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Diritto patrimoniale canonico

Prof. Cristian Begus

Lunedì, 5 ottobre 2020 – 1° lezione


Parlando dei beni temporali, la prima questione da considerare è l’oggetto del nostro studio.
Cosa è un bene temporale ecclesiastico? Abbiamo anche altre categorie di beni, ma l’oggetto di
studio del corso è limitato a questo.

Occorre distinguere tra bene e semplice cosa. Il bene ha una utilità per la persona, è quanto va a
soddisfare i bisogni della persona. La definizione che equipara il bene a quanto abbia un valore
economico è errata. Il classico esempio che si fa è quello del bambino che raccoglie una conchiglia
in riva al mare. Raccogliere la cosa esprime un possesso.

Vediamo come per l’ordinamento canonico il fatto che una cosa abbia una valutazione economica
non significa che diventi un bene. La possibilità che hanno certe cose di creare un rapporto di
appartenenza escludendo gli altri soggetti. Quello che rileva nel diritto sono i rapporti tra i soggetti
che vengono in considerazione: il proprietario esclude gli altri nel rapporto col suo bene.

Vediamo di cercare un elemento positivo di sostegno: can 1257.


Perché si parla di appartenenza? Il primo diritto che ci viene in mente è il diritto di proprietà,
perché tutti gli altri diritti derivano dal diritto di proprietà. Non neghiamo la rilevanza del diritto di
proprietà.
Da un lato è ovvio che il diritto di proprietà sia un punto di riferimento importante, ma il fatto che
venga utilizzata la categoria di appartenenza esprime altro.
La tutela dei diritti che io posso avere su un’opera specifica non deriva dal diritto di proprietà.

Oggetto del nostro studio è il bene, ma bene che viene qualificato ulteriormente. Quando un bene
diventa ecclesiastico? Quando c’è un rapporto tra il bene e la persona giuridica pubblica.
Possiamo possedere beni nei termini in cui questi beni servono per perseguire determinate
finalità, senza le quali quei beni non avrebbero alcun senso. Ma il codice dice che non è la finalità
ma l’appartenenza.
I beni delle persone giuridiche privata non sono ecclesiastici. quando si fa questa affermazione si
utilizza un criterio per cui il legislatore dove vuole dice e dove non vuole tace! Il criterio è stato
ampliamente eliminato nell’interpretazione delle norme di qualsiasi ordinamento, perché non ci
porta da nessuna parte. ha detto o ha taciuto? Né l’uno né l’altro: è un criterio inutile.
Il canone poteva essere formulato meglio, ma è legato alla scarsa comunicazione che vi era tra le
varie commissioni: chi ha deciso la differenza tra le persone pubbliche e private lavorava
autonomamente da chi lavorava sul patrimoniale.
Possiamo dire che i beni della persona giuridica privata sono ecclesiali e non ecclesiastici.

Ci preme dire che non sono ecclesiastici i beni appartenenti alla persona fisica, né sono beni
ecclesiastici i beni appartenenti alle persone giuridiche private.
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Dobbiamo fare una distinzione per le associazioni: i beni di un’associazione pubblica sono beni
ecclesiastici; i beni di un’associazione privata non sono ecclesiastici.
I beni ecclesiastici trovano la loro disciplina nel CIC e nel diritto particolare. I beni non ecclesiastici
devono trovare una disciplina negli statuti e altrove, disciplina che non può andare contro il
codice. Il riferimento normativo è al can 1257,2.

I beni sacri sono beni mobili o immobili destinati mediante benedizione al culto divino o alla
sepoltura dei fedeli. Non interessa fondamentalmente che appartengano a una persona giuridica
pubblica o privata o a persona fisica. I beni sacri non sono extra-commercio: possono essere
venduti, acquistati e altro. Quello che si richiede per i beni sacri è un rispetto per il loro carattere
specifico. Non possono essere oggetto di usucapione da privati quando sono in possesso di
persona giuridica pubblica. Possono essere usucapiti solo da altra persona giuridica pubblica.
L’usucapione è prevista per tutelare chi meglio utilizza un bene.

Abbiamo i beni preziosi. Non abbiamo una definizione di bene prezioso nel codice, ma abbiamo
dei riferimenti utili: in considerazione dell’arte, della storia, della vetustà, ecc.
Per il bene prezioso deve essere chiaro questo: non facciamo riferimento al notevole valore per
indicare il bene prezioso. Questa definizione del bene prezioso è del CIC ’17, ma non ci porta da
nessuna parte.

Altra categoria di beni sono i beni culturali citati dal can 1282. Dobbiamo chiederci se veramente
costituiscono una categoria a sé stante. Dobbiamo anche rientrare nella disciplina degli stati.

Altra categoria è il patrimonio della chiesa. dobbiamo chiederci se questa definizione ha un senso
dal punto di vista giuridico. Con questa definizione si fa riferimento all’unitarietà e anche al
Romano Pontefice, ma non è una definizione che ha rilevanza giuridica.
Dobbiamo utilizzare una terminologia che sia specifica del diritto canonico, ma che sia utile anche
per comunicare giuridicamente con gli altri ordinamenti.
Quando parliamo di tassa parliamo di libera offerta, mentre negli altri ordinamenti è una somma
obbligatoria da versare. Dobbiamo necessariamente parlare con gli altri ordinamenti giuridici e
capirci.
Se parliamo di patrimonio della chiesa, dovremmo essere in grado di indicare i beni temporali
amministrati dalla chiesa. Ma faremmo fatica a trovarli: possiamo invece indicare i patrimoni delle
singole persone giuridiche della chiesa.

Consideriamo la funzione del Romano Pontefice sui beni temporali.


Il Romano Pontefice può intervenire sui beni temporali e trasferirli da un soggetto a un altro.
Sembra un’assurdità, ma in realtà è una limitazione al diritto di proprietà. Non è un fenomeno
inspiegabile, anzi possiamo spiegarlo anche nell’ambito di categorie civili usando termini previsti
dalle categorie civili.

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Per la proprietà non abbiamo un verbo specifico: parliamo di possedere. Si tratta del diritto della
chiesa di possedere beni temporali.

Fondamento teologico
La chiesa è stata costituita da Cristo con determinate modalità e necessità operative. Dobbiamo
comunque ritenere che quando si è dato fondamento alla chiesa, le si è concesso di avere beni
temporali.

Fondamento di diritto naturale


Se parliamo con riferimento a diritto di proprietà dovremmo chiederci se è diritto naturale.
Solitamente quando si parla di fondamento di diritto naturale ci si riferisce a cosa? Da un punto di
vista civilista siamo almeno un’associazione: non riconoscere un diritto di proprietà a
un’associazione, significa di per sé non riconoscere il diritto stesso di associazione. Il diritto di
proprietà serve proprio per il raggiungimento dei fini associativi.

Fondamento storico
Questo fondamento fa riferimento alla pratica del diritto di proprietà: fin dalla sua fondazione la
chiesa ha fatto uso di questo diritto. Già negli Atti degli Apostoli e nei primi secoli abbiamo il largo
esercizio del diritto di proprietà.
Sin dai primi secoli c’è stata la tendenza a voler negare il diritto di proprietà della chiesa, ma la
chiesa ha sempre rivendicato il suo diritto.

Come caratteristica del diritto di proprietà: è un diritto nativo e indipendente.


La chiesa non chiede per se stessa dei privilegi. Troviamo degli elementi nel can 1254.
Il verbo retinere indicato nel canone va spiegato in riferimento ai religiosi: essi possono produrre,
ma non possedere.
Con le finalità dei beni temporali che troviamo nel codice la nostra proprietà diventa una proprietà
strumentale, legata alle finalità da perseguire. Il paragrafo 2 del canone indica delle finalità a titolo
di esempio non esaustivo.

Una questione importante è il grado di maggiore o minore importanza di queste finalità. Possiamo
dire con certezza chi è il soggetto deputato a decidere se effettivamente vi sia una finalità che in
un dato momento storico debba prevalere: il Romano Pontefice.

Altra questione considerata preliminare che però ha delle ricadute non indifferenti è chi è il
soggetto titolare di diritto di proprietà. Il CIC del ’17 è chiaro: è il soggetto che ha acquistato i beni.
Questa definizione cambia quando è cambiato il concetto di proprietà. Nella società civile vi
avevano varie distinzioni tra dominio eminente, dominio diretto, dominio utile; nell’ordinamento
canonico vi erano altri domini. Tutto questo sistema cade con la Rivoluzione Francese e con
l’avvento di Napoleone.

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Con il Codice napoleonico dobbiamo indicare una norma chiara che indichi chi è il proprietario del
bene: il bene appartiene alla persona giuridica che li ha acquistati. Il Romano Pontefice ha autorità
su tutti i beni temporali ecclesiastici, ma non ne ha la diretta proprietà.

Un diritto di proprietà illimitato non è mai esistito: in ogni ordinamento sono stati sempre
riconosciuti limiti al diritto di proprietà. Ad esempio il limite relativo alla proprietà dell’altro. La
proprietà è a servizio della comunità.
È evidente che il diritto di proprietà non abbia le caratteristiche di assolutezza che spesso gli
vengono attribuite. Come tanti diritti può essere limitato.
Questo comporta che anche nel nostro ordinamento il diritto di proprietà abbia dei limiti.

Lunedì, 19 ottobre 2020 – 2° lezione

ACQUISTO DEI BENI

Nel codice vengono esposti una serie di principi sull’acquisto dei beni:
 La chiesa rivendica per sé il diritto di acquistare i beni con le stesse modalità con cui lo
fanno gli altri soggetti. La chiesa persegue dei vini a fronte dei quali deve avere tale diritto.
Del resto è equiparata quantomeno a un’associazione. Tale precisazione che il CIC fa è
rivolta all’esterno dell’ordinamento canonico, facendo presente agli stati tale diritto.

