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Introduzione
2. In realtà, lo stesso Riooeurnon era del tutto soddisfatto del risultato della
sua opera, ed è per questa ragione che Parcours viene pubblicata oon Stock
e non oon il suo editore abituale di Seuil. In una lettera che dirige al suo
editore, Jean-Louis Schlegel nel luglio del 2003, egli spiega il perché di una
tale decisione: «vraiment, ce livre n•est pas pour le Seuil. C:est un électron
libre et par trop chétif». La lettera è citata in F. Dosse, Paul Ricoeur. Les sens
d•une oie (1913-2005), La Découverte, Paris 2008, pp. 670-671.
3. Su ciò, si veda D. Jeivolino, Vultimo percorso di Ricoeur, in M. Piras
(a cura di}, Saggezza e riconoscimento. Il ~ etico-politico dell•wtimo
Ricoeur, Meltemi, Roma 2007, in part. pp. 25-28.
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suo uso per esprimere quel luogo dinamico che si colloca sulla
soglia tra la dimensione epistemica e quella etico-pratica che
definiscono in qualche modo (le) due dimensioni essenziali
deU~umano: pensiero ed azione, teoria e prassi. In effetti, il ri-
conoscimento si presenta come una dinamica teorico-pratica
capace di tematiZ7.are e spiegare in modo unitario ed effica-
ce la genesi, la struttura, i meccanismi, gli effetti e le finalità
della correlazione originaria esistente tra la natura dei singoli
soggetti e la loro personale realizzazione nel coinvolgimento
all"intemo di rapporti interpersonali - familiari, sociali e poli-
tici - storicamente connotati. Dunque, questa tematica si offre
come modello teorico-pratico capace di dar conto - per cer-
ti versi - della fondamentale questione, insieme ontologica e
antropologica, del rapporto tra l"uno e i molti e della sua co-
stitutiva tensione e conflittualità.
In questo senso, la tematica del riconoscimento ha trovato ne-
gli ultimi anni vasta accoglien7a, soprattutto in ambito prati-
co, nel campo della fìlosofìa morale e della fìlosofìa politica. Si
pensi, ad esempio, ai lavori di Axel Honneth, in cui il tema del
riconoscimento svolge un ruolo fondamentale nel delineare
una "grammatica morale dei conflitti sociali"" capace di fornire
un contenuto empirico alle motivazioni deU'agire dei singoli
che portano all''innescarsi di lotte tra individui o gruppi di in-
dividui per il riconoscimento di sé, dei loro diritti o capacità
a livelli sempre più complessi4 • O al filosofo canadese Charles
Taylor, che ha fatto del riconoscimento un tema centrale della
sua indagine sulle condizioni di legittimità delle rivendicazio-
ni riguardanti l"identità delle minoranze culturali svantaggiate
all"interno di sistemi democratici liberali5•
monti, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 9-62). Airinterno della riflessione sul ri-
conoscimento delle diverse identità individuali e collettive, sono anche degni
di menzione i lavori di Judith Butler sulle "identità sessuali..: J. Butler, La
oita psichica del, potere. Teorie del soggetto, tr. it., a cura di F. 7,appino, Mi-
mesis, Milano-Udine2013; Ead., Longingfor Hecognition. Commentary on
the Work or Jessica Benjamin, in «Studies in Gender and Sexuality», voi. I,
n. 3, 2000, pp. 271-290.
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Capitolo I
Il riconoscimento:
genesi e attualità di una questione
20. Anche se nella Fondazione della metafisica dei costumi Kant introduce
il rispetto come un sentimento, egli tuttavia si occupa di precisare che «non
è un sentimento subito, esso è invece un sentimento che la ragione produce
da sé, quindi specificatamente distinto da tutti i sentimenti [ ... ] riconducibili
all'inclinazione al timore» (I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi,
tr. it. di P. Chiodi, Late17.a, Roma-Bari 1993, p. 22). Sul rispetto in Kant,
cfr. M. Savi, Il tema del rispetto nella filosofia kantiana, in «Studi kantiani»,
n. 20, 2007, pp. 35-51.
21. A. Honneth, Riconoscimento. Storia di un "idea europea, tr. it. di F. Cu-
niberto, Felbinelli, Milano 2019, p. 105.
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22. J.G. Fichte, Fondamento del diritto naturale secondo i principi della
dottrina dellascienza, tr. it., a cura di L. Fonnesu, Laterza, Roma-Bari 1994.
23. J.G. Fichte, Sul concetto della dottrina della scienza, tr. it. di F. Costa,
Laterza, Roma-Bari 1993.
35
28. Ibidem.
29. Nel cosiddetto Tiibinger Fragment il giovane Hegel afferma: «Il principio
fondamentale del carattere empirico è 1»amore che ha qualche analogiacon la
ragione, poiché ramore ritrova se stesso negli altri e, quasi dimenticandosi, si
pone fuori della propria esiste117.a, vive, sente, è attivo per così dire negli altri,
così come la ragione, in quanto principio di leggi universalmente valide, si
riconosce in ogni essere razionale, come cittadino di un mondo intelligibile»
(G.W.F. Hegel, Scritti giovanili I, tr. it. di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, pp.
186-187).
30. Nei Lineamenti di filosofia del diritto, che rappresentano senz»altro la
summa del suo pensiero etico-politico, Hegel individua tre sfere morali co-
stitutive della società moderna: la famiglia, la società civile e lo stato (cfr.
G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, tr. it. di V. Cicero, Bompia-
ni, Milano 2016, Parte III, VEtidtà.).
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11 11
r
sola volontà, dall altro lato lo stesso Honneth svilupperà l idea che amore
ha, oltre alla dimensione spirituale, una sua dimensione corporale, dove il
proprio corpo è mediatore cli riconoscimento ma anche cli misconoscimento.
La relazione di amore viene così intesa non in termini romantici, ma come
«esperiema corporea degli albi soggetti concreti» nella quale si sperimen-
ta un riconoscimento affettivo che «è la fiducia in se stesso». Questa forma
cli riconoscimento positiva ha la sua ombra negativa, ovvero il suo diniego,
nella forma di «violenze fisiche come la tortura e lo stupro» che privano la
persona della loro «autonomia fisica nel rapporto con se stessa» e cioè di di-
sporre liberamente del proprio corpo e che mobilita i soggetti a intrapren-
dere una lotta per il riconoscimento (Id., Riconoscimento e disprezzo. Sui
fondamenti di un etica post-tradizionale, tr. it. di A. Ferrara, Rubbettino,
11
41. G.W.F. Hegel, Sistema dell/eticità, in Id., Scritti di filosofia del dirit-
to (1802-1803), tr. it., a cura di A. Negri, Laterz.a, Bari 1962, pp. 127-256.
Anche se inizialmente Honneth centra il suo interesse nei manoscritti del
periodo di Jena, successivamente si inoltrerà nell'esplorazione del concetto
di riconoscimento in altre opere di Hegel - in particolare nei Lineamenti
di filosofia del diritto (cfr. A. Honneth, Il dolore dell'indeterminato. Una at-
tualizzazione della filosofia politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003).
42. Questo venire meno della componente simmebicadel riconoscimento
in Hegel è stato inizialmente rilevato da L. Siep, per il quale il rapporto di
riconoscimento tra il singolo e l'universale non sembra essere del tutto sim-
mebico, dato che «in nessun caso l'indipendell7.a del singolo Sé di fronte
allo spirito esistente del popolo, allo Stato, è riconosciuta come diritto allo
stesso modo del potere dello Stato sul singolo» (L. Siep, Il riconoscimento
come principio della filosofia pratica, cit., p. 154). Di recente, egli ha insi-
stito sul medesimo punto: «In alcuni paragrafi dei suoi scritti jenesi Hegel
aveva certamente accennato al fatto che il pieno riconoscimento fra indi-
vidui e istituzioni della comunità rappresenta una relazione simmebica di
rinuncia bilaterale a sé, o un "sacrificion. E nel capitolo sulla moralità del-
la Fenome,uilogiadello spirito Hegel caratterizm la riconciliazione fra co-
scienm del singolo [ ... ] e la comunità morale come rinuncia simmebica da
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sono realmente in gioco nella lotta. [ ... ] È questa infine la condizione per
rapertura della dimensione comune della comunità, dello stato e della liber-
tà» (L. Ruggiu, Riconoscimento e conflitti, in L. Ruggiu - F. Mora [a cura di],
Identità, differenm e conflitti, Mimags, Milano 2007, pp. 93-94).
45. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit., p. 115.
46. N. Fraser- A. Honneth, Redistribuzione o riconoscimento?, cit., p. 174.
48
50. Possesso che «non è ancora proprietà», e che perciò «deve trasformarsi
nelrappropriazione giuridica mediante il riconoscimento. La presa cli pos-
sesso non è ancora giuridica per il semplice fatto che è» (ivi, p.100).
51. In verità, è solo a questo livello che compare il riconoscimento nella sua
effettualità, in quanto nell'amore esso è soltanto immediato, owero è solo
l'inizio che ancora «deve divenire». Così, con l'esclusione deU''altro dal pos-
sesso, si produce un'offesa e si crea un rapporto ineguale che dovrà essere
superato attraverso il «togliere dell'escludere» con il movimento della «lotta
per la vita o per la morte» il cui esito sarà la formazione della «volontà uni-
uersale», l'essere-riconosciuto del soggetto che fa di ciascuno una persona:
«La volontà del singolo è la volontà universale, e l'universale è la volontà
singola- eticità generale, ma immediatamente diritto» (ivi, pp. 104-107).
52. Al centro deU'antropologia di Hobbes ci sono le n<YLioni cli power e cli
glory; quest'ultima è presentata come passione che spinge all'autoafferma-
zione egoistica, e cioè spinge l'io ad accumulare infinito potere. In questo
senso, Barbara Carnevali - riportando le parole dell'autore in Elementi di
leg,e naturale e politica - mette in evidell7.a che questo conflitto cli potere
si manifesta come un bisogno cli riconoscimento, poiché Hobbes Io descrive
come un desiderio di onore: «il riconoscimento del potere si chiama onore
e onorare un uomo significa concepire o riconoscere che quell'uomo ha una
superiorità o un eccesso cli potere su colui che lotta». Collocando la gloria al
centro della sua antropologia, Hobbesdemocratizza questa aspirazione all'o-
nore (che non sarà più esclusiva del nobile, del cortigiano o dell'eroe} e ne fa
una caratteristica atbibuibile indiscriminatamente a tutti - da cui la lotta cli
r
tutti contro tutti; e poi, essendo onore una passione o pulsione aggressiva,
autoaffermativa e competitiva ma al contempo costitutivamente relaziona-
le -e cioè che dipende dal riconoscimento da altri-, si rivela quel «necessario
contrasto tra clipendell7.a e dominio» nel quale «p<>Ssiamo indicare una causa
del moderno "problema sociale»». In effetti, da un lato non si può godere cli
alcun pensiero della propria superiorità, del proprio onore, se si è clispre7.7.ati
dal resto della società; e non essendo governabili meccanicamente le rispo-
ste altrui alle proprie richieste, si genera uno stato d'incertezza che rivela il
«dramma del riconoscimento». Dall'altro lato, la glory, nel senso di "valere
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duplice. Succede però che «ciascuna vede r altra fare la stessa cosa eh•essa
fa; ciascuna fa quello che esige dall altra, e quindi fa quello che fa perché
11
11
1•a1tra fa lo stesso. Un attività unilaterale sarebbe inutile, perché ciò che
deve accadere può realizzarsi solo mediante il fare identico di entrambe»
(G.W.F. Hegei Fenomenowgia dello spirito, cit., p. 277). Hegel ci riporta
11
così la visione dell autocoscienza scomposta in due estremi, essendo essa
stessa termine medio, «concetto puro del riconoscimento, della duplicazione
delrautocoscienmnellasua unità» (ivi, p. 279). Nel movimento duplice delle
autocoscienze -cioè tramite questa mediazione che è la stessa autocoscienm
come presenm del «concetto dello Spirito» per noi (cfr. ivi, p. 273) - «i due
estremi si riconoscono come reciprocamente riconoscentesi» (ivi, p. 277).
Oltre che una descrizione della simmetria e della reciprocità della relazio-
ne di riconoscimento tra le autocoscienze, vi è qui, senz altro, una netta af-
11
totale reciprocità; nel secondo punto Hegel imposta il modo in cui avviene il
processo di riconoscimento, cioè attraverso «una "lotta mortale» tra autoco-
scienze ancora eguali» nella quale rautocoscienza deve compiere una dop-
pia negazione: «negazione della vita dell•altro che mi riduce a cosa vivente
(un semplice oggetto di desiderio) e, mettendo in gioco la mia propria vita
nella lotta, la negazione della mia propria particolarità di cosa vivente»; infi-
ne, nel terzo punto, 1•esito della lotta come un "riconoscimento unilaterale e
disuguale» dove s•istaura un rapporto di dominio di un•autocoscienza sull'al-
tra, che si traduce nella disciplina propria della servitù o lavoro - in quanto
processo di formazione (Bildung) - come medio per ottenere la libertà. La
conseguenm di questo modello, a dire di Renaul~ è che «[n]on si può pren-
dere coscienza dell•autentica natura della libertà che formando se stessi alla
libertà; ora, i semplici effetti del diniego del riconoscimento e della lotta di
riconoscimento non bastano a produrre questa formazione. [ ... ] La trasfor-
mazione della "certezm• della libertà in "verità•, dipende da questoprocesso,
a sua volta inserito in un processo più ampio che comprende la "formazione..
di una eticità razionale nella storia stessa, e non soltanto dai rapporti forma-
li definiti dal "puro concetto di riconoscimento•» (ivi, pp. 44-45). Dunque,
solo formalmente (secondo un•eidetica) si può parlare di riconoscimento re-
ciproco e simmetrico; per quanto riguarda invece un•empirica del ricono-
scimento, nei fatti esso produce sempre relazioni di dominio nelle quali la
parte dominata-attraverso la servitù o il lavoro- mediante la formazione può
conquistare la sua autonomia ed essere autocoscienza riconosciuta. È chiaro
che, secondo questa visione del riconoscimento hegeliano, senza conflitto (e
capacità di conflitto) e senza il suo risultare in un riconoscimento ineguale,
r
non si può raggiungere autonomia owero la verità dell•autocoscienm: così
il conflitto prevale sulla riconciliazione (che rimane solo astratta) posto che,
qualora ci fosse riconciliazione empirica, non ci sarebbe più la possibilità di
essere riconosciuti e il movimento dello spirito entrerebbe in una definitiva
quiete. Sulle aporie che emergono da una identificazione tra riconoscimento
e conflitto ritorneremo nella tel'7.8. parte di questo lavoro.
66. Anzi, a livello empirico, il conflitto consiste nella negazione della sogget-
tività autocosciente puramente naturale e perciò non ancoralibera. Riportan-
do il msatu del paragrafo 431 della parte tel'7.8. della Grande Enciclopedia
hegeliana (la Enzyclopiidie derphilosophischen Wissenschaftenmit Zusiitze)~
secondo cui «solo mediante la lotta si può conquistare la libertà; non basta
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asserire di essere libero; solo in quanto 1•uomo pone se stesso, come albi,
in pericolo di morte, egli prova sotto questo profilo la capacità di essere li-
bero», Luigi Ruggiu commenta: «Dunque la tensione e il conflitto non è un
elemento accidentale della relazione, ma la stessa condizione del distacco
dalla forma della naturalità. [ ... ] Solo questo sradicamento iniziale costitu-
r
isce effettivo inizio del cammino del riconoscimento» (L Ruggiu, Ricono-
scimento e coriflitti, cit., p. 124).
67. R.R. Williams, Recognition, cit., p. 181. Resta tuttavia da chiarire se in
realtà Hegel non abbia in mente qualcosa di diverso da un•opposizione tra
amore/riconciliazione e conflitto. In effetti, ciò che s•intende per conflitto
può essere limitato a11•opposizione dialettica tra autocoscienze, secondo la
struttura del tropo scettico dell'antinomia/equipollell7Jl per cui a una deter-
minazione positiva si può sempre opporre una determinazione contraria,
dato che ogni determinazione considerata eia sola è contraddittoria (diventa
cioè sempre il suo opposto). Perciò, resigell7Jl della filosofia (come epistème)
è mostrare l'identità del diverso (I.identità dell'identità e della non identità)
owero J•elemento comune a tutta la physis: in questo senso la filosofia è ri-
conciliazione del conflitto. Tuttavia, dal punto di vista fenomenologico- cioè
dal punto di vista dell-esperiell7.adella cosciell7Jl• -, bisogna anche notare
che la rinuncia che ogni autocosciell7Jl fa di sé, nella reciproca auto-dimis-
sione che richiede il fenomeno morale del perdono tra cosciema giudicante
e cosciema agente, implica una dimensione conflittuale empirica, un dolore
reale consistente nella perdita del proprio io per amore, come libera conse-
gna di sé. Questa presema del negativoowero del dolore in seno a11•amore ci
sembra l'intuizione speculativa e insieme fenomenologica più determinante
di Hegel - alla quale, come si vedrà, forse non è stato del tutto fedele - nel-
la Fenomenologia dello spirito e che affonda le sue radici nel saggio giova-
nile Glauben und Wissen (1802). &so implica senz'altro una novità rispetto
a11•anttca scepsi: la sua intuizione è quella di dare esistell7Jl filosofica all'e-
vento storico di Gesù Cristo - l'uomo-Dio - culminante nell'atto della Cro-
ce con il toglimento della sua esistema storica (il Gott selbst ist tot), evento
che nelle Lezioni sulla filosofia della religione venà concepito come «il pun-
to centrale intorno al quale ruota il tutto» (G.F.W. Hegel, Lezioni sulla fJ,o-
sofia della religione, tr. it., a cura di E. Oberti e G. Borruso, 3 voli., Late17.a,
Roma-Bari 1983, voi. III, p. 152). Scrive Hegel al riguardo che, «a ciò che
61
cioè del 1.ogos come dia-1.ogos, o meglio, del fatto che la veri-
tà (Troth) esista solo all'interno del riconoscimento interper-
sonale (inteihuman recognition). Questo nesso era già emer-
so nella filosofia greca: si pensi al celebre passo della Lettera
VII di Platone che lega indissolubilmente "comunanza di vita",
"sfregamento dialettico" (insieme alla persuasione) e "verità''
(come l'improvviso spri:zzare di una scintilla)71, vincolo questo
che successivamente, con Aristotele, viene espresso con il ter-
mine sumphil.osophein12• Tuttavia, più che la filosofia greca, è
stata senza dubbio l'inHuenza del cristianesimo a delineare la
specincità di questo nesso nel pensiero di Hegel. Infatti, i ri-
chiami alla comunità dei discepoli di Cristo come luogo in cui il
suo spirito rimane dopo la sua morte (appunto, nella coscienza
comunitaria o ecclesiale) sono abbondanti e si trovano nei mo-
menti decisivi della Fenomeno"logia, cioè alla fine di una tappa
di pensiero e nel momento in cui comincia il dischiudersi del-
la figura successiva. Ne è esempio, oltre ali'esplicito richiamo
nella conclusione del capitolo sulla religione, l'espressione col-
locata alla fine del capitolo sullo spirito certo di sé - sulla qua-
le ci soffermeremo in seguito-, «il Dio apparente in mezzo a
questi Io» (der erscheinende Gott, con chiaro riferimento alle
apparizioni post-pasquali di Cristo risorto), che può essere me-
glio interpretata alla luce di quanto espresso dallo stesso Hegel
nelle sue Lezioni sulla filosofia della religione:
71. Cfr. Platone, Lettera VII, in Id., Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bom-
piani, Milano 2000, 34lc5-d 2; da questa edizione saranno citate tutte le ope-
re di Platone. Per un approfondimento di questo legame tra vita in comune e
verità in Platone, si veda F. Trabattoni, La verità nascosta. Oralità e scrittura
in Platone e nella Grecia classica, Cat'OCCi, Roma 2005, e l'illuminante saggio
di E. Pili, La Lettera VII di Platone: comunanza di 1Jita e persuasione come
luogo della verità, in «Sopirla», III, n. 2, 2011, pp. 257-278.
72. Aristotele, Etica Nicomachea, a cura di C. Mazzarelli, Bompiani, Milano
2000, 1117al-7. Sull'inftuell7.8 di Platone in questa nozione aristotelica, si
veda E. Berti, Sumphilosophein. La vita nell"Accademia di Platone, Laterza,
Roma-Bari 2012.
64
73. Cfr. GF.W. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, cit., voi. III,
p.162.
74. P. Coda, La percezione della forma, cit., p. 75.
75. Ivi, p. 73.
65
18. Ibidem.
79. Ibidem.
80. I~ p. 887.
81. I~ p. 889.
67
donare se stesso e sentirsi legato da una promessa fatta solo a se stesso; per-
donare o promettere nella solitudine o neU'isolamento è atto privo di realtà,
nienf'altro che una parte recitata davanti a se stessi» (H. Arendt, Vita acti-
va. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi, Bompiani, Milano 2005, p. 175).
85. Vinsiemedi questo processo di riconciliazione e le problematiche sottoli-
neate dagli studiosi suU'esito monologico o meno di esso ci sembra che possa
essere meglio compreso a partire dalla sentema hegeliana citata prima: «Le
ferite dello Spirito guariscono sema lasciare cicabici». Guardando indietro
al cammino fenomenologico già fatto, rindicazione è possente: le ferite pro-
vocate dalla negazione dell•aitro, dalla lotta, dal dominio, dalla libertà solo
indifferente che si concedevano le autocoscienze cadono tutte nella dimen-
tican7.a, neU'oblio insito nell•intenzionalità dell•atto di perdonare. Tuttavia. il
modo in cui Hegel descrive il perdono sembra considerare soltanto ciò che,
con Ricoeur, possiamo chiamare un «oblio di fuga» (P. Ricoeur, Ricordare,
69
ing for other and being for self. In such equioolence there is no reduction of
the other to the same. The triadic equivalence or reciprocity between be-
ing-for-other and being-for-self constitutive of the We, is an alternative to
abstract undifferentiated identity of the I = I» (ivi, p. 264). Ma nella formu-
lazione Noi= Io e Io= Noi 1•equilibrio tra essere per sé (runità, r'univer-
sale) ed essere per altro (la trinitarietà owero la differema, il particolare)
viene infranto in favore del primo, nella figura di un soggetto trascendentale
o universale al quale vengono sacrificate le esistenze storiche (Dasein) dei
singoli soggetti particolari e che in definitiva funge da presupposto specula-
tivo (eidetico) alrapproccio fenomenologico (empirico): è r1o che si esten-
de alla dualità del suo opposto, r1o che si contrappone a11•1o. Per una analisi
approfondita delrinterpretazione di Hegel dei dogmi cristiani e in partico-
lare del loro impiego nel delinearsi del concetto del riconoscimento come
chiave speculativa di un•ontologia intersoggettiva del Geist, si veda P. Coda,
Il negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel, Città Nuova, Roma 1987; Id., La
percezione della forma, cit.
93. Hegel parla dell•Incarnazione come della «notte in cui la sostama fu
tradita e si fece soggetto» (G.W;F. Hegei Fenomeruilogia dello spirito, cit.,
p. 929).
