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SERGIO BONANZINGA

La zampogna a chiave in Sicilia

Con testi di Paola Tripisciano e Giovan Battista Vaglica


Rilievi grafici di Monica Modica
Disegni e restauro immagini di Giuseppe Aiello
Trascrizioni musicali di Santina Tomasello e Alessandro Giordano
Fondazione Ignazio Buttitta
via Messina, 7/d - 90141 Palermo
fondazione.buttitta@yahoo.it
www.fondazionebuttitta.it

Copyright © 2006 Fondazione Ignazio Buttitta

È severamente vietata la riproduzione delle immagini e dei testi contenuti in questa


pubblicazione senza il preventivo consenso scritto dell’Editore

Bonanzinga, Sergio <1958->

La zampogna a chiave in Sicilia / Sergio Bonanzinga : con testi di Paola Tripisciano e


Giovan Battista Vaglica ; rilievi grafici di Monica Modica ; disegni e restauro immagini di
Giuseppe Aiello ; trascrizioni musicali di Santina Tomasello e Alessandro Giordano.
Palermo : Fondazione Ignazio Buttitta, 2006.
1. Zampogna - Sicilia.
788.4909458 CDD-21 SBN Pal0215171

CIP - Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace”

Editing e progetto grafico


Bice Mazzara_bicemazzara@alice.it

Compact disc allegato


Audio editing
Davide Dolce

Questo volume è stato stampato con il contributo dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali,
Ambientali e della Pubblica Istruzione. Dipartimento Beni Culturali, Ambientali
ed Educazione Permanente.
Infelice ch’io mi sono,
non riesco a sollevare il mio cuore
tanto alto quanto la mia bocca:
amo la maestà vostra per quanto
m’obbliga il mio dovere filiale:
né più, né meno.
[…] epperò vi obbedisco,
vi amo e vi onoro sopra tutti gli altri.

(William Shakespeare, Re Lear, atto I, scena I)

Ai miei Genitori
Indice

Premessa 7

1. Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935) 13

2. Il Corpus di Favara, i Canti di Pitrè e lo Studio di Tiby 23

3. Storia di una zampogna perduta 29

4. La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate 41

5. Zampognari del Terzo Millennio 73

6. Le parti dello strumento: costruzione e terminologia 77


6.1. Canneggio 79
6.2. Blocco 80
6.3. Insufflatore 80
6.4. Ance 81
6.5. Otre 82

7. Il repertorio e lo stile esecutivo 91


7.1. Accordatura e diteggiatura 92
7.2. Canti 93
7.3. Musiche strumentali 101

8. Pratica organistica e tradizione “zampognara” 113


di Giovan Battista Vaglica

9. Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave 119


di Paola Tripisciano

10. Una zampogna barocca in Sicilia 129

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali 135


A. Rilevamenti direttamente condotti 135
B. Rilevamenti condotti da altri ricercatori 141
C. Audioregistrazioni reperite nel corso delle ricerche 142
D. Documenti editi in antologie discografiche e videofilmati 143

Testi 145

Trascrizioni musicali 161

Appendice
A. Le melodie e i canti nella Biblioteca di Giuseppe Pitrè 195
B. Le trascrizioni musicali nel Corpus di Alberto Favara 215
C. Il Viaggiu dulurusu di Binidittu Annuleru 225

Riferimenti 231

Guida all’ascolto del CD 237


Premessa

Domenica scorsa, 8 dicembre, vi fu una grandiosa festa in onore della San-


tissima Madonna Immacolata, e il duca di Serradifalco ebbe la bontà di
invitarmi ad assistere alla processione dai suoi balconi. Di mattina andai
alla chiesa di San Francesco, dove vidi una grande statua d’argento posta
al centro del tempio per l’adorazione dei fedeli.
[…] I primi segni della processione furono offerti da torce, alte da quindici
a venti piedi [tra cinque e sette metri], fatte con canne secche e recate in
mano accese lungo la strada. Seguivano contadini che suonavano zampo-
gne, tamburelli e castagnette. Le zampogne sono molto grandi: la canna
maggiore misura tre o quattro piedi [tra 105 e 140 centimetri]. Alcune sono
di un bel legno nero, con chiavi argentate. I tamburelli, al contrario, sono
molto piccoli e privi di pelle, essendo semplicemente cerchietti muniti di
sonagli. Sono impugnati con la mano destra e vengono percossi, a tempo,
sul polso sinistro e l’avambraccio. Dopo questi rustici musicanti, sfilò una
confraternita di penitenti, scalzi e a capo scoperto, con corde intorno al
collo e corone di spine in testa, ciò nonostante accompagnati e allietati da
zampogne, tamburelli e castagnette. [Strutt 1842: 334; ns. trad.]

Il pittore inglese Arthur John Strutt così descrive i suoni che accom-
pagnavano la processione dell’Immacolata a Palermo nel dicembre del
1841, fornendo attestazione della presenza di un particolare strumento
musicale: una grande zampogna dotata di chiavi a vista, mancanti quin-
di della tipica copertura a barilotto detta “fontanella”. È questa la più anti-
ca testimonianza certa dell’esistenza in questa zona della Sicilia di un
aerofono policalamo a sacca molto simile a quelli tuttora diffusi nell’area
campano-lucana, con due canne melodiche diseguali (canta e trummu-
ni) e due bordoni (maggiore e minore, rispettivamente denominati quait-
ta e fasettu), ma che proprio nell’assenza di fontanella e – come si vedrà
– nell’adozione di un meccanismo a chiave doppia sulla canna melodica
più lunga (il trummuni), trova la sua specifica caratterizzazione.
Alcuni decenni più tardi sarà il demologo Giuseppe Pitrè a segnalare
la “ciannamella”, cioè la zampogna (in Sicilia ciaramedda), quale stru-
mento tipico – sempre insieme a castagnette e cerchietti – della novena
di Natale, rilevando nel contempo preziosi dettagli riguardanti il modo di
operare degli zampognari palermitani:

La novena non la fanno solamente i cantastorie, ma anche i ciaramiddari


ed altri sonatori. I ciaramiddari, sonatori di ciannamelle, vanno in giro di
giorno e di sera, ma non di notte. Chi vuole la loro sonata, se gl’impegna
qualche dì innanzi il novenario; ed essi devono sonare a una Madonna
(per lo più un quadro rappresentante Gesù, Maria, Giuseppe) parata con
fronde d’aranci, cariche di frutti: sono gli aranci di manciari (aranci forti).
Stanno accese davanti le immagini nove candele di cera, numero de’ gior-
ni della novena, e mentre i monelli fan corona e ressa al sonatore, egli
suona e suona, modulando coi tasti del piffero il suono uniforme, mono-
tono e pur gradito della cornamusa. La sua sonata è divisa in quattro
pezzi, detti caddozzi, che non duran più di dieci minuti ciascuno. V’è un
pezzo detto di S. Antuninu, che è la melodia popolare dell’orazione di
Santo Antonino; ve n’è uno di S. Giuseppi; l’ultimo è delle Litanie. Al
suono della ciannamella s’associa talora quello delle scattagnetti (casta-
gnette) e del cerchietto pieno di sonagli. [Pitrè 1878: 9-10]

Premessa

7
Le modalità contestuali e le indicazioni relative al repertorio, con la
tipica articolazione in caddozzi, sono simili a quelle tuttora osservabili.
Questa prestigiosa tradizione musicale perdura difatti a Monreale, dove
sono attive alcune coppie (suonatore-cantore) che continuano a esegui-
re le novene presso abitazioni e botteghe anche ad Altofonte e a Paler-
mo. Nel Capoluogo gli ultimi suonatori sono invece scomparsi negli
anni Settanta del Novecento. Al territorio di Palermo-Monreale resta per-
tanto circoscritta, oggi come nel passato, la presenza di questo impo-
nente strumento (la canna maggiore innestata nel blocco poteva quasi
raggiungere i due metri), mentre nel resto dell’Isola si trova esclusiva-
mente la ciaramedda a pparu: di misura più contenuta, senza chiavi, con
le due canne melodiche di eguale lunghezza e per questo denominata
zampogna “a paro”.
Nonostante suonatori siciliani di zampogna a chiave siano stati ritrat-
ti in disegni e fotografie pubblicate su opuscoli, libri, periodici e cartoli-
ne tra il 1880 e il 1935, nella letteratura specifica non si giunge a distin-
guere con chiarezza la zampogna “a chiave” da quella “a paro”. Giusep-
pe Pitrè riproduce i due modelli senza rilevare differenze (1892, 1893,
1913) e Alberto Favara trascrive brani riferibili a entrambi i tipi di zampo-
gna non fornendo precisazioni a riguardo (cfr. Corpus, 1957). Ottavio
Tiby individua invece sommariamente le due tipologie, riportandone
misure e nomenclatura delle canne (1957: 87-88), ma ribalta l’effettiva
frequenza d’uso dei due strumenti, indicando la varietà “a paro” come
zampogna «meno usata» in Sicilia (1957: 88).
Nell’ambito delle campagne di audiorilevamento condotte nell’Isola a
partire dal 1948, la zampogna a chiave non è mai stata registrata1. Sebbe-
ne agli studiosi ne fosse nota l’esistenza, soprattutto attraverso una foto-
grafia d’epoca pubblicata prima da Emanuel Winternitz (1943) e poi da
Anthony Baines in un classico dell’organologia (1960, ed. riv. 1979)2, sol-
tanto nei primi anni Ottanta del Novecento questa particolare zampogna
sarà infine “ritrovata”, grazie a una singolare circostanza verificatasi nel
corso di una ricerca sulle pive (cornamuse) dell’area alpina condotta da
Roberto Leydi e Febo Guizzi. Nel Bergamasco la piva si era ormai estinta,
ma a Curnasco – poco distante da Bergamo – i due studiosi si imbattero-
no in Sebastiano Davì, un emigrato monrealese allora sessantacinquen-
ne che suonava la grande zampogna a chiave siciliana: «Dalla testimo-
nianza di questo suonatore si è potuto stabilire che la zona oggi di pre-
senza dello strumento è Monreale, dove vivono alcuni suonatori e anche
un costruttore, o meglio, un ex-costruttore, in quanto troppo anziano e in
non buona salute. Lo stesso suonatore “bergamasco” ogni anno torna a
Monreale, dal periodo dell’Immacolata a Capodanno, per le novene, che
esegue (con un cantore) sia a Monreale che a Palermo e in altri paesi della
zona, per lo più nelle case» (Guizzi-Leydi 1983: 87-88; cfr. anche CD brano
1). Con queste parole Febo Guizzi ricorda oggi l’episodio:

Quando “scoprii” Davì a casa sua vicino Bergamo, lui si rifiutò a lungo di
suonare poiché teneva lo strumento smontato in attesa di metterlo a punto,
alla fine di novembre quando tornava a Monreale per suonare; ma a quel

1 Si fa riferimento alla documentazione sonora realizzata nell’ambito dei rilevamenti pro-


mossi dal Centro Nazionale Studi di Musica Popolare annesso all’Accademia nazionale di
Santa Cecilia e alla Discoregistroteca Centrale della Rai, dal 1989 ribattezzato “Archivi di
Etnomusicologia” (cfr. Nataletti 1970 e Documentazioni e Studi Rai 1977) e dall’Archivio
Etnico Linguistico-Musicale della Discoteca di Stato (cfr. Biagiola 1986).
2 Va però segnalato che mentre nel testo di Winternitz – riguardo alla fig. 29 inserita a p. 74

con didascalia «Player with zampogna» – si parla di una «gigantic Italian zampogna still
played in the Abruzzi» (1943: 76), Baines invece indica correttamente «Cornamusa, Sicily»
(1960: tav. XV).

La zampogna a chiave in Sicilia

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punto, quando la zampogna tornava efficiente, lui spariva e sarebbe stato
necessario seguirlo in aereo per poterlo ascoltare e registrare. Per quello che
ne so, non si preoccupò mai di suonare nel periodo in cui era al Nord, alme-
no sino a quando non accettò di entrare nel giro della “ricerca”, che funzio-
nò, nel suo caso, soprattutto attraverso il coinvolgimento in concerti dai
quali poteva trarre anche un discreto guadagno. [Comunicazione personale]

A partire da questo fortuito incontro è stato possibile avviare indagini


riguardo alle peculiarità strutturali, alla vitalità contestuale e al repertorio
dello strumento, che Leydi e Guizzi – con la collaborazione di Nico Staiti
– hanno cominciato sistematicamente a documentare dal 1982 su nastro
magnetico (cfr. Guizzi-Leydi 1983: 144-146). Successive ricerche sono
state condotte da Sergio Bonanzinga, Mario Crispi, Girolamo Garofalo e
Ignazio Macchiarella (cfr. Inventario dei documenti sonori e audiovisuali).
La zampogna a chiave siciliana è stata quindi considerata in diversi saggi,
sia entro il quadro complessivo delle zampogne di area italiana (cfr. Guiz-
zi-Leydi 1985; Leydi 1989; Staiti 1990, 1997; Guizzi 2002) sia con particola-
re riferimento alla Sicilia (Guizzi-Leydi 1983: 86-98; Staiti 1986: 216-17,
1989: 84-86; Bonanzinga 1991: 307-308, 1995b: 20-23, 2006: 91-97; Garofa-
lo 1997: 29-30). Alcuni documenti sonori sono stati inclusi in antologie
discografiche curate da Garofalo (d.1990), Leydi (cd.1995) e Bonanzinga
(cd.1996b, cd.2004).
Il lavoro di Leydi e Guizzi non ha soltanto avuto il merito di precisare
per la prima volta caratteri generali, presenza e uso della zampogna a
chiave in Sicilia, ma anche di offrire una prima ricognizione critica delle
relative fonti bilbiografiche (Favara 1957, Tiby 1957) e iconografiche
(Ragusa Moleti 1887, Winternitz 1943, Baines 1960, Toschi 1967). Appare
pertanto opportuno riportare i passi che delineano quel primo quadro di
riferimento, elaborato in particolare da Febo Guizzi:

La zampogna a chiave siciliana non differisce in modo sostanziale da quel-


la dell’area campano-lucana, dove pure esistono strumenti molto grandi, e
in passato ne esistevano di più grandi ancora. Elemento caratteristico è
però la chiave, e, anzi, la doppia chiave.
Negli strumenti di Monreale non esiste (come invece in tutte le altre zampo-
gne a chiave italiane) la fontanella e la chiave rimane così scoperta. Inoltre,
caso anche questo unico nelle zampogne italiane, la chiave era, in passato,
doppia. Attualmente non sembrano più esistere strumenti con la doppia
chiave, ma i suonatori ne hanno memoria e alcuni strumenti recano tuttora
il segno della chiave rimossa.
Il sistema delle due chiavi così come appare nella zampogna siciliana ricor-
da quello dell’oboe barocco. La chiave montata sulle zampogne di Monrea-
le non è di fabbricazione artigiana (come in tutte le altre zampogne italiane),
ma proviene dalla produzione moderna di strumenti musicali da orchestra
o da banda. I suonatori ritengono particolarmente adatte quelle di clarinet-
to basso. La chiave superstite è una chiave aperta (foro chiuso con chiave
attivata); la chiave scomparsa era, invece, una chiave chiusa (foro aperto
con chiave attivata). […]
Attualmente la zampogna a chiave pare limitare la sua presenza, in Sicilia,
all’area di Monreale. In passato (fino a dopo la Seconda guerra mondiale)
era presente anche a Palermo. Se oggi i suonatori attivi non sembrano
essere più di tre (Sebastiano Davì, a. 64; Sebastiano Davì, cugino del pre-
cedente, a. 48 e Salvatore Carrozza, a. 55), tutti di Monreale, ancora all’in-
domani della Seconda guerra mondiale vi erano, a Monreale, almeno
venti suonatori e alcuni altri erano a Palermo. I suonatori palermitani
erano i Ferrante, abitanti alla Varagna [Guadagna]. Tra i suonatori palermi-
tani più vecchi (ricordati dai suonatori di Monreale di oggi) sono uno
soprannominato u Cipuddaru (il cipollaio) e uno noto come l’orbu, perché
cieco. In Favara (1957) è citata una famiglia di ciaramiddari palermitani, i
Pinninu. Particolarmente importante come famiglia di zampognari, è quel-

Premessa

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la dei Davì, di Monreale, cui appartengono due dei tre suonatori oggi atti-
vi. Sebastiano Davì, che oggi vive a Curnasco, presso Bergamo (ma torna
per suonare a Monreale) ha avuto il padre (Benedetto, morto nel 1971), il
nonno (Sebastiano, morto negli anni Trenta) e il bisnonno (Benedetto), tutti
zampognari. Zampognari anche gli zii (Salvatore, morto nel 1981 e Filippo,
nato nel 1886 e tuttora in grado di suonare). Zampognari anche il fratello
Pino (nato nel 1937) e i cugini. Pure il suocero di Salvatore Davì, Pietro
Grandesi [Gaudesi], suonava la ciaramedda. Anche Salvatore Carrozza è
figlio di un suonatore, Bernardo Carrozza, che però era zampognaro di
prima generazione.
Attualmente non vi sono costruttori di zampogna a chiave in Sicilia. A
Monreale vive Gaetano (Tano) Molone che è stato costruttore, ma che
oggi, per l’età e la non buona salute, non è più in grado di lavorare.
La zampogna a chiave viene usata, a Monreale, soltanto per la novena
natalizia. I suonatori non girano per le strade chiedendo l’obolo, ma si
recano nelle case su chiamata, o suonano all’aperto “scritturati” dai
comitati delle feste natalizie. Il repertorio comprende, quindi, quasi
esclusivamente brani religiosi. Ogni novena (durata 10-12 minuti) si
compone di tre caddozzi (brani, parti), che possono essere eseguiti sepa-
rati, uno dopo l’altro, o collegati, in una sola sonata. I brani principali del
repertorio attuale sono: Pastorale, Litania, La matri santa nutricava
(canto che anticipa, nella celebrazione natalizia, la immagine della Pas-
sione), Salve Regina, Il Figliol prodigo, San Giuseppe, Sant’Antonino,
Mira il tuo popolo, La Madonna di Fatima, Tu scendi dalle stelle e qual-
che brano “laico”, come Calabrisella e l’Inno di Garibaldi.
Oggi la zampogna a chiave di Monreale è strumento solista e di accompa-
gnamento al canto. La novena viene normalmente eseguita da una cop-
pia: suonatore e cantore. Non vi è uso di strumenti ritmici. Vi è però l’uso,
saltuario ma non eccezionale, della coppia zampogna-clarinetto. Questo
fatto potrebbe autorizzare l’ipotesi dell’esistenza, in passato, della ciara-
mella, poi perduta. [Guizzi-Leydi 1983: 88-89, 92-94]

In un testo di poco posteriore Guizzi ipotizza che le zampogne a chia-


ve di area centro-meridionale siano derivate dalle zampogne “zoppe”
(caratterizzate da canne melodiche asimmetriche), ibridate con le bom-
barde, e che l’originario centro di sviluppo di questa trasformazione sia
da individuarsi nella città di Napoli:

[…] dal tipo “zoppo” è probabilmente derivato, attraverso l’adozione di


una canna nettamente più lunga e quindi necessitante di un dispositivo per
agevolarne la completa tastatura, cioè una chiave, un tipo che ha adottato,
per la canna in questione, la forma più immediatamente messa a disposi-
zione dallo strumentario rinascimentale tra i tubi ad ancia, tagliati in fami-
glie e muniti di chiave, cioè la bombarda. Che il passaggio sia avvenuto a
partire dal tipo “zoppo” è dimostrato innanzitutto dalla comune adozione
per tutte le canne di queste zampogne, di ance doppie, bene accoppiante-
si con le cavità troncoconiche delle stesse, dalla comune pratica di accom-
pagnamento alla ciaramella che caratterizza, anche se in modo non esclu-
sivo, entrambi gli strumenti, e, in modo indiretto, dalla struttura a distanza
di quarta che permane nella doppia ciaramella dell’area salernitana, proba-
bile residuo di un precedente strumento di tal fatta ora del tutto assente in
quella zona. Che tale trasformazione sia avvenuta probabilmente in area di
influenza napoletana è suggerito, oltre che dalle considerazioni già svolte,
dalla totale egemonia raggiunta in Campania dalla zampogna a chiave, che
è tale anche nei modelli più piccoli che non avrebbero tecnicamente alcun
bisogno della chiave stessa, dalla reciproca preminenza che pare aver
avuto sino ad epoche vicine a noi la zampogna “zoppa” in Ciociaria (e
l’odierna costruzione in Molise è accertato che sia derivata da Villa Latina),
e dalla maggiore facilità con cui si può ipotizzare un irradiamento da Napo-
li, capitale del Mezzogiorno, di questo strumento verso Palermo e la Cala-
bria centrale, ove emergono le altre “isole” di presenza della zampogna a
chiave. [Guizzi-Leydi 1985: 106-108]

La zampogna a chiave in Sicilia

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La trasformazione della zampogna dal tipo “zoppo” a quello “a chiave”
si sarebbe quindi verificata nella prima metà del Settecento, «non solo per
le scarse attestazioni iconografiche che danno certezza assoluta (almeno
per ciò che ora sappiamo) solo per una datazione non precedente il 1739,
ma soprattutto per l’evidente ruolo “modernizzatore” assunto da questo
strumento nelle sue manifestazioni musicali più tipiche (e forse proprio
Palermo e Monreale da una parte, essendo le propaggini più periferiche
ed isolate della sua espansione, e la ristretta zona della Lucania dall’altra,
ove la zampogna a chiave è solista, hanno mantenuto i caratteri più arcai-
ci del suo stile e repertorio, nel primo caso con impronta “urbana” e semi-
culta, nel secondo con modalità dominate da una struttura modulare “da
tarantella”» (Guizzi-Leydi 1985: 108).
Questo lavoro si fonda su una esperienza di ricerca avviata nel 1986 e
tuttora in corso di svolgimento. La nostra indagine si è per un verso rivol-
ta all’ampliamento delle ricognizioni bibliografiche e iconografiche com-
piute da Guizzi e Leydi, mentre per altro verso si è concentrata sulla docu-
mentazione puntuale del complesso dei saperi che attualmente ruotano
intorno a questo tipo di zampogna e sulla ricostruzione della sua vicenda
storica (primi risultati in Bonanzinga vf.2003 e 2005a). Il rinvenimento di
alcune parti di una zampogna ottocentesca, “perduta” nei depositi del
Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè”, ha inoltre contribuito a ipo-
tizzarne l’originaria struttura scalare e la conseguente diteggiatura. L’os-
servazione di questo strumento, che è stato tra l’altro radiografato per rile-
vare l’esatta cameratura delle canne, ha suggerito di approfondire i lega-
mi della grande zampogna siciliana con l’oboe barocco (argomento speci-
ficamente trattato da Paola Tripisciano). Il riferimento alle pratiche musica-
li di epoca barocca è stato inoltre esteso al repertorio delle Pastorali orga-
nistiche, che sul piano della struttura formale e dei procedimenti compo-
sitivi presentano sorprendenti analogie con quelle tramandate dagli zam-
pognari dell’area palermitano-monrealese (questione esaminata in parti-
colare da Giovan Battista Vaglica).
I dati relativi alla tradizione attuale della zampogna a chiave siciliana si
devono principalmente alle testimonianze di Girolamo Patellaro (zzù
Momu), Benedetto Miceli e Salvatore Modica. La scelta si è orientata su tre
figure che raccordano il passato e il presente dello strumento. Patellaro, il
cui padre Giacinto era suonatore, rappresenta coloro che hanno vissuto
l’ultima fase storica in cui il mestiere di zampognaro era ancora pienamen-
te radicato nel sistema di vita della comunità. Miceli è nipote in linea
materna di Sebastiano Davì (zzù Nenè), ultimo “maestro” riconosciuto tra
gli zampognari monrealesi, dal quale ha ereditato competenze tecniche e
sapere musicale. Modica è zampognaro di prima generazione (il nonno
materno Filippo Madonia, che non ha conosciuto, era però ciaramiddaru),
ma con straordinaria passione ha prima appreso i modi del canto e poi
acquisito competenza nella prassi strumentale e nella costruzione delle
ance. Anzitutto a loro, che con paziente disponibilità hanno accettato di
riferire i particolari della propria arte, va la nostra più affettuosa gratitudi-
ne. La tradizione della zampogna a chiave di Monreale è stata inoltre testi-
moniata dalla signora Marianna Davì e dal marito Francesco Miceli (geni-
tori di Benedetto), dall’ebanista Giuseppe Flores (per gli aspetti legati alla
realizzazione delle parti in legno) e dai suonatori-cantori Salvatore e Ber-
nardo Carrozza (padre e figlio), Gaetano Campanella, Giacinto Davì, Bene-
detto Ferraro e Salvatore Patellaro (fratello minore di Girolamo). A tutti
loro manifestiamo un sincero ringraziamento.
Grazie alle preziose indicazioni fornite da parenti e conoscenti, abbia-
mo potuto anche ricostruire le vicende degli ultimi zampognari palermi-
tani ed esaminare i loro strumenti e accessori. Alle signore Rosalia e Vin-

Premessa

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cenza Pennino e ai signori Santo Pennino e Vittorio Lo Iacono dobbiamo
le informazioni relative ai suonatori dell’antico rione marinaro della
Kalsa: Angelo e Girolamo Pennino (padre e fratello di Rosalia, Vincenza
e Santo) e Santo Lo Iacono (padre di Vittorio e nipote in linea materna di
Angelo Pennino), discendenti diretti di quel Santu Pinninu incontrato da
Favara alla fine dell’Ottocento. Alla signora Giuseppa Ferrante Amato e
ai signori Giuseppe Ferrante, Carmelo Di Salvo e Giuseppe Saglibene
siamo invece grati per le notizie relative ai tre fratelli Ferante, zampogna-
ri della “borgata” Guadagna. Le notizie riguardanti gli zampognari del
paese di Cinisi si devono alla cortesia delle signore Caterina e Giovanna
Puleo e del suonatore Vincenzo Briguglio, che ha per qualche tempo uti-
lizzato una zampogna a chiave di provenienza laziale. La tradizione tutto-
ra vitale delle pìffare (oboi popolari) nel centro madonita di Petralia
Soprana è stata documentata grazie ai suonatori Giuseppe Federico,
Antonino La Placa, Antonio Li Puma e Michele Cerami.
Per avere concesso la riproduzione di immagini, oggetti e documenti
sonori si ringraziano inoltre: la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana
(Palermo, Assessorato regionale Beni Culturali, Ambientali e della P.I.); il
Laboratorio Antropologico Universitario (Dipartimento di Beni Culturali
dell’Ateneo palermitano); il Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe
Pitrè”; l’editore Enzo Sellerio; il “Giornale di Sicilia”; l’Associazione Fol-
kstudio; il Club Alpino Siciliano; i fotografi Vincenzo Brai, Piergiorgio
Della Mora, Raffaele Ferraro, Francesco La Bruna, Cristiano Mattina, Enzo
Lo Verso e Gaetano Pagano; gli studiosi Mauro Gioielli e Rosario La Duca;
il collezionista Giuseppe La Bruna; l’antropologo Girolamo Cusimano.
Ringraziamenti particolarmente sentiti si esprimono a: Antonio Lo
Casto (docente presso la Sezione di Scienze Radiologiche del Dipartimen-
to di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale dell’Università di Paler-
mo), per avere effettuato le radiografie della zampogna conservata al
Museo Pitrè di Palermo, e a Eliana Calandra e Antonio Di Lorenzo (rispet-
tivamente Direttore e Conservatore dello stesso Museo), per avere per-
messo e seguito la conduzione di questi rilievi; Patrizia D’Amico, per le
ricerche condotte presso il Museo Pitrè; Emanuele Buttitta, Rosario Ferra-
ra, Maria Concetta e Enzo Sapienza, per le preziose informazioni su flau-
ti di canna, pifferi e zampogne in alcuni paesi delle Madonie (rispettiva-
mente Polizzi Generosa, Petralia Soprana e Isnello); Giancarlo Parisi, per
i suggerimenti relativi alla diteggiatura dello strumento; Febo Guizzi, per
avere fornito alcune preziose immagini e segnalato i dati relativi alle
ricerche condotte insieme a Roberto Leydi; Nico Staiti, per i sempre inten-
si scambi di idee e materiali, non solo in materia di zampogne; Vincenzo
Ciminello, Mario Crispi, Giuseppe Giacobello, Girolamo Garofalo, Ange-
lo Maggio, Rosario Perricone e Mario Sarica, per la felice condivisione di
alcuni momenti di questa ricerca, entro cui hanno attivamente prodotto
contributi documentari di svariata natura (audioregistrazioni, videoripre-
se, fotografie); Matteo Meschiari e Ingrid Pustianac, per la puntuale revi-
sione del volume; Giovanni Ruffino, per avere suggerito i criteri di trascri-
zione e rivisto i testi in siciliano; Fatima Giallombardo, per il sempre affet-
tuoso e competente sostegno e la generosa sorveglianza sulla redazione
del testo; Elsa Guggino, per il costante incoraggiamento alle nostre inda-
gini che, grazie al suo insegnamento, si sono spesso orientate verso le
forme della tradizione musicale urbana di Palermo; Giuseppe (“Pino”)
Aiello, Alessandro Giordano, Bice Mazzara, Monica Modica, Santina
Tomasello, Paola Tripisciano e Giovan Battista Vaglica, per i diversi contri-
buti offerti alla realizzazione del volume. Si rigrazia infine la Fondazione
Ignazio Buttitta – e in particolare Antonino Buttitta e Ignazio Emanuele
Buttitta – per avere creduto nella realizzazione di quest’opera, seguendo-
ne con rassegnata pazienza la faticosa gestazione.

La zampogna a chiave in Sicilia

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1 Tracce iconografiche e testimonianze etnogra-
fiche (1785-1935)

Non sono finora note attestazioni che consentano di ricostruire


con certezza gli itinerari e le dinamiche riguardanti la presenza
della zampogna a chiave in Sicilia: le tracce più remote – una inci-
sione e una figura da presepe – risalgono soltanto agli ultimi
decenni del XVIII secolo.
L’incisione riproduce una veduta della città di Licata (in provin-
cia di Agrigento) eseguita da Louis-Jean Desprès per il Voyage pit-
toresque dell’abate di Saint-Non, con al centro due suonatori di
zampogna e piffero (1785: IV, tra le pp. 242-43; IM. 1).

1. A destra: veduta della città di Licata.


In basso: part. suonatori di piffero e zampogna
(in Saint-Non 1785).

La statuina da presepe – di fattura monrealese risalente alla fine


del Settecento (figurinaio Pitti, coll. Giuseppe La Bruna, Monreale,
attribuzione e datazione fornite dallo stesso La Bruna) – rappresen-
ta «un suonatore, che tiene la zampogna quasi parallela al terreno,
nella posizione adottata ancor oggi dagli zampognari di Monrea-
le» (Staiti 1997: 154; IM. 2). Mentre nel primo caso potrebbe trattar-
si di una immagine stereotipa – genericamente riferibile a contesti
urbani dell’Italia meridionale – inserita da Desprès per ravvivare la
veduta, la figura da presepe riflette invece la specifica associazio-
ne, nel paese di Monreale, di questo tipo di zampogna al contesto
celebrativo del Natale.
2. Zampognaro da presepe.
Delle testimonianze offerte da Strutt e da Pitrè si è già detto (cfr.
Monreale, fine sec. XVIII (coll. G. La Bruna). Premessa). Il demologo palermitano riprenderà in seguito le infor-

Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935)

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mazioni contenute nel testo del 1878: pressoché letteralmente nel
volume dedicato a Spettacoli e feste popolari siciliane (1881: 435-
436); con lievi varianti nell’opuscolo La festa del Natale in Sicilia
(pubblicato nel 1893 sotto lo pseudonimo di Hernandez De Moreno),
dove però compare un paragrafo specificamente intitolato «Il Sona-
tore di cornamusa», corredato da disegni. Uno tra questi raffigura
l’ambiente della novena: lo zampognaro suona davanti a una edico-
la votiva, addobbata secondo consuetudine, attorniato da donne e
bambini (1893: 5, IM. 3). Lo strumento è certamente una zampogna
a chiave e nella stessa pagina (sulla colonna di sinistra) vediamo
anche riprodotta una coppia di castagnette (IM. 4):

Il ciaramiddaru, che va raccogliendo i suoi clienti qualche giorno


prima della novena sonando qua e là qualche pezzo per le vie e pei
chiassuoli, suona, per lo più sull’imbrunire, innanzi a qualche
immagine della Sacra Famiglia parata a fronde d’aranci forti (aran-
ci di manciari), cariche di frutti. Stanno accese innanzi ad essa nove
candele di cera, numero dei giorni della novena, multiplo del tre, 3. Zampognaro esegue la
che è numero perfetto; e le sue sonate non sorpassano il quattro, novena di Natale (in Pitrè 1893).
della durata di dieci minuti ciascuna. Ve n’è una che s’intitola San-
t’Antuninu; una, S. Giuseppi, una terza Litanie, e ci si sente la melo-
dia popolare della orazione di Sant’Antonino, il protettore delle
ragazze da marito, di quella di S. Giuseppe, il padre della Provvi-
denza, e delle Litanie lauretane.
Al suono uniforme, monotono della cornamusa è spesso associato
lo scoppiettio delle castagnette (scattagnetti).

Questa breve descrizione riguarda senza dubbio la tradizione


dei ciaramiddara palermitani: tutte le “sonate” menzionate vengo-
no infatti ancora oggi eseguite e si fa esplicito riferimento alla giu-
stapposizione di più melodie entro un’unica esecuzione strumen-
tale, in conformità a una prassi tuttora comune tra i suonatori in
attività (cfr. cap. 7). Il demologo non intende tuttavia limitare la sua
trattazione alla città di Palermo e inquadra in termini più generali
la figura dello zampognaro: 4. Coppia di castagnette (in Pitrè 1893).

Il ciaramiddaru è dei grandi e dei piccoli paesi dell’Isola come è del


Mezzogiorno d’Italia, degli Abruzzi, della Ciociaria. Il suo costume è
quello del montanaro un po’ siciliano, un po’ calabrese; e lo stru-
mento che egli suona ne fa un soggetto piuttosto simpatico. La cor-
namusa è uno strumento pastorale primitivo: ma i ciondoli, i gin-
gilli e gli agnusdei che si attaccano alle sue pive se non sono tutti
primitivi, non sono certo di tutti i sonatori. Dal disegno che segue
è facile riconoscerne la natura e forse lo scopo.
Sono tavolette di osso disegnate ed incise a coltello con greche ed
ornamenti in giro e con figure di santi nel mezzo. Ogni figura ha un
significato religioso. Pendono da esse fiocchettini e cuori di tessuti
di seta imbottiti, di color rosso, il colore prediletto del nostro popo-
lino, il colore contro il malocchio, che Dio ne liberi ogni buon cri-
stiano! [1893: 4-5]

Il disegno menzionato da Pitrè raffigura una zampogna “a paro”


(si tratta della stessa immagine – relativa a uno strumento prove-
niente da Enna – che era stata pubblicata sul Catalogo illustrato
della Mostra Etnografica Siciliana, cfr. Pitrè 1892: 75; IM. 5). Alle
pagine 4 e 5 dell’opuscolo si trovano quindi raffigurati entrambi i
modelli di zampogna presenti in Sicilia, senza che sia tuttavia posta
in evidenza alcuna distinzione. L’attenzione del demologo si soffer- 5. Zampogna "a paro"
ma invece su tipologia e valore simbolico dei decori appesi allo proveniente da Enna (in Pitrè 1892).

La zampogna a chiave in Sicilia

14
strumento, ritenuti più significativi di una “differenza” che noi oggi
percepiamo come sostanziale ma che all’epoca forse rientrava in
una dimensione di più “normale” quotidianità: dai paesi dell’entro-
terra arrivavano nel Capoluogo anche suonatori di ciaramedda a
pparu, come diversi tipi di zampogna a chiave erano usati dagli
ambulanti, soprattutto abruzzesi, campani e calabresi, che usavano
spingersi fino al territorio del Palermitano in occasione delle festi-
vità natalizie. A Cinisi tuttora si ricorda la presenza di due suonato-
ri calabresi, con zampogna e piffero, che eseguivano la novena di
Natale fino agli anni Quaranta del Novecento (cfr. nel cap. 4 la testi-
monianza del suonatore Vincenzo Briguglio).
La presenza in Sicilia fino ai primi decenni del Novecento di
varietà diverse di zampogna, anche in coppia col piffero (pìffara,
bbìfara, bbìfira, bbifaredda)1 è d’altra parte testimoniata da
dipinti e fotografie. Consideriamo alcune attestazioni a titolo
esemplificativo. Anzitutto due tempere su carta risalenti alla
prima metà dell’Ottocento: una coppia di suonatori con grande
zampogna a quattro canne asimmetriche (un adulto) e piffero
(un ragazzo), con sottoposta didascalia «Costume de Villani di
Sicilia / Suonatori di cornamusa e di piffero» (da una serie di 20
stampe firmate C. De Bernardinis, IM. 6); un suonatore di zampo-
gna a cinque canne asimmetriche, intento ad accordare lo stru-
mento regolando con punteruolo l’apertura di un foro della
6. Suonatori di piffero e zampogna.
Stampa C. De Bernardinis,
prima metà sec. XIX (coll. Museo Pitrè).

1 Appare evidente la derivazione dal termine italiano ‘piffero’ delle denominazioni


siciliane riferite all’oboe popolare noto come ciaramella in tutta l’Italia centromeridio-
nale. Con ciaramedda si designa invece in Sicilia esclusivamente la zampogna (sia “a
paro” sia “a chiave”).

Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935)

15
7. «Zampognaro siciliano». Stampa di produzione
inglese, prima metà sec. XIX (coll. R. La Duca).

canna melodica destra. Questa immagine – con didascalia «A


Sicilian Bagpipe Player» (Suonatore siciliano di zampogna) –
appartiene a una serie di “costumi popolari” di produzione
inglese e va considerata una testimonianza preziosa per la preci-
sione dell’azione raffigurata (IM. 7).
Abbiamo poi due fotografie, presumibilmente realizzate verso la
fine del XIX secolo: una coppia di suonatori con zampogna (un
adulto) e piffero (un bambino), con didascalia «Taormina - Pifferi -
(Costumi Siciliani)» (IM. 8); due suonatori di zampogna e triangolo,
con didascalia «Tipi Siciliani» e indicazione dell’editore, Dr. Trenkler
Co. di Lipsia (IM. 9). Nel primo caso la zampogna è dotata di chiave
protetta da fontanella, secondo una tipologia ricorrente in tutta
l’area che va dal Lazio alla Calabria, mentre nell’altra immagine
abbiamo una zampogna calabrese del tipo “alla moderna” (con
canne melodiche asimmetriche). Non si tratta quindi di suonatori
“siciliani” ma semmai temporaneamente operanti in Sicilia. I loro
tipici costumi risultano comunque utili a delineare una maniera
agro-pastorale genericamente meridionale, che in certa misura già
fonda le moderne strategie del consumo “folk-turistico” nel segno
dell’esotico e dell’arcaico. Non è infatti un caso che queste imma-
gini fossero destinate a una circolazione commerciale: dal ricerca-
to souvenir da parete alla più “popolare” cartolina postale.

La zampogna a chiave in Sicilia

16
Certamente siciliani sono invece i suonatori che offrono un
«Ammirevole concerto di zampogna e di flauto», come recita la
didascalia di una immagine edita da Benedetto Rubino nel 1933
(IM. 10). Il “concerto” è in realtà prodotto da una zampogna “a
paro” e da una bbìfira, rispondente al tipo documentato in alcuni
centri dei Nebrodi. L’immagine è stata con probabilità ripresa
nelle campagne tra San Marco D’Alunzio e San Fratello, dove
Rubino – tra l’altro valente fotografo – era solito operare, e dove
fino agli anni Cinquanta del Novecento ancora si suonava questo
tipo di oboe popolare (cfr. Sarica 1994: 123-133 e Guizzi-Staiti
1995). L’attestazione visiva non assicura che i due strumenti fosse-
ro utilizzati insieme per consuetudine: potrebbe difatti trattarsi di
un’associazione sporadica o di un accostamento finalizzato all’in-
quadratura fotografica. La questione verrà comunque ripresa più
avanti (cfr. cap. 4), in relazione a testimonianze raccolte di recen-
te a Petralia Soprana (PA).
A partire dal 1880 si avvia un’ampia produzione di fotografie
8. Suonatori di piffero e zampogna. Cartolina dedicate ai “costumi popolari siciliani”, principalmente destinata
postale, fine sec. XIX (coll. S. Bonanzinga).
al mercato delle cartoline postali. Grazie alla pubblicazione del
catalogo della Mostra Gli Interguglielmi. Una dinastia di foto-
grafi (edito da Enzo Sellerio nel 2003), integrata dalla cortese
testimonianza di Cristiano Mattina, attuale erede e titolare dello
Studio Interguglielmi (fondato a Palermo nel 1863), è stato pos-
sibile accertare la paternità di quattro immagini di zampognari
palermitani che, oltre a circolare in forma di cartolina, furono
anche riprodotte in svariate pubblicazioni. È stato difatti Eugenio
Interguglielmi a realizzare, tra il 1880 e il 1885, le seguenti foto-
grafie: a) zampognaro seduto presso un altare ricostruito in stu-
dio (IM. 11) – foto riprodotta da Luigi Sorrento in una nota sillo-
ge relativa al folklore siciliano (1925: 71; ried. in AA.VV. 2003); b)
lo stesso soggetto ritratto in piedi con la zampogna appoggiata
sulla spalla (IM. 12); c) zampognaro in piedi, con strumento e
sfondo identici a quelli delle immagini precedenti (IM. 13; ne esi-
ste anche una versione cromatizzata e ritoccata a mano, IM. 14)
– si tratta della stessa foto in seguito pubblicata da Emanuel
Winternitz (1943) e da Anthony Baines (1960)2. La foto di uno
zampognaro seduto su un “muretto”, con sfondo raffigurante un
ambiente rurale – steccato, alberi, paniere con uova – ricono-
9. Suonatori di zampogna e triangolo. sciuto da Cristiano Mattina come appartenente allo Studio Inte-
Cartolina postale, serie Dr. Trenkler Co.
di Lipsia, fine sec. XIX (coll. S. Bonanzinga). guglielmi (IM. 15), si trova inoltre riprodotta nella sezione dedi-
cata alle tradizioni popolari di una nota guida turistica di Paler-
mo (cfr. Salomone Marino 1911: 383).
Un’altra cartolina, con didascalia «Tipi siciliani – Suonatore di
cornamusa» e indicazione dell’editore (Dr. Trenkler Co. di Lipsia),
ritrae uno zampognaro seduto, con sfondo floreale (riedita in
Pugliatti 1982: 197; IM. 16): è di certo antecedente al 1887, poiché in
quell’anno venne pubblicato da Girolamo Ragusa Moleti, sul
periodico “Le cento città d’Italia”, un disegno ricavato dalla stessa
fotografia (IM. 17).

2 Il fatto che la zampogna sia la medesima potrebbe suggerire che le due persone

ritratte non siano suonatori ma “figuranti” reclutati da Eugenio Interguglielmi per


le loro caratteristiche fisionomie. La corretta postura adottata nell’imbracciare lo
10. Suonatori di piffero e zampogna "a paro" strumento (imm. 11 e 13) – retto diagonalmente rispetto all’asse del corpo, a otre
nelle campagne dei Nebrodi in provincia di Messina gonfio e con le dita ben disposte sulle canne melodiche – rivela tuttavia una evi-
(in Rubino 1933). dente consuetudine nella pratica zampognara da parte dei soggetti fotografati.

Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935)

17
11. Zampognaro presso un altare ricostruito in studio.
Palermo 1880-85 (foto Interguglielmi in Sorrento 1925).

12. Zampognaro (stesso soggetto e


ambiente dell'immagine precedente).
Cartolina postale, Palermo 1880-85
(foto Interguglielmi, coll. M. Gioielli).

Ai primi anni del Novecento risale il modellino di un ciara-


middaru, realizzato in legno e stoffa, donato a Pitrè nel 1911 da
tale Girolamo Nicotra, e quindi entrato a far parte delle collezio-
ni del Museo Etnografico Siciliano, senza però mai essere stata 13. Zampognaro (strumento e sfondo identici
a quelli delle immagini 11-12).
messo in esposizione (il pezzo si trovava conservato in un ripo- Cartolina postale, Palermo 1880-85
stiglio). Lo strumento, una zampogna tenuta sul braccio sinistro (foto Interguglielmi, coll. M. Gioielli).
dal suonatore, è raffigurato in modo abbastanza preciso, con-
servando il corretto rapporto fra le dimensioni delle canne e
l’aspetto esteriore, caratterizzato da modanature e cerchi di tor-
nitura (IM. 18).
Particolare interesse riveste una fotografia, cromatizzata e
ritoccata a mano, in cui è ritratto un suonatore di zampogna – con
la doppia chiave ben visibile – presso lo “chalet a mare”, lungo la
Passeggiata della Marina di Palermo (coll. Dominique Bougé,
edita in copertina di AA.VV. 1991 e in Leydi cd.1995, pp. 16-17 del
libretto allegato). Lo chalet, montato su palafitte e raggiungibile
solo attraverso una passerella, si trovava ubicato, negli anni tra il
1890 e il 1920 circa, lungo l’elegante viale nato nel 1823 come
Foro Borbonico (poi Foro Umberto I, oggi Foro Italico). Questa
singolare struttura ospitò frequentatissimi café-chantants, e in
particolare il Weinen’s Pavillon (dependance sul mare dell’Hotel
de France), dove è stata certamente ripresa la fotografia in que-
stione (IM. 19), considerata la prospettiva da cui risulta visibile 14. Versione cromatizzata e ritoccata
a mano della fotografia precedente.
Palazzo Butera (sullo sfondo a destra): Cartolina postale (coll. S. Bonanzinga).

La zampogna a chiave in Sicilia

18
15. Zampognaro con sfondo raffigurante un ambiente
rurale ricostruito in studio. Palermo fine sec. XIX (foto
Interguglielmi, in Salomone Marino 1911).

16. Zampognaro con sfondo floreale ricostruito


in studio. Cartolina postale, serie Dr. Trenkler Co.
di Lipsia, ant. 1887 (in Pugliatti 1982).

Le sue musiche contrastavano volutamente con i compassati e


seriosi tea-concerts delle sale di Villa Igea, il cui caffè era tra i più
esclusivi d’Europa, dell’Hotel des Palmes, del Circolo Artistico.
Questo promettevano i fogli della pubblicità: «La Musica, mista al
gusto, prende i più gradevoli sapori: la girandola delle belle figlio-
le si associa felicemente col rosolio e col maraschino, i trilli della
cantante diventavano deliziosi, se accompagnati dall’anisette, il
gotto di birra è insuperabile per seguire il ritmo delle canzonette
napoletane…» [Ruta-Sessa 2003: 44]

In questo raffinato locale di musica “alternativa” non è detto


che fossero accolti anche i suonatori ambulanti, ma va rilevato che
17. Zampognaro. Disegno ricavato dalla precedente a poche centinaia di metri si trovava il tuttora esistente rione della
fotografia (in Ragusa Moleti 1887).
Kalsa, dove gli zampognari erano di casa. L’immagine propone
quindi una relazione coerente fra strumento musicale e spazio
urbano, confermata da successivi riscontri che permetteranno
anche l’identificazione dello zampognaro ritratto nella fotografia.
Abbiamo infine tre cartoline appartenenti alla serie “Ambulanti
di Palermo” edita da Randazzo tra il 1925 e il 1930: due ritraggono
una coppia di suonatori di zampogna e cerchietto davanti a un’edi-
cola di Maria Assunta (IMM. 20-21); la terza ritrae lo stesso zampo-
gnaro nel medesimo luogo (IM. 22). Le prime due immagini, scat-
tate praticamente “in sequenza”, costituiscono l’unica attestazione
visiva dell’associazione fra zampogna a chiave e cerchietto. La IM.
20 venne anche pubblicata dal folklorista Benedetto Rubino sul
periodico “Sicilia elettrica” (1935: 14). Di queste tre fotografie si
18. Modellino di zampognaro.
tornerà a dire più avanti, in ordine a testimonianze di recente
Palermo, inizio sec. XX (coll. Museo Pitrè). acquisizione (cfr. cap. 4).

Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935)

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19. Zampognaro presso lo "chalet a mare", lungo la
Passeggiata della Marina di Palermo, ca. 1890.
Fotografia cromatizzata a mano (in AA.VV. 1991).

20-21. Suonatori di zampogna e cerchietto davanti a


un'edicola di Maria Assunta. Cartoline postali, serie
Randazzo, Palermo 1925-30 (coll. R. La Duca).

La zampogna a chiave in Sicilia

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Tracce iconografiche e testimonianze etnografiche (1785-1935)

21
22. Stesso zampognaro ritratto nel medesimo luogo delle due immagini precedenti. Cartolina postale, serie Randazzo, Palermo 1925-30 (coll. R. La Duca).

La zampogna a chiave in Sicilia

22
Il Corpus di Favara, i Canti di Pitrè e lo Studio
2 di Tiby

Se le attestazioni iconografiche e le descrizioni relative ai con-


testi d’uso e al repertorio della zampogna a chiave si pongono cer-
tamente quali risorse cognitive di fondamentale rilievo, nulla si
saprebbe riguardo alla dimensione performativa di questo stru-
mento senza le trascrizioni musicali eseguite all’inizio del Nove-
cento da Alberto Favara. Si tratta dei primi quattro documenti inse-
riti nella sezione «Musiche strumentali» del Corpus (nn. 749-752),
di cui riportiamo tutti i dati disponibili (titolo, luogo, esecutore ed
eventuali note integrative):

749. LA SCALA / Palermo / Santu Pinnino di famiglia di ciaramiddara


/ La scala precede tutte le sonate di ciaramedda, come un preludio.
– 750. LU VIDDANU [Il contadino] / Palermo / Santu Pinnino che la
apprese da suo nonno, morto nel 1861 a 84 anni. Questi intese que-
sta danza dai contadini (viddani) che venivano a Palermo e le diede
nome da loro. – 751. U PIZZALORU [Lo straccivendolo] / Palermo –
752. PASTURALI / Palermo

Ulteriori notizie riguardo a questi zampognari palermitani si


ricavano dall’Elenco nominativo e notizie riguardanti le persone
che fornirono i canti ad Alberto Favara, approntato da Ottavio Tiby
per l’edizione del Corpus di musiche popolari siciliane (dato alle
stampe soltanto nel 1957). Da qui apprendiamo che Santo Penni-
no era nato «verso il 1850» e che il marinaio Francesco Pennino,
nato nel rione Kalsa di Palermo «nel 1822» e apprezzato esecutore
di parecchi canti del Corpus (nn. 5, 165, 175, 179, 346, 417, 499, 504,
600, 685, 691), era nipote di un «famoso ciaramiddaru» (Favara
1957/I: 153). Questi a proposito del nonno riferiva:

Lu jornu d’a Madonna [dell’Immacolata] tutti li ciaramiddari janu a


San Franciscu. Sunavanu tutti, javanu tutti appressu a la Madonna
pi divuzioni. Comu arrivava Ciccu Pinninu tutti si zittianu. Li irita ci
javanu comu lu ventu. Tanti scummissi misi, tanti ni vinciu. [Fava-
ra 1957/I: 153] (Il giorno della Madonna tutti gli zampognari anda-
vano a San Francesco. Suonavano tutti, andavano appresso alla
Madonna per devozione. Appena arrivava Cecco Pennino tutti si zit-
tivano. Le sue dita andavano come il vento. Quante scommesse ha
fatto, tante ne ha vinte.)

Le informazioni raccolte da Favara permettono quindi di indivi-


duare due rami dei suonatori Pennino, poiché non si fa riferimento
a una parentela diretta tra lo zampognaro Santo e il marinaio Fran-
cesco. Il dato trova conferma attraverso la consultazione dell’Indi-
ce dei Morti pubblicato dall’Archivio dello Stato Civile del Munici-
pio di Palermo: il marinaio Francesco Pennino (1822-1907) era figlio

Il Corpus di Favara, i Canti di Pitrè e lo Studio di Tiby

23
di Gaetano, mentre lo zampognaro Santo Pennino (1852-1928) era
figlio di Filippo, tutti residenti nel rione della Kalsa. Grande interes-
se riveste inoltre il ricordo che il marinaio Pennino offre del nonno,
il «famoso ciramiddaru» Ciccu Pinninu: sia per il riferimento alla
massiccia partecipazione degli zampognari alla processione del-
l’Immacolata, del tutto congruente con la testimonianza di Strutt,
sia per avere segnalato la consuetudine di tenere gare di abilità tra
zampognari, come pure usavano fare i cantori “a braccio” e i suo-
natori di tamburo (cfr. Favara 1957/I: 119-120).
Passiamo ora a esaminare il versante specificamente musicale
dei quattro brani, trascritti da Favara secondo criteri adeguati al
repertorio tonale e relativamente moderno dello strumento. Diver-
samente dal consueto, il musicologo segnala difatti in chiave sia la
tonalità (RE) sia il metro (2/4 e 6/8), impiegando anche la regolare
suddivisione in barre di misura (a eccezione della Scala, che è a
ritmo libero). Solo le prime dieci battute del brano intitolato Lu vid-
danu (n. 750) presentano tuttavia la complessiva struttura armoni-
ca della zampogna, con l’indicazione dei due bordoni intonati sulla
dominante a distanza di ottava (la3-la2). Nella trascrizione della
Pasturali (n. 752) – limitata alla sola linea melodica – compare una
nota fuori scala (la#), un semitono oltre la massima altezza raggiun-
gibile dallo strumento (per un’analisi più dettagliata cfr. par. 7.3). I
brani Viddanu, Pizzaloru e Pasturali (nn. 750-752) si fondano inoltre
su sezioni chiaramente distinte, marcate dall’alternanza di modo
nella medesima tonalità di impianto (RE magg. / RE min.).
Le trascrizioni di Favara si riferiscono quindi a strumenti che,
diversamente da quelli attualmente in uso, consentono il passag-
gio di tonalità: è infatti presente una nota in più per ogni canna
melodica rispetto a quanto rilevabile sulle zampogne attuali. Que-
sta nota è la terza maggiore della tonalità d’impianto (il fa# in que-
sto caso), collegabile alla presenza di una seconda chiave “chiusa”
(foro aperto a meccanismo attivato) sulla canna melodica d’ac-
compagnamento (la più lunga). La nota aggiunta estende di con-
seguenza le risorse melodico-armoniche di questa particolare
zampogna, che può così alternare i modi maggiore e minore,
restando ovviamente obbligata la tonalità (RE). Riportiamo la scala
dello strumento, con i suoni disposti in ordine discendente come
ancora oggi si rileva nei “preludi” che sempre introducono sia i
canti sia i brani strumentali:

Scala ricavata dalle trascrizioni di Alberto Favara


(1957/II: nn. 749-752).