Il can 1259 afferma che la chiesa acquista beni con modi giusti (iustis modis). L’utilizzo
dell’allocuzione modi giusti e non modi legittimi ci dice qualcosa. Se uno stato dovesse dire che il
furto a danno di soggetti più deboli è modo legittimo di acquistare beni, la chiesa non avrebbe
come riferimento tale principio. La chiesa non confonde giusto e legittimo: legittimo è secondo
legge; giusto è secondo giustizia o giustezza.
Il can aggiunge: “di diritto sia naturale che positivo”.
Anche l’usucapione è ampiamente riconosciuta alla Chiesa. La differenza tra il nostro ordinamento
e quello civile è il maggior interesse che abbiamo per la buona fede.

Can 1260: diritto della Chiesa a esigere (non chiedere) beni dai suoi fedeli. Il riferimento non è il
chiedere, ma lo ius exigendi: si tratta di agire in via autoritativa. Io esigo il pagamento: il fedele non
sceglie di pagare perché è libero, ma siamo di fronte a prestazioni che hanno carattere di
coattività. C’è coattività dell’obbligo e potere di imposizione.
Il can 122 fa riferimento al dovere di provvedere alle necessità della chiesa: è connesso con lo ius
exigendi.
Il CIC prevede la possibilità di imporre tributi su enti ma anche sulle persone fisiche.

Il sistema presente in Germania e Austria consiste in un’imposta sui redditi dichiarati allo stato. È
un tributo canonico: lo stato provvede a riscuotere e trattiene i costi della riscossione.

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Le dichiarazioni di abbandono della fede, fatte per non pagare l’imposta, prevedono l’esclusione
dei sacramenti. A lungo si è escluso sulla proporzione tra condotta e sanzione. In realtà la volontà
del soggetto è di non versare il tributo alla chiesa.
Solidarietà nei confronti degli altri fedeli, obbedienza alla chiesa, possibilità di sopravvivenza della
chiesa… sono le motivazioni del tributo. La sanzione per la dichiarazione è legata a questo. Ma è
difficile trovare una corrispondenza con le fattispecie dell’apostasia, eresia e scisma. L’esclusione
dalla vita sacramentale sarebbe così sproporzionata.
Questo sistema non ha niente a che vedere col sistema vigente in Italia o in Spagna, dove il fedele
va a destinare alla chiesa una parte di quello che deve già versare allo stato: non è così gravato da
una spesa ulteriore, come avviene in Germania.

Il caso tipico è quello dell’italiano che va in Germania per lavoro e per non pagare la tassa fa la
dichiarazione di abbandono della fede: torna in Italia e vuole sposarsi. Sono elementi di
problematicità. Tuttavia il sistema funziona perché garantisce determinate risorse alla chiesa.

Altra cosa da dire è la scarsa esportabilità del sistema stesso. Il CIC non la ammette: il can 1263
dice “salve leggi e consuetudini particolari” per quei Paesi che già avevano tale sistema; realizzarlo
ex novo sarebbe problematico.

A fronte di uno ius exigendi c’è il dovere dei fedeli di dare. Essi devono essere responsabilizzati
rispetto a questo dovere. Il combinato dei canoni 122 e il 1261 crea delle problematicità. L’offerta
è una donazione che ha alla base lo spirito di liberalità, che viene meno a fronte di un dovere. Dire
che c’è un dovere di fare offerte, dal punto di vista giuridico, è un po’ una contrarietà.
Perché sussista un mio obbligo devo sapere quanto devo dare, quando e a chi: altrimenti non c’è
un vero obbligo.
Qualcuno ha proposto di sollecitare ulteriormente i fedeli dicendo che c’è un vero obbligo, ma
questo comporta un’ulteriore confusione: se esiste un vero obbligo allora esiste anche un falso
obbligo.
La soluzione può essere data da quello che succede quando il fedele va a dare l’offerta: egli è
convinto della liberalità del suo gesto. Quell’obbligo sul fedele funziona solo come sollecitazione.
Dunque, il can 122 funzione come sollecitazione sul fedele a fare l’offerta.
Con tale lettura salviamo gli obblighi e i diritti.

Ammonire un fedele ad adempiere a un obbligo generico diventa un altro problema. I fedeli non
possono essere ostacolati dall’autorità civile quando vanno ad adempiere al proprio dovere.
I fedeli fanno un’offerta; l’offerta è un contratto, dunque, deve esserci l’accettazione dall’altra
parte, che però non è obbligata ad accettare. Non esiste un diritto a donare. Vedremo che ci sono
dei casi in cui la libera offerta può o addirittura deve essere rifiutata.
Limitiamo questo diritto al fatto che i fedeli non vengano impediti in questo diritto da parte degli
stati.

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Uno dei modi più importanti, che dovrebbe essere ordinario, è quello dell’offerta spontanea. È un
contratto consensuale
Anche le offerte spontanee trovano una specifica normativa all’interno del codice. Abbiamo vari
elementi: soggetto, rifiuto, accettazione, rispetto dei fini.
Abbiamo una serie di presunzioni. Innanzitutto abbiamo la presunzione data dal fatto che, se
l’offerta è fatta al superiore o all’amministratore, l’offerta è fatta alla persona giuridica. Superiori e
amministratori devono fare un primo giudizio sulla destinazione dell’offerta stessa. Se il soggetto si
esprime, il problema non si pone; se non si esprime, il superiore o l’amministratore formulerà un
suo giudizio.

Altro ambito è il rifiuto delle offerte: non è obbligatorio accettare le offerte. Il principio generale è
che le offerte devono essere accettate. In determinati ambiti è utile rifiutare l’offerta. Ad esempio
se conosco la provenienza illecita dell’offerta; oppure se la motivazione dell’offerta è acquisire un
potere coercitivo sulle persone. Non possiamo essere disposti ad accettare beni di una
determinata provenienza oppure ad accettare offerte che comprano di fatto determinate
posizioni.

Per il rifiuto è necessaria la licenza dell’ordinario, perché il rifiuto può portare un danno anche
elevato. Per chi rifiuta senza la necessaria licenza si potrebbe configurare un’ipotesi di danno alla
persona giuridica e l’amministratore potrebbe essere chiamato per i danni arrecati.

Anche per l’accettazione è prevista una licenza previa quando le offerte siano gravate da oneri o
condizioni. (La parola “onere” comporta grande confusione negli ordinamenti civili!). Gli oneri
potrebbero rivelarsi particolarmente gravosi e l’accettazione dell’offerta potrebbe arrecare un
danno.

Quando la finalità è data direttamente dall’offerente, i beni possono essere utilizzati solamente
per quella finalità. Infatti, quando si procede alle collette, deve essere indicato il motivo della
colletta stessa. Non è precisato il caso di finalità non espressa. Ma resta il fatto dell’obbligo del
rispetto della finalità se espressa. È un punto centrale della normativa.
Facciamo il caso della volontà espressa per la destinazione di beni di una pia fondazione. La
volontà espressa va rispettata.

Altre modalità di acquisto sono ad esempio le offerte richieste. In questo caso non è il fedele che
fa il primo passo (sarebbero spontanee), ma è la chiesa che si muove prima per far presente una
necessità a cui sovvenire.
Un primo esempio sono proprio le collette. A parte la distinzione tra parrocchiali, diocesane, ecc.,
occorre tener presente che si è fatto un discorso di competenze. Se la competenza fosse della CE,
il vescovo diocesano sarebbe sotto quella competenza. Dunque si è stabilita una duplice
competenza: in via ordinaria la competenza delle Conferenze Episcopali, ma facendo salva la
competenza del vescovo diocesano che potrebbe agire diversamente. È necessario procedere con
una modalità il più possibile organizzata.
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Stabilire quali fini, stabilire quali sono i principali e stabilire quali si devono perseguire.

Altro punto interessante è quello che comporta per l’ordinario la possibilità di stabilire che le
collette vengano fatte in tutte le chiese e gli oratori abitualmente aperti al pubblico. Questo
comporta che la competenza è ampliata a luoghi che normalmente non sono sotto la stretta
competenza del vescovo, come le chiese degli istituti religiosi.

Altro modo è quello delle questue. La questua è la richiesta di elargizione personale fatta per
raccogliere offerte per qualsiasi fine o istituto rivolta in generale ai fedeli. Le richieste fatte a
persone determinate non rientrano nella categoria delle questue. La disciplina viene data per
evitare abusi. Distingue tra persone giuridiche fisiche private e persone giuridiche pubbliche. Tutto
quello che rientra nelle questue deve avere licenza dell’ordinario e licenza dell’ordinario del luogo
dove avviene la questua: entrambe le licenze vanno redatte in forma scritta.
Il CIC, però, non ci spiega la differenza tra persona fisica privata e pubblica. Tradizionalmente
parroco, vescovo e superiori degli istituti religiosi sono ritenuti persone fisiche pubbliche.
Si fa salvo il diritto di questuare dei religiosi mendicanti, che questuano anzitutto per la
sopravvivenza. Nel momento in cui l’ordinario accetta i mendicanti nella sua diocesi, si ritiene che
dia a questi soggetti la licenza di mendicare. Consenso ad erigere la casa e implicitamente licenza
per questuare.

Altro elemento interessante è quello del rapporto tra questue e Conferenze Episcopali, che può
regolamentare il diritto di questuare, compreso quello dei mendicanti. Regolamentare non
significa sopprimere o negare il diritto stesso.

