria la presenza delle parti al primo incontro, argomentando poi come tale partecipazione al
primo incontro “non comporta che si tratti di attività non delegabile”, recependo sul punto un
orientamento già espresso da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Massa, 29 maggio 2018, n.
398, per cui si deve ammettere “la possibilità di delegare ad un terzo soggetto il potere sostanziale
di partecipare al procedimento (e quindi di conciliare la lite), esito interpretativo peraltro del
tutto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di mandato (art. 1392
c.c.), pacificamente ritenuti applicabili anche alla transazione (Cass. civ. Sez. III 27 gennaio
2012 n. 1181) e che appaiono del tutto conformi e funzionali anche allo spirito del D.Lgs
28/2010”).
La partecipazione pertanto può essere oggetto di delega. Tale delega, secondo la sentenza de qua,
mancando una previsione espressa, può essere effettuata anche a favore del proprio difensore.
In tal caso, tuttavia, affinché la delega sia valida, la parte deve conferire tale potere al difensore
“mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il
conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto”.
Non integrano i requisiti richiesti richiesti dalla Cassazione né la procura alle liti, ancorché in forma
di procura notarile (come nel caso che ha dato origine alla pronuncia che si commenta) nè la
procura autenticata dal difensore poiché “il conferimento del potere di partecipare in sua
sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili
direttamente dal difensore”.
La Corte affronta poi un'altra questione sulla quale la giurisprudenza di merito aveva consolidato un
orientamento quasi univoco: quando si può ritenere che il tentativo di mediazione obbligatoria sia
utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità? E' sufficiente
comparire al primo incontro o è necessario che la mediazione sia "effettiva"?
Per gli ermellini sia l'argomento letterale - il testo dell'art. 8 - che l'argomento sistematico (la
necessita di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo)
depongono nel senso che la condizione di procedibilità debba ritenersi assolta “con l'avvio della
procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del
quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di
svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilista
di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione.”
Prosegue la Corte rilevando come deponga in questo senso la struttura del procedimento,
disciplinata dall'art. 8 e suddivisa in un “primo incontro preliminare davanti al mediatore” (sic!) e
“in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione”. Pertanto “solo se le
parti gli danno il via per procedere alla successiva fase dì discussione, il mediatore andrà avanti,
interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti
si arresterà alla fase preliminare” (sic!).
Pertanto, rebus sic stantibus, come esemplificato dalla pronuncia, se anche la parte invitata
partecipa al primo incontro ed è l'istante che dichiara di non voler dare avvio alla mediazione, deve
ritenersi che la condizione di procedibilità sia soddisfatta.
La sentenza è degna di nota e di alcune riflessioni.
Innanzitutto, colpisce il ricorso ad un linguaggio processualistico (chi scrive ha perso il conto di
quante volte si parli di comparizione delle parti dinnanzi al mediatore, anziché di partecipazione al
procedimento), come pure colpisce il riferimento ad un incontro preliminare di cui non v'è traccia
nel testo normativo.
Se un'improprietà di linguaggio può essere perdonata agli ermellini, è tuttavia difficile comprendere
la ricostruzione del c.d. incontro preliminare di mediazione. Sul punto l'art. 8 novellato è chiaro:
“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento
della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro
avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo,
procede con lo svolgimento”.
Di fronte al dato letterale, si può al più parlare di fase preliminare del primo incontro, fase avente
contenuto e natura informativa su caratteristiche ed effetti della mediazione e su ruolo e
responsabilità del mediatore e dei partecipanti, ma non si può certo parlare di incontro preliminare,
poiché questo non è stato previsto dal legislatore e non lo prevede il testo della norma.
Peraltro, già il Tribunale di Roma (ord. 26 maggio 2016 – est. Moriconi) aveva sottolineato
l'irrilevanza degli obblighi meramente informativi del mediatore, attesa la sussistenza dei medesimi
obblighi in capo agli avvocati delle parti (cfr. art. 4 D.lgs. 28/2010), ma prima ancora, a partire dalle
illuminate ordinanze Tribunale di Firenze del 2015 (rel. Breggia e altri), abbiamo assistito alla
diffusione nei tribunali italiani di una interpretazione letterale e sistemica del dato normativo
dell'art. 8 novellato in funzione del c.d. principio di effettività della mediazione, la cui portata viene
purtroppo oggi ignorata dalla Cassazione.
Ad ogni modo non si può non registrare che, a parere della Suprema Corte, il primo incontro tra le
parti ed il mediatore ha – mera – natura informativa circa la funzione e le modalità di svolgimento
della mediazione.
Il primo incontro viene così svuotato di contenuto, in un modo che neppure la giurisprudenza
condizionata giuslavoristica aveva fatto, sminuendo sia l'onere informativo degli avvocati – che
evidentemente non è sufficiente perché occorre reiterarlo davanti al mediatore – sia le potenzialità
non solo deflattive ma anche di pacificazione sociale che determina la mediazione dei conflitti.