94. In questo senso, il succedersi delle diverse "figure» nel percorso traccia-
to dalla Fenomenologia ha come unica figura "reale», concreta, il sapere as-
soluto, perché, come afferma Vmcenzo Vitiello a proposito della concezione
75
98. Rimane tuttavia aperta la questione se non siano state le stesse anali-
si hegeliane del riconoscimento a suscitarle e ad esercitare quale orizzonte
di precomprensione teorico cui fanno costante riferimento tutte queste ri-
cerche. Ciò in quanto la nozione di riconoscimento in Hegel trova un vasto
campo nel quale dispiegare le sue risorse di senso: dalla dimensione cono-
scitiva a quella dell'intersoggettività, dall'autonomia, sviluppo erealiz7.azione
individuale all'interdipendenza nella costituzione del sociale e del politico,
dalla descrizione dei legami amorosi a quelli giuridici ed etici, dal conflitto
e la lotta al perdono e la riconciliazione, dall'autorità al potere e al dominio,
per dire alcune delle questioni che vengono affrontate per mezzo della di-
namica del riconoscimento. Tuttavia, alcuni autori hanno evidenziato che in
Hegel non esiste una concezione univoca del riconoscimento né tantome-
no una teoria, ma soltanto un insieme di analisi intorno a questa tematica,
non sempre in piena continuità tra di loro, nelle diverse fasi del suo pen-
siero. In questo senso, il tema del riconoscimento può essere diversamente
affrontato a seconda che si tratti del Sistema dell'eticità, della Filosofia del.-
78
102. Cetre pursoi indica.in Sartre un rapporto con sé non statico, non con
il sé attuale, al contrario dice il rapporto del sé con le sue possibilità future,
un futuro con il quale deve sempre confrontarsi e determinarsi nel modo
della scelta owero dell'autonomia (Cfr. J.-P. Sartre, V'essere e il nulla, cit.).
In questo senso, Sartre è debitore nei confronti dell'analisi del Dasein di
Heidegger.
103. A nostro parere, Honneth opera una forzatura per collegare Rousseau
a Sartre, perché guidato da una precomprensione che l'idea di riconosci-
mento in area culturale francese si sia sviluppata con una valell7Jl negativa.
Quello che Honneth non nota qui è che, in realtà, è la nozione di libertà e
non quella di essere riconosciuti (o fissati dagli altri) che ha in Sartre una
connotazione negativa. oi'altra parte, in Sartre manca del tutto aspettor
della reciprocità, o meglio di co-originarietà intersoggettiva, come costitu-
tiva dell'idea di riconoscimento perché sempre vincolata a un'idea di libertà
r
intesa unicamente come potell7Jl determinativa, dove altro, ancor prima
di essere compaISO di fronte a me, è già reificato o cosificato a priori, per-
ché- avvalendosi del quadro teorico dalla fenomenologia trascendentale di
Husserl - il primo dato è la cosciell7Jl trascendentale dell'io ed è a partire
da essa che si costituisce l'intersoggettività. In Rousseau invece - mancan-
do owiamente ogni presupposto fenomenologico - il singolo è già da sem-
pre insieme ad altri, e il problema dell'io sorge sempre in rapporto agli altri,
traducendosi nel desiderio di guadagnare il loro favore.
82
105. Vindagine di Honneth non si limita solo a cosa debba intendersi per
riconoscimento, ma si interroga anche sui suoi effetti pratici, nei quali è an-
cora possibile differenziare il grado, rmtensità e r estensione del riconosci-
mento. Con un esempio, nelle pagine conclusive dice: «fa molta differenza
se i genitori, alla luce delle nonne della loro convivenza, discutono sulle ri-
spettive responsabilità neU'amministrazione della casa, o se il motivo della
divergenza è invece il diritto dei figli a intervenire nelle discussioni dome-
stiche, e a essere così cooptati nella gestione della famiglia. Quel che appa-
re chiaro, in questo caso, nel microcmmo famigliare - ossia la differenza tra
un disaccordo di routine sulJ>applicazione concreta di una certa nonna e un
conflitto che riguardi r ambito stesso di questa nonna-assume, nel macroco-
smo storico-sociale, un significato assai diverso, e tale da modificare il corso
stesso della storia» {ivi, p. 164).
85
106. lvi, pp. 145-146. A nostro avviso, questa conclusione appare piuttosto
forzata, perché si limita a esplicitare, attraverso il ricorso a una base teoretica
diversa da quella hegeliana, qualcosa che però è già presente nellariflessione
di Hegel. Da un lato, il processo di formazione delle nonne procede in He-
gel di pari passo con quello deU'interiorizzazione di esse: forma e contenuto
11 11
coincidono nell unità del concetto. Dalraltro, non c è bisogno di fare ricorso
ad altri autori per giustificare il passaggio dalla seconda alla prima persona
nello schema di un osservatore esterno interiorizzato come voce della pro-
pria cosciell7.a: la reciproca interdipendell7.a delle autocoscienze nella costi-
11
tuzione stessa dell autocosciell7.a hegeliana include questo passaggio, che è
appunto rautocosciell7.a che ciascun individuo ha di dover riconoscere per
poter essere riconosciuto e di essere riconosciuto per poter riconoscere, se-
condo quanto espresso dal concetto puro del riconoscere. Se questo concetto
è presentato inizialmente "per noi.., ciò trova però realizzazione nell-in sé,.
11
del Sapere assoluto come sapersi nell altro da sé.
86
113. Il problema, come noto, è quello della deriva scettica del criticismo
kantiano che, secondo Hegel, assolutizzerebbe uno dei poli dell•antinomia/
equipollenza che è il principio stesso della riflessione razionale, cioè il polo
finitodell•usocondizionato della ragione (il "che cosa posso conoscere.. della
Critica della ragion pura), e che pertanto si risolve in un dogmatismo sog-
gettivo. Testa segnala tra i testi hegeliani fondamentali in cui compare que-
sta riflessione la Di/ferenz des Fichte'schen und Schelling'schen Systems der
Philosophie (1801), la Dissertatiophilosophica ~ orbitis planetamm (1801)
e la Verhaltnis des Skeptizismus zur Philosophie (1802).
114. Il tentativo - riuscito, almeno da un punto cli vista lessicale e teorico -
è quello di andare oltre il comune riferimento al Gmndlage des Naturrechts
di Fichte per mostrare come Hegel debba la componente teoretica del ri-
conoscimento, presente nella sua trattazione delrAnerkennung, ali.idea filo-
sofico-antropologica del riconoscimento di Ernst Platner, il quale, nella sua
critica a Kant, elabora la sua teoria dello Streben des Anerkennens che si ri-
vela - nella ricostruzione di Testa - come la fonte nascosta o «ranello man-
cante» della Begierde hegeliana (cfr. I. Testa, La fltltura del riconoscimento,
cit., pp. 125-126).
91
117. Sebbene Testa esprima la sua tesi con la formulazione «conoscere è ri-
conoscere», essa non si ritrova in questi termini in Hegel. Tuttavia, r autore
procede a ricostruirla attraverso gli scritti francofortesi e jenesi sulrunione
sessuale e sulramore, con ottimi risultati, :eartendo dal fatto che da essi emer-
ge che, per Hegel, la conoscema è possibile solo in un mondo strutturato
intersoggettivamente. Sinteticamente, rifacendosi alle pagine della Fflosojia
dello spiritoJenese 1805-6, egli mostra come nella prima sezione ("lo spirito
secondo il suo concetto.., divisa a sua volta in due momenti corrispondenti
all•intelligemae alla volontà rispettivamente), con il momento pratico della
volontà, awenga già il passaggio dalla determinazione logico-gnoseologica
del riconoscimento alla sua effettuazione come principio di comprensione
delrinterazione sociale. Se la volontà è inizialmente impulso (Trieb), ciò indi-
ca già una prima forma di autorelazionecome sentimento disé, sotto forma di
una mancall7.a da colmare (e cioè come autocosciema wota). Vimpulso evi-
denzia, però, il suo limite nemmpossibilità di unificarsi con r oggetto dell·ap-
petizione poiché esso si dilegua nelratto di consumarlo. Perciò la volontà è
anche appetito (Begierde ), attività di mediazione che - con il lavoro - tra-
sforma sell7Jl distruggere 1•oggetto d•appetizione, producendo così un•opera
nella quale rio - autocosciema non wota ma pratica - intuisce il suo stesso
fare perché nell•opera la volontà viene esterioriz7.ata. Ora, dal momento che
r
J•uomo è razionale, opera in cui esterioriz7.a questa volontà è lo strumento,
che è anche «1•oggettivazione di un sapere comunicabile tra gli uomini» (ivi,
p. 357). Tra gli strumenti che hanno in se stessi il principio della loro attivi-
93
tà cl'è }l'astuzia (List), con la quale ruomo sfrutta le fone della natura per i
propri scopi, trasformando il cieco operare della natura in un fine razionale.
Perciò rastuzia è descritta da Hegel come un tranquillo «stare-a-guardare»
(in cui ci si distacca dalrimmediatezza delrimpulso); ma questo "guardare·
è un guardare «dò-che-non-sa» che perciò diventa «impulso al sapere», e in
questo modo li'astuzia si rivela come avente un elemento cognitiw e razio-
nale che sarà decisivo nella questione del riconoscimento (cfr. G.W.F. He-
gel, Falosofia dello spiritoJenese, cit., pp. 91-92). Queste due potenze in cui
la volontà è scissa sono runa universale (il teoretico guardare), raltra par-
ticolare Ol'impulso ad agire): la prima è di carattere femminile, la seconda
maschile. La differem.a sessuale e la conseguente interazione tra i sessi (con
r opposizione tra astuzia e impulso) vengono così presentate come genesi te-
orico-pratica del riconoscimento: è alivellodemntersoggettività naturale che
emerge la cosciell7.8. di sé. E, nota Testa, è proprio in questo contesto- nella
sfera della volontà e non in quella delll'intelligenza. - che Hegel fa emergere
la categoria del conoscere (Erkennen), in quanto la conoscenza. è possibile
solo in un mondo strutturato intersoggettivamente: «questi estremi devono
porsi in uno, il sapere del secondo deve passare nel conoscere», dice il filo-
sofo di Stoccarda (ivi, pp. 92-93). Conoscere significa dunque sapersi J•uno
nelraltro facendo ciascuno getto di se stesso perché non soddisfatto in sé, e
«per il fatto che ognuno sa sé nelll'altro, toglie se stesso come essente per sé,
come diverso. Questo proprio togliersi è il suo essere per ll'altro. [... ] Questo
conoscere è ramare» (ivi, p. 94). Vunione sessuale viene dunque caratteriz-
zata come unione di'amore, di estremi "posti in uno», owero riconoscimento,
secondo la trattazione dello "spirito reale• del secondo momento della secon-
da Realphilosophie. In effetti, «il riconoscimento è quel processo in cui tale
unità - già colta nella trattazione delll'intelligell7.8. dal .,per noi• del filosofo
come struttura logica costitutiva demdentità - diventa .,per essi•: diventa
cioè esperibile dal punto di vista delle coscienze singole come un "sapere di
loro stessin» (I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., pp. ~ ) . Dun-
que, la tesi avanzata da Testa per cui in Hegel «conoscere è riconoscere» può
essere sintetizzata così: «Il sapere se stesso nelll'altro proprio del riconosci-
mento è un sapere r oggetto come sé: 1•oggetto in cui ci si riconosce è infatti
un altro sé. Con ciò nel riconoscimento, come identità di opposti, si realizza
quemdentità di concetto e oggetto in cui consiste ogni atto conoscitiw. La
conoscenza, come conoscell7.8. concettuale, ha la sua matrice neII•atto del ri-
conoscere (riconoscere li'oggetto come sé, riconoscere ridentità tra soggetto
e oggetto). Con ciò ritroviamo in Hegel quel nesso tra conoscell7.8. concet-
tuale, "Anerkennung e autocoscienza che avevamo incontrato in Platner.
94
Platner, come si era visto, aveva rintracciato nel processo naturale un impul-
so spirituale al riconoscere: e ciò richiama il modo in cui l'impulso al sapere
che alberga nell'interazione naturale si sviluppa in Hegel quale impulso al
riconoscimento. Se Platner è sotto questo punto di vista l>autore cui Hegel è
più vicino, si deve anche notare che la differenmessenziale tra i due consiste
nel fatto che in Hegel tutto ciò si lega ali'affermazione del primato del sapere
interpersonale sul sapere personale e sul sapere oggettuale; in altri termini,
la conoscenza, per il suo stesso significato, è possibile solo all'interno di una
dimensione costituita intersoggettivamente» (ivi, p. 366).
118. I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., p. 38.
95
così definito come un mondo di "significatf~ esterni (il nome è inteso appun-
to da Hegel come esteriorizzazione del significato}, accessibili intersogget-
tivamente e con ciò sottratti alla presa del dubbio scettico moderno circa
il mondo esterno» (I. T ~ La natura del riconoscimento, cit., p. 62}. Da
notare anche, insieme alla riflessione sul nome, che il linguaggio nella sua
funzione comunicativa costitutiva si lega a una dimensione intersoggettiva.
121. I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., p. 67.
97
122. Afferma Testa: «Se il riconoscimento umano, nella sua complessa artico-
lazione, è il processo più alto cui giunge il processo animale-naturale- come
sostenuto nel System der Sittlichkeit-, allora bisogna che le strutture cogni-
tive che rendono possibile tale esito - strutture la cui forma logica è data dai
tropi scettici - siano già in opera, ad un livello inferiore di complessità, nella
sfera naturale». Da ciò si evince che ridea di riconoscimento - in quanto filo
conduttore di una teoria della conoscell7.8.-non coincide "immediatamente•
con quella d'intersoggettività. ma «è un fenomeno primitivo rispetto all'inter-
soggettività. umana linguisticamente strutturata e normativamente articolata.
Il riconoscimento naturale è una struttura cognitiva e pratico-interazionale
necessariamente presupposta all'istituzione di una soggettività. autocoscien-
te esprimentesi linguisticamente» (ivi, p. 80). Il riconoscimento intersogget-
tivo e linguistico appare, in questo modo, solo come una delle modalità. del
riconoscimento.
123. G.W.F. Hegel, Filosofia dello spirito jenese, cit., p. 100. Quest'afferma-
zione va intesa secondo Testa come una vera e propria antropologia che de-
finisce ontologicamente «ressere dell'uomo come essere riconoscitivo», per
cui il riconoscimento non è un mero atteggiamento sociale (e&. I. Testa, 1A
natura del riconoscimento, cit., p. 83). Con ciò sembra rivolgere una doppia
critica a chi-come Honneth in Lotta peril riconoscimento- intende il rico-
noscimento come fenomeno esclusivamente pratico-sociale e a chi - come i
post-strutturalisti francesi o come Judith Butler- intende il riconoscimento
esclusivamente come un atto di attribuzione o conferimento di proprietà. da
parte di un soggetto ad un altro soggetto. Per questo Testa parlerà di un'on-
tologia del riconoscimento (anche se in senso antropologico) e noterà che è
da questa ontologia che dipende una pragmatica del riconoscimento: «Il fat-
to che il riconoscimento altrui sia condizione dell'autoriconoscimento allora
significa che sell7.8. un processo reciproco la capacità. di cui gli individui sono
naturalmente dotati - in tal senso una proprietà. relazionale - non potrebbe
svilupparsi e attuarsi» {ivi, p. 85).
98
127. lvi, p. 129. Pur riconoscendo la rilevama della teoria di Cavell e ram-
pliamento della nozione di conoscere che egli opera, Testa afferma che «la
tesi di Hegel per cui "conoscere è riconoscere"' è però più impegnativa ri-
spetto a quella di Cavell, in quanto non si limita ad affermare che v'è un'al-
tra modalità di conoscell7.a accanto alle altre, ma intende altresì dar conto in
termini riconoscitivi di tutte le forme di rapporto epistemico e pratico con il
mondo. È però interessante notare, sia da un punto di vista storico-filosofico
che teoretico, che anche Cavell, pur all'interno di una diversa costellazione,
è stato spinto ad affrontare il problema dell:4cknowledgment proprio da quel
problema scettico che già aveva messo Hegel e i suoi contemporanei sulle
tracce dell:Anerkennung» (I. Testa, La natura del riconoscimento, cit, p. 39).
128. L'articolo è apparso nel n. 23, 2004, della «Rewe du MAUSS», con il ti-
tolo La reconnaissance aujourd?wi. Enjeuxthéoriques, éthiques etpolitiques
du concept. Per la traduzione italiana: C. Lazzeri -A. Caillé, Il riconoscimento
og,i: le poste in gioco di un concetto, in «Post-filosofie», n. 1, 2005, pp. 45-75.
101
129. In questo senso, come affermato da Claude Lefort, il Saggio sul dono di
Mauss, considerando il dono come "fatto sociale totale", «è in realtà un saggio
sui fondamenti della società», la cui domanda cruciale è: «A quali condizioni
è possibile una società?» (C. Lefort, Le forme della storia. Saggi di antropo'lo-
gia politica, tr. it. di B. Aledda e P. Montanari, Il Ponte, Milano 2012, p. 18).
130. M. Hénaff, Il prezzo della verità, cit.
131. A. Caillé, Il terzo paradigma. Antropo'logiafilosofica del dono, tr. it. di
A. Cinato, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
132. C. Lazzeri - A. Caillé, Il riconoscimento oggi, cit., p. 69.
102
133. lvi, p. 71. Su ciò, si veda in particolare il n. 23, 2004, della «Rewe du
MAUSS», interamente dedicato al tema del riconoscimento.
134. M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e 11Wtioo clello scambio nelle società
arcaiche, in Id., Teoria generale tlella magia e altri saggi, tr. it. di F. Zannino,
intr. di C. Lévi-Strauss, Einaudi, Torino 1991, p. 157.
103
Capitolo II
to" sul piano del discorso 61oso6co. Che non esista una teoria
del riconoscimento degna di questo nome, cosi come invece
esistono una o più teorie della conoscenza, è un fatto. E pro-
prio questa sorprendente lacuna contrasta con quella specie
di coerenza che consente alla parola "riconoscimento" di com-
parire in un dizionario come unità lessicale unica, nonostan-
te la molteplicità - implicata da questa unità lessicale - delle
accezioni attestate nell'ambito della comunità linguistica che
si raccoglie intorno alla medesima lingua naturale, in questo
caso la lingua francese."
Da queste poche righe, oltre alla descrizione del rapporto dia-
lettico tra l'unità semantica propria di un termine e i suoi mol-
teplici significati che caratterizza la lingua comune, ci viene
presentato un accostamento alquanto sorprendente tra rico-
noscimento e conoscenza. La dipendenza lessicale del verbo
"riconoscere" dal verbo "conoscere" è cosl ovvia che ciò che
provoca stupore non è tanto il fatto che entrambi i termini
vengano messi l'uno di fianco all'altro, ma che l'accostamento
awenga attraverso la semplice constatazione che, rispetto alla
conoscenza, il riconoscimento ha un'autonomia non solo lessi-
cale ma anche concettuale, ossia a livello di filosofema: da qui,
ciò che in definitiva desta stupore è l'assenza di una teoria del
riconoscimento. È proprio per questa ragione che ci verrebbe
da rispondere spontaneamente alla perplessità espressa da Ri-
coeur: forse non esiste una teoria del riconoscimento, appunto,
perché in realtà esso non ha uno statuto concettuale autono-
mo, ma dipende necessariamente da una più ampia teoria del-
la conoscenza, proprio perché è un "ri-conoscere" owero una
specifica modalità del "conoscere", al quale sta come la specie
sta al genere. In questo senso, si può affermare, senza paura
di sbagliare, che riconoscere è conoscere. Infatti, a prima vi-
sta, sia che si tratti di conoscere o di riconoscere un oggetto o
9. lvi, p. 25.
10. lvi, p. 26.
11. Come menzionato, in Reificazione Honneth sosterrà questa medesima
tesi, dedicando rintero terzo capitolo alla priorità del riconoscimento sulla
118
12. Come lo stesso Ricoeur ricorda, sin dalla nascita della filosofia con i
r
presocratici «"pensare,. significa pensare e~re, e che pensare l essere si-
11
gnifica pensare 1apxfl nel doppio senso demnizio e del fondamento di tutto
11
ciò che noi possiamo porre o deporre, credere o mettere in dubbio» (P. Ri-
coeur, Storia e verità, tr. it. di C. Marco e A. Rosselli, Marco, Lungro di
Cosell7.a 1994, p. 319).
13. Dietro questa scelta ricoeurianna di muovere dal linguaggio ordina-
rio c'è l'influsso della scuola linguista di Oxford, da Luclwig Wittgenstein a
Stanley Cavell, con la quale Ricoeur si è confrontato in più occasioni (cfr.
in particolare il saggio Husserl e Wittgenstein sul linguaggio, in P. Ricoeur,
Filosofia e linguaggio, tr. it. di G. Losito, a cura di D. Jetvolino, Guerini e
Associati, Milano 1994, pp. 81-110). Tra raltro, egli stesso afferma: «Da bra-
vo allievo di buona scuola britannica del linguaggio ordinario, mi sono de-
dicato a compitare i significati secondo il contesto in cui rispettivamente si
presentano nell'uso della lingua comune» (Id., Percorsi, cit., p. 7).
120
18. Su ciò, cfr. P. Ricoeur, La metafora oioo, tr. it. di G. Grampa, Jaca
Boo~ Milano 2010; Id., Paro'la e simbolo, in Id., Fi'losofia e linguaggio, cit.,
pp. 143-168.
124
Capitolo III
Primo studio:
il riconoscimento-identificazione
2. lvi, p. 32.
3. lvi, p. 33.
135
5. Queste citazioni cartesiane del Discorso sul metodo sono tratte da P. Ri-
coeur, Percorsi, cit., p. 36.
6. Come nota bene Jean Greisch, ricordando la citazione di Pascal secondo
cui «l'essenza dell'errore consiste nel fatto che non lo conosciamo» (che lo
stesso Ricoeur pone come epigrafe del primo studio diPercom), quest'ombra
negativa del conoscere - cioè l'errore - «acoompagne également la tentative
d'élaborer une théorie philosophique de la reconnaissance qui devra, d'une
manière ou d"une autre, acoorder toutesa piace à l'expérience de la méprise»
O. Greisch, Ven quelle reconnaissanceP, cit., p. 156).
7. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 37.
137
8. lvi, p. 38.
9. lvi, p. 39.
10. Le occorrenze del verbo riconoscere sulle quali si sofferma Ricoeur -
che non sono poi le uniche occorrenze di questo temine nelle Meditazio-
ni - si trovano nell»edizione francese delle Opere, in R. Descartes, CEuvres
138
12. Ibidem.
13. Greisch, commentando il carattere drammatico di questo passo rico-
r
euriano, riporta esempio delruomo devastato dalla malattia di Alzheimer,
oppure di colui che è sfigurato dall'angoscia, davanti al quale noi esclamia-
140
18. Oggettività della cosa in quanto fenomeno, cioè in quanto ciò che appare
al soggetto e perciò oggettività per una soggettività e non oggettività in sé, a
prescindere dalla soggettività. Qui, in altre parole, la soggettività è la fonte
deir'oggettività, in quanto ~a conferisce, con le sue forme spazio-temporali
e categoriali, validità universale e necessariaalleimpressioni sensibili. Perciò,
come commenta Raffaele Ciafardone nella sua lettura della Critica, al tem-
po - insieme allo spazio - «conviene l'oggettività della condizione, non og- r
gettività della cosa: ipostat:izmrli, cioè farne cose determinate e reali, significa
nienti6carli. Invero ~i hanno un valore più che empirico, ma non designa-
no una realtà estranea alla sfera empirica» (R. Ciafardone, La Critica della
ragion pura di Kant. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 2007, p. 95).
144
tération du temps»22 •
7
Nel cuore dell enigma della coordinazione tra sensibilità e in-
7
telletto S inserisce il già annunciato tema della Rekognition,
nella specifica accezione che Kant dà al termine nell Anali- 7
1
23. Su quest ultima figura della ricognizione, dice Ricoeur: «per noi si tratta
della prima promozione di una variabile del concetto di riconoscimento al
rango di filosofema» (P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 52).
147
29. R. Ciafardone, La Critica della ragion pura di Kant, cit., pp. 117-118.
152
31. In effetti, dirà Kant, «la spontaneità del nostro pensiero esige che, dap-
prima, questo molteplice [spazio-temporale] venga in certo modo attra-
versato [penetrato, durchgegangen], raccolto [aufgenommen] e connesso
[unificato, 1'ef"bunden], perché se ne possa fare una conoscell7.8. Quesf'ope-
razione io la chiamo sintesi» (A 77, B 102). Importanti interpreti del pensiero
di Kant, quali Luigi Scaravelli e Silvestro Marcucci, notano che i tre termi-
ni - penetrare, raccogliere e unificare - non sono semplici sinonimi, ma si
riferiscono a ciascuna delle tre figure della sintesi e non compaiono più nella
nuova edizione della Critica, cioè lasynopsis operata dalla sensibilità, la *sin-
tesi» operata dalrimmaginazione e l'"unificazione.. o "congiunzione» della
sintesi operata dall•mtelletto. Su questo, cfr. S. Marcucci, Guida alla 'lettu-
ra della Critica della ragion pura di Kant, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 82.
32. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 55.
154
33. Ibidem.
155
34. Nella nota a questo passo - che riecheggia senz>altro il noto frammen-
to di Eraclito secondo cui «rerudizione non insegna ad avere intelligell7.8»
(DK 22, B 40) -, Kant commenta: «Un cervello ottuso o limitato [... ] potrà
anche studiare in maniera agguerrita, fino a raggiungere r erudizione, ma di
solito in questi casi ciò che resta carente è il giudizio [ ... ], di modo che non
è raro incontrare degli uomini assai eruditi, i quali, nell>uso della loro scien-
za, lasciano trasparire spesso quella loro irrimediabile mancall7.8» (B 173).
Marcucci al riguardo rileva che dietro queste affermazioni si può scorgere
il tentativo di «dare una giustificazione teorica alrinventività dello scienzia-
to e alla sua "filosofia della scoperta,.» (S. Marcucci, Guida alla lettura, cit.,
p. 95). Cè in questo passo, forse, un invisibile richiamo all>idea ricoeuriana,
accennata airinizio di questo capitolo, della filosofia come un emergere im-
prowiso di "eventi di pensiero,. che si susseguono e che non si lasciano iscri-
vere in un semplice succedersi logico di mentalità, rappresentazioni o idee:
il sorgere di un problema filosofico, diceva Ricoeur, «resta in ogni caso im-
prevedibile in quanto evento di pensiero», e cioè si produce a partire da uno
scarto che con Kant possiamo atbibuire - per un certo verso -alla facoltà di
giudizio propria di particolari pensatori.
156
35. La tavola delle categorie offre a Kant un filo conduttore per allestire una
tavola degli schemi. Così, ad esempio, per quanto riguarda la classe delle ca-
tegorie matematiche,sono schemi il .,numero" eil .,triangolo". Gli schemi non
possono esistere in nessun•altra parte che nel pensiero, perché sono regole
fomite dalla facoltà di immaginazione che non vanno limitate a una qualche
figura determinata offerta dalresperiema; così, se pensiamo al triangolo, oc-
corre dire che per la geomebia esistono tanti schemi quante sono le figure.
157
36. «La dottrina dello schematismo indica la soluzione del problema nello
schema trascendental,e, che Kant definisce "condizione formale e pura della
sensibilità" e concepisce come "determinazione trascendentale del tempo".
In proposito occorre tenere presente che nelr'Estetica il tempo era risultato
la forma a priori di tutti i fenomeni, sia di quelli interni sia di quelli esterni;
perciò esso è universale ed è omogeneo con le categorie. D"altro canto il
tempo è omogeneo anche con r'intuizione sensibile, poiché ne è la condizione
a priori. Lo schema trascendentale, essendo una determinazione del tempo,
è, a sua volta, omogeneo tanto con la categoria quanto con }"intuizione. In
questo senso esso costituisce il medius terminus tra sensibilità e intelletto»
(R. aafardone, lA Critica della ragion pura di Kant, cit., pp.142-143).
37. P. Ricoeur, Perrorsi, cit., p. 58.
158
38. lvi, p. 59. A partire clalla fenomenologia del tempo che delineerà riper-
correndo questi passi kantiani Ricoeur trarrà la base concettuale sulla quale
potrà poi affrontare il tema del presente della durata, e con esso il tema della
memoria e della ritenzione dei ricordi legata a una particolare accezione filo-
sofica del riconoscimento, quella del sé e dello spazio che si apre nella dialetti-
159
44. Ivi, p. 61. Come si vedrà più awnti nel ten.o studio di Percorsi, il mutuo
riconoscimento deU'agape rappresenterà una vera e propria sfida a questa
esorciZ7.8Zione kantiana delrevento: lo scambio di doni secondo una logica
delreocedema, che sfugge a ogni reciprocità equivalente, ma che tuttavia
è scambio "mutuo,. di doni perché radicato nell"agape, sarà resempio di un
evento non riconducibile in ultima istanza a cause perché ogni scambio è
"gratuito.., non dowto a nient"altro che alla gratuità propria di un modo d"in-
tendere il riconoscimento, cioè la riconoscem.a. Peraltro, è importante qui
163
ricordare che Ricoeur si era già confrontato con la nozione kantiana di evento
nel saggioÉvénement etsens, apparso nel 1991, dove nota in Kant rassemadi
una nozione di istante che non sia né permanema, né successione, né simul-
taneità, ma puramente accadimento. Cfr. P. Ricoeur, Événement et sens, in
M.-F. O>nrad et al. (a cura di), Ve.space et 'le temps, Actes du XXII Congrès
0
46. Che viene individuato anche come «il concetto intellettuale del reciproco
susseguirsi delle determinazioni di queste cose esistenti simultaneamente
runa fuori dell'altra» (A 211, B ~ -
47. In caso contrario - afferma Kant - «la sintesi della facoltà di immagi-
nazione nell'apprensione indicherebbe soltanto ciascuna di queste perce-
zioni come esistenti nel soggetto quando r altra non vi fosse, e viceversa»
(A 211, B 2157).
48. R. Ciafardone, La Critica della ragion pura di Kant, cit., p. 160.
165
62. Cfr. E. Lévinas, Scoprire z•esmenza con Husserl e Heitkgger, tr. it. di
F. Sassi, Cortina, Milano 1998.
63. P. Ricoeur, Peroom, cit., p. 69. Sul tema deU'intenzionalità Ricoeur si
è soffermato più volte, considerandola centrale nella fondazione della sua
proposta di una fenomenologia ermeneutica. In questo senso, egli sostiene
che «la tesi demntenzionalità afferma esplicitamente che, se ogni senso è
per una cosciell7.a, nessuna cosciell7.a è coscienza di sé prima d•essere co-
scienza di qualche cosa verso la quale essa si supera» - ed è giustamente a
questo superamento di sé demntenzione che fa eco i-oltrepassare» di cui
parlava Lévinas. E conclude affermando in seguito che questa scoperta cen-
trale della fenomenologia consiste nel fatto che «la cosciell7.a sia fuori di se
stessa o che sia verso il senso, prima che il senso sia per essa, e soprattutto
prima che la cosciell7.a sia per se stessa» (Id., Dal testo all:azione. Saggi di
ermeneutica, tr. it. di G. Grampa, Jaca Boole, Milano 1989, p. 54). Questa di-
mensione temporale costitutiva - e perciò ontologica - della coscienza rive-
lata dal concetto d•intenzionalità (per cui la cosciell7.a è prima "fuori di sé.. e
solo successivamente è •per sé.. e non viceversa) non può trovare riscontro
neII•Analitica di Kant - dove non c•è spazio per un tempo fenomenologico
ma solo per un tempo formale - perché riguardo alrio penso non c•è prima
173
71. P. Ricoeur,. Percorsi, cit.,. pp. 16-11. Sl>intravede qui una delle conside-
razioni sul tempo sottolineata con particolare enfasi da Ricoeur nella sua
analisi della Critica kantiana, di preciso riguardo allo schema della qualità:
si tratta del tempo "vuoto" e del tempo "pieno» che qui si ripresenta in re-
lazione alla presema o assenza (scomparsa) delroggetto dal nostro campo
percettivo, fase quesfultima che il soggetto non padroneggia.
178
77. Ibidem.
78. L'idea st~a di evento, in effetti, pone il problema sulla natura della sua
temporalJtà e sulle condizioni della sua pensabilità. Da qui che nel già men-
zionato Evénement et sens (1991)- ricco di spunti e di tensioni e tuttavia
non molto conosciuto, nel quale riprende e rielabora alcuni saggi preceden-
ti - Ricoeur si rifaccia all'idea platonica diexaiphnès (soudaineté, "d'improv-
viso"), così come compare nella terza Ipotesi del Parmenide, per mo.mare
questa doppia valell7Jl del tempo che sfigura i corpi e i volti fino a renderli
irriconoscibili - rompendo in modo radicale la sequenza di stati successivi
di un volto fino all'alienazione, cioè a farlo diventare non più "lo stesso.., ma
182
Capitolo IV
Secondo studio:
il riconoscimento di sé
1. Annotazioni preliminari,
L"itinerario tracciato da Ricoeur nella sua indagine sui diversi
significati filosofici del riconoscimento lo porta, in una tappa
r
intermedia tra attivo li-conoscere e la passiva richiesta di ri-
conoscimento, a considerare le accezioni prima grammaticali e
poi filosofiche legate al "riconoscimento di sé:,:,. In questo senso,
come egli anticipa nella pagina che fa da prolusione al secondo
studio di Percorsi, il "riconoscimento di sé" rimarrà incompiu-
to dal momento che esso richiede sia come sua condizione sia
come suo completamento - pur sempre nella cifra dell:,incom-
piutezza che caratterizza la riflessione ricoeuriana - <J:,aiuto di
altri», owero il passa~o attraverso «quel mutuo riconoscimen-
to, pienamente reciproco che, come verrà mostrato nel terzo
studio, fa di ciascuno dei partner un essere-riconosciuto» 1•
Ma di cosa si tratta questo "riconoscimento di sé"? Inseren-
do la questione all:,interno del percorso fatto fin qui, in modo
sintetico possiamo dire che si tratta, da un lato, di considera-
re il soggetto non più come un "io" ma appunto come un "sé"
30. In Sé come un altro, attraverso una dettagliata analisi sul tema della
causalità dell•agire e del problema dell•ascrizione di un•azione a un sogget-
to alrinterno del più ampio contesto del passaggio dalrazione alragente, Ri-
coeur si avvale di un•argomentazione di tipo analitico (e non giuridico) per
mostrare come la differema tra ascrizione e imputazione (nozione che ap-
partiene invece al mondo del diritto) possa dare luogo ali.idea di un sé re-
sponsabile, un agente al quale «satà riconosciuto il fatto primitivo di ciò che
bisognerà chiamare non soltanto potere-di-fare ma, nel senso forte del ter-
mine, iniziativa» (cfr. P. Ricoeur, Sé come un altro, cit., p.189).
31. Cfr. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 108.
201
di vista delle sue capacità messe in opera, che nel loro insie-
me delineano in modo compiuto il ritratto dell~uomo capace.
In tal modo, attraverso un~analisi delle figure più significative
dell~"io possd~ sarà possibile mettere a confronto il carattere
ermeneutico con il carattere riflessivo del sé, un sé, dunque,
che non è solo autocoscienza - teorica e pratica - ma, soprat-
tutto, soggetto concreto e situato, che agisce e patisce.
44. Cfr. J.L. Austin, Come fare cosecon le parole, tr. it. di C. Villata, Marietti,
Genova 1987; J.R. Searle, Atti linguistici. Saggio di filosofia del l i ~ ,
tr. it. di G.R. Cardona, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
211
45. In questo senso Ricoeur afferma che i deittici «sono mezzi di designa-
zione ordinari da cui deriva l'autodesignazione del soggetto parlante» (P. Ri-
coeur, Percorsi, cit., p. 113).
46. Austin definisce l'esecuzione di un atto "illocutorio,. come «I'esecuzione
di un atto nel dire qualcosa in contrapposizione ali'esecuzione di un atto di
dire qualcosa; chiamo l'atto eseguito una "illocuzione,.» (J.L Austin, Come
fare cose con le parole, cit., p. 75). Cog, ciò che si fa nel dire qualcosa è un
affermare, un promettere, un consigliare, un ordinare, ecc., ciò che, appunto,
viene enunciato.
212
47. In questo senso, «la parola pronunciata dalruno è infatti una parola ri-
volta alraltro; per di più, accade che essa risponda a una interpellazione ve-
nuta da albi», il che vale anche per il caso del «semplice constativo del tipo
"io affermo che"», nella misura in cui esso «sostiene il proprio carattere il-
locutorio di tacita domanda di approvazione, che lo conforti con la propria
assicurazione». In tal modo, rautodesignazione, perché necessariamente ri-
voltaa un altro-conclude il filosofo di Valenoe-«costituisoe una vera e pro-
pria instaurazione concernente un soggetto parlante capace di dire "io, tal
dei tali, mi chiamo Paul Ricoeur»» (P. Ricoeur, Per-com, cit., pp. 113-114).
48. lvi, p. 114.
213
49. G.E. Ansoombe, Intenzione, tr. it. di C. Sagliani, EDUSC, Roma 2016.
50. D. Davidson, Azioni ed eventi, tr. it. di R. Brigati, il Mulino, Bologna
1992.
51. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 116.
52. lvi, p. 117.
214
54. I~ p. 205.
217
vita con quella degli altri, bisogna dire che questo aggiunge
all'ldea di vita buona l'elemento più originario delralterità, la
quale caratterizza il "vivere insieme'>58. Di qui segue che la de-
finizione che Ricoeur offre della prospettiva etica sia l'auspicio
«della "vita buona", con e per l'altro, all'interno di istituzioni
giuste»s,. La dialettica tra ipseità e alterità apre cosi la strada
all'analisi dell'imputabilità, dato che è sempre di fronte ad al-
tri che si è responsabili.
d) Poter rendere conto. La quarta e ultima figura dell'uomo ca-
pace è, quindi, l'imputabilità, alla quale si arriva direttamente
dalla condizione di fragilità nella quale si trova awolta l'iden-
tità narrativa. Il concetto di imputazione presuppone tanto lo
spingere <Ja spiegazione causale dei fenomeni naturali quanto
più possibile nel cuore delle scienze umane» quanto l'elabora-
zione di «una dottrina morale e giuridica in cui la responsabi-
lità sia delimitata da codici elaborati con cui far pesare i delitti
e le pene sui piatti della bilancia della giustizia»60•
La fenomenologia ha qui lo scopo di isolare questa capacità di
imputazione - con cui, secondo Ricoeur, la nozione di sogget-
to capace raggiunge il suo più alto significato. Egli muove da
67. P. Ricoeur, La memo~ 'la storia, l1'oblio, tr. it. di D. Iannotta, Cortina,
Milano 2003. Sulla ripresa degli argomenti di quesf'opera in Percorsi del ri-
conoscimento è stato sottolineato da Greisch il fatto che Ricoeurabbia omes-
so di trattare qui, insieme alla memo~ il tema del "perdono» come capacità
di oblio attivo (e difficile) in quanto esso fa da contrappunto alla capacità di
promettere. Il fenomeno del perdono non è infatti un tema marginale per
Ricoeur: a esso dedica, oltre l'epilogo di La menwria, 'la storia, l'oblio, alcune
lezioni ora raccolte in Id., Riamlare, climenticare, perdonare, cit., e anche il
saggio Sanzione, riabil,;tazwne, perdono, in Id., Il Giusto, voi. I, cit, pp. 196-
210. In questo senso, a onor del vero, bisogna dire che - anche se solo obli-
quamente e di sfuggita - in Percorsi Ricoeur mette in relazione il tema del
perdono con quello della memoria, e lo fa ricorrendo alle riflessioni di Han-
nah Arendt in Vitaactiva sul rapporto tra la capacità di promettere e il perdo-
no. «Il rapporto da noi stabilito tra la memoria e la promessa fa eco, in certo
senso, al rapporto che Hannah Arendt istituisce tra il perdono e la promessa,
nella misura in cui il perdono trasforma la memoria inquieta in una memoria
pacificata, in una memoria felice», dirà più avanti Ricoeur, anche se poi non
approfondirà questa linea di sviluppo in termini di capacità (cfr. P. Riooeur,
Percorsi, cit., p. 149). Sulle ragioni del mancato approfondimento della capa-
cità di perdonare in Percorsi possiamo ipotizzare che esso, in qualche modo,
viene ricompreso all'interno del fenomeno del dono e della sua gratuità, cen-
trale nel teIZO studio sul mutuo riconoscimento. Lì, infatti, Ricoeur fa riferi-
mento ai gesti di perdono come esempi di anticipazioni concrete dello stato
di pace dell'agape soltanto all'interno del quale può accadere pienamente il
reciproco riconoscimento. Su ciò ritorneremo nei prossimi capitoli.
68. Cfr. De memoria et reminiscentia in Aristotele, L'anima e il corpo. Parva
naturalia, tr. it di A.L. Carbone, Bompiani, Milano 2000, pp. 131-151.
226
69. Qui Ricoeur distingue tre ordini di tracce: «le tracce corticali di cui trat-
tano le scienze neuronali, le tracce psichiche delle impressioni esercitate sui
nostri sensi e sulla nostra affettività dagli eventi cosiddetti sorprendenti o ad-
dirittura traumatici, infine le tracce documentarie conservate nei nostri archi-
vi privati o pubblici» (P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 129). Al tema della traccia,
tra l'altro, il nostro Autore dedica non poche pagine in Tempo e racconto,
voi. III, cit., in part. pp. 182-191. Per una valutazione complessiva dell'idea
di traccia in Ricoeur, si veda A. Bruno, Vemumeutica della testimonianza
in Paul Ricoeur, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 147-159, e V. Busacchi,
Spiegazione/comprensione. Dietro la polisemia della nozione di traccia, in «Il
Protagora», XXXIX, n. 17, 2012, pp. 147-158.
227
r
miniscell7.a aspetto di un superamento della distanza tra il
passato e il presente.
Ora, sempre nel registro del come?, per quanto riguarda la
domanda sul modo in cui il riconoscimento del passato contri-
buisce al riconoscimento di sé, la trattazione aristotelica deJI>a-
namnesis non offre una risposta. Bisognerà attendere l"analisi
bergsoniana del riconoscimento dei ricordi per una trattazio-
ne della capacità di anamnesi a partire dai frutti della filosofia
del soggetto tipica della modernità. In ogni caso - per quan-
to riguarda il modo in cui la dinamica della rammemorazione
o ricordo diventa possibile -, sono tre, ad avviso di Ricoeur, i
momenti storici che la moderna questione del ricordo ha co-
nosciuto: l"associazionismo proprio deJI>empirismo inglese, la
psicoanalisi freudiana e la fenomenologia husserliana. Per ciò
che concerne il primo momento, esso ha portato a trattare il
problema della memoria sulla falsariga delr'immaginazione at-
traverso l"associazione di idee o affezioni, collegate per conti-
nuità, dove «indicarne }>una - dunque immaginare - significa
indicarne }>altra-dunque ricordare»70• Questa prima trattazio-
ne meccanicistica - che lascia senza risposta la questione della
relazione della memoria con il tempo - cede successivamente
il posto a un approccio più dinamico come quello della psicoa-
nalisi di Freud71 , che attraverso il ricorso terapeutico al sogno
72. P. Riooeur, Percorsi, cit., p. 13'1. Si noti che anche riguardo al fenomeno
del perdono si è parlato di "oblio attivo,.; occorre perciò fare un•uiteriore
precisazione: nel caso del perdono si tratta di un oblio attivo "positivo,. e non
di una "rimozione,. nel senso in cui intende qui la psicoanalisi.
73. E. Husserl, Per la fenomenolof!i,a della coscienza interna da tempo, tr.
it. di A. Marini, Franco Angeli, Milano 2001.
229
75. Ivi, p. 136. Le citazioni sono tratte da Agostino, Le confessioni, tr. it. di
C. Carena, Einaudi, Torino 1966.
76. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 137.
77. In questo senso, Ricoeur riporta la formula che inaugura il capitolo: «è
quella cosa stessa, e non un,altra» (cfr. J. Locke, Saggio sull,intellettoumano,
tr. it. cli M. Abbagnano e N. Abbagnano, UTET, Torino 1971, p. 387).
231
stesso, nel quale gli eventi fanno ritorno [ ... ] Insomma - con-
tinua Ricoeur citando Materia e memoria-, "l'atto concreto
attraverso cui riaffermiamo il passato nel presente, è il rico--
noscimento"»81.
Dopo il riconoscimento delle immagini, resta da affrontare l'al-
tro termine della coppia bergsoniana di concetti, cioè la que-
stione della presunzione della sopravviven71l delle immagini
che vengono poi attivamente riconosciute nel ricordo. Ma que-
sto problema è piuttosto enigmatico, dal momento che un pre-
sente qualsiasi può diventare passato solo se costituito come
tale contemporaneamente al suo essere presente, cioè al pre-
sente della percezione. Afferma infatti Ricoeur:
Il passato è "contemporaneo,, al presente che esso è stato. E
quindi noi non percepiamo la sopravvivenza, bensl la presup-
poniamo e la crediamo; ed è, questo, il senso della laten7.a e
della incoscien7.a dei ricordi del passato che vengono conser-
vati. In ciò consiste la verità profonda della anamnesis greca:
cercare significa trovare e ritrovare significa riconoscere ciò
che una volta - anteriormente - si è appreso.82
Con queste parole, egli chiude lo studio sulla memoria, met-
tendo in rilievo la valen7a filosofica che il riconoscimento ac-
quista con essa. Su questo diremo qualcosa in più al momento
di riprendere criticamente la lettura ricoeuriana qui sintetica-
mente proposta.
81. Ibidem.
82. lvi, p. 143.
234
91. C&. B. Lepeti~ Les formes de l"erpérience. Une atltre histoire sociale.,
Albin Michel., Paris 1995.
240
Capitolo V
Terzo studio:
il mutuo riconoscimento
4. Ibidem.
5. Ivi, p. 176.
247
una esperienza. che fosse solo la mia, una esperien7.a che fosse stata ridotta
alla sfera del proprio e alla quale mancherebbe non solo la comunità degli
uomini, ma anche la comunità della natura. In tal senso r argomentazione è
già antikantiana» (P. Riooeur, Dal testo all"azione, cit., p. 279).
10. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 166. E ancora: «Dobbiamo
giungere a comprendere con evidenza. come (in quali intenzionalità, attra-
verso quali sintesi e quali motivazioni) prende forma in me il senso "alter
ego,. e in che modo viene confermata, in quella che chiamiamo "esperie07.a
concordante delrestraneo.., la sua esiste07.a in conformità con quella che è
la sua modalità di esiste07.a, cioè di essere esso stesso qui» (ivi, pp. 166-167).
11. «Che raitro sia fin dall'inizio presupposto, repoohé con cui debutta l'a-
nalisi, lo prova una prima volta: in un modo o nelraltro, ho sempre saputo
che r altro non è uno dei miei oggetti di pensiero ma, come me, un sogget-
to di pensiero; che egli mi percepisce come un altro da sé; che insieme mi-
riamo il mondo come una natura comune; che ancora insieme edifichiamo
comunità di persone suscettibili di comportarsi a loro volta sulla scena della
storia come personalità di grado superiore. Questo tenore di senso prece-
de la riduzione al proprio. Quindi, la presupposizione dell'altro è contenuta
una seconda volta - e più segretamente - nella formazione stessa del senso:
sfera del proprio. Nell'ipotesi che io fossi solo, questa esperienza. non sareb-
be mai tntaiiZ7llbile senza il soccorso dell"altro che mi aiuta a raccogliermi,
a consolidarmi, a mantenermi nella mia identità» (P. Riooeur, Sé come un
altro, cit., p. 448).
249
14. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 1TI. I:altro non è allora condannato a rima-
nere un estraneo ma può diventare un mio simile. Dice Ricoeur al riguardo:
«La somiglian7.a, fondata sulrappaiamento di carne a carne, viene a ridurre
una distanza, a colmare uno scarto, là stesso dove esso crea una dissimme-
tria. Questo significa 1•awerbio come: come me, r altro pensa, vuole, gioisce,
soffre» (P. Ricoeur, Sé come un altro, cit., p. 451).
15. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 178.
16. Nellafenomenologiahusserlianalaquestione delraltroèin effetti anche
il modo di pensare un mondo oggettivo. Come sottolinea Ricoeur a proposito
della Quinta meditazione azrtesiana di Husserl, il problema delraltro deve
rispondere al medesimo problema che Descartes aveva posto in riferimento
a11•esistema di Dio: «À cetégard, le problème d•autrui joue le meme role que,
chez Descartes, la véracité divine en tant qu•elle fonde toute vérité et toute
réalité qui dép~ la simple réflexion du sujet sur lui-meme» (P. Ricoeur, À
z•kole de la phénoménologie, cit., pp. 233-234).
17. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 178.
251
18. Ibidem.
19. E. Lévinas, Totalitàe infinito. Saggiosull"esteriorità, tr.it. di A. Dell"Asta,
Jaca Boole, Milano 1990.
252
22. Titolo di uno dei paragrafi della sezione terza di Totalità e infinito. È
curioso notare che mentre Ricoeur impiega i termini "dissimmebia" (dissy-
métrie) e "asimmebia" (asymétrie )indistintamente, come sinonimi, Lévinas
privilegia nella sua opera il secondo vocabolo. Anche se sarebbe necessario
un accurato studio linguistico per dare ragione - se c'è - di questo parti-
colare, ci sembra interessante riportare qui quanto evidenziato da Antonio
Bergamo, che - giustamente - ha intitolato uno dei paragrafi di un suo libro
su Lévinas Dalla dissimmetria alla asimmetria. Qui egli sottolinea come, nel
contesto del rapporto di amicizia tra il filosofo lituano e Maurice Blanchot,
emerge una sottile ma decisiva differenm nella loro conce:done dell'alteri-
tà. Per quanto riguarda Blanchot, Bergamo afferma che "dissimmebia" è la
parola chiave per dire «l'irriducibilità a qualsiasi insieme, a qualsiasi unità»
del rapporto con r altro; la dissimmebia - continua l'autore-, «si manifesta
quando la dialettica istituisce una relazione nello spazio intersoggettivo a
partire da un dialogo che presuppone una uguaglianm e una unità già data.
Il punto di partenm nella dissimmebia è l'Uno indifferente». Per quanto
riguarda Lévinas, viene detto che, sebbene nel suo primo periodo filosofico
«sembri emergere il neutro come l'impersonale il y a che tutto precede, vi
è un presupposto già contenuto in nuce e che nella seconda parte della sua
riflessione della maturità emergerà. in pienezza consentendo il superamen-
to di tale neutro. O>me Blanchot riconoscerà, quella di Lévinas è una sorta
di filosofia della separazione [ ... ]. A partire da questa separazione che dice
un dislivello e una differen7.a, ma non una incomunicabilità afona, si tema-
tizza il dirsi asimmebico dell'uno ali'altro. L'asimmebia dice la mancan7.a
di simmetria, ma non la sua impossibilità. Dice che la parola ha un tono e
un timbro differente tra l'uno e l'altro, ma non che non possa essere det-
ta e accolta» (A. Bergamo, Levinas e 'la curvatura dello spazio intersogget-
tioo, Città Nuova, Roma 2018, pp. 36-38). Questa breve esplicitazione sul
significato dell'idea asimmebia levinasiana sembra molto in sintonia con il
tentativo ricoeuriano di ricavare un'idea di riconoscimento reciproco in cui
rasimmebia originaria del rapporto con l'altro venga conseJVata e protetta
sia dal rischio di in-differen7.a che da quello d'incomunicabilità e d'impos-
sibilità dell'incontro.
23. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 181.
254
24. E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di 'là. dell1'essenm, tr. it. di S. Petro-
sino e M. Aiello, Jaca Boole, Milano 1983. A quesf'opera Ricoeur ha dedica-
to un saggio (cfr. P. Ricoeur, Altrimenti. Lettura di Altrimenti che essere o
al di là dell•essema di Emmanuel Leoinas, tr. it. di I. Bertoletti, Moroellia-
na, Brescia 2007).
25. P. Ricoeur, Altrimenti, cit., p. 7.
26. Com•è noto, è nel contesto di questa problematica che s•insensce la cri-
tica - seppur limitata - di Derrida al Uvinas di Totalità e infinito in quan-
to -come ben nota Silvano Petrosino - «[lrevasione dell•essere che Totalità
e Infinito afferma compiuta si trova così ad essere messa in dubbio nella sua
stessa possibilità di formulazione» (S. Petrosino, Introduzione, in E. Uvi-
nas, Altrimenti che essere, cit., p. X; per la critica di Derrida, cfr. J. Denida,
Violenza e metafisica, in Id., La scrittura e la dijferenz.a, tr. it. di G. Pozzi,
Einaudi, Torino 1971, pp. 99-198). Da qui, la dichiarazione levinasiana in Al-
trimenti che essere di evitare il linguaggio ontologico e le sue categorie-di cui
si serve ancora in Totalità e infinito -e di collocarsi nel luogo del terzo esclu-
so, appunto,al di làdell•essereedel non essere, nella tel'7.8. personao "illeità...
255
35. lvi, p. 188. Vargomento viene così sviluppato dal Nostro in questa stessa
pagina: «In questa occasione Hobbes introduce un curioso riferimento al
tempo, e precisa: "Come lo è nella natura del clima.. (nelringlese del XVII
secolo la parola "tempo.. è ancora intesa nel doppio senso di lasso di tempo e
diintemperie). E la "naturadelclimatempestoso.. hasensosoloper contrasto
con un altro tempo favorevole: -rutto il resto del tempo è PACE..». Il passo
hobbesiano è tratto da T. Hobbes, Leoiatano, tr. it. di R. Santi, Bompiani,
Milano 2001, p. 21>7.
262
48. Il suo pensiero politico maturo troverà poi espressione nei Lineamenti
di filosofia del diritto, dove però il tema deltAnerkennung perde densità in
termini di prese117.a e di virule117.a sowersiva.
49. Lo si potrebbe dire con le parole della Fenomenologia dello spirito:
il riconoscimento, verità deII•autocoscienza, si raggiunge solo quando due
autocoscienze, 1•una di fronte alJ>altra, «si riconoscono come reciprocamen-
te riconoscentesi» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 277).
268
52. In ogni caso, e malgrado il fascino provato per i grandi testi della &-
alphi'losophie, i dubbi nubiti nei confronti della concezione hegeliana del-
lo Spirito - appunto come Assoluto - portano Ricoeur in ultima istanm a
rifiutare rimpianto riconoscitivo di Hegel in quanto, come verrà detto più
avanti, «la maniera in cui lo spirito si trova nel suo altro resta fondamental-
mente una relazione di sé con se stesso» (ivi, p. 204). Da qui, la domanda che
Greisch rivolge insieme a Ricoeure al suo principale interlocutore, Honneth,
nell•ambito della proposta di una riattualizzazionesistematica deU'argomen-
to di Hegel a Jena: «Le désir de reconnaismnce se laisse-t-il réactualiser, si
on n•adhèreplus aux présupposés d•une métaphysique de resprit absolu?»
O. Greisch,v~ quelle reconnaissanceP, cit., p. 164).
271
56. Nota Italo Testa in riferimento a un tale dispositivo speculativo che sor-
regge questo testo hegeliano: «Aristotele aveva descritto una progressione in
cui si passa dalla famiglia, come comunità che si costituisce secondo natura
per la vita quotidiana, al villaggio, quale comunità che risulta da più famiglie
che si uniscono per bisogni non quotidiani, sino allo Stato, in quanto comu-
nità formata da più villaggi e ormai capace di una completa autosufficiema.
Lo stesso Stato esiste per natura, ed è il fine cui tendono le comunità fami-
liari e del villaggio. Pertanto lo Stato per Aristotele è logicamente anterio-
276
re alla famiglia, così come il tutto alla parte. [ ... ]Nella prospettiva di Hegel
non vi è una continuità diretta tra famiglia e Stato, visto il ruolo che la lotta
per il riconoscimento (che in tal senso è il sostituto moderno del villaggio),
e successivamente la società civile, giocano nel suo modello come momenti
imprescindibili per la cosbuzione della comunità politica» (I. Testa, La na-
tura del riconoscimento, cit., pp. 372-373, nota).
57. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 204.
58. La Realphilosophiel805-1806, come abbiamo appenaacoennato, è com-
posta da due parti: la prima dedicata alla Filosofia della natura, la seconda
alla Filosofia dello spirito.
277
dell"altro e, con ciò, }"integrità del suo sé. S"innesca cosl una
lotta per la vita e la morte, per essere cioè riconosciuto nel suo
valore dall"altro, in cui ciascuno mira alla morte deU'altro nel-
la ricerca da parte dell"offeso, mediante l"affermazione violen-
ta, di quel riconoscimento che gli è stato negato63• Ma proprio
63. Ecco il "motivo morale.. della lotta che contraddistingue qui la specu-
lazione hegeliana. Infatti, come evidenzia Honneth, distintamente da Hoh-
bes - per il quale il passaggio dallo stato di natura a quello di diritto è artifi-
ciale in quanto puramente teorico (ècognitivo-contrattuale)-, Hegel intende
mostrare «che la realiZ7.azione del contratto sociale e quindi la nascita del-
le relazioni giuridiche sono il risultato di un percorso pratico che scaturisce
necessariamente cialla situazione sociale di partema dello stato di natura; è
una necessità. non più teorica, ma empirica, a portare, entro quella situazio-
ne di reciproca concorrema, alla sottoscrizione del contratto» (A. Honneth,
Lotta per il riconoscimento, cit., p. 54). Per fare ciò, egli deve spostare la sua
attenzione teorica «sulle relazioni intersoggettive che garantiscono già sem-
pre anticipatamente un consenso normativo minimale», nel senso che «pri-
ma di qualsiasi conflitto i soggetti si siano già in qualche modo riconosciuti
reciprocamente» (ivi, p. 55). In effetti, ciò che ora Hegel dovrà fare è una
«descrizione alternativa dello stato di natura» nel quale «il conflitto per 1•ac-
quisizione unilaterale della proprietà. viene intetpretato, anziché come una
"lotta per rautoaffennazione.., come una "lotta per il riconoscimento..» (ivi,
p. 56). Cog, il fatto che suscita il conflitto viene colto unilateralmente «dal
punto di vista assunto passivamente dai soggetti colpiti; cialla loro prospet-
tiva, tale atto di immediata presa di possesso è visto come un evento che li
esclude da un nesso d•interazione esistente e quindi li getta nella condizio-
ne di individui ancora isolati» (ivi, p. 57): in Hegel rindividuo non reagisce
con il sentimento di paura di essere danneggiato nella sua autoconservazione
come per Hobbes, «ma con la sensazione di essere ignorato dal suo partner
sociale». Ciò perché «nella struttura delle interazioni umane è insita r attesa
normativa di ottenere il riconoscimento da parte degli altri soggetti» (ibidem),
e rindividuo ignorato non cerca di danneggiare a sua volta 1•a1tro ma wole
solo essere nuovamente presso in considerazione. In modo speculare, dalla
parte di chi invece detiene il possesso, è proprio «la contro-reazione del suo
partner a fargli riconoscere a posteriori che con quell•atto si era anche in-
direttamente riferito al proprio ambiente sociale nel momento stesso in cui
lo aveva escluso ciaII•utilizzo di quella componente»; egli perviene così a un
decentramento della sua iniziale prospettiva egocentrica owero diviene co-
sciente che «rattacco del suo partner nell•interazione non è stato diretto al
280
suo presunto possesso, bensì a lui st~o come persona umana» (ivi, p. 58).
Entrambe le parti prendono in questo modo consapevolezza della loro reci-
proca dipenden7.a dall'altra. Anche se "ognuno è fuori dasé,. perché "ognuno
è cosciente di sé nell'altro'', in un primo momento le parti si trovano in un
rapporto di diretta contrapposizione, cioè di "disuguaglian7.a": nella distru-
zionedel possesso altrui il soggetto prima escluso si riafferma nella coscien7.a
della controparte e acquista un sapere di sé fortificato intersoggettivamente
mentre raltro soggetto si sente derubato di tale sapere: se a lui «manca mo-
mentaneamente qualsiasi esperieD7Jl di una conferma dalla sua controparte,
egli può riacquisire una comprensione di sé convalidata intersoggettivamente
solo cercando di fare la stessa cosa che il suo partner nell'interazione ha fat-
to prima a lui» (ivi, p. 60). Ma non gli è sufficiente essere presente all'altro
con un atto di provocazione: «piuttosto, egli deve dare la prova che la distru-
zione del possesso [ ... ] non lo ha offeso per una pura questione di volontà
di possesso, bensì per l'interpretazione sbagliata delle proprie intenzioni»,
dovendo ~ere disposto a sostenere con «una lotta per la vita o la morte che
la legittimità delle sue pretese è per lui più importante dell'esisten7.a fisica»
(ibidem), cioè del suo esserei.
64. «Questa volontà consapevole è ora la volontà universale. Essa è l'essere-
riconosciuto; opposta a sé nella forma della universalità, essa è ressere, realtà
in generale, e il singolo, il soggetto à la persona. La volontà del singolo è la
volontà universale, e l'universale è la volontà singola - eticità in generale,
ma immediatamente diritto» (G.W.F. Hegel, Filosofia dello spirito Jenese,
cit., pp. 106-107).
281
3.1. L'amore
Il primo modello è quello dell'amore> che pone il riconosci-
mentoa un grado pregiuridico e comprende tutta la gamma dei
rapporti erotic~ amicali o familiari che implicano forti vincoli
affettivi tra poche persone> dove cioè !"intensità è inversamente
proporzionale all"estensione. In questo stadio d'immediatezza
i «soggetti si confermano reciprocamente nella loro concreta
natura di esseri bisognosi»75 secondo la formula hegeliana di
"essere se stessi in un estraneo".
Come complemento empirico di questo modello speculativo>
Honneth trova sul versante della teoria psicoanalitica della re-
re, all'io viene assegnato un posto fisso nel lignaggio: agli occhi
dell'istituzione civile - cioè della famiglia costituita secondo le
regole e le costrizioni proprie del principio genealogico-, que-
sta posizione è designata, in termini di identità, dall'espressione
"6glio di", "fìglia di''. Ciò che l'io scopre quando si chiede sul
significato che ha per sé questa identità civile è che prima di
sviluppare la capacità di pensare e la stima di sé, egli è e resta
«questo "oggetto", questa res, [ ... ] "quell'inestimabile oggetto
di trasmissione"»85• Essere "6glio di", "6glia di" parla dunque
di una identità che dinamizza lo statico quadro genealogico, in
quanto questa identità è trasmessa da un progetto parentale
che comprende non solo la trasmissione della vita, ma anche
di una storia familiare, di una eredità di beni, di un nome e di
un cognome.
Il punto però è questo: nel momento della nascita, del veni-
re all'esserci, l'io è innanzitutto oggetto di riconoscimento da
parte dei genitori. Si potrebbe obbiettare che non solo con la
nascita, ma anche con l'istituto dell'adozione - si pensi agli an-
tichi Romani e alla dichiarazione performativa con cui l'atto
giuridico dell'adozione veniva costituito e reso effettivo - si è
riconosciuti come "fìgli di", che converte l'io in erede. Questa
obiezione serve tuttavia a Ricoeur per paragonare la nascita
all'adozione: «ogni nascita accettata è una adozione, non solo
da parte del padre ma anche da parte della madre, dal momen-
to che lei ha accettato o scelto di tenere "quel'' feto diventato
"suo" fìglio e di farlo nascere»86• Con questa accettazione (che
qui si colloca nel più vasto orizzonte dell'"approvazione" quale
aspettativa fondante del modello di riconoscimento dell'amore
secondo l'allargamento di prospettiva introdotto da Ricoeur)
l'asse riflessivo si sposta dall'osservatore imparziale del sistema
3.2. Il diritto
Il secondo modello di riconoscimento proposto da Honneth
riguarda il piano giuridico. Nel processo di formazione della
volontà universale Hegel aveva individuato i primi tratti dell'es-
90. Si ricordi che il crimine, nella Realphilosophie, nel suo incipit, svolge
la funzione di una reazione all,essere ignorato dal partner sociale in quan-
to ratto attraverso cui egli prende possesso di un bene è contemporanea-
mente un atto d,esclusione delraltro. Perciò - motivato da un sentimento
d-indignazione" - il crimine in quanto tentativo di danneggiare il possesso
altrui non è finalizzato alla soddisfazione, con quel bene, di un proprio biso-
gno materiale, ma all,essere preso nuovamente in considerazione dall,altro;
1,attacco è cioè diretto contro r altro in quanto persona umana, in cui si cerca
di cosbingerlo a una reazione. Ma così facendo, chi inizialmente aveva preso
in possesso il bene acquista consapevolezm che il suo atto aveva escluso r al-
tro, producendosi un decentramento della propria prospettiva inizialmente
egocentrica; in tal modo, perviene alla cosciema che il suo possesso ha un
significato sociale, e quindi dipende anche dagli altri. Si tratta, in definitiva,
di pervenire ad essere riconosciuti come persona: per cui, la situazione ten-
sionale che si configura prima con I,esclusione delraltro dal possesso e poi
con il crimine, e che raggiunge il suo apice nella forma di in una lotta per la
vita e la morte, ha come finalità la formazione della volontà individuale. In
tal modo poi, grazie al medlum del riconoscimento reciproco che esprime
la realtà spirituale della società, cioè la volontà universale, si accede alla tra-
sformazione degli individui in persone. Insomma, ciò che r esclusione e r of-
fesa ha reso ineguale, il diritto lo rende uguale. Sempre in questo conteso, è
interessante notare come qui il crimine svolga - a livello teorico - una fun-
zione speculare a quella dell,offerta del dono iniziale (gli opening ,i,Jts) che
caratterizza il fenomeno del dono cerimoniale reciproco trattato da Marce)
Mauss nel suo Saggio sul dono, tematica che affronteremo tra poco. Infatti,
297
prima ancora che il rapporto si configuri nella forma di una lotta per la mor-
te, il crimine si presenta come una richiesta di riconoscimento -seppure in
forma negativa-quasi "agonistica", una richiesta rivolta alraltro a entrare in
una relazione, e ciò perché prima di questo atto lesivo non esiste alcuna di-
namica sociale né intersoggettiva al cli fuori dei rapporti di famiglia o, come
direbbero gli antropologi, al di fuori dei clan o bihù.
91. P. Ricoeur,Percorsi, cit., p.222. Se nell•amore la fiducia o stima di sé ha
come presupposto la fiducia nella permanem.a del legame amoroso, anche
i diritti fanno nascere nel soggetto la consapevolezza di poter rispettare se
stesso perché ha ottenuto il rispetto di tutti gli albi, cioè la sua dignità di
persona.
92. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit., p. 132.
298
96. I~ p. 226.
97. Cfr. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit., pp. 144-146.
301
nel contesto di un preciso ordine di grande:zza nel quale s•iscrive un certo tipo
di riuscita sociale. Viene poi evidenziato che il contesto di competizione com-
porta una situazione di disputa generata dalle prove di qualificazione di un
ordine di grandezza dato, che Ricoeur, nella sua lettura, assimila al concetto
di lotta per il riconoscimento. Queste dispute, tuttavia, non sono delrordine
della violell7Jl ma dell•argomentazione, il quale s•articola in base alle diverse
strategie di giustificazione valide per le transazioni alrinterno di ogni •città..
o •mondo" (•città demspirazione.., "città dell•opinione", •città domestica..,
"città civica.., •città commerciale,. e "città industriale"), ciascuna delle quali
ha il proprio modo legittimo di argomentare, anche se sono affatto indiffe-
renti runa raltra. Infatti, è evidente che le persone, in genere, partecipano
a più di una città, per cui, essendo una persona a conoscell7Jl delle prove di
giustificazione delle altre, può contestare non solo le prove ma anche que-
stionare il contributo stesso che una città offre alla realiZ7.8zione del bene
comune. In quesfultimo caso, nota Ricoeur, in assell7Jl di una base di argo-
mentazione derivante dal medesimo sistema di giustificazione, la contesta-
zione assume allora la forma del dissidio.
100. Cfi-. C. Taylor, LA politica del riconoscimento, cit. La riflessione di Taylor
si articola all.interno di un rapporto dialettico tra riconoscimento e identità
(intesa come essere fedeli alla propria originalità secondo rideale dell•auten-
ticità) che sottolinea il carattere dialogico della vita umana. Nello specifico
di quest•opera, riflettendo sulla propria esperienza sul destino della comu-
nità del Québec francofono, r autore propone un confronto tra una politica
dell•uguale dignità o riconoscimento (il liberalismo cieco alle differenze) e
una politica delle differenze o identità (il che implica la richiesta di ricono-
scere in modo attivo i valori di ogni cultura diversa}. Ne intravede una via di
uscita nemdea gadameriana di "fusione di orizzonti.., dove la domanda inau-
tentica e omogeneiZ7.ante di riconoscimento dell•uguale valore delle culture
da una parte, e il mirarsi da soli entro i propri criteri etnocentrici dall•altra,
devono incontrarsi in un tipo di studio culturale comparativo in cui - sem.a
presupporre niente secondo i nostri criteri originari - noi stessi, personal-
mente, ci vediamo coinvolti. Questo coinvolgimento non potrà che produr-
re delle fusioni, dove i nostri orizzonti e i nostri criteri verranno in qualche
modo spostati.
303
101. P. Riooeur, Percorsi, cit., p. 228. Questo quadro culturale non è mai
definitivo e può mutare a seconda delle epoche, e con ciò cambia il siste-
ma assiologico di riferimento. In effetti, Honneth non omette di ricordare
il mutamento storico-strutturale awenuto con il passaggio dalle società tra-
dizionali, organizzate gerarchicamente per ceti, a quelle moderne, con la
conseguente trasformazione di concetti quali, ad esempio, •onore» (finora
legato agli specifici stili di vita di un determinato ceto} in quello di "prestigio
sociale» (che vincola il grado di autorealiz7.azione del soggetto al contributo
da lui offerto per lo sviluppo dei fini dell~intera società}. Cfr. A. Honneth,
Lotta per il riconoscimento, cit., pp. 152-153.
304
103. lvi, pp. 235-236. Sul paradigma della traduzione owero dell-ospitalità
linguistica», si vedano i saggi raccolti da Domenico Jervolino in P. Ricoeur,
I.A traduzione. Una sfida etica, Morcelliana, Brescia 2007.
104. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 9:37.
306
106. P. Furia, R!fìuto, altrove, utopia. Una fenomeno"/ogia estetica del rico-
noscimento nell:operadi Paul Ricoeur, Mimesis, Milano-Udine 2019, p. 325.
107. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 242.
108. In modo analogo, da una diversa angolatura, si è espresso Michael Foes-
sel: «Que les individus et les groupes tentent d'imposer leurs identités dans
les rapports sociaux n•est pas discutable, mais cela n•oblige pas pour autant
la critique sociale à épouser leur point de we sans chercher à réélaborer ces
identités en tennes de compétences» (M. Foessel, àre reconnu, cit., p. 75).
309
Capitolo VI
Il contributo di Ricoeur:
il mutuo riconoscimento> tra conflitto e pace
6. Ibidem.
314
33. «Non è nostra intenzione suggerire che gli uomini dicono che Dio li
ama per fondare l'obbligo di amarsi gli uni gli albi. Il nostro lavoro s'iscrive
dunque nella ricerca di rapporti pacificati tra le scienze sociali e la religio-
ne» (ivi, p. 54). Anche Ricoeur sembra discostarsi da una interpretazione
teologico-morale esclusivamente confessionale dell'agape, sottolineando il
suo appartenere a una più originaria e fondamentale sfera del dono che at-
traversa l'antropologia: «Uagape biblica dipende da una economia del dono
di carattere meta-etico, che mi porta a dire che non esiste una morale cri-
stiana, se non sul piano della storia delle mentalità, ma una morale comune
[ ... ]chela fede biblica pone in una nuovaprospettioo, in cui l'amore è le-
gato alla "maniera di dire Dio"'» (P. Ricoeur, Sé come un altro, cit., pp. 101-
102). Da notare che questa operazione di dissociazione del sociologico dal
teologico implica a monte una riduzione (dichiarata, in onore della verità,
sia da Boltanski che da Ricoeur) della nozione stessa di agape alla sua sola
valell7.a etico-pratica (o se si preferisce, antropologica), senm tener conto
che la sua valen7.a teologale non è solo il fondamento morale di una tale
prassi (appunto, amo il mio prossimo perché amo Dio, il quale ci ha amati
e ci ama - me e il mio prossimo - per primi e ci ha comandato di amare il
prossimo) ma essa è anche principio di comprensione della realtà: ovvero,
oltre ad avere una valell7.a etico-pratica ha, insieme e in modo inscindibi-
le - nell'ambito confe~onale-biblico da cui questa nozione è prelevata e in
cui acquista il suo pieno significato, insieme plurale e unitario-, una valen-
7.a onto-logica, attestata dall'affermazione neotestamentaria "Dio è agape"'.
