Iter
Come cantare
“Lascio al lettore immaginare
quale dignità possano questi
canti femminili inspirare [sic] a
chi assiste alle funzioni. La
nuova aria che queste beghine
danno al Tantum Ergo, la quale è
gregoriano? più adatta ad una polka o ad
una mazurca, potrà farle collo-
care fra le prime celebrità
musicali cantanti d’Italia, ma
però noi siamo d’avviso che
di Giulio Sardi con questi soli meriti non si
raddrizzano le gambe ai grilli”.
Il canto gregoriano
di Giacomo Baroffio 39
I canti dell’ordinario
di Giacomo Baroffio e Eun Ju Anastasia Kim 145
Brevi 201
Concorsi 205
INDICE DEI BRANI MUSICALI
Legenda: adc: monizione diaconale aev: antifona prima del vangelo all: alleluia ant: antifona apr: antifona pro-
cessionale blo: benedizione del lettore com: antifona di comunione ctc: cantico frc: canto di frazione grd:
graduale/salmello ambrosiano della Messa hmn: hymnus imp: improperi int: introito lal: lauda latina lcm:
lettura della Messa lco: lettura dell’Ufficio off: offertorio pbl: domanda di benedizione del lettore prf: pre-
fazio prl: prece litanica psl: salmo rsp: responsorio seq: sequenza tct: tratto tra: tropo di alleluia trg: tropo
di Gloria tri: tropo d’introito trk: tropo di Kyrie trn: tropo d’antifona trs: tropo di Sanctus vgr: verso di gra-
duale vof: verso d’offertorio vsc: versicolo vtr: verso di tratto
In numeri in grassetto si riferiscono alle pagine in cui c’è la trascrzione integrale delle melodie
8
(c. 2v r. 17), Octava sancti Antonii (c. 2v r. 24), Canonizatio beati Francisci (c.
3r r. 20), sancte Clare virginis de secundo ordine (c. 4v r. 16), In passio stig-
matum beati Francisci (c. 5r r. 21), sancti Elziarii confessoris de tertio ordine
beati Francisci (c. 5r r. 31), Translatio sancte Clare de secundo ordine beati
Francisci (c. 5v, r. 6), sancti Francisci confessoris fundatoris ordinis Minorum (c.
5v, r. 8), Octava beati Francisci (c. 5v, r. 15), sancte Helisabet de ordine sancti
Francisci (c. 6r r. 23), Translatio sancti Ludovici apostoli (c. 6r r. 12) è verosi-
mile che il Calendario fosse utilizzato in un insediamento francescano
della diocesi che subiva anche gli influssi della Chiesa milanese. Difatti
nello stesso Calendario sono comprese feste proprie di quell’area geo-
grafica: Translatio sancti Gaii archiepiscopi Mediolani (c. 2v, r. 17), sancti
Kalimeri archiepiscopi Mediolani (c. 4r, r. 35), Consecratio ecclesie Marie de
portiuncula de Mediolani (c. 4v, r. 6) sancti Ambrosii mediolanensis archiepi-
scopi (c. 6v, r. 11).
Acqui,
Archivio Vescovile,
F 21 cartella 3/4,
pp. 10-11.
1 Il codice è stato analizzato da ENRICO PESCE, Due interessanti codici del XIV seco-
lo in Acqui Terme, in Medioevo musicale nel territorio di Alessandria, a cura di
Silvana Chiesa, Cavallerleone, Scolastica Editrice 1997, pp. 47-65.
9
ni (pp. 1-80), un binione (pp. 81-88), due carte sciolte (pp. 89-92), un foglio
(pp. 93-96) ed una carta (p. 97) con indicazione di un solo richiamo alla
p. 80, nel margine inferiore esterno. La prima parte del manoscritto (pp.
1-27 r. 12) contiene la Vita di san Guido redatta da Lorenzo Calceato
intorno al 1260 e tecnicamente appare molto più accurata rispetto all’in-
tero codice sia per l’organizzazione della mise en page – rapporto equili-
brato tra margini e spazio riservato alla scrittura, ossia specchio rigato
che ospita ventotto righe a piena pagina –, sia per la realizzazione di let-
tere iniziali filigranate alternativamente in rosso e blu, sia infine per la
scrittura, una gotica vergata da un abile copista (mano A: pp. 1-27), che
presenta un modulo piccolo e costante, ed un buon allineamento sul
rigo.2
20
CRONACA
DI DUE CODICI
‘GEMELLI’:
il Graduale-Tropario-Sequenziario-Kyriale
(Acqui, Biblioteca del Seminario
Vescovile, ms 1) e l’Antifonario Vaticano
(Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, Vat lat. 14676)
di Leandra Scappaticci
Nel 2000, durante una campagna di ricerca di frammenti ebraici in archi-
vi e biblioteche piemontesi, nell’ambito di un progetto ministeriale,
Frammenti ebraici in Italia diretto dal prof. Mauro Perani dell’Università di
Bologna, e al quale partecipava anche l’Università di Gerusalemme, visitai
l’Archivio Vescovile e la Biblioteca del Seminario di Acqui. In questa
seconda sede, grazie anche alla disponibilità di don Giacomo Rovera e del
bibliotecario Walter Baglietto, trovai non solo quello che cercavo, un
foglio frammentario di pergamena attinto da un codice ebraico e suc-
cessivamente impiegato nella legatura di un libro a stampa, ma anche uno
splendido manoscritto latino, un Graduale-Tropario-Sequenziario-Kyriale
totalmente sconosciuto e inesplorato, al quale fu assegnata, da quel gior-
no, la segnatura ‘ms. 1’. Si trattava di un codice integro, prodotto tra la
seconda metà del XII e l’inizio del XIII secolo, pregevole per molti aspet-
ti, innanzitutto per la legatura originale, in pelle su assi di legno di piop-
po,1 e per la presenza di splendide lettere iniziali decorate: una serie di
iniziali fitomorfe inquadrate su sfondi tripartiti e quadripartiti, tra le quali
si distingue senza dubbio, per dimensioni e per importanza, la lettera Ad
nella prima carta del codice; e due iniziali fitozoomorfe che si collocano
all’inizio di due formulari importanti dell’anno liturgico, Natale e
Pentecoste, e che incorporano, oltre ad alcuni motivi vegetali, le figure di
due animali: un drago alato di colore verde che si contorce all’interno
dell’occhiello di Puer (c. 11r); ed un animale sempre alato che, con il suo
corpo delinea le due anse di Spiritus (c. 110v).
1 In seguito ad un intervento di restauro sostenuto dalla Regione Piemonte –
Soprintendenza dei Beni Librari, la legatura è stata meticolosamente descritta da
FLAVIO MARZIO - CHIARA CAVALLERO, Il restauro. Alla ricerca di un compromesso
tra fruibilità e conservazione, in Il codice romanico acquese, Acqui Terme,
L’Ancora 2004, pp. 7-13. 21
Acqui, Biblioteca del Seminario, ms. 1, c. 1r.
7 Eecce] ms.
8 PIERRE SALMON, Le manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, vol.
I: Psautiers, Antiphonaires, Hymnaires, Collectaires, Bréviaires, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1968 (Studi e testi 251), p. 70 n. 140.
24
[.] Chr(istum) V[…..] ex <ra>p<ito> n(on) hospes ab hospitaturus
non sator agno ag[...]no fratrum quoque gra(tia) rara est.
Iminet exitio vir (con)iug[….] .
L[………………….]
Filius an(te) diem prob[ …] i(n) …. ut in annos
S[…] sacer<dos> (?) P[i]etrus Zoeni (?)
26
Acqui,
Seminario Maggiore.
TRE MOTIVI
PER CANTARE
GREGORIANO
di Giacomo Baroffio
1
Un
motivo spirituale.
Chi vive la fede cristiana
s’accorge come la Parola di D-i-o
necessiti di una mediazione che vada al di là
della spiegazione filologica e dell’applicazione moraleggiante.
Percepire la voce di D-i-o nella sua Parola è un’azione del cuore
in ascolto di quanto le parole tramandate dalla Bibbia non riescono a esprimere.
La musica è il linguaggio privilegiato del cuore di D-i-o e dell’uomo.
Il canto gregoriano ha la forza di in-cantare,
distogliere il cuore dalle pre-occupazioni
perché si dilati e si orienti a D-i-o
nell’adorazione e
nel silenzio
attonito.
27
2
Un
motivo culturale.
Chi è attento alle opere
dello spirito umano, avverte la grandezza dell’arte poetica,
la capacità di comunicare profonde emozioni con linguaggi
che spesso non sono ordinari, a partire dal silenzio illuminato, da uno sguardo radioso.
Il canto gregoriano è un itinerario di bellezza e di armonia.
Riassume l’esperienza poietica di decine di generazioni
a partire dall’antico Israel fino alle espressioni
mutuate dalle tante e diverse culture
dove il cristianesimo ha portato
il Vangelo, in cambio
di nuovi linguaggi
per comunicare
in musica.
3
Un
motivo antropologico.
Molti brani del repertorio gregoriano
sono costruiti secondo particolari tecniche musicali
sperimentate già in tempi remoti nell’area mediterranea,
un fenomeno che si avvicina a ciò che in ambito semitico si chiama maqam.
La melodia si muove su particolari circuiti mentali che obbligano a percorrere
determinati itinerari legati alla memoria e alle sue variazioni, il tutto segnato
da alternanza di conosciuto e di ignoto, di presente e di rimosso.
Sotto questo aspetto il cantare, ma anche il solo ascoltare
le melodie gregoriane può costituire un momento forte
di terapia che permette alla mente
di ricuperare la verità
di se stessi.
28
LA LITURGIA:
FONTE E
CULMINE
DELLA VITA
CRISTIANA
di Giacomo Baroffio
Acqui,
LA LITURGIA: ESPERIENZA DI VITA NELLA CHIESA Cattedrale,
zona absidale.
1 In tutti i contributi di Giacomo Baroffio, gli esempi musicali sono stati curati e
trascritti da EUN JU KIM. 31
TEMPO DI D-I-O - STORIA DELL’UOMO
34
I TESTI DELLA TRADIZIONE LITURGICA
LA PAROLA DI D-I-O NEL TEMPO DELLA CHIESA
All’interno della liturgia delle Ore, e in particolare dell’ampia ora not-
turna (“mattutino” in passato, oggi “ufficio delle letture”), si fa ampio
spazio alla lettura della Bibbia e dei principali testi cristiani con chiari
fini didattici. In quest’ultima categoria rientrano le vite dei santi e i dis-
corsi o gli scritti teologici, che spesso riprendono commenti alla litur-
gia e alla Bibbia di antichi scrittori ecclesiastici, perlopiù vescovi quali
Agostino, Leone I, Giovanni Crisostomo e Gregorio I.
La Sacra Scrittura è letta secondo il principio della lectio continua. Essa
prevede la lettura quasi integrale della massima parte dei libri biblici in
conformità a un ordine che riflette una scelta dettata dalla particolare
situazione liturgica. Tale ordinamento, nelle sue scelte principali,
dovrebbe risalire ai primi secoli, e potrebbe essere stato fissato in
modo definitivo già tra il IV e il V secolo.
C’è una tradizione pressoché unanime e ininterrotta nelle fonti litur-
giche della Chiesa romana che ha assegnato all’avvento (tempo di pre-
parazione al Natale): Isaia e san Paolo; al tempo di Natale e
dell’Epifania (6 gennaio) con le settimane seguenti: san Paolo; al tempo
di settuagesima (la terza domenica che precede la quaresima): Genesi
e Pentateuco; alle ultime settimane di quaresima: Geremia; a Pasqua e
a tutto il tempo pasquale: Atti degli apostoli, lettere di san Giovanni,
san Pietro e san Giacomo. Dopo Pentecoste si leggono i libri dei Re,
in agosto: Proverbi, Qoelet, Sapienza e Siracide; in settembre: Giobbe,
Tobia, Giuditta ed Ester; in ottobre: Maccabei; in novembre: Ezechiele,
Daniele e i Profeti minori.
Questa precisa scelta delle letture bibliche
ha importanti riflessi sia nella tradizione Murialdo, San Lorenzo,
dei codici biblici, sia nell’elaborazio- lunetta del portale:
ne del repertorio musicale litur- particolare dell’affresco.
Angelo musicante.
gico. Le Bibbie, infatti, spesso
ordinano la successione dei
libri secondo la collocazio-
ne che gli stessi libri hanno
nelle celebrazioni. In cam-
po musicale c’è una vasta
produzione di brani per
la liturgia delle Ore
(responsori per il mattu-
tino e antifone per i
cantici evangelici alle
lodi e ai vespri), il cui
testo è tratto dai libri
liturgici che si leggono
in quel determinato pe- 35
riodo o giorno. Interessante è l’elaborazione dei responsori che danno
origine a delle narrazioni che compendiano l’epopea biblica di impor-
tanti personaggi quali Noè, Giacobbe, Giuseppe: nel medioevo una
serie omogenea di responsori biblici ha avuto il significativo titolo di
“Historia”. Questi brevi racconti – nei quali ogni canto è una puntata
della narrazione biblica – servirà da modello per analoghe “storie”
che hanno come protagonisti i santi.
Il ciclo liturgico delle letture bibliche nella Messa, quale appare nelle
fonti medioevali, ha avuto origine da una prima organizzazione di
materiale paolino nel secolo IV, ed è stato fissato nelle sue linee defi-
nitive all’inizio del VI secolo. Si prevede dall’avvento alla quaresima: san
Paolo; in quaresima: san Paolo, Isaia, Ezechiele, Re, Esther, Pentateuco,
Giona, Daniele…; a Pasqua: gli Atti degli apostoli; nel tempo pasquale:
le lettere di san Giovanni, san Pietro e san Giacomo; nel tempo ordi-
nario dopo Pentecoste: san Paolo.
Come si vede, i due cicli liturgici della liturgia delle ore e della Messa,
hanno alcune sezioni della Bibbia in comune e s’integrano a vicenda.
Un ulteriore arricchimento delle letture bibliche si ha nella tradizione
monastica che prevede la lettura della Bibbia anche a refettorio, il che
permette di supplire alla lacune lasciate dalle celebrazioni liturgiche.
37
La stessa Parola di D-i-o – ad esempio, il Padre nostro – ha risonanze
differenti condizionate, e parimenti liberate, dalle diverse situazioni in
cui tale Parola risuona: a Natale dice cose proprie del Natale che non
si percepiscono a Pasqua, nel corso di un’esistenza quella Parola dice
cose diverse quando la si ascolta da ragazzi o da adulti. L’anno liturgi-
co crea una condizione d’ascolto in continua modificazione che esige,
di conseguenza, una disponibilità del cuore conforme alla lunghezza
d’onda del tempo. Si vive sempre con determinate sottolineature spi-
rituali, emotive e razionali quali la liturgia e la vita sociale suggerisco-
no di volta in volta.
38
IL CANTO
GREGORIANO
di Giacomo Baroffio
GB
stato un movimento che ha
paralleli nella trasmissione
delle preghiere. Canto e
preghiere presentano un
momento di creatività (II-IV
secolo), una fissazione –
orale o scritta poco impor-
ta – ancora relativa e su-
scettibile di modifiche, in
parte profonde, con la presenza simul-
tanea di lezioni alternative (secoli IV-VI). In seguito Acqui Terme,
c’è la fissazione rigida che progressivamente esclude ogni Biblioteca del
intervento di libera rielaborazione del nucleo centrale del Seminario, ms. 1,
repertorio (XI-XII secolo). La creatività trova spazio soprattutto c. 1r.
nella composizione di brani per nuove feste e nell’elaborazione di
nuove forme quali sono i tropi e le sequenze. A una grande fluidità sti-
listica originaria, che man mano diminuisce sino a scomparire del
tutto, subentra una rigidità esecutiva che fa pensare talora ad un’os-
servanza della lettera che soffoca lo spirito. In parte questo fatto è da
attribuirsi alla fissazione per iscritto del repertorio e alla cessazione di
una qualsivoglia forma d’improvvisazione. Conservato nella pergame-
na e tramandato solo per iscritto, il canto liturgico rischia di annullar-
si in un atto di mera esecuzione ripetitiva. Esso esige invece di essere
ricreato dal cantore che a tutti i livelli – spirituale, vocale, interpreta-
tivo – è molto più di un semplice riproduttore sonoro di un testo
scritto o imparato a memoria dalla tradizione orale.
I musici liturgici possono essere paragonati ai pittori delle sante icone,
tutti protesi a fare risaltare la presenza sacramentale di D-i-o nel
tempo. Nel caso della musica liturgica, la melodia è un vero segno
sonoro che rende presente D-i-o mentre rivolge la Parola di vita al
suo popolo. Il compositore di brani liturgici non pretende scrivere
sempre nuove melodie per ogni nuovo testo. Ci sono alcune norme
cultuali e musicali da rispettare, quali, ad esempio, la funzione di un
brano in un preciso momento di una particolare azione liturgica. È evi-
dente, infatti che un canto d’ingresso della Messa non è uguale al
canto di congedo della liturgia delle Ore, ma non è neppure parago-
nabile agli altri canti della Messa quali il responsorio graduale o l’alle-
luia. Non solo: l’introito di Natale non ha la stessa risonanza spiritua-
le di quello di Pentecoste; non si può dimenticare l’incidenza dell’anno
liturgico nell’elaborazione del repertorio musicale e nell’esperienza
spirituale.
Ogni momento di qualsivoglia azione liturgica ha una sua precisa con-
notazione e funzione. Ciò si riflette nel corrispondente canto che pre-
senta delle peculiarità proprie. Il cantore, inoltre, è chiamato a espri-
mere in musica un’esegesi del testo biblico, il cui genere letterario
pone senz’altro dei vincoli, ma suscita anche suggestioni feconde per 45
l’ispirazione melodica. Sul piano strettamente musicale, infine, il musi-
cista rispetta la forma e lo stile proprio del canto che è chiamato a
creare o ad eseguire. Scelta una determinata modalità, occorre rispet-
tarne la struttura che esige la sottolineatura di determinate note,
mentre altre note servono unicamente da raccordo e abbellimento.
Tutto ciò costituisce un fitto sistema di coordinate da rispettare in
modo rigoroso, ma nulla toglie all’atto creativo del cantore che
improvvisa una sua elaborazione dell’idea musicale. Sotto certi aspet-
ti, essa è inedita, unica ed irrepetibile. L’improvvisazione ha sempre un
qualcosa di imprevedibile, è vissuta nella gratuità. Si costruisce senza
nessun calcolo e può essere realizzata unicamente nell’abbandono
all’ispirazione, in questo caso il soffio dello Spirito.
In questo processo ha forse giocato un ruolo di primo piano un insieme
di fattori culturali “occidentali”. Altrimenti non si riuscirebbe a compren-
dere come mai negli ultimi secoli il canto gregoriano sia divenuto sem-
pre più rigido, mentre in altri ambiti, soprattutto in quello ebraico, anco-
ra oggi è viva la tradizione cantoriale dell’improvvisazione.
Nei primi secoli della scrittura musicale liturgica (secoli IX-XI/XII), i codi-
ci non servivano affatto per leggere le melodie durante l’esecuzione; essi
erano dei sussidi da usarsi sporadicamente più che altro a livello didatti-
co. Ciò significa che in gran parte la trasmissione scritta doveva neces-
sariamente convivere con la tradizione orale: senza quest’ultima, ogni
scrittura musicale era semplicemente incomprensibile, inutile, assurda.
Più tardi, dal secolo XII o XII/XIII la scrittura ha assunto una funzione
importante nella trasmissione del repertorio, ma non nell’esecuzione dei
canti. In realtà, anche in epoca recente (secoli XV e XVI), i libri con musi-
ca fondamentalmente non sono stati utilizzati quali libri di musica.
I cantori avevano sì di fronte un libro corale, ma esso almeno in alcu-
ni luoghi – per non arrischiare a dire sempre e ovunque – servivano
più che altro come guida che indicava con precisione i brani da ese-
guire che erano disposti secondo l’ordinamento dell’anno liturgico.
Sotto il profilo musicale, gli stessi codici servivano soltanto perché
indicavano all’incirca il movimento della melodia. Da essi, vale a dire
dai manoscritti, non si attendeva nulla di più. In realtà i cantori erano
educati ad inserirsi in una tradizione orale viva che continuava a dif-
fondersi e ad affermarsi grazie all’esperienza didattica vissuta da mae-
stri e discepoli all’interno di una scuola.
IL PATRIMONIO MUSICALE
Una domanda che ci si pone di fronte al repertorio liturgico, un patri-
monio musicale che conta alcune migliaia di brani, riguarda le tecniche
di composizione utilizzate per creare tale ricchezza e la capacità di
gestirla, tenendo presente il fatto che tutto – cioè la creazione di
nuove melodie e la loro conservazione – avveniva senza l’aiuto della
46 scrittura, bensì soltanto con il sostegno della memoria.
È indubbio che i cantori medioevali abbiano avuto una capacità d’im-
provvisazione e di memorizzare notevole, paragonabile a quanto oggi
accade ancora, ad esempio, nel contesto vivo della musica indiana e dei
compositori-improvvisatori di raga. Nell’elaborazione del repertorio
liturgico musicale, il problema è stato affrontato sin dagli inizi mediante
l’uso di particolari tecniche di composizione. D’originale c’era sempre il
testo, anche se un medesimo versetto biblico o un brano di tradizione
ecclesiastica poteva avere diverse applicazioni nelle celebrazioni liturgi-
che. Per le musiche hanno avuto gran rilievo le composizioni che, alme-
no in parte, aiutavano lo sforzo mnemonico riducendo in modo notevo-
le lo sforzo dei com-positori sia nell’atto creativo, che nella trasmissione
del repertorio. Le più antiche tecniche compositive riducevano, di fatto,
il numero delle melodie che occorreva tenere a mente.
esempio di chiasmo
comunione di Natale
scala pentatonica
53
LE ORIGINI DEL CANTO GREGORIANO
È probabile che un primo, vero e proprio repertorio liturgico – arti-
colato in modo organico con il pieno rispetto delle esigenze delle
diverse celebrazioni – sia stato elaborato dalla Chiesa di Roma tra il V
e il VI secolo. L’istituzione di particolari ministri deputati al canto –
anche qui sul modello ebraico dello hazzan – e la successiva costitu-
zione di un centro d’addestramento vocale e di formazione spirituale,
ha comportato la progressiva elaborazione di linguaggi musicali diffe-
renziati, con la distinzione sempre più netta tra canti destinati al soli-
sta, alla schola, all’assemblea (sec. VI). L’antica melopea legata all’esecu-
zione solistica dei salmi è soggetta a notevoli trasformazioni, al fine di
renderla omogenea agli stili fiorito e melismatico che contraddistin-
gueranno i canti della schola. Non si può trascurare quanto suggerisce
la storia dell’eucologia romana, meglio attestata sul piano documenta-
rio di quanto avvenga per la musica: già prima del secolo VII Roma è
aperta alle sollecitazioni di altre Chiese e accoglie nel proprio patri-
monio liturgico, con gli eventuali necessari adattamenti, suggestioni di
altre culture liturgiche, soprattutto di matrice gallica e ispanica.