Sappiamo che in generale Favara «non si preoccupò affatto di


restar fedele all’esecutore per quanto aveva tratto all’altezza asso-
luta del suono. Come per le musiche vocali, egli segnava le stru-
mentali nel tono che più gli veniva comodo all’atto dello scrivere»
(Tiby 1957: 93). La scelta della tonalità, una quarta-quinta sopra
l’ambitus delle zampogne attuali (che presentano intonazione
oscillante tra SOL e LA), è stata in questo caso certamente arbitra-
ria, come dimostra un’altra melodia per zampogna a chiave ripor-
tata a complemento di un canto di Natale raccolto a Cefalù (sezio-

La zampogna a chiave in Sicilia

24
ne «Canti religiosi», n. 638). Questa trascrizione – che di nuovo pre-
senta una nota fuori scala (il fa, un semitono sopra il suono più
acuto raggiungibile dallo strumento) – è difatti in tonalità di LA
(non vi è divisione in misure, anche se il ritmo è chiaramente in
6/8, e non sono segnate le alterazioni in chiave nelle sezioni in
maggiore). Mentre il testo del canto non si riscontra nell’attuale
repertorio degli zampognari1, la prima frase della parte strumenta-
le si ritrova identica, fatta eccezione per l’innalzamento del terzo
grado, nella Pasturali tuttora eseguita (sezione B), e viene utilizza-
ta anche come interludio in alcuni brani vocali (cfr. par. 7.3). Se
questa melodia per ciaramedda è stata effettivamente raccolta a
Cefalù, si deve pensare a un raggio d’influenza della zampogna a
chiave più ampio rispetto al circondario palermitano o, più proba-
bilmente, all’attività di qualche zampognaro ambulante che da
Palermo usava spostarsi nei centri della Provincia.
Sul piano stilistico-esecutivo si rilevano anche altri elementi di
continuità con la tradizione odierna: a) la contrapposizione tra la
struttura ritmicamente libera del preludio (o scala, come dicono i
suonatori) e l’andamento regolare della melodia (giocata tra 2/4 e
6/8); b) l’alternanza, nell’azione della canna d’accompagnamento,
tra fasi di mero sostegno armonico-ritmico e momenti più spicca-
tamente contrappuntistici; c) l’articolazione formale delle sonate in
sezioni ben definite ma fondate su formule melodico-ritmiche
variamente combinate e iterate (cfr. cap. 7).
Nel Corpus di musiche popolari siciliane (sezione «Canti reli-
giosi») sono pure inclusi tre canti a tema devozionale che si ese-
guivano con accompagnamento di zampogna: Canzuna di Natali
(n. 636); Li tri Re (n. 637); Santa Genuveffa (n. 692, melodia priva
di versi). Favara indica, oltre alla località (Palermo), anche il nome
del cantore, tale Giovanni (Vanni) Favaloru, che così riferiva: «Si
canta cu la ciaramedda» (Si canta con la zampogna); «Cantu cu la
ciaramedda» (Canto con la zampogna). Più consistente è però la
testimonianza fornita in relazione al documento 637 (di cui vengo-
no trascritte anche due varianti): «È la stessa tunazioni di la ciara-
medda. A li voti c’era li scattagnetti ed era un piaciri: la vuci s’ac-
curdava cu li scattagnetti. Pareva un triunfu» (È la stessa intona-
zione della zampogna. Alle volte c’erano le castagnette ed era un
piacere: la voce si accordava con le castagnette. Pareva un “trion-
fo”). Favara riporta quindi anche il ritmo delle castagnette (una for-
mula iterativa in 12/8), molto probabilmente simulato a voce dal
medesimo cantore: resta comunque questa l’unica attestazione
musicale di un idiofono che da Strutt a Pitrè risulta costantemente
associato alla zampogna palermitana.
Questi tre canti cu la ciaramedda non presentano significative
analogie né sul piano melodico né riguardo al contenuto poetico
con quelli rilevati nel repertorio degli ultimi zampognari-cantori di
Monreale, ma il riferimento di Vanni Favaloru al triunfu suggeri-
sce una ulteriore possibilità di confronto. L’informatore di Favara
non usa certo questo termine in modo casuale, dato che a Paler-
mo con triunfu si intendeva un preciso rito musicale da celebrar-
si nelle abitazioni dei devoti che avevano ricevuto una grazia. Gli

1 Si segnala che questo canto di Natività dall’incipit Chidda notti disiata è rimasto
vivo nella tradizione musicale di Isnello, centro delle Madonie poco distante da Cefa-
lù, dove si esegue in chiesa con l’accompagnamento dell’organo (una esecuzione, a
iniziare dalla seconda strofa, è inclusa in Garofalo d.1990: disco 2, brano A/5b).

Il Corpus di Favara, i Canti di Pitrè e lo Studio di Tiby

25
officianti di questo rito gratulatorio appartenevano a una catego-
ria di cantastorie specializzati nel repertorio sacro: gli orbi, così
denominati poiché erano in prevalenza ciechi quanti intraprende-
vano questa singolare professione. Il loro organico era di norma
formato dalla coppia: un suonatore di violino e uno di citarruni (o
chitarruni, bassetto a tre corde o violoncello, talvolta anche con-
trabbasso) oppure di chitarra (in passato di liuto o colascione). A
questi potevano aggiungersi, limitatamente al periodo del Natale,
altri suonatori di vari strumenti (mandolino, flauto di canna, cer-
chietto, triangolo, castagnette, ecc.)2. Tra alcuni orbi palermitani –
un suonatore non identificato e il «violinista cieco Sottile» – Fava-
ra raccoglie rispettivamente la “orazione” di Sant’Antuninu (n.
698) e la “storia” del Figliol prodigo (n. 754, melodia priva di
versi): nel primo caso è il testo a essere tuttora presente, come
Sant’Antuninu e u cavaleri (Sant’Antonino e il cavaliere), nel
repertorio dei suonatori monrealesi3; nel secondo caso si riscon-
tra una chiara affinità con il motivo tuttora impiegato per intona-
re U fìgghiu pròricu (appunto “Il figliol prodigo”).
Altre testimonianze musicali relative ai canti sacri di Palermo
– eseguiti dagli orbi, ripetuti dai devoti e tramandati fino agli
attuali zampognari-cantori di Monreale – si rinvengono tra le
Melodie popolari siciliane poste da Pitrè in appendice al secondo
volume dei Canti (1870-71, nuova edizione 1891). Si tratta di tre
“storie devote” e di un canto di Natività (quest’ultimo incluso
soltanto nell’edizione del 1891), di cui il Demologo fornisce
anche i testi poetici: La Baronessa di sant’Antonino (equivalente
al Sant’Antuninu e u cavaleri, 1891: 211-214, melodia 28), Il figliol
prodigo (1891: 327-329, melodia 30), La Passione di Gesù Cristo
(nel repertorio monrealese noto attraverso l’incipit Quannu la
santa Matri caminava, 1891: 345-348, melodia 31), A la notti di
Natali (1891: 443, melodia 17). Pur essendo noti i limiti “tecnici”
delle trascrizioni fornite a Pitrè da Carlo Graffeo e Giovanni Mag-
gio (cfr. Carpitella 1968: 112-114 e Bonanzinga 1995: 11-12), que-
ste permettono tuttavia di apprezzare la notevole affinità dei
motivi melodici – specialmente per Il figliol prodigo (vedi canto
754 del Corpus di Favara) e per l’interludio strumentale di A la
notti di Natali (quasi uguale alle sezioni A e C delle melodie 638
e 752 del Corpus) – con quelli persistenti nell’odierna tradizione
orale. Così come va rilevata la sostanziale identità dei canti con
quelli tuttora eseguiti, e ai testi sopra ricordati se ne possono
aggiungere altri due, di cui Pitrè fornisce soltanto i versi poetici:
Santa Rosalia (1891: 308-312) e Il Natale (ovvero Ninunè lu picu-
raru, 1891: 442-443).
Favara non accenna nei suoi scritti (riuniti in volume nel 1959)
alla tradizione dei ciramiddara palermitani, né pone in evidenza
differenze tipologiche con le zampogne “a paro”, di cui trascrive, se
pure sommariamente, alcune melodie (nn. 644, 651, 758-762). Sarà
invece Tiby a dedicare un breve paragrafo alla Ciaramedda nel XV
capitolo («Gli strumenti musicali popolari») del suo Studio intro-
duttivo al Corpus di musiche popolari siciliane (1957: 87-88), ope-

2 Riguardo all’attività degli orbi, si vedano: Buttitta 1960; Guggino 1980, 1981, 1988,
2003; Bonanzinga 2006b.
3 La melodia raccolta da Favara si è però conservata identica nella tradizione orale

palermitana, come risulta dalle ricerche di Elsa Guggino (cfr. in particolare A storia
ri sant’Antuninu inclusa in Guggino d.1980: brano A/1).

La zampogna a chiave in Sicilia

26
rando per la prima volta una generica distinzione. Tiby riporta
anche la nomenclatura in siciliano delle canne e ne esprime le
dimensioni in “palmi”, indicando fra parentesi il corrispettivo in
metri, qui tradotto in millimetri per uniformare i criteri di misura-
zione (un parmu corrisponde a circa 258 mm. secondo il sistema
adottato precedentemente a quello metrico decimale e tuttora dif-
fuso nel gergo degli zampognari di area italiana).

CIARAMEDDA. Il tipo è universalmente noto, mentre le particolarità e


la nomenclatura delle parti dello strumento che è usato in Sicilia
sono le seguenti: dall’otre si dipartono quattro tubi (oltre quello che
fa da soffiatoio), i quali hanno imboccatura a piva, come l’oboe e il
fagotto, e padiglione a campana, simile a quello del clarinetto. I
nomi e le dimensioni di questi tubi sono:

Trummuni Lunghezza palmi 7,5 (mm. 1935) provvisto di 7 fori


Canta » » 4,5 (mm. 1161) provvisto di 11 fori
Quaitta (Quarta) » » 3 (mm. 774) senza fori
Fasettu (Falsetto) » » 1,5 (mm. 387) » »

L’ordine dei tubi è: Canta, Trummuni, Quaitta, Fasettu. Come si com-


prende, i due ultimi tubi dànno un pedale doppio e costante di toni-
ca e dominante (la dominante è detta quarta perché contata a parti-
re dalla tonica superiore, resa dal Fasettu). La tonalità delle musiche
suonate da una determinata Ciaramedda è dunque obbligata.
C’è poi, meno usata, la Ciaramedda a sei tubi, così costituita:

Canta dritta Lunghezza palmi 3,5 (mm. 903)


Canta manca » » 3,5 (mm. 903)
Bassu » » 2,5 (mm. 645)
Quarta » » 2 (mm. 516)
Fasettu » » 1 (mm. 258)
Quinta meno di palmi 0,5 (meno di mm. 129)

Di questi tubi, soltanto i primi due sono forniti di fori, mentre gli
altri non ne posseggono e si limitano a fornire un quadruplo peda-
le di tonica e dominante.

La zampogna a chiave descritta da Tiby è il modello più gran-


de mai osservato: la canna melodica più lunga misura quasi
mezzo metro in più rispetto a tutti gli altri strumenti di cui si ha
notizia (da quelli segnalati da Strutt agli attuali). Non si può ovvia-
mente stabilire quali siano stati i criteri adottati da Tiby nell’effet-
tuare queste misurazioni, ma l’assenza di ogni altra attestazione
riguardante zampogne a chiave siciliane di queste dimensioni,
lascia anche aperta l’ipotesi che le misure siano state rilevate in
modo approssimativo, magari calcolando la lunghezza delle
canne a partire dalla testa del blocco. Approssimativa è d’altron-
de anche l’indicazione di altri fondamentali dettagli: nel segnala-
re il numero dei fori presenti sulle canne melodiche, non vengo-
no distinti quelli digitali da quelli di risonanza, né si fa menzione
del meccanismo a chiave doppia sulla canna d’accompagnamen-
to. Anche la zampogna “a paro” è uno strumento fuori dall’ordi-
nario, data la lunghezza delle canne melodiche (almeno 30 centi-
metri superiore a quanto si rileva nei modelli “grandi”, e ancora si
può pensare a una misurazione iniziata dal blocco) e la presenza
di quattro bordoni di misura diseguale (due o tre ne vengono di

Il Corpus di Favara, i Canti di Pitrè e lo Studio di Tiby

27
norma montati su questo genere di strumento)4. Accertata l’esi-
stenza in Sicilia di due diversi tipi di zampogna, Tiby ne inverte
inoltre l’effetiva frequenza d’uso: la zampogna “a paro” era scar-
samente presente nel Palermitano ma molto diffusa in quasi
tutto il resto della Sicilia, dove viceversa la zampogna a chiave
appariva di rado e grazie soprattutto a suonatori ambulanti pro-
venienti da altre Regioni. La perplessità maggiore è tuttavia
suscitata dalle indicazioni riguardanti le note prodotte dai bordo-
ni. In tutti i casi documentati, le zampogne siciliane appartenenti
a entrambe le tipologie hanno sempre i bordoni intonati sulla
dominante della relativa tonalità d’impianto. Esistono anche
esempi di zampogna a chiave, come quella dell’area calabrese
delle Serre, che presentano il doppio pedale di tonica e domina-
te, ma non è affatto il caso del grande strumento palermitano:
non solo tutte le zampogne a chiave registrate in Sicilia, come
pure quelle simili dell’area campano-lucana, hanno i bordoni
accordati sulla dominante (in rapporto di ottava), ma anche l’uni-
ca trascrizione completa delle quattro voci effettuata da Favara
(n. 750) presenta questo assetto armonico5. Del tutto errata è
dunque anche l’idea che la denominazione del bordone maggio-
re – quaitta, ovvero “quarta” – sia da riferirsi a un rapporto con
la tonica espressa dal bordone più acuto, nel senso che la domi-
nante si situa a distanza di una quarta sotto la tonica superiore:
un ragionamento da teorici di cui parrebbe in ogni caso impro-
babile la mutuazione in ambito popolare.

4 Tiby non fornisce indicazioni riguardo alla provenienza di questa grande zampo-
gna “a paro”. È tuttavia probabile che si trattasse di uno strumento agrigentino,
dato che soltanto a Palma di Montechiaro, dove sono ancora attivi un costruttore e
alcuni anziani suonatori, è stato possibile individuare una zampogna dotata di
quattro bordoni diseguali, anche se più piccola di quella considerata da Tiby. Si trat-
ta di un modello “grande” (ranni), intonato in LAb, tuttora utilizzato per Natale dal-
l’ex-pastore Gerlando Lombino (nato a Palma nel 1924), di cui forniamo le misure:
canne melodiche (destra, canta ritta, e sinistra, canta manca), mm 575; bordone
maggiore (bbassu), mm 570; bordone medio (quatta), mm 465; bordoni minori
(fanzetti), mm 207 e 105 (quest’ultimo non attivo). I bordoni sono come di norma
intonati sulla dominante (mib). Sulla zampogna “a paro” siciliana si vedano: Guiz-
zi-Leydi 1983: 55-86; Staiti 1986, 1989; Corsaro 1992; Sarica 1994: 61-105. Tra le anto-
logie discografiche che contengono brani di questo tipo di zampogna si segnalano:
Garofalo d.1990/II: A, brani 1, 3; Sarica cd.1992: brani 1-10; Lo Castro-Sarica cd.1993:
brani 1, 23, 31; Leydi cd.1995: brani 20 e 21; Bonanzinga cd.1995: brano 31; Bonan-
zinga cd.1996a: brano 3, cd.1996b: brano 5, cd.2004: brani 7, 11, 22.
5 Per un quadro generale sulle zampogne di area italiana si vedano: Guizzi-Leydi

1985; Guizzi 2002: 224-252; Sparagna 2004; Gioielli 2005. Per la documentazione
sonora si vedano in particolare: Leydi-Pianta d.1973; Guizzi-Leydi d.1980 e
d.1981; Leydi cd.1995.

La zampogna a chiave in Sicilia

28
Storia di una zampogna perduta
3

Tra le sezioni in cui sono distribuiti i reperti del Museo Etnogra-


fico Siciliano “Giuseppe Pitrè” non se ne trova una esplicitamen-
te dedicata agli strumenti musicali, né il fondatore l’aveva conce-
pita nel suo iniziale progetto espositivo (1909). Parecchi strumen-
ti musicali e oggetti sonori fanno tuttavia parte delle collezioni del
Museo. La maggiore concentrazione si riscontra – con riferimen-
to all’ultimo allestimento visitabile – nella “Sala dei giocattoli”, che
contiene flauti di canna, tamburelli, triangoli, castagnette, scac-
ciapensieri. Vi sono inoltre alcuni strumenti da richiamo (fischiet-
ti e trombe di conchiglia) e crepitacoli (raganelle, tràccole, tabelle
e crotali a tavolette). A questi, che non possono naturalmente
essere considerati strumenti specifici del mondo infantile, si
aggiungono una ventina di effettivi strumenti-giocattolo (fischiet-
ti, trombette, tamburini, pianini, xilofoni, sonaglini, rombi, ronza-
tori). Sparsi nelle altre sezioni si trovano poi: due pianini a cilin-
dro nella “Sala dell’Opera dei pupi” (non funzionanti); campanac-
ci e sonagliere per animali nella “Sala delle carrozze del Senato”;
campanelli e sonagli scongiuratori nella “Sala della magia”. Altri
reperti e materiali custoditi nel Museo e nella relativa Biblioteca
rinviano alle espressioni musicali tradizionali della Sicilia. Tra que-
sti ricordiamo in particolare la collezione di libretti e fogli volanti
con testi di canzoni e numerose raffigurazioni di strumenti musi-
cali e suonatori (disegni, fotografie e riproduzioni plastiche, cfr. a
esempio le IMM. 3-6, 18). Altri strumenti musicali fecero in passa-
to parte delle collezioni del Museo: la già ricordata zampogna “a
paro” di Enna (cfr. cap. 1, IM. 5) e due flauti di Pan provenienti da
Aragona (AG) e da Castroreale (ME), rispettivamente denominati
sampugna e friscalettu a furgarera (cfr. Pitrè 1913: 426, Cocchiara
1957/I: 54). Nessuna fonte accenna invece alla presenza di una
zampogna a chiave.
Nonostante l’assenza di uno spazio specificamente dedicato
alla musica popolare, l’interesse dei reperti “musicali” custoditi
nel Museo è senz’altro notevole. Per questa ragione è stato avvia-
to nell’autunno del 2000 un progetto rivolto alla catalogazione ed
esposizione dei materiali musicali custoditi nelle collezioni del
Museo Pitrè, condotto da chi scrive per incarico della stessa Istitu-
zione, grazie in particolare al Direttore del Museo Eliana Calandra,
che ha promosso e sostenuto l’iniziativa (cfr. Bonanzinga 2006a). È
stato durante l’attuazione di questo progetto che dai depositi del
Museo sono “emersi” alcuni pezzi di legno curiosamente sagoma-
ti: stavano in un piccolo ripostiglio contenente, oltre al modellino
di zampognaro in precedenza considerato (cfr. cap. 1, IM. 18), sva-
riati materiali in disuso e parecchi oggetti incompleti o danneggia-

Storia di una zampogna perduta

29
ti (pezzi in ceramica, parti di finimenti per animali, statuine da pre-
sepe sbrecciate, ecc.). Si trattava forse di antichi fucili, dicevano i
custodi più anziani del Museo, ma non ve n’era traccia nell’inven-
tario e quindi restavano ignorati tra gli scarti. La signora Patrizia
D’Amico, che collaborava alla realizzazione del catalogo musicale,
acquisendo crescente familiarità con friscaletti e marranzani, ram-
mentò un giorno l’esistenza di quei legni usurati, ritenendo oppor-
tuno verificarne l’eventuale “funzione sonora” ai fini della scheda-
tura che si andava ultimando. Così avvenne il ritrovamento del
reperto musicale più importante conservato nel Museo Pitrè: un
esemplare incompleto di zampogna a chiave ottocentesca, di pro-
venienza sconosciuta, grazie al quale è stato possibile illuminare
appieno le notazioni musicali di Favara, seguendo con precisione
le trasformazioni subite da questo tipo di aerofono tra la fine del-
l’Ottocento e i primi decenni del Novecento.
Le parti superstiti dello strumento sono le seguenti: 1) canna
melodica destra, completa di ancia, non funzionante perché man-
cante della parte terminale; 2) canna melodica sinistra, mancante
del segmento superiore e della chiave inferiore; 3) bordone mino-
re, completo di ancia, non funzionante perché mancante della
parte terminale; 4) blocco per l’innesto del canneggio. Tutti gli ele- FIG. 1. Parti esistenti della zampogna a chiave
conservata presso il Museo Pitrè.
menti sono ornati da cerchi di tornitura e da anelli in rilievo, con
bombature nei punti di raccordo, secondo una tipica maniera
barocca che connota la fattura dell’intero strumento (FIG. 1, TAV. 1).
Queste le misure e i dettagli relativi a ogni pezzo:

FIG. 2, TAV. 2 – CANNA MELODICA DESTRA (mm. 860), divisa in fuso (565)
e padiglione (295). Il fuso presenta cinque fori digitali anteriori
(quattro normali, mm. 5-6, più un “mezzo-foro”, mm. 4), uno poste-
riore (mm. 6) e cinque fori di intonazione nella parte inferiore, due
dei quali diametralmente opposti (mm. 4-6). Il padiglione presenta
due fori diametralmente opposti nella parte centrale (mm. 5). I due
elementi della canna sono uniti mediante un particolare segmento
di raccordo (mm. 137): mentre la connessione di testa (mm. 51) è a
tenone, quella inferiore è invece a vite (mm. 18). Questo raccordo,
con la parte che risulta visibile a canna montata decorata da cerchi
in rilievo (mm. 69), presenta due fori diametralmente opposti nella FIG. 2. Zampogna del Museo Pitrè:
parte che si innesta nel fuso (alcuni giri di spago assicurano la tenu- canna melodica destra.
ta), in modo da coincidere con i fori esterni di risonanza. Nell’estre-
mità superore del padiglione è ricavata l’impanatura per l’avvita-
mento del raccordo.

FIG. 3, TAV. 3 – Parti esistenti della CANNA MELODICA SINISTRA (mm.


745): segmento mediano dotato di chiave con meccanismo a leva
(335) e padiglione (440). Il segmento mediano presenta tre fori
digitali (mm. 10, 5, 5) più due azionati mediante chiavi metalliche
(il foro corrispondente alla chiave mancante misura mm. 4). La
chiave è di rame con la parte terminale a forma quadrangolare
(lungh. 65). Forma e dimensioni della chiave mancante sono rica-
vabili dalla corrispondente scanalatura ricavata sulla canna. Il
padiglione presenta nella parte centrale due fori d’intonazione
diametralmente opposti (mm. 9). Il raccordo tra segmento media-
no e padiglione è realizzato a vite: la parte superiore del segmen-
to mediano culmina nel maschio (lungh. 33, diam. max 27) e nel-
l’estremità superiore del padiglione è ricavata l’impanatura desti-
nata a ospitarlo.

FIG. 4, TAV. 4 – BORDONE MINORE (mm. 265), diviso in due elementi: seg-
mento superiore (138) e padiglione (127). I due elementi della canna
sono uniti mediante raccordo “a tenone”. Il segmento superiore termi-

La zampogna a chiave in Sicilia

30
na in un cursore (lungh. 48, diam. 16) destinato a innestarsi nel padi-
glione (sempre con spago è assicurata la tenuta del raccordo).

FIG. 5, TAV. 5 – BLOCCO (mm. 236), di forma tronco-conica. Sull’orlo


della parte superiore (diam int./est. 53/77), presenta un residuo
della pelle dell’otre saldamente fissato mediante corda. Sulla
superficie inferiore (diam. 94) sono ricavate quattro forature coni-
che divergenti (alt. 65, diam. inf. 22) destinate ad alloggiare le
canne. Al centro della superficie inferiore si trova un pomello
(diam. 23, alt. 17).

FIG. 7 – ANCE. La parte residua dell’ancia della canna melodica


destra (lungh. 54) è costituita da un cannello di rame (diam. inf. 5)
con le lamelle di canna avvolte da spago (solo una minima porzio-
ne di canna è visibile all’esterno). La parte residua dell’ancia del
bordone minore (lungh. 48) è costituita da un cannello di rame
(diam. inf. 5) con le lamelle di canna avvolte da spago (solo una
minima porzione di canna è visibile all’esterno).

Le dimensioni di questo strumento sono molto vicine a quelle


delle zampogne ancora in uso: la canna melodica destra misura
circa un centimetro in meno rispetto a quella della zampogna di
Girolamo Patellaro (mm. 873). Le radiografie a cui sono stati sot-
toposti i pezzi dello strumento (FIG. 10) pongono in evidenza una
cameratura conica molto regolare, garantita anche da un ingegno-
so tratto costruttivo inesistente nelle zampogne attuali: l’elemento
di raccordo indipendente, a doppio innesto (estremità superiore a
tenone e connessione inferiore a vite, FIG. 2b), sicché la canna
melodica destra risulta divisa in tre parti. Mentre i padiglioni delle
canne melodiche presentano una perfetta cavatura a campana, il
padiglione del bordone minore è cavato in forma lievemente tron-
FIG. 3. Zampogna del Museo Pitrè:
canna melodica sinistra. co-conica rovesciata (diametro minore in corrispondenza del foro
d’uscita dell’aria).
Due ulteriori elementi offrono un contributo fondamentale alla
conoscenza di questa varietà di zampogna: a) la chiave superiore
(più piccola e di tipo “chiuso”), ancora in posizione sul pezzo cen-
trale della canna melodica sinistra (FIG. 3a); b) un mezzo-foro,
aperto accanto all’ultimo foro, sul fuso della canna melodica
destra (FIG. 2a).
La chiave ancora in posizione, a testa quadrangolare, rispecchia
una tipologia comune in epoca barocca. Anche la chiave assente –
quella inferiore, più grande e di tipo “aperto” – era a testa qua-
drangolare, giacché questa è la sagoma dell’alloggiamento ricava-
to intorno al foro da coprire. Questo sistema a doppia chiave è
identico a quello adottato sull’oboe nella seconda metà del XVII
secolo e rimasto in uso su questo strumento fino ai primi decenni
FIG. 4. Zampogna del Museo Pitrè: bordone minore. dell’Ottocento (FIG. 6 cfr. anche cap. 9). Nel corso del Novecento
non verranno più appositamente realizzate chiavi per queste zam-
pogne, ma ci si limiterà ad adattare quelle di vecchi strumenti a fiato
di produzione industriale (cfr. cap. 4).
Mentre la seconda chiave appariva già nelle fotografie ottocen-
tesche e negli strumenti attualmente utilizzati (che recano quasi
tutti segno del meccanismo rimosso, cfr. a es. IM. 99), mai si è inve-
ce rilevata la presenza del mezzo-foro sulla canna del canto: un
dettaglio troppo minuto per potere ricavarsi dall’osservazione
delle immagini più antiche (cfr. IMM. 11-22) e inesistente su tutti gli
strumenti direttamente considerati. La disposizione di questi ulti-
mi due fori digitali sembrerebbe rispecchiare un tratto costruttivo

Storia di una zampogna perduta

31
tipico dei flauti a becco di epoca barocca (comune anche negli cha-
lumeaux, precursori dei moderni clarinetti), dove il mignolo copre
insieme la coppia di fori per ottenere il suono più grave, mentre
lasciando libero il mezzo foro, con lieve spostamento laterale del
dito, si ottiene l’innalzamento di un semitono (FIG. 8).
In base all’impianto scalare deducibile dalle trascrizioni di Fava-
ra, è considerando il funzionamento del doppio foro analogo a
quanto si osserva sugli strumenti barocchi appena ricordati, si può
ipotizzare una diteggiatura che presenta il vantaggio di produrre i
suoni nel modo più lineare, senza ricorso a posizioni “a forchetta”
(FIG. 9), ma pone nel contempo un problema di compatibilità con la
diteggiatura tuttora in uso sulla canna melodica principale (cfr. cap.
7), poiché si verificherebbe uno scalamento delle posizioni per otte-
nere il la, il si e il do difficile da comprendere in una tradizione
essenzialmente fondata sulla trasmissione di schemi motori asso-
ciati alla produzione dei suoni (cfr. cap. 5). Appare inoltre molto
improbabile che proprio la tonica della scala (la) si ottenesse con FIG. 5. Zampogna del Museo Pitrè: blocco.
l’ausilio del mezzo foro. Va per questo considerata anche un’altra
ipotesi: il doppio foro sulla canna destra della zampogna conserva-
ta al Museo Pitrè potrebbe non avere una funzione attiva nella
diteggiatura, ma essere stato aperto per correggere l’intonazione
dello strumento o diminuire la distanza con il foro precedente
(Sebastiano Davì, che aveva la mano piuttosto piccola, aveva adot-
tato un analogo accorgimento per agevolare l’azione del mignolo,
come si può vedere sulla zampogna oggi utilizzata da Benedetto
Miceli). Nell’uso pratico dello strumento uno dei due fori corrispon-
dente alla posizione del mignolo avrebbe dovuto quindi essere
occluso con la cera. La struttura della zampogna “ritrovata” risulte-
rebbe così conforme a quella attuale, variando solo per la presenza
della seconda chiave sul trummuni. La soppressione della chiave
piccola implica infatti soltanto una lieve variazione nella diteggiatu-
ra oggi utilizzata (cfr. cap.7, ES. 1): il do non è più prodotto median-
te l’apertura della chiave ma si ottiene coprendo i primi due fori,
secondo la posizione che in passato dava la terza maggiore (do#),
realizzata invece sulla canta per mezzo di una posizione “a forchet-
ta” (pollice-medio o pollice-medio-anulare).
FIG. 6. Il sistema a chiave doppia sull'oboe barocco
e sulla canna melodica sinistra della zampogna a
chiave siciliana.

FIG. 7. Zampogna del Museo Pitrè: ance superstiti.

La zampogna a chiave in Sicilia

32
FIG. 8. Funzionalità del doppio foro
sul flauto a becco barocco.

FIG. 9. Ipotesi di diteggiatura della zampogna


del Museo Pitrè considerando funzionale
il doppio foro finale sulla canna melodica destra.

Storia di una zampogna perduta

33
FIG. 10. Zampogna del Museo Pitrè: radiografia.

La zampogna a chiave in Sicilia

34
TAV. 1. Parti esistenti della zampogna a chiave conservata al Museo Pitrè.

Storia di una zampogna perduta

35
TAV. 2. Canna melodica destra.

La zampogna a chiave in Sicilia

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TAV. 3. Canna melodica sinistra.

Storia di una zampogna perduta

37
TAV. 4. Bordone minore.

TAV. 5. Blocco.

La zampogna a chiave in Sicilia

38
23-24. Zampognaro esegue la Novena di Natale. Palermo 1951 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).

Storia di una zampogna perduta

39
La zampogna a chiave in Sicilia

40
La tradizione fino al 1980: immagini,
4 racconti e zampogne ritrovate

Per il periodo che va dall’ultimo Dopoguerra agli anni Settanta


del Novecento non disponiamo, per quanto finora accertato, di
registrazioni sonore o di filmati. Esistono invece alcuni articoli
apparsi sui quotidiani palermitani e un discreto numero di fotogra-
fie, in maggior parte inedite, conservate presso archivi pubblici e
privati o tramandate in ambito familiare. Diversamente dalle
immagini precedenti, che erano con poche eccezioni (IMM. 20-22)
realizzate in studio, chi fotografa inizia ora a volgere lo sguardo
verso i reali contesti esecutivi, uniformandosi a un moderno stile
da reportage. Numerose notizie si ricavano inoltre dagli incarta-
menti relativi a una pionieristica esperienza promossa dal Club
Alpino Siciliano (con sede a Palermo): una “gara” fra zampognari
organizzata per tre anni consecutivi (1960-62) in una località delle
Madonie, il Rifugio Orestano a Piano Zucchi, di cui esiste anche
un’ampia documentazione fotografica. Nella maggioranza dei casi
alle immagini è stato possibile associare testimonianze che hanno
25-26. Angelo Pennino esegue la Novena di Natale.
Palermo 1951 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
non solo permesso l’identificazione dei suonatori, ma anche di
precisarne le vicende e osservare strumenti e accessori da questi
utilizzati, ampliando così notevolmente le conoscenze relative alla
tradizione della zampogna a chiave siciliana.
Ai primi anni Cinquanta risalgono alcune immagini appartenenti
all’Archivio Pubblifoto di Vincenzo Brai (Palermo). Queste ritraggono
il contesto della “novena”, ma mentre in un caso il suonatore è irri-
conoscibile, poiché sta rivolto verso l’immagine sacra dando le spal-
le all’obiettivo (IMM. 23-24), nell’altra circostanza è invece ben visibi-
le il volto dello zampognaro (IMM. 25-26). Si tratta di Angelo Pennino,
detto Àncilu u Tappuni, riconosciuto dai più anziani suonatori mon-
realesi (Girolamo Patellaro e Salvatore Carrozza), ma soprattutto dai
suoi diretti discendenti: i figli Santo e Vincenza.
Dobbiamo l’incontro con i fratelli Pennino a una serie di coin-
cidenze, iniziate con la visita di un loro parente al Servizio
Museografico della nostra Facoltà di Lettere e Filosofia. Vittorio
Lo Iacono (n. 1957), figlio di Santo Lo Iacono, detto Santu Nascaz-
za (1913-1981), che a sua volta era nipote per linea materna di
Angelo Pennino (1893-1965), voleva mostrarci la zampogna del
padre per riceverne indicazioni sul valore e valutare l’opportuni-
tà di cederla a una istituzione pubblica. Portò con sé anche una
scatola di oggetti vari e alcune fotografie. Una di queste, assai
consunta e strappata ai bordi, la conoscevamo bene: era la stes-
sa immagine apparsa su una cartolina quasi novant’anni prima
(IM. 22 e foto di copertina). Il suonatore, spiegò Vittorio, era il
nonno di suo padre, Santo come lui: Santo Pennino. Non v’era-
no dubbi che si trattava del medesimo zampognaro incontrato da

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

41
27. Santo Lo Iacono. Palermo ca. 1940
(coll. V. Lo Iacono).

Alberto Favara all’inizio del Novecento e di cui restano le prezio-


se melodie contenute nel Corpus di musiche popolari siciliane
(cfr. cap. 2 e Appendice B).
Insieme a Pino Aiello, oltre a fotografare e misurare ogni cosa,
parlammo a lungo con Vittorio della sua famiglia e soprattutto del
padre, che fino agli anni Settanta faceva ancora le novene alla 28. Vittorio Lo Iacono tra il padre Santo
e il cugino Girolamo Pennino (a destra).
Kalsa (IM. 27). Era stato Angelo a insegnare al nipote quanto Palermo ca. 1970 (coll. V. Lo Iacono).
necessario a suonare la zampogna, inclusa la tecnica di costruzio-
ne delle ance e di accordatura dello strumento. La zampogna di
Santo Lo Iacono (FIG. 11) era conservata smontata in una borsa
capiente, insieme all’otre (con blocco e insufflatore innestati), al
ponticello di separazione tra le canne e a diversi altri pezzi: tre
blocchi (FIG. 11a), una canta, (FIG. 11c) e un altro ponticello (FIG.
11d). La scatola conteneva alcuni attrezzi necessari all’accordatu-
ra (due punteruoli di rame, un grumo di cera vergine e tre tappi
di sughero, FIG. 12), due chiavi (una grande e una piccola, FIG.
11b), un dischetto di legno per riparare eventuali buchi nell’otre
(FIG. 12), ventisei ance appartenenti alle diverse canne (FIG. 12) e
una coppia di castagnette (FIG. 13).

La zampogna a chiave in Sicilia

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FIG. 11. Zampogna di Santo Lo Iacono
corredata da vari pezzi di riserva.

FIG. 12. Ance, attrezzi per accordare


(tappi, cera vergine, punteruoli) e dischetto
di legno per riparare le forature dell'otre
appartenuti a S. Lo Iacono.

Il complesso di questi oggetti permette per la prima volta di


entrare a diretto contatto con la tradizione degli zampognari paler-
mitani, sbirciando nel laboratorio di un suonatore esperto, che
costruisce le ance, accorda lo strumento, modifica la disposizione
dei fori sulle canne (la seconda canta presenta addirittura i fori
digitali su entrambi i lati, segno evidente di un fallito tentativo di
riutilizzo, FIG. 11c) e all’occorrenza è anche in grado di riparare
l’otre o di sostituire le chiavi. La presenza delle castagnette confer-
ma inoltre tutte le precedenti testimonianze etnografiche e musi-
cali riferite ai suonatori di Palermo. Mentre la canta presenta la
disposizione di fori consueta sulle zampogne attuali (senza doppio
foro per il mignolo), sul trummuni osserviamo la piena funzionali-
tà del sistema a doppia chiave (FIG. 11b), denotata dalla presenza
del foro corrispondente alla chiave piccola, i cui bordi sono anco-
ra cosparsi di cera per correggere l’intonazione: Santu Nascazza è
stato pertanto quasi certamente l’ultimo zampognaro a utilizzare
insieme le due chiavi.
Vittorio riferisce che Angelo Pennino aveva anche un figlio di
FIG. 13. Castagnette di S. Lo Iacono.
nome Girolamo, detto Momu u Tappuni, che aveva iniziato fin da
piccolo a suonare la zampogna (IMM. 28 e 30). Questi però scom-
parve prematuramente a soli 22 anni (1949-1971), lasciando Santo
Lo Iacono quale unico erede di una tradizione lunga e prestigiosa
(ben cinque generazioni). Vittorio parlò poi di un altro cugino del
padre, fratello del defunto Girolamo, da tempo ormai perso di
vista. Si chiamava anch’egli Santo ed era, secondo il ricordo di Vit-
torio, impiegato al Comune di Palermo.
Solo un paio d’anni più tardi – quando la stesura di questo volu-
me volgeva ormai al termine – abbiamo casualmente accertato che
Santo Pennino era effettivamente stato impiegato comunale, ma
dal 2004 risultava in pensione. L’ultimo domicilio conosciuto indi-
cava una stradina della borgata Ciaculli, fra gli agrumeti alle porte
di Palermo. Ciaculli è a pochi minuti di automobile da Viale delle
Scienze e, giacché avevamo concluso i nostri rispettivi impegni alla

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

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Facoltà di Lettere, insieme a Fatima Giallombardo decidiamo di
verificare l’informazione. Veniamo accolti da una gentilissima cop-
pia, marito e moglie: lui era Santo Pennino (n. 1938) e, dopo un ini-
ziale momento di esitazione, si mostra lieto di rievocare le vicende
di famiglia, legate a quei suoni che tanto consueti erano stati al
tempo della sua infanzia e adolescenza. Ma è quasi ora di pranzo e
si fissa un incontro per la domenica successiva, quando sarebbe
stata presente anche la sorella Vincenza (n. 1945), che avrebbe por-
tato qualche fotografia del padre e del fratello Girolamo.
Il racconto dei fratelli Pennino (IM. 29) offre la più ampia e com-
pleta testimonianza disponibile riguardo alla tradizione degli zam-
pognari palermitani della Kalsa: un fondamentale raccordo orale
non solo con quanto attestato in passato attraverso varie forme di
scrittura (dalle trascrizioni musicali alle fotografie), ma anche con
il complesso delle testimonianze raccolte fra gli ultimi zampogna-
ri del Palermitano. Proprio il riconoscimento delle fotografie del
nonno – una delle quali da loro stessi posseduta (uguale a quella
conservata da Vittorio Lo Iacono e in pressoché analoghe condizio-
ni di usura) – apre la testimonianza (cfr. Rilevamento 22). Santo e
Vincenza non lo hanno conosciuto personalmente, ma ne hanno
appreso le vicende attraverso il padre e gli zii:

[Santo] Io a mio nonno lo conoscevo in fotografia. Poi, riscontran-


do quest’altra fotografia, deduco che era lui. [Santo e Vincenza] Il
nonno abitava a piazza Magione, â Maciuni, dove ci sono le scuole
che tuttora esistono, abitava di fronte: c’era una strada che non mi
ricordo come si chiama, dove c’era il Teatro Garibaldi, qualche tra-
versa prima. E poi, malgrado noi non abbiamo conosciuto i nonni,
c’erano gli zii in quella strada: la sorella di mio padre e Santo
Nascazza, che era il nipote, abitavano lì.

Santo Pennino (1852-1928) viene ricordato per l’indole autorita-


ria e severa, che si traduceva in violenti soprusi verso la moglie
Vincenza e i figli: due maschi (Filippo, il maggiore, e Angelo) e due
femmine (Angela e Rosalia, madre di Santo Nascazza). Pare che
nonna Vincenza si sia addirittura rifiutata di accompagnare il fere-
tro al cimitero, vivendo la scomparsa del vecchio zampognaro
quasi come una liberazione. Sta di fatto che – contrariamente alla
norma – Angelo prese per la prima volta in mano la zampogna da
adulto (già trentacinquenne), soltanto dopo la morte del padre.
Lasciamo nuovamente la parola ai nipoti, che ricordano come il
padre iniziò a suonare, il repertorio che eseguiva e i riti musicali
che si svolgevano tra le mura della chiesa della Gancia nella notte
di Natale e per le strade della Kalsa nel giorno dell’Epifania: 29. Vincenza e Santo Pennino commentano
le fotografie del padre e del nonno.
[Santo] Poi mio padre ha pensato: «Finìu! È morto mio padre e a cia- Palermo 2007 (foto S. Bonanzinga).
ramedda non la suona più nessuno!» – Perché suo fratello non la
suonava. – E l’ha presa lui, e ci siamo coinvolti pure i figli, perché
quando mio padre doveva accordare ci doveva essere un silenzio di
tomba. […] Abitavamo alla Kalsa: piazzetta Pallone. Mio padre,
come mio nonno, commerciava pesce. Prima era rigattiere, accatta-
va i pisci a mare e poi li vendeva – per esempio – a un altro negozio
di pesce. Poi faceva il commerciante: nei periodi estivi, comprava
pesci per salarli. Sgombri, tonno, per metterli sott’olio, sotto sale…
questo era il lavoro: faceva tre mesi estivi con il pesce e un mese
invernale câ ciaramedda.
[Santo e Vincenza] Lui le aveva in mente tutte le sonate che faceva
suo padre. Faceva a Litanìa, a Pastorale… U fìgghiol prùoricu suo-
nava… Santa Ginueffa, Sant’Antuninu, Tu scendi dalle stelle, l’Ave

La zampogna a chiave in Sicilia

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Maria di Schubert quand’era in chiesa e c’era la nascita di Gesù
Bambino, I tri Re, Il Piave mormorò: a ciaramedda a faciva cantari
me patri [mio padre la faceva cantare la zampogna], veramente! Poi
andavamo a vedere la nascita di Gesù Bambino e mio padre girava
tutta la chiesa. [Santo] Io suonavo i scattagnetti, Santu Nascazza
sunava scattagnetti e un certo Tarantino, u Rrussu cosiddetto, suo-
nava il cerchietto e cantava [si tratta di Santo Tarantino, n. 1943, il cui
padre Gaetano era stato cantore]. Per l’Epifania, quando usciva
Gesù Bambino dalla chiesa della Gancia, lui suonava sempre
appresso alla processione e faceva tutte ste varie sunati.

Apprendiamo così che al tempo di Àncilu u Tappuni si usava


ancora accompagnare la zampogna con cerchietto e castagnette,
esattamente come annotavano i testimoni ottocenteschi (cfr. cap.
1). Riguardo al repertorio spiccano tre brani mai rilevati da altri suo-
natori: la “storia” di Santa Genoeffa, l’Ave Maria di Schubert e l’In-
no del Piave. L’esame di due fotografie appartenenti alla signora
Vincenza, in cui è ritratto Angelo Pennino mentre suona davanti a
un’edicola votiva in piazza Garraffello alla Vuccirìa (IMM. 31-32), sol-
lecitano a questo punto i ricordi di Santo riguardo alle novene che
il padre eseguiva tra il 1945 e il 1963. Tempi, luoghi, modalità di
svolgimento e committenti vengono puntualmente rievocati:

Mio padre suonava per le novene della Madonna di Natale e del-


l’Epifania: partiva di mattina alle quattro e finiva la sera alle dieci.
Ogni novena aveva tre cadduozza [sonate]. Durava otto giorni, per-
ché un giorno era di riposo. E c’era sempre qualcuno che si offriva a
cantare… un certo Gaetano Lo Nardo, e c’era pure il figlio… sono
deceduti u patri e u fìgghiu. […] Il giro era sempre lo stesso. […] Allo-
ra c’erano i lavoratori portuali che scaricavano la “merce bianca”, il
grano, e chiddi chi scarricàvanu caibbuni [quelli che scaricavano car-
bone]. Avevano le loro ripartizioni in via Amari e di fronte alla chie-
sa di Santa Lucia, e mio padre ci andava a suonare. Ci andava di
mattina, prima che andassero a lavorare: cci ieva a ffari a nuvena ê
cinc’i matina, ê quattru e mmienza, e cci sunava a ciaramedda ddà!
[andava a fare la novena alle cinque di mattina, alle quattro e mezza,
e suonava la zampogna là]. A San Pietro, di fronte al mercato ittico,
30. Girolamo Pennino. Palermo ca. 1970 aveva quattro-cinque parrucciani [committenti], e si ci andava di
(coll. Famiglia Pennino). mattina presto: addirittura la volevano la mattina alle sei! A paga-
mento! Facevano u pattu i quantu cci avìanu a ddari [Si pattuiva
quanto doveva essere il compenso]. Mio padre alle otto di mattina
faceva colazione con il baccalà bollito e la pasta, perché già lui veni-
va da lavorare e quindi aveva bisogno di mangiare! Aveva un’ora,
due ore di riposo e poi ricominciava. […] I patruni rî bbettuli u chia-
mavanu pi ffari a nuvena [I padroni delle bettole lo chiamavano per
fare la novena]. Facevano u pattu e ci andava: di fronte a Villa Giu-
lia, in via Nicolò Cervello, c’era una bettola, più avanti ce n’era un’al-
tra che si chiamava a Scalidda, più avanti ancora ce n’era un’altra di
zzù Nicola, più avanti ancora – angolo via Butera – ce n’era un’altra,
a via Scopari ce n’era un’altra… Allora le bettole erano frequentate e
mio padre li teneva allegri. Prima faceva la novena normale – i tri
cadduozza – all’ultima sunata: «Bballamu a mazurka, màsculi!» [Bal-
liamo la mazurka, uomini!]. E poi ne aggiungeva una, due… perché
all’ultimo qualche bicchiere si beveva!

Altrettanto dettagliato è il resoconto pressoché corale dei due


fratelli riguardo alla costruzione delle ance (pipiti) e al sistema
adottato dal padre per accordare lo strumento, del tutto conformi
alle pratiche tuttora in uso tra gli zampognari di Monreale (cfr.
paragrafi 6.4 e 7.1):

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

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C’era la canta, poi c’era il “trombone”, poi c’era la “quarta”, che era
senza buchi, e il “fasetto”, quello piccolino senza buchi, e a pipita:
era una canna che lui, prima di cominciare a lavorarla, la stringeva
con i denti per vedere se era resistente; se si rompeva con i denti
veniva scartata. Si pigliava quella solida, chidda fuoitti… Poi veniva
tagliata a metà e ne venivano due pipiti. Poi con il coltello, che
tagliava che era un rasoru [rasoio], e con i ferri che erano così [indi-
ca una forma a uncino], la cavava finché diventava come un’ostia,
come una sfoglia di cipolla. E sunava! C’erano due tipi: c’era quel-
la per la canta e quella per il trombone. La differenza qual era tra la
canta e il trombone: infine c’è un pezzettino di lamiera attorcigliata,
a cannedda fuossi [il cannello forse], si faceva tutto lui, ed era cchiù
nica [più piccola], chidda pû trummuni [quella per il trombone] era
più lunga, ma di circonferenza era uguale. La canna gliela procura-
vano gli amici monrealesi: i Carrozza.
Mio padre accordava prima la canta e il trombone, con la bocca,
sî minteva senza esseri muntati [le poggiava senza che fossero
montate]: la canta appoggiata alla sedia e u trummuni n-tierra
picchì iera cchiù lluongu [il trombone a terra perché era più
lungo], e le suonava tutt’e due e le accordava. Poi faceva u trum-
muni câ quaitta [il trombone con la quarta], cioè le accoppiava
[…]. Prima a canta sula, quando la canta andava bene cci minte-
va u trummuni e le accordava tutt’e due, quando per il suo orec-
chio andavano bene tutt’e quattro le montava. Ma non andavano
mai bene subito: cci cummattìa a vvoti nuttati nteri! [ci lavorava
a volte notti intere]. Perché la pipita, secondo come doveva anda-
re, l’accorciava, o lisciava, aveva una pietra pomice: gli passava-
no giornate intere per accordare! Tutte le volte che doveva anda-
re a suonare fuori, prima di uscire l’accordava. Se andava bene,
andava a suonare. Quando non andava bene, per esempio qua
deve “aprire”: secondo quanto doveva aprire lui usava u spuntu-
ni [punteruolo] per allargare il buco. Se doveva “chiudere” qual-
che altro buco u chiurieva e cci minteva a cira [lo restringeva
aggiungendo la cera].

Affiora qui il rapporto di amichevole collaborazione che lega-


va i Pennino ai Carrozza, zampognari della vicina Monreale. Sor-
prende inoltre l’estrema precisione con cui vengono descritti i
saperi tecnici che ruotano intorno alla pratica musicale, che
Santo estende alla lavorazione delle parti in legno e alla ripara-
zione dell’otre. Anche in questo caso le testimonianze coincido-
no perfettamente con quanto tuttora si rileva tra i suonatori mon-
realesi (cfr. cap. 6):

Per fare una canna nuova si va dal torniere. Uno era in via Calderai
e ce n’era un altro vicino piazza Garraffello. La canta per esempio,
non è che suona, non ha tonalità: la tonalità la dà il ferro. Pigghia-
vanu na canta bbona, chi ssunava [Prendevano una canta buona,
che suonava], mettevano per esempio il primo ferro, prima in quel- 31-32. Angelo Pennino esegue la novena di Natale
in Piazza Garraffello alla Vuccirìa.
la buona, e ci facevano un segnale con la cera e poi cavavano quel- Palermo ca.1960 (coll. Famiglia Pennino).
la nuova fino al segnale. Poi si metteva un altro ferro fino a che arri-
vava… I buchi pure delle stesse dimensioni di quella, alla stessa
distanza. Era una fotocopia praticamente di quella buona. U turne-
ri fa u bbucu rittu [Il torniere fa il buco dritto], ma poi la tonalità la
dà il ferro! C’erano i ferri rû trummuni e i ferri râ canta […] Ce li
aveva tutti belli selezionati!
L’utru succedeva ca si spunnava e cci mintèvanu i bbuttuni [Acca-
deva che l’otre si bucava e lo riparavano con i “bottoni”]. Erano di
legno questi bbuttuni, come quelli di una carrucola ma con questa
forma [indica con le mani un cuneo]… Ce n’erano di varie dimen-
sioni, secondo la misura del buco. Si metteva nel buco e con lo
spago passato di cera si legava forte e non perdeva più.

La zampogna a chiave in Sicilia

46
I ricordi di Santo pongono tra l’altro in evidenza come già negli
anni Cinquanta del Novecento la costruzione di queste zampogne
fosse il risultato dell’interazione fra artigiani del legno e suonato-
ri: gli zampognari palermitani provvedevano da sé a realizzare la
cameratura delle canne, come tuttoggi fanno alcuni monrealesi
(cfr. cap. 6), utilizzando appositi “ferri” e prendendo a modello
strumenti di già provata efficienza. È assai improbabile che questo
metodo fosse impiegato anche nell’Ottocento, come dimostra la
raffinata manifattura della zampogna ritrovata al Museo Pitrè
(dalla cameratura alle chiavi), prodotto di una lavorazione ancora
saldamente radicata. Devono quindi essere progressivamente
scomparsi gli artigiani specializzati nella costruzione delle grandi
zampogne siciliane, forse in rapporto a una generale diminuizione
del numero dei suonatori nel periodo fra le due Guerre Mondiali,
fino a determinare la divisione delle competenze costruttive fra
“ebanisti” e zampognari. Possiamo ipotizzare che sia stato proprio
questo il momento in cui si è verificata la semplificazione dello
strumento che, obliando alcuni dettagli costruttivi, ha comportato
la contrazione della pratica musicale. La questione gira tutta intor-
no alla funzione della seconda chiave del trummuni. Le parole di
Santo Pennino possono contribuire a chiarire alcuni aspetti:

La canta era più fragile, perché era più fine e più lunga. U trummu-
ni si divide in tre pezzi. U chiavettu [il pezzo centrale dotato di chia-
vi]: andavano negli strumenti dei musicisti, per esempio sassofoni,
e chiedevano strumenti vecchi, messi da parte: «Mi serve questo»
[riferito alle chiavi]. C’erano due ferretti nni chidda longa, unu
ncapu e unu sutta, e unu nta chidda fissa [in quella lunga, uno
sopra e uno sotto, e uno in quella fissa]. Quella lunga, schiaccian-
do il mignolo chiudeva, quella più corta, schiacciando, apriva.
Poche volte! [riferito alla frequenza con cui il padre utilizzava la
chiave piccola] Per esempio, mi ricordo benissimo chidda ri San-
t’Antuninu [quella di Sant’Antonino], che prima chiudeva la canta,
tutt’e cinque dita, e cominciava con la chiavetta… apriva la chiavet-
ta, e poi continuava. E a me chissa ri Sant’Antuninu mi piaceva
assai! Per esempio i Ferrante: ce n’era uno che la usava molto spes-
so a chiavetta. Siccome lui, il Ferrante, aveva il “trombone” che gli
intonava che era una meraviglia, e quello con la tonalità che gli
dava quel “trombone” usava troppo spesso a chiavetta. Cu chiddu
chi bbaffi [con quello con i baffi] s’incontravano di più: tante volte
veniva a casa mia.

