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Joseph Leutgeb

uomo e musicista nella vita e nelle opere di


Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart

La presenza di due o più concerti di autori diversi per strumento solista e orchestra nella
medesima serata rischia quasi sempre di far assomigliare l’intento del concerto a quello del recital,
nel quale, come si sa, spesso prevale pericolosamente l’impronta interpretativa dell’esecutore sulla
possibilità di costruire e comunicare un progetto culturale significativo e coerente.
Affiancare invece il Concerto per corno in Re Maggiore Hob. VIId/3D di Franz Joseph
Haydn e uno dei Concerti per corno di Wolfgang Amadeus Mozart non comporta in nessun modo
un rischio di tal genere, poiché le vicende compositive di queste opere rimandano inevitabilmente
ed immediatamente ad una serie di dati biografici di notevole interesse sia musicologico che
sociologico, dati che collegano sotto una luce particolare ed inedita questi due compositori,
accostati così di frequente nelle trattazioni del periodo classico e insieme così spesso paragonati e
contrapposti per il carattere della loro musica e per la portata storica e l’esito delle scelte
professionali da loro compiute.
Non appena si indaga sulle occasioni, sulle motivazioni esterne, sulle scelte compositive e
sugli aspetti originali e curiosi di tali opere per corno di Haydn e Mozart emerge subito nella sua
leggerezza e nella sua irresistibile simpatia la figura di Joseph Ignaz Leutgeb, ovvero dello
strumentista ispiratore e dedicatario (quasi sempre esplicito) di tali composizioni.
È forse superfluo precisare la lunghezza straordinaria per l’epoca dell’attività e della carriera
di Leutgeb (che mosse i primi passi nei primi anni ’50 e si concluse più di 40 anni dopo), poiché
solo uno sguardo alle datazioni dei concerti a lui legati lo chiarisce già inequivocabilmente. Non è
invece pura cronaca senza significato ripercorrere la sua vita, le sue vicende professionali e le sue
scelte lavorative, poiché la loro interpretazione dal punto di vista sociologico ne può fare un
esempio ed una testimonianza di come anche per un musicista strumentista e solo esecutore si tracci
il medesimo percorso di affrancamento dalla situazione ancien régime di dipendenza al servizio di
un signore e all’interno di una corte verso lo status moderno di libero professionista indipendente,
percorso di cui la vita di Haydn rappresenta gli albori ed un esito fortunosamente felice e quella di
Mozart uno svolgimento drammatico e un tragico fallimento, poi romanticamente assunto ad
emblema della ribellione che sta alla nascita della condizione dell’artista moderno.

Joseph Ignaz Leutgeb (o Leitgeb, come a volte si trova nella deformazione dialettale
meridionale del suo cognome) nasce a Vienna l’8 ottobre 1732, nello stesso anno di Haydn ed a una
generazione piena di distanza da W.A.Mozart. Sempre a Vienna morirà il 27 febbraio del 1811,
dopo però essersi ritirato dalle scene concertistiche già nel 1792. Poco si sa della sua formazione e
dei primissimi anni della sua attività. Il primo accenno alle sue esecuzioni in qualità di solista di

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corno si trova in una testimonianza contenuta nell’autobiografia che il compositore e violinista
austriaco Karl Ditters von Ditterdorf (1739-1799) stese alla fine della sua vita (uscita postuma nel
1801), nella quale egli afferma che nei primi anni ’50 Leutgeb si esibì come virtuoso di corno a
Vienna per il principe Hildburghausen. Il legame con Dittersdorf probabilmente fu molto più che
occasionale, perché in altri luoghi della biografia di Leutgeb lo troviamo citato come autore di
concerti per corno da lui eseguiti. È d’altronde facilmente ipotizzabile che appartenessero alla stessa
cerchia di conoscenze professionali e di amicizie, soprattutto negli anni in cui entrambi si
stabilirono nella Vienna in cui ormai operavano anche Haydn e Mozart: dell’amicizia di Leutgeb
con i due grandi compositori presto diremo; nel caso di Dittersdorf basti citare la fonte tarda che lo
vuole secondo violino di un quartetto viennese in cui Haydn suonava come primo e Mozart come
viola (con Jan Křtitel Vaňhal al violoncello).
È però nella decade successiva che le informazioni sulla carriera solistica di Leutgeb si
infittiscono: durante i primi anni ’60 essa fiorì a tal punto da far affermare al musicologo Daniel
Heartz che egli fu il più importante solista di corno attivo in quegli anni a Vienna ed evidentemente
uno degli strumentisti che godeva di più alta considerazione. Tra il 27 novembre 1761 e il 28
gennaio 1763 è attestato che egli eseguì concerti per corno e orchestra di vari autori (Leopold
Hofmann, Michael Haydn e, come è già stato detto, Dittersdorf) in 14 serate al Burgtheater di
Vienna.
Di questi anni è anche il primo matrimonio: il 2 novembre 1760 sposa Barbara Plazzeriani
(1732[?3]-1785), la figlia di un mercante italiano di formaggi e salsicce, Blasius Plazzeriani;
ritroveremo dopo quasi vent’anni come quest’attività del suocero avrà un peso preponderante nelle
sue scelte di vita.