Non che Ricoeur ignori questa dimensione dell'agape (di ciò si è occupato
a lungo -senm però ritornarci qui: cfr. P. Riooeur, Dall'interpretazione alla
traduzione, in A. LaCh:que - P. Riooeur, Come pensa 'fa Bibbia. Studi ese-
getici ed ermeneutici, tr. it. di F. Bassani, Paideia,Brescia2002, pp. 321-348;
328
11
già con Agostino d lppona e il suo De Trinitate, si dà un reciproco rimando
tra l'essere di Dio come amore-agape e il suo essere Trinità, per cui è pro-
11
prio Dio-(relazione d )Amore che apre il discorso a una trinità cli persone
nell unità di natura o essen7.a. Ciò dà addito, come hanno ben mostrato au-
11
tori quali Klaus Hemmerle o Piero Coda, a una ontologia della relazione in
senso trinitario, laddove il Dio-agape è principio cli comprensione del reale
11 11
(anche dell essere dell uomo e del suo agire), senm che ciò implichi neces-
sariamente un punto di vista confessionale ma soltanto l'assunzione formale
11
del principio mnitario-agapioo quale principio ermeneutico. Sull inventio
dell ontologia "mnitaria in Agostino, si vedano P. Coda, «Fraterna dilectio
11 1111
11
non solum ex Deo sed etiam Deus est». L ontologia trinitaria nel Libro VIII
del De Trinitate di Agostino, in C. Moreschini (a cura di), Trinità in rela-
zione. Percorsi di ontol,ogia trinitaria dai Padri della Chiesa all Idealismo
11
tedesco, Feeria, Pan7.ano in Chianti 2015, pp. 105-141; P. Coda, Dall incon-
11
tro alla presenz.a. Note per una fenomenowgia dell inventio deU"ontol,ogia
11
alla giustizia: perché, come dice Pascal sull amore, l'agape ap-
11
r
del tempo rimane muta, agape parla. E parla in diverse ma-
niere: nella forma dell"inno o della lode -come nel caso del ce-
lebre inno alla carità (più propriamente all"agape) della Prima
Lettera ai Corinzi -, nella forma ottativa dei macarismi o bea-
titudini del Discorso della Montagna o della Pianura dei van-
geli di Matteo e Luca, persino nella forma del comandamento
che - come evidenzia Franz Rosenzweig nella Stella della re-
denzione-precede ogni legge, comandamento che prende for-
ma nella parola che ]"amante rivolge all"amato: "amami!"" - di
cui il Cantico dei Cantici ne è il modello. In quest"ultimo caso,
nella misura in cui ]"ottativo si converte in obbligazione (si pen-
si anche ai comandamenti gesuani dell"amore al prossimo in
Mt 22,39 e in Mc 12,31, dell"amore al nemico in Mt 5,44 e in
Le 6,35, e dell"amore vicendevole in Go 13,34), ]"amore com-
pie un passo in direzione della giustizia, che parla il linguaggio
formale della regola e dell"argomentazione.
Vingresso dell"agape nel linguaggio offre quindi un luogo per
lo stabilirsi di una relazione dialettica tra questo e la giustizia,
senza che con ciò venga abolita la loro sproporzione. In effet-
ti, è proprio «al livello del linguaggio che questa discordante
r
dialettica si lascia comprendere: cosl, mentre agape si di-
chiara e si proclama, la giustizia argomenta»40 • Tuttavia, que-
sta constatazione non è sufficiente a soddisfare le aspettative
di Ricoeur: egli non intende circoscrivere la sua ricerca alla
mera contrapposizione tra stati di lotta e stati di pace ma è in-
teressato al loro intersecarsi. Vuole cioè indagare se e come
ragape incide sulla giustizia, e la specifica idea di reciprocità
su cui essa poggia. Come lo stesso filosofo francese evidenzia,
ragape, con la sua riformulazione del concetto di prossimo,
produce già un impatto sulla pratica stessa della reciprocità:
prossimo non è più soltanto colui che si trova accanto a me
41. lvi, p. 252. Cfr. anche P. Ricoeur, Amore e giustizia, cit., p. 31.
42. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 252.
334
45. «Si potrebbe dire che un dono, se si fa riconoscere come tale in piena
luce, in quanto donodestinato alla riconoscenza.si annulla aU•istante» Q. Der-
rida, Donare la morte, tr. it. di L Berta, Jaca Book, Milano 2000, p. 67). Per
Denida, il dono non è impossibile: «Non impossibile ma fimpossibile. La fi-
gura stessadelrimpossibile. E~ si annuncia, si fa [se donne à] pensare come
rimpossibile» O- Denida, Donare il tempo, tr. it. di G. Berto, Cortina, Mila-
no 1996, p. 9). E ancora: «Affinché ci sia dono, non deve esserci reciprocità,
ritorno, scambio, contro-dono né debito» (ivi, p. 14).
336
ner dice sia il neutro "dare"' (che può indicare il semplice "dato"
oggettivo o matematico) sia l'intenzionale "donare"; oppure il
caso dove dono, in inglese, si dice gift, mentre in tedesco Gift
significa "veleno"" e (Mit)gift, invece, è la dote.
Nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Émile Ben-
veniste individua, a partire dalla radice indoeuropea 0 do-, che
comprende sia ]"atto di dare che quello di prendere, ben cinque
nomi greci del dono: dos, dbron, dbred, dosis, d6tine. Abbia-
mo, quindi: a) dos, che esprime l"idea di dare nel suo senso più
astratto e generale: è la forma più rara e ci è pervenuto soltanto
un unico esempio, riconducibile al signtlìcato di "dote" che la
sposa porta al matrimonio o che lo sposo offre alla famiglia del-
la sposa per "l"acquisto"" della ragazza; b) dbron, da parte sua,
dice 17oggetto concreto, materiale, la cosa donata; e) dbred, in
cambio, designa "il fatto di portare, di destinare in dono", con
valore verbale; d) d6sis ha più significati: rappresenta il gesto,
ratto dell"offerta che lascia indeterminato il dono; poi designa
anche ratto giuridico di dare in eredità, per volontà espressa,
al di fuori delle regole di trasmissione ordinarie; infine, inclu-
de un uso in campo medico: il fatto di offrire un medicamento;
e) dbtine, per ultimo, dice il dono in quanto prestazione con-
trattuale, imposta dagli obblighi di un patto, un"allea117.a, un"a-
micizia, un"ospitalità46 •
Se togliamo d6s e d6red - in quanto rispettivamente forma
astratta o generica e forma verbale -, abbiamo i tre significati
specifici della parola "dono": come oggetto o cosa, come gesto
gratuito e come prestazione contrattuale obbligante. Tra que-
sti termini, quello che ci interessa qui è dosis - il dono disin-
teressato o gratuito-, che significa sia "dono" che "porzione",
"parte"". In questo senso, occorre notare che
47. S. Zanardo, Il legame del dono, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 38-39.
338
48. S. anardo, Nelle trame del, dono. Forme di vita e legami sociali, EDB,
Bologna 2013, p. 72.
49. Affinché ci sia dono, dice Denida, bisogna che il donatario «non ricono-
sca il dono come dono. Se lo riconosce come dono, se il dono gli appare come
tale, se il presente gli è presente come presente, questo semplice riconosci-
mento è sufficiente ad annullare il dono. Perché? Perché esso restituisce al
posto, diciamo, della cosa stessa, un equiwlente simbolico. [ ... ] Ma nemme-
340
no colui che dona deve vederlo o saperlo, altrimenti comincia, fìn dalrinizio,
fìn dal momento in cui ha l'intenzione di donare, a ripagarsi di un riconosci-
mento simbolico, a felicitarsi, ad approvarsi, a gratificarsi, a congratularsi, a
restituirsi simbolicamente il valore di ciò che ha appena donato» (J. Derrida,
Donare il tempo, cit., pp. 15-16).
50. lvi,p.17.
51. e&. J-L Marion, Dato che. Saggio per una fenomenologia della dona-
zione, tr. it. di R. Caldarone, SEI, Torino 2001, pp. 13-18.
52. S. 7.anardo, Nelle trame del dono, cit., p. 78.
341
57. Come ha evidenziato Marcel Hénaff, quel che deve tornare a chi ha
iniziato lo scambio è il gesto cli gratitudine e non necessariamente lo stesso
oggetto. Un eventuale malinteso in questo senso «sp<>sta la questione sulr'og-
getto in quanto tale, e si manca la logica del dono che non è il dono scam-
biato ma la gratitudine accorda~ il legame creato. Peggio ancora: si finisce
per vedere nella circolazione dei doni una specie cli movimento circolare a
saldo zero; in poche parole, una simpatica fantasia "arcaica"'» (M. Hénaff,
Il prezzo della verità, cit., p. 179 nota}.
58. Riferendosi a questo scambio presso i Maori, Mauss confesm che per lui
esso «è oscuro in un solo punto: l'intervento di una terza persona» (M. Mauss,
Saggio sul dono, cit., p. 170}. A dire di Hénaf( il ruolo del terzo resta oscu-
ro a Mauss perché egli considera la reciprocità solamente come fenomeno
duale e trascura la sua dimensione generalizmta, come accade nel caso dei
circuiti "esogamici». Ciò poiché, alla stregua dell'insegnamento sulle sbuttu-
re elementari della parentela di Claude Lévi-Strauss - nei cui confronti egli
esprime un debito teorico - Hénaff considera che la proibizione deU'incesto
altro non è che un «obbligo positivo cli reciprocità», dato che «le spose de-
vono venire da un altro gruppo», e che «per ogni sposa che si rifiuti nel pro-
11
prio gruppo cli consanguine~ in linea cli principio ne viene garantita un altra
344
tra gratuità e obbligo: ciò che si chiama dono non è che uno
scambio (non solo di beni, ma anche di incarichi, di dignità, di
privilegi) e il concetto di hau ha la sola funzione di dissimulare
agli occhi degli attori dello scambio, tramite la sua reificazione
in uno spirito, questa verità inconscia: che si tratta cioè di uno
scambio regolato. Insomma - per dirla con Molière -, lo hau
altro non sarebbe che una sorta di "virtù donnitiva".
Facendo leva su questo paradosso di un obbligo di reciprocità
nel cuore stesso del dono, Lévi-Strauss inaugurerà una vasta e
ricca Wirkungsgeschichte del Saggio di Mauss che - come af-
ferma Hénaff - sarà una «storia specificamente francese» 63• In
effetti, contro questa lettura che riduce il fenomeno del dono
a mero scambio regolato da una logica di reciprocità equiva-
lente si scagliano le critiche di Claude Lefort, ispirate alla fe-
nomenologia di Merleau-Ponty: secondo Lefort, a causa della
sua precomprensione strutturalista e del suo forte desiderio di
ridurre le scienze sociali a un universo calcolabile e predicibi-
le, Lévi-Strauss non ha preso atto del fatto che «è al signilìcato
che guarda Mauss, non al simbolo; ciò che gli interessa è capire
l'intenzione immanente ai comportamenti, senza abbandona-
re il piano del vissuto»64 • r:errore di Mauss, aggiunge Lefort,
7
è in realtà l'aver visto lo scambio come un "fatto" e non come
un "att0 in termini di Ricoeur, come evento impersonale e
7765
;
63. Su ciò, si veda M. Hénaff, Il dono dei filosofi, cit., pp. 30-33.
64. C. Lefort, u forme della storia, cit., p. 18. Spiega ancora: «In breve, ciò
che contestiamo a Lévi-Strauss è di cogliere nella società rego'le piuttosto che
comportamenti [ ... ]; di porre artificialmente una razionalità totale a partire
dalla quale i gruppi e gli uomini risultano ridotti a una funzione astratta,
piuttosto che di fondarla sulle relazioni concrete che li legano effettivamente
gli uni agli altri (ivi, p. 24).
65. Secondo Lefort, il problema di Mauss radica nel voler applicare alle
società primitive un tipo di analisi giustificabile soltanto nello studio delle
società moderne: «Se immaginiamo che in realtà gli scambi tra gli uomini
sianoprima di tutto di natura economica, è soloperché nella moderna società
347
capitalistica viene distinto un ordine economico che fonda gli albi ordini
sociali». La domanda di Mauss circa la "fo17.a,. insita nel dono che costringe
a farlo circolare è, a parere di questi, posta in modo sbagliato: «non può
esserci una fo17.a simile nella cosa: questa forza è una rappresentazione»
(C. Lefort, Le forme della storia, cit., p. 20). Ma il più grave errore di Mauss
consisterebbe «nel voler trattare lo scambio come un fatto. [... ] Lo scambio,
Mau~ lo sa bene, è umano, non naturale: è un atto» (ivi, p. 22).
66. C. Lefort, Le forme della storia, cit., pp. 27-29.
67. P. Ricoeur,. Percorsi, cit., p. 255.
348
lo che può essere sia vizioso (come nel caso della vendetta) sia
virtuoso (come nel caso del dono).
Nella vendetta, la reciprocità s'impone come una regola (]a cui
formula è: "Uccidere colui che ha ucciso") che sovrasta gli indi-
vidui e li rende soggetti anonimi di un sistema autonomo - nel
quale si dà una perenne oscillazione tra i ruoli dell'omicida e
della vittima7°. Ora, la transizione da questo primo circolo vi-
zioso a quello virtuoso del dono è mediata dal sacrificio, ossia
dal]'offerta di un sé - che non ha ucciso - al boia perché gli ta-
gli la testa71: trattandosi però di una offerta, nota Ricoeur - e
con ciò anticipa una dimensione decisiva della sua concezione
del mutuo riconoscimento -, abbiamo a che fare con un "ge-
sto", cioè un atto intenzionale del soggetto grazie al quale si
passa dall'autoreferenzialità di un sistema autonomo alla con-
siderazione di «ciò che accade "tra" gli attori». E aggiunge: «In
una concezione sistematica non bisognerebbe perdere di vista i
gesti concreti quali rinunciare a rendere violenza per violenza,
sottrarsi alla suggestione del principio "uccidi chi ha ucciso"».
Malgrado ciò, pur se il sacrincio inaugura un nuovo ciclo di re-
ciprocità non violenta - perché, a differenza della vendetta che
guarda indietro, il sacrificio anticipa la reciprocità-, con esso
si rimane ancora nell'ordine della violenza omicida - anche se
non già violenza reciproca - a motivo della regola "uccidi chi
non ha ucciso". Resta in ogni caso il gesto della presentazione
70. «Uccidere colui che ha ucciso: finché le due parti sono d•accordo su que-
sto principio, il con8itto si perpetuerà da solo, conia regolarità di un mecca-
nismo che gira in modo autonomo. Gli uomini che partecipano alla vendetta
agiscono indipendentemente dalla loro volontà; sono semplicemente gli
ingranaggi del meccanismo [ ... ] Il vendicatore incarna semplicemente la
Vendetta - e, in quanto ultima incarnazione, viene automaticamente con-
trassegnato come la prossima vittima» (ivi, p. 14).
71. «Colui che uccide non deve forse pagare con la propria testa? E allo-
ra, che lo faccia in anticipo! Invertire il ciclo della vendetta equivale a dare
a11•a1tro in anticipo» (ivi, pp.16-17).
350
ve, «!"unità del tutto è più reale di ciascuna delle sue parti», il
che equivale a dire che la relazione di scambio è trascenden-
te rispetto agli individui; per questo motivo - conclude Lévi-
Strauss - r autore del Saggio sul. dono «è costretto ad aggiunge-
re al miscuglio una quantità supplementare che gli dà l"illusione
di aver raggiunto lo scopo. Questa quantità è lo hau.»79 . A mo-
tivo di questa spiegazione causale che pretende di risalire dal-
la parte per spiegare il tutto, si dovrebbe qui parlare di una
gerarchia ribaltata deU'ordine causale. In un senso opposto,
la questione potrebbe essere anche spiegata a partire dal con-
siderare lo scambio non già come un fenomeno secondario o
successivo rispetto alle singole operazioni di dare, ricevere e
ricambiare, ma come fenomeno originario; questo però ci por-
ta - sempre secondo il pensatore strutturalista - a una circolari-
tà vi:ziosa che spiega lo scambio tramite lo hau e lo hau. tramite
lo scambio, dato che lo hau non è una virtù che costringe alla
circolazione dei doni ma la reificazione dello scambio stesso
ed è perciò una mera rappresentazione gratuita, priva di esi-
sten7.a oggettiva80•
Insomma, Mauss dice che non e~è scambio sell7.a lo hau. e Lévi-
Strauss che non c~è hau. sell7.a lo scambio. Anspach invece, sem-
pre sulla scia della teoria dei tipi logici di Russell, scorge da
parte sua una terza via che -pur rimanendo in una prospettiva
85. Riferendosi al fatto che la natura peculiare del dono è proprio quella di
obbligare nel tempo, Mauss afferma che «i doni circolano [ ... ] accompagna-
ti dalla certezza che saranno ricambiati, con la "garanzia,. insita nella cosa
donata, che è, essa stessa, questa "garanzia»» (M. Mauss, Saggio sul dono,
cit., p. 210).
359
r
88. In questo senso, «il gesto di presentare offerta, il gesto di offrire che
inaugura l'ingresso nel regime del dono», in quanto "gesto», «resta deU'or-
dine dell'evento» {P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 957). Su questa prospettiva
che oppone il piano strutturale o sistemico a quello dell'evento, sebbene
ritorneremo sull'argomento nel capitol_? finale del nostro lavoro, possiamo
già notare che nel menzionato saggio Evénement et sens del 1991 Ricoeur
indaga la nozione di evento in relazione a tre contesti: quello della seman-
tica referenziale, in cui troviamo l'"evento-occorrell7.8.», che comporta un
impiego "fisico" ed extralinguistico del termine, dove evento significa che
"qualche cosa,. accade, avviene, si produce, si verifica; quello della prag-
matica del linguaggio, con cui si entra nell'ambito dell'"evento-parola» o
dell'evento del discorso significante; infine, quello dell'azione e della nar-
razione, dove la nozione di evento viene considerata dal versante del potere
d'iniziativa del soggetto: non più un semplice accadere dell'evento, ma un
«far accadere» r evento. È all'interno di quest'ultimo contesto che occorre
inserire le riflessioni sui "gesti,. che accompagnano il dono: la relazione tra
questo livello immanente alle condotte degli individui e quello trascendente
del flusso o cerchio non è pertanto una relazione causale circolare secondo
l'intende un certo approccio sistemico, bensì sono le azioni - la capacità o
potere d'iniziativa dei sé - a dar vita ali'evento del dono in quanto simbolo
di mutuo riconoscimento. Al riguardo, dice Ricoeur: «nel conflitto tra l'agi-
re e la causalità, il primo è sempre vincente; che ragire possa essere inte-
ramente preso nella rete della causalità. è una contraddizione in termini»
(P. Ricoeur, Dal testo ali/azione, cit., p. 260).
361
93. lvi, p. 261. Per Ricoeur, «questo contrasto tra reciprocità. e mutualità. è
da ora in avanti ritenuto un presupposto fondamentale della tesi incentrata
sull'idea di mutuo riconoscimento simbolico» (ibidem).
94. La formula logica di questo circolo potrebbe infatti essere: "riconosci a
chi ti riconoscerà.., una specie di variante del concetto puro del riconoscere
hegeliano in cui le autocoscienze, per essere pienamente tali, sono chiamate
ad essere reciprocamente riconoscentesi.
364
95. Per un confronto analitico tra Ricoeur e Hénaff, si veda A. Loute, Paul
Ricoeur et Marcel Hénaff: don, réciprocité et mutualité, in «Teoria e critica
della regolazione sociale», n. 4, 2010, risorsa online: https://mimesisjournals.
com/ojsfmdex.phpltcrs/article/viewfl-43 (pp. 1-24).
96. La tena e ultima parte dell'opera è invece dedicata alla giustizia nello
scambio e allo spazio mercantile.
365
97. Qui 1•autore si rifà alrApologia di Socrate di Platone, che pone in boc-
ca al maestro queste parole: «E se da queste cose traessi qualche profitto e
dessi consigli per ricevere qualche compenso in denaro, una qualche mo-
tivazione ci sarebbe. Ma ora lo vedete pure voi stessi che i miei accusatori
[ ... ] per questo non sono stati così spudorati da portare un solo testimone
per provare che io anche una sola volta mi sia fatto pagare o che abbia pre-
teso un qualche compenso. Il testimone atto a provare che io dico il vero,
ve lo porto invece io: la mia povertà!» {Platone, Apologia di Socrate, 3lb-c;
tr. mod.). V espressione "prezzo della verità.. ha anche una valenza episte-
mologica di sapore hegeliano che ricorre come un fiume carsico nelrer-
meneutica di Ricoeur. Hegel, nella Vorred8 alla Fenomenologia, si scaglia
contro le concezioni che considerano la verità o•e,nsreme) «una moneta co-
niata che, così com•è sia pronta per essere spesa e incassata» {G.W.F. He-
gel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 93; su questo, cfr. anche E. Bloch,
Soggetto-Oggetto, cit., p. 31). Ciò significa che il "senm prezzo» sta a indi-
care la non-oggettivazione della verità da parte di una ragione calcolante in
quanto essa è da intendersi come movimento, come processo o risultato,
irriducibile quindi a mero formalismo logico e a norma disincarnata. Nel-
le parole di Ricoeur - come si vedrà in seguito - il "sen7.a prezzo.. preserva
il carattere festivo, evenemenziale e inesauribile della verità di fronte alla
tentazione moraleggiante della sua istituzio11aliZZBzione.
366
trae poi anche nel Medioevo, sia con la condanna dei teologi
e chierici ai commercianti e usurai che perseguono soltanto il
profìtto, sia con la preferenza e stima del popolo per gli arti-
giani e bottegai di fronte ai commercianti. Dopodiché l"auto-
re nota come, pur se con il Rinascimento e la Riforma questa
battaglia viene persa, continua in ogni caso ad esserci ai nostri
giorni un certo sospetto nei confronti del danaro che compra
danaro e si tramuta in merce. Infatti, la vittoria del mercato
non è stata in grado di eliminare completamente la parola di
Socrate e il suo gesto nell"ora della morte98 e neppure la do-
manda circa resisten7a, ancora oggi, di beni non commerciali.
Se è cosl, occorre allora individuare nelle nostre società mo-
derne esempi di questi scambi che fuoriescono dalla tipologia
degli scambi economici: «si tratta di concepire una relazione di
scambio che non è affatto di tipo commerciale»00• È proprio qui
che le questioni del senza prezzo e del dono si ricongiungono,
in quanto questa relazione non commerciale egli la individuerà
nel mutuo riconoscimento simbolico che sta dietro il fenomeno
del dono reciproco cerimoniale, laddove per cerimoniale s"in-
tende l"insieme di procedure rituali e vincolanti attraverso cui
r
pio morale quanto essema stessa delragape, che nella sua sovrabbondan7.8.
esclude ogni riferimento al calcolo e all'equivalell7.a.
104. «Le propre du sacrifìce est ainsi de joindre le moment d'offrande à un
moment d'immolation; offrir et détruire; or débuire ne signifìe pas fonda-
mentalementviolence, mais privation d'une chose de prue. Le sacrifìceest un
don que coute» (P. Ricoeur, Considération sur la triade, cit., p. 39). Si tratta
però di un costo non monetario, di un prezzo non mereantile, non contabi-
lizzabile -e in questo senso al di là del legame tra azione e agente, cioè al di
là di ogni imputabilità. Sui temi del sacrificio e del prezzo non contabiliZ7.8.-
bile torneremo nel prossimo capitolo.