Il figlio del Tappuni esclude che sulla canta montata sulla zam-
pogna del padre fosse presente il mezzo-foro, il quale è assente –
come si è detto – anche sulla zampogna del cugino Santo Lo Iaco-
no. Nessuno dei suonatori viventi ricorda inoltre di avere mai visto
una canta con l’aggiunta del mezzo-foro da azionare con il migno-
lo. La testimonianza di Santo Pennino consente di stabilire una
cosa con certezza: il progressivo abbandono della seconda chiave
deve essersi neccessariamente verificato nel passaggio generazio-
nale tra il nonno e il padre, che già la usava poco. Va nel contem-
po osservata la propensione dei suonatori ad assemblare pezzi in
buone condizioni di zampogne già sperimentate, più che richiede-
re la costruzione di strumenti completamenti nuovi. In questa otti-
ca il chiavettu, ovvero il segmento del trummuni dove sono appli-
cate entrambe le chiavi, si presenta come il pezzo più solido in
assoluto: è più corto, più spesso e si trova incastrato al centro della
canna, meno esposto agli urti rispetto alle parti innestate alle

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

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estremità. Se i chiavetti potevano resistere meglio all’usura grazie FIG.14. Tutti i pezzi di zampogna a chiave
appartenuti ad Angelo Pennino, corredati dalla sua
alla loro struttura più robusta e alla posizione mediana, si può ipo- attrezzatura riprodotta nelle figure seguenti (15-17).
tizzare – come tra l’altro afferma Santo – che le cante fossero inve-
ce più soggette a rotture e quindi rimpiazzate con maggiore fre-
quenza. A partire da un dato momento (presumibilmente dopo il
1910), gli artigiani devono avere iniziato a costruire le cante in
modo meno accurato, evitando la divisione in tre parti del tubo,
che assicurava una conicità molto precisa della cameratura (tutti
gli esemplari rilevati presentano cante in due soli pezzi).
Ma che fine avevano fatto la zampogna, il cerchietto, le casta-
gnette, i ferri e gli altri attrezzi di Angelo Pennino? Le vicende narra-
te dai figli dello zampognaro erano talmente pregnanti che quasi si
trascurava di porre la questione. Strumenti e accessori esistevano
ancora, ma a casa di un’altra sorella che da oltre trent’anni aveva
lasciato Palermo. Rosalia Pennino (n. 1947) vive con la famiglia in un
piccolo centro delle Marche (Castel Raimondo in provincia di Mace-
rata), la chiameranno per avere notizie e mi faranno sapere. Dopo
qualche giorno abbiamo l’occasione di intrattenere un lungo e cor-
diale colloquio telefonico con la signora, la quale è lieta di collabo-
rare a un volume dove si parla di tutti i suoi parenti suonatori. Ricor-
da perfino il bisnonno Filippo. Parla con commozione del fratello
deceduto anzitempo e del padre, che aveva assistito quando stava
male negli ultimi anni di vita. Non prevede di venire in tempi brevi
a Palermo perché ha problemi di salute, ma dato che il padre della
fidanzata del figlio è fotografo, farà fare una documentazione com-
pleta di tutto ciò che tiene gelosamente custodito in un baule.
Le fotografie puntualmente arrivano, “masterizzate” – come si
usa oggi – su un disco da computer. Nonostante la buona qualità
della documentazione eseguita dal signor Piergiorgio Della Mora
(titolare dell’omonimo studio fotografico), diversi aspetti sfuggo-
no inevitabilmente all’osservazione, anche perché tutti i pezzi
custoditi dalla signora Pennino appaiono raggruppati per tipolo-
gia (i fusi, le campane, i blocchi, i chiavetti, ecc.) e non vi sono
immagini delle canne e degli strumenti montati. Dopo la ricompo-
FIG. 15. Attrezzatura per il ritocco delle parti in legno
sizione del puzzle appuriamo anzitutto, non senza sorpresa, che e la lavorazione delle ance: succhielli, punteruoli,
Angelo Pennino possedeva due strumenti differenti: una zampo- lame dritte e curve, sgorbia, trincetto, morsetto.

gna a chiave – con in più un trummuni, un fasettu, tre blocchi, FIG. 16. Ance in lavorazione e già definite.
sette chiavetti, due fusi di canta e un segmento di testa di trum-
muni (FIG. 14) – e una zampogna “a paro” (mancante dei segmen-
ti di testa dei bordoni ma corredata da due blocchi, realizzati in
modo da ospitare rispettivamente tre e quattro canne di bordo-
ne). In realtà, spiega la signora Rosalia, le zampogne “grandi”
dovevano essere due complete e anche quella “piccola” la ricor-
dava intera. Secondo quanto le raccontava il padre, quest’ultima
risaliva addirittura al bisnonno Filippo, ed era considerata un
“ricordo di famiglia” , mentre una delle zampogne grandi era
appartenuta al nonno Santo.
La zampogna “a paro” presenta accurata fattura e notevoli
dimensioni (canne melodiche intorno ai 60 cm.). Non sappiamo
che tipo di ancia montasse lo strumento e i figli del Tappuni non
ricordano che questi l’abbia mai accordata e suonata realmente.
La presenza di due blocchi suggerisce inoltre la possibilità di
impiegare tre o perfino quattro bordoni, come nel caso dello stru-
mento descritto da Ottavio Tiby (cfr. cap. 2). Un ultimo dettaglio
FIG. 17. Dischetti per riparare le forature dell'otre.
degno di nota riguarda la disposizione dei fori digitali sulla canna
melodica destra: qui è stato difatti ricavato un foro in più, paralle- FIG. 18. Castagnette di A. Pennino.

La zampogna a chiave in Sicilia

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La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

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lo all’ultimo ma spostato lateralmente, come se si fosse inteso
riprodurre la diteggiatura della zampogna a chiave (FIG. 20).
Il dato più significativo emerge tuttavia dalle foto dei vari ele-
menti di zampogna a chiave. Uno dei fusi della canta presenta un
evidente ritocco in corrispondenza della posizione del mignolo
(FIG. 14a), che parrebbe risultato di uno spostamento dovuto a
problemi di intonazione o finalizzato ad agevolare la digitazione
dell’ultimo foro (è tuttavia impossibile stabilire se vi sia stato in
origine un doppio foro con eventuale funzione attiva). Su quattro
chiavetti posseduti dallo zampognaro risulta inoltre aperto il foro
corrispondente alla seconda chiave, mentre uno dispone di chia-
ve singola (FIG. 14c). Queste modifiche operate nei punti cruciali
dello strumento, dove si trovano i fori da azionare con dita o
chiavi, si possono considerare segni di una “transizione”: del
tentativo di semplificare l’assetto dello strumento in una fase di
declino della tradizione.
Non è agevole il confronto tra i pezzi delle zampogne a chiave
appartenute ad Angelo Pennino (FIG. 14, IMM. 25-26, 31-32) e lo
strumento imbracciato dal padre Santo, considerata la non ottima-
le definizione dell’immagine nelle fotografie che lo ritraggono
(IMM. 20-22). I padiglioni delle canne melodiche (canta e trummu-
ni) sono però certamente i medesimi, come risulta dal particolare
decoro nel punto di raccordo ai segmenti superiori (fuso e “chia-
vetto”), proprio sotto la bombatura: una modanatura con doppio
cerchio in rilievo anziché singolo (FIG. 14b). La necessità di riscon-
trare l’eventuale occorrenza di questo dettaglio sugli altri strumen-
ti documentati attraverso fotografie ha consentito di individuare
un dato sorprendente, inizialmente sfuggito all’attenzione: su nes-
suno strumento si presenta in quel punto questo tipo di modana-
tura, fatta eccezione per la zampogna che compare nella fotogra-
fia realizzata presso lo “chalet a mare”, lungo la Passeggiata della
Marina di Palermo (IM. 19). Osservando con attenzione appare
chiaro che si tratta dello stesso strumento, con inoltre identici il
blocco e il sistema di chiavi a testa circolare. L’esame non poteva
quindi che spostarsi sulla fisionomia del suonatore: un uomo di
FIG.19. Alesatori conici di vario calibro per la cavatura
circa cinquant’anni dal volto allungato con guance scavate, incor- delle canne appartenuti ad Angelo Pennino.
niciato da barba brizzolata e con il capo coperto da una mantella.
È soprattutto la forma del naso e il rapporto tra questo e la distan-
za tra gli occhi a non lasciare dubbi: lo zampognaro è proprio
Santo Pennino, ritratto circa venti anni prima rispetto all’immagi-
ne di uomo anziano sbarbato fissata nelle altre tre fotografie.
L’estesa competenza artigianale di Angelo Pennino, già segnala-
ta dai figli, è attestata dall’attrezzatura per la lavorazione delle parti
in legno e delle ance: succhielli, punteruoli, lame dritte e curve,
sgorbia, trincetto, morsetto (FIG. 15) e una serie di alesatori conici
di vario calibro destinati alla cavatura delle canne (FIG. 19). Vi sono
inoltre: cinque ance (pipiti), tra cui una spezzata e tre in fase di rifi-
nitura, con le lamelle da assottigliare ancora annodate (FIG. 16); una
coppia di castagnette (scattagnetti) cordiformi incomplete (manca-
no i fori per lo scorrimento del cordoncino) e altre due di forma
usuale (FIG. 17); quattro dischetti in legno (bbuttuni) di diverso dia-
metro per la riparazione dell’otre (FIG. 18).
I fratelli Pennino hanno menzionato diversi zampognari con
cui il padre intratteneva rapporti di frequentazione: oltre ai mon-
realesi Carrozza, c’era Giovanni Alagna di Pallavicino (zzù Van-
nuzzu) e i fratelli Ferrante della Guadagna, un’antica borgata

La zampogna a chiave in Sicilia

50
situata lungo la sponda destra del fiume Oreto (nella zona sud-
orientale di Palermo). I Ferrante erano zampognari ben noti
anche ai suonatori monrealesi, che difatti ne avevano segnalato
l’esistenza al tempo dell’indagine condotta da Roberto Leydi e
Febo Guizzi (cfr. Premessa). Il ricordo di Santo Pennino, con quel
riferimento alla “meravigliosa intonazione” del trummuni di uno
dei Ferrante che «usava troppo spesso a chiavetta», ha però inne-
scato una speranza: magari viveva ancora qualche discendente
che poteva fornire notizie su questi suonatori, di cui non erano
noti neppure i nomi di battesimo.
Nel 1998 eravamo stati alla Guadagna per documentare le
novene dell’Immacolata e del Natale eseguite da Benedetto Mice-
li e Girolamo Patellaro (cfr. Rilevamenti 13-15). In una circostanza
avevamo raccolto la testimonianza del signor Cristoforo Sparacio,
gestore di una taverna in piazza Guadagna (IM. 104), che ricordava
i Ferrante, ormai deceduti e con i figli «emigrati in Settentrione».
La rapidità con cui si svolgono abitualmente le novene non permi-
se allora di approfondire la questione, ma anche Patellaro aveva
collocato l’attività dei Ferrante, conosciuti personalmente, in un
passato non ben definito ma comunque lontano (cfr. Rilevamento
8). Proprio dalla taverna visitata otto anni prima abbiamo quindi
riavviato l’indagine.
Il locale era stato rinnovato e il vecchio taverniere era defunto,
ma la clientela del primo pomeriggio si mostrò subito disponibile
nell’indicare qualcuno in grado di fornire le notizie richieste. Il “Pre-
sidente” era la persona giusta: un anziano appassionato di storia e
tradizioni della borgata, così soprannomminato perché guidava il
locale club di sostenitori della squadra di calcio del Palermo. Se dei
Ferrante non sapeva niente lui, non c’erano altri a cui rivolgersi.
Il Presidente, al secolo Carmelo Di Salvo (n. 1928), della sua
borgata conosce a perfezione persone e vicende, e naturalmente
ricorda bene quei suonatori da tempo scomparsi, che di mestiere
facevano gli stazzunara (fabbricanti di laterizi). La figlia di Giusep-
pe Ferrante abita ancora di fronte allo spazio che anticamente
FIG.20. Canne melodiche e blocchi ospitava lo stazzuni e si può subito andare a trovarla. La signora
di zampogna “a paro” appartenuti ad A. Pennino.
Giuseppa (n. 1939) resta molto sorpresa dell’interesse che manife-
stiamo per l’attività musicale del padre: non ne ricorda i dettagli
ma fornisce notizie anagrafiche precise e, soprattutto, recupera
una fotografia che lo ritrare, già anziano, mentre suona la zampo-
gna (IM. 33). Giuseppe (zzù Piddu) era nato nel 1906 e morto ottan-
tenne nel 1986. Nel 1960 era stato addirittura chiamato a suonare
alla Cattedrale di Palermo per la messa di Natale. Dei due zii, Seba-
stiano (zzù Bbastianu) e Salvatore (zzù Turi), ricorda solo che erano
anch’essi zampognari ed entrambi più grandi del padre: gli zii non
erano però capaci – a differenza del padre – di costruire le ance,
accordare la zampogna e all’occorenza ripararla. Anche il nonno
Rosario e il bisnonno Giuseppe erano stati zampognari. Le memo-
rie di famiglia non si spingono più indietro, ma la dinastia di suo-
natori conta già così tre generazioni. Purtroppo, spiega la signora
Giuseppa, da circa un anno era venuto a mancare anche il fratello
Rosario (1932-2005). Lui sì che avrebbe potuto offrire una testimo-
nianza completa sul mestiere di zampognaro: aveva imparato a
suonare da piccolo, ma la perdita di tre dita della mano destra
intorno ai vent’anni, a causa di un incidente di lavoro, gli aveva
impedito di continuare, sicché dovette limitarsi a cantare nelle
novene insieme al padre. La signora non sa bene che fine abbia

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

51
33-35. Giuseppe Ferrante (a sinistra) e i fratelli
Sebastiano e Salvatore (sotto).
Palermo ca. 1980 (coll. Famiglia Ferrante).

fatto la zampogna di zzù Piddu, ma suggerisce di rivolgerci al


cognato di Rosario per ottenere ulteriori informazioni.
Con la guida sicura del Presidente andiamo quindi a trovare il
signor Giuseppe Saglibene (n. 1946). Questi, che al cognato era
profondamente legato, con entusiastica sollecitudine offre la pro-
pria disponibilità a ricucire i fili di una memoria tanto cara. Ricor-
da con accorata nostalgia il tempo in cui Rosario faceva le novene
con il padre – fino al 1972 circa – e, dopo pochi giorni, organizza un
incontro a casa di Giuseppe Ferrante (n. 1956), figlio di Rosario,
che custodisce la zampogna e quel che resta dell’attrezzatura del
nonno. Il signor Saglibene procura inoltre le fotografie e i dati ana-
grafici degli altri due fratelli Ferrante: scopriamo così che «quello
con i baffi» ricordato da Santo Pennino era Salvatore (1900-1983,
IM. 35) e che il maggiore si chiamava invece Sebastiano (1898-
1980, IM. 34). Nessuno dei loro figli aveva proseguito la tradizione
musicale di famiglia e alcuni – come riferito dal taverniere di piaz-
za Guadagna – erano effetivamente emigrati in Nord-Italia.
Giuseppe era adolescente quando il padre e il nonno smisero
di eseguire le novene, e ha solo ricordi generici della loro attività.
Rosario era di professione impiegato comunale ma la sua grande
passione è sempre stata la zampogna. Tra tutti i canti preferiva
quello del Figliol prodigo, che ha voluto dettare e autografare a
testimonianza del proprio passato musicale (FIG. 24).
L’esame della zampogna, fotografata e misurata insieme a Pino
Aiello (FIG. 21), rivela una serie di elementi di notevole interesse,
soprattutto in ordine ai metodi di riparazione. Non siamo però sicu-
ramente di fronte allo strumento dello zampognaro che, secondo

La zampogna a chiave in Sicilia

52
quanto affermato da Santo Pennino, faceva ampio uso della secon-
da chiave, giacché il foro corrispondente è qui otturato, come in
tutte le altre zampogne attualmente utilizzate (FIG. 21b). Lo strumen-
to appare assemblato con pezzi realizzati da mani differenti e in
tempi diversi. Oltre alle parti che compongono l’intera zampogna, vi
sono altri tre chiavetti e una campana di trummuni. Il pezzo di testa
del trummuni è parzialmente avvolto con un foglio di ottone salda-
to a stagno per rinforzare il legno evidentemente danneggiato. La

FIG. 21. Zampogna di Giuseppe Ferrante.

FIG. 22. Campana di riserva e campana


montata sulla canna melodica sinistra
della zampogna di Giuseppe Ferrante.

FIG. 23. Tre chiavetti di riserva recto/verso (G. Ferrante).

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

53
campana montata sul trummuni è riparata all’estremità che si rac-
corda al chiavettu con pece, cera vergine, spago e fil di ferro (FIG.
22b). L’altra campana è riparata con un foglio d’ottone sagomato a
freddo per essere adattato alla modanatura (FIG. 22a). Uno dei chia-
vetti in soprannumero è interamente foderato in rame bianco con
rinforzi in filo di rame rosso: qui il foro corrispondente alla seconda
chiave è però aperto, anche se il meccanismo è assente (FIG. 23a).
Un altro chiavettu presenta fori su entrambi i lati: su un lato sono
però in parte otturati, come se si fosse avviato un tentativo di rifun-
zionalizzazione poi abbandonato (FIG. 23c). Le chiavi presenti sul
trummuni, entrambe in posizione sebbene quella piccola non fosse
attiva (FIG. 21a), riflettono una lavorazione artigianale specifica: sono
infatti, come per la zampogna del Museo Pitrè, a testa piatta di
forma quandrangolare (è questa l’unica circostanza in cui si è rileva-
ta la presenza di chiavi non ricavate adattando quelle montate su
strumenti di produzione industriale). La disposizione dei fori digita-
li sulla canta pare infine esito di un riposizionamento effettuato stuc-
cando i buchi preesistenti (FIG. 21c).
Oltre che ingegnoso riparatore di strumenti, Giuseppe Ferrante FIG. 24. Testo dattiloscritto del canto del
sapeva ovviamente costruire le ance, come dimostrano l’affilata Figliol prodigo autografato da Rosario Ferrante.
lama e il listello di canna pronto all’uso conservati dal nipote (FIG.
25a-b). Vi sono inoltre un punteruolo e un succhiello mancante
della parte terminale (FIG. 25c-d), mentre non vi è traccia dei ferri
per realizzare la cameratura dei tubi che, secondo quanto riferito
dai discendenti, nessuno dei Ferrante ha mai posseduto. Da qui
forse la particolare destrezza maturata da zzù Piddu nel riparare le
canne danneggiate, condivisa – come si è visto – da Angelo Penni-
no (che possedeva anche i ferri per cavare le canne) e, in certa
misura, da Santo Lo Iacono: segno comunque evidente del defini-
tivo tramonto delle specifiche competenze legate alla costruzione
di questo tipo di zampogna.
Gli ultimi zampognari di Palermo devono pertanto anche
improvvisarsi artigiani, ma sono rimasti in pochissimi e sempre
più anziani. Gli eredi delle due maggiori dinastie cittadine, Girola-
mo Pennino della Kalsa e Rosario Ferrante della Guadagna, che
avrebbero potuto tramandare il sapere dei padri fino al Terzo Mil-
lennio, sono accomunati da un destino non certo fortunato: nel
primo caso segnato dalla morte precoce, nell’altro da una mutila-
zione che basta a decretare l’estinguersi della tradizione.
Diversamente sono andate le cose a Monreale, un antico cen-
tro distante solo qualche chilometro dal Capoluogo, ma caratteriz-
zato da una storia socioculturale del tutto autonoma e peculiare.
Qui la tradizione non si è mai interrotta e proprio dall’incontro con FIG. 25. Attrezzi per la realizzazione delle ance
e per il ritocco dei fori appartenuti a G. Ferrante.
un suonatore monrealese – come ricordato in Premessa – si è
avviata la riscoperta scientifica della zampogna a chiave siciliana.
Grazie a una consistente serie di immagini appartenenti agli archi-
vi del Club Alpino Siciliano e dell’agenzia Pubblifoto abbiamo
potuto indagare più ampiamente l’ambiente di questi suonatori,
ricostruendo identità e vicende che hanno caratterizzato l’ultima
fase pienamente vitale della loro tradizione.
Le prime fotografie reperite sono della Pubblifoto e ritraggono
gli zampognari in costume nell’ambito di un contesto desueto: un
“concorso musicale” organizzato dal Club Alpino Siciliano negli
anni 1961 e 1962 presso il Rifugio “Luigi Orestano” a Piano Zucchi,
località delle Madonie in territorio di Isnello. Questi riferimenti logi-
stici e cronologici emergevano direttamente dalle immagini, ma in

La zampogna a chiave in Sicilia

54
tanti anni di assidua frequentazione gli zampognari monrealesi
non avevano mai menzionato questa particolare esperienza, che
poteva offrire svariati motivi di interesse ove se ne fosse rilevato
più ampio riscontro, a partire dall’individuazione di coloro che vi
presero parte: queste foto rappresentavano difatti un prezioso cen-
simento dei suonatori attivi all’epoca.
Grazie ad amici di Isnello – i fratelli Maria Concetta ed Enzo
Sapienza – apprendiamo che i signori Mogavero, attuali gestori del
Rifugio Orestano, suggeriscono di rivolgersi direttamente alla
sede del Club Alpino Siciliano a Palermo. La nostra richiesta di
informazioni è accolta dalla segretaria del CAS con perplessità:
sono eventi troppo remoti perché possa averne cognizione, ma
l’indomani ci sarebbe stato il Presidente, Mario Crispi, che avreb-
be potuto essere di aiuto. Questo nome suonava noto: anzi suona-
va proprio! Perché Mario non è soltanto un affermato musicista ed
esperto conoscitore degli strumenti a fiato di mezzo mondo, ma
anche un vecchio amico e compagno di ricerche. La coincidenza
appare ancora più sorprendente se si considera che è stato proprio
lui a curare nel 1993 la prima documentazione sulla costruzione
dell’ancia tra gli zampognari monrealesi (cfr. Inventario dei docu-
menti sonori e audiovisuali, Sezione B, Rilevamento 3). Mario
aveva sentito parlare di una “gara fra zampognari” a Piano Zucchi
dal padre, che per svariati decenni era stato a sua volta Presiden-
te del CAS, ma non aveva mai approfondito la questione e mi invi-
ta a controllare insieme i documenti dell’archivio. La ricerca dura
pochi minuti e i risultati vanno ben oltre le aspettative. Nel primo
schedario esaminato troviamo infatti tre carpette che contengono
dossier esaustivi: locandine, regolamenti, elenchi dei concorrenti
(con indicazione dei brani eseguiti e dei voti espressi dalla giuria),
verbali, “diplomi” e perfino rassegna stampa. In un grande album
fotografico, custodito insieme ad altri in un armadio, individuiamo
inoltre una serie di immagini che ritraggono suonatori di zampo-
gna a chiave, in abiti ordinari e all’aperto. In seguito accerteremo
trattarsi dei sei zampognari monrealesi che presero parte alla
prima edizione della gara, quando ancora non si era adottata la
decisione di fare indossare costumi “tradizionali” ai concorrenti.
L’edizione del 1960, intitolata 1° Concorso folkloristico tra gli
Zampognari siciliani, si svolge il giorno dell’Epifania tra otto con-
correnti (tutti monrealesi eccetto uno, IMM. 36-37), che si esibisco-
no nell’ordine seguente: 1. Girolamo Patellaro, San Giuseppe; 2.
Sebastiano Davì di Benedetto, Tu scendi dalle stelle; 3. Giuseppe
Davì di Benedetto, Pastorale; 4. Antonino Ferraro, Sant’Antonino;
5. Salvatore Davì fu Sebastiano, Calabrisella; 6. Pietro Davì di Sal-
vatore, Figliol prodigo; 7. Natale Paticella (da Polizzi Generosa),
IM. 36. Da sinistra: Pietro Davì di Salvatore, Giuseppe Ninna Nanna. Il regolamento si articola in sei punti:
Davì di Benedetto, Antonino Ferraro, Salvatore Davì
di Sebastiano. Piano Zucchi 1960
(Archivio del Club Alpino Siciliano). 1) Il concorso folkloristico è aperto agli zampognari delle Madonie,
residenti in uno dei 14 paesi che circondano quelle montagne,
secondo le indicazioni dei sindaci o di altre autorità del luogo, alle
seguenti condizioni:
2) Lo Zampognaro dovrà trovarsi con mezzi propri martedì 5 gen-
naio alle ore 16 circa nel paese di Isnello, presso il Bar Mogavero,
tranne nel caso che voglia recarsi la stessa data al Rifugio con
mezzi propri. Da Isnello sarà trasferito la stessa sera con mezzi
approntati dal C.A.S. al Rifugio “L. Orestano” dove pernotterà.
3) Il concorso si inizierà mercoledì 6 gennaio alle ore 10 nel grande
salone del Rifugio. Ogni concorrente eseguirà due mottetti musicali
sia a solo con la zampogna, sia accompagnati da strumenti a fiato.

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

55
4) La Giuria del Concorso, nominata dal C.A.S., potrà chiedere
prove suppletive, e proclamerà il vincitore con un premio consi-
stente in una Coppa ed una somma di £. 25.000.
5) Tutti i partecipanti al concorso riceveranno un Diploma con il
risultato della Gara.
6) Ciascun concorrente riceverà dalla Direzione del C.A.S. la somma
di £. 5000 quale indennità di trasferta per sé e £. 3000 per l’accom-
pagnatore se provvisto di strumento musicale.

La giuria, presieduta da Fausto Orestano (presidente del CAS),


è formata da Salvatore Battaglia (segretario del CAS), Francesco
Costa (Conservatorio V. Bellini di Palermo), Vladimiro Caminiti
(giornalista per “Sicilia del Popolo”) ed Ettore Serio (giornalista
per il “Il Giornale di Sicilia”). Il verbale finale così decreta il risul-
tato della gara: primo premio a Salvatore Davì; secondo premio,
consistente in £. 5000, ad Antonino Ferraro; menzioni speciali per
Giuseppe Davì e Pietro Davì. Riportiamo un estratto del resoconto
apparso senza firma il 7 gennaio sul quotidiano “Sicilia del Popo-
lo” con il titolo Zampognari in gara a Piano Zucchi:

L’iniziativa del CAS – che deve molto dei suoi significativi successi
all’impegno intelligente ed appassionato di Fausto Orestano, un
medico che attraverso questa sua attività ricreativa ha dato alla citta-
dinanza, in lustri di fatica, contributi di sapere turistico, indubitabil-
mente partecipando alla valorizzazione ed alla scoperta di tutta la
zona delle Madonie – non poteva riuscire in modo più incoraggiante.
Uno scelto pubblico ha fatto da interessata e plaudente cornice, e gli
zampognari provenienti dai paesi delle Madonie e dal Monrealese,
hanno suonato vecchi tradizionali motivi natalizi come «Tu scendi
dalle stelle», «San Giuseppe», «Pastorale», «Figliol prodigo», o moti-
vi di fresche acquisizioni popolari, come il napoletano «Calabrisella».
[…] È apparso subito evidente come il monrealese Salvatore Davì
riuscisse ad esprimere con la favolosa zampogna motivi zampillan-
ti come da una fresca sorgente, da un’antica abitudine allo stru-
mento, da una fervida fantasia musicale. Il Davì suona la zampogna
da quarantanni: «Calabrisella» è stata da lui interpretata in manie-
ra tecnicamente perfetta.
Più ardua la scelta tra gli altri concorrenti, tutti bravi e tutti giovani:
contadini del Madoniese che dedicano alla zampogna le ore libere,
magari per cantare nelle ore di malinconia o nei momenti di estro.
Giuseppe Davì, Antonino Ferraro, Girolamo Patellaro, Natale Pati-
cella si sono distinti.

37. Da sinistra: Giuseppe Davì di Benedetto,


Pietro Davì di Salvatore, Antonino Ferraro, Girolamo
Patellaro, Sebastiano Davì di Benedetto, Salvatore
Davì di Sebastiano; il bambino in primo piano è
Angelo Davì, figlio di Sebastiano. Piano Zucchi 1960
(Archivio del Club Alpino Siciliano).

La zampogna a chiave in Sicilia

56
Il giorno seguente (8 gennaio), una breve cronaca non firmata
della gara viene pubblicata con titolo identico anche sul “Giornale
di Sicilia”. Qui però abbiamo una precisa illustrazione della “gra-
duatoria” e, soprattutto, un chiarimento riguardo allo strumento
impiegato dall’unico suonatore di area madonita Natale Paticella,
una «piccola zampogna», ovvero una zampogna “a paro”:

A Piano Zucchi, nella giornata dell’Epifania, si sono esibiti davanti a


una giuria […] sette zampognari. Il primo premio è stato assegnato
al monrealese Salvatore Davì, un autentico virtuoso dello strumen-
to, che ha suonato «Calabrisella». Il secondo premio, creato all’ulti-
mo momento, è andato a un giovanissimo Antonino Ferraro, dota-
to di buona tecnica e suscettibile di miglioramento. Seguono ex
aequo, Giuseppe Davì e Pietro Davì, a cui la giuria ha voluto dedica-
re una particolare segnalazione. Quindi Girolamo Patellaro e Seba-
stiano Davì, classificati quinti a pari merito. Ultima, e staccatissima,
la patetica figura di Natale Paticella, una timida figura di dilettante
anziano, che si è esibito con una piccola zampogna tentando, senza
molto successo, di suonare non stonando una «Ninna Nanna».

L’anno seguente la manifestazione viene posticipata al perio-


do primaverile: il 3 aprile 1961, Lunedì dell’Angelo, sempre al
Rifugio Orestano di Piano Zucchi, si svolge la 2a Gara degli Zam-
pognari delle Madonie (IM. 38). Questa volta i concorrenti sono
dodici e nel regolamento è esplicitato che riceveranno «un costu-
me caratteristico folkloristico che dovranno indossare il giorno
della gara» (IMM. 39-41) e che «dovranno eseguire almeno due
mottetti e, se richiesti dalla Giuria, altre prove ed un concerto
generale» (IM. 42). L’indennità di trasferta è fissata in £. 5000, i
premi saranno due (£. 20.000 e una coppa d’argento per il primo
e £. 10.000 per il secondo) e ogni partecipante riceverà un «diplo-
38. Locandina pubblicitaria della gara tra ma con i voti riportati». I costumi, come risulta dalle carte del
zampognari tenuta a Piano Zucchi nell'aprile 1961 CAS, vengono noleggiati presso la ditta Pipi di Palermo. La giu-
(Archivio del Club Alpino Siciliano).
ria, parzialmente diversa da quella dell’anno precedente, è così
composta: F. Orestano (pres.), S. Battaglia, F. Costa, Ettore Batta-
glia (consigliere alle manifestazioni), Luigi Lo Castro (conserva-
tore del Rifugio). Il verbale della gara presenta l’elenco dei con-
correnti nell’ordine di esibizione, con l’indicazione del “brano
d’obbligo” e il voto riportato da ciascuno: 1. Benedetto Davì,
Pastorale (sei); 2. Pietro Davì, Figliol prodigo (sei e 50); 3. Leonar-
do Carrozza, Madonna di Fatima (sei); 4. Antonino Ferraro, Lita-
nia (sei e 50); 5. Salvatore Carrozza, Nascita del Bambino (sei); 6.
Girolamo Patellaro, Mira il tuo popolo (sei); 7. Stefano Carrozza,
San Giuseppe (sette); 8. Giacinto Davì, Ninna Nanna (sette e 50);
9. Pietro Gaudesi, Tu scendi dalle stelle (sette); 10. Giuseppe
Davì, Sant’Antonino (sei); 11. Francesco Gaudesi, Inno Eucaristi-
co (sette e 50); 12. Salvatore Davì, Calabrisella (otto). Il primo pre-
mio va quindi nuovamente a Salvatore Davì, mentre il secondo
premio viene assegnato ex aequo a Giacinto Davì e Francesco
Gaudesi. La cronaca dell’evento appare due giorni dopo (5 apri-
le) sulle colonne del “Giornale di Sicilia” – a firma E. S. (certa-
mente quell’Ettore Serio che l’anno prima era stato tra i giurati)
– sotto il titolo In gara dodici zampognari al rifugio di Piano Zuc-
chi. Ne riportiamo i passi più significativi:

Gli scopi della gara sono chiari: si tratta di conservare un patrimo-


nio folkloristico che gradatamente va scomparendo. La zampogna
era molti anni fa un’istituzione delle Madonie. Anche se non aveva

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

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39. Giacinto Davì e Girolamo Patellaro.

40. Da sinistra: Pietro Gaudesi, Antonino Ferraro,


Pietro Davì di Benedetto, Francesco Gaudesi, Bene-
detto Davì di Sebastiano, Giacinto Davì, Girolamo
Patellaro, Giuseppe Davì di Salvatore, Salvatore Davì
di Sebastiano, Stefano Carrozza,
Salvatore Carrozza, Leonardo Carrozza.

41. In prima fila da sinistra:


Pietro Gaudesi, Antonino Ferraro, Giuseppe
Davì di Salvatore, Pietro Davì di Benedetto,
Girolamo Patellaro, Giacinto Davì.
In seconda fila da sinstra:
Salvatore Davì di Sebastiano, Leonardo Carrozza,
Stefano Carrozza, Salvatore Carrozza, Benedetto
Davì di Sebastiano, Francesco Gaudesi.

42. Zampognari monrealesi durante il "concerto


generale" alla conclusione della gara.

Piano Zucchi 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).

La zampogna a chiave in Sicilia

58
La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

59
ovviamente la diffusione che ha in Scozia, erano molte le famiglie di
pastori e contadini che avevano in casa il caratteristico e rustico
strumento musicale.
Ora le famiglie di zampognari nelle Madonie sono molte di meno,
ma ce ne sono ancora. I dodici che hanno gareggiato nella vasta
sala del rifugio del CAS erano tutti imparentati tra loro. Costituiva-
no i diversi rami di un’antica famiglia di zampognari, che ha tra-
mandato nei discendenti l’abilità nel trarre note e melodie da uno
strumento apparentemente negato per la buona musica.
Schierati con le grosse zampogne a tracolla facevano un bell’effet-
to scenografico, anche perché con l’occasione avevano indossato i
costumi tradizionali. Il legame di parentela che li univa quasi tutti
non ha fatto scemare la carica agonistica che, ci assicurano, è sem-
pre elevatissima. Ognuno ha fatto quanto era nelle sue possibilità
per abbandonarsi a virtuosismi e sfoggi di bravura. Del resto, gli
zampognari suonano il loro strumento, più che per professione,
per passione e tradizione. Durante l’anno lavorano in campagna o
fanno qualche altro mestiere, per diventare zampognari solo nel
periodo natalizio. Allora si mettono a tracolla gli strumenti e calano
in città e nei paesi per suonare le “novene”.
Dopo la presentazione dei dodici zampognari ha preso la parola il
prof. Orestano, Presidente del Club Alpino Siciliano, il quale ha
ricordato che il programma della valorizzazione turistica delle
Madonie è stato perseguito dal CAS sin dalla sua fondazione. […]
Ricordando tra i fini statutari del CAS lo studio delle tradizioni e
delle caratteristiche etnografiche, mette in rilievo la rievocazione
degli zampognari, questi oscuri siciliani che nella modestia dei loro
mezzi custodiscono gelosamente gli strumenti di una tradizione
così ricca di armonie e di poesia. Il discorso del prof. Orestano è
stato lungamente applaudito.
Hanno inizio quindi le prove singole, nelle quali ciascun concor-
rente esegue un mottetto dalle ispirazioni più varie e poi un con-
certo generale. La lunga consuetudine con la zampogna, e la rela-
tiva ristrettezza del repertorio, li ha resi dei virtuosi e non è stato
facile per la giuria […] scegliere il vincitore. […] Il vincitore del
primo premio è lo stesso dello scorso anno, decisamente il più in
gamba di tutti.
43. Locandina pubblicitaria della gara tra
La terza e ultima edizione della Gara degli Zampognari delle zampognari tenuta a Piano Zucchi nell’aprile del
Madonie si svolge, sempre nello stesso luogo e secondo identi- 1962 (Archivio del Club Alpino Siciliano).

che modalità, il Lunedì dell’Angelo dell’anno seguente (23 aprile


1962, IM. 43). Insieme a Orestano, Costa e Lo Castro, della giuria
fanno parte questa volta la signora Nicoletta Pollara, in qualità di
«esperta di musica», e il consigliere del CAS Salvatore Campisi.
Questo l’elenco dei concorrenti (IM. 46), corredato dalle valutazio-
ni della giuria: 1. Leonardo Carrozza, Litania (sei); 2. Salvatore Car-
rozza, San Giuseppe (sei e 50); 3. Antonino Gaudesi, Salve Regi-
na (sei); 4. Salvatore Davì, Calabrisella (otto); 5. Pietro Davì di Sal-
vatore, Figliol prodigo (sei e 50); 6. Giuseppe Davì di Salvatore,
Sant’Antonino (sette); 7. Pietro Davì di Benedetto, San Giuseppe
(otto); 8. Giacinto Davì, Calabrisella (sei e 50); 9. Francesco Gau-
desi, Inno Eucaristico (otto e 50); 10. Pietro Gaudesi, Madonna di
Fatima (sei); 11. Antonino Ferraro, Calabrisella (sei); 12. Girolamo
Patellaro, Figliol prodigo (sette). Da un testo dattiloscritto non fir-
mato, contenuto nella carpetta relativa alla manifestazione,
apprendiamo la cronaca della giornata e l’esito della gara:

Alle ore 6 i dodici concorrenti si sono adunati nella sede sociale


C.A.S. indossando il classico costume [IM. 44], e con i dirigenti del
sodalizio si è formato un corteo di automobili, con grandi cartelli

La zampogna a chiave in Sicilia

60
annunzianti la gara [IM. 45]. Arrivati al Rifugio i zampognari hanno
controllato e provato il funzionamento delle loro cornamuse. Alle ore
11 la giuria della gara […] ha fatto l’appello dei concorrenti, i quali
vengono fotografati.
Hanno quindi inizio le prove venendo chiamati al podio i singoli can-
didati per ordine alfabetico. Dopo ogni prova la giuria assegna al
concorrente un voto che servirà per la valutazione e la designazione
dei vincitori. Alle ore 12, esaurite le singole prove, tutti i concorrenti
eseguono un concerto generale fra gli applausi degli intervenuti.
Quindi la giuria procede al computo dei voti singoli ed emette il suo
verdetto proclamando vincitore del primo premio lo zampognaro
Gaudesi Francesco e dei due secondi premi ex aequo i zampognari
Davì Salvatore fu Sebastiano e Davì Pietro di Benedetto.

Dalla documentazione relativa a questa “gara di zampognari”


emergono molteplici motivi di interesse. Notiamo anzitutto che il
regolamento della prima edizione fa riferimento a zampogne
44. Zampognari monrealesi davanti alla
sede del Club Alpino Siciliano. accompagnate da «strumenti a fiato» e una coppia di suonatori
Palermo 1962 (Archivio Pubblifoto di V. Brai). con piffero e zampogna viene perfino scelta come “insegna” del-
l’intera manifestazione (IMM. 38 e 43). Questa fotografia ritrae tut-
tavia due suonatori campani verso la fine del XIX secolo (cfr. Leydi
cd.1995: libretto allegato, p. 17), perpetuando la confusione fra le
tradizioni musicali dell’Isola e quelle di altre regioni dell’Italia cen-
tro-meridionale. Secondo i promotori dell’iniziativa, doveva inoltre
trattarsi di un concorso riservato agli zampognari «residenti in uno
dei 14 paesi che circondano» le Madonie. L’unico suonatore appar-
tenente a quest’area è però Natale Paticella, di Polizzi Generosa,
mentre gli altri sei partecipanti sono tutti di Monreale. Grazie a
testimonianze reperite da Emanuele Buttitta, apprendiamo che
Paticella suonava la zampogna “a paro” nelle novene di Natale: i
Polizzani di una certa età lo ricordano bene, così come rammenta-
no che spesso si esibiva insieme a un suonatore di flauto di canna
(fiscaliettu), tale Mariano Badagliacca detto u Siddaru (il Sellaio).
Alla successiva edizione della gara l’anziano zampognaro polizza-
no non sarà comunque più presente, lasciando ai suonatori mon-
realesi il monopolio della sfida.
Proprio in questa contraddizione fra dichiarazione programma-
tica e contingenze reali si può tuttavia cogliere il senso dell’opera-
zione condotta dal CAS. Come spiega il presidente Fausto Oresta-
no, che stando alle carte sostenne personalmente ogni onere eco-
nomico, il concorso doveva servire alla «valorizzazione ed alla sco-
perta di tutta la zona delle Madonie». Siamo quindi di fronte a un
esempio antesignano di impiego consapevole della musica tradi-
zionale a fini di promozione turistica, dove le necessità dettate
dalla “confezione” dell’evento – con affitto di costumi, sfilate auto-
45. Zampogne “in partenza” per Piano Zucchi. mobilistiche e propaganda a mezzo stampa – esorbitavano ovvia-
Palermo 1962 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
mente le ragioni della filologia. La grande zampogna siciliana non
appartiene infatti all’eredità culturale dei centri madoniti, dove
invece erano presenti in passato un discreto numero di suonatori
di zampogna “a paro” e di piffero (cfr. infra). Scomparsi quasi
completamente gli zampognari dai paesi delle Madonie, si è fatto
ricorso a suonatori provenienti da un’area diversa, senza tuttavia
pregiudicare l’obiettivo prestabilito: valorizzare il territorio attra-
verso una manifestazione che coniugasse folklore e natura.
Un’esperienza per certi versi simile si avvia a partire dal 1965
presso un’altra località montana della Sicilia: il piccolo borgo
medievale di Erice, in cima al Monte San Giuliano che sovrasta Tra-
pani. Qui si tiene fino al 1999 la rassegna della Zampogna d’Oro,

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

61
46. In prima fila da sinistra:
Leonardo Carrozza, Salvatore Carrozza, Antonino
Gaudesi, Salvatore Davì di Sebastiano, Pietro Davì di
Salvatore, Pietro Davì di Benedetto, Antonino Ferraro.
In seconda fila da sinistra:
Giuseppe Davì di Salvatore, Giacinto Davì,
Francesco Gaudesi, Pietro Gaudesi, Girolamo Patellaro.
Piano Zucchi 1962 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).

aperta dapprima a suonatori di tutta l’Isola e via via estesa ad altri


strumentisti popolari italiani ed europei (cfr. D’Angelo 2000). Se la
gara madonita fu una vetrina egemonizzata dagli zampognari
monrealesi, soltanto nel 1992 questi saranno per la prima volta
presenti a Erice, ottenendo meritati riconoscimenti dopo un lungo
periodo di oblio (cfr. infra e cap. 5).
Il contributo più rilevante offerto dalla manifestazione ospitata
nel Rifugio Orestano di Piano Zucchi riguarda proprio l’ambiente
“zampognaro” di Monreale: grazie ai verbali della gara e agli arti-
coli apparsi sui quotidiani di Palermo non solo si può ampliare
l’elenco dei suonatori conosciuti, ma si apprendono anche dati
relativi al repertorio (sostanzialmente conforme a quello tuttora
rilevabile) e, soprattutto, alle qualità espresse dai singoli esecuto-
ri. Il più abile è considerato Salvatore Davì, vincitore di due edizio-
ni (1960 e 1961) e secondo classificato nella terza. Viene poi Fran-
cesco Gaudesi, vincitore dell’ultima edizione (1962) e secondo
classificato nella precedente. Al secondo posto si piazzano Antoni-
no Ferraro (1960), Giacinto Davì (1961) e Pietro Davì di Salvatore
(1962). Menzioni speciali nella prima edizione vengono tributate
allo stesso Pietro Davì e a Giuseppe Davì di Benedetto. Questo 47. Benedetto Davì di Sebastiano. Piano Zucchi 1961
l’elenco dei quindici suonatori che partecipano alle tre edizioni (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
della gara, suddiviso in base all’appartenenza familiare, con indi-
cazione del brano in concorso nell’anno relativo:

Benedetto Davì di Sebastiano: Pastorale (1961).


Salvatore Davì di Sebastiano: Calabrisella (1960, 1961, 1962).
Sebastiano Davì di Benedetto: Tu scendi dalle stelle (1960).
Giuseppe Davì di Benedetto: Pastorale (1960).
Pietro Davì di Benedetto: Figliol prodigo (1962).
Pietro Davì di Salvatore: Figliol prodigo (1960), San Giuseppe (1962).
Giuseppe Davì di Salvatore: Sant’Antonino (1961, 1962).
Giacinto Davì di Filippo: Ninna Nanna (1961), Calabrisella (1962).

Francesco Gaudesi: Inno Eucaristico (1961, 1962).


Antonino Gaudesi di Francesco: Salve Regina (1962)
Pietro Gaudesi di Francesco: Tu scendi dalle stelle (1961), Madon-

La zampogna a chiave in Sicilia

62
48-50. Salvatore Davì di Sebastiano, na di Fatima (1962).
Pietro Davì di Benedetto, Giacinto Davì.
Leonardo Carrozza di Bernardo: Madonna di Fatima (1961), Litania
Piano Zucchi 1962 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
(1962).
Salvatore Carrozza di Bernardo: Nascita del Bambino (1961), San
Giuseppe 1962).
Stefano Carrozza di Bernardo: San Giuseppe (1961).

Antonino Ferraro: Sant’Antonino (1960), Litania (1961), Calabrisella


(1962).

Girolamo Patellaro: San Giuseppe (1960), Mira il tuo popolo (1961),


Figliol prodigo (1962).

Otto zampognari su sedici sono pertanto dei Davì, tre sono


rispettivamente i Carrozza e i Gaudesi, isolati restano Ferraro e
Patellaro. La documentazione fotografica della gara, realizzata
dallo Studio Foto Albergamo (edizione 1960) e dall’Agenzia Pub-
blifoto (edizioni 1961 e 1962), ha offerto un supporto fondamenta-
le alla individuazione delle diverse linee della famiglia Davì. Alcu-
ni di questi suonatori sono ancora viventi, anche se non più attivi
(cfr. cap. 5), di altri non è stato possibile ottenere notizie precise.
Grazie alla paziente collaborazione di Benedetto Miceli e della
madre, Marianna Davì, possiamo tuttavia tracciare un quadro suf-
ficientemente dettagliato, che giunge a includere anche i Gaudesi
e Antonino Ferraro.
Il suonatore più anziano è Benedetto Davì (1891-1971, IM. 47),
padre della signora Marianna, che ricorda le figure del nonno e del
bisnonno paterni, anch’essi zampognari: Benedetto era figlio di
Sebastiano, detto Tatanenè, di professione urdunaru (mulattiere) e
contadino, deceduto negli anni Trenta del Novecento, e nipote di
Benedetto, vissuto nell’Ottocento. Anche gli zii paterni della signo-
ra Marianna, Filippo (1896-1989) e Salvatore (1905-1981), erano suo-
natori. Quest’ultimo, detto Turi Acquapersa (IM. 48), che aveva
dominato le sfide di Piano Zucchi, viene effettivamente indicato
come il più abile tra gli zampognari Davì: unico della sua generazio-
ne a sapere tra l’altro costruire le ance, usare i “ferri” per cavare le
canne e accordare lo strumento. La generazione successiva è costi-
tuita dai figli dei tre fratelli: Sebastiano, zzù Nenè (1918-2002, IM.
37), Pietro, zzù Petru (1919-1994, IM. 49) e Giuseppe, zzù Pinuzzu (n.
1937, IM. 37) sono figli di Benedetto; Giacinto, zzù Ginu (n. 1924, IMM.
39-50) è figlio di Filippo e ha il fratello Sebastiano (n. 1922) pure
suonatore; Giuseppe e Pietro Davì sono figli di Salvatore (IMM. 51-
52), insieme a Sebastiano (n. 1933) che però non prese parte alle
gare di Piano Zucchi. Antonino Ferraro (1936-1970, IM. 53) è un Davì
per linea materna, poiché la madre Graziella era figlia di Benedetto.
La parentela con i Gaudesi è invece acquisita: Francesco, zzù Ciccì
(IM. 54), aveva sposato Giuseppa Davì (1896-1976), sorella di Bene-
detto, loro figli sono Pietro (1927-1989, IM. 55) e Antonino (IM. 56).
Benedetto Miceli, che essendo nato nel 1954 ha personalmente
conosciuto e ascoltato suonare il nonno e gli zii materni (tutti di
estrazione contadina), e il padre Francesco (n. 1927), che partecipa-
va alle novene con i suonatori più anziani in qualità di cantore, rife-
riscono diversi particolari sulla tradizione di famiglia. Il lavoro fino
agli anni Sessanta era tanto che Pietro Gaudesi preferiva a esem-
pio risiedere per tutto il periodo del Natale alla Noce, il rione di
Palermo in cui era solito operare. Spiegano inoltre che il termine
“mottetto” non si usava per indicare un brano preciso ma piuttosto
una certa intonazione melodica: si diceva cantari a mmuttettu, ed

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

63
era «come quando si parlava», riferisce il signor Francesco (la que- 51-53. Giuseppe Davì di Salvatore,
Pietro Davì di Salvatore, Antonino Ferraro.
stione sarà più precisamente esaminata nel cap. 7). L’anziano can- Piano Zucchi 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
tore ricorda anche la straordinaria abilità di un altro zio della
moglie, Giuseppe Davì (fratello di Benedetto, Salvatore e Filippo),
deceduto negli anni Cinquanta dopo essere stato a lungo ricovera-
to per problemi psichici: «chistu sunava a ciaramedda a mmusica»
(questo suonava la zampogna “a musica”). Benedetto osserva poi
la particolare sagoma interna “aperta” della campana della canta
appartenente alla zampogna del nonno (IM. 47): un dettaglio
costruttivo non riscontrabile su strumenti “moderni” ma che inve-
ce caratterizza l’esemplare del Museo Pitrè. Riguardo alla chiave
piccola aggiunge: «Mio zio Nenè mi diceva che si usava anticamen-
te nella Litanìa per fare un suono “cupo”, una nota “fuori tono”».
Il sistema a chiave doppia pare quindi essere divenuto desueto
a Monreale prima che a Palermo, come conferma d’altronde anche
lo zampognaro Salvatore Carrozza (n. 1932): «Me patri â usava a
chiavuzza. Quannu si mittìa u ìritu u puittusu ghiapriva: unn’era
comu u bbassu chi u puittusu u chiurìa. Ma poi vinìa difficili e stu
puittusu fu attuppatu, però a chiavuzza cciâ lassammu u stissu pi
bbillizza» (Mio padre la usava la chiave piccola. Quando si mette-
va il dito il foro si apriva: non era come il “basso” [chiave grande]
che il foro lo chiudeva. Ma poi veniva difficile e questo foro è stato
otturato, però la chiave piccola gliel’abbiamo lasciata lo stesso per
bellezza). Salvatore fa parte di un’altra importante famiglia di suo-
natori monrealesi: il padre, Bernardo Carrozza (1883-1958, IM. 57),
di professione contadino, era zampognaro di prima generazione,
ma assai apprezzato, anche dai palermitani, per l’abilità nel
costruire le ance, cavare le canne e accordare lo strumento. Suo-
natori valenti sono stati anche i fratelli di Salvatore, Leonardo
(1911-1987) e Stefano (n. 1929), che insieme a lui hanno partecipa-
to alle sfide di Piano Zucchi (IMM. 58-60). Le competenze di Bernar-
do Carrozza, ereditate dal figlio minore, costituivano un prezioso
elemento di attrazione per altri zampognari, che ne ripagavano
debitamente le prestazioni. Tra i suonatori dei rioni popolari di
Palermo che frequentavano casa Carrozza, oltre ai Ferrante e ai
Pennino, Salvatore segnala in particolare: Angelo Prestigiacomo
(Uditore), Filippo Spuches e il cognato Filippo Fofò Caruso (Cruil-
las), Salvatore Catalano e il figlio (Villaggio Santa Rosalia, ô Chia-
nu i purceddi), un tale di Pallavicino detto u Cipuddaru (il Cipolla-
io) e un “apprendista” di Passo di Rigano, detto l’Oibbu (l’Orbo).
Tra i suonatori monrealesi ricorda inoltre Pietro Renda, zzù Petru
Renna (potatore, morto intorno al 1992 più che settantenne) e Giu-
seppe Romanotto, zzù Pippinu (vaccaro e contadino, morto intor-
no al 1997 quasi novantenne). Romanotto faceva spesso coppia
con il clarinettista Carmelo Giangrande, detto u Vastiddaru (sarto,
appartenente al locale complesso bandistico), proponendo la rie-
dizione della coppia zampogna-piffero, intensamente diffusa in
gran parte dell’Italia centromeridionale. Questa soluzione stru-
mentale, che non risulta attestata nella tradizione palermitana, era
in passato abbastanza diffusa tra gli zampognari Monrealesi. Fran-
cesco Miceli addirittura afferma: «U cantanti u mìsiru a puittari
ruoppu, ma prima i ciaramiddara puittàvunu u clarinista dappres-
su, quasi tutti! T’annu cc’era puru u zzù Luciano Ranisi chi ssuna-
va a ciaramedda, e so fìgghiu Stefano, prima dû Quaranta!» (Il
cantante hanno iniziato a prenderlo dopo, ma prima gli zampogna-
ri si portavano appresso il clarinettista, quasi tutti! Allora c’erano

La zampogna a chiave in Sicilia

64
54-56. Francesco Gaudesi, Pietro pure zzù Luciano Ranisi e suo figlio Stefano che suonavano la zam-
Gaudesi, Antonino Gaudesi.
Piano Zucchi 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai). pogna, prima del 1940!).
L’unico suonatore tuttora attivo fra quelli che parteciparono alle
gare organizzate dal CAS è Girolamo Patellaro, zzù Momu (n. 1932,
IMM. 39 e 61). Anche questi appartiene a una famiglia di estrazione
contadina, con il padre zampognaro di prima generazione: Giacin-
to (1903-1955), che aveva acquistato lo strumento da un altro suo-
natore monrealese, tale Vito Di Gesù. Insieme a Giacinto cantava il
suocero: Girolamo La Corte, morto ultranovatenne intorno al 1960.
Suona la zampogna anche il fratello minore di Momu Salvatore (n.
1940), rientrato a Monreale dopo una lunga permanenza in Setten-
trione per motivi di lavoro. Girolamo Patellaro – che ha fatto cop-
pia con zzù Nené finché questi nel 1991 dovette smettere di suona-
re perché colpito da ictus – è anche l’unico suonatore monrealese
a essere stato presente sia ai tre concorsi tenuti a Piano Zucchi sia
ad alcune edizioni della Zampogna d’Oro di Erice, dove è risultato
vincitore nel 1992.
Altre fotografie di varia provenienza attestano l’attività dei suo-
natori di zampogna a chiave nel ventennio 1950-70. Due immagi-
ni, appartenenti all’archivio del “Giornale di Sicilia” di Palermo,
restituiscono efficacemente il contesto della novena: lo zampogna-
ro, di cui non è stato possibile stabilire l’identità, è ritratto mentre
suona davanti a una bottega di prodotti ortofrutticoli e poi si allon-
tana alla guida di una motocicletta, ospitando sul retro della sella
un compagno – quasi certamente il cantore – che regge lo stru-
mento (IMM. 62-63, di queste foto non si conosce né l’autore né la
data esatta).
Alcune foto ritraggono zampognari monrealesi già incontrati a
Piano Zucchi. La prima, reperita da Patrizia D’Amico negli album
del Museo Pitrè, risale al Natale del 1963 e immortala Pietro Davì
(IM. 64), il fratello di zzù Nenè, accanto all’antropologo Giuseppe
Cocchiara (1904-1965), docente presso la Facoltà di Lettere e Filo-
sofia dell’Ateneo palermitano, di cui è anche stato a lungo il Presi-
de (cfr. Bonomo-Buttitta 1974). Cocchiara, Direttore tra l’altro del
Museo dal 1934 al 1965, aveva fortemente sostenuto le ragioni del-
l’etnomusicologia promuovendo la stampa del Corpus di musiche
popolari siciliane di Alberto Favara (1957) e scrivendone la Pre-
messa: non è quindi casuale l’esibizione di suonatori tradizionali
fra le mura di una Istituzione che negli anni della sua direzione ha
goduto un momento di particolare splendore (cfr. D’Agostino
2002). Il 27 dicembre del 1970, un altro zampognaro monrealese
viene invitato a esibirsi al Museo Pitrè per festeggiare il “ripristi-
no” della cappella di pertinenza della Palazzina Cinese, come si
legge sul retro della fotografia reperita da Patrizia D’Amico in un
«Album Direzione, colore bordò»: si tratta di Leonardo Carrozza,
accompagnato dal cantore Raffaele Naimmi, un contadino e ven-
ditore di verdura tuttora vivente (IM. 65).
Una serie di immagini, realizzate nel 1961 dall’agenzia Pubblifoto,
ritraggono Pietro Gaudesi nel contesto di una rappresentazione nata-
lizia, di cui è però difficile identificare la natura (potrebbe anche trat-
tarsi di uno spettacolo di marionette). Una di queste riprende lo zam-
pognaro accanto a un uomo mascherato da Babbo Natale (IM. 66).
Nell’ambito di una rappresentazione del Natale, quasi certa-
mente un “presepe vivente”, si colloca anche una fotografia pubbli-
cata da Paolo Toschi nel 1967, con la seguente didascalia: «I ciara-
middari siciliani, con cornamusa e piffero, portano tra le case e

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

65
davanti ai presepi la “novena” e le nenie di Natale (fot. Braccian- 57. Bernardo Carrozza insieme alla moglie
Maria Cristina e al figlio Salvatore.
te)» (foto 80, dopo p. 64; IM. 67). Strumento e postura del suonato- Monreale ca. 1955 (coll. Famiglia Carrozza).
re rinviano senza dubbio alla tradizione della grande zampogna
palermitana, ma non è stato possibile chiarire l’identità dello zam-
pognaro né individuare la provenienza del fotografo. La singolari-
tà di questa immagine viene così valutata da Febo Guizzi:

La zampogna che si vede è assolutamente uguale agli strumenti di


Monreale e, anzi, sembrerebbe presentare ancora in loco anche la
seconda chiave. Il suonatore sembra “in costume” da finto pastore
(quando Sebastiano Davì lo ha veduto il suo commento è stato,
con un filo di disprezzo: «Ma chistu è nu calabrese»). Anche il poco
ambiente che si vede ha un’aria finta (fondo di cannette, balla di
paglia in terra), come se si trattasse di un “presepio vivente”. La non
autencità della situazione potrebbe spiegare la presenza, seduto
accanto al suonatore di zampogna, di un suonatore di ciaramella
(?), contro tutte le testimonianze che vogliono assente (a memoria
d’uomo e a documentazione del Pitrè) la ciaramella dalla Sicilia. [in
Guizzi-Leydi 1983: 94-95]

Il piffero («ciaramella»), mai registrato in Sicilia insieme alla


zampogna (cfr. Sarica 1994: 123-133 e Guizzi-Staiti 1995), perdura
come strumento solista a Petralia Soprana, centro delle Madonie
in provincia di Palermo1. Quattro sono i suonatori di pìffara oggi
attivi, ma la continuità della tradizione è stata garantita in partico-
lare da Giuseppe Federico (n. 1957), che ha ereditato strumento e
repertorio dal nonno Luciano (1898-1974), dal padre Vittorio (1925-
2002) e dallo zio paterno Pietro (1924-2004). Questa pìffara, che ha
quindi attraversato almeno tre generazioni, è divisa in due seg-
menti (fuso in sorbo e campana in ciliegio con raccordo a vite),
misura 385 mm. e presenta estensione di ottava (lab3-lab4). I fori
digitali sono sei anteriori e uno posteriore (un settimo foro sul fuso
viene utilizzato solo per l’intonazione e altri due fori di risonanza
sono ricavati nella parte alta della campana). Il signor Federico (IM.
68) riferisce alcuni importanti dettagli riguardo a una tradizione
musicale rimasta finora del tutto ignota:

Per le novene, che cominciavano nove giorni prima di Natale, la


mattina presto, verso le due, si cominciava a suonare, fino a che
faceva giorno. Si andava a Soprana e dintorni, le persone senti-
vano questa nènia e aprivano: ci offrivano qualcosa da bere o da
mangiare e poi si continuava da altre persone fino a quando face- 58. Leonardo Carrozza.
Piano Zucchi 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
va giorno. Poi c’era la novena in chiesa: suonavamo davanti alla
porta della chiesa e dopo ce ne andavamo a casa. E l’indomani
mattina si cominciava di nuovo. Eravamo sette persone, c’erano
delle pìffere, delle fisarmoniche e un piccolo triangolo che ci por-
tava il tempo. Oggi si fanno ancora queste novene, ma con stru-
menti moderni, della banda, e qualche volta suoniamo pure con
le pìffere. Si suona il Tu scendi dalle stelle e una novena antica
che si faceva con la ciaramella e che abbiamo imparato a suona-
re con le pìffere.
Anticamente c’erano in paese diversi suonatori di ciaramella. Si uni-
vano tre, quattro persone con le pìfferee la ciaramella e facevano la
nènia, sempre la mattina per la novena. Fino agli anni Cinquanta

1 L’unica documentazione sonora di un piffero “siciliano” era stata realizzata da


Antonino Uccello nel 1961 a Rosolini (provincia di Siracusa), nel corso di una nove-
na di Natale con accompagnamento di strumenti bandistici (documento riprodotto
in Pennino cd.2004: disco 1, brano 18).