All’epoca di papa Gregorio Magno († 604), il repertorio vocale della
Chiesa di Roma era definito ormai da qualche tempo nei particolari.
Di tale patrimonio rimangono notevoli sezioni in un piccolo gruppo di
fonti tardive (secoli XI-XIII), tre graduali con i canti della Messa e due
antifonari e tre frammenti con le melodie delle ore. Queste fonti
riportano una recensione tardiva e contaminata del canto detto roma-
no o romano-antico, la cui recensione primitiva (proto-romano) può
essere ricuperata soltanto
parzialmente dall’analisi stra-
tigrafica dei testimoni.
Nella seconda metà del seco-
lo VII, Roma accoglie migliaia
di profughi dalle aree medio-
orientali del Mediterraneo,
popolazioni inermi che cerca-
no rifugio fino in Italia dall’in-
vasione violenta dell’Islam. La
vita della comunità ecclesiale
dell’Urbe è fortemente scon-
volta dalla massa di profughi
che riescono ad organizzarsi,
mantenendo una certa auto-
nomia etnica sino a giungere
alla fondazione di monasteri
di lingua e rito diverso da
55
gregoriano presenta, inoltre, un’architettura armonica dell’edificio sono-
ro con un equilibrio e una corrispondenza delle sezioni melodiche che
altrove manca o è saltuario. È da ricordare, infine, la precisa definizione
sul piano modale, cioè l’uso di determinate “scale” che privilegiano certe
note e prevedono particolari relazioni tra toni e semitoni. Nella musica
colta occidentale le “scale” si riducono a due, la maggiore e la minore. I
teorici medioevali hanno elaborato un sistema di otto “scale” (= modi
ecclesiastici) sulla falsariga di sistemi teoretici medio-orientali e bizantini.
In realtà, la riduzione dei modi a solo otto categorie, non rende ragio-
ne della più complessa e variegata realtà musicale. Ogni modo si arti-
cola, infatti, in diversi e peculiari sistemi musicali, tanto che sarebbe più
esatto parlare di otto famiglie modali, ciascuna delle quali presenta un
certo numero di “scale” che, pur presentando un’analogia in alcuni
punti (ad esempio, la nota fondamentale), si differenziano per l’impor-
tanza delle altre note.
Con la redazione definitiva del repertorio liturgico latino, tra il seco-
lo VIII e IX si conclude anche un lungo percorso di evoluzione moda-
le che vede ormai in pratica esclusi dal patrimonio melodico della
liturgia latina stilemi arcaici: qualcosa sopravvive in elaborazioni che, ad
esempio, riescono a ricuperare nel nuovo modo di fa certe melodie
originarie in do; il più tuttavia è rielaborato e adattato ai nuovi para-
metri modali che con le strutture di re - mi - fa e sol sostituiscono le
probabili corde madri arcaiche di do - re e mi.
In epoca carolingia inizia uno straordinario ampliamento del reperto-
rio musicale tradizionale. Fino al secolo IX ci si è limitati ad aggiunge-
re nuovi brani a quelli tradizionali rispettandone le connotazioni pecu-
liari formali e stilistiche. Il senso della tradizione si manifesta, ad esem-
pio, nell’omogeneità dei testi, quasi esclusivamente biblici e salmici, e
degli stili musicali propri di ciascun genere di canto. Nell’impatto tra la
cultura italica e quella transalpina nel secolo VIII, è emersa l’esigenza di
integrare le diverse sensibilità, di arricchirsi vicendevolmente con let-
ture differenti, ma complementari, di un’unica esperienza liturgica. La
sobria e rigorosa parola biblica dei testi liturgici è stata pertanto ani-
mata dall’interpretazione personalizzata e appassionata delle nuove
generazioni di poeti e musici, tutti protesi a coinvolgere sempre più la
comunità di fede nell’azione liturgica da sempre soggetta al rischio di
atrofizzarsi in riti anonimi.
Alla fine del secolo VIII, e soprattutto nel secolo successivo, sboccia e si
propaga a macchia d’olio un nuovo e affascinante linguaggio. Esso non
sostituisce i testi tramandati dal passato e accolti sempre con estrema
venerazione, ma li integra in un’attualizzazione personalizzata sulla misu-
ra delle singole comunità, ognuna delle quali ha ora l’occasione di espri-
mere se stessa e la propria cultura spirituale e poetica. Così nascono i
tropi: in essi confluisce tutta la vitalità di un popolo in preghiera, ricco di
fantasia e di audacia espressiva. Grazie ai tropi si scolpisce e si plasma in
profondità la liturgia e la vita cristiana del medioevo latino.
56 Nel corso dei secoli successivi – anche se si astrae dalle nuove tipo-
logie compositive come sono i tropi e le sequenze – si assiste ad un
proliferare di brani con cui si cerca di dare una vita musicale a nuove
celebrazioni che interessano, in modo particolare, il culto dei santi.
Dopo il secolo XII, tuttavia, si assiste ad un processo d’alterazione e
semplificazione progressiva delle melodie gregoriane tradizionali. Ad
esempio, i versetti degli offertori – che sono i brani più complessi del-
l’intero repertorio – sono definitivamente abbandonati. Sono sempli-
ficate, o addirittura eliminate, le piccole e grandi fioriture come i tre
suoni ripercossi della tristropha o i melismi dei graduali e degli alleluia.
Operazioni assai discutibili sul piano musicale che avevano potuto
affermarsi in passato soltanto in limiti ben circoscritti – ad esempio, la
riforma cistercense – trovano ora uno spazio illimitato per applicare
principi riformatori talora completamente estranei alla realtà musica-
le. Si ricordi, ad esempio, il principio della preghiera pura (“pura ora-
tio”) applicata dai seguaci di san Bernardo nella revisione dei canti che
presentavano commistioni modali, come succede normalmente nel
responsorio graduale che ha la prima sezione (responso) al grave,
mentre il versetto è all’acuto. Situazioni del genere sono cancellate in
conformità ad una maniacale pretesa di purezza che non ammette
diversi ambiti modali all’interno di un unico brano.
Grande diffusione ha avuto la creazione di testi poetici in rima con
strutture metriche ben articolate: sono gli uffici ritmici che saranno dif-
fusi soprattutto dopo quel capolavoro poetico e musicale che è la
historia rimata composta da Giuliano da Spira in onore di san
Francesco d’Assisi.
Alla fine di
alterne vicen-
de si assiste in
epoca moder-
na ad un’as-
surda riforma
delle melodie
gregoriane:
alcuni disce-
poli di Pierluigi
da Palestrina
nel 1614 pubblicano nell’Editio Medicea le melodie modificate in base
ai principi in voga presso il madrigalismo della musica vocale del
tempo.
Nei secoli XVII e XVII si assiste alla trionfale scalata del mondo litur-
gico da parte di un repertorio musicale confuso talora con il canto
gregoriano o ritenuto una sua degenerazione. Si tratta del canto “frat-
to” che occuperà in modo egemone la scena fino a tutto l’800, facen-
do una forte concorrenza alla tradizione dell’Editio Medicea. Il nome
“fratto” deriva da un fenomeno vistoso di carattere notazionale: la
scrittura prevede di solito una notazione con valori ritmici propor-
zionali (1, 1/2, 1/4). Oltre a questo aspetto il canto fratto si differenzia
dal gregoriano per altri motivi di notevole importanza musicale. Ad
esempio, sono ritenute lecite e compaiono qua e là alterazioni diver-
se dal si bemolle, l’unica alterazione ammessa, almeno in teoria, nel
repertorio classico latino. Da quest’ultimo il canto fratto si differenzia
a motivo di un linguaggio melodico globalmente diverso. Il repertorio
fratto comprende una produzione assai vasta di melodie che in gran
parte sono congiunte ai testi tradizionali, ma tutta la musica è riscrit-
ta lasciandosi ispirare dalla prassi vocale e strumentale dell’epoca. Tra
i fautori di questa nuova era musicale sono da ricordare i francescani
che hanno diffuso in tutta l’Europa melodie e ritmi che meglio corri-
spondevano al gusto dell’epoca.
La grande diffusione del canto fratto nei secoli XVII e XVIII, e la sua
promozione da parte di ordini missionari e popolari come i france-
scani, non deve però trarre in inganno sulle origini di questo reperto-
rio che affonda le radici in una situazione culturale specifica molto
distante nel tempo e con caratteristiche, diciamo, indelebili. Le recen-
ti indagini di Marco Gozzi hanno chiarito la genesi del canto fratto.
Essa va ricercata nella musica del ’300 francese, in particolare nel
mondo musicale della polifonia dell’Ars Nova. Come tale il canto frat-
to per sua natura non è costituito da melodie cantate da una sola
58
voce, la sola tramandata dai manoscritti. Questa unica voce va inte-
grata nell’esecuzione dall’inserimento di almeno un’altra voce che si
muove secondo varie modalità e artifici tecnici condizionati dalla bra-
vura o meno dei cantori.
Gli antichi segni musicali non indicavano l’altezza esatta delle note. Per
fare questo negli scritti di teoria si è ricorsi a sistemi complessi, ad
esempio, alla notazione daseia o alla già ricordata notazione alfabetica.
Guido, come si vedrà nel capitolo dedicato alla trasmissione orale e
scritta, introduce nella musica occidentale un sistema più semplice. Egli
colloca i segni neumatici non nello spazio bianco tra le linee del testo,
ma su un’intelaiatura di righe colorate (rossa: fa, gialla: do) e a secco a
distanza di una terza. In tale maniera è facile individuare l’esatta altez-
za d’ogni singolo segno musicale.
PER APPROFONDIRE:
• WILLI APEL, Il canto gregoriano. Liturgia, storia, notazione, modalità e
tecniche compositive, con due capitoli dedicati al canto ambrosiano e al
canto romano-antico di ROY JESSON e ROBERT J. SNOW. Edizione tradotta,
riveduta e aggiornata da MARCO DELLA SCIUCCA. Introduzione all’edizio-
ne italiana di GIACOMO BAROFFIO, Lucca, Libreria Editrice Italiana 1998.
• GIACOMO BAROFFIO - EUN JU KIM, Cantemus Domino Gloriose.
Introduzione al canto gregoriano, Saronno, Ed. Urban 2003.
GREGORIO
MAGNO
È L’AUTORE
DEL CANTO
GREGORIANO?
di Giacomo Baroffio
Gregorio Magno
in una miniatura dalle
Lettres de Saint-Gregoire
Le Grand (XII sec.).
Codice manoscritto della
Biblioteca Nazionale di Parigi.
62
Nelle pagine seguenti, si propone una serie di immagini con
differenti tipologie delle notazioni musicali diffuse in Italia.
A fronte si forniscono notizie relative alle immagini (città,
biblioteca, segnatura, tipologia libraria, origine, età) e la
trascrizione su pentagramma.
63
ORIGINE E DIFFUSIONE DEL CANTO GREGORIANO.
Le fonti più antiche (tra cui Paolo Diacono) non dicono nulla circa un’at-
tività musicale di papa Gregorio. Una delle prime affermazioni esplicite
al riguardo risale a Giovanni Immonide, diacono e monaco di
Montecassino.Verso l’875 egli traccia una vita di papa san Gregorio con
l’intento evidente di farne risaltare la figura quale guida e modello di san-
tità per tutto il popolo cristiano. In tale contesto Gregorio è presenta-
to come una persona sensibile, pieno di compunzione ispiratagli dalla
dolcezza della musica, intento a compilare una raccolta, un antifonario,
di somma utilità per i cantori. Il termine compilò è stato in seguito inte-
so nel senso che Gregorio sarebbe stato l’autore del repertorio musi-
cale, mentre di fatto la Vita si limita a constatare un lavoro redazionale
del pontefice che avrebbe riordinato – o avrebbe dato l’impulso di ordi-
nare – il materiale inserendolo in un unico libro liturgico.
Sotto molti aspetti la relazione di Gregorio con il canto liturgico è
parallela a quella che vede lo stesso papa autore delle orazioni e del
sacramentario gregoriano. L’intervento di Gregorio I in ambito liturgi-
co-musicale dovrebbe rientrare nella normale organizzazione della
vita ecclesiale che vede una crescita organica e continua della vita
liturgica, grazie soprattutto all’introduzione di nuove feste di santi che
si collocano nell’anno liturgico. Probabilmente risalgono alla curia
papale poche composizioni che utilizzano nel testo citazioni di opere
gregoriane, come l’antifona Si culmen veri honoris quaerite che riprende
uno stralcio di papa Gregorio (Hom. Ev. 15, 1). A lui oggi sono attri-
buiti ipoteticamente gli inni quaresimali per vespri, notturni e lodi Audi
benigne conditor, Ex more docti mystico, Precemur omnes cernui. In passa-
to a Gregorio erano stati assegnati altri testi che sono certamente
posteriori anche se la data non può essere precisata: Urbs Ierusalem
64
beata (s. VIII?) ed Ecce iam noctis tenuatur umbra (s. X?). Non sono più
attribuite oggi a Gregorio neppure le antifone “O” dell’avvento; oggi si
ipotizza un’origine milanese.
Le analisi dei vari aspetti musicali del repertorio gregoriano (relazio-
ne con le celebrazioni liturgiche, testo biblico/salmico, linguaggio melo-
dico, struttura compositiva, modalità, stile) hanno messo in luce il
carattere estremamente eterogeneo del repertorio corale. In esso si
possono rintracciare vari strati che corrispondono a diverse epoche
e a differenti luoghi d’origine di singole melodie o gruppi omogenei di
canti. Un dato certo è che le melodie gregoriane nella loro configura-
zione odierna, che corrisponde a quella tramandata dalle fonti
medioevali, sono il risultato di una complessa opera redazionale. Tale
processo, iniziato nel VII secolo, si è stabilizzato probabilmente nel
secolo successivo per concludersi definitivamente in territorio franco
durante il IX secolo. Per tale motivo la letteratura odierna preferisce
sostituire a “canto gregoriano” l’espressione “canto romano-franco”.
L’attribuzione del canto gregoriano a papa Gregorio si è diffusa
soprattutto nell’VIII secolo da due centri d’irradiazione: un polo italia-
no e uno inglese. In Italia è stato composto un poema sull’attività litur-
gica e musicale di un papa, quasi certamente Gregorio II. Questo testo
celebrativo, che ha subìto molte recensioni con significativi ritocchi e
interpolazioni, ha finito per essere riferito a papa Gregorio Magno
consacrandolo autore dei canti della Messa. Poema autonomo – che
tra l’800 circa e l’XI secolo ha avuto una decina di elaborazioni –, il
nucleo centrale del testo si ritrova in tutta l’Europa latina anche all’i-
nizio di molti graduali (tropo Gregorius præsul), che contengono le
melodie della Messa del rito romano, quale premessa che introduce il
primo canto d’ingresso della I domenica d’avvento.
La tradizione inglese da sempre riconosce in Gregorio il padre della
fede grazie alla missione di Agostino di Canterbury da lui promossa
nel 596. È questa la corrente che trova in Alcuino un rappresentante
autorevole presso la corte carolingia. Il suo influsso si ritrova fissato
nei libri liturgici che come l’antifonario di Mont-Blandin nel titolo reci-
tano affermazioni simili a “antefonarius ordinatus a sancto Gregorio per
circulum anni”.
65
L’ALLELUIA DELLA MESSA.
Un intervento concreto in ambito musicale è attestato da san
Gregorio nella lettera al vescovo Giovanni di Siracusa (Epistola IX 26).
Secondo l’opinione comune a Roma, prima di Gregorio, nella Messa
l’Alleluia era cantato soltanto come acclamazione senza versetto ed
era eseguito unicamente durante la cinquantina del tempo pasquale.
Papa Gregorio interviene per normalizzare la situazione dell’Urbe che
fino allora restringeva nel tempo il canto dell’alleluia della Messa, men-
tre nella liturgia delle ore l’acclamazione d’origine ebraica era cantata
sempre ad eccezione della quaresima.
Non è escluso, tuttavia, che Gregorio intenda parlare della semplice
acclamazione “alleluia” da aggiungersi alla fine di una salmo – o di sin-
goli versetti – che all’interno della liturgia della Parola era considera-
to essenzialmente una lettura e non ancora un canto.
L’alleluia finirà per essere sospeso a cominciare dalla domenica
di settuagesima (la terza domenica prima dell’inizio della
quaresima). In questo giorno molte Chiese celebre-
ranno il commiato dalla gioiosa acclamazione
pasquale.
66
sola che si usa ancora oggi a Milano), anche l’espressione latina Christe.
Quanto Gregorio dice del canto si riferisce probabilmente non a una
sua innovazione personale, bensì alla tradizione locale di Roma dove il
Kyrie eleison e il Christe eleison potevano essere ripetuti ciascuno anche
cento volte di seguito con un totale di 300 invocazioni.
Nell’Urbe la formula litanica ai tempi di Gregorio prevedeva l’alter-
nanza tra un gruppo di cantori e l’assemblea che rispondeva alle sin-
gole invocazioni. Il canto del Kyrie era esteso ai giorni non festivi, al
contrario della tradizione bizantina. Gregorio ricorda infine l’inserzio-
ne di versus con testi latini che arricchivano l’invocazione. È probabile
che talune di queste antiche integrazioni sopravvivano nel repertorio
dei tropi, come nel caso di Devote canentes suscipe sedula precamur
nostra præconia che, tra l’altro, presenta 10 ininterrotte invocazioni
Kyrie eleison (senza il Christe) e nel testo fa riferimento all’eresia aria-
na, scomparsa ormai da tempo all’epoca di Gregorio.
Le affermazioni di Gregorio relative al Kyrie potrebbero essere quin-
di comprese in riferimento non alla Messa, bensì a particolari riti
processionali. Gregorio di Tours e Paolo Diacono attestano
una septiformis letania di cui si hanno testimonianze espli-
cite per gli anni 590 (subito dopo l’elezione a pon-
tefice) e 603. La popolazione romana partiva,
suddivisa in sette gruppi, da altrettante chie-
se per recarsi a Santa Maria Maggiore. I
sette cortei erano formati rispettiva-
mente dal clero, religiosi, uomini,
donne consacrate, donne mari-
tate, vedove, giovani e ragazzi.
67
L’IMPEGNO MUSICALE DEI DIACONI
Questo aspetto è oggetto di una decisione presa sotto la presidenza
di Gregorio durante il sinodo romano del 5 luglio 595. Il I canone sino-
dale limita l’impegno dei diaconi quali cantori solisti. Essi durante la
Messa proclameranno in canto unicamente il brano evangelico. Tale
decisione vuole mettere fine ad un abuso di proporzioni tali da pro-
vocare l’intervento del vescovo e del sinodo. Molti si facevano ordina-
re diaconi soltanto o principalmente in base alle qualità della propria
voce. Costoro di fatto avrebbero in seguito svolto in modo preferen-
ziale la funzione di cantori invece di assolvere gli importanti doveri che
spettavano ai diaconi.
I diaconi permanenti a Roma svolgevano varie attività al di fuori del-
l’impegno liturgico, anche nel delicato settore dell’amministrazione. La
loro scelta doveva essere particolarmente oculata. Una probabile con-
seguenza dell’applicazione del canone sinodale è la forte diminuzione
delle ordinazioni dei diaconi. Nel contesto storico della Chiesa roma-
na, la decisione sinodale, che pur si concentra sull’attività musicale,
mira soprattutto a rettificare la disciplina per evitare abusi e con-
servare integra la figura e la funzione ministeriale dei chie-
rici.
68
PER
APPROFONDIRE:
che è presente nella Vita (cap. 6) di Giovanni BRUNO STÄBLEIN,
Immonide, quando egli afferma “scholam quo- “Gregorius Praesul”, der
que cantorum... constituit”. Prolog zum römischen
Il biografo si sofferma su alcuni dati concreti Antiphonale.
relativi a edifici, al letto dal quale il pontefice Buchwerbung im
ammalato avrebbe seguito la formazione Mittelalter, in Musik und
Verlag. Karl Vötterle zum
musicale dei giovani cantori. La narrazione 65. Geburtstag am 12.
mescola dati veri con interpretazioni arbitra- April 1968, a cura di R.
rie che confondono la scena storica. BAUM - W. REHM, Kassel
Situazioni dell’VIII secolo sono trasposte nel 1968, pp. 537-561.
VI secolo, come avviene per l’organizzazione
della Schola; memorie del passato sono rilet-
te in una nuova prospettiva. Giovanni, ad
esempio, ricorda la frusta con cui papa
Gregorio avrebbe fustigato i giovani indiscipli-
nati, ma in realtà si tratterebbe della ferula, lo scettro simbolo dell’au-
torità pontificia.
All’origine dell’istituzione musicale c’è stata l’organizzazione di un
orfanotrofio con fini sociali d’assistenza; lentamente si sarebbe evolu-
to fino a divenire un collegio in cui si preparavano al ministero di can-
tori i giovani con talento musicale. L’educazione comportava anche
un’intensa preparazione spirituale per la comprensione dei testi bibli-
ci (la psalmodia non si limita al canto dei salmi, ma all’intelligenza e
interpretazione spirituale del salterio). Molti cantores scoprivano così
un’altra vocazione e finivano per seguire la vita ecclesiastica nella fun-
zione diaconale, in alcuni casi fino allo stesso ministero episcopale che
a Roma è quello papale. Vari indizi suggeriscono di collocare l’origine
della Schola Cantorum, fiorente nell’VIII secolo, soltanto un secolo
prima, cioè nel VII, certamente dopo il pontificato di Gregorio.
69
CREARE E
TRASMETTERE
MUSICA
TRA ORALITÀ
E SCRITTURA
di Giacomo Baroffio
Monza, Biblioteca Capitolare, c-12/75, c. 81r ; Graduale: Monza sec. XI, alleluia Beatus vir qui timet
70
cioè una labile trac-
cia che ispira l’ese-
cutore a vivere, in
prima persona, un
affascinante atto
creativo suggerito
dal compositore
attraverso la media-
zione di una perga-
mena o di un pezzo
di carta. Con un
problema. Un conto
è l’anonima riprodu-
Cantori in un
zione tecnica di una serie di note, come fanno i musicanti da strapaz- particolare
zo e può realizzare oggi anche un computer; un conto è trascendere dell’Incoronazione
le note e far cantare il cuore che trova proprio nella musica un lin- della Vergine del
Maestro della
guaggio privilegiato per esprimere le profondità dei suoi sentimenti. Vita di Maria.
Nella storia della musica occorre liberarsi dai pregiudizi che nascono Tavola conservata
spontanei nel momento in cui ci si rivolge al passato. È assai forte la presso la
Alte Pinakothek
tendenza/tentazione di leggerlo nell’ottica del presente, in una pro- di Monaco
spettiva e con la sensibilità propria dell’osservatore di oggi. Abituati di Baviera.
come siamo a fare musica (liturgica) leggendola da uno spartito – che
sia gregoriano o Palestrina o Domenico Bartolucci poco importa –,
non riusciamo a immaginarci facilmente e in modo realistico una con-
dizione, quella medioevale, in cui non esistevano libri di musica.
