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ORLER ICONE MONREALE 26-05-2006 20:12 Pagina 2

Con il patrocinio di:

Presidenza Presidenza Comune Fabbriceria


della Regione della Provincia di del Duomo di
Sicilia di Palermo Monreale Monreale

Messaggeri della Luce


Complesso monumentale Guglielmo II - Monreale (Palermo)

Comitato Promotore
Salvatore Gullo, Sindaco del Comune di Monreale
Fabio Sciortino, Assessore alla Cultura del Comune di Monreale
Davide Orler, fondatore della Collezione Orler, Venezia

Comitato Scientifico
Sania Gukova
Alfredo Tradigo
Giancarlo Pellegrini
Alessandro Gea
Giampaolo Trotta

Testi e Commenti
Sania Gukova
Davide Orler
Michail Talalay
Alfredo Tradigo
Giampaolo Trotta

Segreteria organizzativa
Monica Cavaliere

Ufficio stampa
Comune di Monreale
Collezione Orler - ufficiostampaorler@tin.it

Si ringraziano per la disponibilità ed il materiale offerti il Comune di Monreale e segnatamente


il Sindaco, dott. Salvatore Gullo, e l’Assessore alla Cultura, prof. Fabio Sciortino, la Curia
Arcivescovile di Monreale, la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Palermo,
il prof. Giuseppe Schirò, il dott. Giuseppe Mistretta, la dott.ssa Licia Bertani e la sig.ra Luisa
Del Campana.

Foto
Biblos, Cittadella (Padova)
Edizioni Mistretta, Palermo
Luisa Del Campana
Giampaolo Trotta
Il materiale fotografico inserito nel catalogo, che non sia di proprietà della Collezione Orler, è stato
fornito direttamente dagli autori dei testi e risponde alle leggi sul copyright. La Collezione Orler,
comunque, si scusa per le eventuali omissioni e rimane a disposizione di coloro che involontaria-
mente non siano stati citati.

Catalogo
C&M Arte (Arezzo)

Grafica e layout del catalogo; consulenza editoriale per il commento iconografico ai saggi.
Giampaolo Trotta

In copertina
In primo piano: Arcangelo Michele e Arcangelo Gabriele, icone russe del XVIII secolo, scuola di
Jaroslavl’ (?), Collezione Orler; sullo sfondo: Arcangelo Michele e Arcangelo Gabriele, mosaici
del XII secolo, abside centrale del duomo di Monreale.
In IV di copertina
Angeli, particolari rispettivamante da una Deesis, icona della Russia centrale, inizi del XIX
secolo, e da Dio Sabaoth, icona russa del XVIII secolo, Collezione Orler.

© C&M Arte - Arezzo


Archivio Orler - via Col S. Martino, 39 - 30030 Favaro Veneto (Venezia)
www.collezioneorler.com
ORLER ICONE MONREALE 26-05-2006 20:12 Pagina 3

COLLEZIONE ORLER

Messaggeri della Luce


Angeli nell’icona russa
A CURA DI SANIA GUKOVA

TESTI DI
ALFREDO TRADIGO
GIAMPAOLO TROTTA
MICHAIL TALALAY
DAVIDE ORLER
SANIA GUKOVA

COMPLESSO MONUMENTALE GUGLIELMO II A MONREALE

Arte
ORLER ICONE MONREALE 26-05-2006 20:12 Pagina 4
ORLER ICONE MONREALE 26-05-2006 20:13 Pagina 5

Sommario

Il colore degli angeli


di Alfredo Tradigo

Monreale: una rilucente Gerusalemme Celeste discesa


sulla Terra, un nuovo Tempio salomonico come icona di luce
di Giampaolo Trotta

Brevi cenni sulle chiese di rito orientale e ortodosse


a Palermo in età normanna
di Giampaolo Trotta

La presenza russa ortodossa nel Mezzogiorno italiano


di Michail Talalay

Come nasce una collezione


di Davide Orler

Messaggeri di Luce
schede a cura di Sania Gukova
Angeli nell’icona russa
I. Sacre Scritture
II. Gerarchia
III. Ministeri
IV. Serafini, cherubini
V. Michele
VI. Gabriele
VII. Raffaele
VIII. Cristo Angelo
IX. Madre di Dio
X. Santi

Tavole delle abbreviazioni e dei


modelli di scrittura

Termini tecnici delle icone


Angeli nell’icona russa
di SANIA GUKOVA

“Egli darà ordine ai suoi angeli


di custodirti in tutti i tuoi passi.
Sulle loro mani ti porteranno
perché non inciampi nella pietra il tuo piede.”
Salmo 90, 11-12

L
’immagine dell’essere alato accompagna tutta la storia dell’uma-
nità. Intermediari tra la divinità e l’umanità, buoni o cattivi che
siano, sono conosciuti nei miti di tutte le civiltà antiche: mae-
stosi grifoni che proteggevano le porte delle città mesopotamiche;
Ermete e Iride nell'area greca; eroti e geni della cultura romana; la per-
siana Fravashi; le valchirie al Nord. Sono gli inviati degli dei che entra-
no in contatto con gli uomini, trasmettono loro messaggi, impedisco-
no all'uomo l'accesso negli spazi segreti degli dei, annunciano la morte
e accompagnano i defunti nell'aldilà.
Ogni epoca ha affermato una sua concezione degli angeli, venuta
poi a riflettersi nell’arte. Nell’elaborazione dell’immagine angelica cri-
stiana non si trattava, certamente, di una semplice “traduzione” della
Vittoria pagana o di qualche altra figura simile nell’arte cristiana, ma
di un fenomeno ben più complesso. Fu frutto di retaggi, di apporti
culturali, di speculazioni religiose e di un’attività creativa che investì
molte generazioni ad impegnarsi nella ricerca delle forme più adatte
per rappresentare questi esseri invisibili e produrre una “nuova” imma-
gine cristiana immutabile ed eterna.
Le raffigurazioni angeliche e la loro spiritualità elaborate
nell’Oriente cristiano valicarono i confini della Russia antica alla fine
del primo millennio, insieme al cristianesimo. La tradizione angelica
bizantina fonde le proprie radici nell’antica cultura giudaica e nel
mondo ellenistico. Sarebbe, dunque, difficile comprenderla senza
prendere in considerazione questa millenaria eredità culturale. Gli
esseri incorporei di fattezze dolci, quasi femminili, la cui essenza è di
fuoco e di luce, il cui soffio emana profumo, sono entrati nell’arte
russa per diventare una presenza costante e numerosa. Il loro culto era
molto sentito in tutte le epoche.

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L’Angelo nell’icona russa

ANGELI NELLE SACRE SCRITTURE E NELLA LITURGIA

Testi di ogni genere fanno menzione degli angeli più e più volte, sia
canonici, sia apocrifi. Ma le fonti d’importanza primaria sono costi-
tuite dalle Sacre Scritture, con le quali s’intrecciano i testi liturgici, la
letteratura omiletica, le lodi e gli inni in onore delle gerarchie celesti o
di singole personalità angeliche nei giorni della loro festa. Infine, vi
sono i testi magici con le formule di esorcismo, le invocazioni e pre-
ghiere per ogni genere di intervento, ivi compresa la maledizione.
L’angelologia cristiana trae la sua ispirazione dalla Bibbia. I malea-
chi (inviati di Dio) menzionati nell’Antico Testamento assunsero il
nome greco di angeloi (messaggeri). L’angelo, pur provenendo dall’area
divina, entra nel mondo degli uomini, parla e agisce visibilmente come
una creatura, ma il messaggio che egli porta con sé è sempre divino. In
1. Angelo personificazione del sole, altri termini, l’angelo è spesso una personificazione dell’efficace parola
particolare dell’icona Figlio unigeni- di Dio che annuncia e opera salvezza e giudizio (Fig. 1).
to.
I testi biblici ricordano spesso l’intervento degli angeli per guidare
i patriarchi nel loro esodo o per proteggere il popolo di Israele.
L’immagine esemplare del ruolo dei messi divini è quella della visione
della scala che ebbe Giacobbe (Genesi 28,12): “Una scala poggiava
sulla terra mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di
Dio salivano e scendevano su di essa” (Fig. 2). L’angelo raccorda il cielo
e la terra, l’infinito ed il finito, l’eternità e la storia, Dio e l’uomo.
Gesù, infatti, preannunciava in se stesso la realizzazione del sogno del
Patriarca: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere
sul Figlio dell’uomo” (Giovanni 1,51). Per alcuni Padri della Chiesa
quella scala prefigura l’incarnazione del Verbo, mediatore tra cielo e
terra. Altri, seguendo il pensiero di Filone di Alessandria, hanno visto
2. Visione della scala di Giacobbe, nella scala di Giacobbe l’immagine della Provvidenza di Dio verso gli
particolare dell’icona Madre di Dio uomini per mezzo del ministero degli angeli. La scala tra cielo e terra
del Roveto ardente XVIII secolo.
è, dunque, custodita e presidiata dagli angeli, in particolare da
Michele, il condottiero degli eserciti celesti1. Il tema della discesa e del-
l’ascesa degli angeli per compiere la volontà divina si presenta come un
filo conduttore in molte immagini. Nell’icona del Profeta Elia nel
deserto (Tav. 1), uno dei soggetti prediletti dell’iconografia russa, l’an-
gelo del Signore accompagna il profeta, lo protegge nel suo cammino
difficile per portarlo, infine, vivo nei cieli (Fig. 3,4).
Il movimento degli angeli di Dio intorno al Figlio dell’uomo sulla
3. Angelo in carro di fuoco rapisce terra dimostra che la comunicazione tra cielo e terra, la “scala” sogna-
sant’Elia in cielo, particolare dell’ico- ta da Giacobbe, è ormai aperta per sempre. La discesa (katàbasis) del
na Ascesa al cielo del profeta Elia, Verbo sulla terra incarnato nel grembo della Vergine come Figlio del-
XVII secolo.
l’uomo Gesù e la sua ascensione (anàbasis) al cielo sono accompagna-
te dagli angeli: dall’arcangelo Gabriele di Nazareth (Tav. 27-29), dalla
moltitudine dell’esercito celeste a Betlemme, dagli angeli
dell’Ascensione sul monte degli Ulivi (Tav. 5). Questo è un duplice
movimento che dalla storia sacra si è impresso etimologicamente nella
1. Cfr. G. Ravasi, Gli angeli tra l’Antico liturgia cristiana. La “Azione del popolo di Dio” è celebrata insieme
e Nuovo Testamento, pp. 21-24 dagli angeli e dagli uomini: quelli creati per primi da Dio ne conosco-

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L’Angelo nell’icona russa

no il mistero e lo hanno per primi acclamato Sanctus, gli altri, con-


dotti a conoscere Dio in Gesù, lo adorano e sono salvati2.
La angelologia cristiana rivela soprattutto nella liturgia un movi-
mento di discesa-ascesa contemporaneo a quello del Verbo. Gli angeli
cantano la gloria dell’Altissimo, sono una folla immensa di adoratori
che il profeta Daniele (7, 10) e 1’apostolo Giovanni (Apocalisse 5, 11)
contemplano intorno al trono del Dio vivente: “Mille migliaia Lo ser-
vivano e diecimila miriadi Lo assistevano” (Fig. 5). Poiché non si riesce
ad immaginare alcuna fase della storia salvifica senza l’intervento degli
angeli, troviamo gli angeli all’opera spesso anche là dove la narrazione
biblica non ne parla esplicitamente, come ad esempio presso la man-
giatoia (Fig. 6), durante la fuga in Egitto o durante la crocifissione di
Gesù. Nascono, così, forme iconografiche che vanno dai solenni assi- 4. Angelo appare nel sonno al profeta
stenti presso il trono di Dio fino agli zelanti angeli che si uniscono Elia, particolare dell’icona Ascesa al
intorno a Maria e a Gesù Bambino, che lo adorano e cantano. cielo del profeta Elia, fine del XVII
L’angelo entra in scena, rivolgendosi a Giuseppe, e scandendo tutte secolo.
le tappe di quei giorni già segnati dall’ombra della croce che si proiet-
ta sul piccolo Gesù, perseguitato e profugo, e sul mistero della sua
nascita che coinvolge le due annunciazioni (a Zaccaria e a Maria) e le
due nascite, quelle di Giovanni il Battista e di Gesù. Nel Natale in alto,
ci sono soprattutto gli angeli che intonano un corale cosmico, glorifi-
cando la Venuta del Messia (Tav. 2,3). Sono le stesse legioni che Gesù,
al momento dell’arresto nel giardino del Getsemani, dirà di non voler 5. Potenze angeliche cantano gloria a
convocare per bloccare il suo destino sacrificale: “Pensi forse che io Dio (particolare della Tav. 8 in
mostra).
non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici
legioni di angeli?” (Matteo 26,53)3.
TAVOLE 1

LA GERARCHIA CELESTE E MINISTERI DEGLI ANGELI

La definizione numerica delle schiere angeliche spetta ai Padri siria-


ci della Chiesa, attivi tra il 380 e il 500. Tuttavia, gli impulsi decisivi
all’angelologia cristiana arrivano alla fine del V secolo nell’opera “Di
6. Angeli sofferenti presso la croce,
gerarchia celeste” di Dionigi pseudo Areopagita, autore vissuto tra il V
particolare del Crocifisso, XIX secolo
e il VI secolo. Dionigi costruisce un sistema coerente che si appoggia
alla tradizione apocrifa giudaica, al neoplatonismo tardo-antico ed alla
tradizione patristica della sua epoca. Le schiere angeliche, ordinate
gerarchicamente, si differenziano, secondo l’autore, sulla base di alcu-
ne specifiche caratteristiche o funzioni.
I nove ordini angelici sono articolati in tre triadi, secondo le loro
qualità ed il grado della partecipazione intellettuale ai misteri divini.
Nella triade più elevata, che sta più vicino a Dio, si trovano serafini,
cherubini e troni. Essi trasmettono la luce della conoscenza e dell’
amore di Dio ai tre cori della triade media, che comprende domina-
zioni, potestà e virtù. Essi ritrasmettono gli stessi valori alla triade infe-
riore. Quest’ultima è rappresentata da principati, arcangeli e angeli.
2. Cfr. N. Bux, Gli angeli nelle liturgie,
Essi affidano la luce di Dio alla gerarchia ecclesiastica, la quale è chia- p. 45.
mata a dispensare agli uomini la luce della Rivelazione in parola, sacra- 3. Cfr. G. Ravasi, Gli angeli tra l’Antico
menti e amore di servizio. Tutto è collegato in un sistema ascendente e Nuovo Testamento, p. 23.