La zampogna a chiave in Sicilia

66
59-61. Stefano Carrozza, Salvatore c’erano i fratelli Calogero e Pietro Messineo, Calogero Lo Dico e
Carrozza, Girolamo Patellaro.
Calogero Sabatino [1876-1955]. Prima c’era pure Leonardo Cerami
Piano Zucchi 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
[1862-1947], il suocero di mio nonno Luciano: suonava sia la ciara-
mella che la pìffara e dicono che era un vero maestro. Tutti questi io
non li ho conosciuti, ma Pietro Sabatino [1911-1995], figlio di Caloge-
ro, era pure zampognaro e suonava con noi.
Le ance ultimamente le faceva un mio cugino, un certo Giuseppe Di
Prima che stava a Raffo, una frazione di Soprana, ed è morto pochi
giorni fa. Aveva il tornio e faceva pure qualche pìffara e la regalava
a noi che suonavamo. Per le ance prendeva la canna migliore, chia-
mata masculina. Usava un coltellino molto tagliente per scavare la
canna e poi la legava con lo spago e la cera a un tubicino fatto di
lamierino, detto cannizzola [cannuccia], perché anticamente si face-
va pure con la canna. Quando si deve suonare, l’ancia si mette prima
a mmuoddu nnô vinu: â facimu mbriacari, cussì nn’imbriacamu
puru nuatri e ssunamu ancora mègghiu! [a mollo nel vino: la faccia-
mo ubriacare, così ci ubriachiamo pure noi e suoniamo ancora
meglio!]. Ora le ance ce le facciamo mandare da suonatori del-
l’Abruzzo e della Campania.

Fino agli anni Cinquanta del Novecento il piffero esisteva anche


in altri centri della provincia di Palermo, tra cui Isnello2 e Ciminna3
ma non vi è attestazione che fosse impiegato insieme alla zampo-
gna. Le consuetudini rilevate a Polizzi Generosa e a Petralia Sopra-
na, dove la ciaramedda “a paro” duettava invece con fiscaliettu e
pìffara, possono contribuire a giustificare la composizione della
scena ritratta nell’immagine pubblicata da Toschi, che comunque
ripropone uno stereotipo figurativo di sapore meridionale già in
passato ampiamente circolante in Sicilia (cfr. cap. 1).
Una fotografia appartenente all’archivio del quotidiano paler-
mitano “L’Ora” – acquisito dalla Biblioteca Centrale della Regione
Siciliana – reca sul retro la seguente indicazione manoscritta: «In
occasione del Natale il contadino Giacinto Davì suona la ciaramel-
la a Monreale / Cronaca 2 col e mezzo / 24-12-1969» (IM. 69). Que-
sto il testo pubblicato senza firma nella data indicata (L’operaio
con la ciaramella, p. 13):

Monreale si prepara a vivere un altro Natale. Spuntano fuori gli


ultimi personaggi più volte tirati in ballo nei racconti per ragazzini:
sono i suonatori di “ciaramelle”. Un suonatore di ciaramella, u cia-
ramiddaru cioè, esce da casa che è buio, verso le cinque, per ritor-
nare la sera dopo una giornata di girare per il paese e per la città
“facendo le novene”. Questo personaggio natalizio spunta come
una pallina variopinta, di metà dicembre. Per nove giorni comincia

2 Nel documentario Passione a Isnello di Ugo Fasano (durata 12’, b.n., prod. Phoe-

nix Film, Roma 1950) è contenuta una breve sequenza in cui si vede un giovanissi-
mo pastore che suona il piffero. Sfortunatamente alle immagini non corrisponde il
sonoro originale.
3 Il signor Giosafat Lo Sciuto (n. 1943), suonatore di tamburo e cantore specializ-

zato nel tradizionale repertorio sacro, ricorda la bbifaredda come strumento di


accompagnamento, insieme al tamburo, del “gioco dello stendardo”. La testimo-
nianza conferma quanto precedentemente attestato a Ciminna nella letteratura
demologica: «I tamburini e i pifferi si sbizzarrivano a suonare per le strade,
accompagnati dallo stendardiere. In alcuni luoghi questo si fermava insieme coi
suonatori e cominciava il gioco, che consisteva in alcuni esercizi di equilibrio. Egli
metteva successivamente lo stendardo sulla mano, sull’avambraccio, sulla spal-
la, sul petto, sul mento e sulla fronte, e in tali posizioni si muoveva dinanzi alla
folla, che assisteva allo spettacolo, mentre i suonatori seguivano con i loro suoni
i movimenti di lu stinnarderi. Questi era infine applaudito e riceveva, coi suona-
tori, il tradizionale bicchiere di vino» (Graziano 1935: 77).

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

67
a girare per le case dei fedeli suonando i tipici brani, talora di diffi-
cile esecuzione, la cui tecnica viene tramandata di padre in figlio.
Per nove giorni si celebra la festività natalizia e nei giorni in cui
“tutti ci sentiamo buoni” al suono di ciaramella si attende la
nascita di Gesù. Finita la novena, il suonatore di ciaramella se ne
torna nella pagina ingiallita del suo antico libro di povertà. Ades-
so si ricomincia a vivere la realtà, ognuno smette gli abiti natali-
zi, smette di essere personaggio da presepe e torna a vivere e a
misurare le ingiustizie di ogni giorno.
Ed ecco il suonatore di ciaramella visto come è nella realtà. Abbiamo
parlato con un vero maestro della ciaramella, che abbiamo “pescato”
nella sua sua povera ma dignitosa abitazione di Monreale.
Si chiama Giacinto Davì, ha 46 anni. Durante tutto l’anno lavora in
campagna, dicono che è molto bravo nel potare le piante, nell’in-
nestarle e in altri lavori. Suona la ciaramella da quando aveva dodi-
ci anni. Alcuni pezzi li costruisce personalmente, altri li compra da
un vecchio e bravo “mastro d’ascia”, pure di Monreale. 62. Zampognaro esegue la novena presso una bottega
Maestri della ciaramella sono stati il nonno, poi il padre che anco- di frutta e verdura. Palermo, anni Cinquanta
del sec. XX (Archivio del “Giornale di Sicilia”).
ra oggi a 73 anni si cimenta con bravura. Fino a otto anni addietro
nella famiglia Davì erano in due a suonare questo strumento: Gia-
cinto e il fratello Sebastiano che adesso ha 48 anni [n. 1922]. Pure
Sebastiano cominciò a dodici anni, sulla scia del padre Filippo. Per-
ché suonatori di ciaramella? Un po’ per fede un po’ per bisogno.
Filippo Davì nella sua vita ha cambiato parecchi mestieri. Ha lavo-
rato i campagna ma anche fatto il portuale per parecchi anni. Ha
lavorato per anni nella vetreria di via Pitrè ma anche, per ultimo,
come operaio nella ditta Cassina. Con ogni mestiere Filippo Davì,
invalido di guerra, ha sempre avuto la necessità di arrotondare il
salario suonando benissimo la ciaramella, procurandosi in tal
modo la tanto famosa “tredicesima”.
Ma essere ciaramiddaru è anche dimostare talento, una vera arte,
specie per quanto riguarda la costruzione dello strumento e il suo
accordo. Così in famiglia, come la tradizione vuole, ci sono stati
altri suonatori di ciaramelle. Sebastiano e Giacinto cominciano a
dodici anni, girano insieme al padre, poi da adulti, prendono le
novene in proprio. Ma è molto faticoso, bisogna stare tutto il gior-
no fuori, per strada, piova oppure no e non sempre si trova la forza,
dato che non ci si arricchisce di certo.
Così otto anni addietro Sebastiano, come tanti altri siciliani, ha
abbandonato la sua terra bruciata. È andato a Bologna a lavorare
in un cantiere edile ma ha potuto lavorare e vivere senza dover
troppo penare e questo ha fatto sì che non tornasse più. Della fami-
glia Davì è rimasto solo Giacinto, che ogni anno indossa i panni del
“personaggio” da presepe.
A Giacinto abbiamo chiesto se anch’egli pensa ad emigrare. Conti-
nuando ad accordare il suo piccolo capolavoro di pazienza, la cia-
ramella, ha risposto: «No, qui sono nato e qui voglio morire. Voglio
lavorare e stare nella mia terra».

Al di là dei toni retorici, la testimonianza raccolta dall’anonimo


articolista riflette fedelmente diversi aspetti della vita degli zam-
pognari monrealesi: dalla fase di apprendimento all’assunzione
di un’autonoma identità professionale, dalle precarie condizioni
del lavoro “extra-musicale” all’aspra esperienza dell’emigrazione
(un destino peraltro condiviso, come si è visto, da parecchi Davì).
Vanno inoltre segnalati i riferimenti al “mastro d’ascia” che
costruiva zampogne – certamente quel Gaetano Molone incon-
trato da Febo Guizzi e Roberto Leydi nel 1981 (IMM. 83-84), anco-
ra ben vivo nel ricordo di tutti i suonatori (cfr. cap. 6) – e alle com-
petenze possedute nello stesso campo da Giacinto Davì, che riba-
discono il diretto coinvolgimento dei suonatori nei processi
costruttivi degli strumenti.

La zampogna a chiave in Sicilia

68
63. Zampognaro si allontana in motocicletta dopo
una novena. Palermo, anni Cinquanta del sec. XX
(Archivio del “Giornale di Sicilia”).

64. Pietro Davì di Benedetto suona davanti


al presepe in una sala del Museo Pitrè.
Primo a sinistra: Giuseppe Cocchiara.
Palermo 1963 (Biblioteca del Museo Pitrè).

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

69
65. Leonardo Carrozza (zampogna) e Raffaele
Naimmi all’ingresso del Museo Pitrè,
davanti alla cappella della Palazzina Cinese.
Palermo 1970 (Biblioteca del Museo Pitrè).

Restava infine da verificare l’esistenza nel Palermitano di un


diverso modello di zampogna a chiave: alcuni suonatori monrea-
lesi come zzù Nenè Davì, Girolamo Patellaro e Salvatore Carrozza
ricordavano infatti di avere talvolta incontrato un suonatore che
impiegava una zampogna anch’essa dotata di chiave ma di
dimensioni minori rispetto a quelle dei loro strumenti4. Quale
luogo di provienenza di questo “strano” zampognaro veniva indi- 66. Pietro Gaudesi partecipa a
cato il centro costiero di Cinisi (non distante da Palermo in dire- una rappresentazione del Natale.
Palermo 1961 (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
zione Trapani), dove abbiamo condotto una indagine nel tentativo
di chiarire la questione.
La tradizione della zampogna a Cinisi si è tramandata nell’am-
bito della famiglia Puleo per almeno tre generazioni. Ultimo è
stato Gaetano Puleo (zzù Tanu), scomparso nel 1961 all’età di
ottantun’anni, che aveva ereditato lo strumento e l’arte musicale
dal padre Pietro (morto negli anni Trenta) e dal nonno Gaetano.
Grazie ai ricordi della figlia di zzù Tanu, Giovanna, apprendiamo
che i Puleo erano noti col soprannome di Bbammineddi (Bambi-
nelli), per rimarcare la loro funzione di officianti in occasione delle
novene di Natale che si usava eseguire davanti alle porte e nelle
case dei devoti. Tra il 1930 e il 1960 Gaetano effettuava la novena

4Testimonianza riportata in Guizzi-Leydi 1985 (p. 227), confermata da Girolamo


Patellaro e Salvatore Carrozza in occasione di nostri rilevamenti.

La zampogna a chiave in Sicilia

70
insieme al cugino Damiano Puleo (cantore) e a Salvatore Iacopelli
(suonatore di violino, detto Turi Scrozza). Damiano e Salvatore si
alternavano al canto, mentre Gaetano intercalava brani strumen-
tali. Zzù Tanu Bbammineddu impiegava però una zampogna “a
paro” con tre bordoni, come è stato possibile osservare grazie alla
cortese disponibilità della nipote Caterina Puleo che tuttora con-
serva lo strumento.
La presenza a Cinisi della zampogna a chiave si ricollega inve-
ce all’iniziativa personale di un altro suonatore, Vincenzo Brigu-
glio, nato nel 1912. Egli operò a partire dagli anni Trenta in un grup-
po di novenanti professionali riconducibile alla tradizione degli
orbi: Giuseppe Malta (voce e tamburello), Stefano Biondo (chitar-
ra) e Nunzio Biondo (citarruni). Briguglio, che allora suonava il cla-
rinetto nel locale complesso bandistico, fu chiamato a sostituire il
violinista deceduto Antonino Zirilli (mastru Antuninu). Come affer-
ma lo stesso Briguglio, fino agli anni Quaranta a Cinisi, nel perio-
do di Natale, giungeva talvolta anche una coppia di suonatori cala-
bresi (zampogna a chiave e piffero), i quali integravano i guadagni
67. «Ciaramiddaru siciliano» (in Toschi 1967). raccolti nelle novene con la vendita di foglietti a stampa per predi-
re la sorte (a vintura). Scomparsi i “Calabresi” e deceduti via via i
suoi compagni, egli continuò a eseguire la novena di Natale pro-
curandosi, intorno al 1955, una zampogna a chiave acquistata per
corrispondenza dal costruttore Giuseppe D’Agostino di Villa Latina
in provincia di Frosinone (riguardo a questa famiglia di costruttori
lazialisi veda in particolare Sparagna-Tucci 1990: 90-99). Lo stru-
mento non è tuttavia più in possesso di Briguglio che, divenuto
troppo anziano per eseguire la novena (verso il 1980), ne ha fatto
68. Il suonatore di pìffara Giuseppe Federico.
Petralia Soprana 2006 (foto S. Bonanzinga).
dono al figlio residente negli Stati Uniti.

La tradizione fino al 1980: immagini, racconti e zampogne ritrovate

71
69. Giacinto Davì. Monreale 1969 (Biblioteca Centrale della Regione Siciliana).

70. Girolamo Patellaro (zampogna) e Sebastiano Davì eseguono la novena di Natale.


Monreale 1986 (foto G. Garofalo, Archivio del Folkstudio di Palermo).

La zampogna a chiave in Sicilia

72
Zampognari del Terzo Millennio
5

La vitalità della zampogna a chiave siciliana si presenta oggi


meno critica rispetto a quanto rilevato da Roberto Leydi e Febo
Guizzi all’inizio degli anni Ottanta, quando pareva oramai in via di
imminente esaurimento. Diversamente da quanto era accaduto
negli anni Settanta a Palermo, la continuità della tradizione è stata
a Monreale garantita da una nuova generazione di suonatori-can-
tori, quasi tutti esperti anche nella costruzione delle ance e in
grado di preparare l’otre. Tra gli zampognari segnalati da Guizzi e
Leydi è attualmente in attività soltanto Girolamo Patellaro. Anco-
ra viventi, ma non più in grado di suonare, sono Stefano Carroz-
71. Da sinistra: Sebastiano Davì di Benedetto,
Sebastiano Davì di Salvatore e Salvatore Carrozza za, Sebastiano Davì (di Salvatore) e Giacinto Davì. Salvatore Davì,
(zampogne). In secondo piano: Girolamo Patellaro. figlio di Sebastiano e nipote di Salvatore, che aveva imparato a
Monreale ca. 1985 (foto R. Ferraro).
suonare, soggiorna spesso a Milano per ragioni di lavoro e ha del
tutto abbandonato la pratica dello strumento. Giuseppe Davì (di
Benedetto, fratello di zzù Nenè) e Sebastiano Davì (di Filippo, fra-
tello di Giacinto) vivono ormai da tempo stabilmente in Setten-
trione, rispettivamente nei dintorni di Bergamo e di Bologna, e
non hanno più occasione di suonare. Anche Salvatore Carrozza da
qualche anno non suona più, ma continua ad approntare le ance
e ad accordare la zampogna per il figlio Bernardo. Altri suonatori
attivi sono Benedetto Miceli, Salvatore Modica e il figlio diciotten-
72. Girolamo Patellaro (zampogna) e ne Emanuele (in fase di apprendistato), Benedetto Ferraro e Sal-
Benedetto Ferraro eseguono la novena di Natale. vatore Patellaro (IM. 70). Miceli, Modica e Ferraro sono anche in
Monreale 1992 (foto G. Garofalo,
Archivio del Folkstudio di Palermo). grado di realizzare le ance e accordare gli strumenti. Da quando è
morto Gaetano Molone (1990 ca.), unico costruttore in attività fino
alla fine degli anni Settanta, la lavorazione al tornio delle parti in
legno della zampogna viene effettuata da Giuseppe Flores (n.
1935), che da Molone aveva appreso i primi rudimenti. Flores si
dedica tuttavia, più che alla costruzione di interi strumenti desti-
nati alla pratica musicale, specialmente alla riparazione o riprodu-
zione di parti danneggiate di zampogne già esistenti. La camera-
tura conica delle canne viene in ogni caso eseguita dai suonatori
per mezzo di appositi attrezzi: “ferri da suono” sono posseduti da
Carrozza e da Miceli, che li hanno rispettivamente ereditati dal
padre Bernardo e da zzù Nenè, che li aveva a sua volta ricevuti
dallo zio Salvatore Davì.
Come si rileva in molte forme dell’artigianato tradizionale,
anche la trasmissione dei saperi che rinviano a una dimensione
“professionale” del fare musica, oltre a essere regolata da un rigi-
do protocollo, è spesso attuata in ambito familiare (cfr. a es. Mer-
riam 1983: 153-169). Non diversamente accadeva tra gli zampo-
gnari di Palermo e Monreale, dove si sono documentate vere e
proprie genealogie che attraversano i secoli: i Pennino e i Ferrante

Zampognari del Terzo Millennio

73
a Palermo, i Davì e i Carrozza a Monreale. Figli e nipoti assisteva-
no fin da piccoli alle esibizioni degli adulti nel periodo del Natale.
Non vi erano “lezioni” appositamente impartite, come a esempio
accade tra i suonatori di launeddas in Sardegna (cfr. Giannattasio
1992: 145-160 e Weis Benton 2002), ma era l’attento ascolto di
parole e melodie, insieme all’osservazione dei gesti, a esercitare
una diretta funzione didattica. Quando un ragazzo imbracciava per
la prima volta lo strumento, che date le dimensione necessitava di
un adeguato sviluppo fisico (undici-dodici anni è l’età normal-
mente indicata), già conosceva le parole dei canti e tutte le “sona-
te”, mentre la memoria visiva aiutava ad associare ai suoni i movi-
menti delle dita. Queste modalità di trasmissione del sapere musi-
cale, interamente affidate alla metabolizzazione di schemi motori
appresi per imitazione diretta, rendevano di fatto superflua l’elabo-
razione di un sistema “teorico” di riferimento: la tradizione zampo-
gnara non prevede infatti l’identificazione di note e abbellimenti 73. Sebastiano Davì (zampogna) e Benedetto Miceli.
mediante una nomenclatura codificata, come invece accade per le Monreale 1990 (foto E. Lo Verso, part.).

launeddas (limitando il confronto al più noto caso di area italiana).


I suonatori monrealesi non mancano tuttavia di impiegare un
gergo specifico in ordine ad aspetti formali, esecutivi e stilistici
pertinenti alla propria competenza musicale.
L’esperienza di Benedetto Miceli, nato e cresciuto in un ambien-
te di suonatori-cantori, riflette in modo significativo le dinamiche
di apprendimento, se pure riferite a una fase di declino della tradi-
zione. Egli si avvicina infatti alla zampogna più che trentenne, cer-
tamente attirato dalla prospettiva di un discreto guadagno stagio-
nale (le novene erano ancora un affare vantaggioso), ma anche
consapevole dell’altrimenti inevitabile e definitiva scomparsa di
“qualcosa” che aveva caratterizzato la sua famiglia per tante gene-
razioni. Nel 1987, dopo la conclusione del consueto lavoro natali-
zio, chiede a suo zio Nenè di insegnargli a suonare la zampogna.
Questa la risposta del potenziale maestro: «Iu tâ prestu. Po tâ nzi-
gni sulu!» (Io te la presto. Poi impari da solo!). E così puntualmen-
te è stato, come Benedetto racconta:
74. Salvatore Patellaro (zampogna) e il fratello
Prima ho imparato a dare il fiato per “fare il labbro”, poi a mettere le
Girolamo. Monreale 2001 (foto F. La Bruna).
dita a modo mio. A marzo però ho restituito la zampogna a mio zio,
perché avevo paura di rompergliela. All’inizio dell’anno successivo
c’era un altro mio zio, u zzù Ginu [Giacinto Davì], che si vendeva una 75. Benedetto Miceli (zampogna) e Gaetano
ciaramedda, e io me la sono comprata. Ho imparato da solo: prima Campanella. Monreale 2001 (foto F. La Bruna).
due sole canne, a canta e u trummuni, cantavo mentalmente e met-
tevo le dita. Nel dicembre del 1988 già sapevo suonare e zzù Nenè
mi portò a fare le novene [IM. 73]. Le continuai a fare anche l’anno
dopo insieme a mio zio, ma nel 1990 ero già da solo: con Tanino
Campanella [IM. 75], che cantava, siamo andati a fare le novene ad
Altofonte, a Villagrazia e alla Guadagna. Quello stesso anno mio zio
Nenè vinse la “Zampogna d’Oro” a Erice. Io tante volte gli avevo
detto di insegnarmi a fare le ance, ma iera ggilusu me zziu, mi ricìa:
«Po t’insigni. Nni farai tanti fin’a cchi t’impari!» [ma era geloso mio
zio, mi diceva: «Poi impari. Ne farai tante finché imparerai!]. Nel 1991
lo zio Nenè ebbe un ictus e smise di tornare a Monreale per suona-
re. Io allora mi sono dovuto mettere a fare le ance e ad accordare lo
strumento, perché altrimenti si finiva di suonare. Ho imparato subi-
to, ie chistu sulu pi aviri tanti voti taliatu a me zziu chi facìa pipiti e
ccurdava a ciaramedda: cci scippavu l’arti ri manu [e questo solo per
avere tante volte guardato mio zio che costruiva ance e accordava la
zampogna: gli ho rubato l’arte di mano]. Per alcuni anni ho fatto le
novene insieme a zzù Momu [Girolamo Patellaro], che per tanto
tempo era andato in giro con mio zio Nenè [IMM. 70-71]. Lui non

La zampogna a chiave in Sicilia

74
costruiva le pipiti ma a ciaramedda sâ sapìa accurdari [la zampogna
la sapeva accordare]. Nel 1992 anche zzù Momu vinse la “Zampogna
d’Oro” [IM. 76] e nel 1996 a Erice vinsi io, dopo otto anni che avevo
iniziato a suonare [IM. 77].

Nel 1987 inizia a suonare, quasi cinquantenne, anche Benedetto


Ferraro, comprando una zampogna da Pietro Gaudesi. Ferraro van-
tava però già un’esperienza professionale, acquisita negli anni Ses-
santa cantando per le novene insieme al fratello Antonino. Dopo un
lungo periodo di emigrazione in provincia di Bergamo, rientra in
paese e si aggrega a zzù Nenè e a zzù Momu, accompagnadoli sal-
tuariamente a fare le novene (IM. 72). Come Miceli, impara a suona-
re e a costruire le ance semplicemente imitando i più esperti. Ana-
logo è il caso di Salvatore Modica (IM. 79): acquista prima compe-
tenza del canto, sempre andando appresso a Davì e Patellaro, ini-
zia a suonare nel 1989, con una zampogna vendutagli da Salvatore
Carrozza, e impara a preparare le ance seguendo le procedure
apprese osservando zzù Nenè. Diversa è invece la vicenda di Ber-
76. Girolamo Patellaro partecipa a una sfilata di
nardo Carrozza, figlio e nipote di zampognari, che inizia a dedicarsi
suonatori in occasione della gara della “Zampogna alla ciaramedda intorno ai 16 anni (verso il 1980): comincia a segui-
d’Oro”. Erice 1994 (in D’Angelo 2000). re il padre Salvatore nelle novene prima in qualità di cantore e via
via anche come strumentista (IMM. 78 e 80). Potendo tuttora conta-
re sull’aiuto paterno, non ha però appreso né a costruire le ance né
ad accordare lo strumento.
Gli ultimi suonatori oggi attivi, suddivisi in “coppie” (Girolamo
e Salvatore Patellaro insieme a Benedetto Ferraro, Benedetto
Miceli e Salvatore Modica, Bernardo Carrozza con il figlio diciaset-
tenne Salvatore al canto), si esibiscono ancora in occasione delle
tradizionali cadenze celebrative – novene, ottave, tridui, “trionfi” in
onore dei Santi per grazia ricevuta – presso devoti (parrucciani)
residenti a Monreale (sia nel centro storico che nelle frazioni di
Pioppo e Villaciambra), Altofonte e Palermo (nei rioni Brancaccio,
Chiavelli, Guadagna, Cuba-Calatafimi, Mezzomonreale, Noce, Alta-
rello, Uditore, Cruillas, Passo di Rigano, Boccadifalco, Borgo
Nuovo, Sant’Isidoro, Arenella e nella frazione di Villagrazia). Parte-
77. Benedetto Miceli durante la gara della cipano inoltre a gare e sfilate sponsorizzate da enti di promozione
“Zampogna d’Oro”. Erice 1994 (in D’Angelo 2000).
turistica oppure a esibizioni organizzate da istituzioni universitarie
e associazioni culturali1.
Dal 29 novembre al 7 dicembre si svolge la novena dell’Imma-
colata (nuvena râ Madonna), seguita dalla novena di Natale
(nuvena i Natali) che va dal 16 al 24 dicembre. Il ciclo si chiude
con l’ottava dell’Epifania (detta semplicemente uttava) che si
celebra dal 29 dicembre al 5 gennaio. Il triduo (triinu) consiste in
una prestazione musicale limitata ai tre giorni conclusivi dell’ut-
tava (3-5 gennaio), e viene richiesto dalle famiglie meno abbien-
ti o da quanti, se pure in ritardo, non vogliono rinunciare al
“suono” della zampogna. Ancora sporadicamente eseguiti nei

1 Per fare qualche esempio si possono segnalare: la rassegna della “Zampogna


d’Oro”, che si è tenuta a Erice (prov. di Trapani) dal 1965 al 1999 (cfr. D’Angelo 2000);
il “Festival Internazionale della Zampogna” che si organizza annualmente dal 1975
a Scàpoli (prov. di Isernia); il “Festival Nazionale della Zampogna” che si organizza
annualmente dal 1993 a Maranola (fraz. di Formia, prov. di Latina); lo spettacolo Tra-
dizioni musicali in Sicilia, promosso dal Centro di Studi filologici e linguistici sicilia-
ni nell’ambito del «XXI Congresso internazionale di Linguistica e Filologia romanza»
(Terrasini, prov. di Palermo, 19/04/95, con il coordinamento di S. Bonanzinga); lo
spettacolo Canti e suoni della devozione. Le novene di tradizione orale in Sicilia
(Gesso, fraz. di Messina, 27/12/97, a cura di S. Bonanzinga e M. Sarica).

Zampognari del Terzo Millennio

75
quartieri popolari di Palermo sono inoltre i triunfi: “feste musica-
li” celebrate in onore di un santo con valore di offerta votiva
(prummisioni) per grazia ricevuta o da ottenersi, caratterizzate
dall’abbondante consumo di cibi e bevande da parte di invitati e
suonatori. Novene, ottave e tridui si celebrano dalla mattina (a
partire dalle sette) alla sera (fino all’ora di cena), all’interno delle
abitazioni o delle botteghe dei committenti (davanti al presepe o
a immagini sacre), oppure all’esterno se vi si trova collocata
un’edicola votiva (cappilluzza, cupulìcchia, ancora talvolta deco-
rata secondo consuetudine con fronde d’agrumi cariche di frutti,
come rilevato ad Altofonte, Pioppo e Monreale). Le botteghe
sono, oggi come in passato, in prevalenza di generi alimentari
(pasticcerie, panifici, macellerie, botteghe di prodotti ortofrutti-
coli, moderni mini-market). Non mancano inoltre le “focaccerie”
dove si vende il tradizionale pane con la milza (pani câ meusa), i
bar e le sempre più rare taverne. Ogni nuvena si articola in due
o tre cadduozza (pezzi), di norma un brano strumentale e uno o
due canti, che possono variare in funzione dei desideri dei devo- 78. Salvatore Carrozza (zampogna) con il figlio
ti. Di maggiore durata, e quindi più articolate, sono le esibizioni Bernardo. Monreale 2001 (foto F. La Bruna).
che si tengono per l’uttava, oggi richiesta però soltanto da pochi
parrucciani monrealesi. Molto più impegnativa – e conseguente-
mente costosa – è l’ormai sporadica partecipazione ai triunfi,
dove si suona a piacimento dei committenti2.

79. Girolamo Patellaro (zampogna), Benedetto


Miceli e Salvatore Modica eseguono la novena di
Natale. Monreale 1992 (foto G. Garofalo, Archivio
del Folkstudio di Palermo).

80. Bernardo Carrozza. Monreale 2001


(foto di F. La Bruna).

2 Il compenso richiesto dai suonatori-cantori monrealesi per la novena di Natale

1998 è stato di 150-200.000 lire (con sconti variabili per le famiglie disagiate), men-
tre per l’ultimo triunfu, celebrato in onore di san Giuseppe il 19 marzo 1994 nel
rione palermitano dell’Arenella, Patellaro e Miceli hanno ricevuto una retribuzione
di 500.000 lire. La coppia formata da Patellaro e Ferraro nel 2006 ha effettuato le
novene presso 30 parrucciani per l’Immacolata (a Pioppo, Guadagna e Arenella) e
50 per Natale (ad Altofonte, Villaciambra, Villagrazia, Guadagna e Arenella), richie-
dendo compensi oscillanti tra 80-100 euro. Nello stesso anno la coppia costituita da
Miceli e Modica ha celebrato 20 novene per l’Immacolata e 21 per Natale (nei rioni
Cuba-Calatafimi, Noce e Uditore), oltre a 5 ottave per l’Epifania (solo a Monreale).
Sempre nel 2006, Bernardo Carrozza e il figlio Salvatore hanno effettuato circa 30
novene di Natale a Palermo (nei rioni Cuba-Calatafimi, Passo di Rigano, Uditore,
Cruillas, Borgo Nuovo e Sant’Isidoro). Tutti gli zampognari registrano negli ultimi
anni un forte decremento degli impegni e lamentano il disinteresse delle nuove

La zampogna a chiave in Sicilia

76
Le parti della zampogna: costruzione e termi-
6 nologia

La zampogna a chiave siciliana (ciaramedda) comprende quat-


tro canne (canni) di misura diseguale, dotate di ancia doppia
(pipita o sampugna): due melodiche (prima = canta, seconda =
trummuni) e due di bordone (minore = fasettu, maggiore = quàit-
ta). Le canne sono a sezione conica con padiglioni a campana
“aperta”. Le canne melodiche sono in rapporto di ottava e hanno
estensione di una sesta minore (canta) e di una quinta giusta
(trummuni). I bordoni, anch’essi in rapporto d’ottava, sono into-
nati sulla dominante. Una volta montate nel blocco (ottu), le
canne poggiano su di un separatore in legno detto “ponticello”
(punticeddu) a cui vengono fissate con un cordoncino. Le canne,
il blocco e il cannello di insufflazione (scanneddu) sono ornati da
cerchi di tornitura e anelli in rilievo, con bombature nei punti di
raccordo, secondo una tipica maniera barocca che connota la fat-
tura dell’intero strumento. Dalle canne pendono nastri di seta
rossa e, talvolta, palline di lana multicolori (ggiummi). Al segmen-
to mediano del trummuni è applicato un anello metallico che
81-82. Giuseppe Flores rifinisce al tornio un fuso di
canta e mostra uno strumento in lavorazione. funge da passante per la tracolla (cuddara). Questa giova a regge-
Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga). re lo strumento nella posizione corretta: diagonalmente all’asse
del corpo con l’otre in posizione anteriore, sicché le mani del suo-
natore raggiungono le canne melodiche “abbracciando” l’intera
zampogna, come letteralmente suggerisce l’espressione ncuccia-
ri a ciaramedda.
Tutte le parti in legno vengono lavorate al tornio dall’ebanista.
Oltre a sagomare le superfici esterne e il “ponticello”, questi rea-
lizza anche una foratura cilindrica standard delle canne (6 mm.),
l’incavatura dei padiglioni, le aperture corrispondenti ai fori digi-
tali e di intonazione (5 mm.), la cavità interna e i fori del blocco.
Per situare correttamente questi ultimi, equidistanti dal centro e a
crociera, Giuseppe Flores (IMM. 81-82) ne ha riprodotto la corretta
disposizione su un disco di legno corrispondente alla faccia infe-
riore del blocco. Il medesimo risultato era ottenuto da Gaetano
Molone mediante una «dima di cartone» (Guizzi-Leydi 1985: 147).
Gli spessori vengono stabiliti in base a quelli di zampogne già
“collaudate” (cioè vecchi strumenti di provata qualità musicale).
L’ebanista esegue inoltre la rifinitura esterna dei legni. Questa
prevede la semplice lucidatura (ottenuta levigando con tela sme-
riglio di varia gradazione e poi passando “olio paglierino” con
uno straccio di lana o cotone) oppure, a richiesta del committen-
te, la verniciatura (dopo la lucidatura si passano con pennello tre
mani di vernice alla nitro, si leviga con tela smeriglio fine e spu-
gnina d’acciaio secca, e infine si spalma cera vergine diluita in
olio paglierino). Per il completamento delle tredici parti in legno

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

77
di cui è composta una zampogna si impiegano di norma tre setti-
mane. Le poche zampogne interamente costruite da Flores non
sono mai state comunque utilizzate dai suonatori in attività, che
preferiscono impiegare gli strumenti già in loro possesso e ricor-
rono all’artigiano solo per ripararne o sostituirne pezzi danneg-
giati (cfr. Rilevamento 10).
La cameratura conica delle canne (cavatina) viene effettuata a
mano dagli stessi suonatori, per mezzo di una serie di alesatori
molto affilati: i ferri i sonu (ferri da suono). Questi sono di diame-
tro e lunghezza diversi a seconda dei vari segmenti da forare (FIG.
26). Si inizia introducendo il ferro più lungo e stretto nell’apertura
inferiore di ogni pezzo. L’operazione si compie interamente a
FIG. 26. Alesatori conici di vario calibro per la
mano, ruotando il ferro all’interno del pezzo opportunamente fis- cavatura delle canne appartenenti a Benedetto Miceli.
sato in una morsa. Per stabilire con esattezza il punto in cui cam-
biare il ferro, Miceli usa introdurlo prima all’interno di un pezzo già
correttamente cavato, tracciandovi quindi un segno in coincidenza
con il punto d’arrivo. Man mano che si procede nella foratura, si
impiegano ferri sempre più corti e larghi in punta. L’impiego di
simili “ferri” è comune nella costruzione delle zampogne italiane e
varie sono le strategie per graduarne l’uso nella foratura delle
canne. Tra i metodi per fissare le misure delle varie “quote” della
foratura, ricordiamo quello utilizzato da Molone (IMM. 83-84), che
usava effettuare personalmente la delicata operazione:
83-84. Gaetano Molone presso il proprio
Molone di Monreale usa una denominazione numerica, che appar- laboratorio e mentre lavora al tornio.
tiene al campo tecnologico, poiché non è usata dai suonatori, per
designare le misure delle canne, o meglio quelle che egli chiama le
“partite”, e che corrispondono alle quote; ad esempio: 68 - 52 - 48 -
13». Lo stesso Molone comunque riferisce di aver sempre adottato,
come criterio base per la progressiva alesatura dei chanters, la
regola di cambiare ferro ogni 10 centimetri di scavo da allargare.
[Guizzi-Leydi 1985: 142-143]

Per la costruzione della zampogna si preferisce di solito impie-


gare olivo “d’olio” (aliva d’ògghiu, varietà con rami particolarmen-
te dritti e lisci). Si apprezzano anche legni robusti come l’oleastro
(agghiastru) e il frassino (fràscinu), che presentano tuttavia il difet-
to di pesare notevolmente. L’oleastro offre però il vantaggio di una
stagionatura molto più rapida di quella dell’olivo (da due a tre anni
invece di quindici come minimo). Per ragioni sia funzionali che
estetiche si tende ad avere strumenti ricavati da un solo tipo di
legno, ma spesso la necessità di sostituire all’improvviso parti dan-
neggiate non consente di mantenere l’unità del materiale impiega-
to. Altri legni utilizzati sono l’albicocco (varcuocu), il ciliegio (cira-
su), il gelso bianco (cèusu iancu) e il sorbo (zorbu). Le ance sono
ottenute da Arundo donax L. e l’otre è realizzato in pelle di capra.
La zampogna qui presa a modello per le indicazioni di misura
appartiene a Girolamo Patellaro che l’ha ereditata dal padre (FIG. 27,
TAV. 6). È comunque utile comparare queste misure con quelle di
altri strumenti, in modo da porre in evidenza i margini di variabilità
riscontrati. L’incostante rapporto che si registra fra i diversi tubi del
canneggio è dovuto, come chiarito dagli stessi suonatori, all’assem-
blaggio di parti originariamente appartenenti a strumenti diversi,
determinato dalla necessità di sostituire elementi irrimediabimente
danneggiati (in questi casi l’intonazione complessiva si riequilibra
operando sulla misura delle ance e regolando gli innesti dei raccor-
di in modo da allungare o accorciare le canne):

La zampogna a chiave in Sicilia

78
1) Strumento conservato al Museo Pitrè
– CMS (mancante del segmento di testa) 745, CMD 860, BMIN 265, B 236

2) Strumento considerato da Tiby (1957)


– CMS 1935, CMD 1161, BMAG 774, BMIN 387

3) Strumento di Sebastiano Davi (zzù Nenè) considerato da Guizzi-


Leydi (1983)
– CMS 1479, CMD 920, BMAG 705, BMIN 305

4) Strumento utilizzato fino al 1980 da Santo Lo Iacono (ora conser-


vato dal figlio Vittorio)
– CMS 1445, CMD 890, BMAG 730, BMIN 305, B 230

5) Strumento utilizzato fino al 1980 ca. da Giuseppe Ferrante (ora


conservato dal nipote Giuseppe)
– CMS 1465, CMD 940, BMAG 725, BMIN 305, B 225

6) Strumento attualmente utilizzato da Girolamo Patellaro (apparte-


nuto al padre Giacinto)
– CMS 1338, CMD 873, BMAG 670, BMIN 275, B 178

7) Strumento attualmente utilizzato da Benedetto Miceli (apparte-


nuto a Giacinto Davì)
– CMS 1410, CMD 885, BMAG 680, BMIN 310, B 220

Legenda: CMS = canna melodica sinistra; CMD = canna melodica


destra; BMAG = bordone maggiore; BMIN = bordone minore; B = bloc-
co. Misure espresse in millimetri.

6.1. Canneggio

La canna melodica destra (canta, da “canto”, nel senso di voce


conduttrice; TAV. 7) misura 873 mm. ed è divisa in due elementi:
FIG. 27. Zampogna di Girolamo Patellaro fuso (tubba o cannolu i canta, “tromba” o “cannolo” della canta) e
padiglione (nnappa i canta, “tazza” della canta, per analogia mor-
fologica poiché con nnappa si intende una tazza senza manici).
Presenta quattro fori digitali anteriori (puittusa i tonu dâ canta,
buchi di “tono” della canta), uno posteriore (puittusu i testa, buco
“di testa”) e cinque fori di intonazione (puittusa i canta): quattro
sulla parte inferiore del fuso (due dei quali diametralmente oppo-
sti) e uno sul padiglione.
La canna melodica sinistra (trummuni, “trombone”; TAV. 8)
misura 1338 mm. ed è divisa in tre elementi: fuso (pezz’i testa,
pezzo “di testa”), segmento mediano dotato di chiave (chiavettu) e
padiglione (nnappuni, “tazzone”). Presenta tre fori anteriori (puit-
tusa i tonu dû trummuni) più una chiave aperta (chiavinu) desti-
nata a coprire il quarto foro. Vi sono inoltre due fori di intonazione
diametralmente opposti nella parte alta del padiglione (puittusa i
trummuni). La chiave viene realizzata adattando normali chiavi per
strumenti a fiato da orchestra (particolarmente utilizzata è quella
del clarinetto basso).
Il bordone minore (fasettu, “falsetto”, per significare la voce più
acuta; TAV. 9) misura 275 mm. ed è diviso in due elementi: segmen-
to superiore (pezz’i testa i fasettu) e padiglione (nnappicedda i
fasettu, “tazzina” del fasettu). Il bordone maggiore (quàitta, “quar-
ta”, nel senso letterale di “quarta canna” dello strumento; TAV. 10)
misura 670 mm. ed è diviso in due elementi: fuso (tubba o canno-
lu i quàitta) e padiglione (nnappicedda i quàitta).

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

79
Il segmento superiore di ogni canna è dotato di un cursore
all’estremità da innestarsi nel blocco. Poiché nei fori d’imbocco dei
cursori vanno inserite le ance, questi vengono detti sampugnari
(lett. “zampognari”). I raccordi fuso-padiglione nella canta e fuso-
segmento mediano e segmento mediano-padiglione nel trummuni
sono realizzati a vite, mentre in entrambi i bordoni il raccordo con
il padiglione è “a tenone”. Le filettature vengono realizzate a mano
con l’ausilio di una madrevite (matriviti) per il “maschio” e di una
limetta per la “femmina”. Ogni parte destinata a penetrare in una
cavità di alloggiamento – sia a vite che a innesto – viene detta mèc-
cia (lett. “pene”, tecnicamente “maschio”). I punti di raccordo ven-
gono sempre avvolti con filo di cotone, in modo da creare lo spes-
sore necessario ad assicurare un assetto ottimale del canneggio.

6.2. Blocco

Il blocco ha una forma tronco-conica caratterizzata da modana-


tura esterna con funzione sia decorativa che di rinforzo, talvolta
accresciuta da una fascetta metallica (TAV. 11). La denominazione
locale del blocco (ottu) si riferisce alla tipica sagoma a bicchiere (in
siciliano gottu, rar. ottu). L’orlo della parte superiore – la più stret-
ta – presenta una apposita scanalatura destinata ad alloggiare la 85-86. Miceli raccoglie la canna
per la costruzione delle ance.
legatura con l’otre. Sulla superficie inferiore sono ricavate quattro Monreale, Monte Caputo, 1998
forature coniche in cui vengono innestate le canne (altezza 45 (foto S. Bonanzinga).

mm., diametro inf. 24 mm., diametro sup. 16 mm.). Al centro della


superficie inferiore vi è quasi sempre un pomello (piricuddu).
Come di norma nelle zampogne italiane, i fori per le canne non
sono «paralleli all’asse del blocco, ma divergenti, in modo da
determinare la necessaria divergenza delle canne tra loro» (Guiz-
zi-Leydi 1985: 132). La foratura che presenta maggiore inclinazione
è quella destinata a ospitare il bordone minore, seguita da quella
corrispondente al bordone maggiore, mentre risultano meno
divergenti tra loro le forature per l’alloggiamento delle canne
melodiche. L’altezza totale del blocco è in questo caso di mm. 178
(superiore soltanto a uno dei blocchi di riserva posseduti da Santo
Lo Iacono, che misura mm. 162).

6.3. Insufflatore

L’insufflatore è composto da tre elementi, due dei quali esterni


e uno interno all’otre (TAV. 12): a) bocchino (cannolu), realizzato in
canna o in legno di sambuco (raccolto tra febbraio e marzo, si
lascia stagionare e verso fine agosto è pronto per l’uso); b) can-
nello esterno (scanneddu i fora), a sezione cilindrica; c) cannello 87. Miceli si appresta alla costruzione delle ance.
interno (scanneddu i rintra), a sezione conica con la parte termi- Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga).
nale in forma sferica. Il cannello esterno è dotato di una valvola
per evitare il riflusso del fiato detta suvattu, termine che indica
anche la varietà di cuoio impiegata nella confezione di finimenti e
guinzagli. Il suvattu è infatti costituito da un dischetto di cuoio ben
unto di grasso (sivu) fissato con un chiodino (zzippula) al bordo
inferiore del cannello1.

1 Per raffronti relativi alla tipologia degli insufflatori applicati alle zampogne dell’Ita-
lia centro-meridionale, cfr. Guizzi-Leydi 1985: 152-155 e Gioielli 2005: passim.

La zampogna a chiave in Sicilia

80
6.4. Ance

Raccolta e stagionatura della canna (cfr. Rilevamento 9). La


raccolta deve essere effettuata tra dicembre e febbraio (periodo di
riposo della pianta) in una zona elevata, caratterizzata da terreno
arido-roccioso e ben esposto al sole. Diversamente da quanto
accade in altre regioni italiane, i suonatori monrealesi non colle-
gano la raccolta della canna ai cicli lunari (cfr. Guizzi-Leydi 1985:
159). La canna deve essere «di montagna» e siccagna, non deve
cioè prendere troppa acqua, perché allora risulterebbe eccessiva-
mente fragile (canna masca). La canna d’altura è anche preferibi-
le perché si ritiene che il clima rigido contribuisca a migliorarne la
qualità, uccidendo i parassiti della pianta e irrobustendone gli
steli. Il taglio, effettuato con cesoie o coltello, avviene sempre a
partire dalla radice fino al quinto o sesto nodo (è questo infatti il
segmento più robusto). I pezzi raccolti – lunghi mm. 600-700 con
diametro di circa mm. 15 – vengono subito valutati per consisten-
FIG. 28. Lame e “misurino” per la lavorazione delle za e flessibilità, in modo da operare una prima selezione (IMM. 85-
ance appartenenti a Benedetto Miceli. 86). Le canne vengono quindi esposte in luogo aperto e ventilato
(solitamente un balcone), dove rimangono a stagionare (amman-
siri) fino al mese di giugno, quando vengono trasferite in un loca-
le chiuso. Il fogliame e la pellicola che riveste la canna saranno
asportati solo d’estate, verso la fine d’agosto, a stagionatura com-
piuta. Si scelgono (scartanu) allora le canne per mezzo di una
semplice prova che consiste nell’inciderne con l’unghia la super-
ficie per valutarne la compattezza (IM. 87). Se non resta segno del-
l’incisione si dice che la canna è diventata vitrigna (vetrosa) e che
può pertanto essere lavorata. Di ogni pezzo posto a stagionare si
impiega sempre il secondo cannolu (segmento fra due nodi),
spesso il terzo e il quarto solo nel caso in cui la qualità del mate-
FIG. 29. Fase iniziale della lavorazione dell’ancia:
a) si divide in due listelli il segmento di canna;
riale si sia rivelata particolarmente buona.
b) si sgrossa il listello mediante coltello da innesto; Costruzione dell’ancia (cfr. Rilevamento 12). Il cannolu prescel-
c) si assottiglia ulteriormente mediante lama ricurva to, mediante un affilato coltello da innesto (cuteddu ri nsitari, FIG.
(disegno di G. Aiello).
28a) viene diviso verticalmente in due listelli (FIG. 29a). Si imprime
quindi una torsione al pezzo di canna da lavorare per vedere se
“ritorna”, ovvero se risulta abbastanza elastico. Il listello seleziona-
to si sgrossa (si spalitta) prima con il coltello da innesto (FIG. 29b,
IM. 88) e poi si assottiglia con una apposita lama ricurva (cavaturi,
FIG. 28b), fino a ottenere il giusto spessore (FIG. 29C, IM. 89). A que-
sto punto si adopera un bastoncino di legno con tre tacche di rife-
rimento (misurinu, FIG. 28c) per dividere il listello in due parti di
eguale lunghezza (mm. 80; IM. 90). Le lamelle così ottenute vengo-
no appaiate con la parte concava all’interno e legate insieme con
spago fine a una estremità e al centro (FIG. 30a). L’estremità libera
viene quindi sagomata a punta in modo da potere alloggiare inter-
namente un cannellino metallico (rameddu, FIG. 30b). L’ancia in
lavorazione viene a questo punto posta dentro un bicchiere d’ac-
qua “ad assestarsi” (â ssistari). Nel frattempo si procede alla ince-
ratura (nciratura) dello spago da utilizzare per sigillare il rameddu
(IM. 91) e poi fissarlo definitivamente alle lamelle dell’ancia (FIG.
30d). L’operazione si esegue cospargendo lo spago di cera vergine
(cira) finché, facendolo scorrere tra pollice e indice, non si produ-
ca una caratteristica sonorità da sfregamento. Il rameddu è di lun-
ghezza diversa a seconda che debba essere montato su canta e
fasettu (mm. 40 ca.) oppure su trummuni e quàitta (mm. 50 ca.).
Un tempo si realizzava utilizzando una lastrina di rame, da cui la

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

81
denominazione di “ramello” (cfr. cap. 9), mentre oggi si ottiene più
semplicemente arrotolando su un chiodo da mm. 80 (diametro
mm. 4) dei rettangolini di lamiera liscia (lanna) ricavati da scatola-
me per alimenti (Miceli usa in preferenza scatole di sardine). Per
condurre l’operazione, Miceli utilizza una piccola incudine su cui
ha creato un incavo che funge da contro-stampo: entro questo
forza il lamierino e – con l’ausilio del gambo del chiodo – ne ottie-
ne la piegatura, fino ad accostare perfettamente i lembi senza
necessità di saldatura (IM. 92). L’estremità del rameddu che andrà
infissa tra le lamelle viene schiacciata leggermente, mentre il
corpo si fascia con spago incerato, per evitare dispersione d’aria e
adattarlo all’imboccatura della canna. Si fascia quindi il raccordo
tra lamelle e rameddu, annodando la fasciatura e spalmando la
cera in eccesso per assicurare la tenuta d’aria (se ne ottiene verifi-
ca soffiando nel rameddu tenendo bloccate le lamelle). Di nuovo
l’ancia viene posta nell’acqua, dove si lascia per una decina di
minuti. Si possono quindi eliminare le due legature con cui si
erano inizialmente appaiate le lamelle e si procede ad assottigliar-
le utilizzando il coltello da innesto. Raggiunto lo spessore deside-
rato si finisce l’ancia mediante molatura (mmulari a pipita). Que-
88-89. Sgrossatura e assottigliamento del listello di
sta operazione deve essere compiuta inumidendo costantemente canna. Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga).
sia l’ancia che la mola (petra mola) ed eliminando via via i residui
di sfregamento (IM. 93). Il coltello si usa per tranciare l’estremità
dell’ancia al fine di pareggiare le lamelle determinandone nel con-
tempo la lunghezza. Si riprende pertanto a levigare e ad affilare
sulla mola l’estremità dell’ancia, soffiandovi dentro di tanto in
tanto fino a ottenere l’esatta produzione sonora. Solo a questo
punto si potrà vagliare la qualità della pipita, inserendola nella
canna della zampogna per farla prima ssistari (assestare) e poi
sunari (suonare). Il procedimento descritto dura circa due ore e,
stando alle testimonianze raccolte, la percentuale di ance che
superano la “prova del suono” è molto bassa (può addirittura
90. Divisione del listello di canna in due parti di
capitare che fra dieci o venti non ne riesca neppure una). La dura- eguale misura. Monreale 1998 (foto. S. Bonanzinga).
ta di una pipita, tenuta umida e in continuo esercizio, non supera
di norma i due mesi (che poi è il tempo della “stagione” per gli
zampognari monrealesi). Le dimensioni possono variare entro un
certo margine, sicché a ogni canna corrisponde un’ancia di misu-
ra diversa: più corte quelle di canta e fasettu, più lunghe per trum-
muni e quàitta (FIGG. 31-32, ma si vedano anche FIGG. 12 e 16).

6.5. Otre

Ai fini della preparazione dell’otre (utru) è opportuno seleziona-


re una capra strippa (sterile, e pertanto con mammelle di dimen-
sioni molto ridotte) non troppo vecchia, in modo da ricavarne una
pelle di sagoma e qualità ottimali (cfr. Rilevamento 11). Nei mesi
estivi si scanna l’animale prescelto e lo si scuoia a partire dalla
zampa posteriore sinistra, badando a mantenere integro il vello.
Questo viene quindi lavato in acqua corrente e posto sotto sale
dentro un paniere di vimini, che viene successivamente riposto in
un luogo fresco e ventilato per un periodo variabile (se fa molto FIG. 30. Fasi della lavorazione dell’ancia:
a) si appaiano e legano insieme le due lamelle di
caldo è sufficiente una giornata e in ogni caso non si lascia più di canna e se ne sagoma a punta l’estremità inferiore;
tre giorni). La lavorazione inizia sciacquando la pelle ed eliminan- b) si prepara il “ramello”;
c) si fissa con lo spago l’ancia sul ramello;
do le parti superflue (orecchie, eventuali residui di carne ecc.). A d) si sigilla il ramello per fissarlo definitivamente
questo punto si chiudono con nodi provvisori tutte le aperture alle lamelle dell’ancia (disegno di G. Aiello).