Persino la creazione delle melodie avveniva molto probabilmente in un
regime di totale oralità, senza il supporto di un sussidio librario.
La situazione medioevale richiama non tanto la pratica che oggi cono-
sciamo nell’esecuzione dei repertori colti medioevali e moderni, quan-
to piuttosto il fare musica in modo “spontaneo”. Un esempio di tale
consuetudine è l’universo jazz dove ha ampio spazio una dimensione
fondamentale della vita musicale: l’improvvisazione. La quale improvvi-
sazione, ieri come oggi, non è per nulla un fatto improvvisato, bensì
una magistrale creazione artistica che coniuga un estremo rigore for-
male e stilistico con una sconfinata libertà espressiva.
Affrontare il capitolo “notazione musicale” esige quindi prendere
distanza dalle nostre consuetudini mentali e dalle nostre abitudini nella
71
pratica musicale. Per noi la notazione è l’unico accesso al mondo del
passato musicale, con tutti i problemi interpretativi che comporta la
difficoltà di leggere e comprendere il senso dei segni. Succede poi
un’altra cosa che affiora anche nella lettura delle partiture moderne.
Ogni interprete sente e legge le indicazioni (piano, forte, allegro, ada-
gio, cantabile...) a modo suo. Gli esiti sono del tutto differenti tra una
persona e l’altra (Toscanini, Furtwängler, Kleiber...) e anche da un
momento all’altro nelle varie fasi della vita e della maturità artistica di
un solo musicista (Bach, ad esempio, suonato a distanza di tempo da
Gould, un’unica persona con molteplici personalità interpretative).
Ritorniamo al canto gregoriano. Importante anche in questo ambito è
utilizzare la notazione senza rimanere schiavi della lettera.
Rinunziare alla grafolatria significa dimenticare
completamente le note nel momento del
canto. Quando il cuore si libera da ogni con-
dizionamento e innalza la melodia senza nes-
sun intralcio. “Cantare, non contare” è scritto
nella sala di musica in una grande abbazia.
La musica non si può scrivere. Per secoli in
Occidente questo pensiero è stato accetta-
to sul piano, diciamo, filosofico e anche nel-
l’esperienza musicale concreta. Oggi si
pensa che la notazione musicale sia stata
introdotta nuovamente in Europa all’inizio
del secolo IX, dopo vari secoli d’oblio. La
cultura greca, ad esempio, conosceva un
articolato sistema di scrittura musicale
che prevedeva due serie di segni specifici
per la musica vocale e per quella stru-
mentale. Di fatto, le prime testimonianze
di codici liturgici latini con segni musicali
(i neumi) che potessero, almeno in teo-
ria, soddisfare le esigenze pratiche, risal-
gono alla fine del secolo IX o all’inizio
del secolo successivo. Nel secolo IX ci
sono fonti con alcune scritture musicali
Acqui Terme, Biblioteca del (notazione alfabetica, daseia), ma si trat-
Seminario, ms. 1, c. 206 r.
Ivrea, Bibl. Capitolare, LX, 3r ; Graduale: Ivrea (tradizione neumatica di Pavia) sec. XI,
introito Ad te levavi (avvento domenica 1)
72
ta unicamente di trattati di teoria musicale. È probabile che i primi
segni musicali fossero più diffusi sui testi delle letture e delle orazioni
che non sui canti veri e propri.
Ciò che stupisce nell’osservare i codici musicali dei secoli X e XI è la
grande varietà di forme che i segni assumono nelle diverse regioni
dell’Europa latina. In sostanza, ogni area culturale che corrisponde ad
un territorio ecclesiastico – singola diocesi o area metropolitana
(insieme di più diocesi) o ad un ampio spazio intorno ad un’abbazia –
vede la fioritura e la diffusione di una specifica scrittura musicale,
molto diversa l’una dall’altra. Il fenomeno merita attenzione, perché
sul fronte parallelo della scrittura testuale, tutta l’Europa scrive trac-
ciando un unico modulo grafico: la minuscola carolina, elaborata pro-
babilmente a Corbie nella seconda metà del secolo VIII. Indicativo è il
fatto che a quest’egemonia calligrafica carolingia si sottraggono sol-
tanto le due regioni continentali che sotto il profilo politico resistono
alla dominazione dell’impero franco: la penisola iberica e il territorio
longobardo di Benevento-Montecassino.
Questa diversa situazione grafica che interessa da un lato i testi lette-
rari, dall’altro la notazione musicale, può suggerire l’ipotesi che la dif-
fusione della scrittura musicale sia avvenuta dopo quella testuale, vale
a dire in un’epoca – tra l’840 e l’860 – in cui la sede del governo cen-
trale non esercitava più con fermezza il suo potere, quando l’impero
era ormai frazionato e non riusciva più a formare un’unità compatta
come agli inizi del secolo sotto Carlo Magno.
Si è già affermato che i libri con notazione musicale, di fatto, non ser-
vivano per il canto. Certo, perché i segni erano incomprensibili e pote-
vano dire qualcosa soltanto a chi conosce già bene a memoria le melo-
die. Si dava pertanto una situazione curiosa: chi sapeva a memoria la
musica non aveva bisogno di uno scritto; ma una musica scritta non
poteva essere letta se non da chi già la cantava a memoria. Non si trat-
tava di spartiti musicali paragonabili a quelli moderni, che permettono
a chiunque di leggere la melodia scritta con un minimo d’alfabetizza-
zione musicale. Un testo letterario sì che poteva essere letto e inter-
pretato dopo un minimo di formazione, la musica no.
La problematica è, tuttavia, complessa; si vorrebbe sapere il motivo
principale che ha spinto a scrivere musica “illeggibile”. Accanto a moti-
vazioni di ordine simbolico o legate alla disciplina dell’arcano, proba-
73
bilmente bisogna mettere in conto l’esigenza di rendere in qualche
modo tangibile l’Impalpabile, visibile l’Invisibile: il suono sacro, percepi-
to quale “sacramento” di D-i-o, vuole essere custodito e messo al
riparo da ogni possibile manomissione e contraffazione. O, ancora, si è
ritenuto opportuno fissare per iscritto una testimonianza culturale in
modo da potervi ricorrere in caso di dubbi interpretativi, senza esclu-
dere un qualche minimo uso dei codici musicali a livello didattico.
Si potrebbe anche pensare che la scrittura sia stata resa necessaria
dall’irruzione del repertorio romano in territorio franco, dalla difficol-
tà di memorizzare migliaia di melodie estranee, senza contare l’imma-
ne produzione di altri nuovi canti quali sono i tropi e le sequenze.
Quest’ultima ipotesi è però molto debole, perché le melodie scritte
non potevano in ogni caso essere lette ed erano tramandate dalla viva
voce dei cantori in una catena ininterrotta che collegava maestro e
discepoli, a loro volta futuri maestri.
È importante ricordare ancora un fatto non trascurabile: mentre le tra-
smissioni scritte dei testi poetici, tramandati dalle fonti carolinge e poste-
riori, rispettano le diverse e complesse strutture metriche letterarie –
tranne poche eccezioni, a parte la trasmissione epigrafica su pietra che
comporta evidenti difficoltà nell’incisione del materiale –, nella scrittura
dei brani musicali prevale in modo assoluto l’impaginazione delle melo-
die, con i relativi testi, a riga piena. Ciò significa che nella stesura dei codi-
ci non interessava minimamente il fatto musicale, oppure, chi scriveva i
libri con notazione non era più consapevole delle diverse strutture e
forme musicali alle quali si è accennato in precedenza (formule salmodi-
che, melodie cicliche, maqam…). Anche questo aspetto, di non poca rile-
vanza, rivela il paradossale carattere a-musicale dei libri con musica.
A livello liturgico i libri con musica sono sussidi, la cui utilità reale per
secoli, fino all’epoca moderna, è stata importante, ma assai limitata.
Essi hanno fornito ai cantori indispensabili informazioni sulla scelta dei
canti da eseguire in ciascuna celebrazione; parimenti essi indicavano
subito anche il movimento della linea melodica e ciò poteva “rinfre-
scare” la memoria. Il canto in concreto era lasciato alla tradizione
orale e alla memoria.
Il valore limitato dei segni neumatici per l’esecuzione delle melodie
liturgiche può essere desunto anche dal fatto che i testimoni più anti-
chi con neumi – che risalgono al secolo IX – sono libri destinati al
Aosta, Biblioteca del Seminario, 71, 109va; Messale: ? > Cormayeur sec. XIIex,
graduale Haec dies + Alleluia Pascha nostrum (Pasqua)
74
Archivio Vescovile di Acqui,
Vita di san Guido del canonico Lorenzo Calceato,
codice pergamenaceo del sec. XIV.
celebrante principale o
al diacono: le parti in
musica sono pertanto in
prevalenza toni di ora-
zione e di cantillazione, e
i neumi sono perlopiù
inseriti in maniera spora-
dica, spesso soltanto in
prossimità della cadenza
per indicare la sillaba
dove inizia la formula
conclusiva di una frase o dell’intero brano.
Nello studio della genesi della scrittura neumatica, si parte sempre
dalla convinzione che anche in quel periodo si scrive la musica
secondo i criteri moderni, copiando cioè tutte le note di un brano.
Esami comparativi tra i repertori affini (il romano-antico e il grego-
riano, in misura più ristretta anche l’ambrosiano), permettono di
constatare un fatto non trascurabile: brani con melodie identiche, nei
diversi repertori possono utilizzare formule melodiche diverse, a
patto che abbiano la medesima funzione. Così, ad esempio, un introi-
to di III modo (in mi autentico) può iniziare con la formula “mi re sol
la si” oppure con “sol si si”.
Tale fenomeno suggerisce un’altra ipotesi: le melodie all’inizio non
sarebbero state tramandate con l’indicazione scritta di tutte e sin-
gole le note; probabilmente i cantori s’accontentavano di vedere
scritto in un libro il testo del brano da eseguire con alcuni riferi-
menti circa la modalità e la posizione delle formule più importanti
d’intonazione, d’abbellimento centrale e di cadenza. Ogni cantore,
d’altra parte, sapeva come regolarsi perché, conoscendo il significa-
to di un pezzo, poteva/doveva inserirlo in un preciso sistema musi-
cale con il pieno rispetto della forma e dello stile proprio di ciascu-
na tipologia. L’uso di indicazioni modali e d’abbreviazione formulare
è suggerita insieme dalla tradizione libraria liturgica bizantina e dal-
l’utilizzazione di segni tachigrafici (note tironiane) nell’Europa latina;
di questi ultimi rimane traccia consistente ancora nel graduale di
Laon, Bibl. Municipale, 239, attribuito all’anno 930 circa.
75
Le fonti più antiche che riportano segni musicali su canti del proprio
della Messa sono da situarsi nella Francia settentrionale e presentano
una scrittura denominata paleofranca. Nel corso del secolo X si affer-
mano un po’ ovunque, sul territorio europeo, una miriade di scuole
scrittorie con differenziazioni notazionali che diventano sempre più
marcate, tanto da poter tracciare una mappa geografica costellata da
importanti centri di produzione libraria con specifiche connotazioni
grafiche. Certamente in questa geografia si nota l’affinità di tendenze
simili in sedi culturali che si trovano contigue o vicine. Ma spesso si
possono notare parentele grafiche tra scriptoria episcopali o monasti-
ci assai distanti, anche in nazioni diverse. Sul piano culturale il legame
parentale – dovuto all’appartenenza ad un’unica e medesima corrente
Bastia, ideologica o ad uno stesso movimento di riforma o di consuetudine
San Fiorenzo,
Inconorazione monastica – crea vincoli più forti rispetto alla posizione geografica rav-
di Maria, vicinata.
particolare In questa prospettiva, si comprende la presenza di neumi sangallesi a
dell’affresco.
Angelo musicante. Bobbio, grazie al vincolo di parentela dovuto al fatto
che entrambi i cenobi, uno in Italia e l’altro in
Svizzera, sono fondazioni che risalgono all’opera
missionaria irlandese sotto l’impulso di san
Colombano. Alla vicinanza geografica si deve invece
la presenza degli stessi neumi sangallesi nella Monza
del secolo XI.
Il carattere francese che traspare dai neumi del
breviario-messale di San Salvatore alle falde del
Monte Amiata, trova la sua spiegazione nel fatto
che quest’importante monastero nel secolo XI
apparteneva all’obbedienza cluniacense.
I neumi di matrice germanica che si riscontrano
nelle abbazie di Rosazzo e di Moggio riflettono l’ir-
radiazione della riforma di Hirsau: essa ha raggiun-
to molti monasteri tedeschi (come S. Emmeramo
di Ratisbona), austriaci (Admont e altri) e i cenobi
d’area friulana, sottraendoli a precedenti influssi di
chiara matrice svizzera; basti pensare al nome
stesso di “San Gallo” di Moggio. A proposito di
76
monasteri e dell’irra-
diazione dei grandi
cenobi, si consideri
che l’area sotto l’in-
flusso politico e cul-
turale di
Montecassino è ben
sottolineato e delimi-
tato dall’uso della
notazione cassinese-
beneventana nei gran-
di e piccoli centri
dipendenti dall’abba-
zia madre, con parti-
colare intensità e un
elevato numero di
testimoni sopravvissuti in Abruzzo e nelle Marche. In queste regioni i
moduli grafici del cenobio benedettino persistono a lungo, mentre a
Montecassino erano stati da tempo abbandonati: caso emblematico è
il quilisma che nel centro scompare alla fine del XI secolo, mentre in
periferia, nelle Marche, perdura fino alla metà del XII secolo. Nei seco-
li XI e XII tutto il Meridione presenta vaste zone dove sono in uso
notazioni di tipo beneventano: da Montecassino a Gaeta, da Benevento
a S. Maria nelle Isole Tremiti, da Napoli a Bari. Esempi di notazione cas-
sinese si trovano anche lontano – nelle Marche, a Lucca, a Ravenna,
forse pure in Sicilia – grazie a determinate fondazioni monastiche
dipendenti dal cenobio.
Il fenomeno è assai importante perché il fatto grafico, che interessa
direttamente la scrittura della notazione musicale, è un aspetto di una
realtà più vasta che coinvolge tutto l’universo culturale di cui i neumi
sono un’espressione minima. In tal senso le scritture neumatiche con-
fermano dati già acquisiti o rivelano aspetti ancora inediti sulle rela-
zioni spirituali e culturali che hanno interessato le più diverse e lonta-
ne località del mondo medioevale. Due soli esempi: si conosce la fin-
zione primaria sul piano educativo-scolastico di Pavia sin dalla presen-
za dell’irlandese Dungal e poi dall’attività di Anselmo d’Aosta.
Quest’ultimo, maestro di filosofia e teologia riconosciuto in tutto il
77
LA PARTECIPAZIONE
ALLA MESSA
NEL MEDIOEVO
ASSEMBLEA E MINISTRI
Continente, svolge la funzione di abate al Bec in
Normandia. Questo suo trasferimento non è
per nulla casuale, ma s’inserisce in un movimen-
Assemblea: la comunità to di grande attività culturale di cui è testimo-
celebrante. Essa inter- nianza non indifferente la presenza di neumi
viene nel canto soprat- “bretoni” nell’Italia settentrionale, proprio a
tutto con le risposte (ad Pavia e ad Ivrea.
esempio, Amen) e in
alcuni brani dell’ordina-
Ricerche nel campo dell’architettura e dell’ico-
rio (ad esempio, il nografia da tempo hanno messo in relazione l’a-
Sanctus) rea catalana e quella piemontese occidentale.
Non è mera casualità la presenza alla Novalesa
Cantore: esegue brani (Susa) e in Catalogna di una notazione che pre-
solistici quali i versetti senta una profonda somiglianza. Tale relazione
del graduale e dell’alle- d’affinità è ulteriormente confermata dal reper-
luia
torio musicale grazie, tra l’altro, ad alcuni fram-
Diacono: ministro che menti novalicensi conservati nell’Archivio di
assiste il vescovo. Al dia- Stato di Torino.
cono spetta proclamare il La ricchezza espressiva e la grande varietà di
Vangelo e cantare forme delle notazioni musicali può essere letta
l’Exultet durante la alla luce dell’espansione grafica in un territorio
veglia pasquale particolarmente vivace tra i secoli X e XII:
Lettore: ministro che
l’Italia settentrionale.
proclama la prima lettu- A parte casi isolati di frammenti palinsesti come
ra quello della zona di Torino (Paris, Bibl. nationale
de France, gr. 2631, secolo X-XI), in Piemonte
Officiante: sacerdote o s’individuano varie e diverse situazioni. In Val
vescovo che presiede la d’Aosta nel secolo XI si conoscono i neumi di
celebrazione tipo germanico-elvetico. Essi rivelano gli stretti
legami con il territorio elvetico transalpino
Schola: gruppo ristretto
di cantori che eseguono i mentre, nei secoli successivi, la notazione della
canti gregoriani, in Valle evidenzia il cambiamento della corrente
seguito anche brani poli- culturale che ora s’ispira al mondo francese.
fonici Alla Novalesa presso Susa si sviluppa un pro-
prio modulo grafico che presenta tratti in
comune con Novara, ma soprattutto, si è già
detto, con la Catalogna, regione che ha visto un
forte influsso italico.
78
Vercelli ed il Monferrato sono un’isola a sé stante e differiscono dai
centri vicini di Novara e di Ivrea. La notazione novarese si diffonde in
tutto il territorio della diocesi e interessa anche la splendida produ-
zione libraria di S. Vittore di Intra (Verbania) sul Lago Maggiore.
La liturgia di Ivrea, come si è visto, è stata fissata in codici scritti a Pavia
o, più probabilmente, in loco da mano di formazione pavese con i già
menzionati neumi bretoni.
In Lombardia la situazione non è meno complessa: a Monza si trova di
nuovo la notazione germanico-elvetica resa nota soprattutto dai codi-
ci della famosa abbazia di San Gallo. A Como, invece, fondazioni mona-
stiche franche (Metz) hanno diffuso la neumatica lorenese che si è
estesa a tutta l’area lariana. Autonoma è invece l’abbazia di S. Pietro
presso Civate: anche là si avverte una sintonia con il mondo francese,
ma la scrittura è notevolmente diversa da quella metense-comasca. A
Milano, dopo pochi tentativi frammentari di scrivere musica, verso il
1100 si attesta un sistema veramente semplice: le note sono piccoli
punti collegati tra loro da esili tratti. Questa grafia è presente in altre
città lombarde – anche nella Monza del pieno XII secolo – e si evolve
raggiungendo la piena maturità in una notazione gotica lombarda in cui
la nota fondamentale è un rombo.
Brescia e Mantova hanno notevoli testimonianze grafiche del secolo
XI (Oxford, Bodleian Library, Canon. Lit. 366 e Verona, Bibl. Capitolare,
CVII); nei secoli successivi Brescia ha un numero di fonti, codici e
frammenti, che permettono di seguire l’evoluzione della grafia locale
sino alla notazione quadrata del XIII secolo. Una situazione particola-
re s’incontra a Verona tra il secolo X e il XII: lo scrittorio episcopale
rivela affinità con la vicina Brescia e con Nonantola: tra i secoli XI e
XII la grafia nonantolana s’incontra in vari documenti liturgici di area
veronese. Un messale del secolo XI-XII (Verona, Bibl. Capitolare, CV)
nella grafia musicale segue i moduli locali nella prima parte, nella sezio-
ne successiva i segni nonantolani. A settentrione di Verona, man mano
che ci s’inoltra verso l’Austria, prevale la grafia di tipo germanico che
rimarrà egemone soprattutto a nord di Bolzano (Bressanone,
Novacella/Neustift, San Candido/Innichen). Condizioni grafiche analo-
ghe nel Friuli, soprattutto intorno ai ricordati centri monastici di San
Gallo di Moggio e di Rosazzo.
In Emilia ha grande rilievo Piacenza, la cui vitalità sul piano della cultu-
79
Acqui Terme, Biblioteca del
Seminario, ms. 1, c. 205 r.
Verbania/Intra, Biblioteca Capitolare S. Vittore, 5 (14), c. 3v; Tropario sequenziario: Intra sec. XII1,
Gloria in excelsis (cfr. BOSSE 39)
80
Archivio Vescovile di Acqui,
Vita di san Guido del canonico
Lorenzo Calceato,
codice pergamenaceo del sec. XIV.
Dopo la fioritu-
ra delle notazio-
ni neumatiche –
delle quali sol-
tanto in Italia si
contano varie
decine – a parti-
re dal secolo
XIII prende pie-
de una scrittura
che diverrà uni-
versale nei Paesi latini: la notazione
quadrata. Il termine si deve alla forma, quadrata, della nota fon-
damentale; essa tuttavia può avere varie connotazioni grafiche (allar-
gata, allungata, con i tratti lineari o arcuati...) che permettono di distin-
guerne almeno una trentina di morfologie diverse.
La notazione quadrata era di uso comune nei Paesi di cultura latina
nella seconda metà del XV secolo. Quando – alcuni decenni prima di
Petrucci che è considerato l’inventore della stampa musicale – sono
stati stampati alcuni libri liturgici con musica, i tipografi hanno preso
come modello i manoscritti dell’epoca che hanno imitato in ogni
aspetto grafico e di impaginazione. Ciò spiega la presenza della nota-
zione quadrata nei libri liturgici di canto. La nota quadrata è stata con-
fermata anche nelle edizioni moderne dal Graduale Romanum (1908) al
recente Liber Hymnarius del 1983.