A questo periodo, e più precisamente al 1762, risale però anche quel contatto di scambio
professionale e di amicizia con Haydn che lo portò, secondo i più recenti orientamenti musicologici,
ad essere il destinatario ed il dedicatario del Concerto per corno in Re Maggiore Hob. VIId/3D. Sia
il già citato Daniel Heartz sia il massimo biografo di Haydn (e autore anche di importanti
pubblicazioni su Mozart) H.C. Robbins Landon attribuiscono con la massima probabilità la dedica
di questo concerto a Leutgeb: Robbins Landon in particolare suggerisce anche una plausibile
ricostruzione dell’occasione per la quale esso fu composto. Il 3 luglio 1762 la moglie di Haydn,
Maria Anna, fece da madrina di battesimo alla figlia di Leutgeb, come risulta dagli atti della
parrocchia di St. Ulrich a Vienna dove si tenne la cerimonia. Probabilmente anche a Haydn fu
originariamente chiesto di fare da padrino alla piccola, ma naturalmente a causa degli impegni
sempre più pesanti che lo occupavano ad Eisenstadt (dove risiedeva nel periodo estivo la corte del
Principe Nicolaus il Magnifico) egli dovette declinare l’invito. Tuttavia si ritiene che proprio in
quest’occasione, forse in qualche modo anche a titolo di risarcimento della delusione dell’amico
Leutgeb, egli abbia scritto un nuovo concerto per corno da dedicargli.
Tentiamo di dare un breve accenno alla situazione di Franz Joseph Haydn in quel momento,
sia per sottolineare l’eccezionalità di tal dedica e di riflesso probabilmente anche del rapporto di
amicizia che lo legava a Leutgeb, sia per raffrontare questo concerto con gli altri della sua
produzione, sia infine per inquadrare quest’opera specifica in un discorso generale che tratteggi il
rapporto che ebbe Haydn con il corno.
Il dato biografico più eclatante della carriera professionale di Haydn, ovvero la sua entrata in
servizio in qualità di vicemaestro di cappella di quella che era una delle famiglie europee più illustri
e più ricche, gli Esterházy di Galántha, è proprio dell’anno precedente alla composizione del
concerto in questione, ovvero del 1761 e non è senz’altro necessario sottolineare il peso che questa
occupazione, che durerà circa trent’anni, ebbe nella vita di Haydn nel garantirgli una tranquillità
economica e una serenità forse senza pari nella storia della musica, ma anche nel condizionare da
tanti punti di vista il suo percorso creativo. È però forse interessante citare il fatto che molto più a
ridosso della data di composizione del concerto, il 18 marzo 1762, la morte del vecchio Principe
Paul Anton dà inizio al lungo principato illuminato di Nicolaus detto Il Magnifico (Der

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Prachtliebende, cioè più precisamente “Amante della Magnificenza”), quella figura di protettore e
padrone sotto il quale vedranno la luce tutti i primi capolavori di Haydn.
È precisamente in questa cornice che la produzione di concerti solistici più importante di
Haydn (e praticamente l’unica ancor oggi frequentemente eseguita) deve essere contestualizzata: si
tratta del gruppo dei cosiddetti Concerti Esteházy, tutti composti tra il 1762 e il 1765, gruppo che
segue quello dei Concerti per organo viennesi della metà degli anni ’50 e che precede invece solo
pochi altri sporadici e isolati ritorni al genere (e il gruppo dei cinque concerti “per lira organizzata”,
in realtà una specie di popolare gironda, composti nel 1786 per il re di Napoli Ferdinando IV, che
però costituisce un caso a sé, data la forte componente occasionale che soggiace alla loro
ideazione).
Il concerto per corno sembra essere il primo in ordine cronologico del gruppo, cui seguono
poi tre per violino, uno per violoncello e uno per clavicembalo. Un dato sembra essere fuori
discussione riguardo alla creazione di queste opere: esse sono per lo più destinate ad essere eseguite
dai dotati musicisti di cui Haydn poteva disporre, in altre parole dai colleghi strumentisti
dell’orchestra di corte, e la loro prima esecuzione alla presenza del Principe e della sua corte ne
costituisce la causa prima e pressoché l’unico fine. I tre concerti per violino sono dedicati al
Konzertmeister Luigi Tomasini, quello per violoncello al violoncellista Joseph Weigl; si ha poi
notizia di un concerto per contrabbasso dedicato a Schwenda e di uno per flauto, purtroppo perduti.
Unica eccezione a questa prassi sembra dunque essere il concerto per corno, che con la sua
presumibile dedica a Leutgeb, invece che al cornista Thaddäus Steinmüller, che proprio in quel
periodo entrava al servizio del Principe Esteházy, tradisce il valore dell’amicizia che legava il
compositore al solista e probabilmente ci dà anche un’idea della stima professionale che egli nutriva
per lui. Citando Robbins Landon, per Haydn “la maniera più facile per raggiungere il cuore di un
musicista è quella di dedicargli un concerto” e questa affermazione può calzare con precisione sia
inserita nel discorso del rapporto umano con Leutgeb, sia nell’ambito delle relazioni sociali e
professionali che Haydn intrattenne con i colleghi dell’orchestra di corte, con alcuni dei quali
collaborò per un periodo lunghissimo.
Un’altra cosa però va anche detta per collocare meglio la produzione dei concerti solistici di
Haydn e forse potrà servire anche a suggerirci il motivo per il quale tale genere non costituì mai
nella sua evoluzione creativa un ambito privilegiato nel quale portare avanti quel discorso di
sperimentazione della forma-sonata che nelle sinfonie, nei quartetti e nelle sonate per pianoforte gli
valse, ancora lui vivo, l’identificazione tout court con tale forma e l’epiteto di “padre della sonata e
della sinfonia”. L’interesse esclusivamente occasionale di Haydn per il genere del concerto
solistico, prova del quale è il fatto che i suoi concerti siano legati quasi tutti alla figura del primo
esecutore o del mecenate che li commissionò, non può assolutamente essere letto come sintomo di
una sua indifferenza nei riguardi delle potenzialità virtuosistiche degli strumenti o di una sua
avversione verso le esibizioni dei solisti: prova del contrario è la presenza in così tante sue sinfonie
(e in special modo e con più frequenza proprio in quelle della prima decade di permanenza ad
Esteházy) di passaggi per strumenti soli caratterizzati da una scrittura virtuosistica che ancor oggi
affascina gli ascoltatori e sovente mette in difficoltà anche gli esecutori più dotati.
Piuttosto i motivi della scarsa frequentazione del genere possono essere ricercati in ragioni
esclusivamente formali, ipotesi che trova riscontro forte anche nelle analisi formali dei singoli
concerti. Il discorso che stava più a cuore a Haydn è, a partire proprio dagli anni in cui entra ad
Esteházy, l’esplorazione della forma-sonata, condotta attraverso l’evoluzione degli elementi che ad
essa si legano, dalla prevedibilità del percorso tonale e dall’univocità delle funzioni armoniche, ai
principi della tripartizione e (meno) del bitematismo che si stavano allora codificando in maniera
più o meno prescrittiva, dalla pregnanza sempre più forte dei soggetti tematici, al legame
inscindibile con la scrittura strumentale classica nella quale ogni parte ha uguale peso nella
definizione dei temi e completa indipendenza dalle altre (Durchbrockenearbeit). In questa
prospettiva la forma del concerto solistico poneva a Haydn una difficoltà ulteriore rispetto alle altre
tre forme classiche per antonomasia: quella di conciliare tutti questi elementi con la necessaria