Eppure la Corte si sofferma nel descrivere un “procedimento deformalizzato che si svolge davanti
al mediatore”; pare anche apprezzare “l'offerta alle parti di un momento di incontro, perché
[possano] liberamente discutere prima che le rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle
posizioni processuali assunte e dalle linee difensive adottate, nonché da agevolazioni fiscali”;
riconosce che “il successo dell'attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il
mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse,
aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle
soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l'acuirsi della
conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca
soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali”. Addirittura
emerge la sensibilità verso “l'avvocato esperto in tecniche processuali che "rappresenta" la parte
nel processo, l'avvocato esperto in tecniche negoziali che "assiste" la parte nella procedura di
mediazione, [che] segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un
ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l'acquisizione di ulteriori competenze di tipo
relazionale e umano, inclusa la capacita di comprendere gli interessi delle parti al di là delle
pretese giuridiche avanzate”.
Quasi troppo bello per essere vero. Infatti si arriva in un baleno alla delegabilità della
partecipazione della parte al proprio difensore.
Sul punto si registrano due ordini di questioni: la prima è formale e riguarda la procura; la seconda è
sostanziale e riguarda la delegabilità sostanziale di quel groviglio di interessi e bisogni che
costituiscono l'oggetto di lavoro del mediatore.
Sotto il primo profilo, a parere di chi scrive, per la partecipazione agli incontri di mediazione sarà
necessaria una procura speciale, non necessariamente notarile, atteso che ai sensi dell'art. 1392 c.c.
la forma  della procura segue le forme prescritte per il contratto da concludere. Ad eccezione dei
casi in cui la delega è prevista per legge (si pensi ai genitori di figli minorenni), sarà sufficiente una
procura (speciale, nel senso di una specifica indicazione dell'attività delegata, e pertanto contenente
sia la volontà o meno di proseguire nella mediazione sia i poteri negoziali) avente forma scritta,
considerato che la legge non prevede forme specifiche per l'attività di negoziazione di interessi delle
parti.
Sotto il secondo profilo, la decisione della Corte è, a sommesso avviso di chi scrive, criticabile
proprio in virtù del riconoscimento della funzione peculiare dell'avvocato che assiste un cliente in
mediazione. Diversamente dal contesto giudiziario, il ruolo dell'avvocato in mediazione richiede
competenze relazionali, comunicative e negoziali assai peculiari, frutto di una specifica formazione.
Come sperimentano tutti coloro abbiano effettiva esperienza di mediazione, le chance di risoluzione
dei conflitti risiedono nella partecipazione degli stakeholders del conflitto, in quanto depositari di
interessi e bisogni, la cui comprensione ed il cui reciproco riconoscimento costituiscono l'elemento
indispensabile per raggiungere soluzioni condivise e di reciproca soddisfazione.
La decisione della Corte sul punto fa fare un arretramento metodologico e culturale nella gestione
delle controversie e dei conflitti.
È pur vero che nel corso degli anni il dibattito sul tema aveva assunto le più diverse connotazioni
nella giurisprudenza di merito. Infatti si erano registrati orientamenti assai minoritari che
ritenevano necessaria la presenza sia dell’avvocato che della parte personalmente, senza che
costei potesse in alcun modo delegare ad altri la partecipazione (Trib. Pordenone 10/3/2017), a
visioni più flessibili e di maggior diffusione, in cui si ammetteva la possibilità della parte di farsi
rappresentare nella mediazione da un procuratore speciale, pur escludendo che tale potere
potesse essere conferito al difensore (Trib. Firenze 19/3/2014; Trib. Palermo 23/12/2016) fino a
giungere alle posizioni di chi ha ritenuto che nulla osti a che l’avvocato cumuli la posizione di
difensore e di procuratore speciale della parte sostanziale (Trib. Verona 11 maggio 2017).
Con questa pronuncia la Cassazione avrebbe potuto recepire gli orientamenti giurisprudenziali e
le best practices sempre più diffuse degli uffici giudiziari (si pensi al Progetto fiorentino Giustizia
semplice).
E' un peccato che non venga utilizzata l'occasione per comprendere che non basta occuparsi
delle controversie, occorre anche lavorare sui conflitti che sono alla base delle prime, se non si
vuole affrontare in modo superficiale e formalistico l'opportunità che offre la legge sulla
mediazione.
Peccato, sarà per la prossima volta. Tuttavia il processo culturale mosso dalle ordinanze citate, in
materia di principio di effettività e di presenza personale delle parti in mediazione, ormai non
può più arrestarsi, neppure a seguito di questa pronuncia. Occorre essere consapevoli che “la
mente che si apre ad una nuova idea non ritorna mai alla dimensione precedente (A. Einstein).

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