Ma torniamo ancora un momento indietro nel tempo per accennare
a un fenomeno particolare che investe la grafia musicale: il colore delle
note. Esse di solito sono scritte con inchiostro scuro, come il testo let-
terario. Per ragioni evidentemente legate alla percezione estetica, in
sontuosi libri da coro nei secoli XV e XVI alcune sezioni dei brani
liturgici possono avere le note colorate. Note in rosso, blu, verde e
persino oro conferiscono alla pagina dei corali uno affascinante effet-
to cromatico. Spesso una o più linee con sgargianti note colorate
fanno da supporto a sontuose miniature che illustrano i capilettera
81
PER
APPROFONDIRE:
GIACOMO BAROFFIO (ed.), degli introiti nei libri della Messa e del primo
Segno e Musica. Codici responsorio del mattutino nei libri della liturgia
miniati e musicali nel delle ore.
millenario della nascita Particolare attenzione merita il colore rosso. Con
di Guido d’Arezzo. il minio delle rubriche in alcuni casi (Palermo,
[Catalogo della Mostra Monza…) sono state integrate le omissioni del
del Museo Statale d’Arte copista. Spesso con il colore rosso sono evidenzia-
Medioevale e Moderna,
Arezzo, 10 giugno - 31
te le note che occorre allungare, come l’ultima
ottobre 2000], Milano, nota che conclude le frasi del Gloria in excelsis o del
Mazzotta 2000. Credo, casi nei quali le note rosse sono accompa-
gnate o sostituite dalla “corona”, un esplicito segno
di allungamento. Altre volte il rosso denota le
sezioni che si possono o devono tralasciare in par-
ticolari situazioni. È il caso delle sezioni trovate del
Gloria in excelsis per la Madonna (vaticana IX cum
iubilo). In questo caso il rosso del tropo Spiritus et
alme ricorda in modo immediato al cantore che
può inserire nel brano originale la farcitura. In alcu-
ni codici sono scritti in rosso gli alleluia che concludono i canti del
tempo pasquale, alleluia che però in alcuni brani – si tratta soprattut-
to di antifone che accompagnano i salmi della liturgia delle ore – si
omettono negli altri tempi liturgici. A Montecassino e anche altrove,
quando dopo il secolo XIV sono stati eliminati i melismi già scritti nei
codici, l’omissione è stata segnalata scrivendo in rosso l’ultima nota
prima del taglio e la prima nota dopo di esso. Un ultimo caso: la nota-
zione rossa evidenzia la seconda voce nella polivocalità o polifonia
semplice. È una voce che spesso si muove per modo contrario rispet-
to a quella principale: dove questa sale, l’altra scende, e viceversa. Il
colore rosso, come si può vedere in tanti esemplari, permette di segui-
re in modo preciso l’intreccio delle due linee melodiche. Se fossero
scritte entrambe in nero, facilmente si confonderebbero.
Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.F.1.1, c. 114r ; Antifonario: Milano Duomo sec. XIV-XV,
salmello (graduale) Respice de cælo
82
LA TRADIZIONE
MUSICALE
DELL’UFFICIO
IN ONORE DI GUIDO
VESCOVO DI ACQUI
di Giacomo Baroffio e Eun Ju Anastasia Kim
La liturgia delle ore nella festa di san Guido presenta alcune partico-
larità di ordine sia testuale sia musicale che saranno esposte breve-
mente prima di ogni sezione musicale pubblicata qui di seguito. Per
quanto riguarda le ore, sarà opportuno dare uno sguardo anche alla
tabella di p.176. Lo schema evidenzia la struttura compositva dei sin-
goli brani e mette in luce il carattere ibrido dell’Ufficio. Si può osser- Acqui Terme,
vare, infatti, come alcuni testi abbiano una particolare struttura metri- Cattedrale,
ca e presentino rime. Siamo di fronte a un cosiddetto Ufficio “ritmi- particolare
del pulpito.
co” che però qui è parziale, nel senso che alcune sezioni sono ritmi- San Guido.
che e rimate, mentre altre hanno i testi in prosa. Un ulteriore studio
potrà chiarire la relazione tra queste parti differenti. L’ufficio, così
com’è tramandato nel codice di Acqui, pone una serie di interrogativi.
Ad esempio, siamo di fronte a un Ufficio ritmico che non è stato com-
pletato o è stato utilizzato soltanto in parte? I pezzi prosastici deriva-
no da un’altra tradizione, forse da un Ufficio anteriore?
Da rilevare nei primi vespri è una consuetudine non rara di probabile
origine franca, ricordata già da Rodolfo di Tongres († 1403), che si dif-
ferenzia dall’uso comune seguito nei secondi vespri. I cinque salmi
festivi non iniziano con il ben più diffuso salmo 109 Dixit Dominus, ma
83
presentano la serie di cinque salmi “de laudate” che cominciano tutti con
“Laudate” oppure “Lauda”. Nell’ordine sono i salmi Laudate pueri (112),
Laudate Dominum omnes gentes (116), Lauda anima mea Dominum (145),
Laudate dominum quoniam (146), Lauda Ierusalem Dominum (147). Un’altra
differenza rispetto all’uso comune è il fatto che tutti e cinque questi salmi
sono cantati con un’unica antifona, mentre di solito ogni salmo ha una
propria antifona. Ci si uniforma, invece, alla pratica del tempo nell’esecu-
zione dell’antifona. Prima dei salmi essa viene soltanto intonata. Ciò signi-
fica che un cantore canta solempniter la sola prima parola dell’intero
brano (Guido); l’antifona sarà cantata integralmente soltanto dopo il quin-
to e ultimo salmo.
Il testo dell’antifona chiarisce subito la natura di questo brano sotto il
profilo letterario: è un testo poetico in rima che si può schematizzare
con la formula (a a a a /8 pp 10 pp) ripetuta due volte. L’antifona è com-
posta cioè da quattro versi di 8, 10, 8, 10 sillabe che si concludono tutti
con parole proparossitone che hanno la stessa rima (i-um). La struttura
del testo e il movimento della melodia testimoniano uno stile tardo della
composizione.
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, A17, c. 2r; Graduale: Bressanone sec. XV,
introito Spiritus Domini
84
Una conseguenza notevole sotto il profilo musicale è che il tono sal-
modico – in questo caso il I – rimane sempre invariato creando una
situazione forte di “mono-tonia”. Questa situazione è ambivalente. Da
un lato può favorire la concentrazione sulla preghiera perché sgombra
il terreno da ogni preoccupazione musicale: si canta sempre tutto
nello stesso modo e con la medesima cadenza finale (la la sol fa sol/la
sol); d’altro canto se non si è estremamente vigilanti, si rischia di per-
dersi in uno stato di in-coscienza indotto dal canto scandito in modo
ossessivo sulle stesse note, il che può produrre quasi un effetto ipno-
tico di sonnolenza.
Nei vespri dopo la lettura biblica si usa eseguire un canto semplice: il
responsorio breve. In alcune Chiese, per sottolineare la solennità di
una festa, il canto semplice è sostituito da un responsorio prolisso, di
solito riservato all’ora di preghiera notturna (il mattutino). Ad Acqui
un simile tipo di responsorio è affidato a due cantori. La melodia si
muove in fa, ma è scritta in do, e rivela la sua appartenenza a uno sta-
dio tardivo della tradizione “gregoriana” perché spazia in un ambito
assai esteso e si muove con stilemi musicali nuovi, posteriori cioè
all’XI secolo. Anche la seconda sezione del responsorio, il versus
(Peregre Iacob) si differenzia notevolmente dalla prassi abituale che
prevede l’uso di una formula salmodica, mentre qui ci troviamo di
fronte a un’esuberante melodia originale.
85
L’inno Gaude mater ecclesia si allinea alla struttura letteraria dei brani
precedenti e presenta una melodia probabilmente originale. La formu-
la del I verso si ritrova in alcune recensioni dell’inno Verbum supernum
prodiens (O salutaris hostia), ma lo svolgimento della melodia sembra
proseguire in modo autonomo.
86
Il versicolo è mutuato dal comune dei santi vescovi e presenta la corda
di recita sul do. La formula finale si discosta dalla tradizione italica dove
si canterebbe si do si la sol la si la. Ad Acqui il si è stato atratto dal do
superiore secondo la prassi del “dialetto germanico”, ma si è attenu-
tao l’effetto della III minore (la do) con un passaggio per gradi con-
giunti si do si la sol la si do la.
87
Ogni ora liturgica si conclude con un invito a lodare D-i-o con la vita:
Benedicamus Domino. Il grado di solennità della festa per onorare il
patrono locale è messo in risalto da una particolare amplificazione
della formula: essa presenta non solo un ampio vocalizzo, ma ha ha una
configurazione polifonica, Si veda lo studio specifico di Rodobaldo
Tibaldi (p.155). Non si tratta di un fatto eccezionale neppure ad Acqui,
come si deduce, tra l’altro, dalle annotazioni relative al canto del Gloria
in excelsis.
* * *
88
Il salmo 94 (Venite exultesmus Domino) è cantato in modo particolare,
secondo l’uso dell’antiphonare che prevede l’inserzione dell’antifona all’in-
terno del testo salmico. Inoltre il salmo stesso non è eseguito da due cori
che si alternano nel canto dei singoli versetti, ma è proposto da un soli-
sta. Questi esegue delle unità più ampie, le strofe, di cui qui è proposta
la prima, quale modello da seguire anche nelle unità successive.
L’inno – che nelle ore cardine dei vespri e delle lodi si trova alla fine
– nel mattutino è collocato all’inizio dell’ora. Anche questa instabilità
di posizionamento tradisce il fatto che l’innodia nella liturgia romana
è entrata tardi (verso la fine del secolo XII) e che, comunque, è statta
avvertita come un elemento estraneo. Inclita gaudia ha un metro par-
ticolare. La musica presenta quattro versi con la struttura “a a b c”. La
ripetizione della prima frase dà maggior vigore allo slancio proprio di
questa bella melodia in sol (VII modo = tetrardus autentico).
89
Il corpo centrale del mattutino festivo e domenicale è formato da tre
sezioni denominati notturni o vigilie. Tutte e tre presentano la mede-
sima struttura: tre antifone con relativi salmi, un elemento di cerniera
(il versicolo con la sua risposta), tre letture relativamente ampie, cia-
scuna delle quali è seguita da un silenzio orante che sfocia in un canto
di risposta, il responsorio.
Le antifone del I notturno iniziano a narrare, quasi fosse un racconto
a puntate, la historia del santo vescovo Guido, magnificandone la nasci-
ta e il ceppo parentale (nobilissimis natalibus), sottolineando l’attenzio-
ne nell’ascolto della parola di D-i-o (documentis sacris), il disprezzo
delle realtà mondane e l’ascesa al vertice del sacerdozio nell’episco-
pato. Il linguaggio musicale nei due primi canti risponde a quello tra-
dizionale. In particolare la prima antifona riprende una frase melodica
assai diffusa (melodia tipo), propria del modo di re, e la sviluppa in una
contenuta variazione dando origine a una architettura musicale bipar-
tita e ben equilibrata. La terza antifona riflette un linguaggio del tutto
diverso, quello caratteristico della musicalità dell’Europa latina dopo il
secolo XI. Si può notare un fatto curioso: in gran parte di questo
Ufficio dopo l’antifona segue immediatamente la formula di cadenza
della salmodia (euouae = saeculorum amen) e alla fine si trova l’indi-
cazione del salmo con la corrispondente formula d’intonazione. Il ver-
sicolo presenta la medesima costruzione di quello precedente consi-
Fonteavellana, Eremo Santa Croce, Nn, p. 364; Breviario: area ravennate-Italia centrale sec. XII1,
responsorio Gabriel angelus
90
91
derato nei primi vespri.
Le letture sono precedute dalla richiesta di benedizione che il lettore
fa rivolgendosi al responsabile (dom[p]nus) della comunità o dell’azio-
ne liturgica in corso. Nel nostro caso il fatto ha una rilevanza non indif-
ferente, perché la breve formula contiene già il modulo melodico che
servirà per il canto delle letture stesse, com’è indicato nel manoscrit-
to, assumendone anche l’ampio vocalizzo sulla sillaba tonica dell’ulti-
ma parola. Questo vocalizzo (melisma) con le sue cascate ravvicinate
di note mostra chiaramente la sua giovane età: appartiene a uno stra-
to decisamente “moderno” della cantilena liturgica.
Palermo, Archivio Storico Diocesano, 9; Kyriale tropario sequenziario: Palermo sec. XIV3/4,
Gloria in excelsis (Vat. IX) + tropo Spiritus et alme
92
delle melodie originali, con ampi svolazzi e linee melodiche che per-
corrono su e giù per le scale che si allungano sempre più. Ciò è un
risultato e insieme anche una causa della perdita del senso modale,
cioè di quel particolare impianto melodico (la scala musicale) con pre-
cise estensioni e gerarchie di suoni. L’indicazione modale in questi casi
è soltanto orientativa; di fatto ci si muove in schemi appunto dove
93
Vercelli, Biblioteca Capitolare, CLXXXVI, c. 116r ; Graduale: Balerna S. Vittore (Canton Ticino, area di influs-
so comasco) sec. XII, graduale Hæc dies (Pasqua)
94
spesso fa capolino il senso della moderna tonalità.
95
clusione finale sulla tonica mi.
I tre successivi responsori sono cantati in sol, re e fa. Quest’ultimo
brano, come molti canti in tritus – così si chiamano i modi di fa – è pro-
posto in una scrittura traportata, nel senso che si fa coincidere il fa
reale con un do. Sono brani relativamente lunghi. Nel primo respon-
sorio la ripetuta ricorrenza dei medesimi nuclei melodici conferisce
un trascinarsi pesante a tutto il pezzo. Il secondo responsorio ripren-
de alcuni stilemi tradizionali propri dei responsori in re. È nella melo-
dia del versetto che si riscontrano particolari dipendenze dagli sche-
mi usuali; quando se ne discosta, Acqui mantiene inalterata la struttu-
ra architettonica, come nel caso della cadenza finale pentasillabica. Il
terzo brano è notevole e interessante; si estende per oltre un’ottava
e richiama nei passaggi melodici alcuni nuclei presenti in altri Uffici
Verbania/Intra, Biblioteca Capitolare S. Vittore, 10, c. 2r; Graduale, Como sec. XIV,
alleluia Ostende nobis (avvento)
96
97
liturgici del basso medievale
I canti del III notturno si differenziano da quelli degli altri notturni.
Siamo di nuovo alla presenza di brani che, pur con alcune ambiguità,
hanno le caratteristiche degli Uffici metrici in rima (vedere la tabella a
p. 176). La prima delle due melodie in re si muove liberamente mutuan-
do la formula d’intonazione dalla tradizione (do-re re-la-sib-la), un pas-
saggio che si ritrova anche in brani recenziori come nell’antifona di san
Francesco Franciscus vir catholicus (Ufficio ritmico di Giuliano da Spira)
che è servita da modello a molti canti posteriori. Con quella stessa
antifona francescana (e con altre) il nostro canto ha in comune anche
l’ultima sezione cadenzale. Ben fondata nella tradizione modale classi-
ca è la discesa al la grave che caratterizza i momenti iniziali delle due
sezioni che compongono la terza antifona. Il senso della ripetività è
però ovviato dall’uso della figura speculare: re do la nel primo caso,
mentre nel secondo si canta la do re.
98
99
Da segnalare è in particolare il II responsorio Fulgentes radii. La parola
conclusiva del responso presenta sulla sillaba tonica un melisma assai
sviluppato (præmium: 56 note). Il II responsorio accusa disturbi note-
voli nell’impianto modale di VII modo, nonostante l’inizio così esplici-
to con il salto di V sol re. Si notino, ad esempio, i passaggi intorno al si
bemolle. Da osservare anche la divergenza melodica del Gloria Patri
finale rispetto al I verso Verus bonus.
Verona, Biblioteca Capitolare, CVII, c. 88v; Tropario sequenziario: Mantova sec. XI,
antifona “ante evangelium” Laudate Dominum de cælis
100
101
Le lodi – l’ora di preghiera celebrata verso l’alba – hanno cinque anti-
fone che accompagnano i rispettivi salmi. Ci troviamo anche qui in
presenza di brani ritmici in rima. Sotto il profilo musicale le melodie
Verona, Bibl. Capitolare, CIX (1902), 178r ; Innario: Verona sec. XI-XII,
inno Deus tuorum militum
102
103
più “moderne” sono la terza e la successiva, entrambe in fa.
L’inno Cæli cives assidue riprende in tutto una melodia in mi ben cono-
sciuta. La musica, infatti, è quella applicata di solito ad alcune strofe
dell’inno abecedario del poeta Seduli (V secolo) che sono stati inseri-
ti nella liturgia come canto natalizio (A solis ortus cardine) e dell’Epifania
(Hostis Herodes impie).
Padova, Biblioteca del Seminario, 697, c. 14r ; Graduale: Padova sec. XI1,
Graduale Omnes de Saba (Epifania)
104
105
esuberante.
Zagreb, Archivio Capitolare, MR 72/I, 131rb ; Breviario: Padova Duomo sec. XIII,
responsorio Pater peccavi
106
La prima lettura della Messa rielabora un testo sapienzale che tesse
l’elogio dei patriarchi Enoch, Noé, Abramo (Sir 44, 16). L’amplificazione
musicale e la scrittura stessa a due colori richiamano testimonianze
analoghe (ad esempio, a Ivrea). Si veda il commento di Rodobaldo
Tibaldi a p. 155.
107
tipologie di tropature.
L’alleluia Pia proles è tramandato dal codice di Acqui in due recensioni
inserite nell’appendice alla Messa. Il testo presenta nella seconda recen-
sione un ampliamento centrale. Lo schema letterario è il seguente:
8pp 8pp 9pp 8pp (rime: a a a a)
8pp 8pp 9pp 8pp 8pp (rime: a a b a a)
La melodia dei due alleluia possono essere considerato due rielabora-
zioni di un’unica idea musicale. La I melodia è quella più contenuta e
probabilmente più vicina all’originale che sembra essere d’origine
domenicana. Codici dell’Ordine dei Predicatori dal secolo XIV hanno
la melodia su due testi: Exivi a Patre (Ascensione, tempo pasquale) e
Spes dator omnis populo (feste mariane).
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, B 22, c. 8v; Graduale: ? > Bressanone sec. XII,
graduale Universi verso Vias tuas
108
109
L’offertorio Veritas mea rientra pure nel comune dei santi vescovi,
dopo essere stato utilizzato in Messe per la memoria di papi e vesco-
vi come san Marcello, san Gregorio e altri.
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, B 22, c. 7v; Graduale: addizioni Bressanone sec. XII,
alleluia Maria hæc est (santa Maria Maddalena)
110
do Kyrie – inserito nell’appendice alla Messa dopo il primo alleluia –
corrisponde al Vat. XII. Una annotazione rubricistica avverte i cantori
di eseguire questo canto in modo grave o lento: Cantentur tractim.
111
San Candido/Innichen: Museo, frammento s.s.; antifonario: Alto Adige (San Candido ?) sec. XV,
antifona Interrogatus a Iudæis
112
ressante ampliamento sulla parola finale Patris.
113
L’Ite missa est – la monizione diaconale di congedo alla fine della cele-
brazione eucaristica – ha una melodia propria. Spesso invece riprende
CANTI COMPLEMENTARI
Dopo la Messa di san Guido, il codice di Acqui presenta un’appendice
con alcuni brani complementari, tra cui i due alleluia propri della festa.
Un primo canto è un tratto destinato alle Messe votive della Madonna
nel tempo dopo la domenica di settuagesima Gaude Maria virgo. A noi
interessano in particolare i due brani successivi. In primo luogo c’è una
bella monizione diaconale, con cui il giorno dell’Epifania il diacono
annunciava la data delle feste mobili dell’anno, cioè di quelle celebra-
zioni la cui data oscilla con la scadenza anuuale della Pasqua. La pre-
senza del termine “Apparitio” per designare l’Epifania, fa pensare che la
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, F 4, c. 5v; Messale: Bressanone sec. XV-XVI, prefazio
114
formula sia d’origine gallicana.
L’ultimo brano di questa antologia è l’antifona mariana che si canta alla
fine della giornata, dopo compieta, nel tempo pasquale: Regina cæli
lætare. Nel codice di Acqui il brano originale è arricchito da un tropo
115
116
I.N.T.
ISTITUTO NAZIONALE TRIBUTARISTI
Via Conca D’Oro n. 300 - 00141 Roma
tel.fax 068103840 tribint@tin.it www.tributaristi-int.it
Ufficio di Presidenza
Via Mariscotti 21/1 15011 Acqui Terme (AL)
tel. 0144325024 – fax 0144329517 - e-mail: tribint@tin.it
Ai Tributaristi INT
Il Presidente nazionale
Riccardo Alemanno
Acqui Terme,
salita alla Cattedrale.
Aosta, Biblioteca del Seminario, 22, 89r ; Breviario: Saint-Jacquême sec. XIII,
responsorio Venerandi confessoris (s. Giacomo)
118
Acqui Terme, Cattedrale,
particolare della cripta.
119
tività nella liturgia sono due
aspetti destinati a integrarsi
armonicamente tra di loro. I
tropi sono una soluzione otti-
male di questo problema che si
pone ad ogni persona orante, a
ciascuna comunità celebrante,
in tutti i tempi, ieri e oggi e
domani. I poeti e i cantori fran-
chi hanno avuto un grande
rispetto per la tradizione litur-
gica di Roma. Quando si sono
trovati di fronte ad essa, non
hanno manipolato e tanto
meno rifiutato il repertorio
musicale. Hanno lasciato intatta
la melodia romana, ma in essa
hanno inserito sezioni proprie
della cultura franca. In primo
luogo hanno introdotto dei
melismi alla fine di alcuni canti
o tra una sezione e l’altra di
essi. Che cosa sono i melismi?
Sono dei vocalizzi che danno
voce a una singola sillaba abbel-
lendola con ornamentazioni di
una decina o ventina di note;
ma ci sono melismi di 100 o
anche 400 e più note. Una tipologia di tropi è costituita semplicemente
da melismi brevi o lunghi che non appartenevano al canto originale, ma
lo arricchiscono.
Un caso emblematico è dato dall’unica forma di tropatura conosciuta a
Milano: le melodiae primae e secundae. Ad esempio, in un alleluia, quando
l’acclamazione è ripresa dopo un versetto, il melisma finale viene note-
volmente ampliato rispetto all’esecuzione che ha avuto luogo prima del
verso (l’alleluia della Messa ha la struttura: alleluia + verso + alleluia).
Che la tropatura sia una soluzione ottimale nella ricerca di attualizzare e
Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, Hamilton 4, c. 2v ; responsori e antifone (addizioni): Novalesa sec. XII1,
responsorio Domus mea (dedicazione di una chiesa)
120
personalizzare la liturgia è dimostrato da due fatti:
a) la sua diffusione rapida che si estende a macchia d’olio su tutta
l’Europa latina. Dapprima è accolta la produzione primitiva dei cantori
franchi, ma presto in ogni regione e in tutti i centri importanti (grandi cat-
tedrali e monasteri) si compongono tropi con cui la musica e la poesia
latina medioevale raggiunge un apice indiscusso a livello letterario e musi-
cale certo, ma anche in prospettiva teologica e spirituale.
b) Tranne gli inni – che sono stati oggetto di una particolare attenzione
con l’introduzione di glosse interlineari di carattere letterario e/o teolo-
gico – tutti i canti liturgici della Messa e della liturgia delle ore sono stati
tropati, in modo sporadico o massiccio, per alcuni decenni o nell’arco di
alcuni secoli, per sezioni brevissime o con innesti molto ampi. Come si
dice, ce n’è per tutti i gusti.
Le inserzioni tropistiche più diffuse sono costituite da porzioni di un
nuovo testo con una nuova melodia. Questi elementi possono essere
inseriti all’inizio dei canti liturgici con funzione di introduzione (exordium)
oppure si intercalano tra una sezione e l’altra del canto originale (inter-
calatio). In alcuni casi il tropo può addirittura sostituire una porzione del
canto primitivo, come avviene soprattutto in alcuni brani dell’ordinario
della Messa (Kyrie eleison, Agnus Dei). In realtà questi tropi sono una novi-
tà sotto il profilo musicale, mentre in prospettiva letteraria si tratta per-
lopiù di parafrasi, amplificazioni o commenti relativi al testo liturgico di
base o alla festa che si celebra in quel determinato giorno.