105. Occorre tuttavia, come fa Ricoeur, stare attenti a non sovrapporre né
ridurre la sfera del "sema prezzo,. al dono: ci sono in effetti beni non com-
merciali la cui condizione di essere "sema prezzo,. non dipende dal fatto che
siano stati oggetto di un presente o regalo (almeno non nel senso di fenomeno
intersoggettivo reciproco in cui qui viene affrontata la questione) come nel
caso della sicurezza, degli oneri e gli onori, ma anche dell'integrità morale,
rintegrità del corpo umano e la non commercializzazione dei suoi organi,
ecc. In ogni caso, anch'essi chiedono di essere riconosciuti.
370
nipotell7Jl delle filosofie del cogito: a suo avviso, bisogna «abbandonarsi allo
stupore» per poter così essere «allontanati da noi stessi, sloggiati dal centro»
(P. Ricoeur, Della interpretazione, cit., p. 71); rattenzione ricade così in ciò
che non è trasparente immediatamente al co{!jto, nel suo altro, cioè nel lin-
guaggio dei simboli - come lo è il gesto del dono in quanto simbolo della
relazione-evento di mutuo riconoscimento-perché i simboli sono, appunto,
«lo stupore del pensiero» (Id., Il simbolo dà a pensare, cit., p. 23).
116. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 271.
377
117. Ibidem.
118. Questa verità trans-storica e transculturale è stata successivamente in-
dagata ed esplicitata da Ricoeur in un saggio di poco successivo (sul quale ci
soffermeremo più a lungo nel prossimo capitolo), dove vede nel fenomeno
del dono reciproco cerimoniale il luogo d•intersezione tra la dimensione oriz-
zontale della reciprocità dei rapporti interpersonali e la dimensione verticale
della trascendell7.a o antecedell7.a delr'esperiell7.a cosmico-antropologica. In
questo senso, è la categoria della "graziaa. che con il suo rimando ad un•an-
tecedenza originaria apre lo spazio della reciprocità. Ricoeur riporta qui le
parole di Hénaff, che sostiene che «i rapporti tra essere umani non hanno
mai avuto luogo senza riferirsi a questa istaJl7.a che li precede» (M. Hénaff,,
Il prezzo della verità, cit.,, p. 333). Così,, afferma il filosofo di Valence, ran-
tecedenza della grazia «a pour corollaire runilatéralité du don à la racine
de cette mutualité» (P. Ricoeur, Considération sur la triade, cit.,, p. 42). Per
questa ragione - aggiungiamo noi - il contraccambio o controdono è sem-
pre un secondo "primo.. dono, cioè preserva 1•unilateralità della gratuità nel
cuore stesso dello scambio.
119. Cfr. J. Greisch,, Ven quelle reconnaissance?, cit., p. 170.
378
120. Il limite tra buona e cattiva reciprocità è sfumato e solo può cogliersi
con un•intellige117.a pratica emozionale misurata dalla gratitudine. Il "gesto..
di generosità, di offerta di sé come espressione di gratitudine, resta in ogni
caso il segno e la salvaguardia del dono: dato il suo carattere libero, esso può
non essere accolto-ricevuto e dunque non necessariamente innesca una re-
ciprocità (buona); eppure, in quanto gesto eccedente o agapico -e non mera
liberalità morale o elargizione filantropica e caritativa nel senso istituzionale -
è in grado di prevenire contro ogni scivolamento verso una cattiva recipro-
cità perché 1•uomo delragape non restituisce mai colpo per colpo ma porge
1•altra guancia. Figura paradossale dell"uomo di questo "gesto.. è il principe
Mys'1dn, il protagonista del romanzo L"Idiota di Dostoevskij {cfr. P. Ricoeur,
Percorsi, cit., p. 253).
379
124. lvi, p. 265. Commenta al riguardo Roberto Walton: «Se advierte que,
corno su canicter simb6lico es impncito, inmanente y constructivo, el re-
conocimiento mutuo inherente al don reciproco ceremonial se encuentra
incorporado en el gesto de dar y rebibuir y por eso se desconoce a sf mis-
mo en el sentido de que no es tema de una representaci6n autonoma por
medio del lenguaje» (R.J. Walton, La fenomenolog(a del don y la ditJéctica
entre disimetna y mutualidad, in «Revista Latinoamericana de Filosoffa»,
n. 32, 2006, p. 342). Si capisce così perché Ricoeur proponga qui di gettare
un ponte verso il giudizio di gusto esposto da Kant nella tel7.a Critica, pro-
prio in virtù del suo essere privo di referente oggettivo e di sostenersi solo
sulla sua comunicabilità (cfr. P. Ricoeur, Percorsi, cit., p. 266. Su questa di-
mensione della comunicabilità deII·esperiell7.8. estetica in relazione con re-
speriell7.8. religiosa - in cui va originariamente compresa ragape-, si veda
in particolare P. Ricoeur, La critica e la convinzione, tr. it. di D. !annotta,
JacaBook, Milano 1997, pp. 252-257). ff altronde, ci si potrebbe chiedere se
"sim~lo.. si riferisce qui soltanto al "gesto.. oppure anche alla "cosa,. scam-
biata. E chiaro che sell7.8. il gesto (rituale o cerimoniale) che sottrae la cosa
scambiata dalrordine commerciale e la introduce in quello del sell7.a prezzo,
la cosa non sarebbe un regalo, cioè, non "simbolizzerebbe.. un presente. È
il gesto stesso come totalità significante a conferire alla cosa il carattere di
presente, a farlo essere simbolo di riconoscimento; tuttavia, specularmente
il presente, in quanto cosa, si fa a sua volta veicolo di questo gesto di rico-
noscimento, ne è il simbolo.
382
125. Ne consegue - noi così lo intendiamo - che non c•è più spazio per il
problema delrattesa di un controdono perché il carattere evenemenziale del
ricambiare in quanto "secondo primo dono.. sta a indicare una verità antro-
pologica fondamentale: così come ci si dà tutto se stessi donando- compre-
se le proprie attese -, ci si riceve tutto se stessi quando si è oggetto di un
dono (per cui alla capacità di dare, che è un fare, corrisponde una capacità
passiva, quella di ricevere e di riceversi).
126. Annalisa Caputo parla al riguardo di una «sospensione della feriali-
tà» (cfr. A. Caputo, Amore e reciprocità. Un percorso filosojìco tra il reale
e z•impossibile, Stilo Editrice, Bari 2017, p. 164). Lo stesso Ricoeur aveva
parlato di «etica quotidiana» riferendosi alla logica dell•equivalema distin-
guendola dalla sovrabbondanm delreconomia del dono (P. Ricoeur, Amore
e giustizia, cit., p. 35) che in cambio implica una «sospensione dell•etica»
(ivi, p. 44), così come di una contrapposizione tra «les fetes» a «les jours ou-
vrables» (P. Ricoeur, La lutte pour la reconnaissance et z•économie du don,
in M. A'iJs Villaverde (a cura di), Hermenéutica y responsabilidad. Home-
naje a Paul Ricoeur, Universidade de Santiago de Compostela, Santiago de
Compostela 2005, p. 26). È evidente che questa descrizione del fenomeno
del dono cerimoniale proprio delle società arcaiche e pervenuto a noi oggi
indicala sua originaria appartenemaalla sfera del "sacro.. {mentre gli scambi
commerciali apparterrebbero airordine del profano), per cui una indagine
esaustiva del riconoscimento simbolico richiederebbe il passaggio attraver-
383
141. Una tale impostazione della predicazione cristiana dell agape nei con-
11
tà. del riconoscimento, in quella temporaneità. aperta dal .,tra.. che richiede
sempre rintersoggettività.
144. P. Ricoeur, La memoria, lasto~ z·oblio, cit, p. 676. Il problema di ciò,
come notano Alain Loute e Gonçalo Marcelo, è come il gesto individuale di
questi soggetti (del cancelliere Brandt, o di altri come Martin Luther King)
acquista una dimensione sociale. Dal punto di vista sociologico, Loute par-
la di questi gesti eccessivi come dotati di una esemplarità tale da provocare
un «contagion mimétique» tra gli individui, considerando però una tale in-
terpretazione insufficiente per rendere ragione della costituzione simboli-
ca dei legami sociali secondo quanto richiesto da un approccio strutturalista
o sistemico alla società. di fronte a un approccio che predilige le azioni de-
gli individui (cfr. A. Loute, Philosophie social,e et reconnalssance mutuelle,
cit., pp. 146-147). Anche Maroelo parla al riguamo di contagio individuale:
«these gestures [ ... ] seem only to be able to touch those who are closest to
us or who come accross. This contagion is individuai» (G. Marcelo, Paul Ri-
coeur and the Utopia of Mutual Recognition, cit., p. 125). A dire il vero, Ri-
coeur stesso aveva sollevato già questo problema altrove, affermando che «è
1•esemplarità della singolarità. che mi fa problema» perché essa funge come
«una ingiunzione da individuo singolo a individuo singolo» attraverso la qua-
le «passa 1•effetto di coinvolgimento e vengono suscitate, a loro volta, azioni
analoghe, anch•esse singolari» (P. Ricoeur, La critiaz e la convinzione, cit.,.
pp. 253-254). Ma la dimensione normativa e universale del riconoscimento
reciproco non può mai fare a meno del fatto che il riconoscimento è un•espe-
rienza personale intersoggettivasulla quale robbligatorio della norma non ha
alcun potere perché la sua forza coercitiva è soltanto in grado di generare un
riconoscimento unilaterale e ineguale.
391
147. Già nel periodo della sua svolta ermeneutica, Ricoeur aveva preso atto
del fallimento dei sistemi totali di pensiero che pretendendo di spiegare inte-
ramente da un punto di vista logico e concettuale il problema del male - ov-
vero, nel linguaggio cli Percorsi, della realtà conflittuale che prende piede
ogniqualvolta gli uomini si trovano a vivere insieme secondo un regime di
giustizia -, sia che si tratti di sistemi non dialettici come quelli cli Plotino e
Spinom in cui governa la logica del «non ostante il male, il bene ha la me-
glio», oppure del «p<>ichévi è ordine, c'è disordine», che vanifìcanoin ultima
istama l'aspetto drammatico del male, della sofferenm e del misconosci-
mento, sia quello dialettico cli Hegel, dove il male, anche se «è riconosciuto
e integrato, a bene vedere ciò non avviene come male, ma come contraddi-
zione», cioè sul piano logico del giudizio, e così, con il "perdono" o riconci-
liazione finale, «il simbolo della remissione dei peccati è perduto poiché il
male è più "sorpassato" che "perdonato" e sparisce in questa riconciliazione»
(P. Ricoeur, Il conflitto delle interpretazioni, cit., pp. 328-329). Di fronte a
questa costatazione, egli si chiede se forse «non bisogna cercare allora la ri-
sposta alla nostra ricerca di intelligibilità dal lato di unastoria sensata piutto-
sto che in una 'logica dell'essere» (ivi, p. 329}. Lo sfoJZO del nostro autore era
allora andato - cosa che nel passo di Percorsi del riconoscimento che stiamo
qui trattando si ripresenta in modo identico - non nella direzione di un pen-
siero delle origini tipico della logica che nella ricerca di giustificazioni deve
sempre risalire all'indietro, verso l'azione già compiuta, ma nella direzione
di una «intelligeD7.a della soglia» e «della speran7.a» che assume il carattere
aporetico del male ed è tuttavia capace di riempirsi di un senso ad-veniente,
di un senso di compimento storico e di salvezza che testimoni ciò che rive-
la un pensiero ermeneutico dei simboli storicamente situato - per il quale
il male quale bastione ultimo del non-senso e del non-essere non può mai
passare definitivamente nella chiare7.7.a del concetto-, cioè che "nonostante
tutto", il bene è più originario del male, o meglio, per dirla in termini paolini,
4à dove il peccato ha abbondato, la grazia è sovrabbondata.. (cfr. P. Ricoeur,
Della interpretazione, cit., pp. 569-570).
394
148. «Il senso finale delle istituzioni è il servizio reso attraverso di esse a delle
persone; se non c~è nessuno che ne trae profitto e crescita, esse sono vane»
(P. Riooeur, Il socius e il-prossinw, cit., p. 115).
395
149. Perché, infatti, «vi è una patologia del potere non riducibile alla malva-
gia volontà degli individui» (P. Ricoeur, Storia e oerità, cit., p. 126). Su ciò,
cfr. A. Honneth, Pato'logie del sociale. Tradizione e attualJtà della filosofia
sociale, in «Iride», n. 18, 1996, pp. 295-328, ora in A.. Honneth, La libertà
negli altri. Saggi di filosofia sociale, tr. it. di F. Peri, a cura cli B. Carnevali, il
Mulino, Bologna 2017, pp.37-84; M. Foessel, 'ttrereconoo, cit.
150. Il saggio si trova in P. Ricoeur, Storia e verità, cit., pp. 117-140.
396
152. Il problema qui è lo scontro tra due visioni del male: una «visione pu-
ramente etica» o morale secondo cui «l•uomo è integralmente responsabile»
e una visione «tragica», dove ruomo non è più autore del male ma vittima di
un dio che è mondo, o meglio che è male. Il tutto confluisce in quello che Ri-
coeur chiama il «simbolo razionale» del peccato originale, di cui siamo debi-
tori alrintelligenza credente di Agostino d•Ippona. Se da una parte si afferma
che il peccato entra nel mondo per la libera volontà del singolo (scusando a
Dio del male), dalraltro il peccato viene imputato in massa al genere uma-
no attraverso ratmbuzione di una colpa meritevole di condanna che non è
tuttavia legata alla volontà dell•uomo ma al fatto di essere solidali gli uni con
gli albi in quanto tutti membri dello stesso genere umano-da cui ne conse-
gue che la confessione dei peccati ecclesiale sia espressa al plurale nel "noi
peccatori» (cfr. P. Ricoeur, Il «peccatooriginale»:studiodisignijicato, in Id.,
Il conflitto delle interpretazioni, cit., pp. 285-302). Si tratta, in definitiva, di
conciliare attraverso uno sfono immane di pensiero due realtà in esclusione
tra di loro di cui tuttavia 1•uomo fa esperiell7.a.
398
156. Tutto questo può essere interpretato alla luce della dottrina trinitaria,
dove il mutuo riconoscimento tra il Padre e il Figlio accade nello Spirito, il
cui frutto-come dice Paolo nella Lettera ai Galati-è la gioia (cfr. Gal, 5,22).
Non si può dire che questa sia la prospettiva di Ricoeur, anche se è innega-
bile che qualcosa cli ciò trapassa nella sua riHessione suU'"uomo immagine
di Dio,. intorno a cui gira il saggio citato nella nota precedente: bastereb-
be soltanto dire, come fa Agostino d"Ippona, che "}"uomo è imago trinita-
tis... Questa è invece la prospettiva dell""ontologia trinitaria..: su ciò si veda
in particolare K. Hemmerle, Tesi peruna ontologia trinitaria, tr. it. e intr. a
cura di M.B. Curi e E. Prenga, Città Nuova, Roma 2021; P. Coda, con M.B.
Curi - M. Donà- G. Maspero, Manifesto. Per una riforma del, pensare, Città
Nuova, Roma 2021; P. Coda - A. Bergamo - R. Buffo, Lessico di ontologia
trinitaria, Istituto Universitario Sophia-Città Nuova, Loppiano-Roma2023.
In onore del vero, occorre dire che già prima di noi Marc-Antoine Vallée
aveva avanzato una tale tesi nel cuore dell"antropologia di Ricoeur a partire
dalla riHessione teologica sulla Trinità (con particolare riferimento al De Tri-
nitate cli Agostino). Anche se Vallée muove da una ontologia della relazione,
egli, a clifferema nostra, non raggancia tuttavia alla riflessione ricoeuriana
sull"agape. In ogni modo, secondo questo autore, «la réBexion théologique
sur la Trinité a très certainement conbibué à ressord"une compréhension de
l"etre de l"homme comme étant lui aussi,à l"image de Dieu (Genèse 1, 26), un
etre personnel et relationnel. Ce qui est essentiel pour la question qui nous
concerne, ce sont moins les fondements théologiques possibles d"une telle
11
compréhension de l"etre de l"homme que la conception originale de l etre
comme relation. Ma thèse est que l"hennéneutique ricoeurienne du soi im-
plique une telle ontologie de la relation» (M.-A. Vallée, Quelle sorte d etre est
11
157. Nella prospettiva riooeuriana, la filosofia-ma ciò vale per ogni sapere-
è «una forma di sapere distinta dalle altre, autonoma nel suo esercizio ma
non autosufficiente perché le sue fonti sono altrove; [ ... ] si definisce a partire
dal suo altro» (O. Aime, Senso e essere, cit., p. 84). Su ciò ritorneremo nel
capitolo conclusivo.
403
la parte finale del suo terzo studio apre senzaltro a una an-
tropologia dell"uomo agente e sofferente fondata sul mutuo
riconoscimento.
È vero che il passaggio non è immediato: per dischiudere que-
sta prospettiva antropologica che si cela sotto l"idea di agape è
necessario ricorrere ad altri testi di Ricoeur che, seppure facen-
done esplicito riferimento, trattano il tema del riconoscimento
in modo marginale o secondario. Eppure, questo prolunga-
mento verso !"antropologia non risulta né forzato né azzardato:
lo stesso Ricoeur, in un testo temporalmente parallelo a Per-
corsi intitolato Considération sur 1.a triade: l,e sacrifice, 1.a dette,
1.a grllce se"lon Marcel Hénaff, tenta di elaborare una riflessio-
ne sul piano fondamentale dell"esperienza umana a partire dal
fenomeno del dono reciproco come espressione simbolica del
mutuo riconoscimento.
Il punto è che - come si è già detto - il rimando dell"agape al
mondo dell"azione non esaurisce la sua densità semantica, con-
cettuale e simbolica. Considerato nella sua dimensione ver-
ticale o asimmetrica, l"agape rimanda a un piano ancora più
fondamentale di quello delle capacità, un piano ontologico che
determina la stessa antropologia dell"homo capax. Nello speci-
fico, nel saggio Considération sur 1.a triade, Ricoeur si propo-
ne di rilevare il contributo che le nozioni (che sono altrettanto
esperienze) di "sacrificio"", "debito" e "grazia" - a partire dalle
monografie che lo stesso Hénaff dedica a ciascuna di esse ne
Il prezzo della verità - possono offrire alla problematica glo-
bale del dono.
Cosl, egli indica alcune specifiche direzioni di ricerca in que-
sto senso: a) in primo luogo, quella che è la questione centrale
e decisiva per Ricoeur, cioè l"articolazione tra l"asse orizzonta-
le della reciprocità e l"asse verticale della trascendenza o an-
tecedenza che queste tre categorie esibiscono in un modo o
nell"altro e che stanno poi alla base dell"esperienza del dono
404
11
vazione di qualcosa di "molto prezioso una perdita assunta:
',
«Le sacrince est un don qui coute» 161 , afferma Ricoeur. Cosl
la cosa offerta, perché distrutta, perde il suo valore commer-
11
ciale per essere pegno e sostituto di una relazione. Nell idea
di "sacrificio-rinuncia', dice il nostro filosofo, si metaforizza il
179. Riportiamo qui, per una maggiore chiareo.a espositiva, il già citato
passo: «Per convenzione linguistica - dice il nostro filosofo -, io mantengo
il termine di "mutualitàn per gli scambi tra individui, e il termine di "reci-
procità,. per i rapporti sistematici, di cui i legami di mutualità costituirebbe-
ro soltanto una delle "figure elementarin della reciprocità. Questo contrasto
tra reciprocità e mutualità è da ora in avanti ritenuto un presupposto fonda-
mentale della tesi incentrata sulridea di mutuo riconoscimento simbolico»
(P. Riooeur, Percorsi, cit., p. 261).
180. Non si può parlare di dono, secondo Derrida, «[a] meno che il dono
sia r'impossibile ma non r'innominabile, né l•impensabile, e in questo scarto
tra r'impossibile e il pensabile si apra la dimensione in cui c'è dono» (J. Der-
415
181. Se, come afferma Denida, «non c,è dono, se ce n•è, che in ciò che inter-
rompe il sistema» (ivi,p. 15),ciòchenelcasodi Ricoeurinterrom~il sistema
è l,evento della gratuità nel senso dell,agape. Ciò però richiede che ragape
come competell7Jl- come mondo possibile dell,azione dei soggetti - non sia
scissa dall,agape che si colloca sul piano fondamentale, cioè che siano lo stesso
amore quello che resperiema e rmtellige117.a della fede cristiana predica di
Dio quale suo nome o essen7.a (dalla Prima Lettera di Giovanni al IJe Trini-
tate di Agostino, senm però che l,affermazione •Dio è amore,. sia reversibile,
come pretenderebbe ad esempio un,interpretazione antropocentrica come
quella di Ludwig Feuerbach, non rispettosa di quell,alterità tra Dio e la crea-
zione propria della tradizione biblica; e&. L. Feuerbach, L,essenza del cri-
stianesimo, tr. it. di C. Cornetti, Feltrinelli, Milano 1971, p. 74) e quello che
pone come principio dell,agire, nella sequela del Cristo, Figlio, uomo-Dio.
182. Cfr. P. Ricoeur, Amore e giustizia, cit., p. 37.
418
Lévi-Strauss, vengono esaminate due prospettive sul teno: quella del teJZO
personale e quella del teJZO impersonale.
187. P. Ricoeur, Sé come un altro, cit., p. 266.
188. lvi, p. 290.
189. P. Ricoeur, La persona, cit., p. 43.
dalla costituzione cli un soggetto reale cli diritto, in altri ter-
mini cli un cittadino. 190
Dunque, c>è un "tu" proprio della relazione interpersonale e
c>è un "tu" che è terzo, al quale arrivo solo tramite ristituzione,
owero tramite la regola di giustizia: «Non un tu identmcabile
dal tuo volto, ma ciascuno in quanto terzo. "Rendere a ciascu-
no il suo", tale è il suo motto» 191 •
Da quanto esposto, si potrebbe dire che in Ricoeur la nozione
di "terzo" indica ogni potenziale "tu" delle relazioni sociali ma
anche di quelle interpersonali "aperte", cioè quelle in cui si dà
uno spezzamento del faccia a faccia "oppressivo" della relazio-
ne concepita sul modello della pura simmetria, e quindi ha un
carattere "personale" ed "effusivo" - owero irrigante e irra-
diante secondo la terminologia di Ricoeur -, mentre la nozio-
ne di "tra> ha una connotazione "estetica" in senso kantiano o,
se si vuole, ''topologica>>, in quanto indica lo spazio e il tempo
dell>incontro tra donatore e donatario, il luogo e l>evento del
mutuo riconoscimento.
Ci sembra che questa equivocità - forse calcolata - tra le no-
zioni di "terzo" e di "tra" in Ricoeur possa voler signilìcare che
per comprendere la sua idea di mutuo riconoscimento occorra
tenere insieme la dimensione personale-effusiva e la dimensio-
ne topologica. Questa sarà la pista che cercheremo di svilup-
pare nel capitolo fìnale.
Capitolo VII
1. Un possibùe itinerario
Come accade con ogni proposta filosofica originale, la ricezione
di Percorsi à.el riconoscimento non è stata pacifica. Molti sono
stati i pregi individuati e le mancanze segnalate, cosl come an-
che molti sono stati gli ambiti in cui le sue tesi sono state rece-
pite e discusse: dalla filosofia alla sociologia, dalr'antropologia
alla psicologia e al diritto.
In campo filosofico, le critiche si sono maggiormente concen-
trate intorno alJ>idea che soltanto alJ>interno di uno stato di
pace agapico sia possibile fare esperienza effettiva di mutuo
riconoscimento. Ciò perché, ad avviso dei critici, una tale po-
sizione attenterebbe sia contro il carattere conHittuale sia con-
tro il carattere etico-normativo del riconoscimento: da un lato
il conflitto insito al vivere sociale verrebbe minimizzato e ri-
mosso in favore di una visione irenistica della realtà; dal]>altro
]>agape si ergerebbe a principio normativo della socialità oc-
cupando il posto della giustizia, il che paradossalmente impli-
cherebbe r'istaurarsi di un disordine, ovvero di ordine ingiusto.