Per le offerte in occasione di sacramenti e sacramentali, si era pensato di eliminare questa ipotesi
per non fare confusione tra offerta e la gratuità del sacramento. Ma è prevalso un criterio pratico:
in ampie zone del mondo i parroci vanno avanti esclusivamente con queste offerte e si sarebbe
dovuto provvedere a loro in altro modo. Alla fine la decisione è stata di mantenere l’offerta.
C’è un richiamo giuridico e anche pratico.
Nel CIC si parla di richiesta offerte in occasione di sacramenti e sacramentali. Non c’è confusione
tra offerta e prestazione: “in occasione di” serve proprio per precisare questo. Oltre a questa
indicazione di tipo giuridico, vi sono indicazioni legate alla prassi. Spesso in parrocchia vi sono
persone che prestano il loro servizio gratuito, ma quando si tratta di dare l’offerta per la messa si
chiede una specifica cifra. Questo non è lecito: l’offerta è libera e la cifra indicata dalle CE è
indicativa; la chiesa non nega i sacramenti a chi non può fare un’offerta; nemmeno a chi potrebbe
fare un’offerta e non la fa. Attenzione alla corretta comunicazione e a non rischiare di far passare il
messaggio che quei soldi servono a pagare la messa o il sacramento.

Il can 1271 prevede il versamento di somme che vanno date in forza del vincolo di unità e carità
per sovvenire alle necessità della Sede Apostolica. Non facciamo confusione tra l’aiuto alla Santa
Sede e l’obolo. L’obolo ha un utilizzo direttamente connesso con l’attività della Santa Sede; l’aiuto

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al Romano Pontefice dovrebbe dare la possibilità al Romano Pontefice di svolgere il suo servizio
correttamente.

Tributi
Abbiamo accennato allo ius exigendi. La chiesa può imporre prestazioni sotto forma di imposte per
attività economiche.
Il momento in positivo non ci viene negato da nessuno. Un giurista civile ci direbbe: se avete un
legislatore potete imporre un tributo.
Allora, possiamo considerare il nostro ordinamento su base volontaristica? (Se voglio verso, se no,
no!). Non abbiamo nessun mezzo a nostra disposizione per arrivare allo stesso risultato? A volte il
mezzo è il precetto penale.

Altro aspetto da tener presente nei tributi dell’ordinamento è l’aspetto comunitario, a livello di
perequazione tra soggetti che operano. Il CIC parla di tributi e di tasse. “Tributo” in tanti
ordinamenti viene chiamato “imposta”; le tasse hanno il loro equivalente negli ordinamenti civili.
Lasciamo da parte il cosiddetto contributo e concentriamoci su tributi e tasse.

Lunedì, 26 ottobre 2020 – 3° lezione


Stiamo parlando del fenomeno delle imposte e delle tasse nel nostro ordinamento.
Richiamiamo l’elemento della riforma. Se vediamo le disposizioni del CIC del ’17 e quelle del CIC
dell’83 troviamo un sistema completamente diverso che comporta la sparizione delle decime e
sistemi simili. Comporterebbe anche che la legislazione tributaria delle singole diocesi si rivolga
anch’essa a un accoglimento della riforma prevista dal codice. Quindi non avrebbe più senso la
presenza di una marea di tributi delle singole diocesi, mentre ha più senso l’imposizione di un
tributo generalizzato e centrale che va a vantaggio sia della parte attiva che della parte passiva.

Tributo o imposta ordinaria


Can 1263
l Vescovo diocesano ha il diritto, uditi il consiglio per gli affari economici e il consiglio
presbiterale, d'imporre alle persone giuridiche pubbliche soggette al suo governo un
modesto tributo proporzionato ai redditi di ciascuna per le necessità della diocesi; nei
confronti delle altre persone fisiche e giuridiche gli è soltanto consentito, in caso di grave
necessità e alle stesse condizioni, d'imporre una esazione straordinaria e moderata; salve le
leggi e le consuetudini particolari che gli attribuiscano maggiori diritti.

Dobbiamo innanzitutto chiederci chi è il soggetto attivo, che nelle nostre diocesi dovrebbe essere il
vescovo. Ma il soggetto attivo dovrebbe essere o colui che impone o colui che incassa. Dunque, nel
caso della imposta ordinaria chi impone è il vescovo, ma chi incassa non è il vescovo. Va bene dire
che il vescovo è soggetto attivo, ma intendiamo per soggetto attivo colui che impone e non colui
che incassa.
Soggetto passivo del tributo ordinario sono le persone giuridiche pubbliche. Soggetto passivo del
tributo non sono le persone fisiche. Esse non possono essere chiamate a pagare il tributo
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ordinario. Questo rende difficoltoso il sistema tedesco. L’ultima specificazione del can 1263 salva il
sistema tedesco.
Altro elemento complicato è dato dal richiamo della consuetudine. È possibile parlare di
consuetudine in diritto tributario? Quello che deve essere chiaro è che da queste persone
giuridiche pubbliche sono fatti salvi i religiosi perché si tratta di persone giuridiche sotto la
giurisdizione del vescovo. Il vescovo è chiamato in prima persona a farsi garante dell’autonomia di
questi istituti.
Il tributo ordinario agli istituti religiosi non può essere imposto.
La questione si è posta anche in relazione alle scuole esterne: devono o no versare il tributo
ordinario? Quando parliamo di persone giuridiche soggette al vescovo parliamo di una soggezione
globale al vescovo diocesano. Dal punto di vista economico l’istituto ha la sua autonomia e non
risponde al vescovo diocesano.
Il canone non parla di strumenti, ma dice solo “uditi il consiglio per gli affari economici e il consiglio
presbiterale”.
Quali sono gli strumenti che potrebbe avere il vescovo? Certamente la legge, o il decreto con
carattere legislativo.
“Salve le leggi e le consuetudini particolari che gli attribuiscano maggiori diritti”: significa che non
si salvano le leggi e le consuetudini in genere, ma quelle che gli attribuiscono questi diritti.
Una riserva di legge non è prevista. Possiamo immaginare una consuetudine. Ma la norma
tributaria è una norma estremamente complessa: in via consuetudinaria non si possono stabilire
facilmente la quota in base al reddito, i diritti di esenzione ecc. Il tributo va modulato sui singoli
soggetti. Una delle caratteristiche della norma tributaria è la variabilità della norma stessa: ne
consegue una ipertrattazione della normativa tributaria.
Alcuni elementi trovano disciplina all’interno del codice. Il criterio della moderazione va applicato
sia in senso oggettivo sia in senso soggettivo. Se una persona giuridica pubblica dovesse avere un
reddito molto alto, non posso andare a imporre somme molto alte: la moderazione deve essere
anche in senso oggettivo. Indicare una percentuale diventa difficile ma possiamo dire che la
moderazione prevede la necessità per quella persona giuridica di funzionare correttamente (in
senso soggettivo).
Non è possibile imporre un tasso fisso, un ammontare invariabile. Distinguiamo aliquota
proporzionale e aliquota progressiva: questa scelta viene lasciata al vescovo.
Altro elemento è quello del reddito e del possesso di reddito. Il possesso del reddito è essenziale:
è necessario che il soggetto possieda un reddito. Questo fa sì che il religioso non possa essere
chiamato a pagare nulla, perché il reddito del religioso finisce nell’IVC.

C’è un qualcosa che resta fuori da questo sistema di imposizione ed è la patrimoniale. non è
prevista alcuna possibilità di imposizione sul patrimonio delle persone giuridiche ma
esclusivamente sui redditi. La patrimoniale nel nostro ordinamento non è possibile.
Un problema è nato sulla imposizione di tributi sulle offerte per le messe. Il divieto era stato
introdotto ma nell’ultima redazione è stato tolto: al momento non c’è un divieto di imporre
sull’offerta della messa. Occorre considerare che l’offerta è per la persona fisica del sacerdote: non
si possono imporre tributi ordinari su persone fisiche.
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Una parte delle offerte delle messe vanno al sacerdote, mentre un’altra parte spetta al vescovo
decidere a chi indirizzarla: se la indirizza a una persona giuridica pubblica, allora faranno reddito di
quella persona pubblica e possono essere oggetto di imposizione da parte del vescovo con una
legge.

Imposta straordinaria
L’imposta straordinaria vede come soggetto attivo sempre il vescovo mentre come soggetto
passivo le altre persone giuridiche. La formulazione del canone non è chiarissima (can 1263).
Il tributo straordinario si prevede che debba essere moderato, ma non si prevede che debba
essere proporzionato.
Potremmo avere un tributo straordinario a tasso fisso.

Tributo per il seminario


Il tributo per il seminario ha delle peculiarità importanti. Può essere posto dal vescovo diocesano
per provvedere alle necessità del seminario a carico di tutte le persone giuridiche pubbliche o
private che abbiano sede nel territorio della diocesi. Anche gli istituti religiosi sono soggetti a
questo tributo, almeno ipoteticamente.
Altro elemento interessante è “persone giuridiche pubbliche o private”: possono essere chiamati a
versare sia gli uni che gli altri. Sono esentate le persone giuridiche che si sostengono con le
elemosine. Sono esentate anche le persone giuridiche che fanno formazione interna, dunque
quasi tutti gli istituti religiosi.
Non si può chiedere più rispetto a quelle che sono le necessità del seminario.

La tassa
La tassa è un tributo che va pagato per un servizio della pubblica amministrazione cjhe riguarda
uno specifico soggetto. È una prestazione coattiva ed è inutile dire che se il soggetto non può
pagare la chiesa non gli rifiuta il servizio: questo dimostra che nella chiesa si applicano i criteri di
esenzione. Ma non è tassa libera.
L’incontro delle volontà riguarda il contratto ma qui non siamo in ambito contrattuale.

Nel nostro ordinamento conosciamo tasse amministrative e tasse giudiziarie e il criterio di


distinzione è dato dalla natura dell’atto.
Chi è il soggetto attivo? Qui abbiamo qualche problema a rispondere. L’autorità competente
individuata dal can 1264 è l’Assemblea dei vescovi della Provincia, perché occorre dare delle
definizioni uniformi nell’ambito della provincia e creare un criterio omogeneo.
Ma l’Assemblea dei vescovi della Provincia che criterio usa per stabilire le tasse? L’Assemblea dei
vescovi della Provincia non ha potestà legislativa, può agire ma con strumenti amministrativi.
Ipoteticamente, per ottenere uniformità, si prendono delle decisioni a livello dell’Assemblea dei
vescovi della Provincia che i singoli vescovi traducono in legge nella propria diocesi: ma di fatto
questo non accade.