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L’Angelo nell’icona russa

e discendente. I compiti degli angeli sono quelli di “purificazione”,


“illuminazione” e “contemplazione”, che riconducono passo dopo
passo il credente verso Dio. Alla fine dei tempi gli angeli, negli uomi-
ni illuminati e redenti, riporteranno nuovamente a casa la luce di Dio.
La natura degli angeli, secondo l’Areopagita, è paragonabile ai
venti: “Il fatto che si attribuisce loro [agli angeli] il nome dei venti
7. Angeli tubicini, particolare dell’i- indica la loro azione veloce e che passa in tutte le cose quasi intempo-
cona Ascensione, XVII secolo ralmente e il movimento che conduce e trasporta dall’alto al basso e di
nuovo dal basso all’alto, che indirizza gli esseri inferiori verso un’altez-
za superiore e spinge i superiori verso un processo comunicativo prov-
videnziale nei riguardi degli inferiori. Si potrebbe anche dire che il
nome di vento dato al soffio aereo dimostra la somiglianza con Dio
delle intelligenze celesti; difatti, anche il soffio d’aria esprime l’imma-
gine e la forma dell’attività divina”.
Le parole dello pseudo Dionigi si inseriscono in quella corrente di
pensiero che vede il soffio d’aria come allegoria dello Spirito divino. Il
fatto che gli angeli siano detti “venti” dimostra, secondo l’Areopagita,
la somiglianza fra la natura di Dio e quella delle intelligenze celesti. In
altre parole, la sostanza che compone gli angeli assomiglia allo Spirito
8. Madre di Dio in Paradiso, parti-
colare dell’icona Il Giudizio univer- supremo e inimitabile di Dio proprio perché, fra gli elementi del crea-
sale, XVI secolo. to, il vento è quello che più d’ogni altro evoca 1’incorporeità di Dio4.
Un’icona dell’Ascensione di Cristo (Fig. 7) mostra quanto profonda-
mente questo pensiero era radicato nell’immaginario. Gli angeli che
portano in cielo la mandorla gloriosa con Cristo e soffiano nelle trom-
be sono un ricordo dei quattro venti. Questo elemento arcaico e raro
risale, appunto, alla tradizione figurativa dei venti nell’arte antica.
Dionigi l’Areopagita elaborò non soltanto la più completa teoria
sulle nove schiere angeliche ma, per la prima volta, anche un grandio-
so modello di universo cristiano ordinato gerarchicamente, in cui le
diverse categorie degli spiriti celesti e degli uomini ritrovano unità.
Questa chiara classificazione della gerarchia angelica in base alla cifra
chiave “tre”, costituì la base per l’iconografia dei cori angelici nell’arte
cristiana dei secoli successivi. Il teologo tracciò un disegno grandioso
di una gerarchia angelica riccamente articolata, alla quale corrisponde
in terra la gerarchia ecclesiastica con tutti i suoi ministeri e servizi.

Gli ordini angelici sono chiamati a svolgere molteplici funzioni


comuni e alcune specifiche di cui sono maggiormente investiti: gli
angeli stanno alla presenza di Dio, lo servono, ne eseguono pronta-
mente i voleri, lo adorano, gli cantano lodi e lo supplicano per l’uma-
9. Angelo appare nel sonno a nità (Tav. 12-14), costituiscono, sotto la guida dell’arcangelo Michele,
Giuseppe, particolare dell’icona Il la milizia celeste. Essi affiancano, venerano, e servono la Vergine Maria
Natale di Cristo, inizio XIX secolo. in Paradiso (Fig. 8). Come intermediari fra il mondo celeste e quello
terrestre, gli angeli sono messaggeri del volere divino, portano
1’annuncio di ciò che dovrà accadere (Fig. 9), proteggono, guidano i
Santi nella loro fermezza della fede e li incoronano nei cieli dopo il
martirio (Tav. 52, 53), confortano e guariscono gli uomini bisognosi
4. Cfr. M. Bussagli, Storia degli angeli, (Tav. 48), ma sono anche esecutori severi di giustizia
p. 111. Il tema iconografico in cui gli angeli hanno un ruolo particolar-

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L’Angelo nell’icona russa

mente cospicuo è quello del Giudizio Universale (Tav. 9). Scrive l’e-
vangelista Matteo (24, 31): “Egli manderà i suoi angeli con una gran-
de tromba e raduneranno tutti i suoi eletti... da un estremo all’altro dei
cieli”. Qui gli angeli, oltre ad assistere al trono divino, sono anche
membri attivi del dramma escatologico: annunciano con le trombe 10. Gli angeli arrotolano il cielo,
l’imminenza del Giudizio, avvolgono il rotolo del cielo (Fig. 10), particolare dell’icona Giudizio uni-
vegliano alle porte della Gerusalemme celeste. Talvolta sono spietati e versale, XVI secolo.
si fanno strumento della collera divina, spingono i peccatori verso l’in-
ferno, li gettano nel fiume di fuoco e li puniscono per le loro azioni
malvagie.
TAVOLE 2

ICONOGRAFIA DELL’ANGELO

Sin dalle sue prime manifestazioni l’arte cristiana non esita a rap-
presentare gli angeli con un corpo umano, malgrado la loro natura spi-
rituale e invisibile. Le prime immagini angeliche comparvero nell’arte
paleocristiana fra la fine del II e l’inizio del III secolo: a quell’epoca,
infatti, appartiene la più antica immagine giunta a noi
(l’Annunciazione della catacomba di Priscilla). Con l’affermazione del
cristianesimo, alla fine del IV secolo, gli angeli divennero figure
immancabili dell’iconografia cristiana. Sovente fanno parte di una
composizione complessa che, rispecchiando il cerimoniale imperiale,
istituisce un parallelismo fra la corte terrena e quella celeste. Si appli-
ca, allora, a Cristo e agli angeli la classica disposizione di somiglianza
alla figura imperiale e ai membri della corte; questa iconografia di
carattere trionfale si sviluppa pienamente nei secoli successivi.
Nel periodo tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, la figura ange-
lica acquista definitivamente l’attributo dell’aureola attorno al capo. È
un elemento di origine asiatica legato al culto della divinità solare, ma
conosciuto anche nell’arte romana che lo utilizza per indicare la divi-
nizzazione della figura imperiale. Nell’iconografia cristiana l’aureola
non solo indica l’appartenenza del personaggio al mondo celeste, ma
anche, nel caso specifico degli angeli, l’autorità e la sovranità di Dio,
in nome del quale essi agiscono.
Nella stessa epoca si verifica anche un cambiamento iconografico
nel passaggio dalla figura angelica aptera a quella alata. L’acquisizione
delle ali come attributo dell’angelo segna, dunque, un momento deci-
sivo nel processo dell’evoluzione figurativa, distinguendo gli angeli
dagli altri personaggi sacri. L’acquisizione di questo attributo è frutto
di un influsso delle raffigurazioni alate dell’arte pagana. Le ali simbo-
leggiano l’inconsistenza corporea della velocità, l’onniscienza e quei
valori che costituiscono gli aspetti più importanti della natura angeli-
ca. Tra le figure alate alle quali sicuramente attinsero gli artisti cristia-
ni è da ricordare la Vittoria, 1’Eros psycophoros, i geni alati, la personi-
ficazione di Psiche, la personificazione dei venti. L’arte cristiana sfrut-
ta il linguaggio figurativo del paganesimo, a cui sostituisce i propri
contenuti.
Ma uno dei motivi, forse addirittura il principale, che dovette

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L’Angelo nell’icona russa

determinare l’apposizione delle ali agli angeli, come sostiene M.


Bussagli, si deve alla stretta assimilazione di questi con i venti (il che è
perfettamente coerente con tutta la speculazione sulla natura aerea dei
messi divini). A sostegno di questa assimilazione depone senz’altro
l’autorità del salmo 104[103], che è da considerarsi la pietra angolare
della riflessione sul carattere aereo degli angeli, a cui si era riferito
anche il Concilio Niceno II5 (Fig. 12).
Il Salmo 104[103] è un inno al Creatore ed alle sue opere, attra-
verso le quali l’uomo può intravedere la meraviglia della gloria divina.
In esso Jahweh è il sovrano assoluto dell’universo, avvolto nella luce
come in un manto. I cieli sono la sua tenda e la sua reggia, le nubi sono
il suo cocchio ed i suoi passi sono sorretti dalle ali del vento. “Egli usa
11. Angeli stendono il velo di prote- i venti come suoi messaggeri, il fuoco e la fiamma come suoi ministri”.
zione, particolare dell’icona Su queste poche parole si basa tutta la riflessione plurisecolare sulla
Protezione della Madre di Dio.
natura degli angeli. Il passo che secondo gli studiosi giustifica la pre-
senza delle ali nell’iconografia angelica è quello dell’Apologeticum di
Tertulliano (II secolo), in cui si legge: “Ogni spirito è alato; per que-
sto, angeli e demoni in un attimo sono dappertutto: il mondo intero,
per loro, è un unico luogo; ovunque accada qualcosa, lo sanno con la
stessa facilità con cui lo annunciano. Si crede che la velocità sia di
natura divina, perché se ne ignora la sostanza”. È, dunque, una con-
venzione per indicare valori altrimenti inesprimibili. Questa capacità
di essere immediatamente dappertutto permette agli angeli di cono-
scere ogni cosa e, quindi, di essere onniscienti. La presenza delle ali
(che i cherubini hanno addirittura coperte di occhi, proprio per met-
tere in risalto questo aspetto, vedasi Fig., Tav. 9) nell’iconografia ange-
lica esprime, infatti, anche questo concetto6.
12. Angelo impedisce ad Abramo di
sacrificare il proprio figlio, particolare Una motivazione teologica per la raffigurazione angelica fu data dal
dei mosaici del duomo di Monreale. Concilio Niceno II nel 787. Il Concilio ebbe luogo all’epoca in cui
l’impero di Bisanzio attraversava uno dei periodi più travagliati della
propria storia per via della questione sulla legittimità o illegittimità del
culto delle immagini. Nell’intento di difendere la venerazione delle
sacre immagini, affrontando le problematiche di ogni singola immagi-
ne, i Vescovi si trovarono a dover riconsiderare la questione della natu-
ra dei messi divini. Riemergeva, così, l’annosa questione del “corpo”
degli angeli. Uno dei meriti del Concilio Niceno II fu proprio quello
di dire la parola definitiva su questa materia. I Vescovi stabilirono che
i “corpi” angelici sono da considerarsi “aerei o ignei”, secondo quanto
troviamo scritto nel Salmo 103[104], che fu uno dei punti nodali della
questione. In questo modo gli angeli vennero ad assumere una posi-
zione intermedia fra l’uomo e Dio, non soltanto secondo la gerarchia
della creazione, ma anche in funzione dell’idea che si poteva avere del
mondo a quell’epoca. Sicché essi furono posti, nell’universo, in una
condizione mediana proprio in virtù della loro natura aerea o ignea7.

