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1 Queste note prendono in esame soprattutto il primo dei lavori di Frantz Fanon, Peau
noire, masques blancs, del 1952 (trad. it. Pelle nera, maschere bianche, Marco Tro-
pea, Milano 1996). La formula “cura della Storia” rinvia a Bhabha, che la utilizza in
riferimento al romanzo di Toni Morrison, Beloved: “È impossibile non vedervi la cura
della Storia, una comunità che viene riscattata nominandola” (Homi Bhabha, I luoghi
dela cultura, Meltemi, Roma 2001, p. 33).
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2 F.Fanon, Peau noire, masques blancs, pp. 64-67. Quando non altrimenti specificato, la
traduzione è mia e le citazioni sono tratte da Frantz Fanon, Œuvres, La Découverte,
Paris 2011, che comprende tutti e quattro i suoi libri: Peau noire, masques blancs, L’an
V de la révolution algérienne, Les damnés de la terre, Pour la révolution africaine (di
volta in volta indicati con un’abbreviazione: PNMB, AVR, DT, e, rispettivamente,
PRA).
3 DT, p. 625.
4 Douglas Ficek, Reflection on Fanon and Petrification, in Nigel Gibson (a cura di),
Living Fanon. Global Perspectives, Palgrave Macmillan, New Yoirk 2011, pp. 75-84.
5 PNMB, p. 66; questa formula è estremamente suggestiva ed anticipa sia il concetto di
“sociosomatica” proposto da Henry Collomb sia quello di “reticolo sociosomatico”,
suggerito da Arthur Kleinman.
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6 Nigel Gibson Living Fanon?, in Id. (a cura di), Living Fanon. Global Perspectives,
Palgrave Macmillan, New York 2011, pp. 1-10.
7 Alice Cherki, Frantz Fanon. Portrait, Seuil, Paris 2000.
8 Rinvio, per quanto riguarda questo aspetto, a Roberto Beneduce, La tormenta onirica.
Frantz Fanon e le radici di un’etnopsichiatria critica, in Frantz Fanon, Decolonizzare
la mente. Scritti sulla psichiatria coloniale, ombre corte, Verona 2011, pp. 7-70; H.
Bhabha, I luoghi della cultura, cit.; Nigel Gibson, Fanon. The Postcolonial Imagina-
tion, Polity Press, New York, 2003; Lewis R. Gordon, Denean Sharpley-Whiting e
Reneé T. White (a cura di), Fanon: A Critical Reader, Blackwell, Oxford 1996.
9 Robert J.C. Young, Poetica del mutamento culturale radicale, in Frantz Fanon, Scritti
politici. L’anno V della rivoluzione algerina, DeriveApprodi, Roma 2007, pp. 7-15.
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Vi sono in queste poche righe almeno tre grandi linee che merita-
no di essere messe in rilievo. La prima: Fanon costruisce un’accurata
semiologia sociale e politica del mondo coloniale, e solo all’interno
di questo mondo indecifrabile, arbitrario e seducente, attraversato
da segni ambigui e minacciosi ad uno stesso tempo, possono essere
compresi i comportamenti dei colonizzati al cospetto delle istituzio-
ni, della medicina o della scuola dei Bianchi. È un’epoca di con-
fusione, per riprendere la formula utilizzata da Peel in riferimento
alle trasformazioni prodotte dall’evangelizzazione in Nigeria12. Oc-
corre allora una semiologia all’altezza di questa perversione dei segni
e della parola per comprendere l’esperienza di disorientamento e le
strategie di fuga che vi assicurano, sebbene ad un costo elevato, la
sopravvivenza. La seconda: lo stato d’incertezza, di allarme quoti-
diano, alimenta una presunzione di colpa nel colonizzato. Ciò che
emerge in questo passaggio è quasi un ritratto kafkiano del sistema
di potere coloniale, dove il colonizzato è sospinto verso una condi-
zione di colpa che, come per K., è una maledizione, una dannazione
più che una condizione giuridica. La terza: il dominio, le umiliazioni,
non nono state sufficienti a piegare, ad addomesticare il colonizzato:
la loro “pigrizia” ne è la prova. Accrescono semplicemente la tensio-
ne dei loro corpi, che solo attendono il momento per raddrizzarsi,
preparandosi alla metamorfosi che li muterà da preda in cacciatori.
1. Il tempo dell’eccezione
13 PNMB, p. 167.
14 Per alcuni di questi aspetti rinvio a Roberto Beneduce, Corpi e saperi indocili. Guari-
gione, potere e stregoneria in Camerun, Bollati Boringhieri, Torino 2010 e e ad Achille
Mbembe, Domaines de la nuit et autorité onirique dans les maquis du Sud Cameroun
(1955-1958), in “The Journal of African History”, 32, 1, 1991, pp. 89-121..