Sarà questo il terreno in ci inseriremo con le nostre consi-
derazioni, cercando di dilucidare se il mutuo riconoscimento
426
6. Cfr. A. Nygren, Eros e agape. La nozione cristiana dell amore e 'le sue
11
trasformazioni, tr. it. di N. Gay, EDB, Bologna 2011. La tesi del Nygren è
437
che eros e agape esprimono due soluzioni antitetiche al problema della sal-
vezza delruomo: reros designa la via che va dalruomo a Dio, r agape inve-
ce quella che va da Dio airuomo. !!agape viene identificata con la nozione
teologica di "grazia» che designa ramore gratuito, asimmetrico e verticale
di Dio per ruomo concedendogli il dono della salvezza, che in quanto tale
non può essere ricambiato. l!eros, invece, in quanto ricondurrebbe •tutto
nell•amore ad amore di sé.., esprime a suo awiso la superbia dell•uomo che
wole giungere sino a Dio con le sue proprie forze: la sua connotazione ne-
gativa dipende dal fatto che r eros, anteponendo i propri appetiti e concu-
piscenze, impedisce alruomo di accogliere il dono gratuito della salvezza
che Dio gli fa. Sulla non contrapposizione tra le diverse forme dell•amore,
cfr. J. Pieper, SuU:amore, tr. it. di G. Poletti, Morcelliana, Brescia 2017, in
part. pp. 105-119.
438
10. Così lo intende, ad esempio, Clive S. Lewis quando afferma che «rami-
cizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne
unisca un terzo, e tre, che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo
venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire
allora, come le anime beate in Dante: "Ecco che crescerà li nosbi amorr,
poiché in questo amore "condividere non significa perdere"» (C.S. Lewis, I
quattro amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carità, tr. it. di M.E. Ruggerini, Jaca
Boole, Milano 1990, p. 62). Che ramore-agape owero la caritas abbia una
forza espansiva era stato già intuito con chiare72a da Riccardo di San Vittore
nel suo De Trinitate (III, 9): «In effetti, nell'amore scambievole e ardente,
nulla è più prezioso né più mirabile del desiderio che un altro venga amato
allo stesso modo da colui che sommamente si ama e dal quale si è somma-
mente amati. Pertanto, la prova della carità perfetta consiste nel desiderare
che r amore di cui si è oggetto venga partecipato» (Riccardo di San Vittore,
La Trinità, tr. it. di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 1990, p. 137).
11. L'espressione "reciprocità reciprocante,. è stata coniata da Piero Coda.
Secondo questo autore, essa sta a dire che la reciprocità dell'agape non è
«una reciprocità piatta e livellabice, in cui i termini della relazione sono in-
terscambiabili» ma si tratta «di una reciprocità costitutivamente articolata e
asimmebica». Essa, quindi, non è da intendersi «nel senso di una logica sem-
plicemente dialogica o binaria» perché «presuppone e propizia sempre un
tertium: non solo come "in mezzo" o "tra" (zwischen) dalla relazione o come
frutto di essa, ma (integrando questi due significati, entrambi pertinenti)
come termine intenzionale intrinseco alla relazione stessa di reciprocità. [ ... ]
Che nell'esperiell7.8. dell'amore occorra essere in due è evidente: altrimen-
ti non vi sarebbe l'amore, essendo l'amore privo di quell'oggetto per cui è
amore. Chiede invece, forse, un salto dell'intelligell7.8. intuire che nell'amore
si deve essere in più di due, e non soltanto nel senso (agostiniano) per cui si
dà, necessariamente, la relazioned'amore tra l'amante e ramato (eviceversa:
reciprocamente), ma nel senso che vi sia un tertium come oggetto intenzio-
nale dell'amore degli amanti. In realtà, a ben guardare, che cosa c'è di più
profondo e vero nell'esperienm dell'amore? L'amore wole gratuitamente il
bene dell'altro: non si appropria dell'altro, wole il bene suo, e cioè che r al-
tro sia pienamente sé. Ora, qual è il bene più grande e più vero dell'altro?
È che lui pure sperimenti che cos'è l'amore, e cioè che a sua volta voglia il
bene di un altro. Non solo che voglia il mio bene: questo senz'altro, perché
l'amore è tale quand'è reciproco. Ma la reciprocità è vera quand'è aperta ed
441
Tutto ciò, infine, non vuol dire che ogni relazione di mutuo ri-
conoscimento sul modello dell>agape debba tramutarsi in un
rapporto di amicizia: il profilo concettuale che contraddistin-
gue la philia è il reciproco appre72amento degli amici secon-
do una stessa valorazione dei meriti oppure secondo una sorta
di affinità di sentimenti, che non è invece condizione per la
sussistenza deII>agape, almeno per quanto riguarda la sua for-
ma radicale di cuil>amore al nemico è il paradigma12• Eppure,
come si è visto, anche se philia e agape, in quanto forme pure
d>amore abbiano delle differenze specifiche, nel concreto, !>a-
micizia non può essere tale, non può funzionare, o meglio non
può accadere se non è "signifìcata" metaforicamente dall>aga-
pe (e, ovviamente anche dalJ>eros).
de, invita e, perciò, chiama ad avere «i medesimi sentimenti gli uni verso gli
altri», secondo respresmone paolina della Lettera ai Romani (cfr. Rm 12,16).
442
18. A questo tema Ricoeur dedica invece interamente altre opere quali Il
Giusto, voi. I, e Il Giusto, voi. II.
19. «È con lo stes.m moto [di carità-agape] che io amo i miei bambini e mi
occupo delrinfanzia delinquente» (P. Ricoeur, Il socius e il prossimo, cit.,
p.108).
447
34. M.-A. Vallée, Quelle sorte d etre est le soi?, cit., p. 38.
11
455
ch essa fa; ciascuna fa quello che esige dalraltra, e quindi fa quello che fa,
11
perché ciò che deve accadere può realizzarsi solo mediante il fare identico
di entrambe» (ivi, p. 277).
472
Capitolo VIII
Un pensare riconoscente
1. Si ricordi come per lo Hegel jenese, gli uomini sono «questo essere-rico-
nosciuto» (G.W.F. Hegel, Filosofia dello spirito Jenese, cit., pp. 102-103) e
che nella Fenomenologia. troviamo raffermazione che l'autocoscienza è tale
(in sé e per se') «solo in quanto è qualcosa di riconosciuto» che pennette una
lettura sia in chiave epistemologica che antropologica, ma anche ontologica
del riconoscimento, dato che con rautocoscienza «è già dato il concetto del-
lo Spirito» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia. dello spirito, cit., pp. 273-275).
478
4. lvi, p. 286.
480
come si è visto, pur dando alla lotta il peso che merita quale
motore che porta il riconoscimento da un livello più elemen-
tare a un livello più articolato, per Ricoeur, il riconoscimento
in senso largo e, nello specinco, il mutuo riconoscimento non
può essere ridotto alla sua sola dimensione conflittuale, pena
la banalizzazione degli sforzi dei soggetti nel vedere ricono-
sciute le loro pretese.
La questione decisiva per superare questa impasse conflittuale
insita al profilo concettuale dell~Anerkennung, che si verifica
anche sul piano esistenziale della reciprocit~ cioè del vivere
insieme, consiste, a parere di Ricoeur - come lo abbiamo già
mostrato a lungo -, nel distinguere la reciprocità, concepita
come una forma trascendente di circolazione di beni o di va-
lori di cui i singoli attori non sarebbero che vettori, dalla mu-
tualità, in cui si apre lo spazio del "tra". È qui che, secondo il
filosofo francese, sempre nel cuore del riconoscimento, si na-
sconde una forma più sottile di misconoscimento, diversa da
ogni altra finora trattata. Lo si è visto con r esperienza di rico-
noscimento effettiva, seppur simbolica, a cui si accede nello
scambio di doni: in questo stato di pace, che rappresenta una
sorta di tregua nel cuore della conflittuali~ forse senza fine,
si dà un riconoscimento che è tale perché misconosce se stes-
so. Nel senso che è tutto investito dal dono in quanto pegno e
sostituto di sé.
In real~ nel donare sé nella cosa donata, essendo tutto rivolto
a11~altro, il sé misconosce se stesso'>. E quando questo gesto
è reciproco nello scambio di doni, si dà un misconoscimento
5. Nel gesto rischioso di donare se stessi c'è paradossalmente insita una con-
flittualità, non solo virtuale ma anche effettiva, consistente nella pos.gbiJità
che un tale gesto venga rifiutato, misconosciuto dalf>altro a cui è indirizza-
to: per chi si è tutto consegnato nel dono, una tale vicenda è perciò sempre
drammatica, ma solo cog, neir'attraversamento abissale del negativo, può
anche essere felice e festiva.
481
tà il dono come tale può accadere, quel dono puro che, come
nota Derrida, non lascia traccia del donatore né di sé. Perché
nel "tra", nell"un l"altro, la traccia si ritira owero si converte in
qualcosa di comune, nel "tratto"" del tra-noi9 •
Dietro questa figura del misconoscimento nel cuore delle espe-
rienze pacifìcate di riconoscimento si nasconde però il rischio
dell"unione fusionale: occorremostrare che quel singolare oblio
della dissimmetria tra l"io e l"altro è, al contempo, in grado di
conservarla. Dal punto di vista teorico, la questione si presen-
ta allo stesso modo del problema dell"iniconoscibilità dell"er-
rore che fa vacillare la fiducia nella trasparenza del mondo al
cogito, e cioè la fiducia che le cose e le persone siano inclini a
lasciarsi riconoscere: o esso viene assunto come parte in causa
nella ricerca del vero oppure si resta prigionieri dell"ossessione
dell"errore e si cade nello scetticismo.
Si tratta, pertanto, di trovare una maniera per integrare la mu-
tualità con la dissimmetria originaria in modo tale da scongiu-
rare quell"ombra negativa che minaccia la fìducia nell"efficacia
dell"amore e nella sua potenza riconciliatrice collegata al pro-
cesso del riconoscimento. Se non ci fosse un modo per inte-
grare a livello concettuale mutualità e dissimmetria, le espe-
rienze di dono e di perdono non sarebbero altro che illusioni,
owero - per dirla con Lévi-Strauss - mere rappresentazioni
inconsce, virtù dormitive. Infatti, per esprimere il "tra" dove si
è l"uno nell"altro si fa necessariamente ricorso all"espressione
"l"un l"altro", dove continuano a comparire sia a livello lessicale
sia a livello concettuale - seppure in modo composto e integra-
to -le categorie del medesimo e dell"altro, a voler dire che, nel
loro superamento, esse vengono conservate. Ma, a differenza
dell"Aujhebung hegeliano, non siamo qui semplicemente din-
9. Cfr. C. Meazza, Iltratto del tra-noi in].-L. Nanclj, in G. Pintus (a cura di),
Relazione e alterità, Inschibboleth Edizioni, Roma 2019, pp. 53-70.
484
10. I~ p. 289.
485
14. P. Riooeur, Percorsi, cit., p. 290. Infatti è proprio a partire dallo spo-
stamento dell'attenzione dall'attivo "ricambiare» al passivo "saper ricevere»
escogitato da Riooeurcome via di uscita dal paradosso di uno scambio gratui-
to di doni che il riconoscimento in quanto riconoscell7Jl può aprire la strada
alla conoscell7Jl, di una conoscell7Jl che non sia "appropria» del suo oggetto
né assimila raltro a sé perché è una conoscen7.a riconoscente.
488
ragione per cui - a suo awiso - il filosofo francese finirebbe per eliminare
1•elemento attivo del riconoscimento nel fare emergere la dimensione strut-
turale della reciprocità fondatasulla passivitàdella pura gratitudine. Secondo
Testa, dato che nel Sistema dell:eticità Hegel definisce ruomo come un essere
naturalmente riconoscitivo, è lecito affermare che «la potenza riconoscitiva è
la sua realtà più propria» e che va intesa «come una vera e propria antropo-
logia» (I. Testa, La natura del, riconoscimento, cit., p. 82). Il riconoscimento,
pertanto, è una capacità pre-linguistica di cui gli individui sono naturalmente
dotati, per cui riconoscersi reciprocamente non è un semplice atto di atbibu-
zione con cui si conferisce alraltro una tale capacità, come se si trattasse di
qualcosa che prima non esisteva, be11S1 «il fatto che il riconoscimento altrui
sia condizione delrautoriconoscimento allora significa che senza un processo
reciproco la capacità di cui gli individui sono naturalmente dotati-in tal sen-
so una proprietà relazionale-non potrebbe svilupparsi e attuarsi» (ivi, p. 85).
Perciò, sempre a parere di questo autore, r elemento attivo del riconoscimen-
to deve «essere analizzato nella sua articolazione normativa e reso prioritario
rispetto ali•esperienza di passività della gratitudine privilegiata da Ricoeur»
(ivi, p. 27), perché il passivo "essere riconosciuti" che apre al mutuo ricono-
scimento «rimane pur sempre funzionale ali•attiva affermazione delridentità
del sé» (ivi, p. 93, nota 17). A nostro parere, a tutto ciò occorre aggiungere
che in verità Ricoeur non atbibuisce una priorità in senso fenomenologico
o antropologico né a una né ali•altra declinazione del verbo riconoscere, ma
piuttosto -dato che la sua è una fenomenologia dell•uomo insieme agente e
paziente/sofferente-le colloca all•intemo di un circolo, di un arco ermeneuti-
co: che alla fine il riconoscimento-gratitudine apra le porte al riconoscimento-
identificazione significa anche dover rifare tutto il percorso all•inverso, e cioè
partire dall•attivo riconoscere per arrivare al passivo essere riconosciuti. Solo
com il ricevere può essere inteso come una capacità, come una pote117.a, pur
se tutta passiva. È vero, tuttavia, che sul piano fondamentale o antropologico
la forma passiva del verbo ha una qualche priorità, ma solo se vista dalla parte
dell·uomo (dell·esistente) e non dalla parte delressere: in effetti, se ruomo
è capace di riconoscimento ciò dipende secondo Ricoeur dal fatto che la di-
mensione della generosità è fondata nelridea verticale di un "dono inaugura-
le" che scioglie 1•esperienza umana trasversale del "debito simbolico" da ogni
colpa; ma se visto dalla parte dell•essere, la priorità è della forma attiva del
verbo in quanto esso si presenta come fonte inesauribile di riconoscimento:
in questo "dono inaugurale", la priorità è dell•atto sulla potenza.
491
18. «Del resto, già gli Antichi avevano m~o in evidema il nesso etimolo-
gico fra lo stupirsi meravigliato (thaumdzein) e il vedere (thedsthai). Madi
che tipo di vedere si tratta? Il thaumazein è un vedere peculiare, in cui le
11
cose fanno irruzione all intemo del campo visivo come se apparissero per la
prima volta, nella loro innocema originaria. [ ... ] Lo stupore filosofico è la
capacità di interrogarsi su un•evidema accecante, che alrimprovviso, ci co-
glie mediante la scoperta della spaesante novità delrorizmnte che ci è più
prossimo. È ~bile che la parola italiana "stupore" derivi da una radice in-
doeuropea 0 ( s)teup- che racchiude il significato di "battere.. e "percuotere".
1111
Nel tedesco Erstaunen e Staunen risuona invece più il "trattenersi il "fer- ,
11
marsr•, il "ristagnare.. di stauen, quindi l attesa, la sospensione che il colpo
dello stupore produce» (A. Tagliapietra, Il dono del filosofo. Sul gesto origi-
nario della filosofia, Einaudi, Torino 2009, p. 69).
492
20. G. van der Leeuw, Fenomenowgia della religione, tr. it. di V. Vacca, Bol-
lati Boringhieri, Torino 2017, p. 30.
494
tanto il mio debito nei loro confronti è costitutivo di me stesso, o Dio - Dio
11
vivente, Dio assente- o un posto woto. Su questa aporia dell Altro si arresta
il discorso filosofico» (P. Ricoeur, Sé come un altro, cit., p. 473).
11
24. P. Ricoeur, Dal testo all azione, cit., p. 25.
25. lvi, p. 27.
496
26. P. Ricoeur, Lectures Il. La contrée des philosophes, Seuil, Paris 1992,
p.34.
27. Si ricordi il p1m0 già citato in cui Ricoeur afferma che per la filosofia
«"pensare.. significa pensare l'essere, e che pensare l'essere significa pensa-
re I'àpxfl nel doppio senso dell'inizio e del fondamento di tutto ciò che noi
possiamo porre o deporre, credere o mettere in dubbio» (P. Ricoeur, Storia
e verità, cit., p. 319).
28. P. Ricoeur, Finitudine e colpa, cit., pp. 624-625.
497
to tocca cosl il cuore della nostra indagine: una filosofia dal. ri-
conoscimento è una filosofia che s"interroga sul suo punto di
partenza e sul suo destino, sul luogo, la forma e il ritmo del
pensare: insomma, sul suo principio e sul suo fondamento, su
ciò che chiama (heiflt) il pensiero a pensare-'16. Un principio mai
del tutto dicibile, perché si dice in molti modi; uno di essi, ci
sembra, è quello di "riconoscimento'".
Perciò, pur non essendo il simbolo il nostro tema specifico,
questi testi ricoeuriani ci interessano nella misura in cui viene
affrontato il problema del pensare, in particolare del pensare fi-
losofico, in rapporto al suo principio. Cosl, rispetto all"aforisma
che fa da titolo al primo dei saggi, Ricoeur afferma: «Il simbolo
dà, io non pongo il senso, è il simbolo che dà il senso - ma ciò
che esso dà è da pensare, è ciò su cui pensare. A partire dalla
donazione, la posizione» 37• In questo modo viene anticipata,
per un certo verso, la forma di questa relazione: l"atto stesso del
pensiero - la posizione -è originariamente una datità, o meglio,
un dono (donner in francese signinca sia dare che donare), nel
doppio senso di atto di donare e di oggetto che si dona e si rice-
ve, che si dà gratuitamente e che si riceve con gratitudine. Per
cui pensare è in qualche modo rispondere, reciprocare il dono
che originariamente si offre al pensiero, fare un secondo primo
dono. Ora, questa relazione tra il pensiero e il simbolo (in quan-
to altro dal pensiero), vista nella prospettiva del dono reciproco,
ignoto; per contro, essa installa r·uomo a titolo preliminare alrinterno del suo
fondamento: a partire da qui, incarica la riflessione di scoprire la razionali-
tà del suo fondamento. Solo una filosofia nubita al pieno del linguaggio può
quindi essere indifferente al problema di come accedere a1r·essere e alle con-
dizioni della propria po~bilità, avendo tuttavia costantemente cura di tema-
tizzare la sb'uttura razionale e universale della sua adesione allostes.w essere.
Questo è, ai miei occhi, la potel17Jl evocativa del simbolo» (ivi, pp. 38-39).
36. Su ciò, cfr. M. Heidegger, Che cosasif!pifica -pensare?, tr. it. di U. Ugazio
e G. Vattimo, SuguQ>, Milano 1978.
37. P. Ricoeur, Il simboù, dà a pensare, cit., p. 9.
501
si presentano sempre tra due poli ben definiti: tra fonti filosofiche e non-fi-
losofiche, tra filosofia sema assoluto e fede biblica, tra concetto e simbolo:
«Ora, concetto e simbolo sono anche i termini di questa oscillazione che nel
percorso di Ricoeur non cesserà di riproporsi. Oscillazione (o aporia) mai
risolta di cui anche il titolo - non poco provocatorio - del testo scritto con
André LaCocque, Penser la Bible (1998), dà conto» (cfr. P. Ricoeur, Con-
cetto e simbo'/o, a cura di C. Canullo, in «Discipline filosofiche», XXX, n. 2,
2020, p. 10).
57. Dice Ricoeur al riguardo: «il confronto tra discorso biblico e quello fi-
losofico non è un accidente accaduto nella nostra cultura, ma una necessità
della comprensione di sé dell uomo che siamo diventati per il fatto stesso
11
che due modi di pensare e parlare, quello ebraico e quello cristiano, si sono
incontrati» (i~ p. 22).
510
69. In questo senso, dice il nostro filosofo: «ratteggiamento critico starà piut-
tosto sul versante filosofico, poiché il momento religioso in quanto tale non
è un momento critico; è un momento di adesione a una parola, che si ritie-
ne venire da più lungi e da più in alto rispetto a me, e questo, in una lettu-
ra kerygmatica, confessante. A questo livello si trova, dunque, ridea di una
dipendenm o sottomissione a una parola antecedente, contrariamente alla
sfera filosofica, e ciò persino in una prospettiva platonica, ove, anche se il
mondo delle idee ci precede, tuttavia soltanto attraverso un atto critico ci si
può appropriare della reminiscenza, che assume le vesti di una preesistenza»
(P. Ricoeur, La critica e 'la conoinzione, cit., p. 204).
70. Non solo nel senso che la sua filosofia ermeneutica, permeata dalla psi-
coanalisi, comincia ad allontanarsi dal suo progettooriginario che prevedeva
un confronto con la trascendenza, ma anche nel senso che la pubblicazione
di quesf'opera suscita una forte polemica con Lacan e i lacaniani che segna
11
la messa all indice del pensiero di Ricoeur e la sua totale esclusione dalla
scena del dibattito filosofico nella Francia di quel tempo. Ricoeur risente
fortemente di questa polemica e per una trentina d anni si oppone alla ri-
11
edizione dell opera. Su ciò, cfr. F. D~, Paul Ricoeur, cit., pp. 300-305.
11
515
r
ologia di me stesso, la genesi e escatologia sono il "tutt'al-
tro". Certamente, non parlo del "tutt'altro" se non per quello
che si rivolge a me; e il kerygma, la buona novella, è proprio
ciò che si rivolge a me e cessa di essere il "tutt'altro". Di un
"tutt'altro" assoluto non potrei sapere nulla. Ma, per il suo
stesso modo di avvicinarsi, di giungere, esso si annuncia come
"tutt'altro" dall'arché e dal te"los che posso concepire secondo
la ri8essione. Si annuncia come "tutt'altro", in quanto annulla
la sua radicale alterità. 73
76. Questo ulteriore passaggio teorico in realtà non viene compiuto da Ri-
coeur; tuttavia, a nostro parere, una filosofia dal riconoscimento come quel-
la scaturita da Percorsi ci consente di affacciarsi su questa strada perché la
contiene in nuce. Lo si trova invece in un saggio di Klaus Hemmerle, vicino
temporalmente e tematicamente a quello di Ricoeur, intitolato Das Heilige
unddas Denken (IC. Hemmerle, Il Sacro e il pensiero. Peruna fenomeno'logia
filosofica del Sacro, in Id., Un pensare ri-conoscente. Scritti sulla relazione
trafilosofia eteo'logia, tr. it. e intr. a cura di V. Gaudiano, Città Nuova, Roma
2018, pp. 62-177, pp. 62-177). Qui, rautore tedesco identifica il pensiero filo-
sofico con unfassendes Denken, un pensiero che afferra perché fedele al suo
compito di tutto domandare e di tutto questionare; quello che Ricoeur chia-
ma invece pensiero credente o simbolico è da Hemmerle chiamato'lassendes
Denken, un .,pensiero che lascia stare», passivo, che si abbandona ali'ascol-
to dell'annuncio, che lascia che la parola a lui rivolta come proveniente dal
"tutt'altro.. -dal Sacro - si esprima da sé in quanto tale; infine, troviamo in
Hemmerle una ter.za modalità del pensiero, scaturita dall'incontro delle altre
due, che perciò si colloca nella soglia tra lo schema della domanda-risposta
519
79. Questa visione della filosofia da parte di Ricoeur, a dire il vero, precede
la sua svolta ermeneutica: essa in realtà nasce proprio da una sua persona-
le esigenm esistenziale di un•apertura del pensiero filosofico alle sollecita-
zioni della teologia e della dimensione keiygmatica della parola, cioè dalla
predicazione. Si legge infatti in un passo del suo lavoro di Mémoire de mai-
trise -il suo primo lavoro filosofico - intitolato Méthode réflexive appliquée
au problème de Dieu. Chez Lachelier et Ulf!:!U«lU: «La philosophie n•est pas
seulement une réftexion, mais un accueil» {cit. in P. Capelle-Dumont, Paul
Ricoeuret Ùl théologie, cit., p.115).