5. Cfr. M. Bussagli, Dal vento ATTRIBUTI DEGLI ANGELI


all’Angelo, pp. 33-35.
6. Cfr. M. Bussagli, Storia degli angeli,
p. 90. Il capo dell’angelo è provvisto di un nastro per i capelli, le cui estre-
7. Idem, p. 93. mità svolazzanti si estendono ai due lati. Si pensa che tale attributo sia

66
L’Angelo nell’icona russa

riconducibile alla corona della dea Nike. Nell’iconografia russa è deno-


minata tòroki o slùkhi (una possibile traduzione sarebbe “aura” o
“udito”). La funzione del nastro è ben precisa: secondo una tradizione,
che risale probabilmente a quella bizantina, serve per ricevere gli ordi-
ni di Dio. Questo attributo angelico ebbe non poca fortuna in Italia e
lo ritroviamo nelle opere più importanti della pittura italiana: basti
ricordare la Maestà di Santa Trinità (1290-1300 ca.) di Cimabue o la
Madonna Rucellai (1285 ca.) di Duccio di Buoninsegna.
Un altro attributo importante degli angeli è una lunga e sottile
verga chiamata anche bakteria o rhabdos. Nella Bibbia la verga è con- 13. Disco nella mano dell’arcangelo
siderata come un simbolo del potere ma anche come una sorta di bac- Gabriele, particolare della Tav. 34
chetta magica (Giudici 6, 20-21). Dionigi pseudo Areopagita la con-
siderava un simbolo della dignità regale e sacerdotale. Probabilmente
l’uso della verga nell’iconografia angelica fu suggerito dal cerimoniale
bizantino. L’estremità della verga, talvolta, è ornata dalla croce, simbo-
lo del sacrificio di Cristo e, più raramente, nelle icone di epoca tarda,
da un giglio che passa nell’iconografia russa dall’arte occidentale8.
Nelle mani degli arcangeli Michele e Gabriele spesso è raffigurata
una sfera o un disco, talvolta trasparenti o sormontati da una croce
(Fig. 13). Spesso, all’interno del disco, è raffigurato il monogramma di
Cristo (la prima e l’ultima lettera del suo nome in greco: IC XC). In
alcune composizioni, come la Sinassi degli arcangeli, il disco porta la
raffigurazione di Cristo Bambino. Questi elementi iconografici espri-
mono il concetto dell’universalità del regno di Dio ed evocano una
presenza invisibile ma reale del Verbo incarnato e la sua opera salvifi-
ca. 14. Arcangelo Michele con un labaro
La simbologia del disco è legata a quella dello specchio (infatti, in in mano, XII secolo, mosaico della
Russo, questo attributo è chiamato zertsàlo, specchio), che ha una chiesa Santa Maria dell’Ammiraglio,
lunga e ricca storia nelle culture antiche. Il concetto dell’immagine- Palermo.
riflesso del pensiero neoplatonico penetrò e venne sviluppato nelle
opere dei primi Padri della Chiesa9. Dionigi pseudo Areopagita utiliz-
za l’idea dello specchio luminoso senza macchia per descrivere il ruolo
degli angeli nel ricevere e nel riflettere la luce e la bellezza di Dio. Gli
angeli si specchiano in Dio e riflettono la sua immensa luce, ognuno
secondo la capacità che Dio ha attribuito loro, ed è il variare di questa
capacità riflettente che determina il grado della gerarchia. Del resto,
l’angelo è lo specchio di Dio, “uno specchio puro, limpidissimo,
immacolato, incorrotto, non inquinato, pronto a ricevere ... tutta la
bellezza della forma divina improntata al bene”.
Nelle raffigurazioni, talvolta, gli angeli portano un labaro, che risa-
le all’antico stendardo militare romano (Fig. 14). In epoca cristiana il
labaro designava la bandiera della vittoria con il monogramma di
Cristo introdotto dall’Imperatore Costantino. Nei labari retti dagli X. Particolare dei mosaici del duomo
angeli leggiamo l’iscrizione del tre volte Santo (il Sanctus latino o di Monreale.
l’Agios greco, ossia il Trisiagion), l’inno cantato dai serafini (Is 6,3) e
adottato dalla liturgia. Il sacerdote (ossia l’angelo) lo recita nel
momento saliente della liturgia. Proprio l’inno del Trisagion indica 8. Cfr. I. Bentcev, Ikony angelov, p. 53.
ancora una volta la sinergia tra le schiere angeliche e gli uomini: “Dio 9. Cfr. Z. Gavrilovi_, Discs held by
Santo, che abiti nel Santo dei Santi, che sei lodato dai serafini al canto Angels, p. 227.

67
L’Angelo nell’icona russa

dell’inno tre volte Santo, che sei glorificato dai cherubini e adorato da
tutte le potenze celesti...”.
Un altro degli oggetti che può essere raffigurato in mano ad un
angelo è il ripidion (ripidia, al plurale): un ventaglio che l’angelo regge
in mano. Il suo uso liturgico è documentato già nel IV secolo. Il ven-
taglio fu sostituito nel VI secolo da un disco in metallo sorretto da
un’asta decorata con l’immagine di un serafino (Fig. 15). I ripidia sim-
boleggiavano i serafini dalle sei ali (hexapteryga, in greco) e, come stru-
menti liturgici, erano associati al diacono che muoveva i ripidia per
proteggere dagli insetti i Santi Doni.
Talvolta le mani degli angeli sono velate in segno di profondo
15. Ripidion con l’immagine del rispetto per le cose sacre che portano e che perlopiù sono rappresenta-
serafino che regge nelle mani i due te dagli strumenti della passione. Le raffigurazioni degli angeli nelle
ripidia con la scritta “Santo”.
icone sono normalmente provviste di iscrizioni che specificano i loro
nomi (nel caso si tratti degli arcangeli) oppure definiscono la loro posi-
zione nella gerarchia (serafini, cherubini e così via) e talvolta, sempli-
cemente, li indicano come “Santi angeli del Signore” o “Santi angeli di
Dio”. Tali iscrizioni fanno parte del canone iconografico delle raffigu-
razioni angeliche e sono conservate nell’arte dell’Oriente cristiano fino
a oggi.
Gli attributi sopraindicati si possono vedere in una delle più anti-
che icone, eseguita probabilmente a Novgorod nel XII secolo. La tavo-
la raffigura il Mandylion su una faccia e sull’altra, dipinta in un secon-
do momento, la Glorificazione della croce (Fig. 16). Le due composi-
zioni sono accomunate dal fatto che raffigurano le somme reliquie di
16. Glorificazione della croce, Costantinopoli: il panno con il Volto Santo “non dipinto da mano
icona russa del XII secolo, Galleria d’uomo” e la Santa Croce con gli strumenti della passione. Due ange-
Tret’jakov, Mosca.
li stanno ai lati della croce che porta la corona di spine ed è piantata
sul Golgota, col cranio di Adamo raffigurato in una caverna. Sopra la
croce volano due cherubini dalle sei ali di colore oliva scuro, mentre
due serafini rossi dalle ali ricoperte da molteplici occhi si muovono
nell’aria agitando con le mani i ripidia. Gli strumenti del martirio di
Gesù vengono rappresentati a sinistra della composizione. L’arcangelo
Michele porta con le mani velate in segno di rispetto la lancia, mentre
l’arcangelo Gabriele, nello stesso atteggiamento di venerazione, regge
la spugna. Le scritte corrispettive specificano i nomi delle forze ange-
liche raffigurate. In questa icona è evidente come l’atteggiamento degli
angeli e gli oggetti che portano suggeriscano la celebrazione della litur-
gia celeste.

VESTE ANGELICA

La scelta della veste angelica non era mai casuale, ma obbediva a


precise funzioni, largamente adottate e motivate dalle implicazioni
teologiche. Inizialmente gli angeli indossavano un antico costume (la
tunica bianca), come mantello avevano il pallio e calzavano sandali
come i Greci e i Romani del periodo imperiale. La tunica aveva dei
clavi (due strisce purpuree della dignità), che nel linguaggio simbolico
dell’icona divennero gli attributi del messaggero (sono presenti anche

68
L’Angelo nell’icona russa

nella veste di Cristo, in quanto messaggero di Dio). Questo abbiglia-


mento costituì la veste angelica per eccellenza.
La semantica del colore bianco è molto antica. Il mondo pagano
aveva già inteso il bianco come un colore consacrato alla divinità ed
anche nell’arte cristiana il bianco rappresenta il mondo del divino,
della gloria e della potenza del Signore. Nella Trasfigurazione, Cristo si
presenta ai suoi discepoli sul monte Tabor vestito di bianco, di luce
abbagliante. Il bianco divenne il colore degli angeli, in quanto essi
sono penetrati dalla luce, rispecchiando quella di Dio. Questo colore
è collegabile ai testi delle Scritture. L’evangelista Luca (24,4), parlando
delle pie donne che videro gli angeli al sepolcro vuoto di Gesù, scrive:
“Rimasero sconcertate d’un tal fatto, quand’ecco si presentarono loro
due uomini in veste abbagliante” (Fig. 17). La parola di cui si serve l’e-
vangelista per descrivere lo splendore della veste angelica vuol indicare 17. Angelo al sepolcro vuoto, partico-
l’apparizione sfolgorante e subitanea dell’angelo. Non per nulla San lare dell’icona Le Donne mirofore,
Gregorio il Teologo afferma che il bianco si adatta particolarmente a XVII secolo.
suggerire la purezza e la luminosità della natura angelica.

ANGELO SACERDOTE

L’angelo vestito di bianco non è l‘unico, anche se il più diffuso, tipo


angelico. La tesi sulla simmetria tra la gerarchia angelica celeste e la
gerarchia ecclesiastica terrena, elaborata dallo pseudo Areopagita, trova
la sua espressione iconografica nelle vesti liturgiche e porta alla com-
parsa dell’iconografia dell’“angelo sacerdote” (Fig. 18). Infatti, l’occu-
pazione principale degli angeli, indipendentemente dai cori di appar-
tenenza, è la partecipazione al culto divino. Anche gli oggetti liturgici
in mano agli angeli mettono in risalto la celebrazione della liturgia
celeste.
Uno degli strumenti liturgici caratteristici dell’angelo celebrante la
liturgia è il turibolo (l’incensiere) che espande profumo (Tav. 24). 18. Angeli diaconi, particolare della
L’utilizzo di profumazioni era un costume molto diffuso e radicato Trinità del Nuovo Testamento e
nell’Impero romano e non tardò molto ad entrare anche nella liturgia cori angelici, fine del XVIII - inizio
cristiana. Il turibolo usato nel cristianesimo orientale ha dimensioni del XIX secolo.
più contenute rispetto a quello utilizzato in Occidente. Alle catenelle
sono saldati dodici sonagli, il cui allegro suono vuole allegoricamente
ricordare la predicazione evangelica dei dodici apostoli nel mondo. Le
resine profumate da bruciare nel turibolo, in Oriente, sono normal-
mente aromatizzate con profumazioni di fiori ed erbe. Il turibolo serve
per profumare l’altare, i Santi Doni, le icone, le persone e ogni ogget-
to nel tempio. L’uso dei turiboli e dei ripidia nella liturgia permette di
rendere visibile l’invisibile presenza degli ordini angelici durante
l’Eucarestia.
L’universo simbolico della liturgia bizantina, i testi, gli inni, le
icone, abbondano della presenza e del ministero angelico. Il diacono,
nel rito bizantino, ha appunto la funzione di riprodurre, tra la navata
e il santuario, la funzione dell’angelo; egli porta all’altare i doni sacri-
ficali nei “vasi sacri” e assiste il sacerdote durante la Liturgia. Con “gli
angeli, arcangeli, troni, dominazioni e potenze” i fedeli si uniscono al

69
L’Angelo nell’icona russa

tre volte Santo dei serafini, mentre l’Eucarestia unisce il cosmo e la sto-
ria, gli uomini e gli angeli, riempiendo con la spirituale presenza degli
incorporei tutto lo svolgimento della storia salvifica, dal Paradiso della
Genesi a quello dell’Apocalisse. L’angelo, dunque, indica l’unità della
liturgia terrena e di quella celeste10. San Giovanni Crisostomo, autore
della Liturgia anche oggi celebrata nella Chiesa ortodossa, dice: “La
Chiesa è il luogo degli angeli, il luogo degli arcangeli, il regno di Dio,
il cielo stesso ... E tu dunque, ancor prima del tempo, venera, stupisci
e levati, prima di vedere aperti i veli, e precedendo il coro degli ange-
19. Angeli celebranti la liturgia cele-
ste, particolare dell’icona Sinassi del- li, sali verso il cielo” (Epistula ad Corinthios homilia, 36,5). Questo
l’arcangelo Michele (Tav. 8), XIX ruolo importante degli angeli si rispecchia anche nell’arte. L’antica
secolo. veste bianca indossata dagli angeli diventa, talvolta, lo sticario (corri-
spondente alla dalmatica occidentale) e ad esso viene aggiunto l’orario
(la stola diaconale occidentale). Gli angeli diaconi, al pari delle loro
figure terrene, agitano nelle icone i ventagli liturgici e, portando cali-
ce e patena, compiono i ministeri corrispondenti. La vicinanza degli
angeli ai doni eucaristici diventa vicinanza al sacrificio supremo di
Cristo.

ANGELO DELLA CORTE CELESTE


20. Serafini, particolare dell’icona la
Trinità dell’Antico Testamento, XIX Talvolta gli angeli indossano degli abiti di stoffa preziosa e delle
secolo. insegne che rivelano l’appartenenza alla corte celeste, le cui configura-
zioni traggono ispirazione dalla sua controparte terrena: la corte bizan-
tina. Essi portano il loros, rappresentato da una striscia di stoffa o di
cuoio ornata di pietre preziose, disposta intorno al corpo (Fig. 20, 14).
Il loros è un elemento caratteristico dell’abbigliamento degli alti digni-
tari imperiali e dello stesso Imperatore e il modo di indossarlo era piut-
tosto complesso. La fascia dalla spalla destra scende lungo il petto fin
quasi ai piedi e, riavvolgendosi, si allarga sulla spalla sinistra. Il lembo,
di nuovo, passa sul lato destro e avvolge il petto. Infine ricade sulla
parte bassa del braccio e si adagia sul polso, mentre l’ultimo lembo
resta penzolante.
Il loros deriva dalla cosiddetta toga picta dei Romani, quella che
nella celebrazione del trionfo sostituì la toga purpurea, essendo assai
più ricca e vistosa con i suoi ricami d’oro, in genere a forma di stella.
Per la sua forma e il modo di portarlo, il loros è simile alla fascia fune-
bre che avvolgeva il corpo di Gesù e simboleggia, quindi, la sepoltura
e la resurrezione di Cristo. Infatti, l’Imperatore Costantino VII
Porfirogenito, nella sua opera dedicata alle cerimonie della corte bizan-
tina, lo mette in relazione con la Pasqua. “Secondo l’uso - scrive -
durante la santa domenica di Pasqua, l’imperatore, i generali, i pro-
consoli e patrizi vestono il loros”11.
Nonostante il divieto del Concilio Niceno II di raffigurare gli ange-
li vestiti di loros, gli iconografi continuavano a ritrarli come membri
della corte. Rappresentare gli angeli in questo modo significava, quin-
10. Cfr. N. Bux, Gli angeli nelle liturgie.
Una scala tra cielo e terra, p. 47.
di, considerarli come dignitari della corte divina. Gli angeli, perciò,
11. Cfr. M. Bussagli, Storia degli angeli, sono i dignitari del sovrano supremo, di cui gli stessi sacri testi offro-
pp. 153-154. no un’eco quando si riferiscono a Dio degli eserciti celesti, Signore

70
L’Angelo nell’icona russa

Sabaoth. Il loros bizantino, spesso, compare indosso agli angeli anche


nell’arte italiana, come, ad esempio, nel Giudizio Universale di Pietro
Cavallini nella Chiesa romana di Santa Cecilia in Trastevere (1293
ca.).