La zampogna a chiave in Sicilia

82
eccettuata quella corrispondente a una delle zampe posteriori da
cui si immette aria nella pelle soffiando attraverso una canna (o
ricorrendo a un piccolo compressore). La pelle, così gonfiata con
il pelo all’esterno, potrà ora essere agevolmente tosata. Dopo la
tosatura si sciolgono i nodi provvisori, si elimina il pelo residuo
dalle aperture, si sciacqua la pelle, la si rivolta con il pelo all’inter-
no, si rimuovono le scorie e infine si risciacqua. L’otre prende
forma grazie a tre legature realizzate con spagu i zotta (sferza di
canapo usata dai carrettieri per incitare gli animali) nell’ordine
seguente: 1) la zampa posteriore sinistra con i fori anale e genita-
91. Inceratura dello spago utilizzato per sigillare il le; 2) la zampa posteriore destra (u piruzzu) da sola, ma in modo
“ramello” e fissarlo alle lamelle dell’ancia.
Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga). da potere all’occorrenza utilizzare l’apertura come sfiatatoio; 3) la
zampa anteriore destra da sola. La prima e la terza legatura si effet-
tuano con nodi “a strangolare” (affucacavaddu), la seconda con
nodo semplice (scocca). La prima legatura, relativa all’apertura più
ampia, viene rinforzata mediante un chiodo da otto cm. infisso
nella pelle raccolta a fisarmonica (la punta del chiodo viene poi
tranciata per evitare danni all’otre). Le due aperture corrisponden-
ti al collo e alla zampa anteriore sinistra dell’animale sono rispet-
tivamente destinate all’inserzione del blocco e dell’insufflatore
(cfr. supra). Mentre l’insufflatore si innesta già a questo punto
della lavorazione, in luogo del blocco si pone una legatura tempo-
ranea (se il collo dell’animale è corto), oppure si inserisce una bot-
92. Sagomatura del “ramello’ sull’incudine. tiglia o un pezzo di legno appositamente modellato (se il collo è
Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga).
lungo). A questo punto l’otre si gonfia (si ùscia), si strofina con
sale e luma (galla, sostanza conciaria di origine vegetale) e si
appende per il collo in luogo chiuso ma ventilato. Alla parte infe-
riore, nel punto corrispondente alla prima legatura, si applica per
un paio di giorni un contappeso (càrrica) – variabile da venti a tren-
ta chili secondo le esigenze (più il collo è corto maggiore dovrà

93. Molatura dell’ancia.


Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga).

FIG. 31. Ance in posizione sulle canne:


più lunghe per canna sinistra e bordone maggiore;
più corte per canna destra e bordone minore.

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

83
essere il peso e viceversa) – in maniera che l’otre stia ben disteso
e possa acquistare la giusta conformazione oblunga (funzionale
alla postura dei suonatori). Eliminata la zavorra, si lascia l’otre
appeso fino al momento dell’uso (IMM. 94-97). Basterà allora
ammorbidire con abbondante acqua la pelle del collo per potervi
agevolmente innestare il blocco della zampogna.
Di norma l’otre si rimpiazza annualmente e non dura comun-
que più di due o tre anni. In caso di piccole lacerazioni, si usa
ripararlo utilizzando appositi dischetti “tappi” di legno, detti a
Palermo bbuttuni (FIG. 18) e a Monreale virticchi (lett. “fusaioli”,
piastrelle di scorrimento infilate al vertice del fuso). Questi con-
sistono in dischetti cilindrici di diametro variabile (mm. 25-75)
con scalanatura laterale (i più piccoli vengono realizzati con il
coltello dagli stessi suonatori, gli altri vengono fatti al tornio). La
riparazione si esegue fissando con spago incerato i bordi dello
strappo attorno alla scanalatura del dischetto. La legatura si
effettua dall’interno dell’otre, utilizzando per operare l’apertura
corrispondente al blocco, sicché gli effetti dell’intervento risulta-
no quasi invisibili.

94-97. Fasi della realizzazione dell’otre


da parte di Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro:
pulitura della pelle, legatura provvisoria, inserimento
dell’insufflatore, sospensione con zavorra.
Monreale 1998 (foto S. Bonanzinga).

La zampogna a chiave in Sicilia

84
TAV. 6. Tutte le parti in legno della zampogna di Girolamo Patellaro.

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

85
TAV. 7. Canna melodica destra: a) fuso; b) padiglione.

La zampogna a chiave in Sicilia

86
TAV. 8. Canna melodica sinistra: a) fuso; b) segmento mediano dotato di chiave; c) padiglione.

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

87
TAV. 9. Bordone minore: a) fuso; b) padiglione.

TAV. 10. Bordone maggiore: a) fuso; b) padiglione.

La zampogna a chiave in Sicilia

88
TAV. 11. Blocco.

TAV. 12. Insufflatore: a) bocchino; b) cannello esterno; c) cannello interno.

Le parti della zampogna: costruzione e terminologia

89
TAV. 13. Zampogna di Girolamo Patellaro (disegno di M. Modica).

La zampogna a chiave in Sicilia

90
Il repertorio e lo stile esecutivo
7

In base ai rilevamenti che abbiamo condotto nell’arco degli ulti-


mi vent’anni e alle altre documentazioni direttamente consultate1,
il repertorio della zampogna a chiave comprende, oggi come in
passato, canti di argomento esclusivamente devozionale (canzuni)
e melodie strumentali anche di matrice “laica” (sunati).
I temi dei canti rispecchiano quelli ampiamente attestati in Sici-
lia nei secoli scorsi: la natività, l’infanzia e la passione di Cristo, la
vita e i miracoli dei Santi, la venerazione della Madonna e altre
“storie” sacre, tra le quali spicca la parabola del Figliol prodigo
(cfr. cap. 2 e Appendice per i confronti più diretti)2. Come normal-
mente accade nella musica di tradizione orale, un ridotto numero
di melodie viene adattato a componimenti diversi. Gli zampognari-
cantori monrealesi impiegano in particolare quattro moduli melo-
dici, che chiamano toni: I) per i canti in ottonari; II) per i canti in
endecasillabi; III) solo per il Figliol prodigo (in endecasillabi); IV)
solo per le Salve Regina (in quinari e settenari). Il primo e il secon-
do tonu vengono designati attraverso il riferimento alla figura
sacra che domina nei canti ritenuti “più importanti”, rispettivamen-
te san Giuseppe e sant’Antonino. I due toni associati a testi poeti-
98. Girolamo Patellaro mette a punto ci in metri brevi (I e IV) possono essere inoltre interpretati secon-
l’accordatura dello strumento.
Monreale 1998 (foto R. Perricone).
do due diversi stili di canto: a muttettu (a mottetto), con andamen-
to prevalentemente sillabico in ritmo regolare; a vuci stisa (a voce
distesa), secondo un ritmo tendenzialmente libero caratterizzato
da suoni “tenuti” inframmezzati da melismi. I canti in endecasilla-
bi, intonati su un tonu più ornato e ritmicamente libero, potevano
anche essere interpretati a muttettu, semplificando la linea melo-
dica e regolarizzando l’andamento ritmico.
Il materiale melodico delle canzuni viene anche proposto in
forma strumentale, nell’ambito di componimenti in cui si usa fon-
dere estemporaneamente più melodie. Una sunata può anche
essere giustapposta a una canzuna senza soluzione di continuità,
come finale virtuosistico. Sunati specificamente strumentali sono
la Pasturali, la Calabrisella, la Scala (termine che indica anche il
“preludio” con cui si apre ogni esecuzione) e la Litania (che in pas-

1 Si tratta di quanto segnalato nell’Inventario dei documenti sonori e audiovisuali


alle sezioni A, B (limitatamente ai rilevamenti 2 e 3), C (limitatamente alle audiocas-
sette 2 e 3) e D.
2 Testi poetici di canti religiosi siciliani vennero raccolti nell’Ottocento principalmen-

te da Vigo (1870-74) e da Pitrè (1870-71). Per l’indicazione dei canti religiosi diffusi
in stampe popolari vedi in particolare Salomone Marino 1896-1901. Sulla poesia
popolare religiosa in Sicilia si veda l’utile sintesi di Maria Tedeschi (1928-39) e per
un quadro più ampio, relativo al territorio italiano, cfr. Toschi 1935.

Il repertorio e lo stile esecutivo

91
sato poteva essere cantata sul testo latino delle Litanie lauretane).
Vengono inoltre eseguiti adattamenti strumentali di celebri canti
religiosi (Tu scendi dalle stelle, Inno eucaristico, La Madonna di
Fatima), di canzonette “folkloristiche” (Turidduzzu, Lazzarella, Na
picciuttedda c’avìa sta matina), della marcia detta Bersagliera e di
vari ritmi di danza (valzer, tarantella), nonostante questo tipo di
zampogna non svolga funzione di accompagnamento al ballo. Tu
scendi dalle stelle viene anche cantato, con insolita sovrapposizio-
ne tra melodia vocale in maggiore e accompagnamento in mino-
re. Si tratta di una evidente reminescenza dell’originario assetto
armonico dello strumento, che in misura più attenuata si rileva
anche nel canto del Figliol prodigo (cfr. infra).
Per definire lo “stile” dell’esecuzione, soprattutto valutato in
FIG. 33. Punteruolo (a) e tappi (b)
rapporto alla capacità di ornare con destrezza la melodia senza impiegati per l’accordatura.
pregiudicare la fisionomia dei diversi passaggi, i suonatori usano
il termine galateu (galateo), riferito tanto al singolo individuo (a es.
«il galateo dello zio Nenè») quanto ai gruppi familiari (a es. «i Davì
e i Carrozza non hanno lo stesso galateo»).

7.1. Accordatura e diteggiatura

L’intonazione delle canne viene corretta: a) levigando le ance


e/o modificandone la lunghezza (più si accorciano più acuto sarà il
suono); b) regolando la porzione di rameddu che fuoriesce dal foro
di alloggiamento (una maggiore estensione del rameddu abbassa
l’altezza del suono e viceversa); c) ritoccando con cera vergine
l’imbocco dei fori digitali e di intonazione (aggiungendo cera si
abbassa l’altezza del suono e viceversa); d) regolando la porzione
di innesto tra fuso e campana nei bordoni (allungando le canne si
abbassa il suono e viceversa). Per rimuovere la cera si usa un
apposito ferro conico detto spuntuni (punteruolo), che viene anche 99. Particolare del chiavettu con evidenza
impiegato per intaccare il legno modificando lievemente il contor- del foro otturato in corrispondenza della
no dei fori (FIG. 33a, ma vedi anche FIG. 12). chiave rimossa (zampogna di G. Patellaro).
Monreale 1998 (foto R. Perricone).
Poiché l’accordatura (accurdatina) si effettua a partire dalla
canna melodica destra, è anzitutto necessario ascoltarne il suono
“aperto” – cioè senza occlusione di alcun foro – per stabilire se
risulta troppo ruossu (grosso, cioè grave) o aiggintinu (argentino,
ovvero acuto), gghiàutu o vàsciu (alto o basso, rispetto non all’al-
tezza ma all’intensità sonora3), oppure se l’ancia è foitti i vientu
(lett. “forte di vento”, cioè ha bisogno di troppo fiato, è “dura”).
L’accordatura dello strumento procede quindi nell’ordine se-
guente: 1) le due canne melodiche insieme (suoni delle canne
“aperte” a distanza di ottava); 2) la canna melodica destra e il bor-
done minore (suono della canta “aperta” coincidente con quello
del fasettu); 3) la canna melodica destra e il bordone maggiore
(suono della canta “aperta” un’ottava sopra quello dalla quàitta).
La fase appena descritta si esegue insufflando le canne diretta-
mente a bocca. Una volta innestate le canne nel blocco si otturano
i bordoni con tappi di sughero (stuppagghi, FIG. 33b) e si passa a
digitare i fori della canta, iniziando da quello azionato dal pollice e
proseguendo con le sequenze indice-pollice (effettuando un tipico

3Si osservi che qui perdura l’antica terminologia musicale in cui gli aggettivi
haut/bas (in Francia) o alto/basso (in Italia), non si riferivano a questioni di altezza
ma di potenza sonora (cfr. Sachs 1980: 453).

La zampogna a chiave in Sicilia

92
movimento in rapida alternanza chiamato trillu i testa) e indice-
pollice-medio. Mediante opportuni interventi sull’ancia e sul
rameddu si procede finché il suono “arriva” ai fori più distanti,
digitati dall’anulare e dal mignolo. L’accordatura procede analoga-
mente – sempre in senso discendente – sulla canna melodica sini-
stra. Il giusto rapporto sonoro tra le canne viene costantemente
verificato mediante l’iterazione del tipico preludio che introduce le
sonate monrealesi. Appena ottenuta una apprezzabile corrispon-
denza tra le canne melodiche (quannu u sonu è pparu), si intervie-
ne sui fori con cera e spuntuni. Da tale operazione sono esclusi i
fori della canta azionati da indice e anulare, mentre di rado risulta
necessario ritoccare i fori di intonazione. Successivamente si cor-
regge l’altezza dei bordoni che vengono liberati dal tappo uno alla
volta a iniziare dal maggiore (si dice che a mèccia acchiana o scin-
ni per significare rispettivamente l’accorciamento o il prolunga-
mento dei bordoni ottenuto agendo sul punto di raccordo tra fuso
e campana). Una volta intonate insieme le quattro canne (quannu
100. Girolamo Patellaro esegue un passaggio i canni sunnu appattati), la zampogna deve essere suonata per
del “preludio”. Monreale 1998 (foto R. Perricone).
circa un’ora per stabilizzarsi (a ciaramedda s’av’â rassignari). Si
dice allora che i puittusa vonnu ràpriri (i fori “vogliono aprire”) o
che vonnu chiùriri (“vogliono chiudere”), in rapporto alla necessi-
tà di togliere o aggiungere cera per correggere l’intonazione (un
grumo di questa viene tenuto sul ponticello di separazione tra le
canne per essere sempre disponibile all’occorrenza). Il complesso
delle operazioni necessarie a mettere lo strumento nelle condizio-
ni di suonare (dalla sistemazione dell’otre alla rifinitura delle ance,
fino all’adeguata intonazione delle canne) viene detto cunzari a
ciaramedda (preparare la zampogna) (cfr. Rilevamenti 16 e 19).
Riportiamo la scala che si ottiene dallo strumento con indica-
zione della diteggiatura impiegata dagli attuali suonatori (ES. 1).
L’altezza dei suoni può variare lievemente in funzione dell’accor-
datura, che si presenta in tutti i casi rilevati oscillante tra il sol e il
la (per comodità di lettura si conviene di trascrivere tutti gli esem-
pi musicali in tonalità di LA minore). Si osservi la posizione alter-
nativa del mi sulla canna melodica sinistra, impiegata esclusiva-
mente per ottenere il salto di quinta, sollevando solo l’indice anzi-
ché tutte le dita nel passaggio dalla nota più grave (la, a fori tutti
chiusi) a quella più acuta (mi, di norma a canna aperta).
ES. 1 - Scala e diteggiatura
secondo la tradizione odierna.

7.2. Canti

L’esecuzione dei canti si svolge in base a una sequenza ricorren-


te: PRELUDIO (scala) / STROFA POETICA (paitti, ‘parte’) / INTERLUDIO (pas-
sàggiu) / STROFA POETICA. Ogni modulo melodico si replica con varia-
zioni per tutte le strofe del canto, a eccezione della strofa conclusi-
va caratterizzata da formule cadenzali spiccatamente melismatiche
che vengono indicate con il termine finitura (parte finale).

Il repertorio e lo stile esecutivo

93
I diversi toni vengono modificati in funzione del canto da ese-
guire e secondo lo stile del singolo cantore, che ne utilizza gli sche-
mi in modo plastico, adattandoli al metro e al senso del testo attra-
verso pause, prese di fiato, vibrati, glissati, portamenti, abbelli-
menti (acciaccature, appoggiature, gruppetti, mordenti) e trasfor-
mazioni melodico-ritmiche talvolta consistenti. Una più spiccata
tendenza all’ornamentazione e una maggiore libertà ritmica si
riscontra nelle melodie corrispondenti a testi in endecasillabi (toni
II e III) e nello stile di canto a vuci stisa. Mutuando la terminologia
formulata da Bernard Lortat-Jacob per descrivere i processi
improvvisativi nelle musiche di tradizione orale, si può dire che
questi toni costituiscono dei modelli “densi”, dove «gli elementi
variati mantengono la traccia tangibile del modello che fa da rife-
rimento» (2006: 723).
Sotto il profilo armonico ricorre sempre la medesima struttura,
fondata sull’alternanza fra tonica e dominante (LA min. / MI
magg.), con cadenza conclusiva sulla tonica, raggiunta quasi sem-
pre passando per la sensibile (sol#). Nell’accompagnamento stru-
mentale, alla canta è affidata la parte melodica e ornamentale,
mentre il trummuni svolge soprattutto funzione di sostegno ritmi-
co-armonico. Quando una delle due canne melodiche produce la
stessa nota del bordone (a fori tutti aperti), si avverte una momen-
tanea interruzione del suono che simula un effetto di “staccato”.
L’emissione vocale presenta il prevalente impiego del registro
di testa, con propensione ad assestarsi sulla particolare timbrica
dello strumento, rendendo talvolta difficile la comprensione delle
parole. L’ambitus vocale riflette tra l’altro quello della canta (sesta
minore, sol#-mi): di rado vengono raggiunte note più alte (il fa con
maggiore frequenza e il sol occasionalmente) e non si scende mai
al di sotto della sensibile.
Nel corso delle nostre indagini abbiamo registrato sedici testi
poetici, rappresentativi di un repertorio che in passato doveva
essere certamente più ampio. Come riferiscono gli zampognari, a
Monreale erano spesso gli stessi devoti a cantare durante le nove- 101. Benedetto Miceli (zampogna) e Girolamo
Patellaro eseguono la novena dell’Immacolata.
ne (IM. 70), partecipando in modo diretto a una tradizione affidata Palermo, fraz. Villagrazia, 1998 (foto S. Bonanzinga).
all’oralità, nonostante la maggior parte dei testi tramandati sia
riferibile a componimenti di origine semiculta (soprattutto eccle-
siastica) messi a stampa su fogli volanti o libretti divulgati princi-
palmente dai cantastorie orbi. Nelle attuali esecuzioni abbiamo
rilevato una tendenza a “condensare” i testi più lunghi (a esempio
U viàggiu o le “storie” di sant’Antonino e della Madonna), selezio-
nandone le parti più significative, meglio radicate nella memoria
dei cantori. Spostamenti di strofe o di blocchi di strofe, oltre alle
consuete varianti testuali, intervengono quindi a modificare i testi
anche sensibilmente da una esecuzione all’altra. Talvolta delle sil-
labe con valore eufonico (e, o, er, ier) vengono anteposte o infram-
mezzate ai versi per “aggiustarne” la misura rispetto alla melodia
o per enfatizzare certi passaggi del testo.
Ai canti in quartine di ottonari (a rima alternata o baciata) è
associata una melodia bipartita (AB, 4+4 misure) che si estende
entro un intervallo di sesta minore (sol#-mi), con ritmo tendente al
6/8. Le semifrasi (abcd) – corrispondenti ai versi della quartina
poetica – attaccano sempre sul V grado (mi) e chiudono con profi-
lo discendente sui gradi II-I-IV-I. Fa eccezione la variante indicata
con a’ – che a volte compare nelle strofe pari come una sorta di
complemento melodico dello schema-base (cfr. a esempio trascri-

La zampogna a chiave in Sicilia

94
zione 2) – caratterizzata da incipit ascendente per gradi congiunti
(la-si-do) e salto di terza minore in chiusura (sol#-si). La struttura
poetico-melodica può anche essere prolungata dai cantori attra-
verso l’iterazione del secondo distico della strofa (la forma diviene
in questo caso ABB). Alcuni tra i possibili percorsi di variazione, a
partire dalla melodia semplificata (sulla base delle trascrizioni 1-3),
sono schematizzati nell’esempio che segue:

ES. 2 - San Giuseppi (tono I).

Su questa melodia si intonano i canti specificamente legati al


tema della Natività (U viàggiu i san Giuseppi, A la notti ri Natali, U
picuraru, I tri Re), l’orazione agiografica Santa Rusulìa e la “canzo-
netta” Dinghi dinghi la campanedda.
Il testo più ampio e caratterizzante dell’intero repertorio mon-
realese è U viàggiu (o caminu) i san Giuseppi, rispondente alla
tipologia poetico-musicale della nuvena (novena). Si tratta di un
lungo componimento, originariamente suddiviso in iorna o iurna-
ti (giorni o giornate), che si usava appunto cantare progressiva-
mente, con cadenza giornaliera, in occasione della novena di Nata-

Il repertorio e lo stile esecutivo

95
le. Oggi questa prassi esecutiva non viene più rispettata, ma le
strofe del Viàggiu si continuano a cantare estrapolando le parti che
narrano gli eventi fondamentali della storia: l’emanazione del-
l’editto imperiale sul censimento, che rende necessario il “viag-
gio” di Giuseppe e Maria; i preparativi e la partenza dei due sposi;
l’arrivo a Betlemme e l’infruttuosa ricerca di alloggio; l’arrivo alla
grotta e la nascita del Bambino. Il testo ricalca quello di un celebre
componimento dato alle stampe intorno alla metà del Settecento
proprio da un sacerdote di Monreale, il canonico Antonino Diliber-
to, meglio noto come Binidittu Annuleru:

Fu […] uno dei valenti alunni del Seminario arcivescovile nel tempo
che questo prosperava sotto il rettorato di Giacomo Gaudesi (1707- 102-103. Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro
1733). Autore del famoso Viaggiu dulurusu, che si canta nella nove- eseguono la novena dell’Immacolata
na del Natale, e che dalla metà del secolo XVIII a noi si è stampato all’interno di un’osteria. Palermo,
rione Guadagna, 1998 (foto G. Giacobello).
e ristampa annualmente a migliaja di copie. In questo libretto,
come nell’altro della Duttrina Cristiana, l’A. assunse il pseudonimo
di Benedetto Annuleru, col quale è conosciuto. [Salomone Marino
1896-1901: 251]

Il titolo completo del poemetto è Viaggiu dulurusu di Maria


Santissima e lu Patriarca S. Giuseppi in Betlemmi. Canzunetti sici-
liani di “Binidittu Annuleru” di la città di Murriali, divisi in 9 jorna,
pri la nuvena di lu Santu Natali di Gesù Bambinu (cfr. la fotoripro-
duzione di una stampa del 1891 in Appendice C). Salomone Mari-
no ne indica tredici edizioni prevalentemente ottocentesche (1896-
1901: nn. 101, 125, 142, 208, 216, 259, 280, 326, 337, 376, 385, 399,
App. 40) e Pitrè ne ricorda la diffusione tra i cantastorie orbi di
Palermo in occasione della novena di Natale4:

Quali fossero anticamenti i canti di questi ciechi, io non lo so. La


tradizione ce ne ha fatto giungere non pochi, ma quali particolar-
mente si cantassero i questa lieta ricorrenza, niente ce lo dice. Dalla
prima metà del secolo passato si ha però un Viaggiu dulurusu di
Maria SS. e lu Patriarca S. Giuseppi in Betlemmi, canzonette sicilia-
ne divise in nove giorni per la novena di Gesù Bambino, opera – se
è vero – di un certo Benedetto Annuleru di Monreale. […] Checché
ne sia, il Viaggiu, poesia di persona mediocremente istruita, è divi-
so, come dice il titolo, in nove giorni. Ogni giorno è cantato in nove
strofette di versi ottonari e queste col violino cantano ad alterna
voce il cieco e il nuovo e provvisorio compagno. [1878: 6]

Il Viàggiu di Annuleru è servito da modello per innumerevoli


parafrasi e adattamenti, dovuti sia a interventi operati da altri auto-
ri attraverso la scrittura (cfr. a esempio Carollo 1891) sia alle dinami-
che tipiche della trasmissione orale, come si riscontra tra gli zampo-
gnari di Monreale. Il canto tramandato da questi, pur presentando
evidenti analogie con la nuvena composta nel Settecento dal loro
concittadino, presenta infatti consistenti tratti di autonomia, sia nel
contenuto sia nella struttura strofica (in quartine anziché in sestine).
Gli altri canti di Natività hanno come temi specifici la nascita
del Bambino (A la notti ri Natali), l’adorazione dei pastori (U picu-
raru, cfr. testo 4 dell’Appendice A) e la visita dei Magi (I tri Re).

4 La melodia su cui si intonava il canto a Mezzojuso (PA) venne raccolta nel 1907 da

Favara (1957/II: n. 642). Il testo del Viàggiu è stato ristampato con traduzione italia-
na e saggi critici (cfr. Conigliaro-Lipari-Scordato 1987). Per uno studio relativo alla
tradizione orale recente e per la relativa documentazione sonora, si veda in parti-

La zampogna a chiave in Sicilia

96
Anche questi componimenti rispecchiano una produzione di origi-
ne semiculta, circolante attraverso stampe popolari, che affonda le
radici nei testi degli Officia pastorum medievali e delle Pastorali
rinascimentali e barocche (cfr. in particolare Buttitta 1985: 37-51).
Al repertorio agiografico appartiene il canto Santa Rusulìa,
dedicato alla patrona di Palermo. La tradizione narra che nell’esta-
te del 1624 i Palermitani furono “liberati” da una grave pestilenza
grazie al rinvenimento delle spoglie di Rosalia Sinibaldi, una gio-
vane nobile di origine normanna ritiratasi in eremitaggio sul
Monte Pellegrino che domina la città. Nei decenni successivi il
principale obiettivo dei Gesuiti, che avevano frattanto assunto un
ruolo di primissimo piano nella direzione del culto, era stato quel-
104-105. Offerta di vino ai suonatori Miceli e Patellaro lo di canonizzare la storia della Santa. Al vertice di questa produ-
a conclusione della novena in un’osteria. zione documentaria si pongono le opere del sacerdote Giordano
Palermo, rione Guadagna, 1998 (foto G. Giacobello).
Cascini (in particolare il libro Di Santa Rosalia Vergine Palermita-
na, Palermo 1651), mentre la diffusione popolare del culto fu affi-
data al poeta dialettale Pietro Fullone, che compose alcuni poe-
metti in “ottave siciliane” stampati a Palermo tra il 1651 e il 1657
(cfr. Petrarca 1988 e Conigliaro-Lipari-Scordato-Stabile 1991). Furo-
no quindi gli orbi a tramandare fino ad anni recenti la vicenda di
santa Rosalia nei termini fissati da Cascini e divulgati da Fullone
(cfr. Guggino 1980, 1981, 1988 e Bonanzinga 1991). Il testo tuttora
eseguito dagli zampognari di Monreale riguarda l’episodio delle
“tentazioni diaboliche”, un nucleo tematico già definito da Cascini
che si poteva presentare sia all’interno di componimenti più ampi
(cfr. testo 2 dell’Appendice A) sia come canto autonomo:

Le varie leggende che pubblico celebrano in vita e in morte questa


devota Vergine. La prima ne narra per via di reminiscenze la nasci-
ta e quindi l’educazione dei primi anni e il ritiro; questa raccolta da
Pardi, ripianata in molte lacune coll’aiuto d’una cantatrice, è incom-
pleta, ma manca di senso solamente in sul principio. La seconda
raccolta dall’Accurso, incominciando coll’abbandono del mondo e
della casa paterna, narra le lotte sostenute da Rosalia nel suo
eremo contro il demonio tentatore. Questa leggenda polimetra, per
una delle solite mistificazioni popolari, non dev’esser tale; essa
corre divisa nella provincia palermitana, ove si ha un componimen-
to a parte che incomincia:
Rusulia qunn’era ô Munti
Lu ddimoniu gridava ecc.
e finisce:
Si’ ddimoniu ’nfirnali
Ca mi cerchi di tintari;
rimanendo così un’altra leggenda in endecasillabi. La terza ed ulti-
ma celebra la liberazione di Palermo dalla peste mercè l’interces-
sione di S. Rosalia. Non è difficile che questo terzo canto in origine
abbia fatto parte del secondo, costituendone un solo in settenari. È
un sospetto che forse potrebbe aver qualche fondamento. [Pitrè
1891/II: 301-302]

Con l’incipit Dinghi dinghi la campanedda si identifica un testo


ricorrente in Sicilia anche nel repertorio dei canti infantili associati
a occasioni rituali. A Palermo veniva per esempio eseguito dai
bambini che portavano le variceddi (piccoli fercoli) per la quindi-
cina dell’Assunta nel mese di agosto (cfr. descrizione e documenta-
zione sonora in Bonanzinga cd.1996b: brano 22). Le strofe (quarti-
ne a rima baciata) sono collegate mediante anadiplosi (o reduplica-
zione), un procedimento tipico delle filastrocche che consiste nella

Il repertorio e lo stile esecutivo

97
ripetizione dell’ultima parte di un verso all’inizio del successivo.
Ai canti in endecasillabi è associata una melodia monostica arti-
colata in tre semifrasi (abc, 12 misure), corrispondenti a una terzina
del testo poetico (di frequente la terzina si realizza però mediante
l’iterazione del secondo verso). La melodia si estende entro un
intervallo di settima diminuita (sol#-fa) e tende ritmicamente al 6/8
(si rilevano tuttavia notevoli oscillazioni ritmiche a seconda del
canto eseguito). Le prime due semifrasi attaccano sul V grado (mi)
e chiudono con profilo discendente sui gradi III e II, ma mentre in ‘a’
ricorre più volte il salto di terza (anche in chiusura), ‘b’ si caratteriz-
za per il V grado ribattuto e la chiusura per gradi congiunti. La semi-
frase ‘c’ è costituita da due membri ben distinti, marcati dal passag-
gio sulla sensibile. Il ritorno conclusivo alla tonica avviene median-
te discesa per gradi congiunti a partire dal mi. La struttura melodi-

ES. 3 - Sant’Antuninu (tono II).

ca è schematizzata nell’esempio che segue (cfr. trascrizione 4):


Su questa melodia si intonano i testi che narrano episodi della
vita di sant’Antonio da Padova (comunemente chiamato sant’Anto-
nino), della Madonna e di san Giuseppe. Tre di questi rientrano nel
vasto repertorio delle “orazioni agiografiche” diffuse in stampe
popolari: Sant’Antuninu e u cavaleri (un cavaliere storpio viene
guarito dal Santo purché sposi una giovane orfana, cfr. testo 5 del-
l’Appendice A); Sant’Antuninu la missa ricìa (il Santo fa scarcera-
re il padre che era stato ingiustamente condannato a morte, resu- 106. Benedetto Miceli esegue la novena di Natale a
scitando la presunta vittima che lo scagiona); Quannu la santa piazza Noce di fronte alla statua della Madonna.
Palermo 2006 (foto A. Maggio).
Matri caminava (la Madonna intrattiene toccanti dialoghi con
l’apostolo Giovanni, il Cristo “incatenato” e il fabbro che deve for-
giare i chiodi per la crocifissione, cfr. testo 2 dell’Appendice A). Tre
sono invece canzuni lirico-narrative, componimenti monostrofici
che racchiudono una «leggenduola sacra» (Toschi 1935: 40), di fre-
quente impiegati anche con funzione di ninna-nanna (cfr. Naselli
1948): Sant’Antuninu quann’era malatu (Antonino, malato, riceve
cibo e conforto da parte degli altri santi e della Maddalena); Quan-
nu la santa Matri nutricava (la Madonna allatta teneramente il
figlio benedicendolo); San Gisippuzzu i fora vinìa (il Santo porta un
paniere di ciliege a Gesù Bambino). In una circostanza abbiamo
infine rilevato una preghiera di norma recitata con valore scongiu-
ratorio (U verbu), che il cantore esegue in forma abbreviata e con
un finale inneggiante a santa Rosalia estraneo alle altre versioni
conosciute (cfr. in particolare Macaluso 1990).
Specificamente associata al canto U fìgghiu pruòricu è una
melodia bipartita (AB), articolata in quattro semifrasi corrispon-
denti agli endecasillabi della quartina poetica (abcd), che si esten-
de entro un intervallo di settima minore (sol#-fa#), con ritmo oscil-
lante tra 2/4 e 6/8 (si è pertanto evitata la divisione in misure). Nelle
due trascrizioni pubblicate nei Canti di Pitrè e nel Corpus di Fava-
ra (cfr. sezioni A e B dell’Appendice), la prima parte della melodia

La zampogna a chiave in Sicilia

98
è in modo maggiore, mentre la parte conclusiva (presente solo
nella trascrizione di Favara), passa in minore, mantenendo inalte-
rata la tonalità d’impianto (in entrambi i casi SOL). Questo modulo
melodico, specificamente associato al canto che narra la toccante
vicenda del Figliol prodigo, pare persistere tenacemente nella tra-
dizione degli zampognari-cantori di Monreale, a dispetto del muta-
to assetto armonico dello strumento oggi utilizzato. Nella prima
frase i gradi terzo e sesto sono difatti alterati: il do# intonato senza
esitazione e il fa# calante. A eccezione dell’incipit caratterizzato dal
V grado ribattuto, le altre semifrasi presentano spiccato profilo “ad
arco” (cfr. Adams 1976), con frequenti salti di terza e consueta

ES. 4 - Figghiu pruòricu (tono III).

cadenza sulla tonica attraverso la sensibile (bd), come si osserva


nella seguente schematizzazione (cfr. trascrizione 5):
Anche la “storia” del Figliol prodigo, direttamente ispirata alla
parabola evangelica, appartiene alla produzione semiculta di
matrice ecclesiastica diffusa soprattutto attraverso l’opera dei can-
tastorie ciechi (cfr. testo 3 dell’Appendice A).
La melodia impiegata per intonare le due Salve Regina è in
forma bipartita (AB, 2+2 misure) e si estende entro un intervallo di
sesta minore (la-fa), con ritmo tendente al 6/8. La strofa poetica è
una quartina costituita da quinari (versi primo e quarto) e settena-
ri (versi secondo e terzo). La prima semifrase – corrispondente a
un quinario di norma esteso dai cantori mediante l’interpolazione
di una sillaba eufonica (e) sulla prima nota in levare – è interamen-
te fondata sul V grado (mi), variamente ornato, con discesa sul IV
grado (re) in chiusura. Ondulato è invece il profilo di ‘b’, con chiu-
sura sul III grado (do). La prima semifrase di B ha andamento net-
tamente ascendente, con chiusura sul V grado, mentre discenden-

ES. 5 - Sarvi Riggina (tono IV).

Il repertorio e lo stile esecutivo

99
te è la frase conclusiva, con salto di quarta (mi-si) e cadenza fina-
le sulla tonica (senza toccare la sensibile). Questa la schematizza-
zione della melodia (cfr. trascrizione 6):
La Salve Regina intitolata alla Madonna del Buon Consiglio
(detta semplicemente “di Natale”), identica per forma poetica
alla Salve Regina dell’Immacolata, è l’unico canto che è stato
documentato nella modalità “a voce stesa” (a vuci stisa):
secondo le esecuzioni di Sebastiano Davì (registrazione del
1982 effettuata da Nico Staiti) e di Salvatore Modica (nostra
registrazione del 2006: rilevamento 21, trascrizione 7, CD brano
13). I tratti caratterizzanti di questo particolare stile vocale
sono costituiti da: a) “estensione” del materiale melodico
rispetto al tonu usuale del canto; b) dilatazione delle durate
(50,5” dura la prima strofa rispetto ai 20,7” della esecuzione
secondo il IV tonu); c) costante impiego del vibrato sui suoni
tenuti; d) ricorso a elaborati melismi soprattutto in chiusura di
frase; e) ritmo libero (per renderne l’idea nella trascrizione
abbiamo fornito la durata cronometrica dei suoni tenuti). La
melodia è sempre bipartita, ma ogni semifrase ha un senso di
maggiore compiutezza, dovuto al prolungamento dei suoni di
chiusura. Le prime due semifrasi presentano profilo ad arco e
terminano sul II grado. La frase ‘c’ è caratterizzata da melismi
sia in apertura che in chiusura. La frase conclusiva presenta il
consueto andamento discendente, con cadenza finale sulla
tonica attraverso la sensibile. Diversamente dalla norma, nel-

ES. 6 - Sarvi Riggina (tono “a voce stesa”).

107. Salvatore Modica presso un’edicola votiva.


Monreale 2001 (foto F. La Bruna).
l’accompagnamento strumentale si osserva il frequente uso
del tremolo. Anche in questo caso appare utile presentare lo
schema della melodia (cfr. trascrizione 7):
La Sarvi Riggina râ Mmaculata consiste in una accorata sup-
plica alla Vergine per ottenere protezione in vita e conforto in
morte. La Sarvi Riggina ri Natali inizia con un riferimento all’epi-
sodio in cui Gesù appena dodicenne si reca al tempio per incon-
tare i sacerdoti e termina con acclamazioni ai Santi, al Cristo e
alla Madonna. Le devozioni della “Salve Regina” nascono in
epoca post-tridentina come sviluppo e complemento di espres-
sioni devozionali già attestate tra i secoli XI e XII: il Rosario e le
Litanie lauretane (cfr. Jungmann 1991: 140-141). La trasposizione
in siciliano di questi “saluti a Maria” è stata spesso operata da
sacerdoti, che così hanno contribuito a incrementare la diffusio-
ne popolare della paraliturgia del Rosario, che difatti veniva – e
viene tuttora – ampiamente praticata anche nei contesti domesti-
ci (cfr. in particolare Giacobello 1992).

La zampogna a chiave in Sicilia

100
7.3. Musiche strumentali

Preludi e interludi fanno da “ponte” fra i canti e le melodie speci-


ficamente strumentali. Il preludio è costituito da varianti più o meno
estese della medesima struttura melodica (tra i preludi trascritti si
rileva una oscillazione di durata che va dai 5,8” per il canto Sant’An-
tuninu e u cavaleri ai 46,6” della Pasturali), fondata sull’esposizione
dei suoni principali della scala, in ordine discendente, ornati da fior-
iture e in ritmo libero (per un’analisi dettagliata cfr. cap. 8). Gli inter-
ludi replicano con fioriture le melodie delle strofe cantate e ven-
gono anche riproposti in forma strumentale solista. Le dinamiche di
variazione si possono esemplificare estrapolando l’inizio e la con-
clusione della melodia San Giuseppi (semifrasi ‘a’ e ‘d’), secondo le
diverse configurazioni esecutive rilevate nei canti in cui viene im-
piegata (trascrizioni 1-3) e nella versione strumentale della stessa
melodia come appare nella Sunata (trascrizione 12):

ES. 7 - San Giuseppi (strumentale).

Il repertorio e lo stile esecutivo

101
Sul piano melodico l’interludio sfrutta tutte le variazioni del
tema vocale (cfr. ES. 2), ornando i gradi fondamentali con acciac-
cature e soprattutto gruppetti. Il ritmo in 6/8 è tendenzialmente
regolare (la misura ipermetra di un ottavo segnata in a-3 si può
108. Benedetto Miceli e Salvatore Modica
ritenere un’eccezione), scandito al basso da figurazioni variabili si spostano tra le botteghe di piazza
( ). Mentre nella semifrase ‘a’ si riscontra una evidente Noce per la novena di Natale.
Palermo 2006 (foto A. Maggio).
divergenza fra la linearità dell’accompagnamento strumentale (nn.
1-2) e la più spiccata articolazione melodica di interludi (nn. 3-5) e
versione solista (n. 6), nella semifrase ‘d’, che con andamento dis-
cendente porta alla cadenza finale sulla tonica, la parte di accom-
pagnamento al canto (nn. 1-2) si muove in modo sostanzialmente
analogo alle corrispettive iterazioni strumentali (nn. 3-6).
In associazione ai canti intonati sulla melodia detta San Giusep-
pi e alle Sarvi Riggina, viene inoltre impiegata come interludio una
tipica formula “pastorale” di quattro misure in 6/8. La stessa frase
si ritrova nella Pasturali (trascrizione 11, sezione C), dove acquista
valore strumentale autonomo. Due varianti di questa formula ven-
gono riportate, in tonalità di SOL maggiore, da Giuseppe Pitrè e
Alberto Favara (cfr. cap. 2 e Appendice A e B). La stabilità della

La zampogna a chiave in Sicilia

102
melodia, indipendentemente dalle consuete microvarianti estem-
poranee e dall’attuale impossibilità di effettuare il passaggio in
maggiore, emerge con chiarezza nell’esempio che segue (le
melodie tratte da Pitrè e Favara sono state trasposte in LA per facil-
itare la comparazione). La mutazione più consistente è costituita
dall’allungamento variato del primo inciso della sezione B della
Pasturali, che conta così cinque misure. Questa variante non va
tuttavia considerata come elaborazione specificamente caratteriz-
zante l’esecuzione solistica, poiché in forma identica la frase funge
ES. 8 - Interludio “pastorale”.

da interludio nel canto A la notti di Natali (trascrizione 2):


Il brano più rappresentativo del repertorio strumentale si può
oggi considerare la Pasturali. Grazie alle indagini compiute da
Alberto Favara disponiamo, come già ricordato (cfr. cap. 2), di una
Pasturali trascritta intorno al 1900 secondo l’esecuzione dello zam-
pognaro palermitano Santo Pennino (n. 752 del Corpus). La melo-
dia, canonicamente in 6/8, è suddivisa in tre sezioni chiaramente dis-
tinte: A) una formula costituita da due membri in modo maggiore
ripetuti con variazioni via via più elaborate; B) una frase in minore
iterata due volte; C) la frase in modo maggiore esaminata nell’esem-

Il repertorio e lo stile esecutivo

103
pio precedente con funzione di “interludio” (ES. 8, n. 2). A questa
Pasturali si può aggiungere la parte per zampogna che Favara colle-
ga a un canto di Natale raccolto a Cefalù (n. 638 del Corpus). La
struttura di questo brano è infatti costituita da tre frasi che sono lievi
varianti di quelle della Pasturali presentate però in ordine invertito,
con in chiusura una formula di passaggio (D), utilizzabile sia per
introdurre una nuova sezione melodica sia per preparare la caden-
za finale (nell’esempio che segue la prima trascrizione di Favara è
stata trasposta in LA e sono state espunte le note fuori scala): ES. 9 - Pasturali trascritte da Favara.

La frase A di questa Pasturali, limitatamente alla esposizione


del tema, si ritrova quasi identica (con il do naturale al posto del
do#), subito dopo il preludio nelle attuali esecuzioni (quindi sem-
pre in posizione iniziale): ES. 10 - Frase A della Pasturali.

La zampogna a chiave in Sicilia

104
Favara trascrive inoltre la parte strumentale introduttiva come
brano a se stante (n. 749 del Corpus), annotando due varianti
delle sue tipiche formule ad andamento discendente in ritmo
libero e rilevando un tratto esecutivo che anche in seguito resterà
invariato: «La scala precede tutte le sonate di ciaramedda, come
un preludio» (1957/II: 447).
Nel confronto tra i brani strumentali trascritti da Favara e quel-
li documentati su nastro magnetico, al di là delle somiglianze te-
matiche, vanno soprattutto poste in evidenza le procedure di
costruzione ed elaborazione del materiale melodico. A questo
riguardo valgano le considerazioni di Nico Staiti (1997: 154-158),
intese a rilevare il nesso fra la tradizione della zampogna a chiave
siciliana e la musica di ambiente colto dei secoli XVII e XVIII:

La costruzione del brano si fonda su successive variazioni di una


frase esposta all’inizio, dopo l’elaborata introduzione che precede
tutte le sonate di questa zampogna. Le variazioni seguono un crite-
rio di progressiva elaborazione delle diminuzioni sconosciuto alla
musica delle zampogne italiano-meridionali, e che ricorda invece
alcune formule ornamentali assai usate nei repertori organistici e,
più in generale, nella musica strumentale del Seicento e del Sette-
cento. […]
In ambedue le versioni conosciute si trova un tipo di variazione del
tutto estraneo ai repertori delle zampogne e, vi si è accennato, uti-
lizzato invece assai spesso da Frescobaldi in numerose e diverse
composizioni, tra le quali anche il Capriccio fatto sopra la Pastorale:
la suddivisione di una nota ribattuta in valori assai brevi, alternata
con un’altra nota che ha funzione di ornamento. Questa formula
decorativa si ritrova pressoché identica nella Pasturali di Monreale.
Sia nel brano raccolto a Monreale che in quello trascritto da Favara
si trovano peraltro altre formule di questo genere, che vedono l’al-
ternarsi di una nota ribattuta a note di diversa altezza, secondo un
procedimento, estraneo al lessico delle zampogne e assai comune
invece nella musica strumentale di tradizione scritta del Sei e del
Settecento. L’uso frequente di progressioni, ancora, ricorda reper-
tori scritti (tra l’altro, Pastorale attribuita ad Aldrovandini). Brani
organistici «pastorali» devono avere restituito alla tradizione delle
zampogne palermitane un repertorio natalizio arricchito di elemen-
ti lessicali elaborati in prima istanza su strumenti da tasto, in ambi-
enti votati alla scrittura. Alla Pasturali monrealese queste formule
decorative arrivano dunque, è lecito ritenere, se non direttamente
da Frescobaldi, comunque da composizioni natalizie per organo, a
stampa o manoscritte, delle quali il Capriccio di Frescobaldi è una
delle prime conosciute e per le quali è stato probabimente un mo-
dello di riferimento.

Staiti propone a supporto dell’analisi la trascrizione di un brano


che Sebastiano Davì indica come Pasturali. In realtà si tratta della

Il repertorio e lo stile esecutivo

105
Calabrisella, una sunata di supposta “origine napoletana” tenuta
in gran conto dai suonatori della vecchia generazione: non a caso
Totò Acquapersa (cioè Salvatore Davì, zio di Sebastiano) aveva
dominato le gare di Piano Zucchi suonandola in tutt’e tre le occa-
sioni (cfr. cap. 4). Lo stesso brano, sempre egregiamente eseguito
da Sebastiano Davì, si trova d’altronde incluso con il titolo corret-
to in una audiocassetta registrata dagli stessi suonatori (cfr. Inven-
tario dei documenti sonori e audiovisuali: sez. C, ac. 2, br. 9) e
viene tuttora suonato da suo nipote Benedetto Miceli.
La confusione può essere stata determinata dal fatto che la Ca-
labrisella sotto il profilo tipologico appartiene pienamente al 109-110. Benedetto Miceli (zampogna) e Salvatore
Modica eseguono la novena di Natale in una
genere della “pastorale”, di cui rispecchia andamento ritmico (in rivendita di tabacchi e in un laboratorio dolciario.
6/8) e stereotipie formulari. Si tratta perciò di un brano che rientra Palermo, rione Noce, 2006 (foto A. Maggio).
nel repertorio sacro, nonostante l’intitolazione si presenti
ambiguamente analoga a quella di una canzonetta folkloristica a
tema amoroso dal ritornello notissimo: Calabrisella mia, ca-
labrisella mia, / calabrisella mia, ciuri d’amuri (Calabrisella mia,
fiore d’amore). La donna menzionata nel titolo della melodia per
zampogna non ha invece nulla a che vedere con vicende galanti.
Sappiamo infatti, grazie a una raccolta di musiche popolari realiz-
zata in Sicilia nel 1816 da Giacomo Meyerbeer (cfr. Bose 1993), che
tra i suonatori ambulanti era diffuso un canto di Natale intitolato
La calabresa. Il musicista tedesco trascrisse soltanto la prima stro-
fa del testo, dove non si menzionano “donne calabresi” ma si fa
riferimento alla nascita del Cristo: Ssennu natu Diu suprennu / s’al-
legrau tuttu lu munnu (Quando nacque Dio supremo / si rallegrò
tutto il mondo). Meyerbeer non fornisce indicazioni riguardo alla
provenienza del canto, ma potrebbe essere stato rilevato a Paler-
mo come altri brani presenti nella sua raccolta (uno dei quali ese-
guito da un orbo di nome Orazio). Un canto con questo incipit non
compare nelle fonti a stampa relative alla poesia popolare siciliana
ma è stato tramandato oralmente a Messina fino all’ultima gene-
razione dei cantastorie orbi, specializzati nel repertorio sacro (cfr.
Bonanzinga 1993: 52-55 e cd.1996b: brano 7). Il testo riprende lo
stereotipo dell’offerta dei doni al Bambino: cioè il motivo dram-
matico della “pastorale”, rappresentato nella tradizione mon-
realese dal canto U picuraru (cfr. supra). La motivazione del titolo
si palesa tuttavia esclusivamente nella seconda strofa: «Sugnu na
povira calabrisella, / su vvinuta di li muntagni, / ti puttai na
ggistricedda, / puma, mmènnuli e ccastagni, / fica pàssuli e nnu-
ciddi / cosa su pi picciriddi.» («Sono una povera calabrisella, / sono
venuta dalle montagne, / ti ho portato un canestrino, / di mele,
mandorle e castagne, / fichi secchi e nocciole / sono cose per i
bimbi»). La calabrisella (o calabresa) è quindi uno dei personaggi
accorsi alla grotta per l’adorazione del Messia e acquista valore
emblematico come accade per il picuraru nel canto omonimo ese-
guito a Monreale. Il nesso fra il documento trascritto da Meyerbeer
e la tradizione della zampogna a chiave è inoltre rafforzato dall’in-
terludio strumentale del violino: questo non solo ricalca quasi let-
teralmente le formule presenti nelle frasi A e C delle Pasturali
trascritte da Favara ma, attraverso l’iterazione della dominante in
funzione di bordone, evoca esplicitamente il suono della zam-
pogna, secondo una modalità esecutiva attestata dallo stesso
Meyerbeer in un altro canto di Natale (n. 15 dell’edizione Bose
1993), da Favara alla fine dell’Ottocento tra gli orbi di Castellam-
mare (prov. di Trapani, n. 643 del Corpus) e da Elsa Guggino tra gli

La zampogna a chiave in Sicilia

106
ultimi orbi palermitani ancora negli anni Settanta del Novecento
(cfr. cap. 10 e Garofalo 1997: 27). La tonalità segnata da Meyerbeer
è SOL maggiore, ma per semplificare la comparazione la melodia
è stata trasposta in LA:
ES. 11 - Interludio al violino del canto La calabresa
trascritto nel 1816 da Giacomo Meyerbeer.

La Calabrisella eseguita da Sebastiano Davì nell’audiocas-


setta conservata presso l’archivio del Folkstudio di Palermo è
costituita da due sezioni marcate dalla ripetizione della frase A
(cfr. trascrizione 8, CD brano 5):

A (2 miss.) / BB’ (4+3 miss.) / CC (4+4 miss.) / D (4 miss.) /


B’’ (5 miss.) / E (8 miss.) / B’ / CC
A / B’’ / E’ / F (3 miss.) / B’ / C C-finale (5 miss.)

L’esecuzione dello stesso brano registrata da Staiti è analoga


nella prima sezione, mentre la seconda presenta un diverso
sviluppo rappresentato da un virtuosistico finale direttamente
giustapposto alla frase A (non riportato nella trascrizione edita in
Staiti 1997: 156-157). Spiega Benedetto Miceli che questa finitura
abbilluta (parte finale abbellita) si aggiunge ad alcune sunati per
renderle più ornate e complete: «Si fa specialmente nella Pasturali,
ma si può mettere anche nella Calabrisella, nella Scala, nel Tu
scendi dalle stelle e, qualche volta, nella versione a ssulu [per sola
zampogna] del Fìgghiu pròricu». Nell’unica esecuzione della Cala-
brisella da noi rilevata (Rilevamento 22, br. 6; CD brano 16), Miceli
si limita a ripetere due volte una sezione costituita dalla giustap-
posizione delle frasi principali (A, B e C), per poi chiudere con la
finitura abbilluta, che egli impiega anche nella Pasturali e nella
Scala, mentre frasi fondate sulle diminuzioni (come D ed E nella
Calabrisella eseguita dallo zio Sebastiano) vengono da lui invece
inserite soltanto nella Scala (vedi più avanti).
Rispetto a quanto si osserva nelle versioni strumentali dei canti,
dove nonostante le abbondanti ornamentazioni si mantiene inalter-
ata l’originaria strutturazione strofica, i tre brani che possiamo con-
siderare più “antichi” e caratterizzanti del repertorio di questa par-
ticolare zampogna – Pasturali, Calabrisella e Scala – presentano un
111. Benedetto Miceli esegue la novena
di Natale all’interno di un’abitazione. differente sistema di elaborazione melodica, sostanzialmente
Palermo, rione Uditore, 2006 (foto A. Maggio). fondato sull’iterazione di un certo numero di formule variamente
trattate e combinate: una sunata – riferisce Miceli – può contenere
più o meno passaggi secondo l’abilità e il “momento” del suona-
tore. L’articolazione di questo lessico formulare, che come ha pun-
tualmente osservato Nico Staiti si collega al repertorio delle pas-
torali culte di epoca barocca (cfr. supra e cap. 8), può essere pertan-
to utilmente indagata attraverso ulteriori rilievi comparativi.
Nella Calabrisella eseguita da Sebastiano Davì (trascrizione 8),
l’asimmetria nel numero di misure che compongono alcune frasi e
talvolta l’ipermetria di singole battute sono dovute all’inserimento di
incisi che fungono da “sutura”: nella sezione iniziale la connessione
tra B’ e C si attua replicando l’inciso che chiude e apre le frasi medi-

Il repertorio e lo stile esecutivo

107
ante un riposo sul secondo grado (si), mentre il passaggio B’’-E è
costituito dal prolungamento del si che implica una dilatazione a 9/8
dell’ultima misura di B’’. Nella seconda sezione, la frase F, di sole tre
misure, è un esempio di passàggiu puramente esornativo, destinato
a conferire maggiore eleganza alla sutura fra E’ e B’ nella
preparazione del finale, in questo caso realizzato attraverso l’in-
serzione di una formula ornamentale per ritardare la cadenza conclu-
siva (la frase C aumenta così di una misura). Le frasi D ed E sono vari-
azioni per diminuzione dei nuclei melodici che costituiscono A e C.
Molto simile a quello della Calabrisella è il materiale melodico
che costituisce la Scala, così come analoghe si presentano le proce-
dure stilistico-formali su cui sono fondati i due brani. Conosciamo la 112. Benedetto Miceli (zampogna) e Salvatore Modica
Scala soltanto grazie a due esecuzioni di Benedetto Miceli (Rileva- eseguono la novena di Natale in una pasticceria.
mento 19, brani 14 e 17), che riferisce di averlo appreso da suo zio Palermo, rione Noce, 2006 (foto A. Maggio).

Sebastiano (non vi sono però audioregistrazioni a noi note di una


Scala suonata da quest’ultimo). Dopo il consueto “preludio” ven-
gono eseguite due frasi, A (9 misure) e B (11 miss.) in tempo bina-
rio (2/4), che vengono successivamente iterate con variazioni, fino
alla conclusione mediante finitura abbilluta. Questo FINALE in 6/8
viene giustapposto al resto del brano in 2/4, e inizia pertanto in
battere: a (4 miss.) b (8 miss.) a’ (4 miss.) b’ (10 miss.). La conclu-
sione virtuosistica è affidata al contrasto fra la linea melodica in
tempo composto (ternario) e l’accompagnamento in tempo sem-
plice (binario). La divergenza tra le figurazioni ritmiche disegnate
da canta e trummuni si riscontra solo in questa circostanza e
determina un effetto di “accelerando” straordinariamente appro-
priato alla chiusura di questo genere di sonate (cfr. trascrizione 10,
CD brano 18). Lo schema relativo all’esecuzione più completa fino-
ra rilevata è il seguente:

A / B / A’ / B’ / A’ / B / A’ / A’’ / B’ / A’ / FINALE

Le due frasi esposte all’inizio vengono progressivamente


elaborate attraverso l’ornamentazione dei gradi-cardine della
melodia (anche mediante diminuzioni) e l’inter scambio di sue
unità costituenti, come si può osservare confrontando la formu-
la-base della frase A con le varianti riscontrate in A’ e in A’’:
ES. 12 - Formula-base della frase A della Scala
e sue trasformazioni.