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alternanza degli episodi di tutti e di solo, principio cardine della forma già dai modelli di
ascendenza barocca. Probabilmente fu anche perché non era lui stesso esecutore e virtuoso che in
realtà si risolse in pratica ad abbandonare il problema senza nemmeno affrontarlo. E conferma di
questa ipotesi per una scelta di campo così evidente è che lasciò la risoluzione del problema al
giovane Mozart, per il quale la vastissima produzione concertistica si lega indissolubilmente con il
suo doppio ruolo di compositore-esecutore, partendo dagli esordi della sua carriera come enfant
prodige fino agli ultimi duri anni di difficoltà a Vienna, durante i quali la straordinaria produzione
dei concerti per pianoforte, tutti destinati ad essere eseguiti da lui in qualità di virtuoso dello
strumento, altro non è che il lascito di una delle sue principali e più sicure forme di sostentamento.
Riavviciniamoci ora al Concerto per corno in Re Maggiore Hob. VIId/3D di Haydn: esso
rappresenta l’unico lavoro di attribuzione sicura a noi pervenuto per tale organico. I due cataloghi
delle opere di Haydn (il cosiddetto Entwurf-Katalog e il catalogo redatto da Johann Elssler nel
1805) danno notizia di un altro Concerto in Re Maggiore (Hob. VIId/1), ma purtroppo tale opera è
andata perduta, così come perduto è un Concerto “a Due Corni” in Mi bemolle Maggiore (Hob.
VIIb/2), citato solamente nel catalogo Elssler. Esiste poi un terzo Concerto (Concerto in Re
Maggiore Hob. VIId/4), pubblicizzato per la prima volta nel catalogo dell’editore Breitkopf del
1781, la cui autenticità non è ancora stata univocamente stabilita.
L’intestazione all’inizio del nostro concerto recita “Concerto per corno da caccia” e ci
suggerisce di sottolineare questa sua ispirazione venatoria, così come di esplicitarne il nesso con la
scelta della tonalità Re Maggiore, che lo accomuna tra l’altro, come si è visto, sia al concerto
perduto che a quello di incerta attribuzione. È pur vero che tale tonalità fu forse, se non la prediletta,
senza dubbio una delle preferite da Haydn (uno sguardo statistico alle tonalità delle sinfonie fa
immediatamente notare che è quella in cui ne compaiono il numero maggiore, ben 23), ma
un’analisi più attenta ci mostra che esiste anche un innegabile nesso tra questa tonalità e il corno,
inteso come strumento di origine venatoria: le tre sinfonie ispirate alla caccia, la n° 31 “Il segnale
di corno” o ”L’appostamento” (che oltretutto è del medesimo periodo, essendo datata 1765) e le
più tarde n° 72 e n° 73, sono tutte in Re Maggiore e utilizzano una sezione di corni doppia rispetto a
quella consueta (4 invece che 2), trattandola secondo il modello delle altre famose sinfonie di caccia
del periodo (si pensi a Leopold Mozart), con squilli, richiami, segnali e scrittura a coppie
contrapposte. In altre sinfonie in Re Maggiore il significato della scelta della tonalità si allontana da
questo ristretto ambito semantico, pur rimanendo in più casi in zone espressive affini
(l’ambientazione pastorale delle due londinesi n° 93 e n° 96 oppure l’atmosfera regale delle sinfonie
n° 53 “L’imperiale”, la n° 70, la n° 86).
Tuttavia nulla è più sbagliato che credere che per Haydn le potenzialità espressive del corno
si esaurissero in questa univoca connotazione venatoria: presto abbandonato il genere del concerto
solistico, è nell’immensa produzione delle sinfonie che egli apre le prospettive dello strumento
verso molteplici valenze espressive diverse, fino ad arrivare nella terza parte della Creazione ad
affidargli l’annuncio di Uriel, in un momento di intenso misticismo che quasi prefigura la
connotazione di nostalgia, lontananza e perduta identificazione con la natura che il timbro del corno
assumerà nelle opere dei primi compositori romantici.