TAVOLE 3
21. Cherubini, particolare dell’icona
Trinità, XIX secolo.
SERAFINI, CHERUBINI E TRONI.

“Noi che misticamente rappresentiamo i cherubini ed alla Trinità


vivificante cantiamo l’inno “tre volte Santo”, deponiamo ora ogni sol-
lecitudine mondana. Per ricevere il Re dell’universo scortato invisibil-
mente dalle angeliche schiere. Alleluia, Alleluia, Alleluia”.

Inno cherubico della Divina Liturgia

I SERAFINI

Serafino (in ebraico seraph, plurale seraphim) è originariamente il


nome di un serpente del deserto provvisto di ali, etimologicamente
affine al verbo ardere. Fulgore, luminosità e scintillio sono gli elemen-
ti connettivi per ambedue, per il serpente come per l’angelo. Dionigi
pseudo Areopagita traduce serafino come “colui che infiamma”, “che
fa ardere”, e considera questi angeli della prima triade ardenti dell’a-
more di Dio. La scelta del colore rosso per le raffigurazioni dei serafi-
ni, probabilmente, è stata determinata proprio da questa loro caratte-
ristica (Fig. 21).
I serafini spesso sono visti e descritti dai profeti insieme ai cherubi-
ni: tutti e due sono i più vicini a Dio, ambedue sono invocati nelle pre-
ghiere liturgiche fin dalla prima cristianità, ambedue risplendono nella
mandorla gloriosa di Cristo. Anche sul piano formale queste due figu-
re sono sempre più assimilate, tanto che perfino le loro caratteristiche
specifiche venivano talvolta scambiate: il numero delle ali, gli occhi, il
colore, perfino le scritte12 (vedasi Tav 5, 9, 16, 46). I serafini possiedo-
no sei ali, mentre i cherubini ne hanno quattro. Talvolta le ali dei sera-
fini di colore rosso, in conformità col loro nome, sono ricoperte da
molteplici occhi.
Le caratteristiche iconografiche dei serafini sono conformi ai testi
scritturistici. Fondamentale in questo senso è la profezia di Isaia (6, 1-
3): “Nell’anno in cui mori il Re Ozia, io vidi il Signore seduto su un
trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.
Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si
copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.
Proclamavano l’uno all’altro: ‘Santo, Santo, Santo è il Signore degli
eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria’.” La visione dei serafini
nel libro di Isaia è richiamata in molti riti della tradizione ortodossa,
12. La confusione fra due esseri spiri-
nell’inno del Trisagion recitato dal sacerdote e ripreso dal coro nella tuali é un fenomeno abbastanza diffuso
preghiera eucaristica. nell’arte. A tal proposito cfr. A.
Iacobini, Visioni dipinte, p. 129-170.

71
L’Angelo nell’icona russa

CHERUBINI

Cherubino (in ebraico cherub) significa “pienezza della conoscenza


(di Dio)”. Il nome è riconducibile a quello dei karibu babilonesi (geni
dalla forma mezzo umana - mezzo animale) che vegliavano sulle porte
dei templi e dei palazzi. I cherubini appartengono alla triade superio-
re della gerarchia celeste, la più sublime perché vicina al trono di Dio:
sono protesi a conoscere e contemplare Dio, dal quale ricevono la
sapienza che a loro volta effondono all’ordine inferiore. Dionigi
Areopagita evidenzia questa approfondita conoscenza di Dio come
22. Cherubini sorvegliano l’arca una caratteristica essenziale dei cherubini. Essi sono esseri di luce ema-
dell’Alleanza, particolare dell’icona nata dal Padre, cantano e adorano Dio, portano il carro di Dio Padre
La Presentazione della Madre di o di Cristo e sorreggono l’alone di luce entro il quale è raffigurato in
Dio al tempio, XIX secolo. trono. Come dei servitori di un Re, compiono verso Dio le funzioni di
una liturgia celeste, presentata ad immagine del rituale di corte; essi
circondano il trono del sovrano, lo sostengono, formano presso di lui
una guardia d’onore e, poiché si tratta di Dio, lo adorano e proclama-
no la sua grandezza. Essi sono il carro in perpetuo movimento del
trono di Dio, e le loro misteriose ruote superano qualsiasi dimensione.
I cherubini con la spada fiammeggiante appaiono dapprima alla
porta del Paradiso terrestre (Genesi 3, 24) per custodire l’accesso all’al-
bero della vita. Tuttavia la descrizione più grandiosa delle sembianze e
dell’essenza dei cherubini si trova nella visione di Ezechiele (10, 4-22),
che ha dato un’impronta determinante nella loro iconografia.
La raffigurazione dei cherubini era l’unica consentita agli Ebrei.
Mosè, seguendo le istruzioni rivelategli da Dio (Esodo 25, 18-22), ne
pose due in oro battuto, affrontati, sull’arca del Sancta sanctorum, alle
due estremità del propiziatorio o coperchio che essi coprivano con le
ali spiegate, simboleggiando la presenza invisibile di Yahweh (Fig. 22).
23. Tetramorfo, affresco del monaste-
ro della Trasfigurazione, 1552, Da lì, dal luogo “tra i cherubini”, Dio dava i suoi oracoli ed era perciò
Meteore, Grecia chiamato “Colui che siede sopra i cherubini”. Nel tempio di Salomone
due grandi cherubini di olivo, ricoperti d’oro, stavano ai due lati del-
l’arca e la ricoprivano con le loro ali inferiori, mentre con quelle supe-
riori giungevano a toccare le opposte pareti; erano alti dieci cubiti (1
Re 6, 23-28). Altri cherubini erano intessuti nella tenda che nascon-
deva il Santissimo e scolpiti in bassorilievo sulle pareti interne del tem-
pio.
Le forme iconografiche rappresentano le figure dei cherubini con il
volto umano. Dalle testimonianze scritturistiche veniamo a sapere che
i cherubini sono degli esseri misti con quattro ali (quelle superiori per
lo più sono incrociate al di sopra del capo). Il corpo passa in secondo
ordine: talvolta, si rinuncia anche alle mani e alle gambe, sicché non
resta che il volto umano. Il colore blu del cherubino, nel simbolismo
cromatico, esprime la conoscenza spirituale (Fig. 23). Talvolta hanno
in mano una spada di fuoco, essendo i custodi delle porte chiuse del
Paradiso.

TETRAMORFI E SIMBOLI DEGLI EVANGELISTI

72
L’Angelo nell’icona russa

Nell’iconografia compare, sebbene molto più raramente, un’altra


immagine del cherubino, che segue con precisione la visione di
Ezechiele (10, 1-22): “Al centro apparve la figura di quattro esseri ani-
mati, che avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce
e quattro ali. Le loro gambe erano dritte e gli zoccoli dei loro piedi
erano come gli zoccoli dei piedi d’un vitello, splendenti come lucido
bronzo. Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d’uomo. Ognuno dei 24. Troni (o ruote) insieme ai cheru-
quattro aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze bini e serafini sorreggono il trono
di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d’aquila. Le loro ali divino, particolare dell’icona Trinità
erano spiegate verso l’alto; ciascuno aveva due ali che si toccavano e dell’Antico Testamento (Tav. 7).
due che coprivano il corpo”.
Il cherubino descritto da Ezechiele è un tetramorfo (figura quadri-
forme), che ha al centro delle ali potenti le quattro teste di uomo, di
toro, di aquila e di leone (Fig. 24). Proprio questa immagine ha ispi-
rato San Giovanni nel sesto e settimo versetto del capitolo IV
dell’Apocalisse: “Io vidi attorno al trono quattro animali: il primo era
simile ad un leone, il secondo ad un vitello, il terzo aveva il viso come
quello di un uomo e il quarto era simile all’aquila che vola...”. Ma i
quattro esseri viventi dell’Apocalisse non sono più i tetramorfi di
Ezechiele, sono per così dire “smembrati”: ogni essere ha una sola testa.
S. Ireneo di Leone (II secolo) fu il primo ad associare gli esseri
dell’Apocalisse (chiamati solitamente con il termine greco zodia – esse-
ri viventi) ai quattro evangelisti. Secondo le speculazioni diffuse nel
Medioevo, uno ha la faccia di uomo perché il Messia nacque uomo a
Betlemme, come insegna Matteo: l’angelo con le fattezze umane
diventa, così, il simbolo dell’evangelista. L’altro essere ha la testa di
leone: si tratta questa volta di San Marco che parla del Signore arriva-
to come leone dal Giordano. Un altro simbolo ancora è il bue: secon-
do Luca, Cristo fu sacrificato come un bue sulla croce per il bene del
mondo. Un altro essere ancora ha la testa di aquila: come dice San
Giovanni, il Verbo venne dal cielo e si fece carne e poi ascese al cielo
come un’aquila dopo la resurrezione.
Al numero quattro era attribuito un significato speciale nella pro-
spettiva cosmica: ci sono quattro fiumi dell’Eden, quattro parti del
mondo, quattro stagioni dell’anno ed in questo contesto erano intro-
dotti i quattro tetramorfi di Ezechiele, ognuno a quattro teste. Lo stes-
so ragionamento venne fatto per gli zodia apocalittici. Il numero quat-
tro non apparve, quindi, casualmente ma fece parte del piano divino
dell’ordine cosmico, e i quattro cherubini erano considerati come
segni profetici. Le prefigurazioni dei quattro evangelisti erano inter-
pretate attraverso la loro corrispondenza alle profezie dell’Antico
Testamento sulla Venuta di Cristo. L’aspetto cosmico di queste specu-
lazioni è particolarmente importante per l’interpretazione iconografi-
ca dei simboli degli evangelisti e risale ad una tradizione giudaica
molto antica, ripresa in seguito dai teologi cristiani. Una delle funzio-
ni dei tetramorfi nella tradizione giudaica era quella di custodire le
quattro parti del mondo, di cui erano considerati i simboli. In questa
ottica, la presenza degli zodia in una composizione doveva mettere in
risalto l’aspetto cosmico dell’immagine.

73
L’Angelo nell’icona russa

I simboli degli evangelisti sono raffigurati in diverse composizioni.


Fra i più diffusi nell’icona russa dobbiamo rammentare il Salvatore fra
le potenze celesti (Tav. 19) che presenta il nucleo centrale dell’ordine
della Deesis nell’iconostasi. Un’altra icona è la Madre di Dio del Roveto
ardente (Tav. 45) che appartiene al novero di immagini mariane più
venerate in Russia.

TRONI

I troni, talvolta nominati anche ruote, si trovano, insieme ai cheru-


bini e ai serafini, nella triade più elevata della gerarchia di Dionigi
pseudo Areopagita. Sono spiriti alti e sublimi, siedono attorno
all’Altissimo, accolgono ciò che discende dal Principio divino ed, infi-
ne, sono portatori del Divino. I troni si presentano di solito nelle
25. Troni nelle sembianze dei vesco- immagini della gloria divina, insieme ai serafini e ai cherubini (Fig.
vi, particolare della Trinità del 25). La loro raffigurazione si basa sui passi della rivelazione di
Nuovo Testamento e cori angelici, Ezechiele (10, 9-17): “Guardai ancora ed ecco che al fianco dei cheru-
fine del XVIII - inizio del XIX secolo. bini vi erano quattro ruote, una ruota al fianco di ciascun cherubino.
Quelle ruote avevano l’aspetto del topazio. Sembrava che tutte e quat-
tro fossero di una medesima forma, come se una ruota fosse in mezzo
ad un’altra. Muovendosi, potevano andare nelle quattro direzioni
senza voltarsi... Tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote
erano pieni di occhi tutto intorno…”.
I troni sono raffigurati come ruote fiammeggianti provviste di ali e
ricoperte da molteplici occhi. Insieme ai cherubini e serafini, si pre-
sentano ai piedi di Dio per sostenerne il trono. Nelle icone russe con
la raffigurazione dei nove ordini angelici i troni sono raffigurati con
26. Arcangelo Michele (1072-1087), sembianze antropomorfiche e vestono abiti diaconali (Tav 6, Fig. 26).
lunetta del portale della basilica di
S. Angelo in Formis, Capua. Tavole 4 (serafini , cherubini)

ARCANGELI

“O gloriosi Sette Arcangeli che siete come sette lampade che ardo-
no dinanzi al Trono dell’Altissimo e a cui è affidata la nostra tutela,
liberateci da ogni male, allontanate da noi l’azione di Satana, implora-
te Dio Misericordioso per noi e fate che possiamo un giorno
contemplarLo eternamente insieme a voi. Amen”.
Preghiera agli arcangeli