Un’ultima grande categoria di tropi è formato dalle prosulae. Queste
sono parole inserite su un melisma già esistente in un brano liturgico. Nel
comporre le prosulae si è attenti a seguire la dinamica del testo musica-
le facendo coincidere gli accenti letterari con quelli melodici che fanno
da guida nello sviluppo del discorso. Particolare importante: il risultato
finale è una sezione musicale in stile sillabico dove a ogni nota della melo-
dia corrisponde una sola sillaba del nuovo testo.
I tropi, per concludere questa panoramica generale, presentano spesso
melodie affascinanti. La loro importanza è però legata soprattutto ai testi
che spesso rivelano l’anima della Chiesa medioevale con maggior chia-
rezza di quanto avvenga in altri settori, compresa la riflessione teologica
dell’accademia scolastica. Basta pensare alla meditazione diuturna e pro-
fonda sullo Spirito Santo quale emerge con estrema chiarezza dai tropi,
ad esempio, del Kyrie eleison e del Sanctus. Nel primo caso, inoltre, pro-
121
prio i tropi evidenziano una notevole modifica che in epoca carolingia ha
interessato le nove invocazioni cantate all’inizio della Messa. Da canto cri-
stologico il Kyrie diviene ode trinitaria in cui la dimensione della supplica
(Signore, pietà) è sostituita da un gioioso clima dossologico, di glorifica-
zione cioè del Risorto e della Trinità.
* * *
122
acquese potrà constatare che in alcuni punti il codice della cattedrale di
San Guido non coincide con la melodia trasmessa dai moderni libri a
stampa (Liber Usualis, Graduale Romanum, Graduale Triplex...). Si notano
alcuni segni dei tempi: il codice, relativamente recente, ha abbandonato
un forma antica di abbellimento (tristropha) che prevedeva di ribattere più
volte con leggerezza una nota. Con l’andare dei secoli si assiste a una
decisa semplificazione di queste ripercussioni. Più interessante è invece la
tendenza a riempire i salti tra una nota e l’altra. Così, dove la tradizione
cantava la/do, Acqui 1 inserisce un si, mentre scendendo dal la al fa, è
aggiunta la nota sol.
Alla terza Messa di Natale (c. 11v) l’alleluia Dies sanctificatus è stato
ampliato con un procedimento insolito. Dopo l’enunciato dell’acclama-
zione ebraica (alleluia = lodiamo/lodate D-i-o), le due frasi del testo del
versetto successivo sono cantate due volte. Una prima volta secondo
una melodia molto più semplice rispetto a quella tradizionale che, tra l’al-
tro, è d’origine bizantina; la seconda volta si può ascoltare la melodia ori-
ginale che propone in forma assai fiorita una semplice linea melodica pro-
pria della salmodia. Nella trasmissione di questo canto tropato, è eviden-
te che ci sia stata un po’ di confusione. Come in un caso successivo, si ha
l’impressione che almeno il copista fosse digiuno della prassi musicale e
che non conoscesse (bene) il mondo dei tropi. In Dies sanctificatus, infat-
ti, confonde il tropo con il versetto originale dell’alleluia, chiamando quel-
lo versus e quest’ultimo, invece, verba. Questo è però l’appellativo con cui
erano designati i tropi, verba, cioè parole aggiunte a un brano liturgico.
Termine, verba, diffuso in Italia soltanto in area piemontese e lombarda e
concentrata sulle prosule di alleluiia e d’offertorio.
123
Orta San Giulio, Archivio Abbazia, 3, c. 165r ; graduale: Orta 1279, Sanctus
124
Di altra natura è il tropo dell’alleluia Post partum che si canta il 2 febbraio
(c. 30v). Per comprendere questo brano è necessario riferirsi all’edizio-
ne. Anche qui c’è confusione tra versus e verba nel senso appena ricor-
dato. Si vede (e si ascolta ancor meglio se si canta) la differenza stilistica
che distingue il verso alleluiatico dal tropo, in questo caso specifico del
tipo prosula. Il versetto (Post partum ...) presenta abbellimenti e vocalizzi
(= melismi), ad esempio, su genitrix. Gli elementi del tropo (Psallat ludens
Thalia, Post paterni verbi partum) presentano sì un nuovo testo, ma il mate-
riale melodico non è altro che quello proprio del vecchio alleluia. La
musica è ripresa tale e quale, ma sopra le singole note, con uno stile deci-
samente sillabico, sono poste le singole sillabe di un nuovo testo. Nel II
elemento, inoltre, se si osserva attentamente il tropo, si assiste a un feno-
meno che rientra nella fenomenologia della poesia tropistica medioeva-
le. Nel tropo sono inglobate varie espressioni del testo originale: Post
paterni Verbi partum virgo inviolata Maria et intacta permansisti Dei
genitrix quia ....oratrix intercede pro nostris pia delictis ...). Ogni volta
si riprende anche la musica originale che dopo la citazione letterale, sarà
distribuita sulle sillabe delle parole successive.
125
La solennità delle celebrazioni pasquali trova un riflesso anche nella
sezione tropistica (c. 91r). Qui addirittura l’introito prevede due tropi. Il
primo è il famoso testo dialogico Quem quæritis. Insieme ad altri testi e
riti della liturgia pasquale – soprattutto il canto e le azioni simboliche che
accompagnavano il canto del Passio nonché il canto conclusivo dell’ufficio
delle Tenebre al mattino dal giovedì al sabato santo – il Quem quæritis è
considerato l’avvio della produzione drammatica e drammaturgica che in
seguito ha dato vita al moderno teatro europeo.
Il secondo tropo pasquale – indicato come tractus, probabilmente perché
il copista ha voluto sciogliere l’abbreviazione “tr” senza rendersi conto
Acqui, Biblioteca del Seminario; breviario: Italia settentrionale occidentale sec. XI,
responsorio Da nobis Domine locum (CAO 6389)
126
del reale significato di ciò che aveva davanti – vede come protagonista il
Signore risorto. Le sue parole nella premessa all’introito e nelle due suc-
cessive sezioni intercalari commentano il testo liturgico:
tropo Cristo, una volta debellata la morte, con voce squillante si rivolge al
Padre dicendo: introito Sono risorto e ora sono con Te tropo Quando la folla
feroce dei Giudei m’ha circondato introito Hai posto su di me la tua mano
tropo Perché ogni cosa è palese agli occhi della tua maestà introito Mirabile...
127
Asti, Biblioteca Capitolare, Messale di Azzano; Messale: abbazia di Azzano sec. XII,
introito Puer natus (Natale)
128
Nel giorno dell’Ascensione (c. 115v) e di Pentecoste (c. 118v) sono pre-
visti due tropi con funzione analoga. Appartengono alla categoria dei
brani liturgici che iniziano con la parola Hodie. “Oggi” è un termine chia-
ve nell’economia della vita liturgica: sottolinea l’attualità della salvezza che
qui e ora si realizza, nel momento in cui D-i-o rende presente quanto in
passato ha realizzato nella storia d’Israel, nella vita di Gesù. La liturgia non
è pia ed entusiastica ricorrenza, bensì esperienza vissuta nel presente.
Oggi, pertanto, dice il tropo dell’Ascensione, il Redentore del mondo è asce-
so al cielo Gli apostoli stupiti sono pieni d’ammirazione; gli angeli allora si rivol-
gono ad essi e dicono (introito) O uomini di Galilea...
129
A Pentecoste: Oggi lo Spirito santo che procede dal trono di D-i-o è penetra-
to in modo invisibile nel cuore degli apostoli. Rendiamo grazie a D-i-o! Evviva!
(introito) Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo intero alleluia ...
Vercelli,
Biblioteca Capitolare,
LXII, c. 292r ;
tropario:
Vercelli sec. X-XI,
Gloria in excelsis Deo
tropo Pax sempiterna
[BOE 113]
130
L’ultimo tropo nei canti del proprio della Messa in Acqui 1 è un canto
che nel codice conclude la dossologia dell’introito e precede la ripeti-
zione dell’antifona. Anche in questo caso (c. 132r: s. Pietro) ci troviamo
di fronte alla confusione tra tr(actus) e tr(opus). Il canto riprende la con-
fessione di Pietro grato per la liberazione dalla prigionia di Erode per
mano dell’angelo (Ora so bene Nunc scio vere). Tuttavia il brano potreb-
be essere stato originariamente utilizzato come premessa all’intero com-
plesso dell’introito.
Il beatissimo Pietro, mentre era legato in catene nella prigione, mentre era sciol-
to con potenza dall’angelo e liberato dalle mani di Erode, disse: (introito) Ora
so bene che è stato il Signore a mandare il suo angelo che mi ha strappato
dalle mani di Erode e da tutte le brame della folla dei Giudei.
131
Oltre a un tropo di Sanctus polifonico, Acqui 1 contiene un interessante
tropo di Kyrie (c. 205v). La melodia del Kyrie è ben nota; una volta si can-
tava nelle Messe in memoria degli apostoli (melodia Vaticana IV). Due
peculiarità del nostro brano: a) la sezione del tropo sembra sostituire
completamente l’inizio dell’invocazione Signore e poi Cristo; b] come in
tanti altri tropi di Kyrie, si palesa in questo canto una delle grandi svolte
nella liturgia carolingia: il Kyrie inteso non come invocazione a Cristo
(Kyrie, Christe), ma come preghiera trinitaria. Quanto sia stata seguita con
maestria la linea melodica nel delineare il testo letterario dei tropi, lo si
può constatare cantando il seguente brano:
132
133
LA SEQUENZA.
ORIGINI E
CARATTERISTICHE
di Eun Ju Anastasia Kim
Acqui Terme,
Cattedrale.
Bassorilievo
dell’altar maggiore.
134
Questi vocalizzi prenderanno successivamente il nome di melisma. Nel giu-
bilo melismatico sotto le singole note sono inserite singole sillabe di un
testo composto appositamente, un testo poetico che segue la dinamica
della melodia. Ad esempio, le sillabe accentate corrispondono alle note
importanti della linea musicale. Si tratta, sempre secondo Notker, di una
tecnica adottata per ricordare meglio la musica senza parole. Il risultato
finale di questa operazione è un canto di stile sillabico.
FORMA
Molti melismi presentano incisi ripetuti in modo più o meno regolare;
ciò spiega come mai a partire dal IX secolo la massima parte delle
sequenze presenti una successione di strofe accoppiate (aa bb cc ...).
Questa sarà la forma classica che si affermerà nei secoli successivi.
La sequenza, tuttavia, avrà anche altre forme. Ci sono state, ad esempio,
all’inizio, alcune sequenze con una struttura aparallela (a b c). Altri brani
presentano la ripetizione di alcuni segmenti musicali (“aa bb cc” e poi di
nuovo “aa bb cc”). Ampia diffusione hanno invece le sequenze che ini-
ziano e finiscono con una strofa isolata (a bb cc dd ... z).
135
La sequenza
di Notker
Petre summe
Christi pastor
per la festa dei
santi Pietro e Paolo
(c. 185v)
136
La prima strofa seguita dall’acclamazione Alleluia che ha la medesima
melodia della strofa precedente. Verso la fine la melodia si dilata e si
muove in ambito all’acuto dopo di che tende a scendere verso il grave.
Questo è un fenomeno tipico della sequenza come si vede in
Lætabundus esxulte fidelis chorus. Da notare che le strofe 6a e 6b hanno
una struttura molto frequente in tutta la produzione musicale: aab. Le
finali sono costruite con una successione di note che risalgono alla
forma neumatica del pes subpunctis (nota grave e alta seguita da due
note in movimento discendente).
Lætabundus exultet
fidelis chorus:
Oristano, Aula
Capitolare, P.XII,
c. 182r.
137
Victimæ paschali laudes:
San Daniele del Friuli,
Bibl. Guarnacci, 188, c.
181v. Dopo il ritornello
Angelicos testes sudarium
et vestes la rubrica dice
Hic demostratur sudarium.
MUSICA
Lo stile musicale delle sequenze, si è visto, è sillabico: a ogni sillaba del
testo corrisponde quasi sempre un’unica nota. Un grande numero di
brani è caratterizzato dalla presenza di una figura melodica particolare
evidenziata dalla notazione musicale. È una formula melodico-neumatica
che conclude le singole strofe: il pes stratus. Si tratta di un segno nota-
zionale d’origine gallicana, che rappresenta tre suoni: uno basso, uno alto
e l’ultimo alla medesima altezza. Questa figura talora si trova anche
all’interno delle melodie e può presentare lievi modifiche.
138
Non mancano tuttavia tra le sequenze anche cadenze finali di forma
diversa, come nel caso di Petre summe che si può osservare a pagina 136.
In genere le sequenze hanno un sviluppo melodico che si dilata e tende
all’acuto nella seconda metà del brano per scendere di nuovo verso la
fine. La musica dei melismi ha avuto spesso più di una rielaborazione
testuale. Una sola melodia si ritrova quindi su testi differenti. A questi
modelli melodici sono stati dati nomi specifici quali, ad esempio,
Mater/Musa, Occidentana, Eia turma, Mater. Alcune denominazioni ricor-
dano la melodia alleluiatica da cui derivano (come il canto pasquale
Pascha nostrum), altre rivelano probabilmente l’origine geografica
(Romana), altre ancora si riferiscono probabilmente a melodie popolari
(Puella turbata, Plantus cigni).
TESTO
La maggior parte delle sequenze franco-occidentali sulla sillaba finale
delle strofe hanno di preferenza la vocale “a” che richiama la “a” finale
dell’Alleluia. Il fenomeno interessa la produzione più antica, ma anche
quella recente come nel caso della sequenza natalizia Laetabundus exul-
tet fidelis chorus, un canto della tradizione franco-occidentale posteriore
del secolo XI. Anche qui ogni strofa si conclude sulla vocale “a”. In segui-
to la “a” finale è abbandonata.
139
Nel corso della storia letteraria della sequenza si possono notare altri
fenomeni. Già Notker, ad esempio, in alcune sequenze sceglie le parole
in modo da avere le medesime vocali all’interno delle strofe parallele.
Un esempio:
Nella sequenza Sancti Spiritus adsit nobis gratia (Acqui 1, c. 191r), con
testo di Notker, c’è corrispondenza di vocali alla strofa 3 alme /
nostrae, 4 semper / clemens, 5 spiritus /omnibus, 6 possit / pos-
sunt, 9 Tu animabus / Tu aspirando ...
Spesso la lunghezza delle strofe cresce, in parallelo all’ampliamento
melodico, nella seconda metà del brano, e può ridursi verso la fine. Così
pure, prima della conclusione del brano, almeno un paio di strofe hanno
maggior lunghezza e presentano la forma aab. Si veda il canto natalizio
Hodie puer natus est (Acqui 1, c. 180r : strofe 8 a/b):
Un particolare legame tra musica e testo è ottenuto talora da alcuni
poeti che nello scrivere il testo delle sequenze scelgono parole che
abbiano un numero di sillabe uguale al numero delle note delle figure
neumatiche corrispondenti del melisma originale.
Grazie a poeti di grande valore – come Notker che ha scritto una qua-
rantina di testi – la sequenza raggiunse una notevole perfezione nella
forma letteraria. Dal secolo X in poi si ricerca un ritmo più regolare,
aumentano le assonanze, si affermano le rime. Il linguaggio musicale si
distanzia sempre più da quello tradizionale della cantilena gregoriana.
“C’è qualcosa di nuovo ed insieme di innovativo. È una musica che ha
risonanze diverse tanto da essere eseguita anche al di fuori della litur-
gia. Significativo è un passaggio del Liber Politicus del cantore Benedetto
di San Pietro: all’inizio del XII secolo egli ricorda come i cantori, dopo la
solenne azione liturgica di Pasqua, intervenissero durante il pranzo del
papa con l’esecuzione di sequenze” (G. BAROFFIO).
Nel XII secolo nell’abbazia parigina dei canonici regolari di San Vittore,
la sequenza raggiunge un nuovo splendore nella forma ben definita di
ottonari e settenari, e con abbondanza di rime che distinguono non solo
la fine delle strofe, bensì pure le cesure secondarie.
140
LE SEQUENZE NELLA TRADIZIONE DI ACQUI
Da pochi anni si conosce il patrimonio delle sequenze di Acqui. La tabel-
la di pagina 143 permette di avere uno sguardo d’insieme sul patrimo-
nio.
141
Accanto a brani italiani e d’origine francese, si nota una forte presenza
con 11 canti del poeta Notker dell’abbazia di San Gallo, centro dal quale
proviene un ulteriore canto in onore di sant’Agnese (c. 186r: Virginis
venerandæ).
PER APPROFONDIRE
L’ARGOMENTO:
142
SEQUENZE DI ACQUI
143
LA MESSA NELLE FONTI MEDIOEVALI
DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
ad episcopum recipiendum
Kyrie eleison
Gloria in excelsis
Oratio/collecta super populum
lectio Propheta
responsorium graduale psalmellus
tractus cantus
(lectio) apostolus
ante evangelium
alleluia
sequentia
evangelium
post evangelium
Credo
offertorium/offerenda
Credo
secreta/super oblata super oblata
Canon missae
confractorium
Pater noster
in fractione
Agnus Dei
antiphona ad communionem transitorium
post communio/ad complendum
super populum
benedictio episcopalis
Ite missa/Benedicamus Domino Procedamus cum pace
Vercelli, Biblioteca Capitolare, CXXIV, c. 93r ; Messale: Piemonte orientale/Lombardia sec. XI,
tratto Domine audivi verso In quo dum conturbata
144
I CANTI
DELL’ORDINARIO
di Giacomo Baroffio e Eun Ju Anastasia Kim
145
IL KYRIALE DI ACQUI
Il corpo centrale del graduale Acqui 1 è seguito da due sezioni consi-
stenti che contengono rispettivamente alcuni canti dell’Ordinarium
Missæ (c. 176v: Gloria in excelsis Deo) e un discreto numero di sequenze
(cc. 179r). La serie dei canti dell’Ordinario prosegue con alcuni Kyrie elei-
son (c. 202v) e Sanctus (c. 204r). Il repertorio delle melodie si arricchi-
sce successivamente di un Kyrie tropato (c. 205v: Cunctipotens). Due ulti-
mi brani si trovano le aggiunte posteriori: un Kyrie (c. 207v) e l’inizio di
un Gloria (c. 208r). Due canti hanno attirati finora l’attenzione dei musi-
cologi perché sono melodie tramandate a due voci; di queste ha parla-
to e scritto in particolare Rodobaldo Tibaldi.
Il repertorio del Kyriale può essere sintetizzato nel seguente prospetto:1
Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.F.2.2, c. 52r ; Antifonario: Milano sec. XIII1,
responsorio Benedicta tu inter mulieres
146
C. 202v Kyrie [- Vat. MELNICKI]
C. 202v Kyrie [cfr. MELNICKI 21]
C. 202v Kyrie [- Vat. cfr. MELNICKI 88]
C. 203r Kyrie [Vat. XVIII]
C. 203r Kyrie [- Vat., - MELNICKI]
C. 203r Kyrie [MELNICKI 109]
C. 203r Kyrie [cfr. MELNICKI 194]
C. 203R IN FEST...
C. 203r Kyrie [Vat. XI]
C. 203r Kyrie [- Vat. cfr. MELNICKI 176]
C. 203v Kyrie [cfr. MELNICKI 39, 48]
C. 203v Kyrie [Vat. XII]
Una prima impressione è che questa parte finale del manoscritto abbia
subito alterazioni, forse già in fase redazionale. Ci si aspetterebbe, infat-
ti, che il Kyrie aprisse la serie e che le sequenze fossero inserite dopo il
Gloria. Un confronto con i repertori specifici permette di valutare la tra-
dizione musicale del codice di Acqui. Mentre i cinque Sanctus e i quattro
Gloria corrispondono a melodie note e assai diffuse, tra i quattordici
Kyrie si notano alcune musiche inedite o comunque poco diffuse.
Vogliamo pertanto soffermarci sul canto del Kyrie eleison la cui storia
presenta alcuni episodi rimarchevoli.
147
LE ORE
DI PREGHIERA
NELLA LITURGIA
MEDIOEVALE KYRIE ELEISON
L’invocazione greca Kyrie eleison (Signore, pietà) è
La giornata liturgica è scandi- diffusa dalla tarda antichità in tutto il bacino
ta dalle ore di preghiera che mediterraneo, anche al di fuori del cristianesi-
si richiamano a usanze ebrai-
che. Dalla cultura liturgica mo. Era una supplica che veniva pronunciata
israelita le antiche comunità un’unica volta oppure più volte di seguito, fino
cristiane hanno assunto ad un centinaio. Nella liturgia della Chiesa l’invo-
anche il calcolo del giorno che cazione è usata in molte circostanze soprattut-
è rimasto in vigore tutt’oggi to come parte di più ampie preghiere litaniche
per determinare i giorni festi- (letania, preces), nelle quali il testo greco è segui-
vi e le domeniche. Questi gior- to spesso da versetti in latino. L’uso del Kyrie
ni iniziano al tramonto della
giornata precedente. Le ferie, nella Messa romana è attestato all’inizio del VI
al contrario, seguono l’uso secolo e la forma tradizionale (3 Kyrie eleison +
romano che fa iniziare il 3 Christe eleison + 3 Kyrie eleison) è già conosciu-
nuovo giorno a metà notte. Il ta nell’VIII secolo.
giorno di Natale, ad esempio, Attualmente si conoscono poche centinaia di
non inizia con la Messa di melodie di Kyrie, ma rimangono insolute ancora
mezzanotte, bensì al tramonto
della vigilia.
alcune questioni. Una riguarda l’età delle melo-
Le ore previste nella tradizio- die semplici: potrebbero essere molto antiche,
ne cristiana sono le seguenti: senza però escludere l’eventualità di composi-
zioni recenti destinate al canto dell’assemblea.
vespri: ora cardine che si Un secondo problema riguarda la natura dei
celebra al tramonto. Nelle versetti latini che accompagnano alcuni Kyrie:
domeniche e nelle feste non è sempre facile distinguere le reliquie di
segnano l’inizio del giorno
liturgico (primi vespri). Nel preci arcaiche da composizioni di tropi di epoca
cursus romano secolare tradi- postcarolingia.
zionale (cattedrali, parrocchie, Un particolare che sorprende in molte melodie
chiese di molti ordini religio- del Kyrie eleison è l’esuberanza gioiosa espressa
si) si cantavano 5 salmi, 4 dal linguaggio musicale anche attraverso ampi
invece nella tradizione mona- vocalizzi. Molte melodie sembrano, infatti, dire il
stica. Oggi nel rito romano si contrario di quanto afferma il testo nella sua
cantano solo due salmi sepa-
rati da un cantico neotesta- espressione di supplica rivolta a Cristo Signore.
mentario. Nella parte finale è Di fatto, verso l’inizio del IX secolo si assiste a
inserito il cantico di Maria una profonda modifica del Kyrie eleison in due pre-
(Magnificat), le preci e il cise prospettive. Da un lato l’invocazione di mise-
Padre nostro. ricordia diviene un’acclamazione dossologica, che
148
compieta: è l’ ora canonica che
conclude la giornata prima del
riposo notturno. Al suo interno
si canta il Nunc dimittis (Luca
glorifica cioè D-i-o. E questo D-i-o, secondo rilie- 2, 29-32), il cantico di Simeone.
vo, non è più Cristo, il Verbo incarnato, ma le tre
mattutino/vigilie/notturni: il
Persone trinitarie: il Padre (primi tre Kyrie), Cristo momento di preghiera collocato
(i tre Christe) e lo Spirito Santo cui sono dedicati nella notte e introdotto dall’
gli ultimi tre Kyrie o almeno i primi due, mentre la invitatorio. Era l’ora liturgica
nona e conclusiva frase può essere utilizzata più lunga che nel rito romano
come compendio trinitario. Quanto sia presente nei giorni festivi e nelle domeni-
la prospettiva dossologica e trinitaria nei Kyrie, lo che si articolava in tre sezioni
si può capire osservando soprattutto le elabora- (notturni). Dopo il concilio vati-
cano II è stato sostituito dall’uf-
zioni tropistiche che arricchiscono il canto origi- ficio delle letture.
nale con nuovi elementi. Questi sono perlopiù
frasi che si pongono prima o dopo la formula lodi: seconda ora cardine della
liturgica oppure anche tra le due parole secondo preghiera quotidiana, si celebra
un triplice schema: tropo Kyrie eleison; Kyrie eleison all’alba. Prevedeva, prima del
tropo; Kyrie tropo eleison. Non molto diffuso è vaticano II, il canto di cinque
l’uso, attestato in Acqui 1, di sostituire la prima unità salmodiche: 3 salmi, 1
cantico veterotestamentario e
sezione del canto (Kyrie/Christe) con un elemento l’ultima unità formata dagli
di tropo. Nel caso di Kyrie con melismi, la tropa- ultimi tre salmi (148-150). Nella
tura avviene secondo un altro principio: si man- parte finale c’è il cantico di
tengono le note del melisma e sotto ciascuna di Zaccaria (Benedictus) e la pre-
esse si pone una sillaba di un nuovo testo. Lo stile ghiera del Padre nostro.
del Kyrie è pertanto vario: da sillabico a fiorito,
prima: ora canonica celebrata
sino a brani decisamente melismatici che offrono tra le 6,00 e le 7,00 del mattino.
l’occasione di inserire dei tropi secondo l’impian- Al suo interno ha preso corpo
to delle prosule, come nel caso del Kyrie un’azione supplementare: l’ uffi-
Cunctipotens di Acqui (edizione a p. 132). cio del capitolo. È stata soppres-
sa dalla riforma del concilio
vaticano II.