Ritorniamo ora a ripercorrere la biografia di Leutgeb, ripartendo dal punto in cui l’abbiamo
interrotta. Nel febbraio 1763 entra a far parte anch’egli dell’orchestra di corte degli Esteházy e
risulta dalle fonti documentarie che egli percepisse praticamente lo stesso salario di Haydn (è
definito “stipendio annuo elevato”): ciò può essere interpretato come implicita testimonianza del
suo valore strumentale e del riconoscimento della sua eccezionalità. Tuttavia per ragioni
sconosciute dopo un solo mese egli abbandona il posto: non è escluso che Leutgeb abbia avuto fin
dall’inizio un contratto a breve scadenza, ma le ipotesi per spiegare questa rapida partenza possono
essere altre, non ultima quella della scarsa conciliabilità di un impegno di corte così serrato con la
carriera concertistica del solista che, dai dati successivi, sembra chiaramente avviarsi in quel
momento per il meglio. Non abbiamo nessuna notizia che supporti tale supposizione, ma possiamo

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senz’altro portare all’attenzione le testimonianze che Haydn stesso ci tramanda riguardo alla
concessione di permessi per attività esterne da parte del Principe Nicolaus: se egli concede di buon
grado il nulla osta affinché il suo Kappelmeister accetti commissioni esterne di brani come ad
esempio le sei sinfonie parigine scritte per i Concerts de la Loge Olympique (dopotutto Haydn si
presentava al mondo come maestro di cappella degli Esteházy, contribuendo ad aumentarne il
prestigio e la visibilità), è invece molto più rigido nel concedere congedi che ne implichino lunghi
allontanamenti. Nel contratto che lo ingaggiava nel 1761 era scritto esplicitamente che i congedi
andavano richiesti con sei mesi di anticipo, ma che restava comunque al principe piena facoltà di
negarlo. Dalle scelte professionali successive di Leutgeb sappiamo che egli alla fine trovò una
dimensione di dipendenza che gli permise invece di assentarsi spesso e per lunghi periodi per
dedicare alla sua carriera solistica tutto il tempo che meritava.
Quello che non sappiamo è se da questo momento in avanti l’amicizia tra Haydn e Leutgeb
proseguì intatta o se al contrario si incrinò per qualche screzio legato a questo allontanamento da
Esteházy: esiste persino un appunto di Haydn che potrebbe suggerire che il cornista fu addirittura
licenziato e non ci sono pervenute notizie di rapporti tra i due successive al febbraio 1763.

Entro pochi mesi, nella primavera del 1763 dunque, Leutgeb si trasferisce a Salisburgo per
assumere la posizione di primo corno nell’orchestra del regnante Principe-Arcivescovo, divenendo
quindi collega di Leopold Mozart e poco più tardi del fratello di Haydn, Micheal, nominato
Konzertmeister di tale compagine il 14 agosto 1763. È proprio a questo momento che risale la prima
notizia del rapporto di amicizia che sta nascendo col figlio prodigio di Leopold, Wolfgang, che
all’epoca aveva solo 7 anni: una lettera di Leopold ad amici del 20 agosto 1763, scritta mentre stava
viaggiando con la famiglia in tournée in Europa, include una lista di persone di cui il piccolo
Wolfgang disse al padre di avere nostalgia e il nome di Leutgeb appare tra queste.
Leutgeb rimarrà al servizio della corte di Salisburgo per ben 14 anni (fino al 1777): è più che
probabile che si sentisse oppresso dall’atmosfera chiusa e provinciale di tale ambiente e che anche
per lui la situazione si aggravò quando al buon Sigismondo von Schrattenbach, primo protettore del
piccolo Mozart (il quale nel frattempo era stato anch’egli assunto alle dipendenze del Principe-
Arcivescovo) succedette il nuovo vescovo Hieronymus conte di Colloredo, i cui attriti con Mozart
hanno assunto nella storia della musica una risonanza forse eccessiva e dovuta all’interpretazione
emblematica che la generazione successiva ne diede. Ciò nonostante in tale contesto, così come i
Mozart, anche Leutgeb riuscirà ad ottenere sempre numerosi permessi per intraprendere quelle
importanti tournées concertistiche che ne diffusero la fama in tutta Europa. Nel gennaio 1770
abbiamo notizia di una sua esibizione a Francoforte sul Meno, dove pare fosse ben conosciuto ed
apprezzato, e diverse volte il suo nome appare in questo periodo nei cartelloni viennesi. Dell’aprile
e del maggio dello stesso anno sono invece le sue due esibizioni a Parigi per i Concert Spirituel, per
i quali suonò tre concerti di sua composizione (oggi perduti), tra cui un Concert de chasse, e in
occasione dei quali è stata stesa una recensione sul Mercure de France che ancor oggi possiamo
leggere: essa riferisce che Leutgeb era un raffinato esecutore e che possedeva un “talento superiore”
per la dote soprattutto di saper “cantare un adagio tanto perfettamente quanto può fare la più dolce,
interessante ed accurata delle voci”. Altre notizie ci riferiscono di sue tournées in Italia ed
effettivamente risulta che egli fosse nel nostro paese nel febbraio del 1773, nello stesso periodo in
cui ci si trovavano anche i Mozart per seguire l’allestimento dell’opera di Wolfgang Lucio Silla a
Milano, che a causa di problemi andava per le lunghe. A Milano Leutgeb soggiornò qualche tempo
presso il pittore tedesco Martin Knoller, ma è certo che si incontrò con i Mozart. In una lettera da
Milano del 13 febbraio 1773, Leopold Mozart riferisce dell’arrivo di Leutgeb a Milano,
commentando che il solista era “estremamente popolare” nella città lombarda e menzionando per la
prima volta la possibilità di comporre un concerto per corno a lui destinato.
Non si sa se la decisione di Leutgeb di lasciare le dipendenze dalla corte di Salisburgo nel
1777 sia stata dettata in maniera preponderante da quell’avversione per l’arcivescovo Colloredo che
condivideva con Mozart o se vi ebbero peso altri fattori, tra cui l’avanzare dell’età e la