Nella gerarchia angelica gli arcangeli appartengono, insieme ai


principati e agli angeli, alla triade inferiore. Ciononostante sono con-
siderati gli angeli più nobili, i principi degli angeli. Secondo il libro
veterotestamentario di Tobia (12, 15) essi sono sette e “stanno dinan-
zi a Dio”, in attesa dei suoi incarichi particolari. I “sette spiriti che
stanno davanti al suo trono” menzionati nell’Apocalisse (1, 4) sono
spesso considerati come una descrizione degli arcangeli. Un’antica pre-
ghiera ebraica dice: “Alla mia destra Michele, alla sinistra Gabriele,
dinanzi a me Uriele, dietro di me Raffaele e sul mio capo la presenza

74
L’Angelo nell’icona russa

di Dio”. Questo tipo di preghiera si trova nella letteratura cristiana del


primo Medioevo.
Tra gli esseri celesti gli arcangeli sono gli unici a portare nomi pro-
pri. Tre di essi li conosciamo dalla Bibbia: Michele, Gabriele e
Raffaele; il quarto, Uriele, è menzionato nei libri apocrifi di Esdra e di
Enoch. L’ultimo, chiamato anche il “Libro di Enoch etiopico”, fu con-
siderato fino al III secolo d.C. come libro ispirato, era incluso nel
canone e svolse un ruolo importante nella formazione dell’angelologia
cristiana.
Inizialmente la Chiesa ha riconosciuto il culto di soli quattro arcan-
geli: Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele. Lo confermerebbe una loro
raffigurazione nei mosaici di Santa Maria Maggiore (IV-V secolo) e
nell’abside della Cattedrale di Monreale in Sicilia (XII secolo). Nelle
icone russe, fino all’epoca moderna, comparivano i nomi dei soli quat-
tro arcangeli nominati in precedenza. Nel XVIII secolo compaiono
anche gli altri tre nomi, Salafaele, Jehudiele e Barachiele, ma possono
variare e perfino essere talvolta nove.
È interessante notare che la specificazione dei nomi dei sette arcan-
geli nell’iconografia russa e l’espansione del loro culto avvenne sotto
l’influsso occidentale. Un ruolo decisivo nella diffusione del culto dei
sette arcangeli in Occidente svolse la visione del monaco francescano
Amedeo Menez de Silva (1420-1482) e il ritrovamento nel 1514, nella
Chiesa dei Sette Arcangeli a Palermo, degli antichi affreschi con le raf-
figurazioni dei sette messi divini. Nel 1515, un sacerdote (Antonio Lo
Duca), sollecitato da diverse visioni degli arcangeli che gli chiedevano
di diffondere la loro devozione e che fosse edificata una Chiesa a loro
dedicata, ottenne dal Papa che fosse costruita a Roma una Chiesa dedi-
cata ai Sette Arcangeli, detta appunto Santa Maria degli Angeli. Il
culto dei sette arcangeli si diffuse rapidamente in tutta Italia ed in
seguito in Europa. Nella pittura russa questa tradizione entrò attraver-
so la Polonia, che all’epoca inglobava le terre dell’odierna Ucraina e
Bielorussia che avevano dei legami culturali e religiosi assai stretti con
la Russia.
Gli arcangeli possono essere raffigurati nelle consuete vesti degli
angeli; a volte portano il loros e si distinguono per l’abbigliamento pre-
zioso della corte bizantina, come nelle raffigurazioni della Deesis dell’i-
conostasi. La loro autorità è indicata da alcuni attributi: una sfera o un
disco ornati dalla croce o dal monogramma di Cristo, la verga e tal-
volta il labaro. Sono riconoscibili nelle icone grazie alle iscrizioni che
specificano i loro nomi. Nel caso in cui non vi sia alcuna scritta a dare
delle indicazioni, è possibile dedurre il loro alto rango soltanto in base
alle dimensioni, all’atteggiamento ed alla funzione. Sovente gli arcan-
geli sono raffigurati in due: in questo caso riconosciamo sempre
Michele e Gabriele, che circondano con una simmetria rigorosa il
trono di Cristo (o di sua Madre), accompagnano il loro Re o la loro
Regina, adorano Cristo Pantocratore o la croce.

ARCANGELO MICHELE CONDOTTIERO DELLE MILIZIE CELESTI

75
L’Angelo nell’icona russa

“Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli com-
battevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi
angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il
grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e
Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui
furono precipitati anche i suoi angeli.”
Apocalisse 12, 7-9.

Il culto e le immagini dell’arcangelo Michele costituisce di per sé un


universo culturale immenso. Il principe della milizia celeste si presen-
ta come protagonista nelle raffigurazioni delle potenze angeliche. Il
suo nome ebraico, “Chi è come Dio?”, è una sfida rivolta a Lucifero.
Nell’Antico Testamento Michele è l’angelo protettore d’Israele ed il
“principe più nobile”, che combatte per il popolo di Dio e ne difende
la causa. Dopo l’affermazione del cristianesimo, il culto tributato
all’arcangelo ebbe in Oriente un’enorme diffusione: ne sono testimo-
nianza le innumerevoli Chiese, santuari e monasteri a lui consacrati
(alcuni dei quali risalenti, secondo la tradizione, all’epoca apostolica).
Nella capitale bizantina il monastero consacrato a San Michele è docu-
mentato già nei secoli V e VI. Nel santuario si conservava un’immagi-
ne che attirava numerosi pellegrini e all’olio della lampada che vi bru-
ciava davanti si attribuivano poteri miracolosi.
Spesso la figura dell’arcangelo sostituiva una divinità pagana, eredi-
tandone qualche attributo. È comprensibile, dunque, che ben presto,
intorno alla figura di questo principe degli angeli, fiorirono molte leg-
gende che trasponevano su di lui antichissimi miti locali, in base ai
quali egli assumeva spesso l’eredità di divinità pre-cristiane. Poiché in
alcuni santuari si praticava l’incubazione, si suppone che in questi luo-
ghi Michele avesse sostituito un dio della medicina, probabilmente
Esculapio. Tuttavia, il cronista bizantino Giovanni Malalas (491-578)
racconta che nei dintorni di Costantinopoli si rendeva omaggio a San
Michele, il quale aveva sostituito un demone pagano di nome
Sosistene. Quel demone, signore del Bosforo, non era altro che il vento
Borea il cui soffio impetuoso regolava l’entrata e l’uscita dei vascelli nel
Mar Nero. La devozione popolare ha, dunque, sostituito Borea con
San Michele. Nel secolo IX, solo a Costantinopoli, si contavano ben
quindici fra santuari e monasteri consacrati all’arcangelo, più altri
quindici nei sobborghi.
In Egitto egli fu investito di un compito specifico e peculiare di
questo paese: doveva pregare Dio Padre affinché mandasse agli uomi-
ni una piena ottimale del Nilo. Secondo una credenza condivisa in
seguito anche dai musulmani, l’arcangelo, nel giorno della sua festa
gettava nel Nilo una goccia d’acqua e questa era dotata di una tale
potenza da determinare una piena che sommergeva tutta la valle. Un
testo di grande interesse per individuare vari aspetti della figura di
Michele è l’Encomio di Michele arcangelo composto da Eustazio di
Tracia. Nel racconto, il Diavolo ricorda che, proprio quel giorno,
Michele era prostrato con tutte le schiere degli angeli per supplicare il
Padre per l’inondazione del Nilo, per la pioggia e per la rugiada.

76
L’Angelo nell’icona russa

Questa supplica durò tre giorni e tre notti, senza che egli si alzasse mai.
Così, il Diavolo ritenne di poter operare impunito, mentre 1’arcange-
lo era assorbito da questo importante compito13.
Anche in Italia vi erano molti luoghi in cui sorgevano cappelle, ora-
tori, grotte, Chiese e monti dedicati all’arcangelo Michele (Fig. 27). Il
più celebre santuario italiano, la cui fama valicò le Alpi, è quello in
Puglia, sul Monte Gargano. Il santuario sorse in un ambiente forte-
mente ellenizzato e la sua storia iniziò nel 490. La leggenda racconta
che casualmente un certo Elvio Emanuele, signore del Monte
Gargano, aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, ritrovando-
lo dentro una caverna inaccessibile. Egli scoccò una freccia, ma essa
tornò indietro e lo ferì ad un occhio. Allora San Lorenzo Maiorano,
Vescovo di Siponto (oggi Manfredonia), ordinò un digiuno di tre gior-
ni, dopo i quali San Michele apparve all’entrata della caverna che
dichiarò suo santuario. Il santuario garganico, celebre per i pellegri-
naggi, fiorì fino alla metà del secolo VII. In seguito decadde, ma con-
tinuò ad essere meta di pellegrinaggi nei secoli VIII e IX. Nonostante
diversi saccheggi, continuarono i pellegrinaggi dei Sovrani, dei Papi e 27. San Michele colpisce il satana,
dei Santi. particolare dell’icona Trinità
In Russia, il culto del potente protettore dell’umanità era molto dell’Antico Testamento, fine del
sentito in tutte le epoche. A lui erano consacrate molte Chiese ed era XVIII secolo.
considerato protettore di Kiev (la capitale della Russia antica). Nel
calendario liturgico ortodosso è commemorato due volte: il 6
Settembre e l’8 Ottobre. Era uno dei protagonisti della devozione
popolare: lo invocavano per chiedere protezione nelle guerre, per gua-
rire malati, per proteggere i naviganti ed i commercianti e, soprattut-
to, per aiutare le anime dei defunti a passare nel mondo dell’aldilà.

SAN MICHELE PROTETTORE DELLA CRISTIANITÀ E NEMICO DI SATANA

Con l’affermazione del cristianesimo, l’arcangelo Michele, custode


d’Israele, divenne il protettore della Chiesa. I popoli cristiani ricorro-
no a lui come ad un potente patrono e vedono in lui il loro vessillife-
ro e compagno di lotta. La sua immagine, insieme a quella di Gabriele,
era posta di guardia all’entrata delle Chiese. Gli arcangeli dovevano
proteggere e vegliare anche sull’area dell’altare. Secondo il manuale
iconografico, composto da Dionisio da Furnà nel XVIII secolo,
Michele regge un cartiglio con la scritta: “Io sono il combattente di
Dio e porto la spada; coloro che entrano con timore li guardo e li
difendo; per essi io combatto e li proteggo. Ma colpisco spietatamen-
te con la spada coloro che entrano con cuore impuro”.
La lotta vittoriosa dell’eroe luminoso contro le forze del male, con-
tro il drago tenebroso, fa parte dei miti primordiali dell’umanità. II
favore accordato a Michele è legato soprattutto al fatto che egli ha
combattuto e sconfitto Satana, spogliandolo della sua veste di luce.
Satana appare inizialmente nella figura di Lucifero. La Bibbia spiega
che Lucifero (letteralmente, portatore di luce), che in origine fu crea-
to da Dio come il più glorioso degli angeli, orgogliosamente aspirava 13. Cfr. L. Del Francia, Angeli in Egitto,
a divenire simile a Dio, e per il suo orgoglio cadde. Egli divenne Satana p. 53.

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L’Angelo nell’icona russa

(vale a dire, l’avversario) e i suoi seguaci, gli angeli caduti, si trasfor-


marono in diavoli. Queste figure diaboliche sono ampiamente riscon-
trabili nella letteratura apocalittica, nella letteratura apocrifa e nell’ar-
te. L’immaginario popolare le ha dotate di un aspetto orrendo, di
corna, zampe, code, unghie spartite. Le loro ali vengono rappresenta-
te come ali di pipistrello, per distinguerle da quelle degli angeli (Fig.
28).
La lotta di Michele prende dimensioni cosmiche: diventa metafora
e simbolo imprescindibili dell’ultimo confronto di Dio con il suo
avversario. La lotta con le forze maligne diventa uno dei temi più
28. Arcangelo conduce l’anima nel
Paradiso, particolare dell’icona Il importanti nelle raffigurazioni di Michele e spicca in modo particola-
Giudizio universale, XVII secolo. re nelle immagini del Giudizio Universale (Tav. 9). L’arcangelo è anche
colui che annuncia la Seconda Venuta del Signore. Il monaco Palladio,
nell’opera “Discorso sulla fine del mondo, sull’Anticristo, sulla Seconda
Venuta del Signore nostro Gesù Cristo e sul Giudizio universale” (una
delle fonti principali dell’immagine del Giudizio Universale), dice:
“Quando giungerà la fine di questo mondo, allora il tremendo Re
Gesù manderà innanzitutto i suoi angeli con le trombe spaventose. Gli
angeli, seguendo l’ordine di Dio, daranno un fiato terribile alle trom-
be. Quel suono orrendo farà scuotere la terra, agitare il mare, tremare
gli Inferi, intimorire i cieli”. Questo ruolo dell’arcangelo Michele alla
fine dei tempi è espresso in maniera molto suggestiva dall’icona
Arcangelo Michele condottiero delle legioni celesti (Tav. 24).