80. lvi, p. 119.
522
83. M. Chiodi, Amore, dono e giustizia. Teologia e fiwsofia sulla traccia del
pensiero cli P. Ricoeur, Glossa, Milano 2011, pp. 8-9.
524
84. Nel senso datogli in F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, tr. it. di G. Bonola,
Arsenale, Venezia 1983.
&5. I:mgomento richiede evidentemente di ulteriori sviluppi che qui, per
11
motivi di spazio, non pcmiamo offrire. Un interessante riflesmone sul rap-
porto tra diverse discipline in un orizzonte come quello qui proposto si trova
in S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità. Una pro-
spettivaepisterruilogica, in «Sophia», I, n. O, 2008, pp. 61-70; Id., Ontologia
trinitaria ed epistemo'logia della transdisciplinarità, in P. Oxia - A. Clemen-
zia - J. Tremblay (a cura di), Un -pensiero per abitare 'la frontiera. Sulle trac-
525
91. I~ p. 276.
92. Per una presentazione dettagliata della nozione diexaiphnès nelle opere
di Platone e non solo, si veda M. Martino, v•improooiso. La oia del "non• a
partire àa P'/atone, Città Nuova, Roma 2020.
529
93. Seguiremo qui la versione nella traduzione italiana già citata, Evento e
senso. Atre versioni e rielaborazioni sono P. Ricoeur, Événement et sens, in
E. Castelli (a cura di), La teologia della storia. Rivelazione e storia, Atti del
Convegno internazionale di Roma, 5-11 gennaio 1971, Istituto di studi filoso-
fici, Roma 1971:, pp. 15-34; P. Ricoeur, La struttura, la paro'la, l"aovenimento,
in Il conflitto delle interpretazioni:, cit., pp. 93-111; Id., Leretourde l"Événe-
ment, in «Mélanges de rÉcole française de Rome. Italie et Méditerranée»:,
voi. 104:, n. l:, 1992:, pp. 29-35; Id., Evento e senso, in Id., La sfidasemio'/ogi-
ca, tr. it. di M. CristalW:, Armando:, Roma 2006, pp. 201-211.
94. Su questa linea troviamo una riflessione di Jean Greisch, che in un suo
articolo sull"argomento si pone la domanda sul rapporto che c"è tra l"even-
to e il pensiero, prendendo giustamente spunto dalla ermeneutica filosofica
O.
delineata da Ricoeur ne Il simbo1o dà a pensare Greisch, Ce que l"événe-
ment donne à penser, in «Recherehes de science religieuse», voi. 102:, n. 1,
2014, pp. 39-62).
530
98. «In verità, quello che è identificato per mezzo dell'istante, questo risulta
essere il tempo. [ ... ] Allorché noi awertiamo l'istante come uno, invece che
un prima e dopo nel movimento, oppure come un prima e dopo che sono
identici, allora non sembra esserci stato alcun tempo, perché il movimento
è assente. <Insomma>, possiamo affermare che ci sia un tempo quando c'è un
prima e un poi, proprio perché il tempo è il numero del movimento secondo
il prima e il poi» (Aristotele, Fisica, tr. it. di R. Radice, Bompiani, Milano
2011, IV, 11, 219a 29-219b 2).
533
106. P. Ricoeur, Evento e senso, cit., pp. 22-23. Stupisce la vicinanm di que-
sto passo citato con quello che sarà poi r'impianto teoretico dell•esperienm
di mutuo riconoscimento riuscito in Percorsi.
537
111. Ibidem.
541
112. «Non leggiamo in Kant che il tempo è un infinito dato, e che ogni tem-
po finito, cioè ogni lasso di tempo, costituisce una determinazione (una par-
te} deU'unico tempo, che tuttavia non si riduce affatto ad una somma finita
di parti? La stessa preoccupazione tocca il pensiero di Hegel, che non evita il
cattivo infinito al quale la riHessione kantiana sembrava lasciare spazio se non
praticandola Aujhebung del tempo, ad opera del tempo medesimo, nell'eter-
no presente. Ma chi siamo noi, mortali dotati di una comprensione finita, per
pretendere di ~ccedere, anche attraverso un pensiero limitato, a questo eter-
no presente? E degno di nota, e per molti aspetti soiprendente, che la stessa
ambizione attraversi il testo heideggeriano sulla temporalità, del quale non
bisogna dimenticare che è situato sotto l'egida del concetto di totalità, o alme-
no dell"essere un tutto' (Ganzsein). Certo Heidegger rende ragione al finito,
sotto il nome di 'essere per la morte'; ciò nonostante, egli conserva ancora
l'ambizione di chiusura che è stata propria ai suoi predecessori» (ivi, p. 29).
113. lvi, pp. 29-30.
542
114. Per continuare con il parallelismo tra Ricoeur e Hemmerle che abbia-
mo inaugurato nel punto precedente, anche Hemmerle, nel saggio Il Sacro
e il pensiero, assume come categoria temporale per un pensiero non totaliz-
7.allte rattimo, il "d'improvviso.. di ciò che accade come evenemenzialità: «Il
presente del pensiero è sempre pensiero per sé. E il presente del pensiero
per sé [ ... ] dice nella sua domanda che emerge in lui: "Che cosa mi è acca-
duto? Improvvisamente è tutto diverso... Il pensiero non si muove più in una
familiarità del suo domandare [ ... ] perché nessuna risposta è più possibile
in modo sensato [ ... ]. Che "improvvisamente sia tutto diverso.. si articola in
tale domanda. Improvvisamente, dunque in un attimo, in un adesso [ ... ]è
awenuta la trasformazione del pensiero e di "tutto.., per il quale il pensie-
ro è sempre di nuovo pensiero» (K. Hemmerle, Il Sacro e a pensiero, cit.,
pp. 127-129). Da notare che Hemmerle in realtà impiega qui i termini auf
einmal, Augenblick e Nu, ma con la connotazione data dalrexaiphnès plato-
nico, che è generalmente tradotto con il termine Pwtzlich.
115. A. Fabris, RelAzione, cit., p. 89.
543
122. In questo senso facciamo eco delle parole di Samonà: «Inde~ in al-
lowing the other to exist there is generated the most authentic possibility of
the we•., starting from reference to a horizon that gives commonalty and
yet is always 'mobile• and historicized. Opening (and here one cannot avoid
bringing into play Heideggerian concepts) is the very way in which truth en-
ters into the conceptual framework, that is to say by becoming close but re-
maininginappropiable» (L. Samonà., The Community ofthe Self, cit., p. 293).
123. e&. E. Pili, La Lettera VII di P'latone, cit., p. 2ol.
547
130. Il saggio si trova in P. Riooeur, Dal, testo all:azione, cit., pp. 271-291.
131. lvi, p. 271.
132. lvi, p. 278.
550
11
turato di sensato, di un terzo che senz altro non può essere una relazione
1111,
11
La memoria, la storia, l oblio. Certo, non si tratta nel nostro caso di postu-
lare alla Mauss uno "spirito del dono quanto di pensare e di dire a partire
1111
dal suo darsi la realtà di quelle esperienze intersoggettive che accadono nel
piano delresistenza come eventi di mutualità e cioè come ingeneranti un
terzo che al contempo li anteoede.
562
148. P. Qxla, Dalla Trinità, cit., p. 567. In questa stessa linea di un teno in-
tenzionale si è espresso Carmelo Meaz7.a. Nell•Appendice del suo La scena
del dato, prendendo spunto dalla riftessione binitariasulla figura del condi-
lectus di Riccardo di San Vittore, egli afferma: «Quindi, la prova dell amore
11
152. Anche Susy Zanardo - per quanto con un»acoezione leggermente di-
versa- parla a questo riguardo di "dono del legame..: si vedano S. Zanardo,
Il legame del dono, cit.; Ead., Nelle trame del dono, cit.
570
del fatto che le fonti del sapere sono sempre al,trove rispetto
al soggetto conoscente.
La stessa arché, su cui da sempre la filosofia continua ad inter-
rogars~ altro non dice, infatti, che una condizione di possibilità
rispetto a cui nessuno di noi può alcunché.
Ecco perché, sempre secondo Ricoeur, non esiste proprio, e
da nessuna parte, una filosofia senza presupposti (in antitesi ad
una delle tesi centrali, invece, del grande idealismo tedesco di
inizio Ottocento). I presupposti, insomma, non vanno elimina-
ti, ma più semplicemente "riconosciuti''.
Si tratta cioè di uscire dal cerchio magico della "rappresenta-
zione", costitutivamente connesso alla pretesa autoposizione
del pensiero nei confronti di sé medesimo.
Il filosofo può dunque solo rispondere ad una chiamata: e far-
si pensiero dal, simbolo, piuttosto che del simbolo. Perché in
principio, potremmo dire, è una semplice donazione, e non
una posizione.
Cosl Buffo porta alle estreme conseguenze quella che lui stes-
so riconosce costituirsi come la grande intuizione ricoeuriana.
Relativa alla necessità di una vera e proprio capitolazione del
pensiero di fronte alla mai oggettivabile eccedell7.a di senso
propria, di fatto, solo del simbolo; che ci costringe ad affidarci
alla pura eventualità e gratuità dell'evento.
Che, poi, è quanto consente di fare anzitutto I'esperien7.a reli-
giosa del credente; cui il filosofo dovrà guardare come all'al,tro
in grado di motivarlo e spingerlo verso i luminosi sentieri della
conoscen7.a. Come a ciò che sol,o a livello esistenziale, comun-
que, si lascerà comprendere e riconoscere; fermo restando il
differente statuto della filosofia rispetto alla fede.
Importante sarà comunque imparare a cogliere il ritmo a par-
tire dall'evento fondatore caratterizzante qualsivoglia narrazio-
581
Bibliografia
0
Sono riportati tutti i nomi, tranne naturalmente quello di Ricoeur, quelli
citati nella Premessa e nella Postfazione e quelli menzionati nei titoli delle
opere citate così come quelli dei rispettivi traduttori.
610
Cazzolo T.: 235 n. Hobbes T.: 21, 41, 49, 51 n., 77,
Giusti M.: 112 n., 316. 78, 79 n., 87, 129, 256-265,
Codbout J.: 420. 267-269, 271, 273, 275, 277,
Creisch J .: 111 n., 136 n., 139 n., 278 n., 279 n., 285, 342 n.,
145, 176 n., 179 n., 225 n., 242, 432.
WJ7 n., 270 n., 294 n., 377,489, Honneth A.: 17, 28, 30 n., 31-
529 n., 536, 543. 33, 35-38, 39 n., 42-47, 48 n.,
Crondin J.: 188 n., 515 n. 50 n., 51, 52, 54, 78 n., 79-87,
Crozio U.: 87. 89 n., 97 n., 98, 105, 117 n.,
Cuerrera Brezzi F.: 312 n., 501 n., 118 n., 270-273, 279 n., 282 n.,
520n. 284-287, 289-291, 295, 297-
300, 302,303,306, 307,309-
Haber S.: 52 n. 312, 316, 318 n., 319, 334 n.,
Habennas J.: 17 n., 28, 43-45, 52. 380, 387, 392, 395 n., 426-434,
Hanis H.S.: 28 n. 436, 441-443, 446, 448,450,
Hegel C.W.F.: 19 n., 21, 27, 28 n., 452,459,461,465,562,575.
32, 34-46, 48-80, 83-86, 88-97, Hont I.: 79 n.
100 n., 127-129, 171, 219, W,6- Houlgate S.: 53 n.
258,267,268, 270-286, 290, Hume D.: 82, 141.
292, 295, 296, 301, 309, 314 n., Husserl E.: 81 n., 171, 172, 186,
315, 318, 334 n., 365 n., 372, 228, 246-250, WJ5, WJ6, WJ7 n.,
384 n., 393 n., 394, 400 n., 340,414,549,551,553.
426, 452-454, 463, 465-474, Hyppolite J.: 27.
477 n., 479, 482, 490 n., 502,
516, 525 n., 541, 551, 553,555, Ikiiheimo H.: 29 n., 53 n.
560 n., 562, 574, 575. Iorio C.: 334 n., 430 n.
Heidegger M.: 81 n., 148, 149 n., Ireneo di Lione: 400 n.
167 n., 168 n., 339, 495, 497 n.,
500 n., 506,507,539 n., 541, Jankélévitch V.: 469 n.
545n. Jervolino D.: 16 n., 111 n., 170 n.,
Hemmerle K.: 328 n., 401 n., 227 n., 305 n., 328 n., 391 n.,
518 n., 519 n., 542 n., 543,544. 511 n.
Hénaff M.: 29 n., 101, 103 n., Jolif J.Y.: 197.
342 n., 343 n., 344 n., 346,364, Jiingel E.: 249 n.
366 n., 367, 368 n., 371,372,
377 n., 380, 382, 403, 404 n., Kant I.: 19 n., 32-34, 36, 39, 83,
406, 408-410, 415, 420, 468 n., 90 n., 129, 135, 140-151, 153-
473 n., 474 n., 558 n. 157,159,160, 162-165, 167-
612
Paolo (san): 397, 398, 401, 410, Russell B.: 352, 354.
513.
Pascal B.: 136 n., 331, 478. Sahlins M.: 342 n.
Pénigaud de Mourgues T.: 79 n. Samonà L.: 72 n., 472, 546 n.,
Petrosino S.: 254 n. 559n.
Pieper J .: 437 n. Sarcinelli F.: 112 n., 321 n.
Pierce C.S.: 420 n. Sartre J.-P.: 58 n., 80, 81, 86.
Pili E.: 63 n., 546 n. Savi M.: 33 n.
Pinkard T.: 29 n. Scannane J.C.: 497 n., 519.
Pippin R.B.: 28 n., 29 n., 78 n. ScaramuZ7.a F.: 112 n., 208 n.
Piras M.: 16 n., 30 n., 456 n. Scaravelli L.: 153 n.
Platner E.: 32 n., 89, 90 n., 93 n., Schlegel J.-L.: 16 n.
94n. Searle J.R.: 210 n., 535.
Platone: 63, 79, 129, 130, 134, Sen A.: 239-241.
180, 182, 207, 258, 326 n., Seneca: 404, 410, 411.
365 n., 366 n., 437, 489, 528, Siep L.: 28, 41, 42 n., 43, 45 n.,
539, 545, 546. 46 n., 89 n., 112 n.
Plotino: 393 n. Silesius A.: 527.
Prenga E.: 401 n. Simmel G.: 420 n.
Proust M.: 179, 180. Smith A.: 21, 78, 79, 82, 84.
Socrate: 365, 366.
Rawls J.: 105 n., 606 Sofocle: 192, 193 n., 194 n.
Redding P.: 53 n. Spinom B.: 393 n.
Renault E.: 52 n., 58 n., 59 n., Stein E.: 548.
78 n., 79 n.
Rey A.: 116 n. Tagliapietra A.: 491 n., 506.
Riccardo di San Vittore: 440 n. Taminiaux J.: 28, 271, 274.
Roman S.: 316 n., 319, 441-446, Taylor C.: 17, 28, 31, 302, 306,
448,450,452,459,488. 307.
Romano B.: 30 n. Tempie D.: 420 n.
Romano C.: 526. Testa I.: 29 n., 30 n., 32 n., 44 n.,
Rondinara S.: 524 n. 62 n., 72 n., 79 n., 87-96, 97 n.,
Rorty R.: 29 n. 100 n., 275 n., 276 n., 277 n.,
Rosenzweig F.: 332, 524 n. 283 n., 284 n., 285 n., 465 n.,
Rousseau J.-J.: 21, 77, 79, 80, 489 n., 490 n., 553, 554, 575.
81 n., 87,257 n. Theunissen M.: 29 n.
Ruggiu L.: 29 n., 47 n., 60 n., Thévenaz P.: 170 n.
62 n., 72 n. Thévenot L.: 29 n., 301,305, 471.
614
Introduzione p.15
Parte I
Sul significato filosofico à.el riconoscimento
Capitolo I
Il riconoscimento: genesi e atttuilità diuna questione
l. La central,ità à.el riconoscimento nel pensiero con-
temporaneo p. 27
2. Alle origini del concetto di Anerkennung: Kant,
Fichte e Hegel p. 32
3. L'Anerkennung hegeliana e l,a sua presenz,a in al,-
cune teorie contemporanee p. 42
3.1. Riconoscimento ed etica dei conflitti sociali
nella proposta di Honneth p. 43
3.2. Eidetica ed empirica del riconoscimento: il
contrfbuto di Williams p. 52
4. Alcune linee lÙ soiluppo à.ella ricerca prima e dopo
Hegel p. 76
4.1. Per un'archeologia del riconoscimento: Rous-
seau, Locke, Hobbes p.77
4.2. La oolenza epistemologico-rognitioo del rico-
noscimento p.87
4.2.1. Il nudeo logico-gnoseologico cmne di-
mensione originaria del riconoscimento p.88
4.2.2. Stan"ley Cavell e l'Acknowledgment p.98
4.3. Paradigma del riconoscimento e paradigma
del dono p. 100
Parte II
Peruna filosofia del riconoscimento
in Paul Ricoeur
Capitolo II
Percorsi del riconoscimento: questioni preliminari e
di metodo
1. Un'opera nell'opera di Ricoeur p. 111
2. Deduzione dell'ideal,ismo magico p. 113
3. Metodologia dell'opera: il linguaggio ordinario e
gli "eventi di pensiero" p. 119
Capitolo III
Primo studio: il riconoscimento-identificazione
1. Attorno all'idea di identificazione p. 133
2. Una fenomenologia cartesiana del giudizio p. 135
3. Kant: il ri-conoscere, tra sensibilità e intelletto p.140
4. L'uscita dalla rappresentazione: verso unafilosofia
del riconoscimento p. 166
5. Cambiamento, temporalità, minaccia e "picco"lo
miracolo" p.173
Capitolo IV
Secondo studio: il riconoscimento di sé
1. Annotazioni preliminari p.185
2. Il sé come soggetto responsabile p.189
2.1. L'agire e l'agente presso i Greci p.190
2.2. Aristotele e l'Etica p.195
3. Una fenomenowgiadell'tl011W capace: dall'attesta-
re al riconoscere p.199
3.1. L'attestazione comemodal,ità epistemica del-
le capacità p.204
3.2. Le capacità: dire, fare, raccontare, rendere
conto p.209
4. Memoria e promessa: per un allargamento delle
capacità p.224
4.1. Un excursus intorno alla memoria p.225
4.2. Bergson e l'utilizzo filosofico del "riconosci-
mento" p.231
4.3. La promessa: paradigma dell'ipseità p.233
5. Capacità e pratiche sociali p.239
Capitolo V
Terzo studio: il mutuo riconoscimento
1. Quale punto di partenza per la categoria di reci-
procità? p.243
1.1. Il polo ego: Husserl p.247
1.2. Il polo alter: Uvinas p.251
2. Da Hobbes a Hegel: il riconoscimento alla base della
sociali,tà p.256
2.1. Lasfida di Hobbes: "lapaura della morte vio- p.258
lenta
2.2. La replica di Hegel: l'Anerkennung p.267
2.2.1. Il riconoscimento nel Sistema dell eti-
7
cità p.271
2.2.2. Il riconoscimento nella Filosofia dello
spirito jenese 1805-6 p.275
3. Per una riattualizzazione sistematica di Hegel: fi-
gure del riconoscimento e del disprezw a partire
dalla teoria jenese p.284
3.1. D'amore p.287
3.2. Il diritto p.295
3.3. La stima sociale p.300
Capitolo VI
Il contributo di Ricoeur: il mutuo riconoscimento> tra
conflitto e pace
1. Critica ricoeuriana all.,,etica del conflitto di Hon-
neth p.309
2. Stati di pace come alternativa alla lotta: "le risorse
dell>agape p.323
2.1. Philia, eros, agape p.325
2.2. Lo statuto deU/agape p.330
3. Lo scambio di doni: generosità unilatera"le e obbli-
go di reciprocità p.334
3.1. Il dono: questioni di significato p.335
3.2. Linee d,,interpretazione sul dono: tra fenome-
nol.ogia e scienze social,i p.337
3.3. Mauss e 1.o spirito del dono p.341
3.4. Lévi-Strauss e Lefort: il dono> tra struttura e
intenzione p.345
3.5. Anspach e la reciprocità come processo di au-
totrascendenza p.347
3.5.1. La reciprocità come circol.o e flusso p.348
3.5.2. Circolarità del dono e paradosso del
double bind p.350
3.5.3. I diversi livelli 1.ogici dello scambio e l'e-
nigma della terza persona p. 352
3.5.4. Una gerarchia circolare tra livello imma-
nente e livello trascendente p. 353
3.5.5. Dallateoriaallapratica delàono: lacom-
ponente di "rischio" p. 357
3.5.6. Il gesto, la relazione e l"evento della m,u-
tutilità p. 361
4. Lo scambio cerimoniale di doni come mutuo rico-
noscimento simbolico: verso una teoria p.363
4.1. Hénaff e l"enigma del dono reciproco cerimo-
niale p.364
4.2. Donare se stessi nel dono: criterio e misura
esistenziale del riconoscere p.371
4.3. Il buon ricevere come riconoscimento-grati-
tudine: verso una reciprocità suscitata ed eve-
nemenziale p.374
5. L'etica dei conflitti social,i e il carattere "festivo»
del mutuo riconoscimento: un confrontofinale p.380
5.1. Un riconoscimento che non riconosce se stesso p.380
5.2. Il festivo e l,e istituzioni p.383
5.3. Il mutuo riconoscimento e i gesti agapici, tra
storia ed escatofugia p.386
5.3.1. Irradiazione e irrigazione p.386
5.3.2. Segretezza e obliquità p.389
5.3.3. La prospettiva storica dell"agape tra e-
scatol,ogia e ontol.ogia p.392
6. Verso un"antropofugia dal, m,utuo riconoscimento:
sacrificio, de"bito e grazia p.402
7. Questioni concettual,i intorno al, mutuo riconosci-
mento p.413
7.1. L"articolazione tra reciprocità, mutualità e
agape p.413
7.2. Sulle nozioni di "tra" e di "terzo" in Ricoeur p. 419
Parte III
Per una filosofia dal riconoscimento
Capitolo VII
Ripresa critica e attual,ità di Percorsi del riconosci-
mento
1. Un possibil,e itinerario p.425
2. La ricezione critica deU/opera p.427
2.1. Honneth e l"insignificanza sociale dell"agape p.427
2.2. S. Roman e il probl,ema della prassi sociale
conflittuale p.441
2.3. A. Loute e il probl,ema della perfonnatioità
sociale dell"agape p.448
2.4. R.R. Williams e lo spirito oggettivo del rico-
noscimento p.452
3. La dialettica del socius e del prossimo: l"amore e
la critica dei kgami sociali p.455
4. Riconoscimento e conflitto: per una critica dell"A-
nerkennung hegeliana p.464
Capitolo VIII
Un pensare riconoscente
1. Questioni preliminari: un"ipotesi p.475
2. Conoscere è riconoscere: la precedenza del ricono-
scimento sulla conoscenza p.477
3. Forma,. luogo e ritmo del pensare in una filosofia
dal riconoscimento p.493
3.1. La mutualità come forma del pensare nella
frontiera: la filosofia e il suo altro p.493
3.1.1. Filosofia e simbow p.498
3.1.2. Fflosofia e fede p.506
3.2. L'eve,1,to del riconoscimento come luogo del
pensare p.525
3.2.1. Il pensare come evento p.526
3.2.2. La nozione di evento in Ricoeur p.529
3.2.3. V~o un'intenzionalità intersoggettiva
del pensare p.545
3.3. Il ritmo irradiante e irrigante del pensare dal
mutuo riconoscimento p.561
Bibliografia p.583