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preoccupazione di non avere più le forze per gestire contemporaneamente l’attività di dipendente e
la carriera solistica. Quello che è storicamente provato è che nel 1777 egli abbandona la carica e
Salisburgo per trasferirsi a Vienna, dove rimarrà fino alla morte. Nella capitale austriaca rileva la
licenza da formaggiaio che aveva ereditato dal suocero (venuto a mancare nel 1763) e apre un
negozio in quello che è oggi l’8° distretto della città, ovvero in una zona che era allora un sobborgo.
Questo non significa però che egli interrompa in quel momento la sua attività concertistica, anzi è
proprio di quell’anno la testimonianza che abbiamo di una sua richiesta a Mozart di un concerto per
corno: in una lettera del 1 dicembre 1777 di Leopold a Wolfgang, che era a Mannheim, si legge “il
signor Leutgeb, che ora ha acquistato una piccola casa a credito con licenza da formaggiaio in un
sobborgo di Vienna, ha scritto a te e a me poco dopo che sei partito. Voleva un concerto da te. Ma
verrà a sapere ora che tu non sei più a Salisburgo”.
Fermiamoci per un attimo ora a valutare la scelta professionale di Leutgeb. La decisione di
abbandonare un posto fisso e un salario sicuro per proporsi invece sul mercato musicale di una
grande città come Vienna in qualità di libero professionista nel 1777 era, obiettivamente, un grande
azzardo; se per un compositore le possibili fonti di guadagno includevano anche la vendita del
proprio lavoro a editori, società concertistiche e rari committenti privati (del tipo, per intenderci, del
misterioso committente del Requiem mozartiano) e i proventi dei concerti pubblici sostenuti da
sottoscrizioni o abbonamenti, per uno strumentista esecutore le possibili attività con cui
sopravvivere erano, non molto diversamente da oggigiorno, le collaborazioni con le orchestre non
istituzionali, cioè non legate alle corti, e le lezioni di musica ad una clientela privata, che, forse è
superfluo dirlo, per uno strumento come il corno, non potevano costituire un mercato
particolarmente ampio. Nel compiere lo stesso passo che solo quattro anni dopo farà anche l’amico
Mozart (è del 1781 l’universalmente famosa “sacrilega pedata”, con la quale, dopo l’acuirsi di
battibecchi, scenate clamorose e insulti, il gran maestro di cucina dell’arcivescovo Colloredo scaglia
metaforicamente il ribelle compositore verso la condizione della libera professione artistica),
Leutgeb tenta di tutelarsi da una possibile situazione di difficoltà finanziarie affiancando il suo
proporsi sulla scena viennese come solista e cornista orchestrale con un’attività commerciale che
egli probabilmente presumeva di sicure e regolari entrate. Addirittura il biografo di Mozart Konrad
Küster rintraccia alcune notizie secondo le quali è probabile che la licenza di formaggiaio fosse
stata acquistata da Leutgeb in tempi ancora precedenti, con l’intento di utilizzarla in ogni caso nel
futuro, per proteggersi le spalle quando fosse arrivato il momento in cui la vecchiaia e l’infermità
avrebbero posto termine alla sua attività come cornista.
Se sulle sorti dell’avventura di Mozart la storia ci ha tramandato innumerevoli testimonianze
(a partire innanzi tutto dal suo stesso epistolario) e gli studi musicologi si sono dibattuti all’infinito
per spiegare le componenti reali e biografiche e le ragioni storiche e sociologiche del mancato
riconoscimento sociale e del conseguente fallimento del tentativo del compositore di inserirsi nella
libera professione, in realtà nulla sappiamo di preciso di come andò a Leutgeb: non sappiamo quale
dimensione ebbe la sua attività in qualità di cornista e possiamo solo ipotizzare che il negozio di
formaggi in cui riponeva speranze di sicurezza in realtà si rivelò un pessimo affare. Che egli dovette
cadere in pessime acque lo sappiamo proprio dall’amico Mozart, che aveva ripreso i contatti con i
Leutgeb appena dopo essersi trasferito anch’egli a Vienna. In una lettera al padre dell’8 maggio
1782, riferendosi ad un prestito che Leopold gli aveva fatto, gli scrive: “Ti prego di essere paziente
ancora un pochettino con il povero Leutgeb; se tu sapessi la sua situazione e vedessi come deve
lottare per far quadrare i conti, sono sicuro che ti dispiaceresti per lui”. Il valore dell’amicizia di
Mozart e la portata dell’affetto che nutriva per il più anziano amico si misura forse anche
ricordando che, pur essendo anch’egli in difficoltà economiche, che furono in alcuni momenti anche
molto drammatiche, intercede presso il padre affinché non gli venga richiesta la risoluzione del suo
debito e che, anche negli anni in cui per Mozart le commissioni di brani furono un’essenziale fonte
di sostentamento, egli trovo il modo, il tempo e le energie per comporre diverse opere, tra cui
almeno quattro di notevolissimo spessore, per l’amico cornista che è più che presumibile non avesse
nessun modo di ricompensarlo economicamente.