La zampogna a chiave in Sicilia

108
La formula-base di tre misure è costituita da due membri
sviluppati armonicamente nella sequenza tonica-dominante-toni-
ca. Nella frase A troviamo una quintina in apertura (nota reale do)
e una fioritura in ritmo puntato che chiude sulla tonica (terza
minore discendente, do-la). Questa cadenza – che ritorna di fre-
quente anche negli altri brani dello stesso tipo – è comune alle due
varianti: sia in A’ che in A’’ viene però rispettivamente ripresa nella
prima e nella seconda misura, anticipando così la regione della toni-
ca. In A’ (5 miss.) i gradi II e IV (si e re) si presentano ornati da terzine,
acciaccature e note di volta. In A’’ (6 miss.) viene aggiunta una ulteri-
ore fioritura del do in apertura, segue la fioritura che riempie la terza
minore discendente presente in A e poi si ripete la formula iniziale.
L’iterazione della formula-base in chiusura di frase è però sempre
marcata dal passaggio sulla sensibile (sol#) in precedenza evitata.
Questa formula, che nella Scala viene ripetuta con variazioni
per ben otto volte, si ritrova identica nella Calabrisella, dove però
compare nella frase B. Si osservi pertanto come lo stesso schema
melodico si concretizzi nella Scala eseguita da Benedetto Miceli e
nella Calabrisella suonata da suo zio Sebastiano Davì:
ES. 13 - Confronto tra le formule-base della frase A
della Scala e della frase B della Calabrisella.

Gli attuali zampognari monrealesi considerano la Pasturali il


brano più prestigioso del repertorio. Miceli afferma difatti con
orgoglio: «La Pastorale, come tanti altri pezzi che faccio, l’ho
imparata dallo zio Nenè. La Pastorale è una musica molto difficile
da fare. Io l’ho imparata perché mio zio la suonava con il cuore. E
io, ascoltando, piano piano l’ho voluta imparare: perché non è da
tutti suonare la Pastorale come la suonava lo zio Nenè» (cfr.
Bonanzinga vf.2003). Davì eseguiva il brano interpolandovi anche
formule e frasi mutuate da altre melodie (in particolare Tu scendi
dalle stelle e San Giuseppi, sempre in 6/8), a testimonianza di una
tendenziale “modularità” della strutturazione performativa. Un
concetto che suo nipote esprime in modo semplice ma efficace:
«L’àntichi usàvanu mmiscari i sunati a ccomu cchiù cci piacìa» (I
vecchi suonatori usavano mescolare le sonate come meglio gli
pareva). Non diversamente da zzù Nenè, anche Benedetto intro-
duce varianti estemporanee alle Pasturali che abbiamo potuto

Il repertorio e lo stile esecutivo

109
direttamente documentare (Rilevamenti 13, 14 e 19). La struttura
formale dell’esecuzione più articolata (trascrizione 11, CD brano
20) risulta essere la seguente:

AA (4+4 misure) / B (6 miss.) / CC (2+2 miss.) / DD (4+4 miss.)


EE’ (4+7 miss.)/ CC / D / B / CC / D
EE’ / CC / DD / E / FF (4+4 miss.) / FINALE

Anche in questo caso l’asimmetria nel numero di misure che


compongono le sezioni dipende dall’andamento del fraseggio, che
può implicare l’estensione o la contrazione del materiale melodico
in rapporto ai percorsi esecutivi di volta in volta prescelti. A esem-
pio, diversamente da quanto osservato nella Scala (in 2/4), nella
Pasturali (in 6/8) il FINALE si lega alla sezione precedente (F) e inizia
sul levare saltando il primo modulo (b a’ b’). L’omissione non
pregiudica tuttavia l’unità formale, anche perché ‘a’ funge da ponte
verso ‘b’, dove si impernia la conclusione virtuosistica del brano.
La propensione alla modularità può essere ulteriormente esem-
plificata comparando la macrostruttura di due Pasturali eseguite
da Sebastiano Davì (cfr. Inventario dei documenti sonori e audio-
visuali: sez. C, ac. 2, br. 6; sez. A, ril. 1, br. 2). Quale riferimento per
l’individuazione delle sezioni si utilizza lo schema della Pasturali
sopra esaminata:

AA / BB / SAN GIUSEPPI / AA’ / EE’ / AA / BB / AA / EE’ / AA / FINALE

AA’ / BB / CC / D / AA / EE’ / AA / BB / A

Nella seconda Pasturali compaiono le sezioni C e D ma è


assente il FINALE (CD brano 4), mentre nella prima viene interpola-
ta la melodia San Giuseppi impiegata per i canti in ottonari, ovvero
quelli specialmente legati al tema della Natività (cfr. supra). Ele-
menti della Pasturali possono a loro volta essere mutuati nell’altro
brano strumentale tipicamente associato al Natale, Tu scendi dalle
stelle, come si ascolta in una esecuzione di Giacinto Davì che vi
intercala in due punti la sezione B (quella utilizzata anche come
interludio nei canti in ottonari), per terminare con la finitura abbil-
luta (cfr. Rilevamento 4, brano 4; CD brano 10).
Anche la giustapposizione di più melodie distinte entro una
esecuzione unitaria si può ritenere esito di una mentalità perfor-
mativa di tipo modulare. Prendiamo come esempio una sunata di
Sebastiano Davì così strutturata: Fìgghiu pruòricu / San Giuseppi /
Inno eucaristico (trascrizione 12, CD brano 3). Differentemente da
quanto accade nel canto del Fìgghiu pruòricu (cfr. supra), la melo-
dia è qui eseguita in ritmo pressoché regolare (4/4) – come d’al- 113. Benedetto Miceli (zampogna) e Salvatore Modica
tronde si riscontra in tutto il repertorio strumentale – e viene eseguono la novena di Natale davanti a una focacceria.
Palermo, rione Noce, 2006 (foto A. Maggio).
ripetuta due volte (ABC/ABC). Il suonatore, tenendo la nota di
cadenza finale al basso (la), passa quindi alla melodia successiva
in 6/8 (San Giuseppi, secondo lo schema ABB). La sunata si con-
clude con l’Inno eucaristico, di nuovo in 4/4 (schema ABC), che i
suonatori identificano anche attraverso l’incipit del ritornello «Noi
vogliam Dio» (al di là del tempo quaternario è tuttavia arduo indi-
viduare parentele melodiche tra questo brano e il celebre canto
religioso). Naturalmente sono possibili altre combinazioni, senza
particolari limiti di “genere”, come in una sunata eseguita da Giro-
lamo Patellaro che allinea Litanìa / Pasturali / Tarantella /
Bersagliera (Rilevamento 3, br. 17).

La zampogna a chiave in Sicilia

110
La Litanìa deriva da moduli ritmico-melodici originariamente
legati al canto, come spiega Girolamo Patellaro: «La Litania è “a
parole”, ma io non la so. A suonare la so! [canticchia il motivo e
accenna i versi]» (Rilevamento 8, br. 4; CD brano 6). La melodia è
in ritmo binario (2/4) e si articola in tre sezioni che vengono iterate
con microvariazioni (trascrizione 11): A (8 misure) / B (8 miss.) / C
(16 miss.). Anche in questo caso appaiono evidenti i referenti
“extra-popolari” del brano che presenta i tipici tratti stilistici e for-
mali della produzione musicale di origine ecclesiastica.
Il discorso sulle musiche strumentali – qui inquadrato nelle linee
generali e che andrebbe approfondito mediante una estesa
indagine comparativa fra le esecuzioni attestate nel complesso delle
registrazioni disponibili – si può chiudere con una testimonianza di
Patellaro sulle melodie di carattere “laico”, trattate con diffidenza da
certi anziani suonatori che non le ritenevano pertinenti ai contesti
devozionali in cui erano soliti operare (Rilevamento 8, br. 4):

Siccome ho fatto il soldato nei bersaglieri, appena mio padre si


allontanava suonavo l’inno di Garibaldi, la Bersagliera: la suonavo
di nascosto a mio padre [canticchia il motivo]. Poi suonavo il val-
zer [canticchia Speranze perdute], la tarantella… Poi posso suonare
pure Lazzarella, un pezzettino [canticchia il motivo]. Poi quella di
Turidduzzu [canticchia il motivo e accenna i primi versi]. Poi [accen-
na un altro motivo] Na picciuttedda chi avìa sta matina… Chisti
sunnu canzuni ca iu cci’ài sintutu ntunari ê vecchi! [Queste sono
canzoni che sentivo intonare ai vecchi].
114. Salvatore Modica esegue la novena di Natale
davanti a un Bambinello esposto in strada.
Palermo, rione Altarello, 2006 (foto A. Maggio).

Il repertorio e lo stile esecutivo

111
115-116. Salvatore Modica e Benedetto Miceli eseguono la novena di Natale in due macellerie.
Palermo, rione Altarello, 2006 (foto A. Maggio).

La zampogna a chiave in Sicilia

112
Pratica organistica e tradizione
8 “zampognara”
di Giovan Battista Vaglica

La tradizione organaria rinascimentale-barocca presenta in


Sicilia alcune connotazioni particolari rispetto a quella coeva delle
altre regioni italiane ed europee: manca anzitutto il registro della
Voce Umana (che verrà introdotto nella seconda metà del Seicen-
to); gli strumenti sono caratterizzati da una “voce” non aggressi-
va, con il registro del Principale delicato (a “bassa pressione”
d’aria) e il Ripieno che si distingueva per la timbrica parti-
colarmente elegante (conferita anche dall’uso del piombo come
materiale di costruzione). Questi erano i principali elementi che
caratterizzavano gli organi isolani all’epoca del Capriccio Pastora-
le di Girolamo Frescobaldi (1637, FIGG. 34-35) e della Pastorale di
Bernardo Storace (1664). Nella seconda metà del Seicento, la tim-
brica degli strumenti si arricchirà con l’aggiunta di diversi registri
di Flauto, l’introduzione dei registri di Mutazione, l’unificazione
delle file del Ripieno, l’ampliamento delle tastiere sia verso l’acu-
to sia verso il basso, con la progressiva sostituzione della prima
ottava “corta” con quella “stesa”. Un ulteriore tratto caratterizzan-
te l’organaria barocca siciliana, che assume rilievo nel nostro con-
testo d’analisi, riguarda la riproduzione nell’organo di registri
Vocali e Strumentali, utilizzati nella prassi esecutiva sia in funzio-
ne melodica sia come basso continuo. Entro questi nuovi proces-
si costruttivi, maturati all’inizio del Settecento, rientra anche l’in-
serimento del registro della Cornamusa (il termine è usato come
sinonimo di “zampogna”, poiché non si operava l’attuale distinzio-
ne in base alla presenza di una o due canne melodiche, che qua-
lifica rispettivamente i due tipi di strumento).
Inizialmente la zampogna era riprodotta all’organo mediante la
combinazione di un registro di fondo (che da la nota reale) con un
registro in quinta (che da l’armonico di quinta), prassi che viene
esplicitamente segnalata in un contratto stipulato nel 1817 dall’or-
ganaro palermitano Francesco Andronico per la costruzione di un
nuovo strumento nella chiesa collegiata Santa Maria di Betlemme
a Modica: «più un flauto tuono di Apente, il quale in combinazio-
ne forma la sampogna del pecoraio, come unito ad altri registri
forma diverse bande musicali» (Buono 1998: 27). Lo stesso stru-
mento fu collaudato con positivi apprezzamenti dall’organista
Paolo Altieri (ibidem). Questi, di origine napoletana, svolse la pro-
pria attività quasi interamente nella città siciliana di Noto, dove
compose tra l’altro alcune Pastorali (cfr. Paradiso-Rossi 1997) che,
come si vedrà più avanti, assumono notevole rilievo in ordine al
nostro contesto d’analisi.
34-35. Frontespizio delle Toccate d’intavolatura
di cimbalo et organo di Frescobaldi (libro primo,
Il Flauto in Quinta, necessario a ottenere l’imitazione della
Roma 1637) e prima pagina del Capriccio pastorale. zampogna, lo si ritrova in diversi strumenti dell’Isola, progettati

Pratica organistica e tradizione “zampognara”

113
da: Antonio e Giuseppe De Simone e Francesco Romano nel 1665
per il Monastero di Sant’Andrea a Trapani (cfr. Dispensa 1998);
Basilio La Marca Alfano nel 1776 per la Chiesa della Consolazione
a Scicli (cfr. Buono 1998); Agatino Santuccio nel 1783 per la Chie-
sa San Giacomo a Caltagirone (cfr. Buono-Nicoletti 1987); Giovan-
ni Platania e Rocca nel 1827 per la Cattedrale di Monreale (cfr.
Dispensa 1998). Ma l’effetto cornamusa può anche risultare dal
registro Cornetto (che ha già in sé l’armonico di quinta), ampia-
mente utilizzato dai principali organari siciliani. Ricordiamo alcu-
ni strumenti realizzati nel corso del Settecento (cfr. Dispensa
1998): Stefano Andronico nel 1702 per il Convento di Sant’Agosti-
no a Palermo; Michele Andronico nel 1721 per il Monastero di
Montevergini a Palermo; Antonino La Manna nel 1750 per la Chie-
sa di Sant’Orsola a Palermo; Baldassare di Paola nel 1761 per la
Badia Nuova a Trapani; Donato del Piano nel 1769 per il Convento
di San Domenico a Palermo; Giorgio Giunta nel 1770 per il Con-
vento di San Rocco a Trapani; Giacomo Andronico nel 1779 per la
Chiesa Madre di Petralia Soprana.
In seguito viene direttamente introdotto il registro ad ancia
Cornamusa. L’organaro palermitano Giuseppe Lugaro Androni-
co lo progetta nel 1841 per uno strumento destinato alla Catte-
drale di Monreale, come risulta dalla relazione stilata al fine di
ottenere l’incarico esecutivo: «Adorneremo questa macchina
della vera voce della Cornamusa pastorale, che si potrà suonare
in unico, e separato registro quante volte all’uopo si vorrà»
(Vaglica 2004: 54). La medesima relazione fa inoltre riferimento
alla presenza di un «Flauto piffero ossia flauto cornetta, che
serve tanto per alcune combinazioni strumentali quanto ancora
per formare l’accompagnamento della Cornamusa» (ibidem).
Altri due importanti organari palermitani, Francesco La Grassa e
Schifani, elaborano un progetto nel 1845 per l’organo della Cat-
tedrale di Monreale, avendo cura di inserire tra i registri una
particolare Cornamusa: «dappiù verrà un altro puttino nel cen-
tro, che porta in bocca la Cornamusa e detta sarà eseguita di
marmo, come li puttini e le canne della suddetta verranno di
rame, che suoneranno, che detto suono si trasporterà in mezzo
ai pastori nelle valli» (ibidem). Questi due organi non furono
purtroppo mai realizzati, ma è significativo che proprio a Mon-
reale, e da parte di organari palermitani, si sia prestata una tale
attenzione alla suggestione “pastorale” della zampogna, fino a
immaginarne un riflesso figurativo negli elementi decorativi: un
“puttino zampognaro”. La Grassa riesce in compenso a realizza-
re nel 1856, per la Basilica Abbaziale di San Martino delle Scale
(non distante da Monreale), uno strumento che prevedeva la
Cornamusa tra i registri dell’organo grande. Il registro, soprav-
vissuto ai numerosi rimaneggiamenti subiti nel tempo da que-
sto imponente strumento, consta di sette canne di legno, delle
quali sei ad ancia libera e una ad anima: l’accordo che riprodu-
ce è quello di re maggiore (cfr. Vaglica 2005).
La presenza stessa di uno strumento di esplicita connotazione
popolare tra le sonorità organistiche canoniche riflette itinerari
compositivi che affondano le radici nel patrimonio musicale di tra-
117. “Cornamusa” dell’organo Francesco La Grassa della
dizione orale. La rielaborazione delle melodie popolari all’organo Basilica Abbaziale San Martino delle Scale (Monreale):
era infatti una pratica molto diffusa e comune. Tra queste le più uti- sei canne ad ancia libera e una canna labiale;
lizzate erano a esempio la Girometta, la Bergamasca, la Spagno- visione laterale delle canne;
particolare della sesta canna e dell’ancia
letta: musiche “profane” che si usava anche riadattare come mate- (foto G. B. Vaglica).

La zampogna a chiave in Sicilia

114
riale tematico per brani liturgici1. Diverso è il caso della Pastorale,
che si caratterizza già in epoca rinascimentale come “offerta” dei
pastori al neonato Messia. Non c’è dubbio che questo particolare
genere musicale sia risultato da una contaminazione fra stilemi
popolari, certamente legati agli aerofoni policalami (flauti e clari-
netti di canna, zampogne, cornamuse), e rielaborazioni culte, ma è
difficile ipotizzare intensità e modalità di queste dinamiche in
assenza di testimonianze specifiche (cfr. a esempio Castriota 1985,
Bernardoni-Guidobaldi 1990 e Staiti 1997).
Come ha puntualmente osservato Nico Staiti (1997: 126), il
118. Prospetto dell’organo della Chiesa di Capriccio pastorale di Girolamo Frescobaldi (in Primo libro di
Sant’Antonio (anononimo 1700) a Monreale
(foto G. B. Vaglica). Toccate d’intavolatura di cimbalo et organo, Roma 1637, ed. mod.
Pierre Pidoux, Bärenreiter, Kassel 1949) si può considerare il pro-
totipo delle successive Pastorali all’organo. Dopo di lui altri auto-
ri si sono cimentati in questo genere di composizione strumenta-
le: Bernardo Storace (in Selva di Varie composizioni… per cimba-
lo ed organo, Venezia 1664, ed. mod. Barton Hudson, American
Institute of Musicology, Middleton WI 1965, ed. riv. 2005); Dome-
nico Scarlatti (in Sonate per clavicembalo, prima metà del sec.
XVIII, ed. mod. Emilia Fadini, Ricordi, Milano 1989, vol. 7); Paolo
Altieri (Pastorali per organo, Noto 1806, ed. mod. in Paradiso-
Rossi 1997). Se la Pastorale di Storace si caratterizza per una scrit-
tura armonica tendenzialmente lineare, le Pastorali di Scarlatti e
di Altieri si presentano sotto questo aspetto più elaborate. Oltre
ovviamente all’impiego del tempo composto come “ritmo pasto-
rale”, i tre autori fanno uso di ulteriori elementi che si possono
ritenere stereotipi di questa forma strumentale: una macro-strut-
tura divisa in tante sezioni senza soluzione di continuità, con la
ripetizione dei vari frammenti tra le voci e in diverse altezze (ess.
1-2); formule ritmiche che ritornano sia nella linea melodica sia
nell’accompagnamento (ess. 3-8).

1. D. Scarlatti, Pastorale (in SOL), misure 1-5.

2. P. Altieri, Pastorale (in FA), misure 7-9.

3. G. Frescobaldi, Capriccio pastorale,


misure 4-6 (prima voce).

1Vedi a esempio: G. Frescobaldi, Fiori Musicali, Venezia 1635 («Bergamasca»;


«Capriccio sopra la Girolmeta»); G. B. Fasolo, Annuale…, Venezia 1645 («Sopra la
Bergamasca. Fuga prima»; «Girometta. Fuga seconda»; «Sopra la bassa Fiamenga.
Fuga terza»).

Pratica organistica e tradizione “zampognara”

115
4. G. Frescobaldi, Capriccio pastorale,
misure 1-4 (seconda voce).

5. B. Storace, Pastorale,
misure 25-26 (seconda voce).

6. B. Storace, Pastorale,
misure 14-16 (seconda voce).

7. P. Altieri, Pastorale (in LA),


misure 1-3 (seconda voce).

8. D. Scarlatti, Pastorale (in SOL),


misure 1-3 (prima voce).

Anche le Pastorali degli zampognari monrealesi evidenziano


una chiara tendenza armonica, che si esplicita nella struttura della
melodia e nella continua tensione tonica-dominante. La Pasturali
eseguita da Benedetto Miceli (vedi trascrizione 11) è divisa in
sezioni secondo lo schema AA B CC DD EE’ CC D B CC D EE’ CC DD
E FF FINALE. Gli elementi di affinità con le Pastorali di tradizione
scritta sono chiari sia dal punto di vista melodico, che da quello
dell’accompagnamento:

9. B. Storace, Pastorale,
misure 26-28 (prima voce).

10. Pasturali, eseguita da B. Miceli


(prima voce, sezione D).

11. D. Scarlatti, Pastorale (in RE),


misure 15-17 (prima voce).

12. Pasturali, eseguita da B. Miceli


(prima voce, sezione B).

13. P. Altieri, Pastorale (in MIB),


misure 1-3 (prima voce).

14. Pasturali, eseguita da B. Miceli


(prima voce, sezione E).

La zampogna a chiave in Sicilia

116
Un altro tratto stilistico-formale che accomuna la prassi organi-
stica alla tradizione zampognara monrealese si individua nel “prelu-
dio” con cui si aprono tutti i brani eseguiti da questi suonatori. Il pre-
ludio, significativamente detto scala, si fonda difatti sui medesimi
procedimenti improvvisativi-compositivi adottati in epoca barocca
non solo dagli organisti e anche al di fuori del genere della Pastora-
le. Intendiamo riferirci in particolare a quello stile “a fantasia”, che a
esempio Frescobaldi raccomandava nelle Toccate mediante il primo
avvertimento «Primieramente: che non dee questo modo di sonar
stare soggetto à battuta» (Toccate, Canzone, Versi d’Hinni, Magnifi-
cat, Gagliarde, Correnti et altre partite d’intavolatura di Cimbalo et
Organo, Venezia 1627, ed. mod. Pierre Pidoux, Bärenreiter, Kassel
1949), e alla tipologia delle ornamentazioni ricorrenti nella prassi
esecutiva sia vocale che strumentale (acciaccature, appoggiature,
trilli, gruppetti, “tirate”, “diminuzioni”)2. Il parallelismo emerge evi-
dente ove si consideri la struttura di un preludio eseguito da Miceli.
Questo si può dividere in tre parti: A) enunciazione della dominante
119. Prospetto dell’organo Alessandro Giudici (mi) da parte di tutte le canne / movimento del “basso” (canna melo-
(seconda metà 1800) della Chiesa dell’Immacolata
in San Francesco. Monreale 2007 (foto G. B. Vaglica). dica sinistra) per gradi congiunti sulla tonica / movimento del
“canto” (canna melodica destra) che segue in rapporto di ottava
quello del basso, spostandosi brevemente sul secondo e sul primo
grado e ornando il movimento con trilli, tirate e gruppetti; B) ripre-
sa del basso ancora sulla dominante e, toccando due volte il secon-
do grado (si), ritorno alla tonica (la) / il canto segue ancora con grup-
petti, tirate e trilli; C) preparazione della cadenza intermedia sul terzo
grado (do), attraverso il quarto e quinto, e chiusura con la cadenza
perfetta attraverso il secondo grado (si) / il canto segue infine con un
trillo, alcuni gruppetti e una tirata finale dalla dominante alla tonica
che dà il senso della chiusura perfetta:

15. Schema del preludio della Pasturali


eseguita da Benedetto Miceli.

16. Preludio della Pasturali eseguita da


B. Miceli (ricavato dalla trascrizione 11).

2 Già a partire dal Cinquecento i principali trattati proponevano le “diminuzioni” da


inserire secondo gli intervalli, come fanno a esempio Diego Ortiz (Tratado de glossa
sobre clausulas y otros generos de puntos en la musica de violones, Roma 1553),
Thomas de Sancta Maria (Libro llamado Arte de Taner Fantasia, Valladolid 1656) e
Girolamo Diruta (Il Transilvano, Venezia 1593). Una consuetudine che si protrarrà fino
al Settecento a opera di celebri autori quali Johann Joachim Quantz (Saggio di un
metodo per Suonare il Flauto Traverso, Berlino 1752, trad. it. di Luca Ripanti, Milano
1992); Leopold Mozart (Scuola di Violino, Augusta 1756, trad. it. di Giovanni Pacor,
Gaeta 1991), Carl Philipp Emanuel Bach (Saggio di Metodo per la Tastiera, parte I Ber-
lino 1753, parte II Berlino 1762, trad. it. di Gabriella Gentili Verona, Milano1973).

Pratica organistica e tradizione “zampognara”

117
Se la tradizione della zampogna a chiave di Monreale è ancora
viva, alcuni pregevoli organi barocchi sono tuttora presenti nelle
chiese del centro storico: a Sant’Antonio Abate, a San Vito e nella
chiesa dell’Immacolata in San Francesco, dove è ubicato uno stru-
mento della prima metà dell’Ottocento. È qui che i musicisti del-
l’epoca hanno esercitato la propria arte: quando le Pastorali di
organisti e zampognari ancora riecheggiavano sia all’interno dei
templi che lungo i chiassi di questo antico Paese.

120. Benedetto Miceli esegue la novena


dell’Immacolata presso un’edicola votiva.

La zampogna a chiave in Sicilia

118
Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave
9 di Paola Tripisciano

L’evoluzione degli strumenti ad ancia doppia nei secoli XVI e XVII


(dalla bombarda all’oboe) pone in evidenza diversi tratti generaliz-
zabili anche alla famiglia delle zampogne dotate di chiavi. È anzitut-
to la presenza di questi meccanismi metallici, inizialmente destina-
ti soltanto a consentire l’occlusione di fori troppo distanti per esse-
re azionati con le dita, a offrire un significativo piano di confronto.
Altri elementi proficuamente raffrontabili sono inoltre riferibili: a)
all’articolazione costruttiva dello strumento; b) alle procedure e agli
strumenti impiegati per realizzare le ance e i cannelli1.
Le chiavi con meccanismo a molla erano probabilmente già
usate sin dai primi del Quattrocento, ma è solo nel secolo succes-
sivo che se ne attesta con certezza l’impiego in alcuni strumenti a
fiato, allo scopo di aumentarne l’estensione nel registro grave o in
quello acuto: «Le prime chiavi entrate nell’uso corrente erano del
tipo normalmente aperto e furono applicate al flauto basso e alla
bombarda contralto per permettere la chiusura del foro più basso,
troppo distante e troppo grande per essere raggiunto dal mignolo»
(Bornstein 1987: 32). Queste chiavi, realizzate in ottone, erano costi-
tuite da una leva più o meno lunga terminante da un lato a “coda
di rondine”. All’altra estremità, di forma piatta circolare o quadran-
golare, era applicato un tampone di pelle destinato a occludere il
foro. Sia la parte meccanica sia il foro erano quindi protetti da un
cilindro di legno traforato detto “fontanella”. La forma a “coda di
FIG. 36. Bombarde e zampogne in una tavola del rondine” (detta anche “di pesce” o “di farfalla”) con cui terminava
Syntagma Musicum di Praetorius (1619). la leva serviva a rendere possibile l’azionamento della chiave sia
dal mignolo destro sia da quello sinistro, poiché la tecnica strumen-
tale in epoca rinascimentale ancora prevedeva «che la mano destra
potesse essere indifferentemente collocata sotto o sopra la sinistra.
Questa ambiguità tecnica è testimoniata da tutte le fonti rinasci-
mentali e anche da quelle più tarde» (Bornstein, 1987: 34).
Tra gli strumenti rinascimentali dotati di chiave, con la fontanel-
la che copriva l’intero meccanismo, vi erano dulciane e bombarde.
Gli esemplari più piccoli non erano naturalmente dotati di chiavi,
mentre gli strumenti di dimensioni maggiori ne presentavano un
numero variabile. Le tre bombarde più grandi raffigurate nel Syn-
tagma Musicum di Praetorius (1619, FIG. 36) sono a esempio forni-
te di ben quattro chiavi: due sono azionate dal mignolo e due dal

1 Questo contributo sviluppa aspetti in parte affrontati nella mia tesi di Laurea:
Saperi costruttivi dell’ancia doppia. Tre casi emblematici (Facoltà di Lettere e Filo-
sofia dell’Università degli Studi di Palermo, relatore prof. Paolo Emilio Carapezza,
a. acc. 2004-2005). Desidero ringraziare i professori Giovanni Giuriati e Girolamo
Garofalo per avermi indirizzato su questo tema e avere successivamente orientato
la mia indagine.

Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave

119
pollice della mano situata più in basso (FIG. 37). Dalla metà del Cin-
quecento la bombarda soprano, priva di chiavi, assunse la deno-
minazione di hautbois. Questo termine, «significava originaria-
mente “legno fragoroso”, secondo l’antica distinzione francese tra
instruments hauts et bas» (Sachs 1980: 453). L’aggettivo francese
haut, come anche l’italiano alto, non riguardava pertanto l’intona-
zione più o meno acuta degli strumenti, ma la loro intensità sono-
ra. Le bombarde, come i tromboni, le trombe e i cornetti, erano
FIG. 37. Musette in una tavola del Syntagma
strumenti “alti”, adatti agli spazi aperti, contrapposti agli strumen- Musicum di Praetorius (1619).
ti a corda e ai flauti, considerati strumenti “bassi”, da usarsi in
ambienti chiusi, specialmente di piccole dimensioni.
Anche su un particolare tipo di zampogna, denominata sordel-
lina, si usava applicare chiavi metalliche. Questo strumento, il cui
impiego era esclusivamente circoscritto agli ambienti aristocratici,
nasce nel Cinquecento e si perfeziona nel secolo successivo, arri-
vando a presentare un sistema di chiavi estremamente articolato:
chiavi aperte, come sulle bombarde, ma anche “chiuse”, per into-
nare intervalli cromatici e potersi adattare a un più ampio reperto-
rio musicale (cfr. Guizzi-Leydi 1985: 83-95 e AA.VV. 1995). L’interes-
se risiede anche nel fatto che la sordellina pare essersi sviluppata
a Napoli: luogo che si ipotizza come centro di irradiazione delle
zampogne a chiave meridionali (cfr. supra). Dotata di numerose
chiavi era inoltre la musette francese (FIG. 38), anch’essa destinata
tuttavia a raffinati contesti aristocratici (cfr. Baines 1979, FIG. 37).
Poco dopo la metà del Seicento viene “inventato” l’oboe grazie
alle sperimentazioni di musicisti attivi presso la corte di Francia,
con il contributo determinante di Jean Hotteterre e Michel Philidor
(cfr. Marx 1951). Il nuovo strumento, risultato dalla elaborazione
della bombarda soprano, presentava quali tratti caratterizzanti la FIG. 38. Esemplare di oboe barocco
divisione in tre segmenti del corpo dello strumento, la cameratu- (Francia 1700 ca.).

ra conica della canna e l’applicazione di due chiavi differenti per


forma, misura e funzione: la chiave più grande era “aperta” e ser-
viva a raggiungere il foro più distante; la più piccola era invece
“chiusa” e teneva coperto il penultimo foro, situato in posizione
laterale rispetto all’asse degli altri fori digitali, che si apriva azio-
nando la chiave (cfr. cap. 3, FIG. 6). James MacGillivray offre al
riguardo ulteriori precisazioni:

A differenza della bombarda il nuovo “French oboy” – come fu


noto per un certo tempo in Inghilterra – era composto di tre ele-
menti distinti, il che consentiva di ottenere una foratura interna più
precisa. La cameratura era più stretta, la campana più piccola e
flangiata internamente (evidentemente per ragioni inerenti il
suono, dal momento che la nota più grave, un do, era emessa
attraverso due fori di risonanza situati nella parte più stretta della
campana) ed i fori per le dita erano molto più piccoli. Il caratteri-
stico clangore di armonici della bombarda era così sostituito da un
timbro più “classico”, più misurato; la diteggiatura a forchetta, che
rimaneva momento essenziale della tecnica esecutiva, fu notevol-
mente migliorata. La chiave del DO fu sagomata a coda di pesce
come lo era stata nelle bombarde e la nuova chiave del MIb fu
duplicata: entrambe le cose andavano a beneficio del suonatore
“mancino” (che cioè suona tenendo la mano sinistra sul segmen-
to inferiore, come fanno oggi molti suonatori popolari). L’ancia
doppia era più stretta che nella bombarda e abbastanza lunga da
consentire il controllo delle note più gravi nel pianissimo, mentre
l’abolizione della “pirouette” aveva reso l’ancia completamente
controllabile dalle labbra ed aveva consentito di tenerla meno
all’interno della bocca in modo da permettere un più efficace uso

La zampogna a chiave in Sicilia

120
della lingua. Era il periodo in cui la piccola zampogna francese, la
musette, godeva di grande favore negli ambienti dell’aristocrazia:
la suonavano sia i nobili dilettanti che i professionisti della cerchia
di Hotteterre e Philidor; non c’è dubbio che fu dalla grande perizia
sviluppata nella costruzione di questi piccoli strumenti di eccellen-
te fattura e dalle decorazioni stupende che derivò in gran parte
l’arte degli artigiani che crearono il nuovo oboe. La costruzione
della bombarda, invece, rimase fino in fondo all’interno di una tra-
dizione manifatturiera che risaliva ai faiseurs de flutes del tredice-
simo secolo, che facevano parte della corporazione dei fabbrican-
ti di gambe di sedie. [1983: 254-255]

Come già osservato, il sistema a chiave doppia adottato sul-


l’oboe barocco si presenta identico a quello rilevato sulla canna
melodica sinistra della zampogna a chiave siciliana. Sull’oboe
però la chiave superiore era di norma raddoppiata (cfr. supra),
mentre ovviamente sulla zampogna si trova applicata solo su un
lato della canna, considerato che sono due le canne da diteggiare
FIGG. 39-40. Frontespizio Garnier 1798 e tavola degli ed è quindi necessario separare le mani. Sul piano costruttivo va
attrezzi per la costruzione delle ance dell’oboe.
inoltre osservata l’analogia fra la canna sinistra della zampogna
(quella appunto dotata di chiavi) e il sistema di costruzione del-
l’oboe barocco in tre elementi distinti, con eleganti cerchi di torni-
tura nei punti di giunzione, talvolta rinforzati da anelli d’avorio o
metallo. Va infine segnalata la medesima cameratura interna, con
andamento tronco-conico assai regolare, realizzabile proprio gra-
zie alla divisione della canna in tre segmenti (originariamente
caratterizzante anche le cante della zampogna a chiave).
Altri significativi elementi di comparazione scaturiscono dalla
considerazione di quanto ruota intorno ai saperi costruttivi dell’an-
cia – doppia, realizzata in canna – di questi due strumenti, che
paiono essersi sviluppati parallelamente, seppure in ambienti
diversi. Nel caso della zampogna siciliana a chiave, si tratta ovvia-
mente di ance a imboccatura indiretta, mentre nell’oboe l’ancia si
tiene direttamente tra le labbra per produrre il suono. Le differen-
ze tra le due tipologie sono quindi sostanzialmente dovute al tipo
di imboccatura (indiretta/diretta) e alla diversa fattura delle canne
(lunghezze, diametri, spessori, ecc.). È infatti necessario rispettare
proporzioni precise tra l’ancia e la canna su cui è montata. Pur nel
variare di forme e dimensioni, i due tipi di ancia presentano tutta-
via evidenti analogie riguardo ai materiali (filo, cera, cannelli di
rame) e agli attrezzi impiegati per la loro realizzazione (lame, lime,
punteruoli, ecc.).
La più antica testimonianza esplicitamente centrata sul proce-
dimento di costruzione dell’ancia risale soltanto alla fine del Set-
tecento: si tratta del Méthode raisonnée pour le hautbois di
Joseph Francois Garnier pubblicato a Parigi nel 1798. I capitoli 3,
4 e 5 del trattato sono infatti dedicati all’ancia: alla tecnica
costruttiva, agli attrezzi da utilizzare e al modo di provarla una
volta ultimata. Sono anzitutto da rilevare le informazioni riguar-
danti i luoghi e il periodo di raccolta della canna. «La canna di cui
ci si servirà, deve essere raccolta nei paesi meridionali (della
Francia); la migliore è quella che proviene da un luogo ventilato;
la canna deve essere tagliata a fine autunno un po’ prima delle
gelate» (cap. 3, p. 5). Di particolare interesse appare il quarto
capitolo, interamente dedicato agli utensili necessari per costrui-
re le ance. Oltre a presentare gli attrezzi, l’autore ne illustra anche
l’impiego con riferimento a una tavola che li raffigura (pp. 6-7;
cfr.. FIGG. 39-40):

Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave

121
Gli utensili di cui ci si serve, e che sono quelli che si vedono nella
tavola, sono cinque: il primo, chiamato scalpello (A), è d’acciaio
della lunghezza di un pollice, e curvato in forma di cornetto in tutta
la sua larghezza che è di qualche “linea”; come si vede qui di profi-
lo, la sua curvatura è proporzionata a quella di un pezzo di canna,
ed è tagliente dai due lati della lama per tutta la sua lunghezza. Esso
[…] serve ad asportare la parte legnosa dall’interno della canna.
Il secondo attrezzo (B) è una lamella d’acciaio piatta, che ha due
estremità tonde e taglienti che servono a grattare e a levigare l’in-
terno della canna.
La figura C riproduce un coltello a due lame di cui l’una serve a pre-
parare e a tagliare la canna, e l’altra serve a rifinire l’ancia.
L’attrezzo della figura D è una lima d’acciaio che serve a pulire e a
eliminare tutte le asperità dell’ancia.
La figura E riproduce un punteruolo [nella tavola indicato con il ter-
mine mandrin], ovvero un pezzo d’acciaio di forma conica, di cui ci
si serve per modellare il ramello dell’ancia, esso serve ancora a
tenere l’ancia quando la si lega e si fissano le due lamelle sul
ramello con del filo forte e cerato: quest’utensile impedisce allora
FIGG. 41-42. Frontespizio Brod 1826-35 e tavola degli
che si appiattisca l’ancia. [Garnier 1798: 6, ns. trad.]
attrezzi per la costruzione delle ance dell’oboe.

Quanto descritto da Garnier viene approfondito in due trattati


successivi. Il Grande Méthode de Hautbois di Henri Brod (pubbli-
cato in due tomi a Parigi, 1826 e 1835) e il Méthode complete de
Hautbois di Apollon Marie-Rose Barret (ed. or. Londra 1850, ris.
Parigi 1876). Riguardo alla costruzione delle ance (processo e
attrezzi), le indicazioni di Brod (cfr. FIGG. 41-42) non si discostano
da Garnier, mentre particolare interesse rivestono le considera-
zioni riguardanti luoghi e tempi per la raccolta della canna, moda-
lità della sua stagionatura e procedure impiegate per valutarne
consistenza ed elasticità:

La canna di buona qualità è molto rara nel centro della Francia: quel-
la di Frejus, quella di Marsiglia e quella di Perpignan è ritenuta
migliore. La canna deve essere raccolta al tempo della maturazione
dei frutti, ci si può servire di essa non prima di due o tre anni da
quando viene raccolta, la linfa dovrà essere seccata; le ance che si
faranno, avranno un suono migliore rispetto a quelle costruite con
una canna più giovane. […] bisogna ancora che la canna abbia uno
spessore conforme alla sua qualità, alla sua elasticità e alla sua
durezza. Se essa è molle o spugnosa, occorre maggiore spessore
rispetto quello necessario a una canna più dura. Infine, bisogna
acquisire una certa sensibilità, un tatto particolare per comprendere
il grado di forza da impiegare nella manipolazione; il modo migliore
per acquisire questa capacità consiste nel prendere le estremità
della canna tra le dita e imprimere a entrambe una torsione uguale
e contraria. Se la torsione non trova resistenza, vuol dire che la
canna è troppo fragile; se non si riesce a torcerla per 1/4 di giro, la
canna sarà allora troppo rigida ma, per mezzo del raschietto, si può
assottigliarla fino a uno spessore in grado di sopportare un mezzo
giro con la giusta resistenza. [Brod 1826: 111-113, ns. trad.]

Anche Barret descrive le fasi della costruzione delle ance e gli


utensili impiegati a questo scopo, ma lo fa in modo più dettaglia-
to rispetto ai suoi due predecessori (cfr. FIGG. 43-44):

Togliete allora la canna dalla scanalatura e, se a causa della sua


curvatura l’interno è rimasto troppo spesso, levigatela al centro,
con l’aiuto dello strumento alla figura 7, finché la canna sia divenu-
ta flessibile, per poi prenderla tra il pollice e l’indice e applicare una
leggera torsione da ogni lato, in modo da verificare che si fletta

La zampogna a chiave in Sicilia

122
facilmente. Ponete la canna lungo il “cavalletto” mostrato alla figu-
ra 5, recidete le due estremità come nella figura 6, e levigate leg-
germente la canna nella parte centrale. [Barret 1850: 1-2, ns. trad.]

Appare utile a questo punto delineare una comparazione tra


attrezzi e procedure utilizzate per costruire le ance dell’oboe baroc-
co e quelle della zampogna a chiave. L’armamentario utilizzato per
realizzare le prime, secondo quanto si ricava dai trattati considera-
ti, era formato da: a) coltello a due lame dritte (couteau) «di cui
l’una serve a preparare e a tagliare la canna, e l’altra serve a rifini-
re l’ancia» (Garnier 1798: 6), o, in alternativa, due coltelli «della
stessa tempra di quella dei rasoi […] a causa del frequente uso che
si fa di essi» (Brod 1826: 110); b) un coltello a lama ricurva (outil
courbe, “scalpello”) che, essendo destinato ad assottigliare l’inter-
no della canna, presenta curvatura «proporzionata a quella di un
pezzo di canna, ed è tagliente dai due lati della lama per tutta la
sua lunghezza» (Garnier 1798: 4); c) un supporto di legno cilindri-
FIGG. 43-44. Frontespizio Barret 1850 e tavola degli co (chevalet, “cavalletto”), utilizzato per definire le dimensioni
attrezzi per la costruzione delle ance dell’oboe.
della canna da sagomare e assottigliarne la parte centrale e le
estremità; d) un punteruolo (mandrin), per modellare il cannello di
rame e sostenere l’ancia «quando la si lega e si fissano le due
lamelle sul “ramello” con del filo forte e cerato» (Garnier 1798: 6);
e) del filo resistente, a esempio «di seta ben cerato» (Barret 1850:
1), per legare le palette di canna al cannello; f) conseguentemente,
della cera da passare sul filo; g) una lima d’acciaio (lime) per levi-
gare la canna e rifinire l’ancia. Il corredo di attrezzi impiegato dagli
attuali zampognari monrealesi, con le medesime finalità (cfr. par.
6.4. e IM. 87-90 e FIGG. 28-30), è quasi simmetricamente costituito
da a) un coltello a lama dritta (cuteddu ri nsitari), b) un coltello a
lama ricurva (cavaturi), c) un bastoncino di legno cilindrico (misu-
rinu), d) un grosso chiodo con la punta appiattita per realizzare il
cannello (rameddu), e) dello spago per legare le palette di canna al
cannello, f) della cera da passare sullo spago (cira), g) una pietra
da molatura per levigare la canna (petra mola).
Inoltre, è particolarmente interessante operare un confronto tra
le modalità di realizzazione del cannello su cui vanno innestate le
palette dell’ancia. Si tratta di un tubicino metallico, originariamen-
te fatto di rame, di forma cilindrica a punta conica.
Nei trattati presi in esame, non emerge una spiegazione esau-
riente riguardo alla costruzione dei “ramelli”: solo le immagini
accompagnate da poche parole ne suggeriscono infatti la tecnica
costruttiva. In particolare, appare utile osservare la tavola fornita
da Garnier per illustrare gli attrezzi impiegati nella costruzione
delle ance. Qui troviamo infatti anche le palette dell’ancia, il can-
nello (raffigurato sia “aperto” che “chiuso”) e le tre parti congiun-
te. Il cannello si realizzava comunque arrotolando sul punteruolo
(mandrin) una lastrina di rame (o di ottone), ritagliata in forma tra-
pezoidale, con l’aiuto di un martello e senza saldare la giuntura
(cfr. Haynes 1976: 33-34).
Non diversamente operano gli zampognari monrealesi per
costruire i propri rameddi. Questi ricavano dei rettangoli di metal-
lo (lanna) ritagliandoli dalle lattine vuote di alimenti (tonno, sardi-
ne, salsa di pomodoro, ecc.). Successivamente adoperano un mar-
tello per sagomare la lastrina intorno a un grosso chiodo con
punta appiattita. In questo modo si ottiene un cannello di metallo
con una base più larga dell’altra, simile dunque, più ad un tronco
di cono che a un cilindro. Questo procedimento, più ampiamente

Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave

123
diffuso tra gli zampognari dell’Italia centro-meridionale che mon-
tano ance doppie sui propri strumenti, è stato puntualmente
descritto da Febo Guizzi:

Il tubicino è costruito a partire da un ritaglio da una scatola di latta


per conserve, poi arrotolato su se stesso attorno a un punteruolo,
sul quale viene forzato a piegarsi fino a formare un cilindretto che
resta dissaldato. Una delle estremità, quella rivolta verso l’ancia,
subisce una schiacciatura che ovalizza il tubicino così da farlo ade-
rire al profilo interno (curvo) delle lamelle di canna. L’operazione
finale consiste nell’avvolgimento di uno spago impeciato, median-
te il quale le due ance sono strette fra loro, inferiormente, fissando
nel contempo fra loro inserito. [Guizzi-Leydi 1985: 162]

L’insieme di competenze che ruotano intorno all’uso dell’ancia


doppia è stato fino a tempi recenti condiviso anche da altre cate-
gorie di suonatori popolari siciliani: anzitutto i “pifferai” (bbifara-
ra, bbifirara, piffarara), la cui attività è in prevalenza testimonia-
ta attraverso la memoria, e poi alcuni zampognari del Messine-
se, che usavano montare anche pipiti (ance doppie) sulle canne
delle proprie ciarameddi a pparu. Questa indagine può pertanto
con pertinenza orientarsi verso la considerazione delle ultime
tracce dei processi costruttivi dell’ancia che si sono sviluppati al 121. Suonatore di bbifara. San Marco d’Alunzio,
di fuori dell’ambiente dei suonatori di zampogna a chiave del prima metà sec. XX (in Guizzi-Staiti 1995).

Palermitano.
Una testimonianza sulla perizia necessaria a realizzare la pipita
per la bbìfira è stata raccolta a San Marco D’Alunzio – centro dei
Monti Nebrodi, in provincia di Messina – dalla voce di Marco Pro-
venzale, figlio dell’ultimo suonatore del paese, attivo fino agli anni
Quaranta del Novecento:

La preparazione della pipita […] richiedeva molta abilità e pazienza


e mio padre ne provava e riprovava tantissime prima di trovare
quella che si adattava meglio allo strumento. Prima tagliava a
misura i cannizzoli, ovvero piccoli segmenti di canna lasciati stagio-
nare per almeno un anno, poi li immergeva in acqua per qualche
giorno per ammorbidirle, quindi assottigliava gradualmente due
lamelle speculari fra loro, fino a farle perfettamente combaciare e,
infine, le fissava con del filo attorno al condotto di rame che, a sua
volta, s’incastrava a tenuta sull’apertura superiore dello strumento.
[Sarica 1994: 128]

La bbìfira di San Marco D’Alunzio (IM. 121) appartiene alla cate-


goria degli oboi con pirouette (dischetto infisso alla base dell’an-
cia per facilitare l’imboccatura) ed è costituita da un unico pezzo di
notevoli dimensioni (mm. 550) con sette fori anteriori e uno poste-
riore (cfr. Sarica 1994: 130-131 e Guizzi-Staiti 1995): diversa quindi
122. Suonatori di pìffara (da sinistra): Antonino La
dai tipi diffusi nella Sicilia occidentale, più corti e senza pirouette. Placa, Giuseppe Federico, Antonio Li Puma.
È questo a esempio il caso della pìffara delle Madonie, recente- Petralia Soprana 2006 (foto M. Meschiari).

mente documentata in piena vitalità a Petralia Soprana (IM. 122).


Sfortunatamente l’ultimo costruttore di ance è da poco scompar-
so, ma la testimonianza del suonatore Giuseppe Federico contiene
alcuni significativi dettagli, tra cui spicca il riferimento al “ramello”
realizzato in canna (cfr. cap. 4).
L’uso di ance doppie (pipiti) sulle zampogne “a paro” è segna-
lato in diversi testi, quasi sempre coniugato al passato e qualifica-
to come eccezionale rispetto alla norma che prevedeva l’impiego
di ance semplici (zammari):

La zampogna a chiave in Sicilia

124
Le ance doppie sono oggi quasi completamente in disuso e anche
in passato, secondo le testimonianze raccolte, se pur erano più di
oggi usate (per le canne dei chanters), non prevalevano su quelle
semplici. Costruttivamente le ance doppie della zampogna a paro
siciliana non differiscono da quelle delle altre zampogne meridio-
nali se non per un particolare, tuttavia interessante e, a nostra
conoscenza, senza altro riscontro.
Nelle ance doppie per zampogna a paro siciliana in ciascuno dei
due lati è posta, parzialmente infilata nella legatura, una piccola e
sottile zeppa di canna. Spingendola in basso (“dentro” la legatura)
determina un aumento della pressione e, di conseguenza, un avvi-
cinamento ulteriore delle lamelle. Tirandola verso l’alto, invece, si
determina il risultato contrario (diminuzione della pressione e
allontanamento delle lamelle). Si tratta, ovviamente, di variazioni
piccolissime, e il sistema appare estremamente utile e ingegnoso.
[Guizzi-Leydi 1983: 60-61]

Il padre di Ciccio Currò, suonatore attivo di Giardini Naxos (Messina),


FIG. 45. Ancia doppia per zampogna “a paro” Felice, talora usava queste ance doppie. […] Nico Staiti ci comunica
(in Guizzi-Leydi 1983). che un suonatore di Monforte San Giorgio, Giorgio Calacini, ancora
utilizza ance doppie per la zampogna a paro (ance da lui stesso
costruite). Le ance doppie sono montate sui due chanters e sul bor-
done minore, mentre il bordone maggiore mantiene l’ancia sempli-
ce. In questo strumento le canne “partono” in quest’ordine: bordone
maggiore / chanter destro / chanter sinistro / bordone minore.
Secondo il costruttore e suonatore Francesco Mento, di Rometta
Superiore (ME), nella zampogna a tre bordoni le ance doppie pos-
sono venir montate sui chanters, il bordone medio, il bordone
minore (se esiste), mentre il bordone maggiore porta sempre ancia
semplice. [Guizzi-Leydi 1985: 230-231]

In passato alcuni ciaramiddari per ottenere dal loro strumento un


cannolu di sonu, ovvero un suono più squillante, preferivano mon-
tare sui due chanters e sul bordone medio, le ance doppie, le cosid-
dette pipiti, matenendo le ance semplici per il bordone maggiore,
che spesso però era azzittito, e il bordone minore. Quando la zam-
pogna monta le ance doppie, dicono i suonatori, prima spara u
fischiettu, poi a ritta, a secunna e all’ùttumu a quatta (prima suona
il bordone minore, poi il chanter destro e, in successione, quello
sinistro e il bordone medio).
La realizzazione delle ance doppie richiedeva una preparazione
piuttosto laboriosa. Lavorate con grande cura e smasciate (assotti-
gliate) gradualmente, le due lamelle, speculari tra loro e con una
123. Il suonatore e costruttore di zampogna
“a paro” Francesco Mento nel proprio laboratorio.
piccola fessura per il passaggio dell’aria, venivano fissate con dello
Rometta Superiore 1990 (foto M. Sarica). spago impeciato attorno a un piccolo condotto di rame, a ramed-
da. [Sarica 1994: 82, 84]

È qui interessante rilevare come, nonostante la sporadicità del-


l’uso, vi fosse una forte incidenza del “gusto” individuale nel
disporre le pipiti sulle canne, e questo evidentemente riflette la
volontà di conferire una specifica “caratterizzazione” al suono del
proprio strumento, sul piano dell’intensità sonora e di una partico-
lare timbrica. Va inoltre osservata la presenza di un “regolatore”
dell’apertura dell’ancia, mai «riscontrato in nessun’altra ancia dop-
pia per zampogna in Italia, neppure nelle aree dove l’ancia doppia
è di regola» (Guizzi-Leydi 1985: 230): un accorgimento che indub-
biamente qualifica la specificità dei saperi costruttivi connessi alla
produzione di ance doppie per le zampogne del Messinese. Per
questo sarebbe importante osservare direttamente procedure e
attrezzi impiegati in quest’area per la realizzazione delle pipiti, in
modo da operare una comparazione più dettagliata con quanto
documentato in ordine alla grande zampogna palermitana.

Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave

125
Il confronto relativo alla costruzione delle ance può essere pro-
ficuamente esteso alle pratiche costruttive maturate nell’ambito
della tradizione dell’oboe moderno e strumenti affini (fagotto, con-
trofagotto, oboe d’amore, corno inglese, ecc.). Le ance di questi
strumenti vengono difatti realizzate attraverso tecniche molto simi-
li a quelle applicate in epoca barocca e tuttora in ambito popolare.
Gli attrezzi utilizzati sono sostanzialmente i medesimi: coltelli, pun-
teruolo (o “spina”), sgorbia (equivalente per funzione allo “scalpel-
lo” dei trattati antichi e al cavaturi degli zampognari siciliani), filo 124. La tavola (cippu) con gli attrezzi impiegati da
Benedetto Miceli per la costruzione delle ance.
robusto (ora di nailon), cera, lima (sostituibile con pietra pomice o Monreale 2006 (foto S. Bonanzinga).
carta vetrata). Questo corredo è oggi integrato da una forma metal-
lica di produzione industriale (detta forma-ancia), funzionale a
sagomare con la massima precisione il pezzo di canna. Le fasi della
costruzione si articolano dunque come segue: a) assottigliamento
della canna; b) piegatura e sagomatura del pezzo di canna; c) lega-
tura delle palette sul cannello; d) tempera della punta dell’ancia e
apertura di questa. I cannelli attualmente in uso, rivestiti da un sot-
tile strato di sughero per assicurare una migliore stabilità dell’an-
cia, sono invece ormai prodotti industrialmente (IMM. 124-125).
La costruzione dell’ancia resta l’unica pratica di ordine preci-
puamente artigianale che permane nei percorsi formativi previsti
dalla musica accademica. Nei Conservatori è infatti questa l’ultima
“sopravvivenza” di una competenza materiale associata alla prati-
ca artistica. Non diversamente da quanto accadeva in passato, e
ancora accade in ambito popolare, questo sapere si trasmette
attraverso l’attenta osservazione e imitazione dei gesti esperti del
maestro. Un bravo maestro è in grado di verificare e valutare i
progressi dell’allievo, offrendo una competenza del tutto persona-
le e “unica”.Talora è sufficiente un “colpo di coltello” per realizza-
re un’ancia di qualità straordinaria o, al contrario, vanificare lun-
ghe ore di lavoro. Ogni minimo particolare, ogni “segreto” costrut-
tivo, con i suoi “trucchi” e le sue “alchimie”, andrà così a marcare
la personalità artigianale del singolo costruttore. Questo sapere si
trasmette però in termini “riservati”, quasi velato allo sguardo
attento e avido dell’allievo, come si è visto tra gli zampognari di
Monreale e come pone in evidenza Andreas F. Weis Bentzon con
riferimento all’ambiente dei suonatori sardi di launeddas:

L’insegnamento era uno strano compromesso tra la mentalità gelo-


sa e la necessità di tramandare la musica. Secondo le regole del-
l’apprendistato, il ragazzo doveva ricevere lezioni ogni giorno, ma
gli insegnanti lasciavano passare settimane senza insegnare nien-
te, giustificandosi col dire che erano stanchi, che avevano cose
importanti da fare e così via. I poveri alunni, di dodici-quattordici
anni, dovevano insistere per indurli ad assolvere ai loro obblighi.
Durante le lezioni il maestro poteva ritardare i progressi dell’alun- 125. Attrezzatura per la costruzione dell’ancia del-
l’oboe moderno (foto P. Tripisciano).
no, dandogli maldestri insegnamenti, come una versione semplifi-
cata, e talvolta addirittura incompleta, di una iscala, cercando delle
scuse per non dare lezioni e naturalmente non insegnavano che le
cose più semplici. [1969, trad. it. 2002/I: 84]

Accade qualcosa di simile nelle classi di oboe dei Conservato-


ri. Il maestro, a volte, interviene sull’ancia dell’allievo, senza spie-
gargli l’efficacia del suo operato (egli implicitamente si affida dun-
que allo spirito d’imitazione dello studente); altre volte, dà le spal-
le agli allievi, come se stesse celebrando un “mistero” al quale
non è dato assistere. La relazione ambivalente tra maestro e allie-
vo è costantemente caratterizzata da un gioco delle parti che ruota

La zampogna a chiave in Sicilia

126
intorno alle polarità di “autonomia” e “dipendenza”, comunque
destinate a risolversi nell’apprendimento di quanto è necessario al
perpetuarsi e rinnovarsi della tradizione: «L’apprendimento quindi
è importante non soltanto per il fatto che il comportamento musi-
cale, considerato nel suo complesso, è un comportamento acqui-
sito ma anche perché costituisce un elemento di dinamismo e
novità nel processo creativo» (Merriam 1983: 153).
L’insieme delle considerazioni qui esposte può essere riassunto
attraverso due schemi basati su tre circonferenze che si interseca-
no in modo da condividere l’area centrale. Questi tre cerchi, grafi-
camente diversificati ricorrendo ai colori primari, corrispondono
agli strumenti presi in esame: per la zampogna a chiave il giallo,
per l’oboe barocco il rosso e per l’oboe moderno il blu. Il rapporto
cronologico intrattenuto vicendevolmente dai tre strumenti (simul-
taneità nel passato, successione diacronica, simultaneità nel pre-
sente) è stato rappresentato con i colori derivati dalla sovrapposi-
zione di quelli primari. L’area comune, lasciata in bianco, è stata
suddivisa in tre sezioni, contrassegnate ognuna da una lettera. Nel
primo schema (FIG. 46), le lettere pongono in evidenza le analogie
costruttive rilevate fra i tre strumenti: A = articolazione in tre parti,
C = cameratura conica, SC = sistemi di chiavi (limitando però la
comparazione alla sola canna melodica sinistra della zampogna,
che si presenta strutturata come un “oboe gigante”). Nel secondo
schema (FIG. 47), le lettere si riferiscono invece ai saperi specifica-
mente implicati nella realizzazione delle ance: A = attrezzatura, M =
materiali di costruzione, S = sistema di apprendimento.