GLORIA IN EXCELSIS DEO terza - sesta - nona: con prima
sono le cosiddette ore minori, di
Il Gloria è un’espressione di lode costruita come lunghezza relativamente breve
variazione di una citazione del vangelo di san (solo tre salmi). Si celebrano
Luca (2,14): alla lode degli angeli il Gloria in excel- verso le 9,00, le 12,00 e le 15,00.
sis della liturgia associa il canto degli uomini. La
forma odierna del testo è attestata nel V secolo; vespri: i secondi vespri si cele-
presenta una tematica trinitaria con numerose brano al tramonto di ogni gior-
no quando non ci sono i primi
acclamazioni cristologiche. Nel corso dei secoli vespri.
149
varie personalità della teologia e della poesia cristiana sono stati consi-
derati, senza fondamento, autori del Gloria, come Ilario di Poitiers,
sant’Ambrogio di Milano, Alcuino. Il canto del Gloria da secoli si canta
nelle feste e in ogni Messa domenicale, ma fino al secolo XI era riser-
vato al solo vescovo. Le prime parole del canto sono intonate dall’offi-
ciante, mentre l’assemblea e/o il coro prosegue nella proclamazione
delle strofe successive a partire da Et in terra pax hominibus. Con queste
parole, omettendo quindi l’inizio, comincia il Gloria in molti manoscritti.
In alcune fonti - tra cui alcuni testimoni di Nonantola – una delle abba-
zie più importanti dell’Italia settentrionale, situata vicino a Modena – il
testo presenta un’integrazione che ricorda esplicitamente lo Spirito
santo: “Domine, fili unigenite, Iesu Chiste cum sancto Spiritu”. Alcuni
codici italiani dopo il XIV secolo presentano un testo abbreviato, una
specie di sintesi che inizia con Laudamus te e tralascia successivamente
parte delle sezioni del Gloria. Una curiosità: un codice di Vercelli (Bibl.
Capitolare, CLXII) che scrive un Gloria con le sole vocali del testo.
Nonostante il tema dossologico del testo, le melodie del Gloria non pre-
sentano normalmente melismi ampi come quelli che si trovano nel Kyrie.
Molte melodie sono sillabiche e semplici nella loro struttura, schemi
melodici di recitazione e formule salmodiche. Una delle forme più sem-
plici del Gloria è conosciuta grazie all’edizione Vaticana del graduale
romano: Gloria XV. La musica ripropone una struttura melodica arcaica
incentrata sul nucleo “mi sol la” che si trova anche nel Te Deum. In Acqui
1 la melodia, oltre ad alcune varianti di minor importanza, è stata tra-
sportata di un tono al grave e si muove tutta in re.
150
151
SANCTUS
Pur nella brevità del suo testo, anche il Sanctus è un inno angelico e insie-
me una lode degli uomini che acclamano D-i-o. Il Sanctus riprende, infat-
ti, un testo della liturgia ebraica (Is 6,3: Sanctus) attestato nell’Italia set-
tentrionale già verso l’anno 400 in ambito liturgico cristiano, dove è can-
tato dall’officiante e da tutto il popolo. In seguito, verso la metà del VI
secolo, si aggiunge una sezione tratta dal vangelo di san Matteo (21,9:
Hosanna, Benedictus, Hosanna) e si arriva alla formula completa che noi
oggi conosciamo. Questa acclamazione conclude il prefazio. La tradizio-
ne manoscritta del Sanctus risale al secolo X ed è difficile precisare la
cronologia di singoli pezzi, individuare brani realmente arcaici ed altri
arcaicizzanti derivati talora da un processo di semplificazione di una
melodia più elaborata.
Nella composizione musicale si danno tutte le possibilità: melodie con
uno sviluppo organico dall’inizio alla fine e brani che presentano rime
melodiche e ripetizioni con particolare attenzione alla triplice invoca-
zione iniziale. I due Hosanna possono essere identici oppure il secondo
è più sviluppato e fiorito del primo.
Per quanto riguarda i Sanctus tropati, sono da ricordare per i testi alcu-
ni tropi trinitari (Santo il Padre, Santo il Figlio, Santo lo Spirito santo).
Sotto l’aspetto musicale meritano attenzione vari tropi di Hosanna
costruiti secondo lo schema ripetitivo che si trova anche nelle sequen-
ze (aa bb cc...). L’introduzione dei tropi ha comportato una modifica nel-
l’esecuzione del Sanctus, nel senso che esso è stato affidato alla sola
schola cantorum con l’esclusione del popolo dal canto.
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, B 3, foglio aggiunto (A); sequenziario: Bressanone sec. XVIII,
sequenza Stabat mater
152
ITE MISSA EST E BENEDICAMUS DOMINO
L’Ite missa est – cui si risponde Deo gratias – è la monizione di congedo
cantata dal diacono alla conclusione della celebrazione eucaristica
secondo il rito romano. A partire dal IX secolo, se non prima, l’Ite missa
est è cantato soltanto nelle Messe che hanno il Gloria in excelsis Deo; nelle
altre occasioni al suo posto si proclama il Benedicamus Domino di pro-
babile origine gallicana, cui si risponde sempre Deo gratias.
La prassi moderna – diffusa nei manoscritti già nel sec. XV – prevede
poche melodie proprie per l’Ite missa. Di solito
per questa monizione, e per la sua risposta con
melodia identica, è ripresa la musica del primo
Kyrie eleison della stessa Messa.
Il Benedicamus Domino, oltre ad essere cantato alla PER APPROFONDIRE:
fine di molte Messe, è la conclusione abituale delle
WILLI APEL, Il canto gregoria-
ore. Nella Messa si usa di solito una melodia no. Liturgia, storia, notazione,
molto semplice, mentre nella liturgia delle ore si modalità e tecniche
distinguono varie melodie a seconda del tempo compositive, con due capitoli
liturgico, le ore ed il grado di solennità o meno del dedicati al canto ambrosiano e
giorno liturgico. al canto romano-antico di ROY
JESSON e ROBERT J. SNOW.
Edizione tradotta, riveduta e
aggiornata da MARCO DELLA
SCIUCCA. Introduzione all’edi-
zione italiana di GIACOMO
BAROFFIO, Lucca, Libreria
Editrice Italiana 1998.
153
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di Rodobaldo Tibaldi
2 L. SCAPPATICCI – R. TIBALDI, Una nuova fonte per lo studio della sequenza e della
polifonia liturgica ‘arcaica’ (Acqui Terme, Biblioteca del Seminario, Ms. I), in
«Musica e Storia», XI/2, 2003, pp. 197-239.
Bressanone, Biblioteca Studio Teologico, B 3, foglio aggiunto (Bv); antifonario: Bressanone sec. XVIII,
antifona Casta columba (santa Geltrude)
156
Acqui Terme, Basilica di San Pietro.
Zona absidale.
3 E. PESCE, Due interessanti codici del XIV secolo in Acqui Terme, in Medioevo musi-
cale nel territorio di Alessandria, a cura di S. Chiesa, Cavallerleone 1997, pp. 47-65.
157
zione rossa e nera.4 Nel codice, infatti, si tro-
vano occasionalmente dei riferimenti all’im-
piego di più cantori; il graduale Ecce sacerdos
magnus, ad esempio, prescrive l’impiego di
due cantori, mentre l’antifona tropata Regina
caeli che chiude il codice prescrive l’alternan-
za tra i «cantores» e il «chorus». Tali didasca-
lie, riscontrabili assai di frequente in diverse
fonti anche non strettamente liturgico-musi-
cali, non è detto però che sottintendano l’im-
piego della polifonia, ma possono descrivere
semplicemente diverse possibilità esecutive
di un canto che rimane comunque monodico.
Assai più indicativa è la notazione rossa, spes-
so adoperata per aggiungere una seconda
voce nel medesimo sistema lineare (tetra-
gramma, pentagramma o altro) in cui è nota-
ta, in nero, la melodia gregoriana, in maniera
da risparmiare spazio; e talvolta può essere
Foto 1.
anche aggiunta ben dopo la compilazione del
codice.
Nel codice di san Guido vi sono poche annotazioni riguardanti la prati-
ca polivocale, per lo meno in senso quantitativo; ma quelle poche ci
mostrano livelli e tradizioni diverse a due diversi livelli, il primo relativo
alla tradizione esecutiva, l’altro alla composizione musicale vera e pro-
pria. Vediamo di esaminarli con ordine secondo le diverse pratiche di
polifonia indicate e non secondo la loro successione nel manoscritto.
Nel primo caso può essere semplicemente suggerita con una didascalia
oppure essere materialmente scritta, ma la sua funzione, di carattere
improvvisativo, non è quella di proiettare su due o più voci la melodia
gregoriana, o di creare una contromelodia, ma quella più semplice
(anche se indubbiamente suggestiva nel risultato finale) di creare uno
sfondo sonoro del tutto statico, costituito da una o più note fisse che
fungano da pedale, dal quale emerga la melodia vera e propria. In ogni
modo la scrittura non rappresenta affatto un elemento indispensabile; al
Modena, Archivio Capitolare, Fabbriceria 66; messale: Italia settentrionale sec. XI-XII,
graduale Propter veritatem verso Audi filia
158
contrario, la formalizzazione grafica di un
fenomeno legato all’estemporaneità è
necessariamente imprecisa (assai più di
quanto non avvenga normalmente) e spes-
so è necessaria una esplicazione verbale.
A questo primo livello appartengono due
composizioni assai diverse tra di loro per
caratteristiche strutturali e per afferenza al
repertorio liturgico-musicali vero e pro-
prio. Alla p. 70 (siamo nella parte conte-
nente la messa) comincia il Gloria, scritto
nella consueta notazione nera e senza alcu-
na aggiunta di altra voce, la cui melodia cor-
risponde a quella della messa IX dell’editio
vaticana (cfr. Foto 1).Vi è però una didasca-
lia che suggerisce la possibilità di «bordoni-
zare», ovvero di tenere una nota di pedale
che funga da sfondo sonoro e conferisca
maggior risalto al canto; le note pedale
principali sono senza dubbio il Sol, la nota
finalis della melodia e di molte frasi, e il Re, Foto 2.
nota cadenzale delle altre, ma il cantore
esperto poteva variarle in apertura di frase per poi mutarle alla fine. È
questa una prassi molto antica, adoperata frequentemente nel canto
bizantino, e importata nel canto romano antico forse intorno al VII-VIII
secolo, di cui abbiamo una prima descrizione teorica piuttosto tardi,
ovvero nel Micrologus di Guido d’Arezzo (1025 circa).5 Come è ovvio,
non è affatto necessaria la scrittura, dal momento che si tratta di una
pratica polivocale chiaramente dettata dall’improvvisazione.
Alla p. 73 termina il Gloria; immediatamente dopo segue nel manoscrit-
to l’epistola, ovvero la prima lettura, Ecce sacerdos magnus, tratta dal
Libro di Siracide (o Ecclesiastico), 50, 1, 3-12 e 16-17. Normalmente non
159
c’è bisogno di indicare la formula musicale
che serve per la proclamazione delle letture
(la cosiddetta cantillazione), perché fissa e
bisognevole di adattamento alle diversità rit-
miche e prosodiche che i singoli versetti
richiedono; e la lettura evangelica della
messa, tratta da Matteo (24, 42-47), alle pp.
76-77, non presenta alcuna riga di musica. La
presenza della formula musicale su cui enun-
ciare solennemente la lettura è invece regi-
strata alla p. 73 per l’introduzione «Lectio libri
Sapiencie» e alla pagina seguente per il solo
primo versetto «Ecce sacerdos magnus qui in
vita sua sufulsit domum et in diebus suis cor-
roboravit templum», esempio concreto di
come di debbano cantillare tutti i successivi.
Per di più il tono di cantillazione, scritto in
Foto 3. notazione nera, presenta l’aggiunta di altre
due voci, scritte in rosso, insieme ad una dida-
scalia esplicativa che mostra come ottenere una «pulcra melodia» da
parte di tre cantori: il primo intoni la nota fondamentale e la tenga a mo’
di bordone, il secondo prenda la nota una quinta sopra il bordone e
ugualmente la tenga insieme al bordone, e il terzo canti l’epistola (cfr.
Foto 2 e 3). Il risultato complessivo è quindi un doppio bordone di quin-
ta, che rende ancora più solenne la proclamazione della pericope biblica.
Di per sé, non sarebbe stata necessaria la registrazione scritta dell’into-
nazione musicale e tanto meno del doppio bordone, chiaramente ricava-
bile dalla rubrica; ma, probabilmente, questo è stato suggerito dall’ecce-
zionalità d’impiego del passo biblico, dal momento che la più nota lettu-
ra «Ecce sacerdos magnus qui in diebus suis placuit Deo», da cui è rica-
vata l’omonimo graduale impiegato anche nella messa di san Guido, è
ricavata ancora dal Libro di Siracide, 44 e 45, ma fa parte del Comune
per un confessore pontefice.
Una cosa interessante da osservare è che in entrambe le sezioni musi-
cali il doppio bordone in rosso è ripetuto diverse volte, ma comunque in
numero inferiore alle note che costituiscono il canto dell’epistola, e tra
l’altro non sempre chiare sembrano le intenzioni del notatore nella scrit-
tura delle due linee di bordone. Si potrebbe pensare ad una tripla decla-
Modena, Archivio Capitolare, Fabbriceria 77; breviario, Italia sett., sec. XI-XII,
responsorio Narrabo nomen tuum (CAO 7194)
160
mazione del testo, ovvero al fatto che tutte le
tre voci cantano le medesime sillabe e, indi-
pendentemente dalla ‘imprecisione’ della nota-
zione, il doppio bordone debba essere ripetu-
to per ciascuna nota del canto; la rubrica pre-
scrive però che la prima voce bordonizzi «fir-
miter» e che la seconda tenga la quinta «fir-
mam» insieme al bordone. È vero che anche
nelle fonti teoriche coeve «firmiter» significa
spesso «con intonazione sicura», ma anche
«lungamente», «a lungo»; in relazione poi con
«bordonizare» e con «tenere», indica sicura-
mente che il doppio bordone vada tenuto,
magari reintonato al cambio di versetto, ma
non ribattuto. La scrittura serve allora a sot-
tolineare la particolare situazione, ma deve fis-
sare sulla carta qualcosa che abitualmente vive
soltanto nella prassi esecutiva improvvisativa, Foto 4.
ed è necessariamente imprecisa, tanto che ha bisogno di indispensabili
precisazioni verbali per la sua corretta esecuzione. Questi esempi
acquensi ci riportano alla pratica improvvisativa dei secoli precedenti,
probabile erede della polivocalità che troviamo accennata o descritta
soprattutto nei libri Ordinari di alcune chiese italiane.6
Assai diverso è il secondo caso, che ci mostra la presenza di una vera
polifonia, perché tale non può essere certo definita quella vista nei casi
precedenti (si tratta al più di semplice polivocalità).Alle pp. 35-36, alla fine
del Vespro, vi sono una serie di Benedicamus che «ad libitum cantentur»;
sono per lo più monodici, ma uno di essi è redatto a due voci in parti-
tura, l’inferiore scritta in nero, la superiore in rosso (cfr. Foto 4 e 5).
Questa volta ci troviamo davanti ad una vera composizione, in cui
entrambe le voci sono coinvolte, seppur a livello diverso, nella creazione
di una struttura bivocale, come si osserva più comodamente nella tra-
scrizione (cfr. Esempio 1). La voce inferiore adopera la melodia liturgica
161
Esempio 1.
7 L’elenco più completo è ancora quello presente in B.M. BARCLAY, The medieval
repertory of polyphonic untroped Benedicamus Domino settings, 2 voll., PhD diss.,
University of California, Los Angeles 1977; la melodia del Benedicamus acquense
corrisponde al n. 36 del suo catalogo.
162
avere lo schema assolutamente simmetrico
di 8+20 – 8+20 – 16+20. La cosa non può
essere certo casuale, tanto più che questa
struttura trova una traduzione conseguente
nella composizione polifonica; questa rispet-
ta le tre parti del Benedicamus, utilizza un
parigrado per l’esordio, tratta più liberamen-
te i tre inizi e utilizza lo stesso canto (occa-
sionalmente appena variato) per accompa-
gnare le venti note comuni alle tre sezioni.
Anche se scritte con due chiavi differenti, le
due voci hanno lo stesso ambito e si incro-
ciano di frequente, è impiegato il moto con-
trario, e gli intervalli adoperati sono soltan-
to quinte, terze e unissoni (assai sporadica è
la quarta); solo all’inizio compare del tutto
eccezionalmente l’intervallo di ottava.
Questa composizione appartiene veramente
al repertorio polifonico ‘semplice’ del XIII- Foto 5.
XIV secolo, che ben poco o nulla ha a che vedere con la polivocalità che
abbiamo visto precedentemente; soprattutto, ha come caratteristica una
diversa pratica compositiva che, il più delle volte, non può prescindere
dalla scrittura. È vero che i cantori più esperti e specializzati erano in
grado di eseguire alla mente, cioè improvvisando, una seconda o anche
una terza voce sulla melodia gregoriana, e che la registrazione scritta
della composizione poteva avvenire in un secondo tempo; ma è anche
vero che il repertorio stesso offre diversi gradi di complessità e molte-
plicità di soluzioni, e che ‘polifonia semplice’ sottintende spesso il signifi-
cato di canti «volutamente composti in maniera semplice, in contrapposi-
zione e in alternativa alla pratica della polifonia ‘alta’ e ‘specialistica’».8
Il repertorio polifonico dei Benedicamus è piuttosto cospicuo, ma nor-
malmente su altre melodie, e le singole composizioni sono raggruppabili
tra loro a seconda del canto impiegato.9 Anche il Benedicamus del codi-
163
Esempio 2.
Bologna, Real Collegio di Spagna, Archivio 83, c. g. ; messale: area bolognese sec. XI,
alleluia Verba mea
164
Leo Schrade;10 tra l’altro, il manoscritto eporediense è uno dei rarissimi
testimoni che contenga anche due letture con intonazione musicale, Vidi
supra montem (dall’Apocalisse, per la messa della solennità dei Santi
Innocenti, 28 dicembre) e Surge illuminare Jerusalem (da Isaia, per la messa
dell’Epifania), anche se queste sono stilisticamente diverse dal codice di
san Guido. Il confronto tra le due versioni, però rivela qualche elemento
per le meno degno di riflessione (Esempio 3).
L’inizio del Benedicamus di Ivrea si caratterizza per la presenza di due
intervalli di settima, che vengono annullati nella versione acquense, e per
la sottolineatura delle cadenze delle tre sezioni mediante un’estensione
melismatica da parte della voce aggiunta, che crea una dissonanza di
semitono, anche se di passaggio; nel Benedicamus di Acqui questa viene
eliminata del tutto nelle prime due sezioni, modificata alla fine in modo
da evitare l’urto dissonante. Inoltre la parte ‘libera’ della terza sezione
(quella sulla parola «Domino») è formata da tredici note anziché da sedi-
ci, e vi è qualche piccola divergenza nella sottoposizione delle sillabe.
Infine, piccolo dato semiografico ma forse non secondario, per le due
lezioni la voce aggiunta è in rosso, mentre nel Benedicamus le due voci
in partitura sono entrambe notate con inchiostro nero. La conclusione
mi sembra assai evidente; la versione più antica, testimoniata dal codice
68 di Ivrea e contenente al suo interno quegli elementi anche dissonan-
ti propri di una pratica compositiva in corso di definizione ma comunque
viva e reale, è stata sottoposta ad una ‘ripulitura’ e reinterpretazione
strutturale minima quanto a dimensioni, ma simmetrica nel risultato fina-
le, che denuncia una sorta di cristallizzazione e codificazione di forma e
stile evidente anche nella cosiddetta polifonia semplice. Si tratta di una
situazione assai interessante, che meriterebbe ulteriori approfondimenti
volti sia ad indagare possibili rapporti per lo meno liturgico-musicali tra
le due diocesi sia spingere ad analizzare più dettagliatamente le diverse
versioni musicali che apparentemente sembrano identiche tra di loro, e
che magari nascondono piccole ma significative differenze esistenti anche
nella polifonia d’arte vera e propria.
165
Esempio 3.