SAN MICHELE PSICOPOMPO E PESATORE DELLE ANIME

29. Arcangelo Michele, icona bizan- La funzione di Michele non si limita, però, solo alla lotta contro il
tina, XIV secolo, Museo Civico di Diavolo. Michele è anche psicopompo: conduttore delle anime dei
Pisa. morti. La concezione secondo cui le anime dei defunti sono accompa-
gnate nell’aldilà da animali, dei o altri enti, risale all’età arcaica dell’u-
manità. La testimonianza più antica sugli angeli psicopompi risale al
203. Già nel V secolo la guida delle anime era attribuita a Michele:
Dio ha dato all’arcangelo il potere sulle anime degli uomini cristiani
che lasciano questa vita, affinché egli le prelevi e le conduca nella pace
sublime del paradiso (Fig. 29). In un apocrifo, De transitu Mariae,
Cristo stesso consegna a Michele l’anima della Madre.
Questo ruolo dell’arcangelo Michele era molto sentito nella devo-
zione popolare russa e trovò la sua espressione in un genere della lette-
ratura popolare russa chiamato “poesie spirituali”. Questi versi esalta-
no San Michele come intermediario fra gli uomini e Dio, intercessore
per l’umanità, colui che tiene il registro con i nomi dei giusti, ma
anche colui che pesa le anime dei morti e le trasporta attraverso il
fiume di fuoco che può essere attraversato solo dai giusti. Non è pos-
sibile corrompere l’arcangelo né con l’oro né con tutte le ricchezze del
mondo. Per il suo trasporto non pretende altro che la preghiera, il
digiuno e la carità durante la vita terrena. A questo aspetto del culto di
San Michele è legata l’usanza di dedicare all’arcangelo le cappelle fune-
bri e gli ossari, sia in Occidente sia nell’Oriente cristiano. In Russia,
l’arcangelo era il patrono della Chiesa funeraria del Cremlino, dove

78
L’Angelo nell’icona russa

sono sepolti gli Zar.


La scena della pesatura delle anime dopo la morte era familiare alle
culture antiche (specie in Egitto), ed anche l’Antico Testamento accen-
na più volte all’idea secondo la quale le azioni buone e cattive di un
defunto sono accertate nel giudizio della bilancia. Nella mitologia
greca venivano pesate le ombre o le figurette dei defunti. A Roma era
l’attributo della giustizia personificata (Iustitia) e, quindi, immagine
simbolica del giudizio giusto. Ritroviamo questa concezione in modo
pregnante nell’episodio riferito dal profeta Daniele (5, 27): durante un
banchetto notturno, su una parete, apparve la spaventosa parola Tekel
che, secondo l’interpretazione di Daniele, significa: “Tu sei stato pesa-
to sulle bilance e sei stato trovato mancante”.
Nell’ambito cristiano, la concezione della pesatura delle anime
dopo la morte appare per la prima volta in uno scritto apocrifo del II
secolo, nel cosiddetto Testamento di Abramo composto in Egitto.
Durante il suo viaggio nell’aldilà, Abramo vede un angelo che regge
una bilancia, nella quale sono pesate “le opere buone e quelle cattive 30. Arcangelo Gabriele, particolare
secondo la giustizia di Dio”. La bilancia divenne, così, un elemento dell’Annunciazione, affresco del
1191, chiesa di S. Giorgio,
indispensabile dell’immagine del Giudizio Universale (Tav. 9). I cri- Kurbinovo, Serbia.
stiani assegnavano il ruolo del pesatore delle anime a San Michele, che
in un’icona bizantina regge nella mano sinistra il disco con l’immagi-
ne di Cristo Emanuele e la bilancia con le anime sui piatti, mentre con
la destra colpisce il diavolo (Fig. 30).

SAN MICHELE GUARITORE

Il culto dell’arcangelo Michele è ancorato in vari modi nella


coscienza popolare. Un altro aspetto, posto in evidenza da diversi testi
e raffigurazioni è quello che vede Michele in qualità di medico e gua-
ritore. Nei santuari più antichi consacrati a Michele (a Cheretopa,
Colossae e Chonai) 1’arcangelo era venerato soprattutto come guari-
tore, in connessione con le virtù salutari delle acque termali (Tav. 26).
Tale facoltà di far guarire i malati può essere spiegata anche col fatto
che la sua figura sostituì alcune divinità guaritrici pagane. Nei santua-
ri dell’arcangelo, detti Michaelion, accorrevano numerosi malati per
chiedere la guarigione. Qui avveniva il rito dell’incubazione: i malati
passavano la notte in Chiesa, dove si addormentavano. Si credeva che
durante il sonno l’arcangelo li avrebbe curati ed erano le icone che assi-
curavano la presenza dell’arcangelo nel santuario. Queste credenze
erano profondamente radicate nella devozione popolare: l’olio bene-
detto, tratto dal lume acceso davanti alla sua icona, miscelato con
acqua, era una pozione curativa per la guarigione degli ammalati.
Nella devozione ortodossa, all’arcangelo Michele era attribuita la
capacità di tenere lontano dal bestiame la magia nera che poteva dan-
neggiarlo: era considerato guaritore e protettore del bestiame. Nei vil-
laggi russi San Michele era celebrato il 2 Settembre con un ufficio di
ringraziamento per aver rivelato al Santo Mammas di Cappadocia,
pastore, una preghiera che proteggeva il bestiame (in particolar modo
i cavalli) dalla moria. Questo aspetto del culto dell’arcangelo è testi-

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L’Angelo nell’icona russa

moniato dalle icone dedicate ai Santi Floro e Lauro, nelle quali la figu-
ra di Michele è centrale (Tav. 25).

Tavole 5 (Michele)

GABRIELE ANGELO DELL’ANNUNCIAZIONE

“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città


della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un
uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiama-
va Maria. Entrando da lei, disse: ‘Ti saluto, o piena di grazia, il Signore
è con te’. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso
avesse un tale saluto. L’angelo le disse: ‘Non temere, Maria, perché hai
trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce
e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il
Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sem-
pre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine’.”
Luca, 1,26-38

Il nome di Gabriele (“la mia forza è Dio” oppure “uomo di Dio”)


appare per la prima volta nell’Antico Testamento, nel libro di Daniele
(8, 16-26), dove Gabriele interpreta la visione avuta dal profeta. Di
Gabriele si parla soprattutto nel libro apocrifo di Enoch, che lo pre-
31. Angelo custode, particolare della senta come uno dei quattro angeli a cui gli uomini indirizzano le pro-
Tav. 36. prie preghiere affinché si rimedi alle nefandezze che li tormentano. Per
questo il Signore invia Gabriele a distruggere i giganti che erano nati
dal rapporto illegittimo fra gli angeli (poi decaduti) e le figlie degli
uomini. In altre parole, emerge inaspettatamente il carattere guerresco
di Gabriele che, in un altro passo, è definito come colui “che presiede
a tutte le forze”14.
Comunque, è soprattutto grazie all’Annunciazione a Maria che l’ar-
cangelo Gabriele è inciso nella coscienza della cristianità (Fig. 31).
Nell’immaginario collettivo egli ricopre, perciò, il ruolo del messo
divino per eccellenza. L’episodio dell’Annunciazione è centrale nell’e-
conomia del disegno divino per la salvezza degli uomini, sicché si spie-
ga perfettamente anche la sua fortuna iconografica, della quale sareb-
be impossibile dare conto in maniera completa. Gabriele profetizza la
grandezza divina del Figlio, la nascita di colui che conclude l’antica
alleanza e risponde all’obbiezione della Vergine, accogliendo alla fine
la sua umile condiscendenza al piano di Dio. Gabriele è, dunque, l’an-
gelo incaricato da Dio per preannunciare i tempi messianici.
Nel Vangelo di Luca (1, 8-20) Gabriele era apparso a Zaccaria per
32. Angelo custode, disegno dal annunciargli la nascita di Giovanni il Battista (Fig. 32). Mentre
manuale iconografico russo Zaccaria sta per deporre l’incenso sull’altare, l’arcangelo gli appare sul
“Ponlinnik” , XIX secolo. lato destro (che significa buon augurio) per annunciargli la nascita di
un figlio che dovrà chiamare Giovanni. Nella storia evangelica
Gabriele si presenta come araldo della buona novella, interviene sulla
14. Cfr. M. Bussagli, Gabriele, l’angelo terra come messaggero per portare sempre un grande e lieto annuncio.
dell’Annunciazione, pp. 148-151. Egli è, perciò, uno dei servitori più vicini a Dio, i quali conoscono i

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L’Angelo nell’icona russa

suoi disegni e sono abilitati a rivelarli.


Dopo l’Annunciazione Gabriele interviene ancora nel momento
della persecuzione di Erode: “Un angelo del Signore apparve in sogno
a Giuseppe e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e
fuggi in Egitto’.” (Matteo 2,13). Infine, nel momento della Seconda
Venuta del Signore, l’arcangelo Gabriele si presenterà alla sinistra del
Giudice per implorare, insieme ad altri Santi, la sua misericordia.
Questo ruolo di intercessore è messo in evidenza nella composizione
della Deesis che costituisce il nucleo centrale dell’iconostasi (Tav. 11,
12, 33, 34).

Tavole 6 (Gabriele)

RAFFAELE E L’ANGELO CUSTODE

“Angelo Santo, sta’ innanzi alla mia anima miserabile e alla mia vita
di passioni, non abbandonare me peccatore e non allontanarti da me
a causa della mia intemperanza. Non permettere al demonio maligno
di possedermi con la violenza tramite questo corpo mortale. Fortifica
la mia povera e debole mano e guidami sulla via della salvezza. Angelo
Santo di Dio, custode e protettore della mia anima e del mio corpo
miserabile, perdonami tutto ciò con cui ti ho offeso tutti i giorni della
mia vita; se ho peccato in qualcosa nella notte trascorsa, proteggimi in
questo giorno e preservami dalle tentazioni nemiche, affinché con nes-
sun peccato io irriti Dio; e prega per me il Signore di fortificarmi nel
suo timore e di fare di me un degno servo della sua bontà. Amen.”

Preghiera all’angelo custode


Macario Grande, IV secolo

Il nome dell’arcangelo Raffaele significa “Dio guarisce”. Infatti egli,


secondo la tradizione giudaica, è l’angelo dai poteri taumaturgici a cui
sono attribuite le funzioni più disparate. Raffaele è definito “uno dei
sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della mae-
stà del Signore” (Tobia 12,15). Al suo nome è legata la storia di Tobia
che parte verso Ecbatana, dove l’attenderanno le nozze con Sara,
accompagnato da un giovane di nome Azaria. Egli ignora che, sotto le
spoglie di questa persona, si cela un angelo di nome Raffaele che libe-
rerà Asmodeo, la promessa sposa di Tobia, dal malefico influsso del
demonio e farà recuperare la vista a suo padre. Come è facile intuire,
il racconto è percorso da elementi fiabeschi, ma la certezza dell’esi-
stenza di un “angelo custode” del giusto è indiscussa.
Nel Libro di Enoch, Raffaele accompagna le anime nel loro viaggio
ultraterreno e veglia sugli uomini affinché conseguano la beatitudine
eterna. Il suo volto e le sue ali sono di una luce pari a quella del sole.
Egli è considerato potente e molto forte e la sua caratteristica è quella
di avere un cuore lieto. Gli Ebrei reputavano, inoltre, che Raffaele
avesse il compito di muovere le acque della piscina di Bethseda con il
vento generato dal movimento delle sue ali. Si credeva che il primo

81
L’Angelo nell’icona russa

entrato nelle acque da lui smosse, sarebbe stato guarito da ogni malat-
tia. Il suo ruolo di “custode della salute” emerge nell’episodio in cui
Cristo sana un paralitico (Giovanni 5, 4) il quale, a causa della sua
malattia, aveva deciso di non allontanarsi dalla piscina per tentare di
gettarvisi per primo dopo la venuta di Raffaele, ma proprio a causa
della sua infermità non poteva farlo15.
Nella Chiesa ortodossa l’arcangelo Raffaele è venerato come patro-
no della medicina, guaritore delle malattie e delle ferite. Infatti, l’olio
Santo per i malati viene miscelato sotto la protezione di Raffaele.
Questo aspetto del suo culto è legato forse alla storia del pesce, quan-
do l’arcangelo insegna a Tobia a fare suffumigi per guarire gli occhi e
cacciare gli spiriti maligni (Tobia 6, 1-9). I testi magici lo invocano più
volte, mentre nelle icone raramente è rappresentato da solo ma piut-
tosto insieme a Tobia (Tav. 35). Talvolta, può comparire insieme agli
33. Il cristiano, l’angelo custode, il altri arcangeli nelle composizioni della Sinassi delle forze celesti o in
diavolo e il “mondo”, fine del XIX quella delle nove ordini angelici (Tav. 6, 8).
secolo, cartolina dipinta (“lubok”) dei L’arcangelo Raffaele è considerato il prototipo dell’angelo custode.
Vecchi credenti.
Nell’Antico Testamento ritroviamo costantemente la concezione
secondo la quale ogni individuo ha un suo angelo come accompagna-
tore, consolatore, sostegno nel pericolo, nelle tentazioni e nell’afflizio-
ne della morte, come guida alla pace eterna. Questa idea è, d’altronde,
reiterata nella preghiera dei Salmi. Nel Salmo 90 (91) è descritto il
ministero dell’angelo custode: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custo-
dirti in tutti i tuoi passi” (Fig. 33).
Nell’angelo custode del cristianesimo gli elementi della cultura
ebraica si fondono con quelli dell’esperienza religiosa pagana. La figu-
ra divina del genio pagano (il soccorritore dell’individuo dalla nascita
alla morte) cesserà ufficialmente con l’editto di Teodosio del 392, ma
la sua irresistibile forza come principio spirituale sopravvivrà nell’im-
magine cristiana dell’angelo custode. In questa attraente figura angeli-
ca si fondono in maniera estremamente suggestiva le credenze popola-
ri e le verità dottrinali delle religioni del Libro, del sacro e del profano.
Il culto dell’angelo custode è profondamente radicato in Russia:
l’antica preghiera riportata all’inizio del capitolo anche oggi è recitata
34. Ospitalità di Abramo, mosaico dai Russi ogni mattina (Tav. 36). I temi principali di questo culto sono
della basilica di S. Vitale VI secolo, esposti nel canone scritto nell’XI secolo dal metropolita di Euchaita
Ravenna. Giovanni Mauropodo. Nonostante l’importanza e l’antichità del culto
dell’angelo custode, nell’arte bizantina non si trovano sue raffigurazio-
ni. Le prime immagini nell’arte russa risalgono al XVI secolo e la for-
mazione definitiva della sua iconografia si verifica assai tardi, verso il
1600, a Mosca16. La sua iconografia è sostanzialmente quella degli
arcangeli: è raffigurato con vesti bianche; gli elementi distintivi sono la
croce a otto punte nella mano destra e la spada in quella sinistra (Fig.
34); talvolta ha sul petto un clipeo con l’immagine di Cristo
Emanuele. Una delle probabili fonti dell’iconografia è considerata l’a-
15. Cfr. M. Belloli, Raffaele l’angelo pocrifo Apocalisse dell’apostolo Paolo. Un’altra fonte che influì sull’ico-
custode, pp. 145-147.
16. Cfr. T. Daiber, Aufschriften auf rus-
nografia sono le incisioni occidentali del Libri dei morti. Le icone con
sischen Ikonen, Freiburg 1997, S. 159- la raffigurazione dell’angelo custode erano molto diffuse dal XVII al
269. XIX secolo. Talvolta, la figura dell’angelo custode si trova sui bordi

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L’Angelo nell’icona russa

delle icone, insieme ai Santi patroni dei committenti.