Acquisto della proprietà tramite possesso continuativo: prescrizione e usucapione


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Ci sono altri modi per l’acquisto dei beni, ma non tutti sono interessanti. Ma vale la pena
soffermarsi sul tema della prescrizione.
Quello che ci interessa sottolineare è la buonafede, perché la buonafede deve essere presente per
il nostro ordinamento dall’inizio alla fine del termine previsto per l’usucapione. Negli ordinamenti
civili interessa che la buonafede ci sia all’inizio: se poi viene a mancare non importa, il tempo
continua a decorrere. Nel nostro ordinamento non è così.
Se io devo contestare l’usucapione di un altro soggetto devo andare ragionevolmente presso un
tribunale ecclesiastico. Molti si rivolgono a tribunali civili, che mandano in esecuzione la sentenza.
Ma se voglio contestare l’usucapione, non andrò presso il tribunale civile dove la buonafede è
necessaria solo all’inizio, ma presso il tribunale ecclesiastico dove la buonafede è necessaria
dall’inizio alla fine.

Lunedì, 2 novembre 2020 – 4° lezione


La pia volontà
Abbiamo considerato i mezzi di acquisto di beni da parte della chiesa. All’interno di questo viene
collocata la questione relativa alla pia volontà.
Per parlare di pia volontà dobbiamo prima parlare di causa pia, all’interno della quale si inserisce
la pia volontà.
Per causa pia possiamo intendere:
 un motivo soprannaturale per cui un soggetto agisce;
 l’opera che è realizzata;
 l’istituto con cui si dà spazio all’opera (il mezzo).

Come orientarsi? Basta scendere nella pratica e campiamo di cosa stiamo parlando.

Il concetto di pia volontà è racchiuso nella disposizione di beni temporali in favore di una causa pia
con un elemento soprannaturale. Elemento essenziale è l’elemento soprannaturale: non possiamo
confondere una causa pia con una beneficenza fatta a scopo filantropico.
Altro elemento essenziale è la volontà del disponente. La sua volontà si presume nel caso sia
cattolico.

La capacità
Alcuni problemi ulteriori riguardano la capacità di disporre in favore di cause pie. È un tema
importante perché c’è il rischio di trovare contrasti tra l’ordinamento canonico e quello civile. La
chiesa ritiene che tutto ciò che riguarda le cause pie riguarda la sua competenza.
Altro spunto di riflessione riguarda la capacità di diritto naturale. Quasi tutte le regolamentazioni a
livello civile fa riferimento a uno spazio di età che vada intorno ai 18 anni. Possiamo ritenere che i
18 anni siano di diritto naturale? La questione diventa complicata. Attenzione a consentire a
minori la facoltà di disporre in favore di una causa pia.
Il CIC prevede un’età per cui il maggiorenne ha pieno esercizio dei propri diritti (cann. 97-98); per i
minorenni si fa presente la possibilità che il minore non cada sotto la potestà genitoriale.

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Dove sono le eccezioni al can 98? Quando si prescinde dai 18 anni? Il 1299 è un’eccezione al can
98?
I cann. 1083, 1250, 1323, 105: questi canoni ci danno dei principi spendibili anche per il 1299? Non
ne siamo proprio convinti.
Difficilmente possiamo dare un fondamento al 1299 come eccezione: si tratta di qualcosa di
completamente diverso. Quindi, può disporre il maggiorenne con un’attenzione agli ordinamenti
civili. Occorre verificare la capacità dei non battezzati. Per un principio pio di ordine naturale, non
occorre essere battezzato per procedere in tal senso. Con una certa sicurezza, riteniamo che anche
il tema del non battezzato non influisce sulla capacità.

La forma
Intendiamo per forma di un atto, la forma scritta o meno. Dobbiamo allora distinguere gli atti inter
vivos dagli atti mortis causa.
Per gli atti inter vivos la norma dice che dobbiamo canonizzare quanto disposto dalla legge civile.
Le cose sono più complicate per gli atti mortis causa. Questi sono caratterizzati dalla locuzione si
fieri posset, se accade è possibile.
A fronte del rispetto della volontà viene meno la necessità del rispetto della forma, ma non viene
meno la necessità della prova.
Testamento pubblico e testamento olografo sono le forme più utilizzate. Se andiamo dal notaio
per un testamento garantiamo la correttezza anche formale della volontà. Per il testamento
olografo abbiamo un maggior rispetto della spontaneità.
La questione centrale è questa: è vero che è possibile dimostrare la volontà mortis causa
esclusivamente con un atto scritto? La Chiesa tende a un rispetto assoluto della volontà del
soggetto: se la volontà è espressa in forma orale ed è possibile dimostrare mediante testimoni la
specifica di quella volontà, la chiesa accoglie questa forma. La finalità dello stato e della chiesa è lo
stesso: garantire la volontà del soggetto.
In merito alla questione dell’adempimento da parte degli eredi, il CIC parla della possibilità di
ammonire gli eredi. Alcuni parlano di obbligo di ammonire. Se siamo sicuri che gli eredi non si
sentiranno toccati dal richiamo, non è opportuno procedere all’ammonimento.
La legittima viene considerata di diritto naturale. In presenza di donazioni a favore della chiesa che
ledano la legittima, la chiesa garantisce il rispetto della legittima.
Questi aspetti relativi alla forma comportano spesso delle difficoltà.

In merito alle finalità, i beni devono essere destinati alla finalità indicata dal disponente. Quanto
espresso come finalità per quanto riguarda il nostro ordinamento non ha un mero valore morale,
ma ha un valore strettamente giuridico. È chiaro che non tutto quello che è nella volontà del
disponente può trovare corrispondenza nell’ordinamento.
L’ordinario è l’esecutore nato delle pie volontà. Competenza dell’ordinario è certamente la
sorveglianza: deve assicurarsi che le pie volontà vengano eseguite secondo la volontà del
disponente.
L’ordinario controlla ma non è amministratore: non spetta all’ordinario l’amministrazione delle pie
volontà e dei beni lasciati a seguito di pia volontà. Il can 1301 parla di altri esecutori.
12
La fondazione fiduciaria
Se nella fondazione fiduciaria abbiamo ancora un rapporto di fiducia che collega il disponente col
fiduciario, nel trust le cose non sono così. Nel trust il rapporto fiduciario è tra il trustee e il
beneficiario.
Soggetti che ricevono beni in via fiduciaria per cause pie hanno il dovere di informare l’ordinario
(can. 1302). Il divieto di avvisare l’ordinario comporta il rifiuto del bene.
Il par 2 parla di “posto sicuro”: non è l’ordinario a scegliere dove vadano posti i beni. Il principio è
sempre lo stesso: l’ordinario controlla, non amministra.
Il par. 3 introduce la questione della individuazione dell’ordinario nell’ambito dei religiosi. Il
riferimento viene dato ai religiosi perché è il caso dei religiosi quello che ha dato negli anni più
problemi.

Le pie fondazioni
Tutto quanto detto per la pia volontà rientra in questo argomento. La pia fondazione è una
specifica forma di causa pia: ogni fondazione è una causa pia, ma non viceversa.
Dobbiamo distinguere:
 la pia fondazione in forma autonoma può essere eretta in persona giuridica pubblica o
privata;
 la pia fondazione in forma non autonoma può essere eretta solo in persona giuridica
pubblica.

Le persone giuridiche sono perpetue, dunque lo sarà anche la pia fondazione. Non hanno una
scadenza. La non autonoma ha un tempo necessariamente determinato.
Una delle finalità maggiormente seguita è quella della celebrazione delle messe e poi tutte le
finalità di cui al can 114.
Il problema sussiste nella modalità con cui vanno perseguite queste finalità: il CIC afferma che
vanno perseguite con i redditi annui che derivano dai beni. Questo comporta che la massa dei beni
deve rimanere intatta. Vanno amministrate con criteri ben precisi. Ho la massa di beni, che non va
conservata in modo inerme (l’amministratore non è il custode!), dovrà dare dei redditi sulla base
dei quali sappiamo che tipo di onere possiamo adempiere.
Altro problema è la mancanza di perpetuità. Le pie fondazioni possono essere costituite per un
periodo sufficientemente lungo determinato dal diritto particolare, ma non possono essere
perpetue. Questo perché ci si è resi conto che la massa di beni che oggi ha una certa consistenza,
rischia di ridursi in un arco di tempo ampio.
Le pie fondazioni costituite prima che entrasse in vigore il CIC dell’83. In vigenza del CIC del ’17
quelle che oggi sono chiamate “pie fondazioni” potevano essere perpetue. Oggi queste pie
fondazioni costituite in vigenza del CIC del ’17 possono considerarsi perpetue?
Un diritto in capo a nessun soggetto è un controsenso (un’eredità giacente prima o poi deve
andare a qualcuno). Se veniamo alla classica finalità della celebrazione delle messe, dobbiamo
chiederci chi è il soggetto che avrebbe i diritti acquisiti. Il defunto non ha diritti acquisiti (e
nemmeno le anime!). Se non c’è un vero soggetto, non ci sono diritti acquisiti!
13
Tempus regit actum, l’atto è regolato dalla legge vigente: l’affermazione “rimarranno così per
sempre!” non può valere perché significherebbe dare al CIC del ’17 uno spazio vitale superare a
quello della sua vigenza, che cessa con il CIC dell’83.