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La citazione di questa lettera ci suggerisce ora di tentare di tratteggiare il carattere del
rapporto di profonda amicizia, complicità artistica e reciproca stima professionale che intercorse tra
Leutgeb e Mozart e che durò fino alla morte del compositore.
Esistono numerose lettere di Mozart in cui, raccontando alla moglie delle sue occupazioni
quotidiane, egli nomina Leutgeb: in tantissimi casi le riferisce di incontri, pranzi insieme e
spessissimo di aver dormito ospite presso l’abitazione dell’amico cornista mentre lei si assentava da
Vienna. Ne citiamo una, a titolo di esempio, ma sottolineando che non si tratta affatto di un caso
isolato: il 6 giugno 1791 le scrive che restò diverse notti consecutive da Leutgeb, “perché avevo
congedato [la domestica] Leonore e sarei stato a casa tutto solo, cosa che non sarebbe stata
piacevole”. Leutgeb poi sembra essere stato sempre molto partecipe e interessato all’attività
creativa dell’amico e troviamo spesso notizie della sua partecipazione alle esecuzioni dei lavori di
Mozart. Il compositore era solito invitare ed accompagnare ripetutamente amici e parenti alle serate
in cui si suonava la sua musica o in cui si rappresentavano le sue opere: ciò accadde anche in
occasione delle repliche che seguirono il grande successo de Il flauto magico, più tardi nello stesso
anno, e in una lettera dell’8-9 ottobre 1791 egli racconta “Leutgeb mi supplicò di portarlo una
seconda volta e così feci”.
Fin qui i dati citati dalle lettere ritraggono un’amicizia come tante, ma in realtà il tratto
principale di tale rapporto ancora ci manca da scoprire. Citiamo senza preamboli allora un’altra
lettera, che Mozart scrive il 25 giugno 1791 a Costanze da Vienna, mentre lei era a Baden a fare le
cure termali: le racconta di uno scherzo che aveva tirato ad un suo amico, a cui aveva fatto
consegnare un messaggio in cui si annunciava come “un vecchio e buon amico da Roma”; la vittima
dello scherzo mandò a dire in risposta “che non mi avrebbe trattenuto a lungo e, allo stesso tempo, il
povero sciocco si vestì con il suo miglior abito della domenica, il suo cappotto più elegante e la
capigliatura magnificamente acconciata - puoi immaginare come tutti abbiamo riso di lui. È vero,
non riesco a trattenermi dal prendere in giro la gente”. Benché il nome del bersaglio di questo tiro
burlone fu cancellato (con tutta probabilità più tardi da Nissen) è dato per certo da tutti i biografi
che questi altri non fosse che il nostro Leutgeb. E questo fu solo uno dei numerosissimi scherzi che
Mozart gli giocò; in tutta evidenza i due si conoscevano l’un l’altro così bene e si stimavano
umanamente e professionalmente da così lunga data che non sussisteva rischio alcuno di offendere
o di ferire sentimenti.
Gli scherzi più duraturi sono tuttavia quelli che sono rimasti sugli autografi di quasi tutte le
opere che Mozart compose pensando a Leutgeb, che per la verità sembrano coincidere con tutte
quelle composte per corno e orchestra dal 1781 al 1791, anno della sua morte. Ripercorriamone
brevemente la successione, partendo dal ricordare quella lettera del 1777 in cui Leopold riferisce al
figlio il desiderio espressogli dal cornista di ricevere un concerto per lui composto.

Quando nel 1781 Mozart si trasferisce a Vienna inizia quasi subito a lavorare ad un concerto
per corno, ricordandosi evidentemente di questa richiesta e forse sperando di completarlo prima di
incontrare l’amico; probabilmente per il sopraggiungere di altri impegni è costretto però ad
abbandonare l’opera dopo averne solo abbozzato due movimenti (uno dei quali, il presumibile
Finale del concerto, è stato poi ricostruito riunendo vari fogli che si erano dispersi durante
l’Ottocento e oggi viene catalogato ed eseguito come Rondò Kv. 371, mentre il primo movimento
progettato per il concerto rimase ad uno stato di abbozzo irrimediabilmente incompleto e
impossibile da eseguire in una forma compiuta e viene catalogato come Kv. 370b). Leutgeb non
venne a conoscenza dell’esistenza di tale concerto mentre Mozart era in vita e dopo la sua morte
affermò di non saperne ancora nulla. Ciò ha fatto concludere ad alcuni studiosi che tale opera fosse
invece stata concepita per Jakob Eisen, secondo corno del Teatro Nazionale di Vienna, ipotesi
dedotta dalla circostanza che nel 1800 la vedova di Eisen era in possesso della “partitura originale
per il corno” di Mozart. Konrad Küster fa notare però che non c’è motivo per pensare che Mozart
abbia disilluso le aspettative di un così caro amico e che la vicenda della proprietà della partitura