È necessario, però, distinguere l’omonimo Santo protettore di una
persona dal suo angelo custode, che non ha un nome. Ma quando a
un individuo viene assegnato un angelo custode? Secondo Tertulliano
(II secolo), la persona è custodita dall’angelo già nel grembo della
madre. Il canone di Giovanni Mauropodo offre un’altra risposta: l’an-
gelo è assegnato ad un uomo nel momento del battesimo e per l’eter-
nità. L’angelo custode accompagna la persona per tutta la sua vita, lo
protegge ed aiuta ad opporre resistenza al diavolo, lo assiste nella
morte e porta la sua anima in cielo. Nel Giudizio Universale l’angelo
custode intercederà per l’anima al cospetto del Giudice supremo e, nel
caso di remissione, diventerà un suo compagno per sempre.
Il culto dell’angelo custode era particolarmente importante negli
ambienti dei Vecchi credenti (così viene denominata la parte dell’or-
todossia russa che aveva rifiutato di aderire alle riforme ecclesiastiche 35. Andrei Rublev, Trinità, inizio
del XV secolo.
introdotte dal patriarca Nikon alla metà del XVII secolo). L’arte dei
Vecchi credenti, ai margini della vita ecclesiastica ufficiale (furono per-
seguitati fino all’inizio del ‘900), presentava ciononostante un filone di
estrema importanza nell’ambito dell’icona russa di epoca tardiva, in
quanto conservava le tradizioni più antiche.
Era comune a tutti i Vecchi credenti avere attese escatologiche, un
acuto sentimento dell’avvicinarsi della fine del mondo, la percezione
di vivere “gli ultimi tempi”. I soggetti legati a questo tema (come il
Giudizio Universale, Arcistratega Michele condottiero delle forze celesti,
Resurrezione-Discesa agli inferi, Angelo custode con Santi) ebbero una
notevole diffusione nel loro ambiente. L’attenzione dedicata
all’Apocalisse spiega anche il gran numero di icone di San Giovanni,
l’autore dell’opera. Per i Vecchi credenti il mondo era ormai nel pote-
re del demonio ed, in questo contesto, cresceva notevolmente il ruolo
ed il culto dell’angelo custode. Una tale concezione del mondo è rap-
presentata in un disegno su carta chiamato lubok, dipinto negli
ambienti dei vecchi credenti (Fig. 35). A destra è raffigurata una ragaz-
za di costumi leggeri con le mani sollevate, identificata dalla scritta
come simbolo del mondo. Accanto a lei un diavolo tira l’arco, met-
tendo alla prova il fedele presentato a sinistra. Ma lui è fermo nelle sue
convinzioni perché è protetto dall’angelo custode, la cui potente figu-
ra si presenta al centro della composizione. L’angelo sostiene davanti a
sé un grande clipeo con la raffigurazione della croce impiantata sul
Golgota: si tratta dello scudo della fede. L’angelo custode proteggeva
un Vecchio credente dal mondo che lo circondava, ma prendeva anche
nota di tutte le opere buone della persona che doveva presentare nel
Giudizio universale all’arcangelo Michele17.
La devozione all’immagine sacra, e specialmente all’icona dell’an-
gelo custode, è descritta in modo particolarmente suggestivo da N.
Leskov nel racconto L’angelo suggellato (1863). L’autore conosceva
bene gli ambienti dei Vecchi credenti, poiché era stato incaricato dal
Ministero dell’Istruzione di San Pietroburgo di ispezionare le loro
scuole. Il giovane protagonista del racconto, che si spostava in conti- 17. Cfr. O.J. Tarasov, Ikona i
nuazione per lavoro insieme alla brigata dei Vecchi credenti, così blago_estie, pp. 113-114.

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L’Angelo nell’icona russa

descrive due icone venerate nella sua comunità: “Non si può dire con
le parole che opere d’arte erano queste due immagini sacre! Se guardi
la Vergine e come davanti alla sua purezza si inchinino anche gli albe-
ri inanimati, il cuore ti si strugge e trema; guardi l’Angelo... che gioia!
Questo Angelo era in verità qualcosa di indescrivibile. Il suo volto, l’ho
davanti agli occhi, era luminoso come Dio e pronto ad aiutare; il suo
sguardo tenero; gli orecchi portavano dei fasci di raggi a indicare che
prestavano ascolto in tutte le direzioni; i suoi vestimenti ardevano,
tanto erano sparsi di pietre preziose ed oro; la corazza era ornata di
penne e sotto le ascelle passavano le cinture; sul petto portava l’imma-
gine di Cristo Emanuele; nella sua mano destra la croce, nella sinistra
una spada ardente! Meraviglioso, meraviglioso! I capelli sulla sua testo-
lina erano ricciuti, di color biondo scuro e scendevano sulle orecchie
in boccoli ed erano fermati l’uno all’altro con un piccolo ago. Le ali
erano larghe e bianche come la neve davanti, dietro azzurre chiare; le
penne erano una accanto all’altra e tra un ciuffo e l’altre biancheggia-
vano dei cirri. Guardando queste ali passava ogni angoscia; pregavi:
‘Proteggimi’ e subito ci si sentiva tranquilli e tutta l’anima era in pace.
Questa si che era un’icona! Queste due immagini erano per noi come
per gli ebrei il tabernacolo ornato dall’arte meravigliosa di Bezaele”18.

Tavole 7 (Raffaele)

CRISTO ANGELO DEL GRAN CONSIGLIO

“La Sapienza si è costruita la casa,


ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino
e ha imbandito la tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
‘Chi è inesperto accorra qui!’.
A chi è privo di senno essa dice:
‘Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate la stoltezza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza’.”
Proverbi 9, 1-6

L’immagine di Cristo nelle sembianze di un angelo, immagine sim-


bolica della Sapienza di Dio, compare nell’arte dell’Oriente cristiano
già nel VI secolo: in alcune catacombe nei pressi di Alessandria
(Egitto), i cristiani raffigurano un angelo alato con la scritta in greco
“Sofia Gesù Cristo”. Il tema della Sapienza divina occupa uno dei posti
centrali della spiritualità cristiana e racchiude in sé una lunga e com-
plessa storia di simboli, concezioni ed idee espressi nelle Sacre Scritture
e rielaborati in seguito nella ricca tradizione patristica e nell’innografia
18. Cfr. N. Leskov, L’angelo suggellato, orientale. L’idea della Sofia Sapienza divina si concretizzò già nel VI
pp. 522-523. secolo nella costruzione del tempio ad essa dedicato a Costantinopoli,

84
L’Angelo nell’icona russa

che divenne il principale santuario e centro spirituale dell’Oriente cri-


stiano. Più tardi, nella prima metà dell’XI secolo, sull’esempio di
Costantinopoli, sorsero Chiese analoghe anche nell’antica Russia, a
Kiev, a Novgorod, a Polock. Sostanzialmente ognuno di questi templi
rappresentava la “Dimora della Sapienza” di cui si parla nel Libro dei
Proverbi: era, cioè, assimilato al Santo dei Santi del tempio di
Salomone, dove il Signore abitava.
La parola “Sofia” non veniva intesa solo come nome della principa-
le opera della Sapienza (la Chiesa), che prefigurava il futuro Regno di
Dio. Essa era anche il segno della presenza divina, della gloria divina;
era il sigillo dello Spirito Santo; infine, era il nome del suo dono, la
saggezza. Nella coscienza dei credenti, l’immagine della Sapienza ipo-
statica (Gesù Cristo) non è mai divisa dalle sue opere, testimonianze
visibili della sua azione benefica, dalle multiformi manifestazioni della
provvidenza divina nel mondo.
Quale pensiero teologico ispirò gli artisti a raffigurare Cristo con le
ali? La figura alata della seconda Persona della Trinità doveva esprime-
re il concetto dell’esistenza sempiterna del Verbo nel seno del Padre.
Evidentemente, nessuna immagine ad eccezione di quella angelica, che
rimandava a uno stato incorporeo e increato, era in grado di tradurre
adeguatamente il suo principio creativo, il Verbo o la Sapienza. Nei
libri delle Sacre Scritture, e poi nei Padri e nei dottori della Chiesa,
l’immagine del Figlio di Dio non ancora incarnato, ossia l’Angelo del
Gran Consiglio (come lo chiama il profeta Isaia), occupa un posto
centrale: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle
sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammi-
rabile, Dio potente, Principe della pace.” (Isaia 9,5). Proprio l’imma-
gine dell’Angelo del Gran Consiglio lega naturalmente in unità
l’Antico ed il Nuovo Testamento. Essa indica il nesso esistente tra que-
sta immagine e la Sapienza che siede in trono accanto al Padre.
Secondo la tradizione della Chiesa orientale, l’Angelo della Sapienza
viene inteso come seconda Persona della Santa Trinità (Sapienza incar-
nata, Figlio di Dio) ed ha un comune prototipo iconografico, il Cristo-
Angelo delle composizioni della Trinità dell’Antico Testamento.
Le immagini di Cristo Sapienza di Dio raffigurato nelle sembianze
di un angelo trovano un’ampia diffusione nell’arte orientale non prima
della fine del XIII secolo, nel contesto del movimento mistico degli
esicasti. Si tratta di un’antica tradizione mistica dell’Oriente cristiano
che vive, in quell’epoca, una rinascita ed una nuova fioritura. Per il
pensiero esicasta era particolarmente importante mettere in risalto l’a-
spetto eucaristico del tema. L’illustrazione del testo dei Proverbi di
Salomone (principale testo sapienziale) rispondeva in modo ideale alle
ricerche di una rappresentazione figurativa del sacramento
dell’Eucarestia e, nel contempo, racchiudeva in sé le idee fondamenta-
li dell’economia salvifica divina. La raffigurazione di questo episodio
comparve sia negli affreschi (San Clemente a Ochrid, 1295; affreschi
di Gracanica, 1321; Decani, 1348; Monte Athos, Georgia e infine
Russia, affreschi di Volotovo), sia nella pittura delle icone. Tutti questi
documenti illustrano l’identità tra l’idea e l’espressione iconografica

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L’Angelo nell’icona russa

attraverso figure simboliche astratte: la Sapienza (raffigurata con le


sembianze di un angelo), Cristo-Verbo, edifica il suo tempio su sette
colonne, la sua mensa è il simbolo dell’Eucarestia. L’idea del Messia-
angelo, assunta dall’ebraismo, fu applicata a Cristo, sottolineandone la
vocazione di Verbo incarnato, “inviato” del Padre.
La raffigurazione più diffusa del Cristo Sapienza nell’icona russa è
quella di Sofia Sapienza di Dio, chiamata “variante novgorodiana”19
(Tav. 37). Il suo prototipo risale all’icona patronale della Cattedrale di
Santa Sofia a Novgorod, consacrata alla Sapienza già nell’XI secolo.
L’iconografia si forma però solo nel XV secolo. Sono state soprattutto
le idee degli esicasti sulla natura e sull’essenza dell’energia divina ad
influenzare l’iconografia della Sapienza. La sua figura ci introduce nel
mondo mistico dell’incarnazione, contemperando in sé tutta la ric-
chezza delle idee e dei simboli cristiani, svelando ad uno ad uno i prin-
cipali contenuti dogmatici dell’economia salvifica divina.
Cristo Angelo è reso di fuoco, nelle icone della Sofia, con il colore
rosso (Tav. 37). Questo colore occupa un posto particolare nel sistema
della simbologia cromatica. È il simbolo del sangue versato da Cristo,
ma soprattutto è il colore dell’energia divina, attributo costante di Dio
e segno della sua manifestazione nel mondo. Nell’Antico Testamento
vediamo l’intervento del “fuoco divino” che lascia miracolosamente
illesi i tre fanciulli nella fornace ardente. Questo fuoco brucia, senza
consumarlo, il roveto ardente, davanti agli occhi sbigottiti di Mosè. In
forma di fuoco lo Spirito Santo discende dal cielo, nella scena
dell’Annunciazione, per entrare nel grembo della Vergine. Lingue di
fuoco discendono sugli apostoli, nella scena della Pentecoste, come
dono della grazia divina, che illumina gli apostoli e dà inizio alla
Chiesa apostolica.
Un antico testo russo, contemporaneo alla creazione del soggetto
della Sofia Sapienza divina, ne rappresenta un commento ed offre
informazioni interessanti. L’importanza di questo testo per la tradizio-
ne iconografica della Sapienza nell’antica Russia è testimoniata dal
fatto che esso venne incluso nei manuali russi di iconografia.
L’anonimo autore così scrive: “Il fuoco è la divinità che consuma le
passioni corruttibili, illuminando ogni anima pura”. Il fuoco, inteso
come energia divina, rende una persona partecipe del sapere divino. Il
fuoco è anche simbolo della luce: proprio questa sua qualità spiega il
significato delle icone a fondo rosso caratteristiche della pittura di
Novgorod. In esse, il fondo rosso sostituisce quello tradizionale dora-
to, conservandone la semantica della luce. In tal modo, l’angelo con il
volto rosso esprime l’idea del fuoco come attributo di Dio, come sua
manifestazione ed energia, ed al tempo stesso ne esprime la Sapienza
(Tav. 37, 42).
Il rosso del volto e delle mani della Sofia, la luminosità e la santità
che spirano dalla sua immagine diventano un fulgore fiammeggiante
che non rispecchia solo la luce divina che si riversa nel mondo, ma ne
appare anche la sorgente. Come affermava Gregorio Palamas (l’espo-
19. Cfr. S. Gukova, Sofia Sapienza divi- nente più importante della mistica esicasta), è l’immutabile bellezza, la
na, pp. 40-53. gloria di Dio, di Cristo e dello Spirito Santo, raggio della Divinità.