Lunedì, 16 novembre 2020 – 5° lezione


Finalità delle pie fondazioni non autonome sono principalmente la celebrazione di messe, ma
anche le finalità dal codice. Sono finalità da perseguire sulla base di redditi annui. In caso di
accettazione, non si va a guardare tanto la massa fondazionale che comunque deve esserci,
quanto piuttosto i redditi provenienti da quella massa fondazionale. Un’ulteriore conseguenza è
data dal fatto che il patrimonio della pia fondazione non autonoma alla fine del tempo previsto
dovrebbe rimanere intatto.
La perpetuità è difficilmente sostenibile. Queste pie fondazioni possono andare incontro a
provvedimenti che ne limitano l’esistenza.
L’accettazione è necessaria da parte della persona giuridica pubblica, ma per giungere alla
cessazione si rende necessaria la licenza scritta da parte dell’ordinario. L’ordinario deve valutare
che la presenza di nuovi oneri non vada ad intaccare il corretto adempimento degli oneri
precedenti; che le rendite coprano completamente gli oneri. Questo comporta che al termine della
pia fondazione decorso il termine stabilito il patrimonio debba rimanere intatto.
Dobbiamo chiederci la destinazione di questo patrimonio. Il primo principio da osservare è la
volontà del disponente: se c’è una volontà si procede perseguendola. Se non c’è una volontà del
disponente abbiamo due casi:
 se la pia volontà è sottoposta al vescovo diocesano, i beni vanno all’istituto per il
sostentamento del clero o al soggetto che si occupa del sostentamento clero se non vi
fosse l’istituto;
 se la pia volontà non è soggetta al vescovo diocesano, i beni vengono assegnati alla
persona giuridica che ha accettato la fondazione.

Il problema è sorto con riferimento ai religiosi: è sembrato poco equo il fenomeno per cui i beni
della fondazione accolta dai religiosi finissero al sostentamento clero.

Attenzione al corretto adempimento di tutto quello che riguarda le pie fondazioni. I beni devono
essere depositati subito (statim) in un luogo sicuro approvato dall’ordinario. Non significa luogo
indicato dall’ordinario! Ma approvato! L’ordinario, lo ricordiamo, ha un compito di vigilanza ma
non di amministrazione.
Il compito dell’ordinario è limitato a una vigilanza. Spesso l’ordinario delega un altro soggetto che
possa occuparsi della cosa.
Dobbiamo sottolineare la differenza tra statim e quam primum: il quam primum sta a indicare che
comunque si debba agire con una certa celerità.

Il fenomeno della modifica degli oneri non deve essere visto come un sottrarsi all’adempimento
della volontà del disponente; anzi, va visto come il miglior modo per conservare la volontà del
disponente. Abbiamo varie possibilità:
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 Riduzione degli oneri: viene fatta salva la natura degli atti, ma se ne diminuisce il numero.
 Trasferimento degli oneri: celebrazione presso un altare determinato  trasferimento
degli oneri presso un altro altare.
 Sostituzione di un onere con un altro
 Moderazione degli oneri: è strettamente connessa con oneri accessori e agiamo su
elementi considerati accidentali. L’onere viene adempiuto nella sostanza, ma è modificato
nei suoi elementi accidentali: non è più possibile procedere con messe cantate, si continua
con la celebrazione di messe.

La lettura della norma codiciale sull’argomento è la cosa più chiara!

Si riserva alla Sede Apostolica la riduzione degli oneri delle messe per giusta causa necessaria (can
1308).

Amministrazione dei beni


Per amministrazione si intendono quegli atti volti alla conservazione dei beni. È necessario fare
però un passo in più: ci riferiamo a tutta l’attività volta a far fruttificare e a migliorare i bei stessi; le
attività volte a impiegare i beni e le rendite.
L’amministrazione, così, si distingue sia dall’acquisto che dall’alienazione.

Parlando di amministrazione ci riferiamo all’amministrazione ordinaria e all’amministrazione


straordinaria. L’amministrazione straordinaria si riferisce a quegli atti che eccedono fines et mores
l’amministrazione ordinaria. Questa definizione residuale ci dà qualche problema perché non
abbiamo definizioni di amministrazione ordinaria.

La vendita di un immobile può portare un cambiamento del patrimonio dal punto di vista
qualitativo, ma non quantitativo.

È atto di straordinaria amministrazione l’atto che necessita della licenza da parte del superiore.
Usando questa definizione, asseriamo che la natura dell’atto si riferisce all’autorità superiore. Ma il
ricorso all’autorità superiore è dettato dalla natura dell’atto. Cosa viene prima? La natura dell’atto
o l’autorità del superiore? Viene prima la licenza o la natura dell’atto?
L’atto che comporta del rischio, ad esempio, può essere di straordinaria amministrazione, ma
anche si cattiva amministrazione. Anche qui abbiamo un criterio che rischia di essere confusivo.
Allo stesso modo è confusivo parlare di naturale amministrazione: sulla base di cosa la definiamo
naturale.
Se faccio compravendita di immobili, l’atto di comprare o vendere un immobile rientra
nell’ordinaria amministrazione perché lo faccio ogni giorno. Ma non si può trasferire questo
criterio al nostro ambito.
Difficilmente si può ritenere che questi criteri possano essere conclusivi nel dare una definizione.
Certamente non possiamo dire che amministrazione ordinaria è conservazione statica del
patrimonio, altrimenti dovremmo dire che l’unico compito dell’amministratore sarebbe quello di
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mantenere intatto il patrimonio. In altri termini, il suo compito sarebbe unicamente quello di
custodia. Ma l’amministratore non è un custode, nel suo ruolo c’è molto di più.

Più che la natura dell’atto, dobbiamo andare a vedere la funzione dell’atto stesso. Alcuni spunti, in
tal senso, ci vengono dati dal codice stesso. Il can 1284 richiede che gli amministratori procedano
con la diligenza del buon padre di famiglia e che gli obblighi vengano adempiuti in modo corretto.

È un criterio che richiede un’ulteriore precisazione come fattore di chiarezza. Si rende necessario
fare una distinzione tra tutto ciò che riguarda la diocesi (can 1277) e ciò che riguarda le altre
persone giuridiche (can 1281).
A stabilire quali possano essere gli atti di straordinaria amministrazione per la diocesi interviene la
Conferenza Episcopale con tutte le sue competenze specifiche: questo dà la possibilità di avere
una medesima regolamentazione nel territorio.
I criteri utilizzati sono:
 importo dell’atto: l’atto che va oltre una certa cifra è straordinaria amministrazione;
 tipologia e importanza degli atti da realizzare:
 criterio misto derivante dalla fusione dei primi due.

Per gli atti interni alla diocesi gli atti di straordinaria amministrazione sono stabiliti dal vescovo
diocesano.
L’atto posto in essere senza avere il previo consenso è un atto invalido. Ribadiamo che il consenso
deve essere previo: il vescovo non può procedere con un atto di straordinaria amministrazione
sapendo che avrà il consenso. Il consenso postumo non sana l’atto.

Le altre persone giuridiche devono determinare gli atti di straordinaria amministrazione negli
statuti. Se manca tale riferimento, interviene il vescovo diocesano. La cosa più sensata sarebbe
non approvare gli statuti che manchino di tale precisazione. Possiamo chiederci se all’interno degli
statuti debbano essere indicati degli atti o meno. Non sembra una corretta tecnica redazionale
andare a copiare gli altri statuti o copiare le disposizioni che la Conferenza Episcopale dà per le
diocesi.
Il can 1281 fa riferimento a persone giuridiche sia pubbliche che private che siano soggette al
vescovo diocesano. In caso siano soggetti ad altri, saranno questi altri a provvedere.
L’amministratore di queste persone giuridiche ha bisogno della licenza scritta da parte
dell’ordinario. La licenza è necessaria e su questo non ci piove. La forma scritta non è prevista con
l’espressa indicazione ad validitatem. Ma questa questione può trovare facile soluzione nella
necessità della forma scritta.

Occorre vedere come tutti i singoli soggetti possano intervenire all’interno della medesima
amministrazione. tutti questi soggetti si vanno a relazionare e non ci si può limitare a dire che una
tal cosa è di competenza di Tizio e una tal altra è competenza di Caio. È chiaro che ognuno deve
prendersi le sue responsabilità per quello che sono i propri adempimenti, ma il fenomeno va
inquadrato in modo l’amministrazione possa funzionare nel miglior modo possibile. Amministrare
16
resta comunque un servizio. Tutti i soggetti operando unitamente possono ottenere un miglior
risultato.
Attenzione a quello che può fare il vescovo diocesano in merito a quello che può fare con i beni
delle persone giuridiche. Quello che fa il Romano Pontefice per la Chiesa universale non può farlo
il vescovo diocesano nella sua diocesi: il Romano Pontefice potrà intervenire nell’amministrazione
dei beni delle singole persone giuridiche perché la sua potestà è OSPIU (ordinaria, suprema,
propria, immediata, universale).
Chi dà una licenza non risponde per la cattiva amministrazione dei beni: chi dà licenza controlla,
non amministra. I soggetti chiamati a questo compito risponderanno per il proprio compito.

Lunedì, 23 novembre 2020 – 6° lezione


Abbiamo visto vari soggetti che entrano nell’ambito dell’amministrazione. Il primo soggetto è il
Romano pontefice, supremo amministratore dei beni ecclesiastici: ha un’amministrazione diretta
dei beni non fondata sul diritto di proprietà (che non ha sui beni appartenenti alle altre persone
fisiche); ha la possibilità di amministrare in virtù del primato di giurisdizione.
Quello che ci interessa, non è tanto la funzione che svolge come amministratore, ma l’esercizio
della potestà esecutiva, in virtù della quale egli può porre in essere atti di amministrazione
ordinaria e atti di amministrazione straordinaria: cioè tutti gli atti della persona giuridica.
Può giungere a trasferire la proprietà tra diversi soggetti: è chiaro che sono casi limite, ma che si
possono verificare. Soprattutto sono casi legati alla migliore amministrazione possibile dei beni
ecclesiastici e non sono certo atti di natura capricciosa.
La Conferenza Episcopale ha competenza ad emanare decreti generali nei casi stabiliti: in questi
casi potrà provvedere. Il tema delle questue, delle collette, il problema della previdenza sociale in
favore del clero.

