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quale verrà successivamente inserito un lessico più tecnico e complesso. Lo Prejato parte
dall’idea che ci sia un divario linguistico tra colui che parla e colui che ascolta (emittente
e destinatario): mentre il primo dimostra di aver acquisito, grazie alla sua profonda
cultura, una piena padronanza di linguaggio, il secondo può disporre di un lessico più
semplice e limitato. Questa circostanza si verifica appieno nel rapporto tra l’insegnante e
lo studente (119). L’obbiettivo di questo articolo è quindi riscrivere un brano per
adeguarlo al livello del lettore principiante; a tale scopo l’autore si avvale di un
vocabolario comprensibile al lettore, e qualora sia necessario inserire termini tecnici,
questi ultimi vengono debitamente spiegati.
In conclusione, questo libro, sicuramente molto utile e innovativo, illustra
l’importanza dell’apprendimento del vocabolario; spiega come sia determinante il
contesto in cui la parola viene utilizzata e quali tecniche sono utilizzate per aiutare gli
studenti ad ampliare la loro conoscenza del lessico italiano.
Annarita Guidi, Il gioco di parole e le lingue: dalla semantica alla pragmatica. Perugia: Guerra
Edizioni, 2012.
Con il volume Il gioco di parole e le lingue: dalla semantica alla pragmatica Annarita Guidi
offre un interessante studio sul gioco di parole, il fenomeno linguistico che corrisponde
al termine inglese pun, delineandone una definizione, nonché offrendo una rassegna
storica e i risultati di una ricerca cross-linguistica di dottorato effettuata dall’autrice con
la guida da Maria Catricalà e con i consigli di Massimo Vedovelli e la revisione di
Anthony Mollica. La ricerca è stata seguita anche da Salvatore Attardo, noto esperto di
Humor Research.
Il lavoro è suddiviso in quattro capitoli. La premessa ai capitoli illustra la difficoltà di
studiare un fenomeno linguistico così complesso come il gioco di parole, fenomeno che
l’autrice definisce come poliedrico e stratificato. Il punto di partenza dello studio è la
codifica delle regole, dei meccanismi e della grammatica che sottendono a questo
fenomeno, quali, ad esempio, la polisemia, la vicinanza fonetica, l’omonimia o la
paronimia, a cui si devono aggiungere i molteplici aspetti ascrivibili alla dimensione
extra-linguistica.
Nella premessa vengono elencati i tre obiettivi fondamentali della ricerca, vale a dire
in primo luogo fare ordine sugli studi teorici effettuati in precedenza offrendone una
descrizione, in secondo luogo rinvenire e definire le regole che sottendono al fenomeno,
offrendo un modello diverso che possa verificare l’esistenza di meccanismi costanti e
comuni, infine indagare sulle differenze tra gioco di parole e altri fenomeni linguistici
afferenti all’uso spontaneo o riflesso della lingua (errori o speech play).
Il primo capitolo è indubbiamente il più articolato e prende in esame la questione
definitoria e gli studi pregressi effettuati da studiosi sulla tematica. In particolare in
questo capitolo l’autrice sottolinea come il gioco di parole sia solo un minimo aspetto del
vasto campo che riguarda l’umorismo, di cui descrive le tre teorie del ventesimo secolo,
vale a dire esistenzialista (incentrata sullo stimolo), teleologica (incentrata su funzione e
scopi del comico) e sostanzialista (ritrova gli elementi definitori nei suoi contenuti).
Guidi passa successivamente ad illustrare la tradizione retorica, la quale con Aristotele
afferma che la maggior parte delle frasi spiritose deriva dalla metafora e dal sorprendere
ingannando, nonché gli approcci antropologici e sociologici che ravvisano la
trasversalità delle tecniche comiche rispetto a gruppi etnici, sociali e linguistico-culturali.
L’autrice prosegue inoltre illustrando le prospettive semiotiche e strutturalistiche che si
aprono a partire dal concetto psicoanalitico di inconscio con Freud e i suoi studi sul
motto di spirito, e con i rapporti associativi basati sulla somiglianza fonetica sostenuti
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PAOLA BEGOTTI
Università Ca’ Foscari di Venezia
I dilemmi del traduttore di nonsense, a cura di Franco Nasi e Angela Albanese, (Il lettore di
provincia, 138), Ravenna, A. Longo editore, 2012.