FIG. 46 Schematizzazione delle analogie costruttive FIG. 47. Schematizzazione dei saperi implicati
fra oboe e zampogna a chiave. nella costruzione delle ance fra oboe e zampogna a chiave.

Intersezioni fra oboe e zampogna a chiave

127
127-28. Benedetto Miceli (zampogna) e Salvatore Modica eseguono la novena di Natale
in due negozi di generi alimentari. Palermo, rione Altarello, 2006 (foto A. Maggio).

La zampogna a chiave in Sicilia

128
Una zampogna barocca in Sicilia
10

Per quanto ampio e dettagliato possa risultare il quadro relati-


vo alle vicende della grande zampogna a chiave siciliana, appare
tuttora impossibile offrire risposte certe riguardo alle circostanze
che ne hanno determinato la presenza nel territorio di Palermo-
Monreale. Resta tuttavia pienamente condivisibile l’ipotesi del-
l’origine napoletana. Considerato che il cosiddetto oboe francese
inizia a diffondersi in Europa negli ultimi decenni del Seicento, è
ragionevole supporre che l’apposizione del meccanismo a chiave
doppia su uno strumento musicale di uso popolare non si sia
potuta verificare prima della fine di quel secolo. È inoltre verosimi-
le che questa operazione sia stata attuata proprio a Napoli: un
grande centro urbano, ricettivo alle innovazioni provenienti dagli
altri Paesi europei, dove era particolarmente intensa l’osmosi tra
l’alta cultura e il mondo popolare e dove già da tempo si speri-
mentava l’applicazione di chiavi alle zampogne (vedi il caso della
surdulina). L’assenza di attestazioni relative a zampogne dotate di
doppia chiave nell’area campano-lucana lascia tuttavia aperta
anche un’altra ipotesi: da Napoli potrebbero essere giunti a Paler-
mo dei modelli grandi di zampogna a chiave singola, che nel Capo-
luogo siciliano furono in seguito perfezionati mediante l’aggiunta
della seconda chiave sul trummuni.
129. Salvatore Modica (zampogna) e Bernardo La capitale del Regno delle Due Sicilie si è sempre posta d’al-
Carrozza eseguono la novena dell’Immacolata
presso un’edicola votiva addobbata con fronde tronde quale centro di irradiazione culturale in direzione delle
verdi e agrumi. Monreale 2001 (foto F. La Bruna). maggiori città siciliane (Palermo, Catania e Messina). Sul piano
delle pratiche spettacolari destinate a un pubblico prevalentemen-
te popolare, valga ricordare l’importazione del teatro napoletano
di marionette nei primi dell’Ottocento, che in Sicilia acquisterà una
caratterizzazione specificamente “cavalleresca” dando vita
all’opera dei pupi. Tra fine Ottocento e inizio Novecento si afferme-
rà poi la “canzone napoletana” d’autore, tanto che ancora oggi vi
sono cantanti siciliani che si esprimono in napoletano. A un livel-
lo più generale va inoltre segnalata la circolarità dei generi musi-
cali culti e semi-culti in territorio borbonico: dal teatro musicale
(specie l’opera buffa che con l’ambiente popolaresco manteneva
stretti legami) al repertorio liturgico e paraliturgico, dalle arie e
canzonette dialettali (valga ricordare la straordinaria fortuna con-
seguita nella seconda metà del Settecento dai componimenti del
napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, autore fra l’altro della cele-
berrima Tu scendi dalle stelle) alle musiche strumentali di danza
(si pensi all’incondizionato successo tributato alla tarantella).
Al di là delle diverse ipotesi filogenetiche, questa zampogna ini-
zialmente a doppia chiave – che per quanto testimoniano le fonti
finora note pare essere stata presente soltanto nel circondario di

Una zampogna barocca in Sicilia

129
Palermo – viene tuttoggi suonata secondo procedure stilistiche che
rinviano con assoluta evidenza a certa letteratura organistica di
genere sacro prodotta tra i secoli XVII e XVIII. Questa è inoltre la
sola zampogna di area italiana il cui impiego risulta esclusivamen-
te connesso a una specifica occasione devozionale: i suonatori
sono degli “specialisti” ma, oggi come in passato, devono svolge-
re altri mestieri (pescatori, venditori ambulanti, contadini, artigia-
ni, ecc.), poiché le loro prestazioni “musicali” sono circoscritte al
ciclo festivo del Natale. Tutti i canti eseguiti sono infine componi-
menti di tema religioso in larga prevalenza riconducibili a stampe
popolari diffuse tra i secoli XVIII e XIX.
Nei primi decenni del Settecento, quando con probabilità si è
avviata la tradizione della zampogna a chiave siciliana, esisteva
già una categoria di suonatori ambulanti specializzati nel reperto-
rio sacro: gli orbi (cfr. cap. 2). La loro vicenda è ufficialmente docu-
mentata a Palermo dal 1661, anno in cui si stabilisce il patronato
dei Gesuiti sulla preesistente Congregazione dell’Immacolata Con-
cezione dei Ciechi. La più completa testimonianza riguardante l’at-
130. Coppia di orbi durante una novena.
tività di questa singolare congregazione di cantastorie (sede, orga- Palermo 1950 ca. (Archivio Pubblifoto di V. Brai).
nigramma, obblighi, proibizioni, finalità) è stata fornita da Lionar-
do Vigo (1870-74: 59-60). I dati segnalati dal demologo congruisco-
no pienamente con quanto si ricava dal più antico statuto che è
stato finora possibile reperire: i Capitoli della Venerabile Congre-
gazione delli Ciechi sotto titolo della Sempre Immacolata Conce-
zione di Maria Vergine, existente nelli claustri di Casa Professa
delli Reverendi Padri dell’Inclita Compagnia di Gesù di questa
Città, renovati nell’anno 1755 (fondo dei Memoriali della Visita
conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Palermo; per la
trascrizione completa del documento si rinvia a G. Travagliato in
Bonanzinga 2006b). Questa la Tavola degli undici Capitoli:

1. Dell’entrata delli fratelli; 2. Dell’elezione delli novi Superiori; 3.


Della creazione dell’Officiali; 4. Dell’ubidienza quale deve portarsi
alli Superiori, e della reintegrazione di qualche fratello; 5. Della fre-
quenza dell’intervenire in nostra Congregatione; 6. Come debban-
si conservare i denari di nostra Congregazione; 7. Del soccorso e
suffragii delli fratelli; 8. Della festività di Nostra Signora Maria
Immacolata e quanto debbasi spendere per detta festa e Candelo-
ra; 9. Della proibizione delli poeti; 10. Della proibizione a non poter
imparare gente con la vista; 11. Della proibizione dell’istorie profa-
ne e burlesche, e non poter sonare in parte scandalose.

Come si può osservare diversi Capitoli contengono espliciti rife-


rimenti alla disciplina delle pratiche poetico-musicali. Il primo Capi-
tolo stabilisce che per essere accolti nel sodalizio sia indispensabile
sapere suonare strumenti e cantare, con l’impegno di limitarsi però 131. Giovanni Pennisi esegue la novena di Natale.
alla diffusione del repertorio sacro: «che detti fratelli ciechi tutti Palermo 1980 (foto G. Cusimano).

habiano da essere strumentarii, affinché viver possano onestamen-


te e con decoro andando cantando e sonando pelle publiche strade
e piazze di questa Città orazioni e istorie spirituali e non già scanda-
lose e profane». Il terzo Capitolo prevede l’elezione tra gli Officiali
minori anche di «quattro Sonatori […] in obligo di sonare al solito in
nostra Congregazione quando si richiede e vi sarà bisogno». Sono
però gli ultimi tre Capitoli a orientare in termini più ferreamente cor-
porativi l’attività dei confrati cantastorie, non solo mediante la “cen-
sura preventiva” operata dagli organi superiori sui componimenti
dei «fratelli poeti» (Cap. IX), ma anche nella pratica e nella trasmis-

La zampogna a chiave in Sicilia

130
sione di un mestiere che doveva essere dominio esclusivo e perma-
nente dei “non vedenti”, con esclusione perfino dei «propri figli con
la vista» (Cap. X), fino alla riaffermazione del divieto di cantare «isto-
rie profane, burlesche e scandalose» e di suonare «in case scando-
lose di pubbliche meretrici» (Cap. XI). Quest’ultimo Capitolo auspi-
ca tra l’altro che «per il profitto spirituale […] ognuno dei ciechi abi-
tanti in questa Città dovesse arrollarsi in detta Congregazione», e
richiede esplicitamente che qualora dei «ciechi forasteri […] voles-
sero esercitare l’officio di andar cantando orazioni spirituali in que-
sta Città, dovessero pagare alla detta Congregazione rotolo uno di
cera l’anno, e se cantassero istorie profane di star sogetti, oltre delle
sopracennate pene, ad’anni due di esilio».
Il complesso delle testimonianze relative all’attività degli orbi
fra Settecento e Ottocento offre un quadro dettagliato sia del loro
repertorio – costituito in prevalenza da canti sacri ma anche da sto-
rie, canzuni, canzonette e musiche da ballo – sia delle occasioni in
cui essi si esibivano: celebrazioni a carattere religioso, ma anche
feste nuziali e conviviali, serenate e spettacoli dell’opera dei pupi.
Nonostante la varietà delle prestazioni offerte, la specializzazione
di questi musici ambulanti restò soprattutto legata alla esecuzione
di canti religiosi: se la trasmissione del repertorio sacro (orazioni e
storie agiografiche, litanie, canzonette devote, ecc.) garantiva ai
cantastorie un guadagno certo e continuativo, la Chiesa poteva nel
contempo avvalersi del loro servizio per operare una forma di cate-
chesi particolarmente efficace, diffondendo in un linguaggio di
immediata ricezione popolare temi e motivi religiosi secondo i
canoni ufficiali. Oltre ai «fratelli poeti» appartenenti alla Congrega-
zione dei Ciechi, gli autori che posero mano alla stesura dei com-
ponimenti – di norma stampati in libretti o fogli volanti – furono sia
laici, come Pietro Fullone (Palermo, XVII secolo) o Antonio La Fata
(Catania, prima metà del XVIII secolo), sia ecclesiastici, come il
canonico Antonio Diliberto (Monreale, XVIII secolo, autore del cele-
bre Viàggiu dulurusu, cfr. par. 7.2.) o, nella fase appena seguente il
definitivo scioglimento della Congregazione nel 1860, il sacerdote
Giovanni Carollo (Carini, seconda metà del XIX secolo).
Si tratta a questo punto di rispondere a due quesiti incrociati
FIG. 48. Frontespizio di una edizione ottocentesca che avviano utilmente alle conclusioni: come mai nei vari docu-
del Viàggiu dulurusu (coll. Museo Pitrè). menti relativi all’attività degli orbi non si fa menzione degli zampo-
gnari ambulanti, che potevano costituire una concorrenza non
meno agguerrita dei suonatori “vedenti” o di quelli “forestieri”? E
perché la zampogna a chiave resta geograficamente circoscritta in
Sicilia all’area di Palermo e Monreale? La risposta si fonda su due
constatazioni: la prima di ordine socio-politico, la seconda intrin-
seca alla tipologia specifica dello strumento.
Attraverso il patronato sulla Confraternita, la Chiesa garantiva il
monopolio di un mestiere che permetteva di sostenere «la povera
vita e famiglia d’ognuno» (Cap. 11 dello statuto) e gli orbi si impe-
gnavano a moralizzare la musica di strada, contribuendo a trasfor-
mare l’ambiente popolare in “comunità di devoti” (cfr. Châtellier
1988). Considerato che gli zampognari cittadini non furono oggetto
di prescrizioni entro questo rigido quadro disciplinare, si può pen-
sare che la loro attività risultasse funzionale al medesimo progetto
catechetico, con una differenza sostanziale: mentre il mestiere
“devozionale” degli orbi era esteso a comprendere l’intero ciclo
annuale, l’attività degli zampognari era invece circoscritta al perio-
do natalizio, quando tra l’altro la richiesta di novene domiciliari rag-

Una zampogna barocca in Sicilia

131
giungeva la massima intensità, tanto che in numerosi centri del-
l’entroterra si usava ingaggiare perfino “orchestrine” formate da
suonatori di banda: «in certi paesi [la novena] è fatta con cinque,
otto, dieci sonatori della banda paesana; si suonano quattro pezzi;
due dei quali quelli propri della novena imitanti la cornamusa; il
terzo quello della litania; un quarto a scelta dei de’ sonatori o de’
padroni di casa» (Pitrè 1881: 436). Non privo di significato è il fatto
che gli stessi orbi considerassero la ciaramedda connotativa del
Natale, come dimostra una testimonianza raccolta nel 1974 da Elsa
Guggino: «Angelo [Cangelosi] aveva con sè il violino e non la chi-
tarra, suo abituale strumento, poiché, mi disse, serviva meglio ad
imitare il suono della zampogna nei canti natalizi» (1980: 34).
Da un lato, pertanto, le professioni di orbi-cantastorie e ciara-
middari-cantori, entrambe tipicamente urbane, tendevano a
sovrapporsi, condividendo un repertorio poetico-musicale in parte
analogo. Per altro verso, la zampogna a chiave, con le sue ascen-
denze barocche e culte, affatto distanti dall’aggressività sonora
della zampogna “a paro”, di tradizione schiettamente pastorale e
legata più alle danze rurali che all’ordine della civitas, sembra 132-133. Angelo Cangelosi esegue la novena di
Natale. Palermo 1976 (foto G. Pagano).
armonizzarsi agli interessi pedagogici della Chiesa. Va infatti osser-
vato che ancora in pieno Settecento, dopo secoli di tentativi finaliz-
zati ad attenuare le forme più estreme della religiosità popolare, in
certi contesti le autorità ecclesiastiche continuavano a “patire” gli
eccessi dei suonatori di estrazione pastorale nelle celebrazioni
della Natività. Ne è un esempio la testimonianza di padre Andrea
Gurciullo, parroco a Sortino (in provincia di Siracusa) dal 1749 al
1803, che giunge a definirne diaboliche le pratiche musicali:

Con quella proprietà e gravità che si deve alle funzioni sagre era
celebrata la sollenità del Natale del Signore sebbene non così la
Notte Sacra. / Conciosiache in vece di passar quella Notte in tene-
rezze ed in devozzione, la passava il popolo in crapole, e in altri
disordini. / Il numero dei pecoraj che in quel tempo fiorivano era
eccedente, or ognun di loro nella chiesa portava il suo stromento
da sonare, che tutti formavano una musica diabbolica. / Detto
disordine di così sconcertati suoni à perdurato fin a dì nostri, ben-
ché il Rev. beneficiale Tieso mio antecessore col suo zelo pastorale
avesse occorso colla sua autorità a detto disordine, cacciando dalla
Chiesa Madre detta sorta di suonatori; facendo altresì in detta
Santa Notte di Natale un breve sermone come si costuma, e si pro-
siegue colla grazia del Signore. Eglino non pertanto cacciati via
dalla Chiesa Madre, se ne andavano all’altre chiese, ove punto non
incontravano oppositione. / Finalmente nell’anno scorso 1752 per
ordine del Reverendissimo Signor Vicario Generale, par si che
fosse dell’intutto dato fine a detti disordini, avendo sortito quella
Santa Notte in pace, senza stromenti sconcertati, ma con propij, e
coll’organo; e si spera dalla pietà del Signore così dover avvenire,
e succedere ne futuri anni, se si compiace Iddio benedetto lasciar-
ci in vita. [ms. Notizie della Chiesa di Sortino, vol. 1, p. 144]

Affiora qui lo «zelo pastorale» con cui si è inteso esorcizzare la


«musica diabbolica», praticata dai «pecoraj» con «stromenti scon-
certati», attraverso un’altra musica, magari anch’essa “pastorale”,
tuttavia da eseguire con strumenti «proprij, e coll’organo»: una
testimonianza che sintetizza emblematicamente i dislivelli e le
interferenze tra le forze in campo nella rappresentazione “musica-
le” della Natività.
A Messina, uno dei tre maggiori centri urbani dell’Isola, le cose
sono andate diversamente. Anche nel Capoluogo peloritano, cir-

La zampogna a chiave in Sicilia

132
condato da monti che hanno sempre offerto terreno fecondo alle
attività pastorali, era molto radicata la tradizione della ciara-
medda a pparu, e ancora oggi vi sono parecchie famiglie che
richiedono la tradizionale novena domiciliare. Un tipo lievemente
diverso di zampogna era tuttavia ammesso anche all’interno delle
chiese cittadine, dove duettava con l’organo nelle celebrazioni
liturgiche e paraliturgiche del Natale:

La zampogna destinata a ciò era più piccola di quella usata dai con-
tadini, che per le feste di Natale scendevano in Messina e si vede-
134. Felice Pagano (violino) e Domenico Santapaola vano per la città andare suonando dove fossero cone, presepii o
(chitarra). Messina 1997 (foto S. Bonanzinga).
altarini preparati per la celeste e sentimentale novena. I zampognai
da chiesa erano però quasi tutti artigiani, tra i quali il più famoso ed
abile era a tempi miei un bottajo; eseguivano varii pezzi, che ricor-
do benissimo ed ò trascritti tutti in apposita raccolta; suonavano
soltanto in chiesa, non adoperando mai lo strumento loro per bac-
cannali, come usavan fare i contadini. Estasiante era il pezzo chia-
mato scordino, che si eseguiva in mi; sicché il suonatore impediva,
prima di attaccarlo, che suonasse il bordone mi (suono continuo
negli altri pezzi, tutti in la). Uno di questi era la Contradanza di Pla-
tone [musicista campano, attivo a Messina tra il 1777 e il 1827], con
che qualche volta si chiudeva la serie delle suonate fatteci sentire in
una cerimonia ecclesiastica, e che era d’un effetto assai giulivo, ma
non triviale. [Nicotra 1920: 4-5]

Questa tradizione musicale, già coniugata al passato al tempo


in cui scriveva Leopoldo Nicotra, non è mai stata in seguito
documentata e neppure è stato possibile reperire la “raccolta” di
trascrizioni musicali da questi menzionata. Il brano detto “scor-
dino” (scurdinu), indicato come tipico degli «zampognai da chie-
sa», viene però ancora eseguito dai più abili suonatori del Mes-
sinese (cfr. Staiti 1989: 76-79).
A Palermo è invece uno strumento più recente e per certi versi
“unico” ad affermarsi nella realtà devozionale cittadina. Si tratta di
una zampogna a doppia chiave, di registro grave, poco agile e
quindi inadatta al repertorio da danza, ma in compenso perfetta-
mente adeguata a tradurre in linguaggio popolare le Pastorali
barocche per organo: una congruenza che, diversamente da quan-
to accadeva agli orbi, dischiuse ai suonatori le porte dei templi,
“addomesticando” una tradizione musicale consolidata senza pre-
giudicarne l’attrattiva sugli strati “bassi” della società1. Si può
135. Il suonatore e costruttore di zampogna infatti ipotizzare che quest’altra ciaramedda sia una specializzazio-
“a paro” Antonino Mento (detto Sciuni). ne urbana e iperlocalizzata dell’originario strumento pastorale che,
Rometta 1990 (foto M. Sarica).
proprio per aver intersecato il progetto politico-religioso dei
Gesuiti palermitani, si cristallizzò in quella forma materiale e con
quel repertorio giunto con vicende alterne sino a noi. Dopo un
viaggio cominciato presumibilmente nella Capitale del Regno
delle due Sicilie, la grande zampogna a chiave trovò nell’area di
Palermo e Monreale non solo un terreno in cui attecchire, ma un
contesto articolato in cui l’intreccio tra elementi storici contingen-
ti e le tensioni di un vitale immaginario locale determinarono forse
l’invenzione di una nuova tradizione autoctona.

1 Riguardo alla centralità della zampogna pastorale entro le rappresentazioni icono-

grafiche e drammatico-musicali della Natività in Sicilia si vedano in particolare:


Staiti 1990, 1997; Bonanzinga 2005b.

Una zampogna barocca in Sicilia

133
136-137. Benedetto Miceli (zampogna) e Salvatore Modica eseguono la novena di Natale
in una macelleria e davanti a una bottega di frutta e verdura. Palermo, rione Altarello, 2006 (foto A. Maggio).

La zampogna a chiave in Sicilia

134
Inventario dei documenti sonori
e audiovisuali

Supporti: BOB = nastro magnetico su bobina; AC = audiocassetta analo-


gica; AC DAT = audiocassetta digitale; VC AN = videocassetta analogica; VC DV
= videocassetta digitale. Modalità esecutive: v. = voce; vv. alt. = voci alter-
nate; z. = zampogna a chiave. Forme di edizione: d. = disco; cd. = compact
disc; vf. = videofilmato.

A) RILEVAMENTI DIRETTAMENTE CONDOTTI

RILEVAMENTO 1: Palermo (Chiesa del SS. Salvatore), 18/12/1986.


Occasione: “Repertori tradizionali della Sicilia e della Sardegna”,
concerto tenuto nell’ambito del Convegno “Mediterranea ’86.
Modalità e forme della musica etnica”, organizzato dal Centro per
le Iniziative Musicali in Sicilia con il coordinamento di Gaetano
Pennino. Presentazione di Roberto Leydi. Esecuzione: Sebastiano
Davì e Girolamo Patellaro. Audioripresa: S. Bonanzinga. Supporto:
1 AC AN. Documenti sonori: 1. Presentazione di R. Leydi con breve
intervista a S. Davì. – 2. Pasturali (z. Davì). – 3. Santa Rusulìa (z.
Patellaro, v. Davì). – 4. Sunata [Fìgghiu pruòricu / San Gisieppi /
Inno eucaristico] (z. Davì). – 5. Sunata [Turidduzzu / Bersagliera] (z.
Patellaro).

RILEVAMENTO 2: Scala Torregrotta (ME, Aula Consiliare del Comu-


ne), 28/02/1987. Occasione: “Gli strumenti musicali popolari a fiato
continuo”, incontro seminariale coordinato da Orazio Corsaro. Ese-
cuzione: Sebastiano Davì, Girolamo Patellaro e Benedetto Ferraro.
Audioripresa: S. Bonanzinga. Supporto: 1 AC AN. Documenti sonori:
1. Litania (z. Davì). – 2. Litania (z. Patellaro). – 3. Santa Rusulìa (z.
Patellaro, vv. alt. Davì e Ferraro). – 4. U viàggiu [parte iniziale] (z.
Patellaro, vv. alt. Davì e Ferraro). – 5. Sunata (z. Davì). – 6. Quannu
la santa Matri nutricava (z. Patellaro, vv. alt. Davì e Ferraro). – 7. U
viàggiu [da San Giuseppi caminava e la rrètina tirava] (z. Patellaro,
vv. alt. Davì e Ferraro). – 8. Sarvi Riggina râ Mmaculata (z. Patellaro,
vv. alt. Davì e Ferraro). – 9. Tu scendi dalle stelle (z. Patellaro, vv. alt.
Davì e Ferraro). – 10. San Gisieppi (z. Davì).

RILEVAMENTO 3: Monreale, 16/12/1992. Occasione: novena di


Natale. Esecuzione: Benedetto Ferraro, Benedetto Miceli, Salvato-
re Modica e Girolamo Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga e Girola-
mo Garofalo (Folkstudio di Palermo). Supporti: 2 AC AN, 3 VC AN 3/4
U-MATIC alta banda (videoperatori Francesco La Bruna e Giancarlo
La Bruna). Documenti sonori: 1. San Gisippuzzu i fora vinìa (z. Fer-
raro; v. Patellaro). – 2. Sarvi Riggina râ Mmaculata / Bersagliera /

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali

135
Valzer [Speranze perdute] (z. Patellaro, v. Ferraro). – 3. U fìgghiu
pruòricu (z. Miceli). – 4. Sant’Antuninu la missa dicìa (z. Ferraro, vv.
alt. Miceli e Modica). – 5. U viàggiu [inizio] (z. Modica, vv. alt. Mice-
li e Patellaro). – 6. Santa Rusulìa [mancante del finale] (z. Patellaro,
vv. alt. Ferraro, Miceli e Modica). – 7. U viàggiu [inizio] (z. Miceli, vv.
alt. Ferraro, Modica e Patellaro). – 8. U viàggiu [dal distico E alli-
grizza piccaturi, già ch’è natu lu Missia, con rit. corale Nunné
nunné, lu picurarè] (z. Modica, vv. alt., Ferraro, Miceli e Patellaro)
– 9. Quannu sant’Antuninu era malatu / Bersagliera (z. Patellaro,
vv. alt. Miceli e Modica). – 10. Santa Rusulìa (z. Miceli, vv. alt. Fer-
raro, Modica e Patellaro). – 11. Sant’Antuninu la missa ricìa (z.
Modica, vv. alt. Miceli, Ferraro e Patellaro). – 12. U viàggiu [dal
distico E alligrizza piccaturi, già ch’è natu lu Missia, con rit. corale
Nunné nunné, lu picurarè] (z. Miceli, vv. Patellaro, Ferraro e Modi-
ca). – 13. Li tri Re (z. Miceli, v. Patellaro). – 14. U fìgghiu pròricu /
Tarantella / Bersagliera (z. Patellaro, vv. Ferraro, Miceli e Modica,
tamb.llo Miceli). – 15. Sarvi Riggina râ Mmaculata (z. Patellaro). –
16. Tu scendi dalle stelle (z. Patellaro, coro di bambini). – 17. Suna-
ta [Litania / Pasturali / Tarantella / Bersagliera] (z. Patellaro). Docu-
menti audiovisuali: Le videoriprese seguono l’audioregistrazione e
presentano inoltre interviste a tutti i suonatori.

RILEVAMENTO 4: Monreale, 29/12/1993. Occasione: ottava dell’Epi-


fania. Esecuzione: Bernardo Carrozza, Salvatore Carrozza e Giacin-
to Davì. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 1 AC AN, 1 VC AN 3/4 U-
MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna). Documenti sonori e
audiovisuali: 1. San Gisippuzzi ri fora vinìa (z. S. Carrozza, v. B. Car-
rozza). – 2. A la notti ri Natali (z. Davì, v. B. Carrozza). – 3. San
Gisieppi (z. B. Carrozza). – 4. Tu scendi dalle stelle [chiusura con il
finale della Pasturali] (z. Davì). – 5. Inno eucaristico (z. S. Carrozza).
– 6. Litania (z. B. Carrozza).

RILEVAMENTO 5: Terrasini (PA), 19/09/1995. Occasione: “Tradizioni


musicali in Sicilia. Rassegna di suoni, canti e danze popolari”, spet-
tacolo a cura di S. Bonanzinga tenuto nell’ambito del “XXI Con-
gresso internazionale di Linguistica e Filologia romanza” (promos-
so dal Centro di Studi filologici e linguistici siciliani). Esecuzione:
Benedetto Miceli, Salvatore Modica e Girolamo Patellaro. Audiori-
presa: S. Bonanzinga. Supporto: 1 AC AN, 1 VC AN 3/4 U-MATIC alta
banda (videoperatore F. La Bruna). Documenti sonori e audiovisua-
li: 1. Santa Rusulia (z. Patellaro, vv. alt. Miceli e Modica). – 2. U fìg-
ghiu pruòricu(z. Patellaro, vv. alt. Miceli e Modica).

RILEVAMENTO 6: Monreale, 28/12/1996. Occasione: ottava dell’Epi-


fania. Esecuzione: Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro. Ricerca:
S. Bonanzinga. Supporti: 1 AC AN, 1 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda
(videoperatore G. La Bruna). Documenti sonori e audiovisuali: 1.
Santa Rusulia (z. Miceli, v. Patellaro). – 2. U picuraru (z. Miceli, v.
Patellaro). – 3. U fìgghiu pruòricu (z. Patellaro, v. Miceli). – 4. A la
notti di Natali (z. Miceli, v. Patellaro). – 5. Dinghi, dinghi a campa-
nedda (z. Miceli, v. Patellaro). – 6. Sant’Antuninu quann’era mala-
tu (z. Patellaro, v. Miceli).

RILEVAMENTO 7: Messina (fraz. Gesso, chiesa San Francesco di


Paola), 27/12/1997. Occasione: “Canti e suoni della devozione. Le
novene di tradizione orale in Sicilia”, rassegna di musiche popola-

La zampogna a chiave in Sicilia

136
ri del Natale a cura di S. Bonanzinga e Mario Sarica. Esecuzione:
Benedetto Miceli, Girolamo Patellaro e Salvatore Modica. Audiori-
presa: S. Bonanzinga. Supporto: 1 AC AN. Documenti sonori: 1. U
viàggiu [inizio] (z. Miceli, v. Patellaro). 2. A la notti ri Natali (z. Mice-
li, v. Patellaro) – 3. U picuraru (z. Patellaro, v. Miceli). – 4. U fìgghiu
pruòricu (z. Patellaro, v. Miceli).

RILEVAMENTO 8: Monreale, 20/01/1998. Occasione: intervista a


Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga.
Supporti: 2 AC AN. Documenti sonori: 1. Girolamo Patellaro recita i
testi dei canti U viàggiu i san Giusieppi, A la notti di Natali, San-
t’Antuninu la missa ricìa, Sant’Antuninu quann’era malatu, U fìg-
ghiu pruòricu, Sarvi Riggina râ Mmaculata, Sarvi Riggina i Nata-
li. – 2. Patellaro illustra le occasioni in cui si suona (novene, otta-
ve, tridui, “trionfi”), con riferimento alle modalità di committenza.
– 3. Patellaro recita e commenta i testi dei canti Quannu la Matri
santa caminava, Quannu la Matri santa nutricava (ne accenna
anche le melodie). – 4. Patellaro fornisce notizie sulle musiche
strumentali, intonando la marcia della Bersagliera, il valzer Spe-
ranze perdute, le canzonette Lazzarella, Turidduzzu, Na picciutted-
da c’avìa sta matina e la Litania (accennando le parole). – 5. Patel-
laro fornisce notizie sugli altri suonatori monrealesi. – 6. Benedet-
to Miceli illustra il sistema di accordatura della zampogna (anche
suonando), con riferimento all’uso della seconda chiave. – 7.
Miceli e Patellaro forniscono notizie sugli altri suonatori monrea-
lesi, con riferimento alla presenza del clarinetto insieme alla zam-
pogna. – 8. Miceli recita i testi dei canti U fìgghiu pruòricu, San-
t’Antuninu quann’era malatu, Dinghi, dinghi a campanedda
(accennando la melodia). – 9. Quannu la santa Matri caminava
(Miceli, solo canto). – 10. Miceli e Patellaro forniscono notizie sui
legni utilizzati per la zampogna. – 10. Miceli illustra la diteggiatu-
ra dello strumento. – 11. Patellaro recita i testi dei canti Sant’Antu-
ninu e u cavaleri e San Gisippuzzu i fora vinìa. – 12. Sant’Antuni-
nu e u cavaleri (Patellaro, solo canto). – 13. Sant’Antuninu la
missa ricìa (Patellaro, solo canto). – 13. Testimonianze varie di
Patellaro sull’attività degli zampognari, con riferimenti ai Ferrante
della Guadagna e alla “piccola zampogna” di Cinisi.

RILEVAMENTO 9: Monreale, 15/02/1998. Occasione: raccolta delle


canne per la costruzione delle ance. Ricerca: S. Bonanzinga. Sup-
porti: 1 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna).
Documenti audiovisuali: Benedetto Miceli effettua la raccolta delle
canne presso un canneto lungo le pendici di Monte Caputo (alle
spalle di Monreale), illustrando l’importanza di questa fase prope-
deutica alla costruzione delle ance.

RILEVAMENTO 10: Monreale 13/05/1998. Occasione: intervista


all’ebanista Giuseppe Flores. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 1 AC
AN, 1 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna). Docu-
menti sonori e audiovisuali: 1. Spiega come ha appreso a costruire
le varie parti della zampogna da Gaetano Molone e fornisce detta-
gliate notizie riguardo alle relative procedure (descrizione delle
diverse parti dello strumento, costruzione del blocco, costruzione
del nappuni con nomenclatura e descrizione degli attrezzi impiega-
ti, descrizione del chiavettu, riferimento ai legni utilizzati, procedure
e attrezzi per realizzare le canne, definizione interna ed esterna delle

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali

137
varie parti, tornitura e verniciatura). – 2. Effettua la lavorazione
esemplificativa di un pezzo al tornio.

RILEVAMENTO 11: Monreale, 28/07/1998. Occasione: costruzione


dell’otre. Supporti: 3 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F.
La Bruna). Documenti audiovisuali: Benedetto Miceli e Girolamo
Patellaro eseguono l’intera procedura per la realizzazione dell’otre,
illustrandone e commentandone le varie fasi.

RILEVAMENTO 12: Monreale 07/10/1998. Occasione: costruzione


delle ance. Supporti: 2 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore
F. La Bruna). Documenti audiovisuali: Benedetto Miceli esegue l’in-
tera procedura per la realizzazione di un’ancia, illustrandone e
commentandone le varie fasi.

RILEVAMENTO 13: Monreale (Villaciambra) e Palermo (Villagrazia,


Chiavelli, Guadagna, Corso Calatafimi), 05/12/1998. Occasione:
novena dell’Immacolata. Esecuzione: Benedetto Miceli, Girolamo
Patellaro e Salvatore Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 2
AC AN, 2 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna).
Documenti sonori e audiovisuali: 1. Sant’Antuninu (z. Miceli). – 2.
Santa Rusulìa (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 3. U viàggiu [inizio] (z.
Miceli, v. G. Patellaro). – 4. U fìgghiu pruòricu (z. G. Patellaro). – 5.
Sarvi Riggina râ Mmaculata (z. G. Patellaro, v. Miceli). – 6. Dinghi
dinghi a campanedda (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 7. Pasturali (z.
Miceli). – 8. U viàggiu [da E a dd’affritta ri Maria, san Giuseppi ral-
ligratu] (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 9. San Gisippuzzu ri fora vinìa
(z. Miceli, v. G. Patellaro). – 10. Litania (z. Miceli). – 11. Litania (z.
Miceli). – 12. U viàggiu [da Su quattr’uri ri la notti, san Giuseppi cci
dicìa] (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 13. Dinghi dinghi a campanedda
(z. G. Patellaro, v. Miceli). – 14. San Gisieppi (z. S. Patellaro). – 15.
U viàggiu [da Doppu tantu caminatu, a lu fini ànnu rruvatu] (z.
Miceli, v. G. Patellaro). – 16. Sant’Antuninu (z. Miceli). – 17. Testimo-
nianza del taverniere settantenne Sparacio di piazza Guadagna che
ricorda gli zampognari Ferrante. – 18. Sant’Antuninu (z. G. Patella-
ro). – 19. Quannu la santa Matri caminava (z. S. Patellaro, vv. alt.
Miceli e G. Patellaro). – 20. Pasturali (z. G. Patellaro). – 21. Dinghi
dinghi a campanedda (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 22. Tu scendi
dalle stelle (z. Miceli). – 23. Sant’Antuninu e u cavaleri (z. Miceli, v.
G. Patellaro). – 24. U viàggiu [da Doppu tantu caminatu, a lu fini
ànnu rruvatu] (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 25. Tu scendi dalle stel-
le (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 26. Santa Rusulia (z. G. Patellaro, v.
Miceli). – 27. Litania (z. G. Patellaro). – 28. Dinghi dinghi a campa-
nedda (z. G. Patellaro, v. Miceli). – 29. Sarvi Riggina râ Mmaculata
(z. G. Patellaro, v. Miceli).

RILEVAMENTO 14: Palermo (rione Guadagna), 07/12/1998. Occa-


sione: novena dell’Immacolata. Esecuzione: Benedetto Miceli e
Girolamo Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 1 AC AN, 1 VC
AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna). Documenti
sonori e audiovisuali: 1. San Gisieppi (z. Miceli). – 2. U viàggiu [da
Sù quatt’uri ri la notti, san Giuseppi cci dicìa] (z. Miceli, v. Patella-
ro). – 3. Sant’Antuninu (z. Miceli). – 4. U picuraru (z. Miceli, v. Patel-
laro). – 5 U fìgghiu pruòricu (z. Miceli). – 6. Sarvi Riggina râ Mma-
culata (z. Patellaro, v. Miceli). – 7. San Gisippuzzu ri fora vinìa (z.
Miceli, v. Patellaro). – 8. U verbu (z. Miceli, v. Patellaro). – 9. San

La zampogna a chiave in Sicilia

138
Gisieppi (z. Miceli) – 10. Litania – 11. U viàggiu [inizio] (z. Miceli, v.
Patellaro). – 12. Pasturali (z. Miceli). – 13. U viàggiu [inizio](z. Mice-
li, v. Patellaro). – 14. San Gisieppi (z. Patellaro). – 15. Santa Rusulìa
(z. Patellaro, v. Miceli).

RILEVAMENTO 15: Palermo (fraz. Villagrazia e rione Guadagna),


22/12/1998. Occasione: novena di Natale. Esecuzione: Benedetto
Miceli e Girolamo Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 1 AC
DAT, 1 VC AN 3/4 U-MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna). Docu-
menti sonori e audiovisuali: 1. U viàggiu [inizio] (z. Miceli, v. Patel-
laro). – 2. Litanìa (z. Miceli). 3. Santa Rusulìa (z. Patellaro, v. Miceli).
– 4. U viàggiu [da E a dd’affritta ri Maria, san Giuseppi ralligratu] (z.
Patellaro, v. Miceli). – 5. Pasturali (z. Patellaro). – 6. Intervista alla
signora Francesca Teresi. – 7. U picuraru (z. Miceli, v. Patellaro). – 8.
Santa Rusulìa (z. Miceli, v. Patellaro). – 9. Sant’Antuninu (z. Miceli).
– 10. Na picciutedda c’avìa sta matina (z. Patellaro). 11. U viàggiu
[dal distico Sù quatt’uri ri la notti, san Giuseppi cci dicìa] (z. Miceli,
v. Patellaro). – 12. U fìgghiu pruòricu (z. Patellaro). – 13. U fìgghiu
pruòricu (z. Patellaro, v. Miceli). – 14. Pasturali (z. Patellaro).

RILEVAMENTO 16: Monreale, 14/03/1999. Occasione: intervista a


Benedetto Miceli. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 2 VC AN 3/4 U-
MATIC alta banda (videoperatore F. La Bruna). Documenti audiovi-
suali: 1. Descrizione di tutte le parti della zampogna, con indicazio-
ne della relativa nomenclatura. – 2. Montaggio e accordatura dello
strumento.

RILEVAMENTO 17: Monreale, 24/12/2000. Occasione: novena di


Natale. Esecuzione: Benedetto Miceli, Salvatore Modica, Girolamo
Patellaro e Salvatore Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti: 1
AC DAT. Documenti sonori: 1. Litania (z. Miceli). – 2. Pasturali (z.
Patellaro). – 3. U fìgghiu pruòricu (z. S. Patellaro, vv. alt. Miceli,
Modica e G. Patellaro). – 4. U viàggiu [inizio] (z. Miceli, vv. alt.
Modica e Patellaro).

RILEVAMENTO 18: Monreale, 08/12/2001. Occasione: novena del-


l’Immacolata. Esecuzione: Gaetano Campanella, Bernardo Carroz-
za, Salvatore Carrozza, Benedetto Miceli, Salvatore Modica, Giro-
lamo Patellaro e Salvatore Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Sup-
porti: 1 VC MINI-DV (videoperatoreVincenzo Ciminello). Documenti
audiovisuali: 1. Sarvi Riggina râ Mmaculata (z. Miceli, v. Modica).
– 2. San Gisippuzzi ri fora vinìa (z. S. Carrozza, v. B. Carrozza). – 3.
Dinghi dinghi a campanedda (z. Modica, v. Miceli). – 4. Quannu la
santa Matri caminava (z. S. Patellaro, vv. Campanella e, solo nel-
l’ultima strofa, G. Patellaro).

RILEVAMENTO 19: Monreale, 29/12/2002. Occasione: intervista a


Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro sulla diteggiatura della zam-
pogna, corredata da esecuzioni musicali. Ricerca: S. Bonanzinga.
Supporti: 1 AC DAT, 2 VC DV-CAM (videoperatori F. La Bruna e S. Bonan-
zinga). Documenti sonori e audiovisuali: 1. Diteggiatura di entrambe
le mani (z. Miceli). – 2. Pasturali (z. Miceli). 3. Pasturali (z. Patellaro).
– 4. Diteggiatura di entrambe le mani (z. Patellaro). – 5. Diteggiatura
di entrambe le mani (z. Miceli). – 6. Pasturali (z. Miceli). – 7. Pastura-
li (z. Patellaro). – 8. U fìgghiu pruòricu (z. Patellaro, v. Miceli). – 9.
Sarvi Riggina ri Natali (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 10. Sant’Antuninu

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali

139
quann’era malatu (z. Patellaro, v. Benedetto Miceli). – 11. U viàggiu
[inizio] (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 12. A la notti di Natali (z. Miceli, v.
G. Patellaro). 13. U picuraru (z. Miceli, v. G. Patellaro). – 14. Scala (z.
Miceli). – 15. Litania (z. Patellaro). – 16. Quannu la santa Matri cami-
nava (z. Patellaro, v. Miceli). – 17. Scala (z. Miceli).

RILEVAMENTO 20: Monreale, 23/12/2004. Occasione: novena di


Natale. Esecuzione: Bernardo Carrozza, Benedetto Miceli, Salvato-
re Modica e Girolamo Patellaro. Ricerca: S. Bonanzinga. Supporti:
1 AC DAT, 2 VC DV-CAM (videoperatori F. La Bruna e S. Bonanzinga).
Documenti sonori e audiovisuali: 1. U viàggiu [inizio] (z. Miceli, v.
Patellaro). – 2. Pasturali (z. Miceli). – 3. U fìgghiu pruòricu (z. Mice-
li, vv. alt. Modica e Patellaro). – 4. Litania (z. Carrozza). 5. Quannu
la santa Matri nutricava (z. Modica, v. Carrozza). 6. A la notti di
Natali (z. Miceli, v. Patellaro). – 7. Li tri Re (z. Miceli, v. Patellaro). –
8. U picuraru (z. Miceli, v. Modica).

RILEVAMENTO 21: Monreale, 02/01/2006. Occasione: ottava del-


l’Epifania. Esecuzione: Benedetto Miceli e Salvatore Modica. Ricer-
ca e videoripresa: S. Bonanzinga. Supporti: 1 VC DV-CAM. Documen-
ti audiovisuali: 1. U santissimu Crucifissu (z. Miceli, v. Modica). – 2.
U santissimu Crucifissu (z. Miceli, v. Modica). – 3. U viàggiu [inizio]
(z. Miceli, v. Modica). – 4. U viàggiu [da E alligrizza piccaturi] (z.
Miceli, v. Modica). – 5. Sarvi Riggina ri Natali, “a vuci stisa” (z.
Miceli, v. Modica).

RILEVAMENTO 22: Palermo (rioni Noce, Altarello e Uditore),


23/12/2006. Occasione: novena di Natale. Esecuzione: Benedetto
Miceli e Salvatore Modica. Ricerca e videoripresa: S. Bonanzinga.
Supporti: 1 VC DV-CAM. Documenti audiovisuali: 1. U viàggiu [dal
distico Doppu tantu caminatu, a lu fini ànnu rruvatu] (z. Miceli, v.
Modica). – 2. Sant’Antuninu (z. Miceli). – 3. Dinghi dinghi a cam-
panedda (z. Miceli, v. Modica). – 4. Sant’Antuninu (z. Miceli). – 5.
U viàggiu [inizio] (z. Miceli, v. Modica). – 6. Calabrisella (z. Miceli).
– 7. U fìgghiu pruòricu (z. Miceli). – 8. U viàggiu [da E Mmaria tutta
cunfusa] (z. Miceli, v. Modica). – 9. Santa Rusulìa (z. Miceli, v.
Modica). – 10. U viàggiu [da E Maria, nostra Signura, vosi ancora
pricurari] (z. Miceli, v. Modica). – 11. U fìgghiu pruòricu (z. Miceli).
– 12. U viàggiu [da Ddiu santu l’assistìa a st’affritti pilligrini] (z.
Miceli, v. Modica). – 13. Pasturali (z. Miceli). – 14. U viàggiu [da
San Giuseppi cci ricìa e la chiama allegramenti] (z. Miceli, v. Modi-
ca). – 15. Tu scendi dalle stelle (z. Miceli). – 16. U viàggiu [da E
Mmaria tutta cunfusa] (z. Miceli, v. Modica). – 17. U fìgghiu pruò-
ricu (z. Modica). – 18. Sant’Antuninu (z. Modica). – 19. Sant’Antu-
ninu (z. Miceli). – 20. Sarvi Riggina ri Natali (z. Miceli, v. Modica).
– 21. Intervista alla signora Caterina (di 82 anni), madre del frutti-
vendolo dove si è svolta la novena.

RILEVAMENTO 23: Palermo, 28/12/2006. Occasione: intervista a Vin-


cenza e Santo Pennino. Ricerca e audioripresa: S. Bonanzinga. Sup-
porti: 1 AC DAT. Documenti sonori: 1. Testimonianze riguardanti i diver-
si aspetti della tradizione zampognara della famiglia Pennino.

La zampogna a chiave in Sicilia

140
B) RILEVAMENTI CONDOTTI DA ALTRI RICERCATORI

RILEVAMENTO 1: Milano, 13/07/1982. Esecuzione: Sebastiano


Davì, Giuseppe Davì. Ricerca: Roberto Leydi. Supporto: 1 BOB.
Documenti sonori: 1. Il figliol prodigo (z. G. Davì, v. G. Davì). – 2.
Pastorale (z. G. Davì). – 3. Novena [Sant’Antuninu] (z. S. Davì). – 4.
Canto della Settimana Santa [Quannu la santa Matri caminava] (z.
G. Davì, v. S. Davì). – 5. Pastorale (z. S. Davì).

RILEVAMENTO 2: Monreale, dicembre 1982. Esecuzione: Sebastia-


no Davì, Girolamo Patellaro. Ricerca: Nico Staiti. Supporto: 1 BOB.
Documenti sonori: 1. Sarvi Riggina ri Natali, “a vuci stisa” (z. Patel-
laro, v. Davì). – 2. Pasturali [Calabrisella] (z. Davì). – 3. Na picciut-
tedda c’avìa sta matina (z. Davì). – 4. U fìgghiu pròricu (z. Patella-
ro, v. Davì). – 5. U viàggiu [da I ddu spusi amat’e ccari] (z. Patella-
ro, v. Davì).

RILEVAMENTO 3: Monreale, 23/12/1986. Occasione: novena di


Natale. Esecuzione: Sebastiano Davì, Girolamo Patellaro, Giovan-
ni Basile. Ricerca: Girolamo Garofalo e Ignazio Macchiarella (Fol-
kstudio di Palermo). Supporto: 1 AC AN. Documenti sonori: 1. U
viàggiu [inizio] (z. Davì, v. Patellaro). – 2. U fìgghiu pròricu (z. Davì,
v. Basile). – 3. Santa Rusulìa (z. Davì, v. Basile). – 4. Sant’Antuninu
quann’era malatu (z. Davì, v. Basile). – 5. Intervista a Patellaro.

RILEVAMENTO 4: Monreale, 21/01/1993 e 15/02/1993. Occasione:


intervista. Ricerca: Mario Crispi (Folkstudio di Palermo). Supporti:
3 AC AN, 2 VC AN S-VHS (videoperatore F. La Bruna). Documenti sono-
ri e audiovisuali: Testimonianze di Benedetto Miceli riguardanti la
costruzione delle ance (dalla raccolta della canna al processo di
lavorazione).

NOTA – Altre esecuzioni di Sebastiano Davì (zzù Nenè) sono


state documentate da Febo Guizzi nel 1982 e nel settembre 1986
(quest’ultima registrazione è stata realizzata a Orta durante una
esibizione offerta ai partecipanti al Meeting dello Study Group on
Musical Instruments dell’International Council for Traditional
Music). Ulteriori registrazioni di zampognari monrealesi (in parti-
colare S. Davì, G. Patellaro e B. Miceli) sono state effettuate da
Nico Staiti tra il 1983 e il 1994.

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali

141
C) AUDIOREGISTRAZIONI REPERITE NEL CORSO DELLE RICERCHE

1. Audiocassetta reperita da Roberto Leydi e Febo Guizzi nel


1982-83, posseduta dalla famiglia Carrozza (registrata nel 1979).
Esecuzione: Leonardo Carrozza (zampogna e voce), Salvatore Car-
rozza (zampogna), Giuseppe Romanotto (zampogna), Bernardo
Carrozza (voce), Bernardo Termini (voce). Contenuto:: 1. Novena. /
2. A solo. / 3. A solo. / 4. Novena di S. Giuseppe [U viàggiu]. / 5.
Novena di S. Giuseppe [U viàggiu]. / 6. Novena. / 7. Novena. / 8.
Novena. / 9. Breve frammento.

2. Audiocassetta reperita da Ignazio Macchiarella nel 1984, pos-


seduta da Girolamo Patellaro. Esecuzione: Sebastiano Davì e Giro-
lamo Patellaro. Collocazione: Archivio del Folkstudio di Palermo
(racc. 20, na. 580). Contenuto:: 1. Sant’Antuninu e u cavaleri (z.
Davì, v. Patellaro). – 2. Santa Rusulìa (z. Patellaro, v. Davì). – 3. U
viàggiu [inizio] (z. Davì, v. Patellaro). – 4. U viàggiu [da San Giusep-
pi avìa vuscatu ddu dinari affannateddu] (z. Davì, v. Patellaro). – 5.
Tu scendi dalle stelle (z. Patellaro, v. Davì). – 6. Pasturali (z. Davì).
– 7. Tu scendi dalle stelle (z. Patellaro). – 8. Madonna di Fatima (z.
Davì). – 9. Calabrisella (z. Davì). – 10. Bersagliera (z. Davì). – 11. Val-
zer (z. Patellaro). – 12. Sunata (z. Davì).

3. Audiocassetta reperita da Girolamo Garofalo nel 1988, posse-


duta da Girolamo Patellaro. Esecuzione: Gaetano Campanella,
Sebastiano Davì, Benedetto Miceli e Girolamo Patellaro. Collocazio-
ne: Archivio del CIDIM, ex-CIMS, sede di Palermo (racc. 11, c. 10). Con-
tenuto:: 1. U viàggiu [inizio] (z. Davì, v. Patellaro). – 2. Sant’Antuninu
la missa ricìa (z. Davì, v. Miceli). – 3. Dinghi, dinghi la campanedda
(z. Davì, v. Patellaro). – 4. Quannu la Matri santa nutricava (z. Davì,
v. Miceli). – 5. U viàggiu [da San Gisieppi caminava e la rètina tira-
va] (z. Davì, v. Patellaro). – 6. Tu scendi dalle stelle (z. Davì). – 7.
Santa Rusulìa (z. Davì, v. Campanella). – 8. Quannu la santa Matri
caminava(z. Davì, vv. alt. Campanella e Miceli). – 9. A la notti ri
Natali (z. Davì, v. Patellaro). – 10. Pasturali (z. Patellaro). – 11. A la
notti ri Natali (z. Davì, vv. alt. Campanella, Miceli e Patellaro).

La zampogna a chiave in Sicilia

142
D) DOCUMENTI EDITI IN ANTOLOGIE DISCOGRAFICHE E
VIDEOFILMATI

GAROFALO, GIROLAMO
d.1990 (a cura di), Il Natale in Sicilia, Albatros ALB 23, 2
dischi, con libretto allegato e presentazione di Elsa Guggino.
– Disco 2, lato A: Novena di Natale (E nunnè lu picuraru)
[7:42]. Nel libretto è riportata la trascrizione del testo poeti-
co, con sottoposta traduzione in italiano. Esecuzione: z. Giro-
lamo Patellaro, v. Sebastiano Davì. Rilevamento: Monreale,
16/12/1987. Ricerca: Nico Staiti.

LEYDI, ROBERTO
cd.1995 (a cura di), Zampogne en Italie, Silex Y225111, con
libretto allegato.
– Brano 13: Novena [2:17]. Si tratta dalla versione strumen-
tale della melodia su cui si intonano i canti che narrano i
miracoli di Sant’Antuninu e altre storie sacre. Esecuzione:
Sebastiano Davì. Rilevamento: Monreale, 13/07/1982. Ricer-
ca: R. Leydi.