Altro soggetto è l’ordinario. Nel can 1276 viene attribuita in modo generico facoltà di vigilare e di
emanare istruzioni. La vigilanza può essere attuata con diverse modalità: generale o in modo più
specifico.
Il can 1281 precisa che per gli atti oltrepassano i limiti e le modalità dell’amministrazione ordinaria,
serve il permesso scritto dall’Ordinario.

In merio al potere di emanare istruzioni, si tratta di una tipologia di atti volti al maggior rispetto di
tutta la normativa sull’amministrazione dei beni.

Ci sono alcuni compiti in tema di amministrazione che non riguardano l’ordinario ma più
specificamente al vescovo: le pie volontà, le alienazioni di beni. Il can 1277 richiama direttamente
il vescovo diocesano che può porre in essere questi atti ma a determinate condizioni.
Can. 1277 - Il Vescovo diocesano per porre gli atti di amministrazione, che, attesa la
situazione economica della diocesi, sono di maggior importanza, deve udire il consiglio per
gli affari economici e il collegio dei consultori; ha tuttavia bisogno del consenso del
medesimo consiglio ed anche del collegio dei consultori, oltre che nei casi specificamente
espressi nel diritto universale o nelle tavole di fondazione, per porre atti di amministrazione
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straordinaria. Spetta poi alla Conferenza Episcopale stabilire quali atti debbano ritenersi di
amministrazione straordinaria.

In tema di amministrazione ordinaria chi è competente? Il vescovo o l’economo?


Attraverso la nomina dell’economo il vescovo certamente non viene privato della sua potestà
esecutiva. Certamente dobbiamo andare a vedere quali sono le qualità richiesta per l’economo:
espero in economia, distinto per onestà, ecc.
Non è possibile ricavare uno spazio proprio dell’economo all’interno dell’amministrazione? Che
l’economo ponga atti di natura esecutiva non crea problemi, ma dobbiamo chiederci quali atti
competono al vescovo.
In realtà, occorre verificare il modo migliore in cui i due soggetti possano collaborare tra di loro per
un’amministrazione efficace, che implica un rapporto di fiducia, una collaborazione, un ambito di
operatività per l’economo che vada oltre la mera esecuzione.

L’incarico dell’economo è quinquennale rinnovabile e soprattutto può essere rimosso solo per
causa grave. Qualora sia eletto amministratore diocesano il consiglio per gli affari economici deve
eleggere prontamente un nuovo economo.

L’amministratore dei beni non viene mai lasciato solo nella sua amministrazione, ma è sempre
coadiuvato da due consiglieri.

ISTITUTI: ISTITUTO SOSTENTAMENTO CLERO,


ISTITUTO PER LA PREVIDENZA CLERO E ISTITUTO PER IL CLERO.

Il sistema beneficiale prevedeva delle rendite che lo mantengono. Tutto è finito nel sostentamento
clero e viene riformato. È vero che in più di un luogo non esiste il sostentamento clero, ma questo
non significa che esista o possa esistere ancora il sistema beneficiale.
Il sostentamento clero serve a mantenere i chierici che prestano servizio nella diocesi, ai quali si
garantisce una retribuzione congrua con le loro necessità.
Non è necessario che il chierico sia incardinato nella diocesi: non è questo che chiede il canone.
L’elemento che ci interessa è il fatto che il chierico svolga un incarico in quella diocesi.

Per individuare quali siano gli obblighi che gravano sul vescovo andiamo al can 1274, che parla di
un abeatur: stando a questo congiuntivo ci sarebbe l’obbligo di costituire l’istituto sostentamento
clero, “a meno che non si sia provveduto in maniera differente”.

Can. 1274 - §1. Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le
offerte, al preciso scopo che si provveda al sostentamento dei chierici che prestano servizio
a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi
diversamente.

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§2. Dove non sia ancora stata organizzata convenientemente la previdenza sociale in
favore del clero, la Conferenza Episcopale disponga la costituzione di un istituto che
provveda sufficientemente alla sicurezza sociale dei chierici.
§3. Nelle singole diocesi si costituisca, nella misura in cui è necessario, un fondo comune,
con il quale i Vescovi possano soddisfare agli obblighi verso le altre persone che servono la
Chiesa e andare incontro alle varie necessità della diocesi, e con il quale le diocesi più
ricche possano anche aiutare le più povere.
§4. A seconda delle diverse circostanze dei luoghi, le finalità di cui nei §§2 e 3 si possono
più convenientemente ottenere con istituti diocesani tra loro federati, o con la
cooperazione o l'opportuna consociazione tra varie diocesi, anzi anche organizzata per
tutto il territorio della Conferenza Episcopale.
§5. Questi istituti, se possibile, siano costituiti in modo che ottengano anche il
riconoscimento da parte del diritto civile.

Una cosa è chiarissima: in un modo o nell’altro il vescovo deve preoccuparsi del sostentamento del
clero e situazioni in cui il vescovo si disinteressi del problema e i chierici debbano sostentarsi solo
con le offerte non sono legittime.
L’istituto è finanziato con tutti gli strumenti che il codice ci mette a disposizione: offerte
spontanee, contributo ordinario, rendite di benefici ove ancora esistenti, ecc. Per la struttura e il
funzionamento provvederà il diritto particolare.

La previdenza generale del clero significa prendersi cura di tutti quei chierici che sono in stato di
malattia, vecchiaia e altro. La CE deve provvedere laddove non si sia provveduto altrimenti nel
territorio. Si ritiene che organizzare un servizio di previdenza sociale sia un fatto complesso e
oneroso: dunque si avrà uno spazio più ampio della diocesi e si farà riferimento a strumenti esterni
alla chiesa, come la previdenza sociale degli stati.
Questo non comporta che il vescovo sia esonerato da ogni responsabilità. I chierici svolgono il loro
servizio in favore della diocesi ed è giusto che le diocesi si occupino di quei chierici che non sono
più in servizio.
Ove la CE lo decida si può procedere all’istituto di previdenza con modalità pubblica.
Come si deve provvedere al sostentamento così si deve provvedere alla previdenza.

Il fondo per il clero ha un ruolo interno e un ruolo esterno: internamente si occupa di laici che
collaborano con la diocesi; esternamente agisce in aiuto alle altre diocesi. Nel secondo caso la
costituzione del fondo si rende necessaria per perseguire le finalità indicate.

È necessario distinguere tutti questi istituti e il fondo comune oppure si può raccogliere tutto in
una massa di beni e perseguire le singole finalità?
È chiaro che avere un unico patrimonio ha dei vantaggi maggiori rispetto ai patrimoni
frammentati, ma questo può essere difficilmente portato a conclusione. Infatti, siamo di fronte a
diversi soggetti.
Viene data alle diocesi la possibilità di lavorare insieme e collaborare.
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La collocazione di questo canone non è esattamente la collocazione ideale, ma è chiaro che non
c’era altro posto dove collocarlo.

LA FIGURA DI AMMINSITRATORE

L’amministratore di una persona giuridica è un soggetto fondamentale, a tal punto che viene
indicato sia in modo specifico sia in modo immediato.
Questo principio è legato al principio sulla proprietà dei beni.
Possono essere amministratori sia i chierici sia i laici. Il principio lo si può dedurre nei canoni 1282
e 1287. Il CIC individua tutta una serie di obblighi degli amministratori in una serie di canoni. Tali
obblighi si distinguono in obblighi generici e obblighi specifici.
L’amministratore svolge i suoi compiti in nome della chiesa: le persone pubbliche sono le uniche
che possono agire in nome della chiesa.
L’esatta redazione dell’inventario è richiesta dal codice: deve essere dettagliato con l’elenco di
tutti i beni. Fare l’inventario ha una funzione di tutela non solo dei beni della persona giuridica, ma
anche dell’amministratore: è fondamentale che l’amministratore faccia l’inventario appena
ricevuto l’incarico, perché dell’assenza di alcuni beni risponde direttamente. La corretta redazione
dell’inventario è elemento volto alla tutela dell’amministratore stesso. Occorre fare l’inventario
quanto prima e in modo specifico, curato e dettagliato come richiesto dal codice.

Il canone 1284 richiama tutta una serie di obblighi dell’amministratore. Innanzitutto si richiama la
diligenza del buon padre di famiglia. Questa diligenza è un obbligo dell’amministratore o è un
metro con cui misurare la corretta amministrazione e il corretto compimento degli atti di
amministrazione da parte dell’amministratore? La questione ci porterebbe lontano…

Oltre a questo, vi è una serie di obblighi che sono richiamati: conservazione dei documenti,
osservare le disposizioni in termini di proprietà, pagamenti e altro.
In modo particolare ci interessa il problema del bilancio (preventivo e consuntivo): il preventivo è
raccomandato vivamente mentre ma sarebbe opportuno procedere sempre col preventivo.

Il can 1285 dispone le donazioni. Con questa disciplina si vuole precisare che le donazioni non sono
vietate ma non possono andare oltre certe limitazioni: non si può andare oltre l’amministrazione
ordinaria; non devono far parte del patrimonio stabile.
Can. 1285 - È permesso agli amministratori, entro i limiti soltanto dell'amministrazione
ordinaria, di fare donazioni a fini di pietà o di carità cristiana dei beni mobili non
appartenenti al patrimonio stabile.

Per atti che vanno al di là di quanto stabilito dal CIC vi sarà una responsabilità diretta
dell’amministratore.