Si può tradurre il nonsense e, se sì, come? A questo quesito cerca di dare una risposta
il presente volume, curato da Franco Nasi e Angela Albanese, che contiene gli interventi
di un convegno internazionale tenutosi all’Università di Modena il 26 settembre 2011. I
vari contributi propongono delle traduzioni “sensate” della letteratura del nonsense
europea e americana (per la maggior parte si tratta di letteratura per l’infanzia), il che
sembra una contraddizione in termini ma, come si dimostra, non lo è.
Il saggio inaugurale della miscellanea scritto da Jean-Jacques Lecercle propone una
teoria suggestiva di senso/non-senso e della sua traducibilità, ispirata dal pensiero di
Gilles Deleuze, prendendo le mosse da un commento di Antoine Berman al celebre
saggio di Walter Benjamin Il compito del traduttore: “ma quella è la migliore descrizione
che io conosca dei testi nonsensici per quanto riguarda la questione della loro
traduzione: la proliferazione del senso virtuale che li caratterizza è un incitamento
costante a interpretare e pertanto a tradurre (essendo l’interpretazione una forma di
traduzione monolingue), mentre la rimozione del significato indica la resistenza alla
traduzione, intesa, almeno nella sua accezione tradizionale, come comunicazione di
significato fra lingue e culture e come fedeltà” (19).
I contributi di Simona Mambrini e Franco Nasi vertono sull’opera di Gianni Rodari,
noto autore di filastrocche di nonsense. Mambrini si sofferma in particolare sulla
Grammatica della fantasia di Rodari e sulle sue traduzioni in francese, sostenendo che in
questo testo è lo stesso Rodari a fornire una guida sul come tradurre il nonsense: “in
fondo il nonsense e i giochi di parole, per definizione intraducibili, possono diventare
per assurdo i testi più profondamente traducibili proprio perché sono da reinventare:
l’equivalente da trovare sta nel sistema di scrittura, negli ingranaggi stessi della lingua
[. . .]. Paradossalmente, la supposta intraducibilità di testi così legati alla lingua di
partenza libera il traduttore da quella supposta ‘fedeltà’ al testo, alla ‘lettera’, che ci si
aspetta dal suo lavoro, concedendogli una libertà, vigilata, certo, ma all’interno della
propria lingua, seguendo le suggestioni e i riverberi che gli suggerisce la logica fantastica
della lingua in cui traduce” ( 31).
Partendo da una filastrocca di Rodari e dalle sue possibili traduzioni, Nasi indaga sui
vincoli traduttivi, riprendendo alcune considerazioni già avanzate nelle sue precedenti
pubblicazioni (ad esempio F. Nasi, Poetiche in transito. Sisifo e le fatiche del tradurre,
Milano, Medusa, 2004), per arrivare alla conclusione secondo cui la traduzione non
dovrebbe privilegiare “un singolo vincolo in modo pregiudicato (sia esso il senso
lessicale, la composizione sonora, o la formulazione metaforica), ma compattando i
numerosi elementi, in modo da formare con tanti nuovi fili ‘intimamente collegati’ una
robusta fune. E questo vale anche per i testi nonsensici, che proprio in questi testi sono
fatti di mille sensatissimi fili” (46).
Gli studi di Silvia Cacchiani e di Caterina Sinibaldi analizzano l’opera di Lewis
Carroll, innanzitutto Alice nel paese delle meraviglie. Al centro del saggio di Cacchiani
stanno i neologismi di Carroll e le loro traduzioni in italiano: “scopo di questo contributo
non è [. . .] quello di contribuire alla critica stilistica e letteraria dei testi, quanto quello di
utilizzare i testi stessi (originale e traduzioni) per riflettere sulla creatività morfologica
della lingua, o, in altre parole, sulla flessibilità del sistema e sul ruolo giocato dalla
motivazione fonologica” (p. 62).
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