15 PNMB, p. 67.
16 Ivi, p. 247.
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17 DT, p. 636.
18 Ivi, pp. 68 e 24.
19 PRA, pp. 722-726.
20 “Una decina d’anni fa, mi sono stupito nel constatare che i nordafricani detestano gli
uomini di colore” (PNMB, p. 144), ma qualche riga dopo non manca di storicizzare
il costituirsi dei rapporti razziali all’interno di una dinamica particolare, quella colo-
niale, e di una gerarchizzazione funzionale a quest’ultima.
FRANTZ FANON 37
21 Ivi, p. 65.
22 Ivi, p. 154.
23 D. Ficek, Reflection on Fanon and Petrification, cit., p. 78.
24 E ciò non diversamente da du Bois quando, riferendosi ai popoli colonizzati, scrive:
“Queste nazioni e queste razze [...] sopporteranno questo trattamento solo fino a
quando saranno obbligate a farlo, non un minuto di più, poi cominceranno a combat-
tere, e la Guerra della linea del colore è destinata a superare, per selvaggia inumanità,
tutte le guerre a cui il mondo ha assistito fino a oggi” (Edward B.W. Du Bois, Sulla
linea del colore, a cura di Sandro Mezzadra, il Mulino, Bologna 2010, p. 245, corsivo
mio).
25 Joby Fanon, Frantz Fanon. De la Martinique à l’Algérie et à l’Afrique, L’Harmattan,
Paris 2004, p. 8.
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Ciò rinvia a un altro tema: con il “Negro comincia il ciclo del bio-
logico”, un ciclo di fobie e di controfobie. Ma è ora possibile ricono-
scere che questo corpo è un corpo politico: la sua biologia, le sue con-
trazioni, sono innervate di storia, di contrasti, di misconoscimenti.
Il discorso sul corpo non è, in Fanon, metafora, più di quanto
non lo sia l’uso che egli fa della psicanalisi28, e rivela per intero l’in-
fluenza di Merleau-Ponty29. È un corpo che nei suoi fremiti, nei suoi
odori, nel suo essere “generatore di fobie”, non vuole però essere
dimenticato o sciolto nel flusso del discorso. Non tollera di essere
testualizzato: un tratto, questo, che qualsivoglia lettura postcoloniale
o poststrutturalista di Fanon non può trascurare. Ha tuttavia ragione
Gordon30 nel ricordare che la sua è una riflessione autobiografica
e al tempo stesso non lo è: Fanon si rifiuta di pensare a un’essenza
nera, a un’esperienza universale dei neri. Nel capitolo Le nègre et
26 Bon banania era la marca di una farina a base di banana e cacao, “Y a bon” è una
formula patois, utilizzata nell’Africa francofona, come equivalente di “c’est bon”.
27 PNMB, pp. 154-155; non è possibile qui esplorare in dettaglio la nozione althus-
seriana di “interpellazione”, ripresa da Judith Butler in La vita psichica del potere,
Meltemi, Roma 2005, in termini quanto mai preziosi per queste riflessioni, soprat-
tutto là dove l’autrice rinvia a Dolar e alla sua nozione di una “materia prima [...]
radicalmente immateriale”, decisiva nella costituzione del Soggetto. Importante qui è
anche la nozione di “specchio acustico” evocata dall’autrice in riferimento al concetto
lacaniano di stadio dello specchio, e feconda soprattutto quando si pensi alla frase
evocata da Fanon nella famosa scena di aperura del capitolo sull’esperienza vissuta
del negro in Pnmb (“Tiens, un nègre!”). Cfr. su questo tema anche A. Cherki, Fanon.
Portrait, cit., pp. 304-305.
28 PNMB, p. 65.
29 Jean Khalfa, Fanon, corps perdu, in “Les temps modernes”, 635-636, 2005-2006, pp.
96-117
30 Lewis R. Gordon, Requiem for a Life Well Lived: In Memory of Fanon, in N. Gibson
(a cura di), Living Fanon. Global Perspectives, cit.
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31 PNMB, p. 202.
32 Ivi, p. 188.
33 Christiane P. Makward, Mayotte Capécia ou l’aliénation selon Fanon, Karthala, Paris
1999, ricorda la “trappola” in cui Fanon, e tutti coloro che hanno scritto sino al 1999
su Mayotte Capécia, sarebbero caduti, ignorando che quest’ultimo non era che lo
pseudonimo di Lucette Céranus Combette, e che l’autentico autore del libro Je suis
martiniquaise sarebbe invece l’editore e amante di Lucette Combette, soprattutto
per quanto concerne la prima parte (quella relativa all’infanzia della protagonista).
Makward va però oltre, giungendo a fare di Capécia un’eroina femminista. Cfr. su
questo tema anche Simona Taliani, Per una psicanalisi a venire. Politiche di liberazione
nei luoghi della cura, in “aut aut”, 354, 2012, pp. 46-66.