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potrebbe avere altre spiegazioni e non costituisce di per sé un’indicazione chiara e indiscutibile che
Mozart non avesse in mente Leutgeb quando iniziò la composizione di questo concerto; anche la
circostanza che Leutgeb, dopo la morte di Mozart, non sapesse nulla dell’esistenza di questi abbozzi
può essere facilmente spiegata, sempre secondo Küster, pensando che, come interprete, non era
necessario che egli conoscesse il lavoro prima che fosse completato, lavoro che oltre tutto fu
probabilmente abbozzato quando ancora Mozart non aveva riallacciato i contatti con l’amico dopo
essersi trasferito a Vienna. Küster ipotizza infine che Mozart potrebbe aver composto il Quintetto
per corno e archi Kv. 407 proprio al posto dell’abbandonato concerto, per esaudire il desiderio
dell’amico.
I successivi tre concerti non pongono invece alcuna di queste problematiche riguardo alla
destinazione a Leutgeb, poiché contengono dediche esplicite e indicazioni scherzose che non
lasciano spazio a eventuali dubbi sul contesto della loro ideazione, contesto che ovviamente altro
non era che l’amicizia e l’intensa frequentazione prima descritte.
Il Concerto in Mi bemolle Maggiore Kv. 417, composto due anni più tardi, è il primo
completo (anche se purtroppo ne sono andati persi alcuni fogli dell’autografo, che siamo costretti a
ricostruire attraverso una stampa poco più tarda, del 1802, che però si basava senz’altro sul
manoscritto integrale) e in questo caso la dedica non lascia dubbi né sull’identità del destinatario, né
sulla datazione e per la prima volta contiene uno scherzo che l’autore indirizzava all’amico. Essa
recita “W. A. Mozart ha avuto pietà di Leitgeb [sic.], somaro, bue e imbecille, a Vienna il 27
maggio 1783”: la spiegazione che ne dà Küster, che vi vede un’allusione alla lunghezza del tempo
in cui il desiderio di Leutgeb era rimasto insoddisfatto, è probabilmente solo una delle numerose
possibili.
Dopo aver iniziato e subito abbandonato un Concerto in Mi maggiore Mozart torna a
comporre un nuovo Concerto in Mi bemolle Maggiore catalogato oggi come Kv. 495, che reca
l’iscrizione “Waldhorn Konzert für den Leitgeb [sic.]” ed è elencato nel suo catalogo in data 26
giugno 1786: quello che rende questo manoscritto un caso originale ed unico è il fatto che esso sia
redatto con inchiostri di quattro colori differenti (nero, blu, rosso e verde). Diversi studiosi hanno
provato a formulare ipotesi per associare un valore semantico a tale bizzarria: tra i primi Franz
Giegling che attribuisce alla scelta dei diversi colori “un codice con il quale Mozart diede
all’esecutore suggerimenti per l’esecuzione, probabilmente riguardanti le sfumature dinamiche per
le quali la notazione solita era inadeguata”. Secondo questo codice, il rosso è usato per indicare
parti in rilievo, il verde per un “sotto voce” ovvero un piano che deve tuttavia cantare, il blu per
enfatizzare un effetto di eco, il nero per la notazione della normalità. Küster si spinge oltre
sistematizzando questa interpretazione fino a formare una scala di gradazione tra i quattro colori e
conclude affermando con sicurezza: “Una cosa è chiara almeno ed è che Mozart non saltellò per
gioco tra i barattoli dei colori, ma al fine di dare alcuni suggerimenti musicali all’interprete”.
Queste ricostruzioni hanno purtroppo il forte limite di doversi basare non su un autografo
completo, ma solo sulla parte limitatissima che è pervenuta fino a noi (cioè su soli sei fogli,
contenenti circa metà del secondo movimento e due terzi del finale); pertanto forse l’unica
conclusione certa che è possibile dare è che, se un codice con valenza semantica è esistito, esso
aveva la sua origine e il suo senso pieno unicamente all’interno dello stretto rapporto che legò
l’autore al destinatario, ovvero Mozart a Leutgeb, e che la chiave di tale codice rimane uno dei tanti
segreti che un’amicizia stretta e duratura come la loro custodisce. In ogni caso non si può negare
che, anche solo ad uno sguardo non approfondito, una partitura così colorata ci comunicherà sempre
l’idea dell’atmosfera di humour e leggerezza in cui fu stesa.
Il terzo concerto composto da Mozart è ancora in Mi bemolle Maggiore (Concerto in Mi
bemolle Maggiore Kv. 447) ed è quello che pone meno difficoltà redazionali poiché fortunatamente
il manoscritto autografo di Mozart ci è giunto in forma intatta. Purtroppo però ha sollevato altri
problemi perché non è datato e non figura nel catalogo del compositore: solo attraverso l’esame
della carta Alan Tyson è giunto a datarlo 1787 (invertendo in questo modo l’ordine rispetto al Kv.
495, concerto che fino ad allora era stato considerato posteriore). Un altro dato si può leggere forse

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alla luce di questo ribaltamento: la scrittura della parte del solo nel Kv. 447 è sotto tanti aspetti più
semplice e più comoda da eseguire, la sua estensione più limitata e le dimensioni del concerto
leggermente ridotte. Leutgeb aveva allora 55 anni ed è più che probabile che la sua emissione fosse
ormai diventata meno sicura nelle note acute; se quest’ipotesi trovasse corrispondenza storica allora
non sarebbe azzardato pensare che Mozart gli avesse scritto un altro concerto, a solo un anno di
distanza dal precedente, per venire incontro alle sue difficoltà.
Prima di passare all’ultima opera, che è quella che più ci interessa, vogliamo prima portare
all’attenzione un altro dato biografico di Leutgeb che potrebbe avere un valore anche nella
considerazione delle opere per lui ideate: anch’egli, come Mozart, risulta membro di alcune logge
massoniche viennesi e la fratellanza massonica tra i due potrebbe aggiungere un significato alla
coincidenza che i tre concerti maggiori per lui scritti sono tutti in Mi bemolle Maggiore, tonalità
fondamentale tra quelle impiegate da Mozart nelle sue musiche massoniche (come i tre accordi con
cui si apre Il Flauto Magico chiariscono in modo emblematico). Certamente tale tonalità risultava
anche tra le più idonee per lo strumento, ma non è da escludere che una più attenta analisi dei tre
concerti in questione sotto la luce dell’accostamento alle musiche più propriamente massoniche,
non possa riservare scoperte interessanti; basti solo pensare all’evidente somiglianza tra il tema
principale dell’Allegro moderato che apre il Kv. 495 e il tema della cantata Die mauerfreunde (La
gioia massonica) Kv. 471 del 1785.