166
LA BIBLIOTECA
LITURGICA:
I LIBRI PER LE
CELEBRAZIONI
di Giacomo Baroffio Acqui Terme,
Biblioteca del Seminario,
immagine prima dei
recenti restauri.
167
Taccuino in pergamena
di Giovannino de’ Grassi,
conservato presso la
Biblioteca Civica di Bergamo.
Cantori.
Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, Hamilton 57, cg 2r; antifonario: Ravenna, sec. XII1,
responsorio Cognovit eum (s. Severo)
168
I PRINCIPALI
LIBRI LITURGICI
169
molto articolato delle celebrazioni con le notizie che riguardano il ritua-
le, necessarie al retto compimento dell’azione. Le orazioni, le letture e
i canti sono indicati in modo sommario con il solo inizio testuale; ma
per il resto si abbonda in norme rituali senza trascurare il benché mini-
mo dettaglio. Così, in alcuni libri, si fissa di volta in volta il numero dei
cantori che indossano il piviale o la cappa: quanto più solenne è una
festa, tanto più grande è il numero dei pivialisti. Ma un certo grado di
festività comporta, ad esempio, alla Messa il canto del Gloria in excelsis
Deo; in giorni ancora più festivi si aggiunge il canto del Credo.
Tutte queste notizie non si leggono durante l’azione liturgica, ma prima,
nella fase preparatoria. È compito di un ministro, il maestro delle ceri-
monie o cerimoniere, studiare tutto l’itinerario della celebrazione per
provvedere a un suo decoroso compimento, senza nulla tralasciare e
senza nulla cambiare rispetto a quanto è proposto dalla tradizione. In
questa tipologia di sussidi rientrano altri libri: il più frequente e più con-
sultato è il calendario liturgico. Impaginato secondo vari criteri – a scrit-
tura continua senza distinzione dei mesi, su una o due colonne – il calen-
dario nella sua forma classica presenta un mese per pagina nei libri
medio-grandi (breviari, messali), un mese distribuito su due pagine nei
libri piccoli quali sono, ad esempio, i libri d’Ore. Nel calendario sono
segnati tutti i giorni dell’anno per mesi, dal 1° gennaio al 31 dicembre.
Ad ogni giorno sono assegnate diverse lettere necessarie per computi
astronomici o per individuare il giorno della settimana di qualsiasi anno.
In questo caso occorre seguire la colonna con le litteræ dominicales”, una
serie di sette lettere dalla “a” alla “g”. All’inizio d’ogni anno si ricorda la
rispettiva littera che corrisponde ai giorni che cadono di domenica.
Nella riga corrispondente il giorno in cui ricorre la memoria liturgica, si
scrive il nome del santo secondo il culto delle varie Chiese locali. Si
avranno quindi diverse stratificazioni di questi lunghi elenchi in base al
carattere universale o locale del culto, alla sua anzianità o meno, al grado
di festività di cui un santo gode in un particolare territorio o Chiesa
locale (diocesi, regione, nazione, famiglia religiosa). Spesso il colore del-
l’inchiostro aiuta a stabilire una certa gerarchia tra i santi e le loro feste:
il che è importante per individuare la comunità per la qual è stato scrit-
to il calendario stesso e, molto spesso, l’eventuale libro liturgico cui è
stato allegato il calendario.
170
alla Ss.ma Trinità. Il Benedizionale
Una curiosità: i calendari liturgici raccoglie tutte queste formule dispo-
tradizionalmente riportano un’indi- ste secondo la successione dell’anno
cazione che risale all’antica medicina liturgico. In Piemonte sono conosciuti
i benedizionali di Ivrea (vescovo
egizia. Sono due giorni il mese (dies Warmondo) e di Novara.
ægyptiaci) in cui non si deve pratica-
re il salasso. Tale tradizione s’inseri- Breviario: prima della riforma litur-
sce in un filone religioso assai vivo gica del concilio vaticano II era la rac-
ancora in epoca carolingia, e che colta di tutti i testi necessari per la
potrebbe aver avuto una grande celebrazione della liturgia delle ore:
incidenza sulla strutturazione defini- letture, orazioni, canti (questi ultimi
con o senza notazione musicale),
tiva del repertorio musicale grego- rubriche. Il breviario rispetta le unità
riano. Inoltre, proprio a causa della librarie dei codici che contenevano le
presenza dei dies ægyptiaci, si trova- singole tipologie (salterio, innario...),
no calendari liturgici in molti codici ma parzialmente assembla il mate-
di medicina, che nulla hanno altri- riale integrato dei diversi elementi in
menti a che fare con la liturgia. un singolo formulario. La successione
delle varie sezioni dei breviari non è
Vi sono libri liturgici usati parzial- uniforme nella tradizione manoscrit-
mente nella liturgia: sono, in partico- ta e a stampa; solitamente il brevia-
lare, breviari e messali con notazio- rio è preceduto da un calendario.
ne musicale. Per questi codici
occorre fare una distinzione. Lo Epistolario: raccolta delle letture
stato di conservazione di molti che si proclamano nella Messa prima
codici e la loro consunzione – si del Vangelo. Esse sono disposte secon-
do la successione dell’anno liturgico
pensi al messale-breviario di San (altro nome per questo libro: Comes).
Salvatore al Monte Amiata, ms
Roma, Bibl. Casanatense 1907, sec. Evangelistario: raccolta delle lettu-
XI oppure al messale dell’Italia cen- re evangeliche della messa già sele-
trale del sec. X-XI, ms Vaticano, Vat. zionate e disposte secondo la succes-
lat. 4770 – evidenziano senza dubbio sione dell’anno liturgico. Da non con-
una loro lunga utilizzazione su un fondersi con l’evangeliario che è il
testo integrale dei quattro vangeli
periodo imprecisato, ma pur sempre (Matteo, Marco, Luca, Giovanni).
notevole. Se da un lato la scrittura
testuale permette agevolmente la Graduale: libro con la musica di
lettura dei testi delle orazioni e tutti i canti del proprio della Messa
delle letture, non si può affermare,
tuttavia, la stessa cosa in relazione
Contimua a pag. 172
171
Innario: collezione degli inni per la
celebrazione delle ore liturgiche. Gli
innari possono contenere il solo testo
degli inni. Quelli con musica perlopiù
presentano la melodia sulla sola alla musica. La notazione musicale è
prima strofa; raramente, prima del talmente minuta che esclude una
sec. XV, su tutto il testo. Spesso l’in- lettura da parte di più persone con-
nario è integrato con il salterio temporaneamente. Inoltre sarebbe
stato necessario un frequente spo-
Kyriale: raccolta con i canti dell’ordi-
nario della Messa con musica: Kyrie, stamento dei libri dalla sede e/o dal-
Gloria in excelsis Deo, Sanctus, Agnus l’altare al coro, fatto assai disagevo-
Dei, Credo. A questo canti sono da le e limitato, al massimo, ad un unico
aggiungersi le formule di congedo (Ite trasferimento dalla sede all’altare. In
Missa est, Benedicamus Domino) e altre parole: ci sono dei libri liturgi-
due antifone per la benedizione del- ci plenari che sono stati usati sol-
l’acqua lustrale (Asperges, Vidi tanto in modo parziale: messali in
aquam).
Nelle raccolte più antiche i canti quanto codici, solo sacramentari o
dell’Ordo Missæ sono raggruppati per sacramentari-lezionari in quanto
categoria e le melodie sono identifica- sussidi liturgici effettivi.
bili grazie al tropo più comune colle- Merita un accenno anche un codice
gato con lo stesso brano. assai diffuso e utilizzato nella litur-
Successivamente i canti sono distri- gia, ma che per sua natura non è
buiti in formulari veri e propri – sino
al sec. XVI, ma spesso anche dopo,
per nulla un libro liturgico, la Bibbia.
senza Credo – che portano tuttavia Il testo biblico è stato sempre al
un’indicazione specifica della celebra- centro d’ogni azione rituale, e nel
zione: In minoribus, In Missis defunc- tempo si è sviluppata una ricca pos-
torum, De Beata... sibilità di scelte librarie grazie alla
redazione di diversi lezionari. Il
Messale: libro onnicomprensivo che codice biblico – soprattutto quello
presenta – con o senza musica – tutti
i testi necessari per la celebrazione di gran formato, come le Bibbie
della messa, cioè orazioni, letture, atlantiche dei secoli XI e XII d’area
canti e rubriche. La struttura tipo si romana e laziale-umbra – ha una
articola in temporale (dall’avvento al sua collocazione fisica e ideale all’in-
sabato santo + Ordo Missae + sezione terno delle celebrazioni. Riposto
da Pasqua alla fine dell’anno liturgi- sull’ambone o al centro del coro, il
co), santorale (proprio e comune), codice biblico evidenzia la centralità
dedicazione della chiesa, defunti,
messe rituali, messe votive e messe della Parola di D-i-o nella vita della
ad diversa, benedizioni di persone e comunità orante. L’uso liturgico
cose. Il messale solitamente è prece- delle Bibbie richiede naturalmente
duto da un calendario. vari sussidi complementari, alcune
tabelle (capitularia) che indichino le
Contimua a pag. 173
172
Sacramentario: raccolta delle ora-
zioni presidenziali della Messa (col-
letta, secreta, postcommunio, prefa-
letture proprie d’ogni celebrazione. zio). Nelle fonti più antiche si trovano
anche l’Ordo Missæ, le benedizioni
Nella vasta biblioteca liturgica c’è pontificali e i riti di ordinazione. In
posto per un numero elevato di base alla scelta delle orazioni e delle
tipologie, da quelle più usuali (bre- celebrazioni dei santi nel rito romano
viario e messale di formato medio o si distinguono varie tipologie di
medio-grande) ad altre molto parti- sacramentari; le principali sono i
colari. Sotto l’aspetto codicologico sacramentari veronese (leoniano),
gelasiano e gregoriano.
si possono ricordare prodotti minu-
scoli come tanti libri d’Ore oppure Salterio: raccolta dei 150 salmi bibli-
alcuni processionali di formato ci. Si distinguono varie tipologie di
tascabile.Ad Assisi, nella Biblioteca di salterio in base alla recensione del
Santa Maria degli Angeli alla Po- testo latino. Le principali sono la
rziuncola, si conservano due esem- Vetus Latina e il salterio romano che
plari con due soli righi musicali per sono serviti come base testuale dei
più antichi canti del rito romano, il
pagina (specchio di scrittura mm 70 salterio gallicano (Vulgata) diffuso in
x 140). Un caso del tutto curioso, ambito gallicano dall’epoca carolin-
ma in passato certo non raro, è il gia, il salterio milanese proprio del
codice che si portava appeso alla rito ambrosiano. I salteri liturgici
cintura durante i viaggi, la cui pagina possono presentare vari testi comple-
era più volte ripiegata fino ad otte- mentari (cantici, preghiere, litanie..) e
nere il formato minuscolo desidera- spesso sono integrati con l’innario.
to: un minuscolo breviario parziale Sequenziario: raccolta di sequenze;
con calendario di Spalato della fine esse sono distribuite secondo lo svol-
del secolo XIII è conservato nella gimento dell’anno liturgico. Spesso il
Biblioteca del Museo Correr di sequenziario è integrato con un tro-
Venezia. pario.
Un caso del tutto diverso interessa
Tropario: raccolta dei tropi relativi
un codice liturgico scritto con gran ai canti della messa, spesso integrato
cura per essere utilizzato una sola con un sequenziario.
volta; il che, tuttavia, non esclude che
possa essere impiegato anche in
celebrazioni successive. È il messale
con il rito della canonizzazione che
è approntato per il solenne rito in
cui si dichiara santo un figlio della
Chiesa. A Como (Bibl. del Seminario,
XIII.h.34) si conserva il codice della
173
canonizzazione dei santi
Ludovico Gonzaga e
Stanislao Kotzka, celebrata
a Roma nel 1726.
L’insieme dei libri liturgici è
uno specchio fedele della
celebrazione, non soltanto
perché raccoglie i testi e i
canti liturgici, ma perché,
ancor prima, riflette la
strutturazione della comunità celebrante e le funzioni che all’intero di
essa svolgono i vari ministri. Quando nell’alto medioevo le azioni litur-
giche prevedevano ancora la presenza differenziata di diversi ministri o
gruppi di persone, ciascuno dei quali aveva una funzione specifica, i libri
erano redatti in modo tale da soddisfare le esigenze ministeriali. Il pre-
sidente dell’assemblea disponeva di un proprio libro con le sole orazio-
ni presidenziali, il lettore aveva un suo lezionario diverso dalla raccolta
dei Vangeli riservata al diacono. I canti erano pure tramandati in varie
raccolte diverse e autonome rispetto ai libri con le orazioni e le lettu-
re.
Nella misura in cui la liturgia della Messa diviene un fatto esclusivamen-
te clericale e scompaiono gli altri ministri con loro mansioni, si assiste
ad una concentrazione progressiva di tutto il materiale liturgico in un
solo libro che sarà destinato al solo sacerdote officiante. Ci sono sen-
z’altro anche altri motivi, ad esempio quello della praticità, ma sostan-
zialmente la riduzione dei libri liturgici a delle raccolte onnicomprensi-
ve rispecchia la graduale scomparsa di ministri al di fuori del presidente
dell’assemblea.
Specchio altresì della cultura, il libro liturgico permette di osservare uno
spaccato del passato in cui emergono molteplici manifestazioni cultura-
li che, in qualche modo, hanno contribuito alla realizzazione dei codici
redatti in vista delle celebrazioni. Le miniature sono senz’altro la parte
più vistosa e accessibile, quella che desta un interesse immediato da
parte di tutti perché solitamente sono di facile comprensione nel loro
messaggio iconografico descrittivo (la scena della Natività, il Crocifisso,
volti di santi/e…). Ci si dimentica e spesso è trascurato il messaggio che
possono dare altri particolari del libro liturgico: dalla grafia testuale a
174
quella musicale, dal contenuto dei testi letterari alle singole melodie.
Tutto ciò esprime la vitalità spirituale ed intellettuale delle singole comu-
nità per le quali i libri sono stati approntati, tenendo conto non soltan-
to delle possibilità economiche, ma soprattutto delle esigenze cultuali e
culturali specifiche d’ogni comunità. Così, ad esempio, il sacramentario-
pontificale “di Padova”, pur compilato nello scrittorio imperiale di Carlo
il Calvo, riflette la tradizione liturgica italica.
Sotto certi aspetti il codice liturgico è l’abbecedario della cultura
medioevale, spesso è l’unico libro
accessibile che tutti possono vedere e
toccare; non è escluso che in molti
casi, con la Bibbia, sia il sussidio princi-
pale per la formazione culturale di
base, il primo processo d’alfabetizza-
zione. Da questi libri s’imparava a
leggere e a contatto con essi si veni-
va a conoscenza delle norme grafi-
che elementari. Per tutti, anche per
gli analfabeti, le grandi “A” poste
sulla prima carta dei libri delle Ore
(responsorio Aspiciens a longe) e
dei codici per la Messa (introito Ad
te levavi) segnavano l’inizio dell’an-
no liturgico. Con esso poteva ini-
ziare anche una vita nuova, un
impegno più forte a fare della
“vita in Cristo” il programma vis-
suto della propria esistenza indi-
viduale e sociale. Questo itinera-
rio di fede da sempre ha trovato
nel canto gregoriano un aiuto e
una luce che ha reso il cammi-
no meno gravoso, più luminoso
e pieno di speranza.
175
UFFICIO DI SAN GUIDO
Esempi di brani ritmici
legenda az: azione liturgica (vs = vespri...), tp: tipologia (ant = antifona...), incipit, m:
modalità gregoriana (1 = re autentico ...), struttura (il numero corrisponde alle sil-
labe; p = parola parossitona [es. De-us], pp = parola proparossitona [es. Do-mi-
nus]
az tp incipit m struttura rima
1vs ant Guido decus Aquensium 1 8pp 10pp 8pp 10pp aaaa
1vs rsp Regnum mundi supergressus fa 8p 6p 8p 6p 8p 6p ababab
1vs vrs Peregre Iacob fa 8p 6p 8p 6p abab
1vs hmn Gaude mater ecclesia sol 8pp 8pp 8pp 8pp abab
3nc ant Cum flore mundum despicis 1 8pp 6pp 7pp 6pp abab
3nc ant Circa caelestia occupatus 1 ? 6pp 8pp 8pp 7pp ? a b c b*
3nc ant Post carnis exitia ad caeli 2 7pp 7pp 7pp 7pp aaaa
3nc rsp Lux caecorum vox mutorum 5* 8p 7pp 8p 7pp 8p 7pp ababab
3nc vrs Ut te duae vera luce 5* 8p 7pp 8p 7pp a b c b*
3nc rsp Templum fecit templi 7 8p 7pp 8p 7pp 8p 7pp a b c b* c b**
3nc vrs Verus bonus summi 7 8p 8p 7pp aab
2vs amg Inclita sanctissimi Guidonis 1 7pp 7pp 8pp 8pp 8pp abcbddbb
8pp 8pp 8pp
Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, Hamilton 688, 170v; invitatoriale tonario: Toscana sec. XIIIm,
Ps 94 Invitatorio Venite exultemus Domino
176
I FRAMMENTI
Acqui Terme,
Cattedrale.
Bassorilievo
dell’altar maggiore.
LITURGICI
ITALIANI
di Giacomo Baroffio
177
questo motivo si può dire che paradossalmente non esistano due codi-
ci liturgici perfettamente identici.
Dato l’uso quotidiano, tale materiale era destinato anche a un deperi-
mento che obbligava alla sostituzione degli esemplari consunti e divenuti
inservibili. Inoltre, le varie riforme in campo celebrativo e l’adesione a
questo o a quell’altro tipo di liturgia particolare costituivano altrettante
occasioni che rendevano praticamente inutilizzabili molti libri. Fino al
1500 questo particolare materiale librario liturgico o era conservato in
depositi (archivi e biblioteche) o veniva utilizzato per altri scopi, talora
come supporto per un uso successivo, come avviene nel caso dei palin-
sesti. Non è sempre evidente il motivo che ha condotto a cancellare un
testo precedente per utilizzare la pergamena in modo diverso. Oltre a
una relativa difficoltà di procurarsi la pergamena, forse c’è anche un’i-
stintiva economia di parsimonia e di riciclaggio in molti ambienti pove-
ri. Sorprende comunque notare come talora alcuni testi liturgici siano
stati cancellati e i loro fogli siano stati utilizzati solo pochi decenni dopo
la prima stesura originale. Un fatto del genere è avvenuto, ad esempio,
nella prestigiosa abbazia di Farfa in Sabina.
Nei secoli XVI e XVII, oltre all’uso di palinsesti, il materiale pergamena-
ceo trova una diffusa utilizzazione come coperta di materiale librario o
documentario più fragile, in specie cartaceo. Si tratta soprattutto di
carte notarili e di documenti amministrativi che vengono legati e custo-
diti in involucri pergamenacei. Oltremodo variegato, come si vedrà, è
l’uso della pergamena di antichi codici nei lavori di legatoria e di restau-
ro librario. Tale operazione che avviene paradossalmente grazie alla
distruzione di altro materiale, cioè i codici più antichi, considerati ormai
inservibili e divenuti, talora, incomprensibili.
L’attenzione rivolta dagli studiosi di varie discipline ai frammenti librari
medioevali, negli ultimi anni ha portato a notevoli risultati.Valga per tutti
il caso emblematico dei frammenti ebraici che hanno dato un contribu-
to sostanziale per ricostruire la storia della spiritualità e della cultura
degli Ebrei in Italia. Al di là di rare eccezioni, come quella di Nonantola
– che vede una predominanza di frammenti ebraici rispetto a quelli lati-
ni – i vari e diversificati fondi di frammenti offrono di solito un consi-
stente patrimonio di materiale liturgico che in assoluto è il più nume-
roso rispetto alle reliquie di codici propri di altre discipline. Non man-
cano anche in questo settore scoperte interessanti che riguardano sia
Frosinone, Archivio di Stato, Coll. Pergamene 82; antifonario: Roma (repertorio romano-antico) sec. XII4/4,
responsorio Tria munera (Epifania)
178
l’eucologia sia i repertori musicali. Si tratta
tuttavia sempre di scoperte casuali o di inda-
gini limitate a poche istituzioni oppure dovu-
te all’interesse di singoli studiosi o all’impegno
di qualche studente per un lavoro di tesi.
Un’indagine sulle ricerche pubblicate mette in
evidenza un fatto: la ricerca sui frammenti
liturgici e musicali in Italia è soltanto agli inizi.
Di fronte a questa massa ingente di materiale
– si può presumere che possano essere ricu-
perati in tempi medio-brevi da 30.000 a
40.000 pezzi – è bene domandarsi quale sia la
situazione reale, come si presenti, quali i
metodi di indagine da applicare per una cono-
scenza adeguata e una custodia che sia pro-
mozionale.
San Michele di Lesegno,
Madonna della Neve.
Incoronazione di Maria.
TIPOLOGIA DEI FRAMMENTI LITURGICI Particolare.
a) palinsesti
A un primo gruppo di frammenti appartengono quelli che sono stati uti-
lizzati per scriverci opere successive alla prima stesura originale: sono i
palinsesti, grazie ai quali si possono ricuperare molti frammenti di codi-
ci a partire dalla tarda antichità. Una rapida lettura dei Codices Latini
Antiquiores di ELIAS AVENARY LOWE permette di rilevare l’importanza di
questa categoria di frammenti. In campo liturgico molti palinsesti sono
stati studiati da ALBAN DOLD dell’abbazia tedesca di Beuron, uno spe-
cialista del settore; a lui si devono ritrovamenti ed edizioni che merita-
179
Acqui Terme, Cattedrale. Chiostro dei canonici.
Particolare di bassorilievo.
Messina, Biblioteca Painiana del Seminario, 19, c. 29v; Graduale: Lazio/Roma sec. XI4/4,
tratto Dixit Iesus mulieri (I giovedì quaresima)
180
c) strisce di rinforzo di fogli/fascicoli/legatura
(Falzmakulaturen)
Solitamente si tratta di sottili strisce che servono per rinforzare soprat-
tutto il foglio esterno dei fascicoli. L’esiguità dello spazio scritto visibile
non permette sempre di identificare i testi o rende problematica la loro
individuazione come nel caso di numerose strisce di un libro corale con
musica (XVI secolo) conservato nell’Archivio di Stato di Mantova. Posso
ricordare ancora i frammenti ricavati da un graduale (e calendario)
beneventano della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e tutta una
serie di frammenti di un messale con neumi ravennati (sec. XII) sparsi in
alcune filze dell’Archivio di Stato di Urbino o diverse tipologie di fram-
menti che sono serviti per rattoppare i due antifonali della Biblioteca
capitolare di Tortona. In alcuni casi, la varietà del materiale utilizzato per
i rattoppi trasforma un libro liturgico in una vera e propria enciclopedia
del sapere medioevale, come succede in un libro dell’Aula Capitolare di
Oristano analizzato minutamente e con successo da GIAMPAOLO MELE.