34 E.B.W. Du Bois, Sulla linea del colore, cit., pp. 105-106.
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3. Decolonizzare la psicanalisi
37 PNMB, p. 190.
38 Ivi, p. 65.
39 Ivi, p. 153.
40 Ivi, p. 175; talvolta Fanon usa la minuscola, talvolta la maiuscola per termini come
“Negro” (come in questo caso) o “Nero”, “Bianco” o simili: ho rispettato nelle citazi-
oni la forma originale.
41 Scrive Gordon che Les damnés de la terre rivela un carattere propriamente prom-
eteico se si considera chefu scritto in sole dieci settimane da un uomo che lottava
contro la morte e aveva un limitatissimo accesso alle biblioteche; L.R. Gordon, D.
Sharpley-Whiting e R. T. White (a cura di), Fanon: A Critical Reader, cit., p. 23.
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42 Octave Mannoni, Le racisme revisité. Madagascar 1947, Denoël, Paris 1984 (è questo
il titolo con il quale Psychologie de la colonisation sarà nuovamente pubblicato trenta-
quatro anni dopo).
43 PNMB, p. 145; Cfr. anche Maurice Bloch, La psychanalyse au secours du colonialisme.
A propos d’un ouvrage d’Octave Mannoni, in “Terrain”, 28, 1997, pp. 103-118 e Ro-
berto Beneduce, La potenza del falso. Mimesi e alienazione in Frantz Fanon, in “aut
aut”, 354, 2012 , pp. 5-45.
44 PNMB, p. 67.
45 Ivi, p. 153.
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aver essa indicato in modo originale come non si potesse dire alcun-
ché di fondato, sul contesto coloniale, senza considerare entrambi i
poli della relazione (i coloni da un lato, i colonizzati dall’altro). Ciò
che Fanon invita a riconoscere è dunque, nelle Antille, l’esistenza di
una “situazione culturale” che informa la costruzione del sé e dello
“schema corporeo”, la visione del mondo e i legami familiari, i desi-
deri individuali, ma che rimane in tutto riconducibile ad una precisa
storicità50. Fanon non è qui molto lontano dal Foucault interessato
a comprendere le forme storiche della soggettività51. È dentro que-
sto orizzonte che egli misura i limiti della psicanalisi quando ricorda
come, del trauma freudiano, il nero ha una ben diversa esperienza
(“nei pasi colonizzati, ogni giorno si gioca un dramma”52) o interroga
la nozione di famiglia nelle Antille e la rarità dei conflitti edipici53,
criticando Lacan, al quale pure riconosce di aver offerto un contri-
buto più decisivo dell’interpretazione marxista per la comprensione
della condizione coloniale54. Del resto Lacan aveva ammesso, nel ri-
flettere sull’analisi di alcuni pazienti africani, che il loro inconscio
non era quello costituito sui loro ricordi infantili: la loro infanzia
era vissuta all’interno delle categorie della famiglia francese, era in-
somma “l’inconscio che si era venduto loro insieme alle leggi della
colonizzazione”55.
50 Ivi, p. 194.
51 Fanon riprenderà questo tema riferendosi esplicitamente alla “situazione coloniale”
quando ricondurrà a quest’ultima la violenza o la “criminalità” dell’Algerino o quan-
do parlerà delle conseguenze e delle tecniche della tortura.
52 PNMB, pp. 181-182.
53 Le critiche di Deleuze e Guattari alla psicanalisi rinviano direttamente a Fanon: “Il
padre, la madre e l’io sono alle prese e in presa diretta con gli elementi della situazi-
one storica e politica” (Gilles Deleuze e Felix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e
schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, p. 108).
54 H.Bhabha, I luoghi della cultura, cit., p. 52.
55 Lacan, citato in A. Cherki, Frantz Fanon, cit., p. 38
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56 Ibidem.
57 Achille Mbembe, Préface, in F. Fanon, Œuvres, cit., pp. 9-21.
58 N. Gibson, Living Fanon, cit.
59 PNMB, pp. 161-165.
60 R. J.C. Young, Poetica del mutamento culturale radicale, cit.
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63 Mohammed Dib, La casa grande. Algeria (1952), Feltrinelli, Milano 2004; Id., L’incen-
dio. Algeria (1954), Feltrinelli, Milano 2004.
64 Alice Cherki, Préface à l’édition de 2002, in F. Fanon, Œuvres, cit., pp. 421-430.
65 AVRA, pp. 261-262. Cfr. inoltre Beläid Abane, Frantz Fanon and Abane Ramdane.
Brief Encounter in the Algerian Revolution, in N. Gibson (a cura di), Living Fanon,
cit., pp. 27-44.
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