Arriviamo ora all’ultimo concerto, il Concerto in Re Maggiore Kv. 412, che è sicuramente
quello in cui il rapporto di amicizia e complicità sul piano professionale tra Mozart e Leutgeb ha
lasciato una traccia più ampia e significativa. Diamone prima qualche dettaglio tecnico per poi
passare a presentare questa sua specificità. Innanzi tutto la scelta della tonalità ci consente di
proseguire il discorso sulle possibilità esecutive dell’ormai quasi sessantenne Leutgeb: la tonalità di
Re Maggiore, di una nona più bassa rispetto al Mi bemolle dei precedenti concerti, era fuor di
dubbio più confortevole. La datazione del concerto fu assai problematica, a partire dal fatto che
l’autografo contiene una data “impossibile” (Venerdì Santo, 6 aprile 1797), annotazione che è stata
considerata l’ennesimo scherzo di Mozart. Oggi, dopo le risolutive conclusioni di Alan Tyson, si
ritiene che la composizione del primo movimento sia stata iniziata in un periodo qualsiasi a partire
dal 1786, ma che non sia stata terminata prima del 1791. E del 1791 è anche l’abbozzo del Rondò
finale, che seguì a stretto giro il completamento del primo movimento. Mozart iniziò quindi il
Rondò, lasciandone incompleta l’orchestrazione alla sua morte. Come per il Requiem la vedova
Costanze incaricò l’allievo Süssmayr di completarne la stesura, ma egli alterò in più punti
l’originale di Mozart, omettendo alcune idee, inserendone altre sue e limitando l’estensione della
parte solistica. Tra le aggiunte di Süssmayr c’è la citazione dell’allora ben noto canto gregoriano per
le Lamentazioni di Geremia, che si suppone che egli abbia trovato abbozzato in un altro foglio
autografo di Mozart estraneo al concerto e che ve l’abbia quindi inserito per errore. La versione di
Süssmayr è quella che oggigiorno più frequentemente si esegue, ma per la sua lontananza dagli
intenti originali di Mozart va in un certo qual modo considerata come una “deliziosa opera a sé
stante” (John Humphries).
Come dicevamo, l’autografo sopravvissuto contiene un primo movimento completo e un
abbozzo parzialmente orchestrato del rondò finale, sul quale sono apposte numerosissime
indicazioni scherzose e giochi verbali (in italiano), che fungono da divertentissimo commentario ad
un’immaginaria esecuzione del brano da parte di Leutgeb. Alcune di esse sono semplicemente dei
non-sense che trovano semplicemente nell’assurdità la loro ragion d’essere; in altre ritroviamo gli
epiteti confidenziali (e un po’ triviali) con i quali Mozart abbiamo visto si rivolgesse a Leutgeb,
senza che questo costituisse in nessun modo un’offesa o una mancanza di rispetto e di stima, ma che
vanno invece inseriti nella cornice di leggerezza nella quale si svolgevano i loro incontri (“à lei
Signor Asino”, “Ah! Porco infame”, “Bestia”); da altre ancora invece traspare la profonda
conoscenza che Mozart aveva dello strumento, delle sue difficoltà e dei suoi limiti e proprio grazie
a questa avvertiamo come si divertisse a giocare con l’amico Leutgeb, immaginandolo alle prese

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con l’ardua risoluzione di tali difficoltà e di tali limiti. Ne diamo qualche esempio: Mozart prevede
le necessità di prendere fiato dell’esecutore e gli indica espressamente “respira” e, per una volta in
tedesco, “15 Jausen” (Jause è un’espressione austriaca e del sud della Germania che significa
“pausa-caffè”, come ad indicare che l’esecutore ormai vecchio si concedeva un tempo eccessivo per
prendere fiato); passaggi dal ritmo idiosincratico sono segnati con “Ah che mi fai ridere” o
semplicemente con “Ha ha ha”; i ritorni del tema del rondò sono sottolineati con commenti che
hanno il senso di irridere la scontata ripetizione meccanica che tale forma prevedeva (alla terza
comparsa del tema affidata al solista Mozart scrive “Questo poi và al meglio” e nel momento in cui
interrompe il tema alla quarta battuta commenta “E non finisci nemmeno? – Ah! Porco infame!”).
Senza dubbio le annotazioni di Mozart sono divertenti e scritte nello spirito di una
gustosissima burla ai danni del povero Leutgeb ed un’esecuzione del concerto con la recitazione di
tali frasi può darci un’idea e una testimonianza musicale molto inusuale della complicità (ma anche
della profondità) che caratterizzò la loro amicizia. Ma esse avevano anche un valido senso musicale
e ad una attenta analisi ci rivelano come Mozart avesse con esse voluto sottolineare dettagli
compositivi, attirare l’attenzione su ciò che era inaspettato e comunicare all’esecutore, grazie alla
sua conoscenza delle caratteristiche e delle restrizioni dello strumento, una sorta di comprensione e
solidarietà nell’affrontare le difficoltà che ogni esecuzione musicale comporta.
Un contenuto serio e profondo di grande umanità. Calato come quasi sempre ci accade
quando abbiamo davanti Wolfgang Amadeus Mozart in un’atmosfera cha non potrebbe essere più
leggera e giocosa.

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