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Obbligo degli amministratori di rendere conto ai fedeli dei beni offerti alla chiesa. Non si tratta di
un rendiconto, ma di una semplice informazione, dettagliata nei limiti di una comprensione rapida
da parte del fedele.
Finalità dell’informazione è la chiarezza della destinazione dei beni raccolti: sono stati raccolti per
un fine e per quello sono stati utilizzati.
Altra finalità si riferisce a una piena responsabilizzazione dei fedeli: quando le modalità
amministrative sono tali da poter operare il coinvolgimento dei fedeli, questi sono resi più
partecipi e saranno più disponibili nell’offrire beni per il perseguimento dei fini inviati.
Oggi come oggi tale informativa è essenziale per raggiungere tutte le finalità che il nostro
ordinamento si propone.

Martedì, 24 novembre 2020 – 7° lezione


NB: Per l’orale portiamo la parte sull’amministrazione dei beni e sull’alienazione.

Vediamo il can 1288


Can. 1288 - Gli amministratori non introducano né contestino una lite davanti al tribunale
civile in nome di una persona giuridica pubblica, senza aver ottenuto la licenza scritta del
proprio Ordinario.

L’ambito è quello dei processi contenziosi davanti al giudice dello stato. Non sempre è opportuno
procedere con cause, citazioni, ecc. Sicuramente è meglio cercare tutti gli strumenti che possano
evitare di giungere a un processo civile.
Nei casi in cui non vi è necessità di licenza, non significa che non sia corretto o utile dare
comunicazione all’ordinario.

Attenzione a rispettare le norme dello stato, che sono norme a tutela del lavoratore e allo stesso
tempo dell’amministratore. È da riprovare, ad esempio, la prassi del lavoro in nero: occorre
regolarizzare tutte le posizioni in modo da essere a posto con la disciplina dello stato.
Un amministratore non può sottrarsi dai suoi obblighi con una semplice manifestazione unilaterale
di volontà (“me ne vado”). Quello che noi perseguiamo è un qualcosa di più importante, cioè una
continuità di amministrazione.

Attenzione a non cadere in ipotesi di responsabilità:


 l’atto realizzato invalido;
 atti illegittimi ma validi: la persona giuridica risponde personalmente.

CANONIZZAZIONE

Canonizzazione di norme civili significa recepire una norma civile entro l’ordinamento canonico. Il
codice avrebbe potuto coprire tutte le fattispecie anche civili, ma poiché copre tutti gli stati del
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mondo si è pensato di scegliere la formula della canonizzazione anche per non andare in contrasto
con le leggi civili.
Quando andiamo a canonizzare le norme dello stato diventano norme anche nell’ordinamento
canonico.
Quando col CIC dell’83 canonizziamo le norme di uno stato, canonizziamo anche le leggi
successive. Il nostro legislatore ha attenzione non tanto per il diritto positivo vigente in quel
momento ma per quello che è il diritto vivente, ovvero quella che è la norma così come adoperata
e interpretata, utilizzata e applicata all’interno dell’ordinamento civile.
Questo non comporta che la chiesa rinunci alla sua potestà nei confronti dello stato, perché la
canonizzazione è scelta della chiesa, frutto di un processo interno del legislatore.

Parliamo di norme su contratti e pagamenti. Le norme contrattuali sono da rispettare a meno che
non siano contrarie al diritto divino e al diritto canonico. Non possiamo canonizzare norme
contrarie al diritto canonico.

Ultima questione sulla canonizzazione riguarda l’equità. L’equità può andare ad incidere sulla
canonizzazione delle norme civili (can 1290). L’equità non è solo uno strumento utile per
l’interpretazione. La giurisprudenza della Rota ci dice che l’equità è una vera e propria fonte del
diritto. Oltretutto, l’equità è strettamente connessa con la salus animarum.

ALIENAZIONE

Con il concetto di alienazione in generale andiamo a coprire il fenomeno del trasferimento di un


bene da un soggetto all’altro, sia l’atto traslativo sia l’effetto dell’atto (far passare la proprietà da
un soggetto a un altro). Alienazione è passaggio di un bene dal patrimonio di un soggetto e
acquisto dello stesso bene nel patrimonio di un altro soggetto.
Quello che circola, in realtà, è il diritto di proprietà: non il possesso. Volendolo dire dal punto di
vista giuridico a circolare sono i diritti. Questo trasferimento può avvenire con atti inter vivos o con
atti mortis causa.
Nel diritto canonico il concetto di alienazione ha una valenza molto più ampia che negli
ordinamenti civili. Abbiamo infatti:
 alienazione in senso stretto: atto inter vivos a titolo oneroso o gratuito attraverso il quale si
trasferisce il diritto su una cosa da un soggetto a un altro soggetto;
 alienazione in senso ampio: all’interno dell’alienazione in senso ampio ricade anche l’atto
in cui si trasferisce la proprietà (in senso stretto), ma in questa classificazione ricade anche
l’atto con cui si costituisce un diritto reale sui beni e l’atto per il quale si va a pregiudicare la
situazione patrimoniale della persona giuridica.

Non sono due fenomeni simili. Da un punto di vista teorico, una locazione o anche la contrazione
di debiti potrebbero rientrare nel concetto di alienazione in senso ampio.

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Anche se contraggo debiti a interessi zero o se mi faccio dare 100 mila euro e devo restituirne 80
mila rischio di pregiudicare la situazione patrimoniale della persona giuridica: il rischio è che non
avvenga la restituzione.
Se vado a costituire un’ipoteca, compio un atto di alienazione in senso ampio, perché è un atto con
cui costituisco un diritto reale su un bene.

Lunedì, 30 novembre 2020 – 8° lezione


Natura giuridica dell’alienazione
È un problema particolarmente complesso. Quello che ci interessa è la disciplina. L’alienazione è
un atto di amministrazione o no? Quando siamo di fronte a un atto di alienazione si applica la
disciplina dell’alienazione e non dell’amministrazione, ancora peggio di tutte e due. Non ci
soffermeremo in sede di esame sul tema alienazione/amministrazione, sulla natura giuridica della
alienazione, perché troppo complesso.

Il canone 1264 divide alienare da amministrare, quindi ipoteticamente verrebbero date due nature
diverse alle due cose. Ma quando il legislatore ci dà norme, non ci dà propriamente delle
definizioni. Ci dice che ci sono discipline diverse per i due fenomeni.
Altro elemento che viene indicato è dove vengono disciplinate le materie.
Spesso si è parlato dell’alienazione come atto di amministrazione.
Deve essere chiaro che il regime giuridico è diverso! Si tratta di un regime specifico a cui non
vanno applicare le norme relative all’amministrazione straordinaria: questo deve essere molto
chiaro.

Il soggetto
Quello che a noi interessa è il soggetto alienante: perché si applichino le norme del CIC il soggetto
deve essere una persona giuridica pubblica. Non ci interessa chi sia l’acquirente. Siamo nella
situazione prevista dal codice quando ci sia una persona giuridica pubblica che aliena.
Abbiamo già detto che ciò che va tutelato è il patrimonio della singola persona giuridica pubblica
(non esiste il patrimonio della Chiesa!).
Dunque, il soggetto è sempre la persona giuridica pubblica che vada ad alienare.

L’oggetto
Dobbiamo individuare l’oggetto dell’alienazione, perché non tutto è oggetto. Tutti i beni che
costituiscono il patrimonio stabile il cui valore supera una determinata somma (vedremo come
calcolarla) sono oggetto dell’alienazione. A questo aggiungiamo beni di particolare natura: ex voto,
beni preziosi e artistici, reliquie ecc.
Dobbiamo soffermarci su alcuni elementi.

Cos’è il patrimonio stabile?


La disciplina è molto scarna: cann 1285 e 1291. Il can 1285 ci dice che possono costituire
patrimonio stabile anche beni mobili; il can1292 parla di legittima assegnazione del patrimonio
stabile e della necessità di costituire il patrimonio stabile.
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Can. 1285 - È permesso agli amministratori, entro i limiti soltanto dell'amministrazione
ordinaria, di fare donazioni a fini di pietà o di carità cristiana dei beni mobili non
appartenenti al patrimonio stabile.

Can. 1291 - Per alienare validamente i beni che costituiscono per legittima assegnazione il
patrimonio stabile di una persona giuridica pubblica, e il cui valore ecceda la somma fissata
dal diritto, si richiede la licenza dell'autorità competente a norma del diritto.

A cosa serve il patrimonio stabile?


È un insieme di beni che è volto a dare una base economico-finanziaria minima necessaria per
dare la sussistenza alla persona giuridica di riferimento. Non c’è alcun tipo di elemento normativo
che ci dica che il patrimonio stabile sia un insieme di beni che non possono essere pignorati da
nessuno. Il fatto di destinare beni al patrimonio stabile non ha nessuna vicinanza col sottrarre beni
a eventuali rischi di pignoramento: la persona giuridica risponde con tutti i suoi beni presenti e
futuri.

Nel CIC non è indicato un obbligo di costituzione del patrimonio stabile, ma non dovremmo
dubitare nella necessità della sua costituzione. Se andiamo a leggere in un modo non esegetico le
norme lo possiamo dedurre quando si parla di assegnazione.
Il patrimonio stabile costituito per ogni persona giuridica non ce l’abbiamo. La ratio deve essere
quella di raggiungere un equilibrio tra garanzie e normativa che non blocchi la persona giuridica.
Insistiamo sul patrimonio stabile. Finora la giurisprudenza sui beni immobili ha detto che il bene
immobile fa parte del patrimonio stabile della persona giuridica. ma domani un giudice potrebbe
dire che non è scontato. Per questo, occorre costituire il patrimonio stabile, che di fatto viene
costituito raramente. L’alienazione è valida nel momento in cui il bene non rientra nel patrimonio
stabile. L’assegnazione implicita deve essere l’ultimo degli elementi da fare valere: è molto più
semplice assegnarli in maniera specifica.
Occorre quindi utilizzare la costituzione del patrimonio stabile come tutela dei beni.