Non è raro che le diverse liste di rinforzo – come pure le toppe di
restauro utilizzate in un codice o in una serie contigua di manufatti –
provengano non solo da un unico manoscritto originario, ma addirittu-
ra dalla stessa carta che si può eventualmente reintegrare totalmente.
Simile nella forma, ma non
nella funzione, sono le sottili e
lunghe strisce di pergamena
utilizzate nella costruzione e
riparazione degli organi. La
giustezza millimetrica di que-
sto materiale (da 3 a 4 mm),
nonostante la lunghezza dei
singoli pezzi (da 400 a 500
mm) rende in molti casi arduo
se non impossibile il lavoro di
identificazione dei testi e delle
musiche originali.
181
d) tasselli di rinforzo nei punti di cucitura e toppe di
restauro
Ancora più difficili da individuare e da leggere rispetto alle liste di rinfor-
zo sono i minuscoli tasselli che rinforzano la pergamena soltanto in pros-
simità dei fori della cucitura. Si tratta per lo più di pezzetti larghi al mas-
simo un paio di centimetri e spesso non più lunghi. Anche questo mate-
riale minore può riservare talora delle sorprese come i quattro tasselli
scoperti a Boccioleto da PIETRO FERRI Che me li ha messi generosamente
a disposizione quando ho scritto, quasi mezzo secolo fa, il mio primo arti-
colo di bibliologia liturgica. Essi appartengono a un salterio del XIV seco-
lo che presenta tutta una serie di varianti testuali tra cui confirmavit al
posto di confortavit della Volgata (sal 147, 13). Quest’ultima lezione del
frammento è degna di nota perché si ritrova nel salterio di Verona del VI-
VII secolo.
e) segnalibri
Frequenti nei grandi libri corali sono stati applicati segnacoli di pergame-
na per poter trovare facilmente i diversi contenuti. L’uso prolungato di
tali sussidi li ha solitamente consunti, ma talora è possibile trovare delle
tracce di antichi codici anche in brandelli minimi. Esemplare è un caso di
un messale del XIII secolo dell’abbazia cistercense di Staffarda (Torino,
Biblioteca Naz. Univ., E.IV.26). A c. 112 c’è un segnalibro di mm 26 x 33
che potrebbe provenire da un sacramentario del secolo X o XI.
Subiaco, Biblioteca Santa Scolastica, XVIII 19; Graduale: Italia centrale sec. XIII1,
introito Puer natus (Natale)
182
medesimo gruppo tipologico si possono far rientrare anche gli spezzoni
di carte librarie manoscritte che sono stati utilizzati per ricoprire e difen-
dere i soli dorsi di libri stampati.
183
i) carte e fascicoli integrativi
Si possono infine considerare frammenti anche singole carte e singoli
fascicoli sostitutivi e/o integrativi che sono stati inseriti in un libro litur-
gico. Se ne trovano relativamente spesso nei libri corali recenziori, ma
non mancano esempi di secoli anteriori. Uno dei casi più meritevoli di
attenzione è il libello con l’ufficiatura propria di san Zeno inserito nel-
l’antifonario ms. XCVIII (92) della Biblioteca Capitolare di Verona che
risale alla fine del secolo XI o all’inizio del XII.
SIGNIFICATO E IMPORTANZA
DEI FRAMMENTI LITURGICI
Di fronte alla massa dei frammenti – ripeto che si tratta di alcune migliaia
di pezzi –, ci si chiederà se il fenomeno sia soltanto quantitativo oppure
se i frammenti siano interessanti e in quale misura essi siano importanti
per la ricerca in campo liturgico-musicale. In questa pro-
Spigno Monferrato, spettiva meritano di essere ricordati alcuni fatti, in partico-
Santa Maria del Casato.
Ascensione della Vergine. lare la testimonianza dei frammenti per quanto concerne:
Particolare, angeli musicanti.
a) la grafia testuale
Nello studio della tradizione manoscritta
altomedievale i frammenti rivestono senza
dubbio una grandissima importanza come si
può constatare scorrendo, ad esempio, i
repertori di ELIAS AVENARI LOWE (CLA) con
l’inventario delle testimonianze anteriori al
secolo VIII, e quello di KLAUS GAMBER relativo
ai più antichi codici liturgici delle Chiese lati-
ne (CLLA). Meritano qui di essere menziona-
te almeno due recenti piste di ricerca che
riguardano la morfologia della scrittura
testuale beneventana nell’area di Veroli e
varie forme grafiche di area romanesca.
Benevento, Biblioteca Capitolare, 39, c. 81r ; Graduale: Benevento S. Pietro intra muros ? sec. XIex,
Alleluia Domine dilexi
184
b) la tradizione grafica musicale nelle tipiche morfolo-
gie locali
Mentre il modulo calligrafico testuale, pur con tutte le peculiarità locali,
ricalca per secoli l’unico modello standardizzato della minuscola caroli-
na, nella tradizione musicale tra i secoli X e XIII si trovano decine di gra-
fie con notevoli differenziazioni morfologiche. Lo studio dei frammenti
liturgico-musicali italiani ha permesso di verificare una notevole concen-
trazione di testimoni delle grafie locali nel centro principale di produzio-
ne e nell’area circostante relativamente ristretta. L’indagine è stata com-
piuta principalmente per l’Italia settentrionale e si è limitata in un primo
tempo al secolo XII, ma ricerche successive hanno confermato piena-
mente quanto era emerso in precedenza.
Così c’è una concentrazione di testimoni della grafia bretone-pavese
nell’Archivio di Stato di Pavia, concentrazione che diviene considerevole
per quanto riguarda la notazione ravennate proprio nei diversi fondi di
Ravenna, mentre in territorio lariano si trova addensata la notazione
comasca. Negli Archivi di Stato di Firenze, Lucca, Pescia e Pisa abbonda-
no maculature con differenti tipologie di notazione toscana; negli Archivi
di Stato e notarili dell’Umbria (Montecastello di Vibio, Norcia, Orvieto,
Perugia, Stroncone, Terni) e del Lazio (Frosinone, Roma, Viterbo) sono
notevoli le presenze della notazione umbro-laziale. I fondi siciliani (ad
esempio, l’Archivio della Curia e la Biblioteca Centrale della Regione a
Palermo, l’Archivio di Stato di Catania) conservano testimonianze di tra-
dizione normanna assenti nelle regioni settentrionali e centrali (al Sud si
trovano fonti normanne ancora in Puglia e in Campania).
Ulteriori relazioni con usi liturgici locali o altri manoscritti possono esse-
re stabilite in base alle litterae significativae (nei racconti della passione di
Cristo nella settimana santa) e altre particolarità. Si è già accennato a un
frammento conservato ad Acqui, la cui origine toscana è rivelata dalla
serie di lettere per il canto del Passio. Non va neppure dimenticato che
in taluni casi le testimonianze dei frammenti possono precisare il quadro
della situazione e dell’evoluzione grafica musicale. Tipici al riguardo sono
i casi che interessano le notazioni comasca e ravennate.
Oltre alla notazione vera e propria, meritano attenzione anche i segni
aggiuntivi quali sono il custos e le chiavi. A questo proposito l’origine
orvietana di un frammento spezzino (Museo A. Lia), postulata per ragio-
185
ni iconografiche, è confermata anche dalla particolare morfologia della
chiave di fa presente in codici locali.
d) elementi agiologici
Elementi agiologici si trovano concentrati in calendari, litanie e nelle
sezioni del santorale. Trattandosi di frammenti, il loro valore probatorio
è relativo; ma è pur sempre significativa la presenza di determinati santi
in particolari centri e aree cultuali. Frequente, ad esempio, è la presenza
di santi del mondo germanico in codici e frammenti dell’area altoatesina
(Bolzano, Bressanone, San Candido/Innichen).
186
frequenti le testimonianze di fatti musicali o liturgici interessanti. Si pos-
sono ricordare brevemente frammenti con pezzi unici o rari (Emitte spi-
ritum, Crux benedicta nitet) e nuove testimonianze relative alla tradizione
dei tropi e delle sequenze.
A proposito delle sequenze vorrei ricordare soltanto alcuni esempi. In
Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 2551 (già S. Salvatore 725), un pro-
cessionale-cantatorio-antifonario di Brescia (secolo XIII), l’ultima carta di Acqui Terme,
guardia (c. 34) è tratta da un graduale-sequenziario beneventano del Cattedrale,
secolo XI: l’unico testimone italiano della sequenza acefala <Præcelsa sæcli particolare
del pulpito.
colitur> in onore del diacono s. Vincenzo. Si pensi che proprio in questa
sezione le grandi raccolte di Benevento sono lacunose. Il secondo esem-
pio è una carta di messale toscano o tosco-romagnolo (II metà del seco-
lo XI) che si conserva in una piccola raccolta di frammenti liturgici della
Biblioteca Riccardiana di Firenze (ms. 4026). Nel formulario di san
Michele ci sono due sequenze d’origine francese-orientale: la seconda
è assai diffusa e presenta neumi: Summi regis archangele Michael; la
prima, senza notazione, è Magnum te Michaelem habentes pignum
che in Italia si trova soltanto citata nella raccolta di Montecassino
318. Il terzo pezzo si trova a Modena, Archivio di Stato -
Biblioteca, Frammenti, Busta 13, 12. È un foglio di sequenziario
dell’Italia settentrionale (Emilia, sec. XII4/4) che contiene quattro
pezzi: a c. 1r l’interessante brano natalizio composto nell’Italia set-
tentrionale Ecce iam venit nostra redemptio. La recensione testua-
le si avvicina, ma non è identica, a quella del manoscritto
Montecassino, Archivio della Badia, 546. A c. 1v si conclude la
sequenza precedente e inizia il canto dell’Epifania Festa Christi omnis
christianitas celebret di Notker. A c. 2r c’è un’altra sequenza, acefala,
di Notker per il tempo pasquale Laudes salvatori voce modulemur sup-
plici (inizia nel frammento a metà della strofa 10). D’area romanza e
assai diffusa in Italia è l’ultima sequenza, sempre per il tempo pasqua-
le, Ecce vicit radix David che inizia a c. 2v. Di alcune sequenze germani-
che l’unica traccia finora scoperta si trova in frammenti dell’Archivio
della Città di Bolzano e del Museo di San Candido/Innichen.
Queste poche osservazioni confermano un’impressione generale:
circa due terzi dei frammenti liturgici non offrono nessuna novità,
mentre l’altro terzo merita grande attenzione perché propone
pezzi inediti, rari o recensioni testuali e/o musicali particolari di
brani già noti.
187
per il CDpagine per il CDpagine per il CDpagine
IL CANTO
GREGORIANO
AD ACQUI
coro gregoriano Sorores 2004
LI CHO CHUN (LC)
CLAUDIA CEFALO (CC)
EUN JU KIM ANASTASIA (EJK)
ANTONELLA LI CAUSI (ALC)
LEANDRA SCAPPATICCI (LS)
GIACOMO BAROFFIO (GB)
I NOSTRI INTERPRETI
190
per il CDpagine per il CDpagine per il CDpagine
6 Kyrie eleison
Kyrie eleison, Christe eleyson, Kyrie 9 Alleluia Pascha nostrum
eleyson, Kyrie eleyson, Ymas.
alleluia (Pasqua)
Signore pietà, Cristo pietà, Signore
pietà, abbi pietà di noi. Alleluia. I. Pascha nostrum immola-
tus est Christus. II. Epulemur in
azimis sinceritatis et veritatis.
11 Cantate Domino
antifona di comunione
(tempo pasquale)
Cantate Domino, alleluia. Cantate 13 Sancti Spiritus adsit nobis
Domino, benedicite nomen eius, bene
nuntiate de die in diem salutare
gratia sequenza (Pentecoste)
eius, alleluia alleluia.
Sancti Spiritus adsit nobis gratia. Alleluia.
Quæ corda nostra sibi faciat habitaculum
Cantate al Signore, alleluia, cantate
expulsis inde cunctis vitiis spiritalibus.
al Signore, benedite il suo nome,
Spiritus alme illustrator omnium
con passione annunciate di giorno
horridas nostræ mentis purga tenebras.
in giorno la sua salvezza, alleluia,
Amator sancte sanctorum semper cogitatuum
alleluia.
infunde unctionem tuam clemens nostris sen-
sibus.
Tu purificator omnium flagitiorum spiritus
purifica nostri oculum interioris hominis
12 Spiritus Domini introito ut videri supremus genitor possit a nobis
con tropo (Pentecoste) mundi cordis quem soli cernere possunt
oculi.
TROPUS Hodie Spiritus sanctus procedens Prophetas tu inspirasti, ut præconia Christi
a throno apostolorum pectora invisibilier præcinuissent inclita.
penetravit. Deo gracias! Eia! INTROITUS Apostolos confortasti, uti tropheum Christi
Spiritus Domini replevit orbem terrarum, per totum mundum veherent.
alleluia, et hoc, quod continet omnia, scien- Quando machina per Verbum suum fecit
tiam habet vocis, alleluia alleluia alleluia. Deus cæli terræ marium
PSALMUS Exsurgat Deus, et dissipentur ini- tu super aquas futuras eas nomen tuum
mici eius, et fugiant qui oderunt eum a expandisti Spiritus.
facie eius. Tu animabus vivificandis aquas fecundas.
Tu aspirando das spiritales esse homines.
Tu dimissum per linguas mundum et ritus
TROPO Oggi lo Spirito santo che procede adunasti Domine.
dal trono di D-i-o è penetrato in modo invi- Idolatras ad cultum Dei revocans magistro-
sibile nel cuore degli apostoli. Rendiamo rum optime.
grazie a D-i-o! Evviva! INTROITO Lo Spirito Ergo nos supplicantes tibi exaudi propitius
del Signore riempie l’universo, alleluia, e sancte Spiritus
abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce, sine quo preces omnes esse credentur et indi-
alleluia, alleluia, alleluia. SALMO Sorga gne Dei auribus.
Dio, e i suoi nemici si disperdano e fugga- Tu qui omnium sæculorum sanctos tui nomi-
no davanti a lui quelli che lo odiano. nis docuisti instinctum amplectendo Spiritus.
Ipse hodie apostolos Christi donans munera
insolito et cunctis inaudito sæculis.
Hunc diem gloriosum fecisti. Amen.
193
per il CDpagine per il CDpagine per il CDpagine
17 Beata es Maria
lauda (lauda mariana)
Beata es Maria, virgo dulcis et pia,
candore vincens lilia et rosa sine
spina, sanctorum melodia. Virgo 18 Benedicamus Domino
Galilæa Nazaret habitavit, angelus
descendit sic eam salutavit, dicens: Benedicamus Domino. Deo gratias.
Ave Maria virginitatis via. Beata es
Maria. Benediciamo il Signore. Rendiamo
Beata es Maria, virgo dulcis et pia, grazie a D-i-o.
candore vincens lilia et rosa sine
spina, sanctorum melodia. Dominus
sit tecum, virgo supradicta, super
omnes eris virgo benedicta, et ven-
tris tui fructus sit semper benedic-
tus. Beata es Maria.
Beata es Maria, virgo dulcis et pia,
candore vincens lilia et rosa sine
spina, sanctorum melodia. Angelo
respondens tunc ait Maria:
Quomodo hoc fiet mihi, non est via,
hominem non novi virginitatem
novi. Beata es Maria.
195
per il CDpagine per il CDpagine per il CDpagine
GUIDA ALL’ASCOLTO
smatico, contiene cioè dei vocalizzi che testo grave di penitenza certe frasi
possono essere ampi di lunghezza e si musicali di tenore esuberante e persi-
estendono anche su ambiti estesi in no gioioso? Il fatto è che mentre noi
senso verticale. intendiamo l’invocazione greca come
Concisa è anche la seconda antifona di una supplica (Signore, pietà), in epoca
comunione Notas mihi fecisti (4). Si carolingia questa frase è stata riletta
canta in quaresima (mercoledì, IV set- in una prospettiva del tutto diversa.
timana: salmo 15, 11) e permette di Kyrie eleison è divenuta un’acclama-
osservare sin dall’inizio alcune sfuma- zione gioiosa rivolta non solo più a
ture dell’impianto melodico del canto Cristo, ma alle tre Persone della
gregoriano e parimenti della sua tra- Trinità. Testi medioevali mostrano
smissione manoscritta. All’inizio del come i primi tre Kyrie fossero rivolti al
brano segue tre volte l’identica succes- Padre, i tre Christe al Figlio, gli ultimi
sione di mi re. Il fatto potrebbe dare tre Kyrie (o almeno i primi due, il terzo
l’impressione di una certa monotonia, spesso è trinitario in modo globale) allo
se le note fossero identiche sotto tutti Spirito Santo.
gli aspetti. Ma i tre gruppi presentano L’antifona Pueri Hebræorum (7) fa
sì le medesime note, ma queste hanno parte di una piccolissima collezione di
pesi sonori differenziati in ognuna canti per la domenica delle Palme. E.
delle tre ripetizioni. Ciò si evince in Werner ha ipotizzato un’origine ebrai-
modo esplicito dalla grafia neumatica ca del modulo melodico che contraddi-
che traccia segni particolari per evi- stingue queste brevi melodie.
denziare la dinamica di questo breve Probabilmente ha ragione a causa
inciso. delle affinità melodiche e rituali (pro-
L’introito Lætare Ierusalem (5) si canta cessioni con frasche di fanciulli nella
a metà quaresima durante i riti inizia- festa delle capanne) con paralleli
li della Messa nella IV domenica. Il ebraici. Non è escluso, tuttavia, che la
testo di Isaia (66, 10-11) apre la serie melodia in questione d’impianto in re,
dei canti di questa celebrazione che abbia avuto una diffusione più ampia
vuole non solo interrompere il clima in tutta la cultura mediterranea, come
penitenziale della quaresima, ma met- mostrano varie melodie sparse nei
tere in evidenza il carattere liberatorio Paesi europei meridionali.
dell’ascesi cristiana. Il colore violaceo La liturgia del venerdì santo, oltre ad
proprio del tempo quaresimale, oggi è avere un eccezionale spessore spiritua-
sostituito dal colore rosa. Il cuore vive le, è anche un grande museo musicale
la sua libertà nella gioia che è sobria e culturale. Tra le reliquie di mondi
ebrezza nello Spirito. O, come ripetono scomparsi ci sono gli improperi (8) i cui
gli altri canti della Messa, è l’appaga- testi risentono della polemica antigiu-
mento della nostalgia di Gerusalemme daica dei primissimi secoli delle comu-
(l’intimo di ciascuno, la città santa e la nità cristiane. Il testo presenta i “rim-
comunità, il paradiso), è il ritorno del proveri” che Gesù rivolge al popolo
figliol prodigo alla casa paterna, è un ebraico che non ha riconosciuto in Lui
canto incessante di lode a D-i-o. Lo ten- il Messia, nonostante tanti interventi
sione del testo è messa in evidenza nella storia avventurosa d’Israel. Il
dallo slancio di una splendida melodia brano potrebbe risalire al VII secolo e
in fa. non è esclusa una sua redazione in ter-
La melodia del Kyrie eleison (6) del CD ritorio ravennate.
e di tanti altri Kyrie può suscitare una L’acclamazione alleluiatica di Pasqua
domanda: come si accordano con il (9) nelle fonti manoscritte presenta 197
per il CDpagine per il CDpagine per il CDpagine
cielo. Il testo è scritto secondo la con- parte delle tradizioni liturgiche del
suetudine degli uffici ritmici: si tratta Basso Medioevo, anche Acqui nella
di versi (in prevalenza ottonari e sette- festa del suo patrono utilizza per il
nari) con varie combinazioni di rime, Proprium i canti del comune dei santi
nel nostro caso la situazione è legger- (in questo caso quello dei confessori
mente irregolare: abbiamo versi di 8, vescovi), tranne che per l’Alleluia.
10, 9 e 10 sillabe che si concludono Questo canto di solito ha un testo pro-
tutti e quattro con parole proparossito- prio ed esclusivo con riferimenti pun-
ne con la medesima rima in -ium (8pp tuali alla vita e alla missione dell’eroe
10 pp 9 pp 10 pp: a a a a [-ium]). della fede di cui si fa memoria. Le due
L’antifona Guido decus imprime l’o- versioni melodiche presentano punti di
rientamento musicale di tutti i primi contatto, ma possono essere ritenute
vespri per festeggiare il patrono di due diverse melodie o, se si vuole, due
Acqui Terme. Questa unica antifona elaborazioni originali di un’unica e
determina la modalità della formula medesima idea musicale che sembra
salmodica in re, sulla quale sono can- essere diffusa soprattutto in ambiente
tati i 5 salmi dell’azione liturgica. I cin- domenicano (Exivi a Patre e Spes
que testi costituiscono la serie “de lau- datur omnis populo) nel XIV secolo.
date” perché iniziano tutti con le paro- Anche il testo del nostro alleluia tradi-
le Lauda o Laudate. sce un’età recente della composizione
Un secondo brano proprio della litur- poetica (8pp 8pp 9pp 8pp: a a a a [-iis]).
gia del vescovo Guido è il responsorio Beata es Maria (17) è un brano che
Regnum mundi (15). Il brano non riflette la diffusa devozione mariana
appartiene alla categoria dei responso- nell’Italia settentrionale nel Basso
ri brevi, quelli cioè previsti nelle ore Medioevo. Si tratta di una lauda lati-
diurne. L’impianto testuale e musicale na, poesia strofica, che espone con
appartengono ai responsori prolissi del vocaboli pregnanti e attraverso un’ac-
mattuttino: l’uso nei presenti vespri cattivante linea melodica l’epopea
serve a solennizzare la celebrazione. Il della Vergine Maria. Il pezzo è tratto
brano nel suo complesso rivela uno da un codice di Asti e si trova, con qual-
stadio recente della tradizione “grego- che variante, anche in una testimo-
riana” quale si è affermata dopo il nianza di Bobbio. Probabilmente è
secolo XI. Lo schema metrico lettera- stato composto in un centro dell’Italia
rio (8p 6p 8p 6p 8p 6p) è messo in evi- settentrionale tra XIII e XIV secolo.
denza dall’alternanza delle rime di Benedicamus Domino (18) è la formu-
parole parossitone (-essus) e (-atum). la di congedo con cui si concludevano le
L’ambito melodico supera l’ottava ed è ore della preghiera liturgica e la cele-
caratterizzato da nuclei ascendenti e brazione della Messa nei giorni in cui
discendenti per gradi congiunti e per non si era cantato il Gloria in excelsis
terze. Alcune sezioni sono ripetute (in tal caso il Benedicamus era sosti-
all’interno del responso e del verso; tuito dall’Ite missa est). Particolarità
quest’ultimo non segue il tradizionale della tradizione di Acqui, come si è già
schema salmodico, ma si sviluppa con detto a proposito del Sanctus, è la
ampia libertà. scrittura che fissa un’esecuzione poli-
L’Alleluia Pia proles (16) è tramandata vocale secondo i canoni di quella che
in Acqui in due diverse versioni musi- oggi si chiama “polifonia semplice”.
cali, entrambe in sol. Come in gran
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