BONANZINGA, SERGIO
cd.1996 (a cura di), Documenti sonori dell’Archivio Etno-
musicale Siciliano. Il ciclo dell’anno, collaborazione di R.
Perricone, con libretto allegato, Centro per le Iniziative Musi-
cali in Sicilia, Palermo.
– Brano 3: Novena dell’Immacolata (Sarvi Riggina râ Mma-
culata) [4:05]. Esecuzione: z. Benedetto Miceli, vv. alt. Bene-
detto Ferraro, Salvatore Modica e Girolamo Patellaro (Rile-
vamento 3). – Brano 4: Novena di Natale (U caminu i san
Giuseppi) [2:59]. Esecuzione: z. B. Miceli, vv. alt. B. Ferraro,
S. Modica e G. Patellaro (Rilevamento 3). Nel libretto sono
riportate le trascrizioni dei due testi, con sottoposta traduzio-
ne in italiano.

vf.2003 (a cura di), La zampogna a chiave in Sicilia, VC VHS,


Laboratorio Antropologico Universitario, Dipartimento di
Beni Culturali, Università di Palermo, 2003.
– 00:00 Titoli di testa. – 00:58 U viàggiu (z. B. Miceli, v. G.
Patellaro; Rilevamento 19). – 05:32 Le parti dello strumento
(Miceli descrive le varie parti della zampogna, indicandone
la relativa nomenclatura; Rilevamento 16). – 08:52 Costruzio-
ne delle parti in legno (Giuseppe Flores espone la struttura
dello strumento e le tecniche di lavorazione al tornio dei vari
pezzi; Rilevamento 10). – 17:18 Lavorazione dell’otre (Miceli
e Patellaro eseguono l’intera procedura, illustrandone le
varie fasi; Rilevamento 11). – 28:16 Realizzazione delle ance
(Miceli esegue l’intera procedura, dalla raccolta della canna
al completamento di un’ancia, commentandone le varie fasi;
Rilevamenti 9 e 12). – 40:19 Preparazione e accordatura dello
strumento (Miceli esegue il montaggio della zampogna e
illustra il sistema di accordatura; Rilevamento 16). – 52:10
Scala e diteggiatura (Miceli esegue il brano chiamato A
scala, le immagini pongono in evidenza i movimenti delle
mani, prima insieme e poi separatamente; Rilevamento 18).
– 56:10 Occasioni e repertorio: 1. Testimonianza di Miceli / 2.

Inventario dei documenti sonori e audiovisuali

143
Novena dell’Immacolata (Sarvi Riggina râ Mmaculata, z.
Miceli, v. Modica; San Gisippuzzu ri fora vinìa, z. S. Carrozza,
v. B. Carrozza; Quannu la santa Matri caminava, z. S. Patella-
ro, vv. alt. Miceli e G. Patellaro; Rilevamenti 13 e 17) / 3.
Novena di Natale (Sarvi Riggina ri Natali, “a vuci stisa”, z.
Miceli, v. Modica; U fìgghiu pruòricu, z. Patellaro, vv. alt.
Modica e Patellaro; Litania, z. B. Carrozza; Lu picuraru, z.
Patellaro, v. Miceli; Santa Rusulìa, z. Miceli, v. Patellaro; San-
t’Antuninu, z. Miceli; Rilevamenti 15 e 19) / 4. Ottava dell’Epi-
fania (Santa Rusulia, z. Miceli, v. Patellaro; San Gisippuzzu ri
fora vinìa, z. S. Carrozza, v. B. Carrozza; Inno eucaristico, z. S.
Carrozza; Tu scendi dalle stelle, z. G. Davì; Rilevamenti 4 e 6)
/ 5. La “Pastorale” (testimonianza ed esecuzione di B. Mice-
li; Rilevamento 18).

cd.2004 (éd.), Sicile. Musique populaires, con libretto alle-


gato in versione francese, inglese e italiana, Collection
Ocora - Radio France, Paris.
– Brano 29: Pasturali [4:03]. Esecuzione: B. Miceli (Rileva-
mento 18).

La zampogna a chiave in Sicilia

144
Testi

Nella trascrizione dei testi si sono utilizzati i seguenti criteri: si è sempre resa la geminazio-
ne consonantica; si è sempre indicato l’accento tranne che nelle parole piane; si è indicato
l’accento anche quando la sillaba finale abbia -ia/-iu (fìgghiu, finìu); si sono accentati i mono-
sillabi secondo la prosodia (me fìgghiu, fìgghiu mè); si è segnato l’accento circonflesso sulle
vocali atone in cui siano incorporati elementi vocalici con valore morfologico proprio (ô=a lu,
‘al, allo’; dû/dô=di lu, ‘del, dello’; t’ê=ti àiu, costrutto aviri a + infinito); si è usato il trattino per
segnalare il nesso in sintagmi che si pronunciano saldati insieme (n-cumpagnìa, ‘in compa-
gnia’; m-pedi, ‘in piedi’). Le sillabe eufoniche talvolta interpolate dai cantori nel testo base
sono state poste tra parentesi tonde. Tra parentesi quadre sono riportate le più significative
varianti testuali. Nelle traduzioni in italiano – realizzate con la collaborazione di Fatima Gial-
lombardo – non si è riprodotta l’iterazione di versi presente nei testi originali.

1. U VIÀGGIU I SAN GIUSEPPI IL VIAGGIO DI SAN GIUSEPPE


(o U CAMINU I SAN GIUSEPPI) (o IL CAMMINO DI SAN GIUSEPPE)

Nta lu centru di lu nvernu Nel mezzo dell’inverno


manna Cesari lu bbannu Cesare emana il bando
ie li pòviri signuri e i poveri signori
tutt’a scrìviri si vannu. vanno tutti a iscriversi.

[Quannu Cesari urdinau [Quando Cesare ordinò


ddu gran bbannu dulurusu, quel gran bando doloroso,
nta la chiazza si truvava nella piazza si trovava
san Giuseppi rispettusu.] san Giuseppe preoccupato.]

San Giuseppi n-tantu affannu: San Giuseppe in tanto affanno:


«Comu fazzu cu Mmaria? «Come faccio con Maria?
S’idda senti stu gran bbannu Se lei sente questo gran bando
voli vèniri cu mmia». vuole venire con me».

Arruvat’unni Maria Arrivato da Maria


cci lu misi a rracuntari si mise a raccontare
quali bbanu ddulurusu quale bando doloroso
avìa ntisu pubblicari. aveva sentito pubblicare.

«U tributu âm’a ppagari «Un tributo dobbiamo pagare


senza nudda negativa, senza opporre resistenza,
prestamenti âm’a ttuinnari, rapidamente dobbiamo ritornare,
a la patria nativa». alla patria natia».

«St’àimma mia resta cunfusa «Questa mia anima resta confusa


si nun vegnu cu vvui assemi, se non vengo assieme a voi,
quali pena dulurusa quale pena dolorosa
s’un mi pòitti a Bbetalemmi». se non mi porti a Betlemme».

Testi

145
A l’affritta di Maria All’afflitta Maria
san Giuseppi ralligratu, san Giuseppe rallegrato,
cci dicìa: «Signura mia, diceva: «Signora mia,
vui m’aviti cunsulatu». voi mi avete consolato».

Patti allura nfacinnatu Parte allora affaccendato


e pprucura di manciari, e procura da mangiare,
quanti cosi priparau quante cose preparò
pi pputiri viaggiari. per potere viaggiare.

Vosi ancora prucurari Volle ancora procurare


n’asineddu cu gran cura, un asinello con gran cura,
pir a pperi nun puittari per non portare a piedi
la so spusa santa e ppura. la sua sposa santa e pura.

E Mmaria nostra signura E Maria nostra signor


vos’ancora prucurari volle ancora procurare
ru puliti nfasciatura due pulite fasciature
pi lu so partu sacratu. per il suo sacro parto.

San Giuseppi avìa vuscatu San Giuseppe aveva procurato


ru ri lana paniceddi due pannicelli di lana
e Mmaria avìa fuimmatu e Maria aveva approntato
ru puliti cutriceddi. due pulite copertine.

Li ddu spusi amat’e ccari I due sposi amati e cari


già si mìsiru a la via, già si misero per via,
sunnu fora dâ citati sono fuori dalla città
san Giuseppi cu Mmaria. san Giuseppe con Maria.

San Giuseppi cci dicìa: San Giuseppe le diceva:


«Viaggiamu allegramenti, «Viaggiamo allegramente,
a Bbettlemmi, spusa mia, a Betlemme, sposa mia,
cci-àiu amici e ccanuscienti. ho amici e conoscenti.

Cci-àiu amici e ccanuscienti, Ho amici e conoscenti,


tegnu ntrìnsici parenti ho parenti stretti
ca vidènnuni arrivari che vedendoci arrivare
nni virrannu a incuntrari. verranno a incontrarci.

Nni farannu rripusari, Ci faranno riposare,


nni farannu coittissìa, ci faranno cortesie,
nni darannu d’alluggiari, ci daranno da alloggiare,
nni farannu risturari». ci faranno ristorare».

Doppu tantu caminari, Dopo tanto camminare,


a lu fin’ànnu rruvatu, alla fine sono arrivati,
a l’uscita ànnu pagatu all’uscita hanno pagato
a lu Re lu so tributu. al re il suo tributo.

P’alluggiari s’ànnu iutu Per alloggiare sono andati


nni ll’amici e dda parenti, presso amici e parenti,
nuddu rici: «Bbenvenutu!» nessuno dice: «Benvenuto!»
Tutti ngrati e scanuscenti. Tutti ingrati e irriconoscenti.

Cu fa finta ca nun senti, Chi fa finta che non sente,


cu lu senti e ffa la scusa, chi sente e accampa scuse,

La zampogna a chiave in Sicilia

146
li cacciaru francamenti li cacciarono francamente
san Giuseppi e la so spusa. san Giuseppe e la sua sposa.

O chi ccosa lacrimusa O che cosa lacrimosa


quantu casi firriaru, quante case girarono,
san Giuseppi câ so spusa san Giuseppe con la sua sposa
ca risett’un nni truvaru. che non trovarono riposo.

E a lu fini s’alluggiaru Alla fine alloggiarono


nni na stadda unicamenti, in una stalla solamente,
e ppi strati li mannaru, e per le strade li mandarono,
si truvaru scanuscenti. si videro rifiutati.

Ddiu santu l’assistìa Il buon Dio li assisteva


a st’affritti pellegrini, questi afflitti pellegrini,
cci mannau pi ccumpagnìa mandò loro per compagnia
decimila serafini. diecimila serafini.

Tutti st’àncili ddivini Tutti questi angeli divini


aduràvunu l’equipàggiu adoravano i viandanti
a Mmaria sempri vicinu stando sempre vicini a Maria
(e) dduranti lu viàggiu. durante il viaggio.

E Mmaria cu ggran curàggiu E Maria con gran coraggio


si guarìu l’àncili puri, ha goduto degli angeli puri,
(e) faciennu tantu omàggiu rendendo grande omaggio
all’Eternu Criaturi. all’eterno Creatore.

Era tantu lu splennuri Era tanto lo splendore


pi la so magnifecenza, per la sua magnificenza,
ogni ngratu piccaturi ogni ingrato peccatore
si fimmava m-penitenza. si fermava in penitenza.

Su quattr’uri ri la notti Alle quattro della notte


san Giuseppi cci ricìa: san Giuseppe le diceva:
«Àiu fattu quantu potti, «Ho fatto quanto ho potuto,
cchiù nun pozzu, spusa mia. più non posso, sposa mia.

C’è na rutta a la campìa C’è una grotta in campagna


si vvuliti rripusari, se volete riposare,
vi cci portu n-cumpagnìa vi ci porto in compagnia
mègghiu luoc’un puotti asciari». miglior luogo non ho potuto trovare».

Di lu celu cci calaru Discesero dal cielo


quattru àncili ddivini, quattro angeli divini,
nta dda càmmira firmaru si fermarono in quella stanza
ddecimila serafini. diecimila serafini.

A dda rutta avvicinaru A quella grotta si avvicinarono


faraùti e ciarameddi, flauti e ciaramelle,
a Ggisuzzu cci cantaru cantarono al piccolo Gesù
e ddiversi canzuneddi. diverse canzonette.

Cuntintìssimi arristaru Restarono contentissimi


san Giuseppi cu Mmaria san Giuseppe con Maria
e a Ddiu ringraziaru e ringraziarono Dio
tutti quanti n-cumpagnìa. tutti quanti in compagnia.

Testi

147
2 . A LA NOTTI DI NATALI NELLA NOTTE DI NATALE

A la notti di Natali Nella notte di Natale


ca nascìu lu Bbammineddu nacque il Bambinello
e nnascìu mmenzu la pàgghia, e nacque in mezzo alla paglia,
mmenzu’n bboi e n’asineddu. in mezzo al bue e all’asinello.

[E alligrizza piccaturi [Rallegratevi peccatori


chi è già natu lu Missìa, che è già nato il Messia,
nta la pàgghia niduteddu nella paglia tutto nudo
spostu mbrazza di Maria.] tra le braccia di Maria].

Si lu vidi quant’è bbeddu, Se vedi quanto è bello,


già ch’è nnatu’n picciriddu, questo bambino che è nato,
nni la pàgghia, niduteddu, nella paglia, tutto nudo,
turmintatu di lu friddu. tormentato dal freddo.

Si lu pìgghia a Gran Signura Lo prende la Gran Signora


si l’accùccia a lu so pettu, se lo stringe al petto,
comu matri santa e ppura come madre santa e pura
cci ddicìa fìgghiu ddilettu. lo chiamava figlio diletto.

«Fìgghiu meu, l’ùnicu ggettu, «Figlio mio, unico genito,


tu pi ll’omu patirai, tu per l’uomo patirai,
senza curpa né ddifettu, senza colpa né difetto,
tu u cchiù pèggiu paghirai». tu il peggio patirai».

A dda rutta avvicinaru A quella grotta si avvicinarono


faraùti e cciarameddi, flauti e ciaramelle,
a Ggisuzzu cci cantaru al piccolo Gesù cantarono
(e) ddiversi canzuneddi. diverse canzonette.

Cuntintìssimi arristaru Restarono contentissimi


san Giuseppi cu Mmaria san Giuseppe con Maria
e a Ddiu ringraziaru e ringraziarono Dio
tutti quanti n-cumpagnìa. tutti quanti in compagnia.

La zampogna a chiave in Sicilia

148
3. U PICURARU IL PECORAIO

Ninunnè lu picuraru: Ninunnè* il pecoraio:


«Ciarameddi nn’avemu un paru, «Zampogne ne abbiamo un paio,
li sunamu tutti rui le suoniamo tutt’e due
e Mmaria s’allegra cchiùi». e Maria si rallegra di più».

S’arricogghi u zzingarellu, Si presenta lo zingarello,


è ccalatu dî muntagni, è sceso dalle montagne,
n-testa porta na cannistra, porta in testa un canestro
nuci mmènnuli e ccastagni. di noci mandorle e castagne.

È arrivatu u lignaloru: È arrivato il boscaiolo:


«Nni Maria chi cc’ê puittari?» «Da Maria cosa devo portare?»
Porta un fàsciu i ligna ranni Porta un fascio di legna grande
p’asciucàrici li panni. per asciugargli i panni.

Un fratuzzu e nna suruzza Un fratellino e una sorellina


si parteru r’un pagghiaru si avviarono da un pagliaio,
e na bbona cartidduzza una bella cesta
ri murtidda cci puittaru. di mortella gli portarono.

È arrivatu u iardinaru: È arrivato l’ortolano:


«Nni Maria chi cc’ê puittari?» «Da Maria cosa devo portare?»
Cci puittau n’aranciteddu Le ha portato una piccola arancia
pi l’amuri dû Bbamineddu. per amore del Bambinello.

È arrivatu u zzammataru, È arrivato il caciaio


nun avìa chi cci puittari, non aveva cosa portargli,
porta latti (e) nta na cisca, porta latte e in una cesta
cascavaddu e ttuma frisca. caciovavallo e tuma fresca.

È arrivatu u cacciaturi: È venuto il cacciatore:


«A Mmaria chi cc’ê puittari?» «A Maria cosa devo portare?»
Porta un lebbru er un cunìgghiu Porta una lepre e un coniglio
pi la Matri e ppi lu Fìgghiu. per la Madre e per il Figlio.

È rruvatu un piscatureddu: È venuto un pescatorello:


«A Mmaria chi cc’ê puittari?» «A Maria cosa devo portare?»
Cci purtò a Nostru Signuri Portò a Nostro Signore
un pisci, un granu er un capuni. un pesce, un grano e un cappone.

«S’un su bboni cumpatiti, «Se non sono buoni siate indulgenti,


cun affettu arriciviti, accettate con affetto,
comu puru Matri mia anche perchè Madre mia
su vvinutu ri la campìa». sono venuto dalla campagna».

Ie alla fini ànn’arrivatu, E alla fine sono arrivati


li tri Re di l’Urienti i tre Re dall’Oriente,
cci puittaru n-cumplimentu gli portarono in dono
oru, mirra e ppuru ncensu. oro, mirra e anche incenso.

* Ninunnè e le varianti nunnè e ninu ninu sono espressioni


onomatopeiche intese a riecheggiare il suono della zampogna.

Testi

149
4. I TRI RE I TRE RE

E la stidda risblinnennu, Quando la stella risplendette,


li tri Re poi si parteru. i tre Re si avviarono.
Si parteru a vvintun’ura, Si avviarono alla ventunesima ora,
i filosofi duttura. i filosofi dottori.

E la stidda risplennenti E la stella risplendente


chi spuntava all’Urienti, che spuntava a Oriente,
spunta lesta unni Maria punta veloce dove è Maria,
già ch’è nnatu lu Missìa. dove è nato il Messia.

U Missìa già ch’è nnatu, Il Messia che è già nato,


lu Missìa ddisidiratu, il Messia desiderato,
spunta lestu l’ura i notti spunta presto nell’ora notturna
mmenzu l’òmini già ddotti. in mezzo agli uomini dotti.

Li tri Re di l’Urienti I tre re dell’Oriente


a ddà rutta ànnu arrivatu a quella grotta sono arrivati
e ddavant’a lu Bbamminu e davanti al Bambino
si luvaru li curuni. si tolsero le corone.

Cuntintìssimi arristaru Restarono contentissimi


san Giuseppi cu Mmaria san Giuseppe con Maria
e a Ddiu ringraziaru e ringraziarono Dio
tutti quanti n-cumpagnìa. tutti quanti in compagnia.

La zampogna a chiave in Sicilia

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5. SANTA RUSULÌA SANTA ROSALIA

Rusulìa supra li munti Rosalia sui monti


ca cuntava bbelli cunti. che narrava bei racconti.
U ddimoniu cci dicìa: Il demonio le diceva:
«Va marìtati Rusulìa». «Vai a sposarti Rosalia».

«Sugnu bbona maritata «Sono ben maritata,


cu Gesù sugnu spusata, con Gesù sono sposata,
cu Gesuzzu e ccu Maria con Gesù e con Maria
maritata Rusulìa». è maritata Rosalia».

«Rusulìa te ccà sta littra «Rosalia, tieni questa lettera,


ti la manna lu to patri. te la manda tuo padre.
Era chiusu n-ton palazzu Era chiuso in un palazzo
chi ffaciva comu un pazzu». che faceva come un pazzo».

Rusulìa câ littra leggi Rosalia legge la lettera


e ssi metti a llacrimari. e si mette a piangere.
Rusulìa cchiù liggìa, Rosalia più leggeva,
lacrimari ggià facìa. ancora più piangeva.

«Cavaleri aspetta un pocu «Cavaliere, aspetta un poco


quantu vàiu nnâ me grutta, che vado nella mia grotta.
nni mittemu a cruci n-cuoddu Ci mettiamo la croce in spalla
e ppigghiamu ri ccasutta. e passiamo da qua sotto.

Cavaleri tu c’avisti Cavaliere, cos’hai avuto


ca ri visu ti canciasti? che ti sei cambiato in volto.
Cavaleri tu c’avisti Se sei un vero cristiano
ca ri visu ti canciasti? vieni ad adorare questa croce».

Si ssi veru cristianu Se sei un vero cristiano


veni arùriti sta cruci. vieni ad adorare questa croce».
Si ssi veru cristianu
veni arùriti sta cruci».

«Ora chistu un pozzu fari, «Questo non lo posso proprio fare,


sugnu un cìfiru nfernali. sono un diavolo infernale».
Ora chistu un pozzu fari,
sugnu un cìfiru nfernali».

«E ssi Cristu nun m’aiuta «E se Cristo non m’aiuta


perdu l’arma er a saluti. perdo l’anima e la salute».
E ssi Cristu non m’aiuta
perdu l’arma er a saluti».

Di lu cielu cci calaru Discesero dal cielo


quattru àncili ddivini. quattro angeli divini.
Si la mìsiru ntô menzu Misero in mezzo
a la santa virginedda. la santa verginella.

A li quattru cantuneri Ai quattro angoli


cci su bbelli quattru artari ci sono quattro belli altari
e la musica chi ddicìa: e la musica che diceva:
viva santa Rusulìa! viva santa Rosalia!

Testi

151
6. DINGHI DINGHI A CAMPANEDDA DIN DON LA CAMPANELLA

Dinghi dinghi a campanedda Din don la campanella


cc’è nna pòvira virginedda c’è una povera verginella
ca cantava a litanìa che cantava la litania
pi Ggesuzzu e ppi Mmaria. per Gesù e per Maria.

Nta li seggi di ddamanti Sulle sedie di diamanti


si cci assèttanu li santi. ci si siedono i santi.
(e) Li santi addinucchiuni, I santi in ginocchio,
si cci assetta lu Signuri. ci si siede il Signore.

Lu Signuri è mmisu n-cruci, Il Signore è messo in croce,


la Madonna lu cunnuci, la Madonna lo accompagna,
lu cunnuci strati strati lo accompagna per le strade
pi ssaibbari li malati. per guarire gli ammalati.

Li malati su saibbati, Gli ammalati son salvati


viva viva a Trinitati. viva viva la Trinità.
Trinitati a lu cummentu, La Trinità al convento,
viva viva u Sacramentu! viva viva il Sacramento!

La zampogna a chiave in Sicilia

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7. SANT’ANTUNINU E U CAVALERI SANT’ANTONINO E IL CAVALIERE

E cc’era un cavaleri, lu mischinu, E c’era un cavaliere, poverino,


ca era ciuncu ri mani e ddi peri, che era storpio di mani e di piedi.
ca era ciuncu ri mani e ddi peri.

N-suonnu cci accumparìu sant’Antuninu, In sogno gli apparve sant’Antonino,


cci dissi: «Allegramenti, cavaleri!» gli disse: «Allegro, cavaliere!»
Cci dissi: «Allegramenti, cavaleri!»

Cci dissi: «Cavaleri, tu chi ài?» Gli disse: «Cavaliere, che cos’hai?».
«Ca sugnu ciuncu ri mani e ddi peri, «Sono storpio di mani e di piedi».
ca sugnu ciuncu ri mani e ddi peri».

Cci dissi: «Cavaleri, chi mmi runi Gli disse: «Cavaliere, che mi dai?
si la saluti ti fazzu tuinnari? se in salute ti faccio tornare?»
Si la saluti ti fazzu tuinnari?»

«Ti rugnu li palazzi e li me bbeni, «Ti do i miei palazzi e i miei beni,


bbasta ca la saluti tonna arreri! purché la salute ritorni!»
Bbasta ca la saluti tonna arreri!»

«Nun vògghiu né palazzi e mmancu bbeni, «Non voglio né palazzi né beni,


cu n’urfanedda tu t’â mmaritari, tu devi sposare un’orfanella,
ca notti è gghiornu chianci a li me pedi». che notte e giorno piange ai miei piedi».

E appena la matina s’à svigliatu, E quando la mattina si è svegliato,


u suonnu a sso matri cci à raccuntatu, il sogno alla madre ha raccontato.
u suonnu a sso matri cci à ccuntatu.

«M’àiu nsunnatu un suonnu ri valuri, «Ho fatto un sogno importante,


sant’Antuninu maritari mi voli, sant’Antonino mi vuole maritare».
sant’Antuninu maritari mi voli».

N-carrozza s’ànnu misu li signuri, In carrozza si sono messi i signori,


sùbitu a lu palazzu ànnu arrivatu, subito sono arrivati al palazzo,
sùbitu lu cuntrattu ànnu firmatu. subito hanno firmato il contratto.

E mmentri lu cuntrattu si scrivìa, E mentre il contratto veniva scritto,


u cavaleri m-pedi si mittìa, il cavaliere si metteva in piedi.
u cavaleri m-pedi si mittìa.

E quannu lu cuntrattu fu allistutu, E quando il contratto fu concluso,


lu cavaleri m-pedi s’è mittutu. il cavaliere in piedi si è messo.
Appoi iaimmaru fistinu a sant’Antuninu! E poi fecero un festino per sant’Antonino!

Testi

153
8. SANT’ANTUNINU LA MISSA RICÌA SANT’ANTONINO LA MESSA DICEVA

Sona la campanedd’a lu matinu Suona la campanella al mattino


sant’Antuninu la missa dicìa, sant’Antonino la messa diceva.
sant’Antuninu la missa dicìa.

Iè mmisu nta nn’aittari a ppridicari, Mentre sta su un altare a predicare,


un àncilu di Ddiu nni fu abbisatu, da un angelo di Dio fu avvisato,
ca c’è lu patri a morti cunnannatu. che il padre a morte è condannato.

Cci fu nu granni spiritu putenti, Grazie a uno spirito potente,


subbitamenti a Padov’è arrivatu, velocemente a Padova è arrivato.
subbitamenti a Padov’è arrivatu.

Arriva nta la piazza sant’Antuninu Sant’Antonino arriva nella piazza


e ttrova lu so patri ncatinatu, e trova il padre suo incatenato.
e ttrova lu so patri ncatinatu.

E mmenzu a la giustizia s’è mmisu Si è frapposto alla giustizia:


«Pirchì tiniti st’omu ncatinatu?» «Perché tenete quest’uomo incatenato?»
«Ha fattu n’omicìdiu mancatu». «Ha commesso un omicidio efferato».

Sant’Antuninu alza l’uocchi n-celu, Sant’Antonino alza gli occhi al cielo,


si rrivurgìu ô so Ddiu onniputenti, si rivolse a Dio onnipotente.
si rrivurgìu ô so Ddiu onniputenti.

Niscìu lu moittu di la sapuittura: Esce il morto dalla sepoltura:


«Sciugghìtici li mani a stu nnuccenti, «Sciogliete le mani a questo innocente,
ca nun è chistu chi m’à fragillatu». che non è lui che mi ha massacrato».

Quannu la giustizia lu senti, Quando la giustizia lo sente,


cci sciògghinu li mani a ddu nnuccenti, sciolgono le mani all’innocente,
cci sciògghinu li mani allegramenti. gli sciolgono le mani con gioia.

«O pòpilu mm’aviti a ppirdunari «Popolo, mi devi perdonare


ca iu a me patri vinni a llibbirari, che io mio padre sono venuto a liberare».
ca iu a me patri vinni a llibbirari».

Lu pòpulu grirava ri cuntinuu: Il popolo gridava senza sosta:


«Chi ggràzia ca nni fa sant’Antuninu, «Che grazia ci fa sant’Antonino!»
chi ggràzia ca nni fa sant’Antuninu!»

La zampogna a chiave in Sicilia

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9. QUANNU LA SANTA MATRI CAMINAVA QUANDO LA SANTA MADRE CAMMINAVA

Quannu la Matri santa caminava, Quando la santa Madre camminava,


lu dolci fìgghiu sò ciscannu ia, il suo dolce figlio andava cercando.
lu dolci fìgghiu sò ciscannu ia.

Scuntrava san Giuvanni pi la via, Incontrò San Giovanni per la via,


cci dissi: «Vu c’aviti Matri mia? le chiese: «Voi che avete Madre mia?»
Cci dissi: «Vu c’aviti Matri mia?»

«E cchi aviri fìgghiu miu Giuvanni, «Che devo avere, figlio mio Giovanni,
ca iò persi a me fìgghiu Nazzarenu, ho perso mio figlio il Nazareno».
ca iò persi a me fìgghiu Nazzarenu».

«Va iti nni la casa di Pilatu, «Andate alla casa di Pilato,


ca lu truvati chius’e ncatinatu, lì lo trovate chiuso e incatenato».
ca lu truvati chius’e ncatinatu».

Tuppi, tuppi: «Cu è nta stu puittuni?» Bussa bussa: «Chi è al portone?»
«Rapri ca sugnu la to ffritta matri, «Apri che sono la tua afflitta madre».
rapri ca sugnu la to ffritta matri».

«E ccomu matri mia pozzu rapriri, «E come posso aprire madre mia,
ca li iudei mi tennu ncatinatu, che i Giudei mi tengono incatenato?
ca li iudei mi tennu ncatinatu.

Va iti nni lu mastru di li chiova, Andate dal fabbro,


faciti fari tri cchiova pi mmia, fate fare tre chiodi per me.
faciti fari tri cchiova pi mmia.

Né tanti longhi e né tanti puncenti, Né molto lunghi né molto pungenti,


c’ànn’a ppassari sti canni nnuccenti, che debbono trapassare queste carni innocenti,
c’ànn’a ppassari sti cannuzzi santi». che debbono trapassare queste carni sante».

Rispunni lu iudeu di ddà n-capu: Risponde il giudeo da lassù:


«Cchiù grossi e ssenza punta l’ât’a ffari, «Più grossi e senza punta li dovete fare».
cchiù grossi e ssenza punta l’ât’a ffari».

Quannu Maria senti ddù parrari, Quando Maria sentì queste parole,
fici trimari u cielu, terra e mmari, fece tremare cielo, terra e mare!
fici trimari u cielu, terra e mmari!

Testi

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10. SANT’ANTUNINU QUANN’ERA MALATU QUANDO SANT’ANTONINO ERA MALATO

Sant’Antuninu quann’era malatu Sant’Antonino quand’era malato


tutti li santi lu ieru a vvidiri, tutti i santi andarono a visitarlo.
tutti li santi lu ieru a vvidiri.

Cci iu Maddalena scapiddata Ci andò Maddalena scarmigliata


e cci puittau ddu pumidda fini, e gli portò due piccole mele.
e cci puittau ddu pumidda fini.

Cci rissi: «Arrifrìscati malatu Gli disse: «Ristorati malato


c’an Paradisu nn’êm’a vvidiri, che in Paradiso ci rivedremo».
c’an Paradisu nn’êm’a vvidiri».

(e) m-Paradisu cc’è nna funtanella In Paradiso c’è una fontanella


unni va e pìgghia l’acqua Maria bbella, dove raccoglie l’acqua Maria bella.
unni va e pìgghia l’acqua Maria bbella.

(e) m-Paradisu cc’è nna lunga scala In Paradiso c’è una lunga scala
ch’è firriata di suli e ddi luna, ornata di sole e di luna.
ch’è firriata di suli e ddi luna.

Bbiata chidd’armuzza chi cci acchiana, Beata quell’anima che vi sale,


Maria di lu Rrusàriu è la patruna, Maria del Rosario è la padrona!
Maria di lu Rrusàriu è la patruna!

11. QUANNU LA SANTA MATRI NUTRICAVA QUANDO LA SANTA MADRE ALLATTAVA

Quannu la santa Matri nutricava Quando la santa Madre allattava


e nutricava lu veru Missìa, e allattava il vero Messia.
e nutricava lu veru Missìa.

Supra li gginucchiedda sû mittìa, Sulle ginocchia se lo metteva,


latti cci dava e lu bbinidicìa, latte gli dava e lo benediceva.
latti cci dava e lu bbinidicìa.

Quannu lu Signuruzzu caminava Quando il Bambinello camminava


mmenzu li rrocci rrocci si nni iava, in mezzo alle rocce se ne andava.
mmenzu li rrocci rrocci si nni iava.

Tutti li lignicedda chi ttruvava, Tutti i legnetti che trovava,


u signu di la cruci si facìa, il segno della croce si faceva.
u signu di la cruci si facìa.

«In soitti – dissì a so matri Maria – «Per destino – disse a sua madre Maria –
Cussì àv’a spirari l’aimma mia, così deve spirare l’anima mia».
cussì àv’a spirari l’aimma mia».

La zampogna a chiave in Sicilia

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12. SAN GISIPPUZZU I FORA VINÌA SAN GIUSEPPE VENIVA DA FUORI

San Gisippuzzu ri fora vinìa San Giuseppe veniva da fuori


puittava un panareddu di cirasa, portava un panierino di ciliegie.
puittava un panareddu di cirasa.

U Bbamineddu allura cci ricìa: Il Bambinello allora gli diceva:


«Manciamu ca ora lu tata veni, «Mangiamo che ora il padre viene».
manciamu ca ora lu tata veni».

«E mancia tu ca si picciriddu, «E mangia tu che sei piccolo,


ca io spettu lu tata vicchiareddu, che io aspetto il padre vecchierello».
ca io spettu lu tata vicchiareddu».

Passaru li tri Re e vìttiru a iddu, Passarono i tre Re e lo videro,


spiaru: «Ri cu è stu picciriddu?» domandarono: «Di chi è questo bambino?».
Spiaru: «Ri cu è stu picciriddu?»

«È ddi Maria lu Sabbatureddu, «È di Maria il piccolo Salvatore,


talìa, talìa chi ddivintau bbeddu, guarda, guarda, come è diventato bello!»
talìa, talìa chi ddivintau bbeddu!»

13. U VERBU IL VERBO

U verbu sàcciu e u verbu ài’a ddiri, Il Verbo so e il Verbo devo dire,


chiddu chi nni lassau nostru Signuri, quello che ci lasciò Nostro Signore.
chiddu chi nni lassau nostru Signuri.

Quannu si misi n-cruci pi ppatiri, Quando si mise in croce per patire,


pi ssarvari a nnuatri piccaturi, per salvare noi peccatori.
pi ssarvari a nnuatri piccaturi.

(e) O piccaturi (e) o piccatrici, annati O peccatori, o peccatrici, andate


ad adurari a la so santa cruci, ad adorare la sua santa croce.
(e) ad adurari a la so santa cruci.

Si nnotti e gghiornu â via dicìa, Se notte e giorno per la via diceva,


dicemu viva santa Rusulìa, diciamo viva santa Rosalia!
dicemu viva santa Rusulìa!

Testi

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14. U FÌGGHIU PRUÒRICU IL FIGLIOL PRODIGO

«(ie) Ssignuri e ppatri mi nni vòggh’iri, «Signor padre, me ne voglio andare,


mi vògghiu guariri la mia libirtà». voglio godermi la mia libertà».
«(ier) O fìgghiu meu te ccà lu dinaru, «O figlio mio tieni il denaro,
vatinni a scialari, l’ê vvìdiri tu». vai a divertirti, veditela tu».

Scinni ddà scala cu pprèscia e pprimura Scese la scala con fretta e premura
l’amici allura lu trovanu ddà. gli amici allora lo trovarono là.
«Amici mei manciamu cuntenti «Amici miei mangiamo contenti
c’allegramenti ddinari ci nn’è». che allegramente denari ce n’è».

Quannu l’amici lu vìttiru nudu Quando gli amici lo videro nudo


lu lassaru sulu in chidda città. lo lasciarono solo in quella città.
«Amici mei picchì mi lassati, «Amici miei perché mi lasciate,
m’abbannunati ora chi nunn’àiu cchiù?» mi abbandonate ora che non ho più niente?».

Iddu na canna s’â mmisu a li manu Tiene nella mano un bastone


e ccomu n-viddanu a ddumannari va. e come un poveraccio va chiedendo l’elemosina.
Iddu i luntanu vitti na massirìa: Da lontano vide una masseria:
«Ora cci vàiu e vvidu si vvoli a mmia. «Ora ci vado e vedo se mi vogliono.

Signò patruni ciscati n-garzuni, Signor padrone, cercate un garzone,


mi rati n’agnuni er un pezzu ri pani?» mi date un angolino e un pezzo di pane?»
«O fìgghiu meu si tu cu mmia vò stari, «Figlio mio se con me vuoi stare,
i porci a vvaddari e ghianna t’â mmanciari». i porci devi custodire e ghiande devi mangiare».

«Signò patruni a mmia nun mi cunveni, «Signor padrone a me non conviene,


picchì sugnu fìgghiu di rre e ccavaleri». perché sono figlio di re e cavaliere».
Supra n-petruni si misi sirutu, Sopra una pietra si mise seduto,
pinsannu a lu statu di lu patri sò. pensando allo stato di suo padre.

«Si vvàiu nni me patri, iddu mi vastunìa «Se vado da mio padre, lui mi bastona
poi mi castìa comu mmerritu cchiù». poi mi castiga come merito di più».
Lu pilligrinu si metti n-caminu, Il pellegrino si mette in cammino,
lu pilligrinu nni so patri va. il pellegrino da suo padre và.

Affaccia so patri cu l’uocchi piangenti, Compare suo padre con gli occhi piangenti,
spiannu a la ggenti: «Me fìgghiu dunn’è?» chiedendo alla gente: «Mio figlio dov’è?».
(e) Lu so patri ffacciat’u baiccuni Suo padre affacciato al balcone
vidi viniri un omu pintutu. vede venire un uomo pentito.

«Curriti tutti, servi e criati, «Correte tutti, servi e servitori,


nun lu lassati ca me fìgghiu è. non lo lasciate andare che è mio figlio.
Ffacìtici u bbagnu prizziusu e ffinu, Preparate un bagno prezioso e raffinato,
lu bbagnu ddivinu ch’è ffigghìu di rre. un bagno divino che è figlio di re.

Cunzati la tàvula, cunzati la mensa, Apparecchiate la tavola, preparate la mensa,


u primu cchi ppensa pi lu fìgghiu sò. il primo pensiero va al proprio figlio.
Ora mmazzamu la mègghiu ddilizza, Ora ammazziamo le bestie migliori,
pi la cuntintizza chi me fìgghiu è ccà. per la gioia che mio figlio è qui.

Cunzati lu lettu, cunzatu a la tùicca, Preparate il letto, apparecchiato alla turca,


pi quantu si cùicca stu ffigghìu di rre. affinché si corichi questo figlio di re.
O fìgghiu meu te ccà sta curuna O figlio mio ecco questa corona
facimu nna festa pi ttutta la città». facciamo una festa per tutta la città».

La zampogna a chiave in Sicilia

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15. SARVI RIGGINA RÂ MMACULATA SALVE REGINA DELL’IMMACOLATA

(e) Ssarvi Riggina, Salve Regina,


Matri di Mmaculata, Madre Immacolata,
vu siti l’avvucata voi siete l’avvocata
i l’àimma mia. dell’anima mia.

Na gràzia iò vurrìa, Una grazia vorrei


pi tutt’i me piccati, per tutti i miei peccati,
pi cchianciri e scuntari per piangere e scontare
(o) li me errura. i miei errori.

Stu cori cu dduluri Questo cuore con dolore


spizzatimillu vui, spezzatemelo voi,
piccà nun vògghiu cchiui, peccare non voglio più,
chiuttostu mortu. piuttosto la morte.

A mmia rati cunfortu Datemi conforto


pî l’uittim’agunìa per l’ultima agonia
e ccomu Matri mia e come Madre mia
un m’abbannunati. non mi abbandonate.

L’àimma n-celu puittati L’anima portate in cielo


e n-celu quannu arriva, e quando arriva in cielo,
viva la Matri viva viva, viva la Madre
râ Mmaculata! dell’Immacolata!

Testi

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16. SARVI RIGGINA RI NATALI SALVE REGINA DI NATALE

Sarvi Riggina Salve Regina


Matri ri Bbon Cunsìgghiu, Madre del Buon Consiglio,
puittati un bbellu gìgghiu portate un bel giglio
di rrosi e cciuri. di rose e fiori.

U gìgghiu dû Signuri Il giglio del Signore


ca n-terra s’incainnau che in terra si incarnò
e po santificau e poi santificò
a san Giuvanni. san Giovanni.

Pattìu pi li campagni Partì per le campagne


a vvisitari u tèmpiu, a visitare il tempio,
puittau lu bbonu esèmpiu portò il buon esempio
ad ogni via. per ogni via.

E rùdici anni avìa E dodici anni aveva,


si peissi lu Signuri, si perse il Signore,
mmenz’a li dutturi in mezzo ai dottori
s’arritruvau. si ritrovò.

N-celu si nn’acchianau In cielo salì


cu tutti li so àncili con tutti i suoi angeli
e ssan Micheli arcàncilu e san Michele arcangelo
e Rraffaeli. e Raffaele.

Raffaeli santu Raffaele santo


e Rraffaeli sia, e Raffaele sia
viva Ggisuzzu, viva Gesù
viva Maria! viva Maria!

La zampogna a chiave in Sicilia

160
Trascrizioni musicali

Le trascrizioni musicali - eseguite da Santina Tomasello (nn. 1, 3,


4, 6, 8, 10, 11) e Alessandro Giordano (nn. 2, 5, 7, 9, 12) con la colla-
borazione di S. Bonanzinga - sono state effettuate ricorrendo alle
normali risorse del pentagramma, opportunamente integrate dalla
indicazione cronometrica della durata di ogni frase e/o sezione e
dai seguenti segni diacritici: ? (più acuto della nota segnata); ? (più
grave della nota segnata); (più veloce del valore segnato); ??(più
lento del valore segnato); , ( presa di fiato); x (suono di intonazione
incerta). Nelle trascrizioni dei canti (1-7) ogni verso poetico corri-
sponde a un rigo di pentagramma in rapporto alla struttura fraseo-
logica della melodia. Non è indicata la divisione in battute per
andamenti ritmici liberi, mentre si è utilizzata la mezza stanghetta
per segnalare i ritmi tendenzialmente mantenuti (alla barra punti-
nata si è fatto ricorso per chiudere il rigo quando il verso poetico
attacca sul levare). Nei casi in cui le misure non sono marcate da
semistanghette l'alterazione vale per tutto il rigo, mentre vale solo
per la misura quando queste sono invece segnate. Per la Salve
Regina eseguita "a voce stesa" (n. 7) abbiamo indicato la durata
cronometrica dei suoni "tenuti" che ne caratterizzano l'andamento,
usando la semibreve come valore di riferimento. Analogamente si
è fatto per il suono tenuto che di norma introduce le sonate. Poiché
l'intonazione degli strumenti rilevati oscilla tra sol e la, i brani sono
stati trascritti in tonalità di LA minore, senza riportare le note di bor-
done sempre espresse dalla dominante (mi3, mi2).
Tutti i documenti sonori trascritti sono stati da noi registrati, fatta
eccezione per la Calabrisella (n. 8), contenuta in una audiocassetta
posseduta da Girolamo Patellaro, reperita da Ignazio Macchiarella
nel 1984 e conservata in copia presso l’Archivio del Folkstudio di
Palermo. Le registrazioni sono state effettuate nell’arco di vent’anni
(1986-2006) in occasione delle tradizionali prestazioni domiciliari
effettuate a Monreale e a Palermo nel periodo del Natale (documen-
ti 2, 4, 7, 9, 10), oppure nel corso di esibizioni dei suonatori nell’am-
bito di convegni e seminari (documenti 1, 3, 5, 6, 11, 12).

Trascrizioni musicali

161
1. Santa Rusulìa
Esecuzione: Sebastiano Davì (voce), Girolamo Patellaro (zampogna).
Rilevamento: Scala Torregrotta (ME), 28/02/1987.

La zampogna a chiave in Sicilia

162
Trascrizioni musicali

163
2. A la notti di Natali
Esecuzione: Benedetto Miceli (zampogna), Girolamo Patellaro (voce).
Rilevamento: Monreale, 29/12/2002.

La zampogna a chiave in Sicilia

164
I Interludio 11,3"

Trascrizioni musicali

165
La zampogna a chiave in Sicilia

166
Trascrizioni musicali

167
3. U picuraru
Esecuzione: Benedetto Miceli (voce), Girolamo Patellaro (zampogna).
Rilevamento: Gesso (fraz. di Messina), 27/12/1997.

La zampogna a chiave in Sicilia

168
Trascrizioni musicali

169
4. Sant’Antuninu e u cavaleri [CD/19]
Esecuzione: Benedetto Miceli (zampogna), Girolamo Patellaro (voce).
Rilevamento: Palermo, 05/12/1998.

La zampogna a chiave in Sicilia

170
Trascrizioni musicali

171
5. U fìgghiu pruòricu
Esecuzione: Benedetto Miceli (voce), Girolamo Patellaro (zampogna).
Rilevamento: Gesso (fraz. di Messina), 27/12/1997.

La zampogna a chiave in Sicilia

172
Trascrizioni musicali

173
6. Sarvi Riggina râ Mmaculata (a muttettu)
Esecuzione: Sebastiano Davì (voce), Girolamo Patellaro (zampogna).
Rilevamento: Scala Torregrotta (ME), 28/02/1987.

La zampogna a chiave in Sicilia

174
Trascrizioni musicali

175
7. Sarvi Riggina ri Natali (a vuci stisa) [CD/13]
Esecuzione: Benedetto Miceli (zampogna), Salvatore Modica (voce).
Rilevamento: Monreale, 02/01/2006

La zampogna a chiave in Sicilia

176
Trascrizioni musicali

177
8. Calabrisella [CD/5]
Esecuzione: Sebastiano Davì (zampogna).
Rilevamento: Monreale, ante 1984.

La zampogna a chiave in Sicilia

178
Trascrizioni musicali

179
La zampogna a chiave in Sicilia

180
9. Scala [CD/18]
Esecuzione: Benedetto Miceli (zampogna).
Rilevamento: Monreale, 29/12/2002.

Trascrizioni musicali

181
La zampogna a chiave in Sicilia

182
Trascrizioni musicali

183
10. Pasturali [CD/20]
Esecuzione: Benedetto Miceli (zampogna).
Rilevamento: Girolamo Patellaro (zampogna).

La zampogna a chiave in Sicilia

184
Trascrizioni musicali

185
La zampogna a chiave in Sicilia

186
11. Litania
Esecuzione: Girolamo Patellaro (zampogna).
Rilevamento: Scala Torregrotta (ME), 28/02/1987.

Trascrizioni musicali

187
La zampogna a chiave in Sicilia

188
12. Sunata [CD/3]
(Fìgghiu pruòricu / San Giuseppi / Inno eucaristico)
Esecuzione: Sebastiano Davì (zampogna).
Rilevamento: Palermo, 18/12/1986.

Trascrizioni musicali

189
La zampogna a chiave in Sicilia

190
Trascrizioni musicali

191
Appendice
A. LE MELODIE E I CANTI NELLA BIBLIOTECA DI GIUSEPPE PITRÈ

Appendice

195
La zampogna a chiave in Sicilia

196
Appendice

197
La zampogna a chiave in Sicilia

198
Appendice

199
La zampogna a chiave in Sicilia

200
Appendice

201
La zampogna a chiave in Sicilia

202
Appendice

203
La zampogna a chiave in Sicilia

204
Appendice

205
La zampogna a chiave in Sicilia

206
Appendice

207
La zampogna a chiave in Sicilia

208
Appendice

209
La zampogna a chiave in Sicilia

210
Appendice

211
La zampogna a chiave in Sicilia

212
Appendice

213
La zampogna a chiave in Sicilia

214
B. LE TRASCRIZIONI MUSICALI NEL CORPUS DI ALBERTO FAVARA

Appendice

215
La zampogna a chiave in Sicilia

216
Appendice

217
La zampogna a chiave in Sicilia

218
Appendice

219
La zampogna a chiave in Sicilia

220
Appendice

221
La zampogna a chiave in Sicilia

222
Appendice

223
C. IL VIAGGIU DULURUSU DI BINIDITTU ANNULERU
(coll. Museo Pitrè)

Appendice

225
La zampogna a chiave in Sicilia

226
Appendice

227
La zampogna a chiave in Sicilia

228
Appendice

229
La zampogna a chiave in Sicilia

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Riferimenti

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(si noti sullo sfondo il testo manoscritto del Viàggiu i san Giuseppi). Monreale 1977 (coll. G. Garofalo).
Guida all’ascolto del CD

I brani inclusi in questa antologia sono il frutto e della Sardegna, viene introdotto da Roberto
di una selezione operata su materiali registrati Leydi, che presentando gli zampognari monreale-
tra il 1984 e il 2006. Si è cercato di offrire un si Sebastiano Davì (zzù Nenè) e Girolamo Patel-
campionario significativo del repertorio, dei pro- laro, ricorda sinteticamente le circostanze della
tagonisti e delle occasioni (spettacoli, incontri “riscoperta” della zampogna a chiave. L’etnomu-
appositamente predisposti con i suonatori, sicologo rivolge inoltre alcune domande a zzù
tradizionali esibizioni del periodo del Natale), Nenè riguardo alle occasioni in cui ancora si
tenendo conto della qualità tecnica delle audior- suona e al repertorio dello strumento, con riferi-
iprese e del pregio delle esecuzioni. Le trascrizioni mento anche alla già “estinta” tradizione paler-
musicali corrispondono ai documenti sonori pro- mitana (CD/1). Ascoltiamo quindi lo stesso Davì
posti soltanto nei casi segnalati. I testi dei canti cantare, con Patellaro alla zampogna, le strofe
presentano varianti sia nei versi sia nell’avvicen- che narrano le vicende della Santa protettrice di
darsi delle strofe rispetto a quelli riportati nel vol- Palermo (CD/2, Santa Rusulìa), ed eseguire due
ume, che – come si è detto – sono il risultato di brani strumentali: Sunata, dove vengono
una ricostruzione comparativa fra le diverse ese- giustapposte tre diverse melodie (Figliol prodi-
cuzioni disponibili. La disposizione dei brani non go, San Giuseppe e Inno eucaristico; CD/3,
segue l’ordine cronologico dei rilevamenti e trascrizione 12) e Pasturali (CD/4). L’audioripresa
soltanto i canti e le melodie più strettamente è stata effettuata con registratore a cassette
legati al tema della Natività sono stati raggrup- Marantz CP430 e microfoni Sennheiser MD441.
pati in sequenza (CD/7-13).
MONREALE 1993: BRANI 10 E 14
I due brani strumentali – Tu scendi dalle stelle
MONREALE ANTE 1984: BRANO 5 (CD/10) e Inno eucaristico (CD/14), rispettiva-
La Calabrisella eseguita da Sebastiano Davì mente eseguiti da Giacinto Davì e Salvatore Car-
(trascrizione 8) è l’unico documento non diretta- rozza – sono stati registrati in occasione dell’ot-
mente rilevato da noi ma ricavato da una audio- tava dell’Epifania (29 dicembre) davanti a una
cassetta posseduta da Girolamo Patellaro e edicola votiva presso la piazza principale di
reperita da Ignazio Macchiarella nel corso di una Monreale. L’audioripresa è stata effettuata con
ricerca effettuata nel 1984 (la copia qui utilizzata registratore a cassette Marantz CP430 e micro-
è depositata presso l’Archivio del Folkstudio di foni Sennheiser MD441.
Palermo, racc. 20, na. 580). Non è noto da chi,
quando e con quale apparecchiatura sia stata PALERMO 1998: BRANI 8 E 19
realizzata l’audioripresa. Nel 1998 si concentra una fase particolarmente
intensa dalla nostra indagine sulla zampogna
PALERMO 1986: BRANI 1-4 monrealese (rilevamenti 8-15). Partecipiamo tra
Questi quattro documenti sono stati registrati in l’altro ad alcune giornate di novene (dell’Immaco-
occasione di un concerto tenuto a Palermo nella lata e del Natale), seguendo i suonatori Benedet-
Chiesa del SS. Salvatore il 18 dicembre del 1986, to Miceli e Girolamo Patellaro lungo tutto il loro
nell’ambito del Convegno “Mediterranea ’86. usuale itinerario fra i clienti. La registrazione del
Modalità e forme della musica etnica”, organizza- canto Sant’Antuninu e u cavaleri (voce G. Patel-
to dal Centro per le Iniziative Musicali in Sicilia laro e zampogna B. Miceli, CD/19, trascrizione 4)
con il coordinamento di Gaetano Pennino. Il con- viene effettuata durante la novena dell’Immacola-
certo, intitolato Repertori tradizionali della Sicilia ta (5 dicembre) alla Guadagna, davanti a una edi-

Guida all’ascolto del CD

237
cola votiva situata in una strada secondaria. Il MONREALE 2004: BRANI 9 E 12
richiamo di un venditore ambulante di frutta e Il 23 dicembre registriamo una lunga esibizione
verdura precede l’esecuzione: Vruòcculi! Accat- degli zampognari monrealesi richiesta da una
tati bboni, frischi e meiccati! (Broccoli! Li com- famiglia rientrata a Monreale dopo un lungo
prate buoni, freschi e a buon prezzo!). La parte periodo di permanenza in Italia settentrionale.
iniziale del Viàggiu i san Giuseppi (esecuzione In questa circostanza Patellaro e Miceli (rispet-
come sopra, CD/8) è stata registrata due giorni tivamente canto e zampogna) eseguono tra
dopo (7 dicembre) presso un’edicola votiva di l’altro A la notti di Natali (CD/9) e Li tri Re
piazza Guadagna. Le audioriprese sono state (CD/12). L’audioripresa è stata effettuata con
effettuate con registratore a cassette Marantz registratore DAT Sony TCD-D8 e microfono
CP430 e microfoni Sennheiser MD441. stereo Sennheiser MKE44P.

MONREALE 2000: BRANO 15 MONREALE E PALERMO 2006: BRANI 7, 13 E 16


Questa versione del Fìgghiu pruòricu è stata All’inizio dell’anno (2 gennaio) documentiamo a
registrata a Monreale l’ultimo giorno della novena Monreale alcune esibizioni di Benedetto Miceli e
di Natale (24 dicembre) all’interno di una Salvatore Modica per l’ottava dell’Epifania. In
abitazione del centro storico. In questa circostan- questa occasione Modica esemplifica lo stile di
za tre cantori (B. Miceli, S. Modica e G. Patellaro) canto “a voce stesa” applicato alla Sarvi Riggina
si alternano eseguendo per intero il lungo testo ri Natali (CD/13, trascrizione 7). Alla fine dell’an-
che narra la celebre parabola evangelica (la zam- no (23 dicembre) seguiamo la stessa coppia di
pogna è suonata da Salvatore Patellaro). L’audio- suonatori impegnata nella novena di Natale
ripresa è stata effettuata con registratore DAT Tas- presso i clienti dei rioni di Palermo. In questa cir-
cam DA-P1 e microfoni Sennheiser MD441. costanza documentiamo per la prima volta la
Calabrisella (CD/16), altro brano che Benedetto
MONREALE 2002: BRANI 6, 11, 17, 18 E 20 ha appreso dallo zzù Nenè ma che esegue molto
Il 29 dicembre incontriamo Girolamo Patellaro e raramente. Il brano è stato registrato all’interno
Benedetto Miceli, nell’abitazione di ques’ultimo, di un’abitazione del rione Uditore ed è precedu-
per effettuare un’ampia intervista sul repertorio to dal saluto dei ciaramiddari alla famiglia che li
e sulla diteggiatura della zampogna. In questa accoglie per la novena. Davanti a una bottega di
circostanza documentiamo per la prima volta la frutta e verdura del rione Altarello abbiamo
Scala (CD/18, trascrizione 9), che Benedetto invece registrato la Sarvi Riggina ri Natali, canta-
ricordava suonata egregiamente dallo zio ta da Modica nello stile meno ornato denomina-
Sebastiano, e altri canti e melodie rilevate in to “a mottetto” (CD/7). In questo caso il canto è
condizioni acustiche pressoché ottimali: Litania preceduto dai richiami dei venditori che non
(CD/6, Patellaro); U picuraru (Patellaro al canto e interrompono la propria attività mentre si svolge
Miceli zampogna, CD/11); Quannu la santa Matri la novena: Scala u prezzu ca vinni! A cinquanta
caminava (Miceli al canto e Patellaro alla zam- cacuòcciuli! Finuòcchiu, lattuchi!… (Abbassa il
pogna, CD/17); Pasturali (Miceli, CD/20, prezzo che li vendi! A cinquanta i carciofi! Finoc-
trascrizione 20). L’audioripresa è stata effettuata chio, lattughe!) Le audioriprese sono state effet-
con registratore DAT Tascam DA-P1 e microfoni tuate con registratore DAT Sony TCD-D8 e micro-
Sennheiser MD441. fono stereo Sennheiser MKE44P.

La zampogna a chiave in Sicilia

238
Finito di stampare
nel mese di dicembre 2006
presso le Officine Tipografiche Aiello & Provenzano
Bagheria (Palermo)

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