Per l’alienazione si richiede la presentazione di una giusta causa, ma non è la giusta causa del
contratto. una giusta causa riusciamo a trovarla nella dicitura “altre ragioni pastorali”.
La causa a cui fa riferimento il codice è quello che si dice “motivo del contratto”. La mancanza di
causa comporta l’invalidità del contratto in sede civile. I motivi non rilevano: la rilevanza o
irrilevanza del motivo è qualcosa che dipende dalla legislazione e dalle norme positive stabilite dal
legislatore.
Altro elemento da considerare è la possibilità di far valere l’assenza del motivo in sede civile, ma
non affrontiamo il discorso perché il problema sarebbe complicato.
La causa: non confondiamo la causa con i motivi
Che cos’è la causa?
La necessità della causa del contrato
A prescendere dal la canonizzazione, la presenza del contratto nel’ordinamento canonico
Can 1293 ad licentatem la causa rileva per la liceità non per la validita
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Sulla forma non si prevede niente di specifico.
Che cos’è previsto ad validitatem: cerchiamo il mecanismo per individuare il
superiore:
La santa sede è competente per i beni ansiche il vescovo=le due
Se è il vescovo ad alienare i beni basta il consenso del consiglio economico e

Requisiti per l’alienazione


Vi sono requisiti ad validitatem e requisiti ad liceitatem.

Requisiti ad validitatem
Vi sono requisiti ad validitatem: il primo è la licenza che deve essere data da un soggetto
competente. L’autorità competente è individuata in base al bene.
La Conferenza episcopale dovrà stabilire una somma minima e una somma massima in base alle
quali si dovrà stabilire il soggetto competente.

Competenza della Santa Sede


Abbiamo competenze della Santa Sede, per cui la Santa Sede è autorità competente a dare licenza
per alienazione di beni parte del patrono stabile con valore che va oltre il limite massimo stabilito
dalla CE.
Altri casi sono quelli che fanno riferimento alla tipologia del bene (ex voto, reliquie, beni artistici,
ecc.): per l’alienazione necessita licenza della Santa Sede.
La licenza della Santa Sede è necessaria ma si va ad aggiungere alla licenza del vescovo diocesano.
I beni di particolare natura rilevano a prescindere dal fatto che facciano parte del patrimonio
stabile. La licenza di questi beni prescinde dal valore economico dei beni stessi e questa è una
ragione in più per la licenza.
I beni donati ex voto hanno un loro valore intrinseco che non ha a che vedere col valore
economico, ma con la loro stessa natura. Che il valore di un bene artistico non vada oltre la
somma massima, non ci interessa: servirà comunque la licenza della Santa Sede perché è l’arte la
ragione per cui si richiede la licenza. Non c’è la connessione al valore meramente economico:
quello che si va a tutelare è qualcosa che va ben oltre il mero valore economico.
Il fatto che si vada a toccare un elemento soprannaturale, comporta che la chiesa voglia dare una
disciplina su quel toccare i beni.

Altre autorità competenti


È il caso di alienazione di beni il cui valore sta tra la somma minima e la somma massima. In linea
di massima la competenza è del vescovo diocesano, interessati i soggetti che abbiano un diritto sul
bene che si va ad alienare.
Se il vescovo diocesano procede con l’alienazione non ha bisogno della licenza di cui è
competente: non avrebbe senso dare la licenza a se stesso. Può essere previsto altro, come il
consenso del Consiglio per gli affari economici, ma a seguito di questo consenso non si emette
licenza.

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Lunedì, 7 dicembre 2020 – 9° lezione
Nel caso di alienazione di n bene divisibile, nella domanda con cui si va a richiedere la licenza deve
essere necessariamente fatto presente che si tratta di un bene divisibile. Qualora non si faccia
questo la licenza è invalida.
Divido il bene in diverse parti e alieno le parti che non richiedono licenza: è un comportamento in
frode alla legge.
Altra questione riguarda le modalità con cui devono esprimersi i soggetti che vengono chiamati a
dare consigli o consensi. Si agisce con una modalità di mera raccomandazione.
La mancanza di corrette informazioni ha una ricaduta non indifferente. Se devo dare un consenso,
è compito di chi necessita di consenso dare tutte le informazioni corrette.

Requisiti ad liceitatem
Sono tutti requisiti che non hanno ricaduta sulla validità ma sulla liceità. La giusta causa è uno di
questi motivi: pietà, carità, altra grave ragione pastorale.
Spesso si compie una sorta di confusione tra conservazione dei beni, amministrazione, custodia…
Anche la perizia è un elemento da valutare ai fini della liceità. Occorre procedere con una perizia in
forma scritta. È necessaria per comprendere il valore reale del bene in modo che non lo si alieni
per importi inferiori al suo valore.
Altra finalità della perizia è quella di garantire una conoscenza corretta della situazione di fatto
all’autorità che deve dare licenza, in modo che possa fare la sua corretta valutazione.

Un problema a livello sistematico riguarda il fatto che devo fare la perizia per conoscere il valore
dei beni, non devo fare la perizia per i beni che non hanno un valore determinabile.

È possibile alienare un bene per un valore inferiore a quello espresso in perizia?


Ordinariamente il bene deve essere alienato per un valore pari o superiore a quello indicato in
perizia. Ma, tenendo conto di situazioni di urgenza e di necessità, l’Ordinario potrà concedere
licenza per alienare un bene anche a un valore inferiore a quello indicato dalla perizia.

I periti non potranno contraddistinguersi per elementi di probità, onestà, trasparenza, ecc. Ma
quello che risulta interessante valutare è il numero dei periti. Il canone parla di “periti” al plurale:
questo comporta il fatto che deve essere sentito più di un perito, ma non il fatto che debbano
necessariamente esserci due perizie.

Uno dei grossi problemi è quello dell’utilizzo di quello che si incassa in seguito alla vendita. Il CIC si
sofferma su questo aspetto. Quanto ricavato deve essere utilizzato in beneficio della persona
giuridica che ha provveduto alla alienazione stessa. L’avverbio “caute” invita a una particolare
prudenza nell’utilizzo di queste somme.
Sarà essenziale perseguire con le somme ricavate la finalità prevista.

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Qualcuno teorizza che anche nel caso di acquisto di un bene ci si troverebbe di fronte a ipotesi di
alienazione: si acquista un bene ma si alienano somme di denaro. Diventa estremamente
improbabile fare questo tipo di considerazione. Il denaro non è come qualunque altro bene.
La perizia: Importanza. 1293
Tutela del proprietario del bene
L’autorità che deve dare la perizia...
E possibile vendere un bene per un valore inferiore a auella della perizia? Si perché..ad
esempio.bisogna arrendersi alla realtà del mercato.
Abbiamo dei canoni ulteriori da considerare. In particolare, il canone 1295 rischia di creare
difficoltà interpretative.
Can. 1295 - I requisiti a norma dei cann. 1291-1294, ai quali devono conformarsi anche gli
statuti delle persone giuridiche, devono essere osservati non soltanto per l'alienazione, ma
in qualunque altro negozio che intacchi il patrimonio della persona giuridica peggiorandone
la condizione.

Il canone richiama le persone giuridiche senza precisare se debbano essere pubbliche o private.
Un’interpretazione meramente esegetica del canone non porta lontano, come anche altri criteri
interpretativi già considerati (ad esempio una visione inclusiva di pubbliche e private, visto che
non dice altro). Queste interpretazioni ci portano a un nulla di fatto. Conviene considerare questo
canone a livello sistematico.
Questo canone va a normare atti che possono essere compresi all’interno dell’alienazione in senso
ampio, nella quale va compresa anche la legislazione in senso stretto. Dobbiamo ipotizzare un
canone che va a normare determinati aspetti rendendoli obbligatori anche per le persone
giuridiche private, ma questo rischia di non avere alcun senso.
In questa visione più ampia e sistematica diviene evidente come il nostro riferimento anche per il
can 1295 non possano non essere le persone giuridiche pubbliche e non quelle private.

I negozi giuridici indicati dal canone sono tutti i negozi che non comportano il trasferimento di
diritto di proprietà ma comportano un peggioramento della condizione. Un mutuo a tasso zero
può essere un’operazione vantaggiosa, ma apporta comunque una situazione debitoria per la
persona giuridica.

LOCAZIONE DEI BENI

La locazione dei beni è considerato uno di quei negozi giuridici che comportano un peggioramento
del bene. Il CIC non si limita a far comprendere che la locazione comporta un peggioramento della
situazione patrimoniale della persona giuridica ma dà una serie di normative.
Il can 1297 dice che si tratta di beni della Chiesa: dunque, beni della persona giuridica pubblica.
Per la persona giuridica privata saranno gli statuti a prevedere come comportarsi. Viene lasciato
un ambito alle Conferenze Episcopali che sono chiamate a dare norme più locali in merito alle
locazioni.
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Viene richiamata la necessità di un requisito di licenza che deve essere data dall’autorità di
competenza. La norma è molto sintetica: non si dice nulla sulla valenza di questa licenza. Questo
comporta che dovrà essere ancora una volta la Conferenza Episcopale a delineare questo aspetto.
Un’ulteriore licenza speciale deve essere data quando entrano in considerazione determinati
soggetti: parenti affini e consanguinei fino al 4° grado. È una licenza ulteriore rispetto a quella che
abbiamo considerato prima. Non si dice nulla sul cosa comporti la mancata licenza, anche se è
intuibile che si tratti di un requisito ad liceitatem, senza escludere che sia un ambito normato dalla
Conferenza Episcopale.

I beni del patrimonio stabile


I critterri di individuare i beni: sono approvati negli statuti

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