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L’Angelo nell’icona russa

Questa è, appunto, l’energia divina di cui parlano gli esicasti, la luce


del Tabor che fu una manifestazione della divinità di Cristo.

TRINITÀ DELL’ANTICO TESTAMENTO

Un altro soggetto che presenta l’immagine simbolica di Cristo alato


è la Trinità dell’Antico Testamento. Questo tema è riferito al passo
della Genesi (18, 1-8) che parla della visita dei tre uomini ad Abramo
alla quercia di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda.
Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda per offrire
ospitalità ai forestieri. “Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da
Sara, e disse: ‘Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focac-
ce’. All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e
buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido
e latte fresco insieme con il vitello che aveva preparato e li porse a loro.
Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli
mangiarono”.
La storia dell’esegesi teologica di questo passo è molto lunga ed
offre, in effetti, diversi spunti di riflessione: il sacrificio di Isacco, la cui
nascita fu promessa dai tre visitatori, è interpretato come una prefigu-
razione veterotestamentaria del sacrificio di Cristo; mentre l’apparizio-
ne dei tre uomini ad Abramo viene commentata come un’anticipazio-
ne della Santa Trinità. Questa tradizione interpretativa è profonda-
mente radicata anche nella liturgia. Nei canoni sulla Trinità, il teologo
ed innografo Metrofane di Smirne (IX secolo) accenna più volte alla
visita di Dio ad Abramo: “Apparendo in tre persone, e tuttavia Uno
per la natura della divinità, tu un tempo hai mostrato con chiarezza ad
Abramo la purissima conoscenza divina in immagine. E noi con fede
inneggiamo a te, o Dio dei tre soli che domini incontrastato”. Qui
Metrofane cerca prima di tutto di dimostrare che l’apparizione di Dio
in veste umana era un “simbolo”. Ad Abramo non fu manifestata l’i-
dentità personale del Padre, del Figlio e dello Spirito, ma piuttosto l’u-
nità dell’essenza e la trinità delle Persone della Santa Trinità. L’Antico
Testamento contiene solo “santi segni”, la cui realtà è stata manifesta-
ta solo nel Nuovo Testamento20.
Ma non si parla mai di “purissimi spiriti”, come noi siamo soliti
definire gli angeli, perché per i semiti era quasi impossibile concepire
una creatura in termini solo spirituali, separata dal corpo (Dio stesso è
raffigurato antropomorficamente).

L’iconografia si è interessata molto presto della rappresentazione


della “Ospitalità di Abramo”. Le prime raffigurazioni risalgono ai pri-
mordi dell’iconografia cristiana, diventando col tempo sempre più
numerose, specialmente nella Chiesa orientale. La più antica immagi-
ne finora conosciuta è un affresco, unico nel suo genere, risalente alla
prima metà del IV secolo, nelle catacombe sulla Via Latina di Roma.
Al secolo successivo appartiene lo splendido mosaico di Santa Maria
Maggiore (prima metà del V secolo). Nella zona superiore del mosai- 20. Cfr. G. Bunge, Lo Spirito
co Abramo, inginocchiato, saluta gli ospiti che arrivano. I “tre uomi- Consolatore, p. 38.

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L’Angelo nell’icona russa

ni” sono raffigurati come giovani imberbi vestiti di bianco e portano il


nimbo. La figura centrale è completamente avvolta in una mandorla,
per cui si distacca chiaramente dai suoi due compagni.
Un altro documento importante è il grande mosaico di San Vitale
a Ravenna (anteriore al 547) (Fig. 36). Già a quell’epoca le scene sacri-
ficali veterotestamentarie erano intese come typoi del banchetto sacri-
ficale eucaristico. Qui i tre giovani si assomigliano l’un l’altro quasi
perfettamente, salvo che nei gesti. Queste testimonianze del primo
millennio permettono di identificare molto chiaramente la tipologia
iconografica più antica. I tre ospiti di Abramo erano visti fin dall’ini-
zio come angeli, messaggeri divini, anche se in un primo momento si
trovano scarse allusioni al riguardo: i tre sono rappresentati come gio-
vani imberbi in bianche vesti, non hanno le ali né tratti particolari che
li distinguono. Anzi, sono spesso addirittura identici e solo gradual-
mente, oltre al nimbo, acquistano anche le ali e la verga. Questa tipo-
logia rimane sostanzialmente invariata per molti secoli.
Dopo il periodo iconoclastico incontriamo per la prima volta un
nuovo tipo iconografico, destinato ad avere una vasta diffusione. Gli
elementi della rappresentazione sono ancora essenzialmente i soliti:
una tavola riccamente imbandita, i tre angeli, sulla porta Sara dubbio-
sa, Abramo con i suoi doni, il vitello in primo piano, eppure è tutto
diverso. Gli ospiti non siedono più in fila uno accanto all’altro dietro
la tavola, ma sono raggruppati attorno ad un tavolo che ora è spesso
semicircolare. La tendenza a distinguere l’angelo di centro dagli altri
due qui viene sottolineata ancora mediante diversi attributi: l’angelo
centrale è spesso più grande degli altri; il colore della sua veste si dif-
ferenzia; lui solo reca un rotolo nella sinistra, mentre la destra si leva
in gesto benedicente e lui solo porta un nimbo crociato (Fig. 37).
Successivamente sulle icone si troverà spesso la scritta IC XC, il mono-
gramma del nome di Gesù in greco. Il titolo è sempre “La Santa
Trinità”.
La più celebre immagine della Trinità, considerata una delle opere
più alte dell’arte russa, appartiene al pennello di Andrei Rublev (Fig.
38). L’icona fu commissionata come immagine patronale della
Cattedrale nel monastero della Trinità di S. Sergio (Sergiev Posad pres-
so Mosca). Sergio di Radone_ (1314-1392), venerato come Santo
quando era ancora in vita, aveva una venerazione del tutto speciale
della Trinità. Le parole di Cristo “che tutti siano una cosa sola”, riferi-
te da San Giovanni, guidarono il Santo, ispirandolo a dedicare il suo
monastero alla Santa Trinità. Dal pensiero di San Sergio (“contem-
plando la Santissima Trinità vinciamo l’odiosa divisione di questo
mondo”) scaturì un programma di vita che non solo irradiò in tutto il
Paese una potente ondata di fondazioni monastiche ma, in qualche
modo, seppe plasmare la coscienza nazionale e sociale della Russia.
L’icona di Rublev era talmente venerata da essere ridipinta e restau-
rata decine di volte. Nel suo lavoro l’iconografo procedette in modo
molto tradizionale, accontentandosi di apportare poche modifiche
rispetto alle icone precedenti. In questo senso, il beato Andrej Rublev
non concepì niente di nuovo e la sua icona della Trinità, valutata

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L’Angelo nell’icona russa

archeologicamente, sta nella lunga trafila dei suoi precedenti. Eppure


la mano di un genio creò un’immagine splendida ed irrepetibile al
punto che il Concilio dei Cento capitoli (1547) raccomandò agli ico-
nografi di dipingere la Santa Trinità su modello di Rublev. Nella dis-
posizione delle figure, nei contorni e nei colori traspare chiaramente la
capacità ispirata del pittore di svelare con ogni pennellata la profondi-
tà del pensiero. La scena veterotestamentaria è raffigurata dall’artista in
chiave simbolica, senza particolari narrativi, senza le figure di Abramo
e Sara. Egli raffigura tre angeli come simbolo dell’unità, accogliendo
l’eredità spirituale di San Sergio. L’impressione di unità fra gli angeli
viene ottenuta attraverso la comunanza dei loro sentimenti, la quieta e
luminosa mestizia, l’inserimento delle figure in un cerchio ideale in
cui, seguendo l’inclinazione delle tre teste, si crea un lento movimen-
to circolare, che si ripete all’infinito.
Nonostante la somiglianza, fra i tre ha maggior risalto l’angelo cen-
trale, le cui vesti (la tunica porpora ed il manto blu con una fascia
dorata sulla spalla) ed il gesto della mano che si avvicina alla coppa (il
calice eucaristico) alludono al Dio-Figlio, seconda Persona della
Trinità. La figura di sinistra rimanda, invece, a Dio-Padre, e la terza
allo Spirito Santo. Tutto è permeato da un profondo sentimento liri-
co, come se davanti all’occhio interiore si fosse svelato uno spettacolo
meraviglioso ed armonioso. Questo non significa che la rappresenta-
zione sia stata creata sotto un’impressione immediata ma, anzi, vi
penetrò un’esperienza ed un sentimento secolari.
Le icone esposte appartengono a diverse epoche e a varie tradizioni
pittoriche della Russia. Nella complessità di questa raccolta poliedrica
si può evidenziare un gruppo di icone (Tav. 5, 8, 16, 18, 35) che
mostrano le medesime caratteristiche di esecuzione e di stile: la man-
canza di incavo; la pittura eseguita su un foglio d’oro delicatamente
inciso nelle parti libere dalla pittura; i volti tondeggianti che ricorda-
no i modelli del XVIII secolo; la tavolozza dalle tinte forti di bianco,
di blu e di rosso che conferiscono alla pittura un forte carattere deco-
rativo; le iscrizioni sul bordo superiore in caratteri rossi. Queste parti-
colari caratteristiche si trovano nelle icone che provengono da un
importante centro dei Vecchi credenti di Vetka, situato nella regione
di Gomel (Bielorussia). Questo territorio apparteneva al Gran Ducato
Lituano dove i profughi perseguitati dalle autorità russe hanno trova-
no un rifugio. Talvolta anche lo schema iconografico è identico, come
nel caso della Sinassi dell’arcangelo Michele21 (Tav. 8). A Vetka era lega-
to probabilmente un altro centro iconografico, quello di Klincy del
governorato di Brjansk (Russia occidentale), che mostra caratteristiche
molto affini. Alcuni documenti della medesima provenienza si trova-
no nella collezione della Banca Intesa (Vicenza)22.
Si tratta probabilmente di un laboratorio dei Vecchi credenti, come
si evince dalla coerenza nella scelta dei soggetti prediletti in questi 21. Cfr. Neciaeva G., Vetkovskaja ikona,
ambienti e dall’osservanza dei canoni antichi. Lo stile di queste icone Minsk 2002, p. 164.
22. Cfr. Icone russe della collezione della
mostra delle affinità con quello di un altro centro della cultura dei Banca Intesa. Catalogo ragionato, Electa
Vecchi credenti che si trovava a Vetka nel governorato di Gomel’ 2003, vol. III, N 336, p. 719; N 384, p.
(odierna Bielorussia), geograficamente assai vicino. 797; N 389, p. 807.

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L’Angelo nell’icona russa

Tavole 8 (Cristo Angelo)

ANGELI E LA MADRE DI DIO

“È veramente giusto proclamare beata te, o Deipara, che sei beatis-


sima, tutta pura e Madre del nostro Dio. Noi magnifichiamo te, che
sei più onorabile dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei
serafini, che in modo immacolato partoristi il Verbo di Dio, o vera
Genitrice di Dio”.

Dalla Liturgia di San Giovanni Cristostomo

Tavole 9 (Madre di Dio)

ANGELI NELLA VITA DEI SANTI

“Tutti voi, cori dei profeti e dei martiri,


che godete della vita eterna,
intercedete senza pausa per noi tutti,
poiché tutti siamo in mezzo ai pericoli,
affinché salvati dall’inganno del malvagio,
possiamo cantare l’inno degli angeli:
Santo, Santo, Santo, Signore tre volte Santo,
abbi pietà di noi e salvaci”.

Dalla preghiera litanica della piccola Compieta


dell’ufficio bizantino

Tavole 10